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Capitolo Generale 23

dei Salesiani di Don Bosco



EDUCARE I GIOVANI ALLA FEDE


Documenti Capitolari

Roma, 4 marzo - 5 maggio 1990


ALLEGATI



ALLEGATO 1


Messaggio di S.S. GIOVANNI PAOLO II per l'inizio del Capitolo Generale XXIII


Al diletto Figlio Don EGIDIO VIGANÒ Rettor Maggiore della Società di San Francesco di Sales


311

Giunga il mio saluto augurale a Lei ed a tutti i Suoi Confratelli, che partecipano al XXIII Capitolo Generale di codesta Congregazione.


L'Assemblea capitolare è, per ogni Istituto religioso, un punto fermo, da cui partire per un nuovo approfondimento del proprio carisma: quella che sta per iniziare deve quindi costituire per voi un'occasione privilegiata non solo per approfondire ulteriormente la missione affidatavi da San Giovanni Bosco, ma anche per migliorare sempre di più la qualità dell'azione pastorale, che i Salesiani svolgono in tante Chiese particolari, con speciale attenzione verso la gioventù.


In effetti, il vostro impegno istituzionale si volge soprattutto all'educazione dei giovani, dalla cui risposta dipende il futuro della fede. La speranza, infatti, di un mondo più cristiano rinasce con ogni nuova generazione, purché essa possa usufruire di una adeguata educazione, ispirata al Vangelo. Anche oggi, pertanto, occorre far maturare nei giovani una convinta sintesi tra fede e vita, così che possano divenire nella società i testimoni coraggiosi e credibili del grande mistero di Cristo: principio e coronamento di tutta la speranza cristiana.


312Sono certo che, seguendo la collaudata tradizione pedagogica della vostra Congregazione, non mancherete di elaborare, a tale scopo, progetti concreti ed aggiornati: San Giovanni Bosco, infatti, vi invita non solo a dedicarvi ai giovani, ma ad "educare con un progetto". Come vi dicevo in occasione della chiusura del Centenario della morte del vostro Fondatore, egli ha lasciato "una sintesi vitale tra sapere pedagogico e prassi educativa", e voi dovete studiarvi d'applicarla allo sviluppo del tema "unificando in sintesi i complessi elementi destinati a promuovere lo sviluppo completo del ragazzo e del giovane".


In questa prospettiva, desidero ricordare a voi, Capitolari, due aspetti da approfondire con cura: la spiritualità giovanile" e la "dimensione sociale" della carità. Sono due grandi preoccupazioni pastorali della Chiesa.


313

Anzitutto, nell'educazione dei giovani, non basta far leva sulla semplice razionalità di un'etica umana, né è sufficiente un'istruzione religiosa soltanto accademica. Occorre suscitare convinzioni personali profonde che portino ad un impegno di vita ispirato ai perenni valori del Vangelo. Occorre tendere a formare dei santi. "Nella Chiesa e nel mondo - scrivevo nella Lettera Juvenum patris - la visione educativa integrale, che vediamo incarnata in San Giovanni Bosco, è una pedagogia realista della santità. Urge ricuperare il vero concetto di santità, come componente della vita di ogni credente. L'originalità e l'audacia della proposta di una santità giovanile è intrinseca all'arte educativa di questo grande Santo, che può essere giustamente definito "maestro di spiritualità giovanile"" (IP 16).


314

In secondo luogo, nella vostra attività educativa e pastorale dovrà emergere la "dimensione sociale della carità". Ad essa infatti i segni dei tempi assegnano nuovi spazi, alla luce di una rinnovata coscienza del bene comune. S'aprono oggi davanti alla carità dei cristiani, con prospettive sempre più vaste, i molteplici campi della vita civica e politica. San Giovanni Bosco vi ha insegnato a formare cittadini responsabili mediante la maturazione di concrete convinzioni di fede, da tradurre in scelte operative rispondenti alle esigenze via via emergenti. A voi il compito di individuare gli obiettivi oggi prioritari, verso cui far convergere l'impegno della gioventù a voi affidata.


Che Maria Ausiliatrice vi guidi maternamente! La sincera e filiale devozione verso di Lei vi stimolerà ad affrontare generosamente ed a superare vittoriosamente le molteplici difficoltà, che potete incontrare nel vostro cammino.


Augurando un esito felice all'attività del Capitolo Generale, invoco su di Lei e sui Capitolari l'effusione dei doni dello Spirito Santo, in pegno dei quali a tutti imparto l'implorata Benedizione Apostolica, che estendo volentieri ala vostra Congregazione ed all'intera Famiglia salesiana.


Dal Vaticano, 22 Febbraio l990, festività della Cattedra di San Pietro Apostolo.


Joannes Paulus II

ALLEGATO 2


Saluto del Card. Jean-Jérome Hamer Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e per le Società di vita apostolica


[315]

Sono qui per salutarvi nella mia veste di Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Intendo salutarvi dicendo l'importanza di una riunione come la vostra, la fiducia che abbiamo in voi, e invitarvi ad assumere il vostro compito con lucidità e coraggio.


Siete un Capitolo Generale, rappresentate tutta la Società Salesiana di San Giovanni Bosco, siete il segno della sua unità nella diversità.


Siete qui per una riflessione fraterna e comunitaria che deve portarvi ad una più grande fedeltà al Vangelo, al carisma del vostro Santo Fondatore, nella preoccupazione di rispondere ai bisogni del tempo e dei diversi luoghi.


Tutti insieme, lasciandovi guidare dallo Spirito del Signore, cercherete di conoscere la volontà di Dio per un servizio migliore alla Chiesa nel mondo di oggi.


Però non siete soltanto un gruppo di fratelli e di amici che si riuniscono per degli scambi interessanti e forse anche fruttuosi, ma senza impegno personale. In nessun modo. Invece la vostra riflessione sarà comunitaria ed impegnata: deve pervenire a delle decisioni.


Siete infatti un Capitolo Generale, detenete l'autorità suprema nella Società Salesiana e la eserciterete secondo le vostre Costituzioni.


Siete qui adunati in una assemblea di governo. Ciò che si aspetta da voi sono delle riflessioni e delle deliberazioni approfondite che devono approdare in orientamenti precisi ed in prese di posizione nette e chiare.


Tra le decisioni da prendere figurano, al loro posto, l'elezione del Rettor Maggiore e dei membri del Consiglio Generale. Tocca anche a voi di stabilire delle leggi per tutta la Società e di trattare in modo responsabile gli affari più importanti.


[316]

Ma tutto ciò si farà in un'ottica ben precisa: quella della fedeltà al vostro patrimonio proprio, al servizio specifico che la Chiesa aspetta da voi.


Siete dei religiosi, siete degli apostoli, siete al servizio dei giovani. E tutto ciò lo siete inseparabilmente nella indissociabile unità di una vita.


Le vostre Costituzioni (art. 2) lo dicono chiaramente: "Noi, salesiani di Don Bosco, formiamo una comunità di battezzati che, docili alla voce dello Spirito, intendono realizzare in una specifica forma di vita religiosa il progetto apostolico del Fondatore: essere nella Chiesa segni e portatori dell'amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri. Nel compiere questa missione, troviamo la via della nostra santificazione".


Vi siete ben preparati per il vostro compito capitolare. So che una Commissione Precapitolare ha fatto un lavoro preparatorio considerevole che è messo a vostra disposizione. Questo documento di lavoro è tutto rivolto al tema del Capitolo "Educare i giovani alla fede" e privilegia l'aspetto operativo, pur non trascurando gli elementi di analisi e di riflessione.


Non tocca a me entrare in materia. È il ruolo di voi Capitolari. Ma ho notato con soddisfazione che la vostra Commissione Precapitolare ha avuto, fin dal suo punto di partenza, la preoccupazione di rispettare l'equilibrio che deve caratterizzare ogni Capitolo Generale come organo di governo pastorale.


La vostra missione nella Chiesa è un servizio. Cercate di essere spiritualmente ed umanamente preparati e qualificati per dare il vostro contributo all'evangelizzazione dei giovani, e particolarmente all'evangelizzazione dei più sprovvisti, dei più poveri. E così vi mettete a disposizione di coloro che hanno la responsabilità dell'evangelizzazione nella loro qualità di successori degli apostoli, nelle varie diocesi.


Le vostre Costituzioni (art. 48) lo dicono in una maniera molto felice: "La Chiesa particolare è il luogo in cui la comunità vive ed esprime il suo impegno apostolico. Ci inseriamo nella sua pastorale che ha nel vescovo il primo responsabile e nelle direttive delle conferenze episcopali un principio di azione a più largo raggio. Offriamo ad essa il contributo dell'opera e della pedagogia salesiana e ne riceviamo orientamenti e sostegno".


E commentando quest'ultima frase, si può dire: "La prima istanza sottolinea la ricchezza che i Salesiani sono tenuti a portare nella Chiesa particolare: l'azione pastorale tipica di Don Bosco e il suo sistema preventivo.


[317]

L'altra invece sollecita ad accogliere gli orientamenti dei Pastori per poter camminare coerentemente in una pastorale d'insieme e ricevere il sostegno di tutta la Chiesa nel nostro lavoro" (Progetto di Vita dei Salesiani di Don Bosco, Roma 1986, p. 397-398).


In questo saluto che vi indirizzo prima dell'apertura formale del vostro Capitolo lasciatemi ancora sottolineare un altro punto: un Capitolo Generale è un atto di comunione ecclesiale.


Certo un Capitolo è un'assemblea come tutte le altre assemblee, nel senso che corrisponde a determinate leggi della psicologia sociale. Ci sono le regole di una discussione organizzata. Avete la traduzione simultanea e probabilmente, dietro le quinte, dei computer e un segretariato ben attrezzato. Tutto ciò è utile e perfino indispensabile, e tutto ciò si trova nelle assemblee moderne un po' numerose, specialmente se sono internazionali.


Tuttavia un Capitolo ha un nota specifica. E un atto di comunione ecclesiale. Non è un atto della società civile, che ha per scopo di organizzare l'ordine temporale. È un atto della Chiesa. Siamo nell'ordine spirituale. La vita religiosa non ha nessun altro scopo che quello della Chiesa stessa: la salvezza degli uomini.


Perciò le nostre fonti saranno spirituali: il Vangelo, perché ignorare il Vangelo è ignorare Cristo, la tradizione spirituale della Chiesa, il suo Magistero, la tradizione del vostro Istituto dai tempi del Fondatore, il Diritto canonico, tutta una ricchezza che le vostre Costituzioni oggi devono portare fino a voi.


E perciò ricorriamo spesso alla preghiera. Il vostro Capitolo è stato preceduto da un corso di Esercizi spirituali. Questa iniziativa è eccellente. E non esiterete a dare alla celebrazione eucaristica e alla preghiera un largo spazio nello svolgimento del vostro Capitolo. Possiamo ispirarci qui ai Concilio Ecumenico Vaticano II. Questo Concilio è stato una "celebrazione". Non avrei nessuna difficoltà a parlare della "celebrazione" di un Capitolo Generale. Ciò che conta anzitutto è una atmosfera di preghiera e di raccoglimento, che mette la riflessione e la discussione al loro giusto livello.


Spesso nei Capitoli Generali di oggi si recita la bellisssima preghiera allo Spirito Santo: "Adsumus", che è stata recitata dai Padri del Vaticano II prima di ogni sessione durante i quattro anni del Concilio. Lasciatemi che ve ne ricordi le prime frasi perché sono piene di insegnamenti per voi: "Adsumus, Domine Sancte Spiritus, adsumus, peccati quidem immanitate detenti, sed in Nomine Tuo specialiter congregati. Veni ad nos, et esto nobiscum". In una versione italiana: "Eccoci, Signore, Spirito Santo, eccoci alla tua presenza, gravati dal peso dei nostri peccati, ma adunati particolarmente nel tuo nome. Vieni a noi e rimani con noi".


Nessuno può partecipare ad un Capitolo con la sicurezza e 1. presunzione del fariseo. Nessuno può prendere la responsabilità degli altri a nome della sua propria virtù. È con l'umiltà del pubblicano che assumiamo il compito capitolare. Ma l'assumiamo senza pusillanimità, con determinazione e coraggio, perché siamo stati con. vocati dallo Spirito Santo e perché speriamo che Egli realizzerà la sua opera in noi, nella nostra persona e nella nostra azione.


La preghiera "Adsumus" non è altro che una parafrasi della parola di Cristo: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, sono in mezzo a loro". Gesù sia in mezzo a voi. Il Suo Spirito vi assista. Tale è il mio augurio per voi tutti riuniti qui oggi nel XXIII Capitolo Generale della Società Salesiana.


Li 9 marzo 1990.

ALLEGATO 3

Discorso del Rettor Maggiore don Egidio Viganò all'apertura del CG23


Eminentissimo Cardinale Hamer, Eminenze, Madri Sorelle e Fratelli responsabili di Gruppi della Famiglia Salesiana, Confratelli capitolari:


[318]

Un saluto riconoscente a Sua Eminenza il Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e agli Eminentissimi Signori Cardinali che con la loro presenza sottolineano il senso ecclesiale di questo nostro Capitolo generale.

Un grazie cordiale alla Madre Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ai Presidenti dei Cooperatori, degli Exallievi e delle Exallieve, alla Responsabile Maggiore delle Volontarie di Don Bosco e alla Superiora Generale delle Oblate salesiane, che rappresentano l'adesione, la preghiera e la speranza di tanti fratelli e sorelle della Famiglia Salesiana nel mondo.

Un caloroso benvenuto, poi, a tutti i capitolari qui convenuti da ben 85 circoscrizioni giuridiche della nostra Società.



1. Il Capitolo generale 23°


Stiamo dando inizio ufficialmente al 23° Capitolo generale della Società di San Francesco di Sales.

Quando Don Bosco convocò il primo, nel 1877, i capitolari erano 23 e la durata del Capitolo fu di 13 giorni completi.

Quando, dopo quasi un secolo nel 1971 si realizzò il CG20, i capitolari erano 202 e la durata del Capitolo fu di 6 mesi e 26 giorni; si trattava, però, di un Capitolo generale "speciale", ossia eccezionale.

I Capitoli Generali 21 e 22 che lo seguirono furono anch'essi coinvolti, in qualche modo, nella esigenza di "specialità", e durarono all'incirca 4 mesi ciascuno.

Oggi, nel CG23, i capitolari dovrebbero essere 207 - uno, il 208, è stato consacrato vescovo recentemente -. Ci chiediamo per quanto tempo si protrarrà la durata di questo Capitolo.

Credo sia utile iniziarlo proponendo un piano di massima al riguardo. Nel Consiglio generale, considerando che si tratta di un Capitolo "ordinario", si è pensato di suggerire ai colleghi dell’Assemblea - ossia a voi, cari capitolari - di voler prendere sin dall'inizio la decisione di non oltrepassare i due mesi; a noi è parso ragionevole porre eventualmente come data limite il prossimo 12 maggio.



2. Un Capitolo generale "ordinario"


[319]

Perché consideriamo "ordinario" questo Capitolo?

In realtà la cosiddetta "ordinarietà" è una qualifica inerente alla natura stessa di un Capitolo generale normale: ha quindi la sua spiegazione nel dettato costituzionale. Ciò che avrebbe bisogno di spiegazione sarebbe, invece, la qualifica di "speciale" o di "straordinario".

Ci interessa tuttavia insistere qui nel sottolineare questo aspetto di "ordinario" per significare che per noi, di fatto, si è conclusa la vasta, delicata e indispensabile opera di revisione globale dei documenti della nostra identità nella Chiesa.

E' finito, dunque, il compito "speciale" (esigito dal Vaticano II) ed emerge la necessità "ordinaria" di affrontare solo un qualche aspetto vitale nel cui studio si vedranno anche proiettate nella pratica le grandi conquiste dei Capitoli anteriori.

Nella Regola troviamo indicati i compiti da affrontare.

Li conosciamo; però dobbiamo riconsiderarli ora, partendo dalla situazione nuova di cui ognuno di noi è rivestito in quanto "capitolare", ossia membro di una Assemblea rappresentativa di tutto l'Istituto, che detiene collegialmente, secondo diritto, "l'autorità suprema nella Società" (Cost. 147). Quest'ottica di coscienza capitolare risveglierà la consapevolezza personale della propria grave responsabilità.

Quali principali doveri ci aspettano?



2.1 Innanzitutto il compito di curare e animare un carisma suscitato dallo Spirito per la Chiesa.


[320]

E' un impegno che si deduce dall'art. 6 delle Costituzioni: "la vocazione salesiana ci situa nel cuore della Chiesa e ci pone interamente al servizio della sua missione"; esso viene specificato dall'art. 146 in cui si dice che i lavori di un Capitolo generale devono essere ordinati alla ricerca della "volontà di Dio per un miglior servizio alla Chiesa".

Noi oggi diamo inizio a un evento che ha, come abbiamo già visto, una sua dimensione nettamente ecclesiale. L'autorità suprema dell’Assemblea capitolare è solo interna alla Congregazione; ci sono altre autorità superiori a cui dobbiamo fare costante riferimento. "La Società Salesiana - affermano le Costituzioni - ha come supremo superiore il Sommo Pontefice alla cui autorità i soci sono filialmente sottomessi anche in forza del voto di obbedienza, disponibili per il bene della Chiesa universale. Accolgono con docilità il suo magistero e aiutano i fedeli, specialmente i giovani, ad accettarne gli insegnamenti" (Cost. 125).

Il Diritto canonico precisa che a un Capitolo generale "compete soprattutto tutelare il patrimonio dell’Istituto e promuovere un adeguato rinnovamento che ad esso si armonizzi" (can. 631), ossia che siamo investiti di autorità per custodire fedelmente l'intendimento e i progetti del Fondatore "relativamente alla natura, al fine, allo spirito e all'indole dell’Istituto, così come le sane tradizioni, cose che costituiscono il patrimonio dell’Istituto" (can. 578).



2.2 Un altro compito e la cura dell’unità di vita nella Congregazione.


[321]

La nostra Assemblea ne deve essere "il principale segno" (Cost. 146). Pur nella diversità delle situazioni e delle culture, siamo chiamati a testimoniare e a rafforzare qui i vincoli di piena comunione nello stesso spirito e missione, in convinta e vissuta adesione a una medesima Professione religiosa.

La dinamica di un Capitolo non si ispira alle pratiche democratiche di un parlamento, bensì all'originalità del mistero della Chiesa per cui ci si dedica a rinsaldare, con fraterna sincerità, le motivazioni di comunione per raggiungere l'unanimità nell’Assemblea: uno, infatti, è il carisma, uno il suo Fondatore e una la sua Regola di vita.

Nel 1° Capitolo generale questo aspetto era più facile: "noi siamo ancora nei nostri principi - affermava Don Bosco ; il nostro numero non è ancora straordinariamente grande e finora l'Oratorio è stato centro per tutti... Ma andando avanti, se non si studia ogni modo di rannodare questo vincolo, in breve entrerà uno stadio eterogeneo e non vi sarà più assoluta unità fra noi. Bisogna far di tutto per vincolarci in un solo spirito" (MB 12, 286).

In questo senso il Capitolo generale diviene una specie di alto e specializzato "corso di formazione permanente" sui valori dell’unità nello spirito salesiano, organizzato per moltiplicatori qualificati al servizio di tutte le Ispettorie.



2.3 Un altro compito è l'impegno comunitario per dinamizzare il carisma.


[322]

I Regolamenti generali affermano che, nel convocare il Capitolo, il Rettor Maggiore ne "indicherà lo scopo principale" (Reg. 111). Il tema proposto per questa nostra Assemblea è quello dell’educazione dei giovani alla fede. Vogliamo dinamizzare la "qualità pastorale" delle nostre opere. Dovremo quindi orientare i lavori verso una crescita in fedeltà dinamica a Don Bosco in due sensi: quello di una più genuina adesione alla missione evangelizzatrice, e quello di una miglior sensibilità e capacità pedagogica di risposta alle interpellanze dei tempi e dei luoghi (cf. Cost. 146).

I suggerimenti dei Capitoli ispettoriali e il documento di lavoro, contenuti negli "Schemi precapitolari", offrono una piattaforma di lancio per elaborare orientamenti operativi.

Siamo ormai tutti convinti che la nostra azione apostolica passa attraverso l'educazione, ma la priorità da chiarire è quella di assicurare, nella pratica, in che modo e con quali passi l'educazione stessa venga permeata e guidata dall'afflato pastorale.

Ecco un discernimento di peculiare urgenza per assicurare l'identità salesiana nella prassi.



2.4 E' pure compito del Capitolo generale considerare le proposte di modifica di alcune leggi interne.


[323]

La nostra Assemblea detiene la potestà di "stabilire leggi per tutta la Società" (Cost. 147). Gli ultimi tre Capitoli generali hanno rielaborato i testi delle nostre leggi (1984).

Secondo proposte pervenute, suggerite dall'esperienza, ci sarebbero da riesaminare in questo Capitolo ancora alcuni articoli; lo indicherà opportunamente il Regolatore.



3. La delicata responsabilità delle elezioni


[324]

Un compito poi, che inciderà molto sulla vita della Congregazione è quello di "eleggere il Rettor Maggiore e i membri del Consiglio generale" (Cost. 147).

Qui si vede forse con più chiarezza in che consiste l'"autorità suprema" del Capitolo generale (Cost. 147; cf. 120).

Vale la pena rifletterci un momento.

Vorrei notare anzitutto che il qualificativo di "suprema" sottolinea, per la nostra coscienza capitolare, una responsabilità veramente straordinaria e altissima, anche se essa non ha, nella Chiesa come abbiamo già accennato -, un senso assoluto e illimitato.

E' interessante osservare che i Capitoli generali dei vari Istituti di vita consacrata non hanno tutti le stesse competenze: si riscontrano notevoli differenze; la fisionomia di ognuno dipende dalla natura del proprio carisma e dalle determinazioni del Diritto proprio.

L'autorità della nostra Assemblea è "suprema" soprattutto nel senso che è la fonte di ogni autorità in Congregazione. "Va ricordato che tra noi - ci ha detto il CGS - l'autorità dei diversi superiori non deriva immediatamente da una eventuale volontà designativa da parte della base, ma ha origine nell’atto di erezione canonica della Società. Esiste quindi in tutta la Congregazione un solo nucleo, un solo centro sorgivo di autorità. E questa autorità ricevuta dalla Chiesa, passa attraverso la volontà elettiva del Capitolo generale per concentrarsi, secondo le Costituzioni, nel ministero del Rettor Maggiore e del Consiglio generale" (Atti CGS 721).

L'esperienza ci insegna che questo ministero risulta fortemente vitale. Se è vero che l'autorità del Capitolo generale è "suprema", in quanto detiene la potestà legislativa e la facoltà di dare direttive autentiche e orientamenti universali di animazione e governo, non ha però in proprio né la normale potestà giudiziaria né quella esecutiva. Il Capitolo generale non è un organismo permanente di governo; è un’istanza discontinua, solo sessennale. Durante la sua stessa celebrazione il Rettor Maggiore con il Consiglio generale continua a svolgere le funzioni necessarie (più urgenti) per il buon andamento della vita in Congregazione, e anche i capitolari Ispettori nelle proprie circoscrizioni.

Nei testi costituzionali redatti da Don Bosco, trattando del governo interno della Società non si accenna neppure all'autorità suprema del Capitolo generale.

Tutto questo lo dico per sottolineare l'estrema importanza delle elezioni. I ruoli del Rettor Maggiore e dei membri del Consiglio generale hanno costituzionalmente e di fatto un’incidenza decisiva, permanente, pratica e immediata su tutta la vita dell’Istituto.

Bisognerà, dunque, prepararsi a questo atto elettivo con attenta coscienza, maturata nella preghiera e in un discernimento oggettivo degli eventuali candidati, tutto rivolto alla vitalizzazione del carisma di Don Bosco, senza accentuazione di motivazioni inessenziali che potrebbero risultare dannose.

In questo momento, a nome anche dei membri dell’attuale Consiglio generale - alla conclusione di un mandato sessennale ricevuto in obbedienza dal CG22 -, posso dire che si è cercato di lavorare intensamente e con lealtà per la Congregazione. Da parte mia, certo, è dovere quello di chiedere scusa per le manchevolezze che hanno accompagnato i miei servizi.

Nel Consiglio generale, con i suoi molteplici compiti, si acquistano conoscenze, sensibilità, visioni d’insieme, senso di Chiesa, criteri di priorità, equilibrio d’identità, che non emergono negli altri ruoli della vita salesiana; si può dire che il Consiglio generale costituisce una vera scuola di alta specializzazione per servire la Congregazione. In esso, però, passano pure gli anni e si invecchia. Converrà perciò pensare anche a candidati nuovi, più giovani e molto capaci.

E' anche, questa delle elezioni, una delle responsabilità più delicate se si pensa alla vitale incidenza che il Rettor Maggiore e il Consiglio generale hanno, per il loro ruolo, su tutta la Famiglia Salesiana.



4. Il tema


[325]

Nella lettera circolare di convocazione del CG23 (ACG n. 327 ottobre-dicembre 1988), spiegando il carattere "ordinario" di questo Capitolo, affermavo che in esso "si intende concentrare l'attenzione dei confratelli su un argomento specifico, di ordine operativo, considerato di particolare urgenza per tutta la Congregazione, ma in certa maniera settoriale, nel senso che non si riferisce alla totalità della vita salesiana".

L'espressione "in certa maniera settoriale" è vera in quanto tocca propriamente solo l'aspetto operativo delle nostre attività concrete, supponendo acquisite le grandi fondamentazioni spirituali e dottrinali. Se, però, si interpretasse quel "settoriale" come qualcosa di secondario e non coinvolgente, in forma primaria, tutto il nostro rinnovamento, allora sarebbe una interpretazione sviata.

Infatti l'impegno dell’educazione dei giovani alla fede mette al centro dei lavori capitolari il Sistema Preventivo di Don Bosco,

come "ortoprassi" (cf. Lettera circolare, ACS n. 290, luglio-dicembre 1978) della vita salesiana in ogni comunità locale; ossia, come luogo di verifica e come metro di fedeltà.

Non intendo dire che il Capitolo dovrà studiare il Sistema Preventivo, bensì che bisognerà tener continuamente presente la sua

vera finalità, la sua natura carismatica e la sua originale metodologia.



5. Il Sistema Preventivo, come frutto e fonte di spiritualità salesiana


[326]

E' suggestivo osservare che nelle Costituzioni si parla del Sistema Preventivo in due modi differenti e complementari: uno, nell’art. 20 trattando dello "spirito salesiano" (esso vi appare come una delle componenti); l'altro, negli art. 38-39, in rapporto al nostro servizio educativo pastorale.

Penso sia fondamentale per questa nostra Assemblea guardare al Sistema Preventivo dall'ottica dello spirito salesiano. In tal senso è descritto come un "modo di vivere e di lavorare per comunicare il Vangelo e salvare i giovani con loro e per mezzo di loro. Esso permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti personali e la vita di comunità, nell’esercizio di una carità che sa farsi amare" (Cost. 20).

E' possibile parlare del Sistema Preventivo semplicemente come un metodo educativo fatto di bontà, di ragionevolezza, di promozione culturale. Il che è pure vero. Però se pensiamo alla distinzione (che spesso, purtroppo, è anche separazione) che si dà tra "educare" (come azione umana di cultura) ed "educare alla fede" (come azione ecclesiale di evangelizzazione), e se allo stesso tempo ricordiamo che per Don Bosco questi due aspetti devono interscambiarsi mutuamente i propri valori così che nella prassi salesiana non si separi mai l’"uomo" dal "cristiano" ("onesti cittadini - perché buoni cristiani" MB 4, 19), dovremo concludere che l’"educazione alla fede" e chiamata, nel Sistema, a permeare tutta l'opera dell’"educazione".

Perciò, la grande sfida che ci lancia il tema del Capitolo è quella della "spiritualità evangelizzatrice e missionaria" nelle nostre comunità. Siamo educatori perché siamo pastori della Chiesa di Cristo. La qualità pastorale è l'anima della nostra competenza pedagogica, così come il "da mihi animas" è il segreto vivificante dell’intero nostro spirito.

Le odierne esigenze di rinnovamento pastorale comportano per noi che la cosiddetta "nuova evangelizzazione" si traduca in "nuova educazione". Ma ciò richiede densità spirituale.

Nei differenti aspetti di novità che accompagnano l'educazione, secondo le interpellanze socioculturali delle varie situazioni, dobbiamo saper fare emergere l'intrinseca inseparabilità dell’"evangelizzare educando"; siamo chiamati a riqualificarci come "educatori", ma perché siamo "missionari dei giovani".

"Per San Giovanni Bosco - ci ha scritto il Papa -, si può dire che il tratto peculiare della sua "genialità" è legato a quella prassi educativa che egli stesso chiamò "Sistema preventivo". Questo rappresenta, in un certo modo, il condensato della sua saggezza pedagogica e costituisce quel messaggio profetico, che egli ha lasciato ai suoi e a tutta la Chiesa" (IP 8). E più avanti, esortandoci a ritrovare nella sua eredità le premesse per rispondere anche oggi alle difficoltà e alle attese dei giovani, ci ricorda che il primo segreto dell’esito di questa pedagogia si situa nel cuore stesso di Don Bosco educatore: nella sua intensa carità pastorale, ossia, nell’educare "in forza di un’energia interiore, che unisce inseparabilmente in lui l'amore di Dio e l'amore del prossimo. Egli riesce così a stabilire una sintesi tra attività evangelizzatrice ed attività educativa. La sua preoccupazione di evangelizzare i giovani... si situa all’interno del processo di formazione umana, consapevole delle deficienze, ma anche ottimista circa la progressiva maturazione... (affinché la fede divenga) elemento unificante e illuminante della loro personalità" (IP 15).

E per questo, aggiunge, sarà criterio fondamentale per l'educatore quello di "avere la chiara percezione del fine ultimo (che è appunto l'educazione alla fede), poiché nell’arte educativa i fini esercitano una funzione determinante. Una loro visione incompleta od erronea, oppure la loro dimenticanza, è anche causa di unilateralità e di deviazione, oltre che segno di incompetenza" (IP 16).

Dunque: lo spirito salesiano esige nella coscienza di ogni confratello in azione la chiara percezione del fine pastorale, costantemente presente, per elaborare e realizzare Progetti ed Itinerari.



6. Un auspicio


[327]

La preparazione del nostro Capitolo è stata seria, sia nelle Ispettorie che nella Commissione precapitolare. Lo testimonia il grosso volume (505 pagine!) che abbiamo tra mano: "Schemi precapitolari".

Il valore del lavoro di questa Assemblea, però, non si giudicherà dalla quantità delle pagine, ma dalla qualità e concretezza delle direttive e degli orientamenti.

Desidero sottolineare due aspetti suggeriti dal "documento di lavoro": il primo è quello della necessità di perfezionare il Progetto educativo-pastorale con dei criteri salesiani per "Itinerari" specificamente adatti ai vari gruppi di giovani; il secondo è quello della "Spiritualità giovanile". Considero illuminante dare rilievo, anche se brevemente, a questo secondo.

Credo opportuno, al riguardo, incominciare ricordando una stimolante affermazione di Sant'Ignazio martire nella sua lettera ai Romani:

"Non domandate altro per me - scrive - che la forza interiore ed esteriore, così che io sia cristiano non solo con la bocca, ma con il cuore; non solo di nome, bensì che lo sia di fatto... Perché quando cresce l'avversità del mondo, la fede cristiana non è più semplice frutto di persuasione, bensì opera di potenza" (Rom 3), ossia è una partecipazione alla "potenza" di Dio, in quanto la presenza dello Spirito Santo infonde nel cuore una "spiritualità" che è forza vitale.

Sono convinto, come ho già detto commentando la Strenna di quest'anno, che la sintesi organica tra fede e vita da far maturare oggi nei giovani - in un mondo così alieno e avverso - si ottiene solo attraverso la forza di una concreta spiritualità. Ce lo ha testimoniato lo stesso Don Bosco che ha fatto dell’arte educativa una vera "pedagogia della santità".

La spiritualità è un’energia interiore, fatta insieme di convinzioni e di entusiasmo evangelico, dotata di potenza unificatrice che fa crescere in armonia i diversi aspetti della maturazione umana e cristiana di un giovane.

La nostra prassi educativa dovrebbe sgorgare da una viva spiritualità quella della comunità - per suscitare intorno a sé una spiritualità giovanile dinamica e contagiosa; dovrebbe quindi promuovere e favorire l'associazionismo, non per svuotare di qualità educativo-pastorale le opere, bensì per fermentarle con il protagonismo degli stessi giovani, fatti soggetti portatori di una sintesi vitale tra Vangelo e cultura.

Questo aspetto, tanto caro a Don Bosco, dovrà essere rilanciato con tutti i mezzi, soprattutto in una società pluralista che porta facilmente al relativismo e all'indifferenza.

Proprio da questa necessità di "potenza" spirituale sorge la grande sfida per le nostre comunità: la spiritualità giovanile ha come fonte ambientale e come inizio pedagogico la spiritualità dei confratelli. E' qui che si misura la loro vera paternità: dalla fede degli educatori alla fede dei giovani!

Pensiamo a quanto ci dicono le Costituzioni: ""Questa Società nel suo principio era un semplice catechismo"... Come Don Bosco, siamo chiamati tutti e in ogni occasione a essere educatori alla fede... Camminiamo con i giovani per condurli alla persona del Signore risorto affinché, scoprendo in Lui e nel suo Vangelo il senso supremo della propria esistenza, crescano come uomini nuovi" (Cost. 34).



7. La nostra fiducia nell’aiuto di Maria


[328]

E per concludere eleviamo il pensiero alla Madonna.

Sappiamo che Maria è "Colei che ha creduto", perciò è modello per tutti con la pienezza della fede; nel giorno di Pentecoste Ella è stata pervasa, insieme agli Apostoli, dalla potenza dello Spirito Santo che ha perfezionato nel suo cuore una forte spiritualità, manifestata nella gratitudine vittoriosa del "Magnificat".

"Guidato da Maria che gli fu Maestra - dicono le Costituzioni -, Don Bosco visse nell'incontro con i giovani del primo Oratorio un'esperienza spirituale ed educativa che chiamò "Sistema Preventivo"", ossia: "un amore che si dona gratuitamente, attingendo alla carità di Dio che previene ogni creatura con la sua provvidenza, l'accompagna con la sua presenza e la salva donando la vita. Don Bosco ce lo trasmette come modo di vivere e di lavorare per comunicare il Vangelo" (Cost. 20).

Ecco perché l'applicazione fedele del Sistema Preventivo, ortoprassi della nostra consacrazione religiosa, risulta il luogo teologico della nostra spiritualità apostolica.

L'Ausiliatrice illumini e guidi anche noi nel cammino verso il terzo millennio affinché siamo, come Don Bosco, radicati nella potenza dello Spirito e così diveniamo validi educatori dei giovani alla fede.

Maria, "Stella dell'evangelizzazione", rafforzi la nostra spiritualità!

Grazie!





ALLEGATO 9]

Discorso del Rettor Maggiore don Egidio Vigano alla chiusura del CG23



Cari confratelli capitolari,


[344]

Il primo sentimento che sorge dal cuore in queste ore di chiusura dei nostri lavori è quello di una sincera riconoscenza al Signore che ci ha sempre accompagnato in questi mesi di ricerca e di convivenza fraterna. E' stata un’esperienza di feconda e operosa comunione da comunicare ai confratelli e da far fruttificare nelle case.

La nostra gratitudine si estende anche mutuamente tra noi, gli uni con gli altri, e la rivolgiamo in modo speciale al sacrificato e abile Regolatore, don Francesco Maraccani; ai membri della Intercommissione, specialmente al loro presidente, don Juan Edmundo Vecchi, e al loro relatore, don Antonio Martinelli; ai confratelli della Casa generalizia che ci hanno seguiti con servizievole bontà; e, in modo particolare, alle benemerite Suore e ragazze che hanno pregato tanto per noi e ci hanno alimentati e accuditi in svariati modi con umile generosa e fattiva gentilezza. L'Eucaristia conclusiva sarà davvero per tutti noi un’azione di grazie molto sentita e condivisa in gioiosa fraternità.

Permettetemi, ora, di fare alcune riflessioni su questo nostro CG23 per sottolinearne il potenziale di forza trainante che porge alla Congregazione per il prossimo sessennio.



Il messaggio del CG23


[345]

Il nostro documento capitolare è stato paragonato da qualcuno di voi alla famosa lettera di Don Bosco dell’84: un messaggio da Roma per il ritorno alle origini nella modalità salesiana di educare i giovani alla fede.

Si è respirata in assemblea la consapevolezza dell’ora accelerata che vivono i popoli in questo scorcio del secondo millennio della fede cristiana.

Si è capito con accresciuta profondità che il vero carisma fondamentale donato alla Chiesa nella seconda metà di questo secolo è

stato il Concilio Ecumenico Vaticano II; esso ci ha addentrato nel mistero di Cristo e della Chiesa e nel mistero dell’uomo e della storia: i Pastori, infatti come ha affermato Paolo VI -, proprio per amore a Cristo si sono "rivolti", non "deviati", verso l'uomo.

Così, per opera dello Spirito Santo, si è dato inizio nella Chiesa a un’era di "nuova evangelizzazione". Le sopravvenute novità umane sono notevoli. Ma ogni novità del divenire è da raffrontare con la novità suprema: la Pasqua di Cristo. Nasce perciò, per i discepoli del Signore, un vasto compito di ripensamento, di creatività, di nuovo cominciamento.

Direi che a noi Salesiani di Don Bosco viene assegnata, in questo ripensamento creativo, la responsabilità della "rifondazione dell’Oratorio"! Infatti, in conformità a quanto ci suggeriscono le Costituzioni sappiamo che "nel compiere oggi la nostra missione, l'esperienza di Valdocco rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività e opera" (Cost. 40).

Noi dovremo pensare la nuova evangelizzazione tra i giovani con il "criterio oratoriano" del Fondatore.



L'esplosione delle culture


[346]

Diamo uno sguardo, anche se fugace, a ciò che succede nelle società. L'uomo, e quindi la sua cultura, esiste di fatto, dopo Cristo, in "situazione escatologica"; più si cammina in avanti e più il senso del futuro assoluto si rifrange sul futuro storico. Solo Cristo Risorto rivela all'uomo ciò che egli veramente è e verso dove è incamminato. Il prescindere dal suo Vangelo porta carenze, deviazioni e mutilazioni nelle culture; la più evidente e dannosa è la perdita del senso del peccato camuffata da razionalizzazioni pseudo-scientifiche. Il tramonto di certe ideologie, a cui stiamo assistendo, risulta un monito sconvolgente per tutti e un forte invito a riempire il vuoto lasciato da esse, proclamando i grandi ideali evangelici sull'uomo integrale.

Un pericolo per la cultura emergente suole fluire dal progresso scientifico-tecnico, pieno di dinamismo e di promesse positive, ma che fa credere facilmente ai non credenti che esso sia l'unico motore della storia, favorendo una mentalità "post-religiosa". Certamente la scienza e la tecnica sono dei magnifici beni, però non spiegano il senso dell’esistenza e non parlano delle grandi finalità dell’uomo. Sono progresso di civiltà, ma non posseggono le verità trascendenti. Portano facilmente a concezioni, in definitiva, "materialiste".

Urge battezzare questo provvidenziale dinamismo con una nuova evangelizzazione che aiuti a far emergere nella società una cultura intrinsecamente "post-materialista".

Oggi bisogna saper evangelizzare dalle radici; collaborare nel dar inizio ad un nuovo umanesimo; essere, come credenti, operatori di cultura, artefici di una convivenza umana più adeguata alla dignità delle persone.



L'apporto dello specifico cristiano


[347]

Ma che cosa apporta di specifico, il credente con la sua fede cristiana, alla cultura? Ecco la domanda chiave. I giovani ne aspettano la risposta, non tanto in espressioni verbali o di ragionamento, quanto nella testimonianza di vita e nella prassi operativa.

E la risposta è: il credente apporta alla cultura i valori del mistero di Cristo: per chi vive di fede, come per S. Paolo, "la vita è Cristo" (Fil 1, 21), sa che nel Cristo si è "nuova creatura" (2 Cor 5, 17) e che nel progetto del Creatore c'è il piano di "ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra" (Ef 1, 10). Ossia, sa che nella storia dell’uomo Cristo è il vertice assoluto, l'alfa e l'omega; e che la vittoria che vince il mondo è la fede.

Cristo non è il fondatore di una religione tra le altre; non è l'iniziatore di un movimento religioso che, provenendo dall'uomo, ascenda verso Dio. Lui discende da Dio tra gli uomini e fa storia con gli eventi della sua esistenza umana, mostra così perché è il secondo Adamo, il Capo del Corpo, il Signore.

In riferimento a Lui, più che di "religione" si parla di "fede"; così il Cristianesimo non è semplicemente la forma più sublime della religione umana, ma il dato di fatto più ineffabile dell’incarnazione di Dio. Per questo la fede cristiana è storia: storia della salvezza inserita inseparabilmente nella storia umana. La "fede", quindi, è più che religione; è contatto solidale, è alleanza, è atteggiamento vitale che eleva e purifica anche le espressioni di religiosità umana che necessariamente l'accompagnano e la rivestono. Questa fede cristiana è per se stessa una energia del divenire, come lo è l'incarnazione del Verbo che dà inizio all’"uomo nuovo"; questa fede cresce tra i popoli, lungo i secoli, per trasformare la società e preparare la costruzione del Regno; è, se vissuta con autenticità, esattamente il contrario della "religione-oppio del popolo".

Questa oggettività della fede cristiana ci porta a formulare un principio che ci interessa enormemente come educatori alla fede, ed è che il mistero di Cristo diviene il metro e la luce di una vera e integrale "antropologia". E siccome l'antropologia è il sostrato di ogni cultura, questa fede - attraverso l'opera di evangelizzazione - apporta alla cultura il servizio più alto.

Ecco perché nella nuova evangelizzazione deve essere fortemente presente la capacità profetica di proclamare e testimoniare il mistero di Cristo, la luce del suo Vangelo, e i suoi eventi storici per la salvezza umana. Qui si trova il centro e il vertice dell’educazione alla fede.



L’originalità dell’evangelizzazione della gioventù


[348]

La formazione dei giovani alla fede è parte vitale della nuova evangelizzazione; presenta degli aspetti peculiari: esige una "nuova educazione".

Don Bosco, suscitato dallo Spirito per questo compito, ha lasciato in eredità alla sua Famiglia un cammino originale che gli ha meritato nella Chiesa il titolo di "Padre e Maestro della gioventù". La sua è una prassi d’azione che unisce indissolubilmente insieme l'evangelizzazione e l'educazione. Non è una cosa semplice, ci ha ricordato il Papa; comporta dei rischi. Nella sua realizzazione si trovano molti elementi distinti tra loro, classificabili in due poli in tensione, che urge saper unire in armonia.

Facciamone un breve elenco esemplificativo:

-un polo, educare (= azione culturale) e, l'altro, educare alla fede (= azione ecclesiale);

-un polo, avere professionalità pedagogica e, l'altro, possedere competenza pastorale;

-un polo, fare promozione umana e, l'altro, curare la crescita cristiana;

-un polo, stare con i giovani e, l'altro, vivere in unione con Dio;

- un polo, inculturarsi costantemente e, l'altro, evangelizzare coraggiosamente la cultura;

-un polo, apprezzare i valori della laicità e, l'altro, ricapitolare tutto nel Cristo;

-un polo, privilegiare nell’Oratorio "casa", "scuola", "cortile", e, l'altro, avere l'arte sintetica di fare "parrocchia"; ecc.


[349]

La sintesi viva tra questi due poli è resa possibile da una forza proveniente dall'alto che - come ci ha ricordato ancora il Papa - si chiama "grazia di unità". Si vive con una spiritualità - ossia con una partecipazione all'amore vivo e presente dello Spirito Santo - che chiamiamo "carità pastorale" e che vincola inseparabilmente tra loro l'unione con Dio e lo stare con i giovani. E' un aspetto della continuazione del mistero dell’Incarnazione. Se a Natale è nato l'uomo che ha introdotto un dinamismo nuovo nella vita, a Pasqua si è manifestata in pienezza la sua novità di contenuti. E' apparso il "novissimo assoluto" della storia, introducendo nella cultura una misteriosa "situazione escatologica". A Natale il Verbo si è inserito nella cultura umana, ma a Pasqua ha lanciato, con il dono di sé sulla croce, l'evangelizzazione di tale cultura. Tra inculturazione del Vangelo ed evangelizzazione della cultura c'è una chiara distinzione e una mutua correlazione che, nel Cristo, unisce due aspetti di per sé dissimili: appartenere alla cultura e correggere la cultura.

La carità pastorale segue questa stessa strada con l'ardore di una spiritualità vissuta con sempre più chiara consapevolezza.

All'inizio del Capitolo ci eravamo fatti una domanda: di quale fede si tratta? Ebbene, ora possiamo dire che si tratta di una fede che è energia storica tradotta per noi in una concreta spiritualità; essa rende possibile una sintesi esistenziale tra i valori della cultura e quelli del Vangelo: essa forgia il salesiano come educatore; essa fa maturare e crescere il giovane come onesto cittadino. Per essa il salesiano diviene competente educatore perché è vero pastore; e il giovane diviene onesto cittadino perché è buon cristiano. Questo doppio "perché" non è riduttivo, ma causativo; sottolinea la forza propria della nostra spiritualità salesiana, come espressione dinamica e quotidiana della grazia di unità.



La fisionomia oratoriana della prassi di Don Bosco


[350]

Ho parlato di rifondazione dell’Oratorio di Don Bosco! Per noi la nuova evangelizzazione passa e cresce attraverso il criterio oratoriano. Non mi soffermo nello spiegarne gli aspetti complementari e le molteplici ricchezze che lo rendono particolarmente prezioso. Faccio osservare che tale criterio è intrinsecamente e indissolubilmente legato con il Sistema Preventivo. Nel discorso di apertura del Capitolo ho parlato di questo Sistema come "frutto e fonte di spiritualità salesiana", sottolineando l'ottica dell’art. 20 delle Costituzioni: esso è un "modo di vivere e lavorare per comunicare il Vangelo e salvare i giovani con loro e per mezzo di loro. Esso permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti personali e la vita di comunità, nell’esercizio di una carità che sa farsi amare". Questo articolo 20, insieme all’art. 40 sull'Oratorio, ci offre le linee direttive di fondo per la nostra attività di "nuova educazione". La spiritualità dell’ardore pastorale assume la prassi della pedagogia della bontà per fare del salesiano un efficace operatore della nuova evangelizzazione.

Vi dicevo, nell’inaugurazione dei nostri lavori, che il qualificativo di "ordinario" dato a questo Capitolo non doveva essere considerato come qualcosa di settoriale, perché il tema assunto proiettava i traguardi raggiunti nei Capitoli anteriori (circa la nostra identità ecclesiale) sul terreno pratico dell’azione educativa: doveva servire a tradurre sempre più i principi in prassi! L'identità e fedeltà a Don Bosco viene concentrata dal CG23 nell’educazione dei giovani alla fede. Dobbiamo formare nel mondo un modo di stare con i giovani che sia come un grande Oratorio, più in là delle pur necessarie strutture; esso manifesterà concretamente la verità e la genialità del cuore di Don Bosco, la sua amicizia e presenza educativa tra i giovani, la sua centrale preoccupazione di salvezza.

Siamo stati forse per anni alquanto rinchiusi staticamente in opere pur valide; il criterio oratoriano non abbatte le strutture, ma va più in là; richiede fantasia e dinamismo, sollecitati sempre dall'affanno pastorale del "respiro per le anime", secondo l'espressione nata da don Rinaldi.

Il documento capitolare sottolinea vari aspetti di questa mobilitazione oratoriana, sia nel cammino da percorrere sia nell’energia con cui correre. Ricordiamo le quattro aree con i loro vastissimi spazi; ricordiamo la spiritualità salesiana con la sua radicazione nella corrente affascinante del grande S. Francesco di Sales e con la sua peculiare applicazione giovanile e popolare di Don Bosco.

Mi sembra che il CG23 ci regali, nel documento, un ricco panorama di orientamenti e di suggerimenti da curare e da incrementare; la loro messa in pratica ridonerà alle Ispettorie quel dinamismo divenuto ormai indispensabile per chi imbocca un cammino di fede che vuole tenere il passo dell’odierna accelerazione della storia. E' come se ci invitasse a rifondare, in vista del terzo millennio, il carisma dell’Oratorio.



Un vibrato appello alla comunità ispettoriale e locale


[351]

Evidentemente il rilancio del criterio oratoriano ha un soggetto direttamente responsabile del suo esito. Se questo soggetto non risponde all'insistente appello, il bel documento capitolare rimarrà carta da biblioteca. E il soggetto è, appunto, la comunità ispettoriale e locale.

Gli orientamenti operativi del Capitolo sono espliciti ed esigenti. Non fanno altro che prolungare i propositi del solenne rinnovamento della Professione salesiana, realizzato da tutte le comunità nel maggio dell’88.] Il nostro documento capitolare indica, dunque, con autorevolezza qual è la vera strada da percorrere.

Il Rettor Maggiore con il suo Consiglio, gli Ispettori e i Direttori sono chiamati a rinnovare tutto un tipo di animazione. La comunità non è chiamata a girare su se stessa solo per affanno di osservanza religiosa. Deve sentirsi oggettivamente stimolata dalle interpellanze del contesto giovanile. La natura della nostra consacrazione è apostolica; quindi è nutrita intrinsecamente dal clamore dei destinatari. E' l'educazione alla fede, sono gli stessi giovani con le loro ansie e carenze che reclamano alla comunità di essere ripiena dello spirito di Don Bosco. La carità pastorale le farà programmare il cammino di fede, puntando sempre, come condizione intrinseca di riuscita, sull'ardore della spiritualità. Urge, perciò, che la comunità armonizzi vitalmente tra loro metodologia e spiritualità, che sono come il corpo e l'anima dell’azione pedagogico-pastorale.


[352]

Si è parlato più volte nel Capitolo di "formazione permanente", non solo come corso intermittente per alcuni - cosa certamente valida -, ma come atteggiamento costante maturato da iniziative ispettoriali e locali che aiutino a tradurre in pratica nelle case e quotidianamente le direttive capitolari.

Mi piace segnalare, al riguardo, come in ogni Ispettoria dovrà essere pianificato opportunamente un insieme di iniziative per conoscere ed assimilare il CG23, e così formulare dei propositi adeguati alla condizione giovanile del proprio ambiente.

Non c'è bisogno che io ripeta qui quanto è già affermato autorevolmente dal Capitolo. Semplicemente vorrei esorcizzare la tentazione di scoraggiamento: tutto bello quanto si propone nel documento, ma con quali confratelli lo possiamo fare, per esempio, in questa casa? Senz'altro ci sono delle concrete difficoltà da affrontare.

Bisogna reagire incominciando da se stessi; essere convinti che in ogni casa ci sono molte più possibilità di quanto a volte si crede; e, soprattutto, bisogna accrescere la fiducia nella vera e attiva presenza dello Spirito, nell’energia della risurrezione portata da Cristo nei sacramenti, nell’aiuto materno e costante di Maria, nell’intercessione di Don Bosco, dei nostri Santi e di tutta la Chiesa celeste. C'è proprio bisogno di rinnovare l'ardore della fede: essa vince il mondo e opera miracoli. Urge, in casa nostra, il ricupero di una genuina interiorità.


[353]

Vorrei aggiungere, riguardo alla comunità ispettoriale, l'utilità e la corresponsabilità di nuove proposte interispettoriali. Uno degli aspetti interessanti a cui abbiamo assistito durante la convivenza capitolare è stata la consapevolezza di una maggior apertura dei responsabili ai dinamismi del divenire e a tante vaste problematiche che superano i confini delle singole Ispettorie e delle proprie Chiese locali. Questa tendenza verso una intercomunione più ampia è certamente un segno dei tempi, percepito con immediatezza e simpatia soprattutto dai giovani.

Abbiamo visto, per esempio, i capitolari dell’Europa preoccuparsi della ormai famosa "casa comune", o anche delle proposte dell’"Alpeadria"; abbiamo visto coloro che operano in Africa interessarsi per una maggior intercomunione di presenza nel continente; abbiamo visto crescere la fraternità e le possibilità di collaborazione tra le Ispettorie di una stessa Regione o di un medesimo Paese.

E' una tendenza di fatto, questa, che apre nuove prospettive alla pastorale giovanile e che invita ad aumentare la propria statura e a rivolgere lo sguardo su orizzonti più ampi che influiscono in concreto, e parecchio, sull'educazione dei giovani alla fede.

Questo respiro interispettoriale lo si aveva già, per esempio, nel settore della formazione (ed è bene che lo si promuova ancor di più); ma ciò che è caratteristico qui, è che si è invitati a farlo crescere nell’ambito della pastorale giovanile. Bisognerà saperlo curare con intelligenza e con programmazioni adeguate che coinvolgano anche altri Gruppi della nostra Famiglia. Ciò farà circolare aria fresca e susciterà nuove spinte in avanti. L'esito dipenderà dall'adesione da parte di tutti a quegli orientamenti che abbiamo precisato durante il Capitolo.

Certamente, però, l'elemento che muoverà i gruppi giovanili a sintonizzarsi mutuamente, costituendo come l'aurora di una inedita e coinvolgente speranza, sarà la comunione di tutti in quel tipo di "spiritualità" che è chiamata giustamente "salesiana" e che farà sentire vitalmente i vincoli di una specie di parentela personalizzante.



Il coinvolgimento laicale


[354]

Un punto che vale la pena sottolineare è quello del coinvolgimento dei laici in vista dell’educazione dei giovani alla fede. Ogni comunità deve poter animare un numero crescente di laici, sia della nostra Famiglia (Cooperatori, Exallievi), sia di collaboratori delle nostre opere. E' un’esigenza dell’ecclesiologia conciliare su cui hanno insistito recentemente il Papa e l'Episcopato. Un tale coinvolgimento suppone non solo una mentalità ecclesiale più aggiornata nei confratelli - traguardo urgente da raggiungere -, ma anche una consapevolezza dell’originalità dello spirito salesiano, vissuto come un bene da partecipare ad altri con contagiosa comunicabilità. Anche questo comporta cambio di mentalità e conversione del cuore. Ma sarà possibile nelle attuali comunità? E' una domanda inquietante che ci fa pensare all'indispensabilità di accurate iniziative.

Mi sembra importante far osservare che la formazione del laicato è, nella Chiesa, una priorità pastorale di massima urgenza; essa oltrepassa l'impegno da parte dei laici, come se fossero gli unici interessati; coinvolge invece anche il clero, i religiosi e le religiose.

Sappiamo che nel settore dei religiosi e delle religiose (pure in casa nostra) c'è carenza di sensibilità conciliare al riguardo. Dobbiamo aprirci di più a quest'area di impegno formativo: ci farà maturare nella nostra stessa vocazione. Ricordiamo che il concetto di "formazione" ha sperimentato, in questi decenni, un notevole spostamento di significato a causa degli accelerati cambiamenti culturali. Ormai la formazione si misura dalla capacità di adeguamento permanente o continuo; è dalla formazione permanente che si giudica e si programma anche quella iniziale. Vorrà dire che il vero concetto di formazione oggi comporta una duttilità esistenziale, una preoccupazione giornaliera, un impegno che dura tutta la vita.

Se poi, per realizzare questo compito, guardiamo alla struttura dell’Esortazione apostolica "Christifideles laici", troviamo che la crescita cristiana dei laici ha quattro grandi obiettivi da raggiungere: l'identità battesimale (cap. 1°), la comunione ecclesiale (cap. 2°), le nuove frontiere dell’evangelizzazione (cap. 3°) e la complementarità delle differenti vocazioni (cap. 4°).

Il punto che a noi qui interessa specificamente, appunto in vista della nuova educazione dei giovani, è quello del capitolo 3° circa le nuove frontiere dell’evangelizzazione (soprattutto i numeri dal 36 al 44).

Oggi si usa facilmente l'espressione "nuova evangelizzazione", ma forse non sempre con una visione concreta delle sue interpellanze, che sono parecchie e di diversi settori. Nei numeri suindicati vengono precisate le principali frontiere della laicità, da cui sorgono numerosi aspetti di novità e di interpellanza: la dignità della persona, l'inviolabile diritto alla vita, la libertà religiosa, la famiglia cellula della società, l'amore di solidarietà ai vari livelli, la responsabilità politica, la dimensione economico-sociale e, infine, quasi sintesi globale, la cultura e le culture dei popoli.

Sono frontiere su cui si affaccia ampiamente una aggiornata programmazione dell’educazione dei giovani alla fede.



La dimensione sociale della carità


[355]

Un punto chiaramente vincolato con la nuova evangelizzazione è quello della dimensione sociale della carità. Il documento capitolare ne ha fatto oggetto di considerazione trattando tre dei principali "nodi" dell’educazione alla fede. Mi sembra importante sottolineare accuratamente, al riguardo, due aspetti.

Il primo è quello di insistere nel possedere una vera competenza nella Dottrina sociale della Chiesa. Ciò esige una dedicazione attenta, che comporta cambi di mentalità in non pochi confratelli. E' urgente farsi un’idea chiara di questa Dottrina, senza lasciarsi plagiare da complessi di moda che sono sorti in certi ambienti e che in qualche parte circolano ancora, quasi si trattasse di una specie di mediazione ideologica, unilaterale e concettualistica. L'enciclica "Sollicitudo rei sociali", nel n. 41, ne specifica l'identità: essa non è né "terza via" né "ideologia", bensì una interpretazione della realtà nell’ottica del Vangelo. Appartiene, dice l'enciclica, al campo "della teologia, specialmente della teologia morale". La sua diffusione e il suo insegnamento "fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa". Essa verte propriamente sull'aspetto etico dei problemi, pur tenendo conto anche dei risvolti tecnici. E' mediazione di quella saggezza evangelica con la quale la Chiesa si presenta al mondo come "esperta in umanità" e come coraggiosa maestra della verità che libera.

Il secondo aspetto è quello dell’autenticità salesiana nelle iniziative e negli impegni da prendere in questo ambito. Certamente in Congregazione bisogna fare di più e progredire. L'art. 33 delle Costituzioni ce lo chiede, ma con un chiaro discernimento che assicuri l'identità del nostro carisma. In questo campo è facile rimanere indietro o passare oltre; purtroppo lo abbiamo anche sperimentato qua e là in Congregazione: difetti di imborghesimento fermo sullo "statu quo", ed esagerazioni di sapore ideologico lanciate in forma arbitraria. Sarebbe una specie di tradimento ai giovani poveri snaturalizzare la nostra specifica vocazione e missione nell’un senso o nell 'altro.

Certamente l'appello della gioventù povera e bisognosa ci deve interpellare continuamente e muoverci, anche con sacrificio, a iniziative coraggiose. Nelle Ispettorie è importante saper conservare quell'equilibrio d’impegno delle varie nostre presenze, che ci caratterizza come amici ed educatori dei giovani del popolo, ricordando quanto diceva il nostro Fondatore: "mi basta che siate giovani perché io vi ami assai". E' un’affermazione, questa, che ci deve misurare sempre. Ad ogni modo, la presenza tra i giovani poveri e tra gli apprendisti del mondo del lavoro ci stimolerà continuamente a crescere come speciali comunicatori per loro dell’insegnamento sociale della Chiesa.



L’incoraggiamento apostolico del Santo Padre


[356]

Abbiamo avuto, quasi a conclusione del Capitolo, la entusiasmante visita del Successore di Pietro. E' stato per noi un dono straordinario: lo possiamo considerare un evento storico da leggersi in rapporto al significato di attualità che ha il carisma di Don Bosco nella Chiesa.

Giovanni Paolo II aveva già parlato al Consiglio generale (nella chiusura delle celebrazioni centenarie - 4 febbraio 1989) sull'importanza del tema scelto per questo nostro Capitolo. Ci ha poi inviato uno stimolante Messaggio all'inizio dei nostri lavori. Ha voluto aggiungere, con generosa bontà, l'iniziativa di venirci a parlare nella nostra stessa sede capitolare. Avrebbe desiderato farlo la sera della domenica 29 aprile, dopo la solenne beatificazione di don Filippo Rinaldi, ma non fu possibile. E' venuto il 1° maggio, memoria liturgica di S. Giuseppe Lavoratore, e non solo ci ha parlato in relazione al tema capitolare svolto, ma si è intrattenuto con affabilità tra noi, ha salutato personalmente tutti uno per uno, ha condiviso la nostra mensa e ha partecipato con simpatia al nostro stile di gioia familiare. Il suo Messaggio, il suo Discorso e anche il suo dialogo in refettorio guideranno lo studio e l'assimilazione degli orientamenti capitolari.

Ma il nostro impegno dell’educazione dei giovani alla fede trova, anche in altri suoi importanti interventi, speciali luci e concrete direttive per vivere con attualità e fedeltà la nostra vocazione salesiana. Non possiamo tralasciare di ricordare la preziosa sua lettera "Iuvenum patris", che rimarrà per noi l'invito più autorevole a rilanciare, in fedeltà a Don Bosco e ai tempi, il criterio oratoriano con la prassi educativa del Sistema Preventivo. La meditazione di questa Lettera ci aiuterà ad approfondire con chiarezza e con sicurezza gli aspetti più impegnativi del cammino di fede.

Anche l'iniziativa presa dal Santo Padre di conferire ufficialmente a Don Bosco, nella Chiesa, il titolo universale di "Juventutis pater et magister" ci deve richiamare costantemente alla contemplazione del dono che lo Spirito del Signore ha voluto fare alla gioventù del mondo con la vita e l'esperienza oratoriana del nostro Fondatore.

Non potevamo avere un apprezzamento e un incoraggiamento più autorevoli sulla urgente necessità di impegnarci con tutte le forze a vivere con nuovo ardore apostolico la nostra vocazione e a farci amare dai giovani quali "segni e portatori - per loro - dell’amore di Dio". La generosa dedicazione al compito di educarli alla fede sarà la dimostrazione pratica dell’utilità del carisma salesiano nel Popolo di Dio in cammino verso il terzo millennio.

Questa indimenticabile visita, poi, rafforzerà la nostra sincera e coraggiosa adesione al ministero di Pietro, così come ce la descrivono le Costituzioni (art. 13 e 125); essa è uno dei grandi valori lasciatici in eredità da Don Bosco.

Il nostro Fondatore presentò alla Santa Sede, il 23 febbraio 1874, un "Riassunto" circa la vita e l'identità della "Pia Società di S. Francesco di Sales"; in esso si esprime così: "Scopo fondamentale della Congregazione, fin dal suo principio, fu costantemente sostenere e difendere l'autorità del Capo supremo della Chiesa nella classe meno agiata della società e particolarmente della gioventù pericolante" (Opere edite, Ristampa anastatica, vol. XXV, pag. [380]: num. XV).



La nostra fiducia nell’affidamento a Maria


[357]

Concludo rivolgendo un pensiero alla S. Vergine Maria, Ausiliatrice e Madre della Chiesa, Stella dell’evangelizzazione, la più grande Maestra della fede per tutti i tempi: "Colei che ha creduto".

La nostra Congregazione si è affidata solennemente a Lei il 14 gennaio 1984, all'inizio del CG22.] Le Costituzioni dicono che tale affidamento ci aiuta a "diventare tra i giovani testimoni dell’amore inesauribile del suo Figlio" (art. 8). A Lei il CG23 intende affidare, in modo speciale, due grandi valori che abbiamo visto crescere nell’esperienza di lavoro in questi mesi: la comunione nell’identità fraterna di tutte le Ispettorie e il rilancio di una vera spiritualità giovanile.

Innanzitutto la fraterna comunione in una solida unità di tutte le Ispettorie tra loro e in rapporto al Rettor Maggiore con il suo Consiglio. "Il Capitolo Generale - ci dicono le Costituzioni - è il principale segno dell’unità della Congregazione nella sua diversità. E' l'incontro fraterno nel quale i Salesiani compiono una riflessione comunitaria per mantenersi fedeli al Vangelo e al carisma del Fondatore e sensibili ai bisogni dei tempi e dei luoghi" (Cost. 146). Noi affidiamo all'Ausiliatrice quel prezioso stile di famiglia con cui Don Bosco ci insegnò a vivere l'unità della Congregazione; anche il Papa lo ha lodato nella sua tanto gradita visita. Chiediamo a Maria di ravvivare in noi non solo i sentimenti di genuina fraternità ma anche lo stile gioioso di esprimerli per esserne portatori a tutti i confratelli nel mondo. Ogni Capitolo Generale è chiamato ad essere sempre un evento che consolidi l'unità familiare. Siatene portatori in tutte le case!

In secondo luogo affidiamo a Lei il proposito di procedere nel cammino della fede intensificando la cura e l'approfondimento della spiritualità salesiana. Chiediamo a Lei che ci aiuti a condividere con i giovani quel "patrimonio spirituale" proprio dell’orbita dell’umanesimo cristiano di S. Francesco di Sales e collaudato magistralmente da Don Bosco a favore della gioventù popolare. Maria stessa ha guidato il nostro Fondatore in questa esperienza educativa e gli ha insegnato a portare i giovani alla santità.

Considero un auspicio profetico il fatto che concludiamo i lavori capitolari proprio nella festa di S. Domenico Savio. E' una provvidenziale coincidenza che ci mostra il traguardo a cui vogliamo giungere: un modello vivo di spiritualità giovanile e di associazionismo apostolico protagonizzato da giovani!

Quando nel settembre dell’88 si realizzò solennemente ai Becchi la beatificazione di Laura Vicuña, il Santo Padre definì quel caro luogo salesiano "Colle delle beatitudini giovanili", con il fragoroso applauso di decine di migliaia di adolescenti e di giovani che ne confermavano l'accettazione entusiasta. Dal Colle dei Becchi si spanda nel mondo la spiritualità delle beatitudini giovanili!

Come materna risposta al nostro affidamento, ci aspettiamo dall’intercessione di Maria il dono della pienezza dello Spirito Santo che ci assicuri un cuore veramente oratoriano per essere nel mondo validi educatori dei giovani alla fede.


Grazie e Arrivederci!

ALLEGATO 10



L'Assemblea capitolare, a conclusione della propria riflessione sul cammino di fede, durante la quale ha costantemente guardato ai giovani con la simpatia e l'amore di Don Bosco, ha chiesto al Rettor Maggiore, Successore di Don Bosco, di indirizzare ai giovani una lettera-messaggio, interpretando i sentimenti dei capitolari e di tutti i Salesiani.

La lettera, già trasmessa alle Ispettorie, viene pubblicata in questi Atti del Capitolo.


A voi giovani, a te che leggi questa lettera!


[358]

Con gioia prendo contatto con ciascuno di voi a nome di Don Bosco, "padre, maestro e amico".

Do voce ai tanti Salesiani sparsi nei cinque continenti, la cui patria e compagnia siete voi giovani.

Il Signore ha instillato nel cuore salesiano una grande passione: stare con i giovani, comprenderli nel profondo, condividere fatiche e speranze, sogni e progetti. Don Bosco è il modello geniale di questo cuore che batte per i giovani. Egli ha trasformato la predilezione per la gioventù in "missione", facendola diventare la ragion d’essere della sua esistenza. Ha lanciato quel "metodo della bontà" che è il manifesto su cui il salesiano scommette il suo impegno per i giovani.


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1. Tu, carissimo, cerchi di aprirti ogni giorno alle meraviglie della vita. Esplori il mondo che ti circonda, ti immergi nell’amicizia, assapori la gioia di esistere, costruisci il tuo futuro che vuoi felice, ti impegni nelle cose che valgono. Sì: vuoi "realizzare in pienezza" il dono della vita.

Ebbene, è per questo che Don Bosco si è fatto tuo amico!

Ma la sua generosa passione risale a un più grande Maestro d’amore che dà sapore, senso ed energia alla vita di tutti. L'amicizia di Don Bosco per i giovani, e anche la nostra, si radica nell’affascinante personalità di Gesù Cristo, il Quale è venuto e viene con la potenza di Dio a far nuove tutte le cose, a riempire il divenire umano di speranza, di giustizia, di grandi ideali e valori, di vera felicità. In Lui si intuisce la grandezza dell’uomo: è il Dio vicino che si fa nostro compagno di viaggio e diviene, di fatto, Via, Verità e Vita nuova.


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2. Oggi però l'umanità sta vivendo cambiamenti profondi. Anche voi giovani vi interrogate sui numerosi e grandi problemi che travagliano le persone e le società.

Assistiamo a cose impensate. Miti decennali stanno crollando, ideologie ieri di moda si sono sgretolate; e nello stesso tempo appaiono all'orizzonte preoccupanti fenomeni che purtuttavia suscitano fascino. Tanti giovani per primi scuotono dalle spalle i pesi che mortificano la libertà, che impediscono il fiorire della vita; tentano vie nuove per proclamare valori che devono irrobustirsi.

Ma in agguato ci sono nuovi idoli, miraggi emergenti che attirano: ci vuole una coscienza vigile e un cuore attento perché l'effimero, il piacere, la violenza, il desiderio di dominio, l'indifferenza o lo scoraggiamento non abbiano il sopravvento. Si impone dunque una impegnativa ricerca e un discernimento coraggioso.

Le reazioni dei giovani costituiscono per gli educatori delle provocazioni.

Di fronte a tante novità i Salesiani non intendono fare da spettatori, rimanendo alla finestra. Hanno preso un’iniziativa: si è chiamata "CG23", un’assemblea mondiale ("Capitolo Generale") che si è svolta con intenso lavoro per ben due mesi - il marzo e l'aprile scorsi -. Si sono radunati da tutti i continenti per riflettere, per confrontarsi, per progettare intorno a un tema sentito urgente: "come educare i giovani alla fede in questo nostro tempo". Ne è risultato un avvenimento le cui proiezioni operative intendono coinvolgere anche voi, giovani. Vorremmo che suscitasse in noi e in voi un vigoroso slancio per rinnovare la nostra mutua amicizia e spingerci a camminare insieme verso gli ideali del vero progetto-uomo.

I contesti giovanili dei popoli sono, però, molto vari. Di fronte a tanta complessità è stato perciò importante comprendere le culture, rilevare le domande giovanili e individuare le sfide che emergono dalle principali situazioni. Abbiamo avvertito che la fede nel Cristo non è conosciuta o non è valutata nel suo originale aspetto di storia di salvezza, ossia di evento centrale per tutti. Persino nei paesi di tradizione cristiana essa non è più da considerare cosa scontata.

Diventa allora rilevante per noi Salesiani chiederci come vivere da credenti nel Signore, appassionati per la causa del suo Regno,

impegnati nel far risuonare la sua "buona notizia" tra i giovani, come essere credibili oggi; quale cammino compiere insieme a voi giovani per crescere nella vita nuova; che stile di convivenza realizzare nelle comunità educative - l'oratorio, la scuola, il gruppo "pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi" (1 Pt 3, 15).

Come vedi, non sono interrogativi da poco. Ce li siamo posti con sincerità e abbiamo tentato di formulare una risposta, tracciando la strada che vorremmo percorrere insieme e precisando la meta a cui tendere.


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3. Una "prima" evidenza su cui riflettere è la diagnosi della salute e capacità visiva dei vostri occhi giovanili: dove si va fissando il vostro sguardo, la vostra sensibilità, i vostri desideri e le vostre preoccupazioni.

Oggi più che mai voi giovani avvertite una crescente consapevolezza dei valori della persona di ciascuno. Siete convinti che sempre e dovunque ognuno debba essere ritenuto degno di vivere: soggetto della propria esistenza, responsabile del proprio destino. Quindi un rapporto educativo fondato sul qualunquismo, sull'indifferenza o sulla manipolazione delle persone, sarebbe assolutamente contro la coscienza della vostra dignità.

Tra giovani e adulti ci educhiamo reciprocamente, contribuendo ciascuno con il dono di ciò che è. Non è una formula alla moda, perciò, invitarvi a "camminare insieme"; è piuttosto un’esigenza pedagogica dalle radici profonde.

In quanto adulti che si dedicano all'educazione dei giovani, i Salesiani sentono dunque urgente rinnovare una specie di "patto educativo" con voi, per progredire insieme nel cammino della fede.

Un patto educativo impegna, ma fa crescere.

Proporsi di camminare insieme, esige attenzione e simpatia verso i compagni di viaggio; chiede interesse reciproco per sintonizzarsi su una comune lunghezza d’onda, disponibilità a individuare valori autentici, voglia di condividere le ragioni che nutrono di senso la vita.

Per realizzare tutto questo i Salesiani hanno bisogno di voi giovani.

A voi, a te, spetta un contributo insostituibile: il vigore della giovinezza, la voglia di vivere, la gioia di sperare, la fantasia di ricercare, la generosità di agire, l'entusiasmo di concreti impegni operativi.

Le aree d’interesse sono varie, ma complementari; non c'è monotonia, non c'è uniformità; si cammina verso una comune meta da raggiungere con differenti velocità ma con chiarezza di rotta. Guardiamo insieme al traguardo.

Il "CG23" ha consegnato ai Salesiani un documento assai interessante che indica le differenti possibilità di questo cammino, secondo le molteplici situazioni di partenza. Avvicinati a qualcuno di loro. Fattene raccontare le preziose suggestioni, le analisi, le riflessioni, gli orientamenti.

E' un dono d’attualità per camminare verso il 2000 e per arricchire di giovinezza la storia, la quale certo continuerà oltre, avventurandosi con più forte speranza nel terzo millennio della fede cristiana.


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4. Ma c'è un argomento fondamentale che propongo alla tua considerazione.

La nostra fede è centrata sulla storia concreta dell’uomo: non è assolutamente quella religione-"oppio del popolo" che è stata irrisa e avversata da certe ideologie.

Nell’epoca degli antichi miti politeisti la fede cristiana veniva considerata quasi come una specie di ateismo: infatti non ha mai accettato né idoli sull'Olimpo, né idoli nella città. Più recentemente, nel clima di un ateismo invadente, essa ha sempre professato un così forte realismo da scavalcare gli stretti orizzonti dello stesso materialismo, proclamando nientemeno che la "risurrezione della carne" e l'avvento di una "terra nuova".

Questa nostra fede fissa il suo sguardo sull'Uomo di Nazaret, Gesù il Cristo, divenuto "Signore della storia" a Gerusalemme nella Pasqua della Nuova Alleanza. Lui ci ha rivelato chi è Dio: tutto Amore!

Il "Padre" che ha creato il mondo per noi e ci accompagna con infinita misericordia; il "Figlio" che si è fatto uno di noi divenendo il punto-omega dell’umanità nei secoli; lo "Spirito Santo" che è portatore di verità e potenza di novità. Un Dio uno e trino, fonte e corona di tutto!

Un "Amore", dunque, che ci invita a partecipare da protagonisti nel far progredire il creato con il nostro lavoro, con la scienza, la tecnica, l'ecologia...; che ci indica la storia come la patria della sua avventura di donazione per lottare insieme a Lui contro il male a favore della giustizia, della solidarietà, della pace...; che ci accompagna e ci aiuta nell’edificare il vero progetto-uomo attraverso il primato dei valori della risurrezione. Così il portatore di questa fede, l'autentico credente, apprezza nel mondo i valori della vera laicità; nelle vicende storiche, quelli della genuina liberazione; nei cambiamenti e nei segni dei tempi, quelli dell’autentica evoluzione.

Non dire che tutto questo è difficile e astratto. E' invece la suprema realtà, sempre più affascinante quanto più la si penetra. Qui sta la verità cui anela l'intelligenza; essa apre vasti orizzonti al protagonismo dell’uomo.

Vedi: la fede cristiana ha gli occhi aperti su tutto; non si rifugia nell’oscurità, né si compiace in riti occulti; cerca la luce del Mistero dell’Amore e gioisce nel parteciparne le ricchezze. Ogni uomo sperimenta nel suo intimo l'istinto e la nostalgia di questo Mistero, della sua pienezza di verità, di luce e di bellezza. Esso s'assomiglia al sole che, anche se non può essere fissato con gli occhi, illumina e riscalda tutto, invogliandoci alla grande festa della vita.

Ti dicevo che la fede rivolge il suo sguardo sull’evento-Cristo. Davvero Egli non ti è estraneo. A Lui sta a cuore che ti realizzi sino in fondo. Ti interpella per farti crescere. Ti ama: è morto e vive per te; ti chiede un rapporto di amicizia personale, quale risposta al dialogo iniziato da Lui: un dialogo ampio, oggettivo e coinvolgente. Sarebbe di fatto terribilmente distratto chi non si accorgesse del suo amore e della sua verità.

Inoltre, siccome l'amicizia di fede non è mito o fantasia o ideologia, ma storia, ti offre anche un aiuto e un modello in una donna, Maria, la sua madre, "Colei che ha creduto" e che è stata posta dallo stesso Signore come Ausiliatrice di tutti i credenti. Ella ti accompagna maternamente lungo il percorso del cammino che ti viene proposto.


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5. Ma come potrai progredire in questo cammino?

Sulle orme di Don Bosco il "CG23" ti offre l'esperienza salesiana in una proposta concreta di "spiritualità" giovanile.

E' qui il grande segreto della riuscita. La spiritualità è un’energia interiore sempre in crescita che ti mette gradualmente in sintonia con lo Spirito del Signore. Egli è veramente presente con la sua soave potenza nella vita di ognuno. Con Lui si fanno progressi incredibili: guarda Domenico Savio, Laura Vicuña, Piergiorgio Frassati. Con l'energia di una spiritualità il Signore ti aiuta a costruire e a testimoniare quella sintesi tra fede e vita che è il contenuto proprio della "santità".

Si tratta di vivere la fede immergendosi nel quotidiano come luogo privilegiato in cui ascoltare gli inviti dello Spirito. Ciò che Don Bosco - "maestro di spiritualità giovanile" - indica pedagogicamente non è solo preghiera o impegno in cose eccezionali, bensì una proposta che abbraccia la totalità dell’esistenza nelle sue più diverse e molteplici espressioni.

Così la vita trascorre nella gioia e nell’impegno: lo Spirito, infatti, non ti vuole triste o straniero in patria. La tua giovinezza è un grande valore: ha tratti di somiglianza con la sua presenza creatrice. Allegria e speranza, ansia di donazione e responsabilità, volontà di preparazione alla vita e solidarietà sono da coniugare nel tuo cammino da percorrere. Il tipo di "spiritualità" che ti offre Don Bosco educa alla formazione di una coscienza personale attenta alla progressiva esperienza del Mistero, fino a farla esprimere in energia di vita. E' in questo senso che la spiritualità diviene forza propulsiva che dinamizza cristianamente l'esistenza.

In questo progredire evangelico, poi, non si cammina soli, si è in compagnia: il gruppo, la comunità locale dei credenti, la Chiesa Corpo di Cristo e Popolo di Dio - che accompagnano di tappa in tappa la marcia in avanti.


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6. Ecco la sostanza di quanto desideravo comunicarti.

Don Bosco ti chiama per nome; ti propone un progetto; ti offre buona compagnia; ti addita un ideale di non difficile "santità giovanile": semplice e quotidiana, interiore e apostolica, gioiosa e condivisa.

Ma egli lancia a te e a tutti voi, giovani, ancora un appello che gli sta tanto a cuore. Lo esprimo con lo slogan "giovani per i giovani" inventato da alcuni di voi. Il suo significato l'hai già intuito: coltivare l'amicizia con Cristo vuol dire schierarsi dalla sua parte, farsi carico del suo concreto progetto, vivere per gli altri, far crescere il bene nella società. Le "beatitudini evangeliche", che sono l'autobiografia di Gesù, costituiscono la vera modalità interiore con cui impegnarsi.

Le ricorrenti forme di morte come lo sfruttamento, l'alienazione, la prepotenza, l'ingiustizia, la discriminazione, l'intolleranza... rappresentano minacce che fanno degenerare la vita e rovinano la storia. Servono lottatori per il trionfo del bene! Così, con lo spirito delle beatitudini, la fede cristiana apparirà veramente come energia della storia.

A te, a ciascuno di voi tocca il compito di apportare questa forza spirituale alla trasformazione del mondo.


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7. E' bello pensare che ad ogni generazione spetta scrivere una sua storia, un suo vangelo; ogni nuovo flusso di gioventù è un’ora di speranza. Come ha scritto un famoso autore, "il giorno in cui si raffreddi l'animo giovanile, il mondo intero si metterebbe a battere i denti".

Io prego per te, prego per tutti voi giovani. Anche i Salesiani lo fanno.

E Don Bosco, proclamato dal Papa "padre e maestro della gioventù", intercede, precede e guida con il suo infuocato cuore di discepolo del Signore.

A te e a tutti il più sincero augurio di correre verso il traguardo.

Con grande simpatia e a nome dei Salesiani,


Roma, Pentecoste dello Spirito,

3 giugno 1990]

Don Egidio Viganò

Successore di Don Bosco


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