CG26|it|Esercizi spirituali meditazione Predilezione per i piccoli

LA MISSIONE SALESIANA:

I GIOVANI PIÙ POVERI E ABBANDONATI”



“Dovrai onorare Giovanni Bosco, che si è preoccupato dei giovani più poveri, e ha creato scuole per loro”: si dice che sono le parole che lo stesso Mao-Tse-Tung ha scritto, nel suo famoso Libro Rosso. Sia o no vero, è fuori dubbio che San Giovanni Bosco è conosciuto ed amato, più in là delle frontiere della Congregazione e la Famiglia Salesiana, e ancora della Chiesa stessa, per la sua predilezione per i ragazzi e giovani, soprattutto i più poveri e abbandonati.


Nel riflettere su questo tema, centrale per il Carisma Salesiano in quanto si riferisce ai destinatari prioritari della nostra Missione, e al nostro atteggiamento verso di loro, troveremo in esso un centro di convergenza dei temi trattati precedentemente; per questo lo abbiamo messo verso la fine dei nostri Esercizi.


1. “La sua predilezione per i piccoli e i poveri”


La Missione salesiana ha le sue radici nella vita, le parole e l’esempio di Gesù Cristo. Come indica il Concilio Vaticano II, ogni carisma contempla il Figlio di Dio fatto Uomo da diverse prospettive (cfr. LG 46). O, come dicono le nostre Costituzioni, “siamo più sensibili a certi lineamenti della figura del Signore” (Cost. 11). Non è necessario dimostrare che la sua “predilezione per i piccoli e i poveri” costituisce uno dei lineamenti più indubitabili, sicuri e umani, per così dire, del Signore Gesù. Sarebbero moltissimi i testi evangelici che ce lo dimostrano. Però, credo che sono necessarie alcune puntualizzazioni a questo riguardo.


In primo luogo, la parola che utilizzano le nostre Costituzioni è rilevante. Parlare di predilezione è, anzitutto, parlare di amore; di un amore preferenziale, “maggiore”: ma non esclusivo, e meno ancora escludente. Considero che è una parola molto più adeguata di “opzione”, termine che, di per sé, non connota amore e inoltre può insinuare una certa discriminazione. In Gesù non troviamo mai il rifiuto verso nessuno; ma, entro un amore universale, ci sono atteggiamenti di predilezione.


In conseguenza, possiamo domandarci: chi sono oggetto della predilezione di Gesù? Le nostre Costituzioni, fedeli al Vangelo, parlano “dei piccoli e dei poveri”. È un’identificazione, due tipi di destinatari messi insieme, o un’endiadi, che unifica senza eliminare eventuali differenze?

Possiamo rispondere evocando le Beatitudini: la prima di esse si riferisce ai “poveri” (Lc 6, 20), o “poveri di spirito” (Mt 5, 3). In tutti e due i testi, si promette ad essi “il Regno di Dio/dei cieli”.


Può essere qui il luogo per precisare il concetto di “povertà” di cui Gesù parla. Senza ignorare o cercare di sminuire la complessità della domanda, e anche l’ambiguità che la parola stessa rappresenta: lo stesso termine serve per designare una situazione negativa, conseguenza del peccato e dell’egoismo umano, ma anche un ideale umano e cristiano, persino “sanzionato” nella vita consacrata con un voto.


Questa precisazione può esprimersi in una maniera molto semplice e concreta, contemplando sempre il Signore Gesù, e la sua situazione concreta (Sitz im Leben). Anche a rischio di sembrare tautologico, possiamo dire: povero è quello/a per cui il Vangelo è Buona Novella. Questa descrizione non identifica automaticamente la povertà con una situazione sociale ed economica, ma stabilisce con essa un rapporto molto stretto; e, simmetricamente, non condanna in maniera automatica l’avere, pur indicando il pericolo reale che implica in sé stesso. D’altronde, ci ricorda questa descrizione che non per tutti la persona di Gesù e il suo messaggio furono “buona novella”; e che gli ostacoli per la sua accettazione sono di diverso genere: senza dubbio, anche socio-economici (cfr. il giovane ricco, Mc 10, 17-22 e par.), ma non sono gli unici motivi, e forse neanche quelli che, in ultimo termine, determinano questo rifiuto.

Con le parole del cantico della Madonna, il Magnificat, possiamo dire che l’atteggiamento umano di autosufficienza è il contrario di questa “povertà”, che conduce a rifiutare la Buona Novella del Vangelo e, in fondo, Gesù stesso, e si manifesta in tre direzioni: l’orgoglio – il potere – il denaro. “Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore – ha rovesciato i potenti dai troni – ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1, 51-53).

Ricordiamo il testo di Pr 30, 8-9:


Non darmi né povertà né ricchezza,

ma fammi avere il cibo necessario,

perché, una volta sazio, io non ti rinneghi

e dica: “Chi è il Signore?”

Oppure, ridotto all’indigenza, non rubi

e profani il nome del mio Dio.


Chi ha tutto, è tentato di dire (forse non con le parole, ma con il suo atteggiamento): “Chi è Dio? Perché ho bisogno di Lui, se io basto a me stesso?” Ma, d’altra parte, non possiamo in assoluto ignorare la difficoltà a credere nell’Amore di Dio da parte di chi non ha neanche l’indispensabile, per sé e per i suoi, in ordine a una vita degna degli esseri umani, figli/e di Dio.


Cambiando un po’ la prospettiva, ma sempre nella nostra sensibilità carismatica, possiamo chiarire questo aspetto centrale nella missione di Gesù. Conosciamo benissimo la valutazione che il Signore fa dei piccoli, persino invitandoci a assomigliare/diventare come loro: altrimenti, non entreremo nel Regno di Dio.


Purtroppo, non sempre diventa facile precisare quale tratto dell’infanzia vuol sottolineare il Signore: ci sarebbero molti elementi tipici di quest’età, a cui certamente non vuole riferirsi Gesù. In realtà, Lui stesso ci dà la risposta, anche se dobbiamo dire che molte volte passa inosservata. Nel testo di Marco, il più antico, ci viene detto chiaramente: “Chi non accoglie/riceve il Regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso” (Mc 10, 15). La parola chiave è il verbo “accogliere/ricevere” (nell’originale greco: ). E questo ci porta alla domanda: Come ricevono i bambini quello che viene loro dato? La risposta è semplicissima, e indiscutibile: con gioia e senso di riconoscenza, proprio perché non “meritano” quello che ricevono.


Sfortunatamente, come abbiamo visto in un’altra riflessione, man mano che andiamo avanti nella vita, perdiamo troppo frequentemente questo senso della gratuità, e con esso anche la gioia e il senso della gratitudine: “La semplicità, quello che il Nuovo Testamento chiama simplicitas, non è altro che ‘fiducia nell’amore’” 1.


In questo senso, conviene prendere sul serio il carattere religioso della missione di Gesù; e questo deve portarci, di conseguenza, a precisare il profilo della sua predilezione radicale, e anche, indubbiamente, più “scandalizzante”: senza dimenticare né minimizzare la sua illimitata compassione per i più poveri, malati, emarginati, con i quali stabilisce una totale solidarietà, parliamo della sua predilezione per i peccatori, per quelli che sono più lontani da Dio, proprio perché sono quelli che più bisogno hanno del suo Amore e del suo Perdono; e, inoltre, sono quelli maggiormente disposti a ricevere, con la gioia e il senso di riconoscenza tipico del bambino, quello che come dono viene loro offerto: la misericordia di Dio, e la salvezza (ricordiamo il caso “esemplare” di Zaccheo, Lc. 19, 1-10).


Senza dubbio, in una società teocratica come quella di Israele, questo comportava anche il disprezzo “sociale”, ma si sottrarrebbe il midollo di questa missione di Gesù spostando la categoria del “peccatore” nella categoria sociale del “emarginato”. Non è per via dell’emarginazione sociale che Gesù mostra la sua predilezione per i peccatori, ma perché essi sono in pericolo di perdersi. Non prendere questo sul serio fa diventare il Cristianesimo un movimento sociale che, soprattutto nel nostro tempo, si converte in una ONG, spesso irrilevante e obsoleta. E qualcosa di simile possiamo dire del nostro lavoro salesiano, nella misura in cui non mira a realizzare e manifestare questa meravigliosa sintesi tra ricerca della salvezza e promozione integrale.


Tutto questo, forse, è accettato, come principio; ma non sempre diventa criterio di azione e strategia, anche sociale: in fondo, dovrebbe essere la modalità con cui la Chiesa offre un servizio insostituibile, dalla sua identità più profonda, per la trasformazione della società: soprattutto di fronte all’ingiustizia e all’idolatria del potere e del denaro, che sembrano crescere senza misura.


Tutto questo riflette una profonda convinzione del cristiano, insegnata dal Maestro: il male contro cui vogliamo lottare non procede, in fondo, dalle strutture sociali, politiche o economiche, ma dal cuore dell’uomo (cfr. Mc 7, 20), convinti che “solo l’amore è capace di trasformare in modo radicale i rapporti che gli esseri umani intrattengono tra loro” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 4).



2. “con Don Bosco riaffermiamo la preferenza per la gioventù povera”


Quello che abbiamo detto sopra in nessuna maniera elimina la nostra preferenza carismatica, ma la illumina, e ci aiuta ad insistere, ancora una volta, nella sintesi tipicamente salesiana della nostra Missione: da una parte, condividendo la Missione universale della Chiesa (cfr. Cost. 3), che è fondamentalmente religiosa, e dall’altra nel affrontare e offrire risposte concrete alla problematica sociale ed economica del nostro Mondo. Dobbiamo riaffermarlo chiaramente: i nostri destinatari sono “i giovani, specialmente i più poveri” (Cost. 26), “i giovani anzitutto che, a causa della povertà economica, sociale e culturale, alle volte estrema, non hanno possibilità di riuscita” (Reg. 1).


Questa fusione definisce la nostra identità salesiana nella realizzazione della Missione: il nostro Carisma afferma chiaramente il tipo di povertà a cui ci riferiamo; ma, allo stesso tempo, sottolinea anche il perché ci dedichiamo ai giovani che vivono in questa situazione. A questo secondo aspetto risponde (oltre la frase di Reg. 1) lo stesso articolo costituzionale: “i giovani vivono un’età in cui fanno scelte di vita fondamentali che preparano l’avvenire della società e della Chiesa. Con Don Bosco riaffermiamo la preferenza per la ‘gioventù povera, abbandonata, pericolante’, che ha maggior bisogno di essere amata ed evangelizzata, e lavoriamo specialmente nei luoghi di più grave povertà” (Cost. 26; neretto e corsivo nostro).


Il Rettor Maggiore, commentando questo tratto essenziale del nostro Carisma, ci scrive:


Conviene far notare che questa predilezione in Don Bosco non deriva solo dalla magnanimità del suo cuore paterno, ‘grande come l’arena del mare’, né dalla situazione disastrosa della gioventù del suo tempo – come anche del nostro -, né molto meno da una strategia socio-politica. All’origine di essa c’è una missione di Dio: “Il Signore ha indicato a Don Bosco i giovani, specialmente i più poveri, come primi e principali destinatari della sua missione” (C 26). Ed è bene ricordare che questo avvenne “con l’intervento materno di Maria” (C 1); infatti Ella “ha indicato Don Bosco il suo campo di azione tra i giovani e l’ha costantemente guidato e sostenuto” (C 8). In tale senso è ‘normativo’, e non un semplice aneddoto, l’atteggiamento che Don Bosco assunse in un momento decisivo della sua esistenza sacerdotale, di fronte alla Marchesa di Barolo e all’offerta, certamente apostolica e santa, di collaborare nelle sue opere, abbandonando i ragazzi straccioni e soli: “Ella ha danaro e con facilità troverà preti quanti ne vuole pe’ suoi istituti. De’ poveri fanciulli non è così…” (ACG 384, p. 19).

Qui Don Bosco aggiunge una motivazione, che non è solo affettiva o pedagogica, ma teologica: “I miei poveri ragazzi hanno soltanto me”. È l’espressione quanto mai semplice della coscienza di essere una mediazione, una epifania dell’Amore di Dio per loro; senza di lui, tutti questi “ultimi” saranno carenti della manifestazione dell’Amore di Dio e, in conseguenza, dell’esperienza di Dio come Padre. Detto con un’espressione evangelica, essi si troverebbero, senza di lui, come pecorelle senza pastore. “Gesù, sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore” (Mc 6, 34; Mt 9, 36 aggiunge: “stanchi e sfiniti…”).





3. “poveri, abbandonati e in pericolo”


Nella stessa Lettera, Don Pascual aggiunge: “Sarebbe molto interessante approfondire le caratteristiche tipiche dei destinatari preferenziali della nostra missione: ‘giovani poveri, abbandonati e in pericolo’. Anche se oggi si parla di ‘nuove povertà dei giovani, la povertà allude direttamente alla loro situazione socio-economica; l’abbandono richiama la ‘qualifica teologica’ di privazione di sostegno a causa della mancanza di una mediazione adeguata dell’Amore di Dio; il pericolo rimanda ad una fase determinante della vita, l’adolescenza-gioventù, che è il tempo della decisione, dopo la quale molto difficilmente si possono cambiare le abitudini e gli atteggiamenti adottati. Tale approfondimento serve come punto di partenza per determinare in ogni Ispettoria (cfr. Reg. 1) e comunità, quali sono i destinatari prioritari nell’hic et nunc concreto, tenendo conto, certo, dei criteri or ora segnalati” (ACG 384, p. 20).


Come anche altrove, troviamo qui la straordinaria chiaroveggenza e capacità di sintesi di Don Bosco, tra una problematica socio-economica veramente lancinante, una visione pedagogica eccezionale, e una fede incrollabile nell’Amore di Dio verso tutti, in particolare per i più bisognosi. Fermiamoci a contemplare questa “meraviglia della Grazia” che è il nostro Padre (a cui dedicheremo una prossima riflessione). Cerchiamo adesso di visualizzare queste tre espressioni come dimensioni di una realtà globale, che caratterizza i nostri destinatari prioritari, prospettiva che ci permetta di concretizzare, nel nostro lavoro educativo pastorale con loro, la Missione che Dio ci affida.


È necessario, d’altra parte, ricordare che la Missione non dipende dai destinatari: come se fosse opzionale o aleatorio, o dipendesse dalle circostanze, essere o non-essere segni e portatori dell’Amore di Dio! La Missione non è “negoziabile”. Siamo tutti convinti: mai sarà impossibile, o irrilevante, la missione salesiana; quello che deve preoccuparci è se saremo sempre fedeli ad essa e, attraverso essa, a Dio e ai giovani.


Quel che succede spesso, non è tanto il dimenticare che la situazione dei nostri destinatari non precede la Missione, ma il dimenticare che questa situazione deve precedere le attività e le opere. Cercando di schematizzare questo, possiamo dire che alle volte il nostro discernimento e le nostre decisioni non sono del tutto adeguate, perché procediamo in questa maniera:


Missione - attività e opere - destinatari


quando, nella fedeltà alla Volontà del Signore, dovrebbe essere:


Missione - destinatari - attività e opere.


Non si tratta di vedere chi possono frequentare e usufruire le nostre attività e opere (molte volte, purtroppo, non sono quelli che dovrebbero poter venire!), ma quali attività e opere dobbiamo realizzare, nel hic et nunc, in favore di quelli a cui il Signore vuol inviarci, in maniera prioritaria.


In precedenza abbiamo parlato di una “sintesi vitale” che potesse inglobare le tre dimensioni che caratterizzano i nostri destinatari. Forse possiamo dirlo in queste poche parole: sull’esempio di Gesù, concretizzando la sua missione universale, Don Bosco si sente “carismaticamente toccato” da un pericolo che può ostacolare la felicità temporale ed eterna (“salvezza”) dei suoi giovani: l’abbandono in cui si trovano di fronte a Dio e agli altri, provocato dalla loro situazione di povertà, che spesso risulta davvero drammatica.


Se all’inizio abbiamo parlato della povertà come un valore, tale da essere assunto nella vita consacrata come voto, non possiamo dimenticare che, entro l’ambiguità della parola, c’é anche una situazione socio-economica che va contro il piano amoroso di Dio, che rende difficile, e molto spesso impossibile, per chi vive in questa situazione, sentirsi figlio/a di Dio, amato/a personalmente da Lui. Come possiamo parlare allora dell’Amore di Dio ad una persona che non ha, per se o per i suoi, l’indispensabile per vivere?


Mi sembra interessante approfondire ancora la risposta che Don Bosco ha dato (o meglio: la chiamata che ha sentito, da parte di Dio) a fronte della situazione giovanile del suo tempo, che diventa normativa anche per noi. È ovvio che non è stato lui l’unico a percepire la problematica dei giovani abbandonati a Torino, e nelle grandi città (una situazione, per alcuni versi, qualitativamente nuova): molte personalità rilevanti hanno preso esplicita posizione di fronte ad essa, da prospettive anche diverse. C’è tutta una corrente della letteratura, per esempio, che denuncia questa situazione: possiamo ricordare, tra tanti libri rappresentativi di questa scuola, la classica opera di Charles Dickens, Oliver Twist. Carlo Marx, da parte sua, cerca di trasformare questa situazione ingiusta, partendo da una posizione atea, e dà la sua propria soluzione. Dostoevskij sentì anche in forma così acuta la sofferenza degli innocenti, in particolare quella dei bambini, che diventò il motivo più forte contro la fede in Dio. Don Bosco, invece, per niente meno sensibile di tutti loro, non si fermò in una posizione teorica né di ateismo, né di teodicea: nel nome del Dio di Gesù Cristo e del suo Amore, donò totalmente la sua vita per il bene integrale - temporale ed eterno - del lumpenproletariat infantile e giovanile.


Per concludere questa sezione, vorrei aggiungere una riflessione personale. Vorrei riferirmi a una parola per designare i nostri destinatari prioritari che, anche se non è letteralmente evangelica, esprime, nel suo senso etimologico, una grande ricchezza. Mi riferisco alla parola “in-significante”. Nella semantica abituale del termine, tende a identificarsi con qualcosa di “piccolo”; ma l’origine etimologica non va in questa direzione. Facciamo un esempio: un’opera salesiana significativa (per la presenza dei salesiani, per la vicinanza con i ragazzi che permette di conoscerli personalmente, per la qualità dell’educazione e della formazione cristiana, ecc.), può correre il rischio di crescere tanto, da diventare insignificante, cioè: che non significa più nulla, che non è più segno di quello che dovrebbe manifestare.


Prendendolo in questa accezione etimologica, e giocando un po’ con le parole: saremmo un segno dell’Amore salvifico di Dio, mentre più insignificanti, dal punto di vista umano, siano i nostri destinatari. Come dice il Rettor Maggiore, nella sua Lettera sull’Eucaristia, a proposito dell’invito al banchetto e del suo rapporto con la povertà: “Non è l’invito interessato agli amici e ai parenti (cfr. Lc 14, 12-13; Mt 5, 46-47), che non avrebbe senz’altro nulla di male, ma che non diventa ‘segno evangelico’, né produce lo scandalo salutare perché quello ‘lo fanno anche i pagani’ (Mt 5, 47)”; ma la predilezione evangelica “per i più poveri e gli abbandonati, per gli emarginati, per i peccatori, per tutti gli umanamente insignificanti” (ACG 398, p. 35).



4. “La Missione da’ a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto” (Cost. 3)


Nel CG 22, il Rettor Maggiore di allora, D. Egidio Viganò, precisò, in maniera teologicamente definitiva, il senso della consacrazione nella vita religiosa (concretamente, salesiana), ricordando che, nello spirito del Concilio Vaticano II, questa consacrazione ha due caratteristiche fondamentali: è opera di Dio (soltanto Lui consacra: non siamo noi che “ci consacriamo” a Lui) ed è omnicomprensiva: non si riferisce ad un “settore” della nostra vita (come sarebbe, per esempio, se si riferisse soltanto ai consigli evangelici), ma abbraccia tutte le sue dimensioni. In questo senso, consacrazione e missione non sono due “parti”, ma costituiscono, da due diverse prospettive specifiche, il “tutto” della nostra vita. In un certo senso, tutto è consacrazione e tutto è missione. Altrimenti, la frase che fa da titolo a questo paragrafo sarebbe smentita dalla realtà vissuta.


Cercando di concretizzare questo, mi sembra che conviene stabilire un rapporto tra questa predilezione per i giovani più poveri e i grandi temi che stiamo cercando di sviluppare in questi Esercizi.


1. In primo luogo, la gratuità: mi sembra che è totalmente fuori discussione questo tratto fondamentale dell’amore; in ogni caso, può essere in pericolo solo nella misura in cui ci allontaniamo dalla nostra “predilezione carismatica”. D’altra parte, conviene sottolineare ancora una volta: questa gratuità non esclude in nessuna maniera, al contrario, aspetta ed “esige” (per la sua stessa natura) una risposta che, nel caso del ragazzo povero e abbandonato, diventi piena, proprio perché non può “dare” niente: la sua corrispondenza nell’amore si manifesta donandosi, a sua volta, in maniera totale.


Tra moltissimi aneddoti della vita del nostro Padre, vorrei sceglierne soltanto uno, particolarmente espressivo e, nella sua semplicità, commovente. Si riferisce a un giovanetto dei primi tempi dell’Oratorio, che


“veniva dal far le spese. Questi teneva in mano, con le altre provviste, un bicchiere pieno di aceto ed una bottiglia con olio. Visto Don Bosco, si mise a saltare per allegrezza ed a gridare: - Viva don Bosco! – Don Bosco ridendo gli disse: - Sei capace a fare come faccio io? – e così dicendo batteva le palme della mano una contro dell’altra. Il fanciullo, che era fuor di sé per la contentezza, mette la bottiglia sotto il braccio e grida di nuovo: - Viva Don Bosco! E batte le mani. Naturalmente per far ciò aveva lasciato cadere bicchiere, bottiglia e quanto aveva, e i cristalli si ruppero. A quel rumore egli resta un istante come sbalordito e poi si mette a piangere dicendo che, tornato a casa, sua madre lo avrebbe bastonato” (MB II, 94-5).


Tutto venne risolto, grazie alla generosità della padrona di una bottega.


2. Anche qui viene sottolineata al massimo l’importanza dell’espressione-manifestazione dell’amore. La Missione salesiana presuppone che i nostri destinatari prioritari, anche essendo oggetto privilegiato dell’Amore di Dio, allo stesso tempo non hanno quell’esperienza; donde la necessità, più urgente qui che in qualsiasi altra situazione, di propiziare questa percezione nella maniera più forte e concreta possibile. Come dice Don Pascual: “cercare di offrire il massimo a quelli a cui, purtroppo, la vita ha dato il minimo”. E indubbiamente, un elemento fondamentale è la possibilità effettiva della loro promozione integrale, attraverso l’educazione: altrimenti, rimangono soltanto belle parole, o pii desideri.


3. Ma ancora c’è un altro aspetto, che mi sembra particolarmente importante e delicato, soprattutto nei nostri tempi: l’esigenza che questa ricezione dell’Amore di Dio sia percepita attraverso la manifestazione (paterna – materna - fraterna) del nostro agape-eros… come lo faceva Don Bosco. E questo, dobbiamo dirlo immediatamente, non ha niente da vedere con la sessualità, ed è tutto il contrario di una pericolosa deviazione.


C’è un brano della Ratio 2000 – nel fascicolo su Le Ammissioni- che sintetizza questo tratto, in maniera particolarmente indovinata. Significativamente, fa allusione al pericolo che questo amore, che si manifesta nello stile salesiano, possa confondersi con la sua radicale falsificazione: concretamente, la controindicazione omosessuale. Sappiamo che, per ragioni psicologiche particolarmente sottili, questa inclinazione si accentua soprattutto nel rapporto con ragazzi fragili e “indifesi”, come dovrebbe, d’altra parte, essere il destinatario tipico della nostra azione educativa e pastorale.


Il testo dice: “Per le sue peculiari caratteristiche, essa (la vocazione consacrata salesiana) comporta specifiche esigenze in riferimento alla omosessualità. Si tratta infatti di una vocazione-missione che si vive in comunità maschili, che porta ad agire in costante contatto con la gioventù povera, di preferenza maschile, bisognosa di attenzione e di affetto, con uno stile di famiglia e un metodo educativo che si esprimono attraverso l’amorevolezza, la capacità di farsi amare e di dimostrare amore” (Le Ammissioni, n. 77, pp. 56-57).


Dobbiamo essere attenti, più che mai, a evitare ogni tipo di deviazione in questo campo (che, d’altronde, è oggi più pericolosa che mai); ma non possiamo, per timore di questa falsificazione, rinunciare ad un tratto specifico ed essenziale del nostro Carisma! L’identità autentica della nostra castità consacrata ci permette di essere “testimoni della predilezione di Cristo per i giovani, ci consente di amarli schiettamente in modo che ‘conoscano di essere amati’, e ci rende capaci di educarli all’amore e alla purezza” (Cost. 81).


4. Un altro aspetto, molto importante e concreto, che il Rettor Maggiore ha voluto sottolineare nella sua Strenna 2008, riguarda i diritti umani. Promuovere i diritti umani, in particolari quelli dei minori, come via salesiana per la promozione di una cultura della vita e il cambiamento delle strutture. Il Sistema Preventivo di Don Bosco ha una grande proiezione sociale. “L’educazione ai diritti umani, in particolare ai diritti dei minori, è la via privilegiata per realizzare nei diversi contesti l’impegno di prevenzione, di sviluppo umano integrale, di costruzione di un mondo più equo, più giusto, più salubre. Il linguaggio dei diritti umani ci permette anche il dialogo e l’inserimento della nostra pedagogia nelle differenti culture del nostro mondo”.


Vorrei terminare ricordando nuovamente la frase finale nella sezione costituzionale sulla castità: Il salesiano “ricorre con filiale fiducia a Maria Immacolata e Ausiliatrice, che lo aiuta ad amare come Don Bosco amava” (Cost. 84).

1 JOSEF PIEPER, Sull’Amore, Brescia, Morcelliana, 1974, p. 58, citando Stanislaus Graf von Dunin-Borkowski SJ.

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