IT - Vojtas-Pedagogia Salesiana dopo DB


IT - Vojtas-Pedagogia Salesiana dopo DB

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Pubblicazioni del
CENTRO STUDI DON BOSCO
Studi e Strumenti - 1

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1.4 Page 4

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MICHAL VOJTÁŠ
PEDAGOGIA SALESIANA
DOPO DON BOSCO
Dalla prima generazione fino al Sinodo sui giovani (1888-2018)
LAS - ROMA

1.5 Page 5

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© 2021 by LAS - Libreria Ateneo Salesiano
Piazza del­l’Ateneo Salesiano, 1 - 00139 ROMA
Tel. 06 87290626 - e-mail: las@unisal.it - https://www.editricelas.it
ISBN 978-88-213-1393-6
–––––––––––
Elaborazione elettronica: LAS Stampa: Tip. Abilgraph 2.0 srl - Via P. Ottoboni 11 - Roma

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PREFAZIONE
Alcune delle linee programmatiche per il sessennio 2020-20261 offrono
il contesto interpretativo di questo volume sulla pedagogia salesiana che
connette l’esperienza fondativa della prima generazione salesiana con le
diverse epoche fino ai giorni nostri. Poiché l’autore Michal Vojtáš inten-
de trattare le diverse mentalità pedagogiche in vista dell’aggiornamento
attuale e futuro, segnalo la virtù della speranza come principio guida per
la lettura. Solo con la speranza possiamo affrontare il futuro, nella fiducia
che il Signore porterà a compimento i nostri umili contributi di pensiero e
di azione. La speranza ha un rapporto privilegiato con il tempo, infatti da
un lato ci permette di guardare al futuro con fede e con l’atteggiamento di
affidamento alla Provvidenza, così caro a don Bosco, dall’altro si radica in
uno sguardo sul passato pieno di gratitudine per il cammino fatto. La sto-
ria della pedagogia salesiana ne fa parte, risponde alle sfide e accoglie gli
stimoli delle diverse epoche, dà continuità ad alcune intuizioni profetiche
vissute nell’oratorio di Valdocco, rende operativo il pensiero con indicazio-
ni metodologiche creando equilibrio, ordine e sistematicità tra le intuizioni
concrete nate da tante buone pratiche del mondo salesiano.
Come afferma il papa nel messaggio rivolto ai salesiani radunati per il
Capitolo generale 28: «Né pessimista né ottimista, il salesiano del secolo
XXI è un uomo pieno di speranza perché sa che il suo centro è nel Signore,
capace di fare nuove tutte le cose (cfr. Ap 21,5). Solo questo ci salverà dal
vivere in un atteggiamento di rassegnazione e sopravvivenza difensiva.
Solo questo renderà feconda la nostra vita». Gli sviluppi del pensiero pe-
dagogico salesiano ci insegnano come il ­«vivere fedelmente il carisma è
qualcosa di più ricco e stimolante del semplice abbandono, ripiego o ria-
dattamento delle case o delle attività; comporta un cambio di mentalità di
fronte alla missione da realizzare».2
1 Cfr. “Quali salesiani per i giovani di oggi?”. Riflessione postcapitolare della So-
cietà di San Francesco di Sales, in «Atti del Consiglio Generale» 102 (2020) 433, 9-54.
2 Francesco, Messaggio al CG28, in “Quali salesiani per i giovani di oggi?”, 57-58.

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6 Prefazione
Questo libro dimostra che le formulazioni pedagogiche non sono mai
definitive, anzi, quando ci sono stati progetti che miravano alla comple-
tezza, alla definitività o al massimo rigore, di solito le realizzazioni o la
ricezione degli scritti è stata meno soddisfacente di quanto ci si aspettasse.
La prima linea programmatica per il prossimo sessennio, “Crescere
nell’identità salesiana”, ci ricorda la necessità di curare radici sufficien-
temente solide per costruire un futuro con apertura dialogante. Facciamo
parte di una storia appassionante, ma anche drammatica e non lineare, con
i suoi alti e bassi in compagnia di personalità salesiane che hanno dedicato
la vita ad educare e a pensare l’educazione. La nostra identità, infatti, si
radica in una corrente di pensiero e azione che ha saputo coniugare la con-
cretezza con la flessibilità, la solidità con la creatività, la metodologia con
uno stile di vita, la logica della fede con la ragione progettuale. L’identità
salesiana non è fatta di soli concetti e coordinate pedagogiche ma, come
quella dei credenti, è radicata nell’incontro con Cristo in un atteggiamento
di gratitudine per la missione che egli ci affida. Infatti, la pedagogia sale-
siana non è solo un progetto umano, invenzione di una persona geniale, ma
è frutto dell’iniziativa di Dio che ci manda a stare con i giovani, accompa-
gnarli e pensare proposte educative consistenti, solide e allo stesso tempo
flessibili e creative.
La seconda linea programmatica, quella della formazione per essere
salesiani pastori oggi, chiede l’impegno per «superare il divario tra for-
mazione e missione favorendo nella Congregazione una rinnovata cultura
della formazione nella missione per quest’oggi in tutto il mondo salesiano
con misure e decisioni di grande significatività».3 Infatti il nostro modello
di formazione non può che essere legato fortemente con il sistema preven-
tivo e la pedagogia salesiana. Più riusciamo a riflettere criticamente sulle
formulazioni del passato, più saremo capaci di valorizzare i cardini per-
manenti dell’educazione salesiana e di evitare i corti circuiti del pensiero
e dell’azione legati agli stereotipi dell’epoca e degli stili standardizzati e
manichei di pensiero.
La formazione dei salesiani pastori è connessa indissolubilmente con
la terza linea programmatica, quella della missione e formazione vissuta
insieme ai laici. La strada per superare la separazione tra studio e missione
non sta negli aggiustamenti all’interno della vecchia “mentalità di studen-
tato” ma nell’impostazione di processi radicalmente diversi che collegano
la nuova identità con la novità della proposta di una formazione continua
3 “Quali salesiani per i giovani di oggi?”, 34.

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Prefazione 7
che si svolge nel contesto vitale di una comunità di fede, di apprendimento
e di pratica educativa. Quasi un quarto di secolo fa, don Juan Vecchi ha
tracciato profeticamente questo percorso nella lettera circolare intitolata
Per voi studio”. I tratti della figura del “nuovo salesiano” da lui pensati
corrispondono alle esigenze della “nuova evangelizzazione” e della “nuova
educazione”. Non si è trattato di leggeri ritocchi, ma di qualcosa di più radi-
cale. Il salesiano è chiamato ad inserirsi in un “nuovo modello operativo”,
quello degli orientatori pastorali, primi responsabili dell’identità salesiana
delle iniziative e delle opere, animatori di altri educatori all’interno di un
nucleo animatore.4 Secondo le riflessioni del CG28 sono convinto che que-
sto modello è la strada per il futuro, va sostenuto, studiato e concretizzato.
Mi congratulo con Michal Vojtáš per questa ampia panoramica pedago-
gica e mi auguro che il volume diventi uno strumento per formare la capa-
cità di interpretare creativamente la cultura, animare un ampio ambiente
educativo, accompagnare processi di maturazione e crescita, orientare gli
educatori salesiani e interagire nel contesto sociale. Il mio augurio concre-
to al lettore è di abituarsi a contestualizzare il pensiero e i progetti educa-
tivi per saper riconoscere i diversi indirizzi pedagogici inclusi in essi. È
questo un presupposto indispensabile per poter essere come il discepolo
del Regno dei cieli che “estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”
(Mt 13,52) formando la nuova mentalità necessaria per il cambio d’epoca
che stiamo vivendo. «Così la salesianità in diversi contesti, lungi dal per-
dersi nell’uniformità delle tonalità, acquisterà un’espressione più bella e
attrattiva… saprà esprimersi “in dialetto”».5 La Famiglia salesiana parlerà
così la stessa lingua del sistema preventivo con varianti, sfumature, imagi-
nari e pratiche nuove e originali.
don Ángel Fernández Artime, SDB
Roma, 8 dicembre 2020, solennità di Maria Immacolata
161° anniversario della fondazione della Congregazione salesiana
4 Cfr. J.E. Vecchi, “Io per voi studio...”(C14) La preparazione adeguata dei confratelli
e la qualità del nostro lavoro educativo, in ACG 78 (1997) 361, 3-47.
5 Francesco, Messaggio al CG28, 63.

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INTRODUZIONE
“Cosa farebbe don Bosco oggi?” è spesso il ritornello esplicito o impli-
cito che accompagna la progettazione educativa nelle case salesiane. La
domanda, oltre ad essere uno slogan quasi omiletico, rivela un modo di
procedere molto diffuso quando si affronta il tema dell’aggiornamento an-
che in contesti accademici: per primo dobbiamo conoscere storicamente
le radici e le visioni educative originarie; poi è necessario comprendere
il contesto attuale nelle sue sfide e opportunità; infine diventa naturale
progettare l’azione educativa per incarnare l’ideale di don Bosco nell’og-
gi. Questa concezione di aggiornamento affonda le sue radici nel perio-
do successivo al Concilio Vaticano II, quando gli ordini religiosi furono
invitati ad approfondire le loro radici carismatiche e ad aprirsi alle sfide
attuali, per progettare poi una pastorale aggiornata. Le tre fasi suaccennate
dell’aggiornamento fanno riferimento a specifiche discipline scientifiche:
la scienza storica per comprendere criticamente don Bosco nel suo conte-
sto; le scienze umane per stare in contatto con la società dei giorni nostri;
le scienze organizzative per progettare l’educazione con serietà, incisività
ed efficacia.
Anche se lo schema dell’aggiornamento postconciliare sembra convin-
cente a prima vista, a mezzo secolo di distanza emergono alcune serie
difficoltà. La prima è data dall’insignificatività pratica degli sviluppi av-
venuti nei periodi tra la fondazione della Congregazione e l’attualità. Se
estremizziamo il ragionamento, non dovremmo studiare ad esempio il mo-
dello formativo degli inizi, il metodo missionario in Patagonia, gli sviluppi
degli oratori nel primo Novecento o le vicende della crociata catechistica
durante il periodo di don Ricaldone. Tutto un patrimonio di esperienze,
ragionamenti e sperimentazioni andrebbe perso e saremmo destinati a
ripetere errori molto simili a quelli dei nostri predecessori. La seconda
difficoltà è data dalla suddivisione tra ambiti scientifici diversi, i quali dif-
ficilmente comunicano tra di loro avendo diversi metodi, presupposti, as-
siomi, linguaggi e comunità scientifiche. Un ulteriore problema connesso

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2.1 Page 11

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10 Introduzione
con il precedente è la separazione mentale tra “ieri” e “oggi”, tra “storici”,
“educatori” e “progettisti” con una difficoltà universale di passare “dalla
carta alla vita”.
Per illustrare tale dinamica si potrebbe menzionare la recente ed emble-
matica celebrazione del bicentenario della nascita di don Bosco, preparata
da un triennio con inquadrature settoriali. A livello storico fu organizzato
il congresso di storia salesiana del 2014, per la riflessione pedagogica si
celebrò nel 2015 il congresso di pedagogia salesiana e a livello di decisioni
progettuali potremmo riferirci al Capitolo generale 27 e alla conclusione
dei lavori sulla terza edizione del Quadro di riferimento della pastorale
giovanile. Proprio negli anni attorno al bicentenario è nata l’idea di questo
volume, che ha l’intenzione di connettere don Bosco con l’oggi attraver-
so diverse epoche con le loro differenti mentalità, le quali rinforzavano
alcune nuove idee pedagogiche omettendone delle altre, preferivano alcu-
ne modalità di azione, sviluppavano delle riflessioni, alcune profetiche e
coraggiose, altre piuttosto piegate alla mentalità corrente o a soluzioni di
emergenza, o anche dettate da una certa inerzia intellettuale. L’alternar-
si dei cambiamenti comporta l’inevitabile dinamica pendolare, a detta di
Vico o di Toynbee, dei corsi e ricorsi, dei withdrawals and returns tra i
diversi periodi.
Essendoci un ampio spettro di approcci per accedere al dato storico e
al pensiero pedagogico del passato,1 penso che sia doveroso chiarire alcuni
punti metodologici del mio lavoro, che si distingue da una ricostruzione
puramente storica in diversi sensi. A livello di riflessioni storiografiche
generali considero ispiratrici ed equilibrate le posizioni di Henri Irénée
Marrou, storico francese, che ha saputo creare sinergia tra l’identità dello
storico, del filosofo della storia e del credente cattolico in una prospettiva
stimolante, integrale, anti-ideologica e umile. Inoltre, e da non sottovaluta-
re, le sue concezioni sono animate da una spiccata sensibilità pedagogica e
da una valorizzazione dell’educazione. Infatti, la sua opera più importante
affronta la storia e l’evoluzione dell’educazione antica con originalità, su-
perando diversi stereotipi illuministici legati soprattutto al passaggio tra
1 Cfr. Il volume G. Loparco - S. Zimniak (eds.), La storiografia salesiana tra studi
e documentazione nella stagione postconciliare, LAS, Roma 2014, 9-142, specialmente
i contributi: M. Nickel, Grundfragen und Tendenzen der Kirchengeschichte in der Ge-
genwart, in Ibid., 27-48 e G. Rocca, La storiografia delle congregazioni religiose in Eu-
ropa. Orientamenti e proposte, in Ibid., 73-109. Per la storia della pedagogia cfr. ad es.
G. Chiosso, Novecento pedagogico, La Scuola, Brescia 1997 e Id., Profilo storico della
pedagogia cristiana in Italia (XIX e XX secolo), La scuola, Brescia 2001.

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Introduzione 11
l’antichità e il medioevo.2 Il potenziale storico e storiografico che emerge
nello studio dei periodi di transizione fu valorizzato dal nostro autore nei
suoi volumi sulla Conoscenza storica e sulla Teologia della storia.3
Le sue indagini sul rapporto tra ricerca storica e riflessione filosofica lo
condussero a un superamento della stanca e scettica storiografia positivista
che aveva appreso da giovane studente alla Sorbona. In consonanza con la
scuola de Les Annales, anch’egli individuava il limite più immediato della
storiografia positivista nella concezione atomistica del fatto storico. Ci si
concentrava troppo sull’importanza del “documento” pensando di poter
ricostruire i fatti con l’evidenza, partendo dal presupposto che ciascun mo-
mento storico fosse completo in sé, estraibile dalla struttura di complessità
e di continuità della realtà storica.
Esistono però altre concezioni più filosofiche e teologiche della storia. Si
ipotizzano delle leggi universali che governano la storia, le quali sembrano
spesso un’eco più o meno lontana delle idee hegeliane, ogni tanto sotto
veste di teorie storiografiche o sociologiche. In queste correnti di pensiero,
le nozioni, come i tipi-ideali, da modalità provvisorie per rappresentare la
storia si trasformano in leggi cristallizzate che pretendono di riportare il
particolare ad un disegno unitario, trasformandosi in «grandi macchine che
impediscono di comprendere» e con la loro «illusoria chiarezza finiscono
per menomare la disposizione dello storico a vedere la realtà nella sua
autentica e sconcertante molteplicità».4 Bernard Lonergan, riprendendo la
critica di Marrou alle concezioni idealistiche della storiografia, nel suo più
celebre scritto sul metodo afferma circa l’uso delle ipotesi interpretative:
Marrou approva l’uso di tipi-ideali nell’indagine storica, ma formula due av-
vertimenti. Primo, i tipi-ideali sono semplicemente costruzioni teoriche: si deve
resistere alla tentazione dell’entusiasta il quale li scambia per descrizioni della
realtà. […] Secondo, c’è la difficoltà di elaborare tipi-ideali appropriati: quanto
più ricca e illuminante è la costruzione tanto più grande è la difficoltà di appli-
carla; viceversa, quanto più tenue e vaga è la costruzione, tanto meno è in grado
di recare un contributo significativo alla storia.5
Tuttavia la critica delle teorie metafisiche della storia non si esaurisce
2 Cfr. G. Tognon, Prefazione per rileggere Marrou, in H.-I. Marrou, Storia dell’edu-
cazione nell’antichità, Studium, Roma 2016, 13-39.
3 Cfr. H.-I. Marrou, Conoscenza storica, il Mulino, Bologna 1997 e Id., Teologia
della storia, Jaca Book, Milano 2010.
4 Marrou, Conoscenza storica, 192.
5 B. Lonergan, Il Metodo in Teologia, Città Nuova, Roma 2001, 258-259.

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12 Introduzione
nella disamina delle stesse, ma apre la strada alla comprensione della po-
liedricità della storia medesima e delle rispettive visioni. La non linearità
della storia, non atomizza la conoscenza storica in fatti che si possiedo-
no attraverso i documenti, ma sostiene l’esistenza di legami e rapporti di
interdipendenza tra i vari periodi, mentalità o insiemi storici. Istituzioni,
mentalità, arti, stili educativi non sono realtà che appaiono come meteore
nel cielo della storia, ma sorgono dopo un lungo periodo di incubazione e
possono essere percepite solo nella loro evoluzione e continua trasforma-
zione.6
Per Marrou la storia non è una successione di fatti misurabili che deve
essere ricostruita, essa è sempre la conoscenza del passato complesso di
una realtà umana “già stata”. Per dirlo con Heidegger, la storia, in quan-
to dagewesenes Dasein, influenza il nostro Esserci presente e futuro.7 Le
pretese conoscitive di questa disciplina si collocano perciò ad un livello più
modesto rispetto all’orgoglio dell’idealista (che possiede “le leggi”) e alla
scrupolosa miopia del positivista (che possiede “il fatto” e “il documento”).8
Ispirandomi a questa posizione equilibrata, umanistica e credente, nel pre-
sente volume vorrei collocare il pensiero pedagogico salesiano nelle coor-
dinate storiche non per relativizzarlo, dissolvendolo in un dato ambiente
socio-culturale o etichettandolo con una teoria pedagogica generale, ma
proprio per l’esigenza di comprenderlo nell’evoluzione delle idee e delle
applicazioni educative nella loro continuità.
La storia intesa come il passato umano ricostruito e interpretato da altri
umani implica una metodologia che prende sul serio la posizione di “alteri-
tà” per distanza temporale, mentale o culturale. Marrou fa riferimento alla
fenomenologia di Edmund Husserl proponendo l’atteggiamento dell’epo-
ché come paradigma fondamentale per non cadere nella “storia filosofica
della filosofia”, che riconduce acriticamente il passato al presente come il
punto di arrivo.9 Il nostro autore scrive: ­«Storico è colui che, attraverso
l’epoché, sa uscire da se stesso per incontrarsi con gli altri».10 L’esperienza
6 Cfr. G. Guglielmi, Critica alla storiografia positivista e alla filosofia della storia.
Lonergan interprete di Marrou, in E. Cibelli - C. Taddei Ferretti (Eds.), Ricerche lo-
nerganiane offerte a Saturnino Muratore, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli
2016, 356.
7 Cfr. Marrou, Conoscenza storica, 208.
8 Cfr. Ibid., 56.
9 La procedura interpretativa di questa storiografia filosofica consiste nel considerare
storicamente rilevante solo ciò che trova eco nella propria ideologia. Cfr. ad es. P. Piovani,
Filosofia e storia delle idee, Edizioni di Storia e di Letteratura, Roma 20102, 200.
10 Marrou, Conoscenza storica, 99. Cfr. anche 89-92.

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Introduzione 13
della storia, proprio perché consiste nell’incontro con l’altro, pone lo sto-
rico in atteggiamento di profonda umiltà. Se egli si pone autenticamente
in relazione con l’alterità del passato, fa l’esperienza di una grandezza che
ci lascia smarriti; non di rado infatti gli uomini del passato da essa ri-
velati furono più grandi di noi. Inoltre Marrou insiste anche sull’affinità
psicologica, l’empatia, che lo storico deve necessariamente avere al fine di
raggiungere la conoscenza del passato che sta ricostruendo. Come la storia
dell’arte esige dallo studioso una sensibilità estetica forte e sottile, quella
del cristianesimo suppone che si abbia il senso dei valori spirituali e del
fenomeno religioso.11
L’indagine con un atteggiamento di epoché fenomenologica accetta gli
avvenimenti e il susseguirsi dei periodi storici come si presentano, senza
uno schema prestabilito fisso. In alcuni momenti si trova un pedagogista
influente o un superiore forte, in altri tempi c’è una situazione ecclesiale
(Concilio Vaticano II) o politico-sociale (regimi totalitari) che trascina la
riflessione sull’educazione, oppure ci sono le dinamiche del personale e
delle generazioni che possono essere determinanti (prima generazione for-
mata da don Bosco oppure la contrapposizione generazionale negli anni
Sessanta del secolo scorso), ecc. In alcuni periodi i salesiani si basarono su
testimonianze dirette dell’agire educativo del fondatore, in altri si sono la-
sciati influenzare dal pensiero pedagogico di autori esterni dei loro tempi,
oppure in contesti mutati e condizioni avverse curarono di più le proprie
tradizioni e la propria identità. Per la riflessione pedagogica è determi-
nante l’influsso del contesto esperienziale e quotidiano legato alle diverse
interazioni che vengono a crearsi in determinate strutture educative tipi-
che (collegio, oratorio, scuola professionale, compagnie, gruppi, università,
ecc.). Quest’ultimo influsso è particolarmente rilevante per i salesiani in
quanto membri di una Congregazione di educatori e non di pedagogisti. In
questo modo le sfide del tempo, il pensiero di alcuni superiori, le logiche
organizzative interne alle strutture formative ed educative e le conseguen-
ze dei periodi precedenti confluiscono a creare un “tipo-ideale”, ossia i
tratti della mentalità tipica di una generazione. L’alternarsi delle genera-
zioni e dei paradigmi pedagogici in diverse epoche storiche sarà riassunto
nei seguenti sei capitoli:
11 Cfr. Marrou, Conoscenza storica, 104. Nel contesto dell’educazione cristiana ri-
tengo importanti le argomentazioni contenute nella premessa a J. Ratzinger Benedetto
XVI, Gesù di Nazaret, LEV, Città del Vaticano 2007, 8-20.

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14 Introduzione
I. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana tra gli
inizi del rettorato di don Michele Rua e la scomparsa di Francesco
Cerruti, primo consigliere scolastico generale (1888-1917).
II. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moder-
na, che si può idealmente collocare a partire dai congressi sugli ora-
tori, includendo i rettorati di don Paolo Albera e don Filippo Rinaldi
(1902-1931).
III. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità, la qua-
le caratterizza il periodo che inizia idealmente dalla beatificazione di
don Bosco e comprende il tentativo di sistematizzazione pedagogica di
don Pietro Ricaldone (1929-1951).
IV. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II, cioè l’impatto
dell’epocale riflessione ecclesiale sull’educazione e sulla pedagogia,
dando priorità agli stimoli innovativi dei rispettivi Capitoli generali
(1952-1978).
V. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche che si
sviluppano durante il periodo del rettorato di don Egidio Viganò con i
significativi contributi pedagogici di don Juan Edmundo Vecchi (1978-
1998).
VI. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio, un pe-
riodo che comincia con la sistematizzazione dei quadri di riferimento
della pastorale giovanile e termina idealmente con il Sinodo sui giova-
ni (1998-2018).
In questa pubblicazione la comprensione dell’idea di “pedagogia sale-
siana” si colloca attorno ai principi fenomenologici e storiografici presen-
tati e sarà intesa come una riflessione sistematica e critica sull’educazione
ispirata allo stile e all’opera educativa di Giovanni Bosco. Rispettando la
storia salesiana come si presenta, i concetti di sistematicità e criticità sa-
ranno intesi in senso largo e inclusivo, accettando perciò anche trattazioni
a diversi gradi di scientificità e di influsso sull’educazione. Avendo a di-
sposizione tanti materiali e dovendo limitare il campo di ricerca, saranno
scelti i più significativi a livello di pensiero e di diffusione. Le scelte me-
todologiche si riflettono anche nella strutturazione dei singoli capitoli del
nostro testo, che sarà la seguente:
– in apertura le caratteristiche sociali, educative e pedagogiche di un pe-
riodo storico, il corrispondente contesto ecclesiale e la risposta di ade-
guamento dell’educazione salesiana nelle strutture educative tipiche;

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Introduzione 15
– seguono le linee pedagogiche e di governo in materia educativa che
partono dal centro della Congregazione e che interpretano, in un dato
periodo, la fedeltà al modello educativo di don Bosco;
– si approfondiscono le riflessioni di alcuni pedagogisti salesiani più si-
gnificativi a livello di influsso e diffusione. I contributi degli autori sa-
ranno analizzati sincronicamente (nel loro contesto) e diacronicamente
(studiando le continuità e le discontinuità tra le concezioni pedagogi-
che);
– infine viene proposta un’antologia di testi e materiali di ogni periodo,
disponibili in parte nel testo stampato e in gran parte online. Centinaia
di documenti, fonti, ricerche e articoli sono consultabili in full-text sul
sito salesian.online.
Le scelte metodologiche implicano necessariamente delle limitazioni. Il
fatto di prendere in considerazione le linee pedagogiche diramate dal cen-
tro della Congregazione e di fornire gli approfondimenti sugli autori più
influenti comporta la ovvia non esaustività e l’incompletezza del lavoro.
Alcuni autori svilupparono delle sintesi originali o significative, ma non
facendo parte del mainstream congregazionale, non sono stati analizzati in
profondità, rimanendo soltanto collocati all’interno delle correnti di pen-
siero. Anche la riflessione pedagogica delle Figlie di Maria Ausiliatrice ap-
pare solamente accennata in alcune parti dello scritto. Essendo necessaria
una contestualizzazione all’interno delle linee di animazione dell’Istituto,
delle superiore e delle opere educative tipiche per l’educazione femminile
e infantile, ho preferito lasciare la tematica agli esperti del relativo campo
storico e pedagogico.
La scelta di dare un certo peso alle direttive di animazione del centro
della Congregazione, implica una visione chiaramente italocentrica per i
primi periodi fino a don Ricaldone, la quale soltanto attorno al Concilio
Vaticano II si apre ad altri contesti, specialmente all’Europa occidentale
e all’America latina. Appare, così, che solo nel terzo millennio la Con-
gregazione salesiana potrà dirsi davvero mondiale a livello pedagogico,
anche se con diverse velocità secondo i contesti. Difatti, come emerge dalle
Relazioni sullo stato della Congregazione e da diversi studi, le idee e le
linee operative dei vari Capitoli generali non sono passate nelle ispettorie
in modo uniforme. Mi sembra importante sottolineare che il mio intento è
soprattutto di studiare le idee pedagogiche pregnanti e tipiche nel contesto
della loro nascita e nella loro evoluzione, non di valutare complessivamen-
te gli autori, gli stili di governo o la Congregazione nel suo insieme. Pen-

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16 Introduzione
so che il futuro della pedagogia salesiana non stia nelle sintesi settoriali
tendenti alla perfezione, ma nell’arricchimento continuo e reciproco tra le
indagini storiche, gli studi di sistematizzazione teorico-metodologica, gli
approfondimenti pedagogici regionali e le buone prassi, frutti dello Spirito
che agisce nella storia e della saggezza pratica degli educatori.
Un sentito grazie va ai rettori maggiori Ángel Fernández Artime e Pa-
scual Chávez Villanueva per il loro sostegno durante il processo della ri-
cerca e le loro preziose indicazioni. Vorrei ringraziare i consultori per il
loro impegno e le loro apprezzate osservazioni e suggerimenti. In modo
speciale vorrei menzionare i professori Aldo Giraudo, José Manuel Prelle-
zo e Morand Wirth, tutti e tre dell’Università Pontificia Salesiana, il prof.
Giorgio Chiosso dell’Università di Torino e la professoressa Piera Ruffi-
natto della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium. Con
riconoscenza vorrei menzionare l’Istituto Storico Salesiano, l’Associazio-
ne dei Cultori di Storia Salesiana e il personale dell’Archivio Salesiano
Centrale per aver messo a disposizione edizioni critiche, studi e materiali
d’archivio che hanno permesso questo tipo di ricerca. Un grazie sentito va
ai miei colleghi della Facoltà di Scienze dell’Educazione e del Centro Studi
Don Bosco dell’UPS per le possibilità di confronto interdisciplinare. Un
lavoro importante è stato svolto per quanto riguarda la revisione linguistica
con correzioni e suggerimenti da parte di Massimo Schwarzel e Cristiano
Ciferri ai quali sono riconoscente. Infine, ma non all’ultimo posto d’im-
portanza, voglio ricordare i miei studenti di pedagogia salesiana che mi
stanno continuamente stimolando ad approfondire nuovi aspetti e adottare
nuove prospettive nel campo pedagogico. Auguro al lettore una stimolante
lettura carica di ispirazioni per l’impegno educativo con i giovani d’oggi.
Michal Vojtáš, sdb

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ABBREVIAZIONI
AAS
ACG
ACS
ASC
ASS
CEP
CG
CGS
FMA
FSE
ISP
PAS
PEPS
PG
POI
SDB
UPS
= Acta Apostolicae Sedis
= Atti del Consiglio Generale
= Atti del Consiglio Superiore
= Archivio Salesiano Centrale
= Acta Sanctae Sedis
= Comunità Educativo-Pastorale
= Capitolo Generale
= Capitolo Generale Speciale
= Figlie di Maria Ausiliatrice
= Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana
= Istituto Superiore di Pedagogia del Pontificio Ateneo Salesiano
= Pontificio Ateneo Salesiano
= Progetto Educativo-Pastorale Salesiano
= Pastorale Giovanile
= Progetto Organico Ispettoriale
= Salesiani di don Bosco
= Università Pontificia Salesiana

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1. FORMULAZIONI PEDAGOGICHE
DELLA PRIMA GENERAZIONE SALESIANA
(1888-1917)
La vita di don Giovanni Bosco e lo sviluppo del suo stile educativo si
collocano inizialmente nel mondo rurale piemontese intessuto di tradizioni
cattoliche secolari e contrassegnato da un’alleanza tra trono ed altare rein-
terpretata alla luce della Restaurazione postnapoleonica. I cambiamenti re-
alizzati durante la sua vita e le scelte educative da lui via via operate, come
il passaggio fondamentale dagli oratori ai collegi, denotano tuttavia un
adattamento allo sviluppo della società liberale e laica dell’Italia durante
il processo di unificazione. Diversi furono, invece, i decenni posteriori del
passaggio tra Ottocento e Novecento, caratterizzati da grandi e profondi
mutamenti a livello mondiale, i quali, soprattutto nel mondo occidentale,
suscitavano in molti l’aspettativa di un mondo nuovo proiettato nella dire-
zione di un progresso illimitato sotto la spinta dello scientismo positivisti-
co. Molti osservatori hanno condiviso la percezione che il periodo stori-
co da essi vissuto negli anni antecedenti la Prima guerra mondiale fosse
qualcosa di più che una fase di sviluppo come le altre. Per un verso o per
l’altro, il passaggio dei secoli sembrava anticipare e preparare un mondo
intrinsecamente diverso dal passato. In questo contesto si trovò ad operare
una Congregazione in espansione intercontinentale.1
1.1. La prima generazione dei salesiani nel passaggio tra i secoli
Le evoluzioni della sensibilità culturale positivista non furono recepite
dalla maggioranza dei salesiani, i quali vivevano ancora in un contesto
1 Cfr. E.J. Hobsbawm, L’età degli imperi: 1875-1914, Laterza, Bari 2005; G. Martina,
Storia della Chiesa. Da Lutero ai nostri giorni, vol. 4: L’età contemporanea, Morcellia-
na, Brescia 1995, 13-107; F. Traniello, L’epoca di don Rua: lineamenti di uno scenario
storico, in F. Motto (ed.), Don Michele Rua nella storia (1837-1910). Atti del Congresso
Internazionale di Studi su don Rua (Roma, Salesianum, 29-31 ottobre 2010), LAS, Roma
2011, 27-41.

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20 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
segnato da tradizioni cattoliche e con un atteggiamento di opposizione al
laicismo, tendenza rafforzatasi ulteriormente con la polemica intraeccle-
siastica contro il modernismo dell’inizio del XX secolo. Il “sistema pre-
ventivo” di don Giovanni Bosco, denominazione comune per la modalità
tipica di educare in chiave salesiana, creava un movimento crescente tra la
Congregazione di San Francesco di Sales, l’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice e una rete di beneficenza e aiuto che ruotava organizzativa-
mente attorno alle case salesiane, al “Bollettino Salesiano”, ai Cooperatori
Salesiani e all’Associazione di Maria Ausiliatrice. Siccome l’educazione
salesiana fu indirizzata ai giovani poveri, pericolanti e abbandonati delle
classi popolari, non tutte le nuove tendenze culturali influirono diretta-
mente sull’educazione e sulla riflessione pedagogica salesiana. Non dedi-
candosi all’educazione di élites, i salesiani non erano direttamente chiama-
ti a confrontarsi con il positivismo, con le nuove filosofie o con le nuove
espressioni artistiche che prendevano forza all’inizio del Novecento.
Seguendo la linea strategica del fondatore, nonostante la mentalità tra-
dizionale, a livello pratico-organizzativo l’educazione salesiana si sia adat-
tata creativamente reinventando alcune delle sue attività e strutture alle
nuove esigenze. Sulle linee educative influirono infatti unicamente alcune
sfide del mondo contemporaneo, percepite soprattutto in una prospettiva
italiana, e alcune problematiche europee o latinoamericane. A livello di
pensiero si nota il confronto con il secolarismo liberale; nell’organizza-
zione scolastica si dovette affrontare l’affermazione della scuola statale di
massa; infine a livello economico bisognava misurarsi con le conseguenze
della seconda rivoluzione industriale che accentuarono i contrasti relativi
alla questione sociale, con il crescente socialismo e con la nascita del ceto
medio.
1.1.1. La sfida del “pensiero libero” anticlericale
Nel periodo precedente lo scoppio della Prima guerra mondiale lo sce-
nario politico europeo mostrava governi spesso deboli, con un ripetersi
troppo frequente di crisi parlamentari. Aumentavano anche le accuse ai
deputati di essere troppo numerosi e troppo corrotti. In questa mancanza
di linea politica forte e chiara, ci sono alcuni tratti comuni nei governi
dell’epoca che definivano i programmi dei partiti: il nazionalismo, la que-
stione sociale e l’orientamento anticlericale. L’ultimo influì sull’educazione
salesiana sia per le applicazioni nel campo scolastico sia per la lotta contro

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 21
la Chiesa. Sotto il nome di “pensiero libero” si mascherava la tendenza an-
tireligiosa e soprattutto anticattolica. Il liberalismo anticattolico europeo,
oltre alla linea massonica, si manifestava con sfaccettature diverse a secon-
da dei contesti. Ad esempio in Italia continuarono le forti contrapposizioni
a seguito del processo di unificazione; in Francia si diffuse l’impostazione
anticlericale legata alle specificità della laïcité française; in Germania il
Kulturkampf, anche se già terminato, segnò il rapporto Chiesa-Stato nel
passaggio dei secoli.2 C’era «un clima generale che dalla Francia all’Italia,
dal Belgio all’Argentina pareva segnato – e così era vissuto – dalla volontà
della propaganda massonica di trascinare nel fango i religiosi».3
La Congregazione salesiana, sotto la guida di don Michele Rua, speri-
mentò alcuni effetti dell’anticlericalismo europeo nelle tensioni con i siste-
mi scolastici dei diversi Paesi, nei tentativi di screditamento passati alla
storia come “i fatti di Varazze” del 1907, ma soprattutto nella chiusura
delle case della Francia nei primi due decenni del Novecento. Secondo
la legge francese del 1901 i salesiani dell’ispettoria del nord della Francia
avevano chiesto l’autorizzazione governativa per poter continuare le loro
attività, ma, non ottenendola, furono dispersi e le case di Parigi e Lilla con-
fiscate. I salesiani presenti nel sud del Paese, invece, avevano optato per la
via della secolarizzazione e della clandestinità e alcune opere si salvarono
attraverso i patronati e la gestione dei coadiutori.4 Problematiche simili
dovettero affrontare i salesiani in Ecuador dopo la rivoluzione liberale del
1895.5
In ambito italiano, nel contesto della libertà di insegnamento, è utile
menzionare l’impegno del pedagogista torinese Giuseppe Allievo. Il suo
2 Cfr. M. Flores, Il secolo mondo. Storia del Novecento, vol. 1: 1900-1945, Mulino,
Bologna 2005; F. Motto (ed.), L’Opera Salesiana dal 1880 al 1922. Significatività e por-
tata sociale. Atti del 3° Convegno Internazionale di Storia dell’Opera Salesiana Roma
31 ottobre - 5 novembre 2000, vol. 1: Contesti, quadri generali, interpretazioni, LAS,
Roma 2001, 41-177.
3 J.M. Prellezo, Le scuole professionali salesiane (1880-1922). Istanze e attuazioni
viste da Valdocco, in J.G. González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922.
Istanze ed attuazioni in diversi contesti. Atti del 4° Convegno Internazionale di Storia
dell’Opera salesiana Ciudad de México, 12-18 febbraio 2006, vol. 1, LAS, Roma 2007,
97.
4 Cfr. F. Desramaut, I Salesiani francesi al tempo del silenzio (1901-1925), in S. Zim-
niak - G. Loparco (eds.), L’educazione salesiana in Europa negli anni difficili del XX
secolo. Atti del Seminario Europeo di Storia dell’Opera salesiana Cracovia 31 ottobre - 4
novembre 2007, LAS, Roma 2008, 115–128.
5 Cfr. A. Guerriero - P. Creamer, Un siglo de presencia salesiana en el Ecuador. El
proceso histórico 1888-1988, Don Bosco, Quito 1997.

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22 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
agire fu importante per la difesa delle scuole salesiane nel periodo con-
siderato, per le teorizzazioni pedagogiche che influenzarono la prima ge-
nerazione di salesiani come Cerruti e Barberis, nonché per le sue idee a
difesa della scuola libera contro il centralismo statale.6 Nel disegnare il
sistema scolastico italiano, il ceto dirigente, nominalmente liberale, fu
condizionato paradossalmente da un certo “sospetto della libertà”, che na-
sceva dalla percezione di un’Italia profondamente divisa da un punto di
vista linguistico, culturale, politico e religioso. Temendo che uno scenario
di pluralità educativa avrebbe nuociuto all’unificazione del Paese, si optò
per un centralismo statale.7 Allievo, in contrapposizione al positivismo li-
berale e all’idealismo hegeliano, affermava il principio della personalità,
intendendo l’uomo come «sintesi vivente di un’anima razionale e di un
corpo organico, insieme composti ad unità di essere».8 La sua pedagogia
affermava lo spiritualismo quale condizione primaria e irriducibile per la
difesa della libertà:
La persona non è uno strumento ai voleri altrui, ma è una creatura sacra,
fornita di diritti, che vanno rispettati da qualunque potere sociale, da qualunque
autorità umana, il diritto all’esistenza, alla verità, alla felicità, alla virtù, sicché se
ad esempio la prosperità di un popolo intiero costasse la schiavitù o la distruzione
di una sola creatura umana, già per ciò stesso dovrebb’essere detestata come un
delitto. Orbene, ponete che la scuola sia una funzione, una proprietà, un’apparte-
nenza della società e soggiaccia al suo assoluto dominio, e allora gli alunni non
verranno più educati siccome persone, che appartengono a sé stesse, ed ordinate
ad un fine, da cui hanno diritto di non essere deviate, bensì come mancipii del
volere sociale, come cose o strumenti in servizio della società.9
Allievo, grazie alla sua lotta per la libertà d’insegnamento e la difesa
delle scuole cattoliche attraverso l’Unione pro schola libera (fondata nel
1907), fu apprezzato anche dal pubblico cattolico più largo, dalla Civiltà
Cattolica e da altri studiosi cattolici tendenzialmente neoscolastici.10
6 Cfr. J.M. Prellezo, Giuseppe Allievo negli scritti pedagogici salesiani, in «Orien-
tamenti Pedagogici» 45 (1998) 267, 393-419.
7 A. Marrone, Giuseppe Allievo e la libertà d’insegnamento, in «History of Education
& Children’s Literature» 7 (2012) 2, 173-176.
8 G. Allievo, Appunti di Antropologia e Psicologia, Carlo Clausen, Torino 1906, 3.
9 G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, Carlo Clausen,
Torino 1905, 23.
10 Cfr. A. Marrone, Giuseppe Allievo e la libertà d’insegnamento, 190-191.

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 23
1.1.2. La reazione della Chiesa tra nuovi equilibri e conservatorismo
Nell’ultimo quarto dell’Ottocento, sotto la guida di Leone XIII, la Chie-
sa cambiava leggermente le proprie posizioni nei riguardi del mondo della
Belle Époque. Dalle condanne dei governi liberali nell’epoca di Pio IX ci
si spostò verso una presa di coscienza di nuovi equilibri e del bisogno di
alcune aperture e riforme.
Leone XIII con l’enciclica Aeterni Patris (1879) concretizzò lo sforzo
di creare una convergenza a livello di pensiero innanzitutto esortando a
«rimettere in uso la sacra dottrina di san Tommaso e a propagarla il più
largamente possibile, a tutela e ad onore della fede cattolica, per il bene
della società, e ad incremento di tutte le scienze».11 Con Immortale Dei
(1885) la Chiesa fa capire che consente opinioni diverse circa i sistemi
politici; nell’enciclica Libertas (1888) il papa precisa il concetto di libertà
nel contesto legislativo, sociale e politico, affermando che «è opportuno
considerare separatamente quelle varie conquiste di libertà che sono un’e-
sigenza dell’epoca nostra»,12 menzionando come prima la libertà di culto.
Anche l’autorità divina non è contrapposta alla libertà dell’uomo: «Questa
sacrosanta sovranità di Dio sugli uomini è ben lontana dal sopprimere
la libertà o dal limitarla in alcun modo, tanto che, se mai, la protegge e
la perfeziona».13 L’enciclica Sapientiae Christianae (1890) invece afferma
nuovi equilibri e autonomie tra Stato e Chiesa, che riflettono la fine dello
Stato pontificio. L’enciclica fa leva sull’educazione e afferma fortemente il
diritto dei genitori all’educazione dei propri figli. Nella conclusione Leone
XIII mette in relazione il bene della società, l’importanza dell’educazione
familiare e la necessità di investimenti nelle scuole cattoliche:
Quando si tratta di formare rettamente la gioventù, nessun’opera e fatica sono
tanto rilevanti che non se ne possano compiere delle maggiori. In questo sono
veramente degni di ogni ammirazione quei cattolici di varie nazioni, che per
l’educazione dei loro figli hanno organizzato scuole con grandi spese e maggiore
costanza. Bisogna che questi salutari esempi siano imitati dovunque i tempi lo
esigono: ma si convinca ognuno che prima di tutto nell’anima dei fanciulli molto
può l’educazione domestica. Se l’adolescenza avrà trovato in casa una retta regola
di vita, come una palestra di cristiane virtù, la salvezza della società sarà in gran
parte assicurata.14
11 Leone XIII, Lettera enciclica Aeterni Patris (4 agosto 1897) in ASS 12 (1894) 97-115.
12 Leone XIII, Lettera enciclica Libertas (20 giugno 1888), in ASS 20 (1887) 593-613.
13 Ibid, 599.
14 Leone XIII, Lettera enciclica Sapientiae Christianae (10 gennaio 1890), in ASS 22
(1889-90) 385-404.

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24 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
Pio X cambiò il focus dell’attenzione, concentrandolo sui problemi in-
terni della Chiesa stessa. Da un lato si promosse una riforma catechistica,
liturgica e curiale,15 dall’altro riprese con forza la polemica con i moder-
nisti che culminò nei toni forti e polarizzanti dell’enciclica Pascendi do-
minici gregis del 1907. La tensione della Chiesa con il mondo liberale si
proiettava anche al suo interno: «I fautori dell’errore già non sono ormai
da ricercarsi fra i nemici dichiarati: ma ciò che dà somma pena e timore, si
celano nel seno stesso della Chiesa».16 La conseguenza era un incremento
sia della mentalità di fortezza assediata che dei processi di controllo intra-
ecclesiali.
A livello politico la Chiesa preferiva non scendere direttamente in
campo e, mentre il potenziale politico dei partiti cristiani aumentava con
l’ampliamento del suffragio e avrebbe potuto essere significativo, come ha
dimostrato la storia europea dal 1945 in poi, la Chiesa non appoggiò uffi-
cialmente la formazione dei partiti politici cattolici. I rappresentanti della
Chiesa o sostenevano partiti conservatori di vario tipo, oppure mantene-
vano buoni rapporti con i movimenti nazionalisti non contagiati dal virus
del laicismo liberale.17
I salesiani non parteciparono al dibattito scientifico e alle polemiche
con il modernismo, anche se negli scritti della prima generazione si tro-
vano alcuni riflessi del clima culturale attorno alle tematiche della scuola
cattolica. Generalmente si continuava a seguire la strategia di don Bosco
in una ricerca di soluzioni pratiche per la gestione dei collegi, oratori
e scuole professionali. Più che mentalità di fortezza assediata (che era
parzialmente presente a livello di pensiero) i salesiani vivevano esisten-
zialmente e praticamente un’epopea di espansione mondiale e a livello
di governo centrale affrontavano piuttosto le problematiche di equilibrio
tra la crescita numerica e la necessaria e spesso mancante formazione del
personale.18
15 Cfr. l’enciclica Acerbo Nimis per incrementare l’attività catechistica e il nuovo
catechismo pubblicato nel 1912 detto Catechismo di Pio X.
16 Pio X, Lettera enciclica di S.S. Papa Pio X circa le dottrine moderniste, in Atti
della Santa Sede circa le Dottrine Moderniste, Ex Officina Asceterii Salesiani, Augustae
Taurinorum 1908, 140.
17 Cfr. E.J. Hobsbawm, L’età degli imperi, 133-134.
18 Cfr. J.G. González, Don Rua e i Capitoli Generali da lui presieduti, in Motto (ed.),
Don Michele Rua nella storia, 176-190.

3.6 Page 26

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 25
1.1.3. Identità ed evoluzioni della scuola salesiana
Nel passaggio fra i due secoli gli sviluppi delle scuole salesiane sono
collegati con la persona di don Francesco Cerruti, consigliere scolastico
della Congregazione dal 1885 fino al 1917, che fu definito alla fine del
suo servizio come «il vero sistematore delle scuole e degli studi della Pia
Società Salesiana».19 Il contesto specifico dell’Italia ha portato don Cerruti
al rafforzamento della scelta preferenziale per l’educazione classico-uma-
nistica all’interno degli istituti salesiani. Era una scelta motivata soprat-
tutto dalla volontà di essere fedeli agli insegnamenti di don Bosco. Tale
atteggiamento è confermato da questo passo del suo Ricordino educativo-
didattico:
«Ogni giorno, che passa, mi persuado ognor più della necessità, che per noi è
dovere, di stare attaccatissimi, mordicus, agli insegnamenti di don Bosco, anche
in fatto d’istruzione e di educazione e da questi insegnamenti non dipartirci mai,
neppure d’un punto, nec transversum quidem unguem. Lungi da noi i novatori.20
Un altro motivo, non meno importante e in linea con la pedagogia di
Allievo, era di vedere l’educazione nella scuola come una formazione allo
stesso tempo religioso-morale e scientifico-letteraria, per non dividere l’a-
spetto umano e quello cristiano dell’educazione. Chi li separa, secondo don
Cerruti, non educa, ma guasta; non edifica, ma distrugge; non esercita,
ma tradisce la sua missione. Nelle sue lettere circolari egli è attento sia ai
problemi legati alla qualità dell’insegnamento delle lingue, sia all’aspetto
cristiano e salesiano dell’educazione.
L’ultimo motivo di questa scelta preferenziale umanistica era legato alla
specificità della tradizione e del “genio” italiano, i quali erano più in ar-
monia con la scuola classica, che con la scuola tecnica. L’opposizione tra il
mondo tecnico-moderno e quello classico-tradizionale durante il pontifica-
to di Pio X si evidenziò proprio nel dibattito sulla scuola tecnica. Nel Capi-
tolo generale del 1907 si discusse vivacemente il tema e la conclusione fu:
«Si concede in via eccezionale l’apertura di convitti-pensionati per scuole
tecniche – i singoli casi però debbono essere sottoposti al Capitolo [da in-
tendere “Consiglio”] superiore che li esaminerà volta per volta».21 Nel 1911
esistevano già una decina di scuole tecniche salesiane in Italia. In contrasto
19 A. Luchelli, Don Francesco Cerruti consigliere scolastico generale della Pia So-
cietà Salesiana, SAID Buona Stampa, Torino 1917, 22.
20 F. Cerruti, Un ricordino educativo-didattico, SAID Buona Stampa, Torino 1910, 7.
21 Verbali (11 novembre 1907), in ASC D270.

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26 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
con questo sviluppo, il Capitolo generale adottò allora una posizione più
rigida che avrebbe suscitato opposizione: «In ossequio al volere del vene-
rabile don Bosco e del compianto don Rua – contrarii all’introduzione delle
scuole tecniche interne nei nostri collegi – gli attuali superiori confermano
il principio e dichiarano che anch’essi non intendono ammettere il tecnico
interno».22 La discussione andò avanti e si concessero alcune eccezioni, ma
generalmente l’istruzione tecnica non fu considerata propria del carisma
salesiano. La riforma scolastica del neoidealista Giovanni Gentile nel 1923
rafforzò ulteriormente questa impostazione delle scuole salesiane.23
Nei paesi dell’America latina la situazione era diversa. Il positivismo
appare essere penetrato nelle classi dirigenti della società in un modo più
forte. I científicos erano considerati i nuovi profeti del progresso di una so-
cietà arretrata che ruotava attorno alle dinamiche dell’agricoltura. Il primo
istituto con educazione scientifica fu il Colegio Pío nato nel 1877 a Villa
Colón in Uruguay sotto la direzione di don Luigi Lasagna. Oltre al piano
di studi, che integrava le scienze naturali con la letteratura, la morale e la
religione, Lasagna aprì all’interno dell’istituto laboratori, musei di biologia
e di geologia, un osservatorio meteorologico, astronomico, sismico e ma-
gnetico, primo nell’intero Paese.24
Anche in Brasile i salesiani seppero venire incontro alle esigenze della
società nella costruzione di una repubblica che voleva essere moderna,
ordinata e “progressista”. All’interno delle scuole salesiane si offriva un’e-
ducazione religiosa, morale, letteraria, scientifica, artistica e civica (con
l’integrazione dell’istruzione militare). La loro proposta educativa era va-
lutata positivamente dai rappresentanti della repubblica e anche la Santa
Sede sperava nella collaborazione tra governo e Congregazione per la co-
struzione di una nuova cristianità nello Stato brasiliano.25
La collaborazione con le autorità statali non era ovviamente senza peri-
22 Verbali (3 e 4 maggio 1911), in ASC D270.
23 J.M. Prellezo, Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922.
Approccio ai documenti, in «Ricerche Storiche Salesiane» 23 (2004) 44, 128-130.
24 Cfr. S. Boix - F. Lezama, Las ciencias en la propuesta educativa del Colegio Pío
de Villa Colón (Uruguay) entre 1877 y 1895, en el marco del debate Iglesia-positivismo,
in J.G. González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922, vol. 2, 361-384.
Interessante è notare lo scontro di due “culture scolastiche”. Lasagna scrive che «i gio-
vanetti di 11 o 12 anni già sono avanzati alle equazioni, ai logaritmi ecc., tutte cose che
nessuno di noi sa né spiegare né proseguire», in A. da Silva Ferreira (ed.), Mons. Luis
Lasagna. Epistolario, vol. 1: (1873-1882), LAS, Roma 1995, 113.
25 Cfr. R. Azzi, A educação salesiana na emergência da burguesia brasileira, in J.G.
González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922, vol. 2, 121-143.

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 27
coli. In alcune ispettorie i salesiani riuscirono ad ottenere sussidi per l’an-
damento delle scuole. Il Belgio salesiano fu il primo paese ad usufruirne
per i propri collegi di Liège, Tournai e Gand a partire dal 1896. Il ricono-
scimento dei titoli ed i requisiti per i sussidi statali implicavano però un’e-
ventuale ispezione e creavano una reale influenza dello Stato sulla scuola
salesiana. I salesiani belgi, stipendiati dallo Stato, erano preparati nelle
materie specifiche, ma la formazione tipicamente salesiana non era siste-
matizzata.26
1.1.4. Seconda rivoluzione industriale degli ultimi decenni dell’Ottocento
Alla fine dell’Ottocento il sistema economico subì trasformazioni pro-
fonde con implicazioni sociali tali che si può parlare di una seconda rivolu-
zione industriale. Grazie alle invenzioni tecnologiche nacquero nuovi settori
dell’industria, cambiarono i rapporti tra il potere dello Stato e la gestione
delle imprese originando una nuova fisionomia dell’economia mondiale. La
scienza della seconda metà dell’Ottocento fece molte scoperte nel campo
della fisica e della chimica, che furono alla base dello sviluppo industriale
dell’epoca. La vera novità fu però un nuovo tipo di rapporto tra scienza, tec-
nica e produzione. Ingegneri e scienziati assunsero anche il ruolo di titolari
delle imprese, mettendo a disposizione le loro scoperte. Nomi come Edison,
Siemens, Bell, Dunlop e Bayer divennero le icone del periodo.
I progressi della medicina assieme ai successi dell’industria alimentare,
che liberarono i paesi più sviluppati dall’incubo delle carestie, ebbero come
effetto un boom demografico. In Europa la vita media passò dai 35 anni
della metà del secolo a 50 anni alla fine dell’Ottocento. La popolazione del
vecchio continente aumentò nella seconda metà dell’Ottocento del 60%,
senza contare i 30 milioni di emigrati trasferitisi in America. Nello stesso
tempo la crescita demografica delle nazioni non ancora industrializzate,
nonostante l’alto tasso di mortalità, era tra il 20 e il 30%.27 Conseguen-
temente crebbe anche il numero delle metropoli, ma l’urbanizzazione si
fece vedere soprattutto nella proliferazione di grandi e medi centri urbani
attorno ai centri industriali: «Possiamo definire il mondo “avanzato” come
26 Cfr. H. Delacroix, Cent ans d’école salesienne en Belgique, in «Ricerche Storiche
Salesiane» 9 (1990) 16, 23-24.
27 Cfr. G. Sabatucci - V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Laterza,
Roma-Bari 2005, 107-116.

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28 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
un mondo in via di rapida urbanizzazione, e addirittura, nei casi estremi,
come un mondo “cittadino”, senza precedenti».28 In questo contesto cam-
biarono anche i destinatari preferenziali, i concetti e i metodi dell’educa-
zione salesiana “dei figli del popolo”.
Basandosi su considerazioni insieme umanitarie e utilitaristiche, come
il mantenimento della pace sociale, lo Stato si preoccupò di attuare servizi
sociali maggiormente diffusi e per tutti. Servizi come l’assicurazione con-
tro gli infortuni, la previdenza per la vecchiaia e i sussidi per i disoccupati
si diffusero a partire dalla Germania bismarckiana degli anni Ottanta. Si
stabilirono norme e controlli, ancorché non sempre efficaci, per la sicurez-
za e l’igiene nelle fabbriche, per eliminare il lavoro minorile, stabilire il
riposo settimanale e un orario giornaliero con una durata attorno alle dieci
ore lavorative.29
L’America latina è la parte del mondo che subì maggiormente dapprima
la colonizzazione e successivamente la massiccia immigrazione dall’Euro-
pa. Anche se la maggior parte dei paesi conquistò l’indipendenza all’inizio
dell’Ottocento, rimaneva sempre un forte influsso del cosiddetto Primo
mondo. Tuttavia si può affermare che il periodo compreso tra il 1880 e il
1914 rappresenta uno dei pochi periodi di stabilità politica della storia lati-
noamericana contemporanea, stabilità dovuta essenzialmente al fatto che
la classe dominante, l’oligarchia, dominava incontrastata.30
1.1.5. La Rerum Novarum e la crescente sensibilità sociale dei salesiani
L’autoconsapevolezza delle masse iniziò a farsi sentire nell’Europa del
Settecento, crebbe durante tutto il secolo successivo e culminò negli avve-
nimenti esplosivi del ventesimo secolo. All’incremento di questo fenome-
no contribuirono tre forti elementi interdipendenti: l’alfabetizzazione, la
rivoluzione industriale, l’urbanizzazione. Ci furono significativi cambia-
menti in campo economico, sociale e politico direttamente attribuibili alla
sempre più marcata presenza delle masse popolari sulla scena della vita
pubblica. L’emergere della “questione sociale” venne considerata anche
dalla Chiesa sotto una nuova luce, pertanto nella Rerum Novarum del 1891
28 Hobsbawm, L’età degli imperi, 30.
29 Cfr. Flores, Il XX secolo, 101.
30 Cfr. A. Gutiérrez, Contexto historico de Latinoamérica (1880-1922), in Motto
(ed.), L’Opera Salesiana dal 1880 al 1922, vol. 1, 53-70; D. Pompejano, Storia dell’Ame-
rica Latina, Mondadori, Milano 2012.

3.10 Page 30

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 29
Leone XIII auspicò per i cristiani il passaggio dall’azione caritativa ad un
più incisivo impegno sociale.31 Su posizioni nettamente differenti si collo-
carono i partiti socialisti, tra i quali il Partito Socialista Italiano, fondato
a Genova nel 1892, che si caratterizzava in Italia come la prima grande
organizzazione con lo scopo di rappresentare gli interessi dei proletari in
campo politico.
Il mutato contesto spinse anche diversi salesiani ad occuparsi dei temi
sociali ed economici.32 Menzioniamo soprattutto alcuni scritti di personaggi
significativi che lavoravano nella formazione dei giovani confratelli e che
contribuirono così a creare una nuova mentalità. Il consigliere scolastico don
Francesco Cerruti allargò le sue vedute aprendosi alla considerazione delle
questioni sociali sotto l’influsso di Giuseppe Toniolo, ordinario di economia
politica nell’Università di Pisa. Nel 1893 Cerruti pubblicò De’ principii pe-
dagogico-sociali di S. Tommaso e cinque anni più tardi un volume destinato
ai giovani salesiani con il titolo Nozioni elementari di morale e d’economia
politica.33 Attorno al cambio del secolo, don Carlo Maria Baratta, chiamato
ad insegnare sociologia ai giovani chierici di Foglizzo, pubblicò La libertà
dell’operaio e i Principii di sociologia cristiana.34 Baratta si muove attorno
alle teorie dell’agronomo Stanislao Solari, il quale auspica un ritorno ai cam-
pi con una nuova agricoltura razionale in una circolarità di interazioni tra
le classi sociali degli agricoltori, degli artigiani e dei proprietari terrieri. Un
ultimo esponente che influì sui giovani salesiani attraverso l’insegnamento
della morale fu don Luigi Piscetta, con i quattro volumi dei Theologiae mo-
ralis elementa. Specialmente nel terzo volume, che tratta le questioni della
giustizia, l’autore si appoggia non solo su san Tommaso, ma riflette le argo-
mentazioni della Rerum Novarum circa le posizioni socialiste, la proprietà
privata, il salario giusto e il lavoro delle donne.35
31 Cfr. G. Chiosso, Profilo storico della pedagogia cristiana, La Scuola, Brescia
2004, 89.
32 Cfr. J.M. Prellezo, La risposta salesiana alla “Rerum Novarum”. Approccio a do-
cumenti e iniziative (1891-1910), in A. Martinelli - G. Cherubini (eds.), Educazione alla
fede e dottrina sociale della Chiesa. Atti XV Settimana di Spiritualità per la Famiglia
Salesiana, SDB, Roma 1992, 39-91.
33 Cfr. F. Cerruti, De’ principii pedagogico-sociali di S. Tommaso, Tipografia Sale-
siana, Torino 1893; F. Cerruti, Nozioni elementari di morale e d’economia politica, Tip.
e Libreria Salesiana, Torino 1898.
34 Cfr. M. Baratta, La libertà dell’operaio, Fiaccadori, Parma 1898; Id., Principii di
sociologia cristiana, Fiaccadori, Parma 1902.
35 Cfr. L. Piscetta, Theologiae moralis elementa, vol. 3, Ex Officina Salesiana, Au-
gustae Taurinorum 1902.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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30 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
Le pubblicazioni salesiane, similmente alla sociologia cattolica del tem-
po, si collocano in un contesto di polemica contro i positivisti e i socialisti,
in uno sforzo di identificare chiavi di elaborazione intellettuale-filosofica
in grado di offrire risposte diverse da quelle di tipo materialistico, analo-
ghe nella credibilità scientifica ma alternative sotto il profilo dei contenuti.
Complessivamente si adottava una logica deduttiva sostanzialmente nor-
mativa, connotata da una forte attitudine precettiva. Le pubblicazioni, in
seguito alla Rerum Novarum, cercavano di essere una «scienza del “dover
essere”, i cui interessi si indirizzavano primariamente al “fine”, poi alle
“cause” e solo da ultimo ai “fatti”».36 Esse si presentavano complessiva-
mente come considerazioni fondate disciplinarmente sull’etica, orientate
in prospettiva teleologica (ovviamente ultramondana, a differenza del po-
sitivismo) con applicazioni utilizzabili in chiave pastorale ed esortativa.
Una lettura tipica può essere esemplificata dal discorso di Pietro Ricaldo-
ne, consigliere per le scuole professionali, intitolato Noi e la classe operaia.
Le sue chiavi di lettura, che rimarranno valide per interpretare il suo agire
come rettor maggiore, ruotano attorno alla causa fondamentale di tutti i
mali che è l’allontanamento delle masse da Dio. Il rimedio era lo sforzo
educativo per l’elevazione della mente, della cultura generale, della tecnica
professionale e del senso artistico.37
1.1.6. La nascita delle scuole professionali e agricole salesiane
Agli inizi degli anni Ottanta dell’Ottocento cominciò un cambiamento
significativo dai laboratori d’arti e mestieri alle scuole professionali sale-
siane. Le ragioni sono sostanzialmente tre: lo sviluppo industriale esigeva
lavoratori competenti e così la categoria della scuola professionale comin-
cia a far parte dei programmi dei partiti politici; le implicazioni delle nuo-
ve leggi sull’istruzione professionale richiedevano cambiamenti (in Italia
la legge del 1878 e in Francia del 1880) e, infine, ma non per ultimo in or-
36 M.M. Burgalassi, Itinerari di una scienza. La sociologia in Italia tra Otto e Nove-
cento, FrancoAngeli, Milano 1996, 122; Nel brano citato il sociologo Marco Burgalassi
include anche il salesiano don Baratta tra gli esponenti della sociologia cattolica. Cfr.
valutazioni simili in M. Wirth, Orientamenti e strategie di impegno sociale dei salesiani
di don Bosco (1880-1922), in Motto (ed.), L’Opera Salesiana dal 1880 al 1922, vol. 1,
83-84.
37 Cfr. P. Ricaldone, Noi e la classe operaia, Scuola tipografica salesiana, Bologna
1917, 24.

4.2 Page 32

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 31
dine di importanza, le esigenze delle sezioni degli artigiani in diverse case
richiedevano una ristrutturazione.38 Prima del secondo Capitolo generale
del 1880, i responsabili della sezione artigiani di Valdocco inviarono ai
capitolari un progetto che parlava dell’opportunità di introdurre una scuola
per tutti gli artigiani senza distinzioni di età, capacità, condizione, insieme
al bisogno di avere i maestri per le varie materie. Inoltre si chiedeva un
mutamento dell’orario delle lezioni, perché dalle scuole serali non si traeva
alcun profitto a causa della stanchezza derivante da una giornata piena di
lavoro manuale.39
Dal 1893 in poi la parte operaia degli istituti salesiani fu affidata al
consigliere professionale che doveva introdurre i necessari miglioramenti.
Si era infatti evidenziato uno scarso profitto educativo, le cui cause erano
da ricercarsi in: la mancanza di capi del mestiere con qualità cristiane, la
scarsità di lavoro nel quale esercitarsi e infine la carenza d’istruzione e di
prudenti assistenti, in quanto la sezione studenti attirava naturalmente i
chierici, mentre gli artigiani rimanevano abbandonati.
Nel Capitolo del 1886 si giunse a importanti deliberazioni che defini-
rono un triplice indirizzo da dare ai giovani apprendisti: religioso-morale,
intellettuale e professionale. La durata del tirocinio di apprendistato fu
fissata a cinque anni, classificando gli artigiani in sezioni. Al Consiglio
generale venne affidato il compito di elaborare un programma scolastico
e, anche se il Capitolo prese delle decisioni, i processi di cambiamento da
laboratori a scuole professionali fu abbastanza lento. Solo nel 1898 il nuovo
consigliere professionale generale, don Giuseppe Bertello, avviò i primi
passi per la trasformazione dai laboratori, legati solo alla professionalità
lavorativa, alle scuole professionali, intese come luoghi per educare e for-
mare buoni e competenti operai. Il documento di base vide la luce nel 1903
e fu intitolato Programma scolastico per le scuole di artigiani della Pia
Società Salesiana.
A tutto ciò si aggiunse l’influsso del “Cenacolo Parmense” formatosi
attorno a don Baratta, il quale, insieme con Stanislao Solari, valorizzando
le possibilità aperte da elargizioni di terreno ai salesiani in Europa e in
America, influì sulla “svolta agricola” nel pensiero di don Rua nei primi
anni del Novecento. Le scuole agricole cominciarono a crescere in nu-
38 Cfr. J.M. Prellezo, La «parte operaia» nelle case salesiane. Documenti e testimo-
nianze sulla formazione professionale (1883-1886), in «Ricerche Storiche Salesiane» 16
(1997) 31, 357.
39 Cfr. Prellezo, Le scuole professionali salesiane, 54-55.

4.3 Page 33

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32 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
mero e nelle pagine del “Bollettino Salesiano” si fecero più frequenti le
tematiche riguardanti l’agricoltura. Don Rua vedeva le scuole agricole in
controtendenza rispetto allo spopolamento delle campagne, con la finalità
di un ritorno alla vita contadina e di una conseguente ricristianizzazione
della società.40
Una spinta significativa per il cambio di mentalità era connessa con la
legge Carcano del 1902 sul lavoro delle donne e dei minorenni negli sta-
bilimenti e nei laboratori industriali. Una regola fondamentale era che per
i ragazzi di età inferiore ai quindici anni si doveva prevedere nell’orario
giornaliero un tempo per la scuola uguale o maggiore a quello del lavo-
ro, un equilibrio non ancora praticato all’interno degli istituti salesiani.41
Un altro strumento della promozione delle scuole professionali si ebbe nel
1901 a Valsalice con la prima “Esposizione triennale delle scuole profes-
sionali e delle colonie agricole della Pia Società di S. Francesco di Sales”.
Lo scopo era di presentare un quadro di quanto si stava facendo nei molte-
plici istituti per il bene della gioventù operaia e far vedere i prodotti degli
artigiani stessi. La seconda esposizione nel 1904 e la successiva nel 1910
testimoniavano una presenza ancora maggiore delle scuole professiona-
li salesiane. È interessante lo spostamento di toni nelle valutazioni delle
esposizioni successive: da una lettura prevalentemente celebrativa della
seconda edizione a una lettura più critica con finalità di miglioramento da
parte del nuovo consigliere professionale don Pietro Ricaldone del 1910.42
1.1.7. Altre opere nel sociale: oratori, asili d’infanzia e convitti per le operaie
Pietro Braido nota come l’oratorio salesiano in questo periodo si sia
adattato alla situazione italiana di un Paese «che da rurale si volgeva con
crescente accelerazione verso l’industria, con il conseguente urbanesimo
e la dislocazione, spesso traumatica, dei giovani, maschi e femmine, dai
campi alle fabbriche».43 La situazione dei quartieri popolari, la questione
40 Cfr. Lettera del R.mo D. Michele Rua ai Cooperatori ed alle Cooperatrici Salesia-
ne, in «Bollettino Salesiano» 26 (1902) 1, 6-7.
41 Cfr. Prellezo, Le scuole professionali salesiane, 63-65; P. Bairati, Cultura sale-
siana e società industriale, in F. Traniello (ed.), Don Bosco nella storia della cultura
popolare, SEI, Torino 1987, 343-344.
42 Cfr. Terza esposizione generale delle scuole professionali e agricole della Pia So-
cietà Salesiana, Scuola tipografica salesiana, Torino 1912.
43 P. Braido, Per una storia dell’educazione giovanile nell’oratorio dell’Italia con-
temporanea. L’esperienza salesiana, LAS, Roma 2018, 74.

4.4 Page 34

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 33
operaia e gli stimoli della Rerum Novarum creavano negli oratori salesiani
un’attenzione al sociale con diverse implicazioni. L’allargamento della pro-
spettiva educativa oratoriana è notevole e si è creata una convergenza più
forte attorno al fine educativo della “preparazione dei giovani alla vita”.
Con questa formulazione si intendeva una preparazione non solo religiosa
e morale ma l’assistenza nell’inserimento lavorativo e sociale. L’apertura
dell’oratorio alla dimensione sociale si esprimeva con una vasta gamma
di proposte, implicava lo studio della sociologia e alla fine contribuì all’al-
largamento della fascia d’età dei destinatari, per prevenire il loro esodo
dall’oratorio negli anni più importanti per il loro futuro.
Oltre alle proposte dei Capitoli generali e alle linee pedagogiche di don
Rua, che analizzeremo in questo e nel prossimo capitolo, si può vedere un
incremento di attenzione generale, un impegno sociale dei cattolici e la
focalizzazione degli sforzi verso l’allargamento delle intuizioni oratoria-
ne.44 I numeri del “Bollettino Salesiano” degli anni 1918-1919 sono una
testimonianza interessante degli sviluppi dell’oratorio in un momento di
ripresa postbellica. Si introduce la rubrica oratoriana denominata “Per l’e-
ducazione dei figli del popolo” che riferiva le esperienze degli oratori. Il
Bollettino presenta anche le attività dell’oratorio modello di Valdocco, il
quale prevede per i più grandi l’iniziazione alla vita cristiana attiva e all’a-
postolato religioso-sociale, facendo dell’oratorio una «palestra educativo-
religioso-sociale e […] un campo sperimentale per le prime prove di vita».45
Nel contesto della polemica con gli altri indirizzi di pensiero, il Bollettino
suggerisce opere di indirizzo economico-sociale-culturale a integrazione
della consueta azione oratoriana, analoghe a quelle attivate dai “Circoli ed
Istituzioni anticristiane”:
Circoli di cultura; conversazioni sociali; scuole professionali; segretariati del
lavoro; l’ufficio d’iscrizione alle casse di previdenza; assicurazioni operaie po-
polari; conferenze d’igiene professionale; istruzioni sulla legislazione del lavoro;
iniziazione alle Conferenze di S. Vincenzo; preparazione a inserirsi nei circoli
militari; assistenza dei giovani operai emigranti.46
Le FMA affrontano i cambiamenti provocati dall’industrializzazione con
l’evoluzione della loro opera tipica, l’asilo d’infanzia. La transizione dalla fa-
44 Cfr. Ibid., 49-126.
45 Per l’educazione cristiana dei figli del popolo. L’anno catechistico 1917-18 nel l°
Oratorio festivo di D. Bosco, in «Bollettino Salesiano» 42 (1918) 12, 242.
46 Per le adunanze mensili. Sosteniamo e moltiplichiamo gli Oratori Festivi, in «Bol-
lettino Salesiano» 42 (1918) 2, 22.

4.5 Page 35

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34 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
miglia patriarcale rurale alle forme più moderne legate piuttosto alla vita in
città e il lavoro delle donne nelle fabbriche cambiano le dinamiche educative
nelle famiglie. Qui si inseriscono le opere dell’educazione dell’infanzia che
oltrepassano i semplici asili, pensati nella prima metà dell’Ottocento come
strutture di “ricovero” e di assistenza dei bambini delle famiglie più biso-
gnose.47 Nel periodo a cavallo tra i due secoli si passa alla denominazione di
“scuola infantile” che accentua la dimensione di istruzione.
L’orientamento pedagogico e pratico per la gestione degli asili viene of-
ferto attraverso il Regolamento-Programma per gli Asili d’infanzia scritto
dalle FMA, rivisto da don Francesco Cerruti e pubblicato nel 1885.48 Le
linee pedagogiche che orientano la pratica educativa delle maestre giar-
diniere nell’asilo infantile sono ripartite, seguendo Aporti, in due grandi
aree: fisica-intellettuale e morale-religiosa. Il Regolamento è introdotto da
un cenno storico sugli asili in Italia scritto da Cerruti, che valorizza i con-
tributi di Aporti e Fröbel, integrandoli e dando una importanza maggiore
alla parte religiosa. Si prende chiara distanza, almeno teorica, da ogni pre-
cocismo o scolasticismo, ricordando la natura del bambino incapace di ap-
plicarsi per lungo tempo ad un compito, e quindi si auspica che nella gior-
nata si alternino le attività con gli esercizi ginnici, il canto e la preghiera,
prendendo le mosse dall’età e dalle capacità dei bambini. Comunque nello
scritto si può notare la tensione tra la tradizione salesiana e lo scolastici-
smo che implica alcuni irrigidimenti disciplinari.49 Nel Regolamento per i
Giardini d’infanzia del 1912 si vede invece un’enfasi maggiore dato all’im-
postazione fröbeliana, adottata anche nel corso per le maestre giardiniere a
Nizza Monferrato a partire dal 1906. Gli sviluppi pedagogici nei trent’anni
che intercorrono tra i due regolamenti si riflettono in un’impostazione che
accentua il ruolo dell’intrattenimento piacevole e una divisione più parti-
colarizzata dei ruoli educativi: direttrice dell’asilo, maestre, sottomaestre
e inservienti.50
47 Cfr. ad es. T. Faletti di Barolo, Sull’educazione della prima infanzia nella classe
indigente. Brevi cenni dedicati alle persone caritatevoli, Chirio e Mina, Torino 1832.
48 Cfr. Regolamento-Programma per gli Asili d’infanzia delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice, Tip. e Libreria Salesiana, S. Benigno Canavese 1885. Cfr. anche P. Cavaglià, Il
primo regolamento degli Asili infantili istituiti dalle Figlie di Maria Ausiliatrice (1885),
in «Rivista di Scienze dell’Educazione» 35 (1997) 1, 23-25.
49 Cfr. P. Ruffinatto, L’educazione dell’infanzia nell’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice tra il 1885 e il 1922. Orientamenti generali a partire dai regolamenti, in
González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922, vol. 1, 149-153.
50 Cfr. Regolamenti e Programmi per gli Oratori festivi e per i giardini d’infanzia, Tip.
Silvestrelli e Cappelletto, Torino 1912; P. Ruffinatto, L’educazione dell’infanzia, 156-159.

4.6 Page 36

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 35
Il processo della progressiva industrializzazione richiedeva anche mano
d’opera femminile e spingeva ragazze appena adolescenti a spostarsi verso
le grandi fabbriche, venendosi così a trovare in situazioni a rischio. Le
FMA intercettavano il bisogno delle giovani che spesso erano costrette a
vivere in ambienti poco sicuri sia dal punto di vista della prevenzione degli
infortuni, sia dal punto di vista morale. Il primo convitto per operaie fu
aperto nel 1897 presso Cannero sul lago Maggiore e progressivamente il
loro numero crebbe, raggiungendo diciannove case nel 1908 e aumentando
negli anni successivi.51 Il convitto si presentò loro come una famiglia nella
quale trovare aiuto, comprensione e formazione religiosa in un contesto di
dieci o più ore di lavoro, disciplina rigida e scarso salario. In alcuni con-
vitti, annessi a grandi stabilimenti, con centinaia di convittrici, le suore
ebbero anche il compito dell’assistenza sul lavoro.52
L’apertura di queste opere è quindi sostenuta da una finalità educativa e
non solo assistenziale e si rivela particolarmente opportuna per sostenere,
orientare e formare le giovani in questo delicato trapasso sociale. Infatti,
nel Regolamento per i Convitti edito nel 1913 si puntualizza che l’accet-
tazione di queste opere deve essere subordinata all’effettiva possibilità di
perseguire finalità educative e non solo assistenziali, e cioè la formazione
religiosa e morale che consente di preparare «ottime figlie di famiglia, one-
ste e coscienziose operaie, degne e onorate cittadine».53
1.2. Linee pedagogiche dei superiori in un tempo di forte espansione
La successione a don Bosco, l’evoluzione del contesto e le dinamiche di
precipitoso sviluppo della Congregazione salesiana sono tre elementi che
influirono fortemente sulle linee di governo di don Michele Rua. La lunga
collaborazione con don Bosco, in quanto suo vicario, il fascino del fonda-
tore ed educatore della prima generazione dei salesiani e la vivacità dei
ricordi predisposero la linea principale del governo della Congregazione e
della pedagogia salesiana: la fedeltà a don Bosco. Le sfide del contesto me-
diterraneo e latinoamericano, i due centri dell’azione educativa salesiana,
51 Cfr. Rosanna, Estensione e tipologia delle opere delle FMA (1872-1922), 170.
52 Cfr. G. Loparco, L’apporto educativo delle Figlie di Maria Ausiliatrice negli edu-
candati tra ideali e realizzazioni (1878-1922), in González et al. (eds.), L’educazione
salesiana dal 1880 al 1922, vol. 1, 161-191.
53 Regolamenti pei Convitti diretti dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, Tip. Silvestrelli
e Cappelletto, Torino 1913, 3-4.

4.7 Page 37

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36 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
ebbero un’importanza secondaria nella configurazione delle idee pedago-
giche, anche se non si può dire lo stesso per le scelte educative pratiche nel
periodo di passaggio tra l’Otto e il Novecento.
1.2.1. Michele Rua e la fedeltà creativa al sistema preventivo di don Bosco
Dopo la scomparsa di don Bosco, l’atmosfera tra i salesiani della prima
generazione fu ben espressa dal cardinale Alimonda nella predica di tri-
gesima: «Lo vedrò pertanto con più di rispetto che non prima, ma sempre
col medesimo affetto tenero, sempre col medesimo cuore innamorato».54 Il
forte rapporto tra don Rua e don Bosco e la condivisione di vita a Valdocco
per decenni predeterminò Rua a sforzarsi di essere un altro don Bosco e
a guidare la Congregazione possibilmente nella stessa direzione. Per mesi
egli fece radunare il Consiglio superiore nella stessa camera dove don Bo-
sco aveva vissuto i suoi ultimi momenti e tra i primi temi trattati ci fu l’in-
troduzione della causa di beatificazione del fondatore. Nella prima lettera
da rettor maggiore don Rua esplicita il suo programma:
Noi dobbiamo stimarci ben fortunati di essere figli di un tal Padre. Perciò
nostra sollecitudine dev’essere di sostenere e a suo tempo sviluppare ognora più
le opere da lui iniziate, seguire fedelmente i metodi da lui praticati ed insegnati,
e nel nostro modo di parlare e di operare cercare di imitare il modello che il Si-
gnore nella sua bontà ci ha in lui somministrato. Questo, o figli carissimi, sarà il
programma che io seguirò nella mia carica; questo pure sia la mira e lo studio di
ciascuno dei salesiani.55
La fusione tra aspetti pedagogici, educativi e spirituali era fortemente pre-
sente nelle prime generazioni dei salesiani, in quanto fu trasmessa e assimi-
lata dall’esperienza e dal contatto diretto con don Bosco in una formazione
di tipo “osmotico”, seppure scarsamente elaborata a livello di pensiero.56 Il
modello della formazione attraverso la condivisione di vita aveva il vantag-
54 Giovanni Bosco e il suo secolo. Ai funerali di trigesima nella chiesa di Maria
Ausiliatrice in Torino il 1° marzo 1888. Discorso del cardinale arcivescovo Gaetano
Alimonda, Tipografia Salesiana, Torino 1888, 6.
55 M. Rua, Prima lettera del Nuovo Rettor Maggiore. Circolare del 19 marzo 1888,
in Lettere Circolari di don Michele Rua ai salesiani, Scuola tipografica don Bosco, San
Benigno Canavese 1940, 18.
56 Cfr. P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. 2: Mentalità
religiosa e spiritualità, LAS, Roma 1981, 470-474; P. Braido, Don Bosco prete dei gio-
vani nel secolo delle libertà, vol. 2, LAS, Roma 2003, 233-271.

4.8 Page 38

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 37
gio di non differenziare la “cristiana educazione della gioventù”57 in diverse
dimensioni, aree o metodologie che hanno poi la tendenza a essere separate
o contrapposte. L’educazione era un insieme vitale trasmesso esperienzial-
mente e comunicato attraverso una narrazione vivace ed ottimista nel conte-
sto della crescita esponenziale della Congregazione.
Oltre al vantaggio dell’integralità dell’esperienza di vita condivisa con
don Bosco, ci sono però diverse difficoltà e trappole insite in quest’approc-
cio esperienziale alla tradizione educativa salesiana. Esse sono facilmente
immaginabili ed erano percepite anche da alcune personalità di governo
della prima generazione salesiana. Il primo limite era la mancanza di un
riferimento testuale sicuro, sia per la formazione dei nuovi salesiani che
per le situazioni di difficoltà educative inedite.
Un secondo limite era la tendenza alla ripetizione acritica delle tradi-
zioni tramandate per osmosi, senza distinguere adeguatamente gli elemen-
ti fondamentali da quelli secondari legati alle particolarità delle situazio-
ni e dei temperamenti. Calogero Gusmano, il quale accompagnò il primo
visitatore straordinario Paolo Albera in America latina nei primi anni del
Novecento, riassume bene questa mentalità affermando: «Molte volte per
decidere una questione anche minima, si dice: “All’Oratorio si fa così” e
questo basta per troncare ogni ulteriore discussione».58
I limiti della pratica di imitare Valdocco non si avvertivano ancora per
una serie di ragioni. Da un lato c’erano i tanti salesiani che ricordavano e
potevano interpretare da diversi punti di vista la loro esperienza di vita con
don Bosco. Dall’altro i diversi interventi di governo di don Rua attestano
che la fedeltà a don Bosco non era per lui una questione di ripetitività, ma
si trattava di fedeltà ad un modello che lui stesso aveva visto evolversi. La
quarantina d’anni di vita in forte contatto con don Bosco e la mancanza di
un “trattato definitivo” di pedagogia salesiana con disposizioni particolari
per ogni situazione furono le coordinate che avrebbero spinto la scelta del-
la fedeltà ad integrarsi con il polo necessario della creatività. La scelta di
57 Il termine “cristiana educazione della gioventù” è di don Bosco ed è un concetto
integrale che riassume la catechesi, l’educazione morale, preparazione letteraria e pro-
fessionale, pratica di volontariato, educazione artistica ed espressiva, ecc. in una tradi-
zionale visione cristiana della realtà e della società. Cfr. P. Braido, Il progetto operativo
di Don Bosco e l’utopia della società cristiana, LAS, Roma 1982; A. Giraudo, Educa-
zione e religione nel sistema preventivo di don Bosco, in A. Bozzolo - R. Carelli (eds.),
Evangelizzazione e educazione, LAS, Roma 2011, 271-274.
58 C. Gusmano, Lettera a D. Barberis (20 settembre 1900), in P. Albera - C. Gusma-
no, Lettere a don Giulio Barberis durante la loro visita alle case d’America (1900-1903).
Introduzione, testo critico e note a cura di Brenno Casali, LAS, Roma 2000, 84.

4.9 Page 39

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38 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
essere fedele a un modello, che è in sé innovativo e flessibile, in un modo
creativo – conoscendo la diversità del proprio carattere, delle proprie con-
vinzioni e delle situazioni inedite da affrontare – favorì i presupposti di un
equilibrio importante ma non facile da mantenere. Oltre ad alcuni cambia-
menti imposti dalla Santa Sede, nella gestione dei quali non si poteva man-
tenere un atteggiamento di fedeltà creativa ma solo quello di obbedienza,59
si doveva fare i conti con le difficoltà portate dalle dinamiche di una forte
crescita ed espansione geografica della Congregazione.
Nei 22 anni del rettorato di don Rua il numero dei confratelli crebbe da
poco meno di 800 a più di 4000, il numero delle case si moltiplicò sei volte,
con la conseguente moltiplicazione delle ispettorie, che passarono da 6 a
34. Un periodo di crescita così intensa, con i debiti lasciati da don Bosco
e le offerte diminuite,60 con una formazione che via via non poteva essere
più osmotica come nei primi tempi ma era ancora poco regolarizzata,61
contestualizzò e relativizzò allo stesso tempo l’insistenza di don Rua sulla
fedeltà alla tradizione contro ogni “prurito di riforma”. Dal punto di vista
della novità del contesto educativo che pone nuove domande sono interes-
santi le aperture di nuove case: nel Medio Oriente connesse alla fusione
con la congregazione di don Belloni;62 nell’Europa Centrale in mezzo alla
polemica sulla vera fedeltà a don Bosco tra don Rua e don Markiewicz;63
negli Stati Uniti con le opere concentratesi quasi esclusivamente attorno
59 Si tratta soprattutto della proibizione ai superiori salesiani di confessare le persone
da loro dipendenti del 1901 e della separazione giuridica e amministrativa dell’Istituto
delle FMA avvenuta dal 1906 in poi. Cfr. M. Canino Zanoletty, Las “pruebas” de D.
Rua. La prohibición al superior salesiano de confesar a sus súbditos, in G. Loparco - S.
Zimniak (eds.), Don Michele Rua primo successore di don Bosco. Tratti di personalità,
governo e opere. Atti del 5° Convegno Internazionale di Storia dell’Opera Salesiana
Torino 28 ottobre - 1 novembre 2009, LAS, Roma 2010, 103-137; G. Loparco, L’autono-
mia delle Figlie di Maria Ausiliatrice nel quadro delle nuove disposizioni canoniche, in
Motto (ed.), Don Michele Rua nella storia (1837-1910), 409-444.
60 Cfr. F. Desramaut, Vita di don Michele Rua, primo successore di don Bosco (1837-
1910). Edizione a cura di Aldo Giraudo, LAS, Roma 2009, 164-165.
61 L’accento maggiore è sulla regolarizzazione dei noviziati, ma le altre fasi formati-
ve sono ancora lontane da un ritmo ordinario, una situazione che richiederà attenzione
successiva di don Rinaldi e di don Ricaldone. Cfr. Deliberazioni del quinto Capitolo
Generale della Pia Società Salesiana tenuto in Valsalice presso Torino nel settembre
1889, Tipografia Salesiana, S. Benigno Canavese 1889, 25.
62 Cfr. P.G. Gianazza, Don Rua e la fondazione salesiana di Alessandria d’Egitto, in
Loparco - Zimniak (eds.), Don Michele Rua primo successore di don Bosco, 805-878.
63 Cfr. S. Zimniak, Salesiani nella Mitteleuropa. Preistoria e storia della provincia
Austro-Ungarica della Società di S. Francesco di Sales (1868 ca.-1919), LAS, Roma
1997, 69-110.

4.10 Page 40

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 39
all’assistenza degli emigrati italiani;64 e nei contesti inediti dell’Asia orien-
tale (India, Macau, Cina).
La grande crescita delle opere in America latina fa vedere anche alcune
esperienze interessanti d’inculturazione con le tribù di Shuar nell’Ecuador,
inizialmente non molto riuscita,65 e con i Bororo nel Mato Grosso del Bra-
sile. L’ultima esperienza menzionata è importante in quanto ci mostra più
chiaramente l’atteggiamento di fedeltà creativa di don Rua. Quando Luigi
Lasagna aprì la missione del Mato Grosso, aveva un vero programma di
azione, fatto in base alle conoscenze che aveva acquisito sulla realtà del-
la regione. Don Rua da parte sua aveva tracciato sagge norme di azione
missionaria nelle sue lettere a don Balzola. Partendo dall’esperienza delle
reducciones nella Terra del Fuoco, egli man mano affrontò diversi temi
come il ruolo del missionario, il lavoro, la salute, l’educazione igienica, la
nudità degli indigeni, la condizione della donna, il matrimonio, l’educazio-
ne religiosa ecc., guardando il contesto amazzonico e adottando una logica
abbastanza flessibile e graduale.66
A quanto sembra, salvo qualche rara eccezione, i direttori delle ridu-
zioni nel Brasile ignoravano tanti dei suoi consigli, in quanto si voleva
che gli indios, passando dalla vita nomade alla vita sedentaria, imparas-
sero a guadagnarsi i mezzi per la propria sussistenza. Nella dinamica
dell’autosufficienza i direttori vennero pressati dal bisogno della soprav-
vivenza e in non pochi casi l’impegno gestionale e lavorativo sostituì
la stessa preoccupazione per l’evangelizzazione ed educazione cristiana
della popolazione.67
64 Cfr. F. Motto, “L’Italia degli Stati Uniti” chiama, don Rua risponde, in Loparco -
Zimniak (eds.), Don Michele Rua primo successore di don Bosco, 993-1011; M. Mendl,
Don Michele Rua e il lavoro salesiano nell’Est degli Stati Uniti 1898-1910, in Ibid, 1013-
1035.
65 J. Bottasso, Los salesianos y la educación de los Shuar 1893-1920. Mirando más
allá de los fracasos y los éxitos, in González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal
1880 al 1922, vol. 2, 237-249.
66 Cfr. A. Ferreira da Silva, La missione salesiana tra gli indigeni del Mato Grosso
nelle lettere di don Michele Rua (1892-1909), in «Ricerche Storiche Salesiane» 12 (1993)
22, 48-54.
67 A. da Silva Ferreira, La crisi della missione tra i Bororo e l’apertura al nuovo
campo di apostolato nel sud del Mato Grosso (1918-1931), in «Ricerche Storiche Sale-
siane» 11 (1992) 21, 177-185.

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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40 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
1.2.2. Bontà e zelo dell’educatore per un’educazione profonda e duratura
La fedeltà a don Bosco, oltre all’atteggiamento di fedeltà creativa nell’a-
dattamento delle opere educative, era espressa da don Rua con alcune mo-
dalità tipiche. Una prima connotazione è legata al metodo educativo tipica-
mente salesiano: la bontà. Come il tema precedente della fedeltà creativa si
colloca in un contesto di una espansione mondiale, così il tema della bontà
è interpretato in un quadro in cui predomina il collegio salesiano, il quale,
in quanto struttura, preferisce un approccio regolamentato e disciplinare
all’educazione.68
Non mancano frequenti richiami all’applicazione del sistema preventivo
nel contesto disciplinare dei collegi salesiani. Nella lettera sullo spirito di
don Bosco si legge: «Perché non rimanga lettera morta il sistema preven-
tivo, [il direttore] faccia leggere sovente le auree pagine che ne scrisse
don Bosco. Invigili perché siano banditi i castighi troppo lunghi, penosi
ed umilianti, e perché nessun Superiore, maestro od assistente trascorra
fino a battere i giovani».69 Don Rua commenta gli esiti dell’ottavo Capitolo
generale con il promemoria dello «stretto dovere di possedere lo spirito e
di vivere di vita salesiana. E ciò consiste nel lavorare, specie a pro della
gioventù, collo spirito e col sistema di don Bosco, tutto improntato di dol-
cezza e di bontà».70
L’applicazione del sistema preventivo in una chiave di bontà non è
espressa solo nel contesto anti-repressivo delle questioni disciplinari, ma
si accentua pure con l’uso di due principi educativi propositivi: lo zelo che
anima l’attività educativa e l’educazione del cuore. Si evoca lo zelo del
68 Don Rua si trova in sintonia con gli ultimi richiami di don Bosco a praticare il
Sistema Preventivo in un contesto collegiale. Cfr. Istituto Storico Salesiano, Fonti Sa-
lesiane. 1. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, 442-256.
69 M. Rua, Santificazione nostra e delle anime a noi affidate. Circolare del 24 agosto
1894, in Lettere di don Rua, 119-120; cfr. anche altri riferimenti alla problematica disci-
plinare: J.M. Prellezo, Le scuole professionali salesiane (1880-1922). Istanze e attua-
zioni viste da Valdocco, 76-80; W.J. Dickson, Prevention or repression. The reception
of don Bosco’s educational approach in English Salesian Schools, in González et al.
(eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922, vol. 1, 215-236; F. Casella, Il contesto
storico-socio-pedagogico e l’educazione salesiana nel Mezzogiorno d’Italia tra richie-
ste e attuazioni (1880-1922), in González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880
al 1922, vol. 1, 310-313.
70 M. Rua, Felice esito dell’VIII Capitolo Generale. Come apprezzano le opere no-
stre. Circolare nell’ottava della festa dell’Immacolata Concezione 1898, in Lettere di don
Rua, 195. Per l’elaborazione dell’idea del Sistema Preventivo nel periodo studiato cfr.
Prellezo, Linee pedagogiche della Società Salesiana, 101-104.

5.2 Page 42

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 41
da mihi animas cetera tolle di don Bosco che «non diede un passo, non
pronunziò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la
salvezza della gioventù».71 Si deve tuttavia tenere anche sempre presente
l’orizzonte dello sviluppo numerico e geografico della Congregazione:
Con immensa consolazione potei assicurarmi che voi tutti siete animati dalla
miglior volontà di fare il bene. Ne è anche prova evidente quell’ardore, che io
credetti talora perfino mio dovere di frenare, con cui si cerca di estendere la cer-
chia dell’apostolato salesiano. […] Si degni il Signore esaudire le mie suppliche e
conservare sempre vivo ne’ nostri cuori quel fuoco sacro che vi si accese quando
udimmo don Bosco gettare quel grido potente: da mihi animas, e lo vedemmo
consumare le sue forze e la sua vita nell’esercizio della carità. Ma voi, o figli ca-
rissimi, dal canto vostro vegliate perché questo buon volere sia sempre congiunto
ad una grande purità d’intenzione, sia inaccessibile ad ogni scoraggiamento, e sia
mai sempre guidato dall’ubbidienza.72
Lo zelo che anima l’attività salesiana è collegato da don Rua con il pro-
totipo della «fisionomia bonaria e sempre raggiante di carità e dolcezza»
di don Bosco, che è un’imitazione del «divino modello Gesù Cristo».73 Nel
magistero di don Rua la base dell’agire educativo amorevole e zelante è
la persona virtuosa dell’educatore salesiano che si mette in una posizione
di discepolo di Cristo ispirato dal modello del fondatore. Varie volte si
raccomanda ai direttori di oratorio di attirare i giovani più con lo zelo e
con la carità che con le attrattive degli ambienti oratoriani moderni, i quali
offrono una ricchezza di divertimenti.74
Un altro tema tipico di don Rua, legato allo zelo e alla carità, è l’educa-
zione del cuore. Nel vocabolario delle circolari e nel “Bollettino Salesia-
no” il primo successore di don Bosco usa il termine con molta frequenza.
Il “cuore” appare più di ottocento volte, superando altri termini religiosi
ed educativi come Dio, Gesù, Maria, Ausiliatrice, oratorio, missioni, ecc.
Nelle lettere parla con più frequenza solo di don Bosco e dei salesiani. In
continuità con don Bosco, Rua non intende per cuore né un sinonimo di
sentimentalismo né l’educazione delle emozioni. Piuttosto il termine cuore
71 Rua, Santificazione nostra, 110.
72 M. Rua, Disastro Brasileno. Avvisi vari e consigli. Circolare del 29 gennaio 1896,
in Lettere di don Rua, 145-146.
73 M. Rua, Lo spirito di D. Bosco - Vocazioni. Circolare del 14 giugno 1905, in Lettere
di don Rua, 524.
74 Cfr. M. Rua, Vocazioni - Militari - Oratorii Festivi. Circolare del 29 gennaio 1894,
in Lettere di don Rua, 474-475; M. Rua, Gli Oratorii Festivi. Circolare del 29 gennaio
1893, in Ibid, 461.

5.3 Page 43

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42 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
si riferisce al centro dell’identità personale, delle convinzioni profonde,
delle motivazioni, dell’agire morale e quindi delle qualità relazionali.75 In
questo senso l’educazione dei cuori caratterizza il metodo educativo nella
direzione di una bontà e pazienza senza sdolcinare il nucleo teleologico
della proposta salesiana di educare buoni cristiani e onesti cittadini:
Ricordiamoci poi che noi mancheremmo alla parte più essenziale del nostro
compito, se ci riducessimo solo ad impartire l’istruzione letteraria, senza unirvi
l’educazione del cuore. A questo sovratutto dobbiam mirare, a formare dei nostri
allievi dei buoni cristiani, degli onesti cittadini, coltivando pure le vocazioni che
fra loro s’incontrano.76
Inoltre, l’educazione del cuore possiede anche un aspetto di profondità
e durabilità. Rua raccomanda di educare le convinzioni radicate nel cuore,
che produrranno frutti anche quando gli allievi non saranno più presenti
nelle case salesiane. Attraverso l’amorevolezza «le verità seminate ne’ loro
cuori erano profondamente radicate e non erano rimaste senza frutto».77
Collegata con il tema è la devozione al Sacro Cuore di Gesù, tanto cara a
don Rua, presentata nell’emblematica lettera del 21 novembre 1900, nella
quale raccomanda la consacrazione di tutti gli allievi e i cooperatori al
Sacro Cuore.78 Nella scia degli strumenti pratici molto cari a don Bosco
per l’educazione preventiva del cuore, oltre ai sacramenti ed agli esercizi
spirituali,79 è proposta la cura delle buone letture e l’allontanamento dei
libri contrari «alla moralità od ai sani principii di religione e di pietà, di
cui devono essere informati i cuori dei nostri, dipendenti ed allievi, per
riuscire veri educatori della gioventù e buoni cristiani».80
75 Per “l’antropologia del cuore” in don Bosco cfr. la sintesi in P. Stella, Don Bosco,
Bologna, Il Mulino, 2001, 59-62 che riprende P. Stella, Don Bosco nella storia, vol. 2:
Mentalità religiosa e spiritualità, 37-50.
76 M. Rua, Studi letterarii. Circolare del 27 dicembre 1889, in Lettere di don Rua,
45-46.
77 Rua, Vocazioni - Militari - Oratorii Festivi, 473.
78 Cfr. M. Rua, La consacrazione della nostra Pia Società al Sacro Cuore di Gesù.
Circolare del 21 novembre 1900, in Lettere di don Rua, 231-279. Per una contestualizza-
zione più approfondita cfr. A. Giraudo, Linee portanti dell’animazione spirituale della
congregazione salesiana da parte della direzione generale tra 1880 e 1921, in «Ricerche
Storiche Salesiane» 23 (2004) 44, 85-89.
79 Cfr. M. Rua, Il Sacramento della Penitenza. Norme e consigli. Circolare del 29
novembre 1899, in Lettere di don Rua, 198; M. Rua, Norme per gli esercizi spirituali dei
giovani. Circolare del 1° marzo 1893, in Ibid., 97.
80 M. Rua, Convocazione del Capitolo Generale [5°] ed Avvisi, in Lettere di don Rua,
34.

5.4 Page 44

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 43
1.2.3. Le linee per gli oratori e per gli ex-allievi
Per Rua l’educazione oratoriana fu una delle maggiori aree dell’applica-
zione del principio di fedeltà creativa. Il terzo Capitolo generale nel 1883
ricorda la tradizione oratoriana dicendo che «il primo esercizio di carità
della Pia Società di S. Francesco di Sales è di raccogliere giovanetti poveri
ed abbandonati, per istruirli nella santa cattolica religione, particolarmente
nei giorni festivi».81 Nel periodo dei congressi sugli oratori, don Rua si
dimostrò il protagonista del loro sviluppo, dei quali amò e caldeggiò la
fondazione e l’accrescimento, l’oculata e creativa gestione, l’instancabile
miglioramento e l’apertura ai giovani più avanti in età mediante i circoli e
le scuole di religione.82 Durante il suo rettorato il CG7 (1895) maturò alcu-
ne decisioni e proposte di non poco conto:
1) la scelta di un membro del Consiglio superiore in particolar modo
incaricato degli oratori festivi;
2) l’apertura di oratori separati dalle case salesiane, con scuole diurne
e serali;
3) l’organizzazione in essi di una scuola di religione;
4) l’auspicabile apertura degli oratori per tutta la giornata;
5) la cura della dovuta assistenza.83
L’insistenza sul tema e, in particolare, i richiami e le precisazioni circa
taluni aspetti, muove a pensare che l’accoglienza degli orientamenti segna-
lati non sempre sia stata unanime. Nel 1896, facendo un rapido resoconto
sull’ultimo Capitolo, don Rua prendeva l’occasione per rivelare sentimenti
che da tempo desiderava manifestare: anzitutto la sua consolazione «al
vedere lo sviluppo degli oratorii festivi. Di fatto da quando io vi incorag-
giava, in più circostanze negli anni scorsi, ad occuparvi sempre con mag-
gior zelo a questo riguardo, vidi crescere notevolmente il numero di detti
oratorii».84
81 Deliberazioni del Terzo e Quarto Capitolo Generale della Pia Società Salesiana,
tenuti in Valsalice nel settembre 1883-86, Tip. e Libreria Salesiana, S. Benigno Canavese
1887, 22. Cfr. anche M. Rua, Viaggio di D. Rua in Ispagna. Antichi Allievi - Consigli.
Circolare del 2° gennaio 1900, in Lettere di don Rua, 500-501.
82 Cfr. E. Ceria, Annali della Società Salesiana, vol. 3, Torino, SEI, 1946, 791–802.
L’insistenza di don Rua sull’importanza degli oratori riflette anche la diffusa margina-
lizzazione degli oratori e una certa diffidenza verso le conclusioni dei congressi. Cfr. P.
Braido, Per una storia dell’educazione giovanile nell’oratorio, 122-124.
83 Cfr. Deliberazioni del Settimo Capitolo Generale della Pia Società Salesiana, Tip.
e Libreria Salesiana, S. Benigno Canavese 1896, 90-104.
84 M. Rua, Resoconto del VII Capitolo Generale. Disposizioni varie. Circolare del 2

5.5 Page 45

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44 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
Michele Rua accentuò diverse volte la priorità del catechismo: «Secon-
do la mente di don Bosco quegli oratorii in cui non si facesse il catechismo,
non sarebbero che ricreatorii; cesserebbero di essere salesiani quegli istitu-
ti ove non s’insegnasse debitamente la religione, specie coi catechismi».85
Raccomandò anche la diffusione delle buone pratiche: la proposta degli
esercizi spirituali con un accento vocazionale esplicito, la formazione di
giovani ausiliari degli oratori nelle scuole salesiane, le gare catechistiche,
la comodità di accostarsi ai sacramenti, la fondazione di circoli operai e
l’aggregazione alle casse di risparmio.86
Il successo del maggior numero di oratori aperti e le motivazioni ver-
so l’educazione oratoriana erano spesso accompagnati da una scarsità di
locali, mezzi e personale. In questo contesto il rettor maggiore segnala la
priorità dell’amore e dello zelo: «Altrove noi troveremmo vaste sale, ampi
cortili, bei giardini, giochi d’ogni fatta: ma noi amiamo meglio venir qui
ove non c’è niente, ma sappiamo che ci si vuol bene»; e prosegue: «Lo zelo
dei confratelli ha supplito la mancanza di questi mezzi».87
L’oratorio è visto da don Rua anche come l’ambiente di una formazio-
ne solida: «I buoni principii, seminati ne’ loro cuori, mettano profonde
radici»88 e aiutino a mantenere l’identità cristiana in ambienti avversi alla
fede. Ma non solo, poiché i giovani sono visti come coloro che esercitano
un vero apostolato in seno alle loro famiglie.89 A questo punto l’oratorio sa-
lesiano è considerato come un centro d’irradiazione e viene esplicitamente
legato all’Associazione degli antichi allievi: «Dagli oratori festivi all’As-
sociazione degli antichi allievi è breve il passo».90 Tra le diverse finalità
educative dell’Associazione sono menzionate: il sostegno vicendevole nel
mondo, il mantenimento dello zelo della vita cristiana, il profitto per le loro
famiglie, la creazione di una rete di sostegno anche nell’aiuto materiale,
nella ricerca del lavoro e nel soccorso nelle infermità.91
luglio 1896, in Lettere di don Rua, 484.
85 Rua, Lo spirito di D. Bosco, 528.
86 Cfr. Rua, Gli Oratorii Festivi, 460-461; Id., Vocazioni - Militari - Oratorii Festivi,
473-474; Id., Resoconto del VII CG, 485.
87 Rua, Gli Oratorii Festivi, 461.
88 Ibid.
89 Rua, Vocazioni - Militari - Oratorii Festivi, 473.
90 Rua, Viaggio di D. Rua in Ispagna, 501.
91 M. Rua, Carità fraterna - Vari fatti consolanti. Circolare del 24 giugno 1893, in
Lettere di don Rua, 494-495.

5.6 Page 46

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 45
1.2.4. Applicazioni della Rerum Novarum
Nel sesto Capitolo generale, tenutosi a Valsalice nel 1892 a un anno e
mezzo di distanza dalla pubblicazione della Rerum Novarum, si ebbe un
interessante allargamento dei compiti degli oratori. La domanda centrale
attorno alla quale ruotavano gli schemi proposti fu: “Come applicare nei
nostri ospizi ed oratori gl’insegnamenti pontifici sulla questione operaia,
soprattutto l’enciclica Rerum Novarum (de conditione opificum)”. Molte
erano state le proposte avanzate nel processo precapitolare; dal testo uffi-
ciale delle deliberazioni risultano approvate le seguenti:
1) «per premunire contro gli errori moderni gli alunni dei nostri ospizi
ed oratorii festivi si facciano loro a quando a quando conferenze sopra il
capitale, il lavoro, la mercede, il riposo festivo, gli scioperi, il risparmio,
la proprietà ecc., evitando d’entrare in politica. Giova assai a questo fine
propagare i seguenti libri: Il lavoratore cristiano (Le travailleur chrétien),
Il portafoglio dell’Operaio di Cesare Cantù, attenzione! Buon senso e buon
cuore;
2) si consiglia di dar loro come premii libretti delle casse di risparmio;
3) ove esistono Società operaie e cattoliche, si indirizzino loro, o accom-
pagnandoli personalmente o con una lettera, i giovani che escono dalle no-
stre case o che frequentano i nostri oratori. La Compagnia di S. Giuseppe
sarà una preparazione a tali società;
4) si favoriscano e si aiutino per quanto sta in noi dette associazioni cat-
toliche, si indirizzino ad esse il maggior numero di individui, conforman-
doci ai desideri espressi da Leone XIII nella sua enciclica Rerum Novarum
e di don Bosco».92
Le deliberazioni ebbero vari echi da parte del rettor maggiore e anche
nel successivo Capitolo. Nella sua lettera del 1896 don Rua non si soffer-
ma su ragionamenti, ma ripropone le associazioni a scopo di promozione
sociale:
Vorrei che si studiasse se il far aggregare i giovani a qualche circolo opera-
io cattolico, o il fondare altre compagnie e circoli nel medesimo oratorio, o il
promuovere tra loro e facilitare l’aggregazione alla cassa di risparmio, od altro,
possa giovare all’uopo. Ho nominato in particolare la cassa di risparmio, perché
pare una delle istituzioni più utili a formare l’artigiano all’economia e perciò alla
92 Deliberazioni dei sei primi capitoli generali della Pia Società Salesiana precedute
dalle Regole o Costituzioni della medesima, Tip. e Libreria Salesiana, S. Benigno Cana-
vese 1894, 313-314.

5.7 Page 47

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46 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
temperanza, al buon costume e procurargli l’agiatezza ed il benessere, e perché
è istituzione benefica ai nostri tempi e raccomandata dal S. Padre Leone XIII e
perché già da don Bosco in qualche modo promossa nell’Oratorio primitivo uni-
tamente alla società di mutuo soccorso, cosa che recò allora gran bene e che spero
continuerebbe a produrre..93
Il rettor maggiore non si esprime frequentemente sui temi sociali e sulla
questione operaia. Tuttavia, preferendo agire e coinvolgere altri nella co-
operazione, si può notare un evento che catalizzò l’attenzione al sociale:
il primo Congresso Internazionale dei Cooperatori Salesiani a Bologna
nel 1895. L’assemblea, presieduta da don Rua, fu un segno di buona vo-
lontà nel lavorare per il bene degli operai soprattutto in termini di educa-
zione religiosa con il tema connesso del riposo festivo, di miglioramento
dell’ambiente delle officine e di promozione delle associazioni operaie.94
Descrivendo il congresso, lo storico salesiano Francis Desramaut valuta
l’atteggiamento salesiano sulla questione sociale: «Nulla di rivoluzionario
in queste mozioni dal tenore moralizzante. Non appare la parola giustizia;
predomina il senso di carità».95 Infatti la risposta salesiana nella questione
sociale fu soprattutto educativa, religiosa e pratica, con capacità di media-
zione tra il mondo operaio e il mondo imprenditoriale.
Oltre agli sviluppi delle scuole professionali salesiane, delle associazio-
ni sociali negli oratori e la fondazione dei convitti per le operaie da parte
delle FMA, don Rua appoggiò la creazione di una Società di Mutuo Soc-
corso delle Giovani Operaie Cattoliche. Sostenendo la signorina Cesarina
Astesana, una laica intraprendente, nacque un’opera di alleanza tra le pa-
tronesse e le operaie in uno sforzo costante e sollecito rivolto alle giovani
lavoratrici affinché vincessero la loro apatia, prendessero coscienza che la
loro condizione di vita era anormale e pertanto si impegnassero per il loro
riscatto sociale. Le patronesse dovevano essere «lì non a rappresentare la
filantropia mondana, che si sforza di farsi conoscere e di far stampare il
proprio nome, ma [...] a mostrare un progresso dei tempi presenti, un frutto
della concordia fra capitale e lavoro».96 Per don Rua la via pacifica e pre-
ventiva verso la questione sociale era da preferire in un ambiente turbolen-
93 Rua, Resoconto del VII CG, 485.
94 Atti del primo Congresso Internazionale dei Cooperatori Salesiani, Tipografia Sa-
lesiana, Torino 1895, 186-188.
95 Desramaut, Vita di don Michele Rua, 350.
96 «Lavoratrice» 1 (1902) 1, 2; Per i riferimenti alla salesianità dell’Astesana cfr. G.
Drago, La promozione della donna, in R. Spiazzi (ed.), Enciclopedia del pensiero socia-
le cristiano, Studio Domenicano, Bologna 1992, 843.

5.8 Page 48

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 47
to nel quale si faceva strada l’ideologia marxista per via del movimento so-
cialista. Un caso concreto che ci fa capire la mentalità di don Rua fu la sua
mediazione nel lungo sciopero degli operai dello stabilimento Anselmo
Poma nel 1906, descritto dal giornale “Momento” come «trionfo dell’opera
paterna di quel venerando sacerdote ch’è don Rua».97
1.3. Le prime formulazioni della pedagogia salesiana da parte dei col-
laboratori di don Bosco
Un’implementazione dei principi indicati della fedeltà a don Bosco, del-
lo zelo e dell’educazione del cuore per formare buoni cristiani e onesti
cittadini avvenne nella collaborazione della prima generazione di salesiani
educati da don Bosco. Tra questi emergono soprattutto il primo maestro
dei novizi don Giulio Barberis, il consigliere scolastico generale don Fran-
cesco Cerruti e il consigliere professionale generale don Giuseppe Bertel-
lo, i quali lasciarono una forte impronta nell’impostazione delle idee e delle
strutture educative salesiane.
Interessante e importante è l’armonia di vedute in ambito pedagogico e la
collaborazione effettiva nel governo della Congregazione. Ne possono essere
indici gli scambi di vedute e il feedback che intercorreva tra Barberis e Cer-
ruti, l’apprezzamento e le raccomandazioni di lettura degli scritti di Cerruti e
di Barberis da parte di don Rua o le circolari elaborate insieme tra Cerruti e
Bertello.98 Le ragioni della loro sinergia sono facilmente riconducibili sia alla
forte esperienza formativa vissuta con don Bosco nell’oratorio di Valdocco
che allo studio delle stesse fonti e degli stessi pedagogisti.
1.3.1. La “Pedagogia sacra” di Giulio Barberis come testo formativo di base
A Valdocco fu istituita una scuola di pedagogia sacra dal 1874, che
aveva finalità di formazione dei futuri educatori e non tanto di sistematiz-
97 Desramaut, Vita di don Michele Rua, 354.
98 Rua, Studi letterarii, 38; M. Rua, Spirito di povertà - Formazione religiosa. Circo-
lare del 5 agosto 1900, in Lettere di don Rua, 221; F. Cerruti - G. Bertello, Circolare
del 29 gennaio 1899, in G. Bertello, Scritti e documenti sull’educazione e sulle scuole
professionali. Introduzione, premesse, testi critici e note a cura di José Manuel Prelle-
zo, LAS, Roma 2010, 131-133; Appunti di pedagogia di Giulio Barberis (1847-1927).
Introduzione, testi critici e note a cura di José Manuel Prellezo. Postfazione di Dariusz
Grządziel, LAS, Roma 2017, 30.

5.9 Page 49

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48 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
zazione del pensiero pedagogico.99 Giulio Barberis, il primo maestro dei
novizi e incaricato della scuola di pedagogia, appunta così le istruzioni di
don Bosco: «Riguardo alla pedagogia io desidero molto che sia uno studio
fatto apposta per noi. Sia ad es. intitolato: il maestro e l’assistente salesia-
no; un capo dirà come deve comportarsi l’assistente in dormitorio, altro:
l’assistente di passeggiata, l’assistente di chiesa, l’assistente di scuola ecc.;
come deve comportarsi il maestro salesiano per riguardo alla puntualità
del trovarsi in classe, riguardo alla disciplina, riguardo ai premi, ai castighi
ecc. Queste cose insegnarle nell’anno di prova; ed anche farle stampare in
modo che serva di libro di testo per noi».100
Nel 1897 il rettor maggiore don Rua volle che gli Appunti fossero stam-
pati, motivando la decisione con l’espansione della Congregazione, che
aveva portato anche a un decentramento della formazione. Scrive Barberis
nell’introduzione: «Essi però devono servire per uso esclusivamente no-
stro, e non sono adatti ad essere pubblicati per altri, poiché con questi non
si ha in mira di fare un trattato completo di pedagogia; ma di considerare
i giovani quali sono nelle varie nostre case, e senza tante teorie, aiutare
nella pratica i nostri confratelli nel difficile compito di educarli bene».101
Successivamente il libro degli Appunti di pedagogia sacra ebbe un’impor-
tante diffusione nel mondo salesiano con diverse traduzioni e creò quindi
un punto di partenza per “fare” pedagogia salesiana.
Nella stesura degli Appunti Barberis sceglie una metodologia compi-
lativa particolare. Non essendo lui stesso un pedagogista ma piuttosto un
formatore vocazionale, si colloca in una posizione di testimone significati-
vo: «Il nostro gran padre ci lasciò un sistema di educazione in piccolissima
parte scritto, nella maggior parte stampato nella mente e nei cuori di noi
che ebbimo la fortuna di avvicinarlo per vari lustri».102 Dato il procedere
compilativo attorno a una tradizione educativa esperienziale, diventano
interessanti tre punti del suo approccio: 1. la scelta degli autori di riferi-
mento, 2. la composizione degli argomenti e, infine, 3. l’immagine di don
Bosco che emerge dal suo scritto.
La base d’ispirazione determinante per la compilazione degli Appunti
99 J.M. Prellezo, Valdocco nell’Ottocento tra reale ed ideale (1866-1889). Documenti
e testimonianze, LAS, Roma 1992, 193.
100 Cronichetta, quaderno 11, 4 in Appunti di pedagogia di Giulio Barberis, 7. Cfr.
anche M. Fissore, Il ruolo di don Giulio Barberis nell’organizzazione del primo noviziato
salesiano, in «Ricerche Storiche Salesiane» 34 (2015) 65, 189.
101 Appunti di pedagogia di Giulio Barberis, 31.
102 Ibid., 33.

5.10 Page 50

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 49
sono due opere di pedagogisti torinesi filorosminiani: Della pedagogica di
Giovanni Antonio Rayneri103 e Studi Pedagogici di Giuseppe Allievo,104
di cui Barberis segue la struttura argomentativa e la suddivisione delle
tematiche. G.A. Rayneri (1810-1867) fu un sacerdote pedagogista, docente
all’Università di Torino, che seguì la linea di Antonio Rosmini e di Ferran-
te Aporti. Egli fu un personaggio dominante nel gruppo sorto attorno alla
rivista “Educatore Primario”, il quale manteneva contatti con l’ambiente
salesiano, riconosceva il valore dell’istituzione dell’Oratorio di don Bosco
soprattutto nel primo periodo della sua esistenza tra il 1847 e il 1850 e la
peculiarità della sua arte educativa. Il punto di incontro tra il prete dell’o-
ratorio di Valdocco e il gruppo di pedagogisti fu la sensibilità per l’educa-
zione popolare soprattutto in merito all’importanza della ragionevolezza e
dell’amorevolezza, affermando così il principio del cuore che accomunava
san Filippo Neri e san Francesco di Sales con il Rosmini. A livello pratico
si apprezzavano i libri di testo per la scuola in stile popolare pubblicati da
don Bosco (Storia ecclesiastica, Storia sacra, Il sistema metrico decimale)
e si condivideva il valore educativo dei giochi, della musica e del teatro.105
Giuseppe Allievo (1830-1913) fu il successore del Rayneri all’Università
di Torino e continuò la linea del suo maestro, completando e portando a
termine gli ultimi due libri di Della pedagogica. Da diverse testimonianze
e da materiali di cui disponiamo si può affermare che Barberis era con
molta probabilità suo allievo negli anni Settanta nei corsi di pedagogia
all’Università di Torino.106
Come fonti secondarie, seguite soprattutto in alcune parti degli Ap-
punti, appaiono L’educazione del vescovo di Orléans Félix Dupanloup e
gli scritti di Antoine Monfat, religioso e pedagogista francese, tutti e due
autori conosciuti a Valdocco.
103 Cfr. G.A. Rayneri, Della pedagogica libri cinque, Grato Scioldo, Torino 21877.
104 Cfr. G. Allievo, Studi pedagogici in servigio degli studenti universitari delle
scuole normali e degli istituti educativi, Tipografia subalpina S. Marino, Torino 1893.
105 G. Chiosso, Carità educatrice e istruzione in Piemonte. Aristocratici, filantropi
e preti di fronte all’educazione del popolo nel primo ’800, SEI, Torino 2007, 194-195.
106 J.M. Prellezo, Introduzione, in Appunti di pedagogia di Giulio Barberis, 8-9.

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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50 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
Schema A: Pedagogia salesiana negli Appunti di pedagogia di Barberis.
Barberis definisce la pedagogia e l’educazione partendo dal concet-
to di perfezionamento, che è il perno dell’impostazione di Rayneri e di
Allievo:107
La parola pedagogia (dal greco παίς, fanciullo, ed άγω, conduco, guido, diri-
go), secondo la sua etimologia significa guidare il fanciullo; ed essenzialmente
consiste nel dirigere il fanciullo al suo perfezionamento, sviluppando il meglio
che sia possibile le sue facoltà. In vero essa si suol definire: La scienza e l’arte
di perfezionare l’uomo fanciullo con lo sviluppo armonico e generale delle sue
potenze. Alla parola pedagogia, proveniente dal greco, corrisponde la parola edu-
cazione, proveniente dal latino educere, che letteralmente significa estrarre, trar
fuori; ed indica l’operazione onde altri fa uscir fuori dal soggetto un pregio, una
qualità, una realtà qualunque in essa racchiusa e non appariscente.108
La pedagogia è quindi una scienza, in quanto sistema di cognizioni di-
pendenti da un principio certo (perfettibilità); ma è pure un’arte, in quanto
sistema di azioni ordinate a un fine (perfezionare l’alunno). Subito dopo si
specifica che l’uomo consta di un’anima e di un corpo: l’anima viene vista
come il principio, la causa e la fonte delle azioni dell’uomo, mentre le altre
potenze o facoltà umane sono ritenute ad essa strumentali.109 Procedendo,
la trattazione suddivide l’educazione seguendo le distinzioni delle facol-
tà umane e strutturando anche gli Appunti in quattro parti corrispondenti
all’educazione fisica, intellettuale, estetica e, infine, la più importante, l’e-
ducazione morale e religiosa. All’interno dell’ultima parte si colloca anche
il sistema preventivo e la maggior parte delle tradizioni educative salesiane.
107 Rayneri, Della pedagogica, 2ss; Allievo, Studi pedagogici, 23ss.
108 Appunti di pedagogia di Giulio Barberis, 35.
109 Cfr. Appunti di pedagogia di Giulio Barberis, 36ss.

6.2 Page 52

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 51
Nell’impostazione e nella scelta di argomentazioni di Barberis si nota-
no due nuclei problematici poco convincenti: il primo tratta l’individualità
dell’educando e l’altro affronta la questione della libertà. Nella parte delle
nozioni generali Barberis riprende l’argomentazione di Allievo sulla na-
tura umana e la rende principio dal quale deduce le fondamenta della sua
concezione pedagogica. Analogamente, dalle potenze dell’uomo in quanto
uomo derivano le diverse “educazioni”: fisica, intellettuale, estetica, mora-
le e religiosa. L’individualità dell’alunno non è costitutiva, ma è piuttosto
funzionale a una strategia vincente, nel senso che l’educazione «si atteggi
all’individualità personale di lui, non comprimendone la vocazione; ma
favoreggiandone le attitudini ingenite particolari. L’educazione è tanto più
perfetta, quanto più ella si addice alle disposizioni dell’allievo ed alle re-
lazioni che lo accompagnano. Diversa nei differenti alunni l’individualità,
diverso per conseguente il modo con cui vanno trattati. Quando non si fa
così si fallisce dall’intento educativo».110 C’è da notare un equilibrio fragile
tra l’attenzione all’individualità e l’assioma di base: «Fondamento dell’ar-
te educativa è la natura».111 Lo spiritualismo dell’Allievo, che polemizza
con il positivismo già dalle prime pagine del suo scritto,112 non è presente
nell’impostazione di Barberis e, mancanti le precisazioni sul concetto di
natura, si rischia, con le parole di Allievo, di cadere in un «determinismo
naturalistico […] tantoché la libera attività della nostra persona deve ce-
dere il campo alla fatalità universale, e l’operare dello spirito vale quanto
l’operare della natura e niente più».113
La seconda questione, quella della libertà, è ancora più spinosa e avrà
delle potenziali ripercussioni per il futuro dell’educazione salesiana. Il
nostro autore introduce la nozione di libertà come derivante dall’idea di
perfettibilità, che include sia l’idea di sviluppo che quello di libertà, senza
approfondire gli equilibri sottili dei loro rapporti.114 Rayneri, fedele all’im-
postazione rosminiana, distingue il perfezionamento umano in due tipi. Il
primo è quello della natura, che avviene quando si perfezionano le potenze
che essa in se stessa contiene. Il secondo tipo è il perfezionamento quali-
tativamente diverso che si attua quando «riceve incremento la più alta e
nobile delle facoltà umane, cioè la libertà morale, nel cui retto esercizio
110 Ibid., 46.
111 Ibid., 47; cfr. la trattazione più approfondita in Allievo, Studi pedagogici, 75-82.
112 Cfr. Allievo, Studi pedagogici, 1-49.
113 Ibid., 18.
114 Appunti di pedagogia di Giulio Barberis, 37.

6.3 Page 53

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52 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
consiste la virtù».115 L’opera del Rayneri è introdotta da un minitrattato di
dieci pagine sulla libertà e sul ruolo dell’autorità nell’educazione, conte-
nente la definizione di quest’ultima come «l’arte di esercitare l’autorità in
favore della libertà umana».116 Barberis lo riduce limitando la prospettiva
e semplificando l’argomentazione.117 Mancano i riferimenti al valore della
libertà, invece rimangono più forti i lamenti circa il difetto di autorità nella
pratica educativa e nella scienza pedagogica. Paradossalmente, nei nostri
autori l’autorità non si dichiara teoricamente partendo da un principio po-
sitivo, la si fa invece derivare «dall’ineguaglianza naturale degli uomini sì
nelle facoltà e nel loro svolgimento e sì nelle relazioni sociali».118 Barberis
propone quindi l’armonia tra l’autorità e la libertà in questi termini:
L’autorità e la libertà non sono per nulla due termini inconciliabili ed esclu-
sivi, come potrebbe parere a primo aspetto, bensì correlativi e concordi. Certo è
che l’autorità se abusata, è inconciliabile con la libertà e che la libertà se sfrenata
è contraddittoria dell’autorità. Però l’umana ragione riconosce al di sopra dell’u-
na e dell’altra un principio più elevato e più sublime fondato sull’ordine intrinseco
delle cose e sulla dignità della natura umana, principio in cui hanno il loro comu-
ne fondamento e da cui traggono ogni virtù ed efficienza. Questo principio è la
volontà di Dio, la legge santa di Dio; esso modera l’autorità sì che non trasmodi
in dispotismo e regola la libertà sì che non trascorra in licenza. […] L’eccellenza
della libertà consiste nel mostrarsi ossequente ad esso principio siccome alla voce
imperiosa e solenne del dovere. […] Ma è tuttavia da notare in pratica che all’u-
mana dignità e felicità assai più che il diritto della liberà importa e conferisce il
saper adoperarla bene.119
L’interesse di Rayneri e Allievo di portare avanti una linea di pensiero
nel confronto con il liberalismo e con il naturalismo di Rousseau si può
collocare con il loro sforzo di promuovere la libertà di insegnamento a
partire dalla legge Boncompagni in poi.120 Barberis è piuttosto affascinato
dall’esempio di don Bosco (perciò non mette in dubbio le tradizioni “di
115 Rayneri, Della pedagogica, 5 che si riferisce al libro quarto dell’Antropologia di
Rosmini. Cfr. anche G. Grandis, La prospettiva personalistica dell’etica rosminiana, in
«Studia Patavina» 56 (2009) 3, 617-626; G. Allievo, Il ritorno al principio della perso-
nalità. Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, Tipografia degli
Artigianelli, Torino 1904.
116 Rayneri, Della pedagogica, XLV.
117 Appunti di pedagogia di Giulio Barberis, 48-50.
118 Ibid., 48. Cfr. la stessa idea in Rayneri, Della pedagogica, XLII e invece un’argo-
mentazione più equilibrata in Allievo, Studi pedagogici, 86-89.
119 Appunti di pedagogia di Giulio Barberis, 49 [corsivo nostro].
120 Cfr. Marrone, Giuseppe Allievo e la libertà d’insegnamento.

6.4 Page 54

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 53
casa”) ed è in ricerca di applicazioni pratiche del sistema preventivo in un
contesto collegiale. Le concezioni pedagogiche degli autori torinesi sono
il contesto intellettuale nel quale si inseriscono, ma non si relativizzano,
gli esempi di don Bosco sia nell’educazione fisica, estetica, intellettuale
che nelle abbondanti specificazioni sui ruoli e sull’assistenza che Barberis
chiama spesso “sorveglianza”.
L’assistenza è collegata al principio affermato da don Bosco nel suo
Trattatello sul sistema preventivo dell’“impossibilità di commettere
mancanze”,121 il quale presenta il rischio di essere applicato con modali-
tà molto limitative della libertà dell’educando; ciò costituisce una proble-
matica tipica dell’educazione collegiale che si trascinerà lungo i decenni
dell’educazione salesiana fino al Concilio Vaticano II. Gli equilibri teorici
di pedagogisti come Rayneri e Allievo non sono valorizzati da Barberis
nel loro pieno potenziale e sono stati sostituiti con i riferimenti alla norma-
tività dell’esperienza fondativa di don Bosco. Come giustamente nota Da-
riusz Grządziel, un salesiano pedagogista contemporaneo, negli Appunti di
pedagogia sacra siamo ancora lontani da una percezione della pedagogia
come scienza che offre all’educatore criteri e strumenti di orientamento ma
non prescrive il corso applicativo delle azioni concrete.122
La collocazione degli scritti “salesiani” nella parte della pedagogia
morale e religiosa degli Appunti si comprende se consideriamo l’im-
postazione rosminiana degli autori torinesi menzionati. Per Rosmini il
principio ordinatore dell’educazione è la religione cristiana e il vertice
del processo educativo è la morale religiosa.123 La sezione degli Appunti
sull’educazione religiosa e morale è infatti la più lunga, superando la
somma delle rimanenti sezioni sull’educazione fisica, intellettuale ed
estetica. Dopo la parte dei principi generali dell’educazione morale, ispi-
rata fortemente da Allievo e Rayneri, vengono inseriti gli scritti di don
Bosco: Il Sistema preventivo nell’educazione della gioventù e gli Articoli
generali premessi al Regolamento delle Case. Si aggiungono, poi, parte
de La pratica della educazione cristiana di Monfat circa i temi impor-
tanti in un collegio, che giravano attorno alla disciplina, la sorveglianza,
i castighi;124 quindi le virtù di un buon educatore, prese dall’Educazione
121 G. Bosco, Il Sistema preventivo nella educazione della gioventù, in Istituto Sto-
rico Salesiano, Fonti Salesiane, 434.
122 D. Grządziel, Postfazione, in Appunti di pedagogia di Giulio Barberis, 267-268.
123 Cfr. Chiosso, Carità educatrice e istruzione, 133.
124 Cfr. A. Monfat, La pratica della educazione cristiana, Tipografia dei Fratelli Mo-
naldi, Roma 1879.

6.5 Page 55

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54 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
di Dupanloup.125 Sulla centralità dell’educazione religiosa pratica per il
sistema preventivo, Barberis afferma sin dall’inizio dello scritto:
Non è da credersi che il metodo di don Bosco consista in teorie altisonanti, od
in lunghi ragionamenti o in molti precetti. Tutto il suo segreto sta in questo unica-
mente: Gesù venne ad educare il mondo e fondò i veri principi e la pratica di ogni
educazione: seguiamo i principi del vangelo; cerchiamo di fare nel nostro piccolo
come faceva Gesù; non occorre altro. Da questo punto fondamentale partirono
tutti gli ammaestramenti di don Bosco: su esso è basato tutto il suo sistema. Esso
è tutto facile, tutto naturale; tuttavia richiede una guida; ed è espressamente per
facilitare la pratica di questo sistema che si scrissero questi Appunti.126
La linea dell’educazione cristiana pratica è confermata anche dal rettor
maggiore don Rua, che parlando della formazione religiosa menziona gli
Appunti evidenziando: «Si può fare anche un po’ di scuola per terminare
la spiegazione della pedagogia sacra, e specialmente la parte che insegna
a far bene le varie assistenze, ad insegnare il catechismo ai fanciulli».127
Anche la linea di Albera, seppure nettamente spirituale e religiosa, si può
inserire in questa scia di pensiero, che fu pacificamente accettata all’inter-
no delle prime generazioni dei salesiani.
È da notare che Barberis, inserendo alla fine dei suoi Appunti la parte
salesiana con puntualizzazioni sulla sorveglianza e sulle doti dell’educa-
tore, fa una scelta di impostazione che lo porta lontano dalla concezione
pedagogica di Allievo. Barberis omette praticamente tutta la terza parte
degli Studi pedagogici che ha uno scopo molto importante: creare la sintesi
finale, e questo non più in termini di pedagogia generale e delle “educazio-
ni” delle singole “potenze”, ma in termini di sintesi personalistica. Allievo
denomina l’ultima parte del suo scritto come formazione del carattere delle
singole persone e la introduce in questo modo:
Essa raccoglie in una sintesi finale tutta la pedagogia finquì discorsa e ne è per
così dire il punto di gravitazione, il supremo apogeo, essendochè i principi gene-
rali educativi discendono dalle ragioni astratte della teoria a pigliar vita e moto
nel campo della realtà, spiegando la fecondità delle loro applicazioni in servigio
della vivente persona dell’educando. […] Così tutto il procedimento di questa
parte della pedagogia scorre per questi tre punti successivi: 1° riconoscimento
125 Cfr. F. Dupanloup, L’educazione, versione italiana di D. Clemente de Angelis, vol.
2: Dell’autorità e del rispetto nell’educazione, P. Fiaccadori, Parma 1869, 411-412.
126 Appunti di pedagogia di Giulio Barberis, 33. Per altre conferme circa la fonda-
mentale religiosità dell’educazione di don Bosco cfr. pp. 29-30. 32. 63 e 203.
127 Rua, Spirito di povertà, 221.

6.6 Page 56

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 55
del carattere proprio dell’alunno; 2° coltura di esso quale venne riconosciuto, la
quale si effettua applicando ad esso i principii generali con saggio discernimento
e coll’intendimento di avvalorarlo allo stato sociale suo proprio; 3° scelta dello
stato conforme alla vocazione personale. Però questi tre punti non soltanto si
succedono l’uno all’altro, ma stanno in intima continuità fra di loro e si condi-
zionano.128
Quest’ultima parte del trattato di Allievo è sua propria (in Rayneri è
incompiuta) ed è importantissima, come dicevamo, per l’impronta perso-
nalistica della sintesi finale. La differenza di mentalità si fa palese: dove
Barberis è più preoccupato per i problemi pratici dell’assistenza che ruo-
tano attorno alla struttura collegiale, Allievo è concentrato a formulare la
sintesi pedagogica attorno alla concretezza del carattere e della vocazione
del singolo giovane. Penso che la mancanza di una trattazione seria sui
principi di personalizzazione, sul discernimento nell’applicazione dei prin-
cipi e sulla scelta vocazionale abbia avuto influssi nell’epoca ricaldoniana
degli anni ’30 e ’40, quando il ricordo della creatività e intraprendenza di
don Bosco è diventato sbiadito e un ambiente avverso spingeva ad adottare
misure chiare, unificate e forti.129
Concludendo, si può percepire come nell’impostazione dello scritto di
Barberis tra principi e applicazioni gioca il suo ruolo anche il ricordo vivo
di don Bosco, che applicò praticamente il sistema preventivo sotto gli occhi
della prima generazione, ne curò l’esecuzione e gli diede tutto lo sviluppo
necessario.130 Per il fondatore i principi servono piuttosto come un’intro-
duzione che chiarisce la visione educativa. Successivamente, essi vengo-
no spiegati e commentati, creando suddivisioni tematiche o descrizioni di
ruolo. Infine, si propongono applicazioni puntuali che sono da svolgere con
fedeltà (talvolta minuziosa). Si tratta di uno schema mentis che si applica
sia alle narrazioni dei suoi sogni sia alla modalità di pubblicazione dei re-
golamenti: prima i principi, i racconti e poi le applicazioni.131
Analogamente, nella mentalità “applicativa” di Barberis si può perce-
pire un’eco del modo di procedere di don Bosco stesso. Sembrerebbe che
128 Allievo, Studi pedagogici, 322-323.
129 Interessante è leggere l’Allievo che affronta anche le differenze dell’educazione in
diverse nazioni, culture e periodi storici, una logica che i salesiani hanno preso sul serio
molto più tardi. Cfr. Allievo, Studi pedagogici, 345-357.
130 Cfr. Appunti di pedagogia di Giulio Barberis, 200.
131 Cfr. M. Vojtáš, L’uso educativo dei sogni da parte di don Bosco. Contesti, processi,
intenzioni, in A. Bozzolo (ed.), I sogni di don Bosco. Esperienza spirituale e sapienza
educativa, LAS, Roma 2017, 471-496.

6.7 Page 57

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56 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
l’intera teoria di Allievo non lo interessi più di tanto: infatti per gli scopi
della sua compilazione è determinante soprattutto il testo del “Riepilogo”
finale, il quale sintetizza tutto il trattato in trenta pagine.132 Si potrebbe
azzardare un’affermazione circa due contesti interpretativi all’interno dei
quali si colloca la “pedagogia salesiana” di Barberis. Il primo è costituito
dalla teoria pedagogica di Allievo; il secondo, più importante, è un con-
testo vitale del vissuto ottimista degli inizi, dell’orizzonte grande di una
missione importante per il mondo, della fiducia nell’educazione e di una
cultura organizzativa relativamente flessibile in quanto collocata in una
fase di sviluppo esponenziale.
All’interno di questi due contesti emergono le due anime dello scritto,
una costituita dalle sintesi pedagogiche, l’altra formata attorno alla convin-
zione di possedere un metodo che concretizza i principi pedagogici nelle
applicazioni del sistema preventivo e nella pratica dell’assistenza. Finché
i ricordi rimanevano freschi, l’ottimismo durava e la crescita demografica
proseguiva, non era necessario investire nel raffinamento degli equilibri
teorici ed era ancora sostenibile di essere “pedagogisti” compilatori degli
scritti di altri in ricerca di consensi.
1.3.2. Francesco Cerruti primo consigliere scolastico
Negli istituti salesiani la formazione avveniva primariamente all’inter-
no del contesto scolastico. Nel periodo che stiamo prendendo in considera-
zione l’evoluzione delle scuole salesiane è legata alla persona di don Fran-
cesco Cerruti, consigliere scolastico della Congregazione dal 1885 fino al
1917, che fu definito già alla fine del suo servizio «il vero sistematore delle
scuole e degli studi della Pia Società Salesiana».133 La sua impostazione
e l’orientamento classico-umanistico fu infatti generalmente seguito nelle
scuole salesiane anche nel periodo successivo. Don Arturo Conelli, chia-
mato alla carica di consigliere scolastico nel 1917, parla di don Cerruti
come di un interprete fedele del pensiero educativo di don Bosco, dicendo
di sentire: «Il dovere di ricordare a sé stesso, e d’invitare i confratelli a
non mai dimenticare, le direttive di lui e le sue idee circa l’educazione e
l’insegnamento, direttive e idee che sono più quelle del nostro venerabile
padre don Bosco».134
132 Cfr. Allievo, Studi pedagogici, 365–396.
133 Luchelli, Don Francesco Cerruti, 22.
134 Capitolo Superiore Circolari (17 settembre 1917), in ASC E212.

6.8 Page 58

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 57
Invero il programma di Francesco Cerruti parte soprattutto dalla pre-
occupazione di seguire fedelmente gli insegnamenti di don Bosco. Con
quest’intenzione scrisse due lettere a don Rua, allora vicario, per sottopor-
gli le proprie idee e avere il suo parere al riguardo. Tali lettere vennero poi
pubblicate nell’opuscolo programmatico Le idee di D. Bosco sull’educa-
zione e sull’insegnamento e la missione attuale della scuola, che definisce
le linee fondamentali della sua interpretazione di don Bosco. Nella prima
lettera circolare da consigliere scolastico indirizzata agli ispettori e diret-
tori salesiani Cerruti specifica: «Tu procurerai che […] le massime in esso
contenute siano ovunque con prudenza e zelo tradotte in pratica, sicché
diventino come il testamento scolastico, che ci lascia l’amatissimo nostro
don Bosco».135 Percependo i tempi difficili e i pericoli esterni, egli afferma
un equilibrio tra fedeltà e creatività sia nel campo educativo che in quello
dell’insegnamento:
Quanto all’educazione esse idee si fondano essenzialmente sulla carità cristia-
na, che vuole si prevenga possibilmente il male, anziché commesso doverlo poi
reprimere, adoperando in questa così nobile e delicata missione quell’assistenza
vigilante ed accorta, quella dolcezza di parole e di modi, quella pazienza e co-
stanza di propositi che sole valgono ad espugnare le volontà ed ammollir i cuori.
[…] Non è il desiderio del bene, ma l’amor proprio che ci vorrebbe talvolta far
credere che gl’insegnamenti contenutici in quelle poche, ma sublimi pagine sul
sistema preventivo nell’educazione, premesse al Regolamento delle case e ripiene
di tanta sapienza pedagogica, non siano sempre, né dappertutto traducibili in
pratica, e che ad ogni modo le cose di ieri non si attaglino più alla gioventù di
oggi. […] Crescono, è vero, i pericoli esterni; aumentano i mezzi d’ogni fatta di
seduzione; va scemando ogni dì pur troppo di efficacia il principio d’autorità; ma
la gioventù, non dimentichiamolo, è sostanzialmente la stessa in ogni tempo ed
in ogni luogo, come lo stesso sostanzialmente quindi è e dovrà essere sempre il
metodo da adoperare nell’educazione di essa. Tutto si riduce per parte nostra a
crescere d’industria, raddoppiare di vigilanza, moltiplicar di zelo.136
Lo stesso principio di continuità, qui esposto in ambito educativo, si ap-
plica anche nel campo dell’istruzione classica, che costituiva il mainstream
della proposta scolastica salesiana. Cerruti sostiene la validità dell’impo-
stazione della scuola classica di don Bosco, in quanto la finalità del suo
135 F. Cerruti, Circolare del 28 dicembre 1885, in F. Cerruti, Lettere circolari e
programmi di Insegnamento (1885-1917). Introduzione, testi critici e note a cura di José
Manuel Prellezo, LAS, Roma 2006, 57.
136 F. Cerruti, Le idee di D. Bosco sull’educazione e sull’insegnamento e la missione
attuale della scuola. Lettere due, Tip. e Libreria Salesiana, S. Benigno Canavese 1886,
6-7.

6.9 Page 59

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58 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
sistema didattico «non potrebbe essere più conforme allo spirito del Cri-
stianesimo e più conducente al vantaggio religioso, morale ed intellettuale,
vantaggio vero, reale, pratico della gioventù».137
Tuttavia, pur proponendo una sostanziale continuità con la linea del
fondatore, il consigliere scolastico non si chiude nella ripetitività, rima-
nendo in contatto con la società in cambiamento. Per quanto riguarda il
clima intellettuale, egli nota un passaggio da una critica combattiva della
religione cattolica ad un’altra forse più fatale, perché più ipocrita, che si
atteggia con ironica indifferenza verso le questioni religiose. Non si vuo-
le negare Cristo, «lo vuol però escluso assolutamente dalla società civile.
Secolarizziamo, vale a dire fuori Cristo dalle leggi, dall’istruzione, dalla
carità, dal governo, dal matrimonio stesso, da tutto insomma».138 In que-
sta situazione sembra ancora più attuale il «ritornar all’antica forma de’
primi secoli col rivendicare la necessaria relazione di Gesù Cristo con tut-
te le cose create».139 Nella lettura della situazione si percepiscono chiare
influenze del pensiero e delle polemiche politiche di Allievo per la difesa
della scuola cattolica.
Se l’insegnamento classico corrisponde perfettamente alla finalità di
un’educazione integrale, nell’impostazione di Cerruti ciò si concretizza nei
contenuti e nei metodi proposti. Infatti per quanto riguarda il ricorso ad
autori pagani e cristiani si applica, seguendo una logica neoscolastica,140
un’unificazione nella distinzione: i contenuti dovrebbero favorire un “in-
segnamento misto” nel quale «i classici profani, in quel che han sostan-
zialmente di buono, servano come di preparazione o propedeutica» e suc-
cessivamente lo studio dei classici cristiani faccia che «il bello naturale
dei primi attinga nuovi lumi di più alta natura, riceva nuova luce divina-
mente perfezionatrice dal bello soprannaturale dei secondi».141 Con troppe
aspettative Cerruti ipotizza poi che quest’istruzione «ripristinerà anche
nelle lettere e nelle arti quell’intimo legame, quella necessaria coerenza
fra l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale, distinti essenzialmente fra
137 Ibid., 7.
138 Ibid., 16.
139 Ibid.
140 Per i riferimenti neoscolastici cfr. Cerruti, De’ principi pedagogico-sociali di
S. Tommaso, già citata e la seconda edizione ampliata e aggiornata pubblicata a Torino
dalla SAID Buona Stampa nel 1915.
141 Cerruti, Le idee di D. Bosco sull’educazione, 15. Cfr. le collane sugli scrittori lati-
ni e greci commentati per le scuole, dell’editrice SEI di Torino. Si pubblicavano i classici
omettendo alcune parti considerate immorali, creando un metodo di “censura” molto
diffuso e più tardi applicato anche al cinema.

6.10 Page 60

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 59
loro, come fra loro necessariamente uniti, su cui riposa non che l’educazion
sola, ma tutto quanto l’edifizio cristiano».142 Il metodo di insegnamento che
armonizza la finalità con i contenuti dovrebbe essere quello del sistema
preventivo. Cerruti lo caratterizza in un modo seguente:
Bisogna adunque scendere una buona volta dalle nuvole bisogna lasciar tutto
quello che solo pascola la vanità o si fonda sulla menzogna, e provvedere alla
realtà della vita, non la realtà lurida o goffamente sentimentale dei moderni così
detti veristi, ma bensì la realtà vera del Vangelo. Bisogna che le nostre parole, i
nostri componimenti abbiano sempre uno scopo vero, reale, pratico, conducente
al benessere morale e materiale dell’umana famiglia.143
La sintesi della proposta di don Cerruti è «fare della scuola una
missione»144 e si trova in sintonia con le linee di don Rua, il quale afferma
nel 1894: «L’educazione ed istruzione della gioventù senza spirito religio-
so, ecco la piaga del nostro secolo, Dio non permetta mai che le nostre
scuole ne siano infette!».145 Il consigliere scolastico durante i trent’anni in
cui ricoprì tale carica si occupò di concretizzare la sua visione attraverso
i programmi d’insegnamento, le disposizioni per la formazione dei giova-
ni salesiani e l’esplicazione del sistema preventivo nelle sue articolazioni
pratiche.146 Con la serietà della sua proposta di educazione integrale egli
reagiva così non solo alle problematiche ideologiche tra positivismo e spi-
ritualismo, ma anche alla situazione interna del personale salesiano, cioè
alla «tendenza, che va spaventosamente crescendo e minaccia travisare
l’opera di don Bosco, a tralasciare l’educazione della gioventù, da lasciarsi
in mano a’ chierici e preti novelli, per darsi agli adulti con azioni sociali,
parrocchie, predicazioni ecc.».147
Nella sua circolare più lunga del 1910, che diventò la base per il suo
Ricordino educativo-didattico, specifica che «istruzione non è educazione
[…] è adunque istruzione un’ausiliaria dell’educazione».148 Tutti i salesiani
devono sforzarsi «perché questi nostri alunni, crescendo felicemente, lode-
volmente negli studi, crescano non meno lodevolmente nella conoscenza
142 Ibid.
143 Ibid., 47.
144 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (06 ottobre 1886), in ASC E233.
145 Rua, Santificazione nostra, 119.
146 Cfr. Cerruti, Lettere circolari, 13-56.
147 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (16 marzo 1916), in ASC E233. Cfr. anche le
altre circolari del 2 marzo 1914, del 15 novembre 1914 e del 24 dicembre 1915.
148 F. Cerruti, Circolare del 24 gennaio 1910, in F Cerruti, Lettere circolari, 328.

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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60 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
piena ed intera della nostra santa religione e nella pratica sentita, soda,
costante delle virtù e degli esercizi di culto che essa importa, sicché noi
li restituiamo alle famiglie muniti di buoni diplomi sì, ma altresì ottimi
cittadini, credenti, sinceri, franchi ed operosi».149 Le proposte e le critiche
sono in sintonia con le linee pedagogiche di Rua, di Barberis e logicamen-
te con Rayneri e Allievo. L’ultimo menzionato, che insegnava nel liceo di
Valsalice e collaborava con don Bosco in diverse occasioni, ispirò la prima
generazione dei salesiani elaborando il rapporto tra educazione e istruzio-
ne in questo modo:
Istruire non basta, importa altresì educare. In tal caso l’educazione si con-
trappone all’istruzione in ciò, che quella è la coltura del cuore e della volontà, e
mira all’operare, alla virtù, questa è la coltura dell’intelligenza e mira al pensare
ed al conoscere. La natura e l’ordine delle cose vorrebbero, che entrambe si man-
tenessero in perfetta armonia, concorrendo insieme al vero e compiuto perfezio-
namento umano, poiché l’intelligenza che pensa, il cuore che sente, la mente che
conosce e la volontà che opera, armonizzano nell’unità dell’io umano; ma nel
fatto si trascorre spesso agli estremi.150
Con gli anni Cerruti diventò più deciso e combatté per la sua visione.
Questo atteggiamento lo illustra un passo del Ricordino educativo-didatti-
co: «Ogni giorno, che passa, mi persuado ognor più della necessità, che per
noi è dovere, di stare attaccatissimi, mordicus, agli insegnamenti di don
Bosco, anche in fatto d’istruzione e di educazione e da questi insegnamenti
non dipartirci mai, neppure d’un punto, nec transversum quidem unguem.
Lungi da noi i novatori».151 Chi separa l’aspetto umano e cristiano dell’e-
ducazione non educa, ma guasta; non edifica, ma distrugge; non esercita,
ma tradisce la sua missione.
Per riuscire a raggiungere l’ideale di una formazione integrale, il con-
sigliere scolastico raccomanda i principi educativi dell’esemplarità, della
carità, dell’assistenza, della disciplina, della gradualità e della convenien-
za nell’insegnamento; l’uso della letteratura classica, ricordando lo zelo di
don Bosco per il “culto” della letteratura e dell’arte cristiana.152 Entusiasta
dell’educazione classica ipotizza: «Quella lingua, latina e greca, in cui si
accolgono i dogmi e la morale cristiana; quella lingua calunniata e odiata
149 Ibid., 329.
150 Allievo, Studi pedagogici, 65.
151 Cerruti, Un ricordino educativo-didattico, 7.
152 Cfr. J.M. Prellezo, Premessa, in Cerruti, Lettere circolari, 52-56; Cerruti, Cir-
colare del 24 gennaio 1910.

7.2 Page 62

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 61
per tanti secoli dagli umanisti pagani, rientra, qua e colà, nelle scuole,
anche universitarie, sia pure lentamente; vedrà non ne dubitate, l’era del
trionfo».153 Le attenzioni didattiche sono integrate con la formazione dei
maestri nel sistema preventivo, ponendo l’accento sull’assistenza, intesa
come il contatto continuo con gli studenti, che non fa perdere però l’auto-
rità, la carità paziente e benigna. Infatti, sulla scia della Lettera da Roma,
il consigliere scolastico scrive:
Beati quei tempi, in cui preti e chierici, nessuno eccettuato, con don Bosco
alla testa, erano l’anima, la vita della ricreazione, magari chiassosa; di una ri-
creazione che, occupando e preoccupando, come vertiginosamente, rafforzava il
corpo, sollevava lo spirito e rendeva moralmente impossibile il peccato!154
Concludendo, si può affermare che don Cerruti percepisce come il no-
stro “buon padre” fece suo il «sistema intuito e insegnato da’ più gran-
di pedagogisti»155 e in ultima analisi dal Vangelo. Con la sua posizione
si allinea alla percezione dei cattolici italiani dell’epoca di un contrasto
tra due scuole pedagogiche. Una è la scuola tradizionale classica italiana
e spiritualistica con autori come Parravicini, Rosmini, Aporti, Capponi,
Tommaseo, Lambruschini, Rayneri, Ferrucci, Colombini; l’altra fa capo al
positivismo materialistico straniero.156
1.3.3. Giuseppe Bertello e la trasformazione dai laboratori alle scuole pro-
fessionali
Un simile impegno di coordinamento in un tempo di forte espansione
venne svolto da don Giuseppe Bertello nel settore delle scuole professio-
nali dal 1898 al 1910. Si deve a lui l’attuazione progressiva delle linee di
don Rua, motivate dal cambiamento del contesto sociale e legislativo: «Vi
rammento che, sia per evitare gravi disturbi, sia per dar loro il vero nome,
i nostri laboratori devono denominarsi scuole professionali».157 Nelle in-
153 Cerruti, Circolare del 24 gennaio 1910, 331.
154 Ibid.
155 Ibid., 330.
156 Cfr. Allievo, Studi pedagogici, 27-35; F. Cerruti, Una trilogia pedagogica ossia
Quintiliano, Vittorino da Feltre e Don Bosco, in J. Guibert, L’educatore apostolo, Scuola
tipografica salesiana, Roma 1908, 279-293.
157 M. Rua, Ringraziamenti-Vicariato di Mendez. Profitto nostro e delle anime. Cir-
colare del 27 dicembre 1889, in Lettere di don Rua, 129. Cfr. anche Prellezo, Le scuole
professionali salesiane, 58-84.

7.3 Page 63

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62 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
dicazioni per i maestri d’arte don Bertello non solo concretizza, infatti,
il metodo d’insegnamento, ma dà anche indicazioni pratiche su come far
crescere gli artigiani religiosi e onesti usando il sistema preventivo nelle
sue componenti della ragione, religione e amorevolezza. Nelle sue circola-
ri, quando parla dell’amorevolezza, egli utilizza spesso i concetti di bontà,
dolcezza o benevolenza proponendo uno stile educativo “senza durezza”
ma anche “senza sdolcinature”.158
Il consigliere professionale propone una visione dell’educazione molto
simile a quella di don Cerruti, ispirata dalla pedagogia spiritualistica tori-
nese, nella quale la religione svolge un ruolo determinante per la riuscita dei
processi educativi. Un rilievo speciale nella sua concezione antropologica
è posto sull’operatività e la manualità: l’uomo è chiamato a «consacrare a
Dio la sua mente, il suo cuore, il suo braccio».159 Il “metodo Bertello”, oltre
all’equilibrio tra l’istruzione e l’educazione, mirava a un giusto rapporto tra
la preparazione pratica al lavoro e l’istruzione nella cultura generale: «Il
punto capitale sta in questo, che si deve dare nel programma una più larga
parte all’istruzione teorica e alla cultura generale […] e vi si impegni come
in un’opera doverosa, che eminentemente corrisponde alla nostra missione
ed ai bisogni dei tempi».160
L’impegno di Bertello nel cambiamento di mentalità dai laboratori, nei
quali si imparava il mestiere e si catechizzava, alle scuole professionali,
dove si voleva piuttosto realizzare un’armonia tra l’insegnamento prati-
co-teorico, l’introduzione della cultura generale e l’insegnamento della
religione, si realizzava con diversi strumenti e le lettere circolari erano
solo uno di essi. Tra gli altri occupano un posto importante i Programmi
scolastici e professionali del 1903, nei quali si specificano i contenuti del-
le lezioni di religione, lingua nazionale, geografia, aritmetica, geometria,
galateo, igiene, disegno, storia, scienze naturali, francese, computisteria
e sociologia.161 Anche significative furono le “esposizioni mondiali” delle
scuole professionali, intese da Bertello come uno strumento di animazio-
ne, di scambio e di miglioramento:
158 Cfr. G. Bertello, Alcuni avvertimenti di pedagogia per uso dei maestri d’arte
della Pia Società Salesiana, in Bertello, Scritti e documenti sull’educazione, 190-195.
159 G. Bertello, Dio nell’educazione, in Bertello, Scritti e documenti sull’educazione,
47.
160 G. Bertello, Circolare del 1 ottobre 1907, in Bertello, Scritti e documenti sull’e-
ducazione, 163.
161 Cfr. Programma scolastico per le scuole di artigiani della Pia Società di S. Fran-
cesco di Sales, Tipografia Salesiana, Torino 1903.

7.4 Page 64

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 63
Confrontiamo l’una casa coll’altra, l’una coll’altra nazione per pigliare dovun-
que quello che è buono e fare tra noi una mondiale scuola di mutuo e fraterno
insegnamento. Usciamo anche fuori di qui coi nostri pensieri e colle nostre inda-
gini a vedere e confrontare quello che fanno altri istituti, non isdegnando neanche
quelli che nel campo della religione fanno professione d’idee e di massime con-
trarie alle nostre; anzi facendoli oggetto di studio particolare.162
Il percorso di trasformazione dei laboratori d’arti e mestieri nelle scuole
professionali fu lento e tortuoso dal punto di vista interno alla Congrega-
zione. L’immagine che si ricava dalle circolari del consigliere professionale
è centrata soprattutto sulla soluzione dei problemi pratici emersi. Per com-
pletare il quadro generale dello sviluppo, tuttavia, è necessario raccogliere
alcune risonanze e valutazioni esterne positive. Per esempio, descrivendo
la qualità dell’educazione nelle scuole professionali salesiane in Italia, in
un articolo del 1910 si scrive: «[in genere] nelle altre scuole si bada quasi
esclusivamente all’istruzione tecnica dell’operaio, mentre l’educazione in-
tellettuale e morale, resta molto spesso allo stato di intenzione. [...] E nei
programmi delle scuole professionali salesiane noi vediamo, parallela alla
traccia dell’addestramento tecnico, segnata la traccia di una benintesa e
valida educazione morale».163
Allargando lo sguardo a tutto il mondo salesiano di allora, si può no-
tare che in Brasile le scuole professionali salesiane furono premiate varie
volte nei primi due decenni del Novecento nelle esposizioni nazionali e
internazionali ed erano prese a modello per costruirne di altre.164 In Bo-
livia esse erano le prime nello stato, molto apprezzate nella società, e i
libri di testo in esse utilizzati furono in seguito adottati per l’insegnamento
professionale in tutta la nazione.165 In un contesto che presentava diverse
avversità come quello di Shillong in India, dove ci si sforzava di superare
problemi di igiene, di organizzazione, finanziari (basti pensare che l’85%
dei ragazzi erano ammessi gratis) e dove bisognava affrontare le parziali
ostilità dell’ambiente (religione hindu e presenza di missionari protestanti),
162 La prima Esposizione delle nostre scuole professionale, in «Bollettino Salesiano»
25 (1901) 11, 306.
163 E. De Giovanni, Le scuole professionali salesiane, in «Antologia per la scuola e
per la famiglia. Rivista pedagogica - Lettere - Scienze ed Arti» 1 (1910) 194.
164 Cfr. M. Isaú, A educação salesiana no Brasil sudeste de 1880 a 1922: Dimensões
e atuação em diversos contextos, in González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal
1880 al 1922, vol. 2, 181-182.
165 Cfr. T.A. Corona Cortés, La educación salesiana en Bolivia, La Paz y Sucre,
1896-1922. Análisis histórico de las instancias y acciones educativas, in González et al.
(eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922, vol. 2, 115-117.

7.5 Page 65

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64 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
una delle prime scuole professionali salesiane lì aperta ricevette i compli-
menti del ministro delle finanze che nel 1930 dichiarava di «non aver visto
un’opera di questa perfezione in Assam o Bengal».166 Ancora, nella prima
scuola professionale dell’Impero austroungarico a Oświęcim le commis-
sioni venute più volte per l’esame dicevano che non si poteva desiderare di
meglio; e infatti nel 1907 il Ministero dell’Industria e del Commercio di
Vienna concesse alle scuole d’arti e mestieri salesiane la facoltà di rilascia-
re titoli pari a quelli delle scuole statali.167
Il pedagogista Giorgio Chiosso descrive il lavoro educativo di don Bo-
sco e dei salesiani in questo periodo come un connubio tra tradizione e mo-
dernizzazione.168 Questo rapporto vicendevole, che caratterizza anche il
concetto della fedeltà creativa, si fa notare in modo esemplare nella nascita
delle scuole professionali salesiane, caratterizzata dal motto programmati-
co di don Bertello «Coi tempi e con don Bosco».169
166 J. Thekkedath, A history of the Salesians of Don Bosco in India (from the beginning
up to 1851-52), vol. 1, Kristu Jyoti, Bengaluru 2005, 173.
167 Cfr. Zimniak, Salesiani nella Mitteleuropa, 184.
168 Cfr. G. Chiosso, Novecento pedagogico. Profilo delle teorie educative contempo-
ranee, La Scuola, Brescia 1997, 145.
169 Pia Società Salesiana di D. Bosco, Le scuole professionali. Programmi didattici
e professionali, Scuola tipografica salesiana, Torino 1910, 1.

7.6 Page 66

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 65
1.4. Strumenti e risorse
1.4.1. Tabella cronologica
storia mondiale
cominciano i Congressi cattolici 1875
colpo di Stato di Diaz in Messico 1876
1877
Leone XIII eletto papa 1878
1879
Dostojevskij scrive I fratelli Karamazov 1880
1881
allargamento del suffragio in Italia 1882
1883
sindacati legalizzati in Francia 1884
Conferenza di Berlino sull'Africa 1885
1886
1887
abolizione della schiavitù in Brasile 1888
esposizione universale a Parigi 1889
enciclica Sapientiae Christianae 1890
enciclica Rerum Novarum 1891
fondato il Partito Socialista Italiano 1892
fondati i labouristi in Inghilterra 1893
guerra Giappone-Cina 1894
invenzione del cinema 1895
prime Olimpiadi ad Atene 1896
nasce la società calcistica Juventus 1897
sollevazioni sociali in Italia 1898
nasce a Torino la Fiat 1899
5.Congresso dell'Internazionale socialista 1900
leggi anticongregazioniste in Francia 1901
legge Carcano sul lavoro minorile 1902
Pio X eletto papa 1903
1904
Costituzione in Russia 1905
1906
enciclica antimodernista Pascendi 1907
terremoto di Messina-Reggio 1908
Jack London scrive Martin Eden 1909
annessione della Corea al Giappone 1910
1911
Gentile, Sommario di pedagogia 1912
1913
Benedetto XV eletto papa 1914
Italia entra nella prima guerra mondiale 1915
1916
rivoluzione comunista in Russia 1917
termina la prima guerra mondiale 1918
storia salesiana
prime presenze fuori Italia
pubblicazioni di pedagogia salesiana
a Valdocco comincia la "Scuola di pedagogia"
primo CG a Lanzo
nasce il Bollettino Salesiano
inizio della missione in Patagonia
Bosco, Sistema Preventivo nell'educazione della gioventù,
Regolamenti per le case, Reg. dell'Oratorio per gli esterni
morte di Maria D. Mazzarello, cofondatrice delle FMA
CG2 (tema: Regolamenti per consiglieri gen., ispettorie, vita comune, pietà, studi, economia)
don Bosco a Parigi
G. Cagliero vescovo
Bosco, Lettera da Roma
Regolamento asili infantili FMA
don Bosco a Barcellona
Cerruti, Idee di don Bosco sull'educazione
Regolamento per gli oratori festivi
Michele Rua diventa rettor maggiore dopo la morte di Giovanni Bosco
Rua, Studi letterarii
Rua visita Francia, Spagna, Belgio, Inghilterra
presenze nel Medio Oriente
Bertello, Dio nell'educazione [s.d.]
inizio dell'attività in Polonia
Cerruti, De’ principii pedagogico-sociali di S. Tommaso
Rua, Santificazione nostra e delle anime
primo Congresso dei Cooperatori
primi SDB nell'America nord
Barberis, Appunti di pedagogia sacra
spedizione missionaria record (>150)Baratta, La libertà dell’operaio
Congregazione consacrata al Sacro Cuore; Bertello, Educazione e formazione professionale
divieto confessione direttori; tirocinio triennale per i chierici
2o Congresso Oratori a Valdocco Baratta, Principii di sociologia cristiana
Programma per le scuole di artigiani, Simplicio , Gli
Capitolo generale 10 - riordinamento delle deliberazioni precedenti
oratori festivi
Rua, Lo spirito di D. Bosco
presenze in India, Cina, Africa centrale; separazione giuridica FMA-SDB
fatti di Varazze
Bertello, Alcuni avvertimenti di pedagogia
fondazione Exallievi/e
Cerruti, Una trilogia pedagogica
Paolo Albera eletto rettor maggioreCerruti, Un ricordino educativo-didattico
Primo Congresso exallievi
Albera , Sullo spirito di pietà; Programmi delle scuole
3a esposizione delle scuole prof.
professionali
Regolamenti pei Convitti FMA
giovani salesiani chiamati alle armi
Albera scrive lettere ai confratelli sui campi di battaglia
Rinaldi riunisce le prime VDB Ricaldone, Noi e la classe operaia, Scaloni , Le jeune
éducateur chrétien

7.7 Page 67

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66 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
1.4.2. Bibliografia selezionata
Albera P. - Gusmano C., Lettere a don Giulio Barberis durante la loro visita alle
case d’America (1900-1903), Introduzione, testo critico e note a cura di Brenno
Casali, LAS, Roma 2000.
Allievo, G., Studi pedagogici in servigio degli studenti universitari delle scuole
normali e degli istituti educativi, Tipografia subalpina S. Marino, Torino 1893.
Allievo, G., La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, Carlo Clausen,
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Allievo, G., Appunti di Antropologia e Psicologia, Carlo Clausen, Torino 1906.
Appunti di pedagogia di Giulio Barberis (1847-1927). Introduzione, testi critici e
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Roma 2017.
Atti del primo Congresso Internazionale dei Cooperatori Salesiani, Tipografia Sa-
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Bairati, P., Cultura salesiana e società industriale, in F. Traniello (ed.), Don Bosco
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Baratta, M., La libertà dell’operaio, Fiaccadori, Parma 1898.
Baratta, M., Principii di sociologia cristiana, Fiaccadori, Parma 1902.
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siano de confesar a sus súbditos, in Loparco - Zimniak (eds.), Don Michele Rua
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attuale della scuola. Lettere due, Tip. e Libreria Salesiana, S. Benigno Canavese
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7.8 Page 68

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68 1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana
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Prellezo, J.M., La risposta salesiana alla “Rerum Novarum”. Approccio a docu-
menti e iniziative (1891-1910), in A. Martinelli - G. Cherubini (eds.), Educazione
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Famiglia Salesiana, SDB, Roma 1992, 39-91.
Prellezo, J.M., La «parte operaia» nelle case salesiane. Documenti e testimonianze
sulla formazione professionale (1883-1886), in «Ricerche Storiche Salesiane» 16
(1997) 31, 353-391.
Prellezo, J.M., Giuseppe Allievo negli scritti pedagogici salesiani, in «Orientamenti
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Prellezo, J.M., Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922.
Approccio ai documenti, in «Ricerche Storiche Salesiane» 23 (2004) 44, 99-162.
Prellezo J.M., Le scuole professionali salesiane (1880-1922). Istanze e attuazioni
viste da Valdocco, in González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al
1922, vol. 1, 53-94.
Programma scolastico per le scuole di artigiani della Pia Società di S. Francesco di
Sales, Tipografia Salesiana, Torino 1903.
Rayneri, G.A., Della pedagogica libri cinque, Grato Scioldo, Torino 21877.
Regolamenti e Programmi per gli Oratori festivi e per i giardini d’infanzia, Tip.
Silvestrelli e Cappelletto, Torino 1912.
Regolamenti pei Convitti diretti dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, Tip. Silvestrelli e
Cappelletto, Torino 1913.
Regolamento-Programma per gli Asili d’infanzia delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
Tip. e Libreria Salesiana, S. Benigno Canavese 1885.
Ricaldone, P., Noi e la classe operaia, Scuola tipografica salesiana, Bologna 1917.
Rua, M., Prima lettera del Nuovo Rettor Maggiore. Circolare del 19 marzo 1888, in
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Rua, M., Studi letterarii. Circolare del 27 novembre 1889, in Lettere Circolari di don
Michele Rua, 35-46.
Rua, M., Gli Oratorii Festivi. Circolare del 29 gennaio 1893, in Lettere Circolari di
don Michele Rua, 457-466.
Rua, M., Vocazioni - Militari - Oratorii Festivi. Circolare del 29 gennaio 1894, in
Lettere Circolari di don Michele Rua, 466-475.
Rua, M., Santificazione nostra e delle anime a noi affidate. Circolare del 24 agosto
1894, in Lettere Circolari di don Michele Rua, 109-122.
Rua, M., Felice esito dell’VIII Capitolo Generale. Come apprezzano le opere nostre.
Circolare nell’ottava della festa dell’Immacolata Concezione 1898, in Lettere Cir-
colari di don Michele Rua, 181-196.
Rua, M., La consacrazione della nostra Pia Società al Sacro Cuore di Gesù. Cir-
colare del 21 novembre 1900, in Lettere Circolari di don Michele Rua, 231-279.
Rua, M., Lo spirito di D. Bosco - Vocazioni. Circolare del 14 giugno 1905, in Lettere
Circolari di don Michele Rua, 522-538.
Ruffinatto P., L’educazione dell’infanzia nell’Istituto delle Figlie di Maria Ausilia-
trice tra il 1885 e il 1922. Orientamenti generali a partire dai regolamenti, in

7.10 Page 70

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1. Formulazioni pedagogiche della prima generazione salesiana 69
González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922, vol. 1, 135-160.
Silva Ferreira, A. da (ed.), Mons. Luis Lasagna. Epistolario, 3 voll., LAS, Roma
1995.
Terza esposizione generale delle scuole professionali e agricole della Pia Società
Salesiana, Scuola tipografica salesiana, Torino 1912.
Zimniak, S., Salesiani nella Mitteleuropa. Preistoria e storia della provincia Austro-
Ungarica della Società di S. Francesco di Sales (1868 ca.-1919), LAS, Roma
1997.
Zimniak S. - Loparco G. (eds.), L’educazione salesiana in Europa negli anni difficili
del XX secolo. Atti del Seminario Europeo di Storia dell’Opera salesiana Craco-
via 31 ottobre - 4 novembre 2007, LAS, Roma 2008.
1.1.2. Risorse online
Fonti, documenti, ricerche, pubblicazioni full-text, materiali fotografici,
legati a questo capitolo.170
170 Cfr. salesian.online/pedagogia1

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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8.2 Page 72

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2. PEDAGOGIA PRATICO-OSMOTICA
CAPACE DI ADATTARSI ALLA SOCIETÀ MODERNA
(1902-1931)
Dopo il periodo della prima sistemazione dell’opera salesiana realizzata
dalla generazione dei diretti collaboratori di don Bosco, i salesiani e le
FMA si trovarono di fronte a nuove sfide come le dinamiche della società
di massa, la Prima guerra mondiale, i regimi totalitari e il nazionalismo
colonialistico. Questi eventi da un lato, l’espansione dell’opera in tutti i
continenti dall’altro, necessariamente spingevano per un adeguamento,
una trasformazione e una ricalibrazione, suscitando non poche sfide per gli
equilibri teorici e pratici all’interno della tradizione pedagogica salesiana.
Ciò che sembra emergere in questo periodo è un atteggiamento di “sana
modernità” e un modo di procedere di adeguamento pratico-esperienziale.
Questa mentalità è individuabile soprattutto nello sviluppo degli oratori,
nelle missioni e nella nascita di nuove opere, congregazioni e associazioni,
ma è stata anche tematizzata da alcuni rappresentanti emblematici.
2.1. L’oratorio nella società di massa e le missioni nell’epoca d’oro del
colonialismo
Agli inizi del Novecento in Europa si fecero strada le dinamiche ini-
ziali della società di massa. Oltre alle dinamiche politiche ed economiche
legate alla seconda rivoluzione industriale, ci furono implicazioni sociali e
demografiche importanti per l’oratorio salesiano, che si configurava come
un’opera educativa aperta, “a metà strada” tra la società e la Chiesa. La
scolarizzazione obbligatoria, il connesso divieto di lavoro infantile, la li-
mitazione delle ore di lavoro e la crescita dei salari crearono le condizioni
per il sorgere del fenomeno del tempo libero, che successivamente aprì la
strada alle molteplici forme del divertimento di massa.

8.3 Page 73

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72 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
2.1.1. Il fenomeno del tempo libero e le sue implicanze
Con la crescente alfabetizzazione dei diversi strati della popolazione
si sentiva il bisogno di letteratura a basso costo e al livello culturale della
maggioranza del popolo. Sorse così una nuova ondata di quotidiani rivol-
ta alla classe medio-bassa, che si interessava poco di alta politica, rac-
contando invece storie sensazionali, mostrando tante foto o immagini, fi-
nanziandosi anche attraverso la pubblicità. Tra questi possiamo nominare
il Daily Mail dell’Inghilterra con 1,3 milioni di copie vendute al giorno,
il Petit Parisien con un milione di copie ed il Berliner Morgenpost con
duecentomila copie giornaliere vendute all’inizio del secolo. Come parte
dello stesso fenomeno, accanto a ciò spuntarono varie opere economiche
d’intrattenimento, vendute nelle stazioni e dai venditori ambulanti oppure
stampate nella forma dei romanzi d’appendice.1
Il romanzo di avventura cattura le menti dei giovani dell’inizio secolo
diffondendo un immaginario di paesi esotici, come fa Emilio Salgari, op-
pure con un’attenzione speciale al wild west di Buffalo Bill e Nick Carter.
Le opere di Jules Verne popolarizzano la mentalità scientifica moderna,
mentre Edgar R. Burroughs nel mondo anglofono lancia il genere fantasy
per ragazzi che in Italia è rappresentato dai racconti di Carlo Collodi già
negli ultimi anni dell’Ottocento.2 Questa letteratura veniva guardata con
sospetto sia dalle associazioni religiose sia da quelle socialiste e naziona-
liste, che spesso cercavano di fare concorrenza a questo fenomeno con la
propria produzione. Non fu solo la lettura che servì da intrattenimento per
le masse popolari nelle ore libere: oltre i café chantant, le music hall, i tea-
tri di strada, le sale da ballo e i clubs, nacque il cinema, che in poco tempo
assunse un’importanza sempre più crescente. I primi film furono proiettati
ancora nelle music hall, ma ben presto sorsero le sale cinematografiche,
che già nel 1911 arrivarono a 3.000 in Gran Bretagna e a 1.500 in Francia.
Insieme con la letteratura di massa ed il cinema, il nuovo settore in
esplosione fu lo sport nelle sue molteplici forme, praticato sia negli stadi
sia nelle strade. Alla tradizionale atletica si aggiunsero i giochi di squa-
dra: tra questi i primi a riscuotere grande successo in termini di pratica e
1 Cfr. H-W. Prahl, Geschichte und Entwicklung der Freizeit, in R. Freericks - D.
Brinkmann (eds), Handbuch Freizeitsoziologie, Springer VS, Wiesbaden 2015, 3-27; M.
Flores, Il XX secolo, Corriere della Sera, Milano 2004, 97.
2 Cfr. S. Lerer, Children’s Literature. A Reader’s History from Aesop to Harry Pot-
ter, University of Chicago Press, Chicago 2008; A. Nobile, Letteratura giovanile. Da
Pinocchio a Peppa Pig, La Scuola, Brescia 2015.

8.4 Page 74

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 73
di tifo furono il rugby ed il calcio. All’inizio essi avevano diverse forme,
ed erano anche stati proibiti per la loro violenza, però a partire dagli anni
Settanta nel diciannovesimo secolo furono organizzati con regole ufficiali
e strutture prima locali e poi internazionali.3 Più tardi si aggiunsero altri
sport tipicamente moderni come il ciclismo e l’automobilismo, legati ai
progressi dell’ingegneria. L’evento emblematico della crescente importan-
za dello sport organizzato divennero le Olimpiadi. Pierre de Coubertin,
che nel 1896 organizzò ad Atene la prima delle Olimpiadi moderne, era
convinto che l’educazione forte e virile, fisica e morale impartita nelle pu-
blic schools fosse stato il segreto della prodigiosa espansione dell’impero
britannico.4 Una componente dello sport di massa importante per il mondo
e l’immaginario giovanile fu il tifo organizzato, che allargò le modalità
di partecipazione al fenomeno sportivo. Inoltre, le organizzazioni sporti-
ve erano spesso usate come veicolo di un’ideologia e lotta politica sia dal
movimento socialista che da altre associazioni, con uno spettro sempre più
ampio di riferimenti politici o religiosi.
2.1.2. La società di massa e il crescente associazionismo
Il concetto di massa fu dibattuto attraverso tutto l’Ottocento, però solo
alla fine del secolo cominciava a configurarsi una vera società di massa.
Uno dei cambiamenti sociali più notevoli introdotti dalla dinamica della
società di massa fu la nuova stratificazione sociale. Alcuni vecchi mestieri
scomparivano e ne sorgevano di nuovi: meccanico, fotografo, dattilografo.
La categoria dei dipendenti pubblici si allargava con le crescenti compe-
tenze dello Stato in materia di istruzione, trasporto, servizi e assistenza
pubblica, così da diventare una classe nuova. Essa sarebbe stata chiamata
più tardi la classe dei “colletti bianchi”, per distinguerla da quella degli
operai con le loro tute blu. Questo ceto “medio” al confine tra gli ope-
rai e l’alta borghesia trovò la sua propria consistenza e identità, basata
sui valori storici della borghesia: l’individualismo, la proprietà privata, il
senso del risparmio, il rispetto della gerarchia e il nazionalismo. La sua
connotazione tipologica divenne un tema frequente nella letteratura a ca-
3 La prima è la Rugby Football Union che sorge in Inghilterra nel 1871 e tra le più
importanti nasce nel 1904 a Parigi la Fédération Internationale de Football Association
(FIFA) per il calcio.
4 Cfr. M. Flores, Il XX secolo, 99.

8.5 Page 75

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74 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
vallo tra l’Ottocento ed il Novecento.5 Neanche la massa degli operai restò
inalterata. Si suddivideva infatti lentamente in manodopera generica, la-
voratori qualificati e lavoratori autonomi. I lavoratori autonomi o almeno
quelli qualificati partecipavano in una certa misura ai vantaggi del sistema
economico dell’epoca e formavano insieme ai dipendenti pubblici il ceto
medio della società.6
Un altro fenomeno tipico di quest’epoca furono i partiti politici di massa
e i sindacati, che trovarono un posto importante nell’organizzazione della
vita pubblica. Il nuovo modello del partito venne «proposto per la prima
volta dai socialisti (e in minor misura dai cattolici), basato sull’inquadra-
mento di larghi strati della popolazione attraverso una struttura perma-
nente, articolata in organizzazioni locali (sezioni, federazioni) e facente
capo a un unico centro dirigente».7 L’identità di questi partiti era fondata
generalmente sull’appartenenza ad una classe (socialisti), o ad una nazione
(nazionalisti), o ad una confessione (cattolici). I sindacati riuscirono alla
fine dell’Ottocento a far resistenza alle pressioni degli imprenditori e com-
battevano per i diritti dei lavoratori non solo in Europa e negli Stati Uniti,
ma anche in America latina ed Australia. I sindacati si identificavano, poi,
rispetto agli indirizzi d’ispirazione teoretica del loro agire, come socialisti
(che facevano riferimento alla dottrina di Marx - Engels), cattolici (che si
riferivano invece all’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII), liberali o
conservatori. Alla vigilia della Prima guerra mondiale c’erano quattro mi-
lioni di iscritti ai sindacati in Gran Bretagna, tre milioni in Germania, due
milioni in Francia e cinquecentomila in Italia.8
2.1.3. L’adattamento degli oratori salesiani nel primo Novecento
La Chiesa mostrava la sua vitalità nel potenziamento dell’attività socia-
le e missionaria e, non limitandosi ad opporsi allo stato laicista, elaborò
una strategia articolata che si esprimeva attraverso l’opera delle congre-
gazioni religiose, l’editoria scolastica, la pubblicistica educativa popolare,
la letteratura ascetica, gli oratori e, non per ultimo, l’associazionismo per
5 Cfr. per esempio Una vita di I. Svevo, Il processo di F. Kafka, Signori mezze-
maniche di G. Courteline o Le domeniche di un borghese a Parigi di G. de Maupassant.
6 Cfr. G. Sabbatucci - V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Later-
za, Roma-Bari 2005, 167-171.
7 Ibid., 174.
8 Ibid., 173-175.

8.6 Page 76

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 75
rispondere alle domande formative delle nuove generazioni. Vescovi, preti,
religiosi e militanti laici, erano preoccupati di tutelare dai pericoli della
rivoluzione liberale le coscienze giovanili, difendendone mentalità e co-
stumi.9
Ancora negli anni ’80 dell’Ottocento si può affermare che l’oratorio sa-
lesiano ebbe un’impostazione “degli inizi”: fu un oratorio dei giorni festivi
definito dal classico binomio catechismo-ricreazione. La finalità educativa
era costituita soprattutto dall’istruzione e pratica religiosa e la ricreazione
nel cortile aveva lo scopo di creare l’ambiente educativo gioioso e simpati-
co, svolgendo la funzione importante di attrarre i giovani. In questo conte-
sto si inserivano le compagnie, la musica ed il teatro che animavano la vita
dell’oratorio. I destinatari erano prevalentemente ragazzi e adolescenti di
età compresa tra gli 8 e i 16 anni.
Agli inizi del Novecento, mentre si stavano moltiplicando i ricreatori di
impostazione laico-liberale o socialista,10 i cattolici intravedevano nell’o-
ratorio un’istituzione educativa importante come ambiente di mediazione
tra la parrocchia e la società, innanzitutto per la possibilità di esercitare
un’azione preventiva nei confronti della gioventù insidiata da molte parti,
e poi per la maggiore flessibilità rispetto alla scuola. Se la parrocchia tra-
dizionale fu la forma territoriale e stanziale della presenza di una comu-
nità ecclesiastica, l’oratorio rappresentò, invece, l’estroversione innovativa
verso il territorio, la periferia e le contrade, che si concretizzava in attivi-
tà catechetica, formativa e ricreativa. La posizione intermedia garantiva
una “sacralità” diversa da quella parrocchiale e una “profanità” diversa dal
mondo dei movimenti politici, del lavoro e della logica dei doveri.11
Dopo la spinta decisiva della Rerum Novarum, crebbe l’attenzione al
sociale nella vita dell’oratorio e in sintonia con essa si rinvigorì anche la
9 Cfr. L. Caimi, Il contributo educativo degli oratori e dell’associazionismo giova-
nile dall’Unità nazionale alla prima guerra mondiale, in L. Pazzaglia (ed.), Cattolici,
educazione e trasformazioni socio-culturali in Italia tra Otto e Novecento, La Scuola,
Brescia 1999, 629-696.
10 I ricreatori, istituiti dalle amministrazioni comunali, avevano uno scopo preventi-
vo rispetto al problema del vagabondaggio dei giovani (soprattutto durante le vacanze)
sviluppando intrattenimenti per gli allievi delle scuole popolari cittadine con giochi,
esercizi ginnici, lezioni di canto e musica, letture, teatro, ed eventualmente il recupero
delle materie scolastiche. Cfr. D. Pela, L’identità politica tra pubblico e privato, in P.
Sorcinelli (ed.), Identikit del Novecento. Conflitti, trasformazioni sociali, stili di vita,
Donzelli, Roma 2004, 180-223.
11 Cfr. G. Tassani, L’oratorio, in M. Isnenghi (ed.), I luoghi della memoria. Simboli e
miti dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari 1996, 67-91.

8.7 Page 77

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76 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
finalità di “preparare alla vita”. Questo tratto sociale incise, insieme con
l’inserimento dello sport e con il rafforzarsi della dimensione associativa
organizzata in “sezioni”, sulla fisionomia dell’oratorio salesiano del primo
quarto del XX secolo. Con l’offerta formativa più ricca, l’oratorio si fece da
festivo anche quotidiano. L’accento sulla preparazione alla vita determinò
l’avvio di attività per i destinatari oltre i 18 anni, i quali trovarono un’offer-
ta formativa a loro dedicata nelle scuole di religione che, creando un gra-
dino in più rispetto al catechismo, erano collegate con le attività educative
specifiche per l’inserimento nel mondo sociale e lavorativo.
Oltre agli influssi diretti del contesto sociale, i progressi della tecnolo-
gia (come il cinema) arricchivano lo spettro delle attività ricreative e dei
mezzi della catechesi. Si può affermare che un oratorio ben articolato alla
fine degli anni ’20 non era più caratterizzato solo dal catechismo e dalla ri-
creazione. Le finalità educative integrali abbracciarono ricche proposte di
attività organizzate in tante “sezioni”. Solo con la “Crociata catechistica”
degli anni ’40 si sarebbe tornati ad insistere sulla contrapposizione tra il
catechismo e le altre attività ricreative. È da notare che, nonostante i tanti
sviluppi, la struttura dell’oratorio aveva le sue fragilità soprattutto a livello
di personale e di sostenibilità strutturale. In seguito offriremo una sintesi
del cammino dei congressi oratoriani, i quali rispondevano alle sfide con-
crete apportando diversi miglioramenti che si inserivano in un quadro più
articolato dell’associazionismo oratoriano salesiano.
2.1.3.1. Gli equilibri e l’animazione dal centro: Bollettino, congressi e re-
golamenti
Nell’inizio degli anni ’20 don Barberis, catechista generale, scrisse:
«Mi si permetta però di manifestare un timore, che qualche volta mi con-
turba, pensando ad un pericolo che potrebbe sovrastare ai nostri oratori
festivi. Se non si sta più che attenti c’è tutta la possibilità di trasformare
l’oratorio festivo in un ricreatorio qualunque, sviluppando in esso, più che
l’istruzione religiosa, gli allettativi e i divertimenti, che ne costituiscono il
movimento e la vita esterna».12 Ovviamente la questione non era nuova ed
era già stata dibattuta precedentemente nei congressi oratoriani, nel quin-
to Congresso dei Cooperatori del 1906 e poi evidenziata nel “Bollettino
Salesiano”. Trattandosi di una questione di equilibrio, essa comportava un
12 G. Barberis, Il direttore spirituale, in ACS 1 (1920) 2, 38.

8.8 Page 78

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 77
compito aperto e costante per assestare nella pratica le due tendenze. Gli
equilibri tra formazione religiosa e ricreazione furono spesso costruiti con
concetti e punti di partenza diversi e, nonostante alcune esagerazioni, ri-
masero sul piano pratico-progettuale senza arrivare a soluzioni definitive.
Per la vita e le attività concrete degli oratori fu significativa la serie dei
congressi sull’oratorio in Italia, che facevano dialogare la tradizione filip-
pina, milanese e salesiana. Il secondo congresso nel 1902, celebrato a Val-
docco, fu percepito con più forza a livello salesiano. Don Stefano Trione,
che redasse le materie trattate in un Manuale Direttivo, si lasciò ispirare
dal Regolamento di don Bosco per comporre i primi tre capitoli:
1. Organizzazione e ruoli all’interno dell’oratorio: direttore, prefetto, ca-
techista ed altri ruoli;
2. Educazione religiosa attraverso il catechismo, sacramenti e predica-
zione;
3. Disciplina, divertimenti, musica e teatro.
I capitoli seguenti portarono, invece, delle aggiunte e innovazioni sia
a livello associativo che di attività: compagnie e circoli anche per giovani
adulti, biblioteche circolanti, oratori quotidiani, scuole serali, scuole di re-
ligione, società di previdenza e uffici di collocamento al lavoro. Tra le atti-
vità menzionate nella sezione delle buone pratiche spuntò più sviluppata la
parte dello sport: passeggiate, ginnastica, atletica, podismo, calcio e ballo
(quest’ultimo per gli oratori femminili).13 Un anno dopo il terzo Congresso
dei Cooperatori Salesiani, riconfermando e propagando il congresso men-
zionato prima, sul tema degli oratori festivi e quotidiani procedette oltre il
puro binomio catechismo-ricreazione, segnalando l’importanza dell’obiet-
tivo generale della preparazione alla vita sociale e del metodo dell’assisten-
za prima e dopo la scuola.14
La questione sul metodo dell’insegnamento catechistico si era focalizza-
ta negli anni successivi all’interno del terzo e quinto congresso oratoriano
13 Cfr. Manuale direttivo degli Oratorii Festivi e delle Scuole di Religione. Eco del
Congresso di tali istituzioni tenutosi in Torino i giorni 21 e 22 maggio 1902, Scuola ti-
pografica salesiana, S. Benigno Canavese 1903. NB: È da notare che l’accettazione dello
sport e della ginnastica nelle istituzioni educative cattoliche non è stata né lineare né
pacifica. Oltre agli approfondimenti nel terzo capitolo cfr. L. Demofonti, Il movimento
sportivo cattolico in Italia fra Ottocento e Novecento, in «Studi Storici» 51 (2010) 651-
689 e D. Bardelli, Cattolicesimo, ginnastica e sport. Un percorso storico nel rapporto
fra religione e attività motorie, EDUCat, Milano 2012.
14 Cfr. P. Braido, Per una storia dell’educazione giovanile nell’oratorio dell’Italia
contemporanea. L’esperienza salesiana, LAS, Roma 2018, 78-79.

8.9 Page 79

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78 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
(1907 e 1911) e del successivo congresso catechistico a Brescia (1912). Nel
terzo congresso oratoriano si proposero le “proiezioni luminose” applicate
all’insegnamento del catechismo, non tanto per attuare una vera scuola di
religione, ma per attirarvi quelli che abitavano nei quartieri delle grandi
città, dove non si aveva nessun’altra azione pastorale. Si affermava che
gli spettacoli di proiezioni cinematografiche offerti gratuitamente, o quasi,
sarebbero riusciti ad integrarsi nella missione catechistica e si indicavano i
modi per renderli didatticamente fruttuosi.15 Degni di nota sono gli svilup-
pi della catechesi femminile promossi con straordinario zelo e non comuni
capacità organizzative e metodi innovativi da suor Maddalena Morano,
ispettrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Sicilia.16 L’ispettrice comin-
ciò ad organizzare le scuole di religione, diverse dalle classi del catechi-
smo, in quanto destinate alle oratoriane più grandi, le Figlie di Maria, che
richiedevano maggiori approfondimenti. Queste scuole si diffusero anche
al di fuori della Sicilia e durante la settimana sociale dell’Unione Donne
Cattoliche d’Italia, che si svolse nel 1913 a Torino, fu sottolineata la signi-
ficatività della scuola di religione presso le FMA da parte della direttrice
didattica dell’Unione: «Un ben ordinato profondo lavoro di apologetica,
lumeggiato dalla critica storica, sostenuto dalla logica serrata, nutrito dalla
lettura commentata dei Sacri Testi, specie del Vangelo».17
Un apporto significativo e autorevole fu offerto nel “Bollettino Salesia-
no” dal 1903 al 1907 da parte di “don Simplicio”.18 Assicurando di svi-
luppare le tematiche in ossequio ai desideri di don Rua,19 l’autore diffuse
15 P. Braido, L’oratorio salesiano in Italia, “luogo” propizio alla catechesi nella
stagione dei Congressi (1888-1915), in «Ricerche Storiche Salesiane» 46 (2005) 1, 62.
16 Cfr. M.L. Mazzarello, Sulle frontiere dell’educazione. Maddalena Morano in Si-
cilia (1881-1908), LAS, Roma 1995, 141-180. Per contestualizzare le “scuole di religione”
cfr. il volume degli «Annali di Storia dell’Educazione e delle Istituzioni scolastiche» 18
(2011) 11-202 e G. Biancardi - U. Gianetto, Storia della catechesi, LAS, Roma 2016,
vol. 4: Il movimento catechistico, 376-399.
17 M. Magnocavallo, Quale istruzione religiosa e formazione morale deve avere la
donna per essere buona maestra, in J.G. González et al. (eds.), L’educazione salesiana
dal 1880 al 1922. Istanze ed attuazioni in diversi contesti. Atti del 4° Convegno Inter-
nazionale di Storia dell’Opera salesiana Ciudad de México, 12-18 febbraio 2006, vol. 1,
LAS, Roma 2007, 360.
18 Lo pseudonimo nasconde una personalità di spicco legata al Consiglio Generale,
al lavoro dei Congressi e al Bollettino. Con buona probabilità potrebbe essere Stefano
Trione, protagonista dei lavori dei Congressi, oppure altre personalità gravitanti attorno
a Valdocco e al Bollettino come Abbondio Anzini, Giovanni Minguzzi o Angelo Ama-
dei. Cfr. Braido, Per una storia dell’educazione giovanile nell’oratorio, 80.
19 D. Simplicio, Gli oratori festivi. Lettera aperta agli amanti della gioventù, in «Bol-

8.10 Page 80

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 79
i suoi insegnamenti, i quali si ispiravano sia a don Bosco che alle attua-
lizzazioni dei congressi. È importante la sua presa di posizione a difesa
delle attività sociali e sportive. Nelle sue Lettere aperte agli amanti della
gioventù mostrava l’utilità degli sport e suggeriva al tempo stesso varie
norme di pratica importanti per prevenire le dannose conseguenze delle
esagerazioni, raccomandando che le attività sportive avessero anche un ca-
rattere istruttivo e che salvaguardassero la presenza alle funzioni religiose
nei giorni di festa.20 Don Simplicio non esitava a ricorrere a pedagogisti
contemporanei e difendeva la ginnastica, nucleo forte delle società sporti-
ve negli oratori, affermando:
Una istituzione come la ginnastica che rappresenta un potente mezzo preven-
tivo e profilattico d’igiene sociale, di economia pubblica e di prosperità nazio-
nale, sviluppando e mantenendo sani e attivi al lavoro produttivo, sia quello del
cervello, sia quello del braccio. […] La organizzazione di essa è questione delle
più vitali.21
La stessa linea di pensiero fu sviluppata da don Simplicio attorno all’e-
ducazione civile. Egli, all’interno della sua riflessione sull’oratorio nelle
pagine del Bollettino, specifica che l’istruzione nell’oratorio si divide ed
integra a vicenda «in due rami: religiosa e civile, benché si possano impar-
tir egualmente, e tanto bene, anche ambedue insieme», precisando succes-
sivamente: «Nell’oratorio tutto deve istruire. Chi pretendesse di restringere
l’insegnamento al catechismo, o di proibire che anche in cappella, finite
magari le funzioni, si diano a quando a quando degli avvisi di buona cre-
anza, s’inculchi ad esempio il buon contegno da tenersi per le vie, per le
piazze, nelle officine, in famiglia, coi superiori, coi compagni, cogli amici
ecc., errerebbe assai».22
La questione degli equilibri tra l’educazione religiosa e le altre attivi-
tà non era l’unico dinamismo dialettico all’interno dell’oratorio. Le nuove
attività sportive, culturali e sociali erano a volte percepite come “il nuovo
metodo” e si rischiava di dimenticare il cuore della tradizione salesiana
mettendo in atto un aggiornamento “troppo comodo”. Don Simplicio da
lettino Salesiano» 27 (1903) 1, 12.
20 Cfr. La prima giornata (5 giugno). L’adunanza del mattino, in «Bollettino Salesia-
no» 30 (1906) 7, 201.
21 M. Jerace, Gli sports nella scienza e nell’educazione, in «Bollettino Salesiano» 30
(1906) 12, 364-365.
22 D. Simplicio, Gli oratori festivi. Lettera aperta agli amanti della gioventù, in «Bol-
lettino Salesiano» 27 (1903) 12, 355-356.

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9.1 Page 81

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80 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
parte sua osservò che «non sono tanto pochi neppure quelli che, quantun-
que pieni di ammirazione e di entusiasmo per quest’opera provvidenzia-
le, mancano poi all’atto pratico della virtù necessaria ad immolarsi – è la
parola! – della virtù, dico necessaria ad immolarsi per questa missione.
Sappiamo che il povero don Bosco, quando attendeva all’Oratorio nei prati
solitari di Valdocco, giunto alla fine della giornata rientrava in casa così
sfinito che non aveva più tanta forza da prendere un po’ di nutrimento».23
Nelle discussioni attorno al rinnovamento della vita oratoriana si può per-
cepire la presenza di due dinamiche tipiche: la prima relativa al ripensa-
mento degli elementi teorici e pratici nelle nuove condizioni; mentre la
seconda in alcuni contesti semplicemente tendeva a trascurare gli aspetti
più esigenti della tradizione, relativizzando la giusta tensione educativa tra
l’ideale proposto e la situazione corrente.24
Un ultimo aspetto descritto all’interno degli sviluppi dell’educazione
oratoriana salesiana è la tensione tra un atteggiamento rigido-legalistico
nelle questioni dell’aggiornamento dei regolamenti degli oratori e la pratica
creativo-flessibile nella gestione delle ricche e nuove attività degli oratori
che riempivano le cronache del Bollettino. Braido valuta i due aggiorna-
menti del Regolamento degli oratori nel 1906 e nel 1922 in modo chiaro:
«Si ha l’impressione di una “legge” irrigidita in un fondamentale immo-
bilismo, che non riesce a porsi al passo con la generalità degli oratori, di
cui riferiscono le Cronache del Bollettino».25 Egli giustamente nota che il
testo delle nuove regole è ancora tenacemente ancorato alla lettera del re-
golamento di don Bosco e non sembra rispecchiare la ricchezza dell’espe-
rienza viva salesiana. Gli oratori reali erano già andati oltre, peraltro in li-
nea con le indicazioni dei superiori centrali, con a capo il rettore maggiore,
ognora positivo nei confronti delle aperture dei congressi che presiedeva,
ed incoraggiante nelle lettere sia circolari che mensili.
2.1.3.2. Situazione concreta degli oratori
Nonostante la grandeur dei congressi, la presenza di esperienze inno-
vative e l’esistenza di oratori modello, la maggioranza degli oratori fatica-
23 M. Jerace, Gli sports nella scienza e nell’educazione, 364-365.
24 Per la descrizione degli equilibri nella gestione del cambiamento cfr. la lettura
ispirativa di P.M. Senge, The Fifth Discipline. The Art and Practice of the Learning
Organization, Doubleday, New York 2006, 103-112 e 391-395.
25 P. Braido, L’oratorio salesiano in Italia (1888-1915), 56.

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 81
va a portare avanti la sua missione. La prima problematica fu data dalla
situazione precaria a livello economico. È eloquente la testimonianza del
“Bollettino Salesiano” del 1903: «L’oratorio festivo non è un cespite di
entrata, ma piuttosto un’uscita continua: ed è per questo che in vari luoghi
chiamati i salesiani alla direzione di un oratorio e abbandonati poi a se
stessi, si videro costretti ad aprire ospizi e collegi, anche per campare la
vita».26 Le difficoltà economiche si risolvevano generalmente con il ricorso
ai benefattori, con la supplenza materiale dell’istituto oppure con le raccol-
te di fondi e lotterie connesse con occasioni speciali della vita oratoriana:
feste, recite del teatro o concerti di musica.
Alle difficoltà economiche si aggiungevano carenze di locali usati per
l’oratorio. L’oratorio aveva bisogno di spazi ben definiti come la chiesa,
il cortile, il salone per il teatro e le aule per il catechismo e per le diver-
se attività culturali e ricreative. Se l’oratorio era solo festivo, i locali non
sarebbero stati usati per il resto della settimana e quindi si utilizzavano
spesso spazi condivisi con le attività del collegio; ciò creava a volte non
poche tensioni. Questa separazione era simbolizzata anche dalla divisione
dei cortili a Valdocco tra studenti, artigiani ed oratoriani.
Tra tante difficoltà di ordine pratico, la sfida più importante, anche se
non la più urgente, fu la mancanza di personale preparato. Anche se nell’e-
spansione della Congregazione il problema della mancanza del personale
salesiano era un fatto generale, negli oratori esso fu maggiormente avverti-
to, poiché questi ultimi erano messi in secondo piano rispetto ai collegi. Un
segno in questa direzione fu un parziale assenteismo salesiano nel dibattito
sugli oratori, sia da parte delle autorità intermedie (ispettori e direttori) che
dalla base. L’atteggiamento diffuso era la diffidenza verso tutta l’azione
dei congressi riassunta nella relazione sul quinto congresso degli oratori
festivi (1911): «Mah! I congressi lasciano il tempo che trovano! Si ripetono
sempre le solite cose; si fanno tanti voti che restano lettera morta; perciò è
inutile che m’interessi».27 Nonostante l’affermazione del secondo congres-
so degli oratori: «Torna dunque della massima importanza la scelta di un
idoneo direttore, anzi si può affermare che la fortuna d’un oratorio festivo
dipende dall’abilità del suo direttore»,28 nelle case succedeva invece che
mancava il direttore dell’oratorio, oppure si dava l’incarico a persone im-
26 D. Simplicio, Gli oratori festivi. Lettera aperta agli amanti della gioventù, 108.
27 A. Anzini, Gli Oratorî Festivi, in P. Braido, L’oratorio salesiano in Italia (1888-
1915), 84.
28 Manuale direttivo degli Oratorii Festivi e delle Scuole di Religione, 30.

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82 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
preparate. Un’eco di questa situazione si trova sulle pagine del “Bollettino
Salesiano” che criticano la concezione che «un sacerdote qualunque basta
a far andare un oratorio festivo».29
Le diverse risposte alle esigenze dell’epoca incrementavano la comples-
sità della gestione dell’oratorio e implicavano anche la crescita quantita-
tiva del personale coinvolto. Alcuni opinionisti salesiani puntavano sulla
formazione dei giovani salesiani con lo scopo di prepararli per i compiti
educativi dell’oratorio, usando appositi manuali e periodi di tirocinio in
oratori “modello” ben organizzati. Altri chiamarono in gioco il potenziale
dei laici, i quali con la loro esperienza pratica e vitale avrebbero potuto es-
sere più fruttuosi di tanti studi pedagogici.30 In questo contesto si possono
menzionare anche le riflessioni sul tema del personale negli oratori salesia-
ni trattato durante i congressi dei cooperatori salesiani nelle prime decadi
del Novecento. Tutti i cooperatori erano invitati a farsi carico dell’impianto
degli oratori festivi e del loro sostegno personale, materiale e morale. Si
accentuava soprattutto il ruolo dei cooperatori nella gestione dei circoli
sportivi, artistici e sociali:
Il lavoro dei congressi dei cooperatori era infatti collegato in vari punti con
la riflessione dei congressi degli oratori. Nel settore per l’assistenza della gio-
ventù erano chiamati ad impegnarsi in primo piano negli oratori festivi, con i
tanti mezzi per riuscire efficaci: circoli di cultura, conversazioni sociali, scuole
professionali, segretariati del lavoro e uffici di collocamento, uffici d’iscrizione
alle casse di previdenza, istruzione sulla legislazione del lavoro, conferenze d’i-
giene professionale, assicurazioni operaie popolari ecc. Seguiva l’elenco degli
atteggiamenti e comportamenti chiesti per lunga tradizione a quei cooperatori
che avessero voluto promuovere la fondazione di scuole di religione e di oratori
festivi e lavorare in essi.31
La diversità dei contesti religiosi e sociali condizionava profondamente
la situazione concreta degli oratori. L’elemento della presenza o assenza di
una “tradizione oratoriana” consolidata culturalmente in un dato contesto
influenzava significativamente l’aspetto quantitativo, il quale a sua volta
influiva sulle scelte concrete e sui metodi educativi adottati. In alcuni ora-
29 A. Brugnoli, Per la salvezza della gioventù: Occorre un provvedimento radicale,
in «Bollettino Salesiano» 40 (1916) 6, 165.
30 Cfr. G. Chiosso, Educazione e pedagogia nelle pagine del «Bollettino salesiano»
d’inizio Novecento, in González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922,
vol. 1, 130.
31 P. Braido, L’oratorio salesiano vivo in un decennio drammatico (1913-1922), in
«Ricerche Storiche Salesiane» 47 (2005) 2, 258-259.

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 83
tori si lavorava con pochi giovani, in altri c’erano migliaia di iscritti. Per
esempio nel 1913 erano registrati due mila iscritti all’oratorio di Valdocco
con ottocento assidui frequentatori di molteplici attività.32 In altri posti
d’Italia, soprattutto nel sud, il numero dei giovani era attorno al centina-
io.33 Le differenze tra un contesto culturale tradizionalmente cristiano e un
contesto di missione ad gentes incideva ancora di più e così per esempio a
La Paz in Bolivia si ha un migliaio di oratoriani nel passaggio fra i secoli
mentre in Giappone don Cimatti caratterizza la situazione oratoriana negli
anni trenta del Novecento in maniera simile al primo oratorio di don Bo-
sco, perché prima vengono i curiosi, poi un gruppo di ragazzi si stabilizza
e l’oratorio prende un andamento normale, e all’apparenza promettente,
finché un bel giorno l’oratorio è improvvisamente deserto.34
2.1.3.3. Sviluppo e tensioni attorno all’associazionismo salesiano
Lo sforzo innovativo per trovare i modi per attirare e trattenere i gio-
vani nell’oratorio si sviluppava soprattutto nella direzione di nuove attività
organizzate in “sezioni” con una certa autonomia gestionale. Non sempre
i vecchi giochi della metà dell’Ottocento attiravano e già durante la vita
di don Bosco i salesiani di Valdocco sentirono l’esigenza di cercare delle
novità nel campo ricreativo.35 Alcune attività tradizionali, come il teatro,
la musica, le scuole serali e le compagnie si svilupparono ulteriormente,
ed altre nuove, come lo sport organizzato, lo scoutismo e le attività sociali,
avrebbero cercato il loro posto all’interno della vita dell’oratorio salesiano
dell’epoca. Oltre a vedere l’innovazione nelle nuove attività, diventa inte-
ressante la loro modalità organizzativa, che evolve verso un tipo di asso-
ciazionismo nuovo, più articolato, moderno e di massa.
La pluralità delle attività e della loro animazione all’interno dell’orato-
rio salesiano era già consolidata e tradizionalmente collegata con la strut-
tura delle compagnie. Nell’epoca del primo Novecento si preferì invece la
32 Cfr. Ibid., 218.
33 Cfr. F. Casella, Il Mezzogiorno d’Italia e le istituzioni educative salesiane. Richie-
ste e Fondazioni (1879-1922) Fonti per lo studio, LAS, Roma 2000.
34 Cfr. V. Cimatti, Le difficoltà per l’azione missionaria in Giappone, in «Bollettino
Salesiano» 56 (1932) 7, 213-215; Id., L’Oratorio di Don Bosco, in «Bollettino Salesiano»
57 (1933) 10, 303-307.
35 Cfr. J.M. Prellezo, Valdocco nell’Ottocento tra reale ed ideale (1866-1889). Docu-
menti e testimonianze, LAS, Roma 1992, 254.

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84 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
denominazione “associazione” o “circolo giovanile”. L’ambito dell’azione
ed il numero delle associazioni si allargò e accanto al circolo (o compa-
gnia) di san Luigi, di san Giuseppe, del SS. Sacramento, del Piccolo Clero,
dell’Immacolata e dell’Angelo Custode, che avevano lo scopo di animare
una sezione o un aspetto della vita oratoriana, si aggiungevano circoli che
riguardavano la dimensione sociale, espressiva o sportiva. L’attività tipi-
ca di un circolo-compagnia era collegata ai momenti formativi, che ge-
neralmente si concretizzavano in una conferenza regolare dell’incaricato
dell’oratorio, del direttore o di un’autorità locale. In alcuni posti l’aspetto
formativo della vita associativa era sottolineato dalla presenza “in corpo”
alla Santa Messa, preceduta dalle confessioni. Una parte importante della
vita dei circoli erano la gita annuale, le discussioni tematiche, le feste del
patrono, talvolta anche la redazione del proprio giornalino.
Una categoria particolare è costituita dai circoli senza un’attività carat-
terizzante, che sorgevano come risposta al bisogno di associarsi, talvolta
rinforzato dalla tradizione anglosassone di organizzarsi nei club. In questo
periodo nacquero anche le associazioni degli exallievi, importanti per l’ac-
compagnamento dei soci nella transizione alla vita sociale con un ulteriore
impatto formativo. Le singole associazioni degli exallievi, nate spontanea-
mente, si organizzarono, poi, in una federazione internazionale con i primi
statuti nel 1911 sotto il coordinamento di Filippo Rinaldi.
Le sezioni sportive cominciarono ad entrare negli oratori salesiani all’i-
nizio del Novecento. Atletica, ginnastica, ciclismo furono i primi sport
praticati sul suolo oratoriano. Già nel 1905 si organizzò in Italia il primo
Convegno Sportivo Cattolico e il Bollettino ne informava, sviluppando
l’aspetto del legame tra lo sport e l’educazione dello spirito e della virtù.
Eloquente è il discorso di papa Pio X rivolto ai partecipanti, che contiene
tanti elementi di convergenza con l’educazione salesiana:
Nel riguardarvi sento il bisogno di dirvi che vi voglio bene, e voi dovete avermi
non come padre soltanto, ma come fratello e tenero amico. E con questi sentimenti
non solo approvo tutte le vostre opere nell’azione cattolica, ma ammiro e benedico
di cuore tutti i vostri giuochi e passatempi, la ginnastica, il ciclismo, l’alpinismo,
la nautica, il podismo, le passeggiate, le gare, i concorsi e le accademie, alle quali
vi dedicate; purché gli esercizi materiali del corpo influiranno mirabilmente su-
gli esercizi dello spirito; perché questi trattenimenti richiedendo pur del lavoro,
vi toglieranno dall’ozio, che è il padre dei vizi; e purché finalmente le stesse gare
amichevoli saranno in noi un’immagine dell’emulazione nell’esercizio della virtù.36
36 P. Pericoli, Il 1° Convegno Sportivo Cattolico Italiano, in «Bollettino Salesiano»
29 (1905) 11, 326-328.

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 85
Già nel 1909 durante il quarto congresso degli oratori si considerava il
tema delle sezioni con particolare riferimento alla sezione sportiva. Il con-
gresso espresse la sua soddisfazione per il sorgere della vasta e fiorente Fe-
derazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane (FASCI). Negli
interventi seguenti fu chiaro lo sforzo dei partecipanti per collegare l’attivi-
tà formativa e ricreativa e per tenere in armonia la direzione dell’oratorio e
delle singole sezioni. Si elencano qui alcune considerazioni del congresso:
1. le sezioni non siano fini a se stesse, ma solo mezzo efficace per affe-
zionare i giovani più grandi all’oratorio;
2. lo spirito informatore delle sezioni sia il medesimo dell’oratorio;
3. il fine speciale delle sezioni sia il formare e fortificare i giovani nella
vita cristiana, non abbandonandoli nel momento in cui avevano massimo
bisogno di assistenza;
4. lo sforzo precipuo di tutta l’azione degli oratori sia rivolto a far sem-
pre più affezionare la gioventù alla pratica della vita cristiana;
5. si esigesse l’adempimento di tutti i doveri religiosi nell’oratorio, con-
cedendo nondimeno facili eccezioni per giustificati motivi;
6. dai giovani delle sezioni si ottenesse che almeno una volta al mese
intervenissero ad opportune conferenze e frequentassero nelle feste princi-
pali dell’anno i SS. Sacramenti;
7. da tutti assolutamente si pretendesse una condotta esterna moralmen-
te e religiosamente buona;
8. l’emulazione è fortissima spinta all’unione e a quel progresso che è
fine proprio e particolare di ogni sezione; e un indirizzo generale ed unico
è mezzo potente per togliere divisioni, ombre e conseguenti sfaceli;
9. tutte le sezioni siano interamente alla dipendenza assoluta della dire-
zione dell’oratorio, perché il lavoro di tutte sia concorde ed efficace;
10. che i consigli direttivi delle singole sezioni (necessari all’attività e
al loro sviluppo) impersonati nei rispettivi loro presidenti, siano membri
consiglieri della direzione;
11. che tutte le sezioni abbiano un regolamento unico, salve le disposi-
zioni particolari per la vita e lo sviluppo proprio di ciascuna sezione.37
Nell’oratorio salesiano, lo scoutismo comincia a occupare un posto par-
37 Cfr. Le Sezioni dell’Oratorio, in «Bollettino Salesiano» 33 (1909) 12, 365-366.

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86 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
ticolare nel secondo decennio del Novecento.38 L’Italia fu tra le prime na-
zioni ad accogliere questo nuovo metodo educativo, tuttavia lo scoutismo
in Italia non fu esente da alcune interpretazioni problematiche: una tenden-
za al militarismo, una maggiore attenzione alla massa più che all’individuo
e soprattutto l’inclinazione all’areligiosità. Il concetto di movimento aperto
ad ogni forma di religiosità fu interpretato come esclusione dell’educazio-
ne religiosa specifica, e per questa ragione nacque nel 1916 l’Associazione
Scout Cattolici Italiani (ASCI), volendo dare allo scoutismo un’impronta
cattolica. Una simile situazione fu affrontata anche in Argentina dove don
Giuseppe Vespignani fondò con grande successo gli Exploradores de don
Bosco nel 1915.39
2.1.4. La Prima guerra mondiale e i salesiani
In campo politico l’impero britannico era ancora la superpotenza mili-
tare, che dominava su un quarto della superficie della terra e comprendeva
un quinto della popolazione mondiale, ma l’età vittoriana dei grandi suc-
cessi coloniali e della politica dell’isolamento era finita e cominciava un
altro capitolo della sua storia. La regina Vittoria, che aveva inaugurato il
suo regno nel 1838, scomparve nel 1901 e un anno dopo finì anche il go-
verno conservatore di Salisbury che aveva guidato il paese per lunghi anni
senza una opposizione consistente. Come segno del mutamento dei tempi,
nel 1906 per la prima volta entrò nella Camera dei Comuni un partito la-
burista che era espressione del socialismo riformista e vicino ai movimenti
sindacali, mentre si distanziava nettamente dal socialismo rivoluzionario
dei comunisti; così negli anni seguenti vennero attuate varie riforme so-
ciali che attenuavano un capitalismo esasperato. Nel frattempo con la dif-
fusione della seconda rivoluzione industriale, l’economia britannica perse
la posizione di supremazia, subendo la crescente concorrenza degli Stati
Uniti, della Germania e della Francia. In questa situazione di competizio-
38 Lo scoutismo trovò in Sir Robert Baden-Powell (1857-1941) il suo fondatore. L’in-
tuizione di utilizzare a scopo educativo l’innata tendenza dei ragazzi all’avventura fu
esposta nella pubblicazione Aids to Scouting for Man che raccolse una grande fortuna
tra i ragazzi. Dopo l’esperienza entusiasmante del campeggio sperimentale nell’isola di
Brownsea nell’agosto del 1907, scrisse un secondo libro dal titolo Scouting for Boys, un
sussidio educativo destinato alla gioventù inglese.
39 S. Negrotti, Los exploradores argentinos de don Bosco: orígenes y pedagogía
de una experiencia juvenil salesiana argentina, in González et al. (eds.), L’educazione
salesiana dal 1880 al 1922, vol. 2, 27-50.

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 87
ne economico-politica la Gran Bretagna nel 1904 strinse un patto con la
Francia, realizzando un’alleanza che si voleva nascondere sotto il termine
d’Intesa e che fu più tardi allargata anche alla Russia.
L’Europa centrale, la controparte in concorrenza, era costituita dalla
Germania e dall’impero Austro-Ungarico. Volendo costruire un nuovo
impero, la Germania, che solo recentemente aveva ritrovato l’unità ter-
ritoriale, si trovò per forza in una posizione antagonista rispetto alle altre
potenze imperiali che si erano già spartite il globo e il tema principale
della sua politica fu la Weltpolitik. Nell’impero Austro-Ungarico, sotto
il governo lunghissimo di Francesco Giuseppe, lo scenario si delineava
piuttosto ad intra. Lo sviluppo economico e culturale nei centri e la vi-
talità dei partiti socialdemocratici e cristiano-sociali contrastavano con
l’immobilismo del sistema politico e con la persistenza di strutture sociali
tradizionali della provincia contadina. Il principale problema dell’Impero
erano però i conflitti nazionali. I popoli slavi, sacrificati nella parificazione
austro-ungarica, pativano rispettivamente la crescente germanizzazione o
magiarizzazione. La situazione interna avrebbe portato all’insorgenza di
vari movimenti nazionalistici con la presenza di diverse zone di tensione,
in particolare nei Balcani, dove sarebbe scoppiata la scintilla della Prima
guerra mondiale nell’estate del 1914.40
Nel suo inizio, la Grande guerra fu percepita dalle giovani generazioni
come la guerra più popolare di tutti i tempi. I giovani scrittori dell’epoca
ne furono entusiasti: Charles Péguy scrive di non vedere l’ora di andare al
fronte, Ernst Jünger parla di un momento sacro, Rupert Brook pensa che
la guerra sia un’emozione splendida senza paragoni. La guerra coinvolse
anche l’entusiasmo dei movimenti giovanili sorti all’inizio del secolo, come
per esempio gli scouts e i Wandervögel in Germania.41 In seguito Péguy sa-
rebbe morto durante i combattimenti nel 1914, Brook nel 1915 e lentamente
l’atteggiamento emotivo dei giovani verso la guerra cambiò. Nell’inverno
del terzo anno di guerra, della quale non si vedeva ancora la fine, le emo-
zioni cambiarono radicalmente e la gioventù delusa avrebbe poi formato
la cosiddetta “generazione perduta”. Alla fine della guerra, dopo quattro
anni di violenza e un esaurimento economico degli Stati, si contarono nove
milioni di vittime, quasi tutte fra i venti e trent’anni. Oltre a questi e ai
quaranta milioni di morti per l’influenza spagnola, la delusione generale e i
40 Cfr. Sabbatucci - Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, 198-202.
41 Organizzazione giovanile simile agli scouts di Baden-Powell fondata in Germania
nel 1896.

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88 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
danni materiali minarono la credibilità dell’idea positivistica del progresso
scientifico e sociale. A causa soprattutto delle barbarie e della degradazione
morale durante la guerra, l’immagine delle potenze occidentali come por-
tatrici di cultura e civiltà in tutto il mondo diventò altamente problematica.
Winston Churchill, che aveva avuto esperienza sia sul campo di battaglia
che nel governo durante la guerra, scrisse a proposito: «Stati potenti ed
educati temevano, non senza ragione, la loro pura esistenza. [...] Nessun cri-
mine contro l’umanità e legge internazionale era rimasto senza rivincita che
spesso era di più intensità e durava più a lungo. [...] La forza delle armate
era limitata solo dal numero degli uomini del paese».42 C’erano quelli che
in quest’epoca videro la fine dell’Occidente, identificandosi con il titolo del
famoso libro di Oswald Spengler uscito nel 1918.
La Prima guerra mondiale fu un tempo di prova anche per i salesiani.
Poco meno della metà della Congregazione fu chiamata sotto le armi, mol-
ti collegi furono requisiti per i bisogni militari od ospedalieri, era pressan-
te il bisogno di assistere un crescente numero di rifugiati, figli dei militari
e orfani; nel contempo il flusso dei finanziamenti da parte dei benefattori
diminuì sostanzialmente. Si venne ben presto a conoscenza di casi dolorosi
in cui alcuni confratelli erano stati obbligati ad andare all’assalto gli uni
contro gli altri.43 Mosso dal desiderio di stare vicino e animare i confratel-
li, dal 1916 il rettor maggiore don Paolo Albera scrisse ogni mese una let-
tera rivolta a tutti i salesiani che erano sotto le armi. Dopo la guerra, oltre
ai danni materiali si notarono soprattutto gli effetti sui confratelli militari.
Essi, dopo la permanenza nelle caserme e trincee in una «vita così opposta
a quella alla quale per vocazione religiosa […] erano stati dediti, difficil-
mente avrebbero potuto ripigliare senz’altro le passate abitudini»,44 scrive
genericamente don Ceria negli Annali della Società Salesiana e presenta
alcuni provvedimenti del Consiglio generale per affrontare la situazione. A
livello di mentalità si possono ipotizzare ripercussioni non tanto nel pen-
siero pedagogico, quanto in quello dell’organizzazione, della disciplina,
dell’assistenza e della vita religiosa.
42 P. Johnson, Modern Times. The World from the Twenties to the Nineties, Harper
Collins, New York 1991, 13-14. Corsivo è nostro per dare importanza all’espressione
“the mighty educated States” che può essere tradotta sia come “educati” che come “ci-
vilizzati”.
43 Cfr. M. Wirth, Da Don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove sfide (1815-2000),
LAS, Roma 2000, 312-313.
44 E. Ceria, Annali della Società Salesiana, vol. 4: Il rettorato di don Paolo Albera
1910-1921, SEI, Torino 1951, 71.

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 89
2.1.5. Il dopoguerra e l’avvento del fascismo
Sul piano politico e culturale la guerra ebbe conseguenze considerevoli
che avrebbero portato l’umanità in un mondo diverso dal precedente – un
“secolo breve” segnato da ideologie di stampo moderno.45 L’ordine poli-
tico creato al Congresso di Vienna, e funzionante per un secolo in com-
plessi assesti, fu distrutto. L’effetto catalizzatore, a livello di importanza
comparabile alla Rivoluzione Francese, portò il nazionalismo su posizioni
estreme, destabilizzando in tal modo gli equilibri all’interno delle vecchie
monarchie, soprattutto nell’Europa centrale. Questa situazione creò lo spa-
zio per quelle ideologie utopistiche di tipo nazionalistico e marxista, che
nel dopoguerra sembravano essere le soluzioni più plausibili per i problemi
del momento.
La seconda conseguenza della guerra, che favorì il sorgere dei totali-
tarismi, fu l’allargamento del potere dello Stato e così il suo potenziale
di controllo e repressione. In tempo di guerra, in testa la Germania come
paradigma, lo Stato penetrava con forza in tanti ambiti dell’economia, con-
trollava le attività bancarie, regolamentava i prezzi; inoltre entravano in
vigore leggi restringenti la libertà personale. I nuovi regimi nazionalisti
del dopoguerra erano spesso convinti di non dover essere tolleranti come le
vecchie monarchie. La combinazione di utopie trascendentali e di un forte
apparato di controllo dello Stato portò il mondo alle porte di una nuova
epoca.
L’uso crescente del manicheismo politico fu il terzo effetto della situa-
zione socio-culturale creatasi nel dopoguerra. Il suffragio universale (nel
dopoguerra soprattutto maschile) combinato con l’alfabetizzazione permi-
se e rese necessario far passare le idee politiche alla massa, che sapeva
leggere e scrivere ma era lontana dalla comprensione degli equilibri com-
plessi della vita politica. Per questo fatto divenne importante una strategia
politica manichea, la quale attraverso volantini, cartelloni e libelli adottava
delle semplificazioni delle diverse teorie sociali e politiche indicando chi
fossero i buoni e i cattivi. Nella battaglia elettorale i politici si affidavano
a semplici motti che sintetizzavano il malcontento e i desideri delle masse
deluse. Le convergenze elettorali furono generalmente realizzate attraver-
so un semplice (ma totalizzante) testo politico interpretato da una persona-
lità carismatica che mobilitava le masse.46 In questo contesto si colloca la
45 Cfr. E.J. Hobsbawm, Il secolo breve 1914-1991, Rizzoli, Milano 2014.
46 Cfr. Johnson, Modern Times. The World from the Twenties to the Nineties, 21-48;

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90 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
situazione politica italiana, importante per le sue influenze sull’educazione
salesiana.
Benito Mussolini ascese al potere nel 1922 e propose progressivamen-
te nel campo educativo l’obiettivo di formare l’uomo nuovo fascista. Gli
ideali dell’eroismo, dell’arditismo e dell’estetismo si congiungono con un
atteggiamento antiborghese assumendo una concretizzazione di tipo mi-
litare. Nel primo periodo di progressivo avviamento del regime totalita-
rio l’uomo nuovo si identificava idealmente con il Duce, guida politica e
spirituale dell’Italia. Mussolini fece di tutto per creare il mito della sua
personalità: si presentava come la guida onnipotente, capace di passare
dalle “grandi cose”, come gli affari internazionali, alle “piccole cose” che
preoccupavano la povera gente. Le immagini di un lavoratore infaticabile,
di un aviatore o di un pilota da corsa si fusero in una sorta di superuomo
capace di eccellere in tutte le attività umane e spirituali.47
La visione fascista determinò alcune scelte della riforma scolastica di
Giovanni Gentile del 1923. Anche se definita dal Duce la “più fascista
delle riforme”, che riuscì ad influenzare fortemente l’insegnamento, i fa-
scisti si resero conto di aver bisogno di una piattaforma non scolastica
nella quale si sperimentassero in pratica gli atteggiamenti e le nuove norme
di comportamento. La soluzione fu trovata nell’associazionismo giovanile
fascista chiamato l’Opera Nazionale Balilla, intesa come «il più grandioso
tentativo di educazione statale della gioventù che la storia ricordi».48 I
gruppi Balilla crebbero rapidamente e dopo quattro anni della loro esisten-
za, nell’ultimo anno del rettorato di don Filippo Rinaldi, superavano già i
due milioni di tesserati. Ovviamente si originò una fortissima e crescente
tensione tra i Balilla, l’Azione Cattolica (AC) e le forme di associazionismo
salesiano tradizionale, come le compagnie. I salesiani, da parte del governo
generale, svilupparono un nucleo di riflessioni affrontando i problemi pra-
tici dell’associazionismo, adottando delle misure di non contrapposizione
con le altre associazioni. L’Azione Cattolica era favorita dall’appassionato
interesse di Pio XI, che accentuava l’esigenza di un maggior coordinamen-
Z. Brzezinski, Out of Control. Global Turmoil on the Eve of the 21st Century, Simon &
Schuster, New York 1995.
47 Cfr. S. Oni, I salesiani e l’educazione dei giovani, in Piemonte, durante il periodo
del fascismo, in S. Zimniak - G. Loparco (eds.), L’educazione salesiana in Europa negli
anni difficili del XX secolo, Atti del Seminario Europeo di Storia dell’Opera salesiana
Cracovia 31 ottobre - 4 novembre 2007, LAS, Roma 2008, 147-148.
48 V. Meletti, Civiltà fascista. Per le scuole complementari e di avviamento al lavoro,
per i maestri e per il popolo (1929), La Nuova Italia, Venezia 1941, 42.

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 91
to tra essa e le associazioni giovanili fiorite da lunga data in molti istituti
religiosi con analoghi scopi di apostolato. La triangolazione tra i Balilla,
l’AC e le compagnie salesiane non era di facile equilibro e occupò una par-
te delle lettere del rettor maggiore Filippo Rinaldi. A livello di congressi,
il tema affiorò nel Convegno dei direttori degli oratori festivi nel 1927 nel
corso della discussione sui circoli giovanili, i quali avrebbero dovuto im-
plementare in qualche modo gli Statuti della Gioventù Cattolica.49
2.1.6. L’età dell’oro del colonialismo e le missioni salesiane
La coscienza politica dei grandi paesi alla fine dell’Ottocento e all’ini-
zio del Novecento fu caratterizzata da una mentalità che si potrebbe deno-
minare “imperiale”.50 Il fenomeno del colonialismo che divideva il mondo
tra potenze e colonie era al suo culmine. Due grandi regioni del mondo
erano, in pratica, totalmente spartite: l’Africa e il Pacifico. Il colonialismo
resta però un fenomeno complesso e contraddittorio, la cui fragilità si ma-
nifesterà nel periodo intorno alla Seconda guerra mondiale. Uno dei suoi
effetti più importanti scaturì dalla sinergia con il crescente nazionalismo:
ne seguì tutto l’immaginario pubblico coloniale con esposizioni, udienze
pompose, divise esotiche, espressioni come “la nazione di 100 milioni” di
Poincaré, “la coscienza imperiale” britannica di Kipling e soprattutto le
carte geografiche colorate.51
Al centro rimanevano sempre gli interessi del singolo Paese, che però
non era concepito come isolato dal resto del mondo, bensì si presentava
come il cuore di un impero in crescente concorrenza con altri imperi. Si
crearono quindi dinamiche concorrenziali, sviluppando rapporti economi-
ci su scala sempre più globale e accentuando il divario tra il centro dell’im-
pero e la periferia: «Nel 1880 abbiamo dunque a che fare non già con un
mondo singolo, bensì con due settori combinati insieme in un sistema glo-
bale: sviluppati e ritardatari, dominanti e dipendenti, ricchi e poveri».52
La disparità e l’interdipendenza crebbero soprattutto nella prima metà del
Novecento. Nel 1880 c’erano già regioni ricche e povere, ma il divario non
sembrava incolmabile: la differenza, in termini di ricchezza, tra i due mon-
49 Cfr. P. Braido, L’oratorio salesiano in Italia e la catechesi in un contesto socio-
politico inedito (1922-1943), in «Ricerche Storiche Salesiane» 48 (2006) 1, 53.
50 M. Flores, Il XX secolo, 104.
51 Cfr. Johnson, Modern Times, 138-175.
52 E.J. Hobsbawm, L’età degli imperi: 1875-1914, Corriere della Sera, Milano 2004, 23.

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92 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
di era di 1 a 1,8; invece negli anni precedenti la Prima guerra mondiale era
già aumentata ad un valore di 1 a 3 e nella metà del Ventesimo secolo c’era
già una disproporzione di 1 a 5. La causa principale del divario era l’utiliz-
zo della tecnologia, che esercitava, oltre agli influssi economici, anche un
impatto politico. L’inferiorità degli armamenti aveva sbilanciato le sorti a
favore del Primo mondo.53 Ovviamente le dinamiche del colonialismo e
del nazionalismo influirono anche sullo sviluppo delle missioni salesiane,
specialmente durante il pontificato di Pio XI, il quale aveva a cuore le mis-
sioni affidate all’opera promozionale del cardinale Van Rossum, un capace
organizzatore della Propaganda fide.
2.1.6.1. Nascita del metodo missionario salesiano nell’America latina
Il metodo missionario salesiano nacque a livello di intuizioni proget-
tuali almeno un decennio prima delle spedizioni missionarie in Ameri-
ca latina. Don Bosco si trovava in sintonia con mons. Daniele Comboni,
missionario nell’Africa, che visitò l’oratorio di Valdocco nel 1864 e lasciò
un’impressione profonda, suscitando ammirazione per la sua opera.54 Il
metodo comboniano consisteva nella creazione di numerosi istituti per
ragazzi e ragazze, giustamente situati in zone da una parte non distanti
dalle regioni missionarie e dall’altra ancora al confine della civilizzazione
per motivi di sicurezza. Questi istituti dovevano accettare giovani indigeni
con il fine dell’istruzione nella religione cattolica e nella cosiddetta “civi-
lizzazione cristiana”. Tali allievi dovevano essere poi portatori della fede
e della civiltà nelle regioni di missione distanti. La sintonia di don Bosco
con Daniele Comboni si basava sul ruolo principale dell’educazione e della
missione ai giovani poveri. Si potrebbe dire che don Bosco semplicemente
imitò il metodo comboniano e lo fece proprio. Ma nel manoscritto La Pa-
tagonia e le Terre Australi del Continente Americano [pel] Sac. Giovanni
Bosco, scoperto solo nel 1983, don Bosco parlava di un “metodo nuovo”,
diverso dai metodi usati dalle altre congregazioni.55 Dice nel testo:
53 Cfr. Ibid., 22-23.
54 Cfr. G. B. Lemoyne, Memorie biografiche di san Giovanni Bosco, vol. VII, Torino,
SEI, 1948, 702-703.
55 Cfr. J. Borrego, La Patagonia e le terre australi del continente americano [pel]
sac. Giovanni Bosco. Introducción por Jesús Borrego, in «Ricerche Storiche Salesiane»
13 (1988) 7, 255-442.

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 93
Esso consiste nell’aprire collegii, case d’educazione, ricoveri, orfanotrofii sui
confini di questi paesi e attirare cosi i giovani; e coll’educazione de’ figli farsi
strada a parlare di religione coi genitori. La qual cosa potrà riuscire in due modi:
o che i genitori pel naturale istinto che porta ad esser benevolo a chi tratta con
bontà i proprii figli, o più ancora, che poco per volta crescendo su i figli ben istru-
iti, vadano poi essi stessi a portare la buona novella a quei della propria tribù, i
quali volentieri accetteranno la parola di Dio bandita da tali predicatori.56
La novità del metodo di don Bosco consiste nell’uso dell’educazione
come di un metodo missionario diretto (“farsi strada a parlare di religione
coi genitori”) e carismatico (“tratta con bontà”) e non solo nell’uso dell’e-
ducazione in un modo indiretto aspettandosi i frutti nei decenni successi-
vi.57 L’educazione nello stile salesiano costituiva quindi il nucleo del meto-
do missionario secondo don Bosco paradossalmente fu proprio la “bontà”
che venne messa in discussione nei primi dieci anni difficili della missione
in Argentina. Don Vespignani descriveva quell’epoca così: «I salesiani era-
vamo pochi, nuovi, inesperti e non conoscevamo né l’idioma né i costumi
del paese; i disordini tra gli artigiani sono cresciuti, e nonostante l’uso di
tutti i mezzi della religione e della pietà, ci hanno spinti a dare le penitenze,
a volte averli separati dagli altri, privarli del cibo e, talvolta, sono caduti i
colpi, i schiaffi, e gli allievi furono chiusi nell’isolamento, ecc.».58 Don Bo-
sco insistette sui tratti centrali del metodo educativo salesiano scrivendo a
don Costamagna:
Di poi vorrei a tutti fare io stesso una predica o meglio una conferenza sullo
spirito salesiano che deve animare e guidare le nostre azioni ed ogni nostro di-
scorso. Il sistema preventivo sia proprio di noi. Non mai castighi penali; non mai
parole umilianti, non rimproveri severi in presenza altrui. Ma nelle classi suoni la
parola dolcezza, carità e pazienza. Non mai parole mordaci, non mai uno schiaffo
grave o leggero. Si faccia uso dei castighi negativi, e sempre in modo che coloro
che siano avvisati, diventino amici nostri più di prima, e non partano mai avviliti
56 Ibid., 413-414.
57 Nelle cronachette di don Barberis troviamo diversi accenni sul metodo di lavoro
nelle missioni. All’interno di alcune, don Bosco esprime le perplessità sull’efficacia del
metodo Comboni: «Ora mons. Comboni per il centro dell’Africa cerca di far lo stesso,
ma è solo, molte volte coloro ai quali si affidano i giovani da educare per ciò, non ha[nno]
metodo, non ha[nno] il vero spirito; altre volte è inabile; eppure si deve passare per mano
d’altri; poi si richiedono spese ingenti; per formare un buon prete bisogna raccogliere
cinquanta giovani in un piccolo seminario; sono spese che per lo più un privato non può
fare», in Cronichetta, quaderno 8, in ASC A0000108, 84.
58 J. Vespignani, Memorandum de formación salesiana para los profesos temporáneos,
in L’educazione salesiana dal 1880 al 1922, vol. 2, 82.

10.5 Page 95

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94 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
da noi. [...] La dolcezza nel parlare, nell’operare, nell’avvisare guadagna tutto e
tutti».59 Secondo i testimoni, la lettera di don Bosco letta negli esercizi spirituali
aveva suscitato la reazione desiderata. Alcuni hanno perfino emesso un quarto
voto della fedeltà all’ideale pedagogico salesiano e hanno promesso di non usare
mai i castighi corporali, per quanto grave poteva essere la colpa.60
2.1.6.2. Sviluppo del metodo missionario salesiano dopo la Prima guerra
mondiale
Il periodo del primo dopoguerra può essere considerato il periodo clas-
sico dell’espansione missionaria salesiana. Questa considerazione non è
data solo dal numero dei missionari inviati e delle missioni assunte, il qua-
le crebbe particolarmente negli anni 1923-39, ma classico rimane anche
il metodo dell’evangelizzazione attraverso l’educazione. Usando l’espres-
sione felice di Auffray, i missionari fedeli alla tradizione salesiana «han-
no puntato dritti sulla gioventù».61 Per entrare in contatto con i giovani, i
missionari si sforzavano di creare relazioni d’amicizia usando giochi, di-
vertimenti e musica. Questo valeva sia per gli oratori che per le scuole, gli
ospizi, le parrocchie e le stazioni missionarie. Dopo un certo tempo i mis-
sionari salesiani si trovavano generalmente circondati da una popolazione
che li amava e nella quale sorgeva un nucleo di giovani cristiani.62
Nelle missioni salesiane le attività di evangelizzazione e catechesi furo-
no accompagnate quasi in tutti i posti da attività scolastiche. Chiaramente
i contesti, i bisogni e i modelli furono diversi. Sintetizzando si potrebbe af-
fermare che i salesiani adottarono tre modelli di approccio missionario: il
modello del collegio, il modello delle riduzioni e il modello del lavoro mis-
sionario nei villaggi. Il modello del collegio fu di ispirazione comboniana
e rispecchiava il tipico lavoro salesiano nell’epoca della collegializzazione.
Nella Patagonia, regione tipica per questo approccio, i salesiani crearono
a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento una rete di collegi nei quali si
formava la gioventù indigena che, tornata ai propri villaggi, sarebbe passa-
ta a vivere la propria cultura già in senso cristiano.63 La scelta era motivata
59 G. Bosco, Tre lettere a salesiani in America, in P. Braido (ed.), Don Bosco educa-
tore. Scritti e testimonianze, LAS, Roma 1992, 448-449.
60 Cfr. C. Bruno, Los Salesianos y las Hijas de María Auxiliadora en la Argentina,
vol. 1, Instituto Salesiano de Artes Gráficas, Buenos Aires 1981, 154-155.
61 A. Auffray, Les missions salésiennes, Oeuvres et Missions Don Bosco, Lyon -
Fontanières, 1936, 14.
62 Cfr. Wirth, Da Don Bosco ai nostri giorni, 378-379.
63 Cfr. Borrego, La Patagonia e le terre australi del continente americano [pel] sac.

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 95
anche dall’iniziale ostilità degli indigeni verso i coloni, come riferisce don
Giovanni Cagliero, che impediva un altro tipo di approccio. I collegi del-
la Patagonia puntavano la loro attenzione educativa agli ambiti trascurati
dalla proposta statale: allievi della classe popolare, cilenos e indios. La
trentina di collegi salesiani (SDB e FMA) nella Patagonia contò nel 1917
un numero di iscrizioni superiore alla scuola statale. Il fatto rafforzava la
tensione concorrenziale con lo stato argentino che avvertiva il lavoro dei
salesiani come un serio pericolo alla formazione di una coscienza nazio-
nale del territorio annesso solo nel 1879.64 Un simile modello collegiale fu
adottato nel Congo Belga e nell’Amazzonia, dove, sotto la guida di Pietro
Massa, si scelse il modello del collegio per avvicinarsi agli indigeni.65
La scelta dell’educazione missionaria nelle reducciones66 è stata fatta
per la prima volta dal salesiano Giuseppe Fagnano nella Terra del Fuoco,
nella missione di Candelaria e nell’isola di Dawson e fu adottata anche nel
Mato Grosso nelle missioni con i Bororo cominciate nel 1896. L’educazio-
ne avveniva in due momenti: prima si inducevano gli indigeni alla vita ci-
vile e cristiana per mezzo dei loro figli, che erano più facilmente educabili,
e poi si riducevano alla vita civilizzata per mezzo del lavoro produttivo:
arti, mestieri, tra i quali emergeva la pastorizia e altre attività agricole. Più
tardi i missionari pensarono alla creazione di villaggi di tipo occidentale e
in ogni villaggio si cercava di stabilire una scuola elementare i cui maestri
erano scelti tra gli stessi indigeni.67
Il terzo modello dell’organizzazione delle attività missionarie era il la-
voro itinerante nei villaggi. Regioni tipiche per questo approccio missio-
nario furono il nordest dell’India e la Thailandia. Quasi sempre i salesiani
cominciarono il loro lavoro con la fondazione o ristrutturazione delle scuo-
le dei villaggi – si trattava di scuole elementari per esterni e centri profes-
sionali o agricoli con interni ed esterni. La motivazione era chiara: dare
Giovanni Bosco, 413-414.
64 Cfr. M.A. Nicoletti, La polémica en torno a la educación salesiana y la educación
estatal en la Patagonia (1880-1920), in González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal
1880 al 1922, vol. 2, 51-65.
65 Cfr. A. Ferreira da Silva, La missione salesiana tra gli indigeni del Mato Grosso
nelle lettere di don Michele Rua (1892-1909), in ­«Ricerche Storiche Salesiane» 12 (1993)
22, 47-48.
66 Le riduzioni, seguendo il modello gesuitico del 17° secolo, erano piccoli nuclei
cittadini creati per indurre gli indigeni ad abbandonare la vita nomade e fissarsi in modo
stabile in un luogo. Le piccole comunità erano organizzate dai missionari e miravano
alla promozione materiale, sociale e spirituale delle popolazioni indigene.
67 Cfr. A. Ferreira da Silva, La missione salesiana tra gli indigeni del Mato Grosso, 48.

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96 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
un’istruzione adeguata alla gioventù cattolica della missione, che non ave-
va mezzi sufficienti per frequentare le scuole della città, perché o queste
erano troppo lontane o i genitori preferivano che i loro figli frequentassero
una scuola cattolica. Già dagli inizi era frequente che nelle scuole salesiane
fossero ammessi anche studenti non cristiani.
2.1.6.3. Gli sforzi d’inculturazione
Un elemento importante del metodo missionario salesiano, sviluppatosi
in questo periodo, fu la maggiore sensibilità per l’inculturazione. Questo
fatto potrebbe essere collegato da un lato con lo sviluppo degli studi etno-
logici e dall’altro con la crescente esperienza interculturale a livello della
Congregazione che oramai operava in contesti molto diversificati: le tribù
dell’Amazzonia, il mondo arabo, il Congo, l’India, la Cina, il Giappone o
la Thailandia. Un primo passo in direzione dell’inculturazione fu lo sforzo
linguistico, in quanto parlare la lingua locale era necessario per la cateche-
si. Nel primo periodo, però, lo studio della lingua era percepito più stru-
mentale, non essendo quasi mai accompagnato dallo sforzo di penetrare in
profondità la cultura del posto. Un’eccezione rara fu il lavoro etnografico
di Miguel Allioni sulla cultura degli Shuar, che però terminò presto per la
sua prematura scomparsa all’età di soli trent’anni. La cultura Shuar basata
sulla libertà, l’indipendenza, la poligamia e la vendetta era troppo diversa
dalle aspettative dei missionari, che finora avevano incontrato solo tribù
in difficoltà esistenziali sotto la pressione dei flussi migratori dei coloni.
La diversità e gli iniziali fallimenti della missione rendevano necessario lo
studio di una cultura così diversa e resistente.68
Gli studi etnografici risalenti al primo dopoguerra furono fatti da don
Antonio Colbacchini e don Cesare Albisetti sui Bororo e da don Luigi
Cocco sugli Yanomani.69 L’Enciclopédia Bororo di don Albisetti con-
tiene quattro volumi con dizionario etimologico, grammatica, leggen-
de, nomi propri, canti e tradizioni. Così anche le tribù del Rio Negro,
68 Cfr. J. Bottasso, Los salesianos y la educación de los Shuar 1893-1920. Mirando
más allá de los fracasos y los éxitos, in González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal
1880 al 1922, vol. 2, 237-249.
69 Cfr. C. Albisetti - O.M. Ravagnan, Tradução/Translation a Aldeia Bororo, in
«Perspectivas» (1992), 145-157. Gli studi sono stati riconosciuti e stimati anche da Clau-
de Lévi Strauss e Jacques Lizot, cfr. M. Bongianni, Don Bosco nel mondo, Direzione
generale Opere Don Bosco, Roma 1988, vol. 2, 338-339.

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 97
specialmente i Tucano, furono oggetto di numerose pubblicazioni sale-
siane.70 Don Giaccaria preparò la grammatica del dialetto Awen degli
Xavantes. Tanti sforzi per capire la cultura degli indigeni sorsero pro-
prio in questo periodo, ma le numerose pubblicazioni vennero stampate
spesso in periodi posteriori.71 Lo sforzo culturale dei salesiani si svolse
anche nell’ambito delle scienze naturali e della tecnica: la costruzione di
osservatori meteorologici, canali idrici, macchine agricole era accompa-
gnato dalla produzione di carte geografiche e da numerose fotografie dei
territori di missione.
La sensibilità culturale dei missionari nelle colonie (ad es. Congo e In-
dia) era indirizzata piuttosto al perfezionamento della proposta educativa
che allo studio della cultura locale e a una conseguente produzione etno-
grafica e linguistica. Ad esempio, i missionari belgi nel Congo cercavano di
entrare nella mentalità dei ragazzi congolesi per poterli educare nel modo
a loro più naturale. Così l’educazione si caratterizzò per il maggior valo-
re riconosciuto all’intelligenza pratica e dimostrandosi invece più pazien-
ti e comprensivi durante gli esercizi teorici. L’ambiente educativo doveva
essere caratterizzato dalla fraternità e dalla solidarietà, che erano sentite
importanti dagli allievi congolesi. C’era in loro un’innata tendenza alla
libertà e allo spirito di famiglia, che si opponeva al sistema disciplinare di
distanza tra superiori ed allievi tipico del collegio. I missionari cercavano
di apprezzare nell’educazione i valori e le sensibilità dei Congolesi come il
senso del sacro e della pietà, il valore dei riti, l’immaginazione, l’interesse
per i racconti, la saggezza profonda dei proverbi locali e non per ultimo il
senso della solidarietà e della fraternità molto forte.72 In India fu proprio
l’educazione il mezzo che permise ai salesiani di superare le divisioni esi-
stenti nella religione e nel sistema delle caste.
Questi anni della presenza salesiana hanno lasciato un’impronta incancella-
bile nel campo dell’educazione. È piuttosto attraverso il servizio dell’educazione,
che attraverso una evangelizzazione diretta, che si è riuscito a penetrare le barrie-
re della casta e del credo e impiantare i valori cristiani. Attraverso un’applicazio-
70 Cfr. A. Giacone, Trentacinque anni fra le tribù del Rio Uapés. Diari e Memorie 1,
LAS, Roma 1976, 225-229.
71 Cfr. R. Farina, Contributi scientifici delle missioni salesiane del Brasile, in C.
Semeraro (ed.), Don Bosco e Brasilia. Profezia, realtà sociale e diritto, Cedam, Padova
1990, 154-160.
72 Cfr. M. Verhulst, L’éducation des Salésiens au Congo Belge de 1912 a 1925. 13 ans
de recherche et d’expérimentation, in J.G. González et al. (eds.), L’educazione salesiana
dal 1880 al 1922, vol. 1, LAS, Roma 2007, 447-466.

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98 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
ne effettiva del sistema educativo di don Bosco i salesiani erano capaci di portare
avanti la “conversione dei cuori” piuttosto che la “conversione dell’acqua”.73
Nel lavoro missionario nel nord-est dell’India i missionari, sotto la gui-
da di mons. Mathias, riuscirono a penetrare maggiormente nella cultura
locale. Don Vendrame, chiamato da Mathias “il nostro Francesco Saverio”,
parlando la lingua locale cercava di essere vicino alla gente con le visite
casa per casa, fondava i gruppi apostolici delle donne (importante nella
società matrilineare dei Khasi), usava i mezzi di comunicazione sociale –
portava con sé il proiettore per far vedere i film catechetici, fondava gruppi
di catechisti negli oratori festivi dei villaggi.74 Nell’Asia orientale l’impe-
gno dell’inculturazione fu incarnato dagli sforzi di don Vincenzo Cimatti
per avvicinarsi alla mentalità giapponese. Nella sua lettera del 1931 scrisse:
più le [anime] ameremo più ci faremo in tutto simili a loro, il che a mio modo
di vedere non fu ancora raggiunto dai missionari passati e presenti, né da nessuna
delle congregazioni straniere, e se questo non si attua sono certo che la conver-
sione del Giappone sarà di là da venire ancor per molti secoli. [...] Ma è certo che
finché il nostro spirito non sarà giapponese, non riusciremo.75
Concretamente, vivere il metodo educativo salesiano alla giapponese si-
gnificava per lui testimoniare personalmente e amorevolmente i valori pro-
posti, dimostrando un’attenzione operosa al povero concretizzata con la fon-
dazione delle Conferenze di S. Vincenzo, e più tardi, con la missione delle
suore di Miyazaki, preferendo uno stile relazionale dell’uno per uno rispetto
al lavoro con i grandi numeri e creando strutture educative flessibili. Lo stile
educativo particolare era accompagnato con le concretizzazioni dell’inseri-
mento nella cultura popolare attraverso una traduzione del Vangelo in lingua
corrente fatta da don Margiaria già nel 1930, una collezione di sei volumi
dei drammi cattolici in giapponese e soprattutto tramite la musica. Più di un
migliaio di concerti fecero conoscere l’opera salesiana e la musica fu la piatta-
forma d’inculturazione tipica di don Cimatti, che produsse circa quattrocento
composizioni musicali in giapponese.76
73 M. Kapplikunnel, Their life for youth. History and Relevance of the Early Salesian
Presence in India (Tanjore and Mylapore, 1906-1928), Kristu Jyoti Publications, Ban-
galore 1989, 99.
74 Cfr. A Journey with the young. A saga of Education, Evangelization and Empower-
ment. Don Bosco India Centenary 1906 - 2006, Salesian Provincial Conference of South
Asia, New Delhi 2006, 245.
75 V. Cimatti, Lettere di un missionario, a cura di A. Crevacore, LDC, Leumann (TO)
1976, 84.
76 Cfr. G. Fedrigotti, Il Sistema preventivo di Don Bosco nell’interpretazione di

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 99
2.1.7. Nuove tipologie di presenze salesiane
Durante la vita di don Bosco non fu aperta neanche un’opera di tipo
correzionale, ma è interessante seguire le discussioni presenti su questo
argomento. Nel 1885 i responsabili di una “casa di corrigendi” a Madrid
offrirono ai salesiani la direzione della casa. La proposta fu discussa diver-
se volte nel Consiglio generale e alla fine la proposta di cambiare l’identità
“correzionale”, costruendo un ambiente sano e solo successivamente in-
tegrare ragazzi già condannati, non ebbe riscontro dal lato madrileno e la
questione fu chiusa.77 Un altro passo nella direzione delle opere “correzio-
nali“ si fece più tardi in Patagonia. Il presidente dell’Argentina, in accordo
con mons. Cagliero, emanò un decreto nel 1894 in cui decise di affidare
i minori delinquenti del sud della Patagonia alla custodia dei salesiani e
delle FMA in caso di assenza nel territorio di carceri o altre strutture ade-
guate. Le FMA terminarono quest’esperienza dopo un decennio di lavoro
per motivi di disciplina, ribellione e altri inconvenienti.78 Invece in Europa
nel 1901 fu aperta una casa di tipo correzionale a Lubiana. Questa prima
casa salesiana in Slovenia prese il nome di “Istituto di S. Francesco di
Sales” e diede posto ai giovani espulsi dalle scuole elementari pubbliche
per la loro condotta indisciplinata o le insufficienti capacità per lo studio.79
In generale, l’accettazione di istituzioni correzionali da parte dei salesiani
era piuttosto una eccezione e per sviluppi più ampi e gli adattamenti del
sistema preventivo in questa direzione bisognerà aspettare fino al 1955,
quando i salesiani accettarono la gestione dell’opera di Arese, che diventò
un paradigma.
Anche l’inizio delle discussioni sull’educazione dei disabili e dei ma-
lati cominciò negli ultimi anni di vita di don Bosco.80 Nel 1909 don Rua
decise che i salesiani avrebbero accettato la direzione della casa dei sor-
domuti a Napoli Tarsia, dopo alcune modifiche e traslochi dell’opera.81 La
Vincenzo Cimatti (1879-1965), LAS, Roma 2003, 135-152.
77 Cfr. P. Braido, Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, LAS,
Roma 1999, 221-226.
78 Cfr. E. Ginobili - L. Carlone, La construcción de la educación integral de la
mujer en la Patagonia por las FMA (1880-1922): núcleo multiplicador del evangelio, in
González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922, vol. 2, 24.
79 Cfr. S. Zimniak, Salesiani nella Mitteleuropa. Preistoria e storia della provincia
Austro-Ungarica della Società di S. Francesco di Sales (1868 ca.-1919), LAS, Roma
1997, 119-120.
80 Verbali Capitolo Superiore (27 dicembre 1884), in ASC D869.
81 Cfr. Verbali Capitolo Superiore (17 settembre 1910), in ASC D870.

11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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100 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
prima trasformazione decisa da don Crippa fu l’abolizione della questua,
che mirava a due scopi: non formare il sordomuto alla mendicità e non
ingannare la pietà delle persone offerenti. Questo gesto comportò da un
lato il licenziamento di frati questuanti e dall’altro tutta una serie di comu-
nicazioni rivolte ai benefattori, in cui si illustravano il cambio di direzione,
le modifiche alle attività e la possibilità di contribuire direttamente alla
direzione dell’istituto.82 Tolta la questua, i sordomuti potevano occuparsi
con più dedizione alle attività della scuola e dei laboratori. Il metodo dei
segni fu abolito e si seguì il metodo orale dell’abate Giulio Tarra e del pro-
fessore Antonio Hecker sia a scuola che nella catechesi. Dopo i corsi della
scuola elementare seguivano cinque anni di corsi in pittura e decorazione,
arte plastica e scultura, intaglio, sartoria, calzoleria e tipografia. Già nella
visita canonica del 1914 si scrisse: «L’istituto dei sordomuti ha assunto il
carattere di un collegio ben tenuto, a differenza di ciò che esso era prima,
cioè un brutto ricovero di mendicità».83
In un’altra parte del mondo i salesiani lavoravano con successo con i
lebbrosi, essendo stata fondata da don Michele Unia nel 1891 ad Agua
de Dios in Colombia un’opera in loro favore.84 Nella sua difficile impresa
egli fu sostenuto da don Rua, il quale scrisse successivamente di proprio
pugno “ai cari lebbrosi”. L’opera includeva un asilo infantile, un grande
ospedale e una chiesa restaurata. Essa comportava, oltre il lavoro educa-
tivo dell’asilo e la catechesi ordinaria, uno sforzo non indifferente legato
all’organizzazione di feste e musica per alleggerire la difficile situazione
del lebbrosario. Don Unia si consumò nel lavoro febbrile e morì nel 1895.
I suoi successori furono don Crippa e don Variara, il quale fondò una con-
gregazione femminile tra le lebbrose con la missione della cura dei malati.
Un altro salesiano, don Rabagliati, cominciò un’azione imponente a favore
dei lebbrosi sostenuto dalle autorità locali e fu eletto presidente della com-
missione governativa per la costruzione dei lebbrosari.85
Il lavoro educativo dei salesiani e delle FMA si allargò anche con le
attività di alcuni nuovi istituti e associazioni appartenenti alla famiglia sa-
lesiana. L’educazione dei giovani adulti, un ampliamento tipico di quest’e-
82 Cfr. F. Casella, I salesiani e la “Pia Casa Arcivescovile” per i sordomuti di Napoli
(1909-1975), LAS, Roma 2002, 40-43.
83 Napoli - Tarsia, Rendiconto di don Francesco Tomasetti al Retor Maggiore (1
luglio 1914), in ASC F657.
84 Cfr. J.J. Ortega Torres, La Obra salesiana en los lazaretos, Escuelas Gráficas
Salesianas, Bogotá 1938.
85 Cfr. M. Wirth, Da Don Bosco ai nostri giorni, 298.

11.2 Page 102

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 101
poca, si concretizzò nelle associazioni degli Exallievi di don Bosco e delle
Exallieve delle FMA, promosse da don Filippo Rinaldi e istituite formal-
mente nel 1908. Altri istituti o congregazioni sono stati creati in seguito
sempre con lo scopo di allargare il raggio d’azione dell’educazione salesia-
na in ambiti locali. A eccezione delle Salesiane Oblate del Sacro Cuore di
Gesù, nate in Sicilia nel 1933, le altre nuove congregazioni femminili sono
il frutto del lavoro missionario dei salesiani in accordo con le direttive
dell’enciclica Rerum Ecclesiae di Pio XI del 1928, indirizzata ai prefetti
apostolici delle zone di missione, che incoraggiava la fondazione di nuove
congregazioni religiose composte da religiose native.86 Bisogna anche ri-
levare che l’istituzione di alcune nuove comunità religiose era vista anche
come una soluzione per superare le difficoltà nella collaborazione tra i sa-
lesiani e le FMA.87
2.2. Il magistero dei Superiori generali circa l’adattamento flessibile
alle condizioni
Lo sviluppo del carisma salesiano negli oratori illustra molto bene due
tendenze che si stavano cristallizzando nel tempo: l’adeguamento pratico
alla situazione sociale e giovanile da un lato e la rigidità conservatrice
nel campo delle riformulazioni dei regolamenti e del sistema preventivo
dall’altro. Oltre all’impostazione tipica di don Bosco, oscillante tra dottrina
tradizionale e pratica innovativa, sullo sviluppo delle tendenze giocarono
diverse variabili contestuali ed ecclesiali come la lotta antimodernista ad
intra e la difesa dalla politica anticlericale in diverse nazioni ad extra.
Anche sul versante operativo è comprensibile come all’interno dei collegi
si sia data priorità alla fedeltà, faticando invece ad aggiornare i processi,
i ruoli e le prescrizioni. Nell’oratorio, invece, la situazione era diversa:
essendo esso un sistema aperto, con maggiori e più veloci fluttuazioni dei
giovani frequentatori, l’adeguamento flessibile alle necessità immediate
del contesto era una necessità.
La modalità tipica di educare era legata al concetto di “spirito salesia-
86 Si tratta di: Suore della Carità di Miyazaki (Giappone 1937); Suore ancelle del
Cuore Immacolato di Maria (Tailandia 1937); Suore Missionarie di Maria Aiuto dei Cri-
stiani (India 1942); e le Suore Catechiste di Maria Immacolata Ausiliatrice (India 1948).
87 Cfr. ad es. M. Kapplikunnel, The implantation of the salesian charism in the Re-
gion: ideals, challenges, answers and results. Seminario ACSSA, Batulao (Manila, Phi-
lippines) 24-28 November 2008, in «Ricerche Storiche Salesiane» 52 (2008) 2, 421.

11.3 Page 103

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102 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
no”, interpretato come uno stile di vita nel quale confluivano integralmente
aspetti di spiritualità, pastorale ed educazione. Grazie ai ricordi di una
generazione che aveva ancora vissuto con don Bosco, lo spirito salesiano
era percepito come una realtà concreta ed era descritto con toni entusiasti,
legati alle conferme del processo di beatificazione che si concluse nel 1929.
Tra i due rettor maggiori che prendiamo in considerazione in questo capi-
tolo, don Paolo Albera accentuò di più l’aspetto della spiritualità salesiana,
mentre don Filippo Rinaldi incarnò l’ideale di una paternità spesa nell’apo-
stolato giovanile e condivisa all’interno della famiglia salesiana.
2.2.1. Gli equilibri di Paolo Albera attorno alla fedeltà e alla pietà nell’e-
ducazione
Il secondo successore di don Bosco non si scostò dalla fondamentale
linea della fedeltà a don Bosco e a don Rua, collocando i suoi interven-
ti attorno alle caratteristiche proprie della sua sensibilità e all’esperien-
za precedente di catechista generale. Nella sua prima lettera circolare ai
confratelli cita le parole a lui pronunciate da Pio X nell’udienza che seguì
l’elezione: «Voi non avete a far altro che seguire le tracce di don Rua. Egli
era un santo. In ogni cosa fate come avrebbe fatto egli stesso. Non vi sco-
state dagli usi e dalle tradizioni introdotte da don Bosco e da don Rua».88
Una delle convinzioni più profonde di don Albera era che don Bosco era
un santo, «veramente l’uomo di Dio, homo Dei, nel senso più espressivo e
comprensivo della parola».89 L’argomentazione che vede la santità di don
Bosco come motivazione per vivere fedelmente le sue tradizioni educative
e spirituali concrete è presente nelle sue circolari insieme al tema dell’e-
semplarità. Più tardi tale logica raggiungerà l’apice argomentativo nelle
pubblicazioni di don Pietro Ricaldone, che raccoglierà i consensi e gli en-
tusiasmi della canonizzazione per proporre indicazioni dettagliate e con-
crete di azione.90
88 P. Albera, L’XI Capitolo Generale - Elezione del nuovo Rettor Maggiore - In
udienza dal Papa Pio X - Programma da lui tracciato - Notizie varie, in Lettere circolari
di D. Paolo Albera ai Salesiani, SEI, Torino 1922, 15.
89 P. Albera, Don Bosco nostro modello nell’acquisto della perfezione religiosa,
nell’educare e santificare la gioventù, nel trattare col prossimo e nel far del bene a tutti.
Circolare del 18 ottobre 1920, in Lettere circolari di D. Paolo Albera, 342. Per l’importan-
za della santità di don Bosco cfr. J. Boenzi, Paolo Albera’s Instructions. Early Efforts to
Inculcate the Spirit of Don Bosco, in «­ Journal of Salesian Studies» 13 (2005) 2, 106-111.
90 Cfr. P. Ricaldone, Strenna del Rettor Maggiore per il 1935. Fedeltà a Don Bosco

11.4 Page 104

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 103
Essere fedeli in questa impostazione significava praticamente vivere
secondo il sistema preventivo e concretamente fuggire «ogni novità nelle
nostre pratiche religiose, ogni mutamento dell’orario della giornata, ogni
massima, ogni detto, ogni modo di fare che don Bosco e don Rua non
avrebbero approvato».91 Don Albera ripete varie volte il leitmotiv del tene
quod habes, che si riferisce all’immensa e fruttuosa eredità lasciata da don
Rua e da don Bosco. L’aggettivo “nostro” con le sue varianti ricorre spes-
sissimo nel vocabolario di Albera: il sistema preventivo è “cosa nostra”, os-
sia la “nostra maniera di educare e istruire la gioventù”;92 espressioni come
“la nostra Congregazione”, “le nostre Costituzioni”, “il nostro spirito”, ecc.
caratterizzano la preziosa eredità lasciata dal “nostro” don Bosco.
Nel contesto della fedeltà è interessante come Albera non riduca l’o-
perato e l’esemplarità del fondatore e del suo predecessore alla semplice
ripetitività di tradizioni regolamentate. Infatti dedica tutta una circolare
al tema del formalismo legalistico, argomentando come non sia sufficien-
te adempiere lo stretto dovere delle prescrizioni, in quanto questo forma
una mentalità di «sistematica mediocrità di condotta che a certuni piace di
chiamare legalità».93 Puntando ad una logica di eccellenza, egli propone il
principio del duc in altum:
A chi s’avvede d’aver faticato inutilmente nella sua mediocrità, Nostro Si-
gnore ripete: Spingete la barca in alto mare, cioè slanciatevi con ardore nel vasto
campo della perfezione, non limitate le vostre fatiche a ciò ch’è strettamente ne-
cessario, siate grandiosi nelle vostre aspirazioni, quando si tratta della gloria di
Dio e della salvezza delle anime, allontanatevi dalla spiaggia che tanto restringe i
vostri orizzonti, e vedrete quanto abbondante sarà la pesca delle anime, e quanta
consolazione verrà a provarne il vostro cuore.94
I principi guida per una fedeltà creativa secondo l’esempio di don Bosco
sono la relazionalità e la pietà. La conferma di essi si trova sia nelle lettere
circolari che nelle istruzioni degli esercizi spirituali predicati ancora du-
rante il suo incarico di catechista generale.95 La relazionalità è menzionata
da Albera come primo tratto tipico di don Bosco nella lettera di sintesi in-
Santo, SEI, Torino 1936.
91 P. Albera, L’XI Capitolo Generale, 20-21.
92 Ibid., 20.
93 P. Albera, Contro una riprovevole “legalità”. Circolare del 25 giugno 1917, in
Lettere circolari di D. Paolo Albera, 231.
94 Ibid., 239.
95 Cfr. Boenzi, Paolo Albera’s Instructions, 127-131.

11.5 Page 105

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104 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
titolata Don Bosco nostro modello nell’acquisto della perfezione religiosa,
nell’educare e santificare la gioventù, nel trattare col prossimo e nel far
del bene a tutti. Il rettor maggiore propone di rivivere don Bosco evocan-
do la sua dolce immagine paterna, la sua tenerezza, il suo affascinante ed
indimenticabile sorriso. Usando l’antropologia dell’amore, con frequenti
riferimenti a san Francesco di Sales, valorizza la relazionalità legata al
concetto del cuore affermando che è «soprattutto nel cuore che si forma, e
si forma amando».96 Anche se Albera si muove con facilità nel panorama
dei principi della teologia spirituale,97 le considerazioni sull’amore e sulla
carità non sono esposte partendo da concetti teologici, che avrebbero poi
delle implicazioni formative, ma sono primariamente concetti esperienzia-
li. Il rettor maggiore avvia la sua argomentazione dal ricordo vivo di essere
stato amato in un modo mai provato prima,
singolarmente superiore a qualunque altro affetto: ci avvolgeva tutti e inte-
ramente quasi in un’atmosfera di contentezza e di felicità, da cui erano bandite
pene, tristezze, malinconie. […] Egli perciò, appena si era cattivati i nostri cuo-
ri, li plasmava come voleva col suo sistema (proprio interamente suo nel modo
di praticarlo), che volle chiamare preventivo in opposizione al repressivo. Però
questo sistema – com’egli stesso dichiarava negli ultimi anni di sua vita mortale
– non era altro che la carità, cioè l’amor di Dio che si dilata ad abbracciare tutte le
umane creature, specie le più giovani ed inesperte, per infondere in esse il santo
timor di Dio.98
La relazionalità salesiana può essere fortissima in quanto è finalizzata
all’educazione eminentemente soprannaturale, che trasforma i cuori dei
giovani infondendo un «desiderio vivissimo di salvarsi l’anima».99 Attorno
ai concetti della carità e della pietà, Albera elabora dei ragionamenti non
troppo distanti dall’idea di zelo caro al suo predecessore. Nella lettera che
accompagnò la pubblicazione dell’epistolario di don Rua si mette in risalto
lo zelo come prima caratteristica del lavoro educativo: «Fra le virtù che
brillarono di vivissima luce nella vita del nostro venerabile padre e mae-
stro, il compianto sig. don Rua ebbe a dire che nessuna lo aveva colpito
quanto lo zelo instancabile onde apparve ognora infiammato il cuore di
lui, e questo zelo sembrò proporsi in modo speciale di ricopiare in se
96 Albera, Don Bosco nostro modello nell’acquisto della perfezione religiosa, 340.
97 Cfr. J. Boenzi, Reconstructing don Albera’s reading list, in «Ricerche Storiche
Salesiane» 33 (2014) 63, 203-272.
98 Ibid., 341-342.
99 Ibid., 345.

11.6 Page 106

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 105
stesso».100 Lo zelo concretizzato nelle molteplici attività dei salesiani co-
stituisce il punto di partenza argomentativo della seconda lettera program-
matica sullo spirito di pietà, che va oltre la concezione di don Rua:
A chi di noi non è avvenuto le mille volte di udire a parlare dello spirito d’i-
niziativa e dell’attività dei salesiani? […] Tuttavia parlandovi con il cuore alla
mano, vi confesso che non posso difendermi dal doloroso pensiero e dal timore
che questa vantata attività dei salesiani, questo zelo che sembrò finora inaccessi-
bile ad ogni scoraggiamento, questo caldo entusiasmo che fu fin qui sostenuto da
continui felici successi, abbiano a venir meno un giorno ove non siano fecondati,
purificati e santificati da una vera e soda pietà.101
La pietà si distingue però dai soli doveri religiosi: «Si è in forza della
pietà che noi non ci teniamo più paghi di quel culto, direi quasi ufficiale,
che la religione c’impone, ma sentiamo il dovere di servire Iddio con quel
tenerissimo affetto, con quella premurosa delicatezza, con quella profonda
devozione, che è l’essenza della religione».102 La pietà, come anima del
vero zelo, ha implicazioni anche nell’area educativa. Non solamente la ne-
cessaria cura delle pratiche di pietà, che comunque devono essere quelle
prescritte e non aumentate, ma si esige dagli educatori anche un radica-
mento profondo nella pietà. Da qui l’esemplarità come linea di fondo di
Albera per una metodologia pedagogica tipicamente salesiana:
Tutto il sistema d’educazione insegnato da don Bosco si poggia sulla pietà.
Ove questa non fosse debitamente praticata, verrebbe a mancare ogni ornamen-
to, ogni prestigio ai nostri istituti che diverrebbero inferiori di molto agli stessi
istituti laici. Orbene, noi non potremmo inculcare ai nostri alunni la pietà, se noi
stessi non ne fossimo abbondantemente provvisti. Sarebbe monca l’educazione
che noi daremmo ai nostri allievi, poiché il più leggero soffio d’empietà e d’im-
moralità scancellerebbe in loro quei principii, che, con tanti sudori e con lunghi
anni di lavoro, abbiamo cercato di stampare nei loro cuori. Il salesiano se non è
sodamente pio, non sarà mai atto all’ufficio d’educatore. Ma il miglior metodo per
insegnare la pietà è quello di darne l’esempio.103
100 P. Albera, Sullo spirito di pietà. Lettera del 15 maggio 1911, in Lettere circolari
di D. Paolo Albera, 22.
101 Ibid., 22-26. Sotto il punto di vista della pietà, e sempre in circostanze dell’espan-
sione della Congregazione, don Albera esorta anche da un’idea di “zelo sbagliato” che
non rispetta la tradizione, non è secondo il voto d’obbedienza oppure fa trascurare la
formazione dei salesiani educatori. Cfr. P. Albera, Sulla disciplina religiosa. Lettera del
25 dicembre 1911, in Lettere circolari di D. Paolo Albera, 69-74.
102 P. Albera, Sullo spirito di pietà, 27.
103 Ibid., 32.

11.7 Page 107

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106 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
La prospettiva della pietà guiderà il rettor maggiore, verso la fine del
suo rettorato, ad affermare che «il sistema educativo di don Bosco, per noi
che siamo persuasi del divino intervento nella creazione e nello sviluppo
della sua opera, è pedagogia celeste».104 Anche se con uno spostamento di
terminologia, l’impostazione di fondo tracciata da don Rua non è cambiata
significativamente. Il contenuto delle lettere circolari circa l’educazione si
muove attorno alle linee principali della fedeltà al sistema preventivo: la
dolcezza ma anche la disciplina, il rispetto dei ruoli educativi nella casa
salesiana, le finalità espresse nel binomio buoni cristiani - onesti (anche
integri) cittadini, la promozione degli studi classici ma anche degli oratori
e degli exallievi (chiamati prodigio della pedagogia moderna).
2.2.2. Filippo Rinaldi e la pratica di una “sana modernità”
Filippo Rinaldi, terzo successore di don Bosco, visse e insegnò l’arte
della paternità come l’essenza del sistema preventivo. La sua prospettiva
di fedeltà alle origini si sposta leggermente dal precedente tene quod ha-
bes ad una più marcata attualizzazione: «Non dobbiamo tanto domandarci
che cosa ha fatto don Bosco, quanto piuttosto che cosa farebbe oggi don
Bosco».105 Riferendosi a don Bosco, don Rinaldi invoca un equilibrio tra la
decisa conservazione dello spirito e la flessibilità negli aspetti secondari:
«Egli [don Bosco] vi ha immesso una geniale modernità che, conservando
rigidamente lo spirito sostanziale nel suo metodo educativo, le impedisse
in pari tempo di fossilizzarsi nelle cose accessorie e soggette a mutare col
tempo».106 Le applicazioni di un tale binomio non concernono solamen-
te la disciplina religiosa, ma riguardano anche il campo dell’educazione
salesiana. Infatti don Rinaldi distingue il sistema repressivo dal sistema
preventivo anche nel campo del rapporto con i regolamenti che riportano
104 P. Albera, Per l’inaugurazione del Monumento al Venerabile D. Bosco. Lettera
del 6 aprile 1920, in Lettere circolari di D. Paolo Albera, 312.
105 E. Valentini, Don Rinaldi. Maestro di pedagogia e di spiritualità salesiana, Cro-
cetta - Istituto Internazionale D. Bosco, Torino 1959, 6. NB: il volume di Valentini ri-
produce le lezioni di Filippo Rinaldi ai chierici studenti di teologia dello studentato
internazionale di Foglizzo dal 1906 al 1914. Cfr. anche espressioni simili applicate alle
missioni: F. Rinaldi, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 3 (1923) 20, 105.
106 F. Rinaldi, Giubilei d’oro della Pia Unione dei Cooperatori Salesiani e della Pia
Opera di Maria Ausiliatrice, in ACS 7 (1927) 33, 573. Cfr. le espressioni simili di Paolo
Albera: «conservare alla Congregazione quel primato di sana modernità che le è proprio»
in Albera, Don Bosco nostro modello nell’acquisto della perfezione religiosa, 334.

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 107
in parte l’esperienza di don Bosco. Il primo preferisce la legge minuta ed
inesorabile e l’altro parla del “contenuto vitale”, della “conoscenza intima”,
del “vero spirito” e della “pratica generosa” delle regole.107 In questo senso
si può affermare il principio della sana modernità:
La nostra Società doveva sapere adattarsi, nello svolgimento della propria
azione benefica, alle necessità dei tempi, alle consuetudini dei luoghi: doveva
essere progressivamente sempre nuova e moderna, pur conservando la sua par-
ticolare fisionomia di educatrice della gioventù mediante il sistema preventivo
basato sulla dolcezza e sulla bontà paterna.108
La sana modernità non esclude la cura delle tradizioni che occupa in-
fatti uno spazio consistente nel magistero di don Rinaldi. Distinguendo le
diverse forme dell’innovazione si specifica che «la naturale attrattiva verso
tutto ciò che sa di novità, può indurre alla trascuranza delle tradizioni, per-
ché non si riflette che altro è correre dietro le novità ed altro essere sempre
all’avanguardia di ogni progresso, come faceva e voleva don Bosco».109 Le
tradizioni qui non sono intese solo come dei principi, ma pure come picco-
le usanze, orari e pratiche. Nel Convegno dei direttori degli oratori festivi
d’Europa del 1927 come si parla dell’uso sapiente delle società calcistiche,
degli scout, del gioco come mezzo educativo, dei teatrini, del cinema e del-
le attività prosociali,110 così non mancano esortazioni di cautela tracciando
una linea pedagogica sul dialogo con la cultura:
Il nostro sistema d’educazione che porta il segreto della modernità, accetta
tutto ciò che è veramente cristiano, ma esclude con energia quanto lo devia e lo
corrompe. Il resto, lo battezziamo, cioè lo facciamo nostro, o lo abbandoniamo
agli altri: caetera tolle! Così il foot-ball, la radio, il cinema e simili altre novità
ricreative e sportive, finché sono di danno alle anime dei giovani dobbiamo trat-
tarle allo stesso modo con cui nostro Signore ci comanda di trattare l’occhio che
ci è di scandalo: projice abs te.111
107 Cfr. la lettera scritta nell’occasione del giubileo d’oro delle costituzioni in F. Ri-
naldi, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 5 (1924) 24, 254-255. e Valentini, Don
Rinaldi. Maestro di pedagogia, 11-13.
108 F. Rinaldi, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 5 (1924) 23, 187.
109 F. Rinaldi, Conserviamo e pratichiamo le nostre tradizioni, in ACS 12 (1931) 56, 937.
110 Cfr. F. Rinaldi, Resoconto del convegno tenutosi dai Direttori degli Oratori festivi
d’Europa a Valsalice dal 27 al 30 Agosto 1927, in ACS 8 (1927) 41, 609-611. Cfr. anche
Valentini, Don Rinaldi. Maestro di pedagogia, 53-58.
111 F. Rinaldi, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 10 (1929) 50, 800.

11.9 Page 109

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108 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
Una riflessione molto interessante di Filippo Rinaldi concerne il rappor-
to tra la modernità e il sistema preventivo di don Bosco. Nelle sue lezioni
di pedagogia a Foglizzo spiega sinteticamente che il sistema «repressivo è
fondato sul liberalismo! C’è la legge: chi la vuol praticare lo faccia libera-
mente; ma sarà castigato ogni qualvolta mancherà».112 L’argomentazione
prosegue indicando come la modernità liberal-democratica viene legata a
un concetto di libertà ingenua che asseconda le passioni e perciò va a finire
o nel caos o nella repressione.
Un esempio concreto del legame tra l’antropologia moderna e la repres-
sione era presente in questo periodo nelle scuole salesiane dell’Inghilterra.
Nel contesto britannico la tradizione collegiale non aveva subito l’influsso
della pedagogia “continentale” di Rousseau e i collegi inglesi erano triste-
mente noti per il bullismo e le punizioni corporali.113 Nella tradizione pe-
dagogica inglese si preferiva che il giovane fosse lasciato indipendente alla
sua iniziativa e coscienza, perciò con molta probabilità l’assistenza salesia-
na veniva percepita come un controllo limitante che non faceva crescere
nella responsabilità personale. I salesiani in Inghilterra facevano tanta fati-
ca a superare queste difficoltà di partenza, che scaturivano dalla mentalità
liberale ed erano ulteriormente incrementate dalle ambiguità linguistiche.
Infatti, l’espressione preventive system non riesce a rendere il significato
del concetto italiano, in quanto, riferendosi a un contesto semantico di di-
verse forme di repressione e di controllo, rimanda a un fenomeno negativo
da prevenire.114
In questo contesto si comprende la sottolineatura di don Rinaldi sul-
la “sana” modernità che si radica nelle basi dello spirito salesiano cor-
roborato dal passare del tempo. Grazie alla sicurezza e consistenza delle
sue radici, l’educazione salesiana riesce ad adattarsi con “genialità” nelle
forme, espressioni, applicazioni e organizzazione al contesto e ai giova-
ni del tempo attuale. L’atteggiamento di Rinaldi si può quindi riassumere
come informato da una modernità delle innovazioni pratiche che prescinde
dall’antropologia moderna.
112 Valentini, Don Rinaldi. Maestro di pedagogia, 20.
113 Cfr. W.J. Dickson, Prevention or repression. The reception of don Bosco’s edu-
cational approach in English Salesian Schools, in González et al. (eds.), L’educazione
salesiana dal 1880 al 1922, vol. 1, 216.
114 Cfr. Ibid., 231-233.

11.10 Page 110

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 109
2.2.3. Impostazione pedagogica della novità del sistema preventivo
Il sistema preventivo per Rinaldi, in continuità con quanto abbiamo af-
frontato precedentemente, non è nuovo per le idee, ma piuttosto la novità
«è nei mezzi e nell’applicazione pratica che don Bosco ne ha fatto».115 Nelle
sue lezioni a Foglizzo Rinaldi presenta il principio preventivo di base: met-
tere gli allievi nell’impossibilità di commettere le mancanze. Per seguire
il principio, che non è nuovo in sé, per non soffocare il ragazzo, per non
togliergli la libertà ma per educarlo, don Bosco ha proposto una gerarchia
nuova, un ambiente nuovo, locali nuovi e una serie di mezzi nuovi (cfr.
Schema B).
Il concetto della nuova gerarchia è dato sia dall’equilibrio tra i ruoli
principali di direttore, prefetto e catechista che dallo stile nuovo di eser-
citare il servizio dell’autorità vivendo continuamente in mezzo ai giovani
e condividendo con i giovani gli spazi e tempi di lavoro, di studio e di
ricreazione. L’ambiente nuovo è creato dallo spirito di famiglia che con-
sidera i giovani come collaboratori nell’educazione. Non è un’autoeduca-
zione, si tratta piuttosto di responsabilizzazione per «formarli mediante
la partecipazione all’autorità».116 Una concretizzazione di questo principio
sono le compagnie, un tema di discussione nel contesto degli anni ’20 e
anche un tema caro a Rinaldi. I locali nuovi sono progettati per l’educa-
zione salesiana, devono essere grandi sia per la facilità dell’assistenza che
per la possibilità di stare tutti insieme in famiglia. Rinaldi propone anche
una “grandiosità” delle case, delle feste, delle coreografie, che fomenti in-
tenzionalmente «l’entusiasmo per le grandi idee, per i grandi ideali, per i
grandi uomini, per cose che si fanno nella casa e che ai loro occhi appaiono
straordinarie».117 Egli approfondisce poi, nelle sue lezioni e negli interventi
successivi, l’uso educativo e salesiano di tante mediazioni eterogenee rag-
gruppabili sotto il titolo dei nuovi mezzi: ginnastica, musica, declamazio-
ne, teatro, la buona notte, correzioni fatte con lo spirito di carità e, infine,
i castighi.
115 Valentini, Don Rinaldi. Maestro di pedagogia, 21.
116 Ibid., 25.
117 Ibid., 27.

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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110 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
Schema B: Il sistema preventivo nelle lezioni di don Rinaldi a Foglizzo.
2.2.4. Paternità e unione con Dio come fondamenti dell’educazione sale-
siana
Anche se Rinaldi ha proposto la sua sintesi sul sistema preventivo nelle
lezioni di Foglizzo, le chiavi di fondo per la lettura delle sue linee peda-
gogiche vanno cercate altrove, non in una impostazione teorica. Nella sua
prima lettera circolare da rettor maggiore, egli espone le caratteristiche
dello spirito che don Bosco ha infuso nella Congregazione, sintetizzandole
nell’affermazione: «In una parola, tutti si voleva rivivere della sua attraente
paternità, che non trattava mai nessuno bruscamente, ma sapeva aiutare
con modi soavi ognuno a rendersi migliore e ad avviarsi alla perfezione».118
Per il rettor maggiore la paternità è una parola di sintesi dell’agire di don
Bosco, che viene collegata con le tradizioni chiamate “paterne”, vissute e
tramandate alle generazioni future attraverso una formazione più pratico-
118 F. Rinaldi, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 3 (1922) 14, 6.

12.2 Page 112

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 111
osmotica che intellettuale.119 In questo senso la prima lettera prosegue nel
cercare il riscontro «se nelle Case si praticano esattamente tutte le tradi-
zioni paterne, riguardo allo studio, alla chiesa, al refettorio, al cortile, al
passeggio, ecc.; e se soprattutto si vive sempre in mezzo ai giovani fami-
liarmente, perché in tal modo si correggono i difetti, si pone rimedio ai
disordini e si formano i caratteri cristiani».120
Don Rinaldi, coerentemente con la convinzione dell’importanza della
prassi, non traccia una teoria della paternità, ma raccomanda l’imitazione
della paternità di don Bosco, diventandone lui stesso un’immagine autentica
e vivace. Verso la fine del suo rettorato, nella lettera sulle tradizioni salesia-
ne, riassume il patrimonio del già beato don Bosco nella stessa categoria:
«Un’altra tradizione, anzi la più importante e vitale per noi, è la paternità. Il
nostro fondatore non è stato mai altro che padre, nel senso più nobile della
parola».121 Il contenuto delle applicazioni, che seguono la forma mentis pra-
tica di don Rinaldi, non si distanzia molto dalle attuazioni proposte attorno
al concetto di zelo tipico di don Rua. La paternità che si dona totalmente e
lo zelo apostolico si riferiscono soprattutto alla figura del direttore salesiano:
L’esercizio esteriore di questa paternità viene nominativamente trasmesso al
direttore della Casa, non solo perché la conservi, ma perché l’eserciti secondo
gli ammaestramenti e gli esempi del Beato. Ora questa tradizione della paternità
direttoriale il Beato l’ha trasmessa ai suoi direttori quasi unita all’atto e alla re-
altà più sublimi della rigenerazione spirituale nell’esercizio del potere divino di
rimettere i peccati.122
Il legame quasi diretto tra la paternità salesiana del direttore e il suo
servizio di confessore trova un ostacolo nel contesto del divieto di “con-
fessare i propri sudditi”. Don Rinaldi afferma che «con il pretesto di
evitare qualunque inconveniente, in un primo tempo si passò oltre il di-
spositivo del decreto: i direttori si ritirarono addirittura dal confessare
i giovani, cosa che non è affatto proibita a nessun sacerdote approvato,
qualunque sia la carica che occupi nell’istituto».123 Egli segnala anche
un’altra applicazione sbagliata delle regole sulla confessione negli ora-
119 Cfr. P. Braido, Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà, vol. 2, LAS,
Roma 2003, 233-271. e P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol.
2: Mentalità religiosa e spiritualità, LAS, Roma 1981, 470-474.
120 F. Rinaldi, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 3 (1922) 14, 6.
121 F. Rinaldi, Conserviamo e pratichiamo le nostre tradizioni, in ACS 12 (1931) 56,
939-940.
122 Ibid., 940.
123 Ibid., 941-942.

12.3 Page 113

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112 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
tori, cioè i direttori dell’oratorio che non confessano i loro giovani.124
Con la percezione di un indebolimento della tradizione della paternità, il
rettor maggiore chiede:
Rimettetevi di nuovo all’opera che, secondo la mente e il cuore del beato Pa-
dre, dev’essere la prima e la più importante per il direttore padre. Siate veramente
padri dell’anima dei vostri giovani. Non abdicate alla vostra paternità spirituale,
ma esercitatela, sia curando i vostri sudditi con regolari conferenze a tutti, e in
particolare alle varie compagnie religiose; trovando poi modo di intrattenervi
privatamente con ciascuno, onde possiate dire di possederne il cuore: e sia riser-
vando per voi le confessioni degli oratoriani ed esterni.125
Un concetto importante che caratterizza il rettorato di Filippo Rinaldi
in linea di continuità con il suo predecessore viene espresso nella sua se-
conda lettera circolare. Raccontando la sua udienza da Pio XI nel giugno
1922 egli propone l’“unione con Dio” come concetto sintesi che si colloca
in continuità con le linee di Albera sui fondamenti dello zelo e dell’opero-
sità. Il papa, che ammirava la singolare amabilità e la calma inalterabile di
don Bosco nelle diverse prove quali segni preziosi della sua perfetta unione
con Dio, propose a Rinaldi la congiunzione dell’operare e del pregare come
programma: «Ora et labora è sempre stata la parola d’ordine dei santi: i
quali anche in ciò si sono semplicemente modellati sugli esempi di N. S.
Gesù Cristo. Perché l’operosità sia vantaggiosa, deve andar congiunta con
l’unione a Dio, incessante, intima…».126
L’unione con Dio diventa una delle prospettive dominanti per la lettura
della santità di don Bosco e il segreto della sua immensa operosità. Infatti
nel rettorato di don Rinaldi si svolgono gli ultimi passi del processo di
canonizzazione, all’interno dei quali si affrontavano le classiche e ripropo-
ste animadversiones su come (e se) don Bosco pregasse in mezzo a tante
occupazioni.127 Il processo, che culmina nella beatificazione del 1929, vede
un don Bosco operante perché intimamente unito con Dio. Eugenio Ceria
affermò più volte come avesse tratto proprio da don Rinaldi l’ispirazione
per la stesura del volume che riassume le sintesi tra l’interiorità e l’opero-
sità, diventando un classico della letteratura salesiana.128
124 Rinaldi, Resoconto del convegno tenutosi dai Direttori degli Oratori festivi, 596.
125 Rinaldi, Conserviamo e pratichiamo le nostre tradizioni, 942.
126 F. Rinaldi, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 3 (1922) 15, 17.
127 Cfr. P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. 3: La cano-
nizzazione (1888-1934), LAS, Roma 1988, 198-199.
128 Cfr. E. Ceria, Don Bosco con Dio, SDB, Roma 1988, 21-23. NB: L’edizione origi-

12.4 Page 114

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 113
L’unione con Dio è il luogo ermeneutico per la ricerca dell’equilibrio tra
la nozione di “sana modernità” e il bisogno di “battezzare” i divertimenti e
di conservare “rigidamente” lo spirito originario. Nella sua seconda lettera
circolare, l’unione con Dio viene collegata con insistenza alla santificazio-
ne come il «fine primario della professione religiosa, tutto il resto ha solo
ragione di mezzo. Le opere più grandiose e degne di encomio perdono ogni
calore, se non le facciamo per la nostra santificazione».129 Durante l’udien-
za da Pio XI, don Rinaldi fece un interessante ragionamento di ricerca di
stimoli per vivere la sintesi tra il lavoro (anche educativo) e la preghiera:
Ricordai al Santo Padre come don Bosco con la parola e coll’esempio incul-
casse continuamente ai suoi figli il lavoro e la preghiera; com’egli fosse sempre
unito a Dio anche in mezzo alle più gravi occupazioni; e lo pregai di voler dare
ai salesiani, alle Figlie di Maria Ausiliatrice, ai loro allievi, ex-allievi e coope-
ratori, uno stimolo efficace che li aiutasse ad essere ogni giorno più attivi e nel
medesimo tempo più uniti al Signore. […] Allora gli dissi che, a parer mio, un
mezzo molto efficace per aiutarli e spingerli tutti a ciò sarebbe stato il concedere
loro una speciale Indulgenza da lucrarsi ogniqualvolta avessero unito al lavoro,
all’insegnamento, all’assistenza, e via dicendo, qualche devota invocazione.130
Don Rinaldi mise uno speciale accento sull’unione con Dio anche negli
orientamenti da lui offerti alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Le indicazioni
più originali e feconde sono contenute nelle strenne annuali, nelle quali il
rettor maggiore offre un ricco ma semplice itinerario di vita spirituale.131
Egli si pone nella prospettiva dell’unione con Dio vissuta da don Bosco,
che diventa l’elemento trasversale a tutte le strenne. Con la strenna del
1921, particolarmente significativa perché precede il giubileo dell’Istitu-
to delle FMA, don Rinaldi presenta don Bosco come il padre che sape-
va unificare l’apostolato più attivo con l’unione con Dio più profonda. In
questa linea la pratica dell’unione con Dio viene offerta alle FMA come
speciale distintivo nel 50° della fondazione dell’Istituto.132 Queste idee di
principio, espresse nelle strenne, sono interpretabili alla luce degli inter-
venti del successore di don Bosco nei tre Capitoli generali delle FMA, nei
nale dello scritto fu pubblicata nell’anno di beatificazione di don Bosco (1929).
129 F. Rinaldi, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 3 (1922) 15, 18.
130 Ibid., 16.
131 Cfr. L. Dalcerri, Un maestro di vita interiore don Filippo Rinaldi, Istituto FMA,
Roma 1990.
132 F. Rinaldi, Le Figlie di Maria Ausiliatrice, ricordando la pietà del venerando don
Albera, si propongano la pratica della unione con Dio, per celebrare così degnamente
il Giubileo della loro Fondazione, in Dalcerri (ed.), Un maestro di vita interiore, 56-60.

12.5 Page 115

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114 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
quali generalmente rispondeva in forma semplice e concreta alle domande
circa problematiche educative, disciplinari e organizzative, traducendo in-
telligentemente gli insegnamenti ed esempi del fondatore alla sensibilità e
alla psicologia femminile.133 Nella strenna del 1931 parla ad esempio della
“contemplazione operante” di don Bosco in questi termini:
Il Beato ha costruito la sua vita interiore, semplice, evangelica, pratica, labo-
riosa, unicamente intenta al compimento dei divini voleri; […] vita interiore di
attività meravigliosa, straordinaria, per il bene delle anime, alimentata dalla sua
fede incrollabile, dalla sua speranza sempre raggiante nel suo immutabile sorriso
paterno, e infiammata dalla sua carità ardente.134
2.2.5. Formazione educativa osmotica e importanza del tirocinio
Un’altra linea di don Rinaldi, concernente l’educazione salesiana, è il
rafforzamento della convinzione che una scienza distaccata dalla virtù e
dalla prassi può essere pericolosa. Nella Congregazione una certa diffi-
denza verso lo studio non era nuova e veniva spesso collegata con la figura
dello “studioso” superbo con impegni esterni che gli fanno trascurare l’e-
ducazione dei giovani poveri e i compiti nella casa salesiana. Nel convegno
dei direttori dell’estate del 1926, Rinaldi riassume le sue linee a proposito:
Il salesiano non è un teorico della pedagogia ma un educatore. Dopo gli ele-
menti indispensabili della teoria, che possono esser dati nella filosofia, bisogna
imparare l’arte di educare con la pratica […] Nella vita di don Bosco vi sono
capitoli che ci danno norme di pedagogia pratica. La nostra pedagogia però sta
scritta nella vita salesiana. […] Ciascuno sia sollecito di studiare di più don Bo-
sco, di praticare la vita propriamente nostra, le nostre tradizioni. Se noi seguiamo
il programma della giornata salesiana, vi troveremo tutto il programma nostro.
[…] La nostra pedagogia quindi si studia nella vita con l’umiltà, la rassegnazione
e l’obbedienza, un po’ a spese nostre e un po’ a spese altrui; non s’impara da una
cattedra, che ci esponga teoricamente, in termini scientifici, i varii sistemi. Il
vero trattato è la vita pratica, e le sue pagine sono il cortile, lo studio, il refettorio,
la chiesa, il dormitorio, il passeggio. E a far leggere bene su queste pagine debbo-
no appunto mirare le sollecitudini del direttore.135
133 Cfr. gli interventi di Rinaldi negli atti dei CG 8, 9 e 10 delle FMA svoltisi
rispettivamente nel 1913, 1922, 1928.
134 F. Rinaldi, Conoscere ed imitare di più la vita interiore del Beato don Bosco.
Strenna per il 1931, in Dalcerri (ed.), Un maestro di vita interiore, 126.
135 F. Rinaldi, Resoconto dei Convegni dei Direttori, in ACS 7 (1926) 36, 497-498.

12.6 Page 116

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 115
L’unione tra lo studio e la pratica educativa viene concepita come un
insieme quasi indivisibile e legato alla virtù, esemplarità e santità dell’e-
ducatore. Come esempio illustre dell’educatore salesiano viene proposto
san Francesco di Sales, richiamato sia da don Rinaldi che dal consigliere
scolastico Bartolomeo Fascie.136 Le implicazioni progettuali del principio
dell’unità tra lo studio e la prassi si declinano nella linea di una maggiore
importanza del tirocinio pratico nella formazione dei salesiani e in una
maggiore attenzione ai ruoli educativi all’interno della casa salesiana.
Nel 1901, il nono Capitolo generale istituì il tirocinio pratico triennale,
ma in anni successivi si costatarono diverse resistenze e perplessità, fino
al punto di dover istituire nel seguente CG del 1904 una commissione che
esaminasse le decisioni prese tre anni prima.137 Un membro qualificato del
Capitolo, don Giuseppe Vespignani, raccontò così ai salesiani argentini il
risultato della lunga e animata discussione: «Il decimo Capitolo generale
pronunciò l’ultima parola ed ottenne un vero trionfo, stabilendo il triennio
di esercizio pratico tra lo studentato di filosofia e quello di teologia. Con
ciò diede un carattere speciale al chierico salesiano, esercitandolo piena-
mente nella sua missione verso la gioventù, formandolo praticamente nella
scienza pedagogica e nell’ammirabile sistema preventivo di don Bosco, e
maturandolo così, cogli esercizi della vita religiosa, per la sublime vocazio-
ne alla vita sacerdotale».138 I tirocinanti avrebbero dovuto essere accompa-
gnati dal direttore nell’esercizio pratico della vita salesiana con programmi
di studio stabiliti. Tra le opere di studio si trovano i classici: Dell’educa-
zione cristiana e politica de’ figliuoli di Silvio Antoniano (l’originale è
del 1584), Dei principii pedagogico-sociali di S. Tommaso di don Cerruti
(1893), I morali di Leone Magno a educazione del clero giovine (1895) e un
volume più recente su I concetti pedagogici di Leone XIII (1902).139
Il tirocinio venne valorizzato fino al punto che al tempo di don Rinaldi
il CG13 del 1929 indica di non ammettere allo studio della teologia i chie-
rici che non avessero adempiuto le disposizioni della formazione in questa
136 Cfr. F. Rinaldi, Il giubileo d’oro delle Costituzioni, in ACS 5 (1924) 23, 174-175;
B. Fascie, Del metodo educativo di Don Bosco, SEI, Torino 1927, 24; Valentini, Don
Rinaldi. Maestro di pedagogia, 15.
137 Cfr. Capitolo Generale X (26 agosto 1904) in ASC D585.
138 G. Vespignani, Ai confratelli salesiani dell’America. Impressioni del viaggio sul
X Capitolo Generale in J.M. Prelezzo, Linee pedagogiche della Società Salesiana nel
periodo 1880-1922. Approccio ai documenti, in «Ricerche Storiche Salesiane» 23 (2004)
44, 139.
139 Cfr. Prellezo, Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922,
140.

12.7 Page 117

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116 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
fase. I tirocinanti avrebbero dovuto essere guidati soprattutto dal direttore,
il quale aveva il compito di curare la consistenza della loro formazione, che
si compiva sia attraverso gli incarichi educativi pratici che con lo studio
di don Bosco e degli autori sopramenzionati.140 Il Capitolo accentua poi il
ruolo dello studio nella formazione del tirocinante, ricordando anche l’e-
sempio di don Cerruti e don Bertello legato alla promozione delle scuole.
Don Rinaldi comunque esplicita la sua chiave interpretativa sulle priorità
nella formazione: «I nostri studi debbono essere ordinati secondo il nostro
lavoro»,141 rifiutando l’idea sbagliata dello studio che porta alla superbia,
all’accidia nel ministero e alla predicazione per vanagloria.142
Nell’ottica dell’importanza della vita pratica, don Rinaldi rivolge un’at-
tenzione particolare verso i ruoli all’interno della casa salesiana che equi-
librano i vari aspetti dell’educazione. I principi pedagogici non sono solo
stimoli per gli approfondimenti teorici, ma nella mens pratica del rettor
maggiore sono subito legati a un ruolo, a dei compiti e alle applicazioni.
Dalle conferenze che fece dal 1913 al 1916 ai chierici di Foglizzo si può
ricavare un ricco contenuto che permette una ricostruzione del contesto
per l’interpretazione delle linee del suo governo.143
Oltre alle caratteristiche prioritarie del direttore inteso come padre e
confessore, viene elaborata la dimensione del governo dell’opera, della
rappresentanza davanti ai superiori ecclesiastici e alla società civile. An-
che se don Rinaldi propone il concetto di una sana modernità a livello
della Congregazione, è interessante da notare che a livello locale sottolinea
l’importanza della fedeltà che crea la continuità di governo, affermando
che «il direttore è esecutore della regola, non trasformatore; lui deve pre-
140 Cfr. Temi trattati nel XIII Capitolo Generale, in ACS 10 (1929) 50, 807. Cfr. anche
la decisione di non prendere in considerazione le domande dei chierici per la dispensa
dal triennio pratico in Rinaldi, Resoconto dei Convegni dei Direttori, 499.
141 F. Rinaldi, Pel XIII Capitolo Generale, in ACS 10 (1929) 47, 712.
142 In questo posto dell’argomentazione Rinaldi cita il racconto del sogno di don Bo-
sco sul congresso dei demoni – un racconto emblematico sulla pericolosità dello studio
staccato dalla pratica educativa salesiana. Don Lemoyne parlando dell’episodio dice che
consiste nel «persuadere i Salesiani che l’esser dotti è ciò che deve formare la loro glo-
ria principale, per cui studieranno molto per sé e sdegneranno di servirsi della scienza
appresa a vantaggio degli umili: non più opere popolari, non più Oratori festivi: ma
superbia, accidia nel sacro ministero, predicazione per vana gloria». Cfr. G.B. Lemoyne,
La vita di D. Bosco, in Rinaldi, Pel XIII Capitolo Generale, 712.
143 Cfr. Conferenze di Don F. Rinaldi, in ASC A3840137; Valentini, Don Rinaldi.
Maestro di pedagogia, 4-5, 67-101. B. Bordignon, I salesiani come religiosi-educato-
ri. Figure e ruoli all’interno della casa salesiana, in «Ricerche Storiche Salesiane» 31
(2012) 58, 65-121.

12.8 Page 118

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 117
siedere e dirigere quello che trova, non cambiare. […] Se no la casa cam-
bierebbe secondo i gusti dei direttori, con grave scapito della casa e della
Congregazione».144 Il prefetto, nelle responsabilità di gestione della disci-
plina, delle cose materiali, dei coadiutori e dei famigli; il catechista, che
cura l’educazione religiosa-morale dei giovani, le funzioni della chiesa, le
compagnie e le accademie; il consigliere scolastico e quello professionale,
che curano rispettivamente le scuole regolari e le scuole professionali; tutti
collaborano alla riuscita di una educazione integrale. Un’esigenza fonda-
mentale per la riuscita dell’educazione è vista da don Rinaldi nel principio
del lavorare e dialogare insieme, avendo ognuno il proprio ruolo. Nel Con-
vegno dei direttori del 1926 così si esprime a riguardo:
Qualcuno ha chiesto una parola sulle relazioni tra il direttore e il prefetto. An-
che qui – sia detto per incidenza – c’è un tratto della nostra pedagogia. Direttore
e prefetto si completano a vicenda. Vadano d’accordo, si parlino sovente: senza
quest’armonia molte cose vanno male.145
2.2.6. Le compagnie salesiane, l’Azione Cattolica e altre organizzazioni
giovanili
Nel 1919, all’interno del contesto della rivalutazione delle opere tradi-
zionali nell’immediato dopoguerra, don Albera sentì il bisogno di ribadire
la “salesianità” della scelta oratoriana: «Tutti quelli che s’interessano sul
serio degli oratorii festivi e dell’educazione della gioventù che vi accorre,
hanno l’approvazione piena ed intera del nostro rettor maggiore. Si parla
tanto in questi giorni delle opere del dopo guerra: orbene, l’opera prima e
fondamentale del venerabile fondatore sembra creata appositamente per le
circostanze attuali: attendiamo dunque ad essa con zelo e amore».146
Don Albera si mette in continuità con le linee fondamentali della sua con-
cezione di oratorio risalenti ai tempi precedenti il conflitto mondiale. Nella
lettera del maggio 1913 descrive l’oratorio come il primo lato di quella che
riteneva la pietra angolare dell’opera salesiana, formata dagli oratori festivi,
dalle missioni e dalla formazione delle vocazioni ecclesiastiche, i tre fini
“primari e nobilissimi” prefissati da don Bosco. L’oratorio festivo si caratte-
rizza come un’istituzione tutta sua, differenziandosi da ogni altra consimile
144 Conferenze di Don F. Rinaldi, 108.
145 Rinaldi, Resoconto dei Convegni dei Direttori, 498.
146 Cons. Gen. Circ. (24. febbraio 1919), in ASC E277.

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118 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
tanto per le finalità cui tende, come per i mezzi che usa. Lo qualifica anzi-
tutto la vasta gamma dei destinatari. Secondo don Bosco, spiega Albera,
l’oratorio non è per una data categoria di giovani a preferenza degli altri,
ma per tutti indistintamente dai sette anni in avanti. Non era richiesto lo
stato di famiglia, non dovevano essere presi in considerazione né la vivacità
del carattere, né l’insubordinazione saltuaria, né la mancanza di belle ma-
niere, né lo stato di abbandono o di miseria. Dalla partecipazione alla vita
oratoriana escludeva soltanto l’insubordinazione sistematica e contagiosa, la
bestemmia, i cattivi discorsi, lo scandalo. La tolleranza del superiore doveva
essere illimitata. Perciò, pur riproducendosi in mille luoghi e tempi diversi,
l’oratorio, unico nella sua natura, era l’anima della Pia Società.147
Successivamente don Filippo Rinaldi si sforzò di coniugare da una par-
te la sensibilità nei confronti della nuova situazione sociale in un progressi-
vo rafforzarsi dello Stato totalitario italiano, e dall’altra la ferma volontà di
salvaguardare la continuità con la tradizione salesiana. Dinanzi all’impulso
dato da Pio XI all’apostolato dei laici anche per contrastare l’incidenza del-
le organizzazioni fasciste, egli insisteva nel sostenere che all’interno delle
compagnie e dei circoli giovanili salesiani era già presente tutto il deside-
rato dal papa.148 Le compagnie dovevano essere regolamentate in modo da
«preparare e formare i futuri soggetti dell’Azione Cattolica»,149 senza però
una formale aggregazione ad essa. Affermata l’apertura di collaborazione
con l’AC, veniva poi ribadita l’esigenza della fedeltà all’idea tradizionale
delle compagnie, così come erano state pensate da don Bosco.150
Nel pensiero del rettor maggiore anche «nei nostri oratori le compagnie
formano la base e il centro della vita religiosa-spirituale, alla quale s’infor-
ma tutta l’opera di educazione e formazione cristiana per cui esse vennero
fondate da don Bosco».151 Si applicava quindi la linea espressa al convegno
dei direttori degli oratori: «Si può benissimo, osserva qui il sig. Don Ri-
naldi, ottemperare alle disposizioni della S. Sede [circa i gruppi dell’AC],
147 Cfr. Albera, Gli Oratori festivi - Le Missioni - Le vocazioni, 121-146.
148 Cfr. F. Rinaldi, Motivi di apostolato e di perfezionamento per il 1931, in ACS 11
(1930) 55,913-918.
149 Ibid., 915.
150 Per il rapporto tra le compagnie salesiane e AC cfr. G. Biancardi, La dimensione
apostolica della spiritualità laicale salesiana, in Istituto Storico Salesiano - Centro
Studi Figlie di Maria Ausiliatrice (eds.), Sviluppo del carisma di Don Bosco fino alla
metà del secolo XX. Atti del Congresso Internazionale di Storia Salesiana, Roma 19-23
novembre 2014 a cura di Aldo Giraudo et al., LAS, Roma 2016, vol. 2: Comunicazioni,
504-518.
151 Rinaldi, Resoconto del convegno tenutosi dai Direttori degli Oratori festivi, 604.

12.10 Page 120

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 119
com’è dover nostro, senza rinunciare alle nostre tradizioni: conserviamo
dunque alle nostre associazioni lo spirito salesiano».152 Non si trattava so-
lamente di conservare le tradizioni, ma anche di “rimettere in efficienza e
far fiorire le nostre compagnie” sotto la guida dei direttori e degli ispettori.
In più si istituiva la giornata ed i congressi ispettoriali delle compagnie.153
Trovandosi sempre più limitati gli spazi di azione verso l’esterno delle case
salesiane, l’apostolato tra i compagni come un mezzo importante dell’edu-
cazione trova un’estensione naturale nello slancio missionario in un conte-
sto di forte sviluppo ad gentes:
“Continuate a coltivare questo spirito missionario negli ospizi, nei collegi,
negli oratori festivi; eccellenti sono i frutti che se ne ricavano […] Coltivazione di
questo spirito ridonda principalmente a benefizio degli alunni medesimi, essendo
questo uno dei mezzi più efficaci per formare il loro cuore ad affetti elevati e san-
ti, un mezzo che li distoglie dai sentimentalismi morbosi tanto comuni a quell’e-
tà, un mezzo che ricorda loro la realtà della vita e le miserie di questo mondo, fa
loro apprezzare il bene d’essere nati in paese cattolico, nella luce e nella civiltà
del Vangelo, e li anima così a corrispondere a questa segnalata grazia del Signore
con una vita veramente cristiana”.154
Affermate le linee circa l’associazionismo salesiano, non mancano le
loro manifestazioni. Il “Bollettino Salesiano”, specialmente nell’estate del
1931, porta notizie sui congressi delle compagnie salesiane celebratisi nelle
ispettorie.155 Le compagnie esprimono una «perenne fecondità dell’inizia-
tiva del beato don Bosco, opportuna e utile ieri come oggi».156 Le ragioni
della loro efficacia sono elencate in quattro punti: «1) Lo stimolo efficace
dato da esse allo sviluppo della pietà; 2) L’abitudine innestata nei giovani
alla pratica dei doveri della vita cristiana; 3) L’emulazione del buon esem-
pio, nell’esercizio della virtù e nell’adempimento dei doveri quotidiani; 4)
L’amore ad un apostolato, che più non si dimentica per le gioie provate».157
152 Ibid., 608. Cfr. anche F. Rinaldi, Le Compagnie Religiose e l’Azione Cattolica.
Pensiero del S. Padre Pio XI, in ACS 11 (1930) 55, 55.
153 Cfr. Rinaldi, Motivi di apostolato e di perfezionamento per il 1931, 917-918. F.
Rinaldi, Norme e programma per le Giornate e i Congressi delle Compagnie Religiose,
che avranno luogo nelle Case e Ispettorie Salesiane durante l’anno 1931, in ACS 11
(1930) 55bis, 2-4.
154 Rinaldi, Giubilei d’oro della Pia Unione dei Cooperatori Salesiani, 428-429.
155 Cfr. I Congressi delle Compagnie religiose, in «Bollettino Salesiano» 55 (1931)
8, 230-232.
156 Il tema di “Compagnie Religiose”, in «Bollettino Salesiano» 55 (1931) 6, 186.
157 Ibid., 185.

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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120 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
2.3. Autori di pedagogia salesiana degli anni ’20
Il pensiero di don Rinaldi viene interpretato e completato con le appli-
cazioni dei suoi consiglieri, tra i quali emerge il consigliere scolastico don
Bartolomeo Fascie, che si sintonizza con il rettor maggiore nella proposta
di una pedagogia salesiana esperienziale. Diversa, ma complementare, è
l’impostazione della pubblicazione Don Bosco Educatore di Vincenzo Ci-
matti scritta nel 1925, che aspira alla scientificità e al rigore nella gestione
delle fonti in vista di un confronto con il positivismo pedagogico. Infine
analizzeremo brevemente gli scritti di alcuni autori francofoni per la loro
diffusione e l’impatto sulla mentalità salesiana. Don Scaloni, superiore per
lunghi anni nel nord Europa, e don Auffray, pubblicista, affrontano i temi
di pedagogia salesiana in un modo sia pratico (per i temi) che popolare (nel
linguaggio).
2.3.1. Fascie e la pedagogia salesiana esperienziale
Bartolomeo Fascie, consigliere scolastico dal 1920 al 1937, rilesse la pe-
dagogia salesiana sull’importanza del rivivere don Bosco con organicità e
impostando un approccio di pedagogia esperienziale. La sua pubblicazione
Del metodo educativo di Don Bosco158 ebbe molto influsso sui salesiani, es-
sendo una lettura raccomandata nel tirocinio; essa si diffuse anche oltre lo
stretto cerchio salesiano, poiché fu adottata come libro di testo nelle scuole
di magistero in Italia dagli anni ’30 fino agli anni ’50. L’idea della pratici-
tà del metodo salesiano si può notare anche nella composizione del libro:
una breve introduzione pedagogica dell’autore, la prima parte delle fonti sui
“principi direttivi” di una ventina di pagine e, infine, la seconda parte più
importante e lunga circa le “applicazioni pratiche”, divisa in incontri, lette-
re, testimonianze e suggerimenti disciplinari, didattici e retorici.
La pubblicazione riflesse e concretizzò il pensiero di don Rinaldi dell’u-
nione tra lo studio e l’esperienza nella formazione dei salesiani-educatori.
Don Fascie reagì con il suo libro a certe presentazioni celebrative di don
Bosco frequenti non solo in ambienti salesiani. Scrive nel libro: «Quando
si parla del sistema preventivo, se ne parla come se esso fosse una novità
balzata di tutto punto dal suo cervello [...] una trovata, un’invenzione, una
158 Cfr. B. Fascie, Del metodo educativo di Don Bosco. Fonti e commenti, SEI, Torino
1927.

13.2 Page 122

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 121
scoperta e quasi una creazione di don Bosco».159 Il consigliere proponeva
invece: «Non dobbiamo figurarci don Bosco un teorico della pedagogia,
o uno studioso di problemi didattici o scolastici».160 Don Bosco accolse
il metodo preventivo così come gli veniva offerto dalla tradizione uma-
na e cristiana. La vera grandezza e originalità del fondatore della Socie-
tà Salesiana si trova «nel campo pratico dell’arte educativa e dell’opera
dell’educatore»161 e nella capacità di aver «richiamato in vita e in azione il
metodo preventivo».162
L’intuizione più originale dell’introduzione scritta da Fascie è il concetto
del “buon senso” che è la forma mentis di don Bosco «sostanziata di praticità
e di buon senso, aliena dalle astrattezze, dalla teoricità e dalla intellettualità
pura»;163 è la forma concreta del principio della “ragione” nel sistema pre-
ventivo; è il motivo di valorizzazione delle tradizioni educative precedenti a
don Bosco; insieme con la carità è il principio per cui il metodo «è contenuto
tutto in forma organica ed ordinata, […] in forma chiara ed attraente in modo
che non solo si comprende e si ammira, ma si impara, si gusta e si è attratti
ad imitarlo»;164 e ancora, nella combinazione con la carità, il buon senso crea
le basi per la valenza dell’esemplarità degli educatori. Esso acquista la sua
valenza nell’organicità vitale dell’educazione salesiana:
Da quanto si è detto fin qui pare si possa affermare che non seguirebbe una
buona strada chi volesse avvicinarsi al metodo educativo di don Bosco, con ani-
mo di sottoporlo ad un’analisi esasperante, sezionarlo, ridurlo in parti, in divisio-
ni, in rigidi schemi, mentre invece si deve guardare come una forma viva nella
sua integrità studiando i principii da cui trae la vita, gli organi della sua vitalità
e le funzioni che da essi si sviluppano. E appunto perché viva, non può essere
sottoposta a sezioni anatomiche come si fa sui cadaveri per studiare anatomia,
senza correre l’evidente pericolo di vedercelo morire tra mano. […] In una parola
si correrebbe rischio di ridurre a cosa morta un metodo che in tanto vale in quan-
to è cosa vivente, e che a rigor di termini per essere studiato bene dovrebbe essere
studiato mentre è in azione e in piena efficienza.165
L’impostazione di Fascie, tra i principi pedagogici semplici e l’arte edu-
cativa pratica illustrata con ricorso agli episodi di successo, si può collo-
159 Fascie, Del metodo educativo di Don Bosco, 24.
160 Ibid., 19.
161 Ibid., 22.
162 Ibid., 29.
163 Ibid., 20.
164 Ibid., 30-31.
165 Ibid., 32-33.

13.3 Page 123

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122 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
care nella linea della continuità con l’agire di don Bosco, in un periodo di
entusiasmo attorno alla beatificazione del Santo e di una presenza ancora
sufficiente di testimoni delle prime generazioni. Appare chiara la finalità
di dimostrare che don Bosco era in contempo guidato da Dio e si sapeva
adattare alle situazioni. Una volta chiariti i due aspetti complementari delle
“ispirazioni” e delle “circostanze” ne segue la conclusione della necessità
di fare come ha fatto don Bosco. Sono anche abbastanza evidenti i limiti
di questa pubblicazione. I cenni biografici su don Bosco si concentrano sui
primi trent’anni della sua vita e finiscono con la fondazione dell’Oratorio
che è «il libro vivo del suo metodo, scuola e modello».166 La figura di don
Bosco appare idealizzata e celebrativa: si presume ad esempio che don
Bosco avesse già in seminario un’idea chiara su tutto il programma della
sua vita.167 Gli episodi pratici dalla vita di don Bosco riportati da Fascie
tendono a illustrare più il successo dell’agire educativo che ad analizzarne
il metodo, le motivazioni e gli strumenti.
Il consigliere scolastico riprende molte tematiche care al rettor maggio-
re don Rinaldi, quando si mette sulla scia delle piccole tradizioni o della
praticità del metodo educativo, ma alcune altre mancano. Sono assenti in
particolare alcuni nuclei principali ed equilibratori di don Rinaldi, come
l’elemento della paternità e quello dell’unione con Dio. In questo senso
emerge come don Fascie non aspiri alla completezza delle analisi, ma piut-
tosto cerchi di rinforzare il leitmotiv dello scritto: «Che si deve infine sentir
viva e continua la propria responsabilità in modo da poter ripetere con don
Bosco: Son sempre andato avanti come il Signore mi ispirava e le circo-
stanze esigevano».168
Nelle sue circolari Bartolomeo Fascie traccia alcuni orientamenti, in linea
con Cerruti, per la scuola salesiana chiamata a formare buoni cristiani oltre
che uomini preparati: «La scuola per noi fa parte del programma della vita sa-
lesiana, che è riassunta nel motto di don Bosco: Da mihi animas cetera tolle.
[…] La radice della scuola sta nella pratica della vita cristiana e religiosa. […]
Chi cessasse di essere salesiano, quando fa scuola, per essere solo insegnante
di valore, sarebbe un osso fuor di posto e ci si troverebbe a disagio».169
Il tirocinio, che è il punto forte dell’impostazione del consigliere sco-
lastico, viene visto come “il corso di studio della nostra pedagogia”, che
166 Ibid., 18.
167 Cfr. Ibid., 20.
168 Ibid., 34.
169 B. Fascie, Lettera del Consigliere Scolastico, in ACS 5 (1924) 26, 319.

13.4 Page 124

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 123
non può essere imparata dai libri, ma nella vita pratica, «dal libro della
vita e della tradizione salesiana e le pagine di questo libro sono la Chiesa,
la scuola, lo studio, il refettorio, il dormitorio, il cortile, il teatrino, l’in-
fermeria, il passeggio, ecc… ed è a queste pagine che si deve attingere,
in queste si deve attingere e studiare, vivendole con affetto, con spirito di
sacrifizio e con volontà umile e coraggiosa».170 Per rafforzare la sua visione
sull’importanza della formazione pratica contro chi cercava di abbreviare
il tirocinio, immagina il caso della soppressione del triennio pratico:
I nostri chierici passerebbero direttamente dal Noviziato allo Studentato Filo-
sofico e poi a quello Teologico, ossia passerebbero sette anni interi senza nessun
contatto con la vita salesiana in atto e con i giovani, e dopo sette anni tra il No-
viziato e studio si affaccerebbero ad una vita affatto nuova per loro, senza aver
più le disposizioni e la duttilità necessaria per piegarsi e adattarsi alle esigenze
dell’assistenza, alla pazienza dell’insegnamento e della convivenza cogli alunni,
agli insuccessi non rari e mortificanti, a tutto quell’insieme di piccoli accorgi-
menti necessarii alla riuscita, ecc., che si possono apprendere nell’ardore e nello
slancio esuberante dell’età giovanile, ma riescono troppo mortificanti più tardi
e vincono il coraggio e la pazienza anche di chi sia fornito di sufficiente buona
volontà e spirito di sacrifizio.171
2.3.2. Cimatti e il “Don Bosco educatore” nel confronto con il positivismo
Diversa è l’impostazione della pubblicazione Don Bosco educatore di
Vincenzo Cimatti,172 scritta nel 1925, che aspira alla scientificità e al rigore
nella gestione delle fonti in vista di un confronto con il positivismo pe-
dagogico.173 Oltre ad argomenti tradizionali dell’educazione salesiana, Ci-
matti non evita temi considerati nel mondo salesiano insoliti o problematici
come l’educazione femminile e l’educazione sessuale. La pubblicazione,
essendo una sintesi che l’autore ha maturato in più di dieci anni, costituisce
una riflessione matura, la quale supera metodologicamente sia i lavori più
o meno compilativi di Barberis e Fascie, sia quello applicativo-formativo
170 Corsi di filosofia e triennio di esercizio pratico, in ACS 5 (1924) 26, 327. Cfr.
anche la stessa linea di pensiero in Fascie, Del metodo educativo di Don Bosco, 23-24.
171 B. Fascie, Lettera del Consigliere Scolastico, in ACS 8 (1927) 41, 618.
172 Cfr. V. Cimatti, Don Bosco educatore. Contributo alla storia del pensiero e delle
istituzioni pedagogiche, SEI, Torino 1925.
173 Cfr. anche le considerazioni contestualizzanti sullo scritto di Cimatti in G.
Fedrigotti, Il Sistema preventivo di Don Bosco nell’interpretazione di Vincenzo Cimatti
(1879-1965), 77-95.

13.5 Page 125

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124 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
di Cerruti, gli scritti del quale furono pubblicati in vista della formazione
religioso-umanistica dei salesiani in quanto insegnanti.
Insieme con Pietro Braido si può affermare che la pubblicazione di Ci-
matti è il primo studio che va nella direzione di una riflessione sistematica,
critica e scientifica sul sistema preventivo di don Bosco.174 Cimatti ha af-
frontato l’implementazione del sistema preventivo nelle norme scolastiche
italiane attraverso le sue lezioni di pedagogia per le scuole di magistero
pubblicate in tre volumi nel 1911, e poi ha maturato la sua riflessione con-
frontandosi con un numero elevato di scritti, come quelli editi e inediti di
don Bosco, le cronache, le biografie, i profili storici, la Positio per il pro-
cesso di beatificazione e il “Bollettino Salesiano”.175 Dallo studio delle fon-
ti e dagli approfondimenti legati all’insegnamento nella scuola magistrale
di Torino-Valsalice emerge una sintesi con una struttura che va oltre la
contrapposizione tra sistema repressivo e preventivo. Non si tratta quindi
solo di una glossa o commento al trattatello di don Bosco: Cimatti scom-
pone le fonti, creando una struttura propria dello scritto:
1) La rassegna bibliografica;
2) La vita di Giovanni Bosco;
3) Il concetto di educazione;
4) I fattori educativi (famiglia, scuola, società civile e religiosa, educa-
tore, educando, ambiente);
5) I mezzi per l’educazione:
a) fisica (ginnastica ma qui si inserisce anche l’educazione estetica, la
musica, il teatro),
b) intellettuale (istruzione religiosa, prediche, oratorio, scuole diurne,
scuole professionali e agricole),
c) morale;
6) I principi direttivi metodici contenuti nel trattatello sul sistema pre-
ventivo:
a) il trinomio ragione-religione-benevolenza come base,
b) mezzi per un’educazione cristiana,
c) mezzi per guadagnare la stima e confidenza,
d)mezzi ricreativi per una occupazione utile degli educandi;
7) La disciplina educativa;
8) L’educazione riparatrice ed emendatrice (le punizioni disciplinari);
174 Cfr. P. Braido, Il Sistema Preventivo di don Bosco, PAS Verlag, Zürich 21964,
33-34.
175 Cfr. Cimatti, Don Bosco educatore, 11-27.

13.6 Page 126

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 125
9) Gli approfondimenti: la pedagogia sessuale e l’educazione femminile;
10) I risultati del sistema educativo di don Bosco;
11) Le appendici bibliografiche dettagliate (interessante è l’elenco crono-
logico di oltre un centinaio di pubblicazioni di don Bosco).
Per Cimatti don Bosco «nel concetto cristiano della carità che previe-
ne, nella fusione cordiale dell’autorità ragionevole dell’educatore e della li-
bertà ragionevole dell’educando, sintetizza con un felice e sano eclettismo
le buone teoriche e pratiche educative precedenti».176 Nell’introduzione lo
scritto contestualizza la trattazione parlando di due scuole pedagogiche.
La prima è la pedagogia spiritualistica, che si pone in continuità con la
tradizione classica e concepisce l’uomo come un essere dotato di anima e
corpo armonicamente uniti tra loro. La seconda scuola è quella positivi-
stica, che considera l’uomo come materia svolgentesi in un complesso di
fenomeni chimico-fisiologici e propone un’educazione fisica, agnostica e
infine sottomessa al regime politico.177 Il nostro autore, pienamente inseri-
to nella prima corrente in quanto laureato in filosofia e pedagogia all’uni-
versità di Torino, è, però, anche uno studioso di scienze naturali e autore
di numerosissime pubblicazioni nel campo agrario,178 e propone quindi di
riconnettere
la coltura e la tradizione del nostro glorioso passato colle belle conquiste po-
sitive del presente. Quante forme di civiltà più equilibrate, più consone ai bisogni
della vita degli individui e dei popoli potranno scaturire dallo studio e dalle prati-
che educative passate, dalla conciliazione della fede colla scienza, del capitale col
lavoro, della coltura colla praticità professionale, da un più sentito amor patrio!179
La stessa tendenza di conciliazione sinergica si ritrova nella lettura del-
la vita di don Bosco, dove il nostro autore constata «che quest’uomo e
l’opera sua rispecchiano da un lato le vicende materiali, spirituali e sociali
del tempo, e dall’altro l’opera della Provvidenza che con sapienza ed amo-
re le viene permettendo a vantaggio degli individui e della collettività».180
L’attenzione al clima positivistico è una chiave di lettura che permette di
176 Ibid., 4.
177 Cfr. Ibid., 9.
178 Cfr. la bibliografia di Cimatti in G. Fedrigotti, Il Sistema preventivo di Don Bosco
nell’interpretazione di Vincenzo Cimatti, 188-189 che menziona 436 articoli di Cimatti
in «Rivista dell’agricoltura», tre volumi di Lezioni di Agraria e sei volumi del Libro
dell’agricoltore tutti pubblicati nel periodo tra il 1907 e il 1922.
179 Cimatti, Don Bosco educatore, 9.
180 Ibid., 29.

13.7 Page 127

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126 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
cogliere l’impostazione dello scritto. La si percepisce nell’analisi dell’am-
biente familiare e sociale nel quale si è formato don Bosco; nell’attenzione
alla legislazione italiana e alla regolamentazione salesiana; nella conside-
razione precisa delle fonti bibliografiche, ai rapporti di don Bosco con per-
sonaggi storici e, soprattutto, nella parte conclusiva che tratta dei “risulta-
ti” del sistema educativo salesiano.
Non mancano le parti di critica al positivismo, nelle quali Cimatti di-
chiara: «La pedagogia falsamente scientifica, che proclama l’educazione
laica, puramente sperimentale, positiva, razionale, indipendente ed estra-
nea ad ogni credenza religiosa, potrà ammirare l’evidenza dei risultati ot-
tenuti col sistema educativo di don Bosco; ma non potrà penetrarne e ca-
pirne l’intimo fondamento».181 Anche nelle parti che riportano i “risultati
del sistema”, in cui è evidente il confronto con il positivismo, non cade nel-
la trappola (nello stile di du Boys)182 di elencare solo la crescita e i numeri
legati all’espansione mondiale della Congregazione, affermando che «le
cifre che si potrebbero citare non fisserebbero che in modo arido e volgare
il momento attuale dell’opera».183 Secondo lui, invece, il risultato migliore
in linea con i parametri di don Bosco è l’esistenza e la crescita dell’associa-
zione degli exallievi salesiani: «L’allievo che sente il bisogno di ricordare
il suo educatore, di seguirne nella vita pratica gli insegnamenti, è certo la
più bella prova del risultato educativo».184
A livello di contenuti l’opera di Cimatti offre, oltre al ricorso ricco
alle fonti salesiane,185 riflessioni interessanti che rivelano un ampio oriz-
zonte di pensiero, delle intuizioni pregnanti e una attenzione costante
alla pratica educativa. Ne elenchiamo almeno alcune. All’inizio del suo
libro Cimatti definisce il concetto di educazione per don Bosco come «la
preparazione dell’allievo alla piena esplicazione di tutta l’attività intel-
lettuale, morale e sociale di cui è capace».186 Con questa formulazione
181 Ibid., 63.
182 Cfr. la struttura del volume A. du Boys, Don Bosco e la Pia Società Salesiana, Tip.
e Libreria Salesiana, S. Benigno Canavese 1884 che rilegge la vita e il metodo educativo
di don Bosco attraverso lo sviluppo delle opere e delle istituzioni.
183 Ibid., 137.
184 Ibid., 138.
185 Oltre la curata bibliografia che introduce e conclude il volume, bisogna notare una
trascuratezza dell’apparato critico delle note. Appaiono spesso citazioni senza l’indica-
zione della fonte, come p.e. la lunga citazione a pp. 67-73 di cui viene solo indicato don
Bosco come autore ma non l’opera (si tratta di un brano tratto da: J. [G.] Bosco, Biogra-
phie du jeune Louis Fleury Antoine Colle, Imprimerie Salésienne, Turin 1882, 22-31).
186 Cimatti, Don Bosco educatore, 54.

13.8 Page 128

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 127
di partenza ci si discosta dagli Appunti di Barberis in diversi punti. Ol-
tre ad una diversa impostazione delle coordinate antropologiche, Cimat-
ti accentua il ruolo dell’esplicazione del potenziale, che è più centrato
sull’allievo. Barberis, in linea con Rayneri e Allievo, sottolinea invece
il perfezionamento come un concetto base che implica una crescita delle
singole facoltà più dipendente dalle direttive dell’educatore.187 L’accento
del nostro autore alla valorizzazione attiva dell’allievo viene confermata
anche più avanti posizionando l’educando come il soggetto dell’educa-
zione, il massimo fattore nel campo educativo, e affermando la necessità
della sua piena cooperazione, quando, passato il periodo dell’infanzia,
diventa capace di discernimento.188
Nello scritto si percepisce un decentramento dalla figura dell’educatore-
insegnante salesiano. Sono valorizzati i cooperatori salesiani, considerati
educatori che si «occupano di questa sublime missione nelle case sale-
siane» insieme a sacerdoti, chierici e coadiutori.189 È interessante la nota
sull’efficacia della formazione professionale salesiana che si basa sulla
«identità di condizione tra l’educatore e il fanciullo, il quale apprende dal
maestro operaio cristiano come potrà vivere da operaio e da cristiano».190
Cimatti si trova in linea con l’impostazione educativo-istruttivo-religiosa
delle scuole salesiane data da Cerruti, fornendo alcune concretizzazioni in
merito: «Dunque da un lato il problema fondamentale di don Bosco – ani-
me da salvare – e dall’altro lato un problema tecnico, didattico, economico
e sociale».191 La connessione tra i due ambiti avviene, secondo il nostro
autore, a livello didattico: «La religione dev’essere l’anima che avviva il
programma di studio. Perciò l’insegnante deve da ogni materia di studio
desumere concetti, massime morali, religiose, che mentre istruiscono la
mente educhino il cuore. (Si prestano allo scopo: proposizioni, esercizi,
traccie, argomenti di composizione, esercitazioni orali o scritte ecc.; i raf-
187 «La pedagogia […] essenzialmente consiste nel dirigere il fanciullo al suo per-
fezionamento, sviluppando il meglio che sia possibile le sue facoltà», in Appunti di pe-
dagogia di Giulio Barberis (1847-1927). Introduzione, testi critici e note a cura di José
Manuel Prellezo. Postfazione di Dariusz Grządziel, LAS, Roma 2017, 35.
188 Cfr. Cimatti, Don Bosco educatore, 67.
189 Ibid., 64. Nella sensibilità più aperta alla collaborazione educativa con i laici si
percepisce l’esperienza del Cimatti nell’Oratorio di S. Luigi a Torino dal 1912 al 1917.
Cfr. Fedrigotti, Il Sistema preventivo di Don Bosco nell’interpretazione di Vincenzo
Cimatti, 50-64.
190 Cimatti, Don Bosco educatore, 66.
191 Ibid., 93.

13.9 Page 129

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128 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
fronti dei fatti di fortezza, prudenza ecc.)».192 Oltre ai diversi mezzi educa-
tivi e didattici, Cimatti tratta a parte della ricreazione e, voce innovativa,
dei mezzi per guadagnarsi la stima e la fiducia degli allievi.193
In merito al concetto di “sistema”, Cimatti lo interpreta come il modo
di comportarsi dell’educatore con il giovane.194 In questo modo, il sistema
preventivo non è un metodo didattico o un ordine di studi, analogo alla Ra-
tio dei gesuiti o alla Condotta delle Scuole cristiane, e la parte più sistema-
tica va cercata nei «regolamenti delle case in cui sotto forma di consigli, si
determinano norme educative che hanno dei punti di contatto colle opere
indicate, e che specialmente per la parte disciplinare, si presterebbero ad
un interessante studio comparativo con le istruzioni frankiane».195 Infine,
nella sintesi conclusiva che risponde alle domande poste all’inizio dello
scritto, Cimatti afferma la grandezza di don Bosco in termini di sano eclet-
tismo alla luce della carità cristiana preveniente:
Può dirsi che don Bosco nel campo educativo sia un capo scuola e meriti di
occupare un posto onorevole nella storia dell’educazione? Rispondo: don Bosco
è grande caposcuola, e rivive nei suoi figli e nei suoi allievi. Occupa un posto
onorevole fra la schiera eminente dei pedagogisti italiani del secolo XIX, di cui
si onora la patria nostra, è un continuatore della gloriosa scuola tradizionale spiri-
tualistica, e con mirabile e sano eclettismo sintetizza nel suo concetto della carità
cristiana che previene, nella fusione cordiale e intima dell’autorità ragionevole
dell’educatore e della libertà ragionevole dell’educando, sulla base della religione
cattolica, le teoriche e le pratiche educative precedenti.196
192 Ibid., 95.
193 Cfr. Ibid., 117-123.
194 Cimatti fa riferimento alle dichiarazioni di don Bosco circa la non sistematicità e
l’importanza delle circostanze concrete e le ispirazioni interiori: «II mio sistema si vuole
che io esponga? Ma se neppur io lo so! Sono sempre andato avanti senza sistemi, come il
Signore mi ispirava e le circostanze esigevano». NB: Il corsivo è nostro ed è un’aggiunta
nel Don Bosco Educatore che non si trova nelle Memorie Biografiche.
195 Cfr. Cimatti, Don Bosco educatore, 114-115. Con le “istruzioni frankiane” Cimatti
si riferisce con probabilità ad August Hermann Francke, pedagogista protestante tedesco
vissuto tra il 1663 e il 1727. Le sue istituzioni Franckesche Stiftungen comprendevano
un orfanotrofio, una spezieria, una stamperia, scuole per fanciulle e fanciulli delle classi
più povere e diverse istituzioni rivolte agli studenti di teologia. Cfr. M. Brecht (ed.), Au-
gust Hermann Francke und der Hallische Pietismus, in Geschichte des Pietismus, vol.
1, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1993, 439-539.
196 Cimatti, Don Bosco educatore, 138-139.

13.10 Page 130

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 129
2.3.3. Riflessioni pedagogiche in ambito francofono: Scaloni e Auffray
Nell’ambiente linguistico francofono197 possiamo trovare due autori sa-
lesiani significativi con un interesse pedagogico. Francesco Scaloni (1861-
1926),198 per diversi anni ispettore in Belgio e in Inghilterra, autore di Le
Jeune éducateur chrétien. Manuel pédagogique selon la pensée du Ven.
don Bosco, un manuale pedagogico per i giovani confratelli interessan-
te per il suo approccio innovativo e sistematico. Il suo volume è racco-
mandato dal consigliere scolastico Francesco Cerruti, auspicando una sua
maggiore conoscenza e diffusione.199 Il volume Une méthode d’éducation,
scritto da Augustin Auffray, direttore del “Bollettino Salesiano” in france-
se, è significativo per la sua grande diffusione e impatto.
Francesco Scaloni nel suo manuale completa, e in un certo senso in-
verte, il manuale di Barberis. La riflessione sui diversi tratti del “carat-
tere giovanile”, che per Allievo era la sintesi unificatrice del trattato ed
era stata omessa negli Appunti di Barberis, serve invece a Scaloni come
punto di partenza. La trattazione sul carattere, «che è un’impronta tipica,
derivante da un insieme di tendenze naturali, difetti ereditari, passioni e
abitudini»,200 sviluppa uno scenario diversificato di problematiche educa-
tive che funge da introduzione concreta alle proposte della seconda parte,
più specificatamente di pedagogia salesiana.
Nella prima parte, con una certa sensibilità “puerocentrica”,201 Scaloni
197 Lo storico salesiano José Manuel Prellezo considera l’ambiente francofono più sti-
molante a livello pedagogico. Infatti tanti influssi diretti e indiretti sul pensiero educati-
vo di don Bosco provengono dalla Francia. Possiamo notare p.e. il concetto di “sistema”;
le concettualizzazioni di mons Doupanloup sul “sistema preventivo”; gli influssi lasal-
liani, soprattutto dei frati Agathon e Théoger; il confronto con la pedagogia naturalista
di Rousseau o con il giansenismo pedagogico. Cfr. Braido, Prevenire non reprimere,
63-119 e J.M. Prellezo, Studio e riflessione pedagogica nella Congregazione Salesiana
1874-1941. Note per la storia, in «Ricerche Storiche Salesiane» 7 (1988) 1, 75.
198 Scaloni ha influenzato anche il Programma scolastico per le scuole di artigiani
della Pia Società Salesiana del 1903 che ha tenuto conto dei programmi curati da lui per
le scuole professionali nel Belgio.
199 Cfr. Durando Cerruti (29 gennaio 1910), in F. Cerruti, Lettere circolari e pro-
grammi di Insegnamento (1885-1917). Introduzione, testi critici e note a cura di José
Manuel Prellezo, LAS, Roma 2006, 55.
200 F. Scaloni, Le jeune éducateur chrétien. Manuel pédagogique selon la pensée du
Ven. don Bosco, Société Industrielle d’Arts et Métiers, Liége 1917, 30.
201 Cfr. G. Chiosso, Educazione e pedagogia nel primo Novecento, in Istituto Stori-
co Salesiano - Centro Studi Figlie di Maria Ausiliatrice (eds.), Sviluppo del carisma
di Don Bosco fino alla metà del secolo XX, vol. 1: Relazioni, 164.

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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130 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
si appoggia sul trattato delle passioni del redentorista Paulin Lejeune,202
sugli studi sul carattere di Jean Guilbert203 e soprattutto sul sostanzioso
volume sulla psicologia in chiave neotomista del cardinale Désiré Mercier,
primate del Belgio.204 Appaiono inoltre riferimenti a Quintiliano, Doupan-
loup, Bossuet e altri autori. La scelta della prima parte in chiave di psico-
logia filosofica permette a Scaloni di sviluppare un approccio diversificato
verso i giovani con temperamenti diversi (sanguigno, malinconico, colle-
rico e flemmatico).205 Oltre alle differenze date dai temperamenti, Scaloni
elenca più di 150 attributi del carattere divisi in tre sottogruppi tra carat-
tere buono, ordinario e difficile. Il suo modello antropologico è arricchito
dall’inserimento di undici passioni che vanno sorvegliate, dirette, modera-
te, stimolate con differenti mezzi educativi. La parte psicologica è conclusa
con il capitolo sui difetti e la loro correzione nella logica della conoscenza
di sé e dell’educazione per formare una volontà ben disposta, buona e forte.
La seconda parte riporta il trattatello di don Bosco sul sistema preven-
tivo e lo concretizza in consigli per i giovani confratelli sull’educazione
in generale, sull’insegnamento del catechismo, sulla didattica e sull’assi-
stenza. Scaloni offre una buona sintesi dei documenti salesiani basandosi
soprattutto sui Regolamenti per le case della Società di S. F. di Sales, sulle
costituzioni, sulle lettere circolari di don Bosco e di don Rua, illustrate con
varie citazioni dalle Memorie Biografiche.
Il vero contributo innovativo di Scaloni, ci sembra, risiede nella prima
parte che riassesta la tradizionale prospettiva salesiana considerando se-
riamente le diversità psicologiche dei giovani. L’ampiezza di prospettive
appare soprattutto nei paragrafi che trattano delle applicazioni e delle cor-
rezioni dei difetti, valorizzando i vantaggi e la lungimiranza delle scelte
educative di don Bosco. La diversità dei temperamenti stabilisce un punto
di partenza per la necessità di diversi approcci educativi e l’importante di-
stinzione tra difetti naturali e morali aiuta l’educatore a sorpassare la logica
esclusivamente etico-morale.206 Da un lato Scaloni sorpassa la severità mo-
ralistica delle valutazioni, ma il discorso non si ferma qui; l’autore insiste
anche sulla necessità di andare oltre la rigidità disciplinare dell’ambiente
collegiale che indebolisce “enormemente” la responsabilità degli studenti.
202 Cfr. P. Lejeune, Les Passions. Traité pratique, Desclée de Brouwer, Lille 1905.
203 Cfr. J. Guilbert, Le caractère. Définition, importance, idéal, origine, classification,
formation, J. de Gigord, Paris 1914.
204 Cfr. D.J. Mercier, Psychologie, Institut Supérieur de Philosophie, Louvain 1908.
205 Cfr. Scaloni, Le jeune éducateur chrétien, 7-9.
206 Cfr. Ibid., 134-135.

14.2 Page 132

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 131
Riportiamo alcuni ragionamenti che rappresentano un ponte importante
tra la parte psicologica e la seconda parte salesiana del manuale:
In un collegio, il giovane è formato fuori dalle realtà della vita; non è abituato
a trovarsi in preda alle mille difficoltà che incontrerà sulla soglia dell’internato.
[…] L’educazione salesiana in gran parte elimina gli inconvenienti prodotti da
collegi chiusi in vista della formazione di caratteri forti. Notiamo qui di nuovo
la saggezza del sistema del venerabile don Bosco. Non ha mai voluto introdurre
nelle sue case una severa disciplina. Per ottenerla, i superiori avrebbero dovuto
guardare in modo burbero, minaccioso e talvolta usare punizioni rigorose. Niente
di tutto questo: lui voleva una disciplina gentile e paterna, per dare ai bambini
tutto il merito della riforma dei loro difetti e per promuovere il libero svilup-
po della loro energia personale. Questo sistema, il più familiare possibile, non
sopprime la volontà dei bambini, non distrugge la loro iniziativa individuale;
sostiene la naturale debolezza del bambino, ma non lo vincola suo malgrado al
compimento del dovere. Nel sistema salesiano, ben compreso e ben applicato, il
bambino diventa virtuoso perché lo vuole lui stesso. Ma non appena la volontà
del giovane agisce liberamente, acquisisce nuove energie ogni giorno. […] Cer-
chiamo di coltivare con grande cura la volontà dei nostri studenti; che questa sia
la nostra preoccupazione costante. Convinciamoci di non aver fatto nulla di du-
raturo, se non siamo riusciti a formare i giovani di carattere, dotati di una volontà
forte, energica, generosa. Con tale volontà e aiutati dalla grazia di Dio, i nostri
giovani saranno in grado di fare buon uso del loro temperamento, di formare
un carattere felice e piacevole, di governare le loro passioni, di correggere i loro
difetti, di essere la consolazione e il sostegno dei loro genitori, l’ornamento della
società e i difensori della Chiesa.207
Negli anni venti Augustin Auffray (1881-1955) raccoglie nel volume
Une méthode d’éducation i suoi articoli sull’educazione salesiana usciti
prima nel “Bollettino Salesiano”. Il volume riprende le tematiche della li-
bertà, autorità, gioia e pietà nell’educazione, attorno alle quali raggruppa
le caratteristiche dell’educazione salesiana. Lo stile più discorsivo e per-
suasivo non accentua la sistematizzazione, i confronti e non solleva pro-
blematiche che esigerebbero ulteriori chiarimenti. Per Auffray il sistema
preventivo è la via di mezzo, «un monumento di nobile unità, nel quale
il cuore e la ragione, l’autorità e la libertà s’equilibrano in una costante
armonia».208 L’equilibrio dell’educazione salesiana è contestualizzato an-
tropologicamente, nel capitolo sul peccato originale, tra il giansenismo di
Pascal e il naturalismo di Rousseau. Il libro si conclude affermando il prin-
207 Ibid., 145-148.
208 Cfr. A. Auffray, Une méthode d’éducation, Procure des Oeuvres et Missions du
Vénerable don Bosco, Paris 1924, 101.

14.3 Page 133

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132 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
cipio nihil novi sub sole, inserendo l’educazione salesiana nella corrente
della pedagogia cattolica. Auffray riporta le citazioni da san Benedetto,
sant’Anselmo, san Francesco di Sales, di Fénelon, Newman, Doupanloup.
Inoltre sono inseriti diversi brani da L’Enfant et la Vie di Henri Brémond,
il quale fa applicazioni educative partendo da episodi biblici e, infine, il vo-
lume è concluso con i consigli del generale de Castelnau ai giovani soldati
(che però non furono inseriti nell’edizione italiana).
Oltre la diversità di stile e di clima culturale, nelle menzionate pubbli-
cazioni emergono alcune accentuazioni linguistiche legate alle problema-
tiche di traduzione. Per esempio il concetto di amorevolezza viene reso da
Auffray con l’espressione “tenerezza cristiana”,209 mentre da Scaloni con
il semplice termine “bontà”, che è dolce e paterna ma anche persuasiva.210
209 Cfr. Ibid., 18.
210 Cfr. Scaloni, Le jeune éducateur chrétien, 166-168.

14.4 Page 134

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 133
2.4. Strumenti e risorse
2.4.1. Tabella cronologica
storia mondiale
5.Congresso dell'Internazionale socialista 1900
leggi anticongregazioniste in Francia 1901
legge Carcano sul lavoro minorile 1902
Pio X eletto papa 1903
1904
Costituzione in Russia 1905
1906
enciclica antimodernista Pascendi 1907
terremoto di Messina-Reggio 1908
Jack London scrive Martin Eden 1909
annessione della Corea al Giappone 1910
1911
Gentile, Sommario di pedagogia 1912
1913
Benedetto XV eletto papa 1914
Italia entra nella prima guerra mondiale 1915
1916
rivoluzione comunista in Russia 1917
termina la prima guerra mondiale 1918
epidemia dell'influenza spagnola 1919
USA, diritto di voto alle donne 1920
1921
Pio XI eletto papa; Mussolini sale al governo 1922
riforma scolastica di Gentile (Italia) 1923
1924
Dewey, Esperienza e natura 1925
fallisce lo sciopero generale in Gran Bretagna 1926
1927
Pio XI, Rerum Ecclesiae (missioni) 1928
Grande depressione, Conciliazione Chiesa-Italia 1929
Pio XI, Divini Illius Magistri (educazione) 1930
Azione Cattolica, unica org. giov.catt.in IT 1931
1932
storia salesiana
pubblicazioni di pedagogia salesiana
Congregazione consacrata al Sacro Cuore; Bertello, Educazione e formazione professionale
divieto confessione direttori; tirocinio triennale per i chierici
2o Congresso Oratori a Valdocco Baratta, Principii di sociologia cristiana
Programma per le scuole di artigiani, Simplicio , Gli
Capitolo generale 10 - riordinamento delle deliberazioni precedenti
oratori festivi
Rua, Lo spirito di D. Bosco
presenze in India, Cina, Africa centrale; separazione giuridica FMA-SDB
fatti di Varazze
Bertello, Alcuni avvertimenti di pedagogia
fondazione Exallievi/e
Cerruti, Una trilogia pedagogica
Paolo Albera eletto rettor maggioreCerruti, Un ricordino educativo-didattico
Primo Congresso exallievi
Albera , Sullo spirito di pietà; Programmi delle scuole
3a esposizione delle scuole prof.
professionali
Regolamenti pei Convitti FMA
giovani salesiani chiamati alle armi
Albera scrive lettere ai confratelli sui campi di battaglia
Rinaldi riunisce le prime VDB Ricaldone, Noi e la classe operaia, Scaloni , Le jeune
éducateur chrétien
monumento a don Bosco a Valdocco Albera, Don Bosco nostro modello
comincia la missione nel nordest dell'India
Filippo Rinaldi eletto rettor maggiore Regolamento degli oratori aggiornato
grandi spedizioni missionarie (nei prossimi 15 anni partono >3500 SDB)
Auffray, Une méthode d’éducation
inizia la missione in Giappone Cimatti, Don Bosco educatore
50o dei cooperatori - congresso a Torino
Convegno dei direttori degli oratori Rinaldi, Convegno oratori d’Europa; Fascie, Del metodo
educativo di Don Bosco
beatificazione di don Bosco, Caviglia Ceria, Don Bosco con Dio
comincia la serie Scritti di DB... Rinaldi, Motivi di apostolato e di perfezionamento
Rinaldi, Conserviamo e pratichiamo le nostre tradizioni
Pietro Ricaldone eletto rettor maggiore

14.5 Page 135

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134 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
2.4.2. Bibliografia selezionata
Albera P., L’XI Capitolo Generale - Elezione del nuovo Rettor Maggiore - In udien-
za dal Papa Pio X - Programma da lui tracciato - Notizie varie. Lettera del 25
gennaio 1911, in Lettere circolari di D. Paolo Albera, 7-21.
Albera P., Sullo spirito di pietà. Lettera del 15 maggio 1911, in Lettere circolari di
D. Paolo Albera, 24-40.
Albera P., Sulla disciplina religiosa. Lettera del 25 dicembre 1911, in Lettere circo-
lari di D. Paolo Albera, 53-77.
Albera P., Contro una riprovevole “legalità”. Lettera del 25 giugno 1917, in Lettere
circolari di D. Paolo Albera, 231-241.
Albera P., Per l’inaugurazione del Monumento al Venerabile D. Bosco. Lettera del
6 aprile 1920, in Lettere circolari di D. Paolo Albera, 308-318.
Albera P., Don Bosco nostro modello nell’acquisto della perfezione religiosa, nell’e-
ducare e santificare la gioventù, nel trattare col prossimo e nel far del bene a
tutti. Lettera del 18 ottobre 1920, in Lettere circolari di D. Paolo Albera, 329-350.
Albera P. - Gusmano C., Lettere a don Giulio Barberis durante la loro visita alle
case d’America (1900-1903), Introduzione, testo critico e note a cura di Brenno
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Boenzi J., Reconstructing don Albera’s reading list, in «Ricerche Storiche Salesiane»
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Bordignon B., I salesiani come religiosi-educatori. Figure e ruoli all’interno della
casa salesiana, in «Ricerche Storiche Salesiane» 31 (2012) 58, 65-121.
Bottasso J., Los salesianos y la educación de los Shuar 1893-1920. Mirando más
allá de los fracasos y los éxitos, in González et al. (eds.), L’educazione salesiana
dal 1880 al 1922, vol. 2, 237-249.
Braido P., L’oratorio salesiano in Italia, “luogo” propizio alla catechesi nella sta-
gione dei Congressi (1888-1915), in «Ricerche Storiche Salesiane» 24 (2005) 46,
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Braido P., L’oratorio salesiano vivo in un decennio drammatico (1913-1922), in «Ri-
cerche Storiche Salesiane» 24 (2005) 47, 211-267.
Braido P., L’oratorio salesiano in Italia e la catechesi in un contesto socio-politico
inedito (1922-1943), in «Ricerche Storiche Salesiane» 25 (2006) 48, 7-100.
Braido, P., Per una storia dell’educazione giovanile nell’oratorio dell’Italia contem-
poranea. L’esperienza salesiana, LAS, Roma 2018.
Caimi L., Il contributo educativo degli oratori e dell’associazionismo giovanile

14.6 Page 136

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 135
dall’Unità nazionale alla prima guerra mondiale, in L. Pazzaglia (ed.), Cattolici,
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Giacone A., Trentacinque anni fra le tribù del Rio Uapés. Diari e Memorie 1, LAS,
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Giraudo, A., Linee portanti dell’animazione spirituale della Congregazione sale-
siana da parte della direzione generale tra 1880 e 1921, in ­«Ricerche Storiche
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González J.G. - Loparco G. - Motto F. - Zimniak S. (eds.), L’educazione salesiana
dal 1880 al 1922. Istanze ed attuazioni in diversi contesti. Atti del 4° Convegno

14.7 Page 137

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136 2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna
Internazionale di Storia dell’Opera salesiana Ciudad de México, 12-18 febbraio
2006, 2 vols., LAS, Roma 2007.
I Congressi delle Compagnie religiose, in «Bollettino Salesiano» 55 (1931) 8, 230-232.
Istituto Storico Salesiano - Centro Studi Figlie di Maria Ausiliatrice (eds.), Svi-
luppo del carisma di Don Bosco fino alla metà del secolo XX. Atti del Congresso
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Roma 19-23 novembre 2014 a cura di Aldo Giraudo et al., 2 vols., LAS, Roma 2016.
J. Borrego, La Patagonia e le terre australi del continente americano [pel] sac.
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Kapplikunnel M., Their life for youth. History and Relevance of the Early Salesian
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gresso di tali istituzioni tenutosi in Torino i giorni 21 e 22 maggio 1902, Scuola
Tipografica Salesiana, S. Benigno Canavese 1903.
Mazzarello M.L., Sulle frontiere dell’educazione. Maddalena Morano in Sicilia
(1881-1908), LAS, Roma 1995.
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una experiencia juvenil salesiana argentina, in González et al. (eds.), L’educa-
zione salesiana dal 1880 al 1922., vol. 2, 27-50.
Nicoletti M.A., La polémica en torno a la educación salesiana y la educación esta-
tal en la Patagonia (1880-1920), in González et al. (eds.), L’educazione salesiana
dal 1880 al 1922, vol. 2, 51-72.
Ortega Torres J.J., La Obra salesiana en los lazaretos, Escuelas Gráficas Salesia-
nas, Bogotá 1938.
Pericoli P., Il 1° Convegno Sportivo Cattolico Italiano, in «Bollettino Salesiano» 29
(1905) 11, 326-328.
Prellezo J.M., Studio e riflessione pedagogica nella Congregazione Salesiana 1874-
1941. Note per la storia, in «Ricerche Storiche Salesiane» 7 (1988) 12, 35-88.
Prellezo, J.M., Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922.
Approccio ai documenti, in «Ricerche Storiche Salesiane» 23 (2004) 44, 99-162.
Rinaldi F., Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 3 (1922) 14, 3-8.
Rinaldi F., Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 3 (1923) 20, 93-108.
Rinaldi F., Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 5 (1924) 23, 174-203.
Rinaldi F., Giubilei d’oro della Pia Unione dei Cooperatori Salesiani e della Pia
Opera di Maria Ausiliatrice, in ACS 7 (1927) 33, 428-433.
Rinaldi F., Resoconto del convegno tenutosi dai Direttori degli Oratori festivi d’Eu-

14.8 Page 138

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2. Pedagogia pratico-osmotica capace di adattarsi alla società moderna 137
ropa a Valsalice dal 27 al 30 agosto 1927, in ACS 8 (1927) 41, 609-611.
Rinaldi F., Pel XIII Capitolo Generale, in ACS 10 (1929) 47, 709-718.
Rinaldi F., Motivi di apostolato e di perfezionamento per il 1931, in ACS 11 (1930)
55, 913-924.
Rinaldi F., Norme e programma per le Giornate e i Congressi delle Compagnie Re-
ligiose, che avranno luogo nelle Case e Ispettorie Salesiane durante l’anno 1931,
in ACS 11 (1930) 55bis, 2-4.
Rinaldi F., Conserviamo e pratichiamo le nostre tradizioni, in ACS 12 (1931) 56,
933-949.
Scaloni F., Le jeune éducateur chrétien. Manuel pédagogique selon la pensée du
Ven. don Bosco, Société Industrielle d’Arts et Métiers, Liège 1917.
Simplicio D., Gli oratori festivi. Lettera aperta agli amanti della gioventù, in «Bol-
lettino Salesiano» 27 (1903) 1, 12-13.
Simplicio D., Gli oratori festivi. Lettera aperta agli amanti della gioventù, in «Bol-
lettino Salesiano» 27 (1903) 12, 355-356.
Tassani G., L’oratorio, in M. Isnenghi (ed.), I luoghi della memoria. Simboli e miti
dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari 1996, 67-91.
Temi trattati nel XIII Capitolo Generale, in ACS 10 (1929) 50, 805-823.
Uffizio sotto-agenzia per gl’interessi giovanili economico-sociali, in «Bollettino Sa-
lesiano» 33 (1909) 12, 365-366.
Valentini E., Don Rinaldi. Maestro di pedagogia e di spiritualità salesiana, Crocet-
ta - Istituto Internazionale D. Bosco, Torino 1959.
Verhulst M., L’éducation des Salésiens au Congo Belge de 1912 a 1925. 13 ans de
recherche et d’expérimentation, in González et al. (eds.), L’educazione salesiana
dal 1880 al 1922, vol. 1, 447-466.
Zimniak S., Salesiani nella Mitteleuropa. Preistoria e storia della provincia Austro-
Ungarica della Società di S. Francesco di Sales (1868 ca.-1919), LAS, Roma 1997.
2.4.3. Risorse online
Fonti, documenti, ricerche, pubblicazioni full-text, materiali fotografici,
legati a questo capitolo.211
211 Cfr. salesian.online/pedagogia2

14.9 Page 139

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14.10 Page 140

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3. FEDELTÀ DISCIPLINATA A DON BOSCO SANTO
IN TEMPI DI AVVERSITÀ
(1929-1951)
Diversi elementi esterni e interni contribuirono all’evoluzione della
mentalità salesiana nel periodo iniziato idealmente nel 1929 con la beatifi-
cazione di don Bosco. Oltre all’entusiasmo per l’evento, entrarono in gioco
nuovi fattori. In quell’anno si stipulò il concordato tra Italia e Santa Sede
che concludeva la “questione romana”, mentre il governo fascista progre-
diva nella logica dell’espansionismo militare e nell’omologazione statale
dell’educazione attorno all’idea di una “gioventù nuova”. Se nel periodo
precedente nella mentalità dei superiori sembrava prevalere la preoccupa-
zione di un adeguamento nelle questioni pratiche, come l’associazionismo
salesiano o lo sviluppo delle missioni, durante il rettorato di don Pietro
Ricaldone invece diventò centrale la preoccupazione di salvaguardare le
opere salesiane in Italia dall’eccessiva intromissione del regime fascista,
ormai consolidato e sempre più totalitario.1 Si dovette pagare il prezzo
di limitare la propria azione educativa al campo religioso e catechistico,
abbandonando la marcata accentuazione sociale dei tre decenni precedenti
e contribuendo a creare una mentalità più chiusa e difensiva.
Non furono “tempi di avversità” soltanto per l’Italia. Le prime esperien-
ze “difficili” iniziarono con le persecuzioni laiciste di inizio Novecento in
Ecuador, Francia, Messico e nella Spagna della seconda repubblica. Poi
seguirono gli anni dei conflitti armati (le due guerre mondiali, la guerra
civile spagnola), del confronto con governi totalitari di stampo diverso in
Italia, Germania e Cina e della convivenza con regimi autoritari.2 L’Eu-
ropa centrale in quel periodo passava dalla politica autoritaria degli anni
1 La primogenitura del termine è attribuita a Giovanni Amendola, il quale lo usò
riferendosi al fascismo italiano a partire dal 1923 sulle pagine de “Il Mondo”.
2 Cfr. S. Zimniak - G. Loparco (eds.), L’educazione salesiana in Europa negli anni
difficili del XX secolo. Atti del Seminario Europeo di Storia dell’Opera salesiana Craco-
via, 31 ottobre - 4 novembre 2007, LAS, Roma 2008.

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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140 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
’30 ai totalitarismi di diverso stampo degli anni ’40, influenzando la storia
della regione fino ai giorni nostri. Nel 1951, al termine del suo rettorato don
Pietro Ricaldone ricordava il prezzo pagato dalla Congregazione salesiana
con 1900 confratelli “travolti dalla bufera”: deportati, esiliati, incarcerati o
rinchiusi in campo di concentramento.3
3.1. Il collegio salesiano, “l’isola che previene” gli influssi dei tempi
difficili
La mentalità creatasi nei “tempi difficili” mostra molteplici sfaccettature
culturali, pedagogiche, educative e organizzative. Il confronto con una forza
avversa si giocava generalmente con una combinazione di opposizione, com-
promessi e accordi espliciti o impliciti.4 Quando l’interazione con l’avversità
e con le modalità operative avviene per un periodo di tempo prolungato ed
è interiorizzata possiamo parlare già di un cambio di mentalità. Gli equilibri
creatisi durante il periodo di don Rinaldi nella linea di una sana modernità,
di una pedagogia esperienziale, paterna, osmotica e narrativa sembrano non
bastare e Pietro Ricaldone opta, già dalla sua prima lettera,5 per linee di
governo più decise, motivate, concrete e militanti. Un progetto esemplare in
questo senso è lo svolgimento della “crociata catechistica” lanciata nei tempi
della Seconda guerra mondiale in occasione del centenario del primo orato-
rio salesiano. Prima, però, di analizzare la mentalità salesiana, è opportuno
riportare alcune caratteristiche dei regimi totalitari nel campo educativo-
pedagogico e delle reazioni generali a livello ecclesiastico.
3.1.1. Regimi autoritari e totalitari che educano un “uomo nuovo”
Le conseguenze della Prima guerra mondiale diedero un primo for-
te colpo alla credibilità politica della democrazia liberale occidentale. In
3 Cfr. P. Ricaldone, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 30 (1950) 161, 10 e Id.,
Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 31 (1951) 165, 5-6.
4 Alcuni casi storici più radicali non rientrano nello schema proposto in quanto la
persecuzione feroce non ha permesso nessuna coesistenza e la presenza dei salesiani
è venuta meno (Unione Sovietica e Cina). Cfr. Zimniak - Loparco (eds.), L’educazione
salesiana in Europa negli anni difficili e M. Wirth, Da Don Bosco ai nostri giorni. Tra
storia e nuove sfide (1815-2000), LAS, Roma 2000, 283-296, 381-393.
5 Cfr. P. Ricaldone, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 13 (1932) 58, 2-5.

15.2 Page 142

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 141
aggiunta, la grande depressione economica cominciata nel 1929 e la suc-
cessiva lenta ripresa del mercato alimentavano i dubbi sull’efficienza del
modello economico in atto. Se si aggiunge a queste situazioni il senso di
schiacciamento e di anonimità all’interno della società di massa, è com-
prensibile il fascino esercitato da modelli autoritari di governo. Le classi
popolari si piegarono di malavoglia ai regimi autoritari e totalitari, ma il
ceto medio della società aderì all’autoritarismo molto più volentieri. Ai
giovani in cerca d’avventura, agli intellettuali bisognosi di certezze, ai pic-
coli borghesi delusi dalla democrazia e dall’economia del libero mercato,
il regime autoritario sembrava una prospettiva nuova ed emozionante. L’i-
dentità del regime si ispirò o a un passato glorioso (l’Impero Romano, la
Germania degli Ottoni sotto una prospettiva mitico-niebelunghiana) o a
un futuro ideale (società comunistica egalitaria). Generalmente fu trovato
un nemico pubblico che servisse come giustificazione e valvola di sfogo
dell’aggressività, si sfruttarono efficacemente le tecniche e gli strumenti
della società di massa, quali i nuovi mezzi di comunicazione sociale (radio,
cinema) e l’associazionismo, soprattutto quello giovanile.6 Va inoltre anco-
ra precisato che mentre nel fascismo si registra almeno un rispetto formale
per la religione e le sue manifestazioni, nel nazismo l’impianto è ricondu-
cibile a forme di religiosità neopagana, mentre nel comunismo l’ideologia
è esplicitamente atea e materialistica.
L’affermazione dei totalitarismi in Russia, Italia, Germania e più tar-
di nell’Europa centrale ebbe conseguenze forti nel campo delle politiche
scolastiche e giovanili. Tanto i totalitarismi di destra quanto quelli di si-
nistra ambirono a creare l’“uomo nuovo”, presupposto e conseguenza di
un “ordine nuovo” sociale e politico. L’ideologia di fondo fu ovviamente
diversa: il vitalismo naturalistico e nazionalistico da un lato, il comunismo
materialistico dall’altro, ma le modalità operative e pratiche furono simili e
riconducibili allo schema del totalitarismo.7 Gianni Oliva, sintetizzando le
ricerche di Hannah Arendt, Raymond Aron e Zbigniew Brzezinski, elen-
ca le caratteristiche comuni di uno stato totalitario: 1. concentrazione del
potere in capo ad un’oligarchia inamovibile e politicamente irresponsabile;
2. imposizione di una ideologia ufficiale; 3. presenza di un partito unico
6 Cfr. G. Sabatucci - V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Laterza,
Roma-Bari 2005, 347-360.
7 Anche se le ideologie adottate erano diverse, i meccanismi, i processi e le strutture
del potere erano molto simili. Il segno più eloquente è la vicendevole ispirazione tra i
leaders totalitari. Cfr. P. Johnson, Modern Times. The World from the Twenties to the
Nineties, Harper Collins, New York 1991, 49-103.

15.3 Page 143

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142 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
di massa; 4. controllo delle forze di polizia operanti nello Stato e uso del
terrore; 5. controllo della comunicazione e dell’informazione.8
Dal punto di vista dell’educazione salesiana, la maggiore differenza dei
regimi totalitari consiste nel grado di totalizzazione da essi attuato e nel
loro tipo di relazione con le istituzioni ecclesiastiche, non tanto nella ti-
pologia di ideologia adottata. In questo senso l’influenza maggiore fu de-
terminata dalla convivenza con il regime mussoliniano, sia per le questio-
ni legate alla conciliazione con la Santa Sede, che per l’ovvia “italianità”
della Congregazione delle prime generazioni. L’educazione della gioventù
era un’area di frizione naturale tra la Chiesa e i regimi totalitari, infatti
nell’ideologia fascista risalta l’interesse per l’educazione di una “gioventù
nuova” da plasmare non solo grazie alla scuola, orientata in funzione dello
Stato totalitario, ma da inquadrare anche nelle organizzazioni giovanili
con proposte formative del tempo libero. L’ideale dell’educazione fascista
era un giovane pieno di energie, di qualità morali eroiche in prospettiva di
un futuro nazionale radioso. Lo “spirito nuovo” risiedeva «nella passione
per l’azione, nel senso mistico del dovere, nella dedizione alla causa fino
al supremo sacrificio, nel culto della potenza, nell’illimitata fiducia nella
possibilità dell’uomo di imprimere una traccia indelebile nella storia».9
Già nel 1923 il ministro della pubblica istruzione del governo Mussoli-
ni, Giovanni Gentile, introdusse una riforma del sistema scolastico. L’edu-
cazione venne assoggettata allo Stato e s’ispirava all’idealismo italiano e
all’identificazione di continuità tra lo Stato mussoliniano e la storia antica
di Roma. Il percorso formativo comprendeva quasi esclusivamente ma-
terie umanistiche, mentre le scienze naturali erano classificate come inu-
tili. Furono mantenute le scuole private ma soggette a rigidi controlli. In
conformità con il Concordato tra l’Italia e lo Stato Vaticano nel percorso
delle scuole elementari si inseriva anche un’ora di religione come materia
obbligatoria. Nelle scuole medie gli insegnanti avevano libertà nella scelta
dei manuali, che dovevano comunque essere fedeli ai principi del regime.
Le scuole e le università erano sottoposte al controllo delle organizzazioni
studentesche fasciste che vigilavano sulla lealtà politica degli insegnanti.
L’educazione s’integrava con l’azione delle organizzazioni giovanili fa-
8 Cfr. G. Oliva, Le tre Italie del 1943, Mondadori, Milano 2004.
9 L. La Rovere, Rifare gli italiani: l’esperimento di creazione dell’“uomo nuovo” nel
regime fascista, in Istituto Storico Salesiano - Centro Studi Figlie di Maria Ausilia-
trice, Sviluppo del carisma di Don Bosco fino alla metà del secolo XX. Atti del Congres-
so Internazionale di Storia Salesiana Roma, 19-23 novembre 2014 a cura di A. Giraudo
et al., vol. 1: Relazioni, LAS, Roma, 2016, 169.

15.4 Page 144

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 143
sciste, soprattutto con l’Opera Nazionale Balilla. Il raggio d’azione delle
altre organizzazioni venne diminuito drasticamente o addirittura annullato
col loro scioglimento. Unica organizzazione giovanile cattolica a soprav-
vivere dal 1931 in poi fu l’Azione Cattolica, anche se a costo di rinunciare
all’impegno politico, sociale, sindacale e svolgendo solo attività di forma-
zione religiosa e spirituale.10
3.1.2. Missione educativa della Chiesa e gli effetti della “Divini Illius Ma-
gistri”
La Chiesa reagì alle pressioni totalizzanti dello Stato anche con inter-
venti magisteriali. Una pietra miliare nel campo educativo fu l’enciclica
Divini Illius Magistri di Pio XI pubblicata nel 1929 che si inserì in linea
di continuità con l’insegnamento dei predecessori. Già nella Rerum Nova-
rum Leone XIII incitava alla costruzione di un sistema scolastico cattolico
come risposta alla secolarizzazione della scuola pubblica. Papa Benedetto
XV nella lettera apostolica Communes litteras e nel Codice di diritto cano-
nico definì le norme dell’educazione religiosa e dell’istruzione dei bambini,
indicò i diritti fondamentali e i doveri della Chiesa e della famiglia nell’e-
ducazione cristiana, sottolineò l’importanza della catechesi nelle scuole
elementari ed esplicò il diritto della Chiesa a fondare proprie scuole di
ogni ordine e grado.
Papa Pio XI nella sua enciclica poneva un documento base per l’educa-
zione cattolica nel periodo tra le due guerre mondiali, respingendo il na-
turalismo pedagogico laico e affermando il diritto all’educazione sia della
famiglia che della Chiesa contro le tendenze accentratrici dello Stato. L’en-
ciclica fornisce un punto di partenza per le sue proposte:
Non mai come ai tempi presenti si è ragionato tanto di educazione; onde si
moltiplicano i maestri di nuove teorie pedagogiche, si escogitano, si propongono
e discutono metodi e mezzi, non solo a facilitare, ma a creare una educazione
nuova di infallibile efficacia, la quale valga a formare le nuove generazioni per
l’agognata felicità su questa terra. […] È dunque di suprema importanza non er-
rare nell’educazione, e non errare nella direzione verso il fine ultimo con il quale
tutta l’opera dell’educazione è intimamente e necessariamente connessa.11
10 Cfr. G. Chiosso, Educazione e pedagogia nel primo Novecento, in Sviluppo del
carisma di Don Bosco fino alla metà del secolo XX, vol. 1, 168-170.
11 Cfr. Pio XI, Divini Illius Magistri, in AAS 22 (1930) 49-86.

15.5 Page 145

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144 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
L’argomentazione dell’enciclica propone un impianto neotomistico con
molti riferimenti a Leone XIII, esponendo il principio che la vera educa-
zione supera l’ordine naturale ed è tutta ordinata al fine ultimo posizionato
nell’ordine della grazia: «Dopo cioè che Dio ci si è rivelato nel Figlio Suo
Unigenito, che solo è “via e verità e vita”, non può darsi adeguata e perfetta
educazione all’infuori dell’educazione cristiana».12 Nella polemica contro
il totalitarismo è interessante il riferimento di Pio XI al sistema educativo
degli Stati Uniti d’America, lodato per il rispetto del ruolo della famiglia.13
Anche se l’enciclica si esprime contro attivismo, naturalismo, liberali-
smo, militarismo, atletismo, educazione sessuale e coeducazione, non si
chiude solo nell’ordine della grazia, dei sacramenti e della catechesi. Fa-
cendo riferimento alle scuole cattoliche, all’Azione Cattolica e alle altre
associazioni, Pio XI afferma che
l’ambiente educativo della Chiesa non comprende soltanto i suoi Sacramenti,
mezzi divinamente efficaci della Grazia, e i suoi riti, tutti in modo meraviglioso
educativi, né solo il recinto materiale del tempio cristiano, pur esso mirabilmente
educativo nel linguaggio della liturgia e dell’arte; ma anche la grande copia e
varietà di scuole, associazioni ed ogni genere di istituzioni intese a formare la
gioventù alla pietà religiosa insieme con lo studio delle lettere e delle scienze, e
con la stessa ricreazione e cultura fisica.14
In seguito all’enciclica, negli anni ’30 si può notare un incremento delle
riflessioni sulla pedagogia cattolica di autori come Maritain, De Hovre e
Dévaud, mentre in Italia sono importanti soprattutto Mario Casotti dell’U-
niversità Cattolica e il gesuita Mario Barbera. Nell’impianto argomentativo
del Casotti appare anche il ruolo dell’amorevolezza e del metodo preventi-
vo di don Bosco accanto all’esaltazione della natura di san Francesco d’As-
sisi. Il ruolo centrale dei collegi degli ordini religiosi si presenta come uno
dei pilastri dell’ispirazione attivistica della tradizione educativa cattolica.15
Nella sua prospettiva non si poteva soltanto andare “contro”, occorreva
andare “avanti” e anche i salesiani non dovevano “restare indietro”. Infatti,
nello stesso anno Casotti criticò i salesiani per non aver inquadrato l’opera
di don Bosco nella storia dell’educazione e della pedagogia e per non averla
messa in relazione con i problemi della didattica contemporanea.16
12 Ibid., 51
13 Cfr. U.S. Supreme Court Decision in the Oregon School Cases, in Ibid., 61.
14 Pio XI, Divini Illius Magistri, 75-76.
15 Cfr. M. Casotti, Educazione “nuova”, in «Supplemento pedagogico a Scuola
Italiana Moderna» 43 (1933) 10, 2-5.
16 Cfr. M. Casotti, Il metodo educativo di don Bosco, in Chiosso, Educazione e

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 145
Il pedagogista dell’Università cattolica non si fermò solo alla critica.
Scrisse una corposa introduzione al Metodo Preventivo,17 inserendo don
Bosco nella storia della pedagogia. Appoggiandosi alle argomentazioni di
Förster e Lambruschini e contrapponendosi al naturalismo di Rousseau,
presenta don Bosco in linea con una pedagogia cattolica che si trova in
parziale sintonia con Locke, Kant e Fröbel.18 Casotti rilegge il santo educa-
tore soprattutto a partire dall’equilibrio tra la libertà e l’autorità attraverso
il “metodo dell’amore”. L’autore nota un errore del sistema repressivo circa
la sua visione dell’uomo e della psicologia reale e sostiene invece l’antro-
pologia cattolica di don Bosco:
Egli ricordava certo le parole si S. Tommaso nella Contra Gentes, ove è detto
che il cristianesimo stesso non si diffuse “amorum violentia”, né “voluptatum
promissione”: non colla violenza esteriore delle armi, né con quella, interna, de-
gli allettamenti, ma fu “manifestum divinae inspirationis opus”. […] Gli pareva
che la riconoscenza ispirata da quell’immenso amore di Dio per l’uomo che cul-
mina nella Croce, fosse proprio il motivo psicologico che toglieva ogni, sia pur
lontana, parvenza di costrizione arbitraria.19
Interessante è l’uso dell’espressione “pedagogia del Vangelo”,20 in quan-
to sembra che il pensiero di Casotti abbia influenzato il Don Bosco educa-
tore di Ricaldone sia nella terminologia sia nell’impostazione teorica che
propone don Bosco come un pedagogista, precursore delle scuole attive,
inserendolo in una corrente di “pedagogia cattolica” ispirata al Vangelo.
L’opera più eloquente della pedagogia salesiana è considerata l’oratorio,
che, come quello di san Filippo Neri, rappresenta il contributo geniale a
quella pedagogia, la quale non è né antica né moderna, ma è la sola pe-
dagogia razionale e ragionevole di tutti i tempi e luoghi.21 Nel paragrafo
sull’anima del metodo preventivo, Casotti afferma con Förster:
“Il cristianesimo è anche stato il più grande avvenimento pedagogico, perché
per la prima volta e nel modo più universale ha messo in rapporto ogni servizio,
ogni lavoro, ogni disciplina dell’uomo con la più intima vita della personalità, ed
ha esaltato come un mezzo per l’incremento della libertà ciò che prima non sem-
pedagogia nel primo Novecento, 167.
17 Cfr. M. Casotti, La pedagogia di S. Giovanni Bosco, in G. Bosco, Il metodo pre-
ventivo con testimonianze e altri scritti educativi inediti, La Scuola, Brescia 21938, 5-94.
18 Cfr. Ibid., 44.
19 Casotti, La pedagogia di S. Giovanni Bosco, 26-27.
20 Cfr. Ibid., 52.
21 Cfr. Ibid., 79.

15.7 Page 147

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146 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
brava che schiavitù ed oppressione”. Appunto per questo, se da un lato la peda-
gogia deve appoggiarsi in quanto è possibile, sugli “interessi” vivi dello scolaro,
dall’altra, ha il modo di far scoprire, anche nelle azioni più opprimenti e sgradite,
un valore di genialità, “interessando” il più intimo dell’anima umana per l’obbe-
dienza e pel lavoro in se stessi, presi come esercizi onde la nostra persona morale
si esalta e s’invigorisce.22
3.1.3. Compromessi ed equilibri salesiani attorno alla canonizzazione di
don Bosco
Il mondo salesiano interpretava l’enciclica educativa di Pio XI senten-
dosi il depositario di un modello educativo originale cui restare fedeli. Tale
modello tracciato da don Bosco è finalizzato alla formazione di “buoni
cristiani” e “onesti cittadini”. L’educazione alla cittadinanza veniva con-
cepita come formazione professionale di qualità in vista di un inserimento
ordinato e operoso nella società, non attraverso la partecipazione politica.
L’educazione salesiana, sia per la sua giustificazione sovrannaturale sia per
i contenuti propri del cattolicesimo, fu percepita come irriducibilmente al-
ternativa tanto alle pedagogie naturalistiche quanto agli obiettivi educativi
dell’uomo nuovo di stampo totalitario.
Nell’epoca descritta si constata un certo ritirarsi nella dimensione reli-
giosa e nella catechesi in linea con l’atteggiamento complessivo del mondo
cattolico. Le pagine del “Bollettino Salesiano” si muovevano in quella di-
rezione rincorrendo i grandi temi come la celebrazione della santità di don
Bosco, la vicinanza ai ceti popolari, lo sforzo per il rafforzamento organiz-
zativo delle opere, dei cooperatori e delle imprese missionarie. Scomparve
qualsiasi riferimento non solo politico e pre-politico, ma anche sociale.23
Nei primi anni del regime, fino al 1929, il comportamento della Congre-
gazione fu segnato da riserbo e prudenza, all’insegna dell’espressione chia-
ra dei superiori di “non lasciare che altri vengano a comandare o dirigere
in casa nostra”. I princìpi educativi tracciati da don Bosco restavano intatti
e i compromessi esteriori non inquinavano la sostanza della pedagogia sa-
lesiana. A tal fine può essere considerata indicativa di un sentire comune la
linea espressa da don Antonio Cojazzi sulla “Rivista dei giovani”24 tutta
22 Ibid., 56-57.
23 Cfr. Chiosso, Educazione e pedagogia nel primo Novecento, 169-172.
24 La “Rivista dei giovani” fu avviata nel 1920 con una chiara intenzionalità apo-
logetica da un gruppo di salesiani della casa di Valsalice: Antonio Cojazzi, Vincenzo
Cimatti, Sisto Colombo e altri.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 147
incentrata sulla formazione della fortezza cristiana, alternativa alla cele-
brazione eroico-militaresca del fascismo. Gli aspetti essenziali di questa
virtù sono da plasmare attraverso l’esercizio della volontà, la vita sacra-
mentale, l’apostolato, la sensibilità verso le missioni e la purezza. La rivista
si muoveva, dunque, lontano dalla celebrazione dell’eroismo militare e pro-
poneva invece itinerari concreti attraverso i circoli giovanili, i gruppi del
Vangelo e anche la fortunata biografia dell’esemplare Pier Giorgio Frassati,
scomparso nel 1925, allievo di Cojazzi.25
Dopo il 1929, pieno di eventi di fondamentale importanza (l’11 feb-
braio la Conciliazione tra Stato e Chiesa, il 2 giugno la beatificazione di
don Bosco e nell’ultimo giorno dell’anno la promulgazione dell’enciclica
Divini Illius Magistri), si assistette sia ai tentativi del fascismo di fare di
don Bosco «un Santo italiano […] ed il più italiano dei Santi»,26 sia alla
partecipazione dei giovani degli oratori e dei collegi alle ricorrenze pa-
triottiche e fasciste più significative, ma anche a cedimenti veri e propri su
alcuni aspetti della politica scolastica che tornavano utili in vista del rico-
noscimento degli istituti salesiani.27 Una parziale linea di compromesso o
di conciliazione con il fascismo era seguita dalla rivista salesiana “Gym-
nasium”, soprattutto negli interventi di Gian Luigi Zuretti. Il tentativo di
“cristianizzare l’uomo nuovo fascista”28 si muoveva più nella direzione di
trovare le basi comuni delle due concezioni che in linea dialettica. In un
articolo sui fondamenti dottrinali del fascismo, Zuretti cercava di dimo-
strarne la cristianità facendo leva sul fatto che nessun’altra ideologia come
il socialismo, il comunismo e il liberalismo erano tanto rispettose della
Chiesa come il fascismo. Il punto di contatto fu trovato nella concezione
del dovere: «Il dovere, l’elevazione, la conquista: la vita dev’essere alta e
piena, vissuta per sé, soprattutto per gli altri, vicini e lontani, presenti e
futuri».29
Nell’ambito degli equilibri diplomatici e gestionali va ricordata l’allean-
za dei salesiani in Italia con il mondo imprenditoriale, specialmente tra le
25 Cfr. A. Cojazzi, Pier Giorgio Frassati. Testimonianze, SEI, Torino 1928.
26 L’espressione fu pronunciata all’interno del discorso di Cesare Maria de Vecchi in
Campidoglio nel giorno della canonizzazione di don Bosco. Cfr. Gli onori del Campido-
glio, in BS 58 (1934) 6, 185.
27 Cfr. Chiosso, Educazione e pedagogia nel primo Novecento, 170-172 e S. Oni, I
Salesiani e l’educazione dei giovani in Piemonte, durante il periodo del fascismo, in
Zimniak - Loparco (eds.), L’educazione salesiana in Europa negli anni difficili, 158-159.
28 Cfr. Il decennale della Conciliazione, in «Gymnasium» 7 (1938-9) 9, 205.
29 G.L. Zuretti, Le basi dottrinali del fascismo, in «Gymnasium» 5 (1936-7) 1, 8.

15.9 Page 149

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148 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
scuole professionali e la Fiat di Torino.30 Riassumendo le linee conclusive
dei contributi citati di Giorgio Chiosso e di Pietro Stella, si potrebbero sin-
tetizzare alcuni punti circa gli equilibri diplomatici, educativi e gestionali
dei salesiani negli anni del fascismo, estendibili in parte ad altre situazioni
di avversità.
– La strenua difesa dell’originalità del metodo educativo di don Bosco
che non viene messo in discussione anche a fronte di pressioni talora
fortissime. Nelle situazioni più compromesse si registra una sorta di
convivenza parallela che appare oggi contraddittoria, ma che costituì
presumibilmente il massimo possibile “per non perdere tutto”.
– Lo sforzo di consolidamento delle opere, non solo in Italia, attraverso
la costruzione di consensi sempre più larghi e capillari man mano che
aumentavano gli ex allievi sia nell’apparato pubblico sia in genere tra i
professionisti, gli imprenditori, gli operai nel sistema sociale ed econo-
mico di allora.
– La persistente convinzione della popolarità dell’educazione salesiana
nel duplice senso di risposta alle aspettative dei ceti popolari e delle
scelte educative privilegiate, come la centralità della formazione pro-
fessionale e gli investimenti nelle proposte oratoriane nonostante le
limitazioni imposte dai tentativi di sottoporre l’educazione giovanile
all’influenza dello Stato.
– La flessibilità giuridica e sociale con cui i salesiani e le Figlie di Maria
Ausiliatrice sapevano cimentarsi per conservare non solo i loro beni
materiali, ma per continuare a esercitare la loro missione educativa. Si
nota una tendenza a creare, e non solo in Italia, una certa saldatura con
il sistema dominante, anche se parziale, temporanea e ipotetica.31
30 Cfr. P. Stella, La canonizzazione di don Bosco tra fascismo e universalismo, in F.
Traniello (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, SEI, Torino 1987, 365-
379.
31 È da notare che in altri sistemi politici totalitari l’atteggiamento di flessibilità giu-
ridica, politica e sociale non si realizzò soprattutto per la mancanza di un atteggiamento
compatibile da parte dello Stato. Le opere furono chiuse e i salesiani continuarono in
persecuzione, in clandestinità oppure inserendosi in strutture parrocchiali. Cfr. la mag-
gioranza delle esperienze salesiane studiate in Zimniak - Loparco (eds.), L’educazione
salesiana in Europa negli anni difficili.

15.10 Page 150

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 149
3.1.4. Il collegio salesiano – istituzione educativa predominante e creatri-
ce di mentalità
L’oratorio, trovandosi in difficoltà a fare proposte di formazione sociale
e pre-politica, si limita negli anni ’30 e ’40 ad attività e programmi stretta-
mente catechistici e ricreativi. La necessità di questo passaggio fu presen-
tata da don Ricaldone nei suoi scritti come una “opportunità” di tornare
alla prima identità dell’oratorio – il catechismo. Il lancio della “Crociata
catechistica” (1941) e la fondazione dell’editrice Libreria Dottrina Cristia-
na crearono una cornice ideale di contrapposizione all’ateismo e di inve-
stimento delle risorse in base alla “necessità” della strategia catechistica,
in quanto costretti nei limiti delle contingenze. Altre dinamiche erano in
corso, invece, nel “collegio salesiano”, l’istituzione più diffusa e più adatta
ai tempi di difficoltà.
Il collegio, nell’integrazione strutturale tra scuola e internato, preve-
deva la creazione di una istituzione “completa”, definita da Braido anche
“totale”,32 che gestisce i tempi e gli spazi dei giovani interni e comporta un
alternarsi di attività scolastiche, religiose, sportivo-ricreative, associative,
artistiche, ecc. Siccome l’impostazione preventiva della struttura collegiale
patteggiava sempre con un più o meno forte atteggiamento di chiusura al
mondo esterno, il contesto del regime fascista diede solamente una spinta
di rinforzo alla tendenza già alquanto presente. Basti pensare ai numerosi
richiami dei superiori già nel primo ventennio del secolo XX circa i rap-
porti con il “mondo esterno”.
Il collegio, in quanto struttura educativa paradigmatica già dall’ultimo
ventennio della vita di don Bosco, fu portato avanti dai salesiani nella sua
formula educativa e formativa “di successo”, che prevedeva più una sua
replicazione che un miglioramento qualitativo. Anche dal punto di vista
quantitativo, possiamo notare come dal 1925 al 1955 il numero dei col-
legi in Congregazione crebbe in percentuale più lentamente rispetto ad
altre strutture educative. Il numero dei collegi convitti ebbe un incremento
dell’81%, mentre le scuole aumentarono del 138%, gli oratori del 155%
e le parrocchie del 260%. Unica categoria in diminuzione nel trentennio
menzionato furono le scuole agricole che da 27 unità nel 1925 si ridussero
a 16 nel 1955.33 La struttura interna del collegio e la sua regolamentazione
32 Cfr. P. Braido, Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, LAS,
Roma 2006, 351ss.
33 Cfr. M. Bay - F. Motto, Opere, personale e attività della Società di San Francesco

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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150 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
rimase fondamentalmente uguale al periodo precedente. Pietro Stella, nel
contesto interpretativo di crisi dei collegi del post Concilio Vaticano II,
nota i limiti della struttura collegiale:
I collegi, come è comprensibile, insieme alle garanzie di maggiore solidità,
recavano anche i rischi insiti alla stabilizzazione: quali ad esempio il ristagna-
re delle forze, il chiudersi nella cerchia collegiale, l’estinguersi di un’impellente
preoccupazione che stimolasse la creatività delle opere e dei metodi, una certa
quiescenza.34
3.1.4.1. Alcuni cambiamenti nella vita concreta dei collegi-internati
L’impostazione di una struttura educativa è influenzata prevalentemen-
te dalle caratteristiche generali, pedagogiche, legali o economiche ma non
sono da trascurare anche le “piccole tradizioni” che possono essere stu-
diate fenomenologicamente partendo dal concreto e dal quotidiano, dagli
spazi e dai tempi, dalle attività, dai tentativi di cambiamento, dalle perce-
zioni di successo e dalle problematiche pratiche ricorrenti. Senza pretesa
di esaustività, qui di seguito attingiamo solo ad alcuni episodi illustrativi
di dinamiche collegiali in atto.
Nell’organizzazione degli spazi c’era molta varietà dettata da vari fat-
tori, come la collocazione dell’istituto fuori o dentro la città o la frequente
riutilizzazione di edifici già strutturati. Se la struttura era frutto di una co-
struzione pianificata dai salesiani, generalmente si seguiva come modello
l’oratorio di Valdocco, cresciuto e sviluppato, e la casa di Nizza Monferrato
per le FMA. La modalità degli ambienti spaziosi e imponenti era motivata
dall’efficacia dell’organizzazione: la diminuzione delle spese pro-capite e
una maggiore valorizzazione dei non sempre numerosi assistenti.
In alcune case fuori Europa l’orario ispirato a quello delle case del Pie-
monte creava difficoltà per la diversità di clima e di costumi. Un episodio
emblematico fu il processo decisionale messo in atto attorno al cambia-
mento dell’orario nei primi collegi del Brasile. In alcune case si seguiva
l’orario italiano, in altre ci furono variazioni dettate dalle esigenze locali.
di Sales. Dati quantitativi descrittivi negli anni 1888, 1895, 1910, 1925, 1940, 1955, in
Sviluppo del Carisma di don Bosco fino alla metà del secolo XX, 54. NB Nella categoria
del “collegio” abbiamo sommato le seguenti categorie presenti negli Elenchi generali
della Società di San Francesco di Sales: “collegio convitto”, “orfanotrofio” e “ospizio”.
34 P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. 1: Vita e opere,
LAS, Roma 1979, 126.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 151
Don Lasagna premeva per un ritorno all’antico orario di Valdocco, ma
l’ultima parola fu lasciata ai medici delle case. Dopo un anno Lasagna
dichiarò, nella lettera al rettor maggiore, la sua convinzione di doversi ade-
guare alle usanze locali, poiché i medici chiedevano unanimemente un
cambiamento, indicando l’orario italiano come causa della maggior parte
delle malattie all’interno dei collegi. Per motivi di calore, si anticipava si-
gnificativamente l’ora di pranzo (alle 10:30) e della cena (alle 17). Inoltre
si cercava di distribuire l’orario alternando momenti di scuola, studio e
ricreazione per prevenire la stanchezza e la noia.35
Per la formazione spirituale si usavano le traduzioni de Il Giovane
provveduto di don Bosco e della Figlia cristiana, che era una versione fem-
minile del noto scritto di don Bosco.36 Le preghiere, le pratiche di pietà e
la frequenza sacramentale generalmente non subiva molte variazioni. La
messa quotidiana e le due della domenica, per tutti gli interni, era parte fis-
sa dell’orario dei collegi. L’elemento che subì più cambiamenti fu la prassi
della confessione in seguito al divieto emanato dalla Santa Sede nel 1901,
che proibiva ai direttori di confessare le persone residenti nella propria
casa. In questo contesto, le proposte inviate ai Capitoli generali osserva-
vano come il centro dell’attenzione del direttore si andava spostando dalla
paternità spirituale a questioni organizzative, disciplinari, economiche o
alla ricerca di impegni apostolici fuori della casa salesiana. I capitolari si
lamentavano della perdita del clima paterno, tipico delle case salesiane, e
denunciavano la difficoltà nei primi momenti di trovare confessori pre-
parati, tanto che in alcune case si incaricarono dei sacerdoti esterni come
confessori. Il tema fu discusso ma i Capitoli generali non presero nessuna
decisione a riguardo.37
Riassumendo i contributi dei convegni storici sul periodo studiato, la
tradizione salesiana nell’ambito delle attività culturali apparve conservata,
aggiornata e in alcune parti anche arricchita di elementi nuovi. Le manife-
35 Cfr. M. Isaú Souza Ponciano dos Santos, Luz e sombras. Internatos no Brasil, Ed.
Salesiana Dom Bosco, São Paolo 2000, 208-210 e L. Lasagna, Epistolario. Introduzione,
note e testo critico a cura di A. da Silva Ferreira, LAS, Roma 1997, vol. 2, 432-433; 483.
36 Cfr. G. Loparco, L’apporto educativo delle Figlie di Maria Ausiliatrice negli edu-
candati tra ideali e realizzazioni (1878-1922), in J.G. González et al. (eds.), L’educazione
salesiana dal 1880 al 1922. Istanze ed attuazioni in diversi contesti. Atti del 4° Con-
vegno Internazionale di Storia dell’Opera salesiana Ciudad de México, 12-18 febbraio
2006, vol. 1, LAS, Roma 2007, 176-177.
37 Cfr. J.G. Gonzáles, Aspectos de la educación salesiana a la luz de las propuestas
enviadas a los Capítulos generales (1877-1922), in González et al. (eds.), L’educazione
salesiana dal 1880 al 1922, vol. 1, 35-38.

16.3 Page 153

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152 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
stazioni principali e festive degli istituti erano accompagnate dalle bande
musicali e dal canto liturgico, il cui repertorio, dopo la riforma ceciliana,
fu arricchito dalla produzione polifonica di compositori salesiani come
Giovanni Pagella, Alessandro de Bonis e dal recupero del gregoriano pro-
mosso da don Giovanni Battista Grosso. Il teatro, presente nei programmi
e nelle accademie dei collegi, fu percepito come mezzo pedagogico eccel-
lente, sottolineandone l’influsso sull’individualità del ragazzo, sul miglio-
ramento del comportamento, sull’esercizio della memoria, ma anche come
mezzo per proporre modelli di comportamento. Tra i temi ricorrenti nei
testi teatrali prodotti in ambito salesiano si possono elencare la fede come
motivo prioritario delle scelte anche a costo di sofferenze gravi, l’obbe-
dienza ai genitori, la bontà, l’umiltà e l’impegno apostolico-missionario.
All’attività teatrale si aggiunsero in seguito le proiezioni cinematogra-
fiche già a partire dai primi anni del Novecento. Fino agli anni venti, la
questione dell’accettazione del cinema era pressoché pacifica, quando si
trattava di proiezioni con tematiche catechetiche fatte qualche volta all’an-
no. Le difficoltà e i giudizi negativi ruotavano attorno al genere di film più
leggeri, in quanto alcuni critici ipotizzavano che il cinema fosse la causa di
perturbazioni alla vista, violenti dolori di testa ed un eccitamento nervoso
soprattutto in quelli che erano spettatori assidui. A partire dagli anni ’30
si accentuarono le interpretazioni problematizzanti del cinema, visto come
strumento di corruzione morale. I regolamenti delle case o dei Capitoli
ispettoriali stabilirono regole per il suo uso (il genere dei film, la frequenza
delle proiezioni, la responsabilità di censura) e non mancarono anche casi
di un divieto assoluto in alcuni periodi storici e in alcune ispettorie.
Le attività ricreative tradizionali si mantennero, ma dall’inizio del
Novecento entrarono nei cortili salesiani la ginnastica e lo sport organiz-
zato. Pur tra non poche reticenze in alcuni luoghi si aggiunsero attività
nuove: atletica, pattinaggio, nuoto, tennis, pallavolo, basket, ping-pong,
ciclismo, ma anche giochi da tavola e, quasi come una categoria a parte,
il calcio. L’introduzione del calcio è una questione emblematica in quanto
la sua accettazione venne ampiamente discussa e non in tutti i contesti il
pensiero fu univoco. Alcuni superiori nutrivano diffidenza verso questo
sport, perché impediva i giochi di massa tradizionali richiedendo un am-
pio spazio per un ristretto numero di giocatori e obbligando gran parte
degli altri giovani all’assistenza passiva. In più si aggiungevano motiva-
zioni legate ai “pericoli morali” che esso comportava nelle partite, por-
tando a un contatto fisico con gli avversari esterni. Un ulteriore problema
era costituito dall’abbigliamento poco decoroso per il calcio. Perciò dove

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 153
si permetteva il gioco, i chierici lo giocavano in talare e i ragazzi con
pantaloni e maniche lunghe.
A partire dagli anni ’30, l’insistenza sulla formazione del personale e
sulla catechesi andò di pari passo con la diffidenza verso alcuni “diverti-
menti”, soprattutto il cinema e il calcio. In alcune ispettorie non manca-
vano le proibizioni delle partite con la motivazione che «il calcio rovina i
chierici ed è ancora peggiore del cinema».38 Tuttavia, al di là della prospet-
tiva morale, il passaggio dai “giochi salesiani tradizionali” agli sport con-
tribuì alla regolamentazione della ricreazione, in quanto ogni sport ha un
bisogno intrinseco di disciplina, di regole fisse, di una logica competitiva e
un programma prestabilito di partite.
Nel periodo studiato, la ginnastica e lo scoutismo costituirono un’al-
ternativa allo sport di squadra. Si offriva il beneficio delle attività motorie
all’interno dell’ambiente chiuso del collegio o nelle escursioni in squadri-
glie scoutistiche. L’aspetto problematico di queste due tipologie ricreative
stava nel loro rapporto con l’impostazione “disciplinare” collegiale che,
insieme alla sensibilità dell’epoca per l’organizzazione delle masse, neutra-
lizzava la sana disorganizzazione della tradizionale ricreazione salesiana.
La ginnastica era spesso obbligatoria e collegata con il rito delle sfilate in
divisa, che in alcuni luoghi aveva una valenza disciplinare e serviva come
mezzo alla preparazione militare dei giovani. Per esempio le sfilate dei
ragazzi nell’Italia mussoliniana erano espressione formale, richiesta dal
regime, di adesione alle attività dei Balilla,39 mentre in altri contesti la fun-
zione di educazione militare fu associata a momenti di promozione degli
istituti salesiani. Esempio concreto è il successo in Argentina degli Explo-
radores de don Bosco, che crearono diversi collegamenti con le istituzioni
militari. I primi exallievi degli Esploratori furono aspiranti al reclutamento
nell’armata e nelle forze di sicurezza; successivamente gli Esploratori ven-
nero considerati dalle autorità argentine come “soldati istruiti” dispensati
parzialmente o totalmente dall’obbligo del servizio militare.40
Il programma delle compagnie salesiane prevedeva invece una confe-
renza settimanale, alcune attività proprie (animazione liturgica, promozio-
ne della vita spirituale e disciplinare ecc.) e iniziative speciali come l’im-
38 Isaú, Luz e sombras. Internatos no Brasil, 384.
39 Cfr. Oni, I Salesiani e l’educazione dei giovani in Piemonte durante il periodo del
fascismo, 158-159.
40 Cfr. S. Negrotti, Los exploradores argentinos de don Bosco: orígenes y pedagogía
de una experiencia juvenil salesiana argentina, in González et al. (eds.), L’educazione
salesiana dal 1880 al 1922, vol. 2, 41-43.

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154 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
matricolazione dei nuovi soci, la festa del patrono e le gite. Le compagnie
avevano uno stendardo, un proprio statuto e un presidente che aiutava il
catechista nell’animazione. Essere membro di una compagnia era consi-
derato un onore, simbolizzato in alcuni istituti da un segno distintivo che
costituiva un mezzo di animazione della disciplina e della condotta.
In sintesi si può affermare che rispetto ai tempi di don Bosco il centro
delle attività ricreative e associative si era spostato lentamente, senza cam-
biamenti radicali. Dall’interpretazione della ricreazione come tempo per la
spontaneità, la personalizzazione dell’educazione, la conoscenza reciproca
e la liberazione delle energie fisiche, i salesiani passarono ad una conce-
zione più organizzata e regolamentata di essa. La ricreazione aveva un
luogo fisso con attività programmate, secondo il concetto di un’educazione
integrale del ragazzo all’interno del collegio.
3.1.4.2. Conseguenze dei cambiamenti – disciplina più militare che fami-
liare
Il problema della disciplina e dei castighi faceva parte della mentalità
collegiale già dagli inizi delle istituzioni educative salesiane. Il pericolo
della sostituzione dell’assistenza educativa assidua e familiare con un si-
stema di controllo più facile per l’assistente era già stata segnalata nel Trat-
tatello di don Bosco. Le due lettere da Roma (1884) indicano i cammini da
percorrere, richiamando l’esperienza oratoriana genuina. Nel 1885, in una
lettera a Giacomo Costamagna, don Bosco, riferendosi al processo dell’in-
culturazione del sistema preventivo negli istituti dell’Argentina con l’intro-
duzione di metodi più “forti”, scriveva: «Non mai castighi penali; non mai
parole umilianti, non rimproveri severi in presenza altrui. Ma nelle classi
suoni la parola dolcezza, carità e pazienza»,41. Ancora nel 1910 l’ispettore
di Buenos Aires don Vespignani annotava: «Riguardo a diminuire i casti-
ghi s’insiste continuamente: si è ottenuto molto; ma manca ancora per parte
di certi confratelli l’idea chiara e pratica del nostro sistema» e aggiungeva:
«I consiglieri scolastici ed assistenti hanno troppe esigenze».42 Anche don
Rua e don Cerruti si esprimevano in questa linea. Don Rua insistette più
41 G. Bosco, Lettera a don Giacomo Costamagna (10 agosto 1885), in Fonti Salesiane,
454.
42 J.M. Prellezo, Le scuole professionali salesiane (1880-1922). Istanze e attuazioni
viste da Valdocco, in González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922,
vol. 1, 78.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 155
volte sul bandire i castighi violenti, troppo lunghi, penosi ed umilianti.43
Don Cerruti approfondì il concetto di disciplina nella circolare nel 1908:
Osserva che senza ordine e regolarità non vi può essere disciplina, e senza
disciplina non si dà moralità. Ma osserva pure che la disciplina educativa non è
la disciplina militare, e che ordine e regolarità non sono sinonimi di militarizza-
zione. Si stia dunque dappertutto a quanto insegnò don Bosco, e con lui i migliori
pedagogisti, eliminando eccessi e travisamenti. A ciò gioverà efficacemente la
lettura e spiegazione un po’ più frequente de’ punti del Regolamento delle Case
concernenti il sistema preventivo nell’educazione e l’ufficio del maestro e dell’as-
sistente.44
Don Cerruti, già anziano, invitava quindi a “tener lontana come peste” la
convinzione secondo la quale «il contatto continuo, costante co’ giovani fa
perdere l’autorità; che i preti soprattutto dovrebbero per la loro dignità sacer-
dotale esimersi dall’assistenza. No, cari confratelli, non è questo il sistema
preventivo; non è così che insegnò don Bosco».45 Nonostante le esortazioni
e le argomentazioni dei vertici della Congregazione, molte delle relazioni
redatte a conclusione delle visite negli istituti confermano il problema della
scarsa assistenza e dell’eccessivo uso dei castighi anche corporali.46
Un rafforzamento della logica disciplinare si verificò negli anni della
Prima guerra mondiale, che vide coinvolti circa la metà dei confratelli. Le
esperienze forti della guerra e del sistema militare spostarono l’accento
dell’educazione verso una disciplina più militare che familiare.47 Altro ele-
mento d’influsso furono le esigenze del sistema scolastico di alcuni Stati
che imponeva l’introduzione dell’educazione civica e militare, diffondendo
così elementi di logica repressiva all’interno dei collegi.
43 Cfr. Lettere Circolari di don Michele Rua ai salesiani, Direzione generale delle
opere salesiane, Torino 1965, 43-44, 120, 327-329, 393 e 399.
44 F. Cerruti, Lettera agli ispettori e ai direttori (24 novembre 1908), in F. Cerruti,
Lettere circolari e programmi di Insegnamento (1885-1917). Introduzione, testi critici e
note a cura di José Manuel Prellezo, LAS, Roma 2006, 309.
45 F. Cerruti, Un ricordino educativo-didattico, SAID Buona Stampa, Torino 1910,
35.
46 Cfr. Prellezo, Le scuole professionali salesiane, in González et al. (eds.), L’educa-
zione salesiana dal 1880 al 1922, vol. 1, 76-80; W.J. Dickson, Prevention or repression,
in Ibid., vol. 1, 213-236; F. Casella, Il contesto storico-socio-pedagogico e l’educazione
salesiana nel Mezzogiorno d’Italia tra richieste e attuazioni (1880-1922), in Ibid., vol.
1, 310-313; M.G. Vanzini, El sistema preventivo en los internados de Viedma y Rawson
(Patagonia Argentina), in Ibid., vol. 2, 90.
47 Cfr. J.M. Prellezo, Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-
1922. Approccio ai documenti, in «Ricerche Storiche Salesiane» 23 (2004) 44, 149-150.

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156 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
L’epoca del rettorato di Pietro Ricaldone, che approfondiremo più avan-
ti, diventò iconica per le questioni legate alla disciplina e all’uniformità
delle interpretazioni sul sistema preventivo. Le fonti rimanevano ovvia-
mente le stesse, e il rettor maggiore citava i pronunciamenti di don Bosco
e dei suoi successori in materia di castighi. Quello che mancava era piutto-
sto una linea principale di governo che potesse equilibrare le tendenze di
un’epoca di contrasti, chiusure, lotte e fiducia nel centralismo uniformante,
come fu la linea della pietà propugnata da don Albera o il paradigma del-
la paternità combinata con la mentalità dell’adattamento creativo presente
nel magistero di don Rinaldi. La disciplina, la fedeltà e l’uniformità sono
tematiche che si trovano negli ingranaggi centrali delle argomentazioni di
don Ricaldone che pubblica una sorprendente quantità di testi contenenti
decisioni, regole e programmi su tutti gli ambiti della vita salesiana.
3.2. Linee del rettor maggior Pietro Ricaldone – fedeltà, catechesi e
studio
Don Pietro Ricaldone diventò successore di don Bosco nel 1932, dopo
una lunga esperienza nel Consiglio generale, che aveva comportato gli in-
carichi di consigliere professionale già dal 1911 e di vicario di don Rinaldi,
lasciando un’impronta forte in tanti ambiti della Congregazione. Era un
uomo di governo che dovette affrontare situazioni concrete legate alla cre-
scita della Congregazione e alle avversità causate dai regimi autoritari e
dalla devastante guerra mondiale.
Alcuni tratti del suo stile di governo sono riconoscibili già nel suo ser-
vizio come ispettore nel sud della Spagna all’inizio del XX secolo. Nell’or-
ganizzazione delle scuole popolari spiccava in lui una chiarezza di idee
connessa con la forte capacità organizzativa e l’insistenza sulla formazio-
ne degli insegnanti.48 Inoltre promosse lo studio scientifico dell’educazio-
ne concentrandolo soprattutto sulle problematiche delle scuole agrarie.49
48 Cfr. J. Borrego, Las escuelas populares salesianas en España. Realizaciones en
la Inspectoría Bética, in González et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922,
vol. 1, 418-428.
49 Cfr. i volumi del Ricaldone all’interno della collana “Biblioteca Agraria Solariana”
pubblicata dalle Escuelas profesionales de artes y oficios di Sevilla: El clero, la agricul-
tura y la cuestión social; Los labradores, la agricultura y la cuestión social, tutte e due
del 1903; Las leguminosas y los cereales. Estudio critico científico del 1904 e i 7 volumi
di El problema forrajero usciti tra il 1905 e il 1910.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 157
L’efficacia dei suoi metodi rinforzò la tendenza alla centralizzazione nel
periodo del necessario coordinamento mondiale delle scuole professionali.
Infatti, fin dall’inizio del suo mandato come consigliere professionale ave-
va sollecitato gli ispettori e i direttori a mandare trimestralmente le rela-
zioni su quanto si stava facendo nelle scuole, sul numero degli allievi, sui
programmi e sulla formazione del personale. La ripetuta insistenza nelle
sue circolari sul tema delle relazioni da inviare fa intendere l’importanza di
questo strumento di governo. Un altro tema frequente è la preparazione del
personale – gli ispettori dovevano comunicargli all’inizio dell’anno acca-
demico l’elenco dei confratelli che sarebbero stati iscritti a corsi superiori
o universitari di ingegneria, meccanica, agraria, economia, scienze sociali,
ecc.50
Le linee di governo, specialmente in campo educativo e pedagogico,
che affronteremo nei prossimi paragrafi, illustrano la mentalità di fondo di
Pietro Ricaldone inserendolo nel contesto delle opportunità e delle minac-
ce degli anni ’30 e ’40.
3.2.1. L’unità, la formazione e lo studio scientifico nell’Istituto Superiore
di Pedagogia
Nella sua prima lettera da rettor maggiore, don Ricaldone esorta i con-
fratelli, in continuità con l’ultimo quinquennio del governo di don Rinaldi,
a non espandere le opere, ma a consolidare le esistenti e investire nella
formazione, annunciando il principio: «L’avvenire della nostra Società è
soprattutto nelle case dove si forma il personale».51 Considerando il nume-
ro record dei novizi che oltrepassava il migliaio all’anno, don Ricaldone
nota un pericolo per la «nostra Società, il cui rapido sviluppo potrebbe
financo divenire un grave pericolo, qualora s’infiltrassero nel suo organi-
smo elementi deleteri», rinforzando la linea formativa dell’esigenza e della
poca tolleranza, implicata dal principio base annunciato all’inizio della sua
lettera programmatica: «L’unità delle menti e dei cuori».52
Nonostante la decisione di non aprire case nuove e le difficoltà insor-
te con i regimi autoritari e totalitari, il periodo studiato fu l’epoca della
maggiore crescita. Dal 1925 al 1955 il numero di case in America, che è
50 Cfr. Prellezo, Le scuole professionali salesiane, 84-88.
51 P. Ricaldone, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 13 (1932) 58, 4.
52 Ibid., 3.

16.9 Page 159

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158 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
il continente con la crescita minore, fu raddoppiato, l’Asia invece ravvisò
una crescita più che triplicata delle presenze salesiane.53 Non si può affer-
mare, però, che a motivo di questa crescita non sia stato fatto lo sforzo di
investire nella formazione salesiana. Il centralismo del governo ricaldonia-
no gli dava strumenti di forte influsso sui processi formativi. La collana
Formazione salesiana composta da 13 corposi volumi è la testimonianza
del suo cosciente utilizzo del potere di decisione. Dalle questioni delle pro-
cedure da osservare, all’organizzazione degli archivi e delle biblioteche
fino all’applicazione dei principi della formazione e dell’educazione sale-
siana, il governo di Ricaldone fu il periodo di un paradigma che potremmo
chiamare di “formazione attraverso l’esecuzione obbediente”.
Un dato particolarmente interessante per il nostro studio è la forte enfa-
si posta sullo studio della pedagogia nella formazione dei salesiani. Dopo
la scomparsa del consigliere scolastico Bartolomeo Fascie, che sosteneva
la linea osmotico-pratica della formazione, il rettor maggiore espresse con
più chiarezza il suo pensiero sulla pedagogia salesiana nel Capitolo gene-
rale del 1938:
Si è abusato della frase dello stesso don Bosco: “Mi domandano il mio sistema!
Ma se neppure io lo so!”. Un atto di umiltà non deve diventare un’arma contro di
lui, e meno ancora una bandiera. È vero, don Bosco fu anzitutto e soprattutto un
educatore, un pedagogo, senza lasciare però di essere anche un grande pedagogi-
sta. Basterebbero per dichiararlo tale, le mirabili pagine del sistema preventivo!
[…] Raccomandai al consigliere scolastico generale di mandare dei salesiani a
frequentare i corsi universitari delle più rinomate scuole pedagogiche.54
L’insistenza sullo studio scientifico della pedagogia fu accentuata nel
dopoguerra investendo energie e risorse soprattutto nell’Istituto Superiore
di Pedagogia (ISP) del Pontificio Ateneo Salesiano a Torino Rebaudengo.
Nel Capitolo generale del 1947 veniva richiesto agli ispettori di provvedere
53 Nel periodo di Ricaldone, la Congregazione ha il suo baricentro demografico e
operativo in Europa e in America, ma è interessante notare che, anche se con numeri
piccoli, la crescita maggiore di case e di confratelli è nei continenti “missionari”:
primeggia l’Asia che viene seguita dall’Africa. Diversa è anche la composizione delle
comunità: il numero dei confratelli per casa in Asia e Africa si mantiene in tutto il
periodo di Ricaldone attorno alla media di 7 confratelli per casa. In Europa e in America
la comunità media è composta invece del doppio dei confratelli. Cfr. Bay - Motto, Opere
personale e attività, 44-49.
54 P. Ricaldone, Parlate del Rev.mo Rettor Maggiore durante il XV Capitolo Gene-
rale, in ACS 19 (1938) 87, 4-5. Consigliere scolastico generale a quell’epoca era Renato
Ziggiotti che coprì la carica dal 1937 al 1951.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 159
ad inviare almeno un chierico per specializzarlo in pedagogia al PAS.55 La
finalità fu esplicitata in questo modo: «I salesiani, allo scopo di compie-
re con maggiore perfezione la loro missione educativa, devono attrezzarsi
sempre più e meglio nella pedagogia».56
L’atteggiamento positivo verso gli studi pedagogici non era però nutrito
da una fiducia ingenua. Da un lato si sentiva il bisogno di insegnanti di pe-
dagogia negli studentati e di salesiani provvisti di titoli per l’insegnamento
nelle scuole; dall’altro c’era una motivazione lungimirante: «Se pensiamo
alle erronee dottrine e correnti pedagogiche dilaganti dappertutto con danni
incalcolabili della gioventù, ci renderemo conto più esatto dell’assillante bi-
sogno di uomini preparati per l’insegnamento della Pedagogia».57 In questo
contesto la pedagogia salesiana fu vista come scienza “nuova” basata su
granitiche basi della filosofia perenne e della teologia cattolica, e insieme sui
dati che ci offrono le altre scienze, quali la psicologia, la biologia, la sociologia,
e via dicendo: ma insieme vogliamo che il tempio della scienza pedagogica, oltre
che venusto e gagliardo, sia anche libero da superstrutture, erronee o estranee,
che con la pretesa di volerlo rafforzare o abbellire, praticamente lo soffochino
o deturpino, privandolo della sua fisionomia caratteristica e dello spirito che lo
vivifica e contraddistingue per praticità d’intenti, slanci di iniziative e fecondità
realizzatrice.58
Gli sviluppi scientifici della pedagogia salesiana erano legati alle con-
cezioni di Carlos Leôncio da Silva, un salesiano brasiliano chiamato da
don Ricaldone a dirigere l’Istituto Superiore di Pedagogia di Torino-Re-
baudengo all’inizio degli anni ’40. Durante questo periodo, che merita una
trattazione in un paragrafo separato, le idee di don Ricaldone appaiono già
ben saldamente radicate nella tradizione salesiana delle scuole classiche e
professionali e sviluppate soprattutto attorno all’insegnamento religioso.
Nell’impostazione “catechetica” di Ricaldone sono valorizzati, seguendo le
linee del prof. Casotti, alcuni apporti didattici della corrente della “scuola
attiva” come: l’attività nelle scuole, il metodo induttivo, la partecipazione
degli alunni, la conoscenza psicologica degli alunni, la scuola serena e
gioiosa, l’esclusione dei castighi, la libertà dell’alunno, il lavoro persona-
55 Breve cronistoria, deliberazioni e raccomandazioni del XVI Capitolo generale, in
ACS 27 (1947) 143, 80.
56 P. Ricaldone, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 30 (1950) 159, 8.
57 Ibid.
58 P. Ricaldone, Don Bosco educatore, Libreria Dottrina Cristiana, Colle Don Bosco
(Asti) 1951, vol. 1, 56.

17 Pages 161-170

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17.1 Page 161

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160 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
le dell’alunno, l’uso delle idee centrali di sintesi, l’uso dell’interesse degli
alunni.59
Le correnti della pedagogia positivista e naturalista erano invece viste
come espressioni di una “pedagogia atea”, di cui Jean Jacques Rousseau e
John Dewey sono i massimi esponenti. Anche gli studi statistici non gode-
vano di grande stima da parte di don Ricaldone. Nel contesto del Congres-
so di Azione Cattolica nel 1938 esortò «contro la febbre del movimento
statistico: più che i numeri, che potrebbero diventare tumori, alimentia-
moci di vero zelo […] non ridurre l’AC a teoria, a giostre accademiche,
ove si pasce e trionfa a volte la vanità».60 In questo quadro di riferimento è
comprensibile il motivo per cui la funzione degli studi pedagogici del PAS
fu espressa anche in questi termini:
La minaccia della pedagogia materialista ed atea, anche se mascherata col
nome di scientifica, la riteniamo talmente grave che pensiamo non ve ne sia al
presente altra più funesta per le sorti dell’umanità. […] Perché ci schieriamo tutti,
[…] a combattere con animo risoluto e mezzi adeguati questa grande battaglia,
abbiamo voluto che sorgesse, nel seno del Pontificio Ateneo Salesiano, l’Istituto
Superiore di Pedagogia.61
Anche se rispetto al rettorato precedente si parla di più dello studio
scientifico della pedagogia, il tirocinio pratico non venne trascurato e il
rettor maggiore esortò i direttori a sviluppare un senso di calda paternità
e soave carità nell’accompagnamento dei chierici.62 In questo periodo for-
mativo, oltre alle letture di cultura cristiana e classica, si doveva studiare
l’opera di Bartolomeo Fascie Del metodo educativo di don Bosco.63 Nella
relazione con le FMA don Ricaldone si mosse, anche se con minor inten-
sità rispetto al predecessore, con accenti tipicamente propri indicando la
necessità di fondare case di formazione allo scopo di qualificare pedago-
gicamente e professionalmente le neo-professe approfondendo il metodo
educativo di don Bosco.64
59 Cfr. P. Ricaldone, Oratorio festivo catechismo formazione religiosa. Strenna del
Rettor Maggiore 1940, SEI, Torino 1940, 195-205.
60 Breve cronistoria, deliberazioni e raccomandazioni del XVI Capitolo generale, 17.
61 Ricaldone, Don Bosco educatore, vol. 1, 58-59.
62 Breve cronistoria, deliberazioni e raccomandazioni del XVI Capitolo generale, 18.
63 R. Ziggiotti, Lettera del consigliere scolastico, in ACS 18 (1937) 79, 395.
64 Cfr. Atti del Capitolo Generale XI dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice
tenutosi in Torino - Casa Generalizia dal 16 al 24 luglio 1947, Istituto FMA, Torino
1947, 25.

17.2 Page 162

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 161
3.2.2. L’amore come ispirazione e la disciplina come mezzo generale
dell’educazione
Pietro Ricaldone proseguì, almeno a livello di principio, le linee di
don Rinaldi. Nella sua prima lettera sistematica, commentando la strenna
del 1933, presentò la carità come il principio primo della vita cristiana e
dell’ambiente familiare che è il contesto dell’educazione salesiana.65 Il mo-
dello di tale carità è san Francesco di Sales,
il santo della carità, della dolcezza, dell’amore. Egli non si appaga di esterio-
rità, ma vuole la virtù che è forza, che è sforzo; vuole anzi la regina delle virtù,
della quale è detto che è forte come la morte. Era convinto che tutto è possibile ad
un’anima infiammata dagli ardori purissimi dell’amore. Questo appunto ci spiega
l’operosità instancabile e l’efficacia prodigiosa del beato don Bosco che volle la
carità norma costante del proprio operare, base del suo sistema pedagogico, ani-
ma del suo apostolato.66
Nel Don Bosco educatore, che conclude a livello di idee pedagogiche
il rettorato di Ricaldone, si mantenne la linea dell’amore in quanto “prin-
cipio informatore” del sistema preventivo. Ma il punto di forza delle linee
espresse da don Ricaldone consiste nella descrizione delle applicazioni di
tale sistema che furono puntuali, definitive e dettagliate. La sua sintesi
connette il concetto dell’amore con l’ideale di perfezione à la Barberis, ma
con un’argomentazione particolare: «Ora, se l’inclinazione dell’anima a vo-
lere il bene di una persona è già amore, a maggior ragione opera di amore
deve dirsi l’educazione: essa infatti vuole ed effettivamente si adopera e sa-
crifica per procacciare l’unico vero bene dell’educando, ossia la perfezione
della sua vita in quanto uomo».67 L’amore è visto come uno slancio genero-
so di energie interiori per compiere l’opera dell’unico bene, “la perfezione”
non solo ideale, ma concreta, tangibile e regolamentata.
Il paradosso delle sue scelte di fondo è la dissonanza tra il principio di
fondo dell’amore e la scelta metodologica dell’educazione. Nel Don Bosco
educatore egli propone la disciplina, legata all’autorità, come mezzo gene-
rale dell’educazione. Afferma nel testo:
65 Cfr. P. Ricaldone, Strenna del 1933. Pensar bene di tutti – Parlar bene di tutti
– Far del bene a tutti, in ACS 14 (1933) 61bis, 43. Cfr. la medesima impostazione sul
fondamento dell’amore all’interno del Sistema Preventivo in Ricaldone, Don Bosco edu-
catore, vol. 1, 148-228.
66 Ricaldone, Strenna del 1933, 45.
67 Ricaldone, Don Bosco educatore, vol. 1, 149.

17.3 Page 163

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162 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
Non basta però avere buoni princìpi, idee chiare, concetti ben elaborati delle
cose da farsi: oltre alla possibilità di tradurre tutto ciò in pratica, ci vuole quella
tecnica, o meglio quella tattica speciale, e quello spirito che dànno vita e valore
al cosiddetto metodo. A volte ottimi princìpi furono compromessi, e mezzi di
non dubbia efficacia frustrati, perché non si seppe applicarli o non si indovinò
il modo giusto di attuarli praticamente […] Proprio in questa luce è bene vedere
ed esaminare la metodologia educativa salesiana, cogliendone per dir così tutta
l’anima: e proprio in questa luce, secondo il pensiero e la pratica di don Bosco,
bisogna interpretare anzitutto il principio di autorità, che nell’ambiente educativo
mantiene in fiore la disciplina.68
Da quanto accennato circa la disciplina e “l’unità delle menti e dei cuo-
ri”, sembra che il vero filo rosso e il baricentro delle linee pedagogiche di
don Ricaldone fosse l’enfasi sull’organizzazione uniforme e disciplinata.
Essa viene collocata nel contesto della canonizzazione di don Bosco e svi-
luppata soprattutto nelle tre centinaia di pagine della strenna per il 1935
sulla Fedeltà a Don Bosco Santo.69 La decisa linearità dell’argomentazione
procede per passi:
1. spiega la fedeltà legata ad un atto di fede verso Dio e quindi con-
nessa con l’atteggiamento di fiducia; 2. conseguentemente si traduce nella
promessa di seguire don Bosco; 3. che è inviato da Dio ed è un santo con-
fermato dalla Chiesa; e infine 4. si specifica la sequela attraverso l’osser-
vanza delle Regole. Si giunge fino ad affermazioni radicali e riduttive: «Le
regole, come sono state lo scopo supremo delle aspirazioni di don Bosco
fondatore, così continuano ad essere ora il suo pensiero e tutto il suo cuore.
[…] Amare don Bosco è amare le regole».70
Nella medesima strenna si spiega che l’amore, come principio di base,
non vuole escludere la fermezza e la ragionevole severità: «Il superiore è
il medico che si propone di liberare dai loro mali i malati che ha in cura:
deve adunque conoscere e applicare i rimedi opportuni e necessari, anche
se talora riescano ingrati e disgustosi ai pazienti. Guai a quella casa in cui
per una inconsulta bontà i religiosi si regolano a proprio talento; essa an-
drà ben presto in rovina».71 Anche se, a livello di concetto, l’amore viene
confermato come caratteristica del governo salesiano, di fatto prevalgono
gli interventi sui temi della fedeltà, delle regole, dei regolamenti, delle tra-
68 Ricaldone, Don Bosco educatore, vol. 1, 286-287.
69 Cfr. P. Ricaldone, Strenna del Rettor Maggiore per il 1935. Fedeltà a Don Bosco
Santo, SEI, Torino 1936.
70 Ibid., 13-14.
71 Ibid., 202.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 163
dizioni, dell’autorità, del governo, dell’obbedienza, della disciplina e della
perfezione.
Nel contesto della canonizzazione tutte le indicazioni di don Bosco ac-
quistavano l’alone della sacralità di una santità confermata dalla Chiesa
e spingevano verso la perfezione con maggiore forza e, grazie a un ac-
cresciuto numero di documenti, anche con più concretezza. Rispetto al
principio di Barberis dell’educazione come opera di perfezionamento, qui
vediamo in gioco già una “perfezione perfezionata” nel senso della tradu-
zione dell’ideale in migliaia di esempi oggettivi della vita di don Bosco,
che si traducono in numeri altrettanto alti di applicazioni e regolamenta-
zioni nella vita quotidiana di una casa salesiana. Un ruolo importante per
la concretizzazione delle linee educative era svolto dalla serie delle Memo-
rie biografiche, terminate con gli ultimi volumi nel 1939 proprio per forte
insistenza del rettor maggiore.
Senza una sensibilità per la diversità delle applicazioni nei contesti mol-
to variegati nei quali si trovavano ad operare i salesiani dell’epoca, non
poteva esistere un “principio di freno” alla regolamentazione uniforme.
La mentalità ecclesiale di fortezza assediata era allineata alla Divini Illius
Magistri, al senso di responsabilità nel governo, alle accentuazioni mora-
listiche dell’ideale di perfezione e, non per ultimo, al temperamento fermo
ed energico del rettor maggiore. Emblematica per le linee di governo fu
la lettera sulla visita canonica degli ispettori nelle case salesiane.72 La va-
langa di prescrizioni che hanno il loro centro di gravità nei decreti relativi
all’ambito liturgico73 è sviluppata in più di duecento pagine. La preoccu-
72 Cfr. P. Ricaldone, La visita canonica nelle case salesiane, in ACS 20 (1939) 94,
1-213.
73 Cfr. Ibid., 16-159. A scopo esemplificativo elenchiamo le materie liturgiche trattate
nel centinaio e mezzo di pagine: visita alla chiesa; il tabernacolo; materia, forma, porti-
cina, chiave, ornato, accessori del tabernacolo; il conopeo; altare del SS. Sacramento; la
lampada; altari in genere; le tovaglie e il pallio dell’altare; la croce; i candelieri; le tabelle
dell’altare; il leggio, il campanello, le ampolle, la tabella delle preci; l’altar maggiore;
l’altare dell’esposizione del SS. Sacramento; i vasi sacri; calice e patena; ostensorio e
teca; pisside e piattello per la comunione; il vino per la Santa Messa; ostie e particole;
vasetti dei sacri olii; reliquie e reliquiarii; paramenti sacri; biancheria sacra; il turibolo,
la navicella, l’incenso, le torce; per la settimana santa; altra suppellettile sacra ed oggetti
sacri; addobbi, drappi, festoni; fiori in chiesa e sull’altare; illuminazione; candele voti-
ve, quadri e altri oggetti votivi; disposizioni canoniche riguardanti le immagini sacre;
disposizioni liturgiche generali riguardanti le immagini sacre; disposizioni particolari
relative alle immagini del signore; disposizioni relative alle immagini della Madonna;
disposizioni relative alle immagini degli angeli e dei santi; la via crucis; i confessionali;
il battistero; acqua benedetta e pile relative; il sacrario; il pulpito; banchi, sedili, genu-

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164 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
pazione per l’aspetto educativo viene garantita dall’obbedienza alle nor-
me. La dozzina di occorrenze del concetto di educazione offre solamente
attenzioni all’osservanza delle prescrizioni liturgiche, al contenuto delle
letture e alle materie trattate nei teatri.
3.2.3. Gli sviluppi della catechesi nella forma della “Crociata”
Lo sviluppo dell’insegnamento del catechismo all’interno della proposta
educativa salesiana precedente il Vaticano II ebbe due sostanziali influssi:
i congressi catechistici dal 1895 al 1912, collegati con le linee pedagogiche
di don Rua, e la “crociata catechistica”, annunziata da don Ricaldone a
partire dal 1941 in poi. Il periodo in mezzo non fu caratterizzato da uno
sviluppo sistematico delle idee sulla catechesi per diverse ragioni: la Prima
guerra mondiale ed il confronto con i regimi totalitari o ostili alla religione
in Italia, Germania, Spagna e Messico; la scomparsa di don Rua che era
il protagonista del movimento dei congressi; lo spostamento delle priorità
durante i rettorati di don Albera e don Rinaldi; la dinamica interna dello
sviluppo organizzativo che esige un certo tempo per la maturazione delle
concretizzazioni pratiche delle idee emerse nei congressi; infine, una ra-
gione importante fu la poca continuità a livello di personale. La riflessione
dei congressi non ebbe continuità attraverso gli anni tra la Prima guerra
mondiale e il rettorato di don Ricaldone, anche perché don Amadei, che
era il direttore più longevo del “Bollettino Salesiano”, fu dirottato al solo
lavoro storico, mentre don Trione e don Anzini, principali organizzatori
dei congressi, si erano già avviati al declino.74
Negli anni Trenta, visto il contesto ecclesiale e intracongregazionale
sensibilmente mutato, la catechesi assunse connotati che andavano ben ol-
tre la prospettiva dei congressi oratoriani. La crociata catechistica promos-
sa da don Ricaldone non fu rivolta solo all’oratorio, ma era tutta orientata
a rinnovare la qualità della catechesi nei più vasti ambiti. La riafferma-
zione dell’importanza del catechismo andava di pari passo con una nuova
flessori; coro e presbitero; organo e strumenti musicali; per gli uffici funebri; per funzio-
ni varie; cassette e borse per l’elemosina; progetti e disegni; presepio; sacrestia ordina-
ria; sacrestia delle chiese pubbliche e delle parrocchie; sacrestia delle chiese maggiori;
clero e chierichetti; la chiesa e i luoghi sacri; campane e campanile; cimiteri e cappelle
sepolcrali; le funzioni sacre e le feste; principali difetti occorrenti nelle sacre funzioni e
nella celebrazione delle feste; altri inconvenienti; movimento liturgico.
74 Cfr. P. Braido, L’oratorio salesiano in Italia e la catechesi in un contesto socio-
politico inedito (1922-1943), in «Ricerche Storiche Salesiane» 25 (2006) 48, 59.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 165
pronunciata attenzione ai problemi pedagogici, didattici, organizzativi. La
crociata catechistica rifletteva già i progressi verificatisi grazie alle realiz-
zazioni partite dal congresso bresciano del 1912, all’arricchimento dell’in-
contro con il movimento attivistico e alle attuazioni avvenute all’interno
delle associazioni di Azione Cattolica.75 Il centenario dell’opera salesiana,
che si celebrò nel 1941, diede ampie possibilità di specificare le linee di-
rettive per gli oratori, ma anche per l’insegnamento catechistico e la for-
mazione religiosa in generale. Già il CG15 del 1938 preparò il centenario
con un calendario di gare e congressi che miravano a «studiare il modo
migliore d’impartire l’insegnamento catechistico e di diffondere, rafforza-
re, approfondire l’istruzione religiosa».76
Invece il commento della strenna per il 1940 con il titolo Catechismo
oratorio festivo formazione religiosa, elaborato in varie centinaia di pa-
gine, dà ampia possibilità di riconoscere le grandi linee pedagogiche in-
terpretate nel contesto problematizzante di guerra, persecuzioni, degrado
morale della famiglia, scristianizzazione della scuola, in una cultura de-
moralizzante e secolarizzata.77 Il rettor maggiore esorta con termini non
poco retorici alla crociata catechistica,78 in quanto vede nell’istruzione re-
ligiosa la risposta migliore per la salvezza della gioventù nella situazione
sconfortante dipinta a colori foschi:
È vero, siamo pochi e impari ai bisogni assillanti e immensi; inoltre il nostro
apostolato è di ieri. […] L’essenziale si è che neppur uno resti sordo alla divina
chiamata e che tutti, nell’immenso e multiforme campo di azione, prestino con
slancio e sempre l’opera loro. E poiché la Divina Provvidenza ha voluto che i
poveri figli di don Bosco piantassero le loro tende in ogni lido, è dover nostro,
in questa fausta ricorrenza delle feste centenarie, dare fiato alle trombe e far rie-
cheggiare sotto tutti i cieli con fremito possente la voce di Dio e della Chiesa, che
tutti invita alla santa crociata.79
75 Cfr. Ibid., 77.
76 Ricaldone, Parlate del Rev.mo Rettor Maggiore, 3.
77 Cfr. Ricaldone, Oratorio festivo, 20-29. Nella lettura della situazione il Rettor
Maggiore appoggia la sua argomentazione con diversi riferimenti alle encicliche papali
del ventesimo secolo.
78 Cfr. anche i riferimenti di Pio XII alla retorica delle crociate nelle sue encicliche e
nei discorsi ufficiali. Cfr. Pio XII, Lettera enciclica Saeculo exeunte octavo, in AAS 32
(1940) 249-260; Id., Lettera enciclica Anni sacri, in AAS 42 (1950) 217-222; Scritti e Di-
scorsi di S.S. Pio XII nel 1940, Cantagalli, Siena 1941, 284-286; Discorso di sua santità
Pio XII alle Pontificie Opere Missionarie, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità
Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1945, vol. 6, 47-52.
79 Ibid., 34-35. NB: Ricaldone contestualizza la crociata riportando gli esempi del
16° secolo nella linea della contro-riforma: Roberto Bellarmino, Carlo Borromeo e del

17.7 Page 167

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166 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
La comunicazione della «sapienza celeste, necessaria all’eterna salute,
mediante l’insegnamento del catechismo»80 si esplicita attraverso il ricorso
alla tradizione salesiana, nella definizione del fine e delle modalità dell’i-
struzione catechistica, sviluppando una grande parte del testo della strenna
sul personale e sui ruoli all’interno dell’oratorio, proseguendo poi nel trat-
tare dei mezzi educativi per l’istruzione, per la didattica, per la ricreazione
piacevole e onesta, terminando con gli schemi e disegni particolari dei
progetti architettonici per gli oratori e per le aule, dei programmi di scuola
e dei mezzi didattici.81
L’argomentazione tipica di don Ricaldone comincia con la ripresa del
Regolamento dell’Oratorio Festivo di don Bosco, un «libriccino, modesto
di veste e di mole, [che] conteneva in germe tutta l’opera salesiana col suo
spirito, col suo sistema, colle possibilità del suo multiforme sviluppo».82
Riprendendo l’argomentazione di don Rua, riafferma il fine catechistico
dell’oratorio contro la “funesta illusione” della riduzione di esso ad un “ri-
trovo di giuochi” e imposta la catechesi come scuola divisa per classi.83
Una parte importante dell’insieme sull’istruzione catechetica è costituita
dalla formazione iniziale e permanente dei catechisti.84
Il rettor maggiore propone la revisione del titolo di “incaricato dell’o-
ratorio” e lo fa tornare a quello di “direttore dell’oratorio”, corrispondente
alla dicitura originale di don Bosco, applicando a lui anche alcune indi-
cazioni contenute nei Ricordi confidenziali ai direttori e nel Manuale del
direttore di don Albera.85 L’argomentazione di queste scelte segue la linea
della fedeltà alla storia dello sviluppo dell’opera di don Bosco: prima c’è
stato l’oratorio con i suoi ruoli e solo dopo è venuta la Congregazione.86 I
ruoli all’interno dell’oratorio si allargano e creano una struttura parallela
a quella del collegio salesiano: direttore, prefetto, catechista e consigliere
Sodalizio delle Scuole della Dottrina cristiana di Roma sorta durante il pontificato di
Pio IV.
80 Sacra Congregazione del Concilio, Provido sane consilio, in Ricaldone, Oratorio
festivo, 31.
81 Cfr. anche E. Ceria (ed.), Il contributo della Congregazione Salesiana alla crociata
catechistica nelle realizzazioni di don Pietro Ricaldone, IV successore di San Giovanni
Bosco, Libreria Dottrina Cristiana, Colle don Bosco (Asti) 1952.
82 Ricaldone, Oratorio festivo, 38.
83 Ibid., 40-46.
84 Cfr. Ibid., 124-127.
85 Cfr. Ibid., 72.
86 Cfr. Ibid., 74-75.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 167
scolastico che formano il consiglio dell’oratorio.87 Sembra che questa più
ricca articolazione dei ruoli non abbia avuto un’implementazione signifi-
cativa e duratura.
Nella trattazione del metodo l’autore comincia con la precisazione che
«le forme, i modi, i procedimenti non sono metodi. Per questo né un pro-
gramma ciclico, né una determinata e sia pur lodevole attività scolastica,
né un insieme di oggetti o una collezione di sussidi intuitivi, né la forma
dialogata o socratica, possono chiamarsi metodo».88 Don Ricaldone si
pronunzia a favore del generale metodo deduttivo-induttivo, ispirandosi
esplicitamente a san Tommaso d’Aquino. L’accento della sua trattazione è
posto sul metodo induttivo che l’autore chiama “Metodo catechistico del
Vangelo”:
E qui è bene mettere in particolare rilievo che, non solo le verità insegnate
da Gesù Cristo, ma anche il metodo da lui seguito per farle penetrare nelle menti
di coloro che accorrevano ad ascoltarlo, sono indicati, e talvolta coi più minuti
particolari, nel santo Vangelo, ov’è descritto con quali mezzi e sussidi il Salvatore
rendeva accessibile la sua dottrina. Ora il Catechismo è appunto il compendio
delle verità insegnate da Gesù Cristo agli uomini, mediante la predicazione evan-
gelica, per conseguire l’eterna salute. Se pertanto è dovere nostro da una parte
accettare le verità uscite dalle labbra del Divin Redentore, dall’altra pare logico,
anzi doveroso, che anche nell’insegnamento di dette verità noi seguiamo il me-
todo da lui usato. E poiché questo metodo è chiaramente indicato e fedelmente
descritto nel Vangelo, noi lo potremmo e dovremmo giustamente chiamare: Me-
todo catechistico del Vangelo”.89
L’esempio di don Bosco catechista, fedele seguace di Gesù, è prospet-
tato nel suo uso di similitudini, di immagini e di attività in più di venti
pagine.90 Parlando di metodo è interessante il confronto tra la “scuola at-
tiva” e la scuola cattolica voluta da don Bosco. Secondo don Ricaldone
si potrebbero trovare tante similitudini che relativizzerebbero la presunta
novità del movimento attivistico. I principi comuni e nello stesso momento
fondamentali erano:
1) la scuola deve essere attiva;
2) l’uso del metodo induttivo;
3) la partecipazione integrativa degli alunni al lavoro della loro istruzio-
ne e formazione;
87 Cfr. Ibid., 74-85.
88 Ibid., 155.
89 Ibid., 161-162.
90 Cfr. Ibid., 168-192.

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168 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
4) la conoscenza psicologica degli alunni;
5) la scuola deve essere serena e gioiosa;
6) l’esclusione dei castighi;
7) dare libertà all’alunno;
8) il lavoro personale dell’alunno per perfezionarsi e governarsi;
9) l’uso di idee centrali o unitarie;
10) l’uso dell’interesse dell’alunno.
Il “metodo del Vangelo” coincide poi, nell’argomentazione di don Ri-
caldone, con il metodo induttivo che usa l’immaginazione, le figure, le im-
magini, gli esempi, gli oggetti reali «dall’ambiente fisico, sociale, religioso,
storico in cui si vive».91 Si recuperano in questa sede anche alcune istanze
del movimento della scuola attiva, che stimolano la partecipazione degli
alunni e sviluppano “i centri dell’interesse” portando i giovani ad arrivare
ai livelli eroici di virtù seguendo gli interessi spirituali che
sopravvanzano i terreni di quanto il cielo è al disopra della terra. D’altronde
solo i beni additati dalla religione cattolica sono capaci di soddisfare l’anima
nostra sitibonda d’amore. Chi voglia limitare le finalità della vita agl’interessi di
quaggiù, favorisce l’egoismo e il sensualismo, educa superficialmente e senza
elevatezza d’iniziative, rende vuoto e infelice il cuore umano. […] Per questo,
senza prescindere dalle cose terrene, noi le vogliamo spiritualizzare irradiandole
di fede e convertendole in strumenti di perfezione e santificazione.92
Le trattazioni sul metodo sono completate, in modo paradigmatico per
Ricaldone, con indicazioni concrete che ruotano essenzialmente attorno
all’ambiente nell’oratorio salesiano. Il “come fare l’oratorio” consiste nel
tenere presenti: il regolamento, la sede (con in appendice anche cartine e
planimetrie di oratorio), il progetto, il personale, i catechisti, la formazione
dei catechisti, la Congregazione della Dottrina Cristiana, i mezzi per atti-
rare i giovani all’oratorio, il metodo, l’esempio di don Bosco catechista, i
sussidi didattici e i libri, l’attivismo, gli esami, le gare, le feste, la Parola di
Dio, la ricreazione, il teatrino. È sorprendente il livello di applicazione, a
volte scendendo ai minimi particolari. Quando descrive la catechesi come
scuola, la sua riflessione vuol essere pratica; ad esempio per la soluzione
del problema delle aule l’autore non risparmia tempo e attenzioni. Chiede
a ingegneri ed architetti che provvedano al loro orientamento, alla buona
91 Ibid., 164.
92 Ibid., 204.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 169
illuminazione naturale e artificiale, all’aerazione e alla collocazione nell’e-
dificio nel complesso dell’oratorio.93
Nello stesso anno 1939 egli istituì l’Ufficio Catechistico Centrale Sa-
lesiano, pensato come struttura del gruppo di giovani salesiani dediti a
tempo pieno a dare vita alla grande crociata, che nel 1947 fu denominato
Centro Catechistico Salesiano.94 Una parte del progetto della rinnova-
ta catechesi fu la fondazione della Libreria Dottrina Cristiana nel 1941,
un’editrice attiva nella stessa missione fino ad oggi con più di 3.000 pub-
blicazioni.
3.2.4. L’estremizzazione della questione dei divertimenti
L’affermazione dell’importanza della catechesi influiva anche su deter-
minati aspetti della ricreazione all’interno dell’oratorio. Don Ricaldone af-
fermò con forza il concetto di ricreazione che, secondo don Bosco, doveva
essere riposo della mente, non doveva eccitare le passioni e doveva essere
libera dalla tristezza per avere offeso Dio e il prossimo. Si chiese anche se
il calcio rispondesse ai criteri educativi di don Bosco. La risposta, seppure
con qualche reticenza, fu negativa, giustificata con la denuncia dei mali fi-
sici, psicologici, morali di cui era sorgente. Il giocare a pallone fu ammesso
solo in occasioni sporadiche e in ben definite forme.95 Ugualmente l’uso
del cinema e della radio veniva valutato sostanzialmente come negativo e
così, per l’impossibilità di bandirlo in assoluto, se ne raccomandava un uso
sobrio, circondato da tutte le possibili cautele.96 Al primo posto si metteva-
no il teatro e l’uso della buona stampa.
Ricaldone, nel suo atteggiamento verso i “divertimenti”, si discostava
percepibilmente dalle posizioni del suo predecessore, più a livello di de-
cisioni concrete, regole, pratiche e di vissuto quotidiano, che a quello dei
principi, specialmente se consideriamo che le due posizioni si identifica-
vano con la stessa sorgente d’ispirazione. Nell’impostazione ricaldoniana
dell’oratorio siamo abbastanza lontani dall’affermazione di Rinaldi che
vedeva in don Bosco la «sana modernità di fare il bene anche con l’uso di
mezzi in sé non cattivi, ma che venivano pure adoperati da altri per finalità
93 Cfr. Ibid., 52-58.
94 Cfr. Braido, L’oratorio salesiano in Italia e la catechesi in un contesto socio-
politico inedito, 83.
95 Cfr. Ricaldone, Oratorio festivo, 266-274.
96 Cfr. Ibid., 289-298.

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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170 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
ben diverse; questa [fu anche una] forza di attrazione, entro l’orbita della
sua missione, di tutto ciò che poteva servire a ricreare, istruire, educare,
nobilitare ed elevare le anime dei suoi giovani».97 Tuttavia se i divertimenti
risultano «di danno alle anime», anche Rinaldi ritiene necessario esclu-
derli con energia, ma lascia il compito del discernimento agli ispettori e ai
direttori, evitando di decidere per tutta la Congregazione.98
In alcune tematiche – emblematica è quella del cinematografo – si può
percepire il radicalismo applicativo ricaldoniano se si confrontano le sue
posizioni con le linee di magistero dei papi o con le opinioni espresse dai
Capitoli generali. Papa Pio XI nell’enciclica Vigilanti cura tratta l’argomen-
to del cinema affermando che «la ricreazione nelle sue molteplici forme, è
divenuta ormai una necessità per la gente che si affatica nelle occupazioni
della vita; ma essa dev’essere degna dell’uomo ragionevole, e perciò sana
e morale; deve sollevarsi al grado di un fattore positivo di bene e suscita-
tore di nobili sentimenti».99 L’enciclica si appoggia in parte all’esperienza
americana della “Legione della decenza”, intesa come una crociata per la
pubblica moralità, partendo da temi come l’importanza, il potere, l’impatto
e la popolarità del fenomeno cinematografico e proponendo alcune con-
seguenze pratiche quali la vigilanza, gli standard di produzione, le clas-
sificazioni dei film, gli uffici nazionali per la revisione e la cooperazione
internazionale in materia.
Ricaldone da parte sua trattò del cinema nel 1938, nel contesto di una
proposta per gli esercizi spirituali dei confratelli sul tema “Sull’esempio e
collo spirito di san Giovanni Bosco proponiamoci di santificare l’allegria,
la ricreazione, i divertimenti”. Nel commento annotava come in troppe cir-
costanze i divertimenti, le ricreazioni e una falsa allegria potessero diven-
tare strumenti di corruzione e di allontanamento da Dio.100 Dopo la guerra,
troviamo forti richiami sul tema nel CG16, nei quali Ricaldone enfatizza
così il suo pensiero:
In ogni dopoguerra noi assistiamo a una vera frenesia di divertimenti: si direb-
be che quei poveri disgraziati, i quali durante lunghi anni vissero tra le privazioni
e i pericoli dei campi di battaglia, sentano come un bisogno sfrenato di tuffarsi
nei divertimenti. È una vera follia! […] Siete al par di me persuasi dell’influenza
97 Rinaldi, La lettera del Rettor Maggiore, in ACS 10 (1929) 50, 799.
98 Cfr. Ibid., 800.
99 Pio XI, Vigilanti cura. La lettera enciclica sul cinema (29 giugno 1936) in AAS
38 (1936) 254.
100 Cfr. P. Ricaldone, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 19 (1938) 86, 447.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 171
satanicamente malefica del cinema: le rovine che va accumulando dappertutto,
sono tali, da farci temere per la vita morale e cristiana delle generazioni future.101
I capitolari, dopo una discussione piuttosto prolungata, concordarono
sulla soluzione di equilibrio: è necessario non solo limitare il cinema, poiché
«secondo lo spirito salesiano, è sempre preferibile e lodevole fare a meno
del cinema»,102 ma tenere conto del bisogno di non diminuire l’affluenza dei
ragazzi come pure delle indicazioni dell’enciclica Vigilanti cura. Dunque si
raccomanda la preparazione del personale per la valutazione salesiana dei
film, per la redazione di trame cinematografiche salesiane, per il contatto
con le case produttrici e per l’assistenza tecnica alle case.103
Il tema collegato direttamente è l’educazione alla castità, percepita piut-
tosto nell’ottica di una “santa intransigenza”. Nella lettera sulla purezza il
rettor maggiore specifica: «In una memoria che don Bosco scrisse per i
suoi figliuoli, dice tra le altre cose: “Non sarai mai troppo severo nelle cose
che servono a conservare la moralità”. Il dolcissimo nostro Padre, che non
ha mai voluto saperne di rigore, raccomanda la severità».104 Inoltre, citando
Tommaso di Villanova, si afferma: Si non est castus nihil est e questa con-
cezione veniva applicata soprattutto ai divertimenti: il cinema, il teatro, le
divise dei calciatori (anche delle squadre ospiti), le letture, i giornali, ecc.
In riferimento all’enciclica Divini Illius Magistri e ai decreti successivi del
Santo Uffizio, il rettor maggiore esprimeva un giudizio negativo sull’edu-
cazione sessuale, con la motivazione della fragilità umana.105
È interessante notare come anche i salesiani che si trovavano nella po-
sizione di valutare positivamente il potenziale educativo dello sport e delle
attività ricreative, mettessero in relazione lo stesso binomio purezza-forza.
Oltre alle accentuazioni nella Rivista dei Giovani attorno al gruppo di don
Cojazzi e il necessario posizionamento antifascista e antimilitaristico, si
possono notare le già menzionate posizioni di “don Giulivo” nel “Bolletti-
no Salesiano” degli anni ’30. Con chiaro riferimento alla strenna del rettor
maggiore, ma non seguendone tutte le accentuazioni, l’autore proponeva
l’apostolato dello sport affermando:
101 Breve cronistoria, deliberazioni e raccomandazioni del XVI Capitolo generale, in
ACS 27 (1947) 143, 64.
102 Ibid., 57.
103 Cfr. Ibid., 57-62.
104 P. Ricaldone, Strenna del 1934. Santità e purezza. A ricordo della canonizzazione
di S. Giovanni Bosco nostro fondatore e padre, in ACS 16 (1935) 69bis, 69.
105 Cfr. Ricaldone, Strenna del 1934, 75-78.

18.3 Page 173

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172 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
Carissimi, non credo che vi sorprenda il titolo di questa letterina. Voi siete
tutti intelligenti e capite benissimo che anche lo sport può essere elevato a fun-
zione di apostolato. Un buon cattolico anzi non dovrebbe mai concepire lo sport
come puro e semplice diporto e neppure come professione della giovinezza. Lo
deve invece riguardare come mezzo efficace di sviluppo e di potenziamento di
quel corpo che è tempio dell’anima, e che, quanto più robusto e valido, tanto più
prezioso riesce all’anima stessa per compiere ogni missione di bene nel mondo.
Per questo don Bosco gli ha fatto tanto posto nel programma dei suoi oratori
ed istituti. Inteso pertanto e valorizzato con spirito cristiano, lo sport, mentre
favorisce, col rigoglio delle forze naturali, i maggiori trionfi della grazia e le eroi-
che ascese nella virtù, assurge anche ad una vera e propria missione apologetica
di apostolato, liquidando i vieti berteggiamenti anticlericali che calunniavano la
chiesa di atrofizzare l’educazione fisica dei giovani e di allevare generazioni di
bigotti muffiti. […] E, mentre nel corso delle vacanze ritemprerete le vostre forze
fisiche, ricordatevi che lo sport può essere e dev’essere anche palestra delle più
nobili virtù religiose, civili e patriottiche. Così crescerete forti e puri come vi
desidera il Santo Padre, il quale ancora nell’ultima udienza concessa ai dirigenti e
presidenti dell’Azione Cattolica, il 29 maggio u. sc., si rallegrava dei propositi che
essi avevano fatto per crescere forti e puri. Forti e puri – soggiungeva – forti nella
purezza, puri per essere forti, la forza per la purezza e la purezza per la forza.
Purezza e forza perché l’una dà la forza all’altra: quale magnifica sublimità!106
3.2.5. Sintesi: il paradigma del “collegio sotto assedio”
Sembra che don Ricaldone abbia dato l’impronta definitiva al “paradig-
ma del collegio salesiano” con diverse sottolineature i cui effetti si faranno
sentire con forza soprattutto nell’epoca attorno al Concilio Vaticano II.
Sintetizziamo alcuni punti trattati sopra:
– immagine di un “collegio assediato” da forze politiche avverse e da
ideologie anticattoliche, che rinforza la retorica antimodernista di con-
fronto, di combattimento o di crociata;
– autoreferenzialità della vita collegiale e poco contatto con la realtà so-
ciale circostante, che implicava un “monopolio dell’educazione”. I ra-
gazzi erano praticamente sottratti alle famiglie e ci tornavano solo nelle
vacanze estive;
– insegnamento classico che non necessita del confronto con autori con-
temporanei; “i classici bastano” soprattutto se la riforma Gentile va
anch’essa nella direzione della classicità;
– autosufficienza e autoriproduzione della struttura collegiale che si av-
106 Lettera di Don Giulivo ai giovani. L’apostolato dello sport, in BS 61 (1937) 7, 167.

18.4 Page 174

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 173
vantaggia di un periodo di crescita demografica con un modello forma-
tivo di replicazione;
– riferimenti all’origine soprannaturale del sistema preventivo, avvalora-
ta dalla canonizzazione di don Bosco che implica un atteggiamento di
fedeltà;
– rinforzo della componente disciplinare sia a livello di pensiero che a
livello organizzativo con tratti di uniformità, ripetizione ed eccessiva
regolamentazione.
Concludendo lo sguardo sulle linee pedagogiche in un ventennio dif-
ficile, si può affermare che Pietro Ricaldone proseguì, sotto l’influsso
dell’entusiasmo della canonizzazione di don Bosco, sulla linea di fedeltà ai
suoi predecessori, ma con una tensione alla perfezione così alta, così con-
troculturale e con indicazioni così dettagliate, da renderla probabilmente
poco sostenibile nella lunga durata dei decenni che seguirono, dai quali
emersero coordinate e movimenti culturali molto diversi.
3.3. Autori di pedagogia salesiana
Il fatto di aver inserito don Bosco nelle letture obbligatorie delle scuo-
le magistrali, a partire dal 1925, e la successiva diffusione del volume di
Fascie Del metodo educativo di don Bosco, attirarono l’interesse dei pe-
dagogisti, specialmente cattolici, verso la sua figura. La scena della ri-
flessione pedagogica su don Bosco, rinforzata grazie alla beatificazione
e la canonizzazione, era dominata dalla questione generale se egli fosse
stato solo un grande educatore o anche un pedagogista. Le posizioni di
partenza si collocavano sulla linea del Fascie, che interpreta don Bosco
piuttosto nell’ambito dell’arte educativa, relativizzando la “novità assolu-
ta” del sistema preventivo. Alcuni, influenzati anche da scelte teoriche o
ideologiche previe, vedevano don Bosco in prospettiva con la critica gen-
tiliana come un grande educatore che tuttavia non aveva lasciato opere di
riflessione teorica tali da poter essere inserite nei programmi della scuola
magistrale.107 Dall’altra parte c’erano posizioni favorevoli a un Don Bosco
pedagogista,108 che affermavano decisamente «l’esistenza in don Bosco di
107 Cfr. G. Gentile, Gli allarmi della “Civiltà Cattolica” e i pericoli della scuola ita-
liana, in «Giornale Critico della Filosofia Italiana» 7 (1926) 5, 394-395.
108 È il titolo di un articolo usato da Flores d’Arcais nella ripubblicazione di G. Bosco,
Il metodo educativo, a cura di G. Flores d’Arcais, CEDAM, Padova 1941, XXI-XL. Cfr.

18.5 Page 175

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174 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
una pedagogia, di una sistematica e coerente formulazione teoretica del
problema della educazione»109 e arrivavano a dichiarare che «la dottrina e
la prassi di don Bosco si organizzarono in modo completamente autonomo
e indipendente dal movimento educativo italiano a lui contemporaneo».110
La via di mezzo era rappresentata invece da quelli che vedevano in don
Bosco sia un educatore che un pedagogista, appartenenti alla corrente di
pedagogia cattolica che aveva ripreso slancio dopo la Divini Illius Magistri
(1929). Don Bosco era definito spesso come un pedagogista sui generis,
precursore dell’attivismo, in linea con la già menzionata “pedagogia del
Vangelo” di Casotti,111 oppure come un propugnatore della pedagogia inte-
grale, in linea con il gesuita Mario Barbera, il quale affermava:
Il metodo di don Bosco comprende nella maniera più organica, armoniosa,
soave insieme e forte il “soggetto dell’educazione cristiana” – come insegna l’En-
ciclica del Santo Padre – cioè “l’uomo tutto quanto, spirito congiunto al corpo in
unità di natura in tutte le sue facoltà, naturali e soprannaturali, quale ce lo fanno
conoscere la retta ragione e la Rivelazione”.112
3.3.1. Leôncio da Silva e l’ispirazione neotomista dell’Istituto Superiore di
Pedagogia
I maggiori tentativi di teorizzazione da parte dei salesiani ruotano at-
torno all’Istituto Superiore di Pedagogia di Torino-Rebaudengo. Nella pro-
spettiva di una pedagogia come scienza dell’educazione si indirizzavano
gli sforzi di Carlos Leôncio da Silva, salesiano brasiliano chiamato dal ret-
tor maggiore a fondare l’Istituto di Pedagogia a partire dal 1939. Venne in
Italia all’età di 51 anni, con esperienze ricche di insegnamento, condensate
nel volume Pedagogia: Manual teórico-prático para uso dos educadores,
I: O educando e sua educação del 1938.113 Dopo il suo arrivo in Europa si
anche G. Flores d’Arcais, La pedagogia di Don Bosco, in Studi pedagogici, Liviana,
Padova 1951, 59-73.
109 Flores d’Arcais, La pedagogia di Don Bosco, in Bosco, Il metodo educativo, XXI.
110 Flores d’Arcais, Avvertenza, in Bosco, Il metodo educativo, V.
111 Per allargamento delle interpretazioni è interessante confrontarsi con le riflessioni
in P. Braido, Il Sistema Preventivo di don Bosco, PAS Verlag, Zürich 21964, 39-41.
112 M. Barbera, La pedagogia di san Giovanni Bosco, in «La Civiltà Cattolica» 85
(1934) 2, 478-479.
113 Cfr. C. Leôncio da Silva, Pedagogia. Manual teórico-prático para uso dos educa-
dores, vol. 1: O educando e sua educação, Livr. Salesiana, São Paulo 1938.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 175
impegnò ad aggiornarsi in diversi centri di studi pedagogici europei. Degno
di nota, per le sue implicazioni, è il tentativo di conseguire il dottorato in
pedagogia a Friburgo nella scuola di Eugène Dévaud e De Munnyck. Dopo
un iniziale entusiasmo dei pedagogisti friburgesi per la ricerca dottorale
sul sistema pedagogico di don Bosco, la lettura del risultato del lavoro di
Leôncio suscitò un problema di fondo: in una facoltà di filosofia poteva es-
sere accettata una tesi che contiene elementi teologici e soprannaturali?114
Leôncio, in una lettera al rettor maggiore, così commenta:
Mi sorprendeva l’osservazione che la tesi così sorpassa i limiti della filoso-
fia, per quanto è appunto questo il mio merito, di dare, cioè, una sistemazione
completa dell’opera pedagogica di un dato autore, che ha voluto educare cristia-
namente, e la pedagogia cristiana sorpasserà sempre e dovrà sorpassare i limiti
della filosofia, facendo largo uso dei principi e dei mezzi soprannaturali della
rivelazione. […] La colpa dunque non era della tesi, ma della materia o meglio,
la colpa è dell’Università, che non ha ancora separato la Facoltà di Pedagogia da
quella di Filosofia.115
La tesi di Leôncio a Friburgo non ebbe successo e don Ricaldone lo ri-
chiamò a Torino alla cattedra di pedagogia nella facoltà di filosofia del Pon-
tificio Ateneo Salesiano. L’esperienza friburghese ebbe implicazioni per il
futuro della pedagogia salesiana, sia a livello di insegnamento, in quanto la
ricerca su don Bosco venne pubblicata solo sotto forma di dispense per gli
alunni, sia a livello di mentalità organizzativa, che plasmò l’impostazione
dell’istituto di pedagogia (relativamente) indipendente dalla facoltà di filo-
sofia. Nelle pagine successive riassumiamo il lavoro di Leôncio per la sua
struttura originale e innovativa. Nella pubblicazione Il sistema pedagogico
di don Bosco egli esprime il suo concetto di «pedagogia intesa come scien-
za dell’educazione esatta, completa, distinta».116 Nello Schema C esplicitia-
mo la sua epistemologia pedagogica che tenta una “sistemazione interna”,
combinando lo schema di base delle quattro cause aristoteliche con settori
di pedagogia sperimentale e pratico-poietica.117
114 Cfr. il giudizio di De Munnyck e Dévaud in J.M. Prellezo, Carlos Leôncio da
Silva, educador y pedagogo. En el centenario del nacimiento (1887-1987), in «Orienta-
menti Pedagogici» 35 (1988) 1, 106-107.
115 C. Leôncio da Silva, Lettera a don Ricaldone (26 maggio 1940), in ASC 275.
116 C. Leôncio da Silva, Il sistema pedagogico di don Bosco. Appunti ad uso degli
Alunni del Seminario di Pedagogia. Anno Accademico 1939-1940 XVIII, Eugenio Gili,
Torino [1940], 4.
117 Cfr. Ibid., 4-5.

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176 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
Schema C: Il sistema pedagogico di don Bosco secondo Leôncio da Silva.118
L’attenzione alla sistematicità di Leôncio da Silva, che trovava sintonie
con l’approccio simile di don Ricaldone, ebbe riflessi sia nella produzione
118 Lo Schema C è una sintesi del volume Leôncio da Silva, Il sistema pedagogico
di don Bosco, composta dalla parte sistematica (pp. 8-18) arricchita dagli elementi del
sistema pedagogico di don Bosco (pp. 30-104).

18.8 Page 178

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 177
pedagogica che nell’organizzazione degli studi dell’ISP. Per Leôncio gli
Appunti di pedagogia sacra di Barberis contengono “molta cosa buona”,
vengono citati nei suoi lavori, ma il nostro autore ritiene che la materia
dello scritto sia “messa un po’ alla rinfusa”.119 Egli si prende quindi la
libertà di prescindere dalla struttura di Allievo, adottata da Barberis, e
di sistemare la pedagogia in uno schema neotomista-sperimentale-pratico.
Oltre al cambiamento di organizzazione dei temi, è da notare l’assenza del
concetto di perfezionamento, che invece è importantissimo per la corrente
pedagogica spiritualistica torinese. All’interno dei diversi settori dell’edu-
cazione, rispetto a Barberis, Leôncio riunisce l’estetico nell’intellettuale e
aggiunge il nuovo settore dell’educazione sociale. L’esigenza di sistemazio-
ne progressiva è applicata all’insegnamento del Sistema pedagogico di don
Bosco partendo dalle dispense citate. L’ordinamento dell’argomentazione e
delle tematiche è compiuto solo parzialmente e le dispense sono interpreta-
te dall’autore solo come un abbozzo di una sintesi più ampia,120 prospettata
attorno ai lavori che Leôncio non portò a termine e sfociarono ultimamente
nei due volumi di don Ricaldone del 1951.
Ci sono alcuni accenti specifici della sintesi leônciana degni di menzio-
ne. Anzitutto è presente la forte convinzione di una pedagogia religiosa
e cattolica, per la quale Leôncio è disposto a sacrificare, come succede di
fatto, anche la difesa del dottorato a Friburgo. La “cattolicità” della sua
impostazione si riflette soprattutto nella “causalità finale” che propone uno
stile di vita cristiano come obiettivo generale dell’educazione. Nonostante
l’insistenza sulla cattolicità, la sintesi del nostro autore non ha le caratteri-
stiche dell’intransigenza tipiche dell’epoca, in quanto sviluppa una conce-
zione della vita cristiana che non è opposta alla vita “nel mondo”. Infatti, in
questa sezione vengono integrate le finalità naturali con quelle soprannatu-
rali e sono presenti il binomio donboschiano del cittadino-cristiano e il tri-
nomio santità-scienza-sanità. L’attenzione alle finalità viene poi sviluppata
non solo nell’ambito religioso, ma anche per i vari settori dell’educazione,
partendo da quello fisico, proseguendo nell’intellettuale e morale, per fi-
nire con le finalità sociali dell’educazione. In armonia con l’ideale della
“vita cristiana”, recepito come causa finale, viene proposto il ragionamento
sulla “causa efficiente” che vede la Chiesa come uno dei fattori educativi,
119 Cfr. J.M. Prellezo, Introduzione, in Appunti di pedagogia di Giulio Barberis
(1847-1927). Introduzione, testi critici e note a cura di José Manuel Prellezo. Postfazione
di Dariusz Grządziel, LAS, Roma 2017, 13.
120 Cfr. Leôncio da Silva, Il sistema pedagogico di don Bosco, 104.

18.9 Page 179

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178 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
introduce la pratica della religione come il primo dei mezzi dell’educazio-
ne morale e propone un “mezzo speciale” che integra la catechesi con la
pratica della religione.121
A differenza delle posteriori sintesi ricaldoniane, Leôncio propone l’as-
sistenza come «cuore dell’organismo educativo di don Bosco», definendola
come il mezzo generale dell’educazione «nel senso che si estende a tutta
l’opera educatrice e penetra nelle diverse contingenze della vita dell’edu-
cando. […] Senza di essa non c’è opera di educazione, c’è solo disordine
e diseducazione».122 Nelle argomentazioni a favore dell’assistenza si svela
anche l’ampiezza di questo stesso concetto che parte dalla constatazione
del bisogno fondamentale di socialità, nota la situazione dei giovani ab-
bandonati (= mancanza di assistenza) ed esamina la natura della “mobi-
lità giovanile” come sorgente della maggioranza dei difetti dei giovani.
L’assistenza in questo senso include le tematiche della relazione educativa,
della cura, del rapporto di amicizia, dell’interazione tra diversi assistenti-
educatori, affermando sinteticamente che «essa è essenzialmente vita con
i giovani».123 L’importanza dell’assistenza implica per il nostro autore una
condanna delle forme di “self government” dei ragazzi, un tema pedago-
gico che attirava l’attenzione dei contemporanei.124 La sintesi del volume è
nella linea di una pedagogia cattolica che si basa sulla relazione educativa,
mettendo l’amorevolezza al vertice della trilogia fondamentale e afferman-
do che per don Bosco «l’educazione è prima di tutto opera di amore».125
La concezione della pedagogia intesa come scienza dell’educazione e
la sua tripartizione si riflette anche nelle proposte per il curricolo di studi
nell’Istituto Superiore di Pedagogia torinese. Nel primo piano abbozzato
del curricolo di pedagogia si rispecchiava il pensiero del rettor maggiore
che così puntualizzava: «Fin’adesso i nostri studi pedagogici si sono fatti
come si è potuto; continuandosi la tradizione di don Bosco, i nostri rice-
vevano praticamente la loro formazione. È tempo di sistemare, di organiz-
zare meglio questi studi».126 Un robusto corpo di materie di base doveva
garantire la serietà della specializzazione pedagogica. Oltre agli insegna-
menti, don Leôncio metteva in evidenza la necessità delle applicazioni alla
121 Cfr. Ibid., 13 e 43-49.
122 Ibid., 75-76.
123 Ibid., 79.
124 Cfr. Ibid., 78. Infatti anche don Ricaldone ne dedica una parte del suo Don Bosco
educatore. Cfr. Ricaldone, Don Bosco educatore, vol. 1, 330-345.
125 Ibid., 103.
126 Cronaca dell’Istituto da l940 a 1946, in Archivio FSE.

18.10 Page 180

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 179
pratica educativa, cioè della riflessione sulle esperienze realizzate, esercizi
e tirocini di carattere educativo nell’ambiente concreto della scuola e delle
altre istituzioni dedicate all’educazione.127 Più tardi nel 1945 i primi Statuti
suddivideranno la proposta formativa dell’ISP in:
1. Discipline principali: Pedagogia generale filosofica, Pedagogia spe-
ciale pratica, Didattica generale e speciale, Storia dell’educazione e della
pedagogia;
2. Discipline ausiliarie: Biologia, Psicologia sperimentale generale, Psi-
cologia speciale dell’età evolutiva, Propedeutica filosofica, Filosofia dell’e-
ducazione, Teologia dell’educazione, Legislazione scolastica, Sociologia;
3. Discipline speciali: Biotipologia, Igiene, Caratteriologia, Psicopatolo-
gia dell’età evolutiva, Edilizia scolastica;
4. Corsi specifici: Metodologia speciale, Catechetica, Sistema preventi-
vo di don Bosco.
3.3.2. Il “Don Bosco educatore” e i paradossi di un manuale pedagogico
“magisteriale”
Il periodo di governo di Pietro Ricaldone si conclude “pedagogicamen-
te” con la pubblicazione del Don Bosco educatore.128 Anche se il volume
riprende il titolo dell’opera di don Cimatti, l’impostazione, le fonti, l’ar-
gomentazione e gli accenti dello scritto sono diversi. Pietro Ricaldone di-
chiara nella prefazione i suoi intenti «d’inquadrare ordinatamente il vero
tesoro di sapienza educativa» e «di presentare don Bosco quale educatore
soprattutto in atto, cioè oggettivamente e non speculativamente».129 Alli-
neata alla finalità è anche l’argomentazione molto estesa del progetto rical-
doniano che utilizza la ricchezza del materiale contenuto nei diciannove
volumi delle Memorie biografiche, infatti i due volumi di quasi 1.500 pa-
gine fanno ricorso a poco meno di 1.300 citazioni dalle Memorie. In realtà
i due volumi trascendono l’intenzione dichiarata e don Ricaldone propone
un documento magisteriale, collocato all’interno della collana “Formazio-
127 Cfr. G. Malizia - E. Alberich (eds.), A servizio dell’educazione. La Facoltà di
Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana, LAS, Roma 1984, 14-17;
Prellezo, Studio e riflessione pedagogica nella Congregazione Salesiana, 72.
128 Cfr. P. Ricaldone, Don Bosco educatore, Libreria Dottrina Cristiana, Colle Don
Bosco (Asti) 1951.
129 Ricaldone, Don Bosco educatore, V e VII.

19 Pages 181-190

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19.1 Page 181

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180 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
ne Salesiana”, più favorevole alla tesi di un don Bosco pedagogista che a
quella di un don Bosco (solo) educatore.130
Dall’analisi dei materiali ritrovati nell’Archivio Salesiano Centrale sem-
bra che si possa ricostruire il processo di elaborazione del Don Bosco edu-
catore in quattro fasi:
1. Raccolta del materiale dalle Memorie biografiche e dal “Bollettino
Salesiano” ad opera di don Leôncio da Silva, che coordinava un gruppo dei
salesiani studenti dell’ISP del Rebaudengo. Le citazioni di interesse peda-
gogico furono annotate su cinque mila schede organizzate con lo schema
mutuato dalle sue dispense sul Sistema pedagogico di don Bosco. All’i-
nizio del 1945, Leôncio prevedeva una possibile pubblicazione entro due
anni al massimo, in occasione del centenario della fondazione dell’Orato-
rio di Valdocco. Per arrivare al volume intitolato provvisoriamente “Don
Bosco pedagogista ed educatore”, l’autore utilizzò un metodo di lavoro di
tipo compilativo, che comportava il massiccio contributo degli stessi stu-
denti dell’ultimo anno di pedagogia. La proposta metodologica è esposta
da Leôncio nella maniera seguente:
Ordinate le schede secondo un piano scientifico pedagogico, che poi è quello
che seguiamo in scuola, abbiano distribuito tutte le schedine secondo gli argo-
menti e da esse così distribuite abbiamo inpolpato lo schema preformato. Venne
fuori questo progetto che potrà essere tutto riempito con le stesse parole di don
Bosco, non spettando al compilatore che presentare l’argomento e collegarlo con
poche parole.131
Questa prima bozza prevedeva un capitolo introduttivo su “don Bo-
sco pedagogista”, al quale facevano seguito cinque nuclei di riflessione:
l’educazione salesiana in generale, l’educando (causa materiale), lo scopo
dell’educazione (causa finale), l’azione educativa (causa efficiente), i frutti
dell’educazione (causa formale). Infine, il volume si doveva concludere con
un capitolo su “don Bosco educatore”.132 Nel quaderno che compendia le
citazioni dalle Memorie biografiche si nota un forte accento sull’amorevo-
lezza che, come tematica, occupa quasi un terzo del totale delle citazioni.133
130 Infatti, in una delle bozze della pubblicazione si trova anche il titolo “Don Bosco
educatore e pedagogista”. Cfr. ASC B0950101.
131 Leôncio da Silva, Lettera a Pietro Ricaldone (31 gennaio 1945) in ASC B0950205.
132 Cfr. Don Bosco pedagogista ed educatore (31 gennaio 1945), 1-13 in ASC B0950205.
133 Cfr. Appunti di pedagogia pratica secondo gli insegnamenti e gli esempi di S.
Giovanni Bosco estratti dalle Memorie Biografiche, Parte I: Insegnamenti. Parla S. Gio-
vanni Bosco, 7-18 in ASC B0950202.

19.2 Page 182

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 181
2. Cambiamento di schema e prima bozza. Il materiale di Leôncio
venne riorganizzato al modo di Barberis, suddividendo in settori dell’e-
ducazione e in alcune parti aggiuntive nelle quali si sviluppano tematiche
educative care a don Ricaldone.134 Allo schema si aggiunse una prima ste-
sura sintetica dell’argomentazione pedagogica contenuta in sole 47 pagi-
ne. Questo documento non firmato intitolato Il Sistema educativo di don
Bosco è l’estratto prezioso dei nuclei pedagogici dell’autore definitivo, che
con molta probabilità si può identificare in Pietro Ricaldone, dato che nel
testo dichiara di essere «successore di S. Giovanni Bosco. Ma sento pure la
tremenda responsabilità di questa carica che esige, tra gli altri miei doveri,
ch’io conservi e tramandi l’intero il pensiero pedagogico di don Bosco alle
future generazioni».135 Si tratta di un documento prezioso di sintesi che
non contiene ancora le citazioni delle Memorie biografiche e lascia intra-
vedere gli ingranaggi del ragionamento ricaldoniano.
3. Elaborazione della prefazione e dell’introduzione definitiva da
parte del rettor maggiore.136 Nell’Archivio si trova il primo manoscritto137
e le ulteriori correzioni di bozze.138 La tematica centrale è la questione di
don Bosco educatore e/o pedagogista, un tema affrontato da Ricaldone
già negli anni ’20 durante le lezioni di pedagogia tenute nello studentato
della Crocetta.139 Le dichiarazioni di don Bosco alle insistenti domande del
rettore del seminario di Montpellier di non sapere molto circa il proprio
metodo sono interpretate come un atto di umiltà e circoscritte all’ambi-
to ascetico del discernimento spirituale, ma non aderenti al metodo edu-
cativo.140 Combattendo interpretazioni che facevano ricorso al volume di
Fascie, Ricaldone insiste sulle tematiche della scienza pedagogica di don
134 Cfr. Il Sistema educativo di don Bosco, in ASC B0950101.
135 Ibid., 7.
136 Cfr. Ricaldone, Don Bosco educatore, V-IX e 1-59.
137 Cfr. Don Bosco educatore. Introduzione, in ASC B0950101.
138 Cfr. Don Bosco educatore. Prefazione, in ASC B0950101.
139 Cfr. Lezioni di pedagogia pratica salesiana impartite dal Rev.mo don Pietro
Ricaldone nello studentato teologico internazionale della Crocetta in Torino durante
l’anno scolastico … e raccolto dagli uditori, in ASC B0950202. Interessanti sono le
due definizioni della pedagogia, una speculativa che «costituisce quel complesso di co-
gnizioni certe ed evidenti che riguardano l’educazione» e l’altra pratica «che si occupa
dell’applicazione dei principi teoretici». In questo quadro la pedagogia di don Bosco
viene vista «come un sistema di azioni riguardanti l’opera educativa e precisamente per
fissare e determinare queste azioni, scrisse don Bosco pagine ammirevoli» quindi una
pedagogia piuttosto pratica. Cfr. Ibid., 5-6.
140 Cfr. Don Bosco educatore. Introduzione, in ASC B0950101, 6-9.

19.3 Page 183

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182 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
Bosco e presenta il fondatore come scrittore di materie pedagogiche in toni
definitivi e forti:
Da quanto abbiamo detto resta alfine chiarito e in modo ineccepibile il vero
senso delle parole pronunciate da don Bosco, che, speriamo, non vengano più da
ora in poi violentate a interpretazioni che ne snaturino il vero significato costi-
tuendo al tempo stesso una vera offesa al grande educatore.141
4. Ricezione dei feedback sulle bozze del volume ancora dattilografa-
to, ma già contenente le molte parti tratte dalle Memorie biografiche.142 I
recensori, che risposero tra giugno e ottobre del 1951, segnalarono diver-
se imprecisioni, fecero le loro considerazioni e concordarono quasi all’u-
nisono sulle frequenti ripetizioni, la prolissità dello stile, la mancanza di
continuità nella stesura e la sproporzione tra le sezioni e i capitoli. Carlos
Leôncio, per esempio, espresse un’osservazione generale di sintesi:
Una certa libertà di esposizione nella quale gli argomenti o la materia si vien
esponendo non a rigore, sviluppo e concatenazione logica, ma secondo affinità
ed associazione più pratiche quasi occasionali, dimostrando piuttosto preoccu-
pazione di non lasciar in oblio aspetti pratici e contingenti della questione. Una
struttura organica assai irregolare e sproporzionata in molte parti.143
5. Stesura definitiva dello scritto, pubblicato nel novembre del 1951.144
Sembra che diverse osservazioni puntuali siano state accolte e che la strut-
tura generale, della quale ci dà un’approssimazione la lettera di Andrea
Gennaro,145 sia stata modificata radicalmente. In particolare sembra che le
indicazioni di un recensore anonimo (identificabile però con don Eugenio
Ceria sia per la calligrafia che per il fatto di essere menzionato nell’elenco
dei recensori) abbiano avuto un forte impatto per la riscrittura del testo
141 Ibid., 9.
142 Cfr. Osservazioni di alcuni confratelli ai quali fu inviata la conferenza su Don
Bosco educatore per averne un parere, in ASC B0950104. Tra le otto recensioni nell’ar-
chivio sei sono firmate dai seguenti salesiani: Andrea Gennaro (che scrive anche in nome
di Nazareno Camilleri, decano del PAS), Carlos Leôncio da Silva, Giacomo Lorenzini,
A. Mancini, Evaristo Marcoaldi e Paolo Scelsi.
143 C. Leôncio da Silva, Osservazioni Generali, in ASC B0950104, 1.
144 Sembra che Pietro Ricaldone abbia curato in persona gli ultimi cambiamenti e le
correzioni delle bozze. Cfr. La morte del IV Successore di S. Giovanni Bosco don Pietro
Ricaldone, in «Bollettino Salesiano» 76 (1952) 1, 2.
145 Cfr. A. Gennaro, Lettera a Pietro Ricaldone (30 luglio 1951), in ASC B0950104,
3-10.

19.4 Page 184

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 183
nella parte strategica dei “mezzi educativi”. Il recensore suggeriva di in-
serire alcune «nozioni teoriche circa la natura e la necessità dell’autorità
dell’educatore: anche se don Bosco non ne parla ex professo».146 Contem-
poraneamente, nei foglietti scritti a mano segnalava il troppo contenuto
sull’assistenza e suggeriva di abbandonare la divisione leônciana dei pe-
ricoli legati all’amorevolezza tra “amare troppo” e “amare troppo poco”.
Questo anonimo recensore è uno dei pochi che non accusa l’eccessivo uso
delle citazioni e l’eterogeneità dello scritto. Trattandosi probabilmente di
don Ceria, compilatore degli ultimi volumi delle Memorie biografiche, la
scelta è così motivata: «Forse conviene prevenire una difficoltà. Parranno
troppe le citazioni e troppi i ricordi biografici. Ma bisogna far presente che
questo lavoro presenta don Bosco educatore in atto, cioè oggettivamente
non speculativamente; quindi è naturale che si moltiplichino i detti e i fatti
di don Bosco».147
È comprensibile che il processo di stesura abbia influito molto sul con-
tenuto che non è di facile lettura e denota le caratteristiche e i paradossi
segnalati già dai recensori. L’insistenza sulla completezza e sull’oggettivi-
tà, che dovevano essere garantite dai molteplici rimandi alle Memorie, era
una scelta che andava a svantaggio di uno schema logico e semplice che
organizzasse il contenuto. L’intento ricaldoniano di pubblicare una «ste-
sura definitiva»148 della pedagogia salesiana non poteva quindi fare omis-
sioni, in quanto la completezza era uno dei criteri fondamentali. In questo
contesto si colloca anche il paradosso più grande dei due volumi, costitu-
ito dal divario tra l’insistenza ricaldoniana sul don Bosco pedagogista e
l’argomentazione più dottrinale che scientifico-pedagogica all’interno di
molte pagine non organizzate sistematicamente. Il Don Bosco educatore
è piuttosto una raccolta di testimonianze tratte dalle Memorie senza un
approccio critico e sprovvista di un ordine giustificato teoricamente.149
Una questione molto interessante e centrale, che segue la traiettoria
evolutiva dello scritto, è la trattazione dei “mezzi dell’educazione”. Infatti
nelle diverse versioni si riscontrano significative variazioni rispetto al te-
sto finale che fanno intravedere la tensione interiore attorno al concetto di
assistenza, che si gioca in una relazione quasi dialettica tra l’amorevolezza
146 [E. Ceria] Don Bosco educatore. Aggiunta, in ASC B0950104, 1.
147 Ibid., 2.
148 Don Bosco educatore. Prefazione, in ASC B0950101, 1.
149 All’interno del Don Bosco educatore si citano solo poche volte gli Appunti di
Pedagogia Sacra o altri scritti più sistematici sull’educazione salesiana. Le citazioni
delle MB costituiscono più di tre quarti dei riferimenti bibliografici dell’opera.

19.5 Page 185

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184 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
e la disciplina. Partendo dal materiale raccolto da Leôncio e dagli studenti
del Rebaudengo, Ricaldone elabora nella prima bozza un concetto di as-
sistenza vista come mezzo generale dell’educazione, con la preponderante
connotazione dell’amorevolezza.150
Più tardi, sotto l’influsso delle osservazioni fornite dai recensori, e in coe-
renza con le sue linee di governo forti e applicative, Ricaldone cambia il testo
mettendo in primo piano la disciplina come mezzo generale dell’educazio-
ne. Il risultato finale, probabilmente anche sotto le contingenze delle ultime
settimane di vita dell’autore, rimane ambiguo con una soluzione dialettica
tra disciplina e amorevolezza. La maggioranza delle argomentazioni sono
a favore dell’amorevolezza ma nominalmente il binomio autorità-disciplina
appare in posizione di superiorità. Una comparazione delle due versioni illu-
stra bene le difficoltà interpretative del testo definitivo:
Il Sistema educativo di don Bosco,
in ASC B0950101, 34. 41-42
Si sa bene che non basta avere buo-
ni principii, buone idee, buoni concet-
ti delle cose da farsi; ci vogliono oltre
ai mezzi per eseguirle, principalmente
quella tattica, quella tecnica pratica
nell’applicarle. Ci vuole cioè sempre il
metodo. Molte volte i migliori principii
vengono compromessi, i migliori mezzi
vengono frustrati perché non si è sapu-
to applicarli. Non si è avuto quel savoir
faire, non si ha indovinata la tecnica
dell’applicazione.
Ora, se questo avviene per tutte le
operazioni, umane, tutte le imprese
dell’arte e dell’industria, ciò più ancora
si verifica in questa impresa dell’educa-
zione, questa veramente arte delle arti
nella quale sta in gioco non una cosa
qualunque materiale, ma la stessa per-
sona umana. L’educatore non lavora nel
legno, nel marmo o nel ferro: l’educa-
tore lavora le menti, i cuori, la volon-
tà, l’anima dei suoi educandi. Bisogna
dunque avere le mani ricoperte di vel-
luto.
Ricaldone, Don Bosco educatore,
vol. 1, 285-287
Non basta però avere buoni princì-
pi, idee chiare, concetti ben elaborati
delle cose da farsi: oltre alla possibilità
di tradurre tutto ciò in pratica, ci vuole
quella tecnica, o meglio quella tattica
speciale, e quello spirito che dànno vita
e valore al cosiddetto metodo. A volte
ottimi princìpi furono compromessi, e
mezzi di non dubbia efficacia frustrati,
perché non si seppe applicarli o non si
indovinò il modo giusto di attuarli pra-
ticamente.
Ora se ciò avviene per tutte le ope-
razioni umane, nelle imprese dell’indu-
stria e dell’arte, tanto più si avvera in
questa eccelsa missione dell’educatore,
in quest’arte delle arti, da cui dipende,
non già un interesse materiale o artisti-
co, sia pur rilevante, ma il perfeziona-
mento della stessa persona umana. L’e-
ducatore non lavora il legno, il marmo,
il ferro, ma bensì le menti e i cuori, la
volontà e l’animo dei suoi educandi: e
per un’impresa sì alta e delicata occorre
ricoprirsi le mani di velluto.
150 Cfr. Il Sistema educativo di don Bosco, in ASC B0950101, 34 e 41-42.

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 185
Essendo l’educazione l’arte più
aderente alla persona umana, e diretta
specialmente all’intelligenza e alla vo-
lontà, la sua metodologia deve essere
improntata, dev’essere dominata dalle
esigenze stesse di questa mente e di
questa volontà. In una parola i mezzi
dell’educazione devono essere sempre
capiti e voluti dagli educandi.
È in questa luce che noi vogliamo
vedere tutta la metodologia educativa
salesiana. Vogliamo cogliere tutta la
sua anima. Ora considerando tutto il
sistema educativo di don Bosco, i suoi
insegnamenti, i suoi scritti, tutta la sua
azione pedagogica, alla luce della carità
come abbiamo visto, non ci rimane da
assegnare come anima e principio im-
mediato, dominante di tutta la sua azio-
ne educativa, se non questa stessa ca-
rità fatta da lui stesso amorevolezza.
Siccome l’educazione è l’arte più
aderente alla persona umana, e diretta
specialmente all’intelligenza e alla vo-
lontà, la sua metodologia deve impron-
tarsi e ispirarsi alle esigenze stesse di
queste menti e di queste volontà. In una
parola i mezzi dell’educazione devono
essere sempre capiti e accettati dagli
educandi stessi.
Proprio in questa luce è bene vedere
ed esaminare la metodologia educativa
salesiana, cogliendone per dir così tutta
l’anima: e proprio in questa luce, secon-
do il pensiero e la pratica di don Bosco,
bisogna interpretare anzitutto il princi-
pio di autorità, che nell’ambiente edu-
cativo mantiene in fiore la disciplina.
Schema D: Varianti del testo del Don Bosco Educatore di don Ricaldone.
Il Don Bosco educatore è un’opera che documenta chiaramente la men-
talità dovuta alla collegializzazione dell’educazione salesiana, rinforzata
con le limitazioni imposte dal ventennio fascista. È paradigmatico che l’ha-
bitat per l’educazione sociale, che è un settore nuovo rispetto a Barberis,
sia visto solamente nella vita di famiglia all’interno del collegio e che si ap-
profondiscano le tematiche circa la paternità di don Bosco, le compagnie, il
valore sociale della vita di collegio e del gioco, i compagni buoni e cattivi,
ecc., arrivando ad applicazioni solo in relazione allo spirito di economia e
di risparmio, alla Società di Mutuo Soccorso e al galateo. Dimostrazione
dell’efficacia di una educazione sociale nel collegio sarebbero gli Exallievi
e il loro senso di riconoscenza.151 L’intenzionalità di conservare fedelmente
e completamente il sistema educativo di don Bosco ha portato l’autore a
non fare alcun riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, ai congressi
degli oratori e alla ricchezza delle attività del primo ventennio del secolo
XX. In questo contesto è chiaro il motivo per cui don Ricaldone polemizza
con l’unica esperienza contemporanea riportata: l’autogoverno nelle città
dei ragazzi come questione emblematica per interpretare l’assistenza e la
151 Cfr. Ricaldone, Don Bosco educatore, vol. 2, 191-244.

19.7 Page 187

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186 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
disciplina.152 Dedicandovi quindici pagine, conclude che l’autogoverno è in
contrasto con la natura, con le tradizioni civili, con le leggi di Dio e della
Chiesa.153
Alcuni accenti tipicamente ricaldoniani e altre sintesi caratteristiche di
un’epoca influenzata dalla Divini Illius Magistri sono degni di nota. Sono
chiari gli influssi dell’impostazione di Mario Casotti sull’impianto di fondo
che propone la «educazione cristiana come don Bosco l’intendeva, cioè
profondamente, completamente, squisitamente cristiana e cattolica».154
Nella linea casottiana si muove anche la rivalutazione della pedagogia at-
tivistica che vede don Bosco come un precursore delle scuole attive con il
suo metodo del Vangelo.
Ci pare che il volume risponda piuttosto alle esigenze degli anni ’30 che
a quelle degli anni ’50. Don Bosco educatore fu pubblicato come il “canto
del cigno” di don Ricaldone, rimanendo un documento di “magistero edu-
cativo” aggiunto agli Appunti di don Barberis da studiare nel noviziato.
Successivamente, la riflessione pedagogica nel PAS negli anni ’50 sarebbe
andata in un’altra direzione e in meno di quattro anni Pietro Braido avreb-
be pubblicato il suo Sistema preventivo di don Bosco che segna l’inizio
di un’altra epoca e una svolta negli studi pedagogici salesiani, avanzando
oltre la mentalità di crociata contro la pedagogia atea.
3.3.3. Alberto Caviglia - voce dissonante con un potenziale per il futuro
Alberto Caviglia, nato nel 1868 ed entrato nell’Oratorio nel 1881, face-
va parte della generazione dei salesiani che da ragazzi avevano conosciu-
to don Bosco. L’essersi confessato per tre anni dal Santo costituì per lui
un’esperienza determinante per la sua visione di don Bosco e del direttore
salesiano in generale. Prima autodidatta in campo storico e letterario, a 37
anni cominciò gli studi di lettere all’Università di Torino, allievo apprezza-
to e più tardi amico di Pietro Fedele, ministro dell’educazione dal 1924, che
inserì don Bosco nei programmi delle scuole magistrali in Italia.
Caviglia cominciò il suo impegno nell’ambito degli studi salesiani nel
1915, come membro della Commissione per l’edizione delle opere di don
152 Cfr. Ibid., vol. 1, 330-345.
153 Cfr. Ibid., vol. 1, 344.
154 Ricaldone, Don Bosco educatore, vol. 1, 35.

19.8 Page 188

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 187
Bosco, invitato dal consigliere scolastico Francesco Cerruti.155 Undici anni
più tardi, Filippo Rinaldi riconfermò l’incarico nominandolo editore degli
scritti di don Bosco. Don Caviglia si mise al lavoro e la serie di otto volumi
degli Scritti editi e inediti di Don Bosco cominciò ad essere pubblicata a
partire dal 1929 e si concluse con due volumi postumi.156
Nel suo impegno di editore egli dimostra una «saggia, equilibrata e,
sotto vari aspetti, anticipatrice capacità di valutazione critica».157 Nono-
stante i limiti dati dalla vicinanza temporale a don Bosco che non per-
metteva una libertà di espressione e la mancanza di una completa docu-
mentazione, la produzione di Caviglia su don Bosco rimane un classico
con queste caratteristiche: responsabilità nell’accesso ai documenti; uno
sguardo che va oltre agli aspetti legati alla ricostruzione delle fonti; una
serena ed elegante interpretazione; un’attenzione spirituale nella lettura
del sistema preventivo.158
Per intendere il rapporto tra educazione e spiritualità nell’interpreta-
zione di Caviglia è indicativo lo scambio di lettere con Eugenio Ceria, che
lo interrogava su come procedere nel suo lavoro sulla vita di preghiera
di don Bosco. Caviglia esprime la sua opinione fondamentale: «Tutto ciò
che si riferisce alla personalità spirituale di don Bosco deve dedursi dagli
elementi biografici e dall’impronta lasciata ed impressa nella sua pratica
educativa […] non dai suoi libri. […] Perché si è sicuri che don Bosco non
ha mai inculcato se non quello che egli stesso faceva».159 Questa osserva-
zione è valida non solo per la spiritualità di don Bosco ma anche nella sua
pratica educativa. Caviglia afferma anche un altro criterio simmetrico: il
sistema preventivo nell’educazione si capisce a fondo solo tenendo conto
155 Cfr. Lettera di F. Cerruti ad A. Caviglia (19 marzo 1915), in C. Semeraro, Alberto
Caviglia 1859-1943. I documenti e i libri del primo editore di don Bosco tra erudizione
storica e spiritualità pedagogica, SEI, Torino 1994, 110.
156 La serie Opere e scritti editi ed inediti di “Don Bosco” nuovamente pubblicati e
riveduti secondo le edizioni originali e manoscritti superstiti contiene le seguenti opere
con note e studi introduttivi di un’estensione significativa: Storia sacra, Storia ecclesia-
stica, Le vite dei papi, Storia d’Italia, La vita di Savio Domenico, Il “Magone Michele”,
La vita di Besucco Francesco. Cfr. la bibliografia completa in Semeraro, Alberto Cavi-
glia, 169-182.
157 Semeraro, Alberto Caviglia, 43.
158 Cfr. G.B. Borino, Don Bosco. Sei scritti e un modo di vederlo, Edizione non
venale, Roma 1940, 15-16. NB: lo scritto di Borino merita attenzione per la sensibilità
storico-critica che supera la tradizionale retorica celebrativa degli scritti su don Bosco
degli anni ’30.
159 Lettera di A. Caviglia a E. Ceria (30 marzo 1929), in Semeraro, Alberto Caviglia,
130-131.

19.9 Page 189

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188 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
dell’importanza delle motivazioni religiose, della volontà di salvezza per le
anime. La forma spirituale di don Bosco sta appunto nell’animare di senso
spirituale la vita quotidiana, non applicando una logica del dovere.160
Dovendo però suggerire a don Ceria alcuni scritti donboschiani, il
nostro autore menziona come i più originali le narrazioni biografiche dei
giovani formati dal Santo. Infatti Caviglia costruisce una linea interpre-
tativa di don Bosco visto come “pedagogo narrativo”, implementata nei
suoi scritti sulle biografie giovanili e ripresa parzialmente nei suoi anni
’50 da Pietro Braido e recentemente da Aldo Giraudo.161 Caviglia afferma
all’interno del suo ultimo lavoro monumentale di oltre 600 pagine che
nello scritto sulla vita di Domenico Savio «si trova rispecchiato tutto il
don Bosco spirituale e santo, e tutto lo spirito da lui trasfuso nell’opera
sua».162 Infatti dalla biografia di Domenico, Caviglia ricostruisce tutti i
punti dell’educazione salesiana di don Bosco all’interno di una “peda-
gogia della santità” che è pedagogia intimamente spirituale: preghiera,
unione con Dio, devozione mariana, vita eucaristica, vita estatica, cari-
smi, eroismo, impegno apostolico, compagnie, amicizie, sacrifici, pati-
menti, novissimi.163
Il lavoro del Caviglia sulla Vita di Domenico Savio ricevette anche re-
azioni negative che furono determinanti per la fortuna dello scritto. Da un
lato, nell’opinione di Ceria lo studio è troppo lungo e denso, perciò non
sarebbe stato né letto né diffuso tra i salesiani;164 dall’altro lato ci sono le ri-
serve espresse dal rettor maggiore. Pietro Ricaldone, in contatto con Cavi-
glia già dai tempi del suo incarico di consigliere professionale, apprezzava
alcuni dei suoi scritti come «lavori coscienziosi, profondi, sodamente equi-
160 Cfr. A. Caviglia, Don Bosco. Profilo storico, SEI, Torino, 21934, 25.
161 Cfr. A. Giraudo, Maestri e discepoli in azione, in G. Bosco, Vite di giovani. Le
biografie di Domenico Savio, Michele Magone e Francesco Besucco. Saggio introduttivo
e note storiche a cura di Aldo Giraudo, LAS, Roma 2012, 5-35. Cfr. anche A. Giraudo,
Direzione spirituale in san Giovanni Bosco. Contenuti e percorsi dell’accompagnamento
spirituale dei giovani nella prassi di don Bosco, in F. Attard - M.A. García (eds.),
L’accompagnamento spirituale. Itinerario pedagogico spirituale in chiave salesiana al
servizio dei giovani, LDC, Torino 2014, 161-172.
162 [A. Caviglia (ed.),] Opere e scritti editi e inediti di “Don Bosco” nuovamente
pubblicati e riveduti secondo le edizioni originali e manoscritti superstiti, vol. 4: La vita
di Savio Domenico, SEI, Torino 1942, 590.
163 Cfr. Opere e scritti editi e inediti di “Don Bosco”, vol. 4: La vita di Savio Domenico,
237-589.
164 Cfr. Lettera di E. Ceria ad A. Caviglia (7 giugno 1943), in Semeraro, Alberto
Caviglia, 145-146.

19.10 Page 190

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 189
librati, pervasi dal più puro spirito salesiano».165 Nel lavoro su Domenico
Savio si tocca, però, un punto nevralgico: l’importanza della confessione
all’interno del servizio del direttore. Per Caviglia è un aspetto fondamenta-
le, anche per la sua esperienza diretta con don Bosco; per Ricaldone invece
l’accento sul direttore come confessore avrebbe prodotto, nelle circostanze
degli anni ’40 quando il direttore non poteva più confessare, delle “gravis-
sime conseguenze”, indebolendo il ruolo del direttore visto prevalentemen-
te come “custode ufficiale dello spirito religioso”: «Le affermazioni di don
Caviglia […] potrebbero servire di pretesto per incrinature e magari per
crepe di natura irreparabile nel grande edificio della Società Salesiana».166
Così, neanche due mesi prima della sua morte, Alberto Caviglia, sfollato
a Bagnolo Piemonte con gli studenti della Crocetta a causa dei bombarda-
menti sulla città di Torino, espresse al rettor maggiore il suo dolore circa
le reazioni ad un lavoro che egli intendeva come «il catechismo definitivo
di salesianità»,167 ed invece non era raccomandato né valorizzato come si
sarebbe aspettato. Infatti il Don Bosco educatore del Ricaldone non ne fa
menzione e per una sua valorizzazione bisognerà aspettare il primo studio
di Pietro Braido nel 1955.
165 Lettera di P. Ricaldone ad A. Caviglia (9 dicembre 1922), in Semeraro, Alberto
Caviglia, 118.
166 Lettera di P. Ricaldone ad A. Caviglia (10 settembre 1943), in Semeraro, Alberto
Caviglia, 154.
167 Lettera di A. Caviglia a P. Ricaldone (14 settembre 1943), in Semeraro, Alberto
Caviglia, 157

20 Pages 191-200

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20.1 Page 191

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190 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
3.4. Strumenti e risorse
3.4.1. Tabella cronologica
storia mondiale
rivoluzione comunista in Russia 1917
termina la prima guerra mondiale 1918
epidemia dell'influenza spagnola 1919
USA, diritto di voto alle donne 1920
1921
Pio XI eletto papa; Mussolini sale al governo 1922
riforma scolastica di Gentile (Italia) 1923
1924
Dewey, Esperienza e natura 1925
fallisce lo sciopero generale in Gran Bretagna 1926
1927
Pio XI, Rerum Ecclesiae (missioni) 1928
Grande depressione, Conciliazione Chiesa-Italia 1929
Pio XI, Divini Illius Magistri (educazione) 1930
Azione Cattolica, unica org. giov.catt.in IT 1931
1932
Hitler diventa cancelliere della Germania 1933
1934
termina la "lunga marcia" di Mao Tse-Tung 1935
inizia la guerra civile in Spagna 1936
1937
Notte dei cristalli (Germania) 1938
inizia 2. guerra mon.; Pio XII eletto papa 1939
Sconfitta della Francia 1940
invasione dell'Unione Sovietica 1941
Battaglia delle Midway 1942
Maritain pubblica L’educazione al bivio 1943
sbarco in Normandia 1944
termina la 2. guerra mondiale, bomba atomica 1945
1946
piano Marshall - ricostruzione dell'Europa 1947
Mahatma Gandhi assassinato 1948
George Orwell scrive il romanzo "1984" 1949
in California si diffondono i "beatnik" 1950
inizia l'integrazione europea 1951
1952
storia salesiana
Rinaldi riunisce le prime VDB
pubblicazioni di pedagogia salesiana
Ricaldone, Noi e la classe operaia, Scaloni , Le jeune
éducateur chrétien
monumento a don Bosco a Valdocco Albera, Don Bosco nostro modello
comincia la missione nel nordest dell'India
Filippo Rinaldi eletto rettor maggiore Regolamento degli oratori aggiornato
grandi spedizioni missionarie (nei prossimi 15 anni partono >3500 SDB)
Auffray, Une méthode d’éducation
inizia la missione in Giappone Cimatti, Don Bosco educatore
50o dei cooperatori - congresso a Torino
Convegno dei direttori degli oratori Rinaldi, Convegno oratori d’Europa; Fascie, Del metodo
educativo di Don Bosco
beatificazione di don Bosco, Caviglia Ceria, Don Bosco con Dio
comincia la serie Scritti di DB... Rinaldi, Motivi di apostolato e di perfezionamento
Rinaldi, Conserviamo e pratichiamo le nostre tradizioni
Pietro Ricaldone eletto rettor maggiore
fondazione salesiane oblate SOSC Casotti, Il metodo educativo di don Bosco
Canonizzazione di don Bosco Barbera, La pedagogia di san Giovanni Bosco
Ricaldone, Santità e purezza
Ricaldone, Fedeltà a Don Bosco Santo
fondazioni asiatiche: Suore della carità, Ancelle del cuore immacolato di Maria
CG15 (tema: case di formazione)
Leôncio da Silva, Il sistema pedagogico di don Bosco
erezione del Pontificio Ateneo SalesiaRniocaldone, Oratorio catechismo formazione religiosa
lancio della "Crociata catechistica ", della LDC e dell'Istituto Superiore di Pedagogia PAS
fondazione Missionarie di Maria Aus. Caviglia, La vita di Savio Domenico
Ricaldone, inizia la collana "Formazione Salesiana"
Leôncio lavora su “DB pedagogista...”Ricaldone, Studentati filosofici e teologici
Ricaldone, Preparazione degl’insegnanti
CG16 (pedagogia PAS, cinema...) Ricaldone, Il rendiconto
fondazione Suore dell'Immacolata Ricaldone, Preparazione sociale dei soci e degli alunni
Ceria, La vita religiosa in S.F. di Sales
persecuzioni comuniste (di 13% SDB)Bouquier, Don Bosco educateur
canonizzazione di M.D. Mazzarello Ricaldone, Don Bosco educatore
Renato Ziggiotti eletto rettor maggiore

20.2 Page 192

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 191
3.4.2. Bibliografia selezionata
Barbera M., San Giovanni Bosco educatore, SEI, Torino 1942.
Borino G.B., Don Bosco. Sei scritti e un modo di vederlo, Edizione non venale,
Roma 1940.
Bosco G., Il metodo educativo, a cura di G. Flores d’Arcais, CEDAM, Padova 1941.
Braido P., L’oratorio salesiano in Italia e la catechesi in un contesto socio-politico
inedito (1922-1943), in «Ricerche Storiche Salesiane» 25 (2006) 48, 7-100.
Breve cronistoria, deliberazioni e raccomandazioni del XVI Capitolo Generale, in
ACS 27 (1947) 143, 1-87.
Casotti M., Il metodo educativo di don Bosco, La Scuola, Brescia 1960.
Casotti M., La pedagogia di S. Giovanni Bosco, in G. Bosco, Il metodo preventivo
con testimonianze e altri scritti educativi inediti, La Scuola, Brescia 21938, 5-94.
Caviglia A., Don Bosco. Profilo storico, SEI, Torino, 21934.
[Caviglia A. (ed.),] Opere e scritti editi e inediti di “Don Bosco” nuovamente pub-
blicati e riveduti secondo le edizioni originali e manoscritti superstiti, vol. 4: La
vita di Savio Domenico, SEI, Torino 1942.
Ceria E. (ed.), Il contributo della Congregazione Salesiana alla crociata catechi-
stica nelle realizzazioni di don Pietro Ricaldone, IV successore di San Giovanni
Bosco, Libreria Dottrina Cristiana, Colle don Bosco (Asti) 1952.
Chiosso G., Educazione e pedagogia nel primo Novecento (Dal punto di vista dell’I-
talia), in Sviluppo del carisma di Don Bosco fino alla metà del secolo XX, vol. 1,
155-186.
Cojazzi A., Pier Giorgio Frassati. Testimonianze, SEI, Torino 1928.
Dickson W.J., Prevention or repression, in González et al. (eds.), L’educazione sale-
siana dal 1880 al 1922, vol. 1, 213-236.
Flores d’Arcais G., La pedagogia di Don Bosco, in Studi pedagogici, Liviana, Pa-
dova 1951.
Formazione del personale salesiano, in ACS 17 (1936) 78, 3-163.
Gli onori del Campidoglio, in BS 58 (1934) 6, 185.
González J.G. et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922. Istanze ed attua-
zioni in diversi contesti. Atti del 4° Convegno Internazionale di Storia dell’Opera
salesiana Ciudad de México, 12-18 febbraio 2006, 2 voll., LAS, Roma 2007.
Isaú Souza Ponciano dos Santos M., Luz e sombras. Internatos no Brasil, Ed. Sale-
siana Dom Bosco, São Paolo 2000.
Istituto Storico Salesiano - Centro Studi Figlie di Maria Ausiliatrice, Sviluppo
del carisma di Don Bosco fino alla metà del secolo XX. Atti del Congresso Inter-
nazionale di Storia Salesiana Roma, 19-23 novembre 2014 a cura di A. Giraudo
et al., 2 vols., LAS, Roma, 2016.
Lanfranchi R., Studio della pedagogia e pratica educativa nei programmi formativi
delle Figlie di Maria Ausiliatrice dalla morte di S. Giovanni Bosco al 1950, in
Sviluppo del carisma di Don Bosco fino alla metà del secolo XX, vol. 1, 187-204.
Leôncio da Silva C., Il sistema pedagogico di don Bosco. Appunti ad uso degli Alun-
ni del Seminario di Pedagogia. Anno Accademico 1939-1940 XVIII, Eugenio
Gili, Torino [1940].

20.3 Page 193

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192 3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità
Leôncio da Silva C., Pedagogia. Manual teórico-prático para uso dos educadores,
vol. 1: O educando e sua educação, Livr. Salesiana, São Paulo 1938.
Lezioni di pedagogia pratica salesiana impartite dal Rev.mo don Pietro Ricaldone
nello studentato teologico internazionale della Crocetta in Torino durante l’anno
scolastico … e raccolto dagli uditori, in ASC B0950202.
Oni S., I Salesiani e l’educazione dei giovani in Piemonte, durante il periodo del
fascismo, in Zimniak - Loparco (eds.), L’educazione salesiana in Europa negli
anni difficili, 147-170.
Pio XI, Divini Illius Magistri, in AAS 22 (1930) 49-86.
Pio XI, Vigilanti cura. La lettera enciclica sul cinema (29 giugno 1936) in AAS 38
(1936) 249-263.
Prellezo J.M., Carlos Leôncio da Silva, educador y pedagogo. En el centenario del
nacimiento (1887-1987), in «Orientamenti Pedagogici» 35 (1988) 1, 98-120.
Prellezo J.M., Studio della pedagogia e pratica educativa nei programmi formativi
dei salesiani (1874-1956), in Sviluppo del carisma di Don Bosco fino alla metà del
secolo XX, vol. 1, 205-220.
Ricaldone P., Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 13 (1933) 58, 2-5.
Ricaldone P., Strenna del 1933. Pensar bene di tutti - Parlar bene di tutti - Far del
bene a tutti, in ACS 14 (1933) 61bis, 43-76.
Ricaldone P., Strenna del 1934. Santità e purezza. A ricordo della canonizzazione di
S. Giovanni Bosco nostro fondatore e padre, in ACS 16 (1935) 69bis, 3-81.
Ricaldone P., Strenna del Rettor Maggiore per il 1935. Fedeltà a Don Bosco Santo,
SEI, Torino 1936.
Ricaldone P., La visita canonica nelle case salesiane, in ACS 20 (1939) 94, 1-213.
Ricaldone P., Oratorio festivo catechismo formazione religiosa. Strenna del Rettor
Maggiore 1940, SEI, Torino 1940.
Ricaldone P., Il rendiconto, in ACS 27 (1947) 142, 1-112.
Ricaldone P., Don Bosco educatore, Libreria Dottrina Cristiana, 2 voll., Colle Don
Bosco (Asti) 1951.
Ricaldone P., Formazione Salesiana, vol. 1: I Voti: Introduzione - Povertà, vol. 2: I
Voti: Castità - Ubbidienza, vol. 3: Le Virtù: Introduzione - La Fede, vol. 4: Le Vir-
tù: La Speranza, vol. 5: Le Virtù: La Carità, vol. 6: Le Virtù Cardinali, vol. 7: Le
Virtù: L’Umiltà, vol. 8: La Pietà: Vita di Pietà, L’Eucaristia, Il Sacro Cuore, vol. 9:
La Pietà: Maria Ausiliatrice - Il Papa, vol. 10: Il Rendiconto - La Visita Canonica,
vol. 11: Oratorio Festivo, Catechismo, Formazione Religiosa, vol. 12 e 13: Don
Bosco educatore, Libreria Dottrina Cristiana, Colle Don Bosco (Asti) 1944-55.
Rossi G., Nazionalismi, italianità, strategia dei Salesiani all’estero, Zimniak - Lo-
parco (eds.), L’educazione salesiana in Europa negli anni difficili, 171-190.
Ruffinatto P., Linee pedagogiche dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice dal-
la morte del fondatore al 1950, in Sviluppo del carisma di Don Bosco fino alla
metà del secolo XX, vol. 1, 245-266.
Schmid F., L’influenza dei nazionalsocialisti sui concetti pedagogici e sulla prassi
educativa dei Salesiani di don Bosco e delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Au-
stria, in Zimniak - Loparco (eds.), L’educazione salesiana in Europa negli anni
difficili, 249-274.

20.4 Page 194

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3. Fedeltà disciplinata a don Bosco santo in tempi di avversità 193
Semeraro C., Alberto Caviglia 1859-1943. I documenti e i libri del primo editore di
don Bosco tra erudizione storica e spiritualità pedagogica, SEI, Torino 1994.
Stella P., La canonizzazione di don Bosco tra fascismo e universalismo, in F. Tra-
niello (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, SEI, Torino 1987,
359-382.
Zimniak S. - Loparco G. (eds.), L’educazione salesiana in Europa negli anni difficili
del XX secolo. Atti del Seminario Europeo di Storia dell’Opera salesiana Craco-
via, 31 ottobre - 4 novembre 2007, LAS, Roma 2008.
3.4.3. Risorse online
Fonti, documenti, ricerche, pubblicazioni full-text, materiali fotografici,
legati a questo capitolo.168
168 Cfr. salesian.online/pedagogia3

20.5 Page 195

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20.6 Page 196

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4. PRIMA, DURANTE E DOPO I CAMBIAMENTI
DEL VATICANO II
(1952-1978)
Gli anni ’50 erano caratterizzati dalla speranza e da una rinnovata ener-
gia legata alla crescita postbellica sia nella società civile che nella Chiesa.
Nei cosiddetti anni del “roveto ardente” si convergeva sulle traiettorie per
il futuro in ricerca di una società giusta e aliena da ogni violenza, di cui il
ricordo era ancora molto vivo. Anche in campo ecclesiastico, nonostante
lo stile di governo accentratore di Pio XII, si notarono alcune aperture
di provenienza più europea che romana. Nell’ambito delle organizzazio-
ni giovanili si rilevava una crescita dell’associazionismo tradizionale, ma
alcuni eventi, come le dimissioni del presidente dei giovani dell’Azione
Cattolica Mario Rossi, facevano notare le tensioni interne e la crescente
volontà dei giovani per un cambiamento più risoluto. Una tendenza che
sarebbe diventata il motore dei cambiamenti e del tumulto dei successivi
anni ’60, nei quali si sarebbero mescolati la novità del Concilio Vaticano
II, il ritorno alle fonti, l’idealismo e alcune utopie di stampo socialista con
il radicalismo tipico delle giovani generazioni.1
4.1. Il contesto sociale, educativo ed ecclesiale attorno al Concilio Va-
ticano II
La ricostruzione di nuovi equilibri sociali, economici e politici dopo il
tragico conflitto mondiale fu sicuramente il movente fondamentale della
storia degli anni ’50. Per rappresentare l’assetto della politica internazio-
1 Cfr. G. Martina, Storia della Chiesa. Da Lutero ai nostri giorni, vol. 4: L’età con-
temporanea, Morcelliana, Brescia 1995, 249-284 e la parte su “la crisi della cultura
intransigente (1958-2013)” all’interno di D. Menozzi, Storia della Chiesa, vol. 4: L’età
contemporanea, EDB, Bologna 2019.

20.7 Page 197

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196 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
nale si può utilizzare il modello dei “tre mondi”, che rimane valido per
tutta la seconda metà del Ventesimo secolo. All’interno di esso la Guerra
fredda costituisce la dinamica fondamentale che caratterizza il rapporto
tra il “primo mondo democratico”, con un’economia liberale e sempre più
globalizzata, e il “secondo mondo socialista” dell’Unione Sovietica con
i suoi satelliti e alleati. Nei paesi del terzo mondo, invece, in mezzo alle
dinamiche del raggiungimento dell’indipendenza politica, si nota un boom
demografico e prospettive per il futuro dipinte ancora a colori chiari.
4.1.1. La Ricostruzione postbellica e una crescente coscienza mondiale
La polarizzazione sovietico-americana sminuì il ruolo dell’Europa
postbellica nel mondo, che si mosse con decisione seguendo il principio
dell’autodeterminazione dei popoli finora colonizzati. Il “grande” colonia-
lismo finì e il nuovo “terzo mondo”, emerso con più forza alla conferenza
di Bandung nel 1955, doveva fare i conti con le conseguenze dei processi di
decolonizzazione diversi tra nazione e nazione. Una prima logica fu porta-
ta avanti dalla Gran Bretagna, che adottava un approccio di preparazione
all’indipendenza nelle sue colonie, avendo di mira il Commonwealth inte-
so come comunità di nazioni sovrane. La Francia, invece, si opponeva fino
all’ultimo momento alla decolonizzazione con una politica di assimilazio-
ne e dipendenza economica che alla fine sfociava in conflitti (Indocina e
Algeria), determinando un rapporto molto problematico con le ex-colonie
in futuro. Alcuni tra i nuovi Stati emergenti del terzo mondo entrarono a
far parte dell’Internazionale comunista, altri si muovevano sulle traiettorie
di un’organizzazione formalmente democratica ma autoritaria nella realtà.2
Nel dopoguerra a livello del primo mondo si assistette al consolidamen-
to dell’egemonia degli Stati Uniti e alla diffusione del “mito americano”,
che ha poi influenzato la cultura, la musica, la narrativa e il cinema a li-
vello mondiale. Un’impronta americana è visibile anche nella creazione
degli organismi di coordinamento mondiale come l’Organizzazione delle
Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. Il
coordinamento americano, anche attraverso il piano Marshall, contribuì
alla stabilità economica del Primo mondo e alla ricostruzione dell’Europa
occidentale. Già nel 1951 la produzione economica dell’Europa occiden-
tale superava del 30% il livello precedente alla guerra. Dal punto di vista
2 Cfr. B. Droz, Storia della decolonizzazione nel XX secolo, Mondadori, Milano 2007.

20.8 Page 198

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 197
cattolico, non solo la ricostruzione e la crescita economica, ma soprattutto
la forza dei partiti democratico-cristiani nella politica europea creava un
contesto che dava speranze per la costruzione di un mondo migliore. In
America latina la supremazia economica degli Stati Uniti si faceva sen-
tire fortemente e, anche per questo, gli anni ’50 e ’60 furono un periodo
politico piuttosto instabile che oscillava tra autoritarismo, spesso di tipo
militare, populismo e liberalismo.
Nella Congregazione salesiana gli anni ’50 furono generalmente carat-
terizzati dalla stabilità dell’impianto magisteriale e organizzativo di Rical-
done e dalla crescita del personale e delle attività dell’apostolato giovanile.
Basta seguire le riviste delle compagnie salesiane, stimolate nell’attività
dalla canonizzazione di Domenico Savio nel 1954, o i programmi della
Scuola Attiva Salesiana delle FMA per rendersi conto della crescita ope-
rosa di quegli anni. A livello del primo e del terzo mondo la crescita della
Congregazione si manifestò soprattutto in Asia e il rettorato di don Renato
Ziggiotti, ex consigliere scolastico e vicario generale, si contraddistinse
per i suoi viaggi e il crescente senso mondiale del carisma salesiano.3 Il
quadro generalmente ottimista non era lontano da posizioni trionfaliste
che guardavano il futuro attraverso le lenti di una crescita perpetua, istituti
grandi, espansione mondiale, nuove cause di canonizzazione introdotte,
ecc. Il simbolo di questa mentalità potrebbe essere identificato nell’edifi-
cazione del Colle don Bosco o dell’istituto di Cinecittà a Roma con il suo
moderno Tempio di don Bosco armonizzato con l’architettura funziona-
lista del quartiere nato attorno ai famosi studi cinematografici. Anche le
costruzioni grandiose della sede romana del Pontificio Ateneo Salesiano,
progettate nella seconda metà degli anni ’50, risentono della mentalità di
una grandeur numerica e organizzativa che confidava in una continua cre-
scita.
La situazione nel “secondo mondo” era, invece, del tutto diversa. Il co-
munismo di matrice stalinista degli anni ’50, molto duro di fronte alla
Chiesa cattolica, segnò la storia di diverse ispettorie salesiane: chiuse le
ispettorie della Cina, requisite ed espropriate le case salesiane in Cina,
Vietnam, Polonia, Ungheria, Jugoslavia e Cecoslovacchia. Le strategie per
fronteggiare il regime si potrebbero semplificare in tre modelli. Nella per-
secuzione più dura, come in Unione Sovietica (cfr. le case della Lituania)
e nella Cina, l’unica soluzione era la fuga, in quanto non restava nulla: le
3 Cfr. R. Ziggiotti, Ho visto don Bosco in tutti i continenti, in «Bollettino Salesiano»
79 (1955) 17, 333-342.

20.9 Page 199

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198 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
case venivano confiscate e i confratelli che rimanevano sarebbero stati co-
munque espulsi, deportati o uccisi. In altri contesti, come p.e. in Cecoslo-
vacchia, nei quali essere membro di un ordine religioso era giudicato dalla
legislazione un crimine, i confratelli dovettero entrare in clandestinità: ap-
parentemente erano operai, ingegneri, insegnanti e di nascosto esercitava-
no la missione apostolica. In altri paesi dell’Europa Centrale come la Jugo-
slavia, la Polonia e l’Ungheria le opere erano perse, ma i salesiani potevano
esercitare in qualche misura il ministero nelle parrocchie diocesane.4
4.1.2. Sviluppi della pedagogia cattolica fino alla metà degli anni ’60
Nel dopoguerra la pedagogia cattolica si sviluppava ispirandosi al
pensiero di autori già noti come Jacques Maritain, Emmanuel Mounier
o Romano Guardini. Le loro riflessioni, nate soprattutto negli anni ’30,
si possono collocare, come giustamente fa Giorgio Chiosso, nel contesto
della risposta alla percezione di una crisi della civiltà. Il Tramonto dell’Oc-
cidente di Oswald Spengler diede il primo segnale descrivendo il declino
della vecchia Europa. La percezione della crisi, oltre all’insufficienza del
modello scientifico,5 si percepiva anche nel dilemma tra “l’uomo borghese”
capitalista e “l’uomo totalitario” o di stampo collettivistico, un dilemma
quanto mai attuale nell’epoca della “cortina di ferro”. Bisogna notare che
la pedagogia cattolica in Italia non si inserisce pienamente nella corrente
del pensiero personalistico menzionato, rimanendo ancora legata agli ag-
giornamenti e sperimentazioni della scuola attiva.6
I primi stimoli personalistici della rivista “Esprit”, nata attorno a Em-
manuel Mounier, si mossero in una direzione decisa di denuncia dell’indi-
vidualismo borghese, definendolo una metafisica della solitudine. Dall’al-
4 Cfr. le sintesi contenute in S. Zimniak - G. Loparco (eds.), L’educazione salesiana in
Europa negli anni difficili del XX secolo. Atti del Seminario Europeo di Storia dell’Opera
salesiana Cracovia, 31 ottobre - 4 novembre 2007, LAS, Roma 2008; Wirth, Da don
Bosco ai giorni nostri, 389-393.
5 Tra i contributi più autorevoli cfr. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissen-
schaften und die transzendentale Phänomenologie. Eine Einleitung in die phänomeno-
logische Philosophie, in «Philosophia» 1 (1936) 1, 77-176. Per una contestualizzazione e
rivalutazione del contributo di Husserl cfr. H. Seidl, Kritische Bemerkungen zu Husserls
Schrift „Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänome-
nologie“, in «Studia Philosophiae Christianae» 36 (2000) 2, 317-339.
6 Cfr. G. Chiosso, Novecento pedagogico. Profilo delle teorie educative contempora-
nee, La Scuola, Brescia 1997, 223-239.

20.10 Page 200

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 199
tro lato la rivista criticava fortemente i sistemi totalitari che asservivano
l’uomo alla massa rifiutando la fondamentale categoria della “persona”. Il
Cristianesimo occidentale, feudale o borghese nelle sue forme, si trovava
in crisi e secondo gli autori dell’Esprit era necessaria una riemersione di
un Cristianesimo che vedesse la persona come centro e motore dell’uni-
verso. Per Mounier la persona non era da pensarsi con i tradizionali criteri
razionali, ma doveva essere concepita come un’espressione della “presen-
za in me” aperta, dinamica e misteriosa dell’essere umano che chiede su-
peramento, convergenza e unificazione di tutto il suo agire. Mounier nel
suo progetto riprese tanti elementi della tradizione platonico-agostiniana
vista con la sensibilità nuova della fenomenologia e dell’esistenzialismo.
La scuola di quegli anni era giudicata troppo accentrata dallo Stato a li-
vello organizzativo, troppo razionalistico-nozionista a livello di didattica
e troppo legata a una morale dei doveri kantiani a livello di proposta etica.
Il personalismo mounieriano proponeva invece l’evento educativo come la
maturazione di una vocazione personale che si compie in un contesto co-
munitario (famiglia, scuola, ambiente), configurandosi come un itinerario
verso la scoperta di sé e l’impegno di responsabilità verso gli altri.7
Jacques Maritain nel suo volume Humanisme intégral, che risale alla
seconda metà degli anni ’30, integrò la riflessione neotomista con le rifles-
sioni sulla laicità, promuovendo delle strategie di governo democratico,
una combinazione di scelte alquanto felici per lo sviluppo dell’occidente
negli anni ’50. Il volume di maggior influsso fu, però, L’educazione al bi-
vio, che è una raccolta di lezioni alla Yale University realizzate durante la
guerra nel 1943. Il titolo esprime l’idea dello scritto che nell’educazione ci
siano due strade possibili da prendere: una vede l’uomo come un individuo
formato dalla evoluzione naturale e dagli influssi sociali, l’altra pensa l’es-
sere umano come una persona che si possiede per mezzo dell’intelligenza
e della libertà.
Nella prima parte dell’Educazione al bivio Maritain denuncia gli erro-
ri dell’educazione del suo tempo: misconoscimento dei fini, false idee ri-
guardo al fine, pragmatismo, sociologismo, intellettualismo, volontarismo
e, infine, la concezione che ogni cosa può essere insegnata.8 Gli errori
denunciati esprimono l’insufficienza del modello empiristico-tecnocratico
dell’educazione. L’autore propone invece un’educazione che armonizza la
tradizione classico-cristiana con le conoscenze scientifiche e l’attenzione
7 Cfr. Ibid., 228-234.
8 J. Maritain, L’educazione al bivio, La Scuola, Brescia 1963, 14-46.

21 Pages 201-210

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21.1 Page 201

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200 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
moderna alla libertà, per proporre itinerari educativi che considerino l’uo-
mo nella sua integralità, corpo e anima, natura e soprannatura, conoscenza
e azione, libertà e grazia. Maritain spera che l’umanità, una volta superate
le tragedie disumanizzanti dei totalitarismi e della guerra, avrà sete di un
“nuovo umanesimo”, che si potrà realizzare attraverso una educazione in-
tegrale. Per assicurare questa integralità, il progetto del filosofo prevede
norme fondamentali alla guida dell’opera educativa:
1. incoraggiare e favorire quelle disposizioni fondamentali che permet-
tono al giovane di svilupparsi nella vita dello spirito;
2. centrare l’attenzione sull’intima profondità della personalità e dell’in-
teriorizzazione dell’influenza educativa;
3. tutta l’educazione e l’insegnamento devono tendere a unificare e non
a disperdere, devono costantemente sforzarsi di assicurare e nutrire l’inter-
na unità dell’uomo;
4. l’insegnamento ottenga la liberazione dello spirito mediante il domi-
nio della ragione sulle cose imparate.9
Romano Guardini era, invece, più influenzato dalla fenomenologia te-
desca. Mantenendo i rapporti con Max Scheler e Martin Buber, elaborò la
sua visione educativa attorno alla Weltanschauung cattolica che si trova
«nell’incontro continuo, per così dire metodico, tra la fede e il mondo. E
non solo il mondo in generale, così come fa anche la teologia quando si
pone diversi problemi, ma in concreto, come nel caso della cultura e delle
sue manifestazioni, della storia, della vita sociale».10 Più che la formazio-
ne del carattere e delle singole dimensioni della persona, la sua proposta
valorizza l’incidenza dell’incontro tra l’educatore e l’educando. L’incontro
autentico rappresenta il momento in cui la persona si imbatte nella realtà
accogliendola, si lascia colpire dalla sua peculiarità prendendo posizione
in essa con il suo agire. Dall’intensità dell’incontro con la realtà, con le
persone, con l’Assoluto, scaturisce l’illuminazione della profondità dell’e-
sperienza.11
Gli autori nominati non ebbero inizialmente molta risonanza nella ri-
flessione pedagogica salesiana e anche Pietro Braido, la figura fondamen-
tale per la pedagogia salesiana dell’epoca, si occupò negli anni ’50 piut-
9 Cfr. Ibid., 63-84.
10 R. Guardini, “Europa” und “Christliche Weltanschauung”, in Stationen und
Rückblicke, Werkbund, Würzburg 1965, 20.
11 Cfr. R. Guardini, Die Begegnung. Aus einer Ethikvorlesung, Werkbund, Würzburg
1965.

21.2 Page 202

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 201
tosto della necessità di staccare la pedagogia dalla filosofia e di dialogare
con le metodologie empiriche, cercando proprie soluzioni epistemologiche
e metodologiche.
4.1.3. L’Istituto Superiore di Pedagogia
L’Istituto Superiore di Pedagogia (ISP) nacque nel 1940 a Torino per
esplicita volontà di don Ricaldone, il quale percepiva la necessità di erigere
questa nuova “Facoltà” in vista della sua funzione per la Società Salesiana,
società religiosa di educatori. L’ISP aveva il compito di sistemare e di or-
ganizzare meglio gli studi di preparazione pedagogica dei salesiani.12 Ren-
dendo pubblica la notizia alla Congregazione il rettor maggiore precisò:
Per preparare appunto sempre meglio i soci salesiani all’alta missione di edu-
catori secondo il sistema preventivo lasciatoci in eredità preziosa dal nostro santo
fondatore, abbiamo potuto al fine attuare una aspirazione da tempo accarezzata,
aprendo cioè il prossimo anno scolastico nell’Ateneo Pontificio Salesiano, a fian-
co delle tre Facoltà di Teologia, Diritto e Filosofia, un Istituto Superiore di Peda-
gogia. […] Nel sullodato istituto vogliamo anzitutto formare gl’insegnanti di pe-
dagogia per le nostre case di formazione, perché da esse possano uscire salesiani
esemplari ed educatori attrezzati e aggiornati nella pedagogia e nella didattica.13
Da parte sua, don Carlos Leôncio, stretto collaboratore di don Ricaldo-
ne nella fondazione dell’ISP e primo decano del medesimo, lasciò scritto
nella cronaca: «È una istituzione un po’ diversa da quelle che si sono già
organizzate in altri atenei ed università, delle quali si son prese le dovute
conoscenze e tenuto il dovuto conto, e se dovutamente approvata dalla
Santa Sede sarebbe la prima Facoltà Pontificia di Pedagogia».14 Tenendo
presente la volontà manifestata da don Ricaldone, nel 1945 le autorità del
PAS iniziarono le pratiche per il riconoscimento giuridico. È interessante
seguire il processo di approvazione, poiché fa capire alcuni cambiamenti di
paradigma operati in questi anni. I primi tentativi ricevettero un giudizio
negativo dalle autorità pontificie per tre ragioni:
12 Cfr. Cronaca dell’Ist. da 1940 a 1946, in Archivio FSE.
13 P. Ricaldone, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 21 (1941) 106, 142.
14 Cronaca di don Carlos Leôncio (1941), in J.M. Prellezo, Studio della pedagogia
e pratica educativa nei programmi formativi dei Salesiani, in A. Giraudo et al (eds.),
Sviluppo del carisma di Don Bosco fino alla metà del secolo XX. Atti del Congresso
Internazionale di Storia Salesiana Roma, 19-23 novembre 2014, vol. 1: Relazioni, LAS,
Roma, 2016, 217.

21.3 Page 203

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202 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
1. la novità epistemologica: la pedagogia era considerata un’arte o al
massimo una parte della psicologia filosofica;
2. l’inconsistenza numerica dell’Istituto;
3. la mancanza dei titoli adeguati dei professori.15
Dopo diversi sforzi e la necessaria preparazione di alcuni professori
a Lovanio e negli Stati Uniti, nell’anno 1952 cambiò anche l’assetto or-
ganizzativo a livello della Congregazione. Dopo la scomparsa di don Ri-
caldone il nuovo Consigliere Scolastico, don Secondo Manione, prese in
mano la situazione appoggiando un cambiamento di strategia. Nell’Istituto
del Rebaudengo, dovendo fare i conti con la malattia di don Leôncio che
era rientrato in Brasile, la guida dell’ISP passò al giovane pro-decano don
Pietro Braido. Dalle posizioni di Leôncio, che preferiva i ragionamenti di
una epistemologia filosofica, si passò alla “politica dei fatti”, che a detta di
Braido consisteva nella risposta ai bisogni dell’epoca:
A livello di analisi della realtà era necessario sottolineare l’enorme inciden-
za sociale e cristiana dei problemi dei giovani in un mondo dalle sconvolgenti
trasformazioni sociali, economiche, culturali; l’insufficienza della preparazio-
ne tradizionale degli operatori religiosi e sociali; la progressiva avanzata delle
scienze umane. Sul piano organizzativo urgevano nuove iniziative: preparazione
di personale in istituti specializzati; vasto confronto con il mondo pedagogico
contemporaneo, compreso quello ispirato a differenti ideologie; intensificazione
della produzione scientifica.16
Le risposte alle sfide socio-educativo-organizzative si esprimevano
all’inizio all’interno della rivista “Salesianum” con la produzione di ar-
ticoli che denotavano un interesse rivolto soprattutto verso la pedagogia
sperimentale, la pratica analitica nell’educazione dei ragazzi “difficili”,
l’impiego dei test. Durante la presidenza di don Gino Corallo, autore di una
ponderosa indagine sulla pedagogia deweyana, nel 1954 nacque la rivista
“Orientamenti Pedagogici” sotto la direzione di Braido. Oltre agli artico-
li della rivista furono pubblicati alcuni volumi che raccolsero una buona
15 Prellezo colloca in questo contesto le parole di don Ricaldone: «Se il buon don
Fascie mi avesse dato retta, quando gli dicevo di mandare due chierici in Belgio, due in
Francia, due nella Svizzera, due negli Stati Uniti a perfezionarsi in Pedagogia…, avrem-
mo adesso personale preparato, con titoli moderni per la nostra Facoltà di Pedagogia».
Cfr. J.M. Prellezo, Facoltà di Scienze dell’Educazione. Origini e primi sviluppi (1941-
1965), in G. Malizia - E. Alberich, A servizio dell’educazione. La Facoltà di Scienze
dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana, LAS, Roma 1984, 25.
16 Prellezo, Facoltà di Scienze dell’Educazione (1941-1965), 29.

21.4 Page 204

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 203
risonanza a livello italiano: la ricerca empirica Gioventù di metà secolo
di Pier Giovanni Grasso, lo studio Il Sistema Preventivo di Don Bosco e
l’Introduzione alla pedagogia di Braido.17 La produzione scientifica, la cui
risonanza giunse a conoscenza della Santa Sede, creò una cornice inter-
pretativa che favorì l’approvazione dei titoli dell’IPS dalle autorità vaticane
nel 1956. Pochi mesi dopo Enzo Giammancheri, professore bresciano di
pedagogia, pubblicò un articolo dal titolo emblematico: “La prima Facoltà
di Pedagogia è sorta in Italia nel nome di don Bosco”.18
Nello stesso anno fu approvato l’Istituto internazionale superiore di
pedagogia e di scienze religiose delle FMA, che era sorto a Torino appe-
na due anni prima. L’istituto, fondato in seguito agli stimoli ricaldoniani
sull’importanza della preparazione catechetica, proponeva inizialmente un
biennio di studi che successivamente si allargò a un percorso quadriennale
con le specializzazioni dell’orientatore pedagogico, del dirigente del movi-
mento catechistico e dello psicologo scolastico. L’istituto sarebbe evoluto
più tardi nella Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium.19
Con i cambiamenti di strategia operativa e la crescente importanza del
metodo sperimentale in pedagogia, appreso da parte di Luigi Calonghi e
Pier Giovanni Grasso dal professor Raymond de Buyse dell’Università di
Lovanio,20 si può percepire anche una modifica degli equilibri nell’im-
postazione dell’ISP. Rispetto alle idee ricaldoniane che prevedevano delle
«granitiche basi della filosofia perenne e della teologia cattolica, e insieme
sui dati che ci offrono le altre scienze, quali la psicologia, la biologia, la
sociologia»,21 c’è uno spostamento di orientamento verso le scienze uma-
ne e verso il metodo scientifico-sperimentale. La pedagogia scientifica di
Raymond de Buyse rispondeva all’esigenza di sottrarre le metodologie
17 Cfr. P.G. Grasso, Gioventù di metà secolo. Risultati di un’inchiesta sugli orien­
tamenti morali e civili di 2000 studenti italiani, Ave, Roma 1954; P. Braido, Il Sistema
Preventivo di don Bosco, PAS Verlag, Zürich 1955; Id., Introduzione alla pedagogia.
Saggio di epistemologia pedagogica, PAS, Torino 1956.
18 Cfr. E. Giammacheri, La prima Facoltà di Pedagogia è sorta in Italia nel nome di
don Bosco, in «Scuola Italiana Moderna» 66 (1957) 17, 7-8.
19 Cfr. L. Dalcerri, Istituto internazionale superiore di pedagogia e di scienze
religiose, in «Rivista di pedagogia e scienze religiose» 1 (1963) 1, 3-7 e Pontificia facoltà
di scienze dell’educazione Auxilium 1970-2020. Contributi per la storia, Pubblicazione
del 50° a cura di Hiang-Chu Ausilia Chang, Grazia Loparco, Piera Ruffinatto, Palumbi,
Roma 2020.
20 Cfr. il volume di L. Calonghi, Tests ed esperimenti, PAS, Torino 1956.
21 P. Ricaldone, Don Bosco Educatore, Libreria Dottrina Cristiana, Colle Don Bosco
(Asti) 1951, vol. 1, 56.

21.5 Page 205

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204 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
educative e didattiche al dogmatismo, all’intuizionismo e all’impressioni-
smo, che davano più importanza all’esperienza del singolo educatore ri-
spetto allo studio di campioni quantitativamente significativi. In quest’im-
postazione l’ISP preferiva la “psicologia quantitativa” dei test rispetto alla
“psicologia qualitativa” più spiritualistica del padre Gemelli, fondatore
dell’Università Cattolica.22 La psicologia sperimentale, introdotta nel mon-
do salesiano attraverso il movimento delle scuole nuove, trovò applicazioni
significative nei processi di orientamento professionale, venendo apprez-
zata (e quindi legittimata) anche da Ricaldone nel suo Don Bosco Edu-
catore.23 L’apertura dei salesiani alla psicologia è testimoniata anche nel
“Bollettino Salesiano”, che negli anni ’50 riservò uno spazio alle tematiche
psicologiche nell’educazione. Per esempio, il numero di aprile del 1954
esprime l’idea di integrazione tra l’educazione salesiana e la psicologia con
il titolo: «Non basta l’amore: ci vuole anche psicologia».24
Il nuovo orientamento dell’ISP si manifestò anche nella cresciuta im-
portanza del criterio della “distinzione”: il percorso di studi prevedeva
infatti dal 1953 diverse specializzazioni e anche l’Istituto si suddivise in
unità minori chiamati “istituti”, “scuole” o “centri”: Scuola di pedagogia
teoretica, Centro di studi storico-pedagogici, Centro didattico, Centro di
studi e ricerche sulla scuola professionale, Istituto di psicologia, Istituto
di teologia dell’educazione e catechetica. La laurea in pedagogia veniva
conferita con l’aggiunta di una specializzazione relativa a una di queste
scuole.25
Un passaggio ulteriore in questa direzione fu il periodo in cui l’istituto
trasferì la propria sede in via Marsala a Roma. I cambiamenti emergono
studiando il processo della revisione degli Statuti del 1959, approvati defi-
nitivamente nel 1965. José Manuel Prellezo nota il depennamento dei rife-
rimenti a don Bosco e al sistema preventivo e l’apertura agli studenti laici
che, oltre alle precedenti possibilità di studio per gli studenti religiosi non
salesiani, poteva essere una soluzione al numero esiguo di studenti salesia-
ni. Gli istituti all’interno dell’ISP acquistarono più autonomia, diventando
22 Cfr. PAS-Pedagogia, in ASC 247.
23 Cfr. Ricaldone, Don Bosco Educatore, vol. 2, 452 che si riferisce alla relazione di
G. Lorenzini al primo Congresso Nazionale di Orientamento Professionale di Torino nel
1948 con il titolo L’orientamento professionale nella prassi educativa salesiana.
24 Gli educatori sbagliano?, in «Bollettino Salesiano» 78 (1954) 7, 122. La rivista
pubblicizza inoltre la collana “Psicologia e vita” di psicologia applicata a problemi edu-
cativi diretta da don Lorenzini.
25 Cfr. Prellezo, Facoltà di Scienze dell’Educazione (1941-1965), 29-30.

21.6 Page 206

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 205
centri di didattica e di ricerca.26 La caratteristica più evidente del progetto
del 1959 è la sottolineatura metodologica per la quale la didattica è la meto-
dologia dell’educazione intellettuale; la catechetica è la metodologia dell’e-
ducazione religiosa, ecc.27 La soluzione di voler equilibrare una solida for-
mazione generale con le esigenze particolari delle specializzazioni aveva
creato un disagio concreto degli studenti nel dover fronteggiare i requisiti
degli insegnamenti di un “robusto corpo” di materie pedagogiche comuni
assieme a tante materie specifiche e professionalizzanti. La soluzione di
don Braido del 1959 risente di un certo nominalismo quando afferma che
la specializzazione è:
la preparazione del pedagogista con scopi determinati, entro l’ambito della
funzione educativa; non mira alla formazione dello psicologo puro o dello storico
puro, ma del metodologo, dello storico, dello psicologo, del didatta e del catecheta
in “missione” educativa.28
Illuminanti sono le idee di Braido espresse nel suo volume del 1956 In-
troduzione alla pedagogia, specialmente all’interno del capitolo “Idee per
una facoltà di pedagogia”.29 La sua impostazione parte dal concetto di un
“Istituto di Scienze dell’Educazione” proposto da Édouard Claparède, che
fu il maggior rappresentante europeo del funzionalismo sviluppato all’u-
niversità di Chicago a partire dagli anni ’20.30 Braido propone una facoltà
organizzata in modo da rispecchiare la sua epistemologia pedagogica, che
è in fondo riconducibile alla sintesi herbartiana: il problema pedagogico
è essenzialmente problema di mezzi per il raggiungimento di fini o del-
le finalità educative. Perciò la psicologia e l’etica sono per Herbart, e in
conseguenza per Braido, indissolubilmente congiunte nella costituzione
di una scienza pedagogica.31 Dalle modalità argomentative di Braido si
26 Cfr. Ibid., 41 e Pontificium Athenaeum Salesianum MCMXL - MCMLXV, [s.e.],
Romae 1966, 28-67. L’accento sulla scientificità empirica si può notare anche in altre
facoltà del PAS. Ad es. la facoltà di filosofia, oltre al seminario di scienze sociali, aveva
anche istituto di biologia e l’istituto di scienze fisico-matematiche. Cfr. Ibid., 24-27.
27 Cfr. Ibid., 39-43.
28 Altri documenti, in Prellezo, Facoltà di Scienze dell’Educazione (1941-1965), 43.
29 Cfr. Braido, Introduzione alla pedagogia. Saggio di epistemologia pedagogica,
169-181.
30 Gli influssi delle impostazioni belghe e americane si notano anche nella bibliografia
che si riferisce a Joseph Nuttin di Lovanio, Timothy O’Leary di Washington e agli atti del
primo convegno sull’insegnamento universitario delle scienze pedagogiche organizzato
da Richard Verbist a Gand nel 1953.
31 Cfr. la difesa della pedagogia di Herbart di fronte alla critica gentiliana in Braido,

21.7 Page 207

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206 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
può risalire ad alcuni punti di forza: la difesa del valore della pedagogia
sperimentale contro l’idealismo filosofico; la necessità di superare la su-
perficialità dell’empirismo e dello sperimentalismo; la genericità, l’igno-
rantia elenchi o gli illegittimi passaggi da un ordine di idee all’altro di un
pedagogista speculativo autosufficiente; il bisogno di superare le soluzioni
acritiche e manualistiche promuovendo una maggior facilità di giudizi cri-
tici fortemente localizzati.32 Braido prevede, inoltre, l’esistenza di un’opera
educativa accanto alla Facoltà per poter applicare coerentemente e sistema-
ticamente i principi e i metodi pedagogici, un desiderio che con l’ISP non
era stato attuato.
Nella sua impostazione, oltre ai meriti di un equilibrato rapporto tra
lo speculativo e lo sperimentale, si trovano alcuni limiti riconducibili al
contesto degli anni ’50. C’è una fiducia “moderna” nelle scienze sia posi-
tive che speculative, per la quale tutte e due presentano gli attributi della
certezza, del realismo, dell’oggettività, e quindi l’autore si aspetta di tro-
vare «enunciati realmente universali e necessari, nell’ambito di ogni piano
conoscitivo».33 L’integralità della scienza pedagogica consiste per Braido
nella sua totalità, ossia nell’abbracciare «con i suoi principi e le sue leggi
la totalità del fenomeno studiato».34 È minore la preoccupazione per i rap-
porti tra le discipline, in quanto è forte il posto dato «all’unità oggettiva del
fine, l’educare».35 L’impostazione di Braido è comprensibile se teniamo
conto delle dinamiche del contesto post-ricaldoniano, all’interno del quale
si percepiva piuttosto il rischio che l’unità del magistero soffocasse la giu-
sta pluralità dei punti di vista e che l’unità operativa di un governo forte e
centralizzato spegnesse la creatività dei singoli. Con gli avvenimenti del
Concilio Vaticano II gli equilibri furono cambiati in radice, sgretolando
il fondamento granitico della filosofia perennis e sciogliendo, in parte, la
forza del governo gerarchicamente centralizzato.
4.1.4. La svolta del Concilio Vaticano II nella Gravissimum Educationis
Il 1959 fu l’anno del centenario della Congregazione salesiana e anche
l’anno dell’annuncio della convocazione del Concilio Ecumenico Vaticano
Introduzione alla pedagogia. Saggio di epistemologia pedagogica, 50-51.
32 Cfr. Ibid., 162-179.
33 Ibid., 171. Cfr anche Ibid., 173 e 177.
34 Ibid., 171.
35 Ibid., 173.

21.8 Page 208

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 207
II. La coincidenza di questi due eventi venne a rafforzare nei salesiani la
convinzione di un periodo nuovo della Congregazione in un’epoca di svol-
ta. Il rettor maggiore Renato Ziggiotti fu scelto dal papa Giovanni XXIII a
far parte del Concilio come membro della commissione dei religiosi. Parte-
cipò alle prime tre sessioni e valutò quest’esperienza come una scuola mi-
rabile e un impulso per la responsabilizzazione nell’impegno di corrispon-
dere meglio alla vocazione di tutti quelli che sono chiamati all’apostolato.36
Il Concilio Vaticano II, oltre allo spirito di dialogo e all’impostazione
del “corpus conciliare” che riconosce l’autonomia e la necessaria apertu-
ra alle realtà terrene e in conseguenza alle scienze umane, condensò il
suo messaggio educativo nella dichiarazione Gravissimum Educationis,
pubblicata verso la fine dei lavori conciliari.37 Il proemio del documento
sintetizza molto bene le preoccupazioni, il concetto di educazione e offre
alcune prospettive, per cui ne riportiamo le parti salienti:
L’estrema importanza dell’educazione nella vita dell’uomo e la sua incidenza
sempre più grande nel progresso sociale contemporaneo sono oggetto di attenta
considerazione da parte del sacro Concilio ecumenico. In effetti l’educazione dei
giovani, come anche una certa formazione permanente degli adulti, sono rese in-
sieme più facili e più urgenti dalle circostanze attuali. Gli uomini, avendo una più
matura coscienza della loro dignità e della loro responsabilità, desiderano par-
tecipare sempre più attivamente alla vita sociale, specie in campo economico e
politico. D’altra parte gli sviluppi meravigliosi della tecnica e della ricerca scien-
tifica, i nuovi mezzi di comunicazione sociale danno loro la possibilità, anche
perché spesso hanno più tempo libero a disposizione, di accostarsi più facilmente
al patrimonio culturale e spirituale dell’umanità e di arricchirsi intrecciando tra i
gruppi e tra i popoli più strette relazioni. […] Da parte sua la santa madre Chiesa,
nell’adempimento del mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di
annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di edificare tutto in Cri-
sto, ha il dovere di occuparsi dell’intera vita dell’uomo, anche di quella terrena, in
quanto connessa con la vocazione soprannaturale; essa perciò ha un suo compito
specifico in ordine al progresso ed allo sviluppo della educazione.38
Già dal proemio si percepiscono dei residui di una logica di un certo du-
plex ordo che negli anni del Concilio e postconcilio fu presente anche nella
maggioranza delle riflessioni pedagogiche salesiane. Essa consiste nel consi-
derare autonome, e spesso di fatto separate, le dinamiche di crescita umana
36 Cfr. R. Ziggiotti, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 44 (1963) 229, 5-6.
37 Cfr. Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum Educationis, in AAS
58 (1966) 728-739.
38 Gravissimum Educationis, Proemio.

21.9 Page 209

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208 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
e quella di fede, ragione e fede, educazione ed evangelizzazione, Chiesa e
società, il Vangelo e i diritti civili, i processi didattico-catechistici e i conte-
nuti della fede, ecc. L’argomentazione dei documenti spesso tenta di tenere
insieme i due poli, per cui si usano strutture linguistiche come “sia… sia…”,
“mentre”, “nel contempo” e simili. La trattazione parte dalla dichiarazione
del “diritto inalienabile all’educazione” e lo arricchisce con i contenuti della
Divini Illius Magistri specificando che l’educazione deve “rispondere alla vo-
cazione propria” di ciascuna persona.39
La tendenza a distinguere e allo stesso tempo ad abbinare il polo umano
a quello di fede, combinando i riferimenti ai documenti freschi del Conci-
lio con l’enciclica di Pio XI, appare diverse volte: la vera educazione deve
promuovere la formazione della persona umana sia in vista del suo fine
ultimo, sia per il bene dei vari gruppi di cui l’uomo è membro; i cristiani
sono chiamati sia a testimoniare la speranza che è in loro, sia a promuove-
re l’elevazione in senso cristiano del mondo; la scuola cattolica, mentre si
apre alle esigenze determinate dall’attuale progresso, educa i suoi alunni a
promuovere efficacemente il bene della città terrena ed insieme li prepara
al servizio per la diffusione del regno di Dio; la Chiesa deve dare ai cattoli-
ci un’educazione tale, che tutta la loro vita sia penetrata dello spirito di Cri-
sto, ma nel contempo essa offre la sua opera a tutti i popoli per promuovere
la perfezione integrale della persona umana; gli insegnanti devono essere
forniti della scienza sia profana che religiosa; il compito delle facoltà di
teologia è sia esplorare meglio il patrimonio della sapienza cristiana, sia
favorire il dialogo con i fratelli separati e con i non cristiani; e infine la
conclusione auspica non solo il rinnovamento della Chiesa dall’interno, ma
anche una accentuata e benefica presenza nel mondo moderno.40
La svolta dalla Divini Illius Magistri alla Gravissimum Educationis è ov-
via, in quanto si passa da uno stile apologetico e di difesa dei diritti della
Chiesa in un mondo ostile a uno stile dialogico con un mondo caratterizzato
da un rapido progresso scientifico e sociale. Le piste di sintesi offerte dalla
dichiarazione conciliare sono da interpretare con la percezione di una “sta-
gione magica”, con l’ottimismo della crescita economica degli anni ’60, con
la necessità di uscire dalla mentalità della “fortezza assediata” e con il biso-
gno di “aggiornamento” spinto in parte anche da un complesso di inferiorità
rispetto ai progressi delle scienze umane.41 Si reputava facile partire dai va-
39 Cfr. Gravissimum Educationis, n. 1.
40 Cfr. Ibid., nn. 1.2.3.8.11 e la conclusione.
41 Cfr. Chiosso, Novecento pedagogico, 240-242.

21.10 Page 210

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 209
lori naturali, inquadrarli nella considerazione completa dell’uomo redento da
Cristo, con la finalità di contribuire al bene di tutta la società.42
Il problema della logica del duplex ordo, oltre alle carenze teologiche
analizzate da Hans Urs von Balthasar,43 è riconducibile alle difficoltà ab-
bastanza concrete della creazione di quell’auspicato dialogo tra le scienze
umane e teologiche. La GE sostiene l’idea di un’unica verità, ma non dà le
chiavi di lettura, non indica vie percorribili, raccomanda che
le varie discipline siano coltivate secondo i propri principi e il proprio metodo,
con la libertà propria della ricerca scientifica, in maniera che se ne abbia una sem-
pre più profonda comprensione e, indagando accuratamente le nuove questioni
e ricerche suscitate dai progressi dell’epoca moderna, si colga più chiaramente
come fede e ragione si incontrano nell’unica verità.44
Similmente la scuola descritta nel numero 5 della GE sarebbe un’isti-
tuzione “umana” che fa maturare le facoltà intellettuali, mette a contatto
con il patrimonio culturale acquisito dalle passate generazioni, promuove
il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un rap-
porto di amicizia tra alunni, si costituisce come un centro di incontri con
finalità culturali, civiche e religiose. La scuola cattolica ha tutti i compiti
precedenti e in più dovrebbe «aiutare gli adolescenti perché nello sviluppo
della propria personalità crescano insieme secondo quella nuova creatura
che essi sono diventati mediante il battesimo […] sicché la conoscenza del
mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illumi-
nata dalla fede».45
42 Cfr. Gravissimum Educationis, n. 2.
43 Von Balthasar, nella prima fase del suo pensiero che risale allo scritto del 1952
intitolato Abbattere i bastioni afferma la necessità che la Chiesa abbandoni il suo ar-
roccamento. Nella seconda fase del suo pensiero, von Balthasar invece polemizza con
le concezioni di un antropocentrismo ottimistico e facile di moda attorno al Concilio
Vaticano II. In Solo l’amore è credibile del 1963 polemizza con le aperture ingenue alle
religioni cosmologiche sostenendo la necessità della rivelazione gratuita di Dio nella
Chiesa e nella Scrittura. Ma il luogo rivelativo per eccellenza resta il crocifisso, tema
centrale dello scritto del 1966, Cordula, ovverosia il caso serio, nel quale von Balthasar
sottolinea l’identità cristiana nella sua irriducibile alterità rispetto al mondo. Il “caso se-
rio” (Ernstfall) del Cristianesimo è uno solo, la croce di Cristo, che manifesta la gloria di
Dio, il quale nella morte di Cristo si rivela come Amore che per gli uomini ha sacrificato
il proprio Figlio. Cfr. H.U von Balthasar, Schleifung der Bastionen. Von der Kirche in
dieser Zeit. Johannes Verlag, Einsiedeln 1952; Id, Glaubhaft ist nur Liebe, Johannes Ver-
lag, Einsiedeln 1963; Id, Cordula oder der Ernstfall, Johannes Verlag, Einsiedeln 1965.
44 Gravissimum Educationis, n. 10.
45 Ibid., n. 8. In questo punto il testo si riferisce esplicitamente alla Divini Illius Magistri.

22 Pages 211-220

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22.1 Page 211

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210 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
4.1.5. Il Vaticano II e la metodologia dialogica dei Capitoli generali
Oltre ai contenuti magisteriali un influsso importante è stato esercitato
anche dalla “forma” di lavoro del Concilio, riflessa sul CG19. Questo ha
fatto cambiare il paradigma capitolare salesiano per quanto concerne la
durata, la modalità dialogica del procedere, la profondità delle questioni
trattate e l’apertura alle scienze umane. A causa dei ritmi conciliari, il
CG19 fu spostato all’aprile del 1965 per inserirlo tra la terza e la quarta ses-
sione del Concilio. I lavori capitolari, svoltisi a Roma nelle nuove strutture
dell’Ateneo Salesiano, si prolungarono per 53 giorni, un record rispetto ai
Capitoli generali precedenti, che duravano in media una decina di giorni.
Quest’abbondanza di tempo creò spazio per una discussione più aperta
in un clima di libertà che fece uscire allo scoperto le divergenze presenti
nell’assemblea. Infatti il nuovo rettor maggiore Luigi Ricceri, percependo
il clima di tensione tra le varie posizioni che si contrapponevano o per l’a-
dattamento ai tempi o per la fedeltà al carisma, intervenne dicendo:
Cari Confratelli, vogliamo qui avvivare un clima di carità [...] pratica. Dobbia-
mo a ogni costo realizzare questa unione nella carità. Ho detto unione nella ca-
rità. Questa unione suppone comprensione. [...] Comprensione vuol dire capire il
mio “avversario” di idee, capire colui che pensa diversamente da me, capire sem-
pre il mio fratello in don Bosco. Dobbiamo convincerci [...] che nelle case, nelle
comunità ci sono situazioni psicologiche, malesseri che non si possono ignorare.
Sono il riflesso inevitabile di quanto si vive e si soffre in questi anni nella società
e nella Chiesa.46
L’accumulo della tensione e il necessario cambio di rotta si comprende
meglio se si considera la metodologia capitolare precedente. Fino al CG18
le assemblee furono condotte senza un’analisi approfondita delle trasfor-
mazioni avvenute nella società e nella Chiesa. Con una mentalità di fedeltà
alle origini i capitolari si concentravano su decisioni di regolamentazione
pratica. Soprattutto per gli internati, in minore misura per gli oratori fe-
stivi e per l’uso dei mezzi di comunicazione sociale e di intrattenimento,
si «sentono discorsi quasi identici a quelli del precedente, a sua volta eco
delle risoluzioni e disposizioni normative degli anni ’20 e successivi».47
Gli studiosi dell’Istituto Superiore di Pedagogia passarono da un ruo-
46 Interventi del Rettor Maggiore al Capitolo Generale XIX, in CG19 (1965), 315-316.
Cfr. anche la lettera circolare sul dialogo: L. Ricceri, Lettera del Rettor Maggiore, in
ACS 48 (1967) 247, 3-33.
47 Braido, Le metamorfosi dell’Oratorio salesiano, 319.

22.2 Page 212

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 211
lo relativamente marginale a una posizione strategica per il futuro della
Congregazione. Seguendo l’esempio del Concilio, al Capitolo furono invi-
tati poco meno di venti esperti, la maggioranza dei quali studiosi dell’ISP.
Particolarmente significativi furono la presenza di Braido nella commis-
sione sulle strutture della Congregazione, i contributi di Grasso in quella
dell’apostolato giovanile, di Calonghi per i lavori sull’apostolato non gio-
vanile e sui mezzi di comunicazione, di Gianola e Sinistrero per le scuole
professionali, di Corallo e Csonka per la formazione dei giovani e, infine,
di don Dho per la formazione salesiana. Unica commissione senza la par-
tecipazione dei membri dell’ISP fu la settima che trattava le costituzioni, i
regolamenti e le missioni.48
Non essendo parte attiva del movimento biblico, catechetico o liturgico,
per la maggioranza dei confratelli le aperture del Concilio erano percepite
come delle novità radicali di un respiro tanto ampio quanto lo era inver-
samente la chiusura precedente. L’apertura, garantita dall’accesso non più
limitato alle notizie dei giornali, della radio e delle riviste scientifiche, rese
evidenti le differenze dei due mondi mentali: quello tradizionale del gri-
giore della vita ciclica ed esigente del collegio salesiano regolamentato
in modo ricaldoniano e quello dipinto coi colori vibranti della Chiesa in
uscita che sta con gli emarginati ed è in dialogo con i progressi scientifici,
sociali e politici del mondo esterno.
Il cambiamento della metodologia dei Capitoli generali rappresenta-
va una modalità di affrontare la svolta conciliare.49 Il modo di procedere
dei Capitoli precedenti era determinato dalla logica della continuità nella
tradizione salesiana e delle decisioni operative; il modo attuale adottava
piuttosto una logica dialogica ma determinata da un contesto di polariz-
zazioni, di rifiuto del passato e dell’insicurezza sul futuro. Oltre a portare
alla percezione di una certa discontinuità, la metodologia influì indiretta-
mente, ma significativamente, sui contenuti dei Capitoli, rendendoli vasti
contenitori di posizioni diverse, equilibrate in principio ma prive di con-
cretizzazioni pratiche e procedurali, in quanto l’attuazione concreta veni-
va rimandata ad altri organi decentrati. Emblematico è il processo molto
articolato della preparazione del Capitolo generale speciale che previde
48 Cfr. CG19 (1965), 362-366.
49 Per uno sguardo più dettagliato cfr. M. Vojtáš, Progettare e discernere. Progetta-
zione educativo-pastorale salesiana tra storia, teorie e proposte innovative, LAS, Roma
2015, 13-110 e M. Borsi - Ambito PG, L’animazione della Pastorale giovanile nell’Isti-
tuto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1962-2008). Elementi di sintesi e linee di futuro,
LAS, Roma 2010.

22.3 Page 213

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212 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
un’ampia consultazione “dal basso” per ascoltare le opinioni e le sensibilità
dei diversi contesti e delle ispettorie. Come esemplificazione ci serviamo
delle dinamiche attorno al Capitolo ispettoriale del PAS del 1969 in vista
del CGS.
Come concretizzazione del principio dialogico e democratico si adottò
il metodo delle consultazioni su nuclei di proposte che andavano votate.
Oltre alla quantità di testi e di incontri di consultazione, vale la pena di
soffermarci sulle scorciatoie e i rischi del metodo delle votazioni come
“incarnazione” della corresponsabilità. Generalmente si può affermare che
le proposte che raggiunsero più della metà dei voti furono dichiarazioni
di principio contrapposte a fenomeni negativi evidenti e non indicarono
applicazioni concrete. Un esempio:
Si ritiene possibile e desiderabile l’introduzione in grado più o meno intenso
e progressivo del metodo democratico nella vita religiosa. […] Senza la corre-
sponsabilità e lo spirito creativo esercitato in forme diverse secondo le diverse
situazioni, l’obbedienza religiosa non sarebbe un vero segno del regno bensì una
forma di passività pigra, comoda ed egoista.50
Illuminanti sono le osservazioni metodologiche di Pio Scilligo, che va-
lorizzano la sua preparazione nel campo della psicologia e la sua espe-
rienza interculturale. Oltre alle difficoltà legate alla presenza di diverse
culture, all’italocentrismo e alle traduzioni di frasi complesse, egli afferma
che, alla fine, non si sa che cosa hanno votato i confratelli, poiché nessuno
vuole essere “infantilista”, “paternalista”, “passivo”, “ripetitivo”, ecc.: «Il
problema non sta nel votare parole ma nel votare contenuti delle parole e
quindi occorrerebbe esprimere il più possibile le proposizioni in termini
toccabili».51 In un clima antagonistico, la votazione potrebbe essere stru-
mentalizzata e le decisioni più importanti essere prese dai segretari. Par-
tendo dall’esempio di un articolo unico sull’educazione salesiana egli pro-
pone la spartizione, la riformulazione e diverse indicazioni metodologiche:
Per evitare questi errori motto gravi penso che l’unica soluzione è quella di
votare proposizioni che siano precise, senza inutile sovrabbondanza di parole,
che non siano emotive negli aggettivi, che siano il più possibile unidimensionali,
cioè contengano un solo concetto fondamentale e si metta in chiaro che si vota
50 Ispettoria Salesiana PAS, Atti del 1° Capitolo Ispettoriale Speciale (13-19 aprile
1969), [s.e.] Roma 1969, 105-106.
51 P. Scilligo, Alcune osservazioni sulle votazioni fatta in vista del Capitolo Ispetto-
riale e alcune proposte per le votazioni, in Archivio di Pietro Stella, 6.

22.4 Page 214

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 213
quel concetto oppure se la proposizione rimane complessa, la si voti per parti e
in blocco.52
Abbiamo voluto riportare le riflessioni di Scilligo sulla metodologia
capitolare prima dei paragrafi che analizzeranno i contenuti dei Capitoli
generali. Per interpretare i documenti del magistero capitolare sarà utile
avere in mente la relazione tra il metodo e le formulazioni, in un contesto
di contrapposizioni e decentramento. Si può notare anche come il metodo
“democratico” induce a una logica di compromesso tra i principi teorici e
spesso non aiuta a trovare né sinergie (che sono più dei compromessi), né
indicazioni per la pratica educativa, né organicità all’interno dei documenti
che non sono un corpus unico ma l’assembramento del lavoro di diverse
commissioni influenzate spesso da fattori contestuali, redazionali e idio-
sincratici.
4.1.6. Il postconcilio nella Congregazione
La fine degli anni ’60 in Congregazione non si può descrivere come un
periodo tranquillo. Il panorama di pensiero e di azione era piuttosto riem-
pito di sperimentazioni decentralizzate, di scontri e di contestazioni della
tradizione. La contestazione giovanile del 1968 reagiva alle situazioni di
disagio come il colonialismo, l’oppressione dei poveri, la discriminazio-
ne razziale, le guerre per il predominio mondiale e la subordinazione dei
sistemi educativi e culturali ai poteri economici. Nel mondo intellettuale
riaffioravano le ideologie di matrice marxista, le critiche alla società di
massa della Scuola di Francoforte e la pedagogia critica. Il mondo ideale
da costruire era visto attraverso le lenti della partecipazione, del decen-
tramento, del dialogo, della socialità, della libertà, della giustizia e della
morale nuova.
Non mancavano paradossi tra la proclamazione del principio di dia-
logo e della pace da un lato e i modi reali della contestazione poco dia-
logici, preferendo una mentalità di separazione classista e ideologica. Le
riflessioni e le novità erano interpretate all’interno del quadro positivo del
progresso economico, tecnologico e massmediale del dopoguerra. La crisi
economica degli anni ’70, lo svuotamento della retorica contestataria e
pochi risultati tangibili avrebbero poi messo in crisi questa positività di
52 Ibid., 5-6.

22.5 Page 215

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214 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
prospettive. Rimarrà perciò una percezione di disagio del radicale cambio
di paradigma e in questo senso il postconcilio può essere di fatto chiamato
una vera crisi.53
La crisi in ambito salesiano si avvertì soprattutto con il calo rapido del-
le vocazioni, con gli abbandoni della vita salesiana verificatisi in tutto il
decennio degli anni ’60 sia durante il periodo della formazione che con le
cresciute richieste di laicizzazione dei sacerdoti. Il numero dei salesiani
nel decennio 1968-77 diminuì di circa un quarto.54 La crisi demografica,
segnalata dal rettor maggiore,55 era solo l’effetto più appariscente di un Or-
dine religioso che si trovava in un processo di forte mutamento. La acco-
modata renovatio degli ordini religiosi, cominciata da Pio XII nel 1950,56
prese una svolta radicale non solo con prospettive di speranza, di purifica-
zione e di ritorno alle fonti, ma suscitando in alcuni tendenze utopistiche
e in altri l’angoscia legata alla perdita di sicurezze. A livello mondiale il
numero dei religiosi maschi si ridusse di un terzo. I gesuiti, a seguito del
blocco personale del papa delle conclusioni della loro “Congregazione ge-
nerale” svoltasi negli anni 1974-75, furono successivamente commissariati
per due anni nell’epoca di Giovanni Paolo II.57
Negli anni che seguirono il Concilio era nella posizione di guida della
Congregazione Luigi Ricceri, eletto al CG19 ancora durante le sessioni
conciliari.58 Nel dodicennio precedente aveva ricoperto l’incarico di con-
sigliere superiore per i cooperatori e per la stampa. Egli fu un innovatore
53 Cfr. Wirth, Da don Bosco ai giorni nostri, 447-449; G. Viale, Il sessantotto. Tra
rivoluzione e restaurazione, Gabriele Mazzotta, Milano 1978; G. Sabatucci - V. Vidot-
to, Storia contemporanea. Il Novecento, Laterza, Bari 2003, 281-287; M. Tolomelli, Il
Sessantotto. Una breve storia, Carocci, Roma 2008 e A. Bernhard - W. Keim (eds.),
1968 und die neue Restauration, Peter Lang, Frankfurt am Main 2009.
54 I salesiani nel 1968 erano 21.492 mentre nel 1978 il numero scende a 16.439; la
media del numero dei novizi nel decennio 1958-67 è stata di 1.218 mentre nel decennio
1968-77 l’affluenza fu dimezzata avendo una media 625. Cfr. Wirth, Da don Bosco ai
giorni nostri, 531-532.
55 Per il numero allarmante degli abbandoni cfr. R. Ziggiotti, Lettera del Rettor Mag-
giore, in ACS 44 (1963) 233, 13 a la Lettera del Direttore Spirituale, in ACS 44 (1963)
234, 16-20.
56 Cfr. Acta et documenta Congressus generalis de statibus perfectionis, 4 vols., Roma
1952-3; Acta et documenta congressus internationalis superiorissarum generalium,
Roma 1953. In continuità con l’attività di rinnovamento, nel 1957 viene istituita l’unione
dei superiori generali per gli ordini maschili e nel 1965 per gli ordini femminili.
57 Cfr. Martina, Storia della Chiesa, vol. 4: L’età contemporanea, 362-365.
58 Cfr. L. Ricceri, Così mi prese Don Bosco. Storie vere di vita salesiana, LDC, Leu-
mann (TO) 1986 e Wirth, Da don Bosco ai giorni nostri, 436-438.

22.6 Page 216

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 215
che modernizzò il “Bollettino Salesiano”, fondò a Torino l’Agenzia Notizie
Salesiane, l’organizzazione dell’ufficio stampa della direzione generale, e
lanciò la rivista mensile “Meridiano 12”, che voleva essere una continua-
zione delle “Letture Cattoliche” di don Bosco. I dodici anni del suo retto-
rato tra il 1965 e il 1977 si inseriscono in quelli del papato di Paolo VI e
nelle sue direttive egli segue la linea del papa.
Don Ricceri raccolse da una parte il frutto del lavoro realizzato dai
predecessori, però d’altro canto doveva gestire una doppia crisi: quella de-
rivante dalla stessa espansione, non sempre guidata, della Società salesiana
e quella, in ambito ecclesiale, concomitante alla celebrazione del Vaticano
II. Gradualmente, ma inesorabilmente, la nuova situazione si rese evidente
in Europa e in America. Da un lato vi era la fondazione di nuove presenze,
un numero consistente di nuove iniziative in campo pastorale, soprattutto
nell’ambito dell’apertura al mondo, della giustizia e del dialogo con tutti.59
Dall’altro vi erano vivaci discussioni e contrasti tra “progressisti” e “inte-
gralisti” e, nello specifico campo del cosiddetto apostolato giovanile, tra
pastoralisti” (nuova parola d’ordine dai contenuti incerti) e “pedagogisti
(di reminiscenze ricaldoniane del don Bosco educatore).
«Sorti nel 1968 nell’ambiente dei salesiani giovani, fermenti della con-
testazione raggiunsero l’apice negli anni 1969-70 e l’Ateneo Salesiano di-
venne una cassa di risonanza straordinaria di ciò che si agitava in alcu-
ni Paesi, soprattutto dell’America latina».60 Riccardo Tonelli, il direttore
della rivista “Note di Pastorale Giovanile”, parla di “anni caldi”: «Stava,
infatti, iniziando e consolidandosi un modello di cultura, di riflessione, di
progettazione sociale e politica molto originale. [...] Certo, sotto l’urgenza
dei problemi... non sempre è facile procedere con la calma e l’equilibrio
necessario».61
In questo quadro complesso Luigi Ricceri difese e sostenne il suo dirit-
to-dovere di «dirigere, orientare, animare, e quindi di indicare la retta via,
correggere tempestivamente le deviazioni, denunciare gli abusi, definire in
alcuni momenti le giuste posizioni, in modo che tutti possano conoscere a
59 Cfr. F. Desramaut - M. Midali, L’impegno della Famiglia salesiana per la giustizia.
Colloqui sulla vita salesiana 7, Jünkerath 24-28 agosto 1975, LDC, Leumann (TO) 1976;
Wirth, Da don Bosco ai giorni nostri, 527.
60 R. Alberdi - C. Semeraro, Società salesiana di San Giovanni Bosco, in G. Pelliccia
- G. Rocca (eds.), Dizionario degli istituti di perfezione, vol. 8, San Paolo, Roma 1988,
1691.
61 R. Tonelli, Ripensando quarant’anni di servizio alla pastorale giovanile, intervista
a cura di Giancarlo De Nicolò, in «Note di Pastorale Giovanile» 43 (2009) 5, 14-15.

22.7 Page 217

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216 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
un determinato momento con la necessaria chiarezza la via da seguire in
Congregazione».62 Nei primi sei anni del suo rettorato prevalse l’attenzione
alla quasi impossibile realizzazione delle conclusioni del CG19. Tra queste
spuntava lo sforzo di equilibrare i due principi del decentramento e dell’u-
nità. Si cercava di rinforzare l’unità nell’azione che veniva meno, non solo
con lo strumento del magistero del rettor maggiore, ma anche attraverso i
suoi numerosi viaggi, con lo studio della situazione locale e con i convegni
intercontinentali presieduti da lui in persona.63
4.1.7. Il Pontificio Ateneo Salesiano nella nuova sede romana
Nel 1965 avvenne il trasferimento del PAS alla nuova sede di Roma. Nel
rapporto che descrive i primi cinque anni si menziona la sensazione di «un
gran porto di mare, sperduti nell’anonimato creato dalla inconsueta massa
di persone, confratelli o no, che circolavano per gli edifici».64 A livello di
studio si nota uno spostamento delle sensibilità e degli interessi dei sale-
siani studenti:
Dopo il ’60 si ebbe una generazione di giovani confratelli più assorti, più
concentrata nello studio, più attenti agli orientamenti della Chiesa in fase precon-
ciliare o conciliare. Venne una nuova generazione di confratelli che, d’altra parte,
confrontata spassionatamente con la precedente, aveva […] una formazione meno
organica, meno appoggiata a testi che ne accompagnassero la formazione dal no-
viziato fino allo studentato teologico. […] Questi avevano ereditato attorno al ’60
un sistema estremamente centralizzato dal benemerito e geniale don Ricaldone.
Ma un sistema che aveva anche favorito un certo vuoto nella creazione di testi di
formazione adeguati ai tempi nuovi.65
Oltre alle difficoltà dell’aggiornamento degli studi si denunciavano que-
stioni concrete di disciplina e si facevano pressioni affinché i superiori ri-
62 L. Ricceri, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 54 (1973) 269, 1767. Cfr. anche le
pagine 1767-1771 e Id., Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 54 (1973) 270, 1865.
63 Le dinamiche di decentramento sono operazioni complesse non lineari. È utile
ricordare gli studi organizzativi a proposito che menzionano l’importanza cruciale del-
la gerarchia nell’implementazione del decentramento, il paradosso del decentramento
introdotto dal centro con limiti già prestabiliti o la polarizzazione tra la leadership de-
centrata e le decisioni prese dal centro. Cfr. S. Kühl, Sisyphos im Management. Die
vergebliche Suche nach der optimalen Organisationsstruktur, Wiley, Weinheim 2002,
36-39, 65-88 e 131-166.
64 Rapporto sull’Ispettoria del P.A.S. 1965-1970, in Archivio di Pietro Stella, 2.
65 Ibid.

22.8 Page 218

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 217
nunziassero ai loro interventi formativi, considerati come antiquate forme
di controllo. Cercando di sbloccare l’anonimato e la cosiddetta massifica-
zione, sorsero per iniziativa spontanea dei raggruppamenti di confratel-
li. Si lasciò dunque che in nome di una certa affinità spirituale i gruppi
organizzassero una propria concelebrazione della messa, proprie riunioni
amichevoli, propri dibattiti, proprie programmazioni. Alcuni gruppi si co-
stituirono più tardi come “gruppi di pressione” che portavano avanti il loro
programma d’innovazione. Una influenza considerevole fu esercitata da
un gruppo di giovani docenti chiamato “Gruppo dei 20”.66 Le punte dell’i-
ceberg delle spaccature si erano create attorno ai casi mediatizzati di don
Giulio Girardi e di don Gérard Lutte allontanati dal PAS, alla contestazio-
ne degli studenti nei confronti del rettor maggiore nel giorno dell’apertura
dell’Anno Accademico 1969-70 e agli abbandoni della Congregazione di
numerosi docenti e studenti.67
Nel Capitolo ispettoriale speciale del PAS nell’aprile del 1969, in vista
della preparazione del CGS, furono discusse diverse tematiche che riflette-
vano questo clima. Tra le più interessanti possiamo notare: la proposta dei
salesiani operai, le comunità mobili e di aggregazione spontanea, le speri-
mentazioni nell’organizzazione della Congregazione, l’elezione del diret-
tore e dell’ispettore, l’eliminazione di ogni forma di dipendenza diretta dal
superiore. Quest’ultima proposta veniva avvalorata con la constatazione
che ogni confratello è in grado di decidere da sé, senza il carisma dell’au-
torità, e poi perché il confratello è in rapporto con il gruppo e non con il su-
periore.68 Generalmente si può constatare che le proposte generiche senza
applicazioni concrete furono approvate. È il caso della consultazione per i
superiori, dell’introduzione in grado più o meno intenso e progressivo del
metodo democratico nella vita religiosa o della possibilità dell’apostolato
tra i gruppi giovanili misti. Invece le formulazioni troppo concrete (o radi-
cali) con l’uso di formulazioni totalizzanti come “tutto”, “sempre”, “mai”
suscitarono opposizioni e non raggiunsero il quorum necessario.
66 Cfr. La Congregazione Salesiana di fronte al compito del rinnovamento concilia-
re. Considerazioni generali e proposte per il Capitolo Generale Speciale del 15 febbraio
1969 firmato da 19 professori del PAS, in Archivio di Pietro Stella.
67 Cfr. Rapporto sull’Ispettoria del P.A.S. 1965-1970, 2-5; M. Midali, Frammenti di
vita salesiana tra il 1941 e il 2010. Semplici ricordi e sobrie considerazioni, [s.e.], Roma
2014, 154-161.
68 Cfr. specialmente le istanze sulle “Strutture e il governo della Congregazione” in
Ispettoria Salesiana PAS, Atti del 1° Capitolo Ispettoriale Speciale (13-19 aprile 1969),
Roma 1968, 213-229.

22.9 Page 219

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218 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
In questo contesto sono significative le considerazioni sull’identità sa-
lesiana di Pietro Stella, chiamato dai superiori ad intervenire nel caso di
Gérard Lutte, salesiano belga e insegnante di psicologia dello sviluppo
all’Ateneo.69 Lutte sposò la causa della contestazione giovanile del ’68
considerandola «uno degli avvenimenti più significativi di questi ultimi
decenni e più ricchi di speranze per l’avvenire dell’Umanità».70 Interes-
sante per intendere i quadri mentali dell’epoca è la sua proposta di una
riforma universitaria radicale, ispirata ai movimenti studenteschi dell’am-
bito francofono, che prevedeva l’abolizione della posizione di professore
ordinario e dell’esame classico visto come controllo della «memorizzazio-
ne del sapere trasmesso autoritariamente dall’alto della cattedra»,71 favo-
rendo invece sia l’educazione permanente che l’apprendimento attivo e un
ruolo del professore visto come consigliere. Lutte adottò pienamente la cri-
tica della società elaborata dalla Scuola di Francoforte parlando di aliena-
zione dell’uomo, dell’oppressione della classe dominante, confidando nella
democratizzazione dell’Università e nella partecipazione degli studenti al
suo governo.72
Ancora più controverso fu l’impegno sociale di Lutte nella comunità
territoriale di Prato Rotondo vissuto in una logica di lotta di classe e di ri-
scatto economico-sociale dei poveri. Pietro Stella, da un lato sostenitore di
un ripensamento critico come dimostra il volume Don Bosco nella storia
della religiosità cattolica,73 e dall’altro in posizione critica verso le modali-
tà di azione di Lutte, iniziò una riflessione sul modo salesiano di porsi nel
69 Cfr. la ricostruzione della polemica in Informazione e controinformazione su Lutte
e Prato Rotondo, in «il Regno. Documentazione» 16 (1971) 6, 156-164 che contiene
comunicati stampa, dichiarazioni e articoli su «la Stampa», «Osservatore Romano», «il
Nostro Tempo». Cfr anche H. Herles, Zwischen Barrikade und Altar. Der Fall Don
Gerardo Lutte – Ein Priester und der Klassenkampf am Rande von Rom, in «Publik» n.
11 (12 marzo 1971), 3.
70 G. Lutte, Per una università critica, in «Orientamenti Pedagogici» 16 (1969) 2,
336.
71 Ibid., 334.
72 Per le “pedagogie della crisi” cfr. Chiosso, Novecento pedagogico, 245-248. Si
noti come gli autori del “grande rifiuto” combinavano la psicanalisi freudiana con
l’idealizzazione marxista di un uomo nuovo. I fini del progetto anti-pedagogico furono
perseguiti con modalità più socio-politiche che accademiche arrivando ad emarginare la
pedagogia come intrinsecamente autoritaria e violenta.
73 Il volume di Stella uscito nel ’68 era, insieme con il volume precedente di Desra-
maut, una delle pietre miliari della svolta storico-critica degli studi salesiani. Il testo era
interpretato spesso a sostegno del cambiamento radicale del carisma come ad es. nella
bibliografia del “Documento dei 20” professori del PAS.

22.10 Page 220

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 219
sociale. La domanda di fondo venne formulata nel modo seguente: «Era
una rilettura coerente dell’azione di don Bosco il mettersi con i metodi di
istigazione alla lotta di classe ad invadere scuole con la forza e porsi alla
testa di qualche gruppo per occupare palazzi sfitti?».74 La risposta si pose
in linea di continuità sia con le soluzioni di don Bosco che con lo stile con-
ciliare di papa Giovanni XXIII, in un dialogo che cerca “ciò che ci unisce”
e non un dialogo che enfatizza “ciò che ci separa” in quanto strumento di
lotta. Riportiamo le sue riflessioni:
I salesiani hanno ereditato dal loro fondatore don Bosco una prassi e una serie
di formule che possono apparire curiose ed evasive. La mia politica? È quella del
Pater noster. La riflessione teologica recente permette di riformulare il modo di
agire di don Bosco e comprenderne il senso profondo, che non è, come ingenua-
mente può sembrare disimpegno, “fuga o contemptus mundi”, alienazione. Al
contrario i salesiani si sono trovati, senza forse averci molto riflettuto prima, in
pieno, sulla traiettoria programmatica della Gaudium et spes e della Populorum
progressio. II loro impegno per la promozione umana ha come campo specifico
la educazione della gioventù, soprattutto di quella povera e bisognosa in qualsi-
asi modo e sotto qualsiasi cielo. […] Le modalità sono quelle programmate dal
Vat. II: niente anonimati, ma farsi conoscere per quelli che si è: non ostili, ma
rispettosi di tutti, pronti a promuovere qualsiasi valore che negli altri ci appaia
positivo, con pieno rispetto della coscienza altrui. Ma nello stesso tempo lasciare
che gli altri ci vedano testimoni del vangelo che abbiamo ascoltato e radicato
nella nostra vita.
Potrebbe sembrare un piano facile: troppo facile non volere lottare! In real-
tà, soprattutto oggi, non è facile trovare tanti giovani quanto vorremmo, capaci
di far coincidere il loro ideale in un’attività che rinunzia a menar le mani; che
programma il prendere atto di tutto, soprattutto delle ferite per aiutare a salire
il livello sociale senza fratture. È difficile anche in concreto l’impianto di opere.
Povertà in molti paesi vuol dire periferia urbana. E la cintura spesso vuol dire
aree fabbricabili. In molte città non rimane alternativa: o comperare o accettare
doni o affitti: Impiantare un’opera sociale, una scuola o un laboratorio significa
polarizzare l’edilizia e valorizzare la zona. È il rischio delle opere di periferia;
per quanto possano essere scrupolose le attenzioni dei salesiani e degli stessi
donatori o sostenitori di una qualche opera si corre talora il rischio di trovarsi
coinvolti in una marea che quasi sommerge.75
74 P. Stella, Il dramma di don Gerardo Lutte, il prete classista dei baraccati, in Ar-
chivio di Pietro Stella.
75 P. Stella, Due punti chiave nel caso Lutte, in Archivio di P. Stella. NB La questio-
ne delle “grandi” strutture per i giovani poveri, appare in quanto oggetto di critica negli
anni della contestazione. In più, viene giustamente criticata l’ambiguità dei rapporti dei
salesiani con il conte Gerini, le cui conseguenze avranno risvolti etici, economici e giu-
diziari fino ai tempi recenti.

23 Pages 221-230

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23.1 Page 221

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220 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
Passati in parte gli anni delle forti contrapposizioni, nel sessennio 1972-
78 si fece notare l’impegno del consigliere per la formazione, don Egidio
Viganò, che rivolse la sua attenzione sia alla parte organizzativa che alla
riforma accademica. Le sue linee d’intervento promuovevano l’interdisci-
plinarità, in quanto egli percepiva i rischi di compartimenti stagni, di chiu-
sure e di false autonomie. Per Viganò la “pastoralità” è la dimensione che
è specificamente salesiana e idonea a essere la ragione motrice dell’interdi-
sciplinarietà al PAS, divenuto nel 1973 l’Università Pontificia Salesiana.76
Sembra che le concrete ricadute dei concetti dell’interdisciplinarità di
Viganò fossero alquanto modeste. Pietro Braido, preside dell’ISP nel pe-
riodo 1972-74 e rettore dell’UPS negli anni 1974-77, valuta la situazione
del post ’68 tra i due estremi della fuga utopica in avanti e della stasi delle
troppe cautele.77 Nella Facoltà di Scienze dell’Educazione (FSE) l’inter-
disciplinarità era un concetto generalmente accettato, di cui, però, non si
condividevano la stessa definizione e metodologia. I tempi della collabo-
razione interdisciplinare attorno al manuale Educare si conclusero78 e nel
postconcilio sarebbe più appropriato parlare piuttosto di una multidiscipli-
narità, in quanto il contesto dei contrasti, degli abbandoni e dei tentativi
di far funzionare il difficile modello organizzativo collegiale dell’UPS non
permetteva di più.79
Roberto Giannatelli, decano dal 1974 al 1980, descrive le iniziative di
quegli anni piuttosto con l’aggettivo “interideologico” che “interdisciplina-
re”. Nella categoria ricadono i convegni sull’insegnamento della religione
nelle scuole di Stato, sull’educazione politica e sul pluralismo culturale
che, nel pensiero del decano, risentirono «del clima conflittuale proprio di
76 Cfr. E. Viganò, Lettera a don Luigi Ricceri Gran Cancelliere del P.A.S. (24 agosto
1972), in R. Gianatelli (ed.), Don Egidio Viganò all’Università Salesiana. Discorsi, li-
nee operative, testimonianze del VII Successore di don Bosco, UPS, Roma 1996, 24-44.
77 Cfr. Braido, Per una storia dell’educazione giovanile, 288-306.
78 Cfr. P. Braido (ed.), Educare. Sommario di scienze pedagogiche, 3. vols., PAS
Verlag, Zürich 11956 21962-64.
79 Circa gli abbandoni si noti l’uscita dalla Congregazione di due presidi dell’ISP: don
Ladislao Csonka nel 1969 e Manuel Gutiérrez nel 1971. In questo contesto si può consi-
derare molto eufemica l’espressione “un’accentuata mobilità del personale” riferendosi
alla FSE in R. Gianatelli, La FSE nel periodo 1965-1980, in G. Malizia - E. Alberich
(eds.), A servizio dell’educazione. La Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università
Pontificia Salesiana, LAS, Roma 1984, 54. Cfr. anche Ibid., 50-55; Midali, Frammenti di
vita salesiana, 158-161; C. Nanni, Pietro Braido, Decano della FSE e Rettore dell’UPS,
in Nanni et al. (eds.), Pietro Braido, 96-102.

23.2 Page 222

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 221
quel tempo».80 Anche la struttura della rivista “Orientamenti Pedagogici”
di quegli anni non denota lavori di sintesi interdisciplinare. I curricoli della
FSE nella riforma del 1970 rivelano la cura della scientificità e dell’autono-
mia di ogni disciplina, anche se Braido insiste nel chiamarla «articolazione
tendente all’unificazione aperta al pluralismo».81 Pure l’adozione di una
strategia delle discipline comuni per tutti i curricoli è piuttosto segno di
una multidisciplinarità che dimostrazione di una logica interdisciplinare.82
Infine tra i corsi non appare neanche uno di sistema preventivo o di peda-
gogia salesiana e lo stesso Braido dopo il triennio del suo servizio come
rettore dell’UPS non si dedicò più né alle questioni dell’interdisciplinarità
né all’insegnamento della filosofia dell’educazione, versando progressiva-
mente tutte le sue energie nello studio della storia di don Bosco e della
catechesi.83
4.2. Linee pedagogiche nel magistero salesiano attorno al Concilio Va-
ticano II
4.2.1. Lettere di Renato Ziggiotti nella logica della mondializzazione del
carisma
Renato Ziggiotti, successore di Pietro Ricaldone e alla guida della Con-
gregazione dal 1952 al 1965, era una persona umile, coraggiosa, realista,
aperto alla ventata di aria fresca del Concilio, fedele a don Bosco e sin-
ceramente preoccupato di far crescere la sua Opera nei tempi nuovi. Don
Ricceri sintetizza il suo agire attorno al tratto della “semplicità simpati-
80 Giannatelli, La FSE nel periodo 1965-1980, in Malizia - Alberich (eds.), A ser-
vizio dell’educazione, 52. Per i convegni menzionati cfr. B. Bellerate - G.C. Milanesi
(eds.), Educazione e politica, SEI, Torino 1976; B. Bellerate (ed.), Pluralismo culturale
ed educazione. Atti del 3° colloquio interideologico promosso da «Orientamenti Peda-
gogici», tenutosi a Roma l’8-9 dicembre 1978, Orientamenti Pedagogici, Roma 1979.
81 [P. Braido,] Rinnovamento di una Facoltà di scienze dell’educazione, in «Orienta-
menti Pedagogici» 17 (1970) 4, 1044.
82 Cfr. Ibid., 1046. Le discipline comuni erano Filosofia dell’educazione, Teologia
dell’educazione, Psicologia generale e dinamica, Psicologia dello sviluppo umano, Storia
della pedagogia e dell’educazione, Metodologia pedagogica generale, Politica dell’edu-
cazione, Sociologia dell’educazione.
83 Cfr. Nanni, Pietro Braido, Decano della FSE, in Nanni et al. (eds.), Pietro Braido,
102 e la bibliografia aggiornata su Pietro Braido (1919-2014), in bit.ly/csdb-unisal-it-
braido.

23.3 Page 223

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222 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
ca” a seguito di Rua, Rinaldi e Cimatti, di cui fu discepolo.84 A motivo
delle restrizioni imposte dal regime fascista e della guerra mondiale, il
rettor maggiore precedente non aveva potuto fare molte visite nelle ispet-
torie. Ziggiotti, invece, portò la Congregazione negli anni ’50 ad una con-
sapevolezza della mondialità dell’educazione salesiana. Il suo proposito:
«Farò tutto il possibile per andare a visitare anche le ispettorie e le case
più lontane»85 si concretizzò in una sequenza di visite alle case salesiane
di tutti i continenti, con un’attenzione particolare alle case di formazione.
Le visite erano finalizzate sia a creare un senso di unità attorno al rettor
maggiore, che alla conoscenza delle specificità dei diversi contesti cultu-
rali ed educativi.
Il senso di appartenenza al carisma si riscontra anche nelle sue lettere
circolari. Come nel caso di Albera, si nota un uso molto frequente dell’ag-
gettivo possessivo “nostro/a/i/e”, che viene riferito a diversissimi termini
come famiglia, case, confratelli, vita, allievi, preghiere, vocazione, regole,
scuole, fratelli, apostolato, Congregazione, gioventù, per menzionare i più
frequenti.86 La prima lettera circolare che il nuovo rettor maggiore invia
contiene la sintesi dell’operato educativo di quegli anni: cura della forma-
zione e della vita spirituale e soprattutto l’importanza strategica delle com-
pagnie viste come «via regia per coltivare lo spirito religioso, la frequenza
dei S. Sacramenti, la familiarità, l’allegria, il sistema preventivo, l’intesa
amichevole tra i ragazzi e l’amore allo studio, al lavoro, alla disciplina».87
L’atmosfera di ricostruzione e della crescita degli anni ’50 si fa sentire
anche nel tono delle lettere. Per Ziggiotti è l’ora dell’azione, dell’audacia
apostolica di don Bosco, delle grandi costruzioni, della moltiplicazione
delle vocazioni consacrate per venire incontro a tante esigenze del mondo.
Alcune espressioni testimoniano proprio l’epoca e lo stile educativo:
Dobbiamo essere audaci nel bene, con la santa audacia di san Giovanni Bo-
sco. I giovani non amano i mezzi termini: o si educano all’eroismo del bene o
infiacchiscono nella stagnante mediocrità e diventano scettici. Gli educatori che
credono di essere aggiornati quando assecondano i gusti deteriori degli allievi,
saranno domani disprezzati e derisi; la stima dei giovani va a chi esige sforzo,
sacrificio, rinuncia, a chi addita mete nobili e generose e li aiuta sapientemente
84 Cfr. R. Ziggiotti, Tenaci, audaci e amorevoli. Lettere circolari ai Salesiani di don
Renato Ziggiotti. Introduzione, parole chiave, indici e appendici statistiche a cura di
Marco Bay, LAS, Roma 2015, 13-17.
85 R. Ziggiotti, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 33 (1953) 176, 4.
86 Cfr. Ziggiotti, Tenaci, audaci e amorevoli, 26.
87 R. Ziggiotti, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 32 (1952) 169, 8.

23.4 Page 224

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 223
a raggiungerle. Non preoccupiamoci di rendere facile e amena la vita dei nostri
allievi, ma piuttosto di suscitare entusiasmo per l’arricchimento dell’anima nella
vita della grazia, nell’acquisto delle virtù necessarie nella vita: la giustizia, la for-
tezza, la carità, il dominio di sé, l’emulazione nel bene. […] Ora le palestre di tale
ginnastica morale dove le troviamo se non nelle compagnie religiose fiorenti?88
Nonostante i cambiamenti avvenuti nella società e nella Chiesa negli
anni ’50 e l’accresciuta consapevolezza circa le diversità dei contesti, la
leadership della Congregazione proseguì nella linea di Ricaldone, tradi-
zionale e centralizzata, fino al Capitolo generale 19 nel 1965, che si svolse
nella nuova sede del PAS durante il Concilio Vaticano II. Nel Capitolo pre-
cedente del 1958, infatti, risulta ancora evidente il “vecchio stile”, sia per
le modalità di svolgimento, sia per le tematiche trattate.89 Anche se nomina
la “sana modernità”, il Capitolo si descrive come una «manifestazione di
intensa salesianità e di totale e incondizionata adesione agli insegnamenti
e alle direttive del nostro santo fondatore e padre. Una sola aspirazione in-
fatti animava i capitolari: quella di attenersi con assoluta fedeltà allo spirito
delle nostre costituzioni e regolamenti, alle nostre tradizioni».90
Oltre alle disposizioni che riguardano le abituali tematiche del collegio
salesiano, come le vacanze, la presenza del direttore, la questione della se-
conda messa della domenica, del cinema e dei divertimenti o delle preghie-
re quotidiane uniformate in tutto il mondo, appaiono alcune accentuazioni
che valorizzano la santità giovanile sotto l’impulso della canonizzazione
di Domenico Savio. In particolare si mettono in luce le ricche attività delle
compagnie salesiane e la loro struttura organizzativa: il Centro Internazio-
nale Compagnie, dipendente e coordinato dal direttore spirituale generale,
con una ricca proposta di materiali per l’animazione delle attività attraver-
so riviste e pubblicazioni; le Federazioni ispettoriali, centro di organizza-
zione per le compagnie a livello delle singole ispettorie sotto la guida di un
delegato ispettoriale; la Confederazione internazionale delle compagnie,
88 Ibid., 7.
89 Braido commenta: «Il Capitolo Generale 18 del 1958 non riflette in profondità le
trasformazioni recenti avvenute nella società. Per quanto riguarda gli oratori festivi e
i mezzi di comunicazione sociale e ancor più l’educazione negli internati si sentono
discorsi quasi identici a quelli dei Capitoli precedenti, a sua volta eco delle risoluzioni
normative degli anni ‘20 e successivi». Cfr. P. Braido, Le metamorfosi dell’Oratorio sa-
lesiano tra il secondo dopoguerra e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984), in «Ricerche
Storiche Salesiane» 49 (2006) 319.
90 Il XVIII Capitolo Generale della nostra Società, in ACS 39 (1958) 203,

23.5 Page 225

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224 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
ecc.91 In questo senso si può percepire anche il possibile sviluppo del PAS:
in quanto Università che professionalizza il lavoro dell’educazione salesia-
na, nel CG18 si prospetta l’apertura della Facoltà di Lettere Classiche (ri-
spondendo alle esigenze dei licei classici) e un’altra novità avrebbe dovuto
essere la Facoltà di Musica, come concretizzazione di un aspetto tipico
dell’educazione salesiana. Al Capitolo, il rettore si esprime a proposito:
Ci pare quindi quanto mai opportuno che a fianco dell’Istituto Superiore di
Pedagogia, che già possediamo, abbia a sorgere un Istituto di Lettere Cristiane
per formare il personale insegnante nelle nostre scuole, secondo il pensiero di
don Bosco, e ad integrazione degli studi teologici, e un Istituto di Musica, almeno
per i gradi inferiori, al fine di mantenere quelle caratteristiche proprie del nostro
spirito.92
Ultimo punto richiamato dal rettor maggiore fu «la gonfiatura della cul-
tura. Manteniamoci nell’umiltà del sapere, della ricerca e della comunicazio-
ne della propria scienza. Deus superbis resistit; e questa è la peggiore specie
di superbia: l’orgoglio intellettuale».93 In questo senso si insiste sulla scelta
del personale per il PAS, “nostro massimo istituto di cultura religiosa”:
Essi debbono eccellere non solo per le capacità intellettuali e le attitudini
didattiche, ma soprattutto per le doti morali, per le virtù religiose, per spirito
salesiano, per equilibrio e buon criterio. Da tale scelta dipende in parte notevole
l’avvenire della nostra Società. Una scelta erronea difatti potrebbe avere conse-
guenze gravissime per la delicata posizione di privilegio, oltre che di respon-
sabilità, in cui si troverebbero tali elementi, quando venissero addetti a case di
formazione.94
Gli anni ’50 furono caratterizzati dalla crescita del personale salesiano,
delle case e delle presenze in virtù della stabile impostazione organizza-
tiva dei tempi precedenti. E anche se sembrava che il blocco delle solide e
91 Cfr. Ibid., 33-34. Per la ricchezza dell’offerta formativa cfr. le riviste “Le Compa-
gnie”, poi suddivisa in “Le Compagnie. Edizione soci - nuova serie” e “Le Compagnie.
Edizione assistenti” che ha continuato come “Compagnie Dirigenti”. Inoltre c’è la serie
dei “Quaderni delle Compagnie”; i quattro volumi del Cantiere Compagnie, Centro In-
ternazionale Compagnie, Torino, 1958-1961; o i volumi ripubblicati dal Centro Inter-
nazionale Compagnie di Torino nel 1954 di P.G. Grasso, Le compagnie come risposta
alla psicologia giovanile, A.M. Stickler, Le compagnie alla luce degli ultimi documenti
pontifici; E. Valentini, Attualità ed efficacia pedagogica delle Compagnie.
92 Cfr. Il XVIII Capitolo Generale della nostra Società, in ACS 39 (1958) 203, 83
93 Il XVIII Capitolo Generale della nostra Società, in ACS 39 (1958) 203, 18.
94 Ibid., 39.

23.6 Page 226

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 225
indiscutibili tradizioni salesiane fondatesi attorno ai volumi delle Memorie
Biografiche e alla collana Formazione salesiana di don Ricaldone fosse
un insieme armonico e quasi indistruttibile, tuttavia non fu così. Da un
lato le aperture al ripensamento del Concilio misero in dubbio l’impianto
ricaldoniano, dall’altro, e ancora prima del Concilio, si notava che la nuova
generazione di salesiani con consapevolezza storico-critica cominciava a
mettere in questione la tradizionale interpretazione della storia, dell’educa-
zione e del carisma salesiano.
Il primo gruppo di riflessione storico-critica si costituì a Lione, dove
Francis Desramaut cominciò a studiare le fonti salesiane con il metodo
storico-critico, animando il Groupe lyonnais de recherches salésiennes.
La prima pubblicazione sull’evoluzione della regolamentazione nella Con-
gregazione risale al 1953. Seguirono poi le traduzioni delle biografie gio-
vanili di don Bosco. Ma il volume più importante, che ebbe un impatto
profondo sugli studi salesiani, fu la sua tesi di dottorato sul primo volume
delle Memorie Biografiche intitolata Les Memorie I de Giovanni Battista
Lemoyne. Étude d’un ouvrage fondamental sur la jeunesse de saint Jean
Bosco, pubblicata nel 1962.95 Più tardi Desramaut si fece conoscere nel
1967 con la pubblicazione del volume Don Bosco et la vie spirituelle pres-
so la collana di Biblioteca della spiritualità dell’editrice Beauchesne.96 Il
volume sarebbe stato successivamente tradotto in italiano, spagnolo, ingle-
se, tedesco e polacco. Pian piano le modalità di pensiero critico si fecero
strada e attraverso il ricorso al contributo di esperti studiosi influenzarono
le discussioni dei Capitoli generali incentrati sul ripensamento del carisma.
4.2.2. La parziale svolta non attuata del CG19
Come si è detto, seguendo l’esempio del Concilio al Capitolo del 1965
fu invitata una ventina di esperti, tra i quali due coadiutori. Si deve notare
che tra questi undici erano specialisti in campo educativo. La quasi totalità
degli esperti erano studiosi in ambito accademico e solo pochi erano edu-
catori “a tempo pieno”.97 Il termine “esperto” perciò accentuava maggior-
95 Cfr. F. Desramaut, Les Memorie I de Giovanni Battista Lemoyne. Étude d’un ou-
vrage fondamental sur la jeunesse de saint Jean Bosco. Thèse de doctorat en théologie
présentée à la Faculté de Théologie de Lyon, Maison d’Études Saint-Jean-Bosco, Lyon
1962.
96 Cfr. F. Desramaut, Don Bosco et la vie spirituelle, Beauchesne, Paris 1967.
97 Cfr. CG19 (1965), 362-366.

23.7 Page 227

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226 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
mente il ruolo dello studio più che la prassi, la facilitazione, l’animazione
o il governo. Il ruolo dell’esperto facilitatore viene proposto dal classico
Dizionario di Pastorale del 1972 curato da Karl Rahner che, riflettendo
l’atmosfera postconciliare, dice: «Ciò che riguarda tutti deve pure esser de-
ciso da tutti. In conformità a tale fondamento giuridico per principio tutti
sono competenti riguardo al piano pastorale. [...] Compito degli esperti e
dei dirigenti è quello di render capaci tali persone di progettare da sé i ne-
cessari cambiamenti e di attuarli».98 Nella Congregazione l’identità dell’e-
sperto come studioso si rafforzerà successivamente negli anni ’80 nella
collaborazione tra il Dicastero per la pastorale giovanile e la Facoltà delle
scienze dell’educazione dell’Università Pontificia Salesiana come si vedrà
nel capitolo successivo.
L’importanza data agli esperti studiosi si trovò in armonia con l’apertu-
ra conciliare alle scoperte scientifiche della Gaudium et Spes, con un ruolo
speciale riconosciuto alla pedagogia, alla sociologia, alla politologia e alla
progettazione sociale.99 Il già citato Dizionario di Pastorale parla molto
chiaramente dell’uso della progettazione nella voce sul piano pastorale:
Per mezzo della tecnica e della scienza oggi l’uomo è in grado di progettare
in se stesso l’ambiente e la società, di manipolarli, di mutarli. [...] Tali mezzi sono
pure a disposizione della Chiesa, in modo da poter consapevolmente esercitare
una pianificazione del futuro e sviluppare la propria strategia.100
I mezzi a disposizione della realizzazione del piano sono mezzi di comu-
nicazione, finanze e istituzioni. La teologia appare più tardi solo nella posi-
zione della “teoria della prassi”.101 L’uso della progettazione viene motivato
dalla critica all’utilizzo «di soluzioni parziali d’emergenza, ma esige invece
una concezione di pastorale d’insieme».102 Nell’adozione quasi meccanica della
progettazione sociale nella pastorale della Chiesa si può percepire l’entusiasmo
98 N. Hepp, Piano pastorale, in K. Rahner et al. (eds.), Dizionario di Pastorale, Que-
riniana, Brescia 1979, 567-568.
99 Cfr. R. Tonelli, Ripensando quarant’anni di servizio alla pastorale giovanile, in-
tervista a cura di Giancarlo De Nicolò, in «Note di Pastorale Giovanile» 43 (2009) 5, 14,
33-35 e P. Scabini, Creatività nello Spirito e programmazione pastorale, in «Orienta-
menti Pastorali» 46 (1998) 5, 22.
100 Hepp, Piano pastorale, 567. Degno di nota è il fatto che l’autore offra come bi-
bliografia solo due volumi sul lavoro comunitario (Gemeinwesenarbeit) senza alcuni
riferimenti di teologia pastorale.
101 Cfr. Ibid., 568.
102 Mähner, Pianificazione del territorio, in Rahner et al. (eds.), Dizionario di Pa-
storale, 565.

23.8 Page 228

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 227
dell’epoca, la fiducia nella scienza e l’enfasi sui cambiamenti pratici che aspet-
tavano di essere realizzati. Il decentramento dopo il CG19 portò effetti imme-
diati soprattutto nell’ambito della pastorale giovanile, che stava acquisendo la
sua importanza:
La tradizionale attenzione alle singole istituzioni, in antecedenza propria dei
membri del Consiglio superiore a esse deputati era “decentrata” e distribuita tra
più responsabili, al centro e alla periferia: il nuovo Dicastero per la pastorale
giovanile, gli uffici dipendenti o integrativi, le conferenze ispettoriali, le singole
ispettorie e i loro organi tecnici e di animazione. ciò vale sia per l’oratorio che per
l’attività catechistica, suo fine principale. La “Crociata” centralizzata era finita o
prendeva un nuovo volto.103
4.2.2.1. I contenuti del CG19 riguardanti l’educazione-pastorale
Il Concilio influiva sui lavori del Capitolo anche con il suo orientamento
preminentemente pastorale. Tra i documenti già promulgati, i più utilizzati
erano la costituzione Sacrosantum Concilium, il decreto Inter Mirifica e
la costituzione Lumen Gentium.104 Il rettor maggiore Luigi Ricceri ricorda
così l’atmosfera di quei giorni: «Durante i lavori capitolari si è avuta la
netta sensazione che tutti i presenti guardavano ansiosamente al Concilio
Ecumenico Vaticano II. L’atmosfera di Roma ha evidentemente alimentato
questo clima di tensione primaverile, colma di promesse».105
Il CG19 è il primo Capitolo che esprime una consapevolezza delle svolte
avvenute nel mondo giovanile e culturale del dopoguerra. La riflessione
non si ferma nel constatare il fatto, ma si tenta anche di riformulare la
prassi educativo-pastorale. I tentativi si possono riassumere in cinque aree:
riorganizzazione delle strutture centrali di governo, ridimensionamento
delle opere, aggiornamento della formazione, apostolato degli adulti e ap-
plicazioni concrete nell’educazione.
A livello di Consiglio generale si istituì ad experimentum il consigliere
per la pastorale giovanile e parrocchiale, il quale accorpava sotto la sua
responsabilità i settori di competenza dei precedenti consigliere scolastico,
consigliere professionale e consigliere per gli oratori e le parrocchie. Ad
altri sei nuovi consiglieri fu affidata l’animazione di un gruppo di ispet-
103 P. Braido, Le metamorfosi dell’Oratorio salesiano, 2006, 337.
104 Cfr. M. Wirth, Da Don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove sfide (1815-
2000), LAS, Roma 2000, 438.
105 CG19 (1965), 5-6.

23.9 Page 229

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228 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
torie di una regione geografica per la necessità del decentramento anche
nell’ambito educativo-pastorale.
Il Capitolo generale ha creduto opportuno affidare a un unico consigliere
tutta la pastorale giovanile e quella parrocchiale per i loro stretti rapporti. [...]
Il consigliere incaricato curerà la formazione generale sotto l’aspetto religioso,
morale, intellettuale in tutte le case salesiane (oratori, convitti, esternati, pen-
sionati, centri giovanili, circoli, compagnie, associazioni giovanili varie), salvo
le competenze degli ispettori e la collaborazione del consigliere incaricato del
gruppo di ispettorie, per quanto riguarda la parte strettamente locale di carattere
organizzativo, tecnico, scolastico, professionale, ecc.106
Con i cambiamenti a livello di Consiglio generale si tendeva a valorizzare le
specificità delle regioni, a decentrare il governo della Congregazione a livello
mondiale e, al tempo stesso, a tenere unite le varie dimensioni e strutture edu-
cativo-pastorali. Anche a livello ispettoriale alla struttura del consiglio furono
aggiunti i delegati per i vari ambiti e le commissioni di esperti. Solo a livello
locale si mantenne obbligatoria la tradizionale struttura del consiglio: de jure
ne facevano parte il direttore, il prefetto, il parroco, il catechista, il preside
e non più di tre consiglieri, di cui uno poteva essere il direttore dell’oratorio
festivo.107 Solo il Capitolo generale speciale nel 1971-72 darà in seguito alle
ispettorie la responsabilità di stabilire a livello locale i ruoli che si giudicassero
opportuni.108
Il Capitolo decise di costituire un Centro di Studi Storici Salesiani per
illustrare meglio l’opera educativa di don Bosco e un Centro di Pastorale
della Gioventù che avrebbe dovuto applicare le decisioni del CG19, lavo-
rare in unione con l’Istituto di Pedagogia del Pontificio Ateneo Salesiano,
coordinare le varie attività della pastorale dei giovani ed elaborare un Trat-
tato dell’educazione salesiana del nostro tempo.109
La seconda area di riflessioni concerneva il “ridimensionamento”, un
concetto che ebbe fortuna nel CG19 perché rispondeva a un desiderio dif-
fuso nella Congregazione. Il principio generale fu la semplificazione delle
case troppo grandi e la riduzione del numero delle opere troppo piccole.
Per quanto concerne il tipo di opera, il collegio salesiano sembrava essere
entrato in crisi sia nella percezione dei salesiani, sia nella percezione degli
106 Ibid., 24.
107 Cfr. Ibid., 37-38.
108 Cfr. CGS (1972), n. 708.
109 Cfr. CG19 (1965), 201.

23.10 Page 230

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 229
allievi.110 Il Capitolo quindi valorizzò soprattutto l’oratorio: «Si rivolgano
cure specialissime all’opera “primordiale” dell’oratorio, opportunamente
aggiornata e ridimensionata […] perché riesca ad attrarre e servire il mag-
gior numero di giovani, con varietà di istituzioni (centri giovanili, clubs,
associazioni varie, corsi, scuole serali...)».111 Nel capitolo sull’oratorio si
afferma che «l’oratorio non deve limitarsi alla massa giovanile che lo fre-
quenta, ma deve diventare lo strumento pastorale per l’avvicinamento di
tutta la gioventù, aprendosi con spirito di dialogo e missionario a tutti i
giovani della parrocchia, della zona, della città, ossia dei lontani».112 Esso
doveva avere un preciso programma educativo rispondente alla mutata
psicologia dei giovani e aderente alle fasi dell’età evolutiva.113 In qualche
modo fu rivalorizzata anche la parrocchia, nella quale si poteva lavorare
pastoralmente in spirito salesiano inserendosi negli ampi orizzonti dell’a-
postolato ecclesiale, ma con un’attenzione speciale all’evangelizzazione
dei giovani.114 Con il cresciuto interesse per il mondo del lavoro furono
incoraggiati anche i pensionati per i giovani lavoratori e le scuole pro-
fessionali. Gli atti parlano di «scuole di ogni tipo, non solo classiche, ma
soprattutto professionali e tecniche».115 Agli ispettori fu chiesto un «piano
di ridimensionamento tenendo conto del numero dei confratelli, delle par-
ticolari condizioni dei luoghi e dei tempi, delle possibilità del futuro, della
gerarchia e dell’attualità delle opere stesse».116
Un terzo tema sentito dai capitolari afferisce all’ambito della forma-
zione e viene riassunto nella parola chiave “qualificazione” dei salesiani.
La qualificazione significava primariamente acquisizione delle competen-
ze necessarie per la missione nel mondo attuale. Nella presentazione dei
documenti del Capitolo, il rettor maggiore non aveva il timore di chiamare
110 Il 72% degli ex-allievi delle case di tutta Italia preferiva l’educazione in famiglia
da genitori buoni e normalmente dotati rispetto all’educazione collegiale anche ben
organizzata con buoni educatori. Tra gli aspetti più negativi dell’educazione salesiana si
menzionano soprattutto: preparazione irrealistica alla vita, repressione della personalità,
obbligatorietà esagerata nelle pratiche religiose, eccessiva disciplina e impreparazione
ai rapporti tra i sessi. Cfr. P.G. Grasso, La Società Salesiana tra il passato e l’avvenire.
Risultati di un’inchiesta tra ex allievi salesiani, Edizione extra-commerciale riservata,
[s.e.], Roma 1964, 45-152.
111 CG19 (1965), 103.
112 Ibid., 137.
113 Cfr. Ibid., 137.
114 Cfr. Ibid., 130-132.
115 Ibid., 103.
116 Ibid., 44.

24 Pages 231-240

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24.1 Page 231

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230 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
“candida illusione” l’atteggiamento che sosteneva la sufficienza di un poco
di buona volontà per fronteggiare le esigenze delle opere.117 Seguendo la
linea del Concilio, anche la Congregazione si aprì al mondo della scienza.
Luigi Ricceri fece un appello dicendo: «Ormai ogni manifestazione della
nostra attività reclama gente qualificata in campo teologico, liturgico, fi-
losofico, pedagogico, scientifico, tecnico, scolastico, artistico, ricreativo,
amministrativo».118 Sembra che l’attenzione alla qualificazione fosse un’e-
spressione della “svolta antropologica” conciliare, che sottostava anche
all’idea del ridimensionamento delle opere a misura d’uomo.119
Accanto alle tematiche dell’educazione-pastorale, denominata ancora
“apostolato giovanile”, si aggiunse la riflessione sulla formazione cristiana
e prosociale degli adulti, che forma il quarto focus del CG19. Tra le aree
tradizionali come l’assistenza alle FMA, ai Cooperatori, agli Exallievi e
le missioni ad gentes si inserirono sei nuove aree: la parrocchia, la cate-
chesi per gli adulti, l’apostolato familiare, la formazione degli insegnanti
laici, la pastorale operaia e la comunicazione sociale. In queste tematiche
risuonano i temi delle encicliche Mater et magistra, Pacem in terris e del
decreto conciliare Inter mirifica.120 Tutte queste aree furono affidate a un
consigliere del Consiglio superiore. Questo allargamento del campo d’a-
zione non fu un fatto secondario, perché aumentò le possibilità e anche gli
impegni pastorali della Congregazione. Don Juan Vecchi, nel 1991, ha così
valutato i cambi avvenuti dagli anni ’60 in poi: «Il mondo degli adulti non
è più marginale nel nostro impegno e la loro cura religiosa, per richiesta
delle Chiese o per motivi congiunturali, ci occupa tanto quanto l’educazio-
ne della gioventù».121
Alcune tematiche più concrete sull’educazione riflettevano ancora la
dominanza del paradigma collegiale e la sua poca compatibilità con il vivo
senso della libertà dei giovani degli anni ’60. Il collegio era ancora lo sche-
ma di riferimento sottinteso alle problematiche dell’apostolato giovanile.
Il fatto lo si può notare, ad es. nella presentazione degli atti del CG19 da
parte del rettor maggiore, nell’omissione del collegio laddove si tratta del
117 Cfr. Ibid., 5.
118 Ibid., 5.
119 Ibid., 9-10.
120 Cfr. Giovanni XXIII, Mater et magistra (1961), in CG19 (1965), 151; Id., Pacem
in terris (1963), in Ibid., 151 e Inter mirifica (1963), nn. 1-3, 9-10, 13-22 in Ibid., 170-177.
121 J.E. Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia nella prassi salesiana, in Il cammi-
no e la prospettiva 2000, SDB, Roma 1991, 12.

24.2 Page 232

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 231
ridimensionamento delle opere122 e nell’eterogenea struttura dei documen-
ti IX-XIX, riguardanti le varie opere educativo-pastorali, dove le scuole
con convitti e semiconvitti sono indicate come uniche opere dell’apostola-
to giovanile.123 Inoltre i temi concernenti la formazione dei giovani erano
legati quasi esclusivamente alla vita del collegio: la vivace discussione sul-
la obbligatorietà della messa quotidiana e il relativo intervento del rettor
maggiore ebbe come risultato la riconferma della tradizionale prassi della
messa quotidiana per gli interni con una sensibilità alle situazioni parti-
colari che dovevano essere gestite dalle Conferenze ispettoriali.124 Aree
delicate o problematiche erano anche l’educazione all’amore e alla purezza,
la coeducazione, la gestione del tempo libero e il tema delle vacanze degli
interni.125
4.2.2.2. L’applicazione del CG19 nell’area educativo-pastorale
Senza dubbio il CG19 è stato l’inizio di un nuovo cammino nella Con-
gregazione. Egidio Viganò parla nel 1982 di non pochi «orientamenti
anticipatori»126 del Capitolo e Pasqual Chávez valuta, nel 2010, il CG19
come un «primo atto di consapevolezza comunitaria nella Congregazione
riguardo al cambiamento che si sta operando nell’area giovanile e all’esi-
genza di riformulare la prassi educativo-pastorale tradizionale».127 Vista
l’importanza del Capitolo e il contenuto delle cinque aree di novità iniziate,
diventa utile pertanto studiare anche la storia degli effetti concatenati alle
idee introdotte, non solo la loro proclamazione puntuale.128 Ci soffermiamo
122 Cfr. CG19 (1965), 9-13.
123 Cfr. Ibid., 101-201.
124 Cfr. Ibid., 188-189 e 338-341.
125 Cfr. Ibid., 194-199.
126 E. Viganò, Il Capitolo Generale XXII, in ACS 63 (1982) 305, 10.
127 Cfr. P. Chávez Villanueva, “E si commosse per loro perché erano come pecore
senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (Mc 6,4). La Pastorale Giovanile
Salesiana, in ACG 91 (2010) 407, 7.
128 “La storia degli effetti” (ted. Wirkungsgeschichte) è un concetto chiave di Hans-
Georg Gadamer introdotto nel suo scritto Verità e metodo. Qui lo useremo come un
concetto interpretativo per cogliere la sequenza delle sfumature semantiche dei con-
cetti chiave come educazione, pastorale, progetto, ridimensionamento, qualificazione,
significatività etc., che sono collegati strettamente con il contesto nel quale sono sorti,
con le interpretazioni successive date nei vari CG e nelle lettere dei Rettor Maggiori e
infine con il modo della loro applicazione nella prassi. Cfr. H.-G. Gadamer, Wahrheit
und Methode. Grundzüge der philosophischen Hermeneutik, Mohr, Tübingen 1960 e la

24.3 Page 233

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232 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
quindi prima a vedere i criteri dell’applicazione delle conclusioni del CG19
per poter poi notare il modo e l’effetto stesso dei concetti introdotti e delle
decisioni prese.
Il rettor maggiore Luigi Ricceri, presentando gli atti del Capitolo, mette
in rilievo alcuni criteri di applicazione per le sue conclusioni. Si possono
riassumere in tre espressioni chiave: personalizzare le dottrine, collaborare
e consigliarsi, ridimensionare le opere a misura d’uomo. Il primo crite-
rio consiste nel «formarsi una mentalità più che un inventario di cose da
praticarsi».129 Lo strumento della personalizzazione indicato è la lettura
approfondita individuale e comunitaria degli atti, in modo da favorire lo
studio delle idee di fondo che animano i documenti.
Il secondo criterio è destinato soprattutto ai superiori, che dovrebbero
usare una prudente gradualità nell’applicazione del Capitolo. Gradualità
non improvvisata, ma guidata dalle norme emesse per evitare il pericolo
di interpretazioni arbitrarie e della dispersione. Qui si cerca di applicare
la preziosità del dialogo raccomandato dall’enciclica Ecclesiam suam.130 Il
dialogo viene posto in rilievo come prima qualità del superiore per favorire
la collaborazione a vari livelli: nei settori particolari delle attività, nelle
case salesiane, nelle ispettorie, nei gruppi di ispettorie e nella Congrega-
zione.131
Il ridimensionamento, di cui si avvertiva la necessità, viene utilizza-
to come terzo criterio applicativo del CG19. La motivazione primaria che
spinge verso un ridimensionamento delle opere educative non è la pre-
occupazione per l’attività stessa, ma l’attenzione al «bene autentico del
Confratello».132 Il rettor maggiore scrive: «Prima di spingere per aumen-
tare in numero e in dimensioni le opere già esistenti, dobbiamo sentire
tutti, e struggente, la preoccupazione per l’uomo, per il religioso, per il
salesiano, il prezioso protagonista di questa vertiginosa attività. [...] L’a-
postolato è una delicata operazione di anime. Non si può compierla con
anime esauste».133
Le richieste del ridimensionamento delle opere e del decentramento si
proponevano di alleggerire la struttura organizzativa della Congregazio-
traduzione italiana Id., Verità e metodo. Lineamenti di un’ermeneutica filosofica, Bom-
piani, Milano 2000.
129 CG19 (1965), 6.
130 Cfr. Paolo VI, Ecclesiam suam (1964), in Ibid., 8.
131 Cfr. Ibid., 7-9.
132 Ibid., 9.
133 Ibid., 9-10.

24.4 Page 234

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 233
ne, finalizzata al bene dei confratelli e allo svolgimento della missione
nel mondo attuale, per la quale bisognava qualificarsi. Paradossalmente,
sembra però che la trasformazione postconciliare abbia impegnato molte
risorse umane e questo è avvenuto proprio nel periodo della prima seria
crisi demografica del personale salesiano, i segnali della quale risalgono al
1963.134 Pietro Braido notò che dopo il CG19 solo a livello mondiale «tra
manuali e direttòri da far comporre, Commissioni permanenti da istituire,
Centri e Uffici da organizzare presso la direzione generale, di Istituti da
erigere e di studi su particolari problemi da curare, si arrivava a quasi tren-
ta unità».135 Per arrivare a un certo decentramento erano impiegate molte
risorse, destinate alla creazione di una organizzazione più strutturata. La
configurazione delle Conferenze ispettoriali era tutta da costruire e im-
postare. Luigi Ricceri valutò nel CGS, sei anni più tardi, la situazione del
personale parlando di «emorragia anche grave e talvolta quasi cronicizzata
[...] dell’invecchiamento del personale e della sua inadeguatezza ai compiti
precedentemente assunti».136 Visti i nuovi compiti e strutture si stimò che
«da ogni 2-3 sacerdoti salesiani bisogna ricavare un Dirigente».137
Anche nel settore della pastorale giovanile la sfida di rendere l’oratorio
più salesiano fu affrontata attraverso un decentramento partito dal centro.
Il CG19 utilizzò strumenti di promozione a livello mondiale, di Conferen-
ze ispettoriali, di ispettorie e di case. Si era pensato ad un Centro Oratori e
ad una Consulta Centrale che avevano il compito di «uno studio accurato
della situazione attuale degli oratori, delle possibilità di sviluppo, delle
esigenze della Chiesa e della società, dell’inserimento dell’oratorio nella
pastorale parrocchiale, la stesura del nuovo Regolamento generale degli
oratori, la cura di una stampa organizzativa e lo scambio di studi e di espe-
rienze intorno alla pastorale giovanile e alla vita oratoriana».138
La conseguenza più immediata nell’area educativo-pastorale a livello
centrale fu l’istituzione della figura del consigliere per la pastorale giova-
nile e del Centro di Pastorale Giovanile. Il primo consigliere eletto per la
PG fu Gaetano Scrivo, già superiore dell’ispettoria Italia-Roma. Il Centro
134 Per il numero allarmante degli abbandoni cfr. R. Ziggiotti, Lettera del Rettor
Maggiore, in ACS 44 (1963) 233, 13 e Id, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 44 (1963)
234, 16.
135 P. Braido, Le metamorfosi dell’Oratorio salesiano, 2006, 336.
136 L. Ricceri, Presentazione del Rettor Maggiore della “Relazione Generale sullo
Stato della Congregazione”, in CGS (1972), 570.
137 Ibid., 576.
138 CG19 (1965), 139.

24.5 Page 235

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234 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
di Pastorale Giovanile fu avviato dopo il Capitolo, nel 1965, con il delega-
to Michel Mouillard, dell’ispettoria di Parigi. Come mezzo di animazione
venne fondata la rivista “Note di Pastorale Giovanile”, il cui primo numero
uscì nel 1967. Secondo la richiesta del Capitolo, inoltre, nacquero all’inter-
no dell’UPS il Centro Studi don Bosco (1973), sotto la direzione di Pietro
Stella, e il Centro Studi Missioni Salesiane (1973), in vista della prepara-
zione del centenario della prima spedizione missionaria. L’attenzione per
l’educativo nelle pubblicazioni storiche dei Centri non ha però costituito un
mainstream e il Trattato dell’educazione salesiana del nostro tempo pen-
sato dal CG19 è rimasto un progetto sospeso. Quest’esito è probabilmente
riconducibile anche al piccolo numero di esperti nel campo pedagogico
e alla maggioritaria e crescente sensibilità pastorale (non esplicitamente
educativa).139 Da quanto si è visto sinora sembra che l’idea di un ridimen-
sionamento alleggerente, connesso con la qualificazione dei confratelli, sia
rimasto un pio desiderio e si sia piuttosto attuato un certo decentramento
delle strutture centrali introducendo organizzativamente l’ambito della PG.
Il concetto di “pastorale giovanile” fu introdotto dal Capitolo e ha avuto
applicazioni a livello di strutture di governo, ma la denominazione più usa-
ta nei documenti del CG19 era ancora quella di “apostolato giovanile”.140
In questo senso si può constatare ancora una sostanziale saldatura della
Congregazione all’identità preconciliare dell’educazione cristiana dei gio-
vani.141 Il CG19 parla dei principi ispiratori e dei contenuti più concreti
della pastorale giovanile nel documento sulla Formazione dei giovani, che
è ancora implicitamente legato alla struttura del collegio.142 «Del resto,
in una visione formalmente cristiana della società allora ancora prevalen-
te, l’azione educativa è vissuta e praticata in termini di azione apostoli-
ca. L’espressione “integrale formazione umana e cristiana”, che potrebbe
suscitare un certo dibattito, in realtà viene citata come ovvia e per nulla
problematica».143 Il cambiamento di mentalità e la personalizzazione ri-
139 Cfr. P. Braido, Le metamorfosi dell’Oratorio salesiano, 333.
140 Cfr. i nomi per denominare le attività educativo-pastorali nei documenti IX-XIX
in CG19 (1965), 101-201: l’apostolato giovanile, l’apostolato dei laici, l’apostolato sociale,
l’apostolato salesiano, la cura, l’educazione, la formazione dei giovani, la preparazione
cristiana e professionale per la vita.
141 Cfr. S. Frigato, Educazione ed evangelizzazione. La riflessione della Congrega-
zione salesiana nel Postconcilio, in A. Bozzolo - R. Carelli (eds.), Evangelizzazione e
educazione, LAS, Roma 2011, 70-72.
142 Cfr. CG19 (1965), 182-201.
143 Frigato, Educazione ed evangelizzazione, in Bozzolo - Carelli (eds.), Evangeliz-
zazione e educazione, 72.

24.6 Page 236

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 235
chiamati da Ricceri richiedevano più tempo e maturazione. Il rettor mag-
giore Egidio Viganò, nel 1982, si esprime a riguardo della combinazione
del preconciliare e del conciliare al CG19 in questo modo: «La percezione
delle esigenze del Concilio era, per la situazione storica generale, piutto-
sto limitata; non tutti, infatti, avevano ancora avuto la possibilità di co-
gliere il profondo rinnovamento ecclesiologico del Vaticano II. Tuttavia
l’assemblea capitolare ne respirò l’atmosfera».144 Il CG19 ha introdotto il
concetto della pastorale giovanile e alcuni principi (conoscenza e rispetto
del giovane, senso della libertà, senso sociale, senso di aderenza al mondo
d’oggi, gradualità) che saranno ripresi in futuro, ma la concreta definizione
dell’ambito della pastorale giovanile, dei suoi metodi, dei suoi strumenti e
della mentalità educativo-pastorale per tutti i tipi di opere dovranno aspet-
tare l’epoca posteriore al CG21 del 1978, segnata dal rettorato di Viganò e
dal coordinamento della pastorale giovanile di Vecchi.
L’applicazione delle conclusioni molto ambiziose del CG19 fu quasi su-
bito fermata per effetto della Lettera apostolica motu proprio Ecclesiae
Sanctae, uscita un anno dopo la chiusura del Capitolo, che annunciava
un Capitolo generale speciale per tutti gli istituti religiosi.145 In effetti, il
CGS costatava sei anni dopo: «Molto del CG19 è rimasto sulla carta».146
Le riflessioni e lo sforzo creativo si spostarono quindi sulla preparazione
del Capitolo generale speciale, distraendosi dall’attuazione concreta del
CG19. Vecchi, venticinque anni più tardi, scrisse: «La riflessione del CG19
non ebbe una soddisfacente traduzione operativa [...]; la lettura della real-
tà e la prassi non sperimentarono cambiamenti di rilievo nella base della
Congregazione».147 La causa si può vedere anche nella invariabilità delle
strutture locali (consiglio della casa) e nel modo di intendere le conclusioni
del Capitolo: un “codice” per tutti con l’obbligo di applicazione e di ade-
guamento.148
Gli effetti più grandi del CG19 furono quindi: il cambio del paradigma
capitolare salesiano; la prima adozione delle idee e della mentalità del Con-
cilio; l’istituzione di una struttura di governo che permetteva più dialogo e
partecipazione e facilitò negli anni successivi lo svolgimento di non pochi
144 Viganò, Il Capitolo Generale XXII, 9.
145 Cfr. Ibid., 10.
146 CGS (1972), n. 393.
147 Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia, in Il cammino e la prospettiva 2000,
10.
148 Cfr. Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia, in Il cammino e la prospettiva
2000, 16-18.

24.7 Page 237

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236 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
incontri preparatori per il CGS; infine la valorizzazione di studiosi esperti
nei diversi campi della vita salesiana. Il CG19, in sintonia con il Concilio,
mise in rilievo problematiche che, non senza rischi, sarebbero state trattate
più tardi con lo strumento della progettazione educativo-pastorale: l’op-
zione per strutture educative aperte al territorio e al mondo (l’oratorio, la
parrocchia, la catechesi per gli adulti, l’apostolato familiare, la pastorale
operaia e la comunicazione sociale), il maggior ruolo della riflessione, la
valorizzazione delle scienze umane, il modello comunicativo e organizza-
tivo più decentralizzato. Unità e continuità a vari livelli della Congrega-
zione saranno pensate, a partire dal CG19, più nel paradigma del progetto
comune che è frutto del dialogo, che nel paradigma della fedeltà alla tra-
dizione collegato con l’importanza della struttura collegiale. Nei paragrafi
successivi si studierà lo scombussolamento degli anni posteriori al CG19
in connessione con il rinforzato bisogno di elementi unificatori nella prassi
educativo-pastorale salesiana.
4.2.3. Il processo del ripensamento del Capitolo generale speciale
L’apertura conciliare alle scienze umane, percepite come relativamente
autonome dalla teologia,149 e la necessità di ripensamento del carisma sa-
lesiano si collocano in un generale atteggiamento di fiducia nelle soluzioni
scientifiche. Le cosiddette Radiografie elaborate in preparazione al Capito-
lo generale speciale, che riassumono le tendenze di pensiero dei salesiani,
«parlano continuamente di “integrazione”, “coordinamento”, “program-
mazione”, “pianificazione”, ecc. dell’azione pastorale salesiana dentro e
fuori delle nostre case, nei suoi rapporti con la pastorale della Chiesa loca-
le. Esse auspicano che il problema sia affrontato nella sua totalità e risolto
opportunamente».150 Il decentramento del governo come risposta alla di-
versità dei contesti, si sarebbe attuato mettendo in piedi istituzioni, dica-
steri, team, gruppi e commissioni di esperti, seguendo la strada già aperta
dal CG19 del 1965. Riflettendo il clima di generale ottimismo della fine
degli anni ’60, ci si fidava quasi ingenuamente del successo della proget-
149 Cfr. Gaudium et spes, n. 36; Gravissimum educationis, n. 10 e Apostolicam actu-
ositatem, n. 7.
150 CGS - Commissioni Precapitolari Centrali, Ecco ciò che pensano i salesiani
della loro congregazione oggi. “Radiografia” delle relazioni dei Capitoli Ispettoriali
speciali tenuti in gennaio-maggio 1969, Istituto Salesiano Arti Grafiche, Castelnuovo D.
Bosco (AT) 1969, vol. 1, 108.

24.8 Page 238

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 237
tazione, del confronto dialogico e dello studio. In questo modo il discorso
sulla metodologia si collegava fortemente con il tema della progettazione:
si pensava così di evitare l’estesa regolamentazione post-ricaldoniana e di
rispettare la diversità dei contesti educativi.
Alcune iniziative di studio delle problematiche educativo-pastorali par-
tivano anche dai vertici della Congregazione. Nel 1967 il consigliere per la
pastorale giovanile sollecitò uno studio sulla situazione degli oratori, con
inchieste nelle case e nelle ispettorie, allo scopo di elaborare direttive che
dovevano «servire come norma alle Conferenze ispettoriali per la riorga-
nizzazione di questo importantissimo settore dell’apostolato salesiano».151
Nel 1968, sotto la presidenza di don Ricceri, si svolsero tre convegni per
studiare la situazione educativa e pastorale. Il convegno di Bangalore si
soffermò soprattutto sulla problematica dell’oratorio, quello di Caracas
sulla pastorale in termini generali e quello di Como in special modo sulla
struttura del centro giovanile come risposta ai bisogni dei tempi, insieme
a varie altre proposte.152 Le ricerche e anche il dibattito dei convegni fe-
cero vedere l’ampiezza degli orizzonti aperti, che contrastava, però, con la
poca traducibilità pratica delle indicazioni emergenti. Il rettor maggiore
segnalò, nel 1969, la mancanza di un preciso programma educativo per
le diverse età dei giovani e la necessità di perfezionare la catechesi, la li-
turgia, l’iniziazione dei soggetti migliori a impegni apostolici, l’impegno
degli oratoriani nella società e nella Chiesa, anche attraverso il lavoro dei
vari tipi di associazionismo.153
Il rettor maggiore descrive nella sua lettera dell’ottobre 1968 il comples-
so iter in quindici passi da percorrere in nove tappe, che si prevedeva di re-
alizzare entro i primi mesi del 1971.154 Per intendere l’atmosfera nella quale
si muoveva la riflessione educativo-pastorale della Congregazione in que-
gli anni, ci serviamo delle proposte inviate dai Capitoli ispettoriali svoltisi
nel 1969, raccolte dalle commissioni precapitolari in quattro volumi.155 Il
primo tema trattato fu la richiesta di studi seri sullo spirito, la tradizione
e il carisma della Congregazione per riscoprire lo spirito genuino di don
151 Cfr. L. Ricceri, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 48 (1967) 247, 47.
152 Cfr. L. Ricceri, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 49 (1968) 252, 9-25 e 31-86.
153 L. Ricceri, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 50 (1969) 258, 32-34.
154 Cfr. L. Ricceri, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 49 (1968) 254, 10-13.
155 Cfr. CGS - Commissioni Precapitolari Centrali, Ecco ciò che pensano i salesiani
della loro congregazione oggi. “Radiografia” delle relazioni dei Capitoli Ispettoriali spe-
ciali tenuti in gennaio-maggio 1969, 4 voll., Istituto Salesiano Arti Grafiche, Castelnuo-
vo D. Bosco (AT) 1969.

24.9 Page 239

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238 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
Bosco e per superare le divisioni su questioni fondamentali. Una grande
parte dei confratelli si era espressa a favore del ripensamento,156 ma le
proposte concrete per attuarlo variavano quasi in ogni ispettoria in merito
all’oggetto, alla metodologia e agli strumenti da impiegare per lo studio.157
Le proposte pervenute rivelavano due tendenze verso cui si muoveva il
cambio di paradigma in corso: quella della continuità e quella dell’incom-
mensurabilità tra il vecchio e il nuovo modello.
Nell’area educativo-pastorale le proposte erano ancora organizzate se-
condo il vecchio schema per tipo di opera, con un forte accento sul ri-
pensamento generale delle strutture. Quasi unanime era l’accordo sulla
salesianità dell’attività parrocchiale158 e altrettanto fortemente era sentito il
bisogno di prendere «in seria considerazione la primarietà dell’oratorio».159
La validità della scuola come opera rispondente ai bisogni della società
contemporanea fu riconfermata solo da otto ispettorie, ma sotto condi-
zione di promuovere una profonda maturazione umana.160 L’attualità del-
la scuola professionale fu ribadita da undici ispettorie, le quali però non
diedero indicazioni più specifiche. Dal numero e dall’articolazione delle
proposte traspare l’intento dei confratelli di superare la stagnazione e l’iso-
lamento dei collegi salesiani spostando l’attenzione a un altro tipo di opera.
La strada del ripensamento generale della scuola e dell’internato salesia-
no fu meno percorsa. In merito alla modalità con cui occorreva gestire il
cambiamento si preferiva piuttosto la strada della ristrutturazione flessibile
e sperimentale, dell’inventiva, dell’apertura e della creatività.161 Vent’anni
dopo Vecchi avrebbe espresso sinteticamente le tendenze dell’epoca stu-
156 Cfr. Ecco ciò che pensano i salesiani, vol. 1, 1969, 46-47. Il valore numerico del
94% dei confratelli di venti Capitoli ispettoriali in favore del ripensamento è uno dei
consensi maggiori raggiunti dai Capitoli Ispettoriali, poiché le domande che suscitano
un interesse esplicito maggiore di 15 Ispettorie sono pochissime. Parlando in senso stret-
to bisogna ribadire che il dato non è statisticamente rilevante per le difficoltà dell’impo-
stazione delle “radiografie” che analizzano materiali di strutturazione eterogenea e non
hanno offerto alle Ispettorie un questionario fisso. Cfr. Ecco ciò che pensano i salesiani,
vol. 1, VI-XI.
157 Cfr. Ecco ciò che pensano i salesiani, vol. 1, 1969, 47-67.
158 Il 94% dei confratelli di 27 Capitoli ispettoriali era d’accordo che «la parrocchia
non è un’opera eccezionale della nostra attività salesiana». Cfr. Ecco ciò che pensano i
salesiani, vol. 1, 1969, 176.
159 Il 97% dei confratelli di 16 Capitoli ispettoriali era in sintonia con la frase citata.
Cfr. Ibid., vol. 1, 190.
160 Cfr. Ibid., vol. 1, 194-198.
161 Cfr. Ibid., vol. 1, 142-144 e vol. 2, 55-58.

24.10 Page 240

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 239
diata: «Alcune ispettorie in Europa hanno visto nelle parrocchie lo scampo
dalla chiusura scolastica».162
Il livello dei contenuti concreti dell’educazione e della pastorale era
quasi totalmente ignorato. Il fatto è paradossale, perché nel tempo della
svolta pastorale nella Congregazione la maggior parte del tempo era impie-
gata nelle discussioni sulle strutture. Ciò è interpretabile tenendo conto di
alcuni elementi: la convinzione diffusa che il cambiamento delle strutture
e l’introduzione della pianificazione razionale avrebbe migliorato la qualità
dell’azione educativo-pastorale; la prevalente dinamica “contestataria” del
tempo di crisi, che tendeva a confrontarsi con le grandi tematiche della vita
e del mondo, tralasciando in parte i processi collaborativi e lenti, necessari
per un cambiamento sostenibile.
I pochi contenuti educativo-pastorali emersi nelle “Radiografie” confer-
mano l’apertura ai temi convergenti nel nuovo paradigma pastorale, senza
però soffermarsi sull’applicazione dei principi. Emergevano soprattutto lo
studio scientifico della realtà giovanile, i rapporti di dialogo e collaborazio-
ne nella comunità educativa, la promozione integrale del giovane, l’apertura
sociale e politica, l’animazione del tempo libero, la catechesi e la formazio-
ne degli adulti.163 Nella parte che parla delle costituzioni, solo tre ispettorie
dell’Asia proposero di inserire un articolo sul sistema preventivo.164 I due
punti che suscitarono l’interesse maggiore furono le questioni emblemati-
che della libera partecipazione alla messa quotidiana165 e l’apertura delle
opere salesiane alla coeducazione.166 Seguendo i dati delle “Radiografie” si
può concludere che i Capitoli ispettoriali speciali in preparazione al CGS
si concentrarono soprattutto sul cambiamento strutturale della Congrega-
zione, tralasciando i temi propriamente educativi e pastorali.
4.2.4. Il Capitolo generale speciale e i temi educativo-pastorali
Le più di duecento giornate di intenso lavoro, dal giugno 1971 al gen-
naio 1972, nella nuova sede della Casa generalizia a Roma fanno del Capi-
162 Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia, in Il cammino e la prospettiva 2000, 13.
163 Cfr. Ecco ciò che pensano i salesiani, vol. 1, 214-233.
164 Cfr. Ibid., vol. 4, 167.
165 L’83% dei confratelli si è espresso al favore della messa quotidiana libera, Cfr.
Ibid., vol. 1, 225.
166 L’82% dei capitolari era favorevole all’integrazione della coeducazione nelle opere
salesiane, Cfr. Ibid., vol. 1, 230-232.

25 Pages 241-250

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25.1 Page 241

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240 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
tolo generale speciale il Capitolo più lungo della storia salesiana. Il CGS,
secondo le indicazioni del Capitolo precedente, iniziò con la Relazione
generale sullo stato della Congregazione presentata dal rettor maggiore.
Nell’area educativo-pastorale, denominata ancora “azione salesiana”, Ric-
ceri elogiava l’impegno eroico, umile e semplice di molti confratelli per
la gioventù povera, ma si soffermava anche abbondantemente sugli scarsi
risultati di applicazione del CG19. La ridefinizione e il rilancio dell’ora-
torio e del centro giovanile aveva prodotto «poca cosa»167 e i risultati del
ridimensionamento «non furono brillanti».168 Si constatava il blocco nell’a-
pertura di nuove case, ma al lato opposto c’era una moltiplicazione di opere
e una crescente «sproporzione tra personale e impegni di attività».169 Il fine
specifico del CGS era quello di formulare un testo nuovo delle costituzioni
e dei regolamenti, conforme agli orientamenti conciliari. Essendo priori-
tà del CGS quella della ridefinizione dell’identità è comprensibile che gli
aspetti applicativo-operativi siano rimasti secondari.170
Punto di partenza di tutto lo sforzo del CGS fu il «rivedere in profondità
la nostra identità alla luce della realtà di oggi».171 L’identità dei salesiani le-
gata all’attività educativo-pastorale si espresse nel termine “missione”, tra-
lasciando la parola “fine”, per sottolineare la dimensione della vocazione
ricevuta da Dio all’interno della Chiesa, piuttosto che vederla come sem-
plicemente posta da sé come un fine da raggiungere.172 La missione riguar-
dava prioritariamente la salvezza dei giovani poveri e abbandonati senza
riferimento alle attività e alle strutture, per sottolinearne l’integralità. Il
rapporto tra la missione e la pastorale è definito così: «La “pastorale” è la
concretizzazione operativa della missione sotto la guida dei “pastori”».173
La pastorale giovanile salesiana viene espressa nell’ottica cristocentrica ed
ecclesiocentrica conciliare con un unico obiettivo: la salvezza dei giovani.
Perseguendolo si è in grado di «comunicare la vita divina, e rendere più
umana la famiglia e la storia degli uomini».174
Da quest’orizzonte unitario derivava poi la «priorità assoluta della pa-
167 L. Ricceri, Presentazione della “Relazione Generale sullo Stato della Congrega-
zione”, in CGS (1972), 574
168 Ibid.
169 Ibid., 576.
170 Cfr. J.E. Vecchi, Verso una nuova tappa di Pastorale Giovanile Salesiana, in Il
cammino e la prospettiva 2000, Documenti PG 13, SDB, Roma 1991, 73.
171 Cfr. CGS (1972), VIII.
172 Cfr. Ibid., n. 23.
173 Ibid., n. 30.
174 Gaudium et Spes, n. 40, Ibid., n. 60. Cfr. il n. 24.

25.2 Page 242

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 241
storale giovanile»175 con l’esigenza di applicare il criterio pastorale all’a-
zione apostolica, al ridimensionamento delle opere (soprattutto i classici
collegi) e all’aggiornamento delle comunità, che dovevano assumere una
nuova mentalità.176 Si è giunti fino a formulazioni coraggiose come questa:
«È inammissibile, parlando in generale, che continui a esistere un’opera
[...] pastoralmente inefficace».177 La pastorale è diventata così una chiave di
lettura integrale che congiunge la promozione umana e l’evangelizzazione.
Per esprimere l’unicità della complessa missione salesiana si scelsero due
espressioni complementari: “promozione integrale cristiana” e “educazio-
ne liberatrice cristiana”.178 Se nel CG19 vi era stato il rischio che la pasto-
rale potesse diventare una parola magica troppo generica, il CGS volle
prevenire la tendenza al genericismo e approfondì alcune concretizzazioni
del contenuto della pastorale.
Come prima specificazione, il Capitolo avvertì il bisogno di fornire un
criterio per il rinnovamento, per regolare il rapporto tra il ritorno alle fonti
e l’adattamento alle mutate condizioni dei tempi,179 e lo trovò nella for-
mula: “Il don Bosco dell’Oratorio”. Essa comportava il riferimento non al
concetto di oratorio, ma alla persona di don Bosco che aveva svolto la sua
“azione pastorale” nel ben cronologicamente definito oratorio di Valdoc-
co, prima come semplice oratorio festivo, poi come “l’Oratorio” nella sua
completezza e cioè comprendente anche l’internato, con le scuole classiche
e professionali, e i luoghi annessi per le attività del tempo libero, culturali
e ricreative.180 Il criterio non poteva essere semplicemente lo spirito, troppo
soggettivo, né le opere, esposte al pericolo di un’oggettivizzazione fossiliz-
zante.181 Il criterio ideale era rappresentato da “don Bosco nell’Oratorio”,
inteso come «la sintesi, la cifra riassuntiva delle geniali creazioni aposto-
liche del santo fondatore»,182 «fedele e dinamico, docile e creativo, fermo
175 CGS (1972), n. 180.
176 Cfr. Ibid., nn. 344-348.
177 Ibid., n. 398. Cfr. anche Frigato, Educazione ed evangelizzazione, in Bozzolo -
Carelli (eds.), Evangelizzazione e educazione, 2011, 73.
178 Cfr. CGS (1972), n. 61.
179 Cfr. Ibid., nn. 192-194.
180 Cfr. la successiva ricostruzione del criterio oratoriano nelle Costituzioni, articolo
40: «Don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel suo primo oratorio, che fu per i
giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile
per incontrarsi da amici e vivere in allegria».
181 Cfr. CGS (1972), n. 194.
182 Ibid., n. 195.

25.3 Page 243

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242 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
e flessibile a un tempo»,183 che «rimane un modello di comportamento per
tutti i suoi figli».184
Nel ripensamento più concreto dell’educazione-pastorale salesiana, il
CGS enucleò le seguenti aree suddivise nei rispettivi documenti: evange-
lizzazione e catechesi, rinnovamento pastorale dell’azione salesiana tra i
giovani, pastorale parrocchiale, comunicazione sociale e missioni.185 Nella
strutturazione degli atti è chiaro che il punto di partenza è l’unica missione
applicata a livello di opera con il medesimo criterio pastorale, per cui solo
posteriormente si trattano le aree di azione. Interessante è il cambio di pro-
spettiva che passa dalla divisione tradizionale per tipo di opere alle specifi-
che aree della missione, formulate con una logica più organica, che prepara
quella delle dimensioni della progettazione sviluppatesi negli anni ’80.
Il CGS definiva la pastorale salesiana non solo con le aree della missio-
ne, ma anche descrivendone le caratteristiche e gli atteggiamenti pastorali
salesiani necessari. La pastorale era vista come servizio offerto ai giovani,
caratterizzato da concretezza, totalità, comunitarietà ed ecclesialità.186 I
salesiani erano chiamati a essere pastori con l’atteggiamento della ricerca
dei giovani anche fuori delle nostre opere, con l’atteggiamento dell’incon-
tro, della presenza, della comprensione e del dialogo.187 Solo dopo seguiva
la parte che descriveva le strutture d’attuazione della pastorale.
Lo sforzo di ripensamento dell’azione salesiana in chiave pastorale,
seguendo il Concilio, e l’accentuazione dell’impegno sociale portavano a
emarginare il concetto dell’educazione, che è lo specifico della Congrega-
zione secondo il CG19.188 Il fatto lo si può notare nella poca importanza
data ai temi educativi nelle “Radiografie” in preparazione al Capitolo.189
Si può essere d’accordo con la valutazione posteriore di Vecchi, il quale
afferma che «ci sono spunti educativi e molti motivi ispiratori sparsi qua
e là. Ma ci vogliono ancora molti complementi, molte mediazioni, molte
riorganizzazioni per farne qualcosa di applicabile da parte di operatori e
183 CGS (1972), n. 197.
184 Ibid.
185 Cfr. Ibid., nn. 175-306.
186 Ibid., nn. 350-359.
187 Cfr. Ibid., nn. 360-365.
188 Il CG19 inizia il documento sull’apostolato Giovanile con queste parole: «La Con-
gregazione Salesiana partecipa alla missione della Chiesa soprattutto con la sua azione
educativa». Cfr. CG19 (1965), 101.
189 Le “radiografie” si concentrano sulle opere, sulla vita consacrata, sulla formazione,
sul governo e la parte specifica dell’educazione occupa solo meno del 3% dei quattro
volumi. Per la parte sull’educazione cfr. Ecco ciò che pensano i salesiani, vol. 1, 213-233.

25.4 Page 244

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 243
assimilabile da parte di destinatari».190 Della pedagogia si riaffermano lo
spirito, l’uso del sistema preventivo e il metodo in generale, con il rischio
della ripetitività delle formulazioni già note. Si noti anche l’uso eterogeneo
della parola educazione, che prende sfumature diverse secondo il contesto
dell’evangelizzazione, dell’assistenza, dell’istruzione o della socializzazio-
ne, tanto da significare alla fine qualunque tipo d’intervento che richieda
qualunque tipo di competenza.191 Nonostante la diminuzione dell’impor-
tanza della dimensione educativa, bisogna riconoscere che una delle idee
introdotte dal CGS, che avrà sviluppi successivi, è stato il concetto della
“comunità educativa” che, come pensata dal CGS, doveva essere costituita
da salesiani e laici, giovani e genitori, operare nella logica della correspon-
sabilità in un clima di famiglia e periodicamente programmare e rivedere
la sua azione.192
4.2.5. Gli effetti operativi del CGS
Alla fine di quasi ogni documento del CGS si trova un capitolo intitolato
“orientamenti operativi”. Sotto la sezione che tratta della missione salesiana
sono inserite oltre cinquanta indicazioni specifiche che riguardano compiti
di studio e di qualificazione, decisioni per il cambio strutturale dell’azione
pastorale, criteri per il ridimensionamento delle opere, la costituzione dei
centri di studio, la creazione di équipes e la convocazione di convegni. Tra
queste indicazioni appaiono come strumenti strategici anche la program-
mazione e la revisione degli obiettivi della pastorale, che dovevano esse-
re fatte comunitariamente e con i laici collaboratori.193 Con l’attenzione
all’operatività, l’uso della programmazione e l’introduzione della comunità
educativa, il CGS crea i presupposti per la formulazione più sistematica del
progetto educativo-pastorale salesiano inteso come “strumento decisivo”
nel Capitolo generale successivo del 1978.
L’eterogeneità dei contenuti e dello stile dei vari documenti non crea-
va l’impressione di una facile traduzione operativa del Capitolo. Il rettor
maggiore percepì il rischio e nella lettera di presentazione dei documenti si
esprimeva contro la loro strumentalizzazione, scrivendo che il CGS
190 Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia, in Il cammino e la prospettiva
2000, 18.
191 Cfr. Ibid., 16.
192 Cfr. CGS (1972), n. 395.
193 Cfr. Ibid., n. 395. Cfr. anche i nn. 340 e 480.

25.5 Page 245

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244 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
con l’insieme dei suoi Documenti è un corpus armonico inscindibile, anche
se non tutti hanno lo stesso valore normativo e se per forza di cose i Documenti
e gli Orientamenti hanno spesso una stesura stilistica diversa, un’angolazione
dei problemi e una presentazione redazionale varia l’una dall’altra: ma, anche se
talvolta può mancare l’omogeneità, c’è sempre l’organicità globale tra i singoli
Documenti. Non viene meno per questo la loro validità.194
L’esecuzione del numero non piccolo di compiti, formulati e organizzati
eterogeneamente, fu operativamente complicata anche per il principio del
decentramento, che lasciava un «ampio margine alla creatività e alle ini-
ziative delle singole ispettorie».195 Il CGS decise che il Capitolo ispettoriale
fosse il punto focale del rinnovamento. Questo doveva essere convocato
non oltre un anno dopo la chiusura del CGS.196 Poche ispettorie si trovava-
no nelle condizioni di seguire il ritmo di questa mole di lavoro, data la poca
preparazione del personale, la diminuzione del numero dei confratelli e il
clima contestatario decentralizzante anche a livello delle ispettorie.197 La
necessità di rinnovare il direttorio ispettoriale, per metterlo in sintonia con
le nuove costituzioni, obbligò le ispettorie a trovare strade veloci di tipo
normativo per implementare il nuovo paradigma pastorale, accantonando i
processi di cambiamento di mentalità e del ridimensionamento.
A metà strada tra i due Capitoli, nel 1975, il rettor maggiore nella sua
lettera tracciò i tre compiti prioritari della pastorale giovanile, che fanno
intravedere i punti dolenti dell’applicazione del CGS: operare un cambio di
mentalità e reimpostare radicalmente i propri parametri di azione pastora-
le; adottare un nuovo stile comunitario, affinché l’insegnamento catechisti-
co trovasse un riscontro, una conferma e un consolidamento nella testimo-
nianza dell’intera comunità educativa salesiana; farsi presenti nel mondo
in modo nuovo, attuando un rapporto stretto fra impegno evangelizzatore
e atteggiamento di servizio nei confronti del mondo.198
Un’altra immagine dell’operatività del CGS ci viene dall’analisi della
Relazione sullo stato della Congregazione del 1977 e dalle relazioni degli
ispettori ai Capitoli ispettoriali. Si parlava dei rischi della dispersione e
della giustapposizione delle iniziative, data la complessità del fenomeno
giovanile e il pluralismo di impostazioni. In diversi contesti erano stati
194 CGS (1972), X-XI.
195 CGS (1972), n. 759.
196 Cfr. CGS (1972), nn. 759-761.
197 Cfr. Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia, in Il cammino e la prospettiva
2000, 19 e Wirth, Da don Bosco ai giorni nostri, 452-454.
198 Cfr. L. Ricceri, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 56 (1975) 279, 6-44.

25.6 Page 246

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 245
organizzati convegni sulle questioni educative e pastorali globali ed erano
sorte non poche commissioni e gruppi di coordinamento pastorale. De-
gni di essere menzionati sono il convegno europeo “Il sistema educativo
di don Bosco tra pedagogia antica e nuova” svoltosi a cavallo tra il 1973
e il ’74 con circa trecento partecipanti, di cui alcuni anche dall’America
e dall’Asia, e la “Settimana della gioventù europea” realizzata nella casa
generalizia nell’aprile del 1976, che metteva a confronto varie esperienze
di educazione e della pastorale giovanile.199 Non tutte le iniziative avevano
obiettivi e compiti definiti, per cui gli effetti non sono facilmente rintrac-
ciabili. Emerge il quadro di un cammino con molteplici attività, nel quale
però da protagonisti fungevano soltanto singoli o piccoli gruppi che non
riuscirono a coinvolgere la maggioranza delle comunità delle varie ispet-
torie.
L’indicatore più concreto dei cambi in ambito pastorale ed educativo,
sul quale insistettero sia il CG19 che il CGS, poteva essere il ridimen-
sionamento delle opere. Vecchi, basandosi sulle relazioni sullo stato della
Congregazione, si esprime nel 1991 in modo forte: «L’esperienza fallita di
un “ridimensionamento generale”, sembra portare le ispettorie verso un
criterio progressivo a lungo termine, che consiste in parziali riduzioni, svi-
luppi, modifiche di comunità, nella creazione di qualche nuovo servizio o
nel dislocamento delle risorse umane».200 Per questa ragione, sembra che
le nuove proposte e iniziative, che chiedevano forze nuove, si aggiunsero
semplicemente alle attività esistenti, producendo a volte un cambio sol-
tanto di facciata. Più tardi, nel CG23, si riprenderà il discorso sul ridi-
mensionamento affrontandolo in un’ottica di “significatività”. Ma si deve
constatare che a lungo termine l’incapacità di ridimensionare le opere ha
portato all’indebolimento delle comunità, sovraccaricando i confratelli che
operano nell’area educativo-pastorale.201
Un effetto collaterale del complesso processo della renovatio connesso
con lo studio, l’impegno sociale e la riorganizzazione fu una minore atten-
zione sulla dimensione della vita spirituale. Il rettor maggiore descrive la
199 Cfr. Il sistema educativo di don Bosco tra pedagogia antica e nuova. Atti del
convegno europeo salesiano sul Sistema Preventivo di don Bosco, svoltosi a Roma dal 31
dicembre 1973 al 5 gennaio 1974, LDC, Leumann (TO) 1974 e A servizio dell’educazione.
La Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana, a cura di G.
Malizia ed E. Alberich, LAS, Roma 1984.
200 Vecchi, Verso una nuova tappa di PG Salesiana, in Il cammino e la prospettiva
2000, 79.
201 Cfr. Ibid.

25.7 Page 247

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246 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
situazione circa la fede che è «piuttosto epidermica, superficiale, è infor-
mazione, un fatto esterno, una frase fatta, non esplode dal di dentro per
trasformarsi in vitalità».202 Nella Relazione sullo stato della Congregazio-
ne del 1971 si riscontra un notevole calo e un abbassamento molto sensibile
del livello spirituale dei confratelli e delle proposte per i giovani.203 Il CGS,
essendo cosciente della situazione e in parte del rischio di un attivismo
superficiale, dichiara:
Il nostro primo compito è, dunque, la conversione spirituale: riconoscere la
nostra insufficienza per “rivolgerci verso” lo Spirito senza cui non possiamo far
niente di valido per il Regno di Dio, e metterci in un atteggiamento di supplica, di
ascolto e di docilità. Per operare il discernimento e il rinnovamento necessari, gli
storici non bastano, né i teologi, né i politici, né gli organizzatori, sono necessari
gli uomini chiamati “spirituali” [...] come lo fu il nostro fondatore.204
Concludendo, si può dire insieme con Viganò che «il nostro CGS fu
[...] una intensa opera di mentalizzazione per i confratelli. È stato certa-
mente uno dei più forti momenti di riflessione comunitaria salesiana nella
storia della Congregazione. [...] Ha fatto un lavoro enorme e sostanzial-
mente riuscito, giudicato positivamente anche da studiosi e specialisti non
salesiani».205 Il CGS ha accentuato l’identità dei salesiani in riferimento al
rinnovamento conciliare più in chiave pastorale che come ricerca di una
risposta educativamente operativa alle esigenze del mondo giovanile. Nel-
le puntualizzazioni della vita concreta sono più rimarcate le varie speri-
mentazioni nel campo educativo-pastorale, la riflessione e i tentativi di
ristrutturazione e si tralascia, in parte, l’insistenza sulla necessità di una
conversione spirituale profonda.
4.2.6. Don Ricceri e la gestione del conflitto
Don Luigi Ricceri, in sintonia con il magistero di Paolo VI, esprime
nelle sue copiose lettere circolari un atteggiamento di equilibrato rinnova-
202 Cfr. L. Ricceri, Lettera del Rettor Maggiore, in ACG 51 (1970) 260, 14.
203 Cfr. Relazione Generale sullo stato della Congregazione, SDB, Roma 1971, 27-32.
Cfr. anche l’analisi più dettagliata di A. Giraudo, Interrogativi e spinte della Chiesa del
postconcilio sulla spiritualità salesiana, in Semeraro C. (ed.), La spiritualità salesiana
in un mondo che cambia, Salvatore Sciascia, Caltanissetta 2003, 138-141.
204 CGS (1972), n. 18.
205 Viganò, Il Capitolo Generale XXII, 1982, 10-11.

25.8 Page 248

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 247
mento. Introduce tematiche nuove che sono in linea con «l’autentico Con-
cilio, quello dei decreti», non quello dell’iconoclastia del passato.206 L’aper-
tura coraggiosa del Concilio non deve far pensare che il cambiamento si
possa realizzare nello spazio di mesi o di qualche anno. Infatti, la strategia
di Ricceri è di favorire la riflessione dei singoli confratelli, delle comunità,
delle ispettorie, in un atteggiamento di autentico dialogo. Per promuovere
il confronto interispettoriale si organizzarono più tardi, negli anni 1968-
69, gli incontri regionali già menzionati per l’Europa, l’Asia e l’America
latina. Nella sua prima lettera programmatica, il rettor maggiore usa l’im-
magine della vite e dei tralci per descrivere il processo di rinnovamento:
La Congregazione (e, prima ancora, la Chiesa) è un’annosa vite che ad un
certo momento può mostrare alcuni suoi tralci secchi; evidentemente compro-
metterebbe il fruttificare della vite l’agricoltore che volesse conservare ad ogni
costo quei tralci secchi; ma sarebbe addirittura pazzesco sradicare la vite e met-
terla con le radici al sole per il fatto che vi si trovano tralci insecchiti. […] Ogni
salesiano quindi (e qui si allarga la visione del nostro operare) in questo momento
storico da tanti definito decisivo, con quel senso di responsabilità e di intelligente
equilibrio che lo deve contraddistinguere, sia di fronte alla Chiesa che alla Con-
gregazione, eviti i due estremismi ugualmente condannabili e distruttivi: l’atteg-
giamento irrazionale di chi vorrebbe tutto innovare ad ogni costo in una corsa
febbrile verso ciò che è nuovo, annullando tutto il passato solo perché è passato;
e l’atteggiamento opposto di chi vorrebbe tenacemente conservare un bagaglio di
certe cose che, al banco di prova della realtà d’oggi, non reggono, non riescono a
raggiungere quel fine per cui un tempo erano state volute.207
Le linee di rinnovamento sono poi espresse in quattro idee fondamen-
tali che tracceranno l’operato di Ricceri in anni non facili, pieni di conflit-
tualità, radicalismo, arroccamenti e non per ultimo influenzati dagli effetti
della crisi del personale che provoca difficoltà pratiche nella gestione del
quotidiano. Il rettor maggiore fa una sintesi che guiderà anche gli interven-
ti e le lettere successive, articolandola in alcuni punti base.
1. La persona del salesiano nella sua interezza di uomo, di religioso,
di sacerdote e di educatore è il centro su cui converge l’attenzione della
Congregazione, per qualificarlo in tutti i suoi aspetti, secondo le esigenze
di oggi. Per questo la sua formazione deve essere impostata in profondità,
perché la vocazione possa svilupparsi e crescere in quel clima di sana e co-
206 Cfr. L. Ricceri, Lettera del Rettor Maggiore, in «Atti del Consiglio Superiore» 47
(1966) 245, 6.
207 Ibid., 5-6.

25.9 Page 249

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248 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
raggiosa apertura, oggi assolutamente necessaria per temprare e maturare
l’autentico salesiano.
2. L’autorità è un servizio motivato solo dalla preoccupazione del bene
di tutti e dei singoli. Nella logica del buon Pastore, l’autorità non è sinoni-
mo di imposizione tale da sopprimere le iniziative, le responsabilità e le
risorse personali dei confratelli.
3. Anche nella vita religiosa c’è posto per il dialogo, ormai necessario
per rendere efficiente tutta la nostra missione. Il Superiore ideale, per la
Chiesa e per la Congregazione, è colui che, vivendo con carità i problemi
e gli interessi dei suoi confratelli, li aiuta a risolverli per il bene dell’anima
loro e per la realizzazione della loro vocazione.
4. La comunità è corresponsabile dell’opera educativa dei collegi, degli
oratori, delle parrocchie; per questo deve essere sistematicamente cointe-
ressata e fatta compartecipe di iniziative, di programmi e di orientamenti.
Questa collaborazione è una delle grandi direttrici scaturite dal Concilio,
che si ritrova continuamente nello spirito e nelle deliberazioni del CG19.
5. L’opera educativa del salesiano si deve adeguare alle esigenze delle
generazioni di oggi, affinché possa realmente raggiungere gli scopi che
essa si prefigge. È necessario esaminare sinceramente in che misura ognu-
na delle opere ha una vitalità educativa e cristianamente formativa e ciò
che c’è da fare, con metodo e coraggio, per raggiungere realmente gli scopi
segnati da don Bosco e dalla Chiesa del nostro tempo.208
Per i temi educativi sono preziose soprattutto due lettere successive:
nella prima si approfondisce il dialogo nella Congregazione, concretizzan-
do l’idea della corresponsabilità; nella seconda viene proposta la figura
di san Francesco di Sales, modello di educatore in clima di libertà. Don
Ricceri denuncia l’abuso del concetto di “dialogo”, che vorrebbe far dire
all’autorità suprema del Concilio espressioni radicali come abolizione
dell’obbedienza religiosa, della preghiera, del breviario, del rosario, ecc. Il
tema privilegiato invece dovrebbe essere: “Il ridimensionamento, il nostro
grande dialogo”, che esige un confronto più ampio, capillare e impegnati-
vo.209 Riferendosi a Paolo VI, il rettor maggiore propone quattro virtù per
un dialogo efficace e fecondo: chiarezza, mitezza, fiducia e prudenza.210
208 Cfr. Ibid., 8-11.
209 Cfr. L. Ricceri, Lettera del Rettor Maggiore, in «Atti del Consiglio Superiore» 48
(1967) 247, 10.
210 Cfr. Ibid., 20-23.

25.10 Page 250

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 249
San Francesco di Sales viene evocato come il modello dell’educatore che fa
crescere i giovani “dal di dentro”, non per costrizioni, in un clima di libertà
e di dialogo. Gli atteggiamenti privilegiati sarebbero la bontà rispettosa
con tutti, la carità che conquista tutti, l’educazione come un’opera del cuo-
re in un clima di amorevolezza.211
Sommariamente si può affermare che Luigi Ricceri affrontò il perio-
do di crisi con molto equilibrio, in linea con il magistero di Paolo VI.
Avendo partecipato all’ultima sessione del Concilio e a due Sinodi dei ve-
scovi, membro della Congregazione dei vescovi e consigliere dell’Unione
dei superiori generali, si percepisce la sua comprensione del periodo di
grazia inaugurato dal Concilio. D’altro canto è evidente il suo impegno
di mediazione nel conflitto, di denuncia degli abusi e delle deformazioni
ideologiche di alcuni principi conciliari. Nonostante la sua formazione tra-
dizionale, l’ancoraggio nelle tradizioni salesiane e un certo paternalismo
(parlando di “figliuoli” o “sudditi”) che si percepisce nelle sue lettere, Brai-
do valuta il suo rettorato di «notevole apertura sia ai problemi di Chiesa
che a quelli della società civile, dimostrandosi il meno “clericale” della
dirigenza salesiana del tempo».212 Anche se non poté vedere i frutti del suo
lavoro di mediazione e di moderazione, gli effetti del suo atteggiamento
non estremizzante furono raccolti nelle sintesi del periodo successivo della
leadership di Viganò e Vecchi.
4.3. Autori e movimenti di pedagogia salesiana attorno al Vaticano II
4.3.1. L’amorevolezza come chiave di lettura del “primo Braido”
Contemporaneamente alle prime pubblicazioni sul sistema preventivo,
Pietro Braido sviluppò le sue riflessioni pedagogiche nell’interscambio con
l’équipe dell’Istituto Superiore di Pedagogia di Torino. Frutto di questa
collaborazione sono sia gli articoli su “Orientamenti Pedagogici” (dal 1954
in poi) che le tre edizioni dell’opera sintetica Educare. Un sommario di
scienze pedagogiche.213 Gli interessi del “primo” Braido, filosofo dell’edu-
211 Cfr. L. Ricceri, Lettera del Rettor Maggiore, in «Atti del Consiglio Superiore» 48
(1967) 249, 5-16.
212 Braido, Per una storia dell’educazione giovanile, 297. Cfr. anche Wirth, Da don
Bosco ai nostri giorni, 449-456.
213 Cfr. le diverse edizioni dal Educare. Sommario di scienze pedagogiche. A cura di
Pietro Braido, Torino, PAS 11956 fino agli ultimi volumi della terza edizione pubblicata

26 Pages 251-260

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26.1 Page 251

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250 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
cazione, sono molto ampi. Dallo studio iniziale sulla pedagogia di Johann
Friedrich Herbart negli anni ’40, Braido passò agli approfondimenti sull’e-
ducatore Anton Semenovič Makarenko, figura chiave della pedagogia so-
cialista, presente nel dibattito pedagogico italiano degli anni ’50.214 Oltre al
lavoro di collaborazione nella cerchia salesiana dell’ISP, Braido partecipò
dal 1954 ai primi incontri del gruppo di “Scholé”, animato dall’editrice La
Scuola di Brescia, che radunava i pedagogisti di ispirazione cattolica in un
periodo di confronto con le teorie dell’educazione laico-liberali e sociali-
ste. In queste collaborazioni i suoi interessi variano: educazione cristiana,
metodologia pedagogica, didattica, educazione estetica, sessuale, familia-
re, sociale e politica.
Braido introduce il suo primo volume sul Sistema Preventivo di don
Bosco del 1955 affrontando la questione della “sistematicità” del siste-
ma preventivo e cercando di interpretare le famose parole di don Bosco a
commento della lettera del rettore del Seminario di Montpellier: «Il mio
metodo si vuole che io esponga. Mah... Non lo so neppur io! Sono sempre
andato avanti come il Signore m’ispirava e le circostanze esigevano».215
Braido, anche se influenzato dall’impostazione del Don Bosco educatore
di Pietro Ricaldone, come vedremo più avanti, prende una certa distanza
dalle affermazioni troppo forti sullo spirito sistematico di don Bosco e si
avvicina alle posizioni di Bartolomeo Fascie, riprese da Ceria, che sostene-
va di dover uscire dal «campo della pedagogia teorica» e spaziare «invece
nel campo pratico dell’arte educativa e dell’opera dell’educatore dove don
Bosco fu veramente maestro».216
Gli argomenti che sostengono la soluzione del problema della sistemati-
cità vanno dall’affermazione della riflessione spontanea e non sistematica
dal PAS-Verlag di Zürich nel 1964.
214 Cfr. l’importante volume P. Braido, A.S. Makarenko, La Scuola, Brescia 1959.
215 Memorie Biografiche, vol. 18, 127 citato in Braido, Il Sistema Preventivo,11955,
25.
216 B. Fascie, Del metodo educativo di don Bosco, citato in Braido, Il Sistema Pre-
ventivo,11955, 35. Cfr. anche le pp. 27, 29, 34 e 46. È necessario inquadrare la questione
della sistematicità di don Bosco nel contesto della polemica tra educazione fascista ed
educazione cattolica. I pedagogisti cattolici, come Casotti, cercavano di vedere in don
Bosco la figura non solo dell’educatore ma anche del pedagogista cattolico par excellen-
ce. Cfr. Giorgio Chiosso, Educazione e pedagogia salesiana nel primo Novecento (dal
punto di vista dell’Italia), in Aldo Giraudo et al. (eds.), Sviluppo del carisma di Don
Bosco fino alla metà del secolo XX. Atti del Congresso Internazionale di Storia Salesiana
(Nel Bicentenario della nascita di Don Bosco Roma, 19-23 novembre 2014). Relazioni,
Roma, LAS, 2016, 155-186.

26.2 Page 252

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 251
di don Bosco fino alle affermazioni di vere intuizioni artistiche, di ispi-
razioni geniali in campo educativo.217 È da notare che nelle stesse pagine
Braido precisa la sua idea di “sistema pedagogico” come una visione orga-
nica e unitaria della realtà educativa che include i contributi dell’indagine
scientifica, della riflessione critica e delle prove empiriche. La sua idea
alta ed esigente di “sistema” lo porta ad ipotizzare perfino una pedagogia
sistematica dedotta dal fine dell’educazione o da un altro principio.218 Un
secondo filone di riflessione sulla non sistematicità del sistema preventivo
fa vedere l’incompiutezza della riflessione educativa di don Bosco che non
include l’educazione femminile, l’educazione dell’infanzia e della fanciul-
lezza, l’educazione estetica, la preparazione politico-sociale o la didattica.
Come metodo di studio Braido, invece di ricostruire don Bosco inquadran-
dolo negli schemi della pedagogia scientifica e dotta, propone lo sforzo di
ritrarlo (quasi “fotografarlo”) sinteticamente, coglierlo nella sua individualità
e nella sua azione. Appunto perché il suo non fu agire a caso, a base di intuizioni
sbrigliate e sconnesse, ma fu ancorato a meditazioni e conclusioni, impastate di
saggezza e di buon senso cristiano e umano (alimentato anche dal sapere e dal
contatto con i libri e con gli uomini dotti e competenti e di una ricca tradizione
educativa cristiana), è possibile cogliere le idee dominanti ed emergenti in questo
fluire di vita e di azioni intense e ricche.219
Propone un ritratto quasi nel senso hegeliano del termine, attraverso i “con-
cetti con mani e piedi” in un’operazione che ha di mira anche l’attualizzazione
del suo messaggio cogliendolo nella vita, assimilandolo
quasi “visivamente” (non semplicemente vederlo, le sensazioni senza concet-
ti sono cieche!), non solo “intuirlo”, ma “sentirlo”, “consentirlo”, riviverlo. Bi-
sognerebbe coglierlo nei “fatti”, negli episodi, con la capacità di penetrarne lo
spirito. E forse la migliore esposizione di don Bosco “pedagogista” sarebbe una
biografia di don Bosco “educatore”, colto nei fatti più salienti e caratteristici.220
Dalla lettura della prima edizione del Sistema Preventivo del ’55 sem-
bra che la sua struttura di base sia il trattatello di don Bosco sul sistema
preventivo del 1877. Braido conferma il fatto nell’introduzione alla terza
parte “Il sistema preventivo in azione”: «Anche nel suo opuscolo sul si-
217 Cfr. R.G. Zitarosa, La Pedagogia di S. Giovanni Bosco, citato in Braido, Il Siste-
ma Preventivo, 11955, 29.
218 Cfr. Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 29.
219 Ibid., 32.
220 Ibid., 33.

26.3 Page 253

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252 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
stema preventivo, che in certo senso vorrebbe costituire l’abbozzo di una
trattazione pedagogica sistematica, dopo la questione del quid e del cur
(In che cosa consiste il sistema preventivo e perché debbasi preferire) è
posto, senz’altro, nel secondo capitoletto (Applicazione del sistema preven-
tivo), il problema pratico del quomodo e cioè dei metodi e dei procedimen-
ti educativi».221 Nei seguenti paragrafi approfondiremo la questione della
strutturazione dei temi educativi riferendoci ai paradigmi di fondo delle
diverse edizioni del manuale del sistema preventivo nelle quali si riflette,
probabilmente, l’influsso del contesto socio-culturale e lo sviluppo perso-
nale dell’autore. A tal proposito è utile considerare il modello del collegio-
internato secondo la logica della “fedeltà a don Bosco santo” di Pietro Ri-
caldone.222 Il collegio e le problematiche legate ad esso determinano anche
le tematiche dei Capitoli generali, in un quadro mentale sostanzialmente
tradizionale, basato sulla filosofia e la teologia neoscolastica. Le linee edu-
cative e spirituali sostanziali sono riconducibili a don Bosco.223
In questo contesto si capisce la scelta dell’amorevolezza (e del cuore)
come “principio pedagogico” che guida la prima edizione del volume. Lo
spazio dato al capitolo sull’amorevolezza supera in lunghezza la somma di
pagine dei capitoli sulla religione e la ragione.224 Molto interessante è il col-
locamento del tema dei castighi che riflette una problematica tipica della col-
legializzazione delle case salesiane nelle ultime due decadi della vita di don
Bosco.225 I castighi sono trattati in paragrafi denominati “Amore che esige.
Disciplina, correzione, castighi” e “La Pedagogia del cuore e la correzione”.
Anche quando Braido cerca le fonti di ispirazione o di dipendenza del siste-
ma preventivo, privilegia allo stesso modo il tema amorevolezza-cuore su
quello della prevenzione (nel volume Prevenire non reprimere l’equilibrio
si sposterà, invece, più verso il preventivo). Lo si vede nel confronto con la
221 Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 251.
222 La frase riportata è il titolo programmatico del Rettor Maggiore Pietro Ricaldone.
Cfr. P. Ricaldone, Strenna del Rettor Maggiore per il 1935. Fedeltà a Don Bosco Santo,
SEI, Torino 1936.
223 Cfr. P. Braido, Le metamorfosi dell’Oratorio salesiano tra il secondo dopoguerra
e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984), in «Ricerche Storiche Salesiane» 25 (2006) 49,
295-323.
224 Cfr. Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 135-205.
225 Sulla “collegializzazione” cfr. P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità
cattolica. vol. 1: Vita e opere, LAS, Roma 1979, 121-123 e per la concretezza della
problematica disciplinare cfr. José Manuel Prellezo, Valdocco nell’Ottocento tra reale
ed ideale (1866-1889). Documenti e testimonianze, LAS, Roma 1992.

26.4 Page 254

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 253
tradizione lassalliana, con Ferrante Aporti o con Giuseppe Allievo.226 Per le
affinità con i Fratelli delle Scuole Cristiane si afferma, per esempio, che «al
di là di ogni tecnica della distanza e dei silenzi, c’è per don Bosco il trionfo
della famigliarità, dell’amorevolezza, del cuore, in un ambiente di semplicità
e di spontaneità, che costituisce la caratteristica del suo educare».227 Nella ri-
cerca di convergenze con il prof. Allievo si afferma: «Di significativo siamo
riusciti a rintracciare una sola pagina sul “cuore” nell’educazione ed un’altra
riguardante la questione dei premi e dei castighi e sul concetto del “preveni-
re”. Qui siamo decisamente con don Bosco».228
Il tema guida dell’amorevolezza è ancora più esplicito nel volume di
sintesi intitolato Don Bosco, pubblicato nel 1957 all’interno della collana
“pedagogisti ed educatori” dell’editrice La Scuola di Brescia. L’amorevo-
lezza è l’asse portante del libro che segue una logica che va dal centro alle
applicazioni:
1. L’anima dello “stile” educativo di don Bosco: l’amorevolezza;
2. Le “espressioni” dell’amorevolezza;
3. Dal centro al cerchio alla luce dell’amorevolezza;
4. Il lieto messaggio educativo della religione (Pedagogia teologica; L’a-
morevolezza nella religione);
5. La “scuola del lavoro” di don Bosco.229
Il contesto del collegio-internato salesiano, come struttura educativa
predominante, non si esaurisce ovviamente nel tema dell’amorevolezza,
ma è implicito alla trattazione di diverse tematiche educative: l’importanza
della coscienza morale interiore circa il dovere rispetto alla motivazione
esteriore della disciplina; la problematica della messa quotidiana e delle
vacanze; la trattazione sugli aspirantati e l’importanza data alle compa-
gnie. In questa prima produzione di Braido non si nota un’eccessiva en-
fasi sulla questione dell’ambiente educativo. Oltre a un unico riferimento
all’interessante opera di Henri Bouquier,230 l’autore preferisce riferirsi alle
sintesi di Alberto Caviglia riportate nelle parti cruciali e conclusive dei
diversi capitoli. Caviglia, che sembra essere l’autore preferito del “primo”
Braido nelle sue riflessioni sulle biografie degli allievi esemplari scritte da
226 Cfr. Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 105-129.
227 Ibid., 109.
228 Ibid., 127.
229 Cfr. Braido, Don Bosco, 1957, 7-8.
230 Cfr. il primo capitolo intitolato “l’educazione problema dell’ambiente” in H.
Bouquier, Don Bosco educateur, Téqui, Paris 21950, 1-12.

26.5 Page 255

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254 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
don Bosco, afferma l’importanza della pedagogia religiosa, del clima di
famiglia e dell’amorevolezza rispetto alla logica disciplinare insita nella
struttura del collegio.231
L’insistenza su una certa predilezione per l’oratorio da parte di Braido,
fa vedere la preponderanza dei collegi e delle loro problematiche in quel
momento storico. L’oratorio è definito come l’ambiente onnicomprensivo,
finalizzato alla formazione umana integrale, caratterizzato dalla gioia e
dalla libertà con il principale vincolo dell’amorevolezza.232 A differenza
del collegio, l’oratorio salesiano è «un’Opera, per sé “precaria”, essendo
basata sulla libera frequenza. È questa libertà che rende molto più mobile,
elastica, dinamica e ricca di iniziative l’azione dei dirigenti, i quali non
si limitano ad attendere, ad accogliere, ma come don Bosco organizzano
“retate” di conquista, veri pacifici “rastrellamenti” (piazze, strade, osterie,
caseggiati, ecc.)».233
4.3.2. La seconda edizione del “Sistema Preventivo” di Braido verso una
sensibilità più storico-critica
La seconda edizione del manuale sul Sistema Preventivo del 1964
sembra essere sulla scia della ricerca di fonti sicure sotto il riscontrabile
influsso degli studi storici di Pietro Stella e Francis Desramaut. Braido,
nell’introduzione, si definisce più cauto e incerto, ponendo avanti l’ideale
di avere fonti «accessibili […] in forma scientifico-critica che consente una
utilizzazione […] rassicurante». Oltre alla questione della sicurezza delle
fonti, menziona altri due fronti di necessari approfondimenti: l’inserimento
di don Bosco in tutta la storia dell’Ottocento e il problema delle relazioni e
delle dipendenze da altri.234 In questo senso la prima edizione del ’55 viene
ripensata, valutando l’introduzione e la prima parte su don Bosco nella sto-
ria dell’educazione come “non empiriche” e soltanto “opinabili”. La prima
parte viene, quindi, sostituita da cinque nuovi capitoli.
231 Più tardi Braido si distanzierà da Caviglia criticando il suo approccio parlando del
suo retoricismo, delle preoccupazioni apologetiche, la poca conoscenza delle fonti e il
continuo pericolo di proiezioni infondate. Cfr. gli appunti a mano di Braido nel fronte-
spizio del [Caviglia (ed.),] Opere e scritti editi e inediti di “Don Bosco”, vol. 4: La vita
di Savio Domenico, che si trova nel fondo del Centro Studi Don Bosco della Biblioteca
Don Bosco, UPS.
232 Cfr. Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 349-354.
233 Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 352.
234 Cfr. la prefazione in Braido, Il Sistema Preventivo, 21964, 7.

26.6 Page 256

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 255
Le necessità del rigore scientifico spostano gli equilibri anche nel cam-
po della sistematicità dell’approccio di don Bosco alle problematiche edu-
cative. Le soluzioni del Fascie non sono più citate e Braido è portato a
considerare nettamente don Bosco come un educatore e non come un pe-
dagogista. «La qualifica di “pedagogista” è nettamente distinta da quella di
“educatore”, sia sul piano logico che reale. Per sé nessuna delle due interfe-
risce con l’altra né in senso positivo né in senso negativo. Per essere buoni
e geniali educatori non è necessario essere grandi pedagogisti né l’essere
pedagogista, sia pure rigoroso, rigido o sistematico, costituisce per sé un
ostacolo ad essere educatore vivace, geniale, efficiente».235 La distinzione è
applicata anche a don Bosco che non viene più, come nella prima edizione,
descritto come “scrittore di cose pedagogiche” in testi di tipo narrativo
(Forza della buona educazione o il Valentino), regolativo, in forma di let-
tere o dialoghi.236 Le convinzioni di don Bosco vengono descritte ora come
un sapere non scientifico, “volgare” e non rigorosamente dimostrato.237
Sembra che Braido dia un maggiore spazio, a livello di metodologia del-
lo studio del sistema preventivo, all’intuizione espressa nel ’55 di esporre
don Bosco “pedagogista” attraverso una biografia di don Bosco “educato-
re” colto nei suoi fatti più caratteristici. Braido si dovrà confrontare con
diverse difficoltà, oltre al pericolo di ridurre il problema della “pedagogia
salesiana” alla storia scientifica e sicura della persona di don Bosco. La
prima difficoltà consiste nella ricerca di un criterio (certo) per distinguere
i suoi tratti caratteristici da quelli che non lo sono.
La cautela di contestualizzazione storica del sistema preventivo di don
Bosco struttura la prima parte del volume pubblicato nel ’64, intitolata:
“Esplorazioni introduttive: il tempo, l’opera, la personalità di don Bosco”.
La seconda edizione, pubblicata durante “la magica stagione del Vaticano
II”238 e prima del CG19, si può considerare un’opera di “passaggio”, sia
a livello metodologico che a livello di contenuti e fonti. La prima parte
del volume è riformulata con più cautela storiografica e la seconda parte
è lasciata sostanzialmente invariata. Braido, nella rielaborazione a livello
delle fonti, fa un uso maggiore delle lettere di don Bosco (la parte su “per-
sonalità e dello stile” è sviluppata quasi esclusivamente ricorrendo all’Epi-
stolario di Ceria), delle Memorie dell’Oratorio e delle Opere e scritti editi
235 Braido, Il Sistema Preventivo, 21964, 60.
236 Cfr. Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 28.
237 Cfr. Braido, Il Sistema Preventivo, 21964, 69.
238 Braido, Le metamorfosi dell’Oratorio salesiano, 296.

26.7 Page 257

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256 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
e inediti di “don Bosco” di Caviglia, mettendo possibilmente da parte le
Memorie Biografiche.
A livello di contenuto la prima parte è evidentemente accresciuta con
i capitoli sulle interpretazioni di don Bosco educatore, sulla sua arte edu-
cativa, sul contesto politico, religioso, socio-economico e culturale, sulle
opere, il cuore e lo stile di don Bosco. Viene ridotta la parte sulla doppia
identità di sacerdote educatore, che nella prima edizione sosteneva teori-
camente l’argomentazione. Sembra che per Braido acquisti più importanza
un don Bosco “artista dell’educazione”, pensato in una certa opposizione
con l’ideale di un pedagogista teorico.239
La seconda edizione può essere considerata un’opera di passaggio an-
che per la doppia attenzione al dato storico e al ripensamento attualizzante.
Braido ipotizza che solo «lo storico riespone e ricostruisce il sistema in
base ai materiali offerti dall’autore e cerca di offrire a questa ricostruzio-
ne le sue ragioni giustificative di carattere formalmente scientifico. Ma in
questo caso il teorico, il pedagogista, il sistematico sarebbe lo storico stes-
so, il ricostruttore, e non il realizzatore del complesso di idee e di pratiche
ricostruite e ricomposte in unità».240 Questo insieme di ruoli rivela il suo
ideale personale, ma è anche l’espressione dell’impostazione epistemologi-
ca nel volume primo della serie interdisciplinare Educare.241 L’interdisci-
plinarità traspira pure dalla seguente complessa proposta: «La più fedele
riproduzione del metodo educativo dovrebbe essere una biografia di don
Bosco educatore, colto non solo negli episodi e nei fatti frammentari, ma
anche nei comportamenti tipici, e nelle motivazioni di fondo, con un conti-
nuo passaggio da idee a fatti, da intenzioni ad azioni, da cose scritte a cose
realizzate, dalle riflessioni alle esemplificazioni, dai principi alle situazio-
ni, dagli orientamenti agli “episodi” che li incarnano».242
4.3.3. Braido e la metodologia educativa nel binomio “amore-disciplina”
In alcune sintesi Braido sembra essere stato influenzato da Pietro Rical-
done per il quale nutriva un grande apprezzamento. In quanto promotore
239 L’idea dell’educatore-artista ha trovato un interprete autorevole in Egidio Viganò,
Rettor Maggiore dal 1978 al 1995. Cfr. ad es. E. Viganò, Nuova educazione, in ACG 72
(1991) 337, 3-43.
240 Braido, Il Sistema Preventivo, 21964, 68.
241 Cfr. Educare, vol. 1: Introduzione alle scienze dell’educazione, PAS Verlag, Zürich
31963.
242 Braido, Il Sistema Preventivo, 21964, 73.

26.8 Page 258

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 257
dell’Istituto Superiore di Pedagogia, Ricaldone è stimato per le sue doti
di governo lungimirante e disciplinato.243 Ma la sintonia non è solo orga-
nizzativa. Braido condivide con Ricaldone la visione di fondo sul sistema
preventivo, inteso come scienza basata sulle «granitiche basi della filosofia
perenne e della teologia cattolica, e insieme sui dati che ci offrono le altre
scienze, quali la psicologia, la biologia, la sociologia, e via dicendo».244
Senza le basi neotomistiche non si comprenderebbero le argomentazioni e
la struttura delle tematiche nella prima edizione del Sistema Preventivo di
don Bosco. Braido, da filosofo convinto della necessità di una metafisica,
conclude la prima edizione del ’55 affermando: «Don Bosco è l’educatore e
il pedagogista che crede ai Valori oggettivi e assoluti. Proprio nel secolo, in
cui tra gli stessi Cattolici è, talora, fiacco il senso metafisico, il senso della
verità e della realtà oggettiva e si prepara la crisi modernistica, egli è, con
Rosmini (contro Lambruschini, Capponi ed altri), lo schietto e leale ca-
valiere della più genuina tradizione dogmatica e pedagogica cattolica».245
In questo impianto teorico si inserisce il discorso sulla metodologia
educativa. Il trinomio di ragione, religione e amorevolezza viene inter-
pretato con indicazioni di priorità: «In don Bosco domina il contenuto sul
metodo, la meta sulla via, il fine sui mezzi. Il primato spetta ai fini, alle
verità “eterne”, al “timor di Dio”. Prima la religione e la ragione, rivelatrici
di contenuti, e poi l’“amorevolezza”, come metodo».246
L’amorevolezza, però, non è per Braido l’unica componente essenziale
della metodologia educativa. Un posto altrettanto importante lo occupano
le cosiddette pedagogie dei doveri e della santità, fondate sulla «concezio-
ne etico-religiosa della vita fatta di dovere, di impegno serio e personale
e di responsabilità morale, che costituisce il punto di partenza della sua
[di don Bosco] attività di educatore».247 E proseguendo afferma che «san-
tità e dovere […], per lui, sono sinonimi».248 La santità è non solo il fine
dell’educazione salesiana ma, per Braido, diventa anche la condizione e il
243 Cfr. J.M. Prellezo, Studio della pedagogia e pratica educativa nei programmi
formativi dei salesiani, in Giraudo et al. (eds.), Sviluppo del carisma di Don Bosco fino
alla metà del secolo XX, vol. 1: Relazioni, 205-220.
244 P. Ricaldone, Don Bosco Educatore, Libreria Dottrina Cristiana, Colle Don
Bosco (Asti) 1951, vol. 1, 56. Cfr. anche uno sguardo più approfondito in Michal Vojtáš,
Sviluppi delle linee pedagogiche della Congregazione Salesiana, in Giraudo et al. (eds.),
Sviluppo del carisma di Don Bosco fino alla metà del secolo XX. Relazioni, 221-244.
245 Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 432.
246 Ibid.
247 Ibid., 253.
248 Ibid., 256.

26.9 Page 259

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258 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
mezzo principale che precede ogni altra metodologia.249 Infatti nella prima
edizione del ’55 la parte più metodologica intitolata “sistema preventivo
in azione” è strutturata come una sintesi di santità e doveri, che include
responsabilità personale, educazione morale (specialmente alla virtù della
purezza), pedagogia religiosa della preghiera, dell’Eucaristia, della confes-
sione e della devozione mariana.
L’amorevolezza, anche se è presentata come “fondamento metodologico”,250
non viene sviluppata in quanto metodologia dell’azione educativa, ma viene
lasciata nella sezione dei “grandi orizzonti del sistema preventivo”. Per Brai-
do, come per il Don Bosco Educatore di Ricaldone, amorevolezza è più un
principio di fondo che dev’essere equilibrato con quello della disciplina per
creare un quadro teorico di metodologia educativa. La disciplina nell’amo-
revolezza era la base per il superamento pratico dell’antinomia tra autorità
e libertà. Similmente per Ricaldone l’amorevolezza ha la funzione di pla-
smare l’ambiente educativo e di renderlo familiare, ma l’aspetto più pratico-
metodologico è permeato in concretezza soprattutto dai principi del dovere,
della responsabilità personale, della disciplina e dell’autorità.251 Nelle rifor-
mulazioni successive, nonostante il contesto culturale del post ’68 che ha
cambiato le categorie semantiche dei concetti di autorità, disciplina, potere e
libertà, Braido mantiene la logica fondamentale che ruota attorno al binomio
amorevolezza-disciplina nella sua funzione di superamento della dialettica
libertà-autorità.
Vediamo, invece, la sua insoddisfazione circa le formulazioni della par-
te “metodologica” del sistema preventivo, come se non volesse chiudere
la genialità pratica di don Bosco entro i limiti di una metodologia troppo
tecnica. Nell’introduzione al suo volume Don Bosco, pubblicato con La
Scuola di Brescia, si esprime in merito: «L’incontro di un uomo geniale e
santo, di uno stile e, almeno in parte, di una tecnica, ha costruito quello
che da tutti si chiama il “metodo preventivo” di don Bosco».252 Più avanti
riporta l’attenzione alla componente artistica con titoli come: “Da arte a
esperienza” oppure “Il poema pedagogico di don Bosco”.
249 Ibid., 435.
250 Ibid., 176.
251 Cfr. Ibid., 194-199, 253-265; Ricaldone, Don Bosco educatore, vol. 1, 148-228,
286-287 e P. Ricaldone, Strenna del Rettor Maggiore per il 1935. Fedeltà a Don Bosco
Santo.
252 P. Braido, Don Bosco, La Scuola, Brescia 1957, 9.

26.10 Page 260

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 259
4.3.4. Convegni sull’aggiornamento della pedagogia salesiana
Interessanti spunti sull’aggiornamento della pedagogia salesiana pro-
vengono da due convegni: il primo organizzato a Roma dall’ISP durante
i lavori di preparazione del Concilio Vaticano II con il titolo post-ricaldo-
niano Don Bosco educatore oggi;253 il secondo a distanza di quattordici
anni e in occasione del Capitolo generale speciale incentrato invece sul
tema Il sistema educativo di don Bosco tra pedagogia antica e nuova.254
Nelle riflessioni, nei titoli e nella strutturazione dei contributi emerge con
chiarezza l’idea del necessario aggiornamento della pedagogia salesiana,
percepito come una polarità tra un “oggi” nuovo e un “ieri” antico.
4.3.4.1. Don Bosco educatore oggi (1960)
Nel convegno sull’attualizzazione dell’educazione salesiana del 1960 le
riflessioni furono molto interessanti, in quanto nel momento dello svolgi-
mento del convegno era già diffusa l’atmosfera del Concilio. Il documento
degli atti inizia infatti con l’esplicitazione della piena «sintonia con l’at-
tuale ansia di rinnovamento»;255 i contributi, però, non potendo essere an-
cora influenzati dai documenti conciliari, attingono piuttosto alle idee che
circolavano nell’ISP, alcune coraggiose, altre dissonanti dai tipici luoghi
comuni associati al Vaticano II nella seconda metà degli anni ’60. È ancora
forte il riferimento implicito ed esplicito al paradigma del “collegio” con
i suoi educatori salesiani e con una promozione della cultura della scuola
“schiettamente cristiana” (Gian Carlo Negri). Il rinvigorimento delle isti-
tuzioni educative si prospetta all’insegna di una pedagogia salesiana che
coglie lo spirito vivo di don Bosco (Pietro Braido) in opposizione ad una
regolamentazione ricaldoniana opprimente e all’ambiente massificante del
collegio (Pietro Gianola). La proposta verte sulla preparazione pratica de-
gli educatori soprattutto nel tirocinio (Vincenzo Sinistrero), sulla vita di
azione, preceduta e preparata da approfondimenti innovativi sulla cono-
scenza sociologica della società (Pier Giovanni Grasso) e su quella psico-
logica del giovane (Luigi Calonghi).
253 Cfr. P. Braido et al. (eds.), Don Bosco educatore oggi. Seconda edizione riveduta
e accresciuta, PAS Verlag, Zürich 21963.
254 Cfr. Il sistema educativo di don Bosco tra pedagogia antica e nuova. Atti del con-
vegno europeo salesiano sul sistema educativo di don Bosco, LDC, Leumann (TO) 1974.
255 Braido et al. (eds.), Don Bosco educatore oggi, 9.

27 Pages 261-270

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27.1 Page 261

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260 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
Il contributo più interessante, a nostro avviso, è di Pietro Braido che
propone delle linee fondamentali sul sistema preventivo di don Bosco in
consonanza con la sua produzione degli anni ’50 ma con alcune nuove
aperture e in uno stile più sintetico e più narrativo rispetto alle pagine del
manuale analizzato precedentemente. Per lui, di don Bosco sono fonda-
mentali due caratteristiche: «il suo genio e la sua santità».256 La santità
di don Bosco si esplicita nell’ideale morale-religioso dell’educazione che
si attua grazie all’identità di un “prete dei ragazzi” che guarda tutto sub
specie aeternitatis. L’ideale religioso è riconoscibile chiaramente in don
Bosco sia per la sua formazione che per le opere da lui fondate e i meto-
di inaugurati.257 Per questo è necessaria una pastorale giovanile rinnovata
nella quale sarebbe
largamente sentito, teorizzato e promosso il ritorno ad un cristianesimo più
soprannaturale ed essenziale, reagendo non solo alle svariate forme di naturali-
smo e di illuminismo ereditate da Settecento e dall’Ottocento, ma anche in anti-
tesi a manifestazioni di pietismo formale e di devozionalismo eccessivo, caratte-
ristico di una certa spiritualità italica, anche ottocentesca con un vigoroso ritorno
ad una pedagogia schiettamente soprannaturale, dai precisi profili e fondamenti
dogmatici, e ad una vera e propria “teologia dell’educazione”.258
In Braido è chiara quindi l’intenzione di ritrovare un Cristianesimo vi-
vace, essenziale, operativo, non cercando un compromesso con la pedago-
gia contemporanea, ma riscoprendo il carattere profondamente cristiano
del sistema educativo di don Bosco che esige un’anima e un cuore sacer-
dotale, prima della psicologia, della pedagogia e della didattica, aspet-
ti essenziali e importantissimi, ma in ogni caso subordinati al carattere
cristiano della pedagogia salesiana.259 Prima dell’inizio del Concilio, il
nostro autore evocava un ritorno alle fonti della Rivelazione e a una pietà
meno devozionalistica e più unitaria, essenziale e positiva; una religiosità
più comunitaria e perciò meno individualistica, impegnata più nella vita
concreta che moralistica e, infine, più autenticamente interiore, che non
deve fare tanto rumore nelle sue espressioni. Sulla scia di Rinaldi, Braido
parla di un don Bosco che con “geniale adattamento” ripensa le opere
pastorali tradizionali secondo le esigenze dei tempi nuovi, criticando così
256 P. Braido, Contemporaneità di don Bosco nella pedagogia di ieri e di oggi, in
Braido et al. (eds.), Don Bosco educatore oggi, 75.
257 Cfr. Ibid., 61-63.
258 Ibid., 65.
259 Cfr. Ibid., 65-66.

27.2 Page 262

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 261
l’orientamento diffuso di una rivoluzione ideologica e pratica. Da que-
ste posizioni di fondo, e riprendendo le posizioni di Caviglia, partono i
suggerimenti per direttori meno burocrati e più confessori e per salesiani
meno professori e più pastori.260 Don Bosco è il “prete dei ragazzi” total-
mente dedicato alla missione educativa. Interessanti alcuni consigli per i
salesiani-educatori:
Clericalismo no; chiaro spirito cattolico sì. Ne risulta, per il salesiano, la ne-
cessità di una solida cultura ecclesiastica e di un’autentica spiritualità apostolica,
oltre che scientifica e didattica. […] Qui non è questione di “punti di vista” o di
“buoni consigli”, ma di coerenza e di obbedienza a don Bosco […]; alla Chiesa
[…]; alle esigenze delle anime giovanili, nel nostro tempo.261
La seconda parte, che parla del genio inimitabile dell’apostolato gio-
vanile di don Bosco, approfondisce soprattutto una caratteristica: lo stile
familiare dell’educazione salesiana. Per Braido, il sistema preventivo di
don Bosco non è un sistema scientifico, ma costituisce un preciso “stile
educativo”, variazione nuova e originale della perenne pedagogia cristiana.
«Don Bosco, pur pensando principalmente alla salvezza soprannaturale
dei giovani (senza, però, dimenticare i fini terreni intermedi), ha sentito
che ad essi non si può arrivare se non attraverso le vie umane e divine della
comprensione, della fiducia, delle cose che loro piacciono o sono utili».262
“Lo stile di famiglia” è l’elemento fondamentale e decisivo, l’anima e l’es-
senza, che differenzia la metodologia educativa del sistema preventivo da
altri sistemi: «È il metodo naturale della famiglia, con tutto ciò che questa
parola include di strutturale e di spirituale, di organizzazione esteriore e di
comportamenti interiori, di rapporti, di subordinazioni e di coordinazioni.
È una formula precisa, “istituzionale”, ma nello stesso tempo elastica e
comprensiva».263 Riprendendo le istanze di Bartolomeo Fascie, si propone
il concetto della famiglia nella logica di un sistema “aperto”, non “chiuso”,
un organismo vivente che accetta le variazioni e le trasformazioni senza
distruggere le caratteristiche fondamentali legate alla religione, descritte
nella prima parte. I principi del sistema familiare sono invece, per Braido,
nella logica di una “comprensione familiare”, caratterizzati dalla ragione
e dall’amorevolezza.264
260 Cfr. Ibid., 63-64.
261 Ibid., 66.
262 Ibid., 68.
263 Ibid., 69.
264 Cfr. Ibid., 69-70.

27.3 Page 263

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262 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
L’intervento di Braido è seguito dalla Lettera da Roma di don Bosco in-
titolata come “Il poema dell’amore educativo”, che costituisce il manifesto
prezioso di una pedagogia «che sia insieme appello al sapere e a capacità
realizzatrici, alla immaginazione vivace e creatrice e a fede e volontà amo-
rosa, a fervore e dedizione personale e rapporto vivo con l’azione vissuta
e sofferta».265 Si nota come nella situazione degli anni ’50, influenzata da
laicismo, razionalismo, materialismo e relativismo, cambia la percezione
della pedagogia cristiana, per cui «è necessario rimeditare don Bosco non
solo storicamente, ma anche teoreticamente, sistematicamente […] in una
visione teologica, filosofica e scientifica generale, di ampio respiro».266 Non
rimanendo solo nell’ambito accademico, Braido ipotizza una sinergia ope-
rativa tra studiosi, singoli educatori, associazioni di famiglie nucleari (ge-
nitori e figli) e famiglie educative (insegnanti ed educatori).267
4.3.4.2. Il sistema educativo di don Bosco tra pedagogia antica e nuova
(1974)
Il convegno degli educatori appartenenti alla Famiglia salesiana, svol-
tosi nella casa generalizia in via della Pisana, era organizzato con una
intenzionalità di scambio tra studi, riflessioni ed esperienze dei trecento
partecipanti provenienti da tutto il mondo. Braido descrive la finalità del
convegno riferendosi a una “riflessione vitale e impegnativa” sull’attuale
efficacia educativa e pastorale del sistema. Il metodo di lavoro comportava
la presentazione di alcune tematiche educative d’attualità, espresse nel-
le relazioni preparate in gran parte dagli esperti della Facoltà di Scienze
dell’Educazione dell’UPS, che venivano poi discusse nei lavori di gruppo
e, infine, l’assemblea approvava una sintesi delle convergenze in un “bilan-
cio conclusivo”.268
Interessante l’assegnazione del primo intervento a Bruno Bellerate, il
quale, con l’intento di stimolare e provocare la discussione, parla della si-
gnificatività storica e dell’adattabilità del sistema educativo di don Bosco.
Si parte dall’idealizzazione del fondatore «che si traduce successivamente
265 Il poema dell’amore educativo, in Braido et al. (eds.), Don Bosco educatore
oggi, 79.
266 Braido, Contemporaneità di don Bosco, in Braido et al. (eds.), Don Bosco educa-
tore oggi, 72-73.
267 Cfr. Ibid., 73-74.
268 Cfr. Don Bosco tra pedagogia antica e nuova, 7-12.

27.4 Page 264

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 263
in una ideologizzazione: tutto era buono e perfetto, ma tutto era ed è anco-
ra giustificabile, è il meglio che si può fare».269 È chiaro l’intento di andare
oltre le fossilizzazioni delle minuziose applicazioni ricaldoniane e “l’illu-
sione retrospettiva” del trionfalismo salesiano, ma, a nostro avviso, l’autore
va troppo in avanti relativizzando il significato di don Bosco per l’oggi.
Analizzando gli influssi ideologici su don Bosco a livello di fede, pedago-
gia, visioni di vita e mentalità imprenditoriali, organizzative, ecc., alla fine
del suo intervento l’autore giunge ad affermare, anche se con cautela, che
«gli stessi principi ideologici possono essere abbandonati, quando la loro
validità fosse dipesa da componenti che perdono di peso e assumono addi-
rittura un segno negativo con il cambiare dei tempi».270 Bellerate adopera
lo sguardo dell’“ermeneutica storica” ispirandosi a Paul Veyne271 e afferma
che non mancano studi e dati sufficienti sull’educazione di don Bosco,
si tratta soltanto di applicarvi con prudenza e coraggio la “griglia” dell’adat-
tabilità e il conseguente adattamento. Tale griglia è costituita […] dall’intreccio
analitico dei dati storici e delle istanze contemporanee e cioè dal coordinamento
del lavoro dello storico con quello del sociologo, per quel che concerne le maglie
portanti, cui potranno di volta in volta sovrapporsi i contributi dello psicologo,
dei metodologi, dei teoretici e così via.272
Concludendo, Bellerate cita don Bosco al Capitolo generale del 1877 di-
cendo: «Bisogna che cerchiamo di conoscere e di adattarci ai nostri tempi,
rispettare cioè gli uomini».273 Partendo dall’istanza del conoscere i tempi
bisogna quindi passare dal momento di ricerca al momento applicativo,
adattarsi con il criterio del rispetto degli uomini che, alla fine, fanno la sto-
ria e determinano i cambiamenti storici. Prospettando il metodo in questo
senso, Bellerate comunque nota come rimane sempre difficile identificare
quale atteggiamento avrebbe assunto don Bosco in contesti e circostanze
diverse dalle sue.274 L’incertezza sui possibili aggiornamenti, le considera-
zioni generiche di metodo e la mancanza di indicazioni concrete saranno
269 B. Bellerate, Il significato storico del sistema educativo di don Bosco nel sec.
XIX e in prospettiva futura, in Don Bosco tra pedagogia antica e nuova, 19.
270 Ibid., 33.
271 Bellerate si riferisce più volte al volume P. Veyne, Comment on écrit l’histoire.
Essai d’épistémologie, Seuil, Paris 1970.
272 Bellerate, Il significato storico, in Don Bosco tra pedagogia antica e nuova,
21-22.
273 MB, vol. 14, 416 in Ibid., 37.
274 Cfr. Bellerate, Il significato storico, in Don Bosco tra pedagogia antica e nuova,
33

27.5 Page 265

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264 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
riconoscibili nell’approccio teorico e storico degli sviluppi successivi delle
ricerche nel postconcilio e segneranno le ricerche e gli orientamenti di
Bellerate, Milanesi, Braido e altri autori.275
Pietro Braido, probabilmente influenzato sia da Bellerate276 che dalla
critica storica delle fonti salesiane tradizionali operata da Desramaut e
Stella, offre nel convegno solo una sintesi concisa della metodologia del
sistema preventivo di don Bosco, facendo riferimento ai suoi scritti prece-
denti senza un ripensamento attualizzante. Gli altri contributi approfondi-
scono successivamente le dimensioni dell’educazione salesiana: catechesi,
amorevolezza, comunità educativa, assistenza, giovani d’oggi e ambienti
(scuola, famiglia, associazioni, centri giovanili e media). Nel discorso di
chiusura, pronunciato dal rettor maggiore Luigi Ricceri, è interessante no-
tare alcune correzioni circa le idee di Bellerate sia sull’ideologia di don
Bosco che sulla parte metodologica del sistema preventivo con l’intento di
promuovere la necessità di conoscere un don Bosco totale:
Alla base dell’opera educativa di don Bosco sta non una ideologia o una qual-
siasi tecnica metodologica, ma una visione di fede. Da essa don Bosco è illumi-
nato all’azione, per essa si giudicano tutta la sua vita e le sue scelte. In essa si
spiegano e si risolvono le cosiddette antinomie della vita e dei detti di don Bosco
(pane/paradiso; peccato/ottimismo; umanesimo/evangelizzazione, ecc.). […] Se
ci mettiamo in profonda sintonia col suo spirito – che, giova ancora ripeterlo, è
essenzialmente di fede e di carità soprannaturale e per questo profondamente
umano – il sistema preventivo diventerà l’espressione logica necessaria della no-
stra vita e non ci lasceremo suggestionare da miraggi che non portano l’impronta
di Dio, e non possono quindi essere nella linea della missione salesiana.277
275 A nostro avviso la mancanza di una prospettiva teologica e gli influssi di peda-
gogisti ed epistemologi marxisti e/o pragmatici hanno influito sulla paralisi dell’aggior-
namento dell’educazione salesiana nel postconcilio. Per approfondire l’impostazione e
le fonti di Bellerate rimandiamo alle due parti dell’articolo fondante: B. Bellerate, La
storia tra le scienze dell’educazione, in «Orientamenti Pedagogici» 17 (1970) 4, 927-
957 e seconda parte in 19 (1972) 3, 722-731. Per una sua valutazione a posteriori del
background marxista e dello sforzo (considerato inutile) di riformare la Congregazione
Salesiana dal di dentro cfr. B. Bellerate, Un itinerario aperto: l’educare, in M. Borrel-
li (ed.), La pedagogia italiana contemporanea, vol. 2, Pellegrini, Cosenza 1995, 16-18.
276 Per l’influsso di Bellerate su Braido negli anni ’70 cfr. Rinnovamento di una Fa-
coltà di scienze dell’educazione, in «Orientamenti Pedagogici» 17 (1970) 4, 1044. Pos-
siamo anche costatare che il famoso concetto braidiano delle “Memorie del futuro”, ap-
plicato alle Memorie dell’Oratorio, appare prima in Bellerate, La storia tra le scienze
dell’educazione II, in «Orientamenti Pedagogici» 19 (1972) 3, 731.
277 L. Ricceri, Discorso di chiusura del convegno europeo salesiano sul sistema edu-
cativo di don Bosco, in Don Bosco tra pedagogia antica e nuova, 311.

27.6 Page 266

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 265
4.3.5. I Colloqui salesiani
In ambito europeo troviamo un’esperienza continuativa di convegni
basati sul confronto attorno a temi salesiani, chiamata Colloqui sulla vita
salesiana. Don Francis Desramaut, animatore per decenni dei Colloqui,
racconta l’origine di questi fruttuosi incontri, legata alla riunione dei for-
matori salesiani delle ispettorie francofone che si svolse nell’estate del 1967
a Reims. Don Ricceri aveva acconsentito ad esservi anche lui presente per
alcune ore e come osservatori avevano partecipato due docenti del Pontifi-
cio Ateneo Salesiano, Mario Midali e Giuseppe Abbà. Terminato l’evento,
visto il buon livello delle discussioni, don Abbà chiese se non fosse possibile
organizzare incontri simili anche a più largo raggio, vista l’esperienza po-
sitiva. Non mancarono dubbi in Desramaut: «Non riuscivo a immaginarmi
che gli italiani, a cominciare dai superiori della casa generalizia di Torino
e i professori dell’Ateneo Salesiano di Roma, potessero vedere di buon oc-
chio un’assemblea impegnata a dissertare sui loro problemi al di fuori d’es-
si stessi».278 Dopo la consultazione presso gli esperti romani, Pietro Stella
anzitutto, arrivò a sorpresa il parere positivo e si cominciò a progettare il
primo dei Colloqui. Fu scelto il tema della vita di preghiera del salesiano,
argomento poco scottante, e l’ispettore del PAS, don Luigi Chiandotto, fu
scelto all’unanimità come presidente dei Colloqui del 1968.279
I primi Colloqui sulla vita salesiana ebbero luogo a Lione durante il
mese di settembre del movimentato anno 1968. Nell’atmosfera non facile
di contestazione, criticità e scontri generazionali, i Colloqui si prefiggeva-
no sostanzialmente due obiettivi di fondo: il primo determinato dalla ne-
cessità di condurre studi seri su don Bosco, sulla sua opera e sul carisma;
il secondo espresso dalla volontà di dare delle risposte alle domande dei
giovani confratelli, che per la loro mentalità moderna esigevano indicazio-
ni fondate su una documentazione storica. Il primo presidente, riflettendo
l’impostazione di Desramaut,280 definì la natura dei Colloqui nel modo se-
guente:
278 F. Desramaut, All’origine dei Colloqui sulla vita salesiana, in C. Semeraro (ed.),
La festa nell’esperienza giovanile del mondo salesiano, LDC, Leumann (TO) 1988, 239.
279 Cfr. Ibid., 239-240.
280 Già dai primi Colloqui vengono messe in risalto le qualità organizzative, la
precisione e la costanza del segretario e coordinatore dei colloqui don Francis Desramaut.
Oltre al lavoro di coordinamento lo vediamo implicato come protagonista nelle tematiche
dell’attualizzazione del carisma con relazioni offerte in quasi ogni Colloquio.

27.7 Page 267

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266 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
È un’iniziativa dalla base; non è una cosa ufficiale. I nostri Colloqui inter-
nazionali sono semplicemente questo: un incontro di confratelli che amano don
Bosco e la Congregazione, hanno una buona preparazione scientifica e hanno
studiato e studiano don Bosco e la vita salesiana in modo da poterne parlare e
scrivere con competenza.281
Oltre il criterio della competenza scientifica venne menzionato anche il crite-
rio dell’internazionalità del gruppo nel suo insieme. Altre attenzioni metodolo-
giche completavano lo sviluppo progressivo del progetto dei Colloqui: la serietà
scientifica nello studio, un livello di alta divulgazione nella presentazione dei
risultati e l’attenzione alla volontà di riportare negli atti anche le reazioni e di-
scussioni suscitate dalle relazioni. A livello di obiettivi ci si prefisse lo studio dei
temi salesiani, lasciando invece in secondo piano l’istanza pratica di influire sulle
soluzioni di problemi vissuti. Vista a distanza, nell’organizzazione dei contenuti
dei Colloqui si possono rintracciare due modalità metodologiche di studio. Una,
più diffusa nei primi Colloqui, parte dalla “storia salesiana” che si confronta con
le problematiche attuali per arrivare alle mete di un impegno futuro. L’altra parte
invece dalle domande del contesto attuale che interpellano la tradizione salesia-
na, per trovare risposte e indicazioni di cammino.282
Dai secondi Colloqui in poi si cercava di andare oltre il dialogo quasi
esclusivo tra l’attualità e la storia e il gruppo si allargava con i pensato-
ri delle aree di sociologia, antropologia, epistemologia, psicologia e pa-
storale.283 Per quest’ultima cominciavano a partecipare dal 1970 diverse
persone: due membri del nuovo centro internazionale per la pastorale
giovanile di Torino, Michel Mouillard e Vittorio Gambino, sostituiti dal
settimo colloquio del 1975 in poi da Riccardo Tonelli. C’era inoltre la
presenza e la collaborazione di Mario Midali che passò, in quegli anni,
dall’ecclesiologia alla teologia pastorale-pratica. Non mancava la presen-
za di quei salesiani che, oltre alla riflessione, si dedicavano al lavoro
pastorale in quanto delegati per la pastorale giovanile nelle ispettorie o
operanti nei progetti pastorali pilota. A distanza di tempo, Midali valuta
positivamente il lavoro tra pensatori in aree diverse: «Ho potuto consta-
tare i benefici concreti di quel dialogo interdisciplinare tra competenti di
varie discipline, operatori e operatrici sul campo e superiori/e che, tanto
281 L. Chiandotto, Presentazione, in La vita di preghiera del religioso salesiano.
Lyon 10-11 settembre 1968, LDC, Leumann (TO) 1969, 5.
282 Cfr. M. Midali, Aspetto pastorale dei venti anni di “Colloqui”, in Semeraro (ed.),
La festa nell’esperienza giovanile, 244.
283 F. Desramaut, Introduzione, in La missione dei salesiani nella Chiesa. Benedikt-
beuern (Germania) 9-11 settembre 1969, LDC, Leumann (TO) 1970, 5.

27.8 Page 268

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 267
caldeggiato in linea di principio, si dimostrava però oltremodo difficile
da attuare in sede accademica».284
I cinque colloqui che si dedicavano esplicitamente ai temi della Fami-
glia salesiana dal ’73 al ’78 vedevano già coinvolte anche le Figlie di Maria
Ausiliatrice, i Cooperatori salesiani e le Volontarie di don Bosco. L’allar-
gamento del gruppo dei partecipanti si rifletteva anche nella composizione
del comitato organizzatore. Dal ’74 in poi c’è suor Maria Luisa Petrazzini,
allora professoressa presso il Pedagogicum di Torino, seguita poi da altre
FMA che facevano parte del coordinamento dei Colloqui.
Per la scelta delle tematiche dei Colloqui non si procedeva secondo un
progetto elaborato in partenza, ma si optava di volta in volta per un tema
specifico seguendo due criteri: rilevanza per la vita salesiana e competen-
ze scientifiche disponibili nella Famiglia salesiana. Il primo criterio sinto-
nizzava i temi con le riflessioni dei Capitoli generali del postconcilio, in
particolare quelli del ripensamento del carisma dal 1971, fino ad arrivare
alle Costituzioni rinnovate nel 1984. Riassumendo il percorso dei colloqui
nella seconda metà del secolo XX, le tematiche affrontate si potrebbero
dividere sostanzialmente in tre gruppi:285
– riflessioni sul contesto generale, dove rientrano i temi dell’ingiustizia, le
attese dei giovani, l’educazione alla pace, la disoccupazione giovanile,
la religiosità popolare, la festa e la coeducazione;
– tematizzazioni della Famiglia salesiana ad intra: vita di preghiera del
religioso, comunità salesiana, famiglia salesiana, il cooperatore nella
società, relazione tra religiosi e laici, vocazione salesiana, comunicazio-
ne, direzione spirituale e invecchiamento;
– considerazioni sulla missione salesiana ad extra verso il mondo: missio-
ne dei salesiani nella Chiesa, servizio ai giovani, impegno per la giusti-
zia, indifferenza e nuove forme di religiosità, cultura della vita e della
morte, impegno della Famiglia salesiana nei contesti di vita dei giovani
studiati in generale.
I Colloqui ebbero una buona risonanza nel mondo salesiano e influirono
sulla maturazione del pensiero circa diverse tematiche attuali negli anni
284 M. Midali, Frammenti di vita salesiana tra il 1941 e il 2010. Semplici ricordi e
sobrie considerazioni, s.e., Roma 2014, 178.
285 Cfr. C. Semeraro, Domande di fine millennio: “Colloqui, si? Colloqui, no? Di-
scussione sul futuro dei Colloqui, in C. Semeraro (ed.), Mondo salesiano e povertà alla
soglia del III millennio, Salvatore Sciascia, Caltanissetta 2001, 207-208 che riprende
Midali, Aspetto pastorale, in Semeraro (ed.), La festa nell’esperienza giovanile, 242.

27.9 Page 269

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268 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
’70 e ’80.286 Oltre ai contributi tematici, i Colloqui portarono delle innova-
zioni nella forma e nel metodo del dialogo sui temi salesiani, equilibrando
alcune dinamiche del mondo accademico romano tendente ad una certa
autosufficienza.
4.3.6. Gino Corallo fuori dal coro delle voci d’epoca
Una riflessione interessante e fondata, che non condivideva l’imposta-
zione di Braido circa le “scienze dell’educazione”, era proposta dal peda-
gogista salesiano Gino Corallo. Fu il primo autore ad interessarsi della
pedagogia di John Dewey in Italia.287 All’inizio degli anni ’50 egli era an-
dato a studiare negli Stati Uniti i risultati della didattica attiva e aveva im-
postato la sua proposta come una pedagogia della libertà. Anche se la sua
voce non era dominante nelle riflessioni postconciliari salesiane (dal 1965
insegnerà all’Università di Bari), le sue idee sono illuminanti per capire i
cammini e le logiche di quegli anni con i loro punti di forza ma anche con
le intrinseche debolezze che ogni approccio comporta. Corallo prevedeva
il rischio dell’indebolimento della pedagogia nel caso della sua rinunzia ad
appoggiarsi a una forte filosofia, come succedeva con l’idea delle “scienze
dell’educazione”.288
Parlando di don Bosco, Corallo non si sofferma sulla sistematicità del
suo pensiero, ma interpreta il suo modo di procedere nella logica sistemi-
ca di un organismo vivo. Facendo riferimento alle celebri affermazioni di
“non sapere”, l’autore afferma che per don Bosco non ci sarebbero risposte
uniformi alle diverse tipologie di questioni e situazioni educative. Pren-
dendo l’esempio della trattazione sui castighi, Corallo dichiara che
una risposta “trattatistica” avrebbe lasciato il tempo che trovava. (Io credo che
questa è la fondamentale ragione per cui don Bosco non scrisse quell’“operetta”
pedagogica a cui fa cenno all’inizio del suo Sistema preventivo). A una domanda
vitale si dà una risposta vitale: si tratta di inserire il castigo in uno stile di rapporti
286 Fino al 1987 la LDC vendette 12.200 esemplari degli Atti di 12 Colloqui. Cfr. N.
Suffi, La collana “Colloqui” e la sua incidenza nei contenuti dell’editoria salesiana, in
Semeraro (ed.), La festa nell’esperienza giovanile, 251.
287 Cfr. G. Corallo, La pedagogia di Giovanni Dewey, SEI, Torino 1950.
288 Cfr. G. Corallo, Educare la libertà. Scelta antologica a cura di Maria Teresa
Moscato, Clueb, Bologna 2009; C. Nanni - M.T. Moscato (eds.), La pedagogia della
libertà. La lezione di Gino Corallo, LAS, Roma 2012; L. Lafranceschina, La Pedagogia
Italiana del Secondo Dopoguerra e la Proposta Pedagogica di Don Gino Corallo, Arti
Grafiche Cortese, Bitonto 2014.

27.10 Page 270

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 269
complessi, ma unitari (come sono quelli di tutti gli organismi vivi), che gli danno
un significato: lo stesso atto materiale prende allora un senso e un valore educati-
vo diverso secondo il contesto interpersonale in cui è inserito.289
Secondo Corallo, perseguendo eccessivamente l’esigenza di scientificità
della pedagogia salesiana si corrono due rischi: regolamentare gli aspetti
contingenti o consegnare don Bosco alla storia. Non è difficile rapportare
al primo pericolo gli sforzi normativi di don Ricaldone e al secondo la
tendenza postconciliare di una critica storica delle fonti salesiane. Il ri-
pensamento attualizzante del sistema preventivo corre anche il rischio di
dimenticare alcune radici permanenti, soprattutto nel contesto di una forte
secolarizzazione e di uno pseudodialogo con il mondo:
La negazione, anche teorica, ma soprattutto pratica (dato che oggi molti han-
no una certa difficoltà a pensare) di questa dimensione perenne, non a caso è
accompagnata attualmente dalla obliterazione, più spesso pratica anch’essa, di
alcuni valori perenni del cristianesimo, che però, nonostante gli sforzi commo-
venti di chi ne propugna una completa secolarizzazione, si mostra terribilmente
restio a farsi “storicizzare” in alcune sue dimensioni fondamentali. E don Bosco,
non c’è bisogno di ricordarlo, pose un rapporto non certo precario tra l’essere
cristiano (sul serio) e l’essere educatore (sempre sul serio).290
Il nucleo del sistema preventivo sta, secondo Corallo, nello spirito, nello
stile e nella maniera personale e tipica di don Bosco di creare la sintesi
educativa. «Questa anima educativa di don Bosco sta in un atteggiamen-
to fondamentale che l’educatore deve assumere come suo stile di vita e
non come una pura capacità professionale».291 Nella seconda parte del suo
breve scritto intitolato “Dalla parte del ragazzo”, Corallo approfondisce
alcuni aspetti concreti del sistema preventivo dividendo la trattazione in
due parti: come è il ragazzo (punto di partenza) e come egli deve essere
(assiologia e finalità). Le due parti sono connesse, la conoscenza psicologi-
ca del ragazzo e i valori morali si intrecciano: «Il discorso pedagogico non
è un discorso di tecniche psicologiche, ma neppure una predica morale: è
quel singolarissimo discorso in cui la moralità personale diventa tecnica
dell’educazione e in cui la tecnica psicologico-didattica si deve trasfigurare
in un impegno morale».292
289 G. Corallo, Il metodo educativo salesiano. L’eredità di Don Bosco, Tip. Scuola
Salesiana del Libro, Catania 1979, 11-12.
290 Corallo, Il metodo educativo salesiano, 10.
291 Ibid., 16.
292 Ibid., 19-20.

28 Pages 271-280

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28.1 Page 271

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270 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
Il mettersi totalmente e lealmente dalla parte del ragazzo non significa
un pedocentrismo ingenuo, ma è un atteggiamento fondamentale di acco-
glienza che accetta tutto il ragazzo, in quello che egli è e in quello che egli
deve essere, in quello che può e deve diventare. Assistenza, in questa luce,
sarebbe la conoscenza esistenziale del giovane in un rapporto educativo
improntato alla consacrazione e dedizione totale.
Oserei dire che don Bosco ha portato in educazione una rivoluzione analoga
[…] a quella che il Cristianesimo operò nei riguardi del vecchio Testamento. Di
fronte alla rigidità minuziosa e moltiplicativa della legge, il Cristianesimo ha
eretto la grandezza dello spirito e il principio che il sabato è fatto per l’uomo. Non
a torto, quindi, si potrebbe dire che don Bosco ha operato col suo sistema una
vera rivoluzione copernicana nel campo dell’educazione: egli segue la direzione
che va dal ragazzo verso la graduale conquista della sua maturazione, e non quel-
la, opposta, di uso comune ai suoi tempi, che andava dai programmi e dai precetti
verso il ragazzo.293
Se l’assistenza è l’atteggiamento fondamentale di mettersi dalla parte
del ragazzo, la “giovanilità” è la caratteristica consequenziale di un’educa-
zione che parte dallo stare con i giovani. L’assistenza è quell’atteggiamento
tipico salesiano che evita due errori fondamentali: l’abbandonare il ragazzo
a se stesso e l’imporsi al ragazzo senza badare a lui. Per Corallo, l’assi-
stenza e la carità sono il campo nel quale va applicata l’affermazione di
don Bosco che «soltanto il cristiano può con successo applicare il sistema
preventivo».294
La parte più difficile è il lavoro educativo in vista di un futuro riuscito
del ragazzo, “come egli dev’essere”. L’educatore-assistente consacrato al
bene dei giovani usa le leve della ragione e del modellamento per educa-
re agli aspetti morali che non sono così istintivi come i bisogni primari
e relazionali. Nella parte dell’educazione religiosa e morale si verifica se
l’educatore è davvero consacrato al bene degli educandi, se trasmette la
vita nel suo insieme o se fa solo indottrinamento o catechesi magisteriale.
Secondo Corallo qui sta l’anima personalistica del metodo di don Bosco
e l’educatore, di conseguenza, è «quel cristiano che ha posto come fine
della sua vita il bene di un’altra persona. Con le parole di Gesù, è quello
che ha dato la vita per l’amico».295 La prospettiva di Corallo su don Bosco
è quella di una pedagogia cattolica e personalistica che mette in secondo
293 Ibid., 24.
294 Cfr. Ibid., 28-29.
295 Ibid., 40.

28.2 Page 272

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 271
piano le questioni di critica storica e le tecniche applicative delle singole
scienze. In questo senso costituisce un’interessante, anche se non molto
sviluppata, alternativa alle proposte di Pietro Braido che hanno influenzato
le scelte epistemologiche all’interno della Facoltà di Scienze dell’Educa-
zione dell’UPS.
4.4. Strumenti e risorse
4.4.1. Tabella cronologica
storia mondiale
inizia l'integrazione europea 1951
1952
finisce la guerra in Corea 1953
segregazione razziale resa illegittima negli USA 1954
1955
Bloom pubblica Tassonomia degli obiettivi edu. 1956
lancio dello Sputnik nello spazio 1957
Giovanni XXIII eletto papa 1958
1959
Congo indipendente, proteste contro l'apartheid 1960
termina il "grande balzo in avanti" in Cina 1961
inizia il Concilio Vaticano II 1962
Paolo VI eletto papa; J.F.Kennedy assassinato 1963
USA inviano truppe in Vietnam 1964
termina Vaticano II; Gravissimum educationis 1965
1966
Israele vince la guerra dei 6 giorni 1967
contestazione studentesca, CELAM Medellín 1968
l'uomo sulla Luna 1969
Küng scrive, L'infallibile? Una domanda 1970
1971
visita di Nixon in Cina 1972
Computer con interfaccia grafica 1973
1974
Angola e Mozambico indipendenti 1975
1976
primavera di Pechino di Deng Xiaoping 1977
Giovanni Paolo II eletto papa 1978
storia salesiana
pubblicazioni di pedagogia salesiana
canonizzazione di M.D. Mazzarello Ricaldone, Don Bosco educatore
Renato Ziggiotti eletto rettor maggiore
canonizzazione di Domenico Savio; Grasso, Gioventù di metà secolo
nasce il Pedagogicum delle FMA Braido, Il Sistema Preventivo di don Bosco (1.ed.)
approv. Istituto Superiore di Pedagogia; Braido (ed.), Educare. Sommario di scienze ped.
Braido, Don Bosco
CG18 (tema: osservanza religiosa)
congressi internazionali cooperatori Braido et al. (eds.), Don Bosco educatore oggi
Madrid, Barcellona Braido, Religiosi nuovi per il mondo del lavoro
1.285 novizi SDB (massimo nella storia)
Braido, Il Sistema Preventivo di don Bosco (2.ed.)
Luigi Ricceri eletto rettor maggiore al CG19; trasferimento del PAS a Roma
comincia il declino demografico SDB Desramaut, Don Bosco et la vie spirituelle
iniziano i Colloqui sulla vita salesiana Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica
Braido, Rinnovamento Fac. di scienze dell’educazione
comincia il CGS - Capitolo Generale Speciale (nuove Costituzioni della Congregazione )
casa generalizia trasferita a Roma
PAS diventa Università Pont. Sal. Braido, La missione salesiana oggi
Il sistema educativo di DB tra pedagogia antica e nuova
Congresso sul coadiutore salesiano
Congresso mondiale cooperatori Bellerate - Milanesi (eds.), Educazione e politica
Egidio Viganò eletto rettor maggiore al CG21, Juan Vecchi consigliere PG
sviluppo del PEPS con le pubblicazioni del Dicastero PG: sussidio 1. metodologia, 2. elementi,

28.3 Page 273

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272 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
4.4.2. Bibliografia selezionata
Acta et documenta Congressus generalis de statibus perfectionis, 4 vols., Roma
1952-3.
Atti del Capitolo Generale XIX, 8 aprile - 10 giugno 1965 Roma, in ACS 47 (1966)
244, 3-291.
Bellerate B. (ed.), Pluralismo culturale ed educazione. Atti del 3° colloquio interi-
deologico promosso da «Orientamenti Pedagogici», tenutosi a Roma l’8-9 dicem-
bre 1978, Orientamenti Pedagogici, Roma 1979.
Bellerate B., Un itinerario aperto: l’educare, in M. Borrelli (ed.), La pedagogia
italiana contemporanea, vol. 2, Pellegrini, Cosenza 1995, 15-30.
Bellerate B. - Milanesi G.C. (eds.), Educazione e politica, SEI, Torino 1976.
Bibliografia di Pietro Braido (1919-2014), in bit.ly/2MZsP18.
Bouquier H., Don Bosco educateur, Téqui, Paris 21950.
Braido P., Il sistema educativo di Don Bosco, SEI, Torino 11955, 21956.
Braido P., Il Sistema Preventivo di don Bosco, PAS Verlag, Zürich 11955 21964.
Braido P. (ed.), Educare. Sommario di scienze pedagogiche, 3. voll., PAS Verlag,
Zürich 11956 21962-64.
Braido P., Introduzione alla pedagogia. Saggio di epistemologia pedagogica, PAS,
Torino 1956.
Braido P., Don Bosco, La Scuola, Brescia 1957.
Braido P., A.S. Makarenko, La Scuola, Brescia 1959.
Braido P. et al. (eds.), Don Bosco educatore oggi. Seconda edizione riveduta e accre-
sciuta, PAS Verlag, Zürich 21963.
[Braido P.] Rinnovamento di una Facoltà di scienze dell’educazione, in «Orienta-
menti Pedagogici» 17 (1970) 4, 1043-1051.
Braido P., Le metamorfosi dell’Oratorio salesiano tra il secondo dopoguerra e il
Postconcilio Vaticano II (1944-1984), in «Ricerche Storiche Salesiane» 25 (2006)
49, 295-356.
Calonghi L., Tests ed esperimenti, PAS, Torino 1956.
CGS - Commissioni Precapitolari Centrali, Ecco ciò che pensano i salesiani della
loro Congregazione oggi. “Radiografia” delle relazioni dei Capitoli Ispettoriali
Speciali tenuti in gennaio-maggio 1969, 4 vols., Istituto Salesiano Arti Grafiche,
Castelnuovo D. Bosco (AT) 1969.
Capitolo Generale Speciale XX della Società Salesiana, Roma 10 giugno 1971 - 5
gennaio 1972, [s.e.], Roma 1972.
Corallo G., La pedagogia di Giovanni Dewey, SEI, Torino 1950.
Corallo G., Il metodo educativo salesiano. L’eredità di Don Bosco, Tip. Scuola
Salesiana del Libro, Catania 1979.
Corallo G., Educare la libertà. Scelta antologica a cura di Maria Teresa Moscato,
Clueb, Bologna 2009.
Dalcerri L., Istituto internazionale superiore di pedagogia e di scienze religiose, in
«Rivista di pedagogia e scienze religiose» 1 (1963) 1, 3-16.
Desramaut F., Les Memorie I de Giovanni Battista Lemoyne. Étude d’un ouvrage
fondamental sur la jeunesse de saint Jean Bosco. Thèse de doctorat en théologie

28.4 Page 274

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4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II 273
présentée à la Faculté de Théologie de Lyon, Maison d’Études Saint-Jean-Bosco,
Lyon 1962.
Desramaut F., Don Bosco et la vie spirituelle, Beauchesne, Paris 1967.
Desramaut F., Introduzione, in La missione dei salesiani nella Chiesa. Benedikt-
beuern (Germania) 9-11 settembre 1969, LDC, Leumann (TO) 1970, 5-8.
Desramaut F., All’origine dei Colloqui sulla vita salesiana, in C. Semeraro (ed.), La
festa nell’esperienza giovanile del mondo salesiano, LDC, Leumann (TO) 1988,
238-241.
Desramaut F. - Midali M., L’impegno della Famiglia salesiana per la giustizia.
Colloqui sulla vita salesiana 7, Jünkerath 24-28 agosto 1975, LDC, Leumann
(TO) 1976.
Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum Educationis, in AAS 58 (1966)
728-739.
Frigato S., Educazione ed evangelizzazione. La riflessione della Congregazione sa-
lesiana nel Postconcilio, in A. Bozzolo - R. Carelli (eds.), Evangelizzazione e
educazione, LAS, Roma 2011, 69-90.
Giammacheri E., La prima Facoltà di Pedagogia è sorta in Italia nel nome di don
Bosco, in «Scuola Italiana Moderna» 66 (1957) 17, 7-8.
Grasso P.G., Gioventù di metà secolo. Risultati di un’inchiesta sugli orien­tamenti
morali e civili di 2000 studenti italiani, Ave, Roma 1954.
Grasso P.G., La Società Salesiana tra il passato e l’avvenire. Risultati di un’inchiesta
tra ex allievi salesiani, Edizione extra-commerciale riservata, [s.e.], Roma 1964.
Grasso P.G., Le compagnie come risposta alla psicologia giovanile, Centro Interna-
zionale Compagnie, Torino 1954.
Il sistema educativo di don Bosco tra pedagogia antica e nuova. Atti del convegno
europeo salesiano sul Sistema Preventivo di don Bosco, svoltosi a Roma dal 31
dicembre 1973 al 5 gennaio 1974, LDC, Leumann (TO) 1974.
Ispettoria Salesiana PAS, Atti del 1° Capitolo Ispettoriale Speciale (13-19 aprile
1969), [s.e.] Roma 1969.
La vita di preghiera del religioso salesiano. Colloqui sulla vita salesiana Lyon 10-11
settembre 1968, LDC, Leumann (TO) 1969.
Lafranceschina L., La Pedagogia Italiana del Secondo Dopoguerra e la Proposta
Pedagogica di Don Gino Corallo, Arti Grafiche Cortese, Bitonto 2014.
Lettera del Direttore Spirituale, in ACS 44 (1963) 234, 16-20.
Lutte G., Per una università critica, in «Orientamenti Pedagogici» 16 (1969) 2, 326-336.
Malizia G. - Alberich E., A servizio dell’educazione. La Facoltà di Scienze dell’E-
ducazione dell’Università Pontificia Salesiana, LAS, Roma 1984.
Nanni C. - Moscato M.T. (eds.), La pedagogia della libertà. La lezione di Gino Co-
rallo, LAS, Roma 2012.
Nanni et al. (eds.), Pietro Braido. Una vita per lo studio i giovani l’educazione, LAS,
Roma 2018.
Pontificium Athenaeum Salesianum MCMXL-MCMLXV, [s.e.], Romae 1966, 28-67.
Rahner K. et al. (eds.), Dizionario di Pastorale, Queriniana, Brescia 1979.
Ricceri L., Così mi prese Don Bosco. Storie vere di vita salesiana, LDC, Leumann
(TO) 1986.

28.5 Page 275

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274 4. Prima, durante e dopo i cambiamenti del Vaticano II
Ricceri L., Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 47 (1966) 245, 3-14.
Ricceri L., Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 48 (1967) 247, 3-33.
Ricceri L., Lettera del Rettor Maggiore [con le conclusioni dei convegni continenta-
li di Bangalore, Como, Caracas], in ACS 49 (1968) 252, 3-86.
Ricceri L., Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 50 (1969) 258, 3-38.
Ricceri L., Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 54 (1973) 269, 3-49.
Ricceri L., Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 56 (1975) 279, 6-44.
Ricceri L., Presentazione del Rettor Maggiore della “Relazione Generale sullo Sta-
to della Congregazione”, in Capitolo Generale Speciale XX della Società Sale-
siana, Roma 10 giugno 1971 - 5 gennaio 1972, [s.e.], Roma 1972, 565-583.
Stickler A.M., Le compagnie alla luce degli ultimi documenti pontifici, Centro In-
ternazionale Compagnie, Torino 1954.
Tolomelli M., Il Sessantotto. Una breve storia, Carocci, Roma 2008.
Valentini E., Attualità ed efficacia pedagogica delle Compagnie, Centro Internazio-
nale Compagnie, Torino 1954.
Venti anni di Colloqui: Bilancio e prospettive, Tavola rotonda con la partecipazione
di Francis Desramaut, Mario Midali, Tarcisio Bertone e Nicolò Suffi. Moderato-
re Riccardo Tonelli, in C. Semeraro (ed.), La festa nell’esperienza giovanile del
mondo salesiano, LDC, Leumann (TO) 1988, 238-253.
Viganò E., Lettera a don Luigi Ricceri Gran Cancelliere del P.A.S. (24 agosto 1972),
in R. Gianatelli (ed.), Don Egidio Viganò all’Università Salesiana. Discorsi, linee
operative, testimonianze del VII Successore di don Bosco, UPS, Roma 1996, 24-44.
XVIII Capitolo Generale della nostra Società, in ACS 39 (1958) 203, 6-86.
Ziggiotti R., Ho visto don Bosco in tutti i continenti, in «Bollettino Salesiano» 79
(1955) 17, 333-342.
Ziggiotti R,, Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 44 (1963) 229, 3-11.
Ziggiotti R., Lettera del Rettor Maggiore, in ACS 45 (1964) 234, 2-14.
Ziggiotti R., Tenaci, audaci e amorevoli. Lettere circolari ai Salesiani di don Rena-
to Ziggiotti. Introduzione, parole chiave, indici e appendici statistiche a cura di
Marco Bay, LAS, Roma 2015.
4.4.3. Risorse online
Fonti, documenti, ricerche, pubblicazioni full-text, materiali fotografici,
legati a questo capitolo.296
296 Cfr. salesian.online/pedagogia4

28.6 Page 276

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5. PROGETTAZIONE E ANIMAZIONE,
DUE NUCLEI DI SINTESI PEDAGOGICHE
(1978-1998)
Mentre l’impressione della straordinarietà del Vaticano II sembrava
svanire, le dinamiche della vita ecclesiale degli anni Settanta erano ancora
fortemente condizionate dagli eventi del decennio precedente. Fu un’epoca
di febbrile attività pastorale, ma anche di crisi demografica e identitaria
delle diverse congregazioni religiose. A causa del contesto così complesso,
il Consiglio generale della Congregazione si radunò nel sessennio 1972-77
per ben ottocento volte con l’obiettivo globale di «promuovere lo slancio
del rinnovamento voluto dal Capitolo generale speciale, distinguendo l’o-
ro dalla ganga, e in pari tempo dirigerlo in modo da evitare il crearsi e
lo stabilizzarsi del disordine».1 Al lavoro ordinario, spesso condizionato
dalla gestione di situazioni di crisi, si aggiungevano ulteriori incontri di
animazione nelle diverse regioni. Il Pontificio Ateneo Salesiano nella sua
sede romana passò nel 1972 ad essere l’Università Pontificia Salesiana e
nell’ambito degli studi salesiani nacque al suo interno il Centro Studi Don
Bosco con la finalità di promuovere studi scientifici sulla persona del santo
educatore. Negli anni tra il ’76 e il ’77 il Centro, sotto la direzione di Pietro
Stella, pubblicò l’edizione anastatica delle opere a stampa di don Bosco in
trentasette volumi, permettendo l’accesso agli studiosi del carisma salesia-
no a un corpus molto più ricco rispetto alle edizioni precedenti.
5.1. L’ultimo quarto del secolo e il consolidamento guidato da Viganò
e Vecchi
Il 21° Capitolo generale, svoltosi dalla fine di ottobre del 1977 fino al
febbraio dell’anno successivo, non poté che verificare il cammino fatto e
1 L. Ricceri, Capitolo Generale XXI della Società Salesiana. Relazione generale
sullo stato della Congregazione, [s.e.], Roma 1977, n. 15.

28.7 Page 277

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276 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
portare a maturazione alcune delle tante linee di azione indicate dal Ca-
pitolo generale speciale. Il rettor maggiore Luigi Ricceri indicò nella sua
relazione che tutto il ridimensionamento, la qualificazione dei confratelli
e la formazione dei collaboratori laici era ancora da fare, in quanto le rea-
lizzazioni erano poche a motivo della mancanza di una visione concreta e
di una sensibilità realistica.2 Con questi criteri in mente il Capitolo elesse
come successore di don Bosco don Egidio Viganò, a cui non mancavano
né capacità governative né esperienze di vita salesiana ed ecclesiale in più
continenti. La maggior parte della sua vita l’aveva trascorsa in Cile, dove,
oltre al servizio di ispettore negli anni movimentati tra il 1968 e il 1972,
aveva partecipato intensamente alla vita ecclesiale. Come teologo esperto
dell’episcopato cileno era intervenuto al Concilio Vaticano II e successi-
vamente all’incontro della Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano a
Medellín (1968). Nel sessennio tra il 1972 e il 1978 aveva esercitato l’incari-
co della formazione istituendo i corsi di formazione permanente, iniziando
le Settimane di spiritualità per la Famiglia salesiana e promuovendo vari
centri di studio della Congregazione.3 Ricoprì il ruolo di rettor maggiore
per tre sessenni, dal 1978 alla sua morte, consolidando il rinnovamento del
Concilio nella Congregazione salesiana nel contesto dell’ultimo quarto del
XX secolo contrassegnato dalle dinamiche crescenti della globalizzazione
e del consumismo, conseguenza dell’affermarsi progressivo del modello
economico capitalista.
5.1.1. Globalizzazione crescente dell’ultimo quarto del secolo XX
Rispetto agli entusiasmi e alla volontà rivoluzionaria del ’68 l’atmosfera
degli ultimi anni ’70 nell’occidente era già cambiata. La crisi petrolifera
mise in dubbio l’idea di una crescita permanente del sistema economico,
esprimendo incertezza anche sull’idea di una “società del benessere”. L’o-
rientamento ideologico di sinistra, diffuso nel post ’68, subì notevoli con-
traccolpi di credibilità legati sia alle sempre più diffuse notizie sull’oppres-
sione nei paesi comunisti (i gulag, i massacri della Cambogia, il regime nel
Vietnam, il terrorismo di sinistra in Europa) che agli insuccessi del “so-
2 Cfr. Ibid., nn. 38-42.
3 Cfr. A. Viganò - F. Viganò, Don Egidio Viganò, settimo successore di Don Bosco.
Frammenti di vita, LDC, Leumann (TO) 1996; Wirth, Da don Bosco ai giorni nostri,
465-466.

28.8 Page 278

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 277
cialismo reale”: l’invasione fallita dell’Unione Sovietica nell’Afghanistan,
gli insuccessi economici dei paesi del “secondo mondo” e la mancanza di
risposte concrete dei partiti di sinistra alle esigenze reali della gente nei
paesi industrializzati.
I lunghi governi della destra liberista degli anni ’80 (Reagan negli USA,
Thatcher nella Gran Bretagna e Kohl in Germania) accentuarono la perce-
zione della crisi del socialismo che si era rivelata palese con le riforme di
Michail Gorbačov. L’inevitabile implosione dei regimi nell’Europa dell’est,
passata iconicamente alla storia come la caduta del muro di Berlino, ne fu
una conseguenza concreta. Le ispettorie salesiane nell’Europa centrale e
dell’est hanno dovuto affrontare, attorno al centenario della morte di don
Bosco, il ripensamento delle loro presenze e opere, nonché un cambio di
mentalità progressivo da un’opposizione al regime a una pastorale in un
mondo aperto, nuovo e incerto.
Nella parte occidentale del continente, il nucleo originario dell’Unio-
ne Europea si allargò prima agli stati del Mediterraneo ritornati alla de-
mocrazia negli anni ’80 (Spagna, Portogallo e Grecia), seguì la riunifica-
zione della Germania e infine cominciarono a entrare nell’UE anche i pa-
esi del centro e dell’est dell’Europa. Lo Zeitgeist europeo degli anni ’90
era determinato dalla vittoria del modello liberal-capitalista sul modello
socialista, accompagnata da una prospettiva favorevole all’integrazione
tra le nazioni europee, nonostante emergessero già le distanze politiche,
economiche e culturali tra i diversi stati membri. In questi orizzonti si
possono collocare le visioni storico-politiche di Zbigniew Brzezinski o
Paul Johnson4 o quelle teologico-economiche di Michael Novak, ex ge-
suita e consigliere di Reagan, il quale proponeva una conciliazione tra
il pensiero cattolico e le dinamiche del libero mercato in Lo spirito del
capitalismo democratico.5
In America latina si era testimoni di un attenuarsi delle politiche re-
strittive, preludio della transizione dalle dittature militari alle elezioni de-
mocratiche a partire dalla metà degli anni ’80 (Brasile, Perù, Uruguay e
4 Cfr. P. Johnson, Modern Times. The World from the Twenties to the Nineties, Harper
Collins, New York 1991; Z. Brzezinski, Out of Control. Global Turmoil on the Eve of the
21st Century, Simon & Schuster, New York 1995.
5 Cfr. M. Novak, The Spirit of Democratic Capitalism, Simon & Schuster, New York
1982. Cfr. anche le sue successive pubblicazioni: Id., The Catholic Ethic and the Spirit
of Capitalism, Free Press, New York 1993; Id., Business as a Calling: Work and the
Examined Life, Free Press, New York 1996; Id. - P. Adams, Social Justice Isn’t What You
Think It Is, Encounter Books, New York 2015.

28.9 Page 279

▲back to top
278 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
Bolivia). Tuttavia il consolidarsi della democrazia doveva misurarsi con
gravissimi ostacoli economici (inflazione e debito con l’estero), politici
(guerriglie sorte nel periodo militare) e sociali (diffusa povertà e differen-
ze sociali marcate).
L’Asia e il Medio Oriente presentavano una situazione molto differen-
ziata. Nel mondo islamico si stava effettuando uno spostamento dalla lea-
dership postcoloniale relativamente laica a una presenza più forte degli in-
tegralisti islamici, che trovavano un punto di riferimento nell’Iran, venuto
da poco a costituirsi come repubblica islamica sotto la guida dell’ayatollah
Khomeini. Mentre la Cina, dopo Mao Tse-tung, stava avviando un proces-
so di riforme sotto la guida di Deng Xiaoping promuovendo le dinamiche
del libero mercato, gli altri Paesi socialisti dell’Asia si trovavano in conflit-
to. Il Vietnam, dopo la partenza dei soldati americani, realizzò una dura
collettivizzazione, poi invase la Cambogia, che si trovava in una situazione
di caos dopo i massacri di Pol Pot, per trovarsi infine in guerra con la Cina.
Il Giappone e la Corea entrarono a far parte dell’economia globale grazie
a una stagione di sviluppo tecnologico, visto dall’occidente con un misto
di ammirazione e preoccupazione. L’India in questo periodo pose le sue
speranze nelle riforme di Rajiv, il figlio dell’assassinata Indira Gandhi. Gli
investimenti nel campo scientifico, tecnologico e informatico sostenevano
un lento sviluppo del Paese alle prese con difficoltà sociali ed episodi di
violenza tra indù e musulmani.
L’Africa negli anni ’80 e ’90 viveva un periodo non facile a seguito
della decolonizzazione. Gli ultimi Paesi a raggiungere l’indipendenza fu-
rono le ex-colonie portoghesi dell’Angola e del Mozambico che caddero,
però, presto in guerre civili. I governi cronicamente deboli facevano fatica
a contrastare le situazioni drammatiche in ambito economico, sanitario,
sociale e legale. I diversi colpi di Stato e le interferenze delle potenze mon-
diali rendevano impossibile la stabilizzazione politica dei giovani Paesi.
Nonostante qualche episodio positivo, come la fine dell’apartheid in Suda-
frica, la fine del millennio nel continente fu segnata dai massacri tra hutu
e tutsi nel Ruanda e dalla crisi in Congo, che si riverberò sulla situazione
dei Paesi vicini.6
6 Cfr. G. Sabatucci - V. Vidotto, Storia contemporanea. Il Novecento, Laterza, Bari
2003, 305-392.

28.10 Page 280

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 279
5.1.2. La Chiesa e la pastorale giovanile con l’impronta di Giovanni Paolo II
Il cammino della Chiesa nel postconcilio, accompagnato da Paolo VI,
continuò nelle riforme già iniziate, attraverso la nuova istituzione dei si-
nodi dei vescovi, i quali approfondivano successivamente la recezione del
Concilio, la collegialità episcopale, la giustizia nel mondo, l’evangelizza-
zione e la catechesi nel mondo moderno. Successivamente, l’ecclesiologia
del Vaticano II ebbe una concretizzazione operativa con la promulgazione
del nuovo Codice di diritto canonico. I lavori già progettati da Giovanni
XXIII e realizzati dal cardinale Felici, fornirono una traduzione del Vati-
cano II nel linguaggio giuridico con indicazioni dei fondamenti teologici
delle norme. Il CIC del 1983 si configurava come un’opera nuova, e non
solo come un aggiornamento del codice del 1917 che era strutturato sull’ec-
clesiologia del Concilio Vaticano I.7
La catechesi nel postconcilio si muoveva nella direzione del decentra-
mento con la produzione di diversi catechismi nazionali adeguati alle esi-
genze delle diverse fasce di età. Come frutto ci furono testi di diversa
qualità dottrinale, didattica e metodologica. La Catechesi Tradendae di
Giovanni Paolo II, scritta nel 1979, preparò, invece, la strada per un cate-
chismo universale, i cui lavori terminarono nel 1992 con la pubblicazione
del Catechismo della Chiesa Cattolica.8 Il consolidamento delle strutture
della Chiesa postconciliare veniva accompagnato, durante il lungo ponti-
ficato di Giovanni Paolo II, anche attraverso i nove concistori e le nomine
di oltre 230 cardinali. L’assestamento delle strutture non indusse tuttavia il
papa a chiudersi dentro le mura del Vaticano; egli, al contrario, oltre ai vi-
vaci contatti ecumenici e diplomatici, realizzò più di un centinaio di viaggi
all’estero, creando un’enorme confluenza di persone.
A livello politico papa Wojtyła fu un aspro critico del socialismo reale
e con le sue azioni diplomatiche contribuì alla caduta della cortina di fer-
ro. Nonostante una probabile influenza di Novak su alcune impostazioni
dell’enciclica Centesimus Annus, le sue posizioni sulla guerra, sulla pena
capitale, sulla povertà e la cancellazione del debito dei Paesi in via di svi-
luppo indicano una sintesi equilibrata. Il cattolicesimo di Giovanni Paolo
7 Cfr. J. Beyer, Dal Concilio al codice, EDB, Bologna 1984 e G. Ghirlanda, Il diritto
nella Chiesa mistero di comunione, Pontificia Università Gregoriana - San Paolo, Roma
- Milano 1990.
8 Per gli sviluppi della catechesi negli anni ’70 cfr. E. Alberich, Natura e compiti di
una catechesi moderna, LDC, Leumann (TO) 1974 e C. Caprile, Il sinodo dei vescovi
1977. IV Assemblea generale, Civiltà Cattolica, Roma 1978.

29 Pages 281-290

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29.1 Page 281

▲back to top
280 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
II si colloca in continuità con i valori del passato, ma politicamente apprez-
za la libertà ed è aperto alla logica dei diritti umani; il papa sa valorizzare
le sue diverse esperienze con i regimi totalitari, senza cadere nel liberali-
smo. In questo senso si può considerare emblematico il discorso del 1990
al corpo diplomatico presso la Santa Sede:
La sete irreprimibile di libertà […] ha accelerato le evoluzioni, ha fatto crolla-
re i muri e aprire le porte: tutto ha assunto il ritmo di un autentico sconvolgimen-
to. Come avrete certamente notato, il punto di partenza o il punto d’incontro è
stato sovente una chiesa. Poco a poco si sono accese candele per formare un vero
cammino di luce, come per dire a coloro che per anni hanno preteso limitare gli
orizzonti dell’uomo, a questa terra, che egli non può rimanere indefinitivamente
incatenato. […] La cosa più ammirevole negli avvenimenti dei quali siamo stati
testimoni, è che interi popoli abbiano preso la parola: donne, giovani, uomini
hanno vinto la paura. La persona umana ha manifestato le risorse inesauribili di
dignità, di coraggio e di libertà che custodisce in sé. In paesi nei quali per anni
un partito ha dettato la verità in cui credere e il senso da dare alla storia, questi
fratelli hanno dimostrato che non è possibile soffocare le libertà fondamentali
che danno un senso alla vita dell’uomo: la libertà di pensiero, di coscienza, di
religione, d’espressione, di pluralismo politico e culturale.9
Un punto forte del pontificato di Giovanni Paolo II fu l’attenzione mar-
cata verso i giovani, rivelata subito nel primo Angelus del suo pontifica-
to con l’affermazione: «Voi siete l’avvenire del mondo, la speranza della
Chiesa. Voi siete la mia speranza».10 Parlando del posto preferenziale che
hanno i giovani nella Chiesa, il papa riconosce in essi il volto giovane della
Chiesa, fermamente convinto che questa ha bisogno del loro entusiasmo
e della loro freschezza. L’espressione concreta del suo atteggiamento di
cura e di predilezione verso i giovani fu l’organizzazione delle Giornate
Mondiali della Gioventù (GMG) a partire dal 1985, “Anno Internazionale
della Gioventù” indetto dall’ONU. Le Giornate promuovono il protagoni-
smo dei giovani attraverso la forma di un dialogo, creando luoghi privile-
giati per l’incontro personale e comunitario con Gesù Cristo. In un periodo
storico che privilegia l’individuo, sono un segno efficace della comunione
ecclesiale, riunendo i giovani provenienti da tutto il mondo e raccogliendo
9 Discorso di Giovanni Paolo II ai membri del corpo diplomatico accreditato presso
la Santa Sede, in bit.ly/vatican-va-1990-01-13.
10 Giovanni Paolo II (con V. Messori), Varcare la soglia della speranza, Mondadori,
Milano 1994, 140. Cfr. anche U.C. Miyigbena (ed.), Giovanni Paolo II parla ai giovani.
Collana completa di tutti i discorsi rivolti ai giovani nell’arco del pontificato nelle lingue
originali, 3 voll., LEV, Città del Vaticano 2011.

29.2 Page 282

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 281
diversi gruppi, movimenti, associazioni e comunità attorno al papa. Incar-
nano la dinamica del pellegrinaggio sia dal punto di vista spirituale, sia dal
punto di vista pratico.11
Dal canto loro i temi di riflessione, proposti nelle GMG e poi appro-
fonditi nelle catechesi durante le giornate dell’incontro, costituiscono un
itinerario di formazione che sviluppa gli argomenti principali della fede:
Cristo via, verità e vita; Dio Amore; la fede e l’ascolto di Maria; la Chiesa;
la figliolanza divina nello Spirito Santo; la testimonianza.12 Le Giornate
mondiali sono pertanto tempi e spazi della Chiesa vissuti con i giovani e
per i giovani, manifestando in questo modo il loro carattere al tempo stesso
di “soggetto” operante la pastorale giovanile e di “spazio” accogliente per
la pastorale giovanile.13 Nonostante i successi delle Giornate, bisogna evi-
denziare il rischio reale, soprattutto in contesti che non hanno sviluppato
un loro modello pastorale proprio, di ridurre la pastorale giovanile a una
“pastorale dei grandi eventi”.
Le GMG sono il contesto nel quale si inserì la nascita del movimento
giovanile salesiano, reso visibile nell’incontro internazionale dei giovani
Confronto 88 in occasione del centenario della morte di don Bosco e nel
successivo Confronto 93.14 Il Capitolo generale 23 sull’educazione dei gio-
vani alla fede dice: «I gruppi e le associazioni giovanili che, pur mante-
nendo la loro autonomia organizzativa, si riconoscono nella spiritualità e
nella pedagogia salesiana, formano in modo implicito o esplicito il movi-
mento giovanile salesiano».15 Sarebbe interessante analizzare il cammino
dell’associazionismo salesiano, che è passato dall’organizzazione concreta
delle compagnie con il loro ritmo di incontri locali e i relativi congressi
ispettoriali e mondiali, attraverso l’associazionismo spontaneo proteso al
cambiamento sociale nel postconcilio, fino al MGS, molto più fluido, con
un’appartenenza “implicita” o esplicitata soprattutto durante le feste e gli
11 Cfr. J. Clemens, L’impegno della Chiesa per i giovani: da Giovanni Paolo II a
Papa Francesco, Incontro Internazionale sulle GMG Rio 2013 - Cracovia 2016, in bit.ly/
laici-va-2014-04-12, 3-7; Pontificio Consiglio per i Laici (ed.), Giornata Mondiale della
Gioventù. Memorandum per gli organizzatori, Città del Vaticano 2005, 7.
12 Cfr. A. Napolioni, La strada dei giovani. Prospettive di pastorale giovanile, San
Paolo, Cinisello Balsamo 1994, 122.
13 Cfr. D. di Giosia, La Pastorale dei giovani. Uno studio sul magistero di Giovanni
Paolo II, LEV, Roma 2011, 108-118.
14 Cfr. Dicastero della Pastorale Giovanile, Il Movimento Giovanile Salesiano
come espressione della spiritualità giovanile salesiana. Atti del Convegno Europeo,
Sanlucar la Mayor, 22-25 ottobre 1992, SDB, Roma 1993.
15 CG23 (1990), n. 275.

29.3 Page 283

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282 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
incontri (inter)ispettoriali, guidata dagli orientamenti puramente ideali a
livello mondiale, come quelli del CG23 che dichiara:
La circolazione dei messaggi e dei valori della spiritualità nel MGS non ha
bisogno di un’organizzazione rigida e centralizzata. Si fonda sulla libera comuni-
cazione tra i gruppi. Considera necessaria una struttura minima per organizzare
il coordinamento di iniziative comuni. Su questa base si favoriscono quegli in-
contri che diventano occasioni significative di dialogo, di confronto, di formazio-
ne cristiana e di espressione giovanile.16
5.1.3. Sintesi postconciliari e consolidamento organizzativo della Congre-
gazione (1978-2000)
Il sessennio 1972-78, oltre alle promettenti ma poco coordinate speri-
mentazioni pastorali, fu travagliato dal proseguire della crisi demografica,
visibile soprattutto dalla diminuzione di vocazioni alla vita consacrata,
dall’abuso delle “absentiae a domo” e dalle richieste di laicizzazione dei
sacerdoti, soprattutto nel primo quinquennio dopo l’ordinazione.17 Il CG21,
svoltosi dalla fine di ottobre del 1977 fino al febbraio dell’anno successivo,
proseguì nella direzione intrapresa dal Capitolo generale speciale, con la
volontà di concretizzare alcune delle tantissime linee di azione. Tra gli
aspetti che non erano stati significativamente avviati erano compresi al-
cuni molto importanti ma allo stesso tempo difficili da attuare, come il
ridimensionamento delle strutture, la qualificazione dei confratelli, la for-
mazione di collaboratori laici e l’aggiornamento del sistema preventivo.18
Verso la metà dei lavori del Capitolo generale 21 si svolse l’elezione del
settimo successore di don Bosco e, viste le necessità della Congregazione,
fu scelto Egidio Viganò, l’ex consigliere per la formazione che emergeva
con la sua personalità, caratterizzata da Braido come una «figura polie-
drica, una personalità dalla lucida, penetrante intelligenza, una forte pas-
16 CG23 (1990), n. 277.
17 I motivi dell’abbandono, indicati sia dai soggetti che dai loro ispettori, sono diversi-
ficati nelle regioni della Congregazione, ma generalmente quasi la metà degli abbandoni
è riconducibile a difficoltà affettivo-sessuali e, in seconda istanza, circa un quarto delle
motivazioni ruota attorno alle immaturità personali, psicologiche e caratteriali. Cfr. l’a-
nalisi in G. Dho (ed.), Capitolo Generale XXI della Società Salesiana. La riduzione allo
stato laicale dei sacerdoti nella Congregazione Salesiana. Presentazione analitica del
fatto e delle motivazioni, [s.e.], Roma 1977, 40-44.
18 Cfr. Ricceri, Capitolo Generale XXI. Relazione generale sullo stato della Congre-
gazione, nn. 38-42.

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 283
sionalità disciplinata, governante lungimirante e legislatore illuminato – e
fantasioso! – e fermo».19 Il nuovo rettor maggiore mise in rilievo le partico-
larità del suo stile di governo in una delle sue prime lettere: «Vorrei avere
lo stile piano e penetrante di don Bosco e la immediatezza di comunione
che possedevano gli altri suoi successori, ma a difetto di piacevolezza e di
semplicità, ci sia almeno sincerità e sodezza».20 Nelle sue lettere denuncia-
va la superficialità spirituale, riproponendo un’interiorità apostolica frutto
della grazia di unità. Già nel discorso di chiusura del CG21 propose il
concetto del “cuore oratoriano”,21 collegandolo con la novità della presenza
salesiana, ossia lo spirito di iniziativa e inventiva pastorale.22 Grazie alle
sue capacità di governo e di coordinamento, congiunte con le dinamiche
dello sviluppo storico, sociale ed ecclesiale, la Congregazione è stata più
serena e unita nel pensiero e nell’azione durante gli anni del suo rettorato
rispetto al quindicennio precedente.23
5.1.3.1. Approvazione definitiva delle costituzioni (1984) e la sistematizza-
zione della formazione (1981-85)
Alla fine del 1984 la Santa Sede approvò il testo delle costituzioni della
Congregazione che fu successivamente promulgato dal rettor maggiore,
chiudendo così il lungo processo di riformulazione del carisma nel post-
concilio. I lavori del Capitolo generale 22 sulle costituzioni erano stati
preparati dagli studi e dalle consultazioni nelle ispettorie.24 Il testo, che
doveva adattarsi al nuovo Codice di Diritto Canonico, ha subito diversi
19 Braido, Le metamorfosi dell’Oratorio salesiano tra il secondo dopoguerra e il
Postconcilio Vaticano II (1944-1984), in «Ricerche Storiche Salesiane» 25 (2006) 49,
350.
20 Cfr. E. Viganò, Maria rinnova la Famiglia Salesiana di don Bosco, in ACS 59
(1978) 289, 3.
21 Cfr. CG21 (1978), nn. 565-568. Braido osserva che il Rettor Maggiore Egidio Vi-
ganò proponeva «la formula “cuore oratoriano” [...] fino al termine della vita quasi come
sintesi dell’essere e dell’operare del salesiano: non solo nell’Oratorio-struttura, ma anche
in tutte le opere, di cui l’Oratorio era considerato da più anni l’esemplare», in Braido, Le
metamorfosi dell’Oratorio salesiano, 348.
22 Cfr. CG21 (1978), nn. 156-159.
23 Cfr. Wirth, Da don Bosco ai giorni nostri, 466.
24 Cfr. Capitolo Generale 22, Sussidi. Contributi di studio su Costituzioni e Regola-
menti SDB, 2. voll., SDB, Roma 1982 e Capitolo Generale 22, Schemi precapitolari, 2.
voll., SDB, Roma 1983.

29.5 Page 285

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284 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
cambiamenti e, infine, è stato strutturato in quattro parti: la prima sull’i-
dentità, sul ruolo e lo spirito della Congregazione nella Chiesa; una com-
plessa seconda parte che ingloba i tre elementi inscindibili della vocazione
salesiana, la missione, la vita comunitaria e la consacrazione, e si conclu-
de con il capitolo sulla preghiera; la terza parte dedicata alla formazione;
l’ultima approfondisce il servizio dell’autorità. Don Viganò espresse nel
discorso di chiusura del Capitolo la percezione condivisa di un percorso
ben fatto e della preziosità delle nuove costituzioni:
È un testo organico, profondo, migliorato, permeato dal Vangelo, ricco di ge-
nuinità delle origini, aperto all’universalità e proteso al futuro, sobrio e dignito-
so, denso di equilibrato realismo e di assimilazione dei principi conciliari. È un
testo ripensato comunitariamente in fedeltà a don Bosco e in risposta alle sfide
dei tempi.25
A seguito della promulgazione delle costituzioni fu poi elaborata la se-
conda edizione della Ratio Fundamentalis Institutionis et Studiorum, che
costituiva un ulteriore punto di arrivo del ripensamento postconciliare del-
la Congregazione, armonizzata con il CIC e le costituzioni.26 La Ratio era
stata richiesta già dal CG21, il quale desiderava un documento completo
che includesse anche gli orientamenti e le norme generali sulla formazione
intellettuale. Come risposta immediata ci fu la prima edizione del 1981,
recepita bene essendo un testo «maturo ed attuale, anche se perfettibile»27
e, in seguito ad alcuni cambiamenti legislativi, dopo quattro anni la secon-
da edizione portava miglioramenti a diversi livelli.28 Il documento trae la
sua composizione dalla motivazione di fondo di formare all’identità vo-
cazionale salesiana, rispecchiata nelle costituzioni ed espressa soprattutto
nell’armonia tra la missione, la vita comunitaria e la consacrazione. Oltre
alle indicazioni dell’ideale formativo si recepiscono i contributi delle scien-
ze dell’educazione sia come contenuti di studio, soprattutto nel postnovi-
ziato, che come attenzioni di metodo.29
Il metodo formativo, tra la direttività e la non-direttività, secondo lo
stile salesiano è un accompagnamento animante, «frutto della “ragione-
volezza” e dell’“amorevolezza” del sistema preventivo. Lo stile di questo
25 Capitolo Generale 22, Documenti, SDB, Roma 1984, 139.
26 Cfr. La formazione dei Salesiani di don Bosco. Principi e norme. Ratio Fundamen-
talis Institutionis et Studiorum, SDB, Roma 11981 e 21985.
27 La formazione dei Salesiani di don Bosco, 11981, 9.
28 Cfr. CG21 (1978), nn. 258-259.
29 Cfr. La formazione dei Salesiani di don Bosco, 21985, nn. 130-136.

29.6 Page 286

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 285
Sistema infatti è tale che nella autenticità, nella libertà e nella fiducia re-
ciproca permette a ciascuno e alla comunità di realizzare, nella ricerca
e nello scambio dei valori e dei servizi, il progetto di don Bosco».30 Il
sistema preventivo emerge nel documento come un progetto unitario nella
vita della persona, ed è legato alla missione salesiana e alle esigenze di
equilibrio psichico degli educatori. A livello di esperienza e di studio, il
sistema preventivo si dovrebbe approfondire soprattutto nel noviziato, nel
postnoviziato e nel tirocinio.31
Nella Ratio si può notare una mentalità tipica di questo periodo storico
che da un lato dichiara a livello di contenuti un’indispensabile formazione
organica con una programmazione unitaria, ma a livello di organizzazione
pensa settorialmente. Nella descrizione dei soggetti che a vari livelli inter-
vengono nella formazione dei giovani salesiani emergono, infatti, marcate
differenze: formatori che vivono nella comunità formativa e lavorano so-
prattutto con gli strumenti del colloquio e della direzione spirituale, i profes-
sori che lavorano accademicamente nei diversi centri di studio e le autorità
ispettoriali, organizzate in una commissione ispettoriale di formazione e nel
consiglio ispettoriale, quest’ultimo decisivo per le verifiche e le ammissioni,
che lavorano più a livello legislativo e di governo.32 La Ratio nel suo insieme
è un testo ricco e articolato con una molteplicità di idee, criteri o principi di
metodo non sempre facili da implementare in un modello concreto e reale.
5.1.3.2. Progetto Africa e le dinamiche di sviluppo
Oltre alla stabilizzazione legislativo-formativa a livello mondiale,
nell’anno 1975, centenario delle missioni salesiane, si cominciava a rin-
forzare l’idea di una maggiore presenza salesiana nel continente africa-
no. In sintonia con ciò, tre anni dopo, il Capitolo generale fornì il primo
orientamento operativo nell’area del rilancio missionario, con la richiesta
alle ispettorie di impegnarsi per aumentare notevolmente la loro presenza
in Africa.33 Dopo il Capitolo si costituì una commissione che analizzò le
quasi 30 domande di nuove fondazioni provenienti dall’Africa, proponen-
do infine la strategia di affidarle «nazione per nazione o zona per zona alle
varie regioni in cui è suddivisa la Congregazione. […] Per avviare il pro-
30 Ibid., n. 135.
31 Cfr. Ibid., nn. 27, 31, 62-66, 323, 332, 351.
32 Cfr. Ibid., cap. 4 (nn.141-163); cap. 5 e 6 (nn. 240-285); cap. 7 (nn. 295-306).
33 Cfr. CG21 (1978), n. 147.

29.7 Page 287

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286 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
getto giova una composizione omogenea (etnica e linguistica) delle prime
comunità. Ma nessuna frontiera deve essere un hortus conclusus».34
Più tardi la lettera di Egidio Viganò “Il nostro impegno africano” del
1980 concretizzò le linee dell’impegno e diede una forma ufficiale al co-
raggioso Progetto Africa, presentandolo come una grazia di Dio e un
«frutto di quella perenne gioventù e di quella audace magnanimità che Id-
dio comunica di epoca in epoca alla sua Chiesa attraverso l’ardore del suo
amore creativo».35 La volontà del rettor maggiore di risvegliare lo spirito
missionario si trovava in linea con il pensiero di Paolo VI che si chiedeva:
«L’asfissia spirituale, nella quale oggi tristemente si dibattono in seno alla
Chiesa cattolica tanti individui e istituzioni, non avrà forse la sua origine
nella prolungata assenza di un autentico spirito missionario?».36
La fondazione di nuove presenze nell’Africa fu particolarmente rag-
guardevole nel primo triennio degli anni ’80, arrivando ad inaugurare ope-
re in ventisei Paesi, organizzate in un’ispettoria dell’Africa Centrale e in
sei delegazioni suddivise ancora per ispettorie di provenienza.37 Dopo l’e-
poca delle prime fondazioni si scelse la strategia del consolidamento delle
opere e del lavoro formativo in vista dell’accompagnamento di vocazioni
autoctone. Dopo venticinque anni del progetto Africa, nel 2004 si contava-
no già 671 confratelli africani, di cui circa un quarto proveniente dal Con-
go e un decimo dall’Etiopia, seguiti da Kenya, Madagascar e Nigeria con
numeri tra i 45 e i 30 confratelli autoctoni. Il lavoro educativo nel giovane
continente si avvale di una varietà di opere: circa duecento scuole, che
vanno dall’istruzione primaria ai tre centri universitari, centoventi oratori
e un centinaio di parrocchie.38
Il rettor maggiore Pascual Chávez Villanueva, guardando retrospetti-
vamente al quarto di secolo del progetto Africa, riconosce che «è stato
necessario uno sguardo lungimirante e una voce profetica, come quella
di Egidio Viganò, per realizzare il sogno di don Bosco e fare dell’Africa
una scelta della Congregazione tradotta in un Progetto».39 Viganò, vista
34 Cfr. G. González, Storia del Progetto-Africa. L’origine e i primi passi, in Progetto
Africa 1980-2005, SDB, Roma 2006, 27.
35 E. Viganò, Il nostro impegno africano, in ACS 61 (1980) 297, 25.
36 Paolo VI, Messaggio per la giornata missionaria del 1972, in Ibid., 24.
37 Cfr. La Società di San Francesco di Sales nel sessennio 1978-1983. Relazione del
Rettor Maggiore Egidio Viganò, SDB, Roma 1983, 15 e González, Storia del Progetto-
Africa, 32-33.
38 Cfr. González, Storia del Progetto-Africa, 46-47.
39 P. Chávez Villanueva, Il nostro impegno africano, in Progetto Africa 1980-2005,
SDB, Roma 2006, 9.

29.8 Page 288

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 287
la robusta presenza salesiana nell’America impiantata un secolo prima e
la fruttuosa crescita del carisma nell’Asia risalente a cinquant’anni prima,
propose di diffondere la vocazione salesiana con umiltà e fedeltà, affinché
essa diventasse anche «robustamente e genuinamente africana».40
5.1.3.3. Dinamiche del personale nelle opere tra i numeri e la retorica
Analizzando i dati statistici del personale e delle opere della Congre-
gazione si può constatare che nell’ultimo quarto del Ventesimo secolo la
diminuzione del personale salesiano si fermò e i numeri dei confratelli
nelle ispettorie rimasero più o meno stabili, anche se la Congregazione nel
suo insieme stava già invecchiando.41 Mentre per il 1978 si nota una dimi-
nuzione globale del numero dei salesiani dell’11% rispetto ai tempi del Ca-
pitolo generale speciale, con l’eccezione delle quattro ispettorie dell’India
che dimostrano al contrario una crescita media del 14%, per i dodici anni
tra il 1978 e il 1990 si vede una stabilità del numero dei confratelli attorno
alle 17.500 unità.42 All’India si aggiungono nel 1990 altri paesi in crescita
demografica come la Polonia, l’Africa nel suo insieme e alcune ispettorie
dell’America latina (Messico, Cile e Colombia). Nei due sessenni successi-
vi comincia invece a percepirsi l’invecchiamento, con un leggero declino
del numero globale dei confratelli.
Verso il cambio del millennio si nota la diminuzione del numero dei
confratelli nelle case. Alcune ispettorie dell’America latina (ad es. Brasile,
Messico, Argentina e Ecuador) presentano una media di 6 confratelli per
casa. Ci sono anche alcune ispettorie con una certa consistenza numeri-
ca nella composizione delle comunità, comparata col periodo precedente,
come in Italia, Polonia, Germania e Congo, con una media di 12 salesiani
per casa. Eccezionalmente si riscontrano alcune ispettorie come il Viet-
nam e la Slovacchia con più di 12 confratelli per casa.
Una tendenza nuova nella Congregazione sembrerebbe essere costituita
40 Viganò, Il nostro impegno africano, 16.
41 L’invecchiamento si faceva sentire soprattutto in Europa. Cfr. C. Semeraro (ed.),
Invecchiamento e vita salesiana in Europa. Dati - prospettive - soluzioni, LDC, Leu-
mann (TO) 1990.
42 Cfr. L. Ricceri, Relazione Generale sullo stato della Congregazione. Capitolo
Generale 21° della Società Salesiana, SDB, Roma 1977, 217-274; La Società di San
Francesco di Sales, Dati statistici. Capitolo Generale 23°. Allegato alla Relazione del
Rettor Maggiore, SDB, Roma 1990, 19-40.

29.9 Page 289

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288 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
dalle ispettorie in crescita demografica nell’India e nell’Africa che investo-
no nell’apertura di nuove opere tenendo una bassa media dei confratelli per
casa, solo leggermente superiore alle ispettorie menzionate dell’America
latina.43 Un indicatore interessante è l’evoluzione del numero dei confra-
telli con un impegno fisso (a tempo pieno e a tempo parziale) nelle diverse
tipologie di opere:44
tipologia di opera
1977
oratorio/centro giovanile 2,9 sdb; laici in 74% di
oratori
scuole (primarie, secon-
n.d.
darie)
formazione professionale
n.d.
internati
n.d.
parrocchia
3,9 sdb; laici in 40% di
parrocchie
opere sociali
n.d.
1990
2,6 sdb 13 laici
5,5 sdb 38 laici
4,7 sdb 16 laici
3,6 sdb 4 laici
3,9 sdb 35 laici
1,6 sdb 6 laici
2001
2,1 sdb 17 laici
3,7 sdb 49 laici
2,6 sdb 21 laici
2,4 sdb 3 laici
3,5 sdb 59 laici
1,5 sdb 12 laici
Emerge un numero più elevato di salesiani impegnati nelle parrocchie a
tempo pieno rispetto a quello dei salesiani che operano negli oratori, contan-
do anche le collaborazioni parziali e dei chierici. Nel 1977 più del 40% delle
parrocchie si trova nei piccoli paesi e si caratterizzano per una pastorale
sacramentaria e popolare.45 Si continua nel trend, segnalato già nel CGS,
dell’aumento delle attività parrocchiali: infatti, fino al 2001 si evidenzia solo
una lieve diminuzione del personale salesiano nella parrocchia. Sembra che
le esortazioni del CG19 sulla valorizzazione e l’aggiornamento dell’oratorio
salesiano non siano state sufficientemente tradotte operativamente: è risulta-
to più facile accettare le parrocchie, con una gestione pastorale ed economica
più standardizzata che necessita meno investimenti creativi.46
Nelle statistiche citate si nota, invece, un consistente calo del personale
salesiano impegnato nelle scuole, una tendenza segnalata già nel 1977:47
43 Cfr. La Società di San Francesco di Sales, Dati statistici. Capitolo Generale 25°.
Allegato alla Relazione del Rettor Maggiore, SDB, Roma 2002, 40-42. I numeri dei
confratelli per casa è la proporzione del numero totale dei salesiani diviso per case erette.
44 Cfr. S. Sarti (ed.), Dati statistici sulle opere della Congregazione. Capitolo Ge-
nerale XXI della Società Salesiana, SDB, Roma 1977; La Società di San Francesco di
Sales, Dati statistici. Capitolo Generale 23° e Id., Dati statistici. Capitolo Generale 25°.
45 Cfr. Sarti (ed.), Dati statistici. Capitolo Generale XXI, 55, 73-77.
46 Cfr. la simile dinamica della “standardizzazione più facile” sviluppatasi tra il
collegio e l’oratorio nel periodo della collegializzazione descritta nel primo capitolo.
47 Cfr. Sarti (ed.), Dati statistici. Capitolo Generale XXI, 146.

29.10 Page 290

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 289
da 5.800 salesiani a tempo pieno nelle scuole nei tempi del CGS si passa al
numero 4.300 nel 1990 e alla fine del ventesimo secolo il numero scende
ancora a 3.372. Anche se in diminuzione, tuttavia, le scuole rimangono an-
cora l’opera che impegna il maggior numero dei salesiani. Notevole, d’altra
parte, è l’incremento del numero dei laici impegnati nelle scuole salesiane:
nel 2001 si arriva a 47.000 persone, un dato che implica una seria necessità
di investimenti nella loro formazione professionale e salesiana.
Il coinvolgimento dei laici è più ingente nella regione dell’America-Cono
Sud, con 330 salesiani e 15.000 laici che lavorano in circa 200 scuole, ar-
rivando a una presenza media di più o meno un salesiano con 75 laici per
istituto. Il minor numero di laici nelle scuole è visibile invece nella regione
Italia-Medio Oriente, con una presenza media di 5 salesiani e 5 laici per
scuola.48 È interessante notare come le formulazioni circa la collaborazione
con i laici nelle due regioni non sembrano rispecchiare la situazione, piut-
tosto sono il segno di culture e mentalità operative diverse. Nella Regione
dell’America-Cono Sud si constata semplicemente che «tutte le ispettorie
hanno elaborato il progetto laici con la loro partecipazione; nelle scuole il
sistema preventivo è stato più studiato e messo in pratica»49 e si segnalano i
diversi progetti di formazione realizzati e le difficoltà incontrate.
La stessa sezione, all’interno della Relazione sullo stato della Congre-
gazione, per la regione Italia-Medio Oriente viene invece descritta con una
lunghezza molto maggiore e una retorica più elaborata sulle necessità di
una ecclesiologia di comunione, con formulazioni ampie, esortative e va-
ghe, senza menzionare però i progetti realizzati.50 Oltre alle diversità delle
regioni, si tratta di un esempio degli effetti di una decentralizzazione a li-
vello di mentalità comunicativa e operativa, un fenomeno che sembrerebbe
crescere anche nel periodo successivo.
Nell’ambito della collaborazione con i laici si inserisce anche il conso-
lidamento della Famiglia salesiana nella logica di “un vasto movimento
di persone”. Gli anni ’80 sono un periodo di rinnovamento dei documenti
legislativi e del riconoscimento ufficiale di appartenenza alla Famiglia sa-
lesiana.51 A partire dalle celebrazioni del Centenario del 1988 si fa strada,
infatti, l’idea di un movimento attorno al carisma comune. Egidio Viganò
48 Cfr. La Società di San Francesco di Sales, Dati statistici. Capitolo Generale 25°,
58-65.
49 La Società di San Francesco di Sales nel sessennio 1996-2002. Relazione del Vica-
rio del Rettor Maggiore don Luc Van Looy, SDB, Roma 2002, 41.
50 Cfr. Ibid., 114-118.
51 Cfr. Wirth, Da don Bosco ai nostri giorni, 473-478.

30 Pages 291-300

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30.1 Page 291

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290 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
espresse l’idea nel 1995 definendo nella Carta di Comunione della Fami-
glia salesiana di don Bosco quegli elementi fondamentali che costruiscono
l’unità nello spirito di don Bosco. Si è voluto iniziare dall’anima della Fa-
miglia, perché il senso di appartenenza ad essa, più che di regole esterne,
si nutre della vitalità dello spirito comune.52 La logica del movimento e di
una mentalità “aperta” attorno allo spirito salesiano è riscontrabile anche
nella pastorale giovanile con il riconoscimento, a partire dal Confronto
’88, del movimento giovanile salesiano, formato implicitamente ed esplici-
tamente da gruppi che, «pur mantenendo la loro autonomia organizzativa,
si riconoscono nella spiritualità e nella pedagogia salesiana».53
In questo periodo si nota anche la nascita delle Istituzioni di Educa-
zione Superiore (ancora con numeri modesti) e il sorgere e moltiplicarsi
delle opere sociali soprattutto per i giovani in difficoltà o “a rischio” e per
gli emigrati; diminuisce invece l’impegno nel settore sanitario (lebbrosa-
ri e dispensari medici). Le opere sociali, nonostante il numero più basso
di presenze, occupano l’attenzione degli studiosi (per la loro novità)54 e
del pubblico (per il loro potenziale pubblicitario). Basti vedere come alle
scuole, settore tipico dell’attività salesiana, venga riservato solo qualche
paragrafetto nelle relazioni sullo stato della Congregazione nel periodo
studiato. La percezione generale venne espressa con molta chiarezza da
don Viganò nel 1990:
Giudicando a livello mondiale, si può dire che “l’area giovanile” è stata ogget-
to di incoraggiamenti generali, ma non di spinte strutturali innovatrici, decisive e
operative, con applicazione di persone, mezzi e orientamenti obbliganti. Forse ogni
ispettoria ha pensato che si dedica già ai giovani e ha solo bisogno di “migliora-
re”. La dedicazione ai giovani viene data come scontata e sufficiente. La pastorale
viene considerata oggetto di “animazione” ma non di azioni di governo, nemmeno
riguardo agli elementi che possono assicurare le finalità costituzionali.55
52 Cfr. Dicastero per la Famiglia Salesiana SDB, La carta di comunione nella
Famiglia Salesiana di Don Bosco, [s.e.], Roma 1995.
53 CG23 (1990), n. 275.
54 Cfr. ad es. G. Milanesi, L’utilizzo delle scienze dell’educazione nell’impegno dei
salesiani per i giovani “poveri, abbandonati, pericolanti”, in J.E. Vecchi - J.M. Prel-
lezo (eds.), Prassi educativa pastorale e scienze dell’educazione, SDB, Roma 1988, 87-
120.
55 La Società di San Francesco di Sales nel sessennio 1984-1990. Relazione del Rettor
Maggiore don Egidio Viganò, SDB, Roma 1990, n. 180.

30.2 Page 292

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 291
5.1.4. Dalla pedagogia alle scienze dell’educazione con una interdiscipli-
narità (im)possibile
Dalla fine degli anni ’60, con la comparsa delle prime facoltà di scienze
dell’educazione in Francia e in Belgio, si è creato un nuovo quadro di rife-
rimento che ha esteso il diritto di cittadinanza in campo educativo a una
pluralità di discipline (psicologia, sociologia, biologia, igiene, antropolo-
gia, metodologia generale, statistica, ecc.), tutte in grado di porsi accanto
o di fare concorrenza alla pedagogia tradizionale di stampo filosofico.56
Come abbiamo già accennato nei capitoli precedenti, l’Istituto Superiore
di Pedagogia del Rebaudengo, nella sua prima impostazione preconciliare,
gestiva le questioni epistemologiche dando priorità all’aspetto pedagogi-
co-filosofico, che creava, con le debite distinzioni, una cornice all’inter-
no della quale si posizionavano le “altre” scienze, dalla biologia fino alla
psicometria. Il quadro si complicò con la scomparsa del predominio della
filosofia perennis e il nuovo approccio delle pedagogie critiche degli anni
’60 e ’70, le quali affermarono prima l’autonomia delle scienze umane,
esortando poi al principio di interdisciplinarità.
Parlare, quindi, di scienze dell’educazione negli anni ’80 era diverso
rispetto agli anni ’50, che avevano visto nascere l’impostazione di Braido
e la serie di Educare. Giorgio Chiosso menziona un fenomeno indeside-
rato da parte dei pedagogisti dell’interdisciplinarità delle scienze dell’edu-
cazione: la graduale ma sostanziale semplificazione dei processi educati-
vo-formativi all’interno del prevalente orizzonte psicologico, sociologico
e metodologico.57 Sembra che anche in ambito salesiano l’impostazione
epistemologica delle scienze dell’educazione, insieme alle dinamiche orga-
nizzative postconciliari che accentuavano l’autonomia e il decentramento,
abbia influito nella compartimentalizzazione del sapere pedagogico. Una
volta superato lo spiritualismo disciplinato di Ricaldone e le pedagogie
della crisi dell’immediato postconcilio, sembra che nelle teorizzazioni e
applicazioni salesiane siano presenti tre tendenze descritte da Chiosso:
l’ottica empirico-operativa, l’attenzione verso la soggettività personale e
l’importanza del dialogo tra le persone e le culture.58 In più, sotto il coor-
dinamento di Pietro Braido, si sviluppò una forte riflessione storico-critica
sull’educazione salesiana, nata attorno al ripensamento postconciliare del
56 Cfr. G. Chiosso, Novecento pedagogico, La Scuola, Brescia 1997, 281.
57 Cfr. Ibid.
58 Cfr. Ibid., 283-284.

30.3 Page 293

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292 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
carisma, ma che ormai costituiva solo un campo del sapere promosso isti-
tuzionalmente dall’Istituto Storico Salesiano.
La prima corrente prevedeva il futuro della pedagogia come scienza
empirica, con un impianto induttivo-sperimentale al servizio dell’appren-
dimento, dell’organizzazione scolastica e della formazione degli insegnan-
ti. Nel prossimo paragrafo vedremo lo sviluppo di questo modello pedago-
gico attorno al tema della progettazione educativa, nel senso delle teorie
curricolari di impronta anglosassone.
Il secondo orientamento della soggettività personale si esplicava in di-
versi campi e con diverse sensibilità riconducibili ad un principio teorico
comune, l’importanza della “persona”. Da un lato ci sono le elaborazioni
filosofiche in campo cattolico che si riferiscono a Maritain, Mounier, Pie-
per e altri personalisti. Dall’altro c’è un’attenzione al concetto di persona-
lità nella corrente degli psicologi umanisti statunitensi come Allport, Ma-
slow, Carkhuff e Rogers. In alcune riflessioni l’importanza della persona si
connette con alcuni principi della pedagogia critica antiistituzionale, esal-
tando l’importanza dell’espressività, autenticità e autonomia della persona
contro le logiche autoritarie di antico stampo o l’alienazione capitalistico-
consumistica.
Il dialogo interpersonale e interculturale era il denominatore comune
della terza corrente di pensiero pedagogico. La coscienza dell’uomo è con-
siderata tale solo nell’apertura all’altro, nello scambio, che offre l’occasione
di scoprire la dimensione universale dell’esperienza umana. Una visione
positiva della multiculturalità, combinata con una accentuazione della lo-
gica dei diritti umani, prevedeva il superamento di divisioni, incompren-
sioni e pregiudizi in una società sempre più diversa nei modelli etnici e
culturali. In ambito salesiano questa corrente trovava spesso riscontri at-
torno al termine di inculturazione del carisma legato alla logica del decen-
tramento e alla dinamica della crescita demografica della Congregazione
nelle regioni non-occidentali.
Il paradigma delle scienze dell’educazione trovò ovviamente riscontri,
consensi e sviluppi nelle riflessioni della facoltà omonima dell’UPS, ma è
da notare che la sua concretizzazione a livello della stessa università av-
venne utilizzando la logica organizzativa dipartimentale, cara a don Egidio
Viganò. Il rettor maggiore, nella presentazione del documento del CG21
all’UPS nel maggio 1978, fa leva sulla decisione del Capitolo: «Sia reso
effettivo anche sul piano strutturale, e quindi statutario, il principio di in-
terdisciplinarità e dipartimentalità. Mentre le Facoltà resteranno organismi
accademici di programmazione e amministrazione, la gestione diparti-

30.4 Page 294

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 293
mentale garantirà l’unità della formazione».59 Come era suo solito, Viganò
non rimase solo sull’esortativo, ma un anno dopo diede al rettore delle
disposizioni per la creazione di «una struttura inter-facoltà per l’indirizzo,
unificato e organico, di pastorale giovanile e catechetica. Si faccia in modo
che tale struttura rappresenti il punto di convergenza della più alta collabo-
razione delle due Facoltà di Teologia e di Scienze dell’Educazione».60 Ri-
badire l’importanza della struttura dipartimentale era una costante dei suoi
interventi all’UPS, con un’insistenza che fa percepire anche le difficoltà
concrete nel far funzionare sia l’interdisciplinarità che il Dipartimento.61
5.1.5. La progettazione educativa e le sue teorie di supporto
Don Juan Edmundo Vecchi, l’autore più influente della progettazione
in ambito salesiano, esplicita il riferimento alle scienze dell’educazione nel
primo paragrafo del modulo sul progetto educativo-pastorale della pubbli-
cazione enciclopedica Progetto educativo pastorale: Elementi modulari:
«I termini progetto e progettazione non entrano nel linguaggio pedagogico
se non in tempi relativamente recenti. […] Ciò sembra dovuto più che a
ragioni particolari, a uno sviluppo globale nell’area delle scienze dell’edu-
cazione, in cui è emerso con più chiarezza il collegamento organico delle
esigenze del complesso processo di crescita della personalità in fase evolu-
tiva. La spinta decisiva è stata data dalla didattica che ha introdotto il con-
cetto di curricolo».62 Segue poi la definizione del termine curricolo data
dal pedagogista Lawrence Stenhouse: il curricolo è «un tentativo di comu-
nicare i principii e le caratteristiche essenziali d’una proposta educativa in
forma tale da restare aperto a qualsivoglia revisione critica e suscettibile di
una efficiente conversione in pratica».63
59 CG21, n. 360 in R. Giannatelli (ed.), Don Egidio Viganò all’Università Salesiana,
UPS, Roma 1996, 59.
60 Giannatelli (ed.), Don Egidio Viganò all’Università Salesiana, 77.
61 Cfr. Ibid., 104, 129, 134-135, 145-146 e 187-188.
62 J.E. Vecchi, Progetto educativo pastorale, in J.E. Vecchi - J.M. Prellezo (eds.),
Progetto educativo pastorale. Elementi modulari, LAS, Roma 1984, 15. Cfr. anche J.E.
Vecchi, Per riattualizzare il Sistema Preventivo, Ispettoria Salesiana Lombardo-Emi-
liana, Convegno sul Sistema Preventivo, Milano-Bologna 3-4 novembre 1978, 4.
63 L. Stenhouse, Dal programma al curricolo. Politica, burocrazia e professionalità,
in Vecchi, Progetto educativo pastorale, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo
pastorale. Elementi modulari, 15.

30.5 Page 295

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294 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
Michele Pellerey descrive la progettazione educativa negli anni ’60
e ’70, che voleva «superare sia le secche del burocratismo, sia le in-
concludenze e i velleitarismi dello spontaneismo. Ed ecco l’invasione
delle teorie curricolari e l’aggrapparsi alle indicazioni della tecnologia
didattica».64 Ma le radici del movimento della progettazione dei curricoli
didattici cominciano con Ralph W. Tyler e il suo volume fondamentale
del 1949 Basic Principles of Curriculum and Instruction.65 Tyler e i suoi
allievi Benjamin Bloom, Robert F. Mager e Hilda Taba,66 hanno inteso
riaffermare l’importanza del processo educativo e didattico contro l’in-
vasione della psicometria. Le teorie di progettazione sviluppatesi succes-
sivamente si possono dividere in tre correnti a seconda che il curricolo
venga considerato attraverso il paradigma del prodotto, del processo o
della ricerca.
La prima corrente di pedagogisti concentra l’attenzione alla costru-
zione del curricolo visto come il prodotto della progettazione, che dà
delle applicazioni e dei mezzi da implementare nell’educazione. Nono-
stante l’intenzione di evitare l’influsso della psicometria di stampo com-
portamentista skinneriano, in questa corrente si è fatto sentire l’influsso
di un’altra corrente “tecnocratica”, quella del management by objectives
di Peter Drucker, soprattutto nella “decade dell’educazione” negli Stati
Uniti (1957-68).67 La progettazione per obiettivi analizza la situazione
educativa, propone gli obiettivi da raggiungere e pianifica successiva-
mente interventi e attività in vista del raggiungimento dell’obiettivo. Gli
allievi di Tyler e i loro numerosi seguaci ebbero fortuna e pochi anni
dopo la teoria curricolare si diffuse anche in Europa. Nell’area della pro-
gettazione salesiana hanno avuto un buon influsso, oltre agli statunitensi,
gli autori belgi Erik de Corte, Gilbert de Landsheere e il già menzionato
64 Pellerey, Progettazione didattica, SEI, Torino 1979, 10.
65 R.W. Tyler, Basic Principles of Curriculum and Instruction, The University of
Chicago Press, Chicago 1949.
66 Cfr. B.S. Bloom (ed.), Taxonomy of Educational Objectives: The Classification of
Educational Goals, Handbook 1: Cognitive domain, David McKay, New York 1956 e
D.R. Krathwohl - B.S. Bloom - B.B. Masia, Taxonomy of Educational Objectives: The
Classification of Educational Goals. Handbook 2: Affective domain, David McKay, New
York 1964; R.F. Mager, Preparing Instructional Objectives, Fearon, Palo Alto CA 1962;
H. Taba, Curriculum development: theory and practice, Burlingham: Harcourt, Brace
& World, New York 1962.
67 Cfr. l’analisi più approfondita in M. Vojtáš, Progettare e discernere: Progettazione
educativo-pastorale salesiana tra storia, teorie e proposte innovative, LAS, Roma 2015,
116-128.

30.6 Page 296

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 295
studioso britannico Lawrence Stenhouse con le loro pubblicazioni della
seconda metà degli anni ’70.68
Il paradigma del curricolo come processo è da considerarsi come la
seconda corrente delle teorie curricolari, che va oltre la logica lineare
“situazione-obiettivi-attività”. Il pedagogista britannico Richard S. Peters
dichiara la sua logica processuale valorizzando i modelli d’eccellenza pre-
senti nelle attività che «possono essere stimate più per quei modelli imma-
nenti che non per i risultati a cui conducono».69 Lo statunitense James D.
Raths offre una interessante lista di criteri per identificare le attività edu-
cative che hanno in sé un intrinseco pregio indipendentemente dal conte-
nuto o dagli obiettivi, spostando l’attenzione di tutto il processo educativo
dall’insegnamento all’apprendimento.70
Come rappresentante di una terza corrente, che vede il curricolo come
un processo di ricerca, si può considerare Lawrence Stenhouse che tenta di
superare le forme rigide e assolutistiche del curricolo-prodotto, compren-
dente numerosissimi obiettivi, sottobiettivi, attività e standard obbliganti,
e allo stesso tempo cerca di fuggire alle teorizzazioni vaghe e poco appli-
cabili dei modelli processuali.71 L’autore britannico concepisce il curricolo
come l’interazione tra l’insegnante e gli allievi e lo intende come processo
di ricerca e verifica delle ipotesi educative. Diventa chiara la differenza
rispetto al paradigma del prodotto descritto tecnologicamente. L’accento
decentralizzante si pone più dalla parte dell’insegnante come artefice del
curricolo, rispettando la tradizione britannica dell’autonomia delle singo-
le scuole e degli insegnanti. Il curricolo è più uno strumento di problem
solving concernente una classe o una scuola, realizzato da parte degli in-
teressati, e non una concettualizzazione metodologico-tecnologica della
visione pedagogica o ideologica preferita.72 In questo senso Stenhouse si
avvicina, anche se non esplicitamente, alle posizioni della ricerca-azione di
Kurt Lewin.73 Juan Vecchi si ispira esplicitamente alle idee di Stenhouse
68 G. e V. De Landsheere, Definire gli obiettivi dell’educazione, La Nuova Italia,
Firenze 1977; L. Stenhouse, Dal programma al curricolo, 1977; E. De Corte et al., Les
fondaments de l’action didactique, De Boeck, Bruxelles 1979.
69 R.S. Peters, Ethics and Education, George Allen and Unwin, London 1966, 155.
70 Cfr. J.D. Raths, Teaching without specific objectives, in «Educational Leadership»
28 (1971) 714-720.
71 Per una critica delle tre correnti delle teorie curricolari cfr. Vojtáš, Progettare e
discernere, 126-137.
72 Cfr. Elliott, Education in the Shadow, in Rudduck, An Education that Empowers,
1995, 54-56 e Pellerey, Progettazione didattica, 21994, 27-29.
73 Cfr. Kemmis, Some Ambiguities in Stenhouse, in Rudduck, An Education that Em-

30.7 Page 297

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296 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
e nella sua proposta fa proprie le posizioni equilibrate tra i due paradigmi
del prodotto e del processo, ma eredita anche alcune difficoltà del modello
stenhousiano che pone troppe aspettative sull’educatore, il quale dovrebbe
essere insieme ricercatore, progettista, didatta, esecutore, facilitatore e ve-
rificatore. Di certo la preparazione, le esperienze e la personalità di Vecchi
hanno saputo venire incontro alle esigenze della progettazione, ma non si
può dire lo stesso dei “progettisti” nelle ispettorie, che sono stati influen-
zati più dall’entusiasmo tecnocratico del management by objectives che dal
modello del paziente accompagnamento dei processi di ricerca.
5.2. Le linee pedagogiche del magistero salesiano
I lavori del CG21 si concentrarono, oltre che sul lavoro delle costituzio-
ni che furono riviste e riconfermate valide ad experimentum fino al 1984,
soprattutto sul tema dell’educazione-pastorale salesiana. Il documento Sa-
lesiani evangelizzatori dei giovani del CG21 può essere considerato come
una specie di trattato postconciliare sull’educazione e la pastorale sale-
siana. Infatti, le tematiche affrontate da questo Capitolo erano da un lato
la continuazione di quanto cominciavano a sviluppare i consiglieri per la
pastorale giovanile don Giovenale Dho e don Gaetano Scrivo, e dall’altro
sarebbero poi state i temi prioritari dei Capitoli del trentennio successivo:
lo stretto rapporto tra educazione ed evangelizzazione,74 la comunità sale-
siana intesa come nucleo animatore75 della comunità educativo-pastorale
(CEP)76 e il tema del criterio o del “cuore oratoriano”, sviluppato in par-
ticolare da Viganò in termini di predilezione verso i giovani, secondo il
motto da mihi animas, cetera tolle.77
powers, 77.
74 Cfr. il tema e il contenuto del CG23 (1990): Educare i giovani alla fede.
75 Cfr. il tema e il contenuto del CG25 (2002): La comunità salesiana oggi.
76 Cfr. CG21 (1978), nn. 63-79 che parla della comunità salesiana animatrice della
CEP. Cfr. inoltre il tema e il contenuto del CG24 (1996): Salesiani e laici: comunione e
condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco.
77 Cfr. E. Viganò, La Famiglia Salesiana, in ACS 63 (1982) 304, 11-12; Id., Don Bosco
santo, in ACS 64 (1983) 310, 10 che trovano risonanze nei contenuti e nel tema del CG26
(2008): Passione apostolica del Da mihi animas, cetera tolle.

30.8 Page 298

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 297
5.2.1. Le concezioni della progettazione educativo-pastorale nel CG21
(1978)
Il Capitolo, avvertendo il rischio della disaffezione educativa in atto
legata alla crisi del collegio salesiano e vedendo una pastorale spesso poco
incisiva,78 volle confermare lo stretto legame tra l’educazione e l’evange-
lizzazione, richiamandosi a don Bosco, alla tradizione salesiana, all’esorta-
zione Evangelii Nuntiandi del 1975 e al Sinodo sulla catechesi del 1977. Si
affermò una forte connessione dei due momenti sul piano pratico dell’im-
pegno per la salvezza di tutto il giovane:
Partecipi all’attività evangelizzatrice della Chiesa, crediamo al carisma di don
Bosco e, dunque, al modo originale salesiano di evangelizzare i giovani. Il nostro
modo originale salesiano di rendere reale l’evangelizzazione è il progetto educa-
tivo salesiano, il “sistema preventivo”, ricompreso e attualizzato.79
Il ripensamento attualizzante dell’educazione salesiana si concentra
nella parte degli atti del CG21 che costituisce il progetto educativo-pasto-
rale salesiano (PEPS) e che ci sembra opportuno leggere in due logiche
complementari: il paradigma lineare-analitico-operativo dei contenuti (la
situazione, gli obiettivi e i mezzi) e l’approccio sistemico-sintetico-proces-
suale sullo stile educativo e pastorale (gli atteggiamenti degli educatori e
le caratteristiche dell’ambiente). La distinzione non è arbitraria in quanto
le due logiche hanno avuto diverse fortune e sviluppi negli anni successivi
al Capitolo.
5.2.1.1. Progettazione lineare: situazione-obiettivi-mezzi
Le condizioni all’interno delle quali si muove la proposta del CG21 ven-
gono descritte in quattro paragrafi, che trattano gli aspetti positivi della
prassi educativo-pastorale, gli aspetti deficitari, le cause principali delle
carenze elencate e infine il quadro di riferimento proposto in vista di una
valutazione della realtà effettiva.80 Non ci soffermiamo sui contenuti spe-
78 J. Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia nella prassi salesiana, in J. Vecchi -
J.M. Prellezo (eds.), Prassi educativa pastorale e scienze dell’educazione, SDB, Roma
1988, 128-129 e S. Frigato, Educazione ed evangelizzazione, in A. Bozzolo - R. Carelli
(eds.), Evangelizzazione e educazione, LAS, Roma 2011, 77.
79 CG21 (1978), n. 14. Cfr. anche i nn. 4, 81 e 569.
80 Cfr. CG21 (1978), n. 87.

30.9 Page 299

▲back to top
298 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
cifici della situazione, in quanto, essendo legati al sessennio 1972-78, sono
già stati ricordati precedentemente. Diventa interessante invece, per le in-
fluenze successive sulla metodologia della progettazione, notare il proce-
dimento del Capitolo che, oltre la descrizione analitica della situazione,
prosegue con un’interpretazione educativo-pastorale della situazione, con
la valutazione delle cause e il confronto con i riferimenti ideali del magi-
stero salesiano. L’attenzione al vedere e all’interpretare sarà presente nel
processo della progettazione proposto successivamente da Juan Vecchi.81
Nella formulazione degli obiettivi educativi il Capitolo usa una logica
che scaturisce da diversi piani di crescita, esposti con modalità abbastanza
eterogenee. Il primo di questi, descritto sinteticamente con un elenco di
obiettivi, dopo aver affermato l’unità del progetto orientato a Cristo, se-
gue la descrizione degli obiettivi del piano “religioso cristiano” in forma
discorsiva. Per rafforzare l’importanza del piano “vocazionale”, esso viene
trattato in una parte apposita tendente a una operatività molto più detta-
gliata rispetto agli altri piani di crescita. È molto probabile che la logica
della divisione in diversi piani di crescita sia stata determinante per la scel-
ta successiva della divisione del PEPS in quattro dimensioni.82 L’elenco
sommario degli obiettivi, che si riporta in seguito, è fatto in modo sintetico
e chiaro, per poter confrontare le suddivisioni e i contenuti.
– Sul piano della crescita personale del giovane si menzionano gli obietti-
vi di: una graduale maturazione alla libertà, che comporta la percezione
dei valori e l’assunzione delle proprie responsabilità; un rapporto sereno
e positivo con le persone e le cose; un atteggiamento dinamico-critico
di fronte agli avvenimenti per poter prendere decisioni personali coe-
renti; una maturazione sessuale per comprendere le dinamiche di cre-
scita, donazione e incontro; infine, una progettazione del proprio futuro
per fare una scelta vocazionale precisa.83
– Sul piano della crescita sociale si insiste su: l’atteggiamento pro-sociale
di disponibilità, solidarietà, dialogo, partecipazione e corresponsabilità;
l’inserimento nella comunità e l’impegno per la giustizia e per la costru-
zione di una società più giusta e umana.84
81 Cfr. Dicastero per la Pastorale Giovanile, Progetto Educativo Pastorale. Meto-
dologia, Sussidio 1, [s.e.], Roma 1978 e Id., Elementi e linee per un Progetto Educativo
Pastorale Salesiano, Sussidio 2, [s.e.], Roma 1979.
82 Cfr. lo Schema H all’interno del sesto capitolo che confronta diacronicamente i vari
piani e dimensioni all’interno della PG Salesiana.
83 Cfr. CG21 (1978), n. 90.
84 Cfr. Ibid., n. 90.

30.10 Page 300

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 299
– Sul piano religioso l’azione salesiana mira a una crescita in Cristo e nel-
la Chiesa per l’acquisto di: una fede consapevole e operante; un risve-
glio della speranza e dell’ottimismo; una vita di grazia e di carità; una
scoperta della Chiesa come segno efficace di comunione e di servizio in
vincolo di unità con il papa.85
– Sul piano della crescita vocazionale vengono posti solo due obiettivi: la
scoperta della propria chiamata; l’opzione libera e riflessa d’un progetto
di vita.86
Dopo l’enunciazione degli obiettivi principali, il CG21 non offre una
esplicitazione organica degli altri contenuti della prassi educativa e pasto-
rale che si possano tradurre in un programma operativo. Si percepisce una
forte insistenza sulle esperienze nell’area della crescita religiosa, ritenute
tradizionalmente salesiane e riviste pastoralmente alla luce del Concilio,87
dimenticandosi però di esplicitare i mezzi propriamente educativi nell’area
della crescita personale e sociale. In quest’elenco dei mezzi per l’educa-
zione si notano: la vita e l’esperienza del gruppo (menzionando ancora le
compagnie);88 la catechesi vivace e la predicazione concreta; le celebra-
zioni liturgiche liete e giovanili; la devozione filiale e forte alla Madonna,
modello di vita di fede riuscita e di purezza serena; la vita di preghiera
autentica con forme vicine alla pietà giovanile e popolare; il sacramento
della penitenza preparato con celebrazioni comunitarie;89 il far emergere la
chiamata personale che Dio rivolge a ogni giovane; il coltivare la vocazio-
ne dei giovani chiamati alla vita sacerdotale e religiosa; la collaborazione
attiva con lo Spirito Santo nel suscitare vocazioni salesiane, sia consacrate
che laicali.90
5.2.1.2. Progettazione sistemica: atteggiamenti degli educatori e l’ambiente
educativo
I documenti del CG21 descrivono lo stile dell’educazione e della pa-
storale salesiana attraverso la precisazione degli atteggiamenti degli edu-
85 Cfr. Ibid., n. 92.
86 Cfr. Ibid., n. 106.
87 Cfr. Ibid., nn. 92-95.
88 Cfr. Ibid., nn. 90, 102.
89 Cfr. Ibid., nn. 92-95.
90 Cfr. Ibid., n. 110.

31 Pages 301-310

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31.1 Page 301

▲back to top
300 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
catori e la descrizione dell’ambiente educativo. Negli educatori, singoli e
comunità, acquistano una fondamentale importanza alcuni atteggiamenti
e disposizioni: l’attenzione ai giovani reali, ai loro interessi e compiti di
vita; la simpatia verso il mondo dei giovani; la capacità di accoglienza e di
dialogo; la giusta considerazione e stima per i valori di cui i giovani sono
portatori; l’attenzione ai dinamismi della loro crescita; la ragionevolezza
delle richieste e delle norme; la creatività e flessibilità delle proposte; l’im-
pegno di sollecitare l’adesione ai valori attraverso la persuasione e l’amore,
non con l’imposizione forzata; il cercare di incoraggiare in ogni giovane il
punto accessibile al bene; la franchezza di una proposta cristiana integra-
le attenta al grado di sviluppo del giovane.91 Negli atteggiamenti emerge
chiaramente una sensibilità “animante” con uno stile educativo accoglien-
te, flessibile e graduale. Sono trascurati, invece, gli atteggiamenti legati
all’interiorità e spiritualità dell’educatore, alla chiarezza del fine ultimo e
agli aspetti di governo o di disciplina.
Le caratteristiche dell’ambiente educativo sono formulate in armonia
con gli atteggiamenti dell’educatore, prevedendo «un intenso e lumino-
so ambiente di partecipazione e di relazioni sinceramente amichevoli e
fraterne»92 come inquadratura dell’azione educativa e pastorale. I capi-
tolari erano convinti che il salesiano evangelizzasse più per quello che
fa che per quello che dice. Allo stesso modo che testimoniasse più con
la sua umanità sana, equilibrata e riuscita che con i gesti o le parole.93
Le caratteristiche menzionate esplicitamente dal CG21 sono: lo spirito di
famiglia, di semplicità e schiettezza, che favorisce relazioni amichevoli
e fraterne; il clima di ottimismo e di gioia come riflesso della grazia di
Dio e della serenità interiore; il modo comunitario di crescita umana e
cristiana; la presenza amorosa, solidale, animatrice e attivante degli edu-
catori; le forme costruttive di vita associativa; l’esigenza dell’impegno
apostolico dei giovani che diventano evangelizzatori dei propri compa-
gni; la collaborazione con i giovani, le famiglie e tutte le forze costruttive
disponibili.94
91 Cfr. Ibid., n. 101.
92 Ibid., n. 102.
93 Cfr. Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, n. 30ss, in Ibid.
94 Cfr. Ibid. Sulla CEP cfr. i nn. 63-68. NB L’uso di alcuni aggettivi come “attivante”
e “costruttivo” senza specificare l’oggetto fa ricordare le osservazioni critiche di Scilligo
circa la genericità e implicita emotività delle formulazione dei Capitoli nel postconcilio.

31.2 Page 302

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 301
5.2.1.3. Il progetto come strumento operativo
Nel discorso di chiusura del CG21 Viganò presenta il progetto educati-
vo-pastorale salesiano come una ricomprensione del sistema preventivo di
don Bosco. Non lo vede però in un’ottica di pedagogia teorica che ripensa e
riorganizza solamente i contenuti: «Se qualcuno pensasse che questa fosse
una proposta teorica o secondaria, io mi azzarderei a dire che dimostrereb-
be di non aver capito né il cuore di don Bosco, né il delicato “momento”
attuale della Congregazione».95 Il rettor maggiore prospetta il PEPS come
il programma del sessennio e propone di studiare, approfondire, confron-
tare, attuare il patrimonio educativo di don Bosco e di tradurlo in termini
di prassi negli ambienti di evangelizzazione salesiana.96 In questo modo si
mette in linea con il CG21 che sottolinea la decentralizzazione e l’attenzio-
ne alla singolarità di ogni contesto:
Ogni ispettoria (o gruppo di ispettorie) elaborerà un progetto educativo adat-
to alla realtà locale come base di programmazione e di verifica per le sue varie
opere, nella linea delle opzioni di fondo compiute dalla Congregazione: oratori,
centri giovanili, scuole, convitti, pensionati, parrocchie, missioni, ecc. Per favo-
rire l’unità, nel decentramento, il Dicastero per la pastorale giovanile, alla luce
dell’esperienza e della riflessione salesiana, indichi le linee fondamentali di que-
sto progetto (obiettivi, contenuti, metodo, caratteristiche...) tenendo conto della
diversità delle situazioni geografiche e culturali.97
La sequenza della realizzazione e il flusso delle indicazioni sono quindi pen-
sati in una logica “dal centro alla periferia”, partendo dalla decisione del Capitolo
generale di progettare, per proseguire poi con le indicazioni del Dicastero per la
PG, con l’elaborazione successiva dei progetti ispettoriali (PEPSI) e concludere
infine la serie con il lavoro del PEPS a livello locale.
Applicando questa metodologia nelle ispettorie si è poi realizza-
to in qualche modo il paradosso della “centralizzazione attraverso la
decentralizzazione”,98 con una serie di implicazioni pratiche che fanno
parte tuttora della storia degli effetti della progettazione salesiana. Il fatto
di avere proposto la sequenza della realizzazione dei progetti dalla strut-
tura “più grande” alla “più piccola” ha influenzato la mentalità progettuale
95 Ibid., n. 569.
96 Cfr. Ibid., n. 571.
97 Ibid., n. 105.
98 Cfr. S. Kühl, Sisyphos im Management. Die vergebliche Suche nach der optimalen
Organisationsstruktur, Wiley, Weinheim 2002, 131-166.

31.3 Page 303

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302 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
salesiana, in quanto i progetti ispettoriali hanno imitato spesso i documenti
dei Capitoli generali, le indicazioni del dicastero o i progetti delle altre
ispettorie e quelli locali hanno riprodotto i contenuti del progetto ispetto-
riale, dovendo essere in sintonia con esso.99
5.2.1.4. Progetto, un termine con un campo semantico (troppo) ampio
Un ulteriore problema si trova sul piano linguistico, perché il campo
semantico della parola italiana “progetto” è più esteso rispetto a termini
rispettivi delle altre lingue.100 Il CG21 non definisce in un modo univoco il
termine “progetto educativo-pastorale salesiano”, lo usa alternando accen-
tuazioni sia di tipo teorico che operativo e a volte lo sostituisce con il sem-
plice termine “progettazione”. Tra i diversi nomi e livelli di progettazione
che fanno riferimento diretto o indiretto al PEPS, utilizzati dal CG21, si se-
gnala: progetto dell’anno, programmazione educativa e pastorale, progetto
dell’oratorio e del centro giovanile, progetto educativo ispettoriale per il
settore scolastico, progetti delle singole scuole, progetto apostolico delle
“nuove presenze”, progetto organico per l’evangelizzazione a livello ispet-
toriale e locale.101 È interessante che nella parte degli orientamenti opera-
tivi sulla parrocchia salesiana non viene richiesto esplicitamente un PEPS
per la parrocchia. Il CG21 non chiarisce il numero e le interdipendenze tra
i vari “progetti” e questa rimane una questione da affrontare nel futuro.
I vari studi, manuali e sussidi prodotti in questi anni si muovono in
genere nell’ambiguità della funzione semantica multipla del termine “pro-
getto”, che ha nella lingua italiana due accentuazioni diverse: una più
precisa, quando il termine viene riferito a un piano di lavoro, ordinato e
particolareggiato, per eseguire qualcosa; l’altra più indeterminata, perché
99 La mentalità, le metodologie e i rischi sarebbero stati sicuramente diversi, se il
processo di progettazione proposto fosse partito seguendo una logica “dalla base”, dai
PEPS locali agli ispettoriali, per arrivare ad influenzare un quadro di riferimento a livel-
lo della Congregazione, raccogliendo le esperienze ed elaborando contenuti presenti nei
progetti Ispettoriali.
100 Sull’argomento della semantica si tornerà più avanti nel secondo capitolo. Per le
ambivalenze e il background del termine “progetto”, cfr. G. Morante, Progetto educa-
tivo, in Z. Trenti et al. (eds.), Religio. Enciclopedia tematica dell’educazione religiosa,
Piemme, Casale Monferrato 1998, 752-753. Per l’importanza della diversità culturale
nella progettazione, cfr. l’analisi approfondita in R.D. Lewis, When Cultures Collide.
Leading across cultures, Nicholas Brealey International, Boston 32006, 3-80.
101 Cfr. CG21 (1978), nn. 30, 104, 127, 132, 134 e 161.

31.4 Page 304

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 303
“progetto” significa un’idea, un proposito, anche vago e difficilmente at-
tuabile, per il futuro. La parola “progetto” conserva una certa ambiguità
anche nell’area più tecnico-esecutiva, poiché si può riferire a un “progetto
di massima”, che indica una soluzione non particolareggiata, con analisi
sommaria dei costi, e a un “progetto esecutivo”, che implica invece un
quadro completo di tutti i calcoli, disegni e particolari tecnici, preventivi
e capitolati.102
Nelle altre lingue neolatine la parola “progetto” conserva i due signifi-
cati, anche se in alcuni casi si traduce con termini considerati equivalenti
come “piano” o “disegno”.103 Il rapporto semantico tra “progetto” e “ide-
ario” negli ambienti salesiani non era sempre chiaro soprattutto nei Paesi
di lingua spagnola.104 Un problema maggiore lo si trova nell’inglese dove
i termini project e project management hanno, quasi esclusivamente, il
senso di un piano di lavoro strutturato, previsto per trovare informazioni,
per produrre o per migliorare qualcosa. Il termine “progetto” si traduce
anche come mission, mission statement, plan, design, layout, scheme. Per
un “progetto” vago per il futuro si usa plan e non project. In scienze dell’e-
ducazione sono usate anche le espressioni educational planning, instruc-
tional design. Nell’area salesiana si usa il termine Salesian Educational
and Pastoral Project. In tedesco la parola Projekt si usa come in inglese e
quindi “progetto” si traduce come Projekt, Plan, Entwurf.105 I salesiani dei
paesi di lingua tedesca adottano una soluzione linguisticamente più perti-
nente e non traducono il termine PEPS con la parola Projekt ma piuttosto
con Pastoralkonzept (bozza della pastorale) o Leitlinien (linee guida), che
esprimono meglio la natura dei documenti prodotti nell’area salesiana sot-
to il nome di “progetto”.
102 Cfr. Progetto in N. Zingarelli, Lo Zingarelli 2000. Vocabolario della lingua Ita-
liana, Zanichelli, Bologna 121997, 1391.
103 Cfr. ad es. la traduzione del termine “progettazione educativa” come “planifi-
cación educativa” in M. Pellerey, Progettazione educativa/scolastica, in J.M. Prelle-
zo - G. Malizia - C. Nanni (eds.), Dizionario di Scienze dell’Educazione, LAS, Roma
22008, 923-926 e Idd., Planificación educativa, in Facultad de Ciencas de la Educación
UPS, Diccionario de ciencas de la educación, CCS, Alcalá 2009, 918-921.
104 Cfr. Dicastero Pg, Progetto Educativo Pastorale. Metodologia, 30-35 e Id., Ele-
menti e linee per un progetto educativo pastorale salesiano, 6.
105 Cfr. Project, in S. Wehmeier (ed.), Oxford Advanced Learner’s Dictionary of Cur-
rent English, Oxford University Press, Oxford 62000, 1012; Progetto, in Garzanti. Il
nuovo dizionario Hazon inglese italiano, italiano inglese, Garzanti, Cernusco (Milano)
1999, 2187; Progettare, in B. Klausmann-Molter (ed.), Das Pons Wörterbuch. Diziona-
rio tedesco italiano, italiano tedesco, Zanichelli/Klett, Bologna 1996, 1396.

31.5 Page 305

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304 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
L’uso della parola “progetto” in ambienti salesiani mette in luce vari
aspetti. Il CG21 (1978), da un lato, ha sottolineato l’aspetto teorico, quindi
il progetto educativo salesiano inteso come rilettura del sistema preventi-
vo, come una concezione organica della pedagogia salesiana106 e, dall’altro,
ha messo in evidenza l’aspetto operativo, pratico e applicativo che conside-
ra la programmazione nei diversi ambienti, gli obiettivi, i processi, i mezzi
e le verifiche del processo.107 Il significato della progettazione e del PEPS
è stato arricchito con i numerosi testi prodotti sul tema e i vari contesti di
riferimento, rischiando, però, di diventare un contenitore concettuale nel
quale la vastità dei contenuti è inversamente proporzionale alla precisione
di significato.108
5.2.2. Egidio Viganò: progettazione ed educazione-evangelizzazione nuova
Trascorsi circa sei mesi dalla chiusura del CG21, il rettor maggiore in-
viò una circolare, intitolata Il progetto educativo salesiano, nella quale
presentava in sintesi i risultati del Capitolo riguardanti la progettazione
educativo-pastorale e riaffermava che «ricomporre a livello di idee e di
pratica la sintesi del sistema preventivo [...] è uno degli obblighi program-
matici del sessennio»109 e che dovrebbe coinvolgere ogni confratello e ogni
comunità. Alcuni spunti metodologicamente innovativi, rispetto al testo
del CG21, si trovano nell’ultima parte della lettera. Si parla della necessità
«di riflettere “salesianamente”; non bastano né le sole scienze dell’edu-
cazione, né solo quelle della fede, e nemmeno una nostra esperienza più
o meno acritica sorretta per anni da una mentalità ormai richiamata alla
conversione da un Concilio ecumenico e da due Capitoli generali».110 L’e-
laborazione “salesiana” del progetto voleva dire: «convocare allo studio
106 Cfr. CG21 (1978), nn. 14, 4 e 81.
107 Cfr. Ibid., nn. 105 e 127-161.
108 Cfr. come esempio emblematico la lettera di E. Viganò, Riprogettiamo insieme la
santità, in ACS 63 (1982) 303, 3-28, che usa espressioni come “c’è da riprogettare insie-
me la nostra santità, sia personale che comunitaria”, “progetto-uomo voluto da Dio”, “ri-
progettare in noi la capacità di conversione, di espiazione e di prevenzione”, “un progetto
più ampio in cui interviene Iddio come Padre: è un vasto progetto di amore e di vittoria”,
“progetto del Padre”, “progetto divino di redenzione” ecc. Cfr. anche la costatazione
dell’ambiguità semantica segnalata in Dicastero Pg, Elementi e linee per un progetto
educativo pastorale salesiano, 6.
109 Viganò, Il progetto educativo salesiano, 38-39.
110 Ibid., 38.

31.6 Page 306

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 305
e alla riflessione, fissare l’attenzione sul contesto sociale ed ecclesiale nel
quale lavoriamo, cercare con creatività strade e soluzioni che rispondano
alle situazioni che affrontiamo, unire la comunità in criteri comuni a cui
tutti si ispirano e in cui tutti si riconoscono, assicurare l’integralità e libe-
rarci dalla improvvisazione e dal settorialismo».111
Mancando ancora le norme legislative e le indicazioni operative,112 che
dovevano essere elaborate successivamente dal Dicastero per la PG, e do-
vendosi impostare il processo di progettazione “dal centro alla periferia”,
non c’è da meravigliarsi se i singoli e le comunità aspettavano l’iniziativa
delle ispettorie, mentre la maggioranza delle ispettorie si muoveva solo
seguendo le indicazioni che man mano venivano pubblicate dal dicastero.
Vecchi valuta il dopo CG21 dicendo che «a partire dal 1978, fiorisce una
letteratura domestica di motivazione, sussidiazione e modelli pratici. Inve-
ste in un primo tempo i responsabili dell’animazione a livello ispettoriale,
mentre le comunità locali stentano ad assumerla».113
È chiara l’intenzione dei capitolari del CG21 di avere voluto integrare
nella formula “progetto educativo salesiano” la terminologia proposta pre-
cedentemente: “l’umanesimo salesiano integrale” del CG19, “la promozio-
ne integrale cristiana” e “l’educazione liberatrice cristiana” del CGS. Le
formulazioni diverse e l’insistenza sull’unitarietà fanno pensare alla frat-
tura culturale tra la Chiesa e il mondo e alla mentalità generale del post-
concilio di preoccuparsi più per l’autonomia degli ambiti che per la cura
della profonda unità del modello antropologico.114 Nell’epoca di Viganò e
Vecchi, l’insistenza sulla promozione umana e sulla liberazione non è più
così forte e la riflessione si concentra sul rapporto tra educazione ed evan-
gelizzazione. Il contesto della riflessione fu influenzato da diverse istanze:
la crisi del collegio salesiano in quanto opera tradizionalmente educativa;
111 Ibid., 39.
112 Le Costituzioni e i Regolamenti rivisti nel CG21 non contemplavano ancora la
progettazione, ciò cambiò però con il CG22 (1984), che inserì la progettazione educativo-
pastorale nei Regolamenti Generali all’interno degli articoli 4, 5, 6 e 7.
113 Cfr. Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia, in Il cammino e la prospettiva
2000, 1991, 26. Una situazione simile della progettazione si trovava anche nell’ambito
ecclesiale più ampio. Cfr. p.e. G. Angelini, Pastorale giovanile e prassi complessiva
della Chiesa, in Facoltà Teologica dellitalia Settentrionale, Condizione giovanile e
annuncio della fede, La Scuola, Brescia 1979, 81. Cfr. inoltre A. del Monte, Una Chiesa
giovane per annunciare il vangelo ai giovani, in «Il Regno-documenti» 3 (1979) 63-76 e
G. Costa, Pastorale giovanile in Italia. Un dossier, La Roccia, Roma 1981.
114 Cfr. L’analisi di G. Biancardi, L’educazione tra evangelizzazione e promozione
umana, in Bozzolo - Carelli, Evangelizzazione ed educazione, 19-24.

31.7 Page 307

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306 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
l’eccessiva scolarizzazione e la poca passione pastorale in alcune ispetto-
rie; ma anche il fenomeno inverso della fuga nell’ambiente parrocchiale,
con tanta “pastorale” ma senza percorsi educativi strutturati; l’eccessivo
professionalismo nell’educazione scolastica; l’oratorio che non è riuscito ad
aprirsi ai giovani più lontani, ecc.115
Egidio Viganò offre la sua riflessione nella lettera programmatica sul
progetto educativo salesiano del 1978, sviluppando un assioma epistemo-
logico e metodologico per gli anni successivi: «Siamo coscienti che educa-
zione ed evangelizzazione sono attività distinte nel loro ordine. Sono però
strettamente connesse sul piano pratico dell’esistenza».116 Nell’argomenta-
zione successiva egli specifica che educazione ed evangelizzazione «non
sono di per sé cronologicamente successive né tanto meno divergenti, ma
toccano due aspetti essenziali dell’unica vocazione dell’uomo, quale è deli-
neata nel progetto di Dio».117 La conferma del rischio, purtroppo messo in
atto in alcuni contesti, di percepire educazione ed evangelizzazione nella
logica del “prima e dopo” è testimoniata anche da Riccardo Tonelli.118
Viganò riprende le formulazioni del CG21 che purtroppo accentuano
la logica della distinzione e dell’autonomia dell’educazione e dell’evange-
lizzazione descrivendone i contenuti in paragrafi separati. La soluzione di
unire le due dimensioni sul piano pratico dell’esistenza trova un impedi-
mento sia per l’eterogeneità dei contesti nei quali la Congregazione svolge
la sua missione,119 che per la poca ”mentalizzazione” del rinnovamento
postconciliare e il conseguente impiego «dei pochi salesiani presenti» nelle
«mansioni organizzative e amministrative».120
L’unità armonica tra le varie dimensioni del progetto educativo sale-
siano è richiamata attraverso l’unità della vocazione, delle motivazioni,
dell’opzione fondamentale per Cristo, dell’azione concreta, proponendo
una possibilità pratica di una “educazione cristiana”.121 Il rettor maggiore
si appoggia su Alberto Caviglia per affermare l’originalità unitaria del si-
115 Cfr. J. Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia nella prassi salesiana, in J. Vec-
chi - J.M. Prellezo (eds.), Prassi educativa pastorale e scienze dell’educazione, SDB,
Roma 1988, 128-129.
116 Cfr. CG21 (1978), n. 14.
117 Cfr. Ibid., n. 91.
118 Cfr. R. Tonelli, Ripensando quarant’anni di servizio alla pastorale giovanile,
intervista a cura di Giancarlo De Nicolò, in «Note di Pastorale Giovanile» 43 (2009) 5,
41-42.
119 Cfr. CG21 (1978), nn. 82-83 e 86.
120 Ibid., n. 85.
121 Cfr. E. Viganò, Il progetto educativo salesiano, in ACS 59 (1978) 290, 26-35.

31.8 Page 308

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 307
stema preventivo e la capacità creativa di don Bosco. La sua creatività non
crea gli elementi, è piuttosto sintesi creativa, che è il contrassegno delle
opere del genio. Sintesi creativa vuole dire che «l’originalità, la bellezza e
la grandezza della creazione non risiede tanto nella novità dei particolari,
quanto nella scoperta di quell’idea, quello spirito, che li assomma e li fon-
de nella vita nuova e propria di un tutto».122
Evangelizzare «educando»
Educare «evangelizzando»
La preoccupazione pastorale di don Bosco si ca- La nostra arte educativa è «pastorale», nel senso
ratterizza, e con coerente serietà, per una scelta che tutto il processo educativo, con i suoi conte-
dell’educazione come area e modalità della pro- nuti e con la sua metodologia, è orientato al fine
pria attività pastorale.
cristiano della salvezza, permeato della sua luce
e grazia.
La forza di spinta che stimola l’azione edu- Chiara presenza del fine ultimo: la pedago-
cativa: la ragione per cui il salesiano (come per- gia di don Bosco presenta con esplicita insistenza
sona e come comunità) s’immerge nell’educazione la vera finalità religiosa della vita; il fine ultimo
ha la sua origine fuori dell’area culturale; procede è la grande attrattiva del processo di educazione.
dalla carità pastorale.
La sollecitudine positiva per i valori e le isti- Un processo educativo positivamente orien-
tuzioni culturali: l’intenzionalità evangelizzatri- tato a Cristo: la prassi educativa salesiana nasce
ce porta il salesiano (come persona e comunità) ed è alimentata dalla carità pastorale e tende
ad apprezzare e ad assumere l’impegno educativo esplicitamente e lealmente verso la salvezza della
nei suoi valori umani.
redenzione (temi: Chiesa; Confessione, Eucaristia,
clima mariano, catechesi, vocazione, santità).
Legare profondamente il Vangelo con la cul- Coscienza critica e senso del dovere alla luce
tura: nella prassi educativa del sistema preventivo del Vangelo: abilitare i giovani a una coscienza
il Vangelo viene proposto in un modo strettamente critica che sappia percepire gli autentici valori
unito all’esistenza concreta.
promuovendo una sana condotta di vita.
Il senso realista della gradualità creando • La Parola di Dio, per sua natura, rivela e in-
un processo pedagogico che tiene conto di tutti i terpella: la preoccupazione pedagogica di adegua-
dinamismi umani e crea nei ragazzi e nei giovani mento alla condizione giovanile non deve ignorare
le condizioni di accettazione per una risposta o opporsi al suo impegno pastorale di “profeta” del
libera.
Vangelo.
Schema E: Rapporto tra educazione ed evangelizzazione nel progetto educa-
tivo salesiano di don Viganò
Il collegamento integrante dei vari elementi non consiste nell’annulla-
mento delle differenze, né nell’azzeramento di un polo di contrasto, ma
122 Cfr. A. Caviglia, La pedagogia di Don Bosco, in Viganò, Il progetto educativo
salesiano, 8.

31.9 Page 309

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308 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
avviene, secondo Viganò, in una tensione armonica e creatrice. Nella con-
clusione della stessa lettera egli scrive sul bisogno di acquisire «la capacità
di mantenere in tensione armonica e creatrice i due grandi poli del sistema
preventivo: la spinta e la finalità “pastorali” del nostro agire, da una parte,
e la scelta “pedagogica” e la competenza “educativa”, dall’altra».123 Nella
lettera di Viganò appaiono le due formule, diventate quasi slogan stereo-
tipato nel futuro: evangelizzare educando e educare evangelizzando, ma,
come è tipico dello stile di Viganò allo stesso tempo magisteriale e appli-
cativo, vengono specificate pure le aree e gli strumenti del rapporto tra le
dinamiche intercorrenti tra l’educazione e l’evangelizzazione, visualizzate
nello schema successivo:124
È importante notare come Viganò aggiunge ai due poli dell’educazione
e della pastorale la bontà del cuore, cioè l’amorevolezza, che è tipica dello
stile di vita salesiano.125 L’integralità pensata da Viganò viene riconfermata
e arricchita da nuove sfumature nella lettera sulla Nuova educazione del
1991, scritta alcuni mesi dopo la lettera sulla Nuova evangelizzazione, di
cui si citerà un lungo tratto per l’importanza delle connessioni tra gli ele-
menti riportati:
Educazione ed evangelizzazione interagiscono, nel “sistema preventivo”, in
intima e armoniosa reciprocità. La spiegazione la troviamo nell’intuizione che
la prassi operativa di don Bosco è un’arte pedagogico-pastorale. [...] L’arte, come
dicevamo, ha bisogno di toccare direttamente la realtà oggettiva per incidere su
di essa nella ricerca di senso, di bellezza, di sublimazione. È una forma di attività
dell’uomo geniale; ne esalta il talento inventivo e la creatività espressiva; per
essa l’artista modifica anche se stesso mentre realizza il suo impegno. Ciò che
lo spinge a operare è un fuoco interiore, un’ispirazione ideale, una passione del
suo cuore, illuminato dall’estro della genialità. Giustamente Giovanni Paolo II
ha chiamato don Bosco-educatore “genio del cuore”. Abbiamo visto che questo
fuoco interiore si chiama “carità pastorale”: un amore apostolico segnato dalla
predilezione per i giovani; un amore che stimola la “intelligenza pedagogica” a
tradursi concretamente. [...] L’attuale clima di secolarizzazione, in cui anche lo
sviluppo delle scienze dell’educazione segue più di una volta un percorso inficia-
123 Viganò, Il progetto educativo salesiano, 41.
124 Cfr. Ibid., 26-35.
125 Cfr. Viganò, Il progetto educativo salesiano, 41. La bontà, l’amorevolezza e il “vo-
lersi bene” sono un tratto tipico della grazia di unità pensata da Viganò che trova posto
persino nelle applicazioni accademiche. Parlando del principio dipartimentale nell’orga-
nizzazione dell’UPS, Viganò afferma che il dialogo interdisciplinare è impossibile senza
il concreto volersi bene e una comunione di affetti, competenze, servizi e iniziative. Cfr.
E. Viganò, Presentazione del Documento del CG21 sull’UPS, in Giannatelli (ed.), Don
Egidio Viganò all’Università Salesiana, 60.

31.10 Page 310

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 309
to da incrostazioni ideologiche, è una provocazione di fondo per la nostra consa-
crazione apostolica. Siccome nell’arte hanno straordinaria importanza i princi-
pi metodologici, l’intelligenza pedagogica è chiamata a dare un tono speciale, a
imprimere una fisionomia propria alla carità pastorale. In don Bosco il principio
metodologico di base per agire da “artista” dell’educazione è stato “l’amorevolez-
za”: costruire fiducia, confidenza e amicizia attraverso l’esigente ascesi del “farsi
amare”. Il “sistema preventivo” comporta la “mistica” della carità pastorale e
“l’ascesi” dell’amorevolezza. [...] La creatività dello “artista” è, dunque, radicata
in una vissuta spiritualità salesiana!126
Sintetizzando l’idea di Viganò sull’integrazione tra l’educazione e l’e-
vangelizzazione, emerge il riferimento all’arte, alla bellezza e alla creati-
vità che parte dalla realtà oggettiva per trasformarla, trasformando nello
stesso tempo anche l’artista. I principi metodologici sono la spiritualità
vissuta e, soprattutto, l’amorevolezza, che costruisce la fiducia, la confi-
denza, l’amicizia.
5.2.3. Juan Edmundo Vecchi, animatore della concettualizzazione del
PEPS (1978-80)
Seguendo le indicazioni del CG21, il Dicastero per la PG a partire dalla
fine degli anni Settanta pubblicò una serie di sussidi per l’elaborazione del
PEPS.127 Le linee pedagogiche di Juan Edmundo Vecchi, consigliere del
dicastero, influirono sostanzialmente sulla struttura e i contenuti dei sus-
sidi, che erano indirizzati agli ispettori e ai delegati ispettoriali della PG
per favorire il processo della progettazione educativa salesiana. Una prima
edizione di tali volumi ebbe vasta circolazione soprattutto negli ambienti di
lingua spagnola sotto il nome della collana “Vector”; successivamente nella
seconda metà degli anni Ottanta il dicastero pubblicò una seconda edizione,
chiamata “Documenti PG”, la quale ottenne una diffusione più globale.
5.2.3.1. Metodologia della progettazione salesiana (1978)
Il primo sussidio uscì nel dicembre 1978, dieci mesi dopo la chiusura
del CG21 (1978), e voleva essere uno strumento preparatorio per studi più
126 E. Viganò, La nuova educazione, in ACG 72 (1991) 337, 27-30.
127 Dicastero per la Pastorale Giovanile, Progetto Educativo Pastorale. Metodologia,
Sussidio 1, [s.e.], Roma 1978 e Id., Elementi e linee per un Progetto Educativo Pastorale
Salesiano, Sussidio 2, [s.e.], Roma 1979.

32 Pages 311-320

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32.1 Page 311

▲back to top
310 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
approfonditi al fine di accompagnare i «primi passi verso un progetto».128
Il testo, di venticinque pagine ciclostilate in formato A5, è sintetico ma so-
stanzioso per i contenuti riguardanti la progettazione. Per questioni di bre-
vità e praticità, il testo non affronta le questioni epistemologiche e non si
dilunga dettagliatamente sugli equilibri spinosi tra vari principi. Tuttavia,
l’omissione di alcune parti innovative del CG21, come si vedrà in seguito,
potrebbe essere la causa (o il sintomo di una mentalità ormai presente) di
alcune scissioni contenutistiche e metodologiche delle pubblicazioni suc-
cessive.
La prima parte del volume offre indicazioni per l’animatore del proces-
so di progettazione a livello ispettoriale; la seconda si occupa del quadro
di riferimento degli elementi costantemente presenti nella “memoria sa-
lesiana”; la terza, infine, presenta alcuni suggerimenti pratici per l’elabo-
razione del progetto. Le varie parti del sussidio fanno riferimento quasi
esclusivamente a documenti salesiani postconciliari e alla lettera del rettor
maggiore sul progetto educativo pastorale del 1978.
Anche se i destinatari dichiarati sono gli ispettori e i delegati per la PG,
le indicazioni per l’Animatore ispettoriale, contenute nella prima parte del
testo, sono un chiaro riferimento all’attività di progettazione delle comuni-
tà locali. Confrontandosi con la relazione di Vecchi al convegno sul siste-
ma preventivo nell’Ispettoria Lombardo-Emiliana, svoltosi solo poche set-
timane prima della pubblicazione del sussidio, si può intravedere la mens
che accentua, nella progettazione delle comunità, una logica del procedi-
mento “dal basso”.129 Ciò è evidenziato da una serie di domande concrete
per aiutare a entrare nel processo della progettazione della CEP; inoltre in
allegato si trovano due pagine di esempio per la formulazione di alcuni
obiettivi educativi pastorali e sei pagine di Ideario generale di un centro
educativo salesiano, approvato dalla Conferenza Ispettoriale Spagnola.130
Secondo le indicazioni della prima parte, l’Animatore ispettoriale è
chiamato a mettere in azione un “gruppo animatore” a livello ispetto-
riale con i seguenti compiti: coinvolgere, illuminare, motivare, indicare
metodologie per favorire l’apprendimento, e non formulare delle conclu-
128 Cfr. Dicastero PG, Metodologia, Sussidio 1, 3.
129 Cfr. l’impostazione dell’intervento che parla solo del contesto della comunità
educativa locale, in J.E. Vecchi, Per riattualizzare il Sistema Preventivo, in Ispettoria
Salesiana Lombardo-Emiliana, Convegno sul Sistema Preventivo, Milano-Bologna 3-4
novembre 1978, e A. Viganò, Alcuni punti fondamentali riaffermati dal convegno sul
Sistema Preventivo, negli atti dello stesso Convegno.
130 Cfr. Dicastero PG, Metodologia, Sussidio 1, 28-35.

32.2 Page 312

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 311
sioni da inviare ai confratelli.131 Con un sano realismo viene proposto un
progetto che ha formulazioni provvisorie e che si evolve dinamicamente,
non un regolamento di lavoro, seguendo così lo scopo della progettazio-
ne che è di «aiutare i gruppi a operare “coscientemente”, attentamente,
corresponsabilmente».132
La seconda parte del sussidio parla invece degli elementi della “memo-
ria salesiana”133 che costituiscono un quadro di riferimento per il PEPS.
Si torna dunque a don Bosco e al suo patrimonio educativo-pastorale, il
quale configura l’identità salesiana. In nove punti, con i rispettivi rimandi
ai documenti, si tratteggia una sintesi molto breve del ripensamento della
PG fatto dal CGS (1972) e dal CG21 (1978).134
La terza parte di suggerimenti pratici costituisce il nucleo metodologico
del volume. La praticità di queste pagine non consiste solo nel proporre
domande stimolanti per la riflessione, sebbene queste occupino una buona
percentuale del testo. Anche elementi come la brevità della spiegazione e
la logicità del processo di progettazione suddiviso in tre momenti palesano
l’intenzionalità pratica degli autori. Nei paragrafi seguenti approfondiamo
ora i tre momenti della progettazione: l’analisi della situazione, la proget-
tazione e la verifica.
Il momento dell’analisi della situazione comporta il processo della co-
noscenza della condizione giovanile, che non è solo una descrizione sta-
tistica e oggettivizzante del contesto, ma include anche le esperienze dei
giovani, le tendenze, i giudizi, le aspirazioni, le reazioni comuni e, come
controparte, le risposte che la CEP dà a queste sfide. Alla conoscenza della
situazione si aggiunge l’interpretazione con uno sguardo di fede: «Biso-
gna dunque valutare i fatti secondo la loro capacità “di rendere più facile
o più difficile per i giovani la crescita della loro umanità nella fede”».135
Non viene invece suggerita l’analisi delle risorse umane, sociali e materiali
presenti nell’opera, il che si può interpretare, all’interno dell’antropologia
sottintesa alla progettazione, come l’implicazione logica di un’immagine
131 Cfr. Ibid., 6.
132 Ibid., 8.
133 “Memoria”, un termine caro a don Vecchi viene definita come «l’esperienza felice,
di un popolo o di una congregazione, che si tramanda». Cfr. Le principali difficoltà
emerse dal dibattito sulla relazione di don G.E. Vecchi, in ILE, Convegno sul Sistema
Preventivo.
134 Cfr. Dicastero PG, Metodologia, Sussidio 1, 9-13.
135 Ibid., 14. Cfr. anche CG21 (1978), n. 13 citato dal Sussidio che fa riferimento alla
Evangelii Nuntiandi, n. 19.

32.3 Page 313

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312 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
di uomo proteso verso il futuro che non guarda al passato.136 Solo con il
senno di poi si è giunti alla convinzione che senza una chiara consapevo-
lezza delle risorse non si possa progettare in modo realistico, specialmente
in un tempo di ristrutturazione e di crisi del personale salesiano.137
Il secondo momento della progettazione operativa comporta la formu-
lazione degli obiettivi, la precisazione del metodo e lo studio dello stile
educativo. Gli obiettivi generali sono ripresi dal precedente Capitolo.138 Per
precisare gli obiettivi si devono stabilire i risultati desiderati alla fine dell’in-
tervento, determinare la loro urgenza sia in base ai valori fondamentali sia
in base alla situazione concreta, formulare gli obiettivi specifici in forma
chiara e comunicabile, decidere i criteri di valutazione. Gli obiettivi stabiliti
in questo modo tendono a incrementare la chiarezza e la misurabilità tipica
del management per obiettivi.139 Essi determinano poi il “metodo”, che si
concretizza nell’organizzazione delle attività educative con essi correlate
e nell’individuazione degli interventi, dei ruoli e delle funzioni. Lo studio
dello stile educativo, che doveva essere all’interno del momento di proget-
tazione operativa, è però trattato in modo insufficiente, in quanto il lettore
è rimandato agli atti del Capitolo per poi rispondere a quattro domande
sull’impostazione dell’ambiente e sul rapporto educativo.140 L’attenzione
alla progettazione sistemica è stata emarginata dalla metodologia del PEPS.
Il secondo sussidio cercherà in seguito di riproporre un approfondimento
sullo stilo educativo,141 ma si tratta solo di un’aggiunta posteriore che non
entra nella logica lineare situazione – progettazione operativa – verifica.
136 Cfr. Vecchi, Per riattualizzare il Sistema Preventivo, in ILE, Convegno sul Siste-
ma Preventivo, 3.
137 Cfr. il «dislivello tra quantità di proposte e possibilità di attuarle» che nota Vecchi
in J.E. Vecchi, Verso una nuova tappa di Pastorale Giovanile Salesiana, in Il cammino
e la prospettiva 2000, SDB, Roma 1991, 88.
138 Cfr. CG21 (1978), nn. 90-92.
139 Cfr. il richiamo del management by objectives alla chiarezza, alla misurabilità
degli obiettivi che sono stati proposti ad es. da studi pionieristici di Edwin A. Locke e
che hanno influenzato il management degli anni ’70, in E.A. Locke, Toward a theory of
task motivation and incentives, in «Organizational Behavior & Human Performance»
3 (1968) 157-189. Più tardi, negli anni ’80, la teoria si sviluppa parlando degli obiettivi
SMART che hanno cinque caratteristiche: specifico (specific), misurabile (measurable),
assegnabile (assignable), realistico (realistic) e definito nel tempo (time-related).
140 Cfr. Dicastero PG, Metodologia, Sussidio 1, 25-26.
141 Il Sussidio 2 cercherà in seguito di riproporre un approfondimento sullo stilo edu-
cativo, ma si tratta solo di un’aggiunta posteriore che, pur testimoniando l’attenzione
integrale di Vecchi, non entrerà nell’impostazione metodologica lineare. Cfr. Dicastero
PG, Elementi e linee per un PEPS, Sussidio 2, 13-14.

32.4 Page 314

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 313
Il terzo e ultimo momento della progettazione è costituito dalla verifi-
ca. Quest’ultima dovrebbe essere condotta secondo due prospettive che si
arricchiscono a vicenda: il confronto di tutte le parti del progetto con la
prassi salesiana, che costituisce l’esame della fedeltà alla tradizione; e l’e-
same dei risultati ottenuti, che fa vedere l’aspetto dell’efficienza operativa
del progetto.
Il sussidio che doveva accompagnare i primi passi della progettazione
salesiana è un piccolo gioiello che riassume le prime idee sulla progetta-
zione educativo-pastorale salesiana. Da apprezzare è la snellezza del do-
cumento, la rilettura sintetica del CG21 (1978) e la composizione orientata
all’operatività. L’aspetto metodologico del processo di progettazione pro-
posto, riassunto nello schema lineare situazione – progettazione operativa
– verifica, è rimasto invariato, con piccole aggiunte, fino a oggi.142 La logi-
ca del procedimento sistemico, anche se assente nella parte metodologica,
viene ribadita all’interno delle tematiche dell’equilibrio tra la formazione
delle persone e i compiti di progettazione, del gruppo animatore e dell’ac-
compagnamento delle comunità. Nei sussidi seguenti si conserverà l’atten-
zione all’integrazione comunitaria, in quanto la CEP sarà la prima delle
cinque aree (dimensioni) del PEPS,143 ma più tardi le tematiche si affronte-
ranno separatamente.144 L’attenzione all’unitarietà organica è espressa da
Vecchi con le seguenti espressioni sintetiche:
Sovente quando parliamo del sistema preventivo non oltrepassiamo la con-
siderazione individuale: ci è facile ripensare a un educatore. [...] Più difficile ci
risulta cogliere e attuare ciò che significa la parola sistema, cioè, la convergenza e
mutuo riferimento, la organicità di svariati elementi. […] La comunità educativa
elabora il progetto. [...] Un progetto crea comunità.145
142 Cfr. i momenti della progettazione nelle tre edizioni del Quadro di riferimento per
la pastorale giovanile salesiana.
143 Cfr. Dicastero PG, Elementi e linee per un PEPS, Sussidio 2, 14-15.
144 Cfr. la divisione delle quattro dimensioni del PEPS e il capitolo separato sulla CEP
in Dicastero per la Pg, Quadro di riferimento, 11998, 45-55 che riflette le conclusioni del
CG24 (1996) Salesiani e laici: comunione e condivisione nello spirito e nella missione di
don Bosco e del CG25 (2002) La comunità salesiana oggi. L’attenzione della riflessione
sulla CEP non è solo il suo riferimento al PEPS, ma sono accentuati piuttosto i rapporti
tra la CEP e la comunità salesiana.
145 Vecchi, Per riattualizzare il Sistema Preventivo, in ILE, Convegno sul Sistema
Preventivo, 1.5-7.

32.5 Page 315

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314 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
5.2.3.2. Approfondimenti e applicazioni della progettazione in diversi am-
bienti educativi (1979-1981)
Il secondo sussidio, intitolato Elementi e linee per un progetto educa-
tivo pastorale, uscì nell’ottobre del 1979, ad appena dieci mesi dalla pub-
blicazione del primo. In tanti punti esso completò e precisò le tematiche in
continuità con quello precedente, ma il paradigma di fondo si spostò dal
processo di progettazione-ricerca di Stenhouse verso un progetto-prodotto
ben strutturato nello stile di Bloom o d’Hainaut. Il dicastero introduce la
trattazione constatando che, avendo il PEPS «fatto fortuna, la parola ri-
schia di essere adoperata in sensi molteplici e generici e di non servire,
quindi, più per intenderci su una questione precisa».146 Per questa ragio-
ne si specificano tre termini spesso confusi: quadro di riferimento, inteso
come un insieme di orientamenti ideali; progetto educativo, che è il piano
generale di intervento, indica gli obiettivi operativi, suggerisce le linee
concrete e i mezzi, crea i ruoli e le funzioni; programmazione, definita
come momento della distribuzione dei compiti, che richiede di declinare il
progetto in termini di personale, tempi, luoghi.147
La parte centrale di questo secondo volume specifica cinque aree d’in-
tervento: la CEP, la dimensione educativo-culturale, la dimensione dell’e-
vangelizzazione e della catechesi, l’orientamento vocazionale e l’esperien-
za associativa. Per ogni area vengono descritti gli orientamenti, l’obiettivo
generale e gli obiettivi specifici, i criteri e le scelte d’intervento. I ruoli e
le funzioni saranno sviluppati nei sussidi successivi in quanto variano a
seconda della struttura educativa. Con la divisione in cinque aree si perde
lo sguardo sulle priorità globali di un’opera salesiana, che non vengono
trattate, e si corre il rischio di dividere gli interventi e le attività per aree,
con una conseguente frammentazione della missione educativo-pastorale
pensata per dimensioni, come viene segnalato dagli studi organizzativi.148
Lo scopo primario del progetto di unire la comunità educativo-pastora-
le nella mentalità e nell’azione,149 di fatto viene a smarrirsi nella divisione
146 Dicastero PG, Elementi e linee per un PEPS, Sussidio 2, 6.
147 Cfr. Ibid., 6-7.
148 Cfr. l’arte gestionale integrale descritta in P. Senge, La quinta disciplina. L’arte e
la pratica dell’apprendimento organizzativo, Sperling & Kupfer, Milano, 22006, 65-105
e nell’area della progettazione pastorale G. Angelini, Il vincolo ecclesiastico, la pratica
religiosa, la fede cristiana, in G. Ambrosio et al., Progetto pastorale e cura della fede,
Glossa, Milano 1996, 38-39.
149 Cfr. Dicastero PG, Elementi e linee per un PEPS, Sussidio 2, 7-8.

32.6 Page 316

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 315
del progetto in aree, orientamenti, obiettivi, criteri e scelte d’intervento che
sommariamente ammontano a duecentocinquanta elementi interconnessi a
vari livelli. Questo numero già elevato potrebbe ancora crescere, in quanto
si prevede che le comunità concretizzino ulteriormente i singoli elementi
con ruoli, funzioni e interventi. Anche l’idea del primo sussidio di un grup-
po animatore dell’ispettoria non viene più menzionata, i suggerimenti non
sono più applicabili così facilmente nelle CEP locali. Sembra chiaro che i
nuovi sussidi del Dicastero per la PG si sono incamminati verso una teoriz-
zazione analitica maggiore, direzione che sarà confermata dalle linee della
terza serie di questi strumenti, che declinerà e specificherà ulteriormente il
PEPS nei singoli ambienti: parrocchia, oratorio e scuola.150
In essi, quindi, la presenza delle cinque aree del PEPS è abbastanza
eterogenea, in quanto i testi non sono strutturati per aree. La CEP è trat-
tata in ogni volume in un capitolo a parte; l’area educativa, l’area dell’e-
vangelizzazione e l’area della vita associativa, invece, si trovano a volte
esplicitamente come capitolo a sé, oppure sono presenti in vari elementi
sparsi in parti diverse dei tre sussidi. L’area vocazionale, ridotta ad alcune
frasi, viene praticamente emarginata. Il sussidio successivo, che, uscito nel
settembre 1981 con il numero quattro, tratta i Lineamenti essenziali per
un Piano Ispettoriale di Pastorale Vocazionale, colmerà questa lacuna,
ma nell’ottica di una dimensione separata, che viene organizzata a parte e
progettata centralmente dall’ispettoria.151
5.2.3.3. Operatività della progettazione negli anni Ottanta
Il periodo di coordinamento di don Vecchi fu caratterizzato dallo stu-
dio, pratica e accompagnamento della progettazione, la quale contribuì ad
una maggiore stabilità e chiarezza sulle mete finali dell’educazione e facili-
tò un’impostazione globale dei diversi ambienti.152 Va menzionato anche lo
sforzo del dicastero, che assisteva alcune regioni nella seconda metà degli
150 Cfr. Dicastero per la Pastorale Giovanile, Elementi e linee per un Progetto Edu-
cativo-Pastorale nelle parrocchie affidate ai Salesiani, Sussidio 3a, [s.e.], Roma 1980;
Id., Elementi e linee per un Progetto Educativo-Pastorale negli oratori e centri giovanili
salesiani, Sussidio 3b, [s.e.], Roma 1980; Id., Elementi e linee per un Progetto Educati-
vo-Pastorale nelle scuole salesiane, Sussidio n. 3c, [s.e.], Roma 1980.
151 Cfr. Dicastero per la Pastorale Giovanile, Lineamenti essenziali per un Piano
Ispettoriale di Pastorale Vocazionale, Sussidio 4, [s.e.], Roma 1981.
152 Cfr. Vecchi, Verso una nuova tappa di PG, in Il cammino e la prospettiva 2000, 83.

32.7 Page 317

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316 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
anni ’80, e la proposta di un corso per i delegati ispettoriali di pastorale
giovanile svoltosi nella casa generalizia dal novembre 1986 fino al gennaio
1987.153 Oltre il progresso e le luci a livello di animazione, si possono ve-
dere anche delle ombre, soprattutto a livello operativo locale e a livello di
mentalità. Si può notare, anzitutto, un «dislivello tra quantità di proposte
e possibilità di attuarle».154 Tra gli aspetti concreti della poca traduzione
operativa si possono evidenziare:
– le tappe di attuazione troppo brevi: il susseguirsi continuo di nuove pro-
poste impediva una reale assimilazione. Il motto «passare dalla carta
alla vita»155 del rettor maggiore indicava la necessaria ma carente inte-
riorizzazione, il pericolo della mediocrità spirituale e l’affievolimento
dell’identità. Sembrerebbe che in alcune regioni la progettazione produ-
cesse solo il cambio di alcuni nomi, rimanendo nel modello pastorale e
nella mentalità precedente;
– coinvolgimento differente del livello ispettoriale e delle realtà locali:
la progettazione educativo-pastorale investiva in un primo tempo i re-
sponsabili dell’animazione a livello ispettoriale, mentre le comunità lo-
cali stentavano ad assumerla;156
– la pastorale come oggetto di animazione ma non di governo: le indica-
zioni nell’area pastorale erano solo incoraggiamenti generali, ma non
spinte strutturali innovatrici, decisive e operative, con l’applicazione di
persone, mezzi e orientamenti obbliganti;
– troppe aspettative e richieste: le comunità dovevano accelerare i ritmi
di apprendimento in un’epoca che richiedeva profondità di convinzioni,
un problema collegato con la difficile ma necessaria preparazione del
personale;
– poco coordinamento: il lavoro del dicastero, dei centri di PG e delle
équipe ispettoriali creavano proposte autonome e non sempre coordina-
153 Cfr. Dicastero per la Pastorale Giovanile, Programma per il sessennio 1984-
1989, in La società di san Francesco di Sales nel sessennio 1984-1990. Relazione del
Rettor Maggiore don Egidio Viganò, SDB, Roma, 1990, 148 e i materiali dell’accom-
pagnamento per la Delegazione Nazionale per la PG della Spagna cfr. Centro Inter-
nazional Salesiano de Pastoral Juvenil/Roma, Comunidad educativa en formación.
Guiones para educadores, 5 voll., CCS, Madrid 1985-86.
154 Cfr. Vecchi, Verso una nuova tappa di PG, in Il cammino e la prospettiva 2000, 88.
155 E. Viganò, Discorso di apertura del Rettor Maggiore, in CG22 (1984), n. 19.
156 Cfr. J.E. Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia nella prassi salesiana, in Il
cammino e la prospettiva 2000, SDB, Roma 1991, 26.

32.8 Page 318

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 317
te. Tra i fattori si notano: la preoccupazione più per la presenza di pro-
poste sul mercato che per l’attuazione delle indicazioni; i canali comu-
nicativi tra il dicastero e le ispettorie spesso problematici; la mancanza
di personale nelle strutture di animazione;
– l’ambiguità e la molteplicità delle indicazioni: l’elaborazione, l’attua-
zione e la verifica dei PEPS necessitavano di criteri unificanti, tenendo
però conto della molteplicità dei contesti che rendeva allo stesso tempo
problematica una proposta uniforme.157
Un’altra questione, importante a livello pedagogico, è l’impostazione
settorializzata della progettazione in cinque aree con le successive suddi-
visioni per ambienti. La perdita dell’integralità del PEPS viene segnalata
sia esplicitamente, criticando il settorialismo, che implicitamente, insisten-
do sull’integralità e armonia della proposta educativo-pastorale. Le osser-
vazioni sulla divisione tra l’evangelizzazione e l’educazione nel periodo
studiato sono chiaramente espresse da Viganò nella lettera La nuova edu-
cazione. Analizzando la cultura contemporanea, egli osserva che «l’educa-
zione della gioventù, tanto fondamentale e indispensabile in ogni società,
non solo non è di fatto vincolata con l’evangelizzazione, ma ne viene se-
parata perché considerata un settore culturale con un campo di sviluppo
autonomo».158 L’insistenza sulla grazia di unità fa capire che la tendenza
a separare le due aree non è solo virtualmente possibile, ma si tratta di
un problema realmente presente nella PG salesiana. Lo conferma Tonelli
parlando della pastorale di questi anni: «Uno dei limiti del lavoro di questi
anni è stato... il gioco del “prima” e del “dopo”. Qualcuno diceva: prima
l’educazione e poi l’annuncio. Qualche altro preferiva invertire i tempi».159
Frigato, nella sua analisi del rapporto tra educazione ed evangelizzazio-
ne nella Congregazione, nota che, «pur nella molteplicità delle definizioni,
il ruolo della fede si rivela sostanzialmente “estrinseco” rispetto al proces-
so educativo. E del resto fede ed educazione vengono considerate dimen-
sioni “distinte”, “reciprocamente autonome” e “poli in tensione”».160 Una
157 Cfr. La società di san Francesco di Sales nel sessennio 1984-1990, 151-159; Vec-
chi, Verso una nuova tappa di PG, in Il cammino e la prospettiva 2000, 88-89; P. Chávez
Villanueva, “E si commosse per loro perché erano come pecore senza pastore, e si
mise a insegnare loro molte cose” (Mc 6,4). La Pastorale Giovanile Salesiana, in ACG
91 (2010) 407, 9-10.
158 E. Viganò, La nuova educazione, in ACG 72 (1991) 337, 5.
159 Tonelli, Ripensando quarant’anni, 41-42.
160 Frigato, Educazione ed evangelizzazione, in Bozzolo - Carelli (eds.), Evangeliz-
zazione e educazione, 89.

32.9 Page 319

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318 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
separazione tra la pastorale giovanile di questi anni e la dimensione voca-
zionale, connessa con una mancata attenzione alla seconda, è riconoscibile
sia nella struttura del documento del CG21,161 che nell’organizzazione delle
tematiche dei sussidi del Dicastero per la PG, che poneva l’area vocaziona-
le staccata dalla pastorale progettata nei vari ambienti. La poca attenzione
all’area vocazionale in questi anni è testimoniata anche dal CG23162 e da
Tonelli.163
La trappola delle distinzioni e delle aree, il contenuto delle quali veniva
precisato con tante indicazioni, implicava la creazione di lunghissimi elen-
chi di elementi tra i quali non si specificavano sempre le connessioni, ed
era un pericolo difficilmente affrontabile all’interno del paradigma dell’au-
tonomia, dell’analisi settoriale e dell’esecuzione lineare. Intanto, l’unico
modo di fare sintesi nella PG salesiana sembrava essere il volume Pasto-
rale Giovanile Salesiana,164 che raccoglieva le varie tematiche in forma di
immagini simboliche, ne dava la spiegazione e poi rimandava il lettore a
una bibliografia più estesa sul tema. Il modo di presentare il contenuto di
elementi eterogenei con un’immagine evadeva la problematica dell’espli-
cazione delle relazioni tra gli elementi e dava l’impressione di unità. Più
che il «tentare una sintesi del patrimonio pedagogico e del progetto attuale
dei salesiani»,165 il libro fu una presentazione simpatica di una «lettura
facile e gradevole»166 delle tematiche pastorali. Poiché è l’ultima pubbli-
cazione prima del CG23, il volume lo si può considerare come l’icona dei
contenuti e delle aspirazioni della pastorale giovanile tra il 1978 e il 1990.
5.2.4. Gli anni Novanta: l’educazione alla fede e la spiritualità salesiana
Aldo Giraudo, nella sua analisi dell’evoluzione della spiritualità sale-
siana nel postconcilio, nota un distacco della spiritualità dalla dimensione
educativo-pastorale, denunciando una «preghiera che oscilla tra l’intellet-
161 Cfr. le parti del documento sui salesiani evangelizzatori dei giovani: Il progetto
educativo e la fecondità vocazionale, in CG21 (1978), nn. 80-119 e Alcuni ambienti e vie
di evangelizzazione, in CG21 (1978), nn. 120-165.
162 Cfr. CG23 (1990), nn. 251-253.
163 Cfr. Tonelli, Ripensando quarant’anni, 48-49.
164 Cfr. Dicastero per la Pastorale Giovanile, Pastorale giovanile salesiana, SDB,
Roma 1990.
165 Ibid., 5.
166 Ibid.

32.10 Page 320

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 319
tualismo e l’emotivo, spesso incapace di trasferirsi in vita»; e segnala delle
esperienze della pastorale giovanile che tendono «a risolversi o chiudersi
su se stesse, di carattere gratificante e anestetico, senza vera consistenza
e qualità interiore. Se veramente fosse così [...] i progetti educativo-pasto-
rali rischierebbero di diventare fatica sprecata, pratica senz’anima e senza
nerbo».167 In più le tematiche di spiritualità salesiana venivano legate piut-
tosto all’ambito della formazione, non trovando riscontri nelle riflessioni
pastorali, concentrate piuttosto su tematiche progettuali e metodologiche
nella logica dell’animazione.
Il Capitolo generale 23 svoltosi nel 1990 ebbe l’intenzione chiara di col-
mare questa lacuna anche sotto gli stimoli della riflessione ecclesiale sulla
nuova evangelizzazione. Il rettor maggiore, nell’introduzione agli atti del
CG23, precisa come la nuova evangelizzazione esiga per i salesiani una
nuova educazione, affermando che la metodologia salesiana per educare
i giovani alla fede «è poggiata su due colonne caratteristiche e comple-
mentari: “spiritualità” e “pedagogia”. Si tratta di due dinamismi su cui
converge il sistema preventivo».168 Da qui si sviluppano le tematiche di
una spiritualità pedagogica che vada oltre la superficialità spirituale che si
manifesta nel genericismo delle proposte educative. Don Viganò conclude
la presentazione degli atti con un’estrema sintesi all’interno della quale
riaffiorano gli equilibri di base del suo magistero:
Il segreto per arrivarci sta nella testimonianza della interiorità apostolica che,
con la sua grazia di unità, ci rende “pastori” e “pedagoghi”: pedagoghi, perché
pastori di giovani; e pastori, perché educatori cristiani. Chiudevo la Relazione sul
sessennio 84-90 “sottolineando qual è la condizione di fondo che urge di più per
la nostra attività salesiana; la si esprime – scrivevo – con una parola che diviene
per noi appello: spiritualità!”.169
La spiritualità è, inoltre, un fattore di coesione del movimento giovanile
salesiano, per la prima volta presente come categoria del pensiero capitola-
re. Nel movimento tutti i gruppi vivono i valori della spiritualità giovanile
salesiana a livelli diversi, con la logica dei cerchi concentrici: «dai più lon-
167 A. Giraudo, Interrogativi e spinte della Chiesa del postconcilio sulla spiritualità
salesiana, in C. Semeraro (ed.), La spiritualità salesiana in un mondo che cambia, Sal-
vatore Sciascia, Caltanissetta 2003, 154. Cfr. anche le pp. 158-159 per l’urgenza impro-
rogabile e urgente di studi interdisciplinari per unificare l’organizzativo, lo spirituale e
il culturale.
168 E. Viganò, Presentazione, in CG23 (1990), 13.
169 Ibid., 16-17.

33 Pages 321-330

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33.1 Page 321

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320 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
tani, per i quali la spiritualità è un riferimento appena percepito attraverso
un ambiente in cui si sentono accolti, a quelli che in modo consapevole ed
esplicito fanno propria la proposta salesiana. Questi ultimi costituiscono il
“nucleo animatore” di tutto il movimento».170
Negli atti del CG23 la spiritualità appare caratterizzata da alcuni ag-
gettivi emblematici: è salesiana, giovanile e perciò educativa. Successi-
vamente, il rettor maggiore scriverà una lettera sulla nuova educazione,
insistendo sulla necessità di “santificarsi educando”, auspicando per gli
educatori una rilanciata «interiorità apostolica che è la radice della nostra
indole propria nella Chiesa. Qui dobbiamo aggiungere che la spiritualità
salesiana rappresenta per noi anche la forza di sintesi santificatrice nella
“nuova educazione”».171 Come commento ai documenti del CG23 appare
la seguente sintesi:
L’educazione è «il luogo privilegiato del nostro incontro con Dio». Comporta
una speciale spiritualità apostolica, che è simultaneamente pastorale ed educati-
va, «sempre attenta al contesto del mondo e alle sfide della gioventù: esige fles-
sibilità, creatività ed equilibrio, e cerca con serietà le competenze pedagogiche
appropriate. Alla radice c’è quella “consacrazione apostolica” che, dall’interno
del suo “respiro per le anime”, assume i valori pedagogici e li vive come espres-
sione concreta di spiritualità». È non solo spiritualità per l’educazione in genere,
ma vera spiritualità dell’educazione alla fede!172
Viganò invita gli educatori salesiani a formarsi una spiritualità che non
distacchi l’essere della persona dal suo agire e che colleghi sempre l’inten-
to evangelizzatore con quello educativo. Nella spiritualità educativa sta il
segreto della “genialità dell’artista” educatore cristiano e della “grazia di
unità” che assicura l’inseparabilità vitale tra unione con Dio e dedizione
al prossimo, tra interiorità evangelica e azione apostolica, tra cuore orante
e mani operanti, prevenendo gli estremi degli “attivismi” e “intimismi”.173
Don Juan Vecchi, durante gli anni del suo rettorato (1996-2002), si po-
siziona in linea con l’eredità lasciata da Viganò, scrivendo nelle sue cir-
colari molto di più sul tema della spiritualità che nel periodo precedente.
Gli aggettivi che preferisce per descriverla sono “salesiana” e “giovanile”,
collocandola così in un contesto vitale, comunitario, relazionale, pastorale-
educativo-pedagogico, vocazionale e comunicativo. Solo in secondo piano
170 CG23 (1990), n. 276.
171 Viganò, Nuova educazione, 37.
172 Ibid.
173 Cfr. Ibid., 39 e i riferimenti al CG23 (1990), n. 332.

33.2 Page 322

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 321
sono sviluppate le tematiche specifiche legate alla spiritualità come la ca-
rità, l’azione, l’esperienza, il lavoro, il progetto, la prassi, l’animazione, il
quotidiano, l’amicizia, la preghiera e i sacramenti.174
Un’interessante sintesi sul cammino di riflessione sulla spiritualità sa-
lesiana venne offerto da Vecchi durante le Giornate di spiritualità della
Famiglia salesiana del 1995.175 Egli valuta ben esplicitato l’aspetto ascetico
e mistico dell’incontro con Dio attraverso due tipi di mediazioni incluse
in un unico universo sacramentale: quelle celebrative-rituali (preghiera) e
quelle pratico-tecniche (lavoro). In una parola, «lavoro e preghiera fusi nel
sacramento totale della vita orientata verso Dio e mossa dalla carità».176
Per attualizzare la spiritualità salesiana nel contesto degli anni ’90, egli
propone tre convinzioni:
Che c’è un vissuto spirituale, quasi nascosto nel quotidiano educativo, cono-
sciuto solo in forma frammentaria da coloro che lo vivono; che è possibile creare
comunione sulla base di tale vissuto a livello di Famiglia salesiana; che i giovani
possono percepirlo e trovare in esso un cammino di vita nello Spirito. A quest’ul-
timo punto risponde lo sforzo di formulare un percorso di spiritualità giovanile
salesiana.177
Infine, però, è doveroso notare una certa discrepanza: da un lato i rettori
maggiori parlano della spiritualità salesiana legata alla grazia di unità, ma
dall’altro le formulazioni presenti nel CG23 e nelle prime due edizioni del
Quadro di riferimento la legano alla logica della suddivisione nelle varie
dimensioni. Di per sé, il CG23 propone di educare i giovani alla fede fa-
cendoli prendere consapevolezza di un progetto originale di vita cristiana:
«Il giovane impara ad esprimere un modo nuovo di essere credente nel
mondo, e organizza la vita attorno ad alcune percezioni di fede, scelte di
174 Cfr. il contesto semantico dell’uso delle parole chiave “spiritualità”, “spirituali-
tà giovanile salesiana” e “spiritualità salesiana” in CD allegato al volume J.E. Vecchi,
Educatori appassionati esperti e consacrati per i giovani. Lettere circolari ai Salesiani
di don Juan E. Vecchi. Introduzione, parole chiave e indici a cura di Marco Bay, LAS,
Roma 2013.
175 J.E. Vecchi, Il sistema preventivo esperienza di spiritualità in A. Martinelli - G.
Cherubin (eds.), Il sistema preventivo verso il terzo millennio. Atti della XVIII Settimana
di Spiritualità della Famiglia salesiana. Roma, Salesianum 26-29 gennaio 1995, SDB,
Roma 1995, 221-243.
176 Ibid., 242. Nella formulazione sintetica, Vecchi si riferisce a Sistema preventi-
vo vissuto come cammino di santità. Settimana di Spiritualità della Famiglia salesiana.
Roma 1980, LDC, Leumann (TO) 1981.
177 Vecchi, Il sistema preventivo esperienza di spiritualità in Martinelli - Cherubin
(eds.), Il sistema preventivo verso il terzo millennio, 221.

33.3 Page 323

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322 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
valori e atteggiamenti evangelici: vive una spiritualità».178 Quest’ultima
viene espressa, però, in diversi nuclei che non sono sempre relazionati con
le dimensioni del PEPS. Dal confronto tra le dimensioni, le aree e i nuclei
si può ravvisare la fatica dell’epoca che esaminiamo per esprimere l’uni-
tarietà della proposta educativa salesiana. Sembra che il periodo Viganò-
Vecchi caratterizzato da una ricca produzione pastorale e pedagogica si
concluda con le due edizioni del Quadro di riferimento scritte secondo
la mentalità del progetto-prodotto diviso per dimensioni e ambienti e con
un’attenzione alle strutture di coordinamento e ai passaggi metodologici,
facendo mancare una visione di fondo unitaria e antropologicamente fon-
data. Questa sarà la sfida con la quale dovrà misurarsi l’epoca successiva.
5.2.5. La revisione dei progetti ispettoriali e la corresponsabilità con i laici
La revisione dei progetti ispettoriali era stata decisa dal CG23, ma no-
nostante l’accento del Capitolo sull’operatività e la concretezza,179 si volle
esaminarne solo la qualità formale: «Per adesso non è entrato nella verifica
della reale applicazione di questi progetti nelle opere».180 Lo studio dei
PEPSI dà una «grande attenzione ai principi»181 scritti e alla completezza
dei temi trattati nel progetto stesso, ribadendo più volte la scelta di non
voler entrare nel merito dell’operatività. Si percepisce la differenza della
prospettiva rispetto a quanto si aspettava Viganò, che nella lettera della
convocazione del Capitolo aveva parlato del bisogno di «verificare l’effica-
cia dell’educazione salesiana in ordine alla vita di fede dei giovani con cui
operiamo, per poi rivedere con più incisività i progetti educativo-pastorali
di ogni ispettoria e delle singole case».182
La discrepanza tra l’enfasi operativa del CG23 e la revisione fatta è
percepibile anche quando si confrontano alcune esigenze del Capitolo con
il metodo della revisione dei progetti ispettoriali. L’attenzione del Capitolo
178 CG23 (1990), n. 158.
179 Cfr. CG23 (1990), n. 230.
180 L. Van Looy, Il Progetto Educativo Pastorale nelle Ispettorie, in ACG 75 (1994)
349, 36.
181 Dicastero per la Pastorale Giovanile, Il Progetto Educativo-pastorale salesiano.
Rilettura dei progetti ispettoriali. Risultati dell’inchiesta ai delegati ispettoriali di PG
e loro équipes sul “Progetto educativo-pastorale”, SDB, Roma 1995, 6. Cfr. anche Van
Looy, Il PEP nelle Ispettorie, 34-38.
182 Viganò, Convocazione del Capitolo Generale 23°, 7.

33.4 Page 324

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 323
era indirizzata all’inserimento vivo delle singole opere nella Chiesa locale
e nel territorio, alla revisione della qualità educativa, alla significatività e
all’eventuale ricollocazione delle opere stesse.183 L’inchiesta e la seguente
analisi, invece, coinvolsero solo i delegati ispettoriali e le loro équipe, stu-
diando soprattutto la completezza dei testi del progetto.
Il questionario, costituito da 45 domande, utilizzò uno schema basa-
to sul seguente quesito: il PEPSI come tratta (indica, descrive, definisce,
considera, analizza, è attento, esplicita) un tema (dimensione, obiettivo,
aspetto, mezzo educativo, processo, scelta, concetto) specifico? Le possi-
bili risposte erano: molto, sufficiente, poco, assente. L’accento dello studio
era posto sulla completezza e sull’aggiornamento dei testi del progetto e
in tale ambito rivelò una sostanziale soddisfazione. Ma tra le 45 domande
del questionario solo tre trattano, e anche queste in modo generico, dell’o-
peratività del progetto. Le conclusioni dell’inchiesta si possono presentare
riportando i dati statistici presenti nel documento di orientamento Il Pro-
getto Educativo Pastorale nelle Ispettorie (1994) redatto da van Looy. Il
consigliere per la pastorale giovanile fece emergere le seguenti problema-
tiche della progettazione.
1. La carenza della metodologia della progettazione. Il 38% delle case
non ha un progetto scritto. Il 17% delle ispettorie non ha un PEPSI appro-
vato dal Capitolo ispettoriale. Di quelle ispettorie che hanno il progetto,
nel 76% dei casi questo è stato scritto solo da alcuni salesiani senza un
coinvolgimento corresponsabile di altri.
2. La poca mentalità della corresponsabilità dei laici nella comunità
educativo-pastorale. Nel 36% delle case non si è costituita la CEP. Il 78%
non sa come la CEP debba garantire il carisma salesiano e il 67% dichiara
di non intendere molto bene come affidare la corresponsabilità ai laici. Il
78% delle comunità non ha molto chiara la funzione della comunità sale-
siana in quanto formatrice dei laici.
3. Il mancato inserimento nell’ambiente ecclesiale e sociale. Solo il 3%
considera importante il rapporto con gli organismi sociali e politici e solo
il 4% i rapporti con organismi culturali.184
Alcuni risultati, specie nella parte della collaborazione con i laici nella
CEP e nel territorio, sono stati percepiti come allarmanti. I tre quarti delle
comunità salesiane non considerano la collaborazione con i laici e, logi-
183 Cfr. CG23 (1990), n. 230.
184 Cfr. Van Looy, Il PEP nelle Ispettorie, 36-40.

33.5 Page 325

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324 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
camente, la stessa proporzione vale per i progetti, elaborati solo da alcuni
salesiani senza il coinvolgimento di altri. Si comprende, quindi, la scelta
della Congregazione di occuparsi nel CG successivo del tema della comu-
nione e condivisione tra salesiani e laici.185
Il Capitolo generale 24 è stato un’importante pietra miliare del venten-
nio di riflessioni guidate da Viganò e Vecchi. Il tema della comunione e
condivisione tra laici e salesiani, oltre alle modalità già menzionate della
Famiglia salesiana, della CEP e del movimento giovanile salesiano,186 vie-
ne elaborato attorno al concetto di “corresponsabilità”, che esprimeva il
bisogno di un nuovo rapporto tra salesiani e laici: «È necessario un cam-
biamento di mentalità: crescere insieme, formarci insieme».187 La corre-
sponsabilità diventa nel documento una parola centrale usata quasi una
cinquantina di volte, costituendo un punto di arrivo più alto della semplice
comunione, condivisione o collaborazione tra i salesiani e i laici. Il numero
22 degli atti introduce il concetto in questa prospettiva:
Anche la partecipazione nella missione salesiana si presenta come una real-
tà variegata, graduale e progressiva: dalla semplice presenza di obbligo, di chi
presta un’opera, offre la sua competenza e niente di più o perché‚ fa parte della
parrocchia salesiana, alla collaborazione per motivi di lavoro o per libera scel-
ta e alla corresponsabilità di chi si fa carico con noi della comune missione.
Il cammino del coinvolgimento porta alla comunione nello spirito; quello della
corresponsabilità, poi, alla condivisione della missione salesiana. Comunione e
condivisione, coinvolgimento e corresponsabilità, sono le due facce della stessa
medaglia.188
Nel documento del Capitolo, il concetto di corresponsabilità non viene
definito. Anche se la maggior parte delle occorrenze è di tipo esortativo, è
possibile rintracciare altri nuclei importanti: la corresponsabilità dei laici
si colloca nell’ambito dell’unica missione e si esercita come un processo
di tutta la comunità educativo-pastorale, che mette al centro i giovani e le
loro necessità elaborando un progetto educativo-pastorale salesiano.189 Il
185 Cfr. il tema e il contenuto del CG24 (1996): Salesiani e laici: comunione e condi-
visione nello spirito e nella missione di don Bosco. Cfr. anche l’analisi più approfondita
di alcuni progetti ispettoriali in Vojtáš, Progettare e discernere, 81-88.
186 Cfr. CG24 (1996), nn. 39-51.
187 CG24 (1996), n. 101. A livello di atteggiamenti e metodologie della formazione
condivisa cfr. n. 103, per gli aspetti operativi cfr. i nn. 106-148.
188 CG24 (1996), n. 22. Il corsivo che evidenzia i concetti usati per descrivere il
rapporto salesiani-laici è nostro.
189 Cfr. Ibid., nn. 119-120.

33.6 Page 326

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 325
modello operativo, «condiviso un po’ dappertutto, riconosciuto valido e
come l’unico praticabile nelle condizioni attuali, è il seguente: “i salesiani
come nucleo animatore [della CEP], il coinvolgimento e la corresponsabili-
tà dei laici, l’elaborazione di un progetto possibile, adeguato ai destinatari,
alle forze e al contesto”».190 L’organismo centrale che anima e coordina la
corresponsabilità è il Consiglio della CEP e/o Consiglio dell’Opera, il qua-
le svolge il suo ruolo sia attraverso la riflessione, il dialogo, la programma-
zione e la revisione dell’azione educativo-pastorale, sia attraverso la chiara
attribuzione dei ruoli e delle funzioni dei salesiani e dei laici.191
L’introduzione ambiziosa della categoria di corresponsabilità dovreb-
be avere dei risvolti in particolar modo nella mentalità dei salesiani. Don
Viganò nella lettera di convocazione del Capitolo esprime un aspetto im-
portante: «Una comunità più attenta alle esigenze e alla corresponsabilità
dei laici impegna sul versante dell’identità: il primato della spiritualità».192
Dopo il CG24, il nuovo rettor maggiore Juan Edmundo Vecchi propose
invece la riflessione in coerenza con gli ideali tracciati dal Capitolo, con
una lungimiranza tale da renderli attuali almeno per un quarto di secolo
fino al CG28, che nel 2020 ha ripreso la riflessione sulla corresponsabilità
tra salesiani e laici nella missione e nella formazione.
Vecchi nelle sue lettere circolari, oltre ai significati menzionati prima,
esprime molte volte un concetto di corresponsabilità con i laici che è sia
spirituale che operativa,193 allargando nel contempo l’applicazione del
principio ai giovani corresponsabili nell’accompagnamento del loro cam-
mino e alle comunità giovanili corresponsabili,194 alla corresponsabilità
di istituzioni e famiglie, a quella in iniziative sociali195 e anche a riguardo
della vita delle comunità religiose e dei rapporti tra le ispettorie.196
La lettera più lungimirante, che delinea le implicazioni per il futuro che
190 Ibid., n. 39.
191 Cfr. Ibid., nn. 121, 171.
192 E. Viganò, Convocazione del Capitolo Generale 24, in ACG 75 (1994) 350, 22-23.
193 Cfr. J.E. Vecchi, La Famiglia Salesiana compie venticinque anni, in ACG 78
(1997) 358, 14.
194 Cfr. J.E. Vecchi, Santità e martirio all’alba del terzo millennio, in ACG 80 (1999)
368, 31; Id., Verso il Capitolo Generale 25°, in ACG 81 (2000) 372, 25.
195 Cfr. J.E. Vecchi, Si commosse per loro (Mc 6,34). Nuove povertà, missione sale-
siana e significatività, in ACG 78 (1997) 359, 29 e Id., Avvenimenti di Chiesa e di Fami-
glia, in ACG 79 (1998) 364, 18.
196 Cfr. J.E. Vecchi, «Il Padre ci consacra e ci invia», in ACG 79 (1998) 365, 42; Id.,
Verso il Capitolo Generale 25°, 29; Id., Malattia e anzianità nell’esperienza salesiana,
in ACG 82 (2001) 377, 25.

33.7 Page 327

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326 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
scaturiscono dal suo pensiero ventennale, principio della corresponsabilità
incluso, è intitolata “Per voi studio”.197 All’interno della circolare, oltre al
tema della formazione intellettuale, Juan Vecchi traccia la figura del “nuovo
salesiano” che corrisponde alle esigenze della “nuova evangelizzazione” e
della “nuova educazione”. Non si tratta di un leggero ritocco, ma di qualcosa
di più radicale. Il salesiano si inserisce in un “nuovo modello operativo”,
quello degli orientatori pastorali, primi responsabili dell’identità salesiana
delle iniziative e delle opere, animatori di altri educatori all’interno di un nu-
cleo trainante. Diventa necessario rendersi e rimanere capaci di interpretare
creativamente la cultura, di animare un ampio ambiente educativo, di ac-
compagnare insieme ad altri educatori processi di maturazione e crescita, di
orientare le persone, di interagire nel contesto sociale.198 Il nuovo salesiano è
una figura poliedrica: formatore, testimone, accompagnatore, discepolo, ani-
matore delle comunità, leader e manager delle organizzazioni e dei progetti.
Riassumendo le indicazioni di Vecchi scopriamo una serie di caratteristiche
richieste al salesiano educatore del nuovo millennio:
1. una identità di credente, una robustezza spirituale che lo renda capa-
ce di dialogo convinto con gli altri in clima di libertà. Questo esige che la
fede e le ragioni della sua speranza siano ricomprese e vissute con fonda-
tezza e trasparenza;
2. una identità salesiana chiara, in quanto egli è il primo responsabile
dell’identità salesiana delle iniziative e delle opere. Per questo deve posse-
dere una conoscenza maggiore, teorica e pratica, dei problemi giovanili e
dell’educazione e saper proporre autorevolmente mete e itinerari educativi;
3. una capacità di confronto aperto, intelligente e propositivo con i nuo-
vi fenomeni e con le tendenze culturali, sociali e giovanili, che lo abiliti
a tentare l’annuncio nel cuore della vita, interpretando i nuovi linguaggi e
codici di significato;
4. una competenza trasversale per orientare pastoralmente, animare gli
educatori nel “nucleo trainante” e formare gli adulti corresponsabili nel
lavoro educativo, al di là della semplice amicizia.199
In un certo senso ritorna il tema della qualificazione dei confratelli lan-
ciata al Capitolo generale 19 svoltosi durante il Concilio Vaticano II. Prima
197 J.E. Vecchi, “Io per voi studio...”( C 14) La preparazione adeguata dei confratelli
e la qualità del nostro lavoro educativo, in ACG 78 (1997) 361, 3-47.
198 Cfr. Ibid., 17-18.
199 Cfr. Ibid.

33.8 Page 328

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 327
si pensava che la qualificazione avrebbe portato i salesiani fuori dei colle-
gi, non più adatti alle esigenze di allora. Attorno al cambio del millennio
la nuova domanda di qualificazione chiede invece ai salesiani non solo di
cambiare il “luogo” e la “struttura” dell’educazione, ma di abbandonare
la logica dei ruoli e degli ambienti fissi e di pensarsi in una nuova logica
comunitaria, processuale e di accompagnamento dei giovani e degli adulti
corresponsabili.
5.3. Le linee pedagogiche dei maggiori autori salesiani di riferimento
5.3.1. Il secondo Braido, fondatore dell’Istituto Storico Salesiano
Semplificando, si potrebbe affermare che lo sforzo di studiare la peda-
gogia salesiana fu condotto da Pietro Braido in due fasi, la prima caratte-
rizzata da un approccio ampio e sistematico di filosofia dell’educazione e
la seconda contrassegnata dai tentativi di ricostruzione storica del “don
Bosco educatore”.200 Le sue pubblicazioni tra la metà degli anni ’50 e la
fine degli anni ’70 sono caratterizzate da un paradigma di interdisciplina-
rità e dalle collaborazioni con i colleghi della Facoltà di Scienze dell’Edu-
cazione dell’UPS. A partire dagli anni ’80, invece, il suo sforzo maggiore
e prioritario di studio è legato all’attività dell’Istituto Storico Salesiano,
fondato nel 1981, l’anno di pubblicazione dei due volumi delle Esperienze
di pedagogia cristiana nella storia.201 I suoi nuovi lavori si concentrano
sulla finalità di «mettere a disposizione nelle forme scientificamente valide
i documenti del ricco patrimonio spirituale lasciato da don Bosco e svi-
luppato dai suoi continuatori»202 attraverso «l’edizione critica delle fonti
significative, a cominciare dagli scritti di don Bosco».203 Dal 1984 vengono
pubblicate nella rivista “Ricerche Storiche Salesiane” le edizioni critiche
dei diversi documenti circa l’esperienza educativa di don Bosco raccolte
poi nel volume degli Scritti pedagogici e spirituali.204
200 Cfr. la suddivisione dei periodi, delle attenzioni e dei riferimenti bibliografici nei
contributi di Chiosso, Lafranchi, Biancardi e di Motto in C. Nanni et al. (eds.), Pietro
Braido. Una vita per lo studio, i giovani e l’educazione, LAS, Roma 2018, 19-89.
201 Cfr. P. Braido, Esperienze di pedagogia cristiana nella storia, 2 voll., LAS, Roma
1981.
202 Statuto dell’Istituto Storico Salesiano, art. 1, in «Ricerche Storiche Salesiane» 1
(1982) 1, 5.
203 Ibid., art. 2.
204 Cfr. G. Bosco, Scritti pedagogici e spirituali, a cura di Jesús Borrego, Pietro Brai-

33.9 Page 329

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328 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
Nel periodo successivo, Braido commenta lo sviluppo della ricerca cri-
tica su don Bosco, attorno al Centenario del 1988, in un articolo dal titolo
significativo “Una svolta negli studi su don Bosco”,205 nel quale analizza
gli esiti del 1° Congresso Internazionale di studi su don Bosco.206 Le sue
convinzioni sull’utilità del procedere in maniera storico-critica prendo-
no le distanze in forma marcata dalle Memorie Biografiche, denominate
“leggenda aurea”,207 con un giudizio più critico del classico saggio sulle
Memorie del Desramaut, già menzionato parlando del periodo preceden-
te.208 Braido si posiziona contro il «tradizionalismo, il conservatorismo, la
“celebrazione”, la considerazione “intrasalesiana”, come è apparso anche
nel corso del recente Centenario; in opposizione a un don Bosco molto più
realista e “inserito” nella storia».209 Così, attraverso la demitizzazione, egli
critica le “arbitrarie sopravalutazioni”, nota i limiti e le «lacune della più
tradizionale storiografia salesiana tesa all’esaltazione dell’“eroe”».210
5.3.1.1. La sintesi del “Prevenire non reprimere”
L’ultimo volume sul sistema preventivo di don Bosco, scritto a conclusio-
ne della sua carriera, quando già da dieci anni era professore emerito, integra
nel suo insieme la logica storico-critica. Braido riformula completamente la
do, Antonio Ferreira da Silva, Francesco Motto e José Manuel Prellezo, (= Istituto Sto-
rico Salesiano-Fonti: Serie prima 3), LAS, Roma 1987 e la successiva pubblicazione P.
Braido (ed.), Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, (=Istituto Storico Salesiano-
Fonti: Serie Prima 9), LAS, Roma 1992.
205 Cfr. Pietro Braido, Una svolta negli studi su don Bosco, in «Ricerche Storiche
Salesiane» 10 (1991) 355-375.
206 Cfr. Don Bosco nella storia. Atti del 1° Congresso Internazionale di studi su Don
Bosco a cura di Mario Midali, LAS, Roma 1990; Don Bosco en la historia. Actas del
Primer Congreso Internacional de Estudios sobre San Juan Bosco. Edición en castellano
dirigida por José Manuel Prellezo García, LAS/CCS, Roma/Madrid 1990; Saint Jean
Bosco. Recherches sur la vie et l’oeuvre d’un prêtre éducateur italien du dixneuvième
siècle. Editées et présentées par Francis Desramaut, LAS, Roma 1990.
207 Braido, Una svolta negli studi su don Bosco, 356.
208 «Desramaut convince meno quando nei rilievi conclusivi sembra quasi ipotizzare
una duplice lettura delle Memorie Biografiche: “edificante”, sempre valida; “scientifica”,
insufficiente ai fini di un dignitoso lavoro storico. Sembra più corretto pensare che an-
che la lettura “spirituale” debba essere fatta con spirito critico, che aiuti a distinguere,
proprio ai fini della “edificazione”, la verità su don Bosco da sovrastrutture arbitrarie e
deformanti», in Braido, Una svolta negli studi su don Bosco, 358.
209 Braido, Una svolta negli studi su don Bosco, 356.
210 Cfr. Ibid., 361-362.

33.10 Page 330

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 329
parte più sistematica basandosi su fonti più attendibili rispetto alle Memorie
Biografiche, utilizzate invece più di mille volte come fonte dei riferimenti bi-
bliografici nella prima e seconda edizione del Sistema Preventivo. Vengono
preferite le edizioni critiche dei documenti educativi maggiori, i documenti
dell’archivio, la collana delle Opere Edite, le Memorie dell’Oratorio, l’episto-
lario di don Bosco. Le Memorie Biografiche e il “Bollettino Salesiano” sono
citati solo come fonti secondarie. Documenti come il trattatello sul Sistema
preventivo nell’educazione della gioventù, la Lettera da Roma e i Ricordi
confidenziali, che prima erano inclusi negli allegati, non si trovano più in
Prevenire non reprimere e quindi la lettura del volume andrebbe accompa-
gnata dall’antologia pubblicata precedentemente.
Se confrontato con le precedenti edizioni del manuale del Sistema Pre-
ventivo (1955, 1964), Prevenire non reprimere dovrebbe essere letto come
una pubblicazione di ricostruzione più storica che sistematica di don Bo-
sco educatore. Circa il metodo di studio si nota la frammentazione insita
al metodo storico-critico e legata alla quantità di fonti di diverso valore e
di studi che adottano approcci diversi, una difficoltà espressa da Braido
già prima, affermando che «sembra mancare, anzitutto, un concetto, una
intuizione, un fatto che possa servire da unitario punto di raccordo, incon-
testabile e indiscutibile».211
Braido matura col tempo la consapevolezza circa il concetto di “pre-
venzione” come chiave della visione d’insieme applicata sostanzialmente a
tutta l’azione educativa di don Bosco.212 In Prevenire non reprimere, Brai-
do fa la sua scelta affermando che «la formula “sistema preventivo” […] è
idonea ad esprimere tutto ciò che egli ha detto e fatto come educatore».213
La prevenzione, oltre a determinare la scelta del titolo, guida la struttura-
zione dei capitoli. Infatti, il volume potrebbe essere considerato un trattato
sulla prevenzione in don Bosco, contestualizzato storicamente nei primi
otto capitoli e sintetizzato attorno a nuclei tematici negli otto capitoli suc-
cessivi. Il modo di procedere è “cauto” e, per certi versi, “asistematico”,
per rispondere alle esigenze della rigorosità del metodo storico, e i giudizi
sono molto ponderati per non indurre il lettore verso interpretazioni arbi-
trarie. È sorprendente la ricchezza di riferimenti storici e la conoscenza di
tantissime interpretazioni della figura di don Bosco.214
211 Braido, Il Sistema Preventivo di don Bosco, PAS Verlag, Zürich 21964, 19.
212 Cfr. Ibid., 65.
213 Braido, Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, LAS, Roma
2006, 7.
214 Cfr. gli orientamenti bibliografici in Braido, Prevenire non reprimere, 405-415.

34 Pages 331-340

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34.1 Page 331

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330 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
Coerentemente con la scelta del principio preventivo, la parte della con-
testualizzazione storica, già presente in nucleo nel suo manuale del ’64,
viene arricchita e sviluppata includendo i capitoli: “Meglio prevenire che
reprimere”; “La realtà preventiva prima della formula”; “Nascita di una
formula: sistema preventivo e sistema repressivo”; “Figure del sistema pre-
ventivo vicine a don Bosco”.215 Alla luce delle ricche ricerche dell’Istituto
Storico Salesiano sono ricalibrate le questioni sulle influenze e le dipen-
denze di don Bosco da altri autori, inserendolo all’interno della storia della
catechesi post-tridentina e dell’educazione cattolica.216
Con la quantità delle fonti disponibili è stato molto più difficile il com-
pito di tessere, con la logica della preventività, le connessioni all’interno
della parte contenutistico-sistematica di Prevenire non reprimere (capitoli
10-18). Sembra che la correttezza ed esattezza della ricostruzione storica
venga preferita allo sguardo d’insieme delle diverse tematiche che è, inve-
ce, illuminante e pregnante di applicazioni nei primi due volumi sul siste-
ma preventivo. Un caso concreto, che può servire da esempio, è la separa-
zione dei temi di “pedagogia del cuore” e di “pedagogia della correzione”,
presentati prima in un unico paragrafo e separati poi nell’ultimo volume.
Similmente, il tema della familiarità, legato con la pedagogia dell’allegria
che crea un ambiente educativo, era una prospettiva teoricamente pregnan-
te, che si è persa poi nelle distinzioni.
L’idea unitiva della preventività rischia di essere un contenitore (rela-
tivamente) vuoto anche per ragioni contestuali indipendenti dall’autore.
Con la perdita di una philosophia-theologia perennis condivisa, che te-
neva insieme l’impostazione ricaldoniana attorno alla metà del secolo, nel
postconcilio si passa alla logica delle discipline e delle dimensioni, che
dovrebbero essere interdipendenti, ma spesso sono soltanto autonome.217
La mens sostanzialmente neoscolastica di Braido lo ha guidato nella prima
edizione, procedendo in modo argomentativo, dal primato del “religioso-
soprannaturale”, per sviluppare di conseguenza “il naturale” con la dimen-
sione della ragione, intesa come la concretizzazione applicativa e orga-
nizzativa degli ideali e dei valori religiosi. Nello stesso modo sono venuti
215 Nei suddetti capitoli Braido ha integrato diverse parti del suo studio precedente
Breve storia del “Sistema preventivo”, LAS, Roma 1993.
216 Si tratta di una pista di riflessione proposta già dal Fascie negli anni ’30 per smon-
tare l’esagerato trionfalismo circa l’originalità di don Bosco. Cfr. B. Fascie, Del metodo
educativo di Don Bosco. Fonti e commenti, SEI, Torino 1927.
217 Cfr. M. Vojtáš, Implicazioni metodologiche del principio religioso nell’educazione
salesiana, in «Orientamenti Pedagogici» 64 (2017) 1, 11-36.

34.2 Page 332

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 331
meno altri temi sviluppati nella parte della teologia dell’educazione: l’effi-
cacia soprannaturale ex opere operato diversa da un sostegno puramente
“psicologico” (conforto, gioia, commozione, ecc.); l’accrescimento reale
della grazia e della vita divina; la crescita nella statura soprannaturale; il
binomio naturale-soprannaturale; la preghiera come mezzo “ontologico”
di educazione, oltre che psicologico e morale.218
Altre variabili contestuali quali la crisi del collegio-internato salesiano,
la moltiplicazione della diversità dei contesti educativi a livello planetario
e il mutato mondo giovanile degli anni ’90, sembra che inducano Braido ad
abbandonare, per ragioni più che comprensibili, diverse idee-sintesi delle
prime due edizioni, che potevano sembrare esagerate o fuori luogo. Contro
le tendenze delle pedagogie antiautoritarie post ’68, Braido afferma invece
in Prevenire non reprimere la centralità dell’educatore nel sistema preven-
tivo, abbandonando l’ipotesi di una
pedolatria, di pedocentrismo, quando si pensasse che, nel concetto di don Bo-
sco, come nel concetto cristiano, l’educatore del “sistema preventivo” è colui che
realmente “serve” l’alunno. Senza diventare “sindaco” della “città” di don Bosco,
il ragazzo è, nella sua famiglia educativa, il piccolo re e, come in ogni famiglia,
gode di tutti i privilegi e attenzioni da parte dei “maggiori”, deve poter parlare
e agire con confidente libertà ed esprimersi e manifestarsi come “ragazzo”. Per
lui è la gioia rumorosa della vita del cortile, del canto, del teatro, dell’escursione;
ed anche i suoi “signori superiori” e “professori” sono obbligati a condividerla, a
prenderne parte, rinunziando alle loro esigenze di “adulti”.219
In Prevenire non reprimere Braido afferma quindi con molta insistenza
(facendo eco a don Ricaldone) che «l’assoluto protagonista è l’educatore,
detentore della pienezza dei poteri, esecutivo, giudiziario, punitivo, mentre
l’allievo è chiamato a una essenziale esecuzione cooperativa, un coprota-
gonismo subordinato».220 Il sistema educativo funziona o non funziona se
gli educatori sono totalmente consacrati agli allievi, portano il peso dell’e-
ducazione e garantiscono la sua fecondità. In questo senso la riformulazio-
ne di Braido, a mezzo secolo di distanza, è un’operazione di adeguamento
a un’epoca cambiata radicalmente più che a un cambiamento di idee.
218 Cfr. Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 269-293.
219 Ibid., 434.
220 Braido, Prevenire non reprimere, 290.

34.3 Page 333

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332 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
5.3.1.2. Il rigore scientifico e il problema delle dipendenze
L’intenzione di voler adottare un metodo scientifico preciso e sicuro è,
come abbiamo visto, in evoluzione, ma sempre presente nell’arco di vita
di Pietro Braido. La coerenza e la linearità sono categorie che Braido ri-
conosce anche in don Bosco, nel momento in cui lo valuta come “linea-
re, diritto, sincero”. Don Bosco è per lui “sincero” nell’amorevolezza, nel
ragionamento, nelle questioni disciplinari e negli atteggiamenti verso la
religione e la pietà.221 Il suo atteggiamento potrebbe essere illuminato dal
messaggio conclusivo del Convegno Internazionale del 1989, di cui è au-
tore il cardinale salesiano Antonio Maria Javierre Ortas, che invitava “al
servizio incondizionato della verità”, in concreto al servizio del don Bosco
“vero”: “vederlo com’è, non come qualcuno vorrebbe che fosse”. Braido
sceglie questo testo come sintesi conclusiva dell’articolo sulla svolta negli
studi su don Bosco.222 Oltre il crescente uso del metodo storico-critico,
già menzionato, Braido ama anche la precisione semantica dei termini,
riscontrabile nell’uso delle virgolette: l’uso dei termini tecnici o storici vie-
ne sempre segnalato. Già dalla prima edizione si riscontrano espressio-
ni-titolo come p.e.: “sistema preventivo”, “fondamento” della pedagogia,
“salute delle anime”, “timor di Dio”, “buona educazione”, “sensus Eccle-
siae”, “amorevolezza” come “principio” pedagogico, “fondamento” meto-
dologico, “pedagogia del cuore”, “famiglia” e “allegria”, i “custodi” della
vita di famiglia: gli “assistenti” e il “direttore”, pedagogia della “pietà”,
“pedagogia preventiva”, disciplina “familiare”, elementi di “didattica”, ecc.
In alcuni passi delle sue pubblicazioni, l’uso tecnico dei termini è così alto
che sembra paradossalmente più confondere che chiarire.
Il problema della certezza delle fonti e della ricerca di dipendenze di-
venta più acuto nella seconda edizione del ’64 e lo guiderà nell’inserimento
di don Bosco educatore all’interno della storia dell’Ottocento.223 Più tardi,
l’orizzonte temporale si allarga e la contestualizzazione, nel volume Breve
storia del sistema preventivo, abbraccia l’intero arco dell’educazione cri-
stiana dei due millenni. Emblematico in questo senso è il caso della rela-
zione tra don Bosco e la tradizione oratoriana in Italia.
Nella prima edizione, Braido trova “espressioni, posizioni, atteggiamen-
ti caratteristici di don Bosco educatore”, nella biografia di san Filippo Neri
221 Cfr. Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 143.
222 Cfr. Una svolta negli studi su don Bosco, 375.
223 Cfr. Braido, Il Sistema Preventivo, 21964, 7.

34.4 Page 334

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 333
del Bacci uscita a Roma proprio durante gli ultimi anni della formazione
teologica di don Bosco. Vi si riscontrano parecchie affinità ed espressioni
come l’educazione alla “bellezza della virtù e alla bruttezza del vizio”,
che accomunano i due santi.224 Similmente egli valuta la vicinanza tra don
Bosco e la tradizione degli oratori lombardi. Pur riconoscendo una certa
originalità di don Bosco, Braido nota che «sia don Bosco che il biografo af-
fermano, riguardo l’aspetto organizzativo, una esplicita dipendenza dagli
oratori lombardi».225 Nei volumi successivi diminuirà l’importanza data ai
singoli documenti e si cercherà di inserire don Bosco piuttosto in un flusso
storico più ampio, quello della catechesi post-tridentina.226
Un ultimo campo nel quale si applica l’atteggiamento di rigore scienti-
fico sono i cosiddetti sogni di don Bosco. Braido, dalla prima edizione in
poi, non li usa come fonte e, ad eccezione del sogno dei nove anni inserito
nel percorso vocazionale, li colloca nell’area dell’educazione alla castità con
una Traumdeutung simbolica: «I suoi “sogni”, così popolati di lotte e di
battaglie, di vittorie e di sconfitte, non sono che la traduzione simbolica di
una visione realistica e concreta che don Bosco aveva, per esperienza e per
una felicissima intuizione naturale e soprannaturale dei cuori e delle anime
giovanili, delle difficoltà innumeri in cui la loro virtù rischia ad ogni istante
di naufragare».227 La personale avversione al trionfalismo soprannaturali-
stico, di cui i sogni erano un simbolo, rimane fino alla fine del suo percorso
di ricerca, quando introduce la sua ultima grande opera con un passo della
lettera di don Bosco a Cagliero sulla diffidenza verso i sogni.228
224 Cfr. Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 76-80.
225 Ibid., 87.
226 Un’espressione chiara di questo atteggiamento si riscontra nella valutazione delle
pubblicazioni del salesiano Gioachino Barzaghi che sostiene la tesi della dipendenza di
don Bosco dal modello ambrosiano. Nella recensione del 2004 Braido si esprime così:
«Si è inteso con motivata franchezza mettere in luce l’infondatezza di una tesi del tutto
insostenibile, che ignora e falsa don Bosco. Un lettore che di lui – uomo, prete, operaio
evangelico nel campo caritativo e sociale – volesse sapere qualcosa di serio nulla vi
troverà che lo possa illuminare, anzi ne sarà fuorviato. Tuttavia, il lavoro è enorme
e contiene molti materiali di grande interesse. Forse, sarebbero meglio utilizzati se,
invece di essere piegati a dimostrare una tesi, un cattivo servizio alla ricerca storica,
fossero finalizzati a ricostruire una storia obiettiva e critica degli oratori a partire da san
Filippo Neri fino a don Bosco o, meglio, oltre». Cfr. P. Braido, Recensione di Barzaghi
Gioachino, Don Bosco e la chiesa lombarda. L’origine di un progetto. Glossa 2004, 937
p., in «Ricerche Storiche Salesiane» 23 (2004) 45, 492-493 e G. Barzaghi, Alle radici del
Sistema preventivo di don Bosco, Libreria Editrice Salesiana, Milano 1990.
227 Braido, Il Sistema Preventivo, 11955, 312-313.
228 Cfr. P. Braido, Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà, vol. 1, LAS,

34.5 Page 335

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334 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
5.3.1.3. Aggiornamento del sistema preventivo
Sembra che il secondo Braido, che sviluppa sempre più coscienza e
competenze nel campo storico, abbia maturato un rapporto dialettico tra
la metodologia “storico-critica” e la metodologia “interdisciplinare” del-
le scienze dell’educazione. La questione dell’attualizzazione del sistema
educativo di don Bosco, presente nelle due edizioni del Sistema Preventi-
vo, viene progressivamente abbandonata per una crescente insistenza sul
problema delle fonti, che implica l’uso del metodo storico-critico. Braido,
tralasciando l’ampiezza dei suoi interessi interdisciplinari, non partecipa
più agli incontri di Scholé, non elabora le teorie dell’interdisciplinarità,
non partecipa ai Colloqui salesiani, si concentra sulla ricerca puramente
storica. Il lavoro attorno all’enciclopedia Educare non ha avuto continuità
e sembrerebbe che l’interdisciplinarità sia stata utilizzata da Braido più per
l’organizzazione della Facoltà di Scienze dell’Educazione che per il ripen-
samento o l’attualizzazione del sistema preventivo.
Il suo confronto tra sistema preventivo e pedagogia scientifica sembra
non andare oltre i tempi del Concilio.229 Infatti in Prevenire non repri-
mere si riferisce ancora a Herbart e a Makarenko, parlando della «peda-
gogia contemporanea, pedocentrica e attivistica, delle scuole nuove, del
montessorismo»,230 posizioni attuali fino alla metà del secolo scorso. Sem-
bra che Braido nutra diffidenza verso le correnti della “pedagogia istitu-
zionale” che promuove l’autogestione dell’educazione da parte dei giova-
ni.231 Non appaiono neanche riferimenti di valorizzazione della pedagogia
critica, progettuale, costruttivista o strutturalista. Braido non è più il pro-
tagonista del lavoro interdisciplinare sui moduli del Progetto Educativo
Pastorale negli anni ’80, progetto che avrebbe potuto essere in continuità
con i volumi di Educare.232
Le posizioni riservate di Braido sulle innovazioni postconciliari dovreb-
Roma 22003, 3.
229 Cfr. S.S. Macchietti, Ricerca storica e coscienza pedagogica. Riflessione sugli
studi di storia dell’educazione di P. Braido, in J.M. Prellezo (ed.), L’impegno dell’edu-
care, Studi in onore di Pietro Braido promossi dalla Facoltà di Scienze dell’Educazione
dell’Università Pontificia Salesiana, LAS, Roma 1991, 17-27; B. Bellerate, A.S. Maka-
renko tra ideologia e educazione. Dalla biografia alle interpretazioni, in Prellezo (ed.),
L’impegno dell’educare, 29-40.
230 Braido, Prevenire non reprimere, 7.
231 Ibid., 387-390.
232 Cfr. J.E. Vecchi - J.M. Prellezo (eds.), Progetto Educativo Pastorale. Elementi
modulari, LAS, Roma 1984.

34.6 Page 336

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 335
bero essere studiate più a fondo, ma alcuni spunti si possono già cogliere
nel suo ultimo articolo pubblicato in Ricerche Storiche Salesiane. Non è
entusiasta della divisione postconciliare tra pastoralisti e pedagogisti e af-
ferma che «sulla falsariga del Concilio Vaticano II, si intendeva conferire
un’innovatrice impronta pastorale alla tradizionale azione educativa sale-
siana, introducendo nella letteratura salesiana, di forza e stabilmente, un
termine fino allora estraneo»,233 la “pastorale” appunto. Le sue considera-
zioni sul Capitolo generale speciale, che portano il titolo “Fedeltà e utopie”,
lasciano intendere una distanza nei confronti di alcune posizioni circa il
modello di aggiornamento portato avanti nel postconcilio.234 Comunque
anche il secondo Braido rivela una certa nostalgia sul ripensamento del
sistema preventivo. Commenta così lo sviluppo del Capitolo generale 19,
che prevedeva un
Trattato dell’educazione salesiana del nostro tempo, al quale il Consiglio su-
periore avrebbe potuto dare la sua approvazione ufficiale. Era il documento con-
clusivo, un vertice, nel quale con l’aiuto di esperti nel settore delle scienze dell’e-
ducazione si delineava una specie di sintesi di “innovativa” pastorale pedagogica
giovanile salesiana per una “nuova educazione” e di un’aggiornata riedizione del
sistema preventivo. Ma probabilmente non dovette avere una grande risonanza,
lontana com’era dalle abitudini e dalla cultura complessiva della Congregazione
e dalla carenza di personale preparato soprattutto in periferia.235
Sembra che il diciannovesimo capitolo di Prevenire non Reprimere sia
il manifesto dell’attualizzazione del sistema preventivo. Braido passa dal
modello di ripensamento fatto da un’équipe di esperti oppure dall’esperto
storico e contemporaneamente sistematico per proporre un «rinnovamento
[…] affidato al persistente e ripetuto impegno teorico e pratico dei singoli
e delle comunità».236 In questo senso conclude che il sistema di don Bosco
fu “fondamentalmente dogmatico”, ma anche «“pedagogia” in certa misu-
ra “sperimentale”, praticata, verificata, perfezionata … in quel “laborato-
233 Braido, Le metamorfosi dell’Oratorio salesiano, 330.
234 Qui rientrano anche le valutazioni su Viganò che fanno capire la distanza tra i
due: «Anche se [in Viganò] fu meno visibile la simpatia per la ricerca storica scientifica
egli basò il continuo e intenso riferimento al fondatore su una cospicua conoscenza
esperienziale […] per di più assistito da una penetrante intuizione della figura di don
Bosco». Cfr. Braido, Per una storia dell’educazione giovanile nell’oratorio dell’Italia
contemporanea. L’esperienza salesiana, LAS, Roma 2018, 311.
235 Braido, Le metamorfosi dell’Oratorio salesiano, 333.
236 Braido, Prevenire non reprimere, 5.

34.7 Page 337

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336 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
rio pedagogico” che fu l’Oratorio di Valdocco».237 Braido rimanda così il
compito dell’aggiornamento ad altri, ma traccia alcune linee, rivalutando i
contributi di pedagogisti classici come Komenský, Locke, Rousseau e ap-
prezzando i contributi di alcuni colleghi come Franta, Thévenot, Milanesi,
Castellazzi, Lutte, Grasso, Groppo e Pellerey.
Nella sua ricerca nell’area dell’educazione, Braido è stato sempre “her-
bartiano”, uno studioso rigoroso, perfino severo,238 con diffidenza verso di-
verse soluzioni facili e semplicistiche, quelle cioè dei semplici divulgatori
trionfalisti del sistema preventivo, includendo anche l’impostazione “cat-
tolica” del Casotti fino ad arrivare alle soluzioni “pastorali” postconciliari
a volte sbrigative e dipendenti dalle mode intellettuali del postconcilio. Si
tratta di un rigore che da un lato gli ha permesso di dare un innegabile
valore alle sue ricostruzioni storiche e alle analisi scientifiche, ma dall’al-
tro non gli ha permesso di formulare un “valido progetto preventivo nel
presente e per il futuro” o un “nuovo sistema preventivo”.239 Considerando
i due principi chiave della molteplicità e dell’unità all’interno delle scienze
dell’educazione che riassumono la riflessione della sua vita,240 scorgiamo il
paradosso di evocare nominalmente l’unità, ma di pensare nelle categorie
e nelle suddivisioni delle discipline. In questo modo, mancando un prin-
cipio integratore, si arriva alla riduzione della inter-disciplinarietà a una
multi-disciplinarità, all’interno della quale i diversi approcci si collocano
uno accanto all’altro senza interagire significativamente. Il solo concetto
di “educazione”, nel caso delle scienze dell’educazione, e di “prevenzione”,
all’interno dell’educazione salesiana, non bastano, essendo concetti sog-
getti a interpretazioni diversissime e ampie.
Concludendo e andando oltre la semplice divisione tra “primo” e “se-
condo” Braido, si potrebbe suggerire un approccio allo stesso tempo ar-
monico e rispettoso dell’evoluzione del pensiero dell’autore, tradotto in un
piano di lettura: cominciando dalla prima edizione di Sistema Preventivo
del 1955, che esprime meglio le sue sintesi e i passaggi tra le parti; proce-
dendo con il Don Bosco educatore: Scritti e testimonianze del 1992, che
237 Ibid., 404.
238 Cfr. R. Lafranchi, Pietro Braido e la sua teoria dell’educazione, in Nanni et al.
(eds.), Pietro Braido. Una vita per lo studio, i giovani e l’educazione, LAS, Roma 2018,
22-23.
239 Cfr. Braido, Prevenire non reprimere, 377.391.
240 Cfr. l’intervento di Braido in occasione del volume pubblicato in suo onore il 3
maggio 1991, poi pubblicato come P. Braido, Pedagogia perseverante tra sfide e scom-
messe, in «Orientamenti Pedagogici» 38 (1991) 899-914.

34.8 Page 338

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 337
riporta la documentazione sull’esperienza educativa di don Bosco in ordi-
ne cronologico; terminando con il Prevenire non reprimere del 1999, che
focalizza i nuclei tematici del sistema preventivo inserendoli nella storia
dell’educazione dell’Ottocento.
5.3.2. Collaborazione tra il Dicastero PG e l’UPS attorno alla progetta-
zione
La collaborazione tra il Dicastero per la pastorale giovanile e la Fa-
coltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana co-
minciò con una serie di incontri e di pubblicazioni, a partire dal gen-
naio 1979, nei quali emerse l’interesse comune per l’approfondimento
di alcuni punti del sistema preventivo in relazione con il PEPS, che si
cercò di definire meglio dopo il CG21.241 Riguardo a questo sforzo di
collaborazione e in merito al tema della progettazione ci soffermiamo
soprattutto sul Seminario Progettare l’educazione oggi con Don Bosco
del 1980,242 sulla pubblicazione Progetto Educativo Salesiano. Elementi
modulari del 1984243 e sul convegno Prassi educativa pastorale e scienze
dell’educazione del 1987.244
5.3.2.1. Il seminario Progettare l’educazione oggi con Don Bosco (1980)
Il primo seminario comune, svoltosi a Roma con una partecipazione di
studiosi e di agenti di pastorale dell’Europa, dovette affrontare tre difficol-
tà della progettazione, riassunte con chiarezza da Vecchi nella presenta-
zione degli atti. La prima difficoltà consisteva nell’ambiguità del concetto
e della pratica del “progetto”: «Si tratta a volte di piccoli trattati, di dichia-
razione di princìpi, di conferenze su un aspetto pedagogico con indica-
241 Cfr. J.E. Vecchi, Presentazione, in R. Giannatelli (ed.), Progettare l’educazione
oggi con Don Bosco, Seminario promosso dal Dicastero per la Pastorale Giovanile della
Direzione Generale “Opere Don Bosco” in collaborazione con la Facoltà di Scienze
dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana Roma 1-7 giugno 1980, LAS, Roma
1981, 9.
242 Cfr. Ibid.
243 Cfr. Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto Educativo Pastorale.
244 Cfr. J.E. Vecchi - J.M. Prellezo (eds.), Prassi educativa pastorale e scienze dell’e-
ducazione, SDB, Roma 1988.

34.9 Page 339

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338 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
zioni pratiche, di esortazioni a prendere certe linee».245 Il secondo aspetto
problematico consisteva in «una inadeguatezza di preparazione culturale.
[...] Si ha difficoltà nell’approccio al nucleo essenziale del sistema preven-
tivo, con una comprensione degli elementi storici in cui si è offerto».246
L’approccio sviluppato nel seminario per la soluzione di questo proble-
ma andò nella direzione dell’approfondimento sistematico e scientifico del
sistema preventivo come garanzia di creatività pastorale e di fedeltà. Il
seminario si mosse proprio in questa linea del ripensamento, offrendo nuo-
vi approfondimenti sulle seguenti tematiche: amorevolezza nel rapporto
educativo; impostazione della CEP; educazione alla libertà, alla sessualità,
all’impegno socio-politico; evangelizzazione; liturgia; senso della Chiesa
e orientamento vocazionale. La terza difficoltà incontrata, che fu trattata
solo marginalmente, era la preferenza per interventi educativi individuali
e non una convergenza comunitaria.247 Infatti, come abbiamo osservato
precedentemente, il tema della relazione tra comunità e progetto emergerà
più fortemente solo negli anni ’90.
Gli approfondimenti, pur avendo di mira la praticità, furono di tipo ge-
nerale, proponendo modelli teorici d’interpretazione, documenti da tene-
re in conto, dimensioni da seguire, livelli da approfondire e strutture da
attuare. Sembra che la scelta esplicita del Seminario, di essere cioè un
aiuto ai confratelli in ricerca di indicazioni operative,248 non riuscì a pla-
smare gli interventi nel loro insieme. Gli atti, con più di 300 pagine, sono
stati divisi per settori, ma senza un loro ripensamento organico e senza
indicazioni metodologiche concrete. Anche se è stato uno «sforzo parziale
e incompleto»,249 il seminario si è posto in un processo di ripensamento
del sistema preventivo. Tra i contenuti interessanti e innovativi, vogliamo
soffermarci sui contributi di Herbert Franta sull’amorevolezza e di Ric-
cardo Tonelli sulla comunità educativo-pastorale. I due autori hanno con-
cretizzato due metodi diversi rispetto all’attualizzazione della pedagogia
salesiana: il primo collega tra loro specifici modelli scientifici, selezionati
con cura, attualizzando così la tradizione salesiana; il secondo è invece di
tipo teorico-esortativo e fa riferimento alle tematiche attuali o di successo
dell’epoca in una logica di confronto tra i tempi di don Bosco e l’oggi.
Franta nel suo contributo ripensa la concezione dell’amorevolezza sa-
245 J.E. Vecchi, Presentazione, in Giannatelli (ed.), Progettare l’educazione oggi, 14.
246 Ibid.
247 Cfr. Ibid., 14-15.
248 Cfr. Ibid., 15.
249 Ibid., 16.

34.10 Page 340

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 339
lesiana, allargando gli orizzonti verso le condizioni relazionali, formative,
organizzative e ricreazionali che favoriscono gli atteggiamenti tipici dell’a-
morevolezza come un modo relazionale dell’educatore. Egli, in quanto psi-
cologo umanista, propone l’amorevolezza come
il complesso dei sentimenti (gioia, allegria, felicità, ecc.) e degli stati emozio-
nali piacevoli (attuali esperienze significative) dei membri (educatori e giovani
della comunità educativa); sentimenti e stati emozionali che nascono dalla pro-
pria esperienza di vita, in una comunità di tipo familiare inserita nel suo contesto
ambientale, in cui ognuno sperimenta di poter essere se stesso e di formare la
sua personalità in un autentico contatto con gli altri, considerati come persone di
valore, in un rapporto di rispetto e di autentica amicizia.250
Riprendendo gli studi pedagogici e comunicativi sul clima scolastico,
l’autore sviluppa l’amorevolezza come un sistema interdipendente di re-
lazioni a tre livelli: tra gli educatori, tra gli educandi e nell’interazione
tra educatori ed educandi.251 Nel sistema viene poi considerata la carità
pastorale all’interno della dimensione emozionale; la responsabilità come
concretizzazione della dimensione del controllo; e l’assistenza intesa come
”presenza relazionalmente attiva“. Il contributo di Franta connette la sale-
sianità, nelle interpretazioni di Viganò, Stella e Braido, con la pedagogia
contemporanea senza discontinuità, offrendo un quadro di riferimento ar-
monico nuovo con diverse implicazioni pratiche e organizzative.
Un esempio di approccio diverso e generalmente più seguito dai parte-
cipanti del Seminario è la riflessione sulla comunità educativo-pastorale di
Riccardo Tonelli. Rimanendo al livello dei principi teorici, l’autore strut-
tura l’intervento nei seguenti passi: la situazione, la tradizione salesiana,
gli approfondimenti attualizzanti e gli orientamenti operativi. Anche nelle
indicazioni metodologiche ci si concentra più sui principi ispiratori che
sulla loro traduzione processuale e metodologica. L’Autore si esprime così:
Ogni comunità si crea le sue strutture di confronto e di dialogo. Affermata
l’esigenza, possiamo perciò fare solo degli esempi, ricorrendo a tradizioni edu-
cative abbastanza diffuse: consigli a livelli diversi, assemblee, metodologie per
la programmazione e la definizione degli obiettivi e per la verifica, organi di
250 H. Franta, Relazioni interpersonali e amorevolezza nella comunità educativa
salesiana, in Giannatelli (ed.), Progettare l’educazione oggi, 21.
251 Cfr. ad es. W. Klafki, Studien zur Bildungstheorie und Didaktik, Beltz, Weinheim
1964; H. Fend, Schulklima. Soziale Einflussprozesse in der Schule, Beltz, Weinheim-
Basel 1977; K. Mollenhauer, Theorien zum Erziehungsprozessen, Juventa, München
1972. Inoltre vengono valorizzati Pestalozzi, Buber e Lewin.

35 Pages 341-350

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35.1 Page 341

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340 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
coordinamento e di decisione... Non è inutile ricordare che il corretto esercizio
di queste strutture partecipative richiede una competenza tecnica, da acquisi-
re mediante lo studio delle discipline specializzate (la dinamica di gruppo, per
esempio, e l’animazione socio-culturale). Questa fiducia e rispetto degli appara-
ti tecnici rappresenta una precisa esigenza salesiana, come logica conseguenza
della consapevolezza che esiste uno stretto rapporto tra educazione (e relative
scienze dell’educazione) e evangelizzazione.252
Le questioni metodologiche sono, quindi, considerate tecniche ed è ri-
chiesta la fiducia in questo apparato tecnico in nome di un assioma episte-
mologico. Purtroppo nell’articolo non sono state approfondite le differen-
ze tra i vari modelli di partecipazione che possono essere notevoli, come
dimostra la varietà di teorie delle scienze organizzative e gestionali. La
genericità esortativa poteva produrre sia un uso indiscriminato di varie
metodologie, a loro volta anche contraddittorie, che la connessa rottura tra
i principi ispiratori dell’educazione-pastorale salesiana e la metodologia
molto tecnica della progettazione degli anni ’70.
Anche negli altri interventi del Seminario si trovano parti dedicate a
rispondere alle esigenze operative,253 ma è interessante notare che si tratta
soprattutto di consigli puntuali che contrastano con la vecchia “mentalità
collegiale” o citano le indicazioni operative del magistero ecclesiale e sa-
lesiano.254 L’operatività si concretizza, nello stile dei CG e dei Sussidi della
pastorale giovanile, nella produzione di elenchi di elementi da realizzare,
senza l’ulteriore approfondimento delle loro interdipendenze. Concluden-
do, si può notare che il Seminario preferì l’approccio teorico e che relegò
ulteriormente il significato della parola “progetto” nell’ambito degli studio-
si esperti che riportavano i nuovi trend del loro settore di approfondimento
senza ricreare un sistema preventivo come «insieme organico di convin-
zioni, di atteggiamenti e di interventi metodologici».255
252 R. Tonelli, Impostazione della comunità educativa in un contesto pluralista, in
Giannatelli (ed.), Progettare l’educazione oggi, 83.
253 Cfr. Tonelli, Impostazione della comunità educativa, in Giannatelli (ed.), Pro-
gettare l’educazione oggi, 72-86; C. Nanni, Educazione alla libertà responsabile, in
Ibid., 110-118; J. Aldazabal, Liturgia, preghiera personale, devozione mariana, in Ibid.,
226-229, 234-238, 243-246 e P. Gianola, Orientamento vocazionale, in Ibid., 318-324.
254 Nelle parti applicative si citano soprattutto le Costituzioni rinnovate, il CG21
(1978), il CGS (1972), le lettere di Viganò e i documenti del Concilio Vaticano II.
255 Vecchi, Presentazione, in Giannatelli (ed.), Progettare l’educazione oggi, 14.

35.2 Page 342

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 341
5.3.2.2. La pubblicazione Progetto Educativo Salesiano. Elementi modula-
ri (1984)
La linea dell’attualizzazione della pedagogia salesiana per aree o di-
mensioni si rafforzò nell’altra pietra miliare della collaborazione tra il dica-
stero e la FSE dell’UPS, con il volume Progetto Educativo Pastorale. Ele-
menti modulari del 1984. Il volume, di quasi cinquecento pagine, tentò di
rispondere alle difficoltà del progettare, come faceva notare Vecchi: «Una
volta capita la dinamica e apprese le tecniche ci si accorge che le difficoltà
vere sono più alla radice. Hanno origine nella comprensione fondamentale
di alcuni punti-chiave che riguardano l’educazione e la pastorale».256 Fu-
rono scelti, quindi, trentaquattro temi che vennero organizzati in forma di
modulo suddiviso ciascuno in quattro parti: la definizione di ogni singola
voce, con riferimenti concettuali o storici; la sottolineatura dell’importan-
za dell’elemento; il contenuto essenziale; la bibliografia. Non si voleva dare
delle ricette da applicare, ma allargare la sensibilità e formare la mentalità
offrendo «un quadro di riferimento sicuro e sostanzialmente completo»257
sulle tematiche nodali del PEPS.
L’attenzione degli autori puntò alla descrizione degli sviluppi delle
scienze dell’educazione e della pastorale nella sua ampiezza generale, sen-
za fondare le trattazioni sulle esperienze o tradizioni salesiane, a eccezione
dei moduli specifici scritti da Vecchi. Ne è segno l’impostazione generale
dei moduli che inizia quasi sempre dai recenti sviluppi di una disciplina
scientifica. Quest’approccio, essendo un’arma a doppio taglio, da un lato
favoriva l’uso del volume anche fuori degli ambienti salesiani, dall’altro
perdeva la specificità dell’educazione e dell’approccio salesiano o la ren-
deva implicita. I temi dell’identità salesiana del progetto educativo pasto-
rale, dello sviluppo storico del sistema preventivo e del confronto con le
esperienze attuali dell’educazione-pastorale salesiana sono presenti quasi
esclusivamente nel modulo sul sistema preventivo, preparato da Vecchi.258
Questo modulo è un’ottima sintesi dell’attualizzazione del sistema preven-
tivo, ma è un’unità a sé stante che non permea, come un paradigma di
fondo, il resto della pubblicazione.259
256 J.E. Vecchi, Presentazione, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo pa-
storale, 5.
257 Cfr. Ibid., 8.
258 Cfr. J.E. Vecchi, Sistema Preventivo, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educa-
tivo pastorale, 72-89.
259 Si noti «la difficoltà di raggiungere l’unità di prospettive» segnalata in Vecchi,

35.3 Page 343

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342 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
Il volume costituisce un ottimo mini-dizionario di scienze dell’educa-
zione e della pastorale per gli studiosi della progettazione. Le tematiche
seguono i riferimenti fondamentali di un progetto: aspetti generali, obietti-
vi, metodologie, soggetti e ambienti, e ricoprono tutta l’area della progetta-
zione, offrendo una panoramica vasta di temi e di punti di vista pastorali,
teologici, filosofici, psicologici, sociologici e didattici. Gli elementi della
metodologia, trattati nei moduli sul progetto educativo-pastorale, sugli
obiettivi, sull’itinerario educativo e sulla valutazione,260 si collegano però
maggiormente all’area dell’educazione scolastica, lasciando a parte le spe-
cificità del campo oratoriano, parrocchiale, vocazionale o missionario. Il
fatto è confermato anche da Vecchi quando afferma che
i termini progetto e progettazione non entrano nel linguaggio pedagogico se
non in tempi relativamente recenti. […] Ciò sembra dovuto più che a ragioni par-
ticolari, a uno sviluppo globale nell’area delle scienze dell’educazione, in cui è
emerso con più chiarezza il collegamento organico delle esigenze del complesso
processo di crescita della personalità in fase evolutiva. La spinta decisiva è stata
data dalla didattica che ha introdotto il concetto di curricolo.261
Per aspetti che concernono direttamente la metodologia della progetta-
zione, si può notare che Vecchi, nel modulo sulla progettazione, conferma
quanto proposto nei sussidi del Dicastero per la pastorale giovanile. Men-
ziona i quattro aspetti contenutistici del progetto incontrati già nei sussidi:
orientamenti ideali (quadro di riferimento), analisi della situazione, scelte
operative e, infine, la verifica. La parte degli orientamenti ideali viene raf-
forzata, in armonia con l’accento posto sullo studio delle idee chiave ne-
gli approfondimenti della stessa pubblicazione, rendendola così un livello
della progettazione a sé stante.262 Un’altra caratteristica della proposta di
Vecchi è l’enfasi sull’armonizzazione dei vari elementi del progetto, che
rifletteva la situazione frammentata della condizione giovanile e della so-
cietà. Il progetto dovrebbe proporre: un quadro di valori unitario e coeren-
te, una visione organica, linee operative che fanno convergere i ruoli, gli
interventi e le prestazioni.263 Nonostante l’insistenza sull’organicità, Vec-
Presentazione, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo pastorale, 7-8.
260 Cfr. M. Pellerey, Itinerario, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo pa-
storale, 188-196; Id., Obiettivi, in Ibid., 93-100; S. Sarti, Valutazione, in Ibid., 310-321 e
Vecchi, Progetto educativo pastorale, in Ibid., 15-25.
261 J.E. Vecchi, Progetto educativo pastorale, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto
educativo pastorale, 15.
262 Cfr. Ibid., 22-23.
263 Cfr. Ibid., 16-19.

35.4 Page 344

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 343
chi fatica ad uscire dal paradigma scientifico-tecnico della progettazione
intesa linearmente, non sistemicamente.264
Se analizziamo il volume nella prospettiva del rapporto tra educazione
ed evangelizzazione si nota una chiara preferenza per i temi educativi.
Il modulo fondativo di Giuseppe Groppo intitolato “Evangelizzazione e
educazione” è strutturato attorno al paradigma di una evangelizzazione
che necessita l’educazione e la promozione umana, tralasciando l’implica-
zione inversa. Lo svolgimento della tematica è esplicitamente sotto l’in-
flusso della svolta antropologica, riferendosi a Gustavo Gutiérrez e Johann
Baptist Metz per l’aspetto teorico.265 Gli aspetti operativi sono invece in-
fluenzati dalla fortuna delle comunità ecclesiali di base. In armonia con
l’argomentazione dei moduli di Nanni e Alberich, si propone soprattutto
un’educazione liberatrice e umanizzante, facendo leva sui limiti del mo-
dello preconciliare, sul fenomeno della secolarizzazione e sulla cresciuta
sensibilità verso il dialogo, la collaborazione e l’associazionismo sponta-
neo. L’evangelizzazione viene descritta con toni poco concreti, riservando
ad essa un ruolo ispiratore e di senso dell’agire educativo. Emilio Alberich
interpreta in questo senso l’evangelizzazione come il generico «annuncio
e testimonianza resi al Vangelo da parte della Chiesa, attraverso tutto ciò
che essa dice, fa ed è».266 Riservando le metodologie all’ambito educativo,
si delinea «un’educazione alla fede solo indiretta. Le scelte di fede dei
cristiani, come singoli e come comunità, diverranno sempre più libere e
responsabili, sempre più mature, quanto più umanamente maturi saranno i
cristiani che le pongono e le comunità in cui essi vivono la loro esperienza
di fede».267 Si percepisce una chiara preoccupazione di uscire dalla “for-
tezza della fede preconciliare” di tipo ricaldoniano aprendosi alle realtà
264 Cfr. Vecchi, Presentazione, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo pa-
storale, 5-6. Per la “tecnicità” della progettazione, comprensibile nel periodo degli anni
’70 e dei primi anni ’80, cfr. gli esempi che riporta Vecchi per chiarire i concetti della
progettazione: passaggio da carrozza a macchina, differenza tra un trattato d’ingegneria
e il disegno di un edificio, progetto come una carta geografica con la bussola in Vecchi,
Per riattualizzare il Sistema Preventivo, in ILE, Convegno sul Sistema Preventivo, 2-3
e Vecchi, Progetto educativo pastorale, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo
pastorale, 16 e 19.
265 Cfr. G. Groppo, Evangelizzazione e educazione, in Vecchi - Prellezo (eds.), Pro-
getto educativo pastorale, 38-39.
266 E. Alberich, Catechesi, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo pastorale,
62.
267 Groppo, Evangelizzazione e educazione, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto edu-
cativo pastorale, 41.

35.5 Page 345

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344 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
“umane”. Paradigmatica in questo senso è la conclusione del modulo di
Nanni:
È d’altra parte evidente che l’educazione si specifica come opera “laicale”.
[…] L’educazione è infatti significativa per sé stessa in quanto opera radicalmen-
te umana, rivolta alla promozione di quella realtà che ha dignità di fine: l’uomo.
Per questo motivo i singoli e le comunità cristiane possono trovare nell’attività
educativa un terreno d’incontro con “tutti gli uomini di buona volontà”, credenti
e non credenti, in vista della ricerca di una diversa qualità della vita, in vista della
promozione umana individuale e collettiva, in vista della costruzione di società
a misura d’uomo.
Oltre ad alcuni squilibri nella menzionata parte degli “aspetti generali”,
ci sono diversi moduli che portano delle innovazioni o stimoli importanti
per la pedagogia salesiana. I due contributi di Vecchi sul progetto educa-
tivo pastorale e sul sistema preventivo funzionano come introduzione e
conclusione della parte sistematica degli aspetti generali. Inoltre, il terzo
modulo di Juan Vecchi sull’orientamento e sulla pastorale vocazionale è
molto interessante per le distinzioni metodologiche tra un orientamento
di tipo psicologico e una pastorale vocazionale ampia. I due contributi di
Herbert Franta sull’assistenza intesa come presenza attiva dell’educatore e
sul rapporto educativo completano la sua proposta di ripensamento delle
categorie tipiche dell’amorevolezza, dell’assistenza e dell’ambiente educa-
tivo familiare. Nei moduli di Aldo Ellena, Mario Pollo e Riccardo Tonelli
emergono poi le sfaccettature della teoria dell’animazione, alla quale dedi-
cheremo spazio più avanti. Le parti circa gli obiettivi e gli itinerari, curate
da Michele Pellerey, fanno invece intravedere le sintesi e il background
della progettazione degli anni ’80. Interessanti sono le considerazioni circa
le teorie della leadership proposte da Pio Scilligo nel modulo sul gruppo,
che dimostrano la padronanza dell’argomento e l’aggiornamento nell’am-
bito progettuale.
Nonostante il testo sottolinei che il primo intento della progettazione
è la visione unitaria e organica dell’educazione, riconfermando le indica-
zioni del CG21, don Vecchi constata la difficoltà nel raggiungere l’unità di
prospettive e la continuità dello stile.268 Si nota la necessità dell’interdisci-
plinarità e di strumenti e interventi di convergenza, ma il meta-messaggio
del volume è determinato piuttosto dalla divisione in moduli con la fram-
mentazione di temi, termini, strumenti, aree linguistiche e aree di ricerca
268 Cfr. Vecchi, Presentazione, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo pa-
storale, 8.

35.6 Page 346

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 345
delle varie scienze. Gli strumenti e gli interventi di convergenza non sono
chiaramente leggibili e anche il modulo della “promozione integrale”, che
potrebbe essere unitario per eccellenza, è composto da tantissime distin-
zioni e sottosezioni.269 Sicuramente la frammentazione non è voluta, ma è
l’effetto di una scienza che tende alla specializzazione ed è perciò necessa-
riamente frammentata.
Con lo sguardo allo scopo del presente saggio, si può affermare, sinte-
tizzando, che la pubblicazione enciclopedica del 1984 è una fonte ricchissi-
ma per lo studio del background teorico dell’educazione salesiana e per le
prospettive in ambito metodologico. La prospettiva propriamente pastora-
le, che potrebbe sviluppare una metodologia propria, enucleando le logiche
dell’evangelizzazione soprattutto all’interno della dimensione spirituale e
vocazionale, occupa poca attenzione e si limita ad alcuni approfondimenti
circoscritti.
5.3.2.3. Il convegno Prassi educativa pastorale e scienze dell’educazione
(1987)
La tendenza alla frammentazione degli approcci e il divario tra le scien-
ze e la prassi educativo-pastorale vennero affrontati durante il centena-
rio della morte di don Bosco nel seminario “Prassi educativa pastorale e
scienze dell’educazione”.270 Il seminario fece incontrare salesiani e sale-
siane provenienti da una trentina di contesti diversi e, a differenza delle
precedenti iniziative, voleva favorire la «convergenza dialettica tra teoria e
prassi»,271 tra la sensibilità degli studiosi e quella degli operatori nell’area
educativa. Le relazioni sono strutturate in quattro parti: prospettiva stori-
ca, situazione attuale, nuove domande, orientamenti e proposte.
Nella prima parte, dopo aver trattato la figura di don Bosco educatore
269 Il modulo è composto di tre compiti delle comunità cristiane, tre diversi processi
di umanizzazione, quattro aspetti della salvezza cristiana, cinque caratteristiche dell’e-
ducazione specificamente cristiana, due tipi di disposizioni della maturità umana (la
prima integra cinque aspirazioni umane, la seconda tre tratti positivi), quattro dimen-
sioni dell’integrazione personale, due descrizioni della maturità cristiana, delle quali la
seconda si divide in quattro caratteristiche etc. Cfr. Groppo, Promozione integrale, in
Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo pastorale, 113-131.
270 Cfr. J.E. Vecchi - J.M. Prellezo (eds.), Prassi educativa pastorale e scienze dell’e-
ducazione, SDB, Roma 1988.
271 J.E. Vecchi - J.M. Prellezo, Introduzione, in Vecchi - Prellezo, Prassi educa-
tiva, 6.

35.7 Page 347

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346 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
nella memoria storica e lo studio della pedagogia nella Congregazione, è
presentato l’uso delle scienze dell’educazione in tre significative esperien-
ze pedagogiche salesiane recenti: gli sciuscià di Roma nel Borgo don Bo-
sco, la casa di rieducazione di Arese e l’esperienza di Bosconia-la Florida
in Colombia. Giancarlo Milanesi osserva l’uso sostanzialmente eclettico e
funzionale delle scienze dell’educazione, pur nell’originalità dell’approccio
salesiano che, secondo i casi, si giustappone allo psicologismo e seleziona
solo alcune tecniche o metodi, rimanendo critico rispetto ai presupposti
antropologici delle singole scienze. Per quanto riguarda la progettazione
educativo-pastorale si osserva, nelle prime due esperienze, il minore in-
flusso delle scienze dell’educazione nella formulazione del progetto e nello
stesso tempo l’uso della scienza piuttosto ex post, per giustificare le scelte
educative consolidate.272 La progettazione nell’opera di Bosconia-la Flo-
rida, che è valutata come la più esplicitamente collegata con un quadro
articolato delle scienze dell’educazione, viene descritta come attenta alle
persone impegnate nel programma, al quadro concettuale, agli obiettivi,
alle strategie e alla valutazione. Si nota comunque l’eclettismo, ma a diffe-
renza delle altre opere è presentato come voluto e giustificato.273
Il tema della progettazione educativo-pastorale viene trattato direttamen-
te solo nella relazione di Vecchi, che la vede come uno strumento educativo
in un’epoca di complessità. Nelle ispettorie che utilizzano la progettazione
si possono osservare i primi frutti: maggiore convergenza tra evangelizza-
zione e educazione, attenzione all’impostazione degli ambienti, attenzione ai
bisogni dei destinatari e innovazione contenutistica e metodologica. Vecchi,
partendo dai dati delle verifiche delle Visite d’insieme274 e dalla Relazione
sullo stato della Congregazione, valuta il cammino fatto dalle ispettorie nel
decennio passato ancora in una fase iniziale, non esente da difficoltà, e rileva
che la progettazione è quasi assente nelle comunità locali.275
272 Cfr. G. Milanesi, L’utilizzo delle scienze dell’educazione nell’impegno dei sa-
lesiani per i giovani “poveri, abbandonati, pericolanti”, in Vecchi - Prellezo, Prassi
educativa, 89-90 e 97-99.
273 Cfr. Milanesi, L’utilizzo delle scienze dell’educazione, in Vecchi - Prellezo, Pras-
si educativa, 108-115.
274 Le Visite d’Insieme sono uno strumento di animazione del Rettor Maggiore e
del Consiglio Generale. Attraverso di esse i vertici della Congregazione verificano il
cammino in corso nelle diverse realtà salesiane regionali ed assicurano, nel rispetto delle
specifiche diversità, convergenza ed unità.
275 Cfr. J.E. Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia nella prassi salesiana, in Vec-
chi - Prellezo, Prassi educativa, 140-142. Cfr. anche E. Viganò, La Società di S. Fran-
cesco di Sales nel sessennio 1978-83, SDB, Roma 1983, n. 170.

35.8 Page 348

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 347
Gli altri interventi affrontano la diversità delle prospettive teologiche ed
educative e la loro poca sistemazione epistemologica; il bisogno di sintesi
operative che comporterebbero scelte meditate e chiare; l’esigenza di una
nuova pastorale nelle situazioni influenzate dal secolarismo, dai cambia-
menti culturali in atto, dall’emarginazione, dalla crisi dell’associazionismo
salesiano e dalla diffusione dei mass media. A livello di proposte si evoca
genericamente una nuova pastorale, caratterizzata da una formazione pe-
dagogica più profonda ecc. Nelle discussioni si trovano anche suggerimen-
ti concreti per l’utilizzo delle scienze dell’educazione nella prassi salesiana.
Tra gli strumenti viene indicato il PEPS da valorizzare e approfondire,
la creazione di centri di studio o l’uso degli apporti dei centri di consu-
lenza esistenti, l’istituzione di équipe per l’animazione educativa a livello
ispettoriale, la fondazione di riviste, la pratica dello “scrutinium educa-
tionis”, l’applicazione dell’analisi istituzionale e della valutazione educati-
va.276 Alla fine degli anni ’80 c’era un sentito bisogno di proseguire sulla
linea della collaborazione tra la FSE e i vari dicasteri della Congregazione
per promuovere sia la coscienza del bisogno della competenza pedagogica
che lo studio e l’acquisizione delle competenze educative, soprattutto nella
fase della formazione permanente. Le proposte erano, però, più nella linea
dei desideri e del brainstorming che nella linea di un piano sistematico di
animazione e di governo per stabilire le priorità, prevedere le modalità,
distribuire le risorse e pianificare i tempi.
Nei vari interventi del convegno emerge il divario tra una critica al-
l’“eclettismo pragmatico” dei salesiani nell’uso della scienza e la vaghezza
generica delle proposte formative per i salesiani in quanto educatori-pastori.
Probabilmente, la voluta esattezza dei metodi usati nelle scienze dell’educa-
zione, la poca continuità con l’educazione salesiana tradizionale e la difficile
integrazione delle diverse discipline collegata con il fatto di avere a disposi-
zione solo una piccola élite di pedagogisti preparati a livello di Congregazio-
ne rendevano irrealizzabili i passi più concreti nella linea delle conclusioni
del seminario. La progettazione educativo-pastorale, come espressione con-
creta dell’applicabilità delle scienze dell’educazione alla prassi educativo-pa-
storale, veniva menzionata dicendo di «valorizzare e approfondire il PEPS;
[...] sostenere la validità e centralità della valutazione educativa a tutti i livel-
li; applicare ai nostri contesti l’analisi istituzionale».277
276 Cfr. Sintesi dei lavori e conclusioni, in Vecchi - Prellezo, Prassi educativa, 324-
326.
277 Ibid., 326.

35.9 Page 349

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348 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
Il convegno, che conclude un decennio di collaborazione stretta tra la
FSE dell’UPS e il Dicastero per la PG, rileva l’esistenza di due “mondi”
esistenziali e mentali. L’uno composto maggiormente da studiosi-esperti,
critici nella valutazione della prassi educativo-pastorale, esprime con forza
e radicalità «il bisogno di qualificazione educativa dell’azione salesiana a
tutti i livelli, a cominciare dalle persone per estendersi poi agli orientamen-
ti generali, ai progetti specifici di ogni settore d’intervento, ai singoli atti
educativo-pastorali».278 Nel secondo “mondo”, più vasto, collegato mag-
giormente con la vita quotidiana delle opere salesiane, «in un momento di
espansione e accelerazione dei cambiamenti educativi come è quello pre-
sente, si vede carente la capacità di assumere il rinnovamento contenutisti-
co determinato dall’evoluzione della cultura e della riforma delle strutture
e di saper fare con competenza scelte opportune».279 Lo sviluppo futuro
degli anni ’90 sembra indicare un progressivo allontanamento di questi
due “mondi”, che implicherà anche un progressivo calo dell’intensità della
collaborazione tra l’UPS e i vari dicasteri.
5.3.3. Riflessioni pedagogiche delle FMA tra reciprocità, coeducazione ed
educazione della donna
I percorsi di “nuova evangelizzazione” proposti dalla Chiesa per riavvi-
cinare le giovani generazioni all’incontro vitale con il messaggio cristiano,
hanno interpellato la Famiglia salesiana a riconsiderare il rapporto educa-
zione-evangelizzazione elaborando prospettive specifiche “di novità”. Ol-
tre alle prospettive di don Viganò e di don Vecchi, che propongono linee di
sintesi più generali, sono interessanti e originali alcuni nuclei della rifles-
sione pedagogica delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Similmente alla dina-
mica di collaborazione tra l’UPS e il governo centrale degli SDB, gli anni
’80 e ’90 furono per l’Istituto FMA l’epoca della diffusione delle riflessioni
avviate nella Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium che
dal 1978 si era trasferita a Roma e viveva un’epoca di consolidamento.
Madre Marinella Castagno, superiora generale dal 1984 al 1996, sin-
tetizza l’impegno delle FMA evidenziandone in particolare i due nuclei
principali. Da un lato, sulla scia di Viganò e Vecchi, si riafferma l’armoniz-
278 Ibid., 327.
279 E. Viganò, La Società di S. Francesco di Sales nel sessennio 1978-83, in Vecchi -
Prellezo, Prassi educativa, 148.

35.10 Page 350

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 349
zazione tra educazione ed evangelizzazione affermando che «l’educazione
della giovane è la via dell’evangelizzazione o meglio è un unico cammino,
perché non ha significato un’opera educativa che non porti a Cristo e non
esiste evangelizzazione che non compenetri tutta la cultura».280 Dall’altro
lato madre Castagno esorta ad approfondire la missione educativa a favore
della gioventù tenendo presente la “specificità femminile” che sin dalle
origini caratterizza l’Istituto, ma che viene valorizzata come ancora più
importante nel particolare momento storico attorno al centenario dell’88.
Infatti le FMA portano avanti la riflessione del Vaticano II che, circa la
questione femminile, passò dall’avviamento pratico al ruolo materno all’e-
ducazione all’essere donna, cioè dall’istruzione in vista di una sola funzio-
ne alla formazione della persona nel suo complesso.281 La prospettiva con-
ciliare circa l’educazione della donna si era aperta dunque a nuove istanze
promozionali e sociali che le FMA accolsero, ponendole in dialogo con il
sistema preventivo. Se in precedenza la partecipazione alla vita politica e
sociale delle donne era vista quasi come una “concessione”, nel postconci-
lio essa fu intesa come un diritto del “soggetto donna” che, consapevole di
essere persona, richiede di essere considerata come tale. I percorsi forma-
tivi offerti alle giovani erano pertanto più rispettosi della loro autonomia,
per favorire in loro la libera scelta in ordine alla realizzazione della propria
identità in una prospettiva sociale.282
L’accentuazione della questione femminile e dei suoi risvolti educativi
nell’Istituto delle FMA e nei documenti da esso elaborati emerge in parti-
colare durante il Convegno “Verso l’educazione della donna oggi”, voluto e
indetto dalla superiora generale madre Marinella Castagno nel centenario
della morte di don Bosco. Il Convegno, organizzato dalla Facoltà di Scien-
ze dell’Educazione Auxilium, si propose di approfondire il carisma educa-
tivo delle FMA ripensandone le modalità di attuazione, al fine di offrire
nella diversità dei vari contesti socio-culturali una proposta di educazione
integrale delle giovani donne.283
280 M. Castagno, Lettera circolare (28 marzo 1987) n° 690, in E. Rosso (ed.), Parole
che giungono al cuore con il sapore di Mornese. Circolari di Madre Marinella Castagno
1984-1996, Istituto FMA, Roma 2008, 132.
281 Cfr. C. Dau Novelli, L’educazione femminile, in Galli (a cura di), L’educazione
cristiana negli insegnamenti degli ultimi pontefici. Da Pio XI a Giovanni Paolo II, Vita
e pensiero, Milano 1992, 221.
282 Cfr. gli accenti nuovi già a partire dagli Atti del Capitolo Generale XIV dell’Istitu-
to delle Figlie di Maria Ausiliatrice tenutosi a Torino - Casa Generalizia dal 26 agosto
al 17 settembre 1964, Torino, Istituto FMA 1965.
283 Cfr. Castagno, Lettera circolare (28 marzo 1987), 131-132 e A. Colombo (ed.),

36 Pages 351-360

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36.1 Page 351

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350 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
A partire dalla seconda metà degli anni ’80, in concomitanza con la
reinterpretazione dell’identità della donna e della sua vocazione da par-
te del magistero ecclesiale,284 si fa più presente una maggiore coscienza
della condizione femminile e le mutate condizioni sociali fanno percepire
quanto la coeducazione dei giovani e delle giovani sia la via preferita per
il miglioramento della famiglia e della società. I nuclei attorno ai quali le
FMA raccolgono le diverse istanze di attualizzazione del sistema preventi-
vo vertono sulla dimensione relazionale, comunitaria e sociale del metodo
di don Bosco. La dimensione relazionale del sistema preventivo di don Bo-
sco trova infatti la sua più eloquente espressione nell’amorevolezza. Questa
è scelta come il percorso metodologico più appropriato per elaborare una
pedagogia che promuova la vita e collabori nella Chiesa all’umanizzazione
della cultura.285
Nel convegno già menzionato del 1988 si colloca la riscoperta della
categoria della reciprocità quale criterio interpretativo dell’identità perso-
nale e della relazione tra le persone e le culture. Attraverso di essa si pro-
pone l’elaborazione e la condivisione della diversificata ricchezza dell’es-
sere uomo e dell’essere donna. I percorsi educativi proposti dalle FMA si
arricchiscono perciò di nuovi obiettivi quali la formazione alla realistica
coscienza di sé nell’assunzione della propria identità, le relazioni inter-
personali mature, l’equilibrata gestione dei conflitti, il potenziamento del
senso di collaborazione e solidarietà tra i sessi e nelle più ampie relazioni
sociali, il progettare l’esistenza nella linea dell’accettazione della diversità
culturale e della reciprocità.286
Determinante, per la linea di pensiero sulla reciprocità, fu Antonia Co-
lombo, prima preside dell’Auxilium e poi superiora generale dell’Istituto
delle FMA dal 1996 al 2008. La particolare sensibilità per le problema-
Verso l’educazione della donna oggi. Atti del Convegno Internazionale promosso dalla
Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, Frascati 1° - 15 agosto 1988,
LAS, Roma 1989.
284 Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Mulieris Dignitatem, in AAS 80 (1988)
1653-1729. Le tematiche della lettera furono sviluppate già in precedenza nelle catechesi
dedicate da Giovanni Paolo II al tema dell’amore umano e nell’esortazione apostolica
Familiaris Consortio. Cfr. Id., Uomo e donna li creò, LEV, Roma 1985.
285 Cfr. “A te le affido” di generazione in generazione. Atti del Capitolo Generale XX
delle Figlie di Maria Ausiliatrice (Roma 18 settembre-15 novembre 1996), Istituto FMA,
Roma 1997, 6-7.
286 Cfr. Documento-Sintesi, in Colombo, Verso l’educazione della donna oggi, 406-
407 e Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, Atti del Capitolo generale XIX, Roma 19
settembre - 17 novembre 1990, Istituto FMA, Roma 1991, 60-61.

36.2 Page 352

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 351
tiche femminili la portò a promuovere numerose iniziative, a specializ-
zare le sue pubblicazioni, a intessere relazioni di studio e di amicizia con
persone religiose e laiche interessate alla donna e specificamente con le
esponenti del Centro Italiano Femminile “Progetto Donna”, il movimento
femminista cattolico. Nel suo magistero appare infatti un deciso e conti-
nuo orientamento verso la necessità di elaborare a livello antropologico
e pedagogico un modello personalistico “uniduale”: un umanesimo della
reciprocità nell’orizzonte trinitario.287 La sua proposta afferma con con-
vinzione la reciprocità come il fondamento antropologico dell’educazione
salesiana vissuta al femminile.288 La superiora generale precisa il quadro
di riferimento antropologico e teologico delle scelte educative delle FMA
affermando:
La reciproca relazione di amore e di dono che le unisce è alla base di tut-
te le relazioni umane. L’essere immagine di Dio fonda l’essere relazionale della
persona, il suo esistere in rapporto all’altro io. Somigliamo a Dio nella misura
in cui instauriamo relazioni che promuovono vita all’insegna della reciprocità,
dello scambio dei doni. La reciprocità si alimenta della capacità di ampliare la
propria esperienza includendo quella dell’altro. Non si tratta di pura filantropia,
né di semplice altruismo, perché la reciprocità non è azione unilaterale che rende
sottomessi, dipendenti, ma disponibilità a ricevere, oltre che a dare, capacità di
mettere l’altra persona in condizioni di ricambiare, di corrispondere, di sentire
che ha qualcosa da comunicare, da offrire.289
La reciprocità rimanda implicitamente a un’antropologia proposta in
modi diversi da Martin Buber, Emmanuel Lévinas ed Emmanuel Mounier,
che ha come punto fermo l’idea che l’essere umano è “un rapporto” e non
semplicemente “in rapporto”. Nella riflessione pedagogica questo significa
la necessità di differenziare la relazione di reciprocità da quella di scam-
bio. Nelle relazioni di reciprocità c’è bidirezionalità come nella relazione
di scambio, ma la reciprocità si differenzia da quest’ultima perché chi dà
qualcosa per primo deve mettere chi riceve nelle condizioni di reciprocare.
La reciprocità nella riflessione delle FMA riguarda i rapporti interpersona-
287 Cfr. A. Colombo, Educazione all’amore come coeducazione, in Educare all’amo-
re. Atti della XVI Settimana di spiritualità per la Famiglia Salesiana, SDB, Roma 1993,
125-126.
288 Cfr. A. Colombo, La profecía a la que está llamada la educación salesiana hoy, in
C. Arango - T. Fernández - E. Garay (eds.), Escuela salesiana: memoria y profecía. 100
años de presencia en Colombia de las Hijas de María Auxiliadora (Santa Fe de Bogotá
17-20 septiembre 1997), Editorial Carrera, Santa Fe de Bogotá 1998, 222-226.
289 Colombo, Lettera Circolare del 24 settembre 2000, n° 823.

36.3 Page 353

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352 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
li, dei quali l’icona migliore è la relazione che intercorre tra uomo e donna.
Questo implica che per costruire un’autentica cultura della reciprocità è
essenziale partire da un approfondimento delle specificità fondamentali
dell’uomo e della donna.290 Al di là delle accentuazioni sulle specificità
e le condizioni della reciprocità si sono elaborate anche le riflessioni che
sottolineano la logica di gratuità e di gratitudine.291
In contesti dove persiste ancora la discriminazione della donna è impor-
tante anzitutto riscattare i valori femminili tradizionalmente considerati
ormai “deboli” e promuovere una cultura che riconosca alla donna, nel di-
ritto e nella realtà dei fatti, la dignità che le compete. Suor Piera Ruffinatto,
all’interno del suo volume sull’evoluzione della relazione educativa nella
storia delle FMA, riassume il percorso fatto fino al 1990 puntualizzando la
metodologia della coeducazione:
Considerando il processo di rielaborazione del “sé” femminile è intimamente
legato a quello maschile, a livello pedagogico si considera la relazione nell’ottica
della coeducazione. L’elemento discriminante della differenza uomo-donna si
deve perciò tradurre in percorsi educativi che abilitino a passare dalla sempli-
ce compresenza di ragazzi e ragazze ad una relazione interpersonale tra i sessi,
orientata dal dialogo e dal confronto che favorisca la maturazione integrale della
persona e la apra al dono di sé nell’amore. La coeducazione diventa perciò sia
la meta del processo educativo sia il contenuto della relazione stessa, in quanto
tende a formare all’amore come stile di vita.292
La traduzione metodologica del principio di reciprocità in metodo della
coeducazione ha avuto vari sviluppi. Andando oltre all’ambito specifico
della coeducazione di ragazzi e ragazze, suor Maria Marchi afferma che
a livello pedagogico l’educazione è per sua natura coeducazione, in quan-
to non si dà educazione se non c’è rapporto interpersonale tra i soggetti,
allargando così il campo semantico della coeducazione verso le categorie
di una relazionalità costitutiva dell’essere umano. Per la Marchi la leg-
ge di reciprocità è permanentemente interattiva, per cui la consistenza
dell’identità di una persona dipende dall’intensità e dalla qualità delle sue
relazioni; e allo stesso tempo la qualità della relazione dipende dalla con-
290 Cfr. la sezione “Sistema Preventivo e reciprocità” in M. Borsi - P. Ruffinatto
(eds.), Sistema Preventivo e situazione di disagio. L’animazione di un processo per la
vita e la speranza delle nuove generazioni, LAS, Roma 2008, 165-167.
291 Cfr. A. Meneghetti - M. Spólnik (eds.), Gratitudine ed educazione. Un approccio
interdisciplinare, LAS, Roma 2012.
292 P. Ruffinatto, La relazione educativa. Orientamenti ed esperienze nell’Istituto
delle Figlie di Maria Ausiliatrice, LAS, Roma 2003, 483-484.

36.4 Page 354

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 353
sistenza e dalla qualità dell’identità personale: «Dunque l’educazione è
sempre coeducazione perché ad educarsi si è in due, due, infatti, sono
i protagonisti richiesti perché il processo educativo possa svolgersi».293
Nelle affermazioni riportate si nota una tendenza generale del ripensa-
mento postconciliare, già menzionata, che tendeva a ripensare i principi
di fondo creando binomi criteriologici, come educazione-evangelizza-
zione, educazione-animazione, educazione-coeducazione, ecc. Di solito
i binomi di questo tipo si traducevano difficilmente in percorsi educativi
concretamente integrati.
Più concreta appare invece la conclusione di suor Piera Ruffinatto che
lega la nuova autocoscienza femminile, attuata in un contesto di coeduca-
zione e quindi orientata alla promozione di relazioni di reciprocità, all’edu-
cazione ai valori della solidarietà, della partecipazione e della cittadinanza
attiva.294 Successivamente poi la rilettura dell’educazione salesiana a parti-
re dall’ottica della reciprocità porterà a focalizzare il tema della familiari-
tà.295 Il sistema preventivo è essenzialmente reciprocità nelle relazioni che
scaturiscono dallo spirito di famiglia, dal potenziale educativo dell’ama-
bilità salesiana e si esprimono nella semplicità del tratto interpersonale e
comunitario. Inoltre, la presenza negli ambienti educativi di educatori ed
educatrici favorisce la testimonianza di una relazione uomo-donna positi-
va e rispettosa al di là degli stereotipi culturali. La reciprocità nella mis-
sione educativa incoraggia quindi l’espressione della ricchezza personale
nella partecipazione e nella corresponsabilità.296
Sembrerebbe che il paradigma della reciprocità abbia avuto sorti simili
a quello della “educazione integrale”: tutti e due sono concetti di sintesi,
ma con un campo semantico troppo grande, per essere utilizzati in qua-
lunque contesto come soluzione a qualsiasi problematica, con implicazioni
pratiche molto incerte e diverse a seconda delle varie situazioni. Come
si era inizialmente affermata l’integralità delle dimensioni nel progetto
educativo-pastorale, ma si erano poi approfonditi quasi esclusivamente i
293 M. Marchi, Verso l’educazione della donna. Alcune indicazioni metodologiche, in
Colombo (ed.), Verso l’educazione della donna oggi, 355.
294 Cfr. P. Ruffinatto, Educare “buoni cristiani e onesti cittadini” nello stile del
Sistema preventivo. Il contributo delle Figlie di Maria Ausiliatrice, in G. Loparco - M.T.
Spiga (eds.), Le Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia (1872-2010). Donne nell’educazione.
Documentazione e saggi, LAS, Roma 2011, 64.
295 Cfr. Comisión Escuela Salesiana América, II Encuentro continental de Educa-
ción Salesiana. Hacia una cultura de solidaridad, Editorial Don Bosco, Cuenca (Ecua-
dor) 2001, 153.
296 Cfr. Ibid., 152.

36.5 Page 355

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354 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
contenuti delle singole dimensioni, analogamente si dichiarava il principio
antropologico della reciprocità con la metodologia della coeducazione, ma
poi veniva di fatto approfondita solamente l’educazione della donna.
Le difficoltà generali di “passare dalla carta alla vita” non dipendono
solo da una mancata progettazione, da una debole capacità di governo o da
risorse insufficienti. A nostro avviso sono da rilevare i paradossi interni ad
un paradigma di soluzioni antropologiche generali che esprimono sintesi
(soprattutto linguistiche) con implicazioni indeterminate sui processi edu-
cativi.297 Un altro esempio della dinamica descritta sono le diverse correnti
dell’animazione che approfondiremo nel prossimo paragrafo.
5.3.4. L’animazione socio-culturale di Tonelli, Pollo ed Ellena
L’“animazione”, un concetto di molta fortuna negli ambienti salesiani
degli anni ’80, è legato al contesto della seconda metà degli anni ’60, nell’e-
poca della crisi della scuola tradizionale, espressa in Italia con la Lettera
a una professoressa di Lorenzo Milani.298 In questi anni alcuni insegnanti
e uomini di teatro avviarono sperimentazioni teatrali nella scuola dell’ob-
bligo e apparvero anche le prime esperienze di animazione nei quartieri
popolari. Il periodo del decollo dell’animazione è il ’68 e gli anni imme-
diatamente successivi, quando l’animazione incarna una grande parte della
tensione politica dell’epoca. Negli anni ’80 l’animazione si sposta verso
orizzonti più educativi, collaborando con agenzie istituzionali di educazio-
ne e socializzazione.299
La denominazione “animazione” ha avuto successo soprattutto nei Pae-
si di lingua neolatina,300 assumendo però in ognuno di essi una definizione
297 Per la coeducazione cfr. l’incertezza sulla possibilità di attuarla e, se sì, in che for-
ma e con quali criteri pedagogici, visto che alcune correnti del femminismo preferiscono
l’accompagnamento tra donne e considerano la coeducazione come un possibile fattore
di oppressione, in C. Barbieri, Natura, finalità e criteri della coeducazione, oggi, in C.
Semeraro (ed.), Coeducazione e presenza salesiana. Problemi e prospettive, LDC, Leu-
mann (Torino) 1993, 192-194 e J. Schepens, Studio introduttivo, in Ibid., 13-14.
298 Cfr. Scuola di Barbiana (ed.), Lettera a una professoressa. Edizione speciale
“quarant’anni dopo”, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2007.
299 Cfr. M. Pollo, L’animazione culturale: teoria e metodo, LAS, Roma 2002, 13-15.
300 Gli autori delle voci sull’animazione nel Progetto educativo pastorale. Elementi
modulari si confrontano, oltre che con gli autori italiani, con A. Valle della Spagna, con
P. Griéger della Francia, J. Limbos del Belgio francofono e A. Beauchamp, R. Graveline,
C. Quiviger del Canada francofono. Cfr. M. Pollo - R. Tonelli, Animazione, in Vecchi

36.6 Page 356

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 355
diversa, che passa dall’educazione informale allo sviluppo delle comunità
cittadine, fino ad arrivare a un metodo di educazione olistica. In Francia,
invece, sembra che l’animazione si sia autodefinita in continuità con le
proposte dell’educazione informale o non formale del passato, risalendo
all’educazione popolare dell’Ottocento, che rispondeva alle esigenze della
società industriale e che richiedeva tale tipo di approccio, fornendo anche
le risorse necessarie.301 Spostandoci nel contesto anglosassone, secondo un
filone di autori, il corrispettivo del termine “animazione” in inglese sareb-
be community development, restringendo il significato all’ambito dell’ani-
mazione dei quartieri cittadini.302
Giungendo infine in Italia, nell’animazione si possono distinguere tre
filoni principali, per due dei quali fu fondamentale l’azione e il contributo
dei salesiani.303 Il primo filone, anche in senso cronologico, si riferiva al
teatro espressivo e all’animazione teatrale, che nacque come mezzo per la
liberazione dell’espressività e della fantasia attraverso la festa e il gioco.304
Il secondo filone era quello dell’animazione culturale e i suoi principali
autori furono Mario Pollo e il salesiano Riccardo Tonelli, direttore della
rivista “Note di Pastorale Giovanile”. Il terzo filone, con tratti più sociali,
si sviluppò attorno al salesiano Aldo Ellena e alla rivista “Animazione so-
ciale”. Ci soffermiamo nell’approfondimento degli ultimi due filoni, perché
hanno inciso di più sulla concezione dell’animazione in ambito salesiano
e hanno contribuito all’elaborazione di alcuni aspetti della progettazione e
della comunità educativo-pastorale.
- Prellezo (eds.), Progetto educativo pastorale, 309 e A. Ellena, Animatori, in Ibid.,
362-363.
301 Si notano le attività della Association Catholique de la Jeunesse française fondata
nel 1886. Gli inizi dell’animazione organizzata risalgono all’inizio del ventesimo secolo
con la fondazione della cattolica Union Nationale des Colonies de Vacances nel 1909 e
la laica Fédération Nationale des Colonies de Vacances nel 1912. Nelle attività di ani-
mazione si menzionano poi le attività delle organizzazioni dei protestanti, dei socialisti,
degli scout etc. Cfr. J.P. Augustin - J.C. Gillet, L’animation professionnelle. Histoire,
acteurs, enjeux, Harmattan, Paris-Montréal 2000, 23-40.
302 J.M. Barrado García, La animación sociocultural, un esfuerzo de aclaración, in
«Documentación Social» 26 (1982) 49, 12.
303 Cfr. Pollo, L’animazione culturale, 12. Mario Pollo aggiunge, inoltre, altri due
filoni di animazione: l’animazione all’interno dei villaggi turistici e l’animazione intesa
solo come uso di tecniche proprie dell’animazione, ma saranno considerati solo secon-
dari e come derivati dai primi tre filoni.
304 Cfr. la raccolta delle esperienze di animazione teatrale fatte nelle scuole del Pie-
monte e della Lombardia in F. Passatore et al., Io ero l’albero (tu il cavallo), Guaraldi,
Rimini 1972.

36.7 Page 357

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356 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
5.3.4.1. L’animazione culturale di Mario Pollo
In questa concezione «l’animazione culturale è una metodologia forma-
tiva globale che mira a una crescita ed evoluzione armonica dell’individuo
considerato una unità indivisibile e non una somma di parti o funzioni.
Questa crescita o maturazione passa attraverso la presa di coscienza che
l’individuo e i gruppi sociali vivono in un mondo simbolico e quindi, pri-
mariamente, devono sviluppare la loro capacità di apprendere, utilizzare
concretamente e creare sistemi simbolici».305 La definizione ci offre alcuni
elementi che costituiscono i nuclei di riflessione della pubblicazione fon-
damentale di Mario Pollo, L’animazione culturale: teoria e metodo, che ha
influenzato parzialmente l’antropologia dell’animazione anche all’interno
degli ambienti salesiani attraverso la mediazione di Riccardo Tonelli: l’in-
tegralità della persona inserita in un mondo simbolico, l’animazione come
metodologia formativa integrale, l’interazione tra individui nei gruppi so-
ciali, la comunicazione-creazione e utilizzo di sistemi simbolici e infine la
metodologia della ricerca.
L’uomo soggetto e oggetto dell’animazione è concepito, secondo la con-
cezione di Ernst Cassirer, come animal symbolicum. Questa si congiunge
con la teoria della comunicazione di Bernard Kaplan e la teoria dei sistemi
di Ludwig von Bertalanffy, implicante una propria concezione di simbo-
lo, e viene applicata per i “sistemi viventi” di James Miller.306 Da questa
antropologia abbastanza ecclettica si aspettano risultati pregni di significa-
to: «È convinzione di molti studiosi che l’unico sbocco vero delle scienze
umane, se vogliono uscire dalla banalità di molti loro risultati, sia quello di
affrontare lo studio dell’homo symbolicus. A questo livello, nel territorio
unificante della cultura, è possibile poi impostare una corretta prospettiva
interdisciplinare».307 Dallo spazio dedicato alle tematiche teorico-filoso-
fiche rispetto a quelle pratico-processuali si nota che l’interesse primario
dell’autore è la costruzione della base teorica.308 L’animazione offre, se-
305 M. Pollo, L’animazione culturale: teoria e metodo. Una proposta, LDC, Leumann
(Torino) 1980, 33.
306 Cfr. i volumi citati nel testo: E. Cassirer, Essay on man, Yale University Press,
New Haven 1944; B. Kaplan, An approach to the problem of symbolic representation:
nonverbal and verbal, in «Journal of communication» 2 (1961) 52-62 e J.G. Miller, Liv-
ing systems, McGraw-Hill, New York 1978.
307 Pollo, L’animazione culturale, 13. Cfr. anche Tonelli, Comunità educativa, in
Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo pastorale, 405-406 e Pollo - Tonelli, Ani-
mazione, in Ibid., 288-293.
308 Cfr. Pollo, L’animazione culturale, 15-31.

36.8 Page 358

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 357
condo l’autore, un’impostazione globale della metodologia formativa:
È indubbiamente una tipologia assai rozza quella di vedere nell’uomo una
sfera di vita affettiva, una di vita intellettiva e infine una di vita sociale. […]
L’animazione culturale tende a superare tutta questa serie di dicotomie che per
lungo tempo hanno caratterizzato le scelte umane, del tipo razionalità-emotività,
mente-corpo, pensiero-istinto. [… L’unità dell’uomo] “è garantita dal fatto che
egli costruisce e abita mondi simbolici”.309
Una concezione integrale dell’uomo ingloba anche la dimensione re-
ligiosa, che viene, però, elaborata nelle coordinate tra il misticismo e la
scienza. Si parte da Ludwig Wittgenstein affermando i limiti della cono-
scenza: «C’è veramente l’inesprimibile. Si mostra, è ciò che è mistico… Di
ciò di cui non si può parlare si deve tacere».310 In seguito, la dimensione
religiosa è intesa da Pollo come l’inesprimibile, come un simbolismo di
natura non linguistica, e l’animazione come una comunicazione esisten-
ziale, ritenuta uno strumento che «riesca in questa difficile, impossibile
operazione»,311 di esprimere cioè l’inesprimibile. Sintomatica la conclusio-
ne nella quale l’autore afferma che nel concreto «non so come essa avvenga
per cui accogliendo l’invito di Wittgenstein […], io di ciò di cui non si può
parlare ho già tentato di parlare troppo, taccio».312 L’emarginazione della
dimensione religiosa nella sfera del mistico è stata una delle ragioni per
mettere praticamente l’evangelizzazione diretta fuori gioco come una di-
mensione problematica, affine al proselitismo. Sarebbe, invece, più accet-
tabile una religiosità generica, una spiritualità della ricerca di senso, un’er-
meneutica dell’esperienza spirituale o un’analisi psicologica ed esistenziale
delle motivazioni profonde, ecc.
All’interno delle sue pubblicazioni Pollo dedica una parte anche alla
programmazione educativa, seguendo un principio generale: «L’anello di
congiunzione tra qualsiasi principio e teoria educativa e la sua traduzione
in una attività educativa concreta, all’interno di un determinato sistema so-
ciale, è costituito dalla programmazione».313 Si tratta di un’operazione dif-
309 Ibid., 34-35.
310 L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, in Pollo, L’animazione cultu-
rale, 67.
311 Pollo, L’animazione culturale, 73.
312 Ibid. Cfr. l’influenza dell’impostazione di Pollo sul modello antropologico sotto-
stante alla descrizione della dimensione religiosa dell’uomo in Pollo - Tonelli, Anima-
zione, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo pastorale, 297-298.
313 Pollo, L’animazione culturale, 51.

36.9 Page 359

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358 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
ficile e per «non contraddire una reale pratica di liberazione è necessario
che la programmazione non venga realizzata a tavolino dall’animazione o
dagli animatori, ma sia costruita dall’animatore insieme al gruppo che è
soggetto-oggetto dell’animazione».314 Per sfuggire al meccanicismo, e un
po’ arrampicandosi sugli specchi, l’autore accenna all’esistenza di modelli
sistemici della progettazione, senza però indicarne gli autori di riferimen-
to. Egli vuole giustificare la progettazione educativa come compatibile con
la concezione dell’animazione culturale, ma non ci offre procedure, mo-
delli o metodologie concrete, rimanendo volutamente a livello dei principi
e del generico.315
5.3.4.2. Le implicazioni educative dell’animazione di Riccardo Tonelli
Alcune indicazioni di tipo metodologico nella progettazione proven-
gono da Riccardo Tonelli, il quale adoperava i concetti della program-
mazione e della progettazione nella pastorale giovanile già dal 1968.316
L’autore si concentra soprattutto sull’impostazione generale della pasto-
rale giovanile e non sulla metodologia, considerata da lui piuttosto una
questione tecnica, che
richiede una competenza tecnica, da acquisire mediante lo studio delle disci-
pline specializzate. [...] Questa fiducia e rispetto degli apparati tecnici rappresenta
una precisa esigenza salesiana, come logica conseguenza della consapevolezza
che esiste uno stretto rapporto tra educazione (e relative scienze dell’educazione)
ed evangelizzazione.317
Nonostante l’accentuazione teorica della sua impostazione, egli offre
un’interessante elaborazione dei passi della progettazione nel suo articolo
314 Ibid., 51.
315 Ibid., 66.
316 Cfr. la monografia che ha tentato di delineare alcune istanze relative alla program-
mazione già nella seconda annata della rivista in «Note di Pastorale Giovanile» 2 (1968)
8-9, 4-84 e in particolare R. Tonelli, Riunioni di verifica, in «Note di Pastorale Giova-
nile» 2 (1968) 8-9, 60-65 e Id., Punti fermi per una programmazione valida, in «Note di
Pastorale Giovanile» 3 (1969) 8-9, 43-59. Per la progettazione cfr. Id., Un progetto di pa-
storale giovanile per i giovani d’oggi, in «Note di Pastorale Giovanile» 13 (1979) 1, 3-21
e Id., Per fare un progetto educativo, in «Note di Pastorale Giovanile» 14 (1980) 6, 57-66.
317 Cfr. R. Tonelli, Impostazione della comunità educativa in un contesto pluralista,
in R. Gianatelli (ed.), Progettare l’educazione, 83; Pollo - Tonelli, Animazione, in Vec-
chi - Prellezo (eds.), Progetto educativo pastorale, 309 e Tonelli, Comunità educativa,
in Ibid., 415.

36.10 Page 360

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 359
già menzionato Per fare un progetto educativo del 1980. Parlando dell’e-
ducazione alla fede, riprende i due schemi della progettazione menzionati
da Michele Pellerey,318 cambiando però il punto di partenza.319 Lo Schema
F riporta il confronto tra i due modelli.
Schema F: L’organizzazione dei momenti della progettazione in Pellerey
e in Tonelli.
Tonelli respinge i due schemi di Pellerey per ragioni epistemologiche
discutibili, in quanto il primo preferisce l’oggettività, non consideran-
do la situazione, e il secondo favorisce troppo la soggettività. Propone,
perciò, un ulteriore “modello ermeneutico”. Gli obiettivi e le domande,
che scaturiscono dall’analisi della situazione, devono essere letti alla luce
dell’“evento di Dio”. Tonelli afferma: «Dobbiamo utilizzare la fede come
chiave di lettura. Essa non può sostituirsi alle scienze descrittive. Ma que-
ste non possono fare a meno della fede, quando vogliono dirci ciò di cui
ha bisogno l’uomo, nel profondo della sua esistenza».320 L’interpretazione
alla luce dell’evento di Dio è importante sia per la lettura della condizione
giovanile che per la formulazione degli obiettivi, intesi dall’autore in un
rapporto stretto con le verità della fede, «per evitare che la reinvenzione
318 Cfr. Pellerey, Progettazione didattica, SEI, Torino 1979, 38.
319 Cfr. Tonelli, Per fare un progetto educativo, 60.
320 Tonelli, Per fare un progetto educativo, 61.

37 Pages 361-370

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37.1 Page 361

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360 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
degli obiettivi si concluda nello svuotamento e nella riduzione antropolo-
gica dell’evento di Dio».321 Come negli altri contributi di Tonelli, la teoriz-
zazione pastorale rimane sul livello dell’enunciazione dei principi senza
scendere al livello metodologico del “come realizzare” tale interpretazione
alla luce dell’evento di Dio.
Tonelli, nel suo impegno di quattro decadi come direttore della rivi-
sta “Note di Pastorale Giovanile”, produsse tantissime riflessioni su tanti
campi connessi con la pastorale giovanile. Non essendo un tipico autore
di pedagogia salesiana, ma piuttosto un teologo pastorale “in generale”,
non intendiamo proporre una sintesi del suo pensiero, ma ci soffermiamo
sul tema fondamentale per il periodo che stiamo considerando: il rappor-
to tra educazione ed evangelizzazione, che per lui va concepito attorno
al nodo dell’animazione.322 Come afferma lui stesso nella valutazione dei
quarant’anni del suo impegno, le prime riflessioni nel post ’68 partivano
dal negativo e dal problematico per poi andare al positivo e al propositivo.
Contrapponendosi ai modelli di ispirazione ricaldoniana, Tonelli afferma
la forza dell’evento dell’incarnazione – Dio si fa uomo in Gesù – che si
traduce successivamente in due criteri fondamentali per un rinnovamento
della pastorale giovanile postconciliare:
Il primo riguarda il significato teologico della vita quotidiana, il grande sa-
cramento della presenza e dell’incontro con Dio, in Gesù. Dalla parte della vita è
stato possibile riformulare un serio progetto di spiritualità e riscrivere, almeno a
grandi tratti, il percorso sacramentale e celebrativo. Il secondo chiama in causa
con forza l’urgenza dell’educazione, proprio nella sua dimensione persino teolo-
gica. La vita è sacramento dell’incontro con Dio quando è autentica, costruita ed
espressa secondo il progetto di Dio, incontrato in Gesù. […] L’educazione rappre-
senta lo strumento privilegiato attraverso cui possiamo restituire ad ogni persona
la qualità della propria vita.323
Da un modello preconciliare moralistico, volontaristico, sacramenta-
listico e gerarchico si sviluppa, per reazione, un modello inclusivo, egua-
litario, graduale, umanistico ed educativo. La scelta dell’educazione era
percepita da Tonelli come «un’espressione concreta del nostro amore alla
321 Ibid.
322 Cfr. ad es. la sintesi emblematica del pensiero di Tonelli sul rapporto tra educa-
zione ed evangelizzazione nel 7° Quaderno dell’animatore che riassume tutti i temi por-
tanti, in R. Tonelli, La scelta dell’animazione nell’educazione alla fede, LDC, Leumann
(TO) 1983, 1-32.
323 R. Tonelli, Ripensando quarant’anni di servizio alla pastorale giovanile, inter-
vista a cura di Giancarlo De Nicolò, in «Note di Pastorale Giovanile» 43 (2009) 5, 18.

37.2 Page 362

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 361
vita e del nostro servizio alla maturazione della vita dei giovani».324 È
interessante analizzare la definizione di educazione che deriva da questi
presupposti: «Educare significa, dalla prospettiva della vita, istituire una
relazione attraverso cui soggetti diversi, felici di essere diversi, si scam-
biano esperienze e ragioni di speranza, per restituirsi reciprocamente
quella gioia di vivere, quella libertà di sperare e quella capacità di essere
protagonisti della propria esistenza, che molto spesso ci sono violente-
mente rubate dai modelli culturali dominanti».325
In continuità con l’impostazione di Mario Pollo, la dimensione dell’e-
vangelizzazione è vista sotto la prospettiva del “mistero”, di cui non si
può parlare troppo e che non è traducibile concretamente: «La fede viene
dell’esperienza del mistero». Nell’epistemologia di Tonelli, l’educazione ha
la forza della concretezza fidandosi nella sua forza trasformante. L’evange-
lizzazione, invece, ha le mani legate dall’inesprimibile, dal mistico, dalla
necessaria pre-evangelizzazione, dal rispetto della crescita concreta del
giovane e dal pericolo di essere proselitisti alla vecchia maniera. E quindi
si concretizza con la “sacramentalità diffusa nel quotidiano” realizzata dai
processi educativi.
Anche se Tonelli dichiara che uno dei limiti è il gioco del “prima” e del
“dopo” nel rapporto tra educazione ed evangelizzazione, comunque pre-
vede che: «di solito, l’educazione precede l’evangelizzazione. Sempre l’ac-
compagna. Spesso ritorna con forza dopo le prime esperienze di immersio-
ne nel mistero».326 Per Tonelli l’animazione si colloca qui come un’ispira-
zione che non è solo una tecnica strumentale, ma una scommessa globale
sull’uomo e un progetto complessivo per la sua maturazione. All’interno
del rapporto tra educazione ed evangelizzazione,
l’animazione, come modo globale di realizzare l’educazione, diventa il luogo
in cui si ripensano e si concretizzano i problemi, le prospettive e le scelte tipi-
che dell’educazione alla fede. E, nello stesso tempo, attraverso il dialogo con le
esigenze irrinunciabili dei processi che riguardano la trasmissione della fede,
l’animazione può comprendersi meglio e riformularsi in termini più adeguati, pur
restando un processo autonomo, orientato ad altre finalità e ad altre dimensioni
della vita dell’uomo.327
Vista l’impostazione, Tonelli con molta onestà riconosce il limite più
324 Ibid., 28.
325 Ibid.
326 Ibid., 42.
327 Ibid., 44.

37.3 Page 363

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362 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
grave del lavoro fatto in questi anni: nel progetto di pastorale giovani-
le si è spesso rimasti solo alle premesse (epistemologiche e relativamente
generiche). 328 I frutti della sua proposta sono, a nostro avviso, legati al
momento storico che ha favorito l’associazionismo spontaneo dei giovani,
la valorizzazione educativa del gruppo e delle sue dinamiche, la volontà
d’impegno per la trasformazione del mondo che si traduceva nell’impe-
gno di volontariato. Non per ultimo, gli itinerari dell’educazione alla fede,
promossi anche dal nostro autore, hanno portato diverse ispettorie a svi-
luppare una proposta educativa che rispettava le fasce di età con i relativi
compiti evolutivi.
Concludendo si può affermare che, soprattutto in ambito oratoriano, la
proposta dell’animazione dei gruppi poteva riuscire, a condizione di essere
congiunta con la formazione sistematica tra pari degli animatori-educatori,
all’interno di una CEP funzionante, corresponsabile e governata con il cri-
terio della continuità. In ambito scolastico, molto forte in diverse regioni
della Congregazione, l’animazione non si sviluppò come un metodo edu-
cativo globale, riducendosi generalmente all’animazione dei singoli eventi
e feste che contraddistinsero l’anno pastorale. Di qui sorge, probabilmente,
la critica del CG25 alla pastorale degli eventi e la necessità di una logica
più processuale.329
5.3.4.3. L’animazione sociale di Aldo Ellena
Un terzo tipo di proposta si è articolato attorno alle attività del salesia-
no Aldo Ellena, laureato in Filosofia a Torino e in Teologia all’Università
Pontificia Gregoriana, insegnante e animatore culturale nel capoluogo pie-
montese negli anni ’50 e ’60, fondatore della rivista “Animazione sociale”
a Milano nel 1971 e autore, nel Progetto educativo pastorale. Elementi
modulari, del modulo sugli animatori. Le sue riflessioni sull’animazione
sono strettamente connesse con le esperienze di animazione e di formazio-
ne degli animatori,330 diventate poi oggetto di studio nei primi Quaderni di
animazione sociale. Ellena aveva affrontato precedentemente tematiche di
328 Cfr. Ibid., 44-45.
329 Cfr. CG25 (2002) nn. 37, 44 e 47.
330 Cfr. G. Contessa - A. Ellena - R. Salvi, Animatori del tempo libero, Società Edi-
trice Napoletana, Napoli 1979; G. Contessa - A. Ellena, Animatori di quartiere, Società
Editrice Napoletana, Napoli 1980 e P.G. Branca - G. Contessa - A. Ellena, Animare la
città, Istituto di Scienze Amministrative e di promozione sociale, Milano 1982.

37.4 Page 364

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 363
natura sociologica, politica e antropologica con la traduzione e cura della
Psicologia dei leaders di Harroux e Praet, dell’Enciclopedia Sociale, del
Dizionario di Sociologia e dei due volumi sulla Presenza educativa.331
Guardando più da vicino i primi tre Quaderni di animazione socia-
le si nota l’interesse per l’animazione, intesa come pratica sociale che «si
propone di far prendere coscienza e far sviluppare le potenzialità latenti,
represse o rimosse di un individuo, di un gruppo o di una comunità».332
L’animazione viene proposta, inoltre, non come una nuova professione spe-
cifica e neanche come un modo esteriore di fare, ma come un «modo nuovo
di assumere un profilo professionale in una società in cambiamento».333
Le attività dell’animazione vengono descritte nelle aree della fisicità, della
socialità, dell’espressività e della creatività. Nei Quaderni il tema dell’a-
nimazione viene connesso con i temi del volontariato, del tempo libero,
dei valori, dell’impegno nel territorio, della partecipazione, del gruppo e
della massa. In Ellena emerge soprattutto un’attenzione particolare alla
formazione degli animatori, sintetizzata appunto nel modulo da lui cura-
to nell’enciclopedico “Progetto Educativo Pastorale” editato da Vecchi e
Prellezo.
Nella teoria dell’animazione sociale di Ellena, rispetto a Tonelli e Pol-
lo, è evidente la finalità pratica dell’animazione, vista come metodologia
formativa e socialmente trasformativa. Le esperienze delle équipe che si
riunivano attorno a lui nel progettare, realizzare e valutare sia la formazio-
ne degli animatori sia gli interventi nel quartiere, rendono le sue proposte
operative e metodologicamente più stimolanti. L’aspetto mancante è co-
stituito dall’assenza di un quadro di riferimento antropologico più ampio
e cristianamente ispirato. Nella proposta di Ellena l’animazione sembra
troppo legata alla trasformazione della società e le manca una visione più
lungimirante che potrebbe renderla attuale anche fuori del contesto degli
anni caldi del postconcilio.
Nonostante i limiti menzionati, osservando l’applicazione concreta
dell’animazione che si è realizzata nei quartieri popolari nel caso di El-
lena e nei gruppi giovanili nel caso di Tonelli, si può cogliere una rile-
331 Cfr. H. Harroux - J. Praet, Psicologia dei leaders, SEI, Torino 1957; A. Ellena
(ed.), Enciclopedia sociale, vol. 1: Introduzione ai problemi sociali, Paoline, Roma 1958;
F. Demarchi - A. Ellena (eds.), Dizionario di Sociologia, Paoline, Roma 1976 e A. Elle-
na (ed.), Presenza educativa, 2 voll., LDC, Leumann (TO) 1976-77.
332 Contessa - Ellena - Salvi, Animatori del tempo libero, 132.
333 Contessa - Ellena, Animatori di quartiere, 91. Cfr. anche Ellena, Animatori, in
Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo, 355 e 357.

37.5 Page 365

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364 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
vante novità metodologica. Si tratta delle dinamiche di gruppo che, anche
se vissute nel particolare contesto postconciliare italiano degli anni ’60 e
’70, costituiscono l’apporto indiretto più significativo alla metodologia del
PEPS,334 che equilibra l’implicito individualismo della proposta di Sten-
house e di altri progettisti dei curricoli, concentrati sull’insegnante singolo
e non sulla comunità educativa.
Oltre all’accentuazione del ruolo del gruppo e della comunità nel pro-
cesso educativo e progettuale si può accogliere l’invito (ma non la con-
cretizzazione) di Tonelli sull’importanza del momento ermeneutico nella
progettazione. L’interpretazione della situazione e degli obiettivi attraverso
lo sguardo della fede è, per ovvie ragioni, un’attenzione mancante nelle
teorie curricolari, ma è richiesta dal legame di fondo tra educazione ed
evangelizzazione all’interno del PEPS.335
5.3.5. La scissione metodologica tra la religione e l’educazione
Prima del Vaticano II, lo sguardo integrante e fondante della philosophia
perennis e della teologia neoscolastica collegata teneva insieme l’imposta-
zione pedagogica di Ricaldone e del primo Braido nell’apertura alle diver-
se pedagogie e alle loro metodologie. Nel postconcilio, invece, le scienze
umane si percepiscono relativamente autonome dalla teologia,336 portando
nell’ambito metodologico diversi approcci e logiche. Il fatto è evidente so-
prattutto nell’ambito progettuale, all’interno del quale viene data priorità al
trovare le risposte operative ai bisogni concreti cercati attraverso il metodo
tecnico della progettazione, mentre la teoria appare più tardi solo nella po-
sizione di una “teoria della prassi” o di un “quadro di riferimento” spesso
non troppo organico.
In questo senso è ovvio che nel postconcilio non poteva esserci “una”
metodologia educativa salesiana e si è dovuto introdurre la logica dell’edu-
cazione per dimensioni, ognuna con i suoi contenuti e metodi preferiti.337
Le dichiarazioni ex post sulla necessità di integrare le dimensioni sono
334 Cfr. l’accentuazione del principio comunitario in Tonelli, Comunità educativa, in
Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto educativo, 399-417.
335 Cfr. CG21 (1978), n. 13.
336 Cfr. Gaudium et spes, n. 36; Gravissimum educationis, n. 10 e Apostolicam
actuositatem, n. 7.
337 Cfr. Dicastero PG, Elementi e linee, Sussidio 2 e le pubblicazioni successive del
Dicastero.

37.6 Page 366

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 365
servite spesso solo come rimedio impossibile a una mentalità non inte-
grata. Anche all’interno della riflessione sull’educazione nell’UPS si met-
te da parte la “pedagogia” e si preferiscono le “scienze dell’educazione”
come concetto multidisciplinare che spesso ha avuto l’interdisciplinarità
solo come riferimento ideale.338 È comprensibile che negli “anni caldi” si
declinasse “interdisciplinarità” ma si intendesse “autonomia”, cosicché le
discussioni epistemologiche erano influenzate dalle questioni organizzati-
ve dell’Università o della Facoltà di Scienze dell’Educazione. L’orizzonte
culturale della trilogia Educare degli anni ’50 scomparse definitivamente
e i tentativi di riflessione degli anni ’80, come il Progetto Educativo Pa-
storale, rivelano piuttosto la bravura dei singoli che una visione elaborata
unitariamente.
L’applicazione di questa autonomia diventa paradigmatica nel campo
preferito da Ricaldone che è la catechetica. Cesare Bissoli, biblista e stu-
dioso di catechetica, spiega emblematicamente la sua impostazione, che è
stata seguita per diversi decenni, in questo modo:
Dalla Parola di Dio (Bibbia) si può ricavare una pedagogia, intesa però non
come un insieme di indicazioni specifiche eguali per tutti (insomma delle ricet-
te pronte all’uso), bensì come una modalità globale, o meglio uno spirito, delle
motivazioni fondanti, dei perché profondi con cui pensare e fare educazione. Ciò
vale del resto anche per le cosiddette “realtà terrestri”, quali il potere politico, la
polis e il suo governo, l’economia, la bioetica, ecc. Non dunque come si educa,
ma perché si educa, sta al cuore della rivelazione biblica.339
L’Autore reagisce giustamente ad una riduttiva percezione del Vange-
lo come ricettario, ma nell’argomentazione nega la possibilità di ricavare
delle indicazioni metodologiche dalla rivelazione cristiana. Il nominalismo
del “metodo del Vangelo” di Ricaldone, che ha battezzato la metodologia
attivistica, sembra essere svelato e la strada è aperta a tutte le metodologie
scientifiche, didattiche ed educative del momento. La forza ordinatrice del
principio della “religione” nel sistema di Ricaldone, con tantissime appli-
cazioni minuziose, è saltata poi per la crisi del “collegio salesiano” sia nella
338 Sono interessanti e rivelanti le discussioni interminabili del Collegio dei docen-
ti dell’Istituto Superiore di Pedagogia (dal 1973 Facoltà di Scienze dell’Educazione
dell’UPS) sul principio dell’interdisciplinarità. Cfr. ad es. Verbali Collegio di Facoltà
1971-75 in Archivio FSE.
339 C. Bissoli, Bibbia e Pastorale Giovanile. Intervista a Cesare Bissoli a cura di
Giancarlo De Nicolò, in «Note di Pastorale Giovanile» 42 (2008) 7, 20. Per una visione
più approfondita cfr. C. Bissoli, Bibbia e educazione. Contributo storico-critico ad una
teologia dell’educazione, LAS, Roma 1981.

37.7 Page 367

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366 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
percezione dei salesiani che nella percezione degli allievi.340 Il modello del
collegio salesiano come una istituzione “totale”, che permetteva delle in-
tegrazioni tra diverse dimensioni e metodologie, non è più ritenuto adatto
alle esigenze dei tempi, mentre viene rivalorizzata la struttura e lo stile
dell’oratorio come insieme più fluido di diverse “istituzioni”: «Si rivolgano
cure specialissime all’opera “primordiale” dell’oratorio […] perché riesca
ad attrarre e servire il maggior numero di giovani, con varietà di istituzioni
(centri giovanili, clubs, associazioni varie, corsi, scuole serali...)».341 L’ag-
giornamento della metodologia educativa nell’oratorio è andato successi-
vamente nella direzione dell’animazione, intesa come metodologia educa-
tiva graduale, rispettosa, ma anche come un metodo di governo distribuito
e partecipativo.
Gli aspetti dell’educazione metodologicamente più concreti rientravano
nel contenitore della “progettazione”, che era, però, influenzata da una ri-
duttiva antropologia sottostante. Dallo studio degli autori che ispiravano il
modello del PEPS emerge l’immagine dell’uomo legato alla progettazione
didattica per obiettivi, che a sua volta dimostra forti dipendenze con il
management by objectives.342 Peter Drucker, l’autore più significativo di
management per obiettivi dell’epoca, definisce la sua filosofia dell’agire
come una filosofia che trasforma i bisogni oggettivi in obiettivi dell’agire.
L’uomo è concepito semplicemente come un essere libero e razionale che
decide di attuare un obiettivo che non è imposto da altri ma rispecchia un
bisogno reale. La successiva realizzazione dell’obiettivo avviene soprat-
tutto attraverso lo strumento del controllo di sé.343 La concezione della
progettazione per obiettivi cercava di coinvolgere gli attori nel processo
decisionale della formulazione degli obiettivi fatta in squadra, superan-
do la tradizionale fedeltà ai compiti assunti e l’obbedienza alle gerarchie.
Questa tendenza, particolarmente sentita nelle organizzazioni laiche, ha
trovato sintonia con il mondo salesiano che usciva dalla collegializzazione,
lasciando la “religione” e l’“evangelizzazione” nel contenitore innocuo di
una “dimensione”.
340 Cfr. P.G. Grasso, La Società Salesiana tra il passato e l’avvenire. Risultati di
un’inchiesta tra ex allievi salesiani, Edizione extra-commerciale riservata, PAS, Roma
1964, 45-152.
341 CG19 (1965), 103.
342 Cfr. l’analisi più approfondita in Vojtáš, Progettare e discernere, 113-149.
343 Cfr. P.F. Drucker, Management. Tasks, Responsibilities, Practices, Truman Tal-
ley Books, New York 1986 che riprende molte istanze dalla sua precedente pubblicazio-
ne importante The Practice of Management, Harper&Row, New York 1954.

37.8 Page 368

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 367
L’immagine dell’uomo “moderno” che pensa razionalmente, traduce i
bisogni in obiettivi e agisce attraverso lo sforzo della volontà e dell’auto-
controllo, è passata nella progettazione salesiana attraverso l’idea dell’agire
razionale che segue una linearità di azione (situazione, obiettivo, mezzo,
verifica) e la divisione della crescita in dimensioni che vanno progettate
autonomamente (educazione, evangelizzazione, associazionismo, vocazio-
ne). Questa antropologia ha fatto rientrare nell’educazione salesiana un im-
pianto reattivo (verso le situazioni) e indifferente (verso le singole persone)
sotto spoglie diverse. In linea di principio non importano le persone, ma le
grandi coordinate, i bisogni demografici e il raggiungimento degli obiettivi
derivanti da essi.
La pedagogia vocazionale è un altro campo all’interno del quale è evi-
dente il disagio del rapporto tra la metodologia educativa e la “religione”.
La “vocazione” si declina come “progetto di vita” spostando gli accenti
dal seguire una vocazione al creare un progetto, dalla fedeltà alle coordi-
nate della chiamata alla vita autentica di un progetto di vita. Interessante
in questo senso è l’enunciato del CG21 circa la pedagogia vocazionale:
«la scoperta della propria chiamata, l’opzione libera e riflessa d’un pro-
getto di vita, costituisce la meta e il coronamento di ogni processo di ma-
turazione umana e cristiana»,344 che si può interpretare (almeno) in due
modalità. La prima è piuttosto conoscitiva e annuncia l’importanza della
vocazione all’interno dei processi di maturazione. La seconda modalità è
più educativo-pratica: se la scoperta della chiamata è un coronamento, non
costituisce, ovviamente, il punto di partenza. Non conviene che l’educatore
cominci da subito a mettere in atto delle strategie vocazionali, in quanto
ci sono passi antecedenti da rispettare. Questi antecedenti sono almeno i
due menzionati: la crescita nella libertà e i criteri riflessivo-culturali del
progetto di vita.
Nella seconda modalità interpretativa si entra in una logica di posti-
cipazione operativa e nel gioco di un’educazione che viene “prima” e di
altre dimensioni che vengono “poi”. La logica delle “fasi” è presente anche
nei sussidi del Dicastero per la pastorale giovanile. Quando si affronta il
tema dell’orientamento vocazionale esplicito, prima viene la fase di dispo-
nibilità, poi una fase di esame e infine la scelta vocazionale.345 Infatti, la
posizione poco integrata della dimensione vocazionale all’interno del pro-
getto educativo pastorale si nota in diverse pubblicazioni sia ufficiali che
344 CG21 (1978), n. 106.
345 Cfr. Dicastero PG, Elementi e linee, Sussidio 2, 48-49.

37.9 Page 369

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368 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
di studio, nell’ultimo ventennio del ventesimo secolo. Nella terza serie dei
sussidi che trattano il PEPS negli oratori, nelle scuole e nelle parrocchie
salesiane, l’area vocazionale, ridotta ad alcune frasi, viene praticamente
emarginata. Il sussidio successivo che, uscito nel 1981, tratta invece dei
Lineamenti essenziali per un Piano Ispettoriale di Pastorale Vocazionale,
colma questa lacuna, ma nell’ottica di una categoria pastorale separata,
organizzata a parte e progettata centralmente dall’ispettoria.346 La respon-
sabilità dell’animazione vocazionale è affidata di principio all’ispettore e
al direttore; in concreto a un animatore vocazionale a livello ispettoriale e
anche locale, una figura che nella maggioranza dei contesti locali non ebbe
una concretizzazione significativa. A livello di opere, l’unica struttura che
metteva in atto primariamente una logica vocazionale era l’aspirantato, che
si trovava generalmente in crisi per le stesse ragioni che avevano portato
alla crisi dei collegi.
Negli anni attorno al CG23, che riprende il tema dell’educazione alla
fede, possiamo assistere ad uno spostamento di significati attorno alla di-
mensione vocazionale. Da una vocazione intesa come scelta dello stato di
vita si passa alla vocazione come personalizzazione della fede. Nella sin-
tesi della Pastorale Giovanile Salesiana del 1990 si parla della vocazione
su quattro livelli: umano, battesimale, salesiano e personale, che include
la scelta di un progetto di vita concreto.347 La metodologia educativa e
vocazionale preferita sembra essere il volontariato e l’impegno per la tra-
sformazione del mondo. In questa direzione si muove il CG23 quando no-
mina “l’impegno e la vocazione nella linea della trasformazione del mon-
do” come una delle quattro aree di maturazione cristiana.348 Nello stesso
Capitolo si menzionano i nuclei della spiritualità giovanile salesiana. Non
essendoci un nucleo esplicitamente “vocazionale”, si propongono la perso-
nale “amicizia con il Signore Gesù” e il “servizio responsabile”.349
In seguito al CG23, negli anni ’90 si introduce anche il concetto degli
itinerari personali dell’educazione alla fede. Un esempio di pensiero su
questa scia è la riflessione di Jacques Schepens che fa dell’individualizza-
zione la chiave del ripensamento postconciliare dell’educazione salesiana.
La sua proposta pedagogica ruota attorno all’individualizzazione emoti-
va, razionale, morale e del senso ultimo della vita dei giovani. Nell’ul-
346 Cfr. Dicastero PG, Lineamenti essenziali per un Piano Ispettoriale di Pastorale
Vocazionale, Sussidio 4.
347 Cfr. Dicastero per la PG, Pastorale giovanile salesiana, 72-73.
348 Cfr. CG23 (1990), nn. 116ss.
349 Cfr. Ibid., nn. 161ss.

37.10 Page 370

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 369
tima dimensione, incentrata sul senso della vita, ci si pone la domanda:
«In che modo l’io nell’enunciato “io credo” può crescere e diventare un io
personale?»350 che lascia la fede e la vocazione in un orizzonte di autotra-
scendenza, di mistero e di simbolicità senza una chiamata personale da
parte di Dio.
Il tema della vocazione, con l’influsso delle logiche menzionate della pro-
gressività, delle dimensioni, degli ambienti specializzati e della personaliz-
zazione è stato trattato come una categoria “speciale” e non “centrale” anche
nelle riviste specializzate. Si possono analizzare gli indici di “Note di Pasto-
rale Giovanile” nel periodo dal 1967 al 1997 per l’ambito della pastorale gio-
vanile e di “Orientamenti Pedagogici” tra il 1954 e il 1988 per l’ambito più
esplicitamente educativo. Negli indici del primo trentennio della prima rivi-
sta la proposta vocazionale non rientra né nelle scelte di fondo né nel proget-
to concreto. Verso la fine dell’elenco delle voci nella categoria “L’attenzione
verso categorie speciali di destinatari” si ritrova il concetto, strutturato nella
logica della personalizzazione tra orientamento, professione e vocazione.351
Nella seconda rivista pedagogica la vocazione non rientra neanche nell’indi-
ce delle materie o dei settori. I pochi articoli che trattano la tematica, la in-
tendono prevalentemente come vocazione ecclesiastica-religiosa-sacerdotale
e adottano una prospettiva medica, psicologica o pedagogica approfondendo
i presupposti caratteriali, gli aspetti motivazionali, il processo di discerni-
mento e le metodologie formative dei religiosi.352
Il concetto della vocazione non è uno dei punti forti all’interno dell’ani-
mazione culturale di Tonelli. Dagli obblighi di una “religione” preconcilia-
re percepita come moralizzante e pesante si passa al concetto di “spiritua-
lità” più universalistico ma anche più generico. Il compito dell’educatore
sarebbe soprattutto quello di “incarnarsi”, di accettare incondizionatamen-
te il giovane. Soprattutto nelle proposte educativo-pastorali legate alla te-
oria dell’animazione si propone una concezione integrale dell’uomo che
però ingloba la sua dimensione religiosa-spirituale nelle coordinate tra il
350 Cfr. J. Schepens, Die Pastoral in der Spannung: Zwischen der christlichen Bot-
schaft und dem Menschen von heute, Don Bosco, München 1994 e poi sviluppato in Id.
- R. Burggraeve, Emotionalität, Rationalität und Sinngebung als Faktoren christlicher
Werterziehung. Eine Interpretation des pädagogischen Erbes Don Boscos für heute,
Don Bosco, München 1999.
351 Cfr. Indice NPG 50 anni: Voci tematiche - Autori - Dossier, in bit.ly/npg-it-indice.
352 Cfr. gli indici analitici inerenti al tema: Vocazione, in «Orientamenti Pedagogici»
10 (1963) 6, 1165; Vocazione, in «Orientamenti Pedagogici» 25 (1978) 1313 e Vocazioni,
in «Orientamenti Pedagogici» 35 (1988) 6, 1092.

38 Pages 371-380

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38.1 Page 371

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370 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
misticismo, il soggettivismo e la scienza. Nel 1981, durante i Colloqui sulla
vocazione salesiana, Tonelli riprende l’antropologia simbolica e l’atteggia-
mento di silenzio non argomentativo wittgensteiniano,353 proponendo una
logica esperienziale dell’accoglienza incondizionata che crea le condizioni
per poter narrare la storia di Gesù.354 Alla fine dell’intervento egli riprende
un concetto di vocazione cristiana finendo emblematicamente così:
L’accoglienza è quindi il luogo in cui si sviluppa quel processo di educazione
liberatrice che restituisce ad ogni giovane la propria vita, lo libera dall’alienazione
e lo rende protagonista della propria e altrui liberazione. L’accoglienza è il luogo in
cui si opera per la salvezza. La comunità accoglie incondizionatamente per testi-
moniare con i fatti la radicale dignità di ogni persona. E sollecita, nella accoglien-
za, a vivere la dignità riconquistata come responsabilità nei confronti di sé, degli
altri e della storia. L’accoglienza è il luogo della e la condizione della formazione: il
luogo di una intensa, affascinante, esperienza vocazionale, fino alla sua eventuale
radicalizzazione nella consacrazione e nel ministero ordinato.355
353 Cfr. R. Tonelli, Accoglienza e formazione dei giovani nella comunità, in F. Desra-
maut - M. Midali, La vocazione Salesiana. Colloqui sulla vita salesiana Barcelona (Spa-
gna) 23-28 agosto 1981, LDC, Leumann (TO) 1982, 203-204 e 207. Interessanti da notare
sono i feedback immediati sull’intervento di Tonelli che reagiscono circa il genericismo
della proposta. Cfr. Ibid. 217.
354 Cfr. Ibid., 207-212.
355 Ibid., 215.

38.2 Page 372

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 371
5.4. Strumenti e risorse
5.4.1. Tabella cronologica
storia mondiale
primavera di Pechino di Deng Xiaoping 1977
Giovanni Paolo II eletto papa 1978
Catechesi tradendae di Giovanni Paolo II 1979
Solidarność in Polonia, movida madrileña 1980
1981
1982
promulgato nuovo Codice di diritto canonico 1983
Giubileo dei Giovani - inizio GMG 1984
Perestrojka dell'Unione Sovietica 1985
disastro nucleare di Cernobyl 1986
la popolazione mondiale supera i 5 miliardi 1987
1988
caduta del muro di Berlino 1989
Iraq invade Kuwait 1990
prima pagina del world wide web 1991
pubblicato Catechismo della Chiesa Cattolica 1992
1993
N. Mandela vince le elezioni - fine dell'apartheid 1994
finisce la guerra nella ex-Jugoslavia 1995
termina la guerra civile nel Ruanda 1996
pubblicato il primo volume di Harry Potter 1997
fondazione di Google 1998
1999
Putin presidente della Russia 2000
attacco alle torri gemelle (New York) 2001
inizia la circolazione dell'€, moneta UE 2002
storia salesiana
pubblicazioni di pedagogia salesiana
Egidio Viganò eletto rettor maggiore al CG21, Juan Vecchi consigliere PG
sviluppo del PEPS con le pubblicazioni del Dicastero PG: sussidio 1. metodologia, 2. elementi,
3. ambienti, 4. past. vocazionale Corallo, Il metodo edu.sal.; Pellerey, Progettazione…
Viganò, Il nostro impegno africano Gianatelli (ed.), Progettare l’educazione oggi con DB
erezione Istituto Storico Salesiano Pollo, L’animazione culturale: teoria e metodo
approvazione Costituzioni FMA Braido, Breve storia del “Sistema preventivo”
Tonelli, La scelta dell’animazione nell’educazione alla fede
promulgazione Costituzioni SDB Vecchi-Prellezo (eds.), Progetto Educativo Pastorale
Formazione dei SDB. Ratio Fundamentalis Institutionis et Studiorum
approv. Regolamento Cooperatori Vecchi, Il progetto educativo pastorale
Vecchi-Prellezo, Prassi edu.past. e scienze dell’edu.
Centenario: nascita MGS; convegni: Don Bosco nella storia; Verso l’edu. della donna oggi
DB "padre e maestro della gioventù" Tonelli, Itinerari per l’educazione dei giovani alla fede
CG23 (tema: educazione dei giovani alla fede), Dicast.PG, Pastorale giovanile salesiana
Viganò, Nuova evangelizzazione, Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia
Viganò, Nuova educazione Braido (ed.), Don Bosco educatore. Scritti e testimon.
erezione circoscrizione Europa Est Colombo, Educazione all’amore come coeducazione
Van Looy, Il Progetto Edu.Past. nelle Ispettorie
prime presenze in 7 nazioni nuove Vecchi, Il sistema preventivo esperienza di spiritualità
Juan Vecchi eletto rettor maggiore al CG24 (tema: salesiani e laici)
nasce la rete IUS (edu.superiore) Vecchi, Io per voi studio. La preparazione dei confratelli
SDB-FMA, Per un cammino di collaborazione ; Pastorale Gio.Sal. Quadro di riferimento (1.ed)
erezione ispettoria del Vietnam Braido, Prevenire non reprimere
canonizzazione Versiglia-Caravario Pastorale Giovanile Sal. Quadro di riferimento (2.ed)
Pascual Chávez eletto rettor maggiore al CG25 (tema: comunità salesiana oggi)
5.4.2. Bibliografia selezionata
Bissoli C., Bibbia e educazione. Contributo storico-critico ad una teologia dell’edu-
cazione, LAS, Roma 1981.
Braido P., Esperienze di pedagogia cristiana nella storia, 2 vols., LAS, Roma 1981.
Braido P., Pedagogia perseverante tra sfide e scommesse, in «Orientamenti Pedago-
gici» 38 (1991) 899-914.
Braido P., Una svolta negli studi su don Bosco, in «Ricerche Storiche Salesiane» 10
(1991) 355-375.
Braido P. (ed.), Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, LAS, Roma 1992.
Braido P., Breve storia del “Sistema preventivo”, LAS, Roma 1993.

38.3 Page 373

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372 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
Capitolo Generale 21 della Società Salesiana, Documenti Capitolari, SDB, Roma
1978.
Capitolo Generale 22 della Società di san Francesco di Sales, Documenti, SDB,
Roma 1984.
Capitolo Generale 22 SDB, Sussidi. Contributi di studio su Costituzioni e Regola-
menti SDB, 2. vols., SDB, Roma 1982.
Capitolo Generale 23 dei Salesiani di Don Bosco, Educare i giovani alla fede. Do-
cumenti Capitolari, SDB, Roma 1990.
Capitolo Generale 24 dei Salesiani di Don Bosco, Salesiani e laici: Comunione e
condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco. Documento Capitolare,
SDB, Roma 1996.
Caprile C., Il sinodo dei vescovi 1977. IV Assemblea generale, Civiltà Cattolica,
Roma 1978.
Castagno M., Parole che giungono al cuore con il sapore di Mornese. Circolari di
madre Marinella Castagno 1984-1996, a cura di E. Rosso, Istituto FMA, Roma
2008.
Colombo A. (ed.), Verso l’educazione della donna oggi. Atti del Convegno Interna-
zionale promosso dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”,
Frascati 1° - 15 agosto 1988, LAS, Roma 1989.
Colombo A., Educazione all’amore come coeducazione, in Educare all’amore. Atti
della XVI Settimana di spiritualità per la Famiglia Salesiana, SDB, Roma 1993,
97-127.
Colombo A., In comunione su strade di speranza. Circolari di madre Antonia Co-
lombo (1996-2008), a cura di F. De Vietro, Paoline, Roma 2009.
Costa G., Pastorale giovanile in Italia. Un dossier, La Roccia, Roma 1981.
Dho G. (ed.), Capitolo Generale XXI della Società Salesiana. La riduzione allo stato
laicale dei sacerdoti nella Congregazione Salesiana. Presentazione analitica del
fatto e delle motivazioni, [s.e.], Roma 1977.
Dicastero per la Famiglia Salesiana SDB, La carta di comunione nella Famiglia
Salesiana di Don Bosco, [s.e.], Roma 1995.
Dicastero per la Pastorale Giovanile, Progetto Educativo Pastorale. Metodologia,
Sussidio 1, [s.e.], Roma 1978.
Dicastero per la Pastorale Giovanile, Elementi e linee per un Progetto Educativo
Pastorale Salesiano, Sussidio 2, [s.e.], Roma 1979.
Dicastero per la Pastorale Giovanile, Elementi e linee per un Progetto Educativo-
Pastorale nelle parrocchie affidate ai Salesiani, Sussidio 3a, [s.e.], Roma 1980;
Id., Elementi e linee per un Progetto Educativo-Pastorale negli oratori e centri
giovanili salesiani, Sussidio 3b, [s.e.], Roma 1980; Id., Elementi e linee per un
Progetto Educativo-Pastorale nelle scuole salesiane, Sussidio n. 3c, [s.e.], Roma
1980.
Dicastero per la Pastorale Giovanile, Lineamenti essenziali per un Piano Ispetto-
riale di Pastorale Vocazionale, Sussidio 4, [s.e.], Roma 1981.
Dicastero per la Pastorale Giovanile, Pastorale giovanile salesiana, SDB, Roma
1990.
Dicastero della Pastorale Giovanile, Il Movimento Giovanile Salesiano come

38.4 Page 374

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 373
espressione della spiritualità giovanile salesiana. Atti del Convegno Europeo,
Sanlucar la Mayor, 22-25 ottobre 1992, SDB, Roma 1993.
Dicastero per la Pastorale Giovanile, Il Progetto Educativo-Pastorale Salesiano.
Rilettura dei progetti ispettoriali. Risultati dell’inchiesta ai delegati ispettoriali
di PG e loro équipes sul “Progetto educativo-pastorale”, SDB, Roma 1995.
Dicastero per la Pastorale Giovanile, Il Progetto Educativo-Pastorale salesiano.
Raccolta antologica di testi, SDB, Roma 1995.
Ellena A. (ed.), Presenza educativa, 2 vols., LDC, Leumann (TO) 1976-77.
Gianatelli R. (ed.), Progettare l’educazione oggi con Don Bosco, Seminario pro-
mosso dal Dicastero per la Pastorale Giovanile della Direzione Generale “Opere
Don Bosco” in collaborazione con la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’U-
niversità Pontificia Salesiana Roma 1-7 giugno 1980, LAS, Roma 1981.
Giannatelli R. (ed.), Don Egidio Viganò all’Università Salesiana, UPS, Roma 1996.
Giosia di D., La Pastorale dei giovani. Uno studio sul magistero di Giovanni Paolo
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1980-2005, SDB, Roma 2006, 23-33.
Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, Atti del Capitolo generale XIX, Roma 19 set-
tembre - 17 novembre 1990, Istituto FMA, Roma 1991.
La formazione dei Salesiani di don Bosco. Principi e norme. Ratio Fundamentalis
Institutionis et Studiorum, SDB, Roma 11981 e 21985.
M. Borsi - Ambito PG, L’animazione della Pastorale giovanile nell’Istituto delle Fi-
glie di Maria Ausiliatrice (1962-2008). Elementi di sintesi e linee di futuro, LAS,
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Midali M., Don Bosco nella storia. Atti del 1° Congresso Internazionale di studi su
Don Bosco, LAS, Roma 1990.
Miyigbena U.C. (ed.), Giovanni Paolo II parla ai giovani. Collana completa di tutti
i discorsi rivolti ai giovani nell’arco del pontificato nelle lingue originali, 3 voll.,
LEV, Città del Vaticano 2011.
Nanni C. et al. (eds.), Pietro Braido. Una vita per lo studio i giovani l’educazione,
LAS, Roma 2018.
Pellerey M., Progettazione didattica, SEI, Torino 11979 e 21994.
Pollo M., L’animazione culturale: teoria e metodo. Una proposta, LDC, Leumann
(Torino) 1980.
Pollo M., L’animazione culturale: teoria e metodo, LAS, Roma 2002.
Pollo M. - Tonelli R., Animazione, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto Educativo
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Pontificia facoltà di scienze dell’educazione Auxilium 1970-2020. Contributi per la
storia, Pubblicazione del 50° a cura di Hiang-Chu Ausilia Chang, Grazia Lopar-
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Ricceri L., Capitolo Generale XXI della Società Salesiana. Relazione generale sullo
stato della Congregazione, [s.e.], Roma 1977.
Ruffinatto P., La relazione educativa. Orientamenti ed esperienze nell’Istituto delle
Figlie di Maria Ausiliatrice, LAS, Roma 2003.
Schepens J., Die Pastoral in der Spannung: Zwischen der christlichen Botschaft und

38.5 Page 375

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374 5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche
dem Menschen von heute, Don Bosco, München 1994.
Schepens J. - Burggraeve R., Emotionalität, Rationalität und Sinngebung als Fak-
toren christlicher Werterziehung. Eine Interpretation des pädagogischen Erbes
Don Boscos für heute, Don Bosco, München 1999.
Tonelli R., Un progetto di pastorale giovanile per i giovani d’oggi, in «Note di Pa-
storale Giovanile» 13 (1979) 1, 3-21.
Tonelli R., Per fare un progetto educativo, in «Note di Pastorale Giovanile» 14
(1980) 6, 57-66.
Tonelli R., Accoglienza e formazione dei giovani nella comunità, in F. Desramaut
- M. Midali, La vocazione Salesiana. Colloqui sulla vita salesiana Barcelona
(Spagna) 23-28 agosto 1981, LDC, Leumann (TO) 1982, 195-215.
Tonelli R., La scelta dell’animazione nell’educazione alla fede, LDC, Leumann
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Tonelli R., Un itinerario di educazione dei giovani alla fede, in «Note di Pastorale
Giovanile» 18 (1984) 8, 57-88.
Tonelli R., Comunità educativa, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto Educativo
Pastorale. Elementi modulari, 405-406.
Tonelli R., Itinerari per l’educazione dei giovani alla fede, LDC, Leumann (TO)
1989.
Tonelli R., Ripensando quarant’anni di servizio alla pastorale giovanile, intervista a
cura di Giancarlo De Nicolò, in «Note di Pastorale Giovanile» 43 (2009) 5, 11-65.
Van Looy L., Mentalità di itinerario, in ACG 74 (1993) 345, 50-56.
Van Looy L., Il Progetto Educativo Pastorale nelle Ispettorie, in ACG 75 (1994)
349, 33-41.
Vecchi J.E., Progetto educativo pastorale, in Vecchi - Prellezo (eds.), Progetto edu-
cativo pastorale. Elementi modulari, 15-25.
Vecchi J.E., Il progetto educativo pastorale, in ACG 67 (1986) 316, 39-47.
Vecchi J.E., Pastorale, educazione, pedagogia nella prassi salesiana, in Il cammino
e la prospettiva 2000, SDB, Roma 1991, 7-38.
Vecchi J.E., Verso una nuova tappa di Pastorale Giovanile Salesiana, in Il cammino
e la prospettiva 2000, SDB, Roma 1991, 39-106.
Vecchi J.E., Il sistema preventivo esperienza di spiritualità, in A. Martinelli - G.
Cherubin (eds.), Il sistema preventivo verso il terzo millennio. Atti della XVIII
Settimana di Spiritualità della Famiglia salesiana. Roma, Salesianum 26-29 gen-
naio 1995, SDB, Roma 1995, 221-243.
Vecchi J.E., La Famiglia Salesiana compie venticinque anni, in ACG 78 (1997) 358,
3-41.
Vecchi J.E., Si commosse per loro (Mc 6,34). Nuove povertà, missione salesiana e
significatività, in ACG 78 (1997) 359, 3-36.
Vecchi J.E., Verso il Capitolo Generale 25°, in ACG 81 (2000) 372, 3-34.
Vecchi J.E., Educatori appassionati esperti e consacrati per i giovani. Lettere cir-
colari ai Salesiani di don Juan E. Vecchi. Introduzione, parole chiave e indici a
cura di Marco Bay, LAS, Roma 2013.
Vecchi J.E. - Prellezo J.M. (eds.), Progetto educativo pastorale. Elementi modulari,
LAS, Roma 1984.

38.6 Page 376

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5. Progettazione e animazione, due nuclei di sintesi pedagogiche 375
Vecchi J.E. - Prellezo J.M. (eds.), Prassi educativa pastorale e scienze dell’educa-
zione, SDB, Roma 1988.
Viganò A. - Viganò F., Don Egidio Viganò, settimo successore di Don Bosco. Fram-
menti di vita, LDC, Leumann (TO) 1996.
Viganò E., Il progetto educativo salesiano, in ACS 59 (1978) 290, 3-42.
Viganò E., Il nostro impegno africano, in ACS 61 (1980) 297, 3-29.
Viganò E., Riprogettiamo insieme la santità, in ACS 63 (1982) 303, 3-28.
Viganò E., La Famiglia Salesiana, in ACS 63 (1982) 304, 3-45.
Viganò E., Il Capitolo Generale XXII, in ACS 63 (1982) 305, 5-20.
Viganò E., La nuova evangelizzazione, in ACS 70 (1989) 331, 3-43.
Viganò E., Nuova educazione, in ACG 72 (1991) 337, 3-43.
Vojtáš M., Progettare e discernere. Progettazione educativo-pastorale salesiana
tra storia, teorie e proposte innovative, LAS, Roma 2015.
5.4.3. Risorse online
Fonti, documenti, ricerche, pubblicazioni full-text, materiali fotografici,
legati a questo capitolo.356
356 Cfr. salesian.online/pedagogia5

38.7 Page 377

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38.8 Page 378

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6. NUOVA EVANGELIZZAZIONE ED EDUCAZIONE
PER IL TERZO MILLENNIO
(1998-2018)
6.1. Situazione - il postmoderno e la Congregazione salesiana
Da quanto abbiamo approfondito nei capitoli precedenti si potrebbe
trarre una visione approssimata del postconcilio in ambito salesiano come
un periodo che ha ripreso diverse correnti di pensiero moderno contrappo-
nendosi mentalmente al tradizionalismo del periodo ricaldoniano. Scienza
analitica, divisione per discipline, antropocentrismo, modelli democratico-
burocratici di gestione della Congregazione, fiducia nella scienza e nella
tecnica (in progettazione o in comunicazione) sono forti segnali dell’im-
pronta moderna di quest’epoca. Con l’avvento del terzo millennio il nuovo
contesto vitale segnato da una mutevole post-modernità viene avvertito
all’interno della Congregazione salesiana negli effetti della crisi econo-
mica, valoriale e vocazionale dell’Occidente, nella crescita demografica
delle regioni non-occidentali e negli effetti concreti dell’invecchiamento in
diverse ispettorie con il necessario ridimensionamento delle opere.
6.1.1. Situazione mondiale del terzo millennio tra precarietà e liquidità
La fine del mondo bipolare e la connessa percezione della vittoria del
“mondo libero” sul “mondo comunista”, che alimentò le politiche e le pre-
visioni del futuro degli anni ’90, si svuotò e diventò insignificante attorno
al cambio del millennio. La perdita delle coordinate della guerra fredda
lasciò spazio allo scoppio di diversi conflitti locali e fece emergere nuove
e non meno temibili contrapposizioni globali: tra il Nord ricco e il Sud po-
vero, tra l’Occidente e l’Islam aggressivo in seguito alle guerre degli Stati
Uniti d’America nel Medio Oriente. La Russia, dopo un decennio caotico
sotto il presidente Boris Yeltsin, andò affermandosi come uno Stato strate-

38.9 Page 379

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378 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
gico a livello internazionale, soprattutto dopo l’annessione della Crimea e
negli interventi all’estero, come durante la guerra civile siriana. La leader-
ship ferrea di Vladimir Putin, combinata con la crescita economica della
Cina, dell’India e degli altri paesi del gruppo BRICS, crearono nel primo
decennio del nuovo millennio un controbilanciamento forte rispetto a una
democrazia liberale segnata da una crisi interna. Nella seconda decade,
invece, risalta piuttosto la crescita economica della Cina con investimenti
di centinaia di miliardi nei paesi in via di sviluppo.1
La crisi economica del 2008, causata anche dalla deregolamentazione
dei mercati finanziari, dall’entrata dei nuovi strumenti monetari e dall’uti-
lizzo degli algoritmi delle dark pools, ha dato un forte colpo al mito della
crescita economica infinita e al “dogma” di successo capitalistico. L’en-
tusiasmo effimero pro-democratico della Primavera Araba dopo il 2010,
con l’uso massiccio e idealizzato dei social media, è svanito dopo qualche
anno, lasciando la regione in una situazione instabile e spingendo masse
di persone a emigrare. In più, la crescita dei partiti e dei leader di mar-
ca populista nell’occidente ha tolto ulteriore credito al sistema democra-
tico. Il 2020, con la definitiva attuazione della Brexit e le tensioni interne
all’Unione Europea, la presidenza di Donald Trump negli USA, la guerra
economica e informatica sino-americana, le fake news algoritmicamente
diffuse, lo sviluppo economico globale incerto e il ruolo sempre meno
importante degli organismi internazionali come l’ONU, crea un’immagine
del mondo radicalmente diversa dall’epoca precedente, molto liquida e in-
sicura, senza garanzie e molte speranze per il futuro.2
L’America latina ha visto nel nuovo millennio una serie di elezioni ad alto
rischio, con l’ascesa di alcuni regimi socialisti e la loro successiva caduta. Il
collasso economico del Venezuela ha causato la più grave crisi migratoria
nella storia della regione e l’intervento del Fondo Monetario Internazionale
con il pacchetto di salvataggio più grande di sempre. La Bolivia ha vissuto
l’ascesa di Evo Morales con la conseguente politica di socialismo indigeno
e la sua caduta nel 2019. L’imprevedibilità ha molte facce: i cambi radicali
1 Cfr. G. Sabatucci G. - V. Vidotto, Storia contemporanea. Dalla Grande Guerra a
oggi, Laterza, Bari 2019; W.J. Duiker, Contemporary World History, Cengage Learning,
Stamford, CT 2014; J. Marr - R. Cherry, Investing in Emerging Markets. The BRIC
Economies and Beyond, Wiley, Chicester 2010; J. Staniszkis, Post-Communism. The
Emerging Enigma, Institute of Political Studies, Warsaw 1999.
2 Cfr. A. Bayat, Revolution without Revolutionaries. Making Sense of the Arab
Spring (= Stanford Studies in Middle Eastern and Islamic Societies and Cultures), Stan-
ford University Press, Stanford CA 2017.

38.10 Page 380

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 379
dei programmi politici, le sperimentazioni finanziarie e le crisi economiche,
l’impatto dei cartelli della droga sulla situazione d’insicurezza soprattutto
nell’America centrale, la tensione migratoria verso gli Stati Uniti, la distru-
zione ambientale soprattutto nel Brasile, che ha richiesto la convocazione di
un Sinodo Speciale per la regione panamazzonica nel 2019.3
L’Africa, alla vigilia delle rivoluzioni per l’indipendenza, era il con-
tinente della speranza e delle grandi aspettative. Entro il terzo decennio
dall’indipendenza, il chiaro ottimismo è stato sostituito dalle tinte scure
legate ai conflitti etnico-politici, ai governi militari, alle guerre civili, ai
movimenti islamici, alle povertà e alle malattie. Con l’ascesa della ri-de-
mocratizzazione negli anni ’90 e del panafricanismo derivato dalla for-
mazione dell’Unione Africana, l’Africa sembrava destinata a rivendicare
il suo decantato destino. Nel terzo millennio sta però continuando la crisi,
con l’assenza di un buon governo, la personalizzazione del potere statale,
la diffusione di malattie e il fallimento politico nell’istruzione, oltre che
nell’economia e nello sviluppo infrastrutturale. Sebbene dotata di abbon-
danti risorse umane e naturali, l’Africa rimane un continente poco svilup-
pato, governato dal capitale esterno soprattutto cinese.4
In sintesi, il mondo del terzo millennio sembrerebbe essere caratteriz-
zato bene dall’acronimo inglese VUCA che esprime le caratteristiche di
Volatilità, Incertezza (Uncertainty), Complessità e Ambiguità. I cambia-
menti avvengono in modo molto rapido e sono di natura diversa, perciò è
molto difficile prevedere il corso degli eventi. I modelli basati sulla causa-
lità lineare non funzionano più per la complessità e l’interconnessione dei
fenomeni. Infine, l’ambiguità delle interpretazioni, causata dalla fine dei
grandi racconti della modernità, rende più fluidi anche i concetti e le teorie.
6.1.2. La Congregazione salesiana verso un’interculturalità poco occi-
dentale
Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, i cambiamenti mondiali
non sempre influiscono immediatamente anche sul mondo salesiano e, se
3 Cfr. BBVA - OpenMind, The age of perplexity. Rethinking the World we Knew,
Penguin Random House, Madrid 2018; World Bank, World Development Report, World
Bank, Washington DC 2017; sinodoamazonico.va.
4 Cfr. R.A. Olaniyan - E.A. Ifidon, Contemporary Issues in Africa’s Development.
Whither the African Renaissance, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle upon Tyne
2018; UNDP, Human Development Report, UNDP, New York 2015, 208-211.

39 Pages 381-390

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39.1 Page 381

▲back to top
380 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
lo fanno, non allo stesso modo nelle diverse regioni. Nel terzo millennio
sembra che nel mondo salesiano si distinguano due “mondi”: le vecchie re-
gioni Euro-Americane e le nuove e crescenti regioni dell’Asia e dell’Africa.
Globalmente dal 2002 al 2020 il numero dei salesiani è diminuito del 10%,
ma la distribuzione in diverse fasce d’età alla fine del secondo decennio
contiene qualche promessa: i salesiani trentenni e quarantenni superano
infatti di un migliaio i cinquantenni e sessantenni, che a loro volta supera-
no leggermente il numero di confratelli ultrasettantenni.5
La differenziazione demografica avviene però nelle regioni e implica
una dinamica di migrazione interregionale. Ovviamente la situazione non
è circoscritta solo ai salesiani: a livello di altri ordini religiosi e del clero
diocesano si notano dinamiche molto simili. Basta vedere i dati della mo-
bilità del clero diocesano con un cambio soprattutto nel secondo decennio
del nuovo millennio. Per esempio nel 2017 si notano più di 6.500 sacer-
doti africani e asiatici che si spostano in Europa e in America, rispetto a
quelli che si muovono nella direzione opposta.6 L’invecchiamento del
personale salesiano è più forte nella regione mediterranea dell’Europa con
un’età media di 66 anni e più di 1.500 confratelli sopra i settant’anni. Le
regioni più giovani sono, invece, l’Africa e l’Asia meridionale (India) con
un’età media tra 41 e 43 anni. Più del 58% dei confratelli sotto i trent’anni
proviene dall’Africa o dall’Asia meridionale. Questo dato influisce anche
sullo spostamento del baricentro culturale-linguistico: più della metà dei
confratelli in formazione (quinquennio incluso) parla inglese.7 Nel 2002
ancora la maggioranza dei neoprofessi era dall’America e dall’Europa, nel
2020 già i tre quarti dei neoprofessi provengono dall’Asia e dall’Africa.8
Negli ultimi trent’anni il numero medio di salesiani nelle comunità è
rimasto invariato in Asia ed in Africa sui 7,3 religiosi per presenza. Invece
in America ed Europa il numero è sceso da 9,6 nel 1990 a 7,6 nel 2020.9 In
più, è necessario considerare che quasi il 40% di questi confratelli ha già
superato i settant’anni di età (nella regione mediterranea la percentuale de-
5 Cfr. Società di San Francesco di Sales, Dati e statistiche. Capitolo Generale 28°,
Sede Centrale Salesiana, Roma 2020, 27.
6 Cfr. I flussi migratori dei sacerdoti tra i continenti. Nota dell’Ufficio centrale di
Statistica della Chiesa (05 luglio 2019), in osservatoreromano.va/it/news/i-flussi-migra-
tori-dei-sacerdoti-tra-i-continenti.
7 Cfr. M. Bay, Giovani Salesiani e accompagnamento. Risultati di una ricerca inter-
nazionale, LAS, Roma 2018, 35.
8 Cfr. Dati e statistiche. Capitolo Generale 28°, 18.
9 Cfr. Ibid., 83.

39.2 Page 382

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 381
gli ultra-settantenni è ancora più alta, salendo al 52%).10 In merito alla con-
sistenza numerica delle comunità, lo sdoppiamento degli incarichi è invece
un fenomeno più complesso. Notiamo solamente che nei dati statistici si
rileva che i salesiani dedicati a tempo pieno alle opere educativo-pastorali
sono 13.849 e quelli a tempo parziale a una di esse 13.063.11 Da aggiungere
ai conti è il lavoro di quasi 2.000 direttori di comunità e dei loro economi e
gli impegni fuori comunità che non vengono segnalati. Inoltre, non vanno
considerati i confratelli che non si dedicano pienamente al lavoro educati-
vo per motivo di età, salute oppure perché ancora in formazione iniziale.
Sommando i numeri si rileva che la duplicazione o triplicazione dei ruoli
è un fenomeno molto diffuso con la conseguenza sia di sovraccarico di
lavoro che di relativizzazione dei ruoli istituzionali ed educativi, seguendo
più il principio del “possibile” che dell’“ideale”.
Il trend della moltiplicazione dell’impiego è visibile nella crescita delle
opere durante la diminuzione e invecchiamento del personale salesiano.
Nel periodo dal 2002 al 2020 crescono i numeri della maggior parte delle
tipologie di opere. Le scuole crescono a livello mondiale, sia come strutture
che come giovani che le frequentano, di circa di un quinto. Mentre il perso-
nale salesiano e laico nelle scuole professionali rimane costante, si aprono
nuovi indirizzi di studio e si accolgono anche più ragazzi (circa 35%) senza
prendere in considerazione i nuovi servizi della formazione professionale
continua e quella degli adulti. Nei 18 anni studiati contiamo un incremen-
to di 600 parrocchie: diminuiscono quelle ad personam, crescono invece
le parrocchie in territorio di missione. I servizi per giovani emarginati
crescono sia come presenza dei salesiani (a tempo pieno e parziale) che a
livello di strutture. Gli oratori festivi e quotidiani raddoppiano il numero
delle strutture, nei centri giovanili c’è invece una diminuzione quasi della
metà dei destinatari che li frequentano (non però delle strutture).12
10 Cfr. Ibid., 26.
11 Cfr. Ibid., 95.
12 Cfr. Dati e statistiche. Capitolo Generale 28°, 97-226.

39.3 Page 383

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382 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
Schema G: Salesiani presenti nelle diverse opere educativo-pastorali.
Come è visibile dallo Schema G, il numero più alto dei salesiani nel 2019
è impegnato nelle scuole, il che sembrerebbe confermare una scelta “tradi-
zionale” della valorizzazione degli ambienti scolastici. Però, se si inquadra
la situazione del personale aggiungendo i membri della Famiglia salesiana,
sembrerebbe che l’opera per eccellenza in base ai numeri debba essere la
parrocchia, in cui sono impegnati oltre 15.000 di essi; al secondo posto si
collocano gli oratori/centri giovanili con 9.000 persone e al terzo posto ci
sono le scuole con un numero complessivo che si avvicina agli 8.000. Le
parrocchie, più che forza carismatica, sembrano essere l’opera più debole
dal punto di vista dell’identità salesiana, non rappresentate da una persona
ad esse dedicata a livello di Dicastero per la pastorale giovanile e piuttosto
legate alla mentalità “diocesana” che varia da un contesto all’altro. Il rettor
maggiore segnala il deficit di identità carismatica salesiana menzionando
fenomeni ecclesiali come «i frequenti abbandoni della vita religiosa a fa-
vore della vita sacerdotale parrocchiale, la facile assunzione di parrocchie

39.4 Page 384

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 383
da parte degli Istituti e da questi considerate luogo di rifugio e riciclaggio
anziché veri e propri centri di missione».13
Il necessario rinforzo dell’identità salesiana segnalato nella Relazione
sullo Stato della Congregazione nel 2020 non è legato solo agli effetti de-
centralizzanti del postconcilio e all’individualismo postmoderno fai-da-
te. C’è pure la necessità, già segnalata fortemente da don Vecchi nel suo
magistero,14 di accompagnare e formarsi insieme ai laici che sono sempre
più presenti a tempo pieno nelle nostre opere. La sfida vale soprattutto per
le scuole, nelle quali in media un salesiano a tempo pieno dovrebbe accom-
pagnare 18 laici, la maggior parte dei quali con un contratto di lavoro, e
seguire quotidianamente circa 340 giovani. La proporzione di giovani per
salesiani è analoga anche per l’oratorio/centro giovanile, ma la differenza
sta nelle collaborazioni più puntuali e meno retribuite con i laici, il cui
numero è quasi doppio rispetto alle scuole. La formazione professionale,
grazie ad istituzioni più piccole, sembra invece poter offrire un approccio
più personalizzato, riportando la proporzione di 13 laici e 200 studenti per
ogni salesiano a tempo pieno.15 Ovviamente i numeri sono delle medie a
livello mondiale, quindi si tratta di approssimazioni che andrebbero appro-
fondite ulteriormente.
I laici che non appartengono alla Famiglia salesiana e sono presenti nel-
le case salesiane con un contratto sono nel 2020 circa 90.000 e due terzi di
loro sono insegnanti o professori. Il rimanente sono impiegati, dipendenti
o consulenti nelle opere o nelle ispettorie. L’esistenza di diversi programmi
di formazione dei laici a livello regionale, nazionale o ispettoriale è svilup-
pata e consolidata soprattutto nelle due regioni dell’America. Sorprende
che, nonostante il forte impulso dato dal CG24, la missione condivisa e la
formazione congiunta di salesiani e laici non figuri tra le aree e gli obiettivi
dei tre progetti sessennali a livello della Congregazione durante il perio-
do studiato. La condivisione della missione è una consapevolezza che sta
lentamente maturando nella Congregazione, segnando un importante cam-
biamento del modello della ecclesiologia di comunione e della teologia del
laicato del Concilio Vaticano II.16
13 A. Montan, Il religioso presbitero nella Chiesa oggi: attualità, contenuti, pro-
spettiva di un qualificato seminario della CISM, in Á. Fernández Artime, Relazione del
Rettor Maggiore al Capitolo Generale 28, 16.
14 Cfr. J.E. Vecchi, “Io per voi studio...” (C 14). La preparazione adeguata dei confra-
telli e la qualità del nostro lavoro educativo, in ACG 78 (1997) 361, 3-47.
15 Cfr. Dati e statistiche. Capitolo Generale 28°, 97-226.
16 Cfr. Á.Fernández Artime, Relazione del Rettor Maggiore al Capitolo Generale 28.

39.5 Page 385

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384 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
6.1.3. Benedetto XVI e Francesco - indirizzi educativi diversi ma comple-
mentari
I diversi percorsi intellettuali e pastorali dei due ultimi papi, che carat-
terizzano i loro pontificati, si riflettono anche negli accenti posti sull’edu-
cazione. Benedetto XVI, pontefice dal 2005 fino alla rinuncia nel 2013, ha
fatto risuonare fortemente il concetto di “emergenza educativa” nel suo
sintetico e lucidissimo discorso alla diocesi di Roma sui compiti dell’edu-
cazione. La sua brillante analisi parte con l’individuazione di una frattura
nella mentalità e nelle relazioni tra le generazioni all’interno di una cultura
che paralizza l’intenzionalità educativa degli adulti:
È forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in genere tra gli
educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio di non compren-
dere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. In
realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei
giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un’atmosfera
diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore
della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima ana-
lisi della bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione
all’altra qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili
intorno ai quali costruire la propria vita.17
Joseph Ratzinger descrive e riflette spesso nei suoi interventi sul clima
culturale postmoderno soprattutto occidentale, parlando di fondamenta
scosse e di mancanza di certezze essenziali, ma non si chiude nella cri-
tica: le difficoltà sono interpretate all’interno del quadro di un’avventura
della libertà per la quale ogni generazione deve prendere le sue decisioni.
Diversamente dalla cultura e dalla scienza,18 nell’educazione non c’è un
accumulo di contenuti e di sapienza: «Anche i più grandi valori del passato
non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati
attraverso una, spesso sofferta, scelta personale».19 La libertà in crescita
graduale, nel suo equilibrio delicato con la disciplina educativa, si colloca
per papa Benedetto in un contesto relazionale di autorevolezza educativa,
Formazione, [s.e.], [s.l.] 2020, 4.
17 Benedetto XVI, Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente
dell’educazione (21 gennaio 2008), in bit.ly/vatican-va-2008-01-21.
18 Benedetto XVI fa una lettura profonda della trasformazione del binomio cristiano
di fede-speranza nella sintesi moderna ragione-libertà in un percorso da Bacone a Marx
nell’Enciclica Spe Salvi, nn. 16-23.
19 Benedetto XVI, Lettera alla diocesi e alla città di Roma.

39.6 Page 386

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 385
frutto di esperienza e competenza che si acquista soprattutto con la co-
erenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione
dell’amore vero. Così un’autentica educazione cristiana si colloca tra due
virtù teologali: parte dalla carità, che donando vicinanza e fiducia crea
condizioni di educazione autorevole, ed è alimentata da una speranza af-
fidabile, anima dell’educazione che supera la crisi di fiducia nella vita. La
lettera del papa termina la sua sintesi con rimandi all’enciclica Spe Salvi
affermando che solo Dio
è la speranza che resiste a tutte le delusioni; solo il suo amore non può essere
distrutto dalla morte; solo la sua giustizia e la sua misericordia possono risanare
le ingiustizie e ricompensare le sofferenze subite. La speranza che si rivolge a
Dio non è mai speranza solo per me, è sempre anche speranza per gli altri: non
ci isola, ma ci rende solidali nel bene, ci stimola ad educarci reciprocamente alla
verità e all’amore.20
Mentre Benedetto XVI si concentra di più sulle fondamenta teologiche
della speranza cristiana, papa Francesco riprende il tema da un punto di
vista più pastorale, affermando che «non [dobbiamo] lasciarci rubare la
speranza»,21 incoraggiando gli uomini e le donne del nostro tempo ad af-
frontare positivamente il cambiamento sociale, immergendosi nella realtà
con la luce irradiata dalla promessa della salvezza cristiana. Il riferimento
sul volto misericordioso di Dio costituisce la tipicità del paradigma di papa
Francesco nell’educazione, sottolineando in modo particolare la sensibilità
per i sofferenti e gli emarginati22 e sviluppando poi tematiche come l’im-
pegno concreto per il creato nell’enciclica Laudato Si’, l’invito ai giovani
di no balconear, cioè di impegnarsi nella vita, il percorso di un’educazione
dell’amore coniugale nell’Amoris Laetizia, fino ad un percorso educativo e
vocazionale attorno al Sinodo dei Giovani che continua con il Patto Edu-
cativo Globale.
Dalla critica a una pseudo-educazione che tranquillizza i giovani per
trasformarli in esseri addomesticati e inoffensivi, papa Francesco propone
un’educazione che insegni a pensare criticamente e che offra un percorso
di maturazione nei valori, in cui i giovani sono chiamati a essere prota-
20 Ibid.
21 Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (24 novembre 2013), in
AAS 105 (2013) 1019-1137, n. 86.
22 Cfr. Francesco, Misericordiae Vultus. Bolla di indizione del giubileo straordinario
della misericordia (11 aprile 2015), in AAS 107 (2015) 399-420, n. 15.

39.7 Page 387

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386 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
gonisti del loro cammino di crescita.23 Mentre Benedetto sviluppa il tema
delle ragioni di fede per l’educazione, Francesco, mettendo in gioco la sua
logica pastorale, critica soprattutto ”l’elitizzazione dell’educazione“ che
produce un educational divide.24 Le sue proposte partono da una Chiesa
come “ospedale da campo”, che mette in gioco la logica della vicinanza
e della misericordia con i giovani scartati ed esclusi, fino a ripensare le
istituzioni universitarie cattoliche nella loro missione di evangelizzare le
diverse culture nello scenario multiculturale contemporaneo:
Gli studi ecclesiastici non possono limitarsi a trasferire conoscenze, compe-
tenze, esperienze, agli uomini e alle donne del nostro tempo, desiderosi di cre-
scere nella loro consapevolezza cristiana, ma devono acquisire l’urgente compito
di elaborare strumenti intellettuali in grado di proporsi come paradigmi d’azione
e di pensiero, utili all’annuncio in un mondo contrassegnato dal pluralismo etico-
religioso. Ciò richiede non solo una profonda consapevolezza teologica, ma la
capacità di concepire, disegnare e realizzare, sistemi di rappresentazione della
religione cristiana capace di entrare in profondità in sistemi culturali diversi.25
Non mancano ovviamente letture che interpretano i pontificati di Gio-
vanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco in una logica di discontinu-
ità, rinforzando la contrapposizione tra i conservatori e i progressisti.
Le interpretazioni dei recenti pontificati, con le connesse idee sul Va-
ticano II, sono la punta dell’iceberg di dinamiche postmoderne molto
complesse. Più delle reali differenze tra i pontificati, la ricerca indica che
l’opposizione sia in buona parte frutto delle dinamiche comunicative del
terzo millennio nell’intreccio tra il paradigma della post-verità, i social
media e l’elaborazione algoritmica dei motori di ricerca.26 Di questo e
delle ricadute educative dei new media, ce ne occuperemo brevemente
nel prossimo paragrafo.
23 Cfr. Francesco, Evangelii Gaudium, nn. 60, 64, 106.
24 Cfr. J. Bergoglio, Scegliere la vita, Bompiani, Milano 2013, 94-95 e Papa France-
sco, La mia scuola, a cura di F. De Giorgi, La Scuola, Brescia 2014.
25 Francesco, Costituzione apostolica Veritatis Gaudium circa le università e le fa-
coltà ecclesiastiche (27 dicembre 2017), in AAS 110 (2018) 1-41, n. 5.
26 Cfr. p.e. B.B. Hawks - S. Uzunoğlu, Polarization, Populism and the New Politics.
Media and Communication in a Changing World, Cambridge Scholars, Newcastle upon
Tyne 2019; S. Flaxman - S. Goel - J.M. Rao, Filter Bubbles, Echo Chambers, and On-
line News Consumption, in «Public Opinion Quarterly» 80 (2016) S1, 298-320; M.X.
Delli Carpini - F.L. Cook - L.R. Jacobs, Public Deliberation, Discursive Participation,
and Citizen Engagement. A Review of the Empirical Literature, in «Annual Review of
Political Science» 7 (2004) 1, 315-344.

39.8 Page 388

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 387
6.1.4. Il digitale tra strumento, spazio e simbolo di una generazione
La concezione postmoderna dell’uomo enfatizza ulteriormente le ten-
denze di base dell’epoca precedente: la libertà di scelta fino all’estremo,
l’empirismo conoscitivo e il pragmatismo etico. Nel terzo millennio l’uo-
mo sarebbe una potenzialità indefinita che si auto-crea con le proprie scelte
fino all’autodeterminazione completa. Partendo dalle piccole scelte più dif-
fuse nelle esperienze del tempo libero, dell’espressività, delle relazioni, si
arriva alle logiche di scelta di competenze che il soggetto attua nel percor-
so educativo o formativo, fino a voler cambiare la cultura di appartenenza,
la propria identità di genere o in extremis di scegliere la non esistenza se la
realtà non corrisponde alle proprie aspettative.
Il contesto culturale postmoderno risulta così impregnato di nichilismo
filosofico (non c’è niente di stabile, vero e valido), di relativismo etico (l’in-
dividuo è al di là del bene e del male) e di “genderismo” antropologico
(oscillante tra la scelta del genere e le procedure unisex). Oltre alla mol-
teplicità potenziale delle scelte, c’è l’effetto paralizzante di una valanga di
studi empirici e delle metodologie che derivano da essi sui piccoli aspetti
(o dimensioni) della vita. La frammentarietà di questo empirismo pragma-
tico alla fine induce la maggioranza delle persone ad adottare una parados-
sale standardizzazione degli stili di vita, addolcita con apparenti e banali
personalizzazioni: posso scegliere l’immagine di sfondo dello schermo ma
non i dati che il sistema raccoglie e condivide su di me con terzi e per fini
di lucro. Con i condizionamenti del mondo digitale si rischia di chiudersi
in una bolla cognitiva basata sulle preferenze, creando degli algorithmic
consumers.27 Ovviamente, gli effetti dei nuovi media sono più forti sulla
nuova generazione dei giovani, denominata iGen a differenza della xGen
cresciuta con la televisione degli anni ’80 e ’90. La ricercatrice psicologa
Jean Marie Twenge delinea dieci interessanti caratteristiche dei giovani del
terzo millennio:
immaturità (l’infanzia prolungata oltre l’adolescenza);
internet (l’attività online come un passatempo universale);
incorporeità (il declino delle interazioni sociali personali);
instabilità (la crisi della salute mentale);
27 Cfr. l’interessante studio di M.S. Gal - N. Elkin-Koren, Algorithmic Consumers,
in «Harvard Journal of Law & Technology» 30 (2017) 2, 1-45 che fa vedere come gli
algoritmi non influiscono solo a livello cognitivo ma hanno importanti implicazioni
economico-sociali.

39.9 Page 389

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388 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
irreligiosità (la perdita di riferimenti religiosi e spirituali);
isolamento (l’accento sulla sicurezza e non sull’impegno comunitario);
incertezza (la precarietà dei modelli lavorativi);
indefinitezza (l’identità fluida su sessualità, matrimonio e procreazione);
inclusività (la tendenza ad accettare le differenze e le minoranze);
indipendenza (a livello di convinzioni politiche).28
Il salesiano Fabio Pasqualetti fa una lettura interessante delle dinamiche
di continuità tra le ultime generazioni giovanili. La dinamica, nata prima
del digitale, che si colloca al cuore della società attuale è l’importanza dello
spettacolo. Gli aspetti della bellezza, armonia, veridicità, eticità o coerenza
sono secondari o non considerati; importante è l’impatto: «Il pragmatismo
e l’edonismo presenti in molti comportamenti di persone adulte denuncia-
no una rinuncia ad assumerne le proprie responsabilità. Tutto questo prima
dell’avvento dell’uso della rete».29 Penso che sia lecito percepire la rivolu-
zione comunicativa attuale alla luce di altre rivoluzioni comunicative della
storia: dall’orale allo scritto, dallo scritto alla stampa di Gutenberg. Ogni
cambiamento non annulla il precedente, ma lo integra in una nuova sintesi
che dovrà gestire il flusso delle informazioni, delle conversazioni e dei
“testi”. Prima c’erano sistemi gestionali come biblioteche, raccolte private,
comunità di scienziati con le loro riviste, indici di libri proibiti, samizdat,
e tutto un sistema economico-gestionale attorno alle case editrici. Nell’era
digitale ci sono, invece, indicizzazioni algoritmiche come Google, censu-
ra robotizzata, raccolte digitali, collezioni delle valutazioni degli utenti,
progetti collaborativi come Wikipedia, disinformazioni delle fake news,
contenuti nascosti o illegali nel dark web, ecc.
Interessanti i paralleli segnalati vent’anni fa dallo studioso di economia
internazionale James Dewar: i cambiamenti nell’era digitale possono esse-
re drammatici come quelli della stampa di Gutenberg che ha contribuito
significativamente a passare dal medioevo all’epoca moderna; il futuro del
digitale sarà dominato da conseguenze indesiderate, come nell’era della
stampa; ci vorranno decenni prima che si vedano i pieni effetti dell’era
digitale. Mentre gli eventi accadono ai giorni nostri più velocemente e l’in-
28 Cfr. J.M. Twenge, iGen. Why Today’s Super-Connected Kids are Growing Up Less
Rebellious, More Tolerant, Less Happy and Completely Unprepared for Adulthood and
What That Means for the Rest of Us, Atria Books, New York 2017.
29 Cfr. F. Pasqualetti, Dietro le quinte della rete, in M. Vojtáš - P. Ruffinatto (eds.),
Giovani e scelte di vita: Prospettive educative. Atti del Congresso Internazionale orga-
nizzato dall’Università Pontificia Salesiana e dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’E-
ducazione Auxilium Roma, 20-23 settembre 2018, LAS, Roma 2019, 84.

39.10 Page 390

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 389
formazione è quasi immediata, le dinamiche profonde di sviluppo della
rete dureranno decenni, perché legate ai ritmi di apprendimento umani e
(inter)generazionali. Nonostante la retorica dei veloci mutamenti, un cam-
biamento culturale significativo e permanente avviene con i suoi ritmi non
rapidi, come emerge dallo studio sui parallelismi nelle rivoluzioni comu-
nicative della storia.30
Come salesiani abbiamo avuto l’esperienza della prima generazione,
cresciuta attorno alla metà dell’800, del passaggio da una cultura comuni-
cativa orale delle campagne alla cultura cittadina dello scritto stampato. Lo
sforzo dell’alfabetizzazione era il motore delle scuole salesiane, adattando
un modello di liceo classico con attenzione alla modernità, e le editrici
salesiane trovavano modelli gestionali che mettevano in sinergia la diffu-
sione di libri alle classi popolari e l’apprendimento degli artigiani tipografi
e legatori. Un’attenzione simile ci vorrà per il passaggio dalla cultura dello
scritto stampato alla cultura visuale e interattiva del digitale. Per adesso
sembrerebbe che i salesiani siano presenti nel mondo digitale (con fortune
alterne), ma non ancora con un modello che crei sinergia tra l’educazione e
la produzione digitale mediatica.
Nella Congregazione salesiana non mancano documenti con riferimen-
ti alla missione della comunicazione sociale, alcuni di essi già del terzo
millennio, come il Manuale per la comunicazione sociale nato sotto il co-
ordinamento di don Martinelli.31 Il primo documento che prende sul serio
la cultura digitale è la lettera del rettor maggiore don Pascual Chávez del
2005 con il titolo Con il coraggio di Don Bosco nelle nuove frontiere della
comunicazione sociale.32 La lettera riprende alcuni stimoli precedenti e
propone un cambio di mentalità (non ancora avvenuto), ripresentando la
proposta di don Viganò del 1981, che prevedeva una formazione in comu-
nicazione sociale per i salesiani sviluppata in tre livelli: quello generale
di base, quello degli animatori, operatori educativi e pastorali, e quello
della preparazione specialistica. Vent’anni dopo, nel 2000, già don Vecchi
ne aveva ribadito la necessità, scrivendo dell’urgenza della qualificazione:
«L’unica strada utile da seguire è quella della formazione. La nuova alfa-
betizzazione, cioè la capacità di leggere e scrivere nella cultura dei media,
30 Cfr. J.A. Dewar, The information age and the printing press: Looking backward to
see ahead, Rand, Santa Monica CA 1998.
31 Cfr. Dicastero per la Comunicazione Sociale, Manuale per la comunicazione so-
ciale, SDB, Roma 2005.
32 Cfr. P. Chávez Villanueva, Con il coraggio di Don Bosco nelle nuove frontiere
della comunicazione sociale, in ACS 86 (2005) 390, 3-46.

40 Pages 391-400

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40.1 Page 391

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390 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
riguarda tutte le persone e, per quanto concerne la fede, tutti i credenti.
Quanto più dovrà interessare ad educatori ed evangelizzatori!».33
Sembra che gli interventi sulla comunicazione negli ultimi quarant’anni
abbiano seguito una tipica doppia modalità salesiana: da una parte l’esor-
tazione generale sui principi; dall’altra i concreti ma parziali passi nelle
risposte alle situazioni problematiche, che richiedono un’attenzione im-
mediata. Una ulteriore necessità di formazione sembra riguardi l’uso dei
social media da parte dei salesiani. Nel 2014 il Dicastero per la Comunica-
zione Sociale ha pubblicato il documento Consigli per l’uso dei social me-
dia, ispirandosi ai documenti della Conferenza Episcopale della Germania,
fornendo linee guida prudenti e trasparenti per l’uso di Internet e dei social
network a livello individuale, comunitario e istituzionale.34
6.1.5. I giovani adulti e le IUS come un nuovo campo di azione
Negli ultimi trent’anni si nota una forte crescita delle Istituzioni di
Educazione Superiore Salesiane (IUS). All’origine dell’investimento sale-
siano nell’educazione terziaria troviamo diversi fattori: da un lato si nota
nel mondo la crescita generale delle istituzioni universitarie, spinta dalle
esigenze della società post-industriale; dall’altro si mette in gioco la sen-
sibilità della Famiglia salesiana nell’accompagnamento della crescita dei
giovani, che necessitano ritmi di maturazione più lunghi rispetto alle epo-
che precedenti. Vista la storia dello sviluppo della rete IUS mi sembra op-
portuno tracciare due insiemi di motivazioni.35 Il primo parte dai bisogni
educativo-pastorali del mondo giovanile; il secondo, invece, risponde piut-
tosto alle esigenze della formazione dei salesiani. Tutti e due si ispirano,
conseguentemente, a riflessioni che hanno sfumature diverse.
Gli ultimi decenni del secolo scorso erano caratterizzati nell’Occidente
dalla possibilità dei giovani delle classi popolari di accedere all’educazione
superiore. L’università non veniva più vista come un settore per pochi pri-
vilegiati, ma piuttosto come un ambiente per una buona parte dei giovani.
33 J.E. Vecchi, La comunicazione nella missione salesiana “È straordinario! Fa sen-
tire i sordi e fa parlare i muti”, in Chávez Villanueva, Con il coraggio di Don Bosco, 43.
34 Cfr. F. González, Presenza nelle reti sociali in «Atti del Consiglio Generale» 97
(2016) 423, 33-42.
35 Cfr. M. Olmos, Origen y desarollo de las Instituciones Salesianas de Educación
Superior. Visión crítica del proceso histórico de las IUS, in M. Farfán (ed.), Carisma
salesiano y educación superior, Editorial Universitaria Abya-Yala, Quito 2019, 21-44.

40.2 Page 392

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 391
In più si constata anche un allungamento dell’età giovanile e si introduce il
termine “giovane adulto”, per designare i maggiorenni secondo la legge, i
quali però si trovano ancora in processi di maturazione e formazione, nella
fascia di età compresa tra 18 e 28 anni.36 Soprattutto nel contesto europeo,
i Salesiani di don Bosco sviluppano a partire dagli anni Ottanta delle ri-
flessioni sulla pastorale dei giovani universitari, mentre verso la fine del
millennio comincia a prevalere un’attenzione sulle Istituzioni Salesiane di
Educazione Superiore nate in altri contesti. In questo processo si riconosce
un tipico modo di procedere salesiano: prima si risponde ai bisogni dei gio-
vani, si sperimentano diversi programmi e progetti e infine si chiariscono
le soluzioni istituzionali.
Juan Edmundo Vecchi, nel ruolo di consigliere per la pastorale giovani-
le e più tardi di rettor maggiore, è una delle figure centrali dell’animazione
e del pensiero sull’educazione superiore salesiana. Nel 1988 affronta per la
prima volta in maniera organica il tema “I salesiani e la pastorale tra gli
universitari”, organizzando un incontro a livello europeo.37 Si constata che
«l’attenzione per ora è quasi del tutto nell’ambito della pastorale per uni-
versitari. Tale azione pastorale trova attuazione nei pensionati/residenze
per universitari (oltre la ventina), in alcune cappellanie, meno nei club o
circoli universitari. Nessun rilievo sembra essere dato al mondo universita-
rio nella pastorale giovanile d’insieme».38 I rilievi conclusivi dell’incontro
riportano alcune sintesi e motivazioni per la pastorale salesiana nel “mon-
do universitario”:
– l’età giovanile si è allungata;
– gli studi universitari sono diventati accessibili ai giovani delle classi
popolari;
– gli universitari si trovano sempre più in situazione di abbandono e a
rischio;
– l’educazione degli universitari è richiesta dal principio della continuità;
– il mondo universitario è luogo privilegiato della formazione dei leader.
Tra le forme del disagio o delle nuove povertà degli universitari ven-
gono riferiti sostanzialmente due insiemi di problematiche. Il primo di
36 Già il CG22 (1984) al n. 71 afferma che «è importante non fermarsi all’adolescen-
za… ma spingersi oltre, verso la gioventù, dove in questo momento si costatano interes-
santi fenomeni culturali e religiosi».
37 Cfr. J.E. Vecchi, Presentazione, in C. Nanni (ed.), Salesiani e pastorale tra gli
universitari, SDB, Roma 1988, 5-7.
38 Sintesi conclusiva, in Nanni (ed.), Salesiani e pastorale tra gli universitari, 162-
163.

40.3 Page 393

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392 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
carattere relazionale: l’abbandono a se stessi, l’individualismo, lo sradica-
mento, l’anonimato degli ambienti universitari, la crisi degli organismi di
partecipazione. Un secondo insieme ruota attorno agli aspetti problematici
dell’università in quanto tale: riduzione economico-strumentale della cul-
tura, forte competitività che induce la paura dell’insuccesso, futuro occu-
pazionale incerto.39 Come risposte alla situazione, gli autori dell’incontro
indicano la promozione di una pedagogia dell’ambiente e di una pedagogia
dell’accompagnamento personale. In questo contesto si colloca anche il
progetto di orientamento con basi psicologiche elaborato da Umberto Fon-
tana nei primi anni ’90,40 mentre Carlo Nanni nella sua proposta supera
la pura mentalità reattiva rispetto ai bisogni e prospetta proattivamente la
pastorale tra gli universitari come un campo privilegiato per la pastorale
vocazionale.41
Come per ragioni sociologico-culturali in Europa sembrava prevalere
il modello della pastorale degli universitari, così in America latina si svi-
luppavano piuttosto le Università o le Istituzioni Salesiane di Educazione
Superiore. Il contesto, la legislazione e le opportunità hanno favorito il
sorgere di Università che sono venute incontro alle classi popolari nella
domanda per una maggiore professionalizzazione. Juan Vecchi afferma,
circa le IUS, che «all’inizio si è badato soprattutto all’organizzazione del
servizio per creare opportunità di educazione superiore nel settore popo-
lare e occupare spazi culturali disponibili».42 Poiché si era partiti all’inizio
con una proposta accademica strutturata a livello di ambiente, Vecchi se-
gnalava ora piuttosto la sfida della formazione di équipe qualificate profes-
sionalmente, pastoralmente e salesianamente, in grado di creare proposte
alternative rispetto alla mentalità dominante: «Compiuto il primo sforzo
organizzativo che tali iniziative richiedono, è il momento di affrontare,
con decisione e comunitariamente, la qualificazione culturale e pastorale,
a partire dalla preparazione di confratelli e laici».43 In una simile linea di
proposta e di attenzioni si è mosso lo sviluppo recente dei college in Asia
39 Cfr. Ibid., 40-41.
40 Cfr. U. Fontana - G. Piccolboni (eds.), Costruiamo un professionista. L’esperienza
di Costagrande, Mazziana, Verona 1993 e U. Fontana, L’orientamento universitario, in
«Rassegna CNOS» 10 (1994) 1, 57-61.
41 Cfr. C. Nanni, Offerte salesiane agli universitari, in Nanni (ed.), Salesiani e
pastorale tra gli universitari, 45.
42 J.E Vecchi, Io per voi studio” (C 14). La preparazione adeguata dei confratelli
e la qualità del nostro lavoro educativo, in «Atti del Consiglio Generale» 78 (1997)
361, 43.
43 Ibid., 43-44.

40.4 Page 394

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 393
meridionale (India), pensati come strutture di istruzione superiore dedi-
cate alla professionalizzazione dei giovani provenienti da settori rurali e
popolari.
Attorno alla formazione dei Salesiani di don Bosco è nato un altro tipo
di educazione superiore a livello di idee ma anche a livello di mentalità,
che struttura poi i progetti, i curricoli e i modelli educativi impliciti. Ciò è
particolarmente evidente negli IUS che sono nati, con più o meno continu-
ità, da uno studentato filosofico o teologico finalizzato alla formazione dei
salesiani. L’evoluzione della necessità di qualificare i salesiani con studi
superiori ha avuto un suo culmine nella già citata lettera di don Vecchi
Io per voi studio del 1997, alla quale fa riferimento l’istituzione della rete
IUS.44 Questi si collocano esplicitamente nel contesto della formazione di
un “nuovo tipo di salesiano” che corrisponde alle esigenze della “nuova
evangelizzazione” e della “nuova educazione”. Don Vecchi esige una si-
nergia tra IUS e le ispettorie, in vista di un nuovo modello educativo di
salesiani culturalmente preparati, capaci di discernere, animare, orientare
e accompagnare.45
Partendo da questi riferimenti ideali, le IUS, che non sono concepite
esclusivamente per la formazione dei religiosi salesiani ma anche a servi-
zio delle giovani generazioni, hanno un potenziale di irradiazione del pen-
siero e dell’azione vasto e «devono definire il loro orientamento conforme
al carattere cattolico e la loro filosofia educativa in sintonia con i criteri
salesiani, costituendosi in centri di formazione di persone ed elaborazione
di cultura di ispirazione cristiana», superando la tentazione di appiatti-
mento alla mentalità dominante. Da qui sorge la necessità e l’urgenza di
«affrontare, con decisione e comunitariamente, la qualificazione culturale
e pastorale, a partire dalla preparazione di confratelli e laici».46
6.1.6. Educazione postindustriale, lean management e importanza della
leadership trasformativa
Il contesto postmoderno ha influito ovviamente anche sulle concezioni
pedagogiche del terzo millennio. Nel mondo VUCA incerto e in continuo
44 Cfr. J.E Vecchi, Un servizio per le istituzioni universitarie salesiane, in «Atti del
Consiglio Generale» 79 (1998) 362, 97-99.
45 Cfr. Vecchi, Io per voi studio”, 17-18.
46 Cfr. Ibid., 40 e 44.

40.5 Page 395

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394 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
cambiamento si è avvertita da un lato l’esigenza di formare personalità che
siano flessibili, capaci di adeguarsi, ripensarsi e abbiano a disposizione un
set di competenze differenziate; dall’altro la necessità che le persone adul-
te abbiano un’identità chiara, fondata su atteggiamenti etici e virtuosi ed
espressa in una vision-mission personale. Le proposte di una progettazione
lineare e tecnica degli anni ’80 (anche salesiana) ispirata al management
by objectives non sembra più corrispondere al contesto e al mondo vitale
delle nuove generazioni.47
In pedagogia le competenze differenziate si declinano in modi diversi.
Uno dei più diffusi è rappresentato dalla teoria delle “intelligenze mul-
tiple” elaborata da Howard Gardner, il quale propone un’educazione che
ruota attorno alla triade del vero, bello e buono. Si presentano diversi tipi
di intelligenza con il potenziale di sviluppare una flessibilità che può es-
sere impiegata nello studio di argomenti estremamente specifici non meno
che negli approfondimenti di temi generali dell’umanità.48 Edgar Morin,
invece, nella sua prospettiva parla di “pensiero complesso” che intercon-
nette le singole conoscenze in una presa di posizione ragionata rispetto
alla totalità del reale. Questo pensiero incompiuto si muove nei confini tra
la conoscenza scientifica, le credenze, il sapere pratico e l’evidenza del
non-sapere, sfuggendo così sia alle esemplificazioni del positivismo fun-
zionalista che alla paralisi tragica della ricerca di una sintesi impossibile.49
Le posizioni di Gardner e Morin ruotano attorno alla problematicità
della conoscenza nell’epoca postmoderna. Altri autori, invece, diversa-
mente da essi si muovono su strade più processuali che gnoseologiche,
proponendo nuove modalità di apprendimento. Donald Schön sviluppa una
concezione del “riflettere nel corso dell’azione”, pregnante soprattutto nel-
le professioni complesse come quelle di educatore, insegnante, consulente
o psicologo. L’attività educativa non è vista come una sequenza meccanica
di attività programmate, ma è un costante dialogo di contrattazione tra le
persone, di mediazione tra le finalità ultime, i progetti impliciti ed espliciti
47 Cfr. M. Vojtáš, Pedagogia salesiana della scelta e della vocazione. Evoluzioni,
riletture, proposte, in M. Vojtáš - P. Ruffinatto (eds.), Giovani e scelte di vita: Prospet-
tive educative. Atti del Congresso Internazionale organizzato dall’Università Pontificia
Salesiana e dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium Roma, 20-23
settembre 2018, LAS, Roma 2019, 347-382.
48 Cfr. H. Gardner, Truth, Beauty, and Goodness Reframed: Educating for the Vir-
tues in the Age of Truthiness and Twitter, Basic Books, New York 2011 e Id., Sapere per
comprendere. Discipline di studio e discipline della mente, Feltrinelli, Milano 2009.
49 Cfr. E. Morin, Educare per l’era planetaria. Il pensiero complesso come metodo
di apprendimento nella condizione umana di errore e incertezza, Armando, Roma 2004.

40.6 Page 396

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 395
e le intuizioni sullo stato delle persone e delle situazioni, ecc. L’attenzione
al processo di Schön viene ulteriormente sviluppata negli anni Novanta
da Jack Mezirow che propone l’apprendimento trasformativo. La relazio-
ne educativa è teorizzata come una consulenza o un mentoring circa le
domande profonde che necessitano un esame critico degli assunti socia-
li, psicologici ed epistemologici di fondo.50 La teoria della trasformazione
influisce anche sul campo organizzativo, all’interno del quale Noel Tichy
e Mary Devanna propongono una leadership trasformativa, con ulteriori
sviluppi proposti da Otto Scharmer che elabora il concetto di trasformazio-
ne spiritualmente profonda.51
Reagendo all’individualismo moderno, alcuni pedagogisti avanzano te-
orie che valorizzano le variabili sociali e comunitarie nell’apprendimento.
Il salesiano Mario Comoglio, riconosciuto esperto del cooperative lear-
ning in Italia, si colloca nella scia di pensiero sviluppata da Kurt Lewin e
Morton Deutsch, offrendo un modello di relazioni di interdipendenza pro-
positiva nell’apprendimento di gruppo. Nella sua proposta si sviluppano i
temi della condivisione dell’obiettivo dell’apprendimento come un fattore
propulsivo, del potenziale del gruppo, delle competenze sociali propositi-
ve, dell’analisi delle motivazioni interiori, della stima di sé o della salute
mentale, affrontando paure, timori e ansie nell’apprendimento.52 Étienne
Wenger, con la proposta della “comunità di pratica”, si muove in una di-
rezione simile valorizzando le prassi sociali condivise che, oltre a favorire
l’apprendimento di conoscenze e competenze, costruiscono l’identità di
una community of practice che va oltre il semplice project team riunito
solo attorno al compito.53
Con Alasdair MacIntyre prende avvio un’altra corrente di pensiero pe-
dagogico che punta sull’educazione etica del carattere. Per esempio la pro-
posta di David Carr dimostra come le prospettive liberali non siano suffi-
50 Cfr. J. Mezirow et al., Fostering Critical reflection in adulthood. A Guide to Tras-
formative and Emancipatory Learning, Jossey-Bass, San Francisco 1990 e Id., Transfor-
mative Dimensions of Adult Learning, Jossey-Bass, San Francisco 1991.
51 Cfr. C.O. Scharmer, Theory U. Leading from the Future as it Emerges. The Social
Technology of Presencing, SoL, Cambridge MA 2007.
52 Cfr. G. Chiosso, I significati dell’educazione. Teorie pedagogiche e della forma-
zione contemporanee, Mondadori, Milano 2009, 169-172 che valuta il volume di M. Co-
moglio - M.A. Cardoso, Insegnare e apprendere in gruppo. Il Cooperative Learning,
LAS, Roma 1996.
53 Cfr. E. Wenger, Communities of Practice. Learning, Meaning, and Identity, Cam-
bridge University Press, Cambridge 1998; E. Wenger - R. Mcdermott - W.M. Snyder,
Cultivating Communities of Practice, Harvard Business School, Boston MA 2002.

40.7 Page 397

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396 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
cienti per fondare la morale della vita sociale e democratica. La sua etica
delle virtù va oltre la logica dei soli diritti, proponendo sia principi parti-
colari che principi generali indipendenti dalle prospettive comunitariste e
costruttiviste.54 L’analisi delle virtù, degli abiti e delle attenzioni interioriz-
zate si allarga anche nel campo della progettualità educativa, equilibrando
il tecnicismo dell’epoca precedente con una leadership etica, comunitaria
e di servizio.55
6.1.7. Quali giovani emergono dal Sinodo del 2018
Le tendenze del terzo millennio nel mondo giovanile e la relativa ri-
flessione ecclesiale sono emerse nella speciale occasione del Sinodo dei
vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. In questo
paragrafo vogliamo approfondire l’immagine dei giovani e della famiglia
salesiana come si è delineata attorno all’evento del Sinodo, piuttosto che la
complessa evoluzione di pensiero tra il Documento preparatorio, l’Instru-
mentum laboris, il Documento finale dell’incontro presinodale, il Docu-
mento finale dell’Assemblea generale dei vescovi e l’esortazione apostolica
Christus vivit.
Una significativa novità del sinodo è stata la modalità di lavoro dialogi-
ca con il questionario online lanciato ai giovani di tutto il mondo nella fase
preparatoria dei lavori. Si è voluto «dare virtualmente a ogni persona tra
i 16 e i 29 anni, ovunque si trovi nel mondo, la possibilità di raccontarsi e
dare il proprio contributo nel percorso del Sinodo».56 Infatti, il questionario
permetteva di esprimere liberamente opinioni e stati d’animo attraverso
domande aperte, con la possibilità di avanzare richieste e proposte in vi-
sta della preparazione dell’Instrumentum laboris. La seconda finalità del
questionario, quella di fornire un ritratto della realtà dei giovani nelle varie
aree del mondo, è stata raggiunta solo in parte a causa del digital divide e
della partecipazione solo parziale di intere aree, come il nord America.57
La maggioranza (oltre i 70%) dei giovani partecipanti all’inchiesta si
54 Cfr. D. Carr, The moral roots of citizenship. Reconciling principle and character
in citizenship education, in «Journal of Moral Education» 35 (2006) 4, 443-456.
55 Cfr. Vojtáš, Progettare e discernere, 152-161.
56 Cfr. Sinodo dei vescovi, Il mondo delle nuove generazioni attraverso il questionario
online. The world of new generations according to the online questionnaire, a cura di
Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, LEV, Città del Vaticano 2018, 4.
57 Cfr. Ibid., 7.

40.8 Page 398

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 397
percepisce responsabile, capace di relazionarsi positivamente con gli altri,
anche con i più grandi, e a livello cognitivo si vede allo stesso tempo empa-
tica, con un pensiero critico e con sogni da realizzare. All’opposto, le com-
petenze trasversali che appaiono possedute di meno sono la gestione dei
conflitti, l’idea positiva di sé e la leadership. Tralasciando le differenze per
continenti o per genere, l’immagine del futuro è legata alla realizzazione
professionale (lavoro stabile secondo le proprie attitudini), poi viene la fa-
miglia (avere una propria famiglia e figli), e verso la fine si colloca un impe-
gno di trasformazione sociale combinato con la sfiducia nelle istituzioni.58
A livello religioso, seguire Dio è associato ai concetti di “vita”, “verità”,
“salvezza” e “padre” con percentuali molto vicine tra di loro. Interessante
notare come il termine “felicità” tocchi i valori più alti in America latina
e i più bassi in Europa, nella quale riaffiora con più frequenza il concetto
di “dubbio”.59 Attorno al concetto centrale di “vocazione” emergono indi-
zi di continuità e discontinuità rispetto all’epoca precedente. Nonostante
sia ancora importante la realizzazione personale attraverso un progetto di
vita, che include una dimensione di servizio, la discontinuità con il periodo
postconciliare si nota nell’accresciuta importanza della fede, del dono di sé
e una minore importanza delle problematiche anti-autoritarie legate alla
paura o alla costrizione.60
Interessanti spunti di autopercezione vengono offerti successivamen-
te dal Documento finale pre-sinodale dei giovani. Chiaramente, come il
questionario online, si tratta di una rappresentanza dei giovani a contatto
con la Chiesa, non dell’intero mondo giovanile. È stimolante leggere il
Documento pre-sinodale nello svolgersi dei capisaldi tematici: 1. il bisogno
di comunità di sostegno, edificanti, autentiche e accessibili come luogo di
crescita; 2. la gioia e la responsabilità sacra di accompagnare i giovani nel
loro cammino di fede in Gesù e di discernimento vocazionale; 3. la richie-
sta di una Chiesa autentica che promuova il protagonismo dei giovani; 4.
la concretizzazione: luoghi, iniziative e strumenti.61
A livello salesiano è stato significativo il convegno “Giovani e scelte di
vita” svoltosi alcune settimane prima dell’Assemblea generale dei vescovi.
Gli interventi sulle specificità dei diversi mondi giovanili nei vari continenti
58 Cfr. Ibid., 9-19.
59 Cfr. Ibid., 36-40.
60 Ibid., 43.
61 Sinodo dei Vescovi Xv Assemblea Generale Ordinaria «I giovani, la Fede e il
discernimento vocazionale», Riunione pre-sinodale. Documento finale, Roma 19-24
marzo 2018, in bit.ly/synod-va-2018.

40.9 Page 399

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398 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
hanno permesso di prendere coscienza delle loro caratteristiche. Elenchiamo
alcune tra le più stimolanti: una cultura digitale io-centrista, individualistica
e consumistica; un’attenzione sull’educazione per il mondo del lavoro sentito
nell’Africa e nell’America latina; un bisogno di empowerment dei giovani
nelle regioni asiatiche, caratterizzate da “speranze e disperazione”; i dilem-
mi tra la schiavitù della moda e una religiosità home made europea o “un
cattolicesimo a modo mio” latinoamericano; la necessità di superare una fal-
sa non-conflittualità disimpegnata socialmente.62 Franco Garelli nella lettura
della ricerca tra gli operatori pastorali salesiani propone un elenco di binomi
caratterizzanti l’ambivalenza dei mondi giovanili:
i giovani vengono descritti come: più allegri che ottimisti, più socievoli che
volenterosi, più curiosi che interessati, più attivi che fiduciosi; in parallelo, essi
appaiono più coraggiosi che forti (capaci di reagire alle difficoltà), più aperti
che profondi (e “credenti”), più generosi che riflessivi; l’ultimo posto assegnato
alla coerenza pare il segno più evidente di una condizione ambivalente, propria
di soggetti che faticano a mettere ordine nelle loro scelte e nell’agenda di vita.63
La lettura delle interviste fa capire come si parla dei giovani (comuni-
cativamente), ma si “legge” l’anima salesiana (meta-comunicativamente).64
Nonostante tutti i limiti delle ricerche selettive, che tuttavia non attenua-
no l’aspetto più autentico, la propensione delle salesiane e dei salesiani è
quella di guardare ai giovani d’oggi in termini globalmente positivi, pur
registrando molte tensioni e contraddizioni che li abitano. Non si tratta
tanto di una visione “buonista” o “ingenua” della condizione giovanile,
quanto di una lettura “matura” delle giovani generazioni che sembra es-
sere suffragata dall’esperienza e dalla prassi educativa. L’immagine che
emerge in questo denso lavoro non è quella di un soggetto “astratto” e
“generalizzato”, ma dei giovani “in carne e ossa” che si incontrano nelle
case salesiane. Garelli conferma il tratto tipico del discernimento salesiano
che non si colloca in letture sociologiche oggettivizzanti, ma è piuttosto il
frutto «di una verifica quotidiana, oggetto di continuo e duraturo riscontro
nelle dinamiche ordinarie della vita e del rapporto educativo».65
62 Cfr. M. Vojtáš - P. Ruffinatto (eds.), Giovani e scelte di vita: Prospettive educative.
Atti del Congresso Internazionale organizzato dall’Università Pontificia Salesiana e
dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium Roma, 20-23 settembre
2018, LAS, Roma 2019, 31-201.
63 Cfr. F. Garelli, Presentazione della ricerca “Giovani e scelte di vita” e conclusioni,
in Vojtáš - Ruffinatto (eds.), Giovani e scelte di vita, 190.
64 Cfr. Ibid., 199.
65 Ibid., 200.

40.10 Page 400

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 399
6.2. Le linee pedagogiche diffuse da Roma nel cambio di millennio
6.2.1. Domènech e le sintesi del Quadro di riferimento (1998 e 2000)
Il rettor maggiore Pascual Chávez Villanueva riepiloga la situazione
nel campo educativo-pastorale all’inizio degli anni ’90 e la conseguente
nascita del Quadro di riferimento per la pastorale giovanile salesiana, con
queste espressioni: «Esisteva un patrimonio di riflessione e prassi pastora-
le salesiana straordinariamente ricco e consistente, del quale si sentiva la
necessità di avere una completa visione d’insieme e di raccoglierne in una
sintesi organica e condivisa le linee fondamentali per facilitarne l’assimi-
lazione personale e l’orientamento della prassi. Il Dicastero per la pasto-
rale giovanile cercò di rispondere a tale necessità offrendo alle ispettorie
e comunità la suddetta raccolta organica e promuovendo in questi ultimi
anni un processo sistematico di formazione pastorale, in particolare dei
confratelli che hanno responsabilità di animazione e governo».66
Infatti, dopo il CG24 (1996), che aveva approfondito la riflessione sul-
la comunione e corresponsabilità con i laici, strettamente collegate con
il tema della CEP, il rettor maggiore Juan Vecchi espresse il bisogno di
«un quadro di riferimento spirituale che, con la “grazia di unità” propria
della consacrazione apostolica salesiana, porti a tradurre lo sforzo di co-
noscenza e di azione in esperienza di vita nello Spirito. Abbiamo ripetuto
sovente che bisogna unire nella mente e nella vita spiritualità, pastorale,
pedagogia; cammino di santità, impegno pastorale, educazione dei giova-
ni e del popolo».67 I due sessenni (1996-2008) dell’animazione di Antonio
Domènech furono segnati dall’impegno per far diventare il modello sa-
lesiano della pastorale giovanile una nuova mentalità attraverso appositi
incontri di formazione dei responsabili ispettoriali di questo settore e lo
sforzo di una elaborazione organica dei contenuti nelle due edizioni del-
la pubblicazione La Pastorale giovanile salesiana. Quadro di riferimento
fondamentale. È da apprezzare la modalità di animazione del consigliere
che mantenne unite le due linee di azione, in quanto la seconda edizione
del Quadro di riferimento riflette anche il feedback delle équipe ispetto-
66 P. Chávez Villanueva, “E si commosse per loro perché erano come pecore senza
pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (Mc 6,4). La Pastorale Giovanile Sale-
siana, in ACG 91 (2010) 407, 20.
67 J.E. Vecchi, “Io per voi studio...” (C 14). La preparazione adeguata dei confratelli
e la qualità del nostro lavoro educativo, in ACG 78 (1997) 361, 37.

41 Pages 401-410

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41.1 Page 401

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400 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
riali, ricevuto negli incontri di formazione.68 La pubblicazione costituisce
un passo importante per la pastorale giovanile e permette a noi di cogliere
alcune scelte di fondo che hanno influenzato la pedagogia salesiana negli
ultimi anni.
6.2.1.1. La prima edizione del Quadro di riferimento (1998)
Il volume di sintesi prodotto dal Dicastero per la pastorale giovanile
due anni dopo il Capitolo generale 24 cercò di rispondere al bisogno, sen-
tito da varie ispettorie, comunità e singoli salesiani, di avere una visione
pastorale d’insieme. Vi era quindi l’aspirazione di offrire una raccolta or-
ganica delle proposte esistenti; il Quadro elenca infatti una cinquantina di
documenti dell’ultimo quarto di secolo.69 Si voleva poi proporre un quadro
di riferimento unitario e alcuni criteri operativi che potessero guidare l’a-
nimazione pastorale.70 Si trattava di un compito non facile, vista la quantità
di materiali, le distanze temporali e le diverse finalità con le quali questi
erano scritti. Conoscendo il background del documento, è necessario ap-
procciarsi ad esso con diverse attenzioni ermeneutiche, senza l’aspettativa
di un’organicità facile, di una linearità argomentativa perfetta o di soluzio-
ni pratiche di uso immediato.
La pubblicazione segue una suddivisione in sei capitoli che esprimono
una logica di concretizzazione operativa, dal più generale al più applicati-
vo: gli elementi fondamentali della pastorale giovanile salesiana, il PEPS
nelle sue dimensioni, la CEP e la sua animazione, le diverse opere e servi-
zi, le strutture d’animazione e le linee metodologiche per costruire e verifi-
care il progetto. Nei vari capitoli è stato sintetizzato e raccolto il materiale
prodotto nelle ultime decadi «offrendo una sintesi delle linee fondamentali
della pastorale giovanile salesiana, in vista di una migliore assimilazione
e dell’applicazione concreta nei PEPS».71 Nei seguenti paragrafi ci soffer-
miamo su alcune tematiche interessanti per la pedagogia salesiana, come
68 Cfr. Dicastero per la Pastorale Giovanile, La pastorale giovanile salesiana.
Quadro di riferimento fondamentale, SDB, Roma 22000, 7.
69 Cfr. l’elenco dei documenti d’ispirazione in Dicastero PG, Quadro di riferimento,
11998, 11-12.
70 Cfr. Dicastero PG, Quadro di riferimento, 11998, 10. Il Quadro di riferimento è
considerato dal Rettor Maggiore Pasqual Chávez una «raccolta organica» che risponde
alla «necessità di avere una completa visione d’insieme e di raccogliere in una sintesi or-
ganica e condivisa le linee fondamentali», in Chávez Villanueva, La PG Salesiana, 20.
71 Dicastero PG, Quadro di riferimento, 11998, 5.

41.2 Page 402

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 401
le dimensioni considerate nella progettazione, l’idea di comunità e la me-
todologia della progettazione.
pubblicato nel 1979, togliendo però l’area comunitaria, in quanto l’identità e l’animazione della CEP,
che 6er.a2.i1l.2co. nItlenduitloemdi mquaeldl’earlel’au, nciotsàtitouirsgceanuincacaepidtoelollaa dpiavrties.ioPnere viendedreimloenssviilounppiodeel
lu’tairleticfaorleazuinonceoPndfeErlolPantSpordoepiodstiaveerdsiutciaptiivdoi -dpiavsitsoioranlee
salesiana nel ventennio
in aree introdotti nei vari
dal 1979 al 1998 sembra
documenti salesiani.
aree
del PEPS
criterio
oratoriano
servizio
educativo-
pastorale
aree
del PEPS
aree della nuclei della
maturazione spiritualità
cristiana giovanile
dimensioni
del PEPS
Sussidio 2
(1979)
Costituzioni
(1984)
Regolamenti
(1984)
Pastorale
Capitolo Capitolo Quadro di
Giovanile Generale 23 Generale 23 riferimento
Salesiana (1990) (1990)
(1990) (11998,22000)
partecipazione,
area educativo- scuola che educazione,
culturale avvia alla vita formazione,
comunicazione
educazione
e cultura
crescita
umana
dimensione
educativo-
culturale
area di
evangelizzazione
e catechesi
parrocchia che
evangelizza
piano di
educazione
alla fede
area
associativa
area
vocazionale
casa che
accoglie
cortile per
incontrarsi
gruppi e
associazioni
orientamento
vocazionale
area
comunitaria
formazione
della CEP
preparazione
del personale
evangelizzazione
incontro con
Gesù Cristo
amicizia con
il Signore
Gesù
dimensione
dell’evan-
gelizzazione
e catechesi
crescita
sociale
inserimento
nella comunità
dei credenti
comunione
ecclesiale
dimensione
dell’esperienza
associativa
orientamento
vocazionale
crescita
sociale
impegno e
vocazione
per la
trasformazione servizio
del mondo responsabile
dimensione
vocazionale
CEP
quotidiano
cortile per
vivere in
allegria
gioia e
ottimismo
SchSemchaeHm: DaimHe:nsDioinmi, ecrnitseiroi,nair,eecreintuecrlie,i aderlel’eedeucnazuiocnleeisadleeslilanead.ucazione salesiana.
Nello Schema H sono comparati in ordine cronologico: le cinque aree del PEPS proposte nel
Sussidio I2l(s1e9c79o)n;7d3 ole cquaapttirtoolcoaradtetelriQstiuchaeddreol ,crcihteeriosiorcaotonricaenontsrtaabsiluitei nfoelnledCaomsteitunztiiondie(l19p8r4o)-
e la dgievitstioonee dduegclai tairvtioco-lpi adseitoRreagloela, mèensttirguetnteurarlaitcohenceolnlacerlnoogniocial PdEePlSle(1q9u84a)t;t74role darieme edenl-
progestitooneid,ucchateivos-epgasutoerallae dnievl ivsoiolunmee dlaelPsaestcooranlde ogisouvasnsiilde isoalseusial nPaE(P19S9,0)p;7u5blbelaicreaetodenlleal
73 Cfr. DICASTERO PG, Elementi e linee per un progetto, Sussidio 2, 15.
74 Cfr. Cost. 40 e Reg. 5-10.
75 Cfr. DICASTERO PG, Pastorale giovanile salesiana, SDB, Roma 1990, 63-73.
237

41.3 Page 403

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402 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
1979, togliendo però l’area comunitaria, in quanto l’identità e l’animazione
della CEP, che era il contenuto di quell’area, costituisce un capitolo a parte.
Per vedere lo sviluppo e l’articolazione della proposta educativo-pastorale
salesiana nel ventennio dal 1979 al 1998 sembra utile fare un confronto dei
diversi tipi di divisione in aree introdotti nei vari documenti salesiani.
Nello Schema H sono comparati in ordine cronologico: le cinque aree
del PEPS proposte nel Sussidio 2 (1979);72 le quattro caratteristiche del
criterio oratoriano stabilite nelle Costituzioni (1984) e la divisione degli
articoli dei Regolamenti generali che concernono il PEPS (1984);73 le aree
del progetto educativo-pastorale nel volume la Pastorale giovanile salesia-
na (1990);74 le aree della maturazione cristiana, definite dal CG23 (1990) e
impiegate nell’elaborazione degli itinerari dell’educazione alla fede;75 i nu-
clei fondamentali della spiritualità giovanile salesiana, definite dallo stesso
Capitolo;76 infine, le aree del progetto in Pastorale giovanile salesiana.
Quadro di riferimento fondamentale (1998).77
Le quattro dimensioni (educazione-cultura, evangelizzazione-cateche-
si, associazionismo, vocazione) sono presenti in ogni documento che tratta
direttamente il PEPS. La scelta del Quadro di trattare il tema della CEP in
un capitolo a parte porta con sé allo stesso tempo vantaggi e svantaggi. Il
beneficio della scelta è l’allargamento dello spazio e l’implicita importanza
riconosciuta alla CEP, comprensibile dopo il CG24 che aveva approfondi-
to e accentuato il tema della comunione nello spirito e nella missione tra
salesiani e laici. D’altra parte, il rischio collaterale della divisione in due
capitoli è la separazione mentale del progetto dalla comunità, che porta
alla conseguenza pratica e molto comune, se consideriamo i progetti degli
anni ’90 che sono stati analizzati, di non prestare attenzione alla costruzio-
ne e alla formazione della CEP all’interno della progettazione educativo-
pastorale. Un’altra accentuazione, che appare attorno al 1990, non viene
rafforzata: si tratta del servizio e impegno dei giovani per la trasformazio-
ne del mondo, che il CG23 aveva messo in risalto sia come un’area di matu-
razione cristiana che come nucleo della spiritualità salesiana. Con il tema
72 Cfr. Dicastero PG, Elementi e linee per un progetto, Sussidio 2, 15.
73 Cfr. Cost. 40 e Reg. 5-10.
74 Cfr. Dicastero PG, Pastorale giovanile salesiana, SDB, Roma 1990, 63-73.
75 Cfr. CG23 (1990), nn. 116-118.
76 Cfr. CG23 (1990), nn. 158-161. Cfr. anche Dicasteri per la Pastorale Giovanile
FMA-SDB, Spiritualità Giovanile Salesiana. Un dono dello Spirito alla Famiglia sale-
siana per la vita e la speranza di tutti, [s.e.], Roma 1996.
77 Cfr. Dicastero PG, Quadro di riferimento, 11998, 26-39.

41.4 Page 404

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 403
della divisione in dimensioni ci si ricollega automaticamente alla necessità
di accentuare la crescita integrale e l’unità organica di tutti gli elementi del
Progetto. Il testo si esprime così al riguardo:
Il PEPS, come mediazione della pastorale giovanile salesiana, deve esprimere
l’unità organica nei differenti obbiettivi, interventi e azioni mutuamente intrec-
ciati tra loro e orientati tutti a una stessa finalità, manifestando la loro concreta
complementarità e formando una unità globale. Questa organicità si esprime nel-
le quattro dimensioni del PEPS.78
Purtroppo l’esortazione all’unità del PEPS non viene accompagnata con
i suggerimenti metodologici che potrebbero rispondere alla domanda del
“come” arrivare a raggiungerla e non si riesce ad andare oltre la formula-
zione di espressioni generali come: suscitare uno sviluppo positivo della
realtà culturale del gruppo umano verso una sintesi fede-vita; educare ad
una personalità unitaria e armonica per cui le dimensioni e aspirazioni
vengono gerarchizzate secondo il loro valore; l’opzione vocazionale è una
dimensione sempre presente, in tutti i momenti, attività e fasi della nostra
azione educativa e pastorale; il gruppo giovanile deve guardare allo sbocco
nell’inserimento sociale ed ecclesiale secondo la propria opzione vocazio-
nale; alla fortunata formula dell’educare evangelizzando si aggiunge l’edu-
care socializzando, ecc.79
La logica e la composizione del secondo capitolo del PEPS è caratte-
rizzata dalla divisione in quattro dimensioni. Anche elementi come la pre-
venzione del disagio giovanile, la spiritualità giovanile salesiana, lo stile
educativo dell’animazione e il movimento giovanile salesiano sono collo-
cati conseguentemente nelle varie dimensioni e non si è sfruttato il loro
potenziale pluridimensionale per l’integrazione sinergica di esse. Il testo
esprime il paradosso del voler concretizzare la proposta all’interno delle
dimensioni e contemporaneamente enfatizzare la necessità dell’integrazio-
ne interdimensionale.
6.2.1.3. La comunità educativo-pastorale in funzione al progetto
La predominanza di una logica della progettazione è percepibile sia nel-
la collocazione del capitolo sulla CEP che nelle espressioni che definisco-
78 Ibid., 26.
79 Cfr. Ibid., 27-38.

41.5 Page 405

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404 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
no i suoi ruoli in modo funzionalistico: «Il primo elemento fondamentale
per la realizzazione della pastorale giovanile salesiana è la comunità. Una
comunità che coinvolge, in clima di famiglia, giovani e adulti, genitori ed
educatori, fino a poter diventare una esperienza di Chiesa, rivelatrice del
disegno di Dio».80 Rinforzando l’argomentazione, si afferma che la «con-
vergenza delle intenzioni e delle convinzioni da parte di tutti quelli che
sono coinvolti» è richiesta per un’elaborazione e realizzazione del progetto.
La problematica della divisione analitica del progetto in dimensioni, vista
nel paragrafo precedente, viene tramandata come un compito da risolvere
a livello di convergenza pratica degli interventi nella comunità.81
Nelle prime due edizioni del Quadro di riferimento emergono le sotto-
lineature del CG24 sulla comunione e sulla corresponsabilità con i laici.
Si afferma molte volte il protagonismo dei giovani, il coinvolgimento e la
formazione dei genitori e dei laici coinvolti a vari livelli di responsabilità
e collaborazione. Gli autori valorizzano il contributo di ogni vocazione,
la dimensione esperienziale della vita comunitaria e l’impegno all’interno
della Chiesa e nel territorio, sia come punto di aggregazione che come un
centro di irradiazione e agente di trasformazione.82 Nonostante l’insistenza
sulla CEP allargata e irradiante, si percepisce a tratti un sottofondo teorico
che dà priorità alla progettazione tecnico-efficace. La comunità, in questo
senso, è solo una ­«esigenza della Chiesa»; una «condizione necessaria per
l’azione educativa» che ­«è un fatto sociale»; è poi una conseguenza delle
scelte del «sistema preventivo […] che richiede un ambiente di partecipa-
zione»; infine, la comunità è un elemento decisivo dell’evangelizzazione
vista come “un compito” che si realizza attraverso la testimonianza e il
servizio della comunità.83
6.2.1.4. La metodologia dell’elaborazione e della verifica del PEPS
L’ultimo capitolo, sulle linee metodologiche dell’elaborazione e della
verifica del PEPS, conclude il volume e dovrebbe essere la traduzione ope-
80 Dicastero PG, Quadro di riferimento, 11998, 45.
81 Un’inversione d’importanza tra progetto e comunità è elaborata solo nella terza
edizione del Quadro che descrive la vita di comunità come una caratteristica di vita ec-
clesiale la quale si traduce poi in un progetto comunitario visto come realizzazione della
missione. Cfr. Dicastero PG, Quadro di riferimento, 32014, 136-137.
82 Cfr. Dicastero PG, Quadro di riferimento, 11998, 45-48.
83 Cfr. Ibid., 45-46.

41.6 Page 406

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 405
rativa dei capitoli precedenti. Già il titolo non esprime l’aspirazione a trat-
tare la metodologia della progettazione, si vogliono offrire solo delle linee,
e la lunghezza di poco più di cinque pagine del testo ne è testimone. La
mancanza di un approfondimento dell’aspetto metodologico è confermata
nell’ultima pagina del libro, dove si raccomanda di «pensare una metodo-
logia che favorisca la partecipazione di tutti i gruppi e organismi della CEP
secondo le loro responsabilità e possibilità».84 In questo modo si lascia la
libertà di scegliere una metodologia, ma d’altra parte si rischia di far cam-
minare la CEP senza un metodo unificante e di cadere nelle trappole del
burocratismo o dell’efficientismo dei metodi predominanti. Sintetizzando-
ne il contenuto, si può dire che la pubblicazione offre elementi e linee di
progettazione riassumendo le proposte dei due sussidi degli anni 1978-79.85
Si specificano ulteriormente:
– i livelli della progettazione (quadro di riferimento, progetto, piano an-
nuale, programmazione, itinerario);
– i passi della progettazione (analisi della situazione, progettazione, veri-
fica);
– i criteri della progettazione (coinvolgimento di tutti, partecipazione di
tutti, chiarezza sui punti di riferimento, chiarezza sui diversi livelli di
partecipazione, valutazione continua);
– la CEP come soggetto del processo.86
Anche se si enuncia l’importanza dell’aspetto metodologico, quando ad
es. si afferma che «il cammino che si percorre insieme e la metodologia
adoperata è tanto più importante che lo scritto risultante»,87 il Quadro di
riferimento dedica ad essa solo alcune linee, lasciando aperte tante altre
domande che possono paralizzare l’intera proposta pastorale. Ne elenchia-
mo alcune: come si formula bene un obiettivo, perché esprima adegua-
tamente un concetto e sia realizzabile? Obiettivi, linee di azione, criteri,
ruoli, funzioni devono essere divisi per dimensioni o no? Come si crea
l’unità organica? Quali gruppi all’interno della CEP devono partecipare e
intervenire ai diversi livelli della progettazione (casa, sezione, gruppo, per-
sona)? Bisogna sempre partire “dall’alto”, ossia dal quadro di riferimento,
e scendere ai livelli più concreti o è consigliabile anche un procedimento
84 Ibid., 122.
85 Cfr. Dicastero PG, Progetto Educativo Pastorale. Metodologia, Sussidio 1 e Id.,
Elementi e linee, Sussidio 2.
86 Cfr. Dicastero PG, Quadro di riferimento, 11998, 117-122.
87 Ibid., 117.

41.7 Page 407

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406 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
“dal basso”, dalle esperienze pilota e dalle buone pratiche? Che rapporto
c’è tra un itinerario e il progetto? La partecipazione di tutti nella progetta-
zione salesiana è un requisito necessario o un punto di arrivo? Che logica
intercorre tra i vari elementi della progettazione, perché si possano fare
scelte opportune in situazioni reali di mancanza di personale, motivazione,
tempo e altre risorse? Queste domande di tipo metodologico sono il segno
dell’emblematico empasse tra la carta e la vita.88
6.2.1.5. Le integrazioni metodologiche della seconda edizione del Quadro
di riferimento
Antonio Domènech e la sua équipe hanno fatto passi concreti per pro-
muovere l’organicità della proposta salesiana, predisponendo la traduzione
del Quadro di riferimento in diverse lingue e organizzando corsi regionali
di mentalizzazione per le équipe ispettoriali. «Anche come frutto di questo
sforzo e dell’esperienza dei corsi regionali, il dicastero ha raccolto un insie-
me di suggerimenti per rendere il testo più chiaro e preciso»89 ed ha pubbli-
cato nel luglio 2000 la seconda edizione. Uno dei cambiamenti di notevole
importanza era lo spostamento del terzo capitolo sulla CEP dalla sezione
del “modello operativo” a quella sugli “elementi fondamentali”. Così è sta-
ta almeno parzialmente affermata la dimensione comunitaria come una
realtà fondamentale non soltanto pragmatico-operativa, sebbene sempre
percepita al seguito del PEPS come nella prima edizione. Nel presente pa-
ragrafo approfondiamo i miglioramenti più interessanti che riguardano la
metodologia della progettazione. Le proposte sono il frutto dei contributi
delle ispettorie, ma si riconoscono gli influssi di José Raúl Rojas e delle sue
concezioni di “ricerca e azione partecipata in-con-per la comunità”, oltre
a quelli di Jerome Vallabaraj, studioso di catechetica ma anche dei modelli
organizzativi trasformativi.90
Il primo interessante perfezionamento operativo riguarda il quadro di
riferimento del progetto che viene collegato non solo con «dichiarazione di
88 Per le possibili risposte ai dilemmi della progettazione cfr. l’analisi del background
teorico dei metodi in Vojtáš, Progettare e discernere, 113-173.
89 Dicastero PG, Quadro di riferimento, 22000, 7.
90 Cfr. J. Vallabaraj, Empowering the Young Towards Fullness of Life, Kristu Jyoti,
Bangalore 2003 e E. Alberich - J. Vallabaraj, Communicating a Faith That Transforms.
A Handbook of Fundamental Catechetics, Kristu Jyoti, Bangalore 2004.

41.8 Page 408

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 407
principi che definiscono una filosofia dell’educazione»,91 ma piuttosto con
la risposta «alle domande: Chi siamo e cosa facciamo? Che cosa vogliamo
e dove vogliamo arrivare?».92 In questo senso diventa chiara la relazione
con i concetti di mission, vision e propuesta educativa che non apparivano
nella prima edizione. La pubblicazione offre anche i contenuti desiderati
all’interno della visione-missione: destinatari, convinzioni e valori dell’i-
spettoria, presentazione della missione concreta come risposta ai loro biso-
gni, i criteri fondamentali per il processo e le mete finali.93
Un secondo miglioramento concerne la suddivisione più logica delle
fasi della progettazione. Come fase più generale viene posta la creazione
del quadro di riferimento; la seconda fase, più concreta, è il progetto edu-
cativo pastorale; infine a un livello più particolare si collocano il piano pa-
storale annuale, la programmazione e l’itinerario. Nell’edizione precedente
mancava questa specificazione e si rischiava di confondere i tre tipi di con-
cretezza, qualitativamente diversi, del piano annuale, della programma-
zione e dell’itinerario.94 A livello dei momenti della progettazione (analisi
della situazione, progettazione operativa e verifica) non c’è stato un grande
approfondimento o delle precisazioni. Si nota una tendenza alla precisione
dei termini gestionali che sostituisce, all’interno del momento della proget-
tazione operativa, il termine “scelte educativo-pastorali” con il termine più
adatto e comune “obiettivi generali”. Nel momento della verifica si sem-
plificano le indicazioni troppo puntuali della prima edizione, aggiungendo
un’attenzione processuale importante: verificare «se si è creato un vero
processo educativo attraverso le diverse attività (continuità, interazione,
nuove possibilità e risorse generate, protagonismo del soggetto, ecc.)».95
L’emblematico compito della CEP esposto nell’ultima pagina della pub-
blicazione, di «pensare una metodologia che favorisca la partecipazione di
tutti»96, rimane invariato nel concludere la sezione sulle linee metodologi-
che. A ciò si riferiscono le valutazioni del rettor maggiore Pasqual Chávez
Villanueva del 2010, laddove afferma l’esistenza del settorialismo e solleva
la questione metodologica: «Si deve curare molto di più [...] un’impostazio-
ne secondo il modello della pastorale giovanile salesiana che favorisca una
visione più unitaria e integrale della pastorale [...] e lo sviluppo di metodo-
91 Dicastero PG, Quadro di riferimento, 11998, 117.
92 Dicastero PG, Quadro di riferimento, 22000, 129.
93 Cfr. Ibid., 129-130.
94 Cfr. Ibid., 131.
95 Ibid., 136.
96 Ibid., 139.

41.9 Page 409

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408 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
logie adeguate per affrontare positivamente la complessità della pastorale
e superare il settorialismo».97
6.2.2. Santità, spiritualità ed evangelizzazione nel magistero di Pascual
Chávez Villanueva
Riprendendo la formulazione del CG25 «Dio deve essere la nostra pri-
ma “occupazione”»,98 il rettor maggiore Pascual Chávez Villanueva, ap-
pena eletto in quello stesso Capitolo, esprimeva nel concetto di “santità”
la sua scelta per il programma del sessennio. Quello della santità non era
solo un concetto di sintesi, ma nella sua concezione globale un program-
ma di vita, una scelta di governo e una proposta educativa che si traduce
nell’urgenza dell’evangelizzare.99 Pascual Chávez concludeva con questa
scelta un arco di pensiero postconciliare che, partendo dalla riforma della
Congregazione nel suo insieme, nei testi fondativi come nelle strutture
di coordinamento, era proseguita con la riflessione sull’importanza della
comunità sia religiosa che educativo-pastorale durante il rettorato di don
Vecchi, per arrivare all’importanza di una conversione di ogni persona
nella Famiglia salesiana.100 Nel magistero di don Chávez troviamo chia-
ramente enunciato che la persona, nel suo “compito essenziale” di cam-
minare verso “la meta più alta”, è il soggetto del desiderato cambiamento
postconciliare di mentalità, spesso evocato e auspicato nei documenti e
poco riscontrato nella “base”.101
Nella sua lettera programmatica, Pascual Chávez si connette alla Novo
millennio ineunte di Giovanni Paolo II, ponendo al centro della sua rifles-
sione la priorità e “il compito essenziale” della santificazione, che altro non
è che «la misura alta della vita cristiana ordinaria».102 Contro la tendenza
alla superficialità spirituale, denunciata già da don Viganò, il rettor mag-
97 Chávez Villanueva, La Pastorale Giovanile Salesiana, 2010, 24.
98 CG25 (2002), n. 191.
99 Cfr. P. Chávez Villanueva, Cari Salesiani, siate santi!, in «Atti del Consiglio Ge-
nerale» 83 (2002) 374, 3-37 e Id, “Sei tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene”, in
«Atti del Consiglio Generale» 84 (2003) 382, 7.
100 Per ricostruire il contesto ermeneutico della proposta di don Chávez è importante
considerare le lettere dei suoi predecessori ai quali si connette in Chávez, Cari Salesiani,
siate santi!, 6.
101 Cfr. Chávez, Cari Salesiani, siate santi!, 5 e 11.
102 Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, in Chávez, Cari Salesiani, siate
santi!, 12.

41.10 Page 410

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 409
giore afferma un parallelismo tra la carità e la santità: «Raggiunto questo,
tutto è raggiunto; fallito questo, tutto è perduto, come si afferma della ca-
rità […], essenza stessa della santità».103 In concreto, nella lettera si presen-
tano i singoli santi nella Famiglia salesiana come altrettanti “approfondi-
menti monografici” del fondatore, ricavandone una sintesi sulla spiritualità
salesiana che nasce dalla carità pastorale vissuta nello spirito di famiglia e
nella gioia, si esprime poi attraverso l’umiltà operosa del quotidiano e nella
sintesi equilibrata tra lavoro e temperanza, assume la dimensione oblativa
e armonizza in tal modo contemplazione e azione.104
La priorità della santità getta una luce diversa su alcuni concetti cardine
del periodo postconciliare come la progettazione, l’incarnazione e l’aggior-
namento. Sempre con riferimento al documento programmatico del papa
per il nuovo millennio, si rileva, infatti, che la santificazione è primaria-
mente un dono di Dio e della sua iniziativa salvifica, perciò pensare che
i risultati in questo campo dipendano dalla nostra capacità di fare e di
programmare è visto come una tentazione. Certo, una reale collaborazione
con l’iniziativa divina è necessaria ma non sufficiente, e dunque siamo
invitati a investire, nel nostro servizio alla causa del Regno, tutte le nostre
risorse di intelligenza e di operatività, ma non dobbiamo mai dimenticare
che “senza Cristo non possiamo far nulla”.105
Le implicazioni per l’educazione sembrano riprendere le linee di Paolo
Albera, nel momento in cui si afferma che «la nostra santità costituisce
la migliore garanzia di un’efficace evangelizzazione, perché in essa sta
la testimonianza più importante da offrire ai giovani destinatari delle no-
stre varie attività».106 I salesiani, in quanto educatori della gioventù alla
santità,107 sono chiamati ad aggiornare sia le proposte educative che lo stile
di presenza tra i giovani. Infatti, la necessità di valorizzare le proposte di
qualità alta della vita, che sviluppano un anelito insito in tutti i giovani,
si coniuga con l’importanza della presenza educativa che accompagna i
percorsi delle singole persone, perché i percorsi della santità sono persona-
li.108 Tutta la proposta della spiritualità giovanile salesiana del CG23 viene,
103 Chávez, Cari Salesiani, siate santi!, 12.
104 Cfr. Ibid., 8-10.
105 Cfr. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, in Chávez, Cari Salesiani, siate
santi!, 12.
106 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Capitolo Generale, in CG25 (2002),
n. 170.
107 Cfr. CG25 (2002), n. 143.
108 Cfr. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, in Chávez, Cari Salesiani, siate

42 Pages 411-420

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42.1 Page 411

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410 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
quindi, riletta nel contesto dell’educazione alla santità, proposta a tutti. La
quotidianità, la gioia, l’amicizia con il Signore, l’appartenenza alla Chie-
sa, l’impegno apostolico e la presenza di Maria Ausiliatrice sono proposti
come tappe dell’unico cammino alla santità.109
Le idee fondamentali della lettera programmatica furono riproposte
dopo un anno nella lettera “Sei tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene”,
che collega con più forza la consacrazione dei salesiani alla missione edu-
cativo-pastorale. Riferendosi all’ultima biografia di don Bosco scritta da
Pietro Braido, il rettor maggiore constata come è stata la missione a richie-
dere la nascita di un gruppo di consacrati e quindi la vita religiosa è nata al
servizio della missione salesiana.110 Egli allarga però il legame tra consa-
crazione e missione con un secondo movimento inverso che prospetta una
missione che è determinata dalla scelta di don Bosco di avere educatori
consacrati. La missione educativo-pastorale salesiana viene ad intrecciarsi
con la missione della vita consacrata di testimoniare il primato di Dio e di
tenere viva la consapevolezza dei valori fondamentali del Vangelo.111
Don Pascual Chávez sviluppa le riflessioni partendo dal tema centrale
del suo rettorato, l’identità della vita consacrata nel postconcilio,112 per
tracciare una revisione di alcuni concetti importanti per la pastorale e per
l’educazione. Analizzando il malessere della vita consacrata e criticando
il modello liberale della stessa, si denuncia una lettura teologica riduttiva
del principio dell’incarnazione, che mette in secondo ordine o tralascia
assolutamente la novità che ci viene da Dio attraverso l’incarnazione stes-
sa. Volendo superare le strutture rigide del passato, la concezione libe-
rale della vita religiosa ha ritenuto che «il rinnovamento doveva essere
un adeguamento alla modernità, assumendo il meglio dell’Illuminismo,
dell’emancipazione, dei diritti umani. Così si è passati a collocare al centro
la persona, la sua coscienza, la sua dignità, il proprio progetto».113 Il rettor
maggiore denuncia il problema più grande del modello “liberale”, attual-
mente in crisi profonda, che pretende di evangelizzare la cultura moderna,
ma invece semplicemente la assume a scapito delle scelte e dei valori evan-
santi!, 21.
109 Cfr. Chávez, Cari Salesiani, siate santi!, 22-25.
110 Cfr. P. Chávez Villanueva, “Sei tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene”, in
«Atti del Consiglio Generale» 84 (2003) 382, 6-8.
111 Cfr. Ibid., 19 e 26.
112 Cfr. P. Chávez Villanueva, Testimoni del Dio vivente. Natura e futuro della vita
consacrata una visione salesiana, LEV, Roma 2012.
113 Chávez Villanueva, “Sei tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene”, 20.

42.2 Page 412

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 411
gelici. La conseguenza è che i consacrati secolarizzati restano trasformati
dalla logica del mondo, anziché diventare evangelizzatori della cultura.114
Chiaramente queste osservazioni hanno delle implicazioni per l’edu-
cazione e la pastorale giovanile salesiana. Una chiara sintesi di esse si
trova nella circolare del 2010 sulla pastorale giovanile salesiana che ri-
prende i documenti del Capitolo generale 26 nella logica della missione
educativa ed evangelizzatrice.115 Le prospettive di futuro tracciate da Pa-
scual Chávez esprimono sia la preoccupazione per la pastorale evange-
lizzatrice, chiaramente orientata all’annuncio di Cristo e all’educazione
alla fede, sia l’attenzione all’inserimento pieno dell’evangelizzazione nel
campo dell’educazione, perseguendo la «coerenza tra i contenuti trasmes-
si o le metodologie adoperate con i valori della fede cristiana (incontro
cultura e fede) e per assicurare una vita cristiana capace di qualificare
evangelicamente la vita privata, professionale e sociale delle persone».116
Il campo che rivela la sintesi fede-cultura-vita è la crescita vocazionale.
Don Chávez riprende l’invito del CG26: «sentiamo oggi più forte che mai
la sfida di creare una cultura vocazionale in ogni ambiente, in modo che i
giovani scoprano la vita come chiamata e che tutta la pastorale salesiana
diventi realmente vocazionale»117 e aggiunge che una pastorale generativa
di vocazioni apostoliche e consacrate non esiste senza un annuncio vo-
cazionale esplicito, una proposta personale decisa e l’accompagnamento
spirituale costante.118
I richiami spirituali sull’urgenza dell’evangelizzare, il principio di model-
lamento e la spinta verso la santità sembrerebbero come degli echi lontani
della “pedagogia celeste” di don Albera. Ci sono invece altri aspetti del ma-
gistero di don Chávez che dimostrano la sua attenzione alle problematiche
contemporanee, tra i quali l’attenzione alle nuove povertà e ai diritti uma-
ni. L’integrazione dei due poli del suo magistero (consacrazione - missione)
emerge anche nella lettera di convocazione del CG26. Don Chávez legge in
don Bosco le tracce di una teologia spirituale e di una consacrazione attiva:
«La scelta dell’operosità offre al suo modo di interpretare l’ascesi un’accen-
tuazione particolare: essa è solo in vista dell’azione apostolica. […] Egli pre-
114 Cfr. Chávez Villanueva, “Sei tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene”, 24.
115 Cfr. P. Chávez Villanueva, «E si commosse per loro, perché erano come pecore
senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» La Pastorale Giovanile Salesiana,
in «Atti del Consiglio Generale» 91 (2010) 407, 3-59.
116 Ibid., 50.
117 CG26 (2008), n. 53.
118 Cfr. Chávez Villanueva, La Pastorale Giovanile Salesiana, 51.

42.3 Page 413

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412 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
ferisce non attaccarsi rigidamente a certi schemi; meglio dunque una lettura
più pratica, pastorale, spirituale, che teologico-speculativa».119
In questo senso nel motto “Da mihi animas cetera tolle”, la prima parte,
“Da mihi animas”, esprime lo zelo per la salvezza delle anime che, supe-
rando il modello liberale e secolarizzato di una fede solo soggettiva, si con-
cretizza nell’urgenza dell’evangelizzazione e nella necessità di suscitare le
vocazioni alla vita consacrata salesiana. La seconda parte complementare
del motto, “cetera tolle”, significa il distacco ascetico da quanto ci può
allontanare da Dio e dai giovani. Qui si collocano le riflessioni sia sulla
povertà evangelica che sulla scelta preferenziale per i giovani più “poveri,
abbandonati e pericolanti”, ripensandola nella logica delle “nuove povertà”
e delle “nuove frontiere”.120
6.2.3. Chávez, l’attenzione alle nuove povertà e la via dei diritti umani
Nell’intervento conclusivo del convegno internazionale Sistema Preven-
tivo e i diritti umani, il rettor maggiore presenta la qualità dell’esperienza
educativa di don Bosco attraverso la capacità di vedere la realtà sociale, di
coglierne il significato e trarne le conseguenze operative. Dalla compas-
sione per i ragazzi pericolanti nasce una scelta di consacrazione della vita
che parte dalla paternità misericordiosa di Dio per sviluppare progetti edu-
cativi, preventivi e sociali. In una proposta di attualizzazione don Chávez
richiama la constatazione di papa Benedetto XVI sull’emergenza educati-
va declinandola sia come negazione del diritto all’educazione nei Paesi in
via di sviluppo, sia come tradimento della missione educativa nelle società
avanzate ed esageratamente competitive.121 Simile lettura religioso-sociale
viene offerta anche nella circolare sulla pastorale giovanile:
In molte delle società e culture nelle quali svolgiamo il nostro servizio edu-
cativo e pastorale si sta sviluppando una cultura che emargina la religione e in
modo speciale il cristianesimo, uno stile di vita che favorisce lo sviluppo della
119 P. Chávez Villanueva, «Da mihi animas, cetera tolle» Identità carismatica e
passione apostolica. Ripartire da Don Bosco per risvegliare il cuore di ogni salesiano,
in «Atti del Consiglio Generale» 87 (20063) 394, 39.
120 Cfr. Ibid., 37-42.
121 Cfr. P. Chávez Villanueva, La Missione Salesiana e i diritti umani in particola-
re i diritti dei minori, in Dicastero Della Pastorale Giovanile Della Congregazione
Salesiana, Sistema Preventivo e Diritti Umani. Atti del Congresso Internazionale. 2-6
gennaio 2009 Roma, Volontariato Internazionale per lo Sviuppo, Roma 2009, 78-79.

42.4 Page 414

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 413
povertà materiale e spirituale di molti e che moltiplica i fattori di esclusione so-
ciale... In questo ambiente risultano sovente insignificanti e irrilevanti i valori
religiosi e le motivazioni dei credenti, che in altro tempo trasparivano e si perce-
pivano nel servizio educativo e di promozione umana.122
Le prospettive di un progetto educativo integrale – di annuncio di Gesù
Cristo e dello sviluppo dei valori umani, culturali e sociali – sono presenti
sia nel congresso sui diritti umani, già citato, che negli interventi di don
Chávez nelle università di Genova e di Bari nel 2007.123 «L’educatore, se-
condo il cuore di don Bosco […] cerca di risvegliare o approfondire nei
giovani l’apertura al senso religioso della vita, di sviluppare la capacità di
scoprire nella realtà quotidiana i segni della presenza e azione di Dio, di
comunicare la convinzione della profonda coerenza tra la fede e i valori
umani di solidarietà, libertà, verità, giustizia, pace».124
Citando l’intervento di Benedetto XVI all’assemblea della Conferenza
Episcopale Latinoamericana, il rettor maggiore concorda sul fatto che in
una società senza Dio non si trova il consenso necessario sui valori morali
e la forza di vivere secondo il modello di questi valori. Ci sono equilibri
sottili da mantenere, sia di tipo teorico che pratico. Nel linguaggio dei di-
ritti umani è utile dialogare e inserire la pedagogia salesiana nelle diverse
culture del mondo e contemporaneamente non si può dimenticare l’orienta-
mento dei giovani verso Cristo nella vocazione di figli di Dio. Praticamen-
te, la convivenza delle diverse logiche è ancora più delicata, è necessario
offrire ai minori gli elementi necessari per uno sviluppo adeguato, olistico
e pieno, negli aspetti fisici, mentali, culturali, spirituali, morali, sociali e
politici. Operativamente i minori e gli emarginati dovrebbero essere prota-
gonisti dei progetti proposti e gli educatori salesiani sono invitati a colla-
borare con altri soggetti in una logica di rete.125
Orientamenti simili risuonano nei due interventi di don Pascual Chávez
nelle università italiane nel 2007. Viene segnalato il dramma dell’umanità
odierna nella frattura tra educazione e società, che si inasprisce nel divario
122 Chávez Villanueva, La Pastorale Giovanile Salesiana, 49.
123 Cfr. P. Chávez Villanueva, Educazione e Cittadinanza. Formare “salesianamen-
te” il cittadino, Lectio nell’occasione del conferimento del dottorato honoris causa all’U-
niversità degli studi di Genova il 23 aprile 2007, in bit.ly/unige-it-2007-04-23; P. Chávez
Villanueva, Cristianità e prevenzione, in Università degli Studi di Bari, L’educatore,
oggi. Tratti per un profilo di san Giovanni Bosco. Seminario di studio del 26 aprile 2006,
Servizio Editoriale Universitario, Bari 2007, 11-28.
124 Chávez Villanueva, La Missione Salesiana e i diritti umani, 81.
125 Ibid., 82-84.

42.5 Page 415

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414 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
sempre crescente fra scuola e cittadinanza. Una scuola nuova e una logica
sociale nuova viene proposta partendo dall’ideale della paideia classica. In
continuità con la tradizione bimillenaria dell’educazione classica e cristia-
na si trova il filo rosso sempre valido della formazione di uno spirito ca-
pace di giudicare con libertà e d’inserirsi nella società con responsabilità.
Pur senza negare gli obiettivi pratici dell’educazione, le sue finalità sono di
ordine umanistico più elevato. In questo senso la scuola salesiana deve an-
dare oltre alla contraddizione pedagogica consistente in una scuola come
semplice mezzo di riproduzione ideologica, o come un addestramento di
tipo militare, o semplicemente finalizzata alla formazione tecnica richiesta
dal sistema economico.126
Nell’attualizzazione della pedagogia salesiana risuona l’idea della “sal-
vezza dell’anima”, il fine ultimo dell’educazione preventiva di don Bosco,
definita oggi come un’esistenza umana individuale, sociale e religiosa
compiuta.127 La proposta del rettor maggiore offre delle intuizioni di sintesi
pregnanti, tenendo conto del contesto postmoderno e multiculturale. Con
onestà parla, però, anche dell’incompiutezza delle attualizzazioni, della ne-
cessità di andare oltre le domande per rifondare, ripensare e attualizzare i
modelli educativi concreti. Riferendosi implicitamente al pensiero di Brai-
do afferma che le radici storiche sono solide, «le sorgenti limpide e da esse
può rinascere, in forme ricche di futuro, quell’aggiornato “nuovo sistema
preventivo” auspicato già dal rettore maggiore, don Egidio Viganò, ma non
ancora organicamente composto».128
6.2.4. Nuovi progetti e il metodo del discernimento
Don Pascual Chávez nel suo magistero non insiste solamente sulle di-
mensioni teorico-spirituali, ma segnala diverse sfide operative attorno al
titolo della “mentalità progettuale”. La connessione tra le idee di ispira-
zione e le metodologie educative e pastorali viene ripresa nella proposta
della reinterpretazione aggiornata del sistema preventivo sul piano teorico
e pratico, che si articola tra le grandi idee di fondo e i grandi orientamenti
di metodo.129 Anche nella riflessione sui diritti umani emerge la loro con-
126 Cfr. Chávez Villanueva, Educazione e Cittadinanza, 2.
127 Cfr. P. Chávez Villanueva, Cristianità e prevenzione, 20.
128 Ibid., 27.
129 Ibid., 12.

42.6 Page 416

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 415
nessione in una logica di virtù. Il rettor maggiore afferma che l’efficacia
della via dei diritti umani nell’azione educativo-pastorale salesiana sarà
sviluppata se maturerà la convinzione dell’irrinunciabile rapporto tra l’e-
ducazione e l’evangelizzazione a livello di ispirazioni e le connessioni tra
le virtù personali e sociali a livello operativo:
Bisogna ricordare che l’evangelizzazione si è sviluppata sempre insieme con
la promozione umana e l’autentica liberazione cristiana. Amare Dio e amare il
prossimo si fondono tra loro: nel più umile troviamo Gesù stesso ed in Gesù
troviamo Dio (Cfr. Deus caritas est, 15). Per lo stesso motivo sarà anche neces-
saria una catechesi sociale e un’adeguata formazione nella dottrina sociale della
Chiesa. La vita cristiana non si esprime solamente nelle virtù personali, ma anche
nelle virtù sociali e politiche.130
A livello concreto si aggiungono altre esigenze di natura operativa: il
necessario e continuo sforzo di assimilazione e di pratica del modello del-
la pastorale giovanile salesiana; la ridefinizione delle nostre presenze per
renderle più significative; l’animazione sempre più collegata e coordinata
tra i dicasteri della missione salesiana (pastorale giovanile, comunicazio-
ne sociale e missioni).131 È necessario pure il superamento delle strutture
passate. Anche nel magistero sulla vita consacrata emerge l’attenzione ai
modelli pratici di partecipazione e ai nuovi modelli di vita. In tempi prece-
denti abbiamo corso il rischio di rinchiuderci in una rete di precetti e nor-
me, che non sempre hanno aiutato le persone a maturare e a vivere secondo
la libertà dei figli di Dio. Ancora di più, le forme di vita religiosa come
la vita comunitaria o le modalità di preghiera, anche quelle rinnovate nel
postconcilio, non corrispondono sempre alle nuove situazioni nelle quali
oggi vanno realizzate la vita e la missione. Queste forme e strutture che
oscillano tra il tradizionale e il rinnovamento postconciliare non riescono
ad esprimere i nuovi valori, quali quelli del senso del dialogo e della parte-
cipazione. C’è la sensazione che si sappia bene la direzione verso la quale
occorre camminare, ma nella realtà ancora non si sia trovato un modello di
vita e di azione che faciliti e appoggi questo cammino.132
Intanto, sotto la pressione di problematiche operative nelle comunità e
nella ristrutturazione delle ispettorie, affrontando problemi nuovi e chie-
dendo risultati nuovi, si opta per lo strumento “vecchio” della progettazio-
130 Benedetto XVI, Discorso inaugurale della V conferenza del CELAM (13 maggio
2007), n. 3 citato in Chávez Villanueva, La Missione Salesiana e i diritti umani, 81.
131 Cfr. Chávez Villanueva, La Pastorale Giovanile Salesiana, 47ss.
132 Cfr. Chávez, ”Sei tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene”, 14.

42.7 Page 417

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416 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
ne con nomi “nuovi”. L’ideale della santità salesiana e degli equilibri tra
educazione ed evangelizzazione si doveva tradurre in pratica attraverso il
metodo del discernimento nei progetti personali, comunitari e organici, a
livello ispettoriale.133
Il metodo del discernimento è stato suggerito per lo studio degli aspetti
fondamentali dei primi due Capitoli generali del terzo millennio e succes-
sivamente anche per l’elaborazione del progetto personale di vita salesiana
e del progetto di vita comunitaria salesiana.134 Le istruzioni di Antonio
Domènech per il Progetto organico ispettoriale non menzionano l’espres-
sione “metodo del discernimento”, ma contengono un nuovo schema di
progettazione articolato in tre passi: chiamata, situazione, operatività;135
esso si differenzia rispetto al metodo di Vecchi proposto per l’elaborazione
dei progetti educativo-pastorali, il quale partiva dalla situazione, poi pro-
poneva gli aspetti operativi e infine passava alla verifica.
Il punto di partenza del metodo di discernimento è individuare la “chia-
mata di Dio”, che permette di cogliere gli appelli urgenti e le priorità. L’i-
spettoria, la comunità e la persona si domandano che cosa Dio le chiama
ad essere e a fare per garantire la significatività della propria vita e della
propria azione. La questione nodale per la chiamata di Dio è distinguere
ciò che è fondamentale da ciò che è secondario, per cui ci si sofferma solo
sulle esigenze prioritarie e sulle scelte di fondo. Un’innovazione rispetto
alla progettazione educativo-pastorale potrebbe consistere nella proattività
e nell’ampiezza più grande della domanda sulla chiamata, non restringen-
do gli orizzonti con le descrizioni, spesso riduttive, della situazione.
Il secondo momento del discernimento è l’analisi della “situazione”, che
dovrebbe permettere di cogliere le risorse che stanno a fondamento della
speranza, i limiti e le sfide, ma sempre in riferimento alle scelte fondamen-
133 Cfr. Chávez, Cari Salesiani, siate santi!, 26-28 e 33-34.
134 Cfr. P. Chávez Villanueva, Presentazione, in CG25 (2002), 15-16; Id., Presenta-
zione, in CG26 (2008), 11-12; F. Cereda, Il Progetto della Comunità Salesiana. Processo
di discernimento e di condivisione. Lettera ai Reverendi Ispettori e ai Consigli ispetto-
riali, ai Delegati ispettoriali di formazione e alla Commissione ispettoriale di formazio-
ne (13 dicembre 2002); Id., Formazione permanente. Il Progetto Personale di Vita. Un
cammino di fedeltà creativa verso la santità. Lettera ai Reverendi Ispettori e ai Consigli
ispettoriali, ai Delegati ispettoriali di formazione e alla Commissione ispettoriale di for-
mazione (21 giugno 2003); Id., Formazione iniziale. Il Progetto Personale di Vita. Un
cammino di identificazione con la vocazione salesiana. Lettera ai Reverendi Direttori
e Membri delle Comunità formatrici, ai Reverendi Ispettori e Delegati ispettoriali di
formazione (5 luglio 2003).
135 Cfr. A. Domènech, Il Progetto Organico Ispettoriale, in ACG 84 (2003) 381, 35-42;

42.8 Page 418

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 417
tali individuate e descritte nella parte della chiamata di Dio. Si introduce
nel metodo del discernimento l’analisi SWOT delle forze e debolezze inter-
ne e delle opportunità e minacce esterne.
Il terzo momento del metodo del discernimento consiste nell’individua-
zione delle “linee di azione”. All’inizio si individuano i processi da attivare
necessari per passare dalle sfide a una configurazione migliore a livello di
mentalità e di strutture. Dopo aver individuato i processi si cerca di concre-
tizzare il cammino con l’indicazione di passi concreti e interventi puntuali.
Francesco Cereda, consigliere per la formazione dal 2002, sintetizza così
il metodo del discernimento: «I tre momenti del discernimento potrebbero
poi essere espressi attraverso aspettative, appelli, desideri al primo passo
che prospetta la chiamata di Dio; risorse, difficoltà e soprattutto sfide al se-
condo passo, che descrive la situazione della comunità; obiettivi, strategie
o processi e interventi al terzo passo, che individua le linee di azione».136
Rispetto alla logica del PEPS è stata aggiunta la prospettiva del cambio
di mentalità, per cui il modello potrebbe essere meno lineare-meccanicisti-
co. Ci sono obiettivi misurabili e concreti da perseguire, ma lo scopo non è
solo il loro raggiungimento: si tratta di seguire una chiamata e di cambiare
mentalità, non solo di giungere a un semplice miglioramento di un aspetto
concreto del processo educativo-pastorale. Il metodo del discernimento,
quindi, porterebbe ad una progettazione più snella e integrale,137 creando
una visione138 che consenta il cambio di mentalità, includendo anche le
risorse spirituali139 e motivazionali.140 Questi aspetti ci sembrano convin-
centi e importanti nei progetti personali e comunitari, mentre appaiono più
136 Cereda, Il Progetto della Comunità Salesiana.
137 Il CG25 (2002) si augura come frutto del discernimento il passaggio «da una
pastorale di attività e di urgenze a una pastorale dei processi» Cfr. CG25 (2002), n. 44.
138 La costruzione della visione condivisa e della visione personale è uno degli esiti
del discernimento. Cfr. Discorso del Rettor Maggiore Don Pasqual Chávez Villanueva
alla chiusura del CG25, in CG25 (2002), n. 185 e Cereda, Formazione iniziale. Il Pro-
getto Personale di Vita, 2003.
139 Il metodo del discernimento parte dalla Parola di Dio attraverso la Lectio Divina
e dal discernimento dei segni dei tempi. Cfr. Chávez, Presentazione, in CG25 (2002),
15-16 e CG25 (2002), n. 81.
140 Cereda dà alcune indicazioni: «Nell’elaborazione non si assolutizza la raffinatezza
metodologica; si cerca invece di raggiungere i confratelli in profondità, partendo dal
loro vissuto e dal vissuto della comunità stessa». In più «si deve arrivare al punto in cui
i confratelli sono aperti, se non proprio entusiasti, ad incamminarsi su questa strada. La
comunità fa il progetto, non perché è costretta ma perché ne sente il bisogno, non perché
lo deve ma perché lo vuole.» Cfr. Cereda, Il Progetto della Comunità Salesiana, 2002.
Cfr anche CG25 (2002), n. 73.

42.9 Page 419

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418 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
difficili da avviare a livello ispettoriale o mondiale. Infatti, sarebbe utile
approfondire le diversità metodologiche per i vari livelli di progettazione:
con molta probabilità non potrà esserci un metodo per il livello di proget-
tazione personale e mondiale. Se si cerca un unico metodo, questo sarebbe
per forza solo nominale.
La maggiore difficoltà del metodo di discernimento è, però, la colloca-
zione del momento della “chiamata di Dio” all’inizio della progettazione,
inducendo a percepire la vocazione come una realtà disincarnata e ridu-
cendola, operativamente, alle citazioni di documenti che ci “interpellano”.
Sembrerebbe che il momento della considerazione della situazione venga
solo dopo e sarebbe solo in funzione della ricerca di soluzioni operative.141
Infatti più tardi, attorno alla riflessione del CG27 e del CG28, si torna
all’ordine precedente dei passi, parlando di: 1. ascolto, 2. lettura, 3. cam-
mino.142
Un’ulteriore problematicità consiste nella moltiplicazione del numero
dei progetti (con metodi diversi) che diventano sempre più difficili da coor-
dinare e sincronizzare. Le interazioni ai vari livelli sono prospettate sia da
Domènech, partendo dalla proposta del Progetto organico ispettoriale, che
dall’equipe di Fabio Attard nella terza edizione del Quadro di riferimento
della pastorale giovanile.143 Non c’è da meravigliarsi che spesso le ispet-
torie seguano piuttosto una strada più semplice investendo in un unico
progetto organico, approvato dai Capitoli ispettoriali e inviato alla casa ge-
neralizia, tralasciando la progettazione educativo-pastorale: l’elaborazione
del PEPS infatti non è richiesta con la stessa insistenza di prima.144 Le
attenzioni a livello centrale vanno piuttosto nella direzione del rinforzo di
linee teologiche e carismatiche di fondo per riformulare il Quadro di rife-
rimento, come vedremo nel prossimo paragrafo.
141 Un’altra difficoltà è l’assenza di riferimenti teorici riguardanti il metodo del di-
scernimento che implica l’impossibilità di ricostruire il background teorico del metodo.
Alcune analisi epistemologiche e metodologiche sono proposte in Vojtáš, Progettare e
discernere, 150-314.
142 Cfr. la strutturazione del documento del CG27 (2014).
143 Cfr. Domènech, Il Progetto Organico Ispettoriale, 42 e Dicastero PG, Quadro di
riferimento, 32014, 280.
144 Cfr. P. Chávez Villanueva, La Società di san Francesco di Sales nel sessennio
2008-2014, SDB, Roma 2014, 42-57 e Á. Fernández Artime, La Società di san Francesco
di Sales nel sessennio 2014-2020, documento interno al CG28 (2020), parte prima “La
Congregazione nei settori di animazione”, cap. 3 “Settore per la Pastorale Giovanile”.

42.10 Page 420

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 419
6.2.5. Attard e la terza edizione del Quadro di riferimento
Ricevendo il mandato dal CG26 per un adeguamento del Quadro di
riferimento, il consigliere generale per la pastorale giovanile Fabio Attard,
con la sua équipe, coordinò un’ampia consultazione circa il richiesto «ap-
profondimento del rapporto tra evangelizzazione ed educazione, per at-
tualizzare il sistema preventivo e adeguare il quadro di riferimento della
pastorale giovanile».145 Nell’intervista a conclusione del suo mandato di
dodici anni descrive retrospettivamente due pericoli all’interno del rappor-
to tra educazione ed evangelizzazione:
una certa efficienza funzionale dell’educativo a spese della fondamentale
chiamata ad essere “segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani”, e in secon-
do luogo una certa insistenza sulla evangelizzazione che perde la sua dinamica
educativa, capacità di processi e di graduale crescita. In questo caso il processo
evangelizzatore viene ridotto a un processo distaccato dalla storia, dalla viva
realtà nella sua complessità.146
Don Attard menziona altre sfide, che sono state considerate nella revi-
sione del Quadro di riferimento: la paura di evangelizzare, l’essere ingab-
biati in un orizzonte solo umano, la difficoltà di ammettere il cambio d’e-
poca, il fallimento dell’istituzione, la mentalità del “si è sempre fatto così”
e, infine, la sottovalutazione della voglia di ricerca dei giovani.147 Alcune
di esse si riferiscono ai tempi del postconcilio e riguardano soprattutto le
generazioni cresciute in quell’epoca, altre caratterizzano piuttosto il conte-
sto del 3° millennio, i giovani, gli animatori e gli educatori.
La terza edizione del Quadro di riferimento della pastorale giovanile
salesiana vuole porsi in continuità con le edizioni precedenti, arricchen-
dole con una riflessione teologica, spirituale e carismatica più accentuata.
All’interno di capitoli nuovi o fortemente rielaborati si ritrovano elementi
presenti nella riflessione della Congregazione dei primi anni del terzo mil-
lennio. Alcune tematiche emergono con più forza, riportando un contribu-
to di valore agli equilibri interni della pastorale-educazione salesiana:
– il bisogno di aprirsi alla vita e alla cultura dei giovani di oggi (capitolo 1);
145 CG26 (2008), n. 45.
146 Dodici anni di PG/1: Il passato, una storia di Congregazione. Intervista a d. Fabio
Attard, consigliere generale uscente della PG Salesiana a cura di Renato Cursi, Giancar-
lo De Nicolò e Jesús Rojano, in «Note di Pastorale Giovanile» 54 (2020) 1, 43.
147 Cfr. Ibid., 44-46.

43 Pages 421-430

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43.1 Page 421

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420 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
– l’importanza dell’ispirazione al Cristo Buon Pastore e l’inserimento nel-
la Chiesa evangelizzatrice (capitolo 2);
– l’insistenza sul rapporto tra educazione ed evangelizzazione (capitolo 3);
– la concezione del sistema preventivo inteso «come proposta di vita cri-
stiana (spiritualità giovanile salesiana) e come metodologia pedagogica
pratica»148 (capitolo 4 rielaborato);
– l’importanza metodologica del processo trasversale del discernimento.
Il magistero di papa Benedetto XVI, le provocazioni di Pascual Chávez
e l’evidente sfida di una secolarizzazione “interna” degli ordini religiosi
nel postconcilio contribuiscono a rinforzare il ruolo dell’evangelizzazio-
ne. È evidente una maggiore presenza del linguaggio teologico nei primi
quattro capitoli e viene dichiarata la volontà di aggiornamento della pasto-
rale giovanile. Il ragionamento si sviluppa in tre passaggi: Gesù Cristo è
l’evangelizzatore che annuncia la comunione con Dio-Amore; la Chiesa è
il “mistero di comunione e di missione” animata e sostenuta dallo Spiri-
to Santo; la Congregazione salesiana partecipa all’evangelizzazione della
Chiesa con la scelta specifica della missione giovanile.149 Coerentemente,
il capitolo sulla comunità educativo-pastorale è spostato prima del capitolo
sul PEPS e la dimensione educativo-culturale viene preceduta dall’educa-
zione alla fede, invertendo gli ordini della seconda edizione.
Nonostante il rinforzo della parte teologica, rimane affermato il mo-
dello di una “promozione integrale”. L’integralità, che appare nel testo per
più di 80 volte, è un concetto che connette Caritas in Veritate di Benedetto
XVI, attraverso la concezione integrale della persona nelle sue dimensioni,
alle formulazioni del Sistema preventivo sul “buon cristiano e onesto cit-
tadino”, fino ad affermare l’integralità delle dimensioni del progetto edu-
cativo-pastorale salesiano per una crescita piena del giovane.150 Il concetto
si allarga poi a una promozione integrale dei popoli, a un umanesimo inte-
grale, diventando un aggettivo che caratterizza la visione, la riflessione, lo
sviluppo, la crescita, la promozione, la formazione, la liberazione, la matu-
razione, fino ad arrivare all’integralità dei diritti della persona e della vita
istituzionale (nella parte nuova sulle Istituzioni Salesiane di Educazione
Superiore). L’integrazione tra le dimensioni del progetto viene rinforzata
anche attraverso le scelte trasversali della pastorale giovanile menzionan-
148 Dicastero PG, Quadro di riferimento, 32014, 77.
149 Cfr. Dicastero PG, Quadro di riferimento, 32014, 41.
150 Cfr. Ibid.,

43.2 Page 422

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 421
do l’animazione vocazionale, missionaria, del volontariato, della comuni-
cazione sociale e del movimento giovanile salesiano.
Avendo in mente tutte le attenzioni alle quali vuole rispondere il testo,
è comprensibile che la terza edizione del Quadro di riferimento non sia
di facile lettura, contenendo diversi strati di pensiero e di redazione e una
doppia lunghezza rispetto all’edizione precedente. Con un magistero post-
conciliare della Congregazione che si sta ampliando ad ogni sessennio,
vengono moltiplicati i criteri, le diverse logiche, le mentalità da cambiare,
ma si moltiplicano pure i campi della missione, le strutture di animazio-
ne e della progettazione. Il dicastero ha perciò introdotto nel sessennio
2014-2020 la scuola per i delegati ispettoriali per la pastorale giovanile,
riprendendo e studiando il testo. Penso che, oltre alle necessarie attenzioni
allo studio di un testo complesso, sarebbe utile sviluppare e semplificare
gli aspetti metodologici della proposta educativo-pastorale. È facile elen-
care i criteri di giudizio per i progetti, gli itinerari e le attività, ma sarebbe
utile indicare pure i passaggi e le attenzioni sul “come fare” e per passare
“dalla carta alla vita”. Questa attenzione è espressa anche da Fabio Attard,
nell’intervista sopra citata, affermando l’urgenza di progettare per non ca-
dere negli estremi dell’improvvisazione o del fissismo del fare come si è
sempre fatto.151
La questione metodologica emerge attorno al tema paradigmatico dei
progetti e degli itinerari. È un ambito affrontato maggiormente all’interno
dell’ultima parte dell’ultimo capitolo. Il PEPS ispettoriale e locale sono in-
seriti in un insieme di documenti che guidano l’azione a diversi livelli. Un
posto importante viene occupato dal Progetto organico ispettoriale, dal Di-
rettorio Ispettoriale e dalla programmazione annuale, per la quale vengono
offerti ulteriori specificazioni. Per l’illustrazione riportiamo lo Schema I
sulle interrelazioni presente nel Quadro. La programmazione annuale di-
venta un “mini-progetto” che concretizza un obiettivo dell’anno in obietti-
vi specifici (processi, interventi, compiti e distribuzione del personale), che
devono essere valutati alla fine dell’anno stesso. Nella programmazione
dovrebbe anche essere incluso l’organigramma dell’ispettoria o dell’opera
e il calendario.152
151 Dodici anni di PG. Intervista a d. Fabio Attard, 49.
152 Cfr. Dicastero PG, Quadro di riferimento, 32014, 282-283 e 285-288.

43.3 Page 423

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422 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
Schema I: Interdipendenze tra i vari progetti.153
L’idea di progettazione così esposta non sembra essere stata sostanzial-
mente influenzata dal cambiamento di prospettiva dei primi tre capitoli sul
fondamento teologico. A livello nominale si accentua il ruolo del discer-
nimento, inteso come l’atteggiamento trasversale dell’essere in ascolto del
piano di Dio,154 ma le fasi della progettazione (analisi della situazione, pro-
gettazione operativa, verifica) rimangono inalterate nella loro logica di una
progettazione per obiettivi. Il discernimento non si integra nelle fasi della
progettazione, ma è concepito come un’attenzione globale che accompa-
153 Ibid., 280.
154 Cfr. Ibid., 27-28 e 290-292.

43.4 Page 424

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 423
gna tutto il processo per prevenire gli estremismi di una progettazione tec-
nica, commerciale, economica, politica da un lato o di uno spiritualismo
dall’altro. Si dovrebbe relativizzare la staticità, la rigidità e l’anonimato
della progettazione con l’introduzione del discernimento, che ha il compito
di mantenere centrale «l’anima educativo-pastorale del PEPS, la sua natura
evangelica di offerta di salvezza al giovane in Cristo».155
Rispetto alla seconda edizione, che suggeriva genericamente di «pensa-
re una metodologia che favorisca la partecipazione di tutti»,156 nella terza
si nominano tre metodologie di discernimento da scegliere secondo le cir-
costanze e i contesti: vedere-giudicare-agire; chiamata di Dio-situazione-
linee di azione; revisione di vita.157 Un simile tipo di approccio si ripete
nella questione della progettazione degli itinerari dell’educazione alla fede
all’interno del capitolo sul sistema preventivo. Gli itinerari sono concepiti
come progetti pensati in una logica evolutiva: «Occorre tradurre la sintesi
teorica in itinerari pedagogici strutturati e in tappe graduali, secondo la
condizione dei ragazzi e dei giovani che li devono attuare (obiettivi, atteg-
giamenti, conoscenze, impegni concreti e esperienze) con alcuni contenuti
chiaramente definiti».158 Al posto di un metodo si propongono quattro aree
di maturazione umana e cristiana (che non sono direttamente allineati con
le quattro dimensioni del PEPS) e due set di criteri da considerare.159
Dall’evoluzione delle tre edizioni del Quadro di riferimento si potreb-
bero trarre alcuni insegnamenti. Uno concerne il modo di creare sintesi
complete e aggiornate che invecchiano proporzionalmente con il livello di
attualizzazione concreta. Sembrerebbe che dopo il prossimo Sinodo o un
nuovo documento magisteriale bisognerà riscrivere di nuovo il Quadro.
Invece, la modalità simbolico-essenziale usata nel volume Pastorale Gio-
vanile Salesiana del 1990 sembra essere meno soggetta all’invecchiamen-
to: le idee fondamentali e i loro rapporti espressi in un disegno che lascia
margini all’interpretazione è una forma più stabile, semplice e creatrice di
mentalità. Un altro insegnamento è la necessità di curare il sottile/delicato
rapporto tra l’impostazione antropologica e le linee metodologiche. Nelle
155 Ibid., 292.
156 Dicastero PG, Quadro di riferimento, 22000, 139.
157 Cfr. Dicastero PG, Quadro di riferimento, 32014, 281-282.
158 Ibid., 99.
159 Il Quadro di riferimento offre criteri operativi (flessibilità, continuità, orientamen-
to, organicità) e criteri metodologici (concretezza, simbolo, narrazione, interiorizzazio-
ne, esperienza, protagonismo e partecipazione, personalizzazione e socializzazione) in
Dicastero PG, Quadro di riferimento, 32014, 99-103.

43.5 Page 425

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424 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
prime due edizioni si è privilegiata la metodologia che implicava un’an-
tropologia migliorabile; nella terza edizione si è rinforzata l’impostazione
antropologica che ha offuscato la chiarezza metodologica di prima. La ri-
cerca rimane aperta, ma si può affermare che abbiamo tanti elementi che
ci indirizzano nella futura costruzione di una metodologia più evoluta ed
equilibrata tra il discernimento e l’operatività, lasciandoci guidare dalla
stimolante e bella linea di fondo: «L’impostazione pedagogica del metodo,
in stretta connessione con quella dei contenuti e della dinamica, è impor-
tante. […] In questo senso, il metodo è anche il messaggio».160
6.2.6. Il bicentenario e i primi anni del rettorato di don Fernández Artime
La preparazione ai festeggiamenti del secondo centenario della nascita
di don Bosco è stata delineata da don Pascual Chávez già con molto antici-
po, predisponendo un triennio scandito da tre successive proposte: la cono-
scenza del don Bosco storico (strenna 2012),161 la riscoperta del suo sistema
preventivo (strenna 2013)162 e gli approfondimenti sulla spiritualità sale-
siana che ruotano attorno alla carità pastorale (strenna 2014).163 L’ultima
tematica della spiritualità dell’evangelizzazione è già esplicitamente ispi-
rata alla Evangelii Gaudium di papa Francesco che «presenta una visione
di come deve essere la Chiesa: senza paura del mondo moderno, che cerca
nuove forme di predicare il Vangelo, più missionaria, più misericordiosa,
più coraggiosa per fare tutti i cambi necessari».164 La suddivisione degli
anni di preparazione è diventata un paradigma della tripartizione che si è
riflettuta anche nell’impostazione del primo volume delle Fonti Salesiane
tra la parte storica, dell’educazione e della spiritualità, e ha parzialmen-
te condizionato la realizzazione dei congressi scientifici del bicentenario:
160 Ibid., 101.
161 Cfr. P. Chávez Villanueva, “Conoscendo e imitando Don Bosco, facciamo dei
giovani la missione della nostra vita“. Primo anno di preparazione al Bicentenario della
sua nascita, in «Atti del Consiglio Generale» 93 (2012) 412, 3-39.
162 Cfr. P. Chávez Villanueva, “Come Don Bosco educatore, offriamo ai giovani il
vangelo della gioia attraverso la pedagogia della bontà”. Secondo anno di preparazione
al Bicentenario della sua nascita, in «Atti del Consiglio Generale» 94 (2013) 415, 3-29.
163 Cfr. P. Chávez Villanueva, “Da mihi animas, cetera tolle”, Attingiamo all’espe-
rienza spirituale di Don Bosco, per camminare nella santità secondo la nostra specifica
vocazione “La gloria di Dio e la salvezza delle anime”. Terzo anno di preparazione al
Bicentenario della sua nascita, in «Atti del Consiglio Generale» 95 (2014) 417, 3-46.
164 Cfr. Ibid., 4.

43.6 Page 426

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 425
parzialmente perché si sono svolti un congresso storico nel 2014 e uno pe-
dagogico nel 2015, venendo però a mancare un evento di approfondimenti
scientifici sulla spiritualità salesiana.
Lo Zeitgeist ecclesiale ai tempi del bicentenario ruota attorno all’atten-
zione pastorale pratica di papa Francesco, con alcuni tratti caratteristici
riguardanti gli atteggiamenti di vicinanza agli ultimi, l’uscita verso le pe-
riferie e la logica sinodale. Infatti, il suo magistero è valorizzato se si legge
piuttosto in una prospettiva pastorale-relazionale che di riforma dogmatica
o di reimpostazioni teoriche. Don Ángel Fernández Artime, eletto al CG27
nel 2014, si pone in sintonia con le linee del papa, sviluppando uno stile
di animazione sulla scia di Renato Ziggiotti, visitando le singole ispettorie
della Congregazione e animando i processi attorno al rettor maggiore in un
ascolto delle situazioni concrete. Riprendendo la ricchezza delle riflessioni
postconciliari, è il tempo delle attuazioni, dei modelli pastorali integrali e
dell’accompagnamento di processi decentrati e necessariamente lenti, con
ritmi legati alla mutata demografia della Congregazione.
Sarà un lavoro di decenni, alla ricerca di modelli per una vita comu-
nitaria consistente, profonda e interculturale, con una presenza di “nuo-
vi salesiani” che sappiano vivere una sintesi tra la profondità spirituale,
l’accompagnamento dei giovani e degli educatori adulti, discernere e pro-
gettare itinerari di formazione e gestire il coordinamento delle comunità
educativo-pastorali a cerchi concentrici. Le lezioni della storia circa la “re-
golarizzazione” degli studentati durante il tempo di don Rinaldi o la lenta e
parziale ristrutturazione nel post Vaticano II sono esempi dei tempi neces-
sari per un cambiamento profondo. L’alternarsi dei tempi del ripensamento
innovativo e di una assimilazione vitale pratica è da accettare con umiltà
per non cadere in una guerra culturale tra chi esalta la gloria del passato
lontano e chi ha interiorizzato la secolarizzazione liberal-progressista stru-
mentalizzando la storia, il pensiero e, non per ultimo, i recenti due pon-
tificati. Come emerge dalla relazione sullo stato della Congregazione del
2020, non siamo immuni all’attrattiva delle soluzioni populistiche, clericali
o secolarizzate che segnalano un deficit di identità carismatica salesiana.165
Lo svolgimento degli ultimi due Capitoli generali ha fatto vedere l’e-
saurirsi delle potenzialità del modello postconciliare di un “ripensamen-
to magisteriale” che necessita poi di un passaggio “dalla carta alla vita”.
Nei Capitoli del 2014 e del 2020 si è rinforzata la componente processuale
165 Cfr. Á. Fernández Artime, La Società di san Francesco di Sales nel sessennio
2014-2020, 1-2, 15-17 e 25-26.

43.7 Page 427

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426 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
di discernimento legata alla situazione mondiale della Congregazione. La
sintesi del CG27 tra la mistica della vita interiore, la profezia della comu-
nione e il servizio educativo-pastorale ai giovani non è, di per sé, teorica-
mente innovativa, in quanto inverte soltanto l’ordine dello schema delle
costituzioni “Inviati ai giovani in comunità al seguito di Cristo”.166 Oltre a
segnalare l’attualità di alcune linee necessarie per il post Vaticano II, come
l’uscita nelle periferie e verso i poveri o la necessità di progettare insieme
con i laici, vengono concretizzate tematiche pratiche come la protezione
dei minori, la consistenza delle comunità o la trasparenza nella gestione
dei beni e delle opere.167
Nella circolare sui “cinque frutti del bicentenario”,168 don Fernández
Artime riassume la visione per il futuro attorno al “sogno” di una Con-
gregazione di salesiani felici, che siano uomini di fede pieni di Dio, appas-
sionati dei giovani più poveri e per questo missionari, evangelizzatori ed
educatori nella fede. Nell’impostazione ritroviamo lo schema della “dupli-
ce fedeltà”, sia al sentire dei giovani che al sentire della Chiesa, uno degli
equilibri dei primi capitoli del nuovo Quadro di riferimento.169 Nella parte
più educativa, circa la presenza con i giovani più poveri, don Ángel rilegge
il magistero postconciliare sulla opzione preferenziale per gli ultimi, appli-
candolo allo stile di vita dei salesiani. Riprendendo l’argomentazione della
Evangelii Gaudium di papa Francesco sulla globalizzazione dell’indiffe-
renza e la “cultura dello scarto”,170 il rettor maggiore afferma, negli ultimi
Capitoli generali, il legame intrinseco tra la scelta dei giovani poveri e un
conseguente stile di vita sobrio, trasparente e di servizio.
Non ripiegatevi su voi stessi – dice il papa – non lasciatevi asfissiare dal-
le piccole beghe di casa, non rimanete prigionieri dei vostri problemi... C’è un
‘umanità intera che aspetta: persone che hanno perduto ogni speranza, famiglie
in difficoltà, bambini abbandonati, giovani ai quali è precluso ogni futuro, am-
malati e vecchi abbandonati, ricchi sazi di beni e con il vuoto nel cuore, uomini
e donne in cerca del senso della vita, assetati di divino.171
166 Cfr. La parte seconda delle Costituzioni SDB, articoli 6-95.
167 Cfr. CG27 (2014), nn. 35, 52ss, 60, 71, 73ss.
168 Cfr. Á. Fernández Artime, «Perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza»
(Giov. 10, 10) Cinque frutti del bicentenario, in «Atti del Consiglio Generale» 96 (2015)
421, 3-26.
169 Cfr. Dicastero PG, Quadro di riferimento, 32014, 35.
170 Cfr. Francesco, Evangelii Guadium, nn. 53-58 in Artime, Cinque frutti del bicen-
tenario, 16-17.
171 Cfr. Francesco, Lettera Apostolica a tutti ì consacrati in occasione dell’Anno

43.8 Page 428

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 427
Così nel terzo millennio si passa, nel magistero salesiano, dall’impo-
stazione dell’educazione in sé all’importanza del legame tra l’identità, lo
stile di vita degli educatori e le scelte progettuali dell’educazione. Dopo il
Concilio non è cambiata la mentalità, sono cambiate le condizioni e le idee
che insieme ispiravano e condizionavano l’educazione; nel terzo millennio
è, invece, cambiata la demografia degli educatori, tra le dinamiche della
corresponsabilità con gli educatori laici in un occidente invecchiato e il
crescere delle vocazioni consacrate in altri contesti con pericoli di autore-
ferenzialità e di clericalismo.
Il rettor maggiore, attraverso le varie Strenne, riprende in una logica
operativa alcune tematiche che necessitano di una traduzione più concre-
ta. L’esempio emblematico è il tema dell’accompagnamento, scelto come
strenna per il 2018. All’inizio del commento don Fernández Artime si chie-
de, e non è una domanda retorica: «Che cosa aspettiamo? Perché non ci
decidiamo ad essere molto più disponibili ad accompagnare tutti i nostri
giovani in ciò che è più importante per la loro vita? Che cosa ci frena? Per-
ché “occuparci” o “spendere tempo” in altre cose quando questa è una vera
priorità educativa e di evangelizzazione?».172 Sembrerebbe che la disparità
tra la crescente mole di stimoli teorico-ideali e la diminuzione di forze sia
arrivata a un punto di non ritorno. Si tratta del «dislivello tra quantità di
proposte e possibilità di attuarle»173 segnalato da don Vecchi già all’inizio
degli anni ’90 e adesso rinforzato ancora di più.
In questo senso sono da considerare fondamentali le dinamiche dell’al-
ternanza tra i periodi di maggior riflessione e attuazione; dell’esaurimento
del modello capitolare postconciliare e, non per ultimo, le dinamiche de-
mografiche della vita consacrata contemporanea. Ci sono poi altri eventi,
come lo spostamento della casa generalizia e l’incompiuto CG28 per la
pandemia globale, da considerarsi come “eventi simbolo” di un cambio di
epoca. Così pure gli effetti della pandemia del Covid19, che non solo ha
interrotto i lavori del Capitolo generale, ma ha messo in dubbio diversi mo-
delli pastorali e ci spinge a ripensare “la presenza” salesiana e il rapporto
educativo con nuovi equilibri.
della Vita Consacrata, in Artime, Cinque frutti del bicentenario, 17.
172 Á. Fernández Artime, Strenna 2018 “Signore, dammi di quest’acqua” (Gv 4,15).
Coltiviamo l’arte di ascoltare e di accompagnare, in ACG 99 (2018) 426, 4-5.
173 Cfr. Vecchi, Verso una nuova tappa di PG, in Il cammino e la prospettiva 2000,
88.

43.9 Page 429

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428 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
6.3. Le correnti di pensiero pedagogico salesiano nel terzo millennio
6.3.1. La visione storico-critica dell’educazione salesiana
Poco dopo il centenario del 1988 don Pietro Braido diventò professore
emerito, ma questo non gli impedì di continuare il lavoro nell’Istituto Sto-
rico e di raccogliere i frutti dell’impegno di tutta la vita nei due volumi di
sintesi Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà e nei quattro
densi articoli sulla storia dell’oratorio nell’Italia contemporanea. La sua
tipica sistematicità e precisione sono diventate determinanti anche per la
forma delle sue ultime pubblicazioni. Paolo Alfieri, nella prefazione al vo-
lume sulla storia dell’oratorio, esprime con chiarezza la chiave interpreta-
tiva del contributo di Braido nella «determinazione dell’esatto rapporto di
ciascuna esperienza con la totalità del contesto storico» come una «condi-
zione fondamentale per una valutazione oggettiva e il termine più sicuro
per un confronto coraggioso e innovativo, al di là di irrigidimenti irrazio-
nali e di soluzioni eclettiche e trasformiste».174 Tali affermazioni si trovano
nell’introduzione al volume sulle esperienze di pedagogia cristiana nella
storia dell’inizio degli anni ’80 e sono espressione del “secondo Braido”,
storico dell’educazione.175
L’immagine di don Bosco educatore è delineata nei due corposi volumi
del 2002 in una continua minuziosa alternanza tra la sua personalità e
la presentazione delle singole esperienze. Braido evita sia un’analisi dei
“quadri mentali”, metodo tipico di Pietro Stella, che lo stile narrativo di
Desramaut, anche se questi autori sono utilizzati come sintesi di riferimen-
to. La biografia-testamento di Pietro Braido doveva essere «la summa vitae
di don Bosco, tutta sostanziata di situazioni e di eventi che si accavallano e
sarebbero inadeguatamente rappresentati da enunciati generali».176 È cen-
trale la critica delle fonti, all’interno della quale anche don Bosco diventa
un “problematico testimone di se stesso”, e la priorità viene data dall’autore
alla “molteplicità del fare”.177 Il tipico procedere del metodo storico-critico
174 P. Alfieri, Per una storia dell’educazione giovanile nell’oratorio dell’Italia con-
temporanea. Il contributo di Pietro Braido sull’esperienza salesiana, in Braido, Per una
storia dell’educazione giovanile nell’oratorio, 15.
175 Cfr. P. Braido, Presentazione, in Id., Esperienze di pedagogia cristiana nella
storia, LAS, Roma 1981, vol. 1, 6.
176 P. Braido, Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà, LAS, Roma 22003,
17.
177 Cfr. Ibid., 15-17.

43.10 Page 430

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 429
dei due volumi di Braido va in realtà incorporando due mondi appartenenti
già al passato: quell’universo di don Bosco di un Piemonte in transizione
dal rurale all’industriale e il mondo “moderno” del Braido critico, preciso e
minuzioso, contrapposto al trionfalismo simbolizzato dalle Memorie Bio-
grafiche e alimentato dalla dialettica libertà-tradizione.
Le prospettive del ripensamento pedagogico di Braido si muovono an-
cora in un universo post-ricaldoniano tra le coordinate della disciplina e
dell’attivismo delle “scuole nuove”, con delle soluzioni di equilibrio tra il
neotomismo, la modernità e le scienze umane. L’aggiornamento prospetta-
to nel famoso capitolo XIX del Prevenire non reprimere si colloca in que-
ste coordinate del superamento della «classica antinomia autorità-libertà»,
riproponendo la centralità del fanciullo e la sua attività naturale e sponta-
nea, riferendosi sia ai padri fondatori Komenský, Locke e Rousseau, che a
correnti più recenti della personalizzazione, dell’autogestione o del prota-
gonismo giovanile.178 Braido prospetta un percorso impossibile da percor-
rere, in quanto mette insieme la valorizzazione degli “incommensurabili
progressi” delle scienze dell’educazione e i contributi più radicali di Lutte,
Milanesi o Grasso nel tempo del post Vaticano II179 con gli approfondimen-
ti settoriali di Pellerey, Castellazzi, Thévenot e altri.180
Se collochiamo le proposte di Braido nel contesto del terzo millennio,
queste sembrano convincere poco, in quanto si è testimoni diretti (almeno
in occidente) della problematicità delle soluzioni moderne e antropocentri-
che. La hybris moderna si sta svuotando e si percepisce la frammentazione
della società, la fragilità della condizione umana, i limiti della scienza che
non tocca la qualità della vita. Inoltre in ambito ecclesiale c’è stato un ridi-
mensionamento del metodo storico-critico riassunta eccellentemente nella
premessa al Gesù di Nazaret di Benedetto XVI,181 e nello stesso tempo si
constata anche una settorializzazione delle scienze dell’educazione, che
sono tenute insieme più per dinamiche diplomatico-pratiche che episte-
mologiche.182 Un’implicita attestazione di insoddisfazione verso la interdi-
178 Cfr Braido, Prevenire non reprimere, 378-385 e 395-397.
179 Cfr. Ibid., 399-401.
180 Cfr. Ibid., 394, 399 e 402. Negli orientamenti bibiografici Braido indica anche
altri contributi all’innovazione che includono contributi di psicologia, sociologia, storia,
atti di convegni, prassi educativa sociale e interculturale proposti da salesiani e Figlie di
Maria Ausiliatrice. Cfr. Ibid., 413-415.
181 Cfr. J. Ratzinger Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 7-20.
182 Non si è costatata la centralità unificante della filosofia dell’educazione o della
metafisica all’interno delle scienze dell’educazione come prospettato da “primo Braido”.
Cfr. P. Braido, Umanesimo e pedagogia, PAS, Torino 1957, 15-46; Id., Introduzione alle

44 Pages 431-440

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44.1 Page 431

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430 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
sciplinarità di fatto è, per esempio, l’insistenza sulla necessità del princi-
pio della transdisciplinarità all’interno della “Veritatis Gaudium” di papa
Francesco.183 Anche Pietro Stella constata nei suoi ultimi anni che «pur-
troppo l’Università Salesiana non è servita come cinghia di trasmissione di
un sistema educativo rinnovato: ho l’impressione che questo rinnovamento
sia stato a frammenti».184
A seguito di Braido e delle paradossali prospettive dell’ultimo capitolo
del Prevenire non reprimere si è affermata la moda di parlare di ripensa-
mento con un elenco sempre più lungo di sfide da considerare, ma non di
proporre un’attualizzazione integrale più concreta. Si aggiungono sempre
più “sfide” che non vengono poi affrontate con la stessa serietà e metico-
losità con la quale si cura la parte problematizzante. E intanto sembra che
il trionfalismo delle Memorie Biografiche non sia il problema più gran-
de, lo è invece la poca conoscenza di don Bosco e della storia salesiana.
Don Pascual Chávez, che con la sensibilità del biblista sapeva apprezzare
l’importanza di un’interpretazione storica equilibrata, ha valorizzato i con-
tributi di Braido e dell’Istituto Storico Salesiano soprattutto attorno alla
preparazione alle celebrazioni del Bicentenario:
D’altra parte, gli avvenimenti di questi anni – il 150° della fondazione della
Congregazione, il centenario della morte di don Rua, il 150° dell’unità d’Italia –
hanno accresciuto in noi una mentalità storica, che va comunque riappropriata.
[…] Ѐ per tutti noi l’occasione per entrare in contatto con il grande lavoro fatto in
questi anni. Infine, il punto 7 motiva la necessità di ave­re una immagine attuale
di don Bosco.185
Il lavoro prezioso degli studiosi dell’Istituto Storico Salesiano sta ar-
ricchendo continuamente il mondo salesiano di contributi che arrivano
a ricostruire anche l’educazione salesiana fino alla metà del secolo XX.
Dal 1996 ha iniziato ad operare anche l’Associazione Cultori di Storia
Scienze dell’educazione, in P. Braido et al., Educare. Sommario di scienze pedagogiche,
PAS Verlag, Zürich 31962, vol. 1, 19-20; Id., La teoria dell’educazione e i suoi problemi,
PAS Verlag, Zürich 1968, 10-13; 131-133.
183 Cfr. Francesco, Costituzione apostolica “Veritatis Gaudium” circa le università e
le facoltà ecclesiastiche, n. 4c, in bit.ly/vatican-va-2018-01-29.
184 Pietro Stella racconta il suo percorso come studioso di don Bosco (14 dicembre
2006), in M. Lupi - A. Giraudo, Pietro Stella. La lezione di uno storico, LAS, Roma
2011, 123.
185 P. Chávez Villanueva, “Conoscendo e imitando Don Bosco, facciamo dei giovani
la missione della nostra vita“ Primo anno di preparazione al Bicentenario della sua
nascita, in «Atti del Consiglio Generale» 93 (2012) 412, 10.

44.2 Page 432

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 431
Salesiana (ACSSA) che «ha per scopo di promuovere gli studi sulla storia
salesiana, favorendo la ricerca, l’aggiornamento e la collaborazione fra i
membri, animando la Famiglia salesiana sotto il profilo storiografico».186
Tra i contributi più significativi si possono nominare i due volumi sull’e-
ducazione salesiana tra il 1888 e il 1922, il volume sull’educazione sa-
lesiana in tempi difficili o i contributi del convegno storico sul carisma
salesiano in occasione del bicentenario.187 Importante per la diffusione
della conoscenza storica è stata la pubblicazione e le successive tradu-
zioni delle Fonti Salesiane, volute dal CG26 ed elaborate dall’Istituto
Storico Salesiano.188
Moltissime fonti, ricostruzioni storiche di singole case, ispettorie, re-
gioni, ricerche su persone e varie tematiche e altre pubblicazioni contenute
nelle collane dell’ISS, dell’ACSSA e del Centro Studi don Bosco dell’UPS
sono a disposizione dei lettori, che però sembrano essere pochi. Lo sce-
nario della storiografia salesiana è abbastanza complesso e differenziato e
non è facile muoversi al suo interno senza una preparazione professionale.
In diversi paesi si nota anche una frequente sproporzione tra la rilevanza
dell’attività salesiana e la scarsità storiografica.189 Si avverte sempre più
il bisogno di una selezione di materiali essenziali, di studi trasversali e
di sintesi pregnanti che possano illuminare le riflessioni dei pedagogisti,
pastoralisti, teologi o filosofi dell’educazione. Senza questo tipo di pubbli-
cazioni ci si muoverà, come accade spesso, su binari paralleli con logiche
difficilmente compatibili e, infine, con frutti non sempre rilevanti per il
vissuto educativo, formativo e progettuale dei membri della Famiglia sale-
siana nei diversi contesti. Un uso intelligente della strumentazione infor-
matica e telematica potrà essere strategico per lo sviluppo pregnante della
186 Statuto dell’Associazione Cultori di Storia Salesiana (ACSSA) aggiornato il 24
maggio 2016, art. 1, in iss.sdb.org/?page_id=142.
187 Cfr. J.G. Gonzáles et al. (eds.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922. Istanze ed
attuazioni in diversi contesti. Atti del 4° Convegno Internazionale di Storia dell’Opera
salesiana Ciudad de México, 12-18 febbraio 2006, 2. voll., LAS, Roma 2007; S. Zimniak
- G. Loparco (eds.), L’educazione salesiana in Europa negli anni difficili del XX secolo.
Atti del Seminario Europeo di Storia dell’Opera salesiana Cracovia, 31 ottobre – 4
novembre 2007, LAS, Roma 2008 e A. Giraudo et al (eds.), Sviluppo del carisma di Don
Bosco fino alla metà del secolo XX. Atti del Congresso Internazionale di Storia Salesiana
Roma, 19-23 novembre 2014. Relazioni, LAS, Roma, 2016.
188 Cfr. Istituto Storico Salesiano, Fonti Salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera.
Raccolta antologica, LAS, Roma 2014.
189 Cfr. G. Loparco - S. Zimniak (eds.), La storiografia salesiana tra studi e documen-
tazione nella stagione postconciliare, LAS, Roma 2014, 14 e 20.

44.3 Page 433

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432 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
storiografia salesiana, per creare database ed effettuare ricerche multicrite-
riali con l’uso di algoritmi di analisi testuale e semantica.190
6.3.2. La pastorale giovanile e la priorità all’evangelizzazione
Come abbiamo visto nel paragrafo sulla terza edizione del Quadro di
riferimento della pastorale giovanile salesiana, alcune semplificazioni de-
gli anni ’80 e ’90 ruotanti attorno al binomio educazione-evangelizzazione
si sono rivelate insufficienti e riduttive, riducendo spesso implicitamente
o esplicitamente le sintesi di Viganò a una logica delle dimensioni equi-
parate, alla progettazione di itinerari educativi paralleli o semplicemente
ad uno slogan. Gli approcci sviluppati sulla base di questa logica delle di-
mensioni, poi, generalmente prospettano quella religiosa in modo relativa-
mente autonomo dalle altre, esprimendola con tematiche di una spiritualità
generica focalizzata sulla ricerca di senso e sulla pratica di alcuni valori
umani.
Per esempio Roger Burggraeve e Jacques Schepens hanno elaborato
attorno al cambio del millennio l’attualizzazione del trinomio ragione, re-
ligione, amorevolezza nelle coordinate dell’individuale appropriazione del
giovane della maturità nelle aree dell’affettività, razionalità e del senso
della vita.191 Ogni area di maturazione viene riattualizzata portando rifles-
sioni pertinenti e interessanti a riguardo dell’età giovanile pensata come
un periodo di personale appropriazione dei valori e degli atteggiamenti.
Il rischio della loro impostazione è però di concepire le aree come relati-
vamente e praticamente indipendenti e di ridurre “la religione” a un’area
di spiritualità generica che lavora con i concetti di motivazione, del senso
della vita e dei valori in generale. Il cristianesimo viene “dopo” come una
“ulteriore concretizzazione”.192
Un approccio simile è stato presentato da Michele Pellerey durante il
190 Cfr. la categorizzazione, le tassonomie e l’indicizzazione delle risorse salesiane
in salesian.online e sangiovannibosco.net e la ricca bibliografia sul tema della ricerca
semantica in A. Meroño-Peñuela et al., Semantic technologies for historical research:
A survey, in «Semantic Web» 6 (2015) 6, 539-564.
191 Cfr. R. Burggraeve - J. Schepens, Emotionalität, Rationalität und Sinngebung
als Faktoren christlicher Werterziehung. Eine Interpretation des pädagogischen Erbes
Don Boscos für heute, Don Bosco, München 1999 di cui sintesi fu pubblicata in francese
come J. Schepens, Affectivité rationalité sens de la vie. Le trinôme salésien: raison,
religion, affection, réactualisé dans le langage contemporain, Don Bosco, Paris 2001.
192 Cfr. Schepens, Affectivité rationalité sens de la vie, 24.

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 433
congresso di pedagogia salesiana nel 2015, proponendo la reinterpretazio-
ne del classico trinomio come un sistema di relazioni che si basa sulla
ragionevolezza, è orientato verso una spiritualità giovanile ed è animato
dalla donazione di sé e dalla reciprocità affettiva.193 È interessante la lo-
gica sistemica che unisce e interconnette il trinomio e anche le attenzioni
rivolte alla riscoperta della saggezza pratica, dell’intuizione educativa, del
principio di donazione o della spiritualità giovanile. In seguito riportiamo
un brano sintetico che illustra bene le insistenze e l’importanza di un ap-
proccio spirituale nell’educazione:
non sembra possibile uno sviluppo autentico della stessa dimensione religiosa
della vita umana senza che esperienze esistenziali radicali sollecitino ad andare
oltre la superficialità del quotidiano, la provvisorietà dell’immediato, la materia-
lità del consumo. Non solo, occorre probabilmente un tirocinio che avvii anche
in campo culturale a cercare con insistenza una verità più incisiva sulla realtà
umana, personale e sociale, e sulla realtà dell’universo che ci circonda. Occorre
che i percorsi educativi, anche scolastici, siano luogo e tempo d’esperienze eti-
che, estetiche e veritative autentiche, d’esperienze esistenziali che sollecitano un
risveglio dell’interiorità, d’accompagnamento per le vie di un viaggio, di un’av-
ventura spirituale verso il senso ultimo della vita, verso le finalità fondamentali
dell’esistenza, verso l’incontro personale profondo con l’Assoluto.194
Senza togliere agli approcci citati il valore di alcune applicazioni inte-
ressanti e pregnanti, vanno però segnalati anche i punti deboli e il fatto di
una maggiore risonanza al centro della Congregazione degli approcci legati
più esplicitamente alle tematiche dell’evangelizzazione, del discernimento,
dell’accompagnamento e della vocazione. Semplificando, penso che non si
tratti di un passaggio dalle scienze dell’educazione alla teologia, come vie-
ne spesso interpretato, ma è piuttosto un passaggio dalla semplificazione
della teologia fondamentale rahneriana, che percepisce la religiosità come
una trascendentalità inerente alla vita umana legata al mistero che sta fuo-
ri dal nostro controllo,195 alla teologia ispirata a von Balthasar, all’interno
della quale la croce di Cristo, che manifesta la gloria e l’amore di Dio, è
193 M. Pellerey, La professionalità educativa e la competenza pedagogica. Attenzioni
irrinunciabili dell’offerta formativa della famiglia salesiana oggi, in V. Orlando (ed.),
Con Don Bosco educatori dei giovani del nostro tempo. Atti del Convegno Internazionale
di Pedagogia Salesiana 19-21 marzo 2015 Roma Salesianum/UPS, LAS, Roma 2015,
190-206.
194 Ibid., 193-194.
195 Cfr. K. Rahner, The experience of God today, in Pellerey, La professionalità
educativa, 194.

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434 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
l’evento centrale della storia umana e lo sguardo della fede è presente dal
principio di ogni riflessione. Qui di seguito illustriamo alcuni passaggi di
pensiero nella riformulazione teologica del rapporto tra evangelizzazione
ed educazione nata nell’Italia settentrionale.196
Sintetizzando si può cominciare dall’analisi di Paolo Zini che ripren-
de le premesse storico-culturali dei processi di secolarizzazione che oggi
maggiormente concorrono a rendere difficoltosa la pacifica integrazione
tra la pratica educativa e l’annuncio del Vangelo. Ripercorrendo il pensiero
di Voltaire, Locke e Hume si nota la prima rottura tra il pensiero spe-
culativo e pratico. La fede viene percepita come appartenente all’ambito
soggettivo ed è piuttosto la ragione pratica quella che equilibra i rapporti
sociali attorno all’idea fondante della tolleranza razionalmente e pubbli-
camente condivisibile.197 La sdoppiatura fede-ragione si riverbera anche
su altre contrapposizioni tra l’esteriorità della legge pubblica e l’interiorità
della coscienza soggettiva; tra il sapere dei mezzi e il sapere dei fini, fino
ad arrivare alla separazione tra razionalità verificabile e fede solo sog-
gettiva, mistica e inesprimibile propria di alcuni esponenti del circolo di
Vienna. L’autore espone poi, seguendo l’opera fondamentale L’età secolare
di Charles Taylor, gli effetti delle dissociazioni a livello di processi sociali
e culturali che hanno definito la modernità. Dal contesto dell’intolleranza
religiosa del Seicento e Settecento nascono i processi della considerazione
del “Nome di Dio” come pericolo civile, dell’oscuramento sociale della
pratica credente, della secolarizzazione della sollecitudine educativa e del-
la compiaciuta “astenia” della libertà.198
La proposta teologica di Andrea Bozzolo, Roberto Carelli e i successivi
sviluppi della pastorale giovanile di Rossano Sala si collocano all’interno
di concezioni di teologia fondamentale di von Balthasar, con riferimenti
alle concezioni della “coscienza credente” di Pierangelo Sequeri, la feno-
menologia della donazione di Jean-Luc Marion o le antropologie trinitarie
di Klaus Hemmerle e Piero Coda.199 Andrea Bozzolo offre delle riflessioni
196 Cfr. A. Bozzolo - R. Carelli (eds.), Evangelizzazione ed educazione, LAS, Roma
2011 e la sintesi delle parti d’impostazione teorica in R. Sala, Evangelizzazione ed edu-
cazione dei giovani. Un percorso teorico-pratico, LAS, Roma 2017, 47-168.
197 Cfr. P. Zini, Il divorzio tra fede e cultura. Alle origini della questione educativa, in
Bozzolo - Carelli (eds.), Evangelizzazione ed educazione, 293-299.
198 Cfr. P. Zini, Il destino dell’educazione tra i lumi della ragione e l’oscuramento
della fede, in Sala, Evangelizzazione ed educazione dei giovani, 48-79.
199 Cfr. i ricchi riferimenti bibliografici in Sala, Evangelizzazione ed educazione dei
giovani, 203-207. Di fondamentale importanza per la proposta è P. Sequeri, Il Dio affi-
dabile. Saggio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 1996 e J.-L. Marion, Dato

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 435
fondamentali e gli elementi irrinunciabili del concetto di evangelizzazione,
andando oltre alla divisione tra fede vista come traguardo e l’educazione
come il mezzo per arrivarci. L’evangelizzazione non è solo la diffusione di
un messaggio, ma dovrà essere capita con più profondità come l’irradiarsi
dell’evento della rivelazione attraverso la vita di chi ne ha accolto la forza
trasformante e può così divenirne una mediazione per altri. In questo sen-
so coraggioso e stimolante viene letta la Evangelii gaudium, «in cui papa
Francesco mostra come l’evangelizzazione si possa realizzare solo all’in-
terno di una dinamica dialogica e processuale».200 Andando oltre alla di-
varicazione moderna tra soggettività credente e oggettività del messaggio
evangelico, l’autore propone una visione della tradizione come processo
vivo, dinamico, di dialogo continuo con Dio che parla nella storia umana.
Coerentemente viene data priorità all’azione dello Spirito, all’annuncio del
kerygma di Gesù crocifisso e risorto, e non al contenuto sistematizzato o
alle metodologie. Disegnando in questo modo lo scenario sull’evangelizza-
zione, rivelazione e tradizione, il fondamento argomentativo è la persona
di Gesù che unisce lo sguardo sul divino e sull’umano andando così oltre
le divaricazioni moderne della devozione privata e le sorti del mondo, tra
dottrina e animazione, tra il mistero e la quotidianità. Questo implica che
il nesso tra evangelizzazione e educazione non debba essere inteso come il
coordinamento di due istanze estrinseche, ma come la declinazione di una pola-
rità interna al fatto stesso della rivelazione. Diciamo che è una polarità interna
perché Dio si rivela proprio mentre “educa” il suo popolo, manifesta il suo volto
mentre lo libera, si presenta come Signore assoluto mentre lo conduce come pa-
store premuroso.201
Bozzolo, in continuità con la visione proposta, puntualizza la necessità
di riscoprire l’intrinseca valenza educativa del cristianesimo anche attra-
verso la formazione della coscienza e del comportamento durante tutte
le fasi della vita. In questo modo si ricupera un elemento fondamentale
presente nell’educazione salesiana, purtroppo perso per la critica postcon-
ciliare alle posizioni problematiche e rigide del “metodo del Vangelo” di
Pietro Ricaldone. Rispetto all’animazione dei gruppi giovanili tipica del
periodo precedente, si va a rinforzare la dimensione ecclesiologica dell’e-
ducazione. Il contesto dell’educazione e dell’evangelizzazione non sono
che. Saggio per una fenomenologia della donazione, SEI, Torino 2001.
200 A. Bozzolo, L’evangelizzazione: le dimensioni costitutive della missione ecclesia-
le, in Sala, Evangelizzazione ed educazione dei giovani, 91.
201 Ibid., 104.

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436 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
gli insiemi sociologici con le loro dinamiche, ma una comunità ecclesiale,
­«memoria vivente di Cristo e spazio privilegiato per l’accesso all’incontro
con Lui».202 Ovviamente la Chiesa viene vista come semper reformanda
nelle prospettive di papa Francesco, meno clericale, più pastorale, missio-
naria, evangelizzatrice da parte di tutti i battezzati chiamati alla santità.
In correlazione si trova l’approccio teologico all’educazione proposto
da Roberto Carelli. Nella prima parte del suo contributo egli ripercorre
con più radicalità gli scenari di pensiero già proposti da Zini e Bozzolo
enfatizzando l’asimmetria, la drammaticità, la totale gratuità del piano di
Dio, la vita umana come trascendenza affascinante e insopportabile, arri-
vando a dichiarare che «l’educazione viene a coincidere con l’educazione
della fede, e che la pedagogia è in fondo mistagogia».203 Nel suo intervento
emerge, a nostro avviso, la dicotomia che alimenta la pars destruens della
pedagogia del Novecento e non la logica di un’alleanza che è dichiarata ma
non perseguita con valide argomentazioni.204
Rossano Sala, in seguito, sviluppa un’impostazione teologico-pastora-
le nella chiave della donazione di Gesù, come idea centrale per cogliere
la storia della salvezza. L’antropologia della donazione orienta poi i sette
criteri della pastorale giovanile e le forme dell’azione pastorale. Attorno
al contenuto sostanziale del dono di sé ruotano gli altri criteri pastorali:
la prossimità di vita come sintesi dell’incarnazione di Dio, dell’atteggia-
mento di assistenza salesiana e delle attenzioni della Evangelii gaudium
che comporta uno stile di simpatia, compassione, cordialità e condivisione
di vita con i giovani. L’impegno educativo-pastorale è proposto all’inter-
no del processo del discepolato cristiano, inteso come ampio e articolato,
unificato dal riferimento all’amicizia, filialità e nuzialità con Gesù Cri-
sto, concretizzato nella chiamata - vocazione. «Il fine ultimo di tutto non
può che essere la “comunione”. Viene alla luce con chiarezza che l’incar-
nazione-prossimità è in vista della croce-donazione e che essa è in vista
della comunione-comunità. La direzione del percorso teologico-pastorale
è quindi chiara: incarnazione (prossimità) → croce (donazione) → comu-
nione (comunità)».205 La comunione, vista come stile ecclesiale vincente,
202 Ibid., 110.
203 R. Carelli, L’educazione e le sue articolazioni, in Sala, Evangelizzazione ed edu-
cazione dei giovani, 138.
204 Cfr. Ibid., 141-142. L’autore articola le quattro tesi del suo contributo in contrap-
posizione alla pedagogia moderna che a sua volta diventa il contesto e una chiave inter-
pretativa del suo contributo.
205 Sala, Evangelizzazione ed educazione dei giovani, 217. Per la parte sui criteri

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 437
si vive nella logica della strategia alternativa delle beatitudini e non invece
dei diritti, per proporre il punto unitario e unificante della santità per tutti,
tipicamente salesiana.
Per approcciarsi alla proposta degli autori presentati, va considerata la
loro particolare prospettiva, chiamata “intradisciplinare”, cioè la valoriz-
zazione dell’apporto delle scienze umane solo all’interno della teologia.206
Il contributo maggiore del superamento della relazione dimensionale, set-
toriale e di compromesso tra l’educazione e l’evangelizzazione si colloca
nel campo della teologia fondamentale applicata alla pastorale giovanile.
Questa corrente di pensiero, anche se non è esplicitamente nel campo della
pedagogia salesiana, va considerata per i suoi contributi e influssi sull’im-
postazione della terza edizione del Quadro di riferimento della pastorale
giovanile salesiana. Penso che ci sia uno spazio ulteriore di dialogo e di
alleanza tra le intuizioni, i criteri e le proposte esposte con altri contributi
del pensiero, dell’esperienza e della progettazione provenienti da tutto il
mondo, per non rimanere radicati preferenzialmente nell’ambito di una te-
ologia fondamentale troppo specifica. Mentre le riflessioni antropologiche
possono essere pregnanti in alcuni contesti occidentali che hanno vissuto
sulla propria pelle gli effetti del modello “troppo incarnato” della pastorale
giovanile postconciliare, non è così per la maggioranza dei contesti sale-
siani che vivono altre dinamiche culturali, sociali, educative, interreligiose
e istituzionali. Sarà necessario e stimolante avviare la prospettiva di “sino-
dalità missionaria”, paziente ed umile, che cura sia l’identità sia i processi,
tanto il pensiero quanto la progettazione.
6.3.3. L’accompagnamento, nuovo paradigma per l’educazione postmo-
derna
Come succede spesso nell’alternarsi delle epoche, sembrerebbe che l’in-
sistenza recente sull’accompagnamento non sia solo una tendenza che ri-
sponde ai nuovi bisogni dei giovani, ma anche un feedback critico sull’im-
postazione dell’epoca precedente. Infatti, quello che stava in primo piano
della pastorale giovanile cfr. le pp. 209-241.
206 Cfr. Ibid., 257-258 che valorizza il contributo di S. Lanza, Teologia pastorale, in G.
Canobbio - P. Coda (eds.), La teologia del XX secolo. Un bilancio. 3. Prospettive pratiche,
Città Nuova, Roma 2003, 393-475. È da notare che la prospettiva “intradisciplinare” non
considera le istanze del pensiero “transdisciplinare” proposte nella Veritatis Gaudium di
papa Francesco.

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438 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
nell’epoca postconciliare era il concetto di libertà personale (in un contesto
esperienziale di lotta alla standardizzazione di un collegio “ricaldoniano”).
Se la libertà viene concepita come un principio ordinatore, ne derivano lo-
gicamente i tentativi a livello di pensiero pedagogico e di pratica educativa
di diminuire qualunque interferenza con le scelte personali. In questo con-
testo si capiscono le resistenze postconciliari verso una concezione di di-
rezione spirituale tradizionale legata alla confessione (prospettiva morale)
e al rendiconto con il direttore (prospettiva giuridica), come è riscontrabile
ad es. nella lettera di Luigi Ricceri del 1976 che reagisce alla situazione di
crisi,207 nelle valutazioni di Guido Gatti che colloca la direzione spirituale
in un contesto di paradigmi morali vecchi e nuovi e nelle letture di Albert
Druart che vede la tradizione salesiana della direzione spirituale fino al
1965 legata alla pratica del rendiconto.208
La prospettiva che si seguì fu quella di un “orientamento” inteso come
relazione di aiuto sulla scia della psicologia umanistica di Rogers e di
Carkhuff.209 Juan Edmundo Vecchi, nel volume enciclopedico sul progetto
educativo-pastorale della metà degli anni ’80, riconoscendo l’importanza
del concetto di orientamento, ma anche rendendosi conto dei possibili li-
miti, ha affermato:
Anche se tra orientamento professionale e maturazione vocazionale vi sono
collegamenti stretti e aree comuni, le due realtà sono fondamentalmente diver-
se per i presupposti teorici da cui partono e per la riflessione che ad essi serve.
[…] L’orientamento vocazionale appartiene alla pastorale. e questa parte da una
riflessione teologica anche se assume criteri pedagogici e ammette strumenti di
indagine psicologica valorizzandone le conclusioni. […] Assumere e seguire una
vocazione è essere attento al Signore che chiama. […] Un orientamento vocazio-
nale che sminuisse o vanificasse questa realtà perderebbe le sue radici e la sua
specificità biblico-cristiana.210
207 L. Ricceri, Abbiamo bisogno di esperti di Dio. La direzione spirituale personale,
in «Atti del Consiglio Superiore» 57 (1976) 281, 894.
208 Cfr. G. Gatti, Direzione spirituale e nuova morale, in Desramaut - Midali, La
direzione spirituale, 151-164 e A. Druart, La direzione spirituale nei documenti ufficiali
salesiani del ventesimo secolo, in Desramaut - Midali, La direzione spirituale, 128-141.
209 Cfr. L. Cian, Le critiche mosse alla direzione spirituale salesiana dalla psicolo-
gia contemporanea. Contestazioni e orientamenti, in Desramaut - Midali, La direzione
spirituale, 181-210, e uno dei diversi modelli usati in ambiente salesiano in A. Arto,
Metodologia per impostare un processo di autoaiuto. Il modello di R. Carkhuff, in «Ani-
mazione Sociale» 8-9 (1994), 26-33.
210 J.E. Vecchi, Orientamento e pastorale vocazionale, in J.E. Vecchi - J.M. Prellezo
(Eds.), Progetto Educativo Pastorale. Elementi modulari, LAS, Roma 1984, 242-243.

44.10 Page 440

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 439
In passaggi successivi Vecchi, affermando l’insostituibilità dell’accom-
pagnamento personale da parte dell’educatore, propone il concetto di “col-
loquio educativo-pastorale”, che dovrebbe superare la mentalità dell’orien-
tamento e svolgere i seguenti compiti:
– creare un rapporto nel quale il giovane può diventare più libero e capace
di percepire se stesso, la realtà e i segni di Dio;
– offrire elementi per una visione illuminata della propria interiorità e
delle motivazioni del comportamento;
– disporre ad accogliere e capire le mozioni dello Spirito;
– aiutare a fare sintesi delle varie esperienze e orientarle verso un proget-
to di vita in Dio;
– accompagnare e sostenere il lavoro di Dio nel giovane per sviluppare
una sicura spiritualità cristiana;
– equilibrare educativamente le dinamiche non consone alla crescita cri-
stiana.211
Vecchi elenca poi le qualità richieste (non poche) per poter essere un ac-
compagnatore. Arricchisce i tratti tipici presenti nella tradizione salesiana,
come essere capace di un’assistenza responsabile, testimoniare una matu-
rità gioiosa e accompagnare nelle occasioni non formali condividendo la
vita, con una necessaria preparazione teologica e psicologica e una forma-
zione specifica nel campo vocazionale. È da notare come lo stesso Vecchi
fatichi ad indicare una bibliografia salesiana sul tema e come, in seguito,
la categoria del “colloquio educativo-pastorale” non abbia fatto molta for-
tuna. Non rientrando nelle prime due edizioni del Quadro di riferimento, è
rimasta una proposta che potrebbe riferirsi all’immagine di un «dislivello
tra quantità di proposte e possibilità di attuarle»212 segnalato con molta
onestà dallo stesso don Vecchi.
Il tema dell’accompagnamento, centrale invece nella pastorale giovanile
dopo il CG26, è stato in seguito oggetto di ripensamenti, studi e ricerche.
Importante è il volume L’accompagnamento spirituale. Itinerario pedago-
gico spirituale in chiave salesiana al servizio dei giovani,213 che riassume
211 Cfr. Ibi., 254-255.
212 Cfr. J.E. Vecchi, Verso una nuova tappa di Pastorale Giovanile Salesiana, in Il
cammino e la prospettiva 2000, SDB, Roma 1991, 88. Per altri aspetti dell’operatività delle
proposte degli anni ’80 cfr. Vojtáš, Progettare e discernere, 71-75.
213 Cfr. F. Attard - M.A. García (eds.), L’accompagnamento spirituale. Itinerario
pedagogico spirituale in chiave salesiana al servizio dei giovani, LDC, Torino 2014.

45 Pages 441-450

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45.1 Page 441

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440 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
i frutti dei quattro seminari organizzati a partire dal 2010, per l’approccio
multidisciplinare e la ricchezza di contributi. Questi approfondiscono sia la
tradizione salesiana dell’accompagnamento in Francesco di Sales e in don
Bosco come le sfide pastorali contemporanee, soprattutto quelle legate alla
postmodernità, multiculturalità e alla formazione degli accompagnatori.214
Nei prossimi paragrafi ripercorriamo alcuni passaggi stimolanti per la pe-
dagogia salesiana.
6.3.3.1. I tratti dell’accompagnamento salesiano
Francesco di Sales, in quanto accompagnatore spirituale, elabora una
pedagogia partendo dalla dialettica dei desideri e dalla tensione verso l’u-
nificazione con Dio. L’accompagnamento salesiano ha in sé questo aiuto
alla persona al fine di prendere coscienza e perfezionare il suo desiderio di
unione con Dio, che comporta il rinforzare la resistenza ai desideri contrari
e subordinare tutto al desiderio di Dio.215 Questa linea comune della spi-
ritualità cristiana viene specificata con le particolarità dell’approccio sale-
siano: l’attenzione personalizzata e propositiva a tutto l’uomo; la centralità
dell’amore; la gradualità e il rispetto dei ritmi, delle condizioni e delle par-
ticolarità di ciascuno. Questi ultimi plasmano anche la forma dell’accom-
pagnamento definito “direzione di amicizia”, valorizzando il clima di con-
fidenza, fiducia reciproca, libertà e anche le relazioni di paternità\\filialità.
Il contributo di Józef Struś mette in evidenza le caratteristiche dell’accom-
pagnatore che era san Francesco di Sales: pieno di carità, di scienza e di
prudenza con un rispetto dell’irripetibilità delle persone, con atteggiamenti
di dolcezza, umiltà, rispetto e di necessaria prudenza ed equilibrio.216
Facendo interagire i diversi interventi, emergono alcune attenzioni me-
todologiche più pratiche che ruotano attorno allo stile salesiano personale
e relazionale dell’accompagnamento. Gli atteggiamenti decentranti dell’a-
214 Cfr. anche la pubblicazione di Louis Grech interessante per la ricchezza di
contenuto e l’approccio integrato in L. Grech, Salesian Spiritual Companionship with
young people today inspired by the praxis and thought of St John Bosco, Horizons,
Qormi 2018.
215 Cfr. E. Alburquerque, San Francesco di Sales come direttore spirituale. Prassi
pastorale della direzione spirituale del Vescovo di Ginevra, in Attard - García (eds.),
L’accompagnamento spirituale, 23-25.
216 Cfr. J. Struś, La persona del direttore spirituale secondo san Francesco di Sales,
in Ibid., 53-64.

45.2 Page 442

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 441
morevolezza (preferenza del bene dell’altro) e dell’umiltà (conoscenza dei
propri limiti e valorizzazione della piccolezza e dell’ordinarietà) aiutano a
creare un contesto che favorisce l’attenzione costante alla presenza di Dio
nel quotidiano ordinario dell’accompagnato. Anche se gli autori sono con-
cordi nell’affermare che non ci sia un metodo salesiano dell’accompagna-
mento nel senso tecnico-moderno del termine, vengono comunque offerti
alcuni elementi metodologici circa tale processo.217
Alcuni tratti comuni in Francesco di Sales e in don Bosco, che potreb-
bero diventare criteri dell’accompagnamento salesiano, sono: l’importanza
della dimensione relazionale, l’attenzione alla quotidianità, una spiritualità
dell’azione e l’antropologia del cuore, che lavora nell’accompagnamento
con i desideri, le tendenze, le attrazioni e le ispirazioni più profonde. Le
differenze tra lo stile del vescovo di Annecy e del prete dei giovani di Val-
docco sono, invece, legate alla scelta dei destinatari (adulti nobili o giovani
del ceto popolare), alle opzioni del contesto all’interno del quale si svolge
l’accompagnamento (personale o comunitario) e non per ultimo alla prefe-
renza delle fonti utilizzate (lettere personali o narrazioni biografiche).
La scelta preventiva di don Bosco e l’accompagnamento rivolto anche
ai preadolescenti colloca l’inizio del rapporto educativo con il giovane in
situazioni informali legate alle attività educative o pastorali non diretta-
mente riferibili all’accompagnamento. Una volta stabilito il canale inter-
personale comunicativo e raggiunta la fiducia reciproca in un contesto
“destrutturato”, può cominciare un accompagnamento personalizzato. L’i-
nizio dei colloqui è legato ai bisogni del giovane che cerca consigli pratici
riferiti a situazioni o compiti di crescita concreti. All’educatore salesiano è
richiesta molta empatia e flessibilità nella prima fase ancora parzialmente
“fluida”.218 Quando la conversazione entra in una fase più abituale, ci può
essere una programmazione di incontri regolari di accompagnamento.219
Un’altra attenzione è l’accompagnamento attraverso la cura dell’ambiente
educativo tramite la figura del catechista. Aldo Giraudo nota che:
217 Troviamo concordi McDonnell, Alburquerque, Struś e Finnegan, che parlano piut-
tosto di profilo, caratteristiche, modello, spirito o stile salesiano e non di metodologia.
Cfr Ibid., 23, 77-80, 99-100, 198-199.
218 Cfr. la sintesi di elementi procesuali nelle narrazioni biografiche di don Bosco in
A. Giraudo, Maestri e discepoli in azione, in G. Bosco, Vite di giovani. Le biografie
di Domenico Savio, Michele Magone e Francesco Besucco. Saggio introduttivo e note
storiche a cura di Aldo Giraudo, LAS, Roma 2012, 28-30.
219 Cfr. E. McDonnell, La direzione spirituale in san Francesco di Sales. Linee fon-
damentali del metodo spirituale e pedagogico nella prospettiva salesiana, in Attard
- García (eds.), L’accompagnamento spirituale, 69.

45.3 Page 443

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442 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
Tutto ciò si è tramandato nella tradizione salesiana fino a tempi relativamente
recenti. Per oltre cent’anni l’accompagnamento spirituale dei preadolescenti e
degli adolescenti è stato una priorità, al punto che ogni opera salesiana aveva un
confratello a ciò particolarmente dedicato, il “catechista” (che non era sempli-
cemente “animatore pastorale”). Veniva scelto con molta cura, in base a specifi-
che qualità umane e apostoliche. Aveva il compito di affiancare il direttore nella
conduzione spirituale comunitaria e nel lavoro formativo personalizzato. Doveva
vigilare sulla moralità dell’ambiente, curare la qualità della formazione cristiana:
la catechesi, la vita di preghiera, i sacramenti, la preparazione delle feste, i ritiri
mensili e gli esercizi spirituali annuali. Doveva favorire le compagnie (associa-
zioni) religiose e garantirne la portata formativa. Era invitato a cercare occasioni
di dialogo personale con ciascuno, a suggerire testi di meditazione e lettura spi-
rituale, a prendersi cura speciale delle vocazioni.220
Lo stesso autore osserva anche che dagli anni del Vaticano II in poi
l’accompagnamento comunitario attraverso la cura dell’ambiente è entrato
in crisi soprattutto perché non legato a un ruolo educativo con compiti con-
creti, sciogliendosi così nel generico concetto dell’animazione. La peda-
gogia dell’accompagnamento comunitario è integrata con l’accompagna-
mento personale regolare durante la confessione e con quello informale
nel contesto della ricreazione o di altre attività della giornata. Il dialogo
di accompagnamento esplicito è enfatizzato da don Bosco con più chia-
rezza durante i periodi di crisi di crescita dei giovani221 e nei momenti del
discernimento vocazionale. Va notato che il volume, già dall’inizio della
riflessione sull’accompagnamento, è legato implicitamente o esplicitamen-
te alla pedagogia vocazionale e\\o ai cammini di formazione della vita con-
sacrata.222
6.3.3.2. Le sfide e le risposte contemporanee
Illuminante la riflessione di Jack Finnegan che colloca l’accompagna-
mento nel contesto postmoderno e post-secolare attuale e segnala l’impor-
tanza dell’Occidente, che si traduce, soprattutto dopo la contestazione del
’68, in atteggiamenti di emancipazione da qualsiasi potere o influenza in
220 Cfr. A. Giraudo, Direzione spirituale in san Giovanni Bosco. Connotazioni pecu-
liari della direzione spirituale offerta da don Bosco ai giovani, in Ibid., 151.
221 Giraudo parla in termini di crisi mistica, etica ed emotiva in Giraudo, Maestri e
discepoli in azione, in Bosco, Vite di giovani, 29-30.
222 Cfr. le citazioni e riferimenti nell’introduzione al volume in Attard - García
(eds.), L’accompagnamento spirituale, 5-13.

45.4 Page 444

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 443
un contesto di rifiuto delle metanarrazioni. Ci sembra proprio paradossale
parlare della persona umana come “centrale” e poi collocarla in un mondo
frammentato, disconnesso, complesso e pluralistico che, di conseguenza,
non ha né centri, né logica o passato comune. Il consumismo narcisista e
individualista ovviamente influisce anche nel rapporto con la spiritualità e
con l’accompagnamento spirituale, preferendo una spiritualità soggettiva
senza un rapporto con religioni istituzionalizzate, il gusto per l’esotico ed
eccitante, la divisione tra sacro e secolare; affidandosi così al sentimento
e ad un misticismo irrazionale con un vissuto evasivo e soggettivamente
liberante dalle leggi metafisiche o pragmatiche, ecc.223 Anche se l’autore
propone più domande che risposte, egli segnala come uno dei compiti più
importanti dell’accompagnamento e della nuova evangelizzazione la “ride-
finizione di razionalità”, da un pensare secolarizzato con criteri mondani a
un pensare cristiano che «significa l’accettazione diretta o indiretta di tutte
le cose in relazione al nostro destino eterno di figli e figlie del Re».224
Lo sguardo sulle problematiche occidentali è controbilanciato in parte
dal contributo di Joe Mannath sui contesti multireligiosi, che però poi in
concreto approfondisce solo il contesto salesiano indiano (escludendo le
ispettorie del nord-est). Dal modo di approcciarsi al tema emerge con chia-
rezza come l’uso di termini quali “multireligiosità” e “multiculturalità” sia
spesso ambiguo e venga riferito implicitamente a una controparte, spo-
stando la semantica verso il non-occidentale o il semplicemente “diverso”.
Ci sono molteplici modelli multireligiosi e multiculturali, specialmente in
Asia, che andrebbero studiati nella loro specificità, e non bisogna poi di-
menticare i contesti occidentali multireligiosi come gli Stati Uniti d’Ame-
rica o altri Paesi con una forte immigrazione e diverse comunità etniche al
loro interno.225
Miguel Ángel García Morcuende conclude il volume riaffermando l’im-
portanza dell’accompagnamento personale nella pastorale giovanile sale-
siana. Partendo dalle caratteristiche del mondo giovanile e dalla suddivi-
sione del Quadro di riferimento in accompagnamento per mezzo dell’am-
223 Cfr. J. Finnegan, L’accompagnamento spirituale. Le sfide del postmoderno e post-
secolare nell’Occidente contemporaneo, in Ibid., 195-198.
224 Cfr. D.N. Entwistle, Integrative Approaches to Psychology and Christianity. An
Introduction to Worldview Issues, Philosophical Foundations and Models of Integration,
in Ibid., 206.
225 Cfr. J. Mannath, L’accompagnamento spirituale dei giovani in scenari multireli-
giosi: contesti, possibilità, limiti, prospettive, in Ibid., 211-213.

45.5 Page 445

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444 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
biente, per mezzo dei gruppi e personale,226 enfatizza infine due aspetti
importanti nell’acquisizione della “grammatica di fede”: la personalizza-
zione e il discernimento evangelico. Il discorso sull’accompagnamento
personale ha delle implicazioni anche per l’ambiente educativo salesiano:
Anche se il gruppo e l’ambiente nella tradizione salesiana forniscono già un
certo livello di supporto, tutti i giovani hanno bisogno di spazi personali di con-
fronto. Nel contesto di una casa salesiana si respirano valori, atteggiamenti e
abitudini, ma per radicare e consolidare un’identità cristiana è necessario perso-
nalizzare. [...] Se non offriamo questo ambiente personalizzato del “tu per tu“, la
crescita personale dell’universo personale verrà lasciata in balia di altri contesti
di influenza in cui i giovani vivono immersi: i social network, il gruppo dei pari
o la strada.227
L’accompagnatore salesiano non dovrebbe essere un manager stordi-
to che vive sotto la pressione del tempo e delle occupazioni. Considerare
l’accompagnamento come un’arte e una scienza e come apostolato a pieno
titolo esige tanti atteggiamenti, attenzioni e maturità da parte degli accom-
pagnatori, i quali dovrebbero essere formati attraverso percorsi specifici.228
I requisiti si moltiplicano, in quanto «non basta offrire processi formativi
adatti a ogni età; è necessario offrire processi differenziati personalizzati,
itinerari concreti e adeguati, progetti pastorali coerenti, intelligenti e au-
daci per differenziare l’attenzione personale, per cercare nuovi percorsi
formativi».229 Logicamente ne segue la conclusione dell’importanza di su-
scitare vocazioni di accompagnatori di adolescenti e giovani, un compito
non facile visti i requisiti previsti.
Il volume di sintesi sull’accompagnamento sembra concludere un per-
corso di oltre mezzo secolo. Dall’accompagnamento attraverso la cura
dell’ambiente ai tempi di Ricaldone, centrato sul rispetto uniforme dei re-
golamenti, l’attenzione passa nel post Vaticano II all’animazione dei grup-
pi che spesso è stata fatta con una logica di umanismo generico senza at-
tenzione all’evangelizzazione, tralasciando le pratiche pre-conciliari della
direzione spirituale attraverso la confessione e il colloquio con il direttore,
226 Cfr. Dicastero PG, Quadro di riferimento, 32014, 114-117. NB Il concetto di ac-
compagnamento si riscontra ben 140 volte nella terza edizione del Quadro di riferimento
della Pastorale Giovanile Salesiana costituendone una chiave interpretativa.
227 M.A. García Morcuende, L’accompagnamento personale nella proposta educati-
vo-pastorale salesiana, in Attard - García (eds.), L’accompagnamento spirituale, 271.
228 Cfr. Ibid., 267-276.
229 Ibid., 276. La citazione fa riferimento a Dicastero PG, Quadro di riferimento,
32014, 99-103, 285.

45.6 Page 446

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 445
viste come uniformizzanti. Nel terzo millennio si prosegue nella traietto-
ria, che in parte copia le sensibilità occidentali, passando dalla generica
animazione dei gruppi e da una pastorale degli eventi a un accompagna-
mento spirituale personale con una grammatica della fede esplicita, che
include anche la proposta vocazionale.
Anche se parliamo per schemi molto generalizzanti, sembra che anche
dalla prassi pastorale appaiano segnali di rischi evidenti nell’impostazio-
ne attuale: 1. un modello pastorale in cui ci sono pochi eletti attorno a un
“guru” spirituale; 2. la mancanza di accompagnatori spirituali che soddi-
sfino tutti i requisiti e i criteri. Nel prossimo paragrafo vorremmo perciò
approfondire la panoramica dell’accompagnamento salesiano emergente
nelle recenti ricerche e pubblicazioni.
6.3.3.3. Uno sguardo mondiale e realistico sull’accompagnamento
Attualmente l’accompagnamento nel mondo salesiano, ecclesiastico o
laico, sta diventando una necessità. Se prima la personalizzazione si rea-
lizzava “contro gli altri”, con spirito critico e rompendo gli schemi abituali,
adesso la situazione generale è cambiata. A livello di riferimenti l’orizzon-
te di senso è liquidato e frantumato. A livello psicologico sta aumentando
il fenomeno degli stati d’ansia di prestazione. A livello professionale la
competizione globale ha reso più duri i requisiti di successo nella vita. A
differenza delle generazioni precedenti, il giovane d’oggi avrebbe bisogno
di personalizzare la sua vita affidandosi ad una relazione di aiuto e cre-
scendo all’interno di essa in un contesto comunitario credibile.
Va tuttavia notato che, nonostante gli appelli e la retorica, di fatto sem-
bra che l’accompagnamento personale in ambienti salesiani sia abbastanza
trascurato. Più del 72% dei prenovizi salesiani segnala che hanno scoper-
to l’accompagnamento spirituale solo nel prenoviziato.230 Se tre quarti di
quelli che sono entrati nella formazione salesiana hanno fatto una decisio-
ne importante senza essere accompagnati, possiamo solo ipotizzare quale
sarà la percentuale per la stragrande maggioranza dei giovani delle case
salesiane.231 Anche gli accompagnatori nella formazione salesiana che
230 Cfr. M. Bay, Giovani Salesiani e accompagnamento. Risultati di una ricerca in-
ternazionale, LAS, Roma 2018, 47.
231 Cfr anche Á. Fernández Artime, Strenna 2018 “Signore, dammi di quest’acqua”
(Gv 4,15). Coltiviamo l’arte di ascoltare e di accompagnare, in «Atti del Consiglio Ge-
nerale» 99 (2018) 426, 4-5.

45.7 Page 447

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446 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
svolgono questo servizio avendolo nella “descrizione del proprio ruolo”
dichiarano un impegno solo relativamente intenso. Quasi la metà di loro
accompagna cinque o meno persone e un altro 30% si colloca tra 6 e 15
accompagnati. A livello di tempo, quasi i tre quarti degli accompagnatori
si collocano tra alcune ore dedicate a ciò a un paio di giorni alla settimana,
fino a un incontro ogni 2-3 mesi.232
Pur rendendoci conto delle differenze dei contesti, che sono emerse nel-
la già citata ricerca di Marco Bay,233 vorrei offrire una duplice prospettiva
sull’accompagnamento differenziato e isomorfico. Possiamo accogliere la
riflessione dell’Instrumentum Laboris del Sinodo sui giovani, il quale si
collega all’intera tradizione della spiritualità che insiste su quanto sia fon-
damentale l’accompagnamento in una prospettiva larga:
Coloro che accompagnano possono essere uomini e donne, religiosi e laici,
coppie; inoltre la comunità svolge un ruolo decisivo. L’accompagnamento dei
giovani da parte della Chiesa assume così una varietà di forme, dirette e indirette,
interseca una pluralità di dimensioni e ricorre a molteplici strumenti, a seconda
del contesto in cui si colloca e del grado di coinvolgimento ecclesiale e di fede di
chi è accompagnato.234
La diversificazione dell’accompagnamento prevede realisticamente ti-
pologie diverse di esso, descritte già da don Vecchi. I salesiani che accom-
pagnano si caratterizzano per i diversi stili di accompagnamento a seconda
delle zone geografico-culturali. I dati sono da interpretare con cautela, in
quanto nelle preferenze possono interferire, oltre a componenti di stile,
di cultura e di lingua, anche i tratti riferibili al numero di accompagnati/
formandi che può essere più basso o più elevato. Nell’Europa centro-nord
viene preferito l’accompagnamento spirituale, che privilegia uno stile di
discernimento e orientamento personalizzato con un dialogo paziente e
propositivo, senza imposizioni. In America si privilegia un approccio di
coaching, imperniato sul problem solving e/o sulla consulenza psicologi-
ca, unitamente ad una forte identificazione “salesiana” degli interlocutori.
Nell’Asia orientale e nel Mediterraneo si tratta piuttosto di un accompa-
gnamento situazionale più sporadico e spontaneo, con alcuni riferimenti al
problem solving. Nelle regioni dell’Africa e dell’India, dove il numero delle
vocazioni alla vita consacrata è il più alto, si assiste alla presenza di uno
232 Cfr. Bay, Giovani Salesiani e accompagnamento, 420-421.
233 Cfr. Ibid., 455-493.
234 “Instrumentum laboris” della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei
Vescovi, in bit.ly/vatican-va-2018-06-19, 122.

45.8 Page 448

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 447
stile di direzione più standardizzata e normativa, con i rischi della poca
connessione tra interiore ed esteriore, della poca personalizzazione e della
poca autoformazione degli accompagnatori attraverso lo studio.235
Un’altra questione di differenziazione concerne le tre esperienze mag-
giormente presenti negli ambienti salesiani: l’accompagnamento spirituale,
la confessione e il colloquio con il direttore. Dalla ricerca emerge una gene-
rale tendenza a tenere distinti i tre momenti, facendo riferimento a tre perso-
ne distinte. Risulta anche un’immagine del direttore come relazionale, pater-
no e presente in casa; il confessore ideale è percepito nelle coordinate della
misericordia e della riservatezza. La “salesianità” viene spesso interpretata
in termini relazionali come fiducia, sincerità e paternità dell’accompagnato-
re. Se andiamo oltre alla ricerca svolta nell’ambito della formazione inizia-
le dei consacrati, il principio della differenziazione presuppone di superare
l’immagine dell’accompagnatore “professionale”. L’attenzione alla cura di
tutte le vocazioni rende ovviamente necessario che partecipino alla missione
dell’accompagnamento anche madri e padri di famiglia, laici competenti e
gli stessi giovani attraverso i diversi modelli della peer education.
Tra le difficoltà sono da notare, in alcune fasi formative e in alcune
regioni, la poca sistematicità nell’accompagnamento, che si traduce in un
numero insufficiente di incontri. Nonostante la percezione dell’assolu-
ta importanza della confidenzialità, «molti tra i nostri intervistati hanno
l’impressione che ciò che è condiviso con una guida sia spesso rivelato ad
altri».236 Ci sono pure alcuni insiemi di domande mancanti nei questionari:
non vengono affrontati i temi e i “contenuti” dell’accompagnamento nelle
dimensioni della crescita e della formazione (salute, consacrazione, studio,
apostolato, comunità, vita spirituale, vita affettiva e relazionale, ecc.).
Sebbene circa l’80% degli intervistati percepisca l’utilità degli strumen-
ti della progettazione in campo personale (“progetto di vita” e “verifica
personale”),237 si assiste da un altro lato ad un basso impatto formativo
della progettazione comunitaria educativo-pastorale, che è vista più come
compito gestionale che come ambito formativo carico di spiritualità.
235 Cfr. Bay, Giovani Salesiani e accompagnamento, 386-398. Alcune dinamiche
emerse nella ricerca sono riscontrabili in Mannath, L’accompagnamento spirituale dei
giovani in scenari multireligiosi: contesti, possibilità, limiti, prospettive, in Attard -
García (eds.), L’accompagnamento spirituale, 211-228.
236 Dicastero per la Formazione - Dicastero per la Pastorale Giovanile, Giovani
salesiani e accompagnamento. Orientamenti e direttive, Sede Centrale Salesiana, Roma
2019, 56.
237 Cfr. Bay, Giovani Salesiani e accompagnamento, 407.

45.9 Page 449

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448 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
I potenziali accompagnatori e direttori delle case salesiane sono pochi
e impegnati soprattutto dagli incarichi gestionali. Numerosi studi sull’ac-
compagnamento nel settore organizzativo e anche alcune esperienze sale-
siane confermano, invece, una possibile sinergia tra responsabilità gestio-
nale e accompagnamento. Ovviamente è necessario uscire dalle strettoie
di un management tecnocratico verso orizzonti integranti, che vedano la
gestione come un’area nella quale avvengono partecipazione, formazione,
discernimento comunitario e trasformazioni profonde sia personali che co-
munitarie. In questa mentalità l’accompagnamento non è la cosa in più da
fare, ma è la forma del fare, diventando una “forma” della cultura organiz-
zativa delle case salesiane, che struttura a livelli diversi la gestione dei pro-
cessi e degli ambienti educativi. Gli educatori-accompagnatori dovrebbero
concordare su alcuni criteri di base (etici, pedagogici, salesiani) per tutti i
livelli e tipi di accompagnamento, per poter parlare di uno stile isomorfico:
ci sono concretizzazioni diverse ma c’è una forma di accompagnamento
salesiano riconoscibile in tutti.
Diverse modalità di accompagnamento possono essere svolte da équi-
pe o persone con una preparazione specifica, come è il caso delle con-
fessioni, dell’accompagnamento spirituale, dell’ascolto psicologico o del
counselling pastorale, ecc. Non è da sottovalutare il potenziale generativo
dei giovani che da “destinatari” accompagnati diventano “apostoli” in li-
nea con la tradizione salesiana dell’“angelo custode”. Qui possono rien-
trare le modalità di accompagnamento più informali e contestuali come
mentoring, tutoring, coaching tra pari, ecc.238 Altri aspetti dell’evoluzione
della pedagogia salesiana nel campo organizzativo e progettuale saranno
approfonditi nel paragrafo seguente.
6.3.4. Pedagogia trasformativa e virtuosa che supera la progettazione per
obiettivi
L’immagine dell’uomo che pensa razionalmente, traduce i bisogni in
obiettivi e agisce attraverso lo sforzo della volontà e dell’autocontrollo, è
passata nella progettazione educativo-pastorale salesiana attraverso l’idea
dell’agire razionale che segue una linearità di azione (situazione → obiet-
tivo → mezzo → verifica) e la divisione della crescita in dimensioni che
238 Cfr. M. Vojtáš, L’arte dell’accompagnamento in chiave salesiana, in ­«­ Orientamenti
Pedagogici» 65 (2018) 2, 303-322.

45.10 Page 450

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 449
vanno progettate con relativa autonomia (educazione, evangelizzazione,
associazionismo, vocazione). Nel dibattito contemporaneo, però, il model-
lo di uomo moderno che agisce razionalmente è decaduto a partire dal
superamento della progettazione per obiettivi, affermando la crescente im-
portanza:
– del pensiero sistemico-integrale e non solo lineare (Deming, Senge);
– del cambiamento trasformativo e non solo transazionale (Tichy, Devan-
na, Mezirow, Scharmer);
– della leadership partecipativa e comunitaria (Schein, de Geuss, Wen-
ger);
– dell’eccellenza invece dell’efficacia (de Pree, Bennis, Covey, Gardner);
– della molteplicità delle “intelligenze” (Polanyi, Agor, Mintzberg, Argy-
ris, Gardner);
– della spiritualità nella progettazione (Giacalone, Jurkiewitz, Benefiel).239
Questi autori di scienze organizzative, non recepiti nella progettazione
salesiana se non in tempi recenti,240 si rendono conto che la metodologia
della progettazione per obiettivi porta a risultati effimeri, se non è accom-
pagnata da alcuni atteggiamenti profondamente radicati (virtù) degli edu-
catori, che sono i “realizzatori” del progetto attraverso concreti interventi
educativi. La natura della stesura e della realizzazione del progetto in con-
creto ha una dimensione etica ed esige metodologicamente le virtù per un
suo funzionamento soprattutto in campo educativo e pastorale. In questo
senso il processo di progettazione può e dovrebbe essere anche un percor-
so di formazione delle virtù e competenze cognitive e operative all’interno
di una “comunità di pratica” che nel contesto salesiano si concretizza nella
comunità educativo-pastorale.241 Da parte di tanti studiosi della progetta-
zione, specialmente in ambito educativo, è condivisa la nozione dell’in-
scindibilità di ciò che si è come persone e di come si agisce concretamente
239 Cfr i riferimenti in Vojtáš, Progettare e discernere, 150-161.
240 La stessa inerzia era percepibile nell’ambito ecclesiastico più ampio ad es. attorno
al modello vedere-giudicare-agire. Papa Francesco afferma come questo metodo «soffrì
questa tentazione sotto forma di “asepsi”. Si utilizzò, e va bene, il metodo di “vedere,
giudicare, agire”. La tentazione risiedeva nell’optare per un “vedere” totalmente asetti-
co, un “vedere” neutro, il che è irrealizzabile», in Incontro con i vescovi responsabili del
CELAM. Discorso del Santo Padre Francesco, in bit.ly/vatican-va-2013-07-28.
241 Cfr. il contributo che supera l’etica dei diritti con l’etica delle virtù in Darius
Grządziel, L’educazione del carattere e l’educazione salesiana alla cittadinanza, in
«Salesianum» 77 (2015) 92-126.

46 Pages 451-460

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46.1 Page 451

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450 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
in quanto partecipanti ad un progetto educativo. In questo senso l’identità
determina la metodologia. La trasformazione educativa avviene prima, e
soprattutto, nell’interazione degli educatori e non solo nei sistemi e proces-
si organizzativi o educativi. Il tema delle virtù etiche e operative dei mem-
bri della comunità, che sono una condizione sine qua non di un progetto
riuscito, esplicita il paradigma della leadership educativa autentica: “dover
essere il cambio che si vuole creare”.242
Nella proposta di progettazione trasformativa tratteggiata nella pubbli-
cazione Progettare e discernere, si sviluppa ulteriormente l’intuizione di
don Viganò sulla “nuova educazione”, che è un’arte trasformante l’artista-
educatore mentre realizza la sua opera. Se vediamo l’educazione e la pasto-
rale giovanile simile a un capolavoro di arte raffigurativa, diventa impor-
tante avere chiaro il “prodotto” desiderato dello sforzo creativo: che cosa
si vuole rappresentare, come saranno disposti i personaggi, quali emozioni
si vogliono suscitare, in quale ambiente si collocherà la scena, ecc. Fino a
qui però non c’è novità, le risposte a questi interrogativi sono gli obiettivi
di ciò che si vuole produrre (paradigma del prodotto). Perché un’opera sia
un capolavoro, sono altrettanto importanti lo stile dell’artista, la tecnica, il
metodo e i processi artistici che guidano tutto l’itinerario che porta l’opera
a compimento (paradigma del processo). Infine, non per ultimo – anzi
piuttosto per primo – è fondamentale formare e accompagnare la persona
dell’artista-educatore che si trova davanti alla tela bianca tenendo presenti
i suoi mondi interiori, il suo passato, le tradizioni che hanno influito su di
lui, la sua motivazione, la spiritualità che fonde in un insieme i valori, i
suoi dilemmi, debolezze, interrogativi e soprattutto le radici della sua vo-
cazione da artista (paradigma dell’identità). Quando un’opera d’arte è un
capolavoro, non c’è solo sintonia tra parti diverse, ma c’è un’unità profonda
tra l’artista, il processo e il prodotto. Ogni parte non è solamente al suo
posto, ma la sua collocazione rinforza sia la logica dell’insieme che il senso
della collocazione delle altre parti.
Un progetto educativo-pastorale dovrebbe essere “disegnato” e “svolto”
con un metodo che riflette la natura educativa specifica dell’attività, della
visione e dei valori che incarna. Il Quadro di riferimento dichiara: «L’im-
postazione pedagogica del metodo, in stretta connessione con quella dei
contenuti e della dinamica, è importante. […] In questo senso, il metodo è
242 P.M. Senge - C.O. Scharmer et al., Presence. Exploring Profound Change in Peo-
ple, Organizations, and Society, Currency Doubleday, New York 2004, 147.

46.2 Page 452

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 451
anche il messaggio».243 Se si vuole creare un progetto educativo che vada
oltre una semplice trasmissione dei contenuti dal manuale alla testa (tra-
smissione) o un lineare condizionamento comportamentistico attraverso
delle attività programmate in anticipo (transazione), ma che vuole invece
formare le virtù degli educatori e degli educandi, incarnare i valori, crea-
re una dinamica di comunione e di personalizzazione (trasformazione), è
necessario rivedere sia le virtù operativo-progettuali che i passaggi della
progettazione (cfr. Schema J).244
Schema J: modelli di progettazione educativa: trasmissione, transazio-
ne e trasformazione.
La formazione di chi progetta è connessa con il processo della pro-
gettazione a vari livelli: la mentalità, ossia le convinzioni profonde sulla
realtà, le qualità del carattere cognitivo-emotivo, che guidano il processo
di ricerca, e infine le abilità operative ed organizzative. In questo senso
proponiamo delle “virtù progettuali” che caratterizzano l’agire umano a
243 Dicastero PG, Quadro di riferimento, 32014, 101.
244 Per l’integrazione dei concetti di un’educazione trasformativa nelle proposte peda-
gogiche dei salesiani cfr. ad es. J. Vallabaraj, Empowering the Young Towards Fullness
of Life, Kristu Jyoti Publications, Bangalore 2003 ed E. Alberich - J. Vallabaraj, Com-
municating a Faith That Transforms. A Handbook of Fundamental Catechetics, Kristu
Jyoti Publications, Bangalore 2004.

46.3 Page 453

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452 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
diversi livelli di profondità, andando oltre la limitata antropologia raziona-
listico-volontaristica della progettazione per obiettivi. Oltre alle virtù già
note della fedeltà creativa, emersa con l’aggiornamento postconciliare, e
della coerenza operativa implicitamente contenute nel modello di proget-
tazione di don Vecchi, nel modello trasformativo si dà importanza alla
virtù del discernimento e dell’accompagnamento personale e comunita-
rio. Il momento strategico della progettazione è costituito dall’accoglienza
della “chiamata” al cambiamento educativo collegato con la trasformazio-
ne dell’identità. Si supera così la concezione tecnica della progettazione e
l’enfasi esagerata sulla formulazione precisa degli obiettivi e delle attività
connesse.
Schema K: Passi e livelli della progettazione trasformativa.
Una progettazione integrale e profonda necessita di un modello pro-
cessuale che accompagni la comunità educativa attraverso i diversi livel-
li di dialogo (cfr. Schema K).245 C’è una conversazione più razionale che
245 Cfr. Vojtáš, Progettare e discernere, 217-314 che valorizza Scharmer, Theory

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 453
descrive la situazione in un modo possibilmente oggettivo. Un secondo
livello di dialogo più empatico scende a condividere aspetti più personali
dei paradigmi d’interpretazione della realtà, delle aspettative, paure, spe-
ranze e necessita di un maggiore grado di fiducia all’interno del gruppo
che progetta.246 Infine il terzo livello di un dialogo profondo legato al di-
scernimento più passivo-contemplativo, che ascolta la chiamata-voce della
realtà e nella conversazione tende a collegare gli elementi più razionali con
quelli più emotivi dei paradigmi interpretativi in un insieme spiritualmen-
te e motivazionalmente significativo della vocazione. Solo dopo si risale al
secondo livello del dialogo e la chiamata viene esplicitata narrativamente
in una visione nel quarto momento della progettazione. In esso è anche
opportuno fare sperimentare la visione in piccoli prototipi, per avere già i
primi feedback dalla prassi. Infine, si arriva al quinto momento della pro-
gettazione operativa, che porta la visione nella realtà, stabilisce obiettivi e
strategie nello sforzo di allineare tutti nella direzione della visione.
La comunità, la narrazione e la prassi sono i principi che emergono sia
nel modello di progettazione educativa salesiana che nella educazione delle
virtù e del carattere come proposto da Dariusz Grządziel, il quale riprende
diverse istanze di MacIntyre, Carr, Pellerey e Abbà. L’autore vede la “co-
munità di tradizione” come il milieu naturale dello sviluppo del carattere,
in quanto la storia della vita di ogni persona, così come la storia di ogni
pratica umana, sono inserite sempre in un contesto sociale e nelle storie più
vaste delle tradizioni. L’educazione del carattere avviene primariamente in
ambiente familiare, dove il giovane inserendosi nelle relazioni con gli altri
membri della comunità è partecipe della loro vita morale, apprende prima
abilità esemplari e comportamenti morali e impara poi a riconoscere gli
ideali rispettati. La partecipazione alle prassi virtuose e le forme narrative
che incarnano i valori e le virtù sono le forme più incisive della formazione
etica riconoscibili sia nel sistema preventivo di don Bosco che in alcune
correnti di studio contemporanee. Le singole azioni e attività educative
ricavano il loro significato se sono inserite in una narrazione che le colloca
dentro la storia e la tradizione di una comunità di appartenenza. La nar-
U. Leading from the Future as it Emerges; D. Bohm, Thought as a System, Routledge,
London 1994 e D. Bohm, On dialogue. Edited by Lee Nichol, Routledge, New York 1996.
246 Qui si può menzionare il contributo sull’allargamento della razionalità moderna
di M. Pellerey, La professionalità educativa e la competenza pedagogica. Attenzioni
irrinunciabili dell’offerta formativa della famiglia salesiana oggi, in V. Orlando (ed.),
Con don Bosco educatori dei giovani del nostro tempo. Atti del Convegno Internazionale
di Pedagogia Salesiana 19-21 marzo Roma Salesianum/UPS, LAS, Roma 2015, 190-198.

46.5 Page 455

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454 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
razione e l’appartenenza sono elementi che danno unità alla vita, che può
essere concepita come un “tutto”.247 La progettazione e la formazione alle
virtù possono così idealmente confluire in un processo di partecipazione
comunitaria al discernimento e alla creazione di una nuova versione (pro-
getto) della narrazione comunitaria (tradizione) che muove attivamente i
membri ad agire con una nuova e trasformata consapevolezza (prassi).
Andando oltre alla critica storica, con l’integrazione della pedagogia
trasformativa si può rivalutare positivamente anche il legame e i sottili
equilibri tra la pedagogia narrativa e la pedagogia progettuale nella propo-
sta educativa di don Bosco, che nel modello di progettazione lineare non
era stato considerato. La visione narrata nella forma del racconto o del
sogno è completata con la concretezza dei regolamenti, della divisione dei
ruoli e dei compiti; e il processo è regolato con l’accompagnamento delle
persone e con un’attenzione costante al discernimento. La visione formu-
lata non è, quindi, solo una dichiarazione di obiettivi, ma tutto un ambiente
educativo simbolico costruito da narrazioni, storie, simboli e teorie che
implica una cultura organizzativa, lo stile della regolamentazione, la sud-
divisione dei ruoli e dei compiti.248
6.3.5. Formazione salesiana degli educatori adulti
L’importanza di un approccio trasformativo e virtuoso diventa impor-
tantissima nella formazione degli educatori salesiani che necessitano non
solo di competenze pedagogiche, ma anche di un accompagnamento nell’i-
dentità salesiana. Già alla fine del secolo scorso fu prospettato da don Vec-
chi che uno dei ruoli del salesiano del futuro, oltre a essere un “garante del
carisma”, sarebbe stato quello della formazione e dell’accompagnamento
degli educatori adulti. Si tratta di una necessità che deriva logicamente
dal modello di collaborazione/corresponsabilità tra consacrati e laici, ma
che si è accentuata con più forza nel vissuto pastorale concreto di diverse
247 Cfr. Grządziel, L’educazione del carattere e l’educazione salesiana, 102-118 e
M. Pellerey, Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare
senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita,
CNOS-FAP, Roma 2007, 128-129.
248 Cfr. A. Giraudo, L’importanza storica e pedagogico-spirituale delle Memorie
dell’Oratorio, in G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al
1855. Saggio introduttivo e note storiche a cura di Aldo Giraudo, LAS, Roma 2011, 5-49;
Braido, Il progetto operativo di Don Bosco, 6-7.

46.6 Page 456

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 455
ispettorie. Ci sembra interessante menzionare alcuni modelli formativi più
sviluppati, orientati al tema dell’identità salesiana degli educatori.
Gli ispettori della regione Interamerica avvertivano questo bisogno di
formazione già nei tempi del Capitolo generale speciale e per risponder-
vi fondarono il Centro Salesiano Regionale di Formazione Permanente a
Quito nel 1974, affidandone la direzione a don Fernando Peraza Leal. L’e-
sperienza del centro era facilitata dal dinamismo innovatore che il ripen-
samento postconciliare generò in America, dall’uso di un’unica lingua,
dalla diffusione popolare dell’immagine di don Bosco e, non per ultimo,
dal coordinamento di don Peraza, il quale diede continuità al progetto
con uno stile simpatico e paterno all’interno di un clima di familiarità
“oratoriana”.249 L’elemento più solido del metodo formativo esperienzia-
le e vitale proposto a Quito non è una teoria pedagogica di riferimento
esplicita,250 ma una “metodologia” che si basa sull’identificazione con don
Bosco, favorendo il sorgere di attitudini, motivazioni, mentalità, opzioni di
vita e decisioni. Il criterio di formare insegnando e insegnare formando si
concretizza nell’equilibrio tra il cervello e il cuore, la conoscenza e l’amore
per don Bosco, la conoscenza storica e lo stimolo alle prassi presenti.251
Nell’approccio allo studio di don Bosco, don Peraza seguiva il criterio
dell’“assenza di dogmatismo e di pregiudizi”, che lo poneva in una relazio-
ne dialettica tra valorizzazione e distanza degli studi salesiani contempo-
ranei: «Nella trasmissione di novità, è importante tener presente che non
si è mai detta l’ultima parola. Molte cose nell’interpretazione di don Bosco
sono ancora ipotesi e quello che si sta investigando non possiamo presen-
tarlo come affermazioni categoriche».252 Nonostante ciò, il corso base di
quattro anni del centro di Quito ruota fino ad oggi fortemente attorno alla
conoscenza progressiva della vita di don Bosco, partendo dalle Memorie
dell’Oratorio, e senza entrare formalmente nelle tematiche di attualizza-
zione della pedagogia salesiana. La peculiarità del corso è la formazione
dell’identità salesiana dei partecipanti laici e consacrati, che è conseguita
249 Cfr. R.D. Jaramillo, Il Centro Salesiano Regionale di Formazione Permanente
(Quito - Ecuador), in Orlando (ed.), Con don Bosco educatori dei giovani, 184-189.
250 Cfr. CINAJ, Evaluación y proyección del Centro Salesiano de Formación Per-
manente: Elementos para la planificación institucional de servicios y programas, in
Jaramillo, Il Centro Salesiano Regionale, in Orlando (ed.), Con don Bosco educatori
dei giovani, 188.
251 Cfr. F. Peraza Leal, Iniciación al estudio de don Bosco, Centro Salesiano Regio-
nal, Quito 2003, 1-4.
252 Ibid., 3.

46.7 Page 457

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456 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
attraverso una sapiente alternanza tra momenti di esposizione e studio e
quelli di partecipazione attiva nei lavori in gruppo o in assemblea.
Un approccio alla formazione salesiana metodologicamente non troppo
distante, ma più orientato sul piano pedagogico, è offerto da Carlo Loots
e Colette Schaumont, legati all’esperienza del centro di Oud-Heverlee in
Belgio.253 Il loro modello di formazione dell’identità salesiana dei laici vede
quest’ultima come una realtà dinamica e processuale. Riferendosi alle ispi-
razioni di Carlo Leget,254 prospettano l’interazione tra tre elementi per cre-
are un’identità istituzionale: il legame con la tradizione e con le prospettive
future, la rete di rapporti interni ed esterni e l’identità dei collaboratori di
riferimento.
La storia di un’istituzione nel suo rapporto con la tradizione è impor-
tante, in quanto le scelte effettuate nel passato determinano in gran parte
la sua identità. Essa «assomiglia all’identità di un individuo: ognuno ha
una sua propria storia di vita, che viene riscritta quando accadono eventi
importanti. Allo stesso modo, un’istituzione scrive e riscrive la propria sto-
ria. È un processo continuo».255 La rete di rapporti interni ed esterni può
incrementare la dimensione salesiana attraverso la strutturazione interna
dell’istituzione e mediante il modo in cui si svolgono la comunicazione e la
collaborazione tra tutte le sue sezioni. Il modo con cui viene realizzato l’or-
ganigramma, la divisione dei ruoli e dei compiti rivela e forma allo stesso
tempo l’identità. Anche la rete di collaborazioni esterne, il rapporto con i
salesiani fondatori dell’opera e con le diverse istanze civili ed ecclesiasti-
che si inserisce nella dinamica identitaria. Infine, l’identità delle persone,
soprattutto di persone chiave, dà un volto all’istituzione o almeno ad una
parte di essa. Tutto ciò ha all’interno e verso l’esterno un grande impatto
sulla gestione e sull’ambiente educativo e irradia ispirazione e forza di mo-
tivazione, implicitamente o esplicitamente.
L’innovazione e la pregnanza del modello di Loots e Schaumont è quella
di considerare contemporaneamente i processi identitari a livello personale
e istituzionale. Valorizzando i principi della pedagogia dell’apprendimento
degli adulti, prospettano attenzioni processuali interessanti per una forma-
253 C. Schaumont - C. Loots, La formazione dei collaboratori laici: integrare la pe-
dagogia salesiana nella propria persona e nel lavoro educativo, in Orlando (ed.), Con
don Bosco educatori dei giovani,
254 Cfr. C. Leget, Geloven in wat je doet. Zorginstelling en katholieke traditie, Damon,
Budel 2004 citato come modello di riferimento in Ibid., 153, 155, 158.
255 Schaumont - Loots, La formazione dei collaboratori laici, in Orlando (ed.), Con
don Bosco educatori dei giovani, 158.

46.8 Page 458

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 457
zione intenzionale dell’identità che investa attivamente in processi di svi-
luppo, di cambiamento e di apprendimento. Alcuni esempi di applicazione
sono i percorsi di iniziazione per i nuovi collaboratori che devono imparare
ad integrare l’identità salesiana negli atteggiamenti, nel modo di pensare e
di agire. Per il personale in servizio da molti anni sono necessari momenti
formativi per ravvivare e approfondire i principi fondamentali, che aiutino
a verificare la propria prassi con gli orientamenti di base. Il personale di-
rettivo deve, invece, avere l’opportunità di imparare come salvaguardare
e concretizzare l’identità salesiana dell’opera attraverso processi di valuta-
zione critica della sua gestione alla luce dei criteri della missione salesiana.
Queste sono persone chiave perché l’identità salesiana sia visibile e rico-
noscibile nel linguaggio, nella gestione, nella pratica e nella mentalità.256
La proposta di Loots e Schaumont, volendo «prendere totalmente sul
serio» il messaggio sulla corresponsabilità dei laici «che deve essere spin-
to fino al punto che i laici si sentano responsabili della responsabilità dei
salesiani»,257 sembrerebbe andare oltre la visione di don Vecchi e non con-
siderare le diverse forme dell’accompagnamento progressivo nella for-
mazione salesiana dei laici e nel loro coinvolgimento nelle responsabilità
educative. Essendo preoccupati di non far percepire il carisma salesiano
come un “pacchetto preconfezionato”, alla fine arrivano solo ai processi
ermeneutici, critici e metodologici in forma di domande che delineano la
traccia di un documento di lavoro.258 La logica del “processo” soffoca pra-
ticamente i “contenuti” carismatici, che perdono così la forza di interpella-
re l’identità degli educatori. Questo è evidente soprattutto nell’ambito della
pedagogia della fede che diventa una “sfida” ed è sufficiente che l’educa-
tore sia disposto a fare un cammino attorno agli interrogativi della fede o
che abbia «una certa affinità con la spiritualità educativa».259 La pedagogia
salesiana diventa così una pedagogia processuale che si basa su concetti
di alleanza, fiducia, crescita, gioco, gioia e speranza.260 Nel rapporto tra
256 Cfr. Ibid., 158-161.
257 Ibid., 152. Sullo sfondo di queste concezioni c’è una particolare interpretazione del
rapporto di don Bosco con i laici che enfatizza l’importanza del concetto di “salesiano
esterno” nel progetto delle prime costituzioni salesiane. Cfr. Ibid., 150-153.
258 Cfr. Ibid., 163-165.
259 C. Schaumont - C. Loots, Prearare un futuro per la pedagogia salesiana. La
formazione come leva. L’esperienza belga, in «Orientamenti Pedagogici» 54 (2007) 5,
899. Il modello formativo è influenzato dalla concezione di Schepens e Burggraeve già
presentato che abbina la religione alla ricerca di senso nella vita.
260 Cfr. Schaumont - Loots, La formazione dei collaboratori laici, in Orlando (ed.),
Con don Bosco educatori dei giovani, 169-171.

46.9 Page 459

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458 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
contenuti, processo e identità ci sembra più equilibrato il modello di Quito
anche se meno tematizzato pedagogicamente.
Molte ispettorie del mondo adottano modelli di formazione salesiana
degli educatori e dei collaboratori laici. Tra i più sviluppati, vista la forte
presenza in ambito scolastico, si possono nominare i corsi delle ispetto-
rie spagnole e brasiliane, sviluppati in collaborazione tra Salesiani di don
Bosco e Figlie di Maria Ausiliatrice. Adottando modelli di apprendimento
presenziale, online e misto hanno messo in campo la collaborazione stra-
tegica delle Istituzioni salesiane di educazione superiore con la rete delle
scuole salesiane. Nel modello spagnolo i corsi sono rivolti al personale con
ruoli direttivi e ai coordinatori pastorali. Quelli per gli insegnanti, visto l’e-
levato numero delle persone coinvolte, sono offerti solo in modalità online.
Oltre ai contenuti è interessante la scelta metodologica che non intende «la
salesianità come un “modulo” separato dagli altri, ma come un filo condut-
tore e il focus che illumina il resto del contenuto».261 Le tematiche della pe-
dagogia salesiana, la proposta educativo-pastorale, le origini carismatiche
e il magistero salesiano sono trasversali ai moduli sulla leadership, la ge-
stione dei progetti educativi, la qualità, l’innovazione e, infine, le questioni
giuridico-economiche. Un’altra caratteristica metodologica interessante è
la creazione di piccoli gruppi all’interno dei corsi online e l’assegnazione
di un tutor a ciascun gruppo, prevenendo in tal modo la sensazione di ano-
nimato e favorendo la personalizzazione dell’apprendimento.262
Già con un’esperienza relativamente lunga c’è il corso online in sale-
sianità offerto dall’Università Cattolica Don Bosco di Campo Grande nel
Brasile. Il percorso, ben strutturato, combina le conoscenze su don Bosco e
su Francesco di Sales con gli elementi identitari di pedagogia e di pastorale
salesiana, le dinamiche del mondo giovanile, le prospettive femminili e gli
aspetti psicologico-sociali.263 Legate ai corsi online non mancano i dubbi
e le polemiche sulla possibilità di formare salesianamente solo a distan-
za. Sembrerebbe che la maggioranza delle proposte online si ponga come
un “ombrello” garantito a livello nazionale o ispettoriale da integrarsi poi
con la formazione presenziale garantita localmente o ispettorialmente. In
realtà, quindi, la formazione sarebbe un corso misto tra elementi online
e presenziali. Importante è la figura dei tutor che accompagnano la for-
261 O. González, Proyecto formativo de directivos y educadores de las Escuelas Sale-
sianas en España, in Orlando (ed.), Con don Bosco educatori dei giovani, 179.
262 Cfr. Ibid., 178-181.
263 Cfr. virtual.ucdb.br/salesianidade

46.10 Page 460

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 459
mazione a livello virtuale e anche locale.264 L’esperienza della pandemia
del Covid19 cambierà probabilmente l’approccio e gli equilibri attorno alla
formazione online, in quanto quasi tutti gli educatori a livello mondiale si
sono dovuti sensibilizzare e hanno sperimentato i vantaggi e gli svantaggi
dei diversi modelli.
6.3.6. Declinazioni, innovazioni e intuizioni “settoriali”
Nel convegno internazionale sulla pedagogia salesiana svoltosi in occa-
sione del bicentenario del 2015 sono emerse diverse attualizzazioni, intuizio-
ni e buone pratiche nel campo della pedagogia sociale,265 che hanno ripreso
in parte le riflessioni più significative del congresso Sistema Preventivo e
diritti umani del 2009. L’attenzione per gli aspetti sociali ha trovato corri-
spondenza nella scelta preferenziale per le periferie, nella frequente sottoli-
neatura della logica dello scarto e nell’opzione per gli ultimi di papa Fran-
cesco, come leggiamo nella Evangelii Gaudium.266 Il format del congresso,
con una larga partecipazione di studiosi e di professionisti, ha influito anche
sulla metodologia di studio della pedagogia salesiana, preferendo la logica di
un “aggiornamento settoriale” che parte dai concetti centrali del campo di
competenza dell’autore e successivamente crea collegamenti con il sistema
preventivo di don Bosco o li presume come impliciti. Il vantaggio di questo
tipo di approccio è connesso alla larghezza di riferimenti e alla praticità degli
strumenti pedagogici di ogni settore. Lo svantaggio, invece, è costituito dal
pericolo di abbinare la pedagogia salesiana a (quasi) qualunque tendenza
pedagogica contemporanea, trascurando la connessione con le radici e gli
equilibri dell’esperienza fondante di don Bosco.
Nella prospettiva di Jean-Marie Petitclerc occupa un posto centrale il con-
cetto di relazione educativa come alleanza che si costruisce a partire dalla
confidenza e prevede il ruolo dell’educatore come mediatore. Il postulato
educativo della fiducia si esprime nell’intima convinzione dell’educatore se-
264 Cfr. González, Proyecto formativo de directivos y educadores, in Orlando (ed.),
Con don Bosco educatori dei giovani, 180-181 e il corso di formazione dei tutori delle
IUS Europa.
265 Cfr. V. Orlando (ed.), Con don Bosco educatori dei giovani del nostro tempo. Atti
del Convegno Internazionale di Pedagogia Salesiana 19-21 marzo Roma Salesianum/
UPS, LAS, Roma 2015.
266 Cfr. i riferimenti alla Evangelii Gaudium in Á. Fernádez Artime, Apertura del
Convegno, in Ibid., 13-14.

47 Pages 461-470

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47.1 Page 461

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460 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
condo cui ogni giovane, per quanto ferito dalla vita, abbia una zona di libertà
degna di fiducia, che rende possibile un’alleanza con lui. È essenziale che il
giovane percepisca che crediamo e speriamo in lui, qualunque cosa accada.
La pedagogia salesiana sarebbe così un’educazione alla fratellanza, che si
trova nell’intreccio tra l’ideale del buon cristiano e dell’onesto cittadino, e
che cresce attraverso la comunicazione, la prevenzione e la regolazione dei
conflitti.267 La proposta dell’autore si colloca nel contesto dei “diritti umani”,
ma la eccede per le sue attenzioni metodologiche.268
La prassi dell’educazione ai diritti umani è un’altra attenzione promossa
in questo periodo. In un sondaggio effettuato tra i partecipanti al CG26 si
riscontrano interessanti stimoli a livello di sensibilità alle nuove povertà
e bisogni. In generale si concorda sul fatto che la promozione dei diritti è
una via efficace per creare una società più giusta, ma si è più scettici nel
valutare se la “via educativa dei diritti” abbia il potenziale per lo sviluppo
dell’educazione salesiana o se sia utile per l’attualizzazione del sistema
preventivo. Questa diffidenza si riscontra soprattutto tra i salesiani euro-
pei e americani.269 Ancora più problematica si vede la connessione tra la
logica dei diritti e l’evangelizzazione,270 in linea con i principi tracciati da
MacIntyre, Carr e Grządziel circa la non riducibilità dell’educazione mo-
rale rispetto alla sola logica dei diritti. Anche la presentazione delle buone
pratiche nei congressi del 2009 e del 2015 sembra confermare la tendenza
che l’educazione ai diritti, connessa con il campo della pedagogia sociale,
abbia una presenza ben radicata nelle ispettorie salesiane, risultando, però,
un settore limitato e non inserito nelle attività principali.
Partendo dal sociale emergono inoltre alcuni concetti e intuizioni pre-
gnanti legati all’apprendimento del servizio, alla resilienza, all’empower-
ment e al principio di reciprocità. Il processo di approfondimento svolto
dalle FMA sul Sistema preventivo e situazioni di disagio dal 1999 al 2007
267 Cfr. J.M. Petitclerc, Le système préventif repensé dans l’horizon actuel, in Ibid.,
83-85 che si ispira a X. Thévenot (ed.), Éduquer à la suite de Don Bosco, DDB/Cerf,
Paris 1996.
268 Cfr. J.M. Petitclerc, La pédagogie de Don Bosco en douze mots-clés, Éditions
Don Bosco, Paris 2012.
269 Cfr. V. Orlando, La via dei diritti umani e la missione educativa pastorale sale-
siana oggi, Risultati della ricerca tra i capitolari del CG26 e prospettive operative, LAS,
Roma 2008, 108-114.
270 Cfr. V. Orlando, I diritti umani come via efficace della missione educativa sale-
siana. Risultati della ricerca, in Dicastero Della Pastorale Giovanile Della Congre-
gazione Salesiana, Congresso Internazionale Sistema Preventivo e Diritti Umani. 2-6
gennaio 2009 Roma, [s.e.], Roma 2009, 34-36.

47.2 Page 462

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 461
ha contribuito a focalizzare alcuni aspetti del metodo salesiano.271 Mara
Borsi trova alcuni punti d’incontro tra la resilienza e il Sistema preventi-
vo: la preventività, la pedagogia d’ambiente, la concezione antropologica
aperta alla trascendenza e al mistero. La qualità del Sistema preventivo è
legata a sane e positive esperienze relazionali in un ambiente favorevole.272
Il concetto di resilienza ha trovato riscontri in diversi autori del congres-
so del 2015, oltre a sr. Borsi: Carlo Loots, Colette Schaumont e Thierry
Le Goaziou ne parlano a proposito dell’educatore e della sua necessaria
formazione ad essa; Thomas Koshy collega il concetto con il paradigma
dell’educazione “espressiva”,273 che cerca di scoprire ed esprimere la qua-
lità resiliente che si trova dentro ogni giovane; Rafael Bejarano accentua,
invece, il suo potenziale trasformativo.274
Un altro aspetto tipico messo in evidenza nella riflessione dell’Istitu-
to FMA è la reciprocità come espressione dell’antropologia relazionale,
fondata sulla visione della vita come dono e, al tempo stesso, progetto di
libertà e di responsabilità etica: «L’essere creati a immagine di Dio uno
e trino, secondo la dualità uomo-donna è il fondamento dell’essere rela-
zionale della persona la quale esiste in rapporto all’altro e matura in una
continua dinamica di reciprocità».275 Nell’orizzonte del paradigma della
reciprocità, la relazione viene ricompresa ed espressa mediante la cate-
goria dell’“accompagnamento reciproco” e dell’empowerment, intendendo
l’accompagnatore come la persona che non precede né segue l’altro, bensì
gli cammina a fianco su una medesima strada, indicando gli ostacoli e in-
segnando come evitarli, e aiutandolo a raggiungere la meta.276 Il principio
della reciprocità è correlato con il modello relazionale fondato sull’asim-
271 Cfr. M. Borsi - P. Ruffinatto (eds.), Sistema preventivo e situazioni di disagio.
L’animazione di un processo per la vita e la speranza delle nuove generazioni, LAS,
Roma 2008.
272 Cfr. M. Borsi, Sistema preventivo e resilienza. Un possibile e fecondo dialogo, in
«Salesianum» 73 (2011) 2, 309-332.
273 Cfr. la teoria dello “Expressive System” che supera il “Preventive System” in P.
Gonsalves, Educating for a Happy Life in Don Bosco’s Way. A study guide for parents,
educators and youth leaders of different faiths, Don Bosco Institute of Technology -
Tej-Presarini DB Communications, Mumbai 2011.
274 Cfr. Orlando (ed.), Con don Bosco educatori dei giovani, 168, 217-221, 258-272
e 341.
275 Nei solchi dell’alleanza. Progetto formativo delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
Torino (Leumann), LDC 2000, 28.
276 Cfr. i riferimenti all’impostazione di J.M. García, Accompagnamento spirituale
dei giovani: quadro di riferimento, in Id. (ed.), Accompagnare i giovani nello Spirito,
LAS, Roma 1998, 99-101.

47.3 Page 463

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462 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
metria e sulla complementarità, in quanto gli educatori danno credito e
spazio all’iniziativa e alla decisionalità dei giovani e delle giovani e questi
ultimi, sentendosi stimati ed accolti, si aprono con fiducia ad essi offren-
do loro le ricchezze della loro personalità. Inoltre, la rilettura del sistema
preventivo a partire dall’ottica della reciprocità porta a focalizzare il tema
della familiarità.277 La reciprocità viene vista come il principio guida che
promuove la comunione superando barriere, frammentazioni e dissonanze
anche nella Famiglia salesiana e nella sua missione.278
Un’ulteriore tendenza nel campo pedagogico è il ripensamento del vo-
lontariato nelle coordinate del service learning. L’intenzionalità di trasfor-
mare il mondo, legata all’immagine del volontariato degli anni ’70 e ’80,
viene arricchita con un’attenzione all’integrazione tra il progetto di vita,
il servizio svolto e il processo di apprendimento formativo. Prevenendo la
difficoltà del fare senza apprendere, l’approccio di provenienza americana
insegue la sinergia win-win-win tra il beneficio dei giovani, quello delle isti-
tuzioni educative e quello delle comunità territoriali.279 In ambito salesiano,
a livello di riflessioni, sono da notare alcuni spunti presenti negli orienta-
menti sul Volontariato nella missione salesiana e nel Quadro di riferimento
del 2014 che valorizza il potenziale trasversale del volontariato nella cresci-
ta del giovane.280 Più specifica, sul tema dell’apprendimento del servizio, è
la pubblicazione curata da diverse FMA con il titolo “Didattica della soli-
darietà, service learning e pedagogia salesiana” che coniuga i principi della
tradizione pedagogica salesiana con uno strumento che permette di portare
metodologicamente nella didattica scolastica ordinaria, nella progettazione
e nella valutazione alcune accortezze tipiche del carisma.281
277 Cf Comisión Escuela Salesiana América, II Encuentro continental de Educación
Salesiana. Hacia una cultura de solidaridad, Cuenca - Ecuador, Editorial Don Bosco
2001, 153.
278 Cfr. M. Borsi, Sistema preventivo, “sistema aperto”, in Orlando (ed.), Con don
Bosco educatori dei giovani, 120-131 e le ispirazioni fondative in A. Colombo, Educa-
zione all’amore come coeducazione, in Aa.Vv., Educare all’amore. Atti della XVI Setti-
mana di spiritualità per la Famiglia Salesiana, SDB Roma 1993, 97-127.
279 Cfr. M. Guardiani, Educazione alla prosocialità: impatto sulla maturazione dei
giovani, problemi aperti e potenziali soluzioni, in «Orientamenti Pedagogici» 65 (2018)
1, 133-144.
280 Cfr. Dicastero PG, Quadro di riferimento, 32014, 157-161; Dicasteri per la Pasto-
rale Giovanile e per le Missioni, Il volontariato nella missione salesiana. Manuale di
Guida ed Orientamenti, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma 2008.
281 Cfr. CIOFS Scuola FMA., Didattica della solidarietà. Service learning e pedago-
gia salesiana, FrancoAngeli, Milano 2019.

47.4 Page 464

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 463
Nel campo dell’innovazione dell’educazione formale si collocano an-
che altre attualizzazioni che spaziano dalla didattica costruttivista alle
modalità di gestione comunitaria inclusiva e di empowerment. L’esempio
tipico di un’attualizzazione settoriale è la pubblicazione di Jorge Álvarez
Medrano sull’approccio costruttivista alla didattica che viene messo in
relazione con il sistema preventivo di don Bosco.282 Sulla scia del Casotti
e poi di Ricaldone, i quali hanno visto in don Bosco un precursore delle
scuole attive, l’autore propone l’approccio didattico costruttivista come
salesiano, in quanto alcuni principi concordano con esso, senza però cre-
are collegamenti di fondo tra tutti gli elementi importanti che lo costi-
tuiscono. In modo simile si è mosso il corso a distanza promosso dalle
IUS latinoamericane che ha valorizzato fortemente l’apprendimento coo-
perativo come il modo concreto di attualizzare l’educazione salesiana in
contesto universitario.283
Nell’ambito delle Istituzioni salesiane di educazione superiore (IUS) at-
torno al bicentenario della nascita di don Bosco ha avuto uno sviluppo si-
gnificativo il tema dell’inclusione sociale dal punto di vista della pedagogia
salesiana. La presenza salesiana nell’istruzione superiore viene proposta
come una risposta alla sfida di costruire una società più giusta e inclusiva,
permeando la cultura organizzativa e formativa dell’umanesimo cristiano
che forma i nuovi leader delle generazioni di studenti universitari. Nei
seminari sono stati trattati gli aspetti politici, economici ed educativi della
proposta di una pedagogia salesiana che preferisce sia gli interventi per
prevenire l’emarginazione o l’esclusione sociale, sia una metodologia edu-
cativa che costruisce ambienti educativi pluralistici e diversificati.284
6.3.7. Una conclusione aperta tra il Sinodo e il Covid19
Attorno al Sinodo sui giovani del 2018 c’è stata una moltitudine di at-
tività e di pubblicazioni, come è tipico per un evento ecclesiale mondiale
282 Cfr. J.Á. Medrano, Constructivismo y sistema preventivo. Una relectura cualita-
tiva de la obra maestra de Don Bosco, CCS, Madrid 2010.
283 Per valutazione del corso cfr. F.U. Botelho - R.M. Vicari, Evaluation of Distance
Course Effectiveness. Exploring the Quality of Interactive Processes, in «Informática na
Educação» 12 (2009) 1, 39-46.
284 Cfr. M.S. Villagómez - R. Soffner - A. Rocchi - L. Marques (eds.), Desafíos de la
educación salesiana. Experiencias y reflexiones desde las IUS, Abya-Yala, Quito 2020,
379-521.

47.5 Page 465

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464 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
di questo tipo. Alcuni fattori come il ritmo veloce del susseguirsi dei di-
versi Sinodi durante il pontificato di papa Francesco, le circostanze che
interrogavano la credibilità dell’approccio della Chiesa Cattolica verso i
giovani, le contrapposizioni tradizionalistico-progressiste o la molteplici-
tà dei documenti ufficiali attorno al Sinodo hanno diminuito l’impatto di
un tema importantissimo per il futuro della Chiesa che esigerebbe, però,
tempi molto più lunghi per avere un riscontro concreto nel suo vissuto
pastorale. Sembra che anche a livello salesiano la recezione sia stata piut-
tosto modesta.285 Alcune riflessioni sono state fatte durante il convegno
“Giovani e scelte di vita” svoltosi a Roma poco prima del Sinodo, altre si
dovevano concretizzare durante il CG28 rispondendo alla domanda “quali
salesiani per i giovani di oggi?”.
Il congresso internazionale del settembre 2018 è stato organizzato in
collaborazione tra l’UPS e l’Auxilium, un passo significativo nella collabo-
razione delle due Istituzioni. Il tema del Sinodo sui giovani, la fede e il di-
scernimento vocazionale è stato allargato alla categoria delle scelte di vita,
per permettere una prospettiva educativa più ampia nel dialogo tra diverse
scienze. L’itinerario congressuale è stato scandito da sessioni plenarie mo-
dellate sul tre azioni: riconoscere, interpretare, scegliere.286
Nella prima sessione In ascolto dei giovani è stato possibile percepire
il respiro internazionale e interculturale garantito dalle diverse centinaia
di partecipanti, dalle riflessioni del panel sociologico, che ha offerto (solo)
alcune chiavi interpretative per approfondire modelli, stili, valori e scelte
di vita in Europa, America latina, Asia e Africa, e dai risultati della ricerca
tra le équipe della pastorale giovanile delle ispettorie dei Salesiani di don
Bosco e delle FMA di tutto il mondo.
La seconda sessione In dialogo per discernere è stata dedicata ad appro-
fondire il rapporto tra giovani e scelte di vita dal punto di vista della rifles-
sione antropologica, filosofica, pedagogica e pastorale, per accompagnare
i giovani nel compito della transizione alla vita adulta e della costruzione
della loro identità.
Alla terza sessione Prospettive educative in chiave ecclesiale e salesiana
è stato consegnato il compito di raccogliere le sfide emerse nella riflessione
285 Cfr. un processo simile con il precedente Sinodo sulla famiglia che ha visto i suoi
riflessi nel convegno di Pastorale Giovanile Salesiana a Madrid.
286 Cfr. M. Vojtáš - P. Ruffinatto (eds.), Giovani e scelte di vita, Prospettive educative.
Atti del Congresso Internazionale organizzato dall’Università Pontificia Salesiana e
dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium Roma, 20-23 settembre
2018, LAS, Roma 2019.

47.6 Page 466

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 465
congressuale e di rileggerle a partire dal contributo originale del carisma
educativo salesiano. L’ermeneutica di alcune fonti salesiane, a cura di Wim
Collin ed Eliane Petri, ha offerto la possibilità di mettersi a confronto con
l’esperienza educativa e formativa di san Giovanni Bosco e santa Maria Do-
menica Mazzarello, per far emergere dagli scritti dei due fondatori gli atteg-
giamenti e i valori, i modelli e le strategie che aiutano i giovani e le giovani
a maturare nella loro vocazione umana e cristiana e a descrivere le caratteri-
stiche che qualificano gli accompagnatori alle scelte di vita.
In un secondo momento, mediante una riflessione pedagogica operata da
Piera Ruffinatto, è stato messo in evidenza come l’educazione alla scelta sia
una dimensione essenziale del metodo preventivo, per sua natura finalizzato
a formare i giovani come buoni cristiani e onesti cittadini, e una via meto-
dologica privilegiata per educare convinzioni, sistemi di significato e quadri
di riferimento sicuri per la vita. Infine, un mio contributo ha offerto alcuni
spunti di attualizzazione della pedagogia della scelta e della vocazione. I mo-
delli del pre e post Vaticano II sono stati messi a confronto con le esigenze
odierne, rileggendo e proponendo un quadro di riferimento e alcuni stru-
menti per una pedagogia vocazionale oggi. Altri interventi, indicati nel pro-
gramma come “comunicazioni” e “buone pratiche”, hanno successivamente
proposto un’attualizzazione dei percorsi di accompagnamento alle scelte nei
diversi ambiti di vita: all’interno di percorsi scolastici e di pastorale universi-
taria, nell’oratorio e nell’animazione, nel volontariato e nell’impegno sociale,
nei percorsi di preparazione e accompagnamento al matrimonio, nella pasto-
rale vocazionale specifica e, infine, nell’ambito dei new media.
Gli eventi e le riflessioni attorno al Sinodo sui giovani sono stati l’occa-
sione per avvertire l’intreccio e la complessità dei diversi mondi giovanili,
delle prassi educative in atto e dei criteri pedagogici, antropologici, teo-
logici e carismatici, rivivendo processualmente la “formazione integrale”
come è descritta nel Documento finale dello stesso Sinodo:
La condizione attuale è caratterizzata da una crescente complessità dei feno-
meni sociali e dell’esperienza individuale. Nella concretezza della vita i cambia-
menti in atto si influenzano reciprocamente e non possono essere affrontati con
uno sguardo selettivo. Nel reale tutto è connesso: la vita familiare e l’impegno
professionale, l’utilizzo delle tecnologie e il modo di sperimentare la comunità,
la difesa dell’embrione e quella del migrante. La concretezza ci parla di una vi-
sione antropologica della persona come totalità e di un modo di conoscere che
non separa ma coglie i nessi, apprende dall’esperienza rileggendola alla luce della
Parola, si lascia ispirare dalle testimonianze esemplari più che dai modelli astrat-
ti. Ciò richiede un nuovo approccio formativo, che punti all’integrazione delle
prospettive, renda capaci di cogliere l’intreccio dei problemi e sappia unificare le

47.7 Page 467

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466 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
diverse dimensioni della persona. Questo approccio è in profonda sintonia con la
visione cristiana che contempla nell’incarnazione del Figlio l’incontro insepara-
bile del divino e dell’umano, della terra e del cielo.287
Un meta-messaggio del pontificato di papa Francesco, che va oltre i
temi trattati, riguarda l’atteggiamento di fondo e lo stile di azione dei cri-
stiani, per edificare una Chiesa sempre più vicina alle persone, più missio-
naria, più aperta e, infine, più sinodale.288 Che non si tratti di un cammino
né scontato né facile ce lo hanno ricordato sia i processi sinodali, da cui
sono venute alla luce anche le discordanze e le resistenze, sia gli eventi
legati alla pandemia, che hanno paralizzato per un certo periodo la pasto-
rale e l’educazione. Facendo emergere tanto le fragilità dei sistemi, delle
persone e delle convinzioni quanto la resilienza presente nella disponibilità
di ripensarsi, di essere creativamente fedeli, la pandemia ci ha ricordato
fortemente che un modo di fare educazione che passa “dalla carta alla vita”
non può funzionare. Aggiungere altri criteri e slogan astratti e disincarnati
alle liste, già troppo piene di requisiti per un’educazione salesiana ideale,
aumenterebbe solo la frustrazione degli educatori oppure accrescerebbe la
corrosione degli obiettivi educativi con retoriche vuote, il perseguimento
di scopi secondari non dichiarati e con l’aumento non sostenibile della di-
stanza tra l’ideale e la situazione attuale.
“Quali salesiani per i giovani d’oggi?” è stata la domanda del CG28, il
quale, però, interrotto a causa dell’emergenza sanitaria, non ha potuto com-
piutamente rispondere. Sembra, tuttavia, che le convergenze vadano in una
direzione più processuale che contenutistica: “Salesiani che camminano con
i giovani di oggi”. Nel periodo di crisi all’interno di un cambiamento d’epoca
non si possono fare ripensamenti radicali, ma si può curare processualmente
l’aggiornamento del carisma educativo salesiano con un approccio ricono-
scente, fedele, creativo, sinodale, trasformativo, virtuoso e paziente.
Se entriamo nel paradigma dei processi, potremmo immaginare che i
pedagogisti e gli educatori che progettavano comunitariamente a partire
dalle proposte di don Vecchi, con buona probabilità siano oggi capaci di
coinvolgere corresponsabilmente i laici nella missione e nel prossimo futu-
ro sapranno camminare sinodalmente come Famiglia salesiana. Penso che,
287 Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea Generale Ordinaria, I giovani, la fede e il
discernimento vocazionale. Documento finale. Il frutto dell’assemblea sinodale, LDC,
Torino 2018, n. 157.
288 Cfr. S. Currò - M. Scarpa (eds.), Giovani, vocazione e sinodalità missionaria. La
pastorale giovanile nel processo sinodale, LAS, Roma 2019.

47.8 Page 468

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 467
oltre i diversi termini e tematizzazioni, ci siano alcuni equilibri tipici che
caratterizzano l’educazione salesiana e siano presenti come un filo rosso
nelle epoche percorse, anche se con accentuazioni diverse. Questi principi
interconnessi potrebbero essere sviluppati in una triplice logica: un siste-
ma di idee fondamentali interecciato con una metodologia processuale e
con una formazione dell’identità in vista di un aggiornamento della peda-
gogia salesiana… ma questo sarà l’oggetto di un’altra pubblicazione.
6.4. Strumenti e risorse
6.4.1. Tabella cronologica
storia mondiale
termina la guerra civile nel Ruanda 1996
pubblicato il primo volume di Harry Potter 1997
fondazione di Google 1998
1999
Putin presidente della Russia 2000
attacco alle torri gemelle (New York) 2001
inizia la circolazione dell'€, moneta UE 2002
2003
nasce Facebook 2004
Benedetto XVI eletto papa 2005
Saddam Hussein condannato a morte 2006
lancio dell'iPhone 2007
crisi finanziaria mondiale; Benedetto XVI scrive 2008
Lettera sul compito urgente dell’educazione 2009
2010
termina l'ultimo governo Berlusconi 2011
al CERN scoperto il Bosone di Higgs 2012
Francesco eletto papa, Evangelii Gaudium 2013
2014
attacchi dei radicali islamici a Parigi 2015
votata la "Brexit", dimissioni di Cameron 2016
Trump succede a Obama come presidente USA 2017
Sinodo sui giovani 2018
esortazione Christus vivit 2019
pandemia del Covid19, Patto educativo globale 2020
storia salesiana
pubblicazioni di pedagogia salesiana
Juan Vecchi eletto rettor maggiore al CG24 (tema: salesiani e laici)
nasce la rete IUS (edu.superiore) Vecchi, Io per voi studio. La preparazione dei confratelli
SDB-FMA, Per un cammino di collaborazione ; Pastorale Gio.Sal. Quadro di riferimento (1.ed)
erezione ispettoria del Vietnam Braido, Prevenire non reprimere
canonizzazione Versiglia-Caravario Pastorale Giovanile Sal. Quadro di riferimento (2.ed)
Pascual Chávez eletto rettor maggiore al CG25 (tema: comunità salesiana oggi)
Chávez, Cari Salesiani, siate santi!Ruffinatto, La relazione educativa
Prellezo, Linee pedagogiche della Società Salesiana
Chávez, Con il coraggio di DB nella comunicazione soc.
doc.sulla form. alla Comunicazione soBcr. aido, Storia dell'oratorio salesiano in Italia
Convegni ACSSA sull'educazione salesiana (2006-7)
CG26 (tema: identità carismatica e passione apostolica)
lanciato il "Progetto Europa" SDB Chávez, La Missione Salesiana e i diritti umani
Chávez, La Pastorale Giovanile Salesiana
fond. aspirantati missionari in India Bozzolo-Carelli (eds.), Evangelizzazione ed educazione
Carta di identità spirituale e carismatica della Famiglia Salesiana
Congresso mondiale Cooperatori Attard-García (eds.), L’accompagnamento spirituale
Ángel F. Artime eletto rettor maggiore al CG27; PG Sal. Quadro di riferimento (3.ed)
Bicentenario della nascita di DB Orlando (ed.), Con DB educatori dei giovani…
quarta edizione della Ratio studiorumVojtáš, Progettare e discernere
Congresso past. familiare (Madrid) Sala, Evangelizzazione ed educazione dei giovani
nasce Don Bosco Green Alliance Bay, Giovani salesiani e accompagnamento
presenze in 134 nazioni
Vojtáš-Ruffinatto (eds.), Giovani e scelte di vita
CG28 (tema: quali salesiani per i giovani di oggi?)

47.9 Page 469

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468 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
6.4.2. Bibliografia selezionata
Alberich E. - Vallabaraj J., Communicating a Faith That Transforms. A Handbook
of Fundamental Catechetics, Kristu Jyoti, Bangalore 2004.
Attard F. - García M.A. (eds.), L’accompagnamento spirituale. Itinerario peda-
gogico spirituale in chiave salesiana al servizio dei giovani, LDC, Torino 2014.
Bay M., Giovani Salesiani e accompagnamento. Risultati di una ricerca internazio-
nale, LAS, Roma 2018.
Borsi M., Sistema preventivo e resilienza. Un possibile e fecondo dialogo, in «Sale-
sianum» 73 (2011) 2, 309-332.
Borsi M. - Ruffinatto P. (eds.), Sistema preventivo e situazioni di disagio. L’ani-
mazione di un processo per la vita e la speranza delle nuove generazioni, LAS,
Roma 2008.
Bozzolo A. - Carelli R. (eds.), Evangelizzazione ed educazione, LAS, Roma 2011.
Braido P., Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà, LAS, Roma 2003.
Braido P., Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, LAS, Roma
22006.
Capitolo Generale 25 dei Salesiani di Don Bosco, La comunità salesiana oggi.
Documento Capitolare, SDB, Roma 2002.
Capitolo Generale 26 dei Salesiani di Don Bosco, “Da mihi animas, cetera tolle”.
Documento Capitolare, SDB, Roma 2008.
Capitolo Generale 27 dei Salesiani di Don Bosco, “Testimoni della radicalità evan-
gelica”: Lavoro e temperanza. Documento Capitolare, SDB, Roma 2014.
Capitolo Generale 28 dei Salesiani di Don Bosco, “Quali salesiani per i giovani di
oggi?”. Riflessione postcapitolare, SDB, Roma 2020.
Chávez Villanueva P., Cari Salesiani, siate santi!, in ACG 83 (2002) 374, 3-37.
Chávez Villanueva P., “Sei tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene”, in ACG 84
(2003) 382, 3-28.
Chávez Villanueva P., Con il coraggio di Don Bosco nelle nuove frontiere della
comunicazione sociale, in ACG 86 (2005) 390, 3-46.
Chávez Villanueva P., Cristianità e prevenzione, in Università degli Studi di Bari,
L’educatore, oggi. Tratti per un profilo di san Giovanni Bosco. Seminario di stu-
dio del 26 aprile 2006, Servizio Editoriale Universitario, Bari 2007, 11-28.
Chávez Villanueva P., La Missione Salesiana e i diritti umani in particolare i diritti
dei minori, in Dicastero PG, Sistema Preventivo e Diritti Umani, 77-85.
Chávez Villanueva P., “E si commosse per loro perché erano come pecore senza
pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (Mc 6,4). La Pastorale Giovanile
Salesiana, in ACG 91 (2010) 407, 3-59.
Chávez Villanueva P., “Testimoni della radicalità evangelica”: Chiamati a vivere
in fedeltà il progetto apostolico di Don Bosco. “Lavoro e temperanza”, in ACG
93 (2012) 413, 3-56.
Chávez Villanueva P., Testimoni del Dio vivente. Natura e futuro della vita consa-
crata una visione salesiana, LEV, Roma 2012.
CIOFS Scuola FMA, Didattica della solidarietà. Service learning e pedagogia sa-
lesiana, FrancoAngeli, Milano 2019.

47.10 Page 470

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 469
Currò S. - Scarpa M. (eds.), Giovani, vocazione e sinodalità missionaria. La pasto-
rale giovanile nel processo sinodale, LAS, Roma 2019.
Dicastero per la Comunicazione Sociale, Manuale per la comunicazione sociale,
SDB, Roma 2005.
Dicastero per la Formazione - Dicastero per la Pastorale Giovanile, Giovani sa-
lesiani e accompagnamento. Orientamenti e direttive, Sede Centrale Salesiana,
Roma 2019.
Dicastero per la Pastorale Giovanile, La pastorale giovanile salesiana. Quadro di
riferimento fondamentale, SDB, Roma 11998 22000, 32014.
Dicastero della Pastorale Giovanile della Congregazione Salesiana, Congres-
so Internazionale Sistema Preventivo e Diritti Umani. 2-6 gennaio 2009 Roma,
[s.e.], Roma 2009.
Dicasteri per la Pastorale Giovanile e per le Missioni, Il volontariato nella mis-
sione salesiana. Manuale di Guida ed Orientamenti, Direzione Generale Opere
Don Bosco, Roma 2008.
Dicasteri per la Pastorale Giovanile FMA-SDB, Spiritualità Giovanile Salesiana.
Un dono dello Spirito alla Famiglia salesiana per la vita e la speranza di tutti,
[s.e.], Roma 1996.
Dodici anni di PG/1: Il passato, una storia di Congregazione. Intervista a d. Fabio
Attard, consigliere generale uscente della PG Salesiana a cura di Renato Cursi,
Giancarlo De Nicolò e Jesús Rojano, in «Note di Pastorale Giovanile» 54 (2020)
1, 42-52.
Domènech A., Il Progetto Organico Ispettoriale, in ACG 84 (2003) 381, 35-42.
Farfán M. (ed.), Carisma salesiano y educación superior, Editorial Universitaria
Abya-Yala, Quito 2019.
Fernández Artime Á., Come don Bosco, per i giovani, con i giovani! Bicentenario
della nascita di don Bosco, in ACG 96 (2015) 420, 3-23,
Fernández Artime Á., «Perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Giov.
10, 10) Cinque frutti del bicentenario, in ACG 96 (2015) 421, 3-26.
Fernández Artime Á., Strenna 2018 “Signore, dammi di quest’acqua” (Gv 4,15).
Coltiviamo l’arte di ascoltare e di accompagnare, in ACG 99 (2018) 426, 3-32.
Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (24 novembre 2013), in AAS
105 (2013) 1019-1137.
Francesco, Costituzione apostolica Veritatis Gaudium circa le università e le facol-
tà ecclesiastiche (27 dicembre 2017), in AAS 110 (2018) 1-41.
Francesco, Christus Vivit. Esortazione apostolica postsinodale del santo padre
Francesco ai giovani e a tutto il popolo di Dio, LDC, Torino 2019.
García J.M. (ed.), Accompagnare i giovani nello Spirito, LAS, Roma 1998.
García Morcuende M.A., L’accompagnamento personale nella proposta educativo-
pastorale salesiana, in Attard - García (eds.), L’accompagnamento spirituale,
261-289.
Garelli F., Presentazione della ricerca “Giovani e scelte di vita” e conclusioni, in
Vojtáš - Ruffinatto (eds.), Giovani e scelte di vita, 190.
Giraudo A., L’importanza storica e pedagogico – spirituale delle Memorie dell’O-
ratorio, in G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815

48 Pages 471-480

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48.1 Page 471

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470 6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio
al 1855. Saggio introduttivo e note storiche a cura di Aldo Giraudo, LAS, Roma
2011, pp. 5-49.
Gonsalves P., Educating for a Happy Life in Don Bosco’s Way. A study guide for
parents, educators and youth leaders of different faiths, Don Bosco Institute of
Technology – Tej-Presarini DB Communications, Mumbai 2011.
González F., Presenza nelle reti sociali in ACG 97 (2016) 423, 33-42.
Grech L., Salesian Spiritual Companionship with young people today inspired by
the praxis and thought of St John Bosco, Horizons, Qormi 2018.
Grządziel D., L’educazione del carattere e l’educazione salesiana alla cittadinanza,
in «Salesianum» 77 (2015) 92-126.
Guardiani M., Educazione alla prosocialità: impatto sulla maturazione dei giovani,
problemi aperti e potenziali soluzioni, in «Orientamenti Pedagogici» 65 (2018)
1, 133-144.
Istituto Storico Salesiano, Fonti Salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta
antologica, LAS, Roma 2014.
Meneghetti A. - Spólnik M. (eds.), Gratitudine ed educazione. Un approccio inter-
disciplinare, LAS, Roma 2012.
Nanni C. (ed.), Salesiani e pastorale tra gli universitari, SDB, Roma 1988.
Nei solchi dell’alleanza. Progetto formativo delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Tori-
no (Leumann), LDC 2000.
Olmos M., Origen y desarollo de las Instituciones Salesianas de Educación Supe-
rior. Visión crítica del proceso histórico de las IUS, in Farfán (ed.), Carisma
salesiano y educación superior, 21-44.
Orlando V. (ed.), Con don Bosco educatori dei giovani del nostro tempo. Atti del
Convegno Internazionale di Pedagogia Salesiana 19-21 marzo Roma Salesianum/
UPS, LAS, Roma 2015.
Pellerey M., La professionalità educativa e la competenza pedagogica. Attenzioni
irrinunciabili dell’offerta formativa della famiglia salesiana oggi, in Orlando
(ed.), Con Don Bosco educatori dei giovani del nostro tempo, 190-206.
Peraza Leal F., Iniciación al estudio de don Bosco, Centro Salesiano Regional, Qui-
to 2003.
Petitclerc J.M., La pédagogie de Don Bosco en douze mots-clés, Éditions Don Bo-
sco, Paris 2012.
Ratzinger J. Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007.
Sala R., Evangelizzazione ed educazione dei giovani. Un percorso teorico-pratico,
LAS, Roma 2017.
Schaumont C. - Loots C., La formazione dei collaboratori laici: integrare la peda-
gogia salesiana nella propria persona e nel lavoro educativo, in Orlando (ed.),
Con don Bosco educatori dei giovani, 150-174.
Schaumont C. - Loots C., Preparare un futuro per la pedagogia salesiana. La for-
mazione come leva. L’esperienza belga, in «Orientamenti Pedagogici» 54 (2007)
5, 897-910.
Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea Generale Ordinaria, I giovani, la fede e il di-
scernimento vocazionale. Documento preparatorio e questionario con la lettera
di papa Francesco ai giovani, LDC, Torino 2017.

48.2 Page 472

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6. Nuova evangelizzazione ed educazione per il terzo millennio 471
Sinodo dei vescovi, Il mondo delle nuove generazioni attraverso il questionario onli-
ne. The world of new generations according to the online questionnaire, a cura di
Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, LEV, Città del Vaticano 2018.
Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea Generale Ordinaria, I giovani, la fede e il di-
scernimento vocazionale. Documento finale. Il frutto dell’assemblea sinodale,
LDC, Torino 2018.
Società di san Francesco di Sales, Dati e statistiche. Capitolo Generale 28°, Sede
Centrale Salesiana, Roma 2020.
Vecchi J.E., “Io per voi studio...” (C 14) La preparazione adeguata dei confratelli e
la qualità del nostro lavoro educativo, in ACG 78 (1997) 361, 3-47.
Vecchi J.E, Un servizio per le istituzioni universitarie salesiane, in ACG 79 (1998)
362, 97-99.
Villagómez M.S. et al. (eds.), Desafíos de la educación salesiana. Experiencias y
reflexiones desde las IUS, Abya-Yala, Quito 2020.
Vojtáš M., Progettare e discernere. Progettazione educativo-pastorale salesiana
tra storia, teorie e proposte innovative, LAS, Roma 2015.
Vojtáš M. - Ruffinatto P. (eds.), Giovani e scelte di vita: Prospettive educative. Atti
del Congresso Internazionale organizzato dall’Università Pontificia Salesiana e
dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium Roma, 20-23 set-
tembre 2018, LAS, Roma 2019.
6.4.3. Risorse online
Fonti, documenti, ricerche, pubblicazioni full-text, materiali fotografici,
legati a questo capitolo.289
289 Cfr. salesian.online/pedagogia6

48.3 Page 473

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48.4 Page 474

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POSTFAZIONE
Ho accolto volentieri l’invito fattomi da don Michal Vojtáš di scrivere la
postfazione del suo pregiato volume su L’evoluzione della pedagogia sale-
siana. Ho avuto il privilegio di avere tra le mie mani la bozza del suo lavo-
ro e, sin dalla prima lettura, sono rimasto molto compiaciuto per la serietà
del lavoro, la scientificità e la capacità di percorrere il cammino fatto nella
Congregazione dal vissuto educativo di don Bosco e il suo “trattatello pe-
dagogico” sul sistema preventivo, dove ha voluto mettere per scritto, dietro
tante richieste, quello che era dietro la sua arte educativa, fino ad oggi. Da
questo punto di vista, la sua ricerca ed esposizione è molto completa ed
aggiornata.
Già dal punto di partenza don Vojtáš ha precisato chiaramente che cosa
intendeva fare e la conseguente impostazione del lavoro. Questo lo ha aiu-
tato ad avere rigore nel trattare i diversi ‘momenti’ della esperienza educa-
tiva e della riflessione pedagogica. Ho apprezzato molto la cornice storica
di ciascuno di questi periodi, anche perché ha cercato di tracciare il quadro
sociale, politico, culturale nelle diverse regioni del mondo.
Il tentativo di don Pietro Ricaldone1 di “definire” l’Educazione salesia-
na, anche se ci sono stati prima di lui i lavori compiuti dai “consiglieri sco-
lastici’ della Congregazione e da saggisti come don Cerruti e don Caviglia,
fa sì che questi diventi sempre punto di riferimento nell’evoluzione della
pedagogia salesiana, tanto più che era il suo “testamento” scritto o raccolto
alla fine del suo lungo e fecondo rettorato. A ragione l’autore lo considera
come un primo tentativo di fare “pedagogia”.
Tuttavia, sarà don Pietro Braido, specialmente il Braido studioso della
filosofia dell’educazione, della storia della pedagogia, e finalmente peda-
gogo lui stesso, prima di addentrarsi nella storia per scrivere il suo capo-
lavoro in due volumi Don Bosco, prete per i giovani, nel secolo della li-
1 Cfr. P. Ricaldone, Don Bosco Educatore, Libreria Dottrina Cristiana, Colle Don
Bosco (Asti) 1951.

48.5 Page 475

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474 Postfazione
bertà, il primo vero “pedagogo salesiano”.2 Lui stesso è passato attraverso
diverse fasi fino a concludere che un carattere proprio della “pedagogia
salesiana” sarà contare con un nucleo fondamentale che la costituisce ed
è il sistema preventivo di don Bosco, al quale si aggiungerà un altro, vale a
dire, il bisogno di “aggiornare ed inculturare” volta per volta gli elementi
costitutivi per evitare di cadere nella recita di slogan vuoti di contenuto:
cosa significhi oggi ragione-religione-amorevolezza; cosa significhi oggi
essere padre-amico-fratello; cosa significhi oggi il “buon cristiano e l’one-
sto cittadino” e così via.
Non c’è dubbio che è stato il CGS, il Capitolo del cambiamento profondo
della Congregazione in ogni senso per rispondere all’appello del Concilio Va-
ticano II, all’insegna dell’epoca dei grandi cambiamenti sociali, culturali ed
ecclesiali, il Capitolo che, insieme al CG21, ha preso sul serio questo aspetto,
pur non essendo un convegno di studiosi, né una mera assemblea di con-
fratelli, ma una vera assise capitolare che contò con degli esperti nel campo
delle scienze dell’educazione, ad incominciare da Braido, e con i confratelli
pienamente immersi nel campo educativo formale, non formale e informale.
La lettera di don Egidio Viganò3 ha perciò un grandissimo valore ap-
punto perché ha presentato il frutto del lavoro capitolare del CG21, che sarà
posteriormente il punto di partenza di don Vecchi come consigliere per la
pastorale giovanile, dopo l’esperienza di don Giovenale Dho, don Rosalio
Castillo, don Gaetano Scrivo. Tanto per dire che non è che quel pensiero
sia spuntato come un fungo.
Da lì in poi sarà don Juan Edmundo Vecchi,4 col suo dicastero, non
tanto a elaborare una teoria quanto a tradurre operativamente il cambio
di impostazione della presenza nel campo educativo che comportò una di-
versa configurazione del Consiglio generale. Basta pensare che è stato don
Antonio Domènech a sistemare nel primo Quadro di riferimento quanto
era stato fatto fino allora.
Don Vojtáš nel suo libro fa una definizione dei diversi periodi della
Congregazione dalla prospettiva del campo di lavoro, vale a dire, quello
dell’evoluzione della ‘pedagogia salesiana’, il che vuol dire che pur facendo
riferimento alla storia, per cui le citazioni del libro di Morand Wirth (Don
Bosco nel tempo), non pretende di fare una valutazione dei rettorati, che
2 Cfr. P. Braido, Il sistema educativo di Don Bosco, SEI, Torino 1971.
3 Cfr. E. Viganò, Il progetto educativo salesiano, in ACS 59 (1978) 290, 3-42.
4 Cfr. J. Vecchi, Pastorale, educazione, pedagogia nella prassi salesiana, in Vecchi -
Prellezo (eds.), Prassi educativa pastorale e scienze dell’educazione, SDB, Roma 1988,
123-150.

48.6 Page 476

▲back to top
Postfazione 475
è qualcosa di molto più complesso, come lo è la vita della Congregazione
nella diversità di contesti, situazioni, tipo di opere e di attività, veloci-
tà. Difatti, quando ci radunavamo con la Commissione preparatoria delle
Fonti Salesiane, non si è voluto andare più in là di don Ricaldone per la
mancanza della dovuta distanza storica. E io chiesi che nel congresso sto-
rico di novembre del 2015 ci fosse una conferenza del RM sull’evoluzione
della Congregazione a partire dal Concilio Vaticano II, perché mi sem-
brava che, pur ammettendo quello scritto prima, si correrebbe il rischio di
presentare una Congregazione che oggi non esiste più.
Infatti, gli ambienti e i contesti, sociali ed ecclesiali, si sono profondamen-
te trasformati. I giovani vivono nuovi valori e hanno nuovi criteri di vita, che
costituiscono una vera nuova cultura; gli anelli tradizionali della trasmissio-
ne culturale e religiosa (la famiglia, la scuola, la Chiesa…) si sono indeboliti
e sovente sono stati spezzati. La situazione nella quale si deve attuare l’im-
pegno educativo e pastorale è diversificata e in continuo cambiamento. Non
è possibile, dunque, limitarsi a piccoli ritocchi di aggiustamento della prassi
tradizionale, né pensare ad uno schema di azione eguale per tutti.
Ecco perché, già da tempo, con questa coscienza sempre più esplicita si
cominciò a disegnare una “nuova” presenza salesiana tra i giovani,5 una
“nuova evangelizzazione”,6 una “nuova educazione”,7 persino un “nuovo
sistema preventivo”.8 Con queste affermazioni si voleva esprimere appun-
to il bisogno di ripensare ed approfondire i contenuti e l’impostazione
della educazione e pastorale salesiana, in risposta alla nuova situazione
dei giovani.
Alla riscoperta del sistema preventivo
Vorrei ricordare che in preparazione al bicentenario della nascita di don
Bosco, dedicai il secondo anno proprio alla sua pedagogia.9 L’obiettivo
era quello di approfondire la sua proposta educativa: ciò che don Bosco
5 Cfr. P. Chávez Villanueva, Insieme per i giovani dell’Europa. Intervento finale del
Rettor Maggiore nell’incontro degli Ispettori dell’Europa, 5 dicembre 2004. ACG 86
(2005) 388, 113-115.
6 Cfr. E. Viganò, La nuova evangelizzazione, in ACS 70 (1989) 331, 3-43.
7 Cfr. E. Viganò. Nuova educazione, in ACG 72 (1991) 337, 3-43.
8 Cfr. E. Viganò. Chiamati alla libertà. Riscopriamo il Sistema Preventivo educando
i giovani ai valori. Commento alla Strenna per il 1995, Istituto FMA, Roma 2014, 9-12.
9 Cfr. P. Chávez Villanueva, «Come Don Bosco educatore, offriamo ai giovani il
Vangelo della gioia attraverso la pedagogia della bontà», in ACG 94 (2012) 415, 3-29.

48.7 Page 477

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476 Postfazione
ha inteso offrire ai giovani e il metodo che egli utilizzò per aprire le porte
del loro cuore, per conquistare la loro confidenza, per plasmare robuste
personalità, dal punto di vista umano e cristiano. Si trattava dunque di
approfondire ed aggiornare il sistema preventivo.
Avendo come destinatari del programma i membri della Famiglia sa-
lesiana, il nostro approccio non poteva essere solo intellettuale. Da una
parte, è certamente necessario uno studio approfondito della pedagogia
salesiana per aggiornarla secondo la sensibilità e le esigenze del nostro
tempo. Oggi i contesti sociali, economici, culturali, politici, religiosi, nei
quali ci troviamo a vivere la vocazione e a svolgere la missione salesiana,
sono profondamente cambiati. D’altra parte, per una fedeltà carismatica al
nostro Padre, è ugualmente necessario fare nostro il contenuto e il metodo
della sua offerta educativa e pastorale. Nel contesto della società di oggi
siamo chiamati ad essere santi educatori come lui, donando la nostra vita
come lui, lavorando con e per i giovani.
Ripensando l’esperienza educativa di don Bosco, siamo chiamati a rivi-
verla oggi con fedeltà. Certo siamo tutti convinti che, per certe sue parti-
colari espressioni e interpretazioni, il suo sistema preventivo appare deci-
samente “datato”, in quanto legato ad un mondo che non esiste più. Tante
sono state infatti le “rivoluzioni” a livello pedagogico, psicologico, reli-
gioso, politico, culturale, filosofico, tecnologico, demografico, che si sono
succedute lungo il secolo XX. Il mondo è ormai divenuto un “villaggio
globale”. È permeato da continue innovazioni mediatiche, globalizzanti,
che influiscono su tutte le culture del pianeta. Il modo di pensare appare
segnato da inediti criteri culturali di produttività, efficienza, calcolo, razio-
nalità scientifica. Quindi, in questo quadro di lettura dei fenomeni sociali,
molte vecchie categorie interpretative appaiono oggi superate.
Ora per una corretta attualizzazione del sistema preventivo, più che
pensare immediatamente a dei programmi, a delle formule, o ribadire de-
gli “slogan” generici e buoni per tutte le stagioni, oggi il nostro sforzo –
scrivevo – sarà quello di una comprensione storica del metodo di don Bo-
sco, sapendo che particolari considerazioni situazionali hanno dato origine
alle impostazioni di principio, alle elaborazioni teologiche, antropologiche,
pastorali, pedagogiche che egli ha pensato opportune per i giovani del suo
tempo. Questa comprensione storica dovrebbe aiutarci a non isolare la sua
esperienza, applicandola, con i suoi principi, attraverso modalità nuove. Si
tratta, in concreto, di analizzare come sia stato diverso il suo operare per
i giovani, per il popolo, per la Chiesa, per la società, per la vita religiosa,
e anche come diverso sia stato il suo modo di educare giovani del primo

48.8 Page 478

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Postfazione 477
Oratorio festivo, del piccolo seminario di Valdocco, dei chierici salesiani
e non salesiani, dei missionari. Ciò non toglie che già nel primo Oratorio
di casa Pinardi fossero presenti alcune importanti intuizioni che saranno
successivamente acquisite nella loro valenza più profonda di complessa
sintesi umanistico-cristiana:
a) una struttura flessibile (è la modalità con cui don Bosco pensa all’O-
ratorio) quale opera di mediazione tra Chiesa, società urbana e fasce po-
polari giovanili;
b) il rispetto e la valorizzazione dell’ambiente popolare;
c) la religione posta a fondamento dell’educazione secondo l’insegna-
mento della pedagogia cattolica trasmessa a lui dall’ambiente del Convitto;
d) l’intreccio dinamico tra formazione religiosa e sviluppo umano, tra
catechismo ed educazione. In altre parole, la convergenza tra educazione
ed educazione alla fede (integrazione fede-vita);
e) la convinzione che l’istruzione costituisce uno strumento essenziale
per illuminare la mente;
f) l’educazione, così come la catechesi, che si sviluppa in tutte le espres-
sioni compatibili con la ristrettezza del tempo e delle risorse: alfabetizza-
zione di chi non ha mai potuto fruire di una qualsiasi forma di istruzione
scolastica, il collocamento al lavoro, l’assistenza lungo la settimana, lo svi-
luppo di attività associative e mutualistiche ecc.
g) la piena occupazione e valorizzazione del tempo libero;
h) l’amorevolezza come stile educativo e, più in generale, come stile di
vita cristiana.
Dalla dinamica della sua particolare esperienza questo metodo, deno-
minato appunto da un certo momento in avanti “sistema preventivo”, di-
venta un “sistema” pubblicizzato e presentato come metodo universale.
Don Bosco lo propose e volle che fosse adottato per l’educazione e la rie-
ducazione dei giovani appartenenti ai gruppi più svariati.
Come è noto, e come troviamo scritto nella Carta d’Identità della Fa-
miglia Salesiana, il sistema preventivo “rappresenta il condensato della
saggezza pedagogica di don Bosco e costituisce il messaggio profetico che
ha lasciato ai suoi eredi e a tutta la Chiesa. È un’esperienza spirituale ed
educativa che si fonda su ragione, religione ed amorevolezza.
«Ragione sottolinea i valori dell’umanesimo cristiano, quali la ricerca di
senso, il lavoro, lo studio, l’amicizia, l’allegria, la pietà, la libertà non di-
sgiunta da responsabilità, l’armonia tra saggezza umana e sapienza cristiana.
Religione significa fare spazio alla Grazia che salva, coltivare il deside-
rio di Dio, favorire l’incontro con Cristo Signore in quanto offre un senso

48.9 Page 479

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478 Postfazione
pieno alla vita ed una risposta alla sete di felicità, inserirsi progressiva-
mente nella vita e nella missione della Chiesa.
Amorevolezza esprime la necessità che, per avviare un’efficace relazio-
ne educativa, i giovani non solo siano amati, ma conoscano di essere amati;
è un particolare stile di rapporti ed è un voler bene che risveglia le energie
del cuore giovanile e le fa maturare fino all’oblatività.
Ragione, religione e amorevolezza sono oggi, più di ieri, elementi in-
dispensabili all’azione educativa e fermenti preziosi per dar vita ad una
società più umana, in risposta alle attese delle nuove generazioni».10
Una volta conosciuto correttamente ciò che ci è stato trasmesso dal pas-
sato, occorre tradurre nell’oggi le grandi intuizioni e virtualità del sistema
preventivo. Bisogna modernizzarne i principi, i concetti, gli orientamenti
primigeni, reinterpretando sul piano teorico e pratico sia le grandi idee di
fondo, che tutti conosciamo (“la maggior gloria di Dio e la salvezza delle
anime”; “la fede viva, la ferma speranza, la carità teologico-pastorale”; “il
buon cristiano e l’onesto cittadino”; “l’allegria, studio e pietà”; “sanità, stu-
dio e santità; “pietà, moralità, cultura, civiltà”; “l’evangelizzazione e civi-
lizzazione”… ), sia i grandi orientamenti di metodo (“farsi amare prima di
farsi temere”; “ragione, religione, amorevolezza”; “padre, fratello, amico”;
“familiarità, soprattutto in ricreazione”; “guadagnare il cuore”; “l’educato-
re “consacrato” al bene dei suoi allievi”; “ampia libertà di saltare, correre,
schiamazzare a piacimento”…). E tutto ciò a vantaggio della formazione
di giovani “nuovi” del sec. XXI, chiamati a vivere e confrontarsi con una
vastissima e inedita gamma di situazioni e problemi, in tempi decisamente
mutati, nei quali le stesse scienze umane sono in fase di riflessione critica.
In particolare, mi permettevo di suggerire tre prospettive, analizzando più
in profondità la prima.
1. Il rilancio del “onesto cittadino” e del “buon cristiano”
In un mondo profondamente cambiato rispetto a quello dell’Ottocento,
operare la carità secondo criteri angusti, locali, pragmatici (e qui dobbia-
mo riconoscere che don Bosco non era certo in condizione di fare più di
quello che ha fatto), dimenticando le più ampie dimensioni del bene comu-
ne, nazionale e mondiale, sarebbe una grave lacuna di ordine sociologico
10 Carta di identità carismatica della Famiglia Salesiana di Don Bosco, Roma 2012,
art. 21.

48.10 Page 480

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Postfazione 479
ed anche teologico. La maturazione etica della coscienza contemporanea
ha infatti riscontrato i limiti di un assistenzialismo che, dimenticando la
dimensione politica del sottosviluppo, non riesce a influire positivamente
sulle cause della miseria, sulle strutture di peccato dalle quali scaturisce un
contesto sociale da tutti sempre denunciato. Concepire la carità solo come
elemosina, aiuto d’emergenza, significa rischiare di muoversi nell’ambito
di un “falso samaritanesimo” che, al di là delle buone intenzioni, finisce
talora col divenire un’espressione di solidarietà scadente, perché funzio-
nale a modelli di sviluppo che puntano al benessere di alcuni, indorando
l’amara pillola per gli altri.
Ricordiamo che nel postconcilio le parole “povertà della Chiesa” e
“Chiesa dei poveri” ebbero molti volti, anche contraddittori, e tuttavia
dobbiamo pure ricordare che il vangelo non lo abbiamo inventato noi, così
come non abbiamo inventato il suo tragico impatto con la politica e l’eco-
nomia. La fede tocca la storia, pur non riducendosi ad essa. Se l’amore del
prossimo non è tutto il messaggio cristiano, si può forse negare che esso
sia centrale ed essenziale?
Si è detto e scritto che, di fronte allo Stato moderno che ha assunto la
tutela e l’assistenza sociale dei cittadini, la Chiesa non aveva più quello
spazio di intervento sul piano della carità e dell’assistenza, che aveva nel
passato. La realtà che oggi viviamo smentisce questa ipotesi che aveva nu-
trito le ideologie laiciste e stataliste. La Chiesa torna spessissimo ad essere
punto di riferimento anche in seno allo Welfare state. Per lunghi anni ab-
biamo sentito dire che la carità e l’assistenza erano strumenti vecchi e in-
servibili, che non erano più utilizzabili nella società moderna e nello stato
democratico. Oggi, anche in ambienti laici, si riconosce la funzione sociale
del volontariato cristiano, del cosiddetto terzo settore – non profit – delle
iniziative che partono dalle parrocchie, dalle associazioni, dalle istituzioni,
dalle chiese locali…
Ora il fatto che miliardi di persone stiano vivendo oggi in condizioni
ben lontane da quella “civiltà dell’amore”, auspicata dal papa Paolo VI e ri-
badita dai suoi successori fino a papa Francesco e la sua Enciclica “Fratelli
tutti”, può trovare in noi “una risposta specifica” nel ricorso alla formula
di don Bosco dell’“onesto cittadino e buon cristiano”?
In riferimento all’“onesto cittadino”, ci si impone una riflessione pro-
fonda e a ciò ha giovato l’ultima strenna 2020 del rettor maggiore “Buoni
cristiani, onesti cittadini”. Innanzitutto, a livello speculativo, essa deve
estendere la sua considerazione a tutti i contenuti relativi al tema della
promozione umana, giovanile, popolare, avendo, al contempo, attenzione

49 Pages 481-490

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49.1 Page 481

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480 Postfazione
alle diverse qualificate considerazioni filosofico-antropologiche, teologi-
che, scientifiche, storiche, metodologiche pertinenti.
Questa riflessione si deve poi concretizzare sul piano della esperienza e
della riflessione operativa dei singoli e delle comunità. Vorrei qui ricorda-
re che, per i Salesiani di don Bosco, un Capitolo generale di grande rilievo,
il CG23, aveva indicato come importanti luoghi ed obiettivi dell’educazio-
ne la “dimensione sociale della carità” e “l’educazione dei giovani all’im-
pegno e alla partecipazione alla politica”, “ambito da noi un po’ trascurato
e disconosciuto” (cfr. CG23, numeri 203; 210; 212; 214).
Se da una parte comprendiamo la scelta di don Bosco di non fare se
non “la politica del Padre Nostro” compresa però nella frase evangelica
da lui stesso citata “sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra
(Mt 6,10), dall’altra dobbiamo anche chiederci quanto la sua iniziale scelta
di un’educazione intesa in senso stretto, e la conseguente prassi dei suoi
educatori di escludere dalla propria vita la “politica”, non abbiano condi-
zionato e limitato l’importante dimensione socio-politica nella formazione
degli educandi. Oltre alle obiettive difficoltà create da differenti regimi
politici con i quali don Bosco ha dovuto convivere, non vi hanno per caso
contribuito anche degli educatori propensi al conformismo, all’isolazioni-
smo, con un’insufficiente cultura ed una scarsa conoscenza del contesto
storico-sociale?
Dovremo quindi procedere nella direzione di una riconferma aggior-
nata della “scelta socio-politica-educativa” di don Bosco. Questo signi-
fica non promuovere un attivismo ideologico, legato a particolari scelte
politiche di partito, ma formare ad una sensibilità sociale e politica, che
porta comunque a investire la propria vita come missione per il bene della
comunità sociale, con un riferimento costante agli inalienabili valori uma-
ni e cristiani. Si tratta quindi di operare all’insegna di una più coerente
attuazione pratica nel settore specifico. Detto in altri termini, la riconsi-
derazione della qualità sociale dell’educazione – già immanente, anche
se imperfettamente realizzata, nell’opzione giovanile fondamentale, anche
dal punto di vista delle enunciazioni e delle formule – dovrebbe incenti-
vare la creazione di esplicite esperienze di impegno sociale nel senso più
ampio. Ma ciò suppone anche uno specifico impegno teorico e vitale, ispi-
rato ad una più ampia visione dell’educazione stessa insieme a realismo e
concretezza. Non bastano proclami e manifesti. Occorrono anche concetti
teorici e progetti operativi concreti da tradurre in programmi ben definiti e
articolati. Proprio a questo ha voluto chiamarci papa Francesco con il Patto
Globale Educativo e con L’economia di Francesco.

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Postfazione 481
Chi è veramente preoccupato della dimensione educativa cerca di in-
fluire attraverso gli strumenti politici, perché essa sia presa in considera-
zione in tutti gli ambiti: dall’urbanizzazione e dal turismo fino allo sport
e al sistema radiotelevisivo, realtà in cui sovente si privilegiano i criteri di
mercato.
E altrettanto si dovrebbe dire del rilancio del “buon cristiano”. Don
Bosco, “bruciato” dallo zelo per le anime, ha compreso l’ambiguità e la pe-
ricolosità della situazione, ne ha contestato i presupposti, ha trovato forme
nuove di opporsi al male con le scarse risorse (culturali, economiche…) di
cui disponeva.
Si tratta di svelare e aiutare a vivere consapevolmente la vocazione di
uomo, la verità della persona. E proprio in questo i credenti possono dare
il loro contributo più pregiato.
Essi infatti sanno che l’essere e i rapporti della persona vengono definiti
dalla sua condizione di creatura, che non indica inferiorità o dipenden-
za, ma amore gratuito e creativo da parte di Dio. L’uomo deve la propria
esistenza a un dono. È situato in una relazione con Dio da ricambiare. La
sua vita non trova senso al di fuori di questo rapporto. L’“oltre”, che egli
percepisce e desidera vagamente, è l’Assoluto, non un assoluto estraneo e
astratto, ma la sorgente della sua vita che lo chiama a sé.
In Cristo la verità della persona, che la ragione coglie in modo iniziale,
trova la sua illuminazione totale. Gesù Cristo, con le sue parole ma so-
prattutto in forza della sua esistenza umano-divina, in cui si manifesta la
coscienza di Figlio di Dio, apre la persona alla piena comprensione di sé e
del proprio destino.
In Lui siamo costituiti figli e chiamati a vivere come tali nella storia. È
una realtà e un dono, di cui l’uomo deve penetrare progressivamente il sen-
so. La vocazione a figli di Dio non è un’aggiunta di lusso, un complemento
estrinseco per la realizzazione dell’uomo. È invece il suo totale compimen-
to, l’indispensabile condizione di autenticità e pienezza, il soddisfacimento
delle esigenze più radicali, quelle di cui è sostanziata la sua stessa struttura
creaturale.
Ma come attualizzare il “buon cristiano” di don Bosco? Come salva-
guardare oggi la totalità umano-cristiana del progetto in iniziative formal-
mente o prevalentemente religiose e pastorali, contro i pericoli di antichi e
nuovi integrismi ed esclusivismi? Come trasformare la tradizionale educa-
zione, il cui contesto era “una società monoreligiosa”, in una educazione
aperta, e al tempo stesso critica, di fronte al pluralismo contemporaneo?
Come educare a vivere in autonomia e nello stesso tempo essere partecipi

49.3 Page 483

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482 Postfazione
in un mondo plurireligioso, pluriculturale, plurietnico? A fronte dell’attuale
superamento della tradizionale pedagogia dell’obbedienza, adeguata ad un
certo tipo di ecclesiologia, come promuovere una pedagogia della libertà e
della responsabilità, tesa alla costruzione di persone responsabili, capaci di
libere decisioni mature, aperte alla comunicazione interpersonale, inserite
attivamente nelle strutture sociali, in atteggiamento non conformistico, ma
costruttivamente critico?
2. Il ritorno ai giovani con maggior qualificazione
È tra i giovani che don Bosco ha elaborato il suo stile di vita, il suo
patrimonio pastorale e pedagogico, il suo sistema, la sua spiritualità. L’u-
nicità della missione giovanile in don Bosco fu sempre e comunque reale,
anche quando per motivi particolari non era materialmente a contatto con
i giovani, anche quando la sua azione non era direttamente a servizio dei
giovani, anche quando difese tenacemente il suo carisma di fondatore per
tutti i giovani del mondo, di fronte a pressione di ecclesiastici non sempre
ben illuminati. Missione salesiana è consacrazione, è “predilezione” per i
giovani, e tale predilezione, al suo stato iniziale, lo sappiamo, è un dono
di Dio, ma spetta alla nostra intelligenza ed al nostro cuore svilupparla e
perfezionarla.
Il vero salesiano non diserta il campo giovanile. Salesiano è colui che
dei giovani ha una conoscenza vitale: il suo cuore pulsa là dove pulsa quel-
lo dei giovani. Il salesiano vive e lavora per loro, si impegna per rispondere
alle loro necessità e ai loro problemi; essi sono il senso della sua vita: la-
voro, scuola, affettività, tempo libero. Salesiano è chi dei giovani ha anche
una conoscenza teorica ed esistenziale, che gli permette di scoprire i loro
veri bisogni, di creare una pastorale giovanile adeguata alle necessità dei
tempi.
La fedeltà alla nostra missione poi, per essere incisiva, deve essere posta
a contatto con i “nodi” della cultura di oggi, con le matrici della mentalità
e dei comportamenti attuali. Siamo di fronte a sfide veramente grandi, che
esigono serietà di analisi, pertinenza di osservazioni critiche, confronto cul-
turale approfondito, capacità di condividere psicologicamente la situazione.
Presentando ai capitolari del CG28 un commento alla “Lettera da Roma
del 10 maggio 1884” dicevo che essa mi sembrava illuminante e stimo-
lante per affrontare il tema del Capitolo: “Quale salesiano per i giovani di
oggi?”, perché con questo tema, nella mente del rettor maggiore, si voleva

49.4 Page 484

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Postfazione 483
far emergere la volontà di dare una risposta carismatica ai giovani di oggi,
soprattutto i più poveri e gli esclusi. Per questo sono necessari salesiani
preparati e pronti a operare con la mente, il cuore e le mani di don Bosco
nella Chiesa e nella società, e che accompagnino i giovani nel mondo del
lavoro, nell’universo digitale, nella difesa del creato, ecc.11 E tutto ciò di-
venta un richiamo alle nostre origini.
E continuavo: Il pericolo di oggi, come ieri, per cui appunto don Bosco
ha scritto quella famosa lettera è la perdita della presenza fisica dei salesia-
ni tra i ragazzi, della capacità quasi connaturale di capire la loro cultura,
e l’amore trasparente, familiare, buono che rivela Dio e li conquista a Dio.
Si tratta di un suo testamento spirituale, tanto vibranti ed accorati sono i
toni. E lo fa per raccomandare proprio la presenza tra i giovani (riscopri-
re l’assistenza salesiana), la familiarità d’un tempo (l’accompagnamento),
quella che va assolutamente recuperata quella che si coltiva specialmente
in ricreazione, in tempi liberi, in strutture aperte, stando in mezzo ai gio-
vani, condividendo la loro vita e prendendo sul serio i loro sogni, giorno
dopo giorno (una pastorale giovanile e vocazionale ringiovanita). Si tratta
di elementi tutti ampiamente sviluppati sia nel Documento Finale del Sino-
do sui Giovani sia nella Lettera Apostolica Post-Sinodale Christus vivit.12
Tutto questo richiede un salesiano in stato di formazione permanente, in
missione, condivisa con i laici.
E la lettera – come nota don Caviglia13 – non si occupa di altro che del-
la vita dei salesiani nella ricreazione. Da qui il valore del “cortile” inteso
come categoria comprensiva di tutte le attività che pongono il giovane in
clima di spontaneità favorendone il protagonismo e la libera espressione:
perché è lì che si manifesta per quello che è, dischiudendo in tal modo
la porta della interiorità, disponibile allora ad accogliere gli stimoli che
gli vengono offerti; sempre a condizione che lì si trovi l’educatore che,
protagonista con lui e spontaneo come lui, dischiuda la propria interiorità
lasciando fluire i beni vitali che lo fanno adulto, credente, educatore. È
a questo punto che scatta la comunicazione educativa, dall’educatore al
giovane e dal giovane all’educatore, realizzando quel prodigio che è, in
entrambi, arricchimento di umanità.
11 Cfr. A. Fernández Artime, Quali Salesiani per i giovani di oggi? Lettera di
convocazione del Capitolo Generale 28º, in ACG 99 (2018) 427, 3-33.
12 Cfr. R. Sala, Entrevista a don Rossano Sala. Secretario especial del Sínodo, in
«Mision Jóven» (2019) 510-511, 5-16.
13 Cfr. A. Caviglia, Conferenze sullo spirito salesiano, edizione curata da don Aldo
Giraudo, Centro Mariano Salesiano, Torino 1985, 60.

49.5 Page 485

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484 Postfazione
Cortile di ieri e di oggi: è lì che sta o cade la pedagogia salesiana e con
essa la missione; da lì emerge una delle sfide più grandi per l’educare oggi:
nella famiglia, nella scuola ed in ogni altra istituzione di educazione for-
male, non formale, informale.
Concentravo quindi il mio commento su sei passi della lettera:
1. saper usare il linguaggio del cuore
2. comprendere i giovani
3. avere a cuore la felicità
4. essere presenti
5. superare i formalismi
6. condividere l’azione
Mi soffermo qui solo sui due primi.
Saper usare il linguaggio del cuore: il linguaggio dell’amore è sempre
oggetto di “studio assiduo” nel senso che don Bosco dava a questa paro-
la: preoccupazione, impegno, passione. E la nostra cultura si caratteriz-
za pure per una disattenzione ai linguaggi dell’amore, ancor peggio, per
una distorsione dei naturali linguaggi dell’amore, quelli sessuali, affettivi,
amicali; così che una profonda sfiducia serpeggia tra i giovani: l’amore è
impossibile, l’amore è una favola, l’amore è una rarità che compete a pochi
privilegiati.
Il salesiano deve essere un appassionato cultore dei linguaggi dell’amo-
re; una lezione che impara non solo ascoltando se stesso ma anche ascol-
tando l’altro: i suoi bisogni, le sue sensibilità, le sue possibilità di espres-
sione e le sue capacità di ricezione. Oggi, è questa – mi sembra – la fon-
damentale sfida dell’educatore: far capire che ama davvero, che ama per
sempre, che ama tutto di quell’umano che gli appare innanzi e che si palesa
e si modifica con l’andar del tempo; dimostrare che ama anche a fronte del
rifiuto, della dimenticanza, della distorsione o dell’utilizzo profittatore; e
convincere così all’amore, ossia far nascere l’interiore convinzione che si
è degni di amore, e, ancor più, che si è capaci di amore (ed è la percezione
del proprio inalienabile valore, è il fondamento della propria dignità, è la
radice di ogni autentica speranza); e far intuire (ma questo è anche grazia)
che esiste una Sorgente, che è per me e per te, sempre aperta e disponibile,
mai esauribile nella sua inesausta ricchezza.
Comprendere i giovani: c’è dunque un elemento di razionalità che deve
intervenire, ossia un bisogno di conoscenza che deve prendere e guidare
l’educatore salesiano: ed è conoscere i giovani, comprendere le situazio-
ni, le domande, le esigenze per sapervi far fronte. È richiesta una ampia
gamma di cognizioni scientifiche e tecniche per interpretare la serie dei

49.6 Page 486

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Postfazione 485
valori concretamente disponibili e assimilabili dai giovani per una crescita
valida nel presente e in prospettiva futura. Troppi educatori insistono sul
negativo, sul problematico, sull’irrazionale, sul moralmente inaccettabile;
per attestarsi così sui “no” da ribadire con fermezza (alternata, spesso, a
lassismo) piuttosto che sui “sì” da proporre con intelligenza (ragione), in-
tuito (amore) e coraggio unito a prudenza. Di qui l’inimicizia, la distanza
di sicurezza, l’inascolto con una crescente divaricazione del naturale fossa-
to generazionale; la relazione diventa funzionale ed istituzionale (quando
ancora sussiste) o viene apertamente o subdolamente respinta, con tutto
quel patrimonio di valori che il salesiano ha in sé e che vorrebbe (oltre che
dovrebbe) trasmettere, se si vuole e si interpreta come educatore.
Capire la cultura giovanile fonda l’impegno per quella continua forma-
zione che consente di annullare le inevitabili distanze tra noi e i giovani. È
quella competenza pedagogica che, sposandosi con la simpatia e con l’assi-
dua frequentazione, consente di vivere in sintonia coi giovani individuan-
do le strade per penetrare nei cuori e conquistare alla vita e alla gioia. Mi
pare che sia, questo, un aspetto piuttosto carente in certi ambienti salesiani;
basti cogliere la superficialità con cui si commentano le condotte giova-
nili: non traspare il desiderio di intus legere, di leggere dentro ed oltre il
dato; o basti verificare la difficoltà che proviamo a delineare traguardi e a
progettare percorsi che si attaglino il più possibile alle concrete difficoltà
e possibilità non “dei” giovani, ma di “quei” giovani. Perché rimane vero
che se non si conosce “ciò che piace ai giovani” ossia ciò che passa nel loro
mondo interiore come interesse, attrattiva, desiderio, sogno, difficilmente
avvertiranno il valore dei traguardi educativi che proponiamo e che atten-
gono all’impegno, alla fatica, alla dedizione (tutti ingredienti dell’amore
vero!) proprio quelli che don Bosco suggerisce quando parla di studio, di-
sciplina, mortificazione… “e queste cose imparino a fare con amore”.
3. Una educazione di cuore
In questi ultimi decenni forse le nuove generazioni salesiane provano
un senso di smarrimento di fronte alle antiche formulazioni del sistema
preventivo: o perché non sanno come applicarlo oggi, oppure perché in-
consapevolmente lo immaginano come un “rapporto paternalistico” con
i giovani. Al contrario, quando guardiamo a don Bosco, visto nella sua
realtà vissuta, scopriamo in lui un istintivo e geniale superamento del pa-
ternalismo educativo inculcato da molta parte della pedagogia dei secoli a

49.7 Page 487

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486 Postfazione
lui precedenti (’500-’700); in quel tempo il discorso pedagogico rifletteva
infatti la società europea, che, anche a livello politico, era strutturata pa-
ternalisticamente. La vita di don Bosco risulta invece tutta un tessuto di
rapporti interpersonali con giovani e adulti, da cui nasce anche l’arricchi-
mento suo personale. Mille episodi ed espressioni, come «Lasciate che ve
lo dica e niuno si offenda: voi siete tutti ladri; lo dico e lo ripeto: voi mi
avete preso tutto […] mi rimaneva ancora questo povero cuore, di cui già
mi avevate rubati gli affetti per intiero […] hanno preso possesso di tutto
questo cuore, cui nulla più è rimasto se non un vivo desiderio di amarvi nel
Signore»14, indicano la simbiosi, la modernità, l’attualità al di là delle note
etichette: preventivo, amorevolezza, carità. L’impossessarsi del cuore, in
don Bosco, è una espressione analogica e simbolica. I ragazzi penetravano
il cuore di don Bosco, vi si ritrovavano, vi si arricchivano, ne godevano.
Oggi certo le modalità del rapporto interpersonale sono diverse: società
pluralistica, globalità delle forme di conoscenza, internet, viaggi, ecc.
E qui vorrei inserire una nota su “Sistema Preventivo e Diritti Umani”,
perché la Congregazione non ha motivo di esistere se non per la salvezza
integrale dei giovani. Come don Bosco nel suo tempo, noi non possiamo es-
sere spettatori; dobbiamo essere protagonisti della loro salvezza. La lettera
da Roma del 1884 ci chiede anche oggi di mettere “il ragazzo al centro”
come impegno quotidiano di ogni nostro gesto e come scelta permanente
di vita di ogni nostra comunità. Per questo, per la salvezza integrale dei
giovani, il vangelo e il nostro carisma oggi ci chiedono di percorrere anche
la strada dei diritti umani; si tratta di una via e di un linguaggio nuovi che
non possiamo trascurare. Non dobbiamo lasciare nulla di intentato per la
salvezza dei giovani; oggi non ci sarebbe possibile guardare negli occhi un
bambino se non ci facessimo promotori anche dei suoi diritti.
È vero che da quando la Congregazione si sentì sfidata dal Card. Gio-
vanni Battista Montini, nel 1954, a ricevere il carcere minorile di Arese
e a misurarci non già con ragazzi “buoni”, ma con quelli che erano stati
vittime di esperienze negative, i salesiani accolsero la sfida e diedero luogo
a una serie di presenze nuove a favore dei giovani della strada, come l’o-
pera di don Javier De Nicolò in Colombia e da lì in tutta l’America latina,
Asia e poi Africa per i ragazzi soldato, per i ragazzi sfruttati nel turismo
sessuale. La svolta di questo fatto è consistita soprattutto nell’allargamento
del concetto di “prevenzione” o “preventività”, intesa non solo come porre
14 G. Bosco. Lettera ai ragazzi di Lanzo (3 gennaio 1876), in Epistolario, a cura di
Francesco Motto, LAS, Roma 2012, vol. 5, 38.

49.8 Page 488

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Postfazione 487
i ragazzi nella impossibilità morale di peccare, ma come la capacità di
arginare quelle esperienze negative sì da ricostruire personalità sane, robu-
ste, inserite nella società e nel mondo del lavoro con garanzia di successo.
Questo ha portato ad una apertura generosa e creativa a nuove frontiere
giovanili, soprattutto alle nuove e vecchie povertà (ragazzi di strada, drop-
out, immigrati…).
Tuttavia questo lavoro tra i ragazzi più poveri, bisognosi e in situazione
di rischio psicosociale era visto solo come un tipo di opere assistenzialiste
dentro al sistema preventivo, ma senza che avessero a che vedere con i
diritti umani se non per denunciarne violazioni. Il sistema preventivo e i
diritti umani invece interagiscono, arricchendosi l’un l’altro. Il sistema pre-
ventivo offre ai diritti umani un approccio educativo unico ed innovativo
rispetto al movimento di promozione e protezione dei diritti umani finora
caratterizzato dalla prospettiva della denuncia “ex post”, la denuncia di
violazioni già commesse. Il sistema preventivo offre ai diritti umani l’edu-
cazione preventiva, ossia l’azione e la proposta “ex ante”.
Come credenti possiamo dire che il sistema preventivo offre ai diritti
umani un’antropologia che si lascia ispirare dalla spiritualità evangelica e
vede come fondamento dei diritti umani il dato ontico della dignità di ogni
persona «senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso,
di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine na-
zionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione».15
Allo stesso modo i diritti umani offrono al sistema preventivo nuove
frontiere ed opportunità di dialogo e di collaborazione in rete con altri
soggetti, al fine di individuare e rimuovere le cause di ingiustizia, iniquità
e violenza. I diritti umani inoltre offrono al sistema preventivo nuove fron-
tiere ed opportunità di impatto sociale e culturale come risposta efficace al
«dramma dell’umanità moderna della frattura tra educazione e società, del
divario tra scuola e cittadinanza».16
Nel nuovo contesto globalizzato i diritti umani diventano uno strumen-
to in grado di oltrepassare gli angusti confini nazionali per porre limiti e
obiettivi comuni, creare alleanze e strategie e mobilitare risorse umane ed
economiche.
15 Così recita l’art. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
16 Cfr. P. Chávez Villanueva, Educazione e cittadinanza. Lectio Magistralis per la
Laurea Honoris Causa, Genova, 23 aprile 2007.

49.9 Page 489

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488 Postfazione
A modo di conclusione
Vorrei concludere questa postfazione al libro di don Michal Vojtáš con-
gratulandomi con lui per questo prezioso tesoro che fa non solo all’UPS,
ma a tutta la Congregazione, che avrà l’opportunità di vedere meglio il
cammino fatto dalla “pedagogia salesiana”, le sfide presenti e quanto si
attende da noi oggi. La ringrazio dell’opportunità che mi ha dato di leggere
il suo scritto, la cui lettura ho davvero goduto e mi ha fatto molto bene,
come sono certo lo farà a tutti quanti lo avranno tra le loro mani, e il mio
parere non potrebbe essere migliore: ottimo! Mi auguro che il libro possa
avere una grande accoglienza e suscitare il desiderio di portare avanti la
riflessione sulla “pedagogia salesiana”, il legato inestimabile lasciatoci da
don Bosco per l’efficacia della nostra presenza educativo pastorale tra i
giovani.
don Pascual Chávez Villanueva, SDB

49.10 Page 490

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Postfazione 489
BIBLIOGRAFIA, INDICI E ULTERIORI MATERIALI ONLINE
Nel sito salesian.online*17 si possono trovare le seguenti risorse relative
alla pedagogia salesiana:
1. Bibliografia completa del volume
2. Indice degli autori
3. Indice dei temi
4. Indice degli schemi e dei grafici
5. Biblioteca di riferimento dei volumi fulltext
6. Registrazioni video dei convegni di pedagogia salesiana
7. Materiali multimediali e corsi online
17 Cfr. salesian.online/pedagogia-dopo-db. Il progetto salesian.online nasce dalla
collaborazione del Centro Studi Don Bosco (Università Pontificia Salesiana, Roma) e
del Centro Studi sulle Figlie di Maria Ausiliatrice (Pontificia Facoltà di Scienze dell’E-
ducazione “Auxilium”, Roma). Sul sito si possono trovare documenti originali in forma
affidabile e citabile: fonti, studi, ricerche e risorse digitali sulla storia, la pedagogia e la
spiritualità salesiana. I materiali scaricabili sono organizzati per categorie, tematiche,
autori, enti, coordinate temporali e geografiche.

50 Pages 491-500

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50.1 Page 491

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50.2 Page 492

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INDICE
PREFAZIONE.............................................................................................. 5
INTRODUZIONE......................................................................................... 9
ABBREVIAZIONI....................................................................................... 17
1. FORMULAZIONI PEDAGOGICHE DELLA PRIMA GENERAZIO-
NE SALESIANA (1888-1917)................................................................. 19
1.1. La prima generazione dei salesiani nel passaggio tra i secoli....... 19
1.1.1. La sfida del “pensiero libero” anticlericale............................. 20
1.1.2. La reazione della Chiesa tra nuovi equilibri e conservatori-
smo......................................................................................... 23
1.1.3. Identità ed evoluzioni della scuola salesiana.......................... 25
1.1.4. Seconda rivoluzione industriale degli ultimi decenni dell’Ot-
tocento.................................................................................... 27
1.1.5. La Rerum Novarum e la crescente sensibilità sociale dei sa-
lesiani..................................................................................... 28
1.1.6. La nascita delle scuole professionali e agricole salesiane...... 30
1.1.7. Altre opere nel sociale: oratori, asili d’infanzia e convitti per
le operaie................................................................................ 32
1.2. Linee pedagogiche dei superiori in un tempo di forte espansione. 35
1.2.1. Michele Rua e la fedeltà creativa al sistema preventivo di
don Bosco............................................................................... 36
1.2.2. Bontà e zelo dell’educatore per un’educazione profonda e
duratura.................................................................................. 40
1.2.3. Le linee per gli oratori e per gli ex-allievi............................. 43
1.2.4. Applicazioni della Rerum Novarum...................................... 45
1.3. Le prime formulazioni della pedagogia salesiana da parte dei
collaboratori di don Bosco.............................................................. 47
1.3.1. La “Pedagogia sacra” di Giulio Barberis come testo forma-
tivo di base............................................................................. 47
1.3.2. Francesco Cerruti primo consigliere scolastico.................... 56

50.3 Page 493

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492 Indice
1.3.3. Giuseppe Bertello e la trasformazione dai laboratori alle
scuole professionali................................................................ 61
1.4. Strumenti e risorse.......................................................................... 65
1.4.1. Tabella cronologica................................................................. 65
1.4.2. Bibliografia selezionata.......................................................... 66
1.1.2. Risorse online........................................................................ 69
2. PEDAGOGIA PRATICO-OSMOTICA CAPACE DI ADATTARSI
ALLA SOCIETÀ MODERNA (1902-1931)............................................ 71
2.1. L’oratorio nella società di massa e le missioni nell’epoca d’oro
del colonialismo............................................................................... 71
2.1.1. Il fenomeno del tempo libero e le sue implicanze.................. 72
2.1.2. La società di massa e il crescente associazionismo............... 73
2.1.3. L’adattamento degli oratori salesiani nel primo Novecento... 74
2.1.4. La Prima guerra mondiale e i salesiani.................................. 86
2.1.5. Il dopoguerra e l’avvento del fascismo.................................. 89
2.1.6. L’età dell’oro del colonialismo e le missioni salesiane........... 91
2.1.7. Nuove tipologie di presenze salesiane.................................... 99
2.2. Il magistero dei Superiori generali circa l’adattamento flessibile
alle condizioni................................................................................. 101
2.2.1. Gli equilibri di Paolo Albera attorno alla fedeltà e alla pietà
nell’educazione....................................................................... 102
2.2.2. Filippo Rinaldi e la pratica di una “sana modernità”............ 106
2.2.3. Impostazione pedagogica della novità del sistema preven-
tivo.......................................................................................... 108
2.2.4. Paternità e unione con Dio come fondamenti dell’educazio-
ne salesiana............................................................................. 110
2.2.5. Formazione educativa osmotica e importanza del tirocinio.. 114
2.2.6. Le compagnie salesiane, l’Azione Cattolica e altre organiz-
zazioni giovanili..................................................................... 117
2.3. Autori di pedagogia salesiana degli anni ’20................................. 120
2.3.1. Fascie e la pedagogia salesiana esperienziale........................ 120
2.3.2. Cimatti e il “Don Bosco educatore” nel confronto con il po-
sitivismo................................................................................. 123
2.3.3. Riflessioni pedagogiche in ambito francofono: Scaloni e
Auffray................................................................................... 129
2.4. Strumenti e risorse.......................................................................... 133
2.4.1. Tabella cronologica................................................................ 133
2.4.2. Bibliografia selezionata......................................................... 134
2.4.3. Risorse online........................................................................ 137

50.4 Page 494

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Indice 493
3. FEDELTÀ DISCIPLINATA A DON BOSCO SANTO IN TEMPI DI
AVVERSITÀ (1929-1951)........................................................................ 139
3.1.Il collegio salesiano, “l’isola che previene” gli influssi dei tempi
difficili.............................................................................................. 140
3.1.1. Regimi autoritari e totalitari che educano un “uomo nuovo”. 140
3.1.2. Missione educativa della Chiesa e gli effetti della “Divini
Illius Magistri”....................................................................... 143
3.1.3. Compromessi ed equilibri salesiani attorno alla canonizza-
zione di don Bosco................................................................. 146
3.1.4. Il collegio salesiano – istituzione educativa predominante e
creatrice di mentalità.............................................................. 149
3.2. Linee del rettor maggior Pietro Ricaldone – fedeltà, catechesi e
studio............................................................................................... 156
3.2.1. L’unità, la formazione e lo studio scientifico nell’Istituto Su-
periore di Pedagogia............................................................... 157
3.2.2. L’amore come ispirazione e la disciplina come mezzo gene-
rale dell’educazione................................................................ 161
3.2.3. Gli sviluppi della catechesi nella forma della “Crociata”...... 164
3.2.4. L’estremizzazione della questione dei divertimenti............... 169
3.2.5. Sintesi: il paradigma del “collegio sotto assedio”................. 172
3.3. Autori di pedagogia salesiana........................................................ 173
3.3.1. Leôncio da Silva e l’ispirazione neotomista dell’Istituto Su-
periore di Pedagogia............................................................... 174
3.3.2. Il “Don Bosco educatore” e i paradossi di un manuale peda-
gogico “magisteriale”............................................................. 179
3.3.3. Alberto Caviglia - voce dissonante con un potenziale per il
futuro...................................................................................... 186
3.4. Strumenti e risorse.......................................................................... 190
3.4.1. Tabella cronologica................................................................ 190
3.4.2. Bibliografia selezionata.......................................................... 191
3.4.3. Risorse online........................................................................ 193
4. PRIMA, DURANTE E DOPO I CAMBIAMENTI DEL VATICANO II
(1952-1978)............................................................................................... 195
4.1. Il contesto sociale, educativo ed ecclesiale attorno al Concilio
Vaticano II....................................................................................... 195
4.1.1. La Ricostruzione postbellica e una crescente coscienza
mondiale................................................................................. 196
4.1.2. Sviluppi della pedagogia cattolica fino alla metà degli anni
’60........................................................................................... 198
4.1.3. L’Istituto Superiore di Pedagogia........................................... 201

50.5 Page 495

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494 Indice
4.1.4. La svolta del Concilio Vaticano II nella Gravissimum Edu-
cationis................................................................................... 206
4.1.5. Il Vaticano II e la metodologia dialogica dei Capitoli generali. 210
4.1.6. Il postconcilio nella Congregazione....................................... 213
4.1.7. Il Pontificio Ateneo Salesiano nella nuova sede romana........ 216
4.2. Linee pedagogiche nel magistero salesiano attorno al Concilio
Vaticano II....................................................................................... 221
4.2.1. Lettere di Renato Ziggiotti nella logica della mondializza-
zione del carisma.................................................................... 221
4.2.2. La parziale svolta non attuata del CG19................................ 225
4.2.3. Il processo del ripensamento del Capitolo generale speciale. 236
4.2.4. Il Capitolo generale speciale e i temi educativo-pastorali..... 239
4.2.5. Gli effetti operativi del CGS.................................................. 243
4.2.6. Don Ricceri e la gestione del conflitto.................................. 246
4.3. Autori e movimenti di pedagogia salesiana attorno al Vaticano II. 249
4.3.1. L’amorevolezza come chiave di lettura del “primo Braido”.. 249
4.3.2. La seconda edizione del “Sistema Preventivo” di Braido
verso una sensibilità più storico-critica................................. 254
4.3.3. Braido e la metodologia educativa nel binomio “amore-di-
sciplina”.................................................................................. 256
4.3.4. Convegni sull’aggiornamento della pedagogia salesiana...... 259
4.3.5. I Colloqui salesiani................................................................ 265
4.3.6. Gino Corallo fuori dal coro delle voci d’epoca..................... 268
4.4. Strumenti e risorse.......................................................................... 271
4.4.1. Tabella cronologica................................................................ 271
4.4.2. Bibliografia selezionata.......................................................... 272
4.4.3. Risorse online........................................................................ 274
5. PROGETTAZIONE E ANIMAZIONE, DUE NUCLEI DI SINTESI
PEDAGOGICHE (1978-1998).................................................................. 275
5.1. L’ultimo quarto del secolo e il consolidamento guidato da Viganò
e Vecchi............................................................................................ 275
5.1.1. Globalizzazione crescente dell’ultimo quarto del secolo XX. 276
5.1.2. La Chiesa e la pastorale giovanile con l’impronta di Giovan-
ni Paolo II............................................................................... 279
5.1.3. Sintesi postconciliari e consolidamento organizzativo della
Congregazione (1978-2000)................................................... 282
5.1.4. Dalla pedagogia alle scienze dell’educazione con una inter-
disciplinarità (im)possibile..................................................... 291
5.1.5. La progettazione educativa e le sue teorie di supporto.......... 293
5.2. Le linee pedagogiche del magistero salesiano............................... 296

50.6 Page 496

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Indice 495
5.2.1. Le concezioni della progettazione educativo-pastorale nel
CG21 (1978)............................................................................ 297
5.2.2. Egidio Viganò: progettazione ed educazione-evangelizza-
zione nuova............................................................................. 304
5.2.3. Juan Edmundo Vecchi, animatore della concettualizzazione
del PEPS (1978-80)................................................................. 309
5.2.4. Gli anni Novanta: l’educazione alla fede e la spiritualità sa-
lesiana..................................................................................... 318
5.2.5. La revisione dei progetti ispettoriali e la corresponsabilità
con i laici................................................................................ 322
5.3. Le linee pedagogiche dei maggiori autori salesiani di riferimento.. 327
5.3.1. Il secondo Braido, fondatore dell’Istituto Storico Salesiano.. 327
5.3.2. Collaborazione tra il Dicastero PG e l’UPS attorno alla pro-
gettazione............................................................................... 337
5.3.3. Riflessioni pedagogiche delle FMA tra reciprocità, coedu-
cazione ed educazione della donna........................................ 348
5.3.4. L’animazione socio-culturale di Tonelli, Pollo ed Ellena...... 354
5.3.5. La scissione metodologica tra la religione e l’educazione..... 364
5.4. Strumenti e risorse.......................................................................... 371
5.4.1. Tabella cronologica................................................................ 371
5.4.2. Bibliografia selezionata.......................................................... 371
5.4.3. Risorse online........................................................................ 375
6. NUOVA EVANGELIZZAZIONE ED EDUCAZIONE PER IL TERZO
MILLENNIO (1998-2018)....................................................................... 377
6.1. Situazione - il postmoderno e la Congregazione salesiana............ 377
6.1.1. Situazione mondiale del terzo millennio tra precarietà e li-
quidità..................................................................................... 377
6.1.2. La Congregazione salesiana verso un’interculturalità poco
occidentale.............................................................................. 379
6.1.3. Benedetto XVI e Francesco - indirizzi educativi diversi ma
complementari........................................................................ 384
6.1.4. Il digitale tra strumento, spazio e simbolo di una genera-
zione....................................................................................... 387
6.1.5. I giovani adulti e le IUS come un nuovo campo di azione.... 390
6.1.6. Educazione postindustriale, lean management e importanza
della leadership trasformativa................................................ 393
6.1.7. Quali giovani emergono dal Sinodo del 2018......................... 396
6.2. Le linee pedagogiche diffuse da Roma nel cambio di millennio.... 399
6.2.1. Domènech e le sintesi del Quadro di riferimento (1998 e
2000)....................................................................................... 399

50.7 Page 497

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496 Indice
6.2.2. Santità, spiritualità ed evangelizzazione nel magistero di
Pascual Chávez Villanueva.................................................... 408
6.2.3. Chávez, l’attenzione alle nuove povertà e la via dei diritti
umani...................................................................................... 412
6.2.4. Nuovi progetti e il metodo del discernimento....................... 414
6.2.5. Attard e la terza edizione del Quadro di riferimento............ 419
6.2.6. Il bicentenario e i primi anni del rettorato di don Fernández
Artime.................................................................................... 424
6.3. Le correnti di pensiero pedagogico salesiano nel terzo millennio. 428
6.3.1. La visione storico-critica dell’educazione salesiana.............. 428
6.3.2. La pastorale giovanile e la priorità all’evangelizzazione....... 432
6.3.3. L’accompagnamento, nuovo paradigma per l’educazione
postmoderna........................................................................... 437
6.3.4. Pedagogia trasformativa e virtuosa che supera la progetta-
zione per obiettivi................................................................... 448
6.3.5. Formazione salesiana degli educatori adulti.......................... 454
6.3.6. Declinazioni, innovazioni e intuizioni “settoriali”................ 459
6.3.7. Una conclusione aperta tra il Sinodo e il Covid19................. 463
6.4. Strumenti e risorse.......................................................................... 467
6.4.1. Tabella cronologica................................................................ 467
6.4.2. Bibliografia selezionata......................................................... 468
6.4.3. Risorse online........................................................................ 471
POSTFAZIONE............................................................................................ 473
Alla riscoperta del sistema preventivo................................................... 475
1. Il rilancio del “onesto cittadino” e del “buon cristiano”.................... 478
2. Il ritorno ai giovani con maggior qualificazione................................ 482
3. Una educazione di cuore.................................................................... 485
A modo di conclusione.......................................................................... 488
BIBLIOGRAFIA, INDICI E ULTERIORI MATERIALI ONLINE........... 489