ACG 421 Vita_Preghiera_Don IVO_it.doc

2.2 LA VITA COME PREGHIERA

Don Ivo COELHO

Consigliere per la Formazione

Il Rettor Maggiore, nella sua Presentazione dei Documenti del CG 27, parlando della "grazia dell'unità", scrive: "È il cammino per rispondere con generosità ed essere noi stessi: salesiani consacrati, fratelli al servizio dei giovani. Accogliendo questo dono incontreremo un tratto caratteristico della nostra spiritualità, che è l'unione con Dio; essa favorisce l'unificazione della vita: preghiera e lavoro, azione e contemplazione, riflessione e apostolato" (CG 27, p. 12). Il Capitolo stesso scelse l'icona della vite e dei tralci come simbolo dell'unità profonda tra l'essere mistici nello Spirito, profeti di fraternità, e servi dei giovani. Vogliamo offrire questo sussidio in vista di quell'unificazione che ci faccia diventare contemplativi in azione (Cost. 12), persone con "un progetto di vita fortemente unitario", come quello del nostro padre Don Bosco (Cost. 21).

Indubbiamente, la nostra vita si caratterizza per il lavoro instancabile, nella fedeltà al motto "lavoro e temperanza", e soprattutto all'esempio del nostro Padre Don Bosco. Ma non diventa molte volte questo lavoro un grande rischio, un ostacolo alla nostra preghiera? Non ci riferiamo soltanto a "le" preghiere, intese come pratiche di pietà, ma soprattutto a quell'unione con Dio che deve caratterizzare tutta la nostra vita. Ricordando la bella frase di santa Teresa di Gesù, "che l'orazione mentale non è altro che amicizia, trattandosi spesso di essere da sole con chi sappiamo che ci ama"[1], la domanda è: come fare della nostra vita esperienza di Dio, incontro di amore con Lui? E come potrebbe la nostra missione dare a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto (Cost. 3), in modo che la vita diventi preghiera?

La nostra Regola di Vita, nella prima sezione, dove si presenta l'identità fondamentale del salesiano, afferma:

"Operando per la salvezza della gioventù, il salesiano fa esperienza della paternità di Dio e ravviva continuamente la dimensione divina della sua attività: 'Senza di me non potete fare nulla' (Gv 15, 5). Coltiva l'unione con Dio, avvertendo l'esigenza di pregare senza sosta in dialogo semplice e cordiale con il Cristo vivo e con il Padre che sente vicino. Attento alla presenza dello Spirito e compiendo tutto per amore di Dio, diventa, come Don Bosco, contemplativo nell'azione" (Cost. 12).

Come possiamo trasformare questo ideale in realtà? Qui conviene fare una necessaria chiarificazione: non si tratta di togliere importanza alle pratiche sacramentali e di pietà, attraverso le quali diventa concreto il nostro dialogo con il Signore. Più in là di queste, ci domandiamo invece come la nostra vita e lavoro potrebbe diventare esperienza di Dio.

"La vita come preghiera": identità dell'orazione salesiana

Mi sembra che a questa domanda, essenziale per la nostra vita di consacrati apostoli, risponde in maniera straordinariamente ricca l'articolo 95 delle nostre Costituzioni, che porta infatti come titolo "La vita come preghiera":

"Immerso nel mondo e nelle preoccupazioni della vita pastorale, il salesiano impara a incontrare Dio attraverso quelli a cui è mandato. Scoprendo i frutti dello Spirito nella vita degli uomini, specialmente dei giovani, rende grazie in ogni cosa; condividendo i loro problemi e sofferenze, invoca per essi la luce e la forza della Sua presenza. Attinge alla carità del Buon Pastore, di cui vuole essere il testimone, e partecipa alle ricchezze spirituali che la comunità gli offre. Il bisogno di Dio, avvertito nell'impegno apostolico, lo porta a celebrare la liturgia della vita, raggiungendo quella 'operosità instancabile, santificata dalla preghiera e dall'unione con Dio, che dev'essere la caratteristica dei figli di San Giovanni Bosco".[2]


Per sottolineare alcuni elementi di questo bellissimo testo, vorrei fare un confronto con la versione previa nelle Costituzioni ad experimentum del Capitolo Generale Speciale (1972). Allora, il testo esprimeva piuttosto la problematica della sintesi tra preghiera e lavoro: "Al salesiano, immerso nel mondo e nelle preoccupazioni della vita apostolica, incontrarsi con Dio nella libertà e spontaneità di figlio può talvolta riuscire difficile". Era senza dubbio una costatazione vera e concreta, ma allo stesso tempo implicava una certa dicotomia, che si faceva presente di nuovo alla fine quando si diceva: "il bisogno interiore di Dio ci porta a vivere in Lui la liturgia della vita, offrendo noi stessi nel quotidiano lavoro, 'come ostie vive, sante e gradite a Dio' (Rm 12,1)" (Cost. 67, 1972). Anche questo è vero, e rispecchia tutta la tradizione spirituale della Chiesa, ma possiamo domandarci: non è troppo generico, in maniera tale che può applicarsi a qualsiasi lavoro, e a qualsiasi tipo di spiritualità?

Invece, l'articolo attuale cerca di superare questa possibile dicotomia, nella sua stessa radice: cioè, nella maniera di intendere salesianamente il rapporto tra il nostro lavoro e l'unione con Dio. Possiamo aggiungere che non è stato facile: infatti, il processo di elaborazione di questo articolo, un vero gioiello di spiritualità salesiana, soltanto verso la fine del Capitolo, nell'ultima redazione, ha trovato una sintesi riuscita e illuminante. Questo si vede fin dall'inizio dell'articolo, che offre un esplicito contrasto con il testo precedente: "immerso nel mondo e nelle preoccupazioni della vita pastorale, il salesiano impara a incontrare Dio attraverso quelli a cui è mandato". E alla fine, la stessa cosa viene sottolineata: "il bisogno di Dio, avvertito nell'impegno apostolico...".

Vorrei invitarvi ad una lettura attenta e accurata di questo articolo, per scoprire in esso alcuni preziosi elementi che costituiscono una criteriologia che ci aiuta a discernere se la nostra azione stia veramente diventando preghiera, esperienza di Dio. Allo stesso tempo, questa criteriologia ci :offre le "condizioni di possibilità" per realizzarlo.

  1. In primo luogo, troviamo un elemento essenziale e indispensabile: l'essere in mezzo ai giovani e con loro. Questa "presenza attiva e amichevole" (Cost. 39), che chiamiamo "assistenza," non ha niente da vedere con quella di un gendarme che si interessa solamente di mantenere l'ordine, ma neanche costituisce soltanto la "base" per poi fare altre cose, più importanti. Siamo chiamati non a "fare tante cose" ma a essere come Gesù epifania, rivelazione, Volto del Padre; la nostra missione consiste nell'essere segni e portatori del suo amore (Cost. 2). La presenza salesiana costituisce una m€diazione concreta della presenza del "Diocon-noi"; e in qualche ,maniera, possiamo dire che è un'anticipazione di quello che GeSù ha chiesto al Padre per tutti noi: "Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io" (Gv 17,24). Questo "essere-con"[3] costituisce il nucleo della vita eterna: essere con Dio e con tutti i nostri fratelli e sorelle.' Non possiamo ignorare che questo è uno degli aspetti in cui noi tutti siamo chiamati a crescere: noi tutti, e non soltanto i confratelli giovani (significativamente chiamati alle volte "assistenti").

  2. La nostra presenza deve avere una caratteristica molto concreta: la coscienza di missione. Il testo costituzionale non dice semplicemente "nelle persone", ma neanche soltanto "nei giovani", ma esplicitamente: "in quelli a cui è inviato". Nonostante la nostra buona volontà, non troveremo il Signore se non lo cerchiamo in quelli a cui Lui stesso ci invia. Questo costituisce uno degli elementi essenziali dell'obbedienza salesiana, intesa come la ricerca costante e appassionata della volontà di Dio, sull'esempio di Gesù: "Il mio alimento è fare la volontà di Colui che mi ha mandato" (Gv 4,34). Ciò non è sempre facile, in particolare quando il lavoro non è "gratificante".

  1. In questo movimento verso i giovani a cui siamo inviati, troviamo un'interessante dialettica: Dio ci aspetta in questi destinatari della nostra missione, ma allo stesso tempo siamo chiamati a portare loro il suo Amore salvifico: una dialettica che, in un certo senso, troviamo anche nelle parole di Gesù, in Mt 25, 31-46. Ciò mi sembra l'elemento centrale se la vita salesiana deve diventare preghiera. Esso si può sintetizzare nella frase, "lasciare Dio per Dio", purché sia ben intesa e non semplicemente come una scusa conveniente per abbandonare la "preghiera" per il "lavoro" o viceversa.

  2. L'azione educativa e pastorale a favore dei giovani presuppone un'analisi della realtà sulla base della fede e della missione salesiana: implica guardare la realtà giovanile con lo sguardo di Gesù, Buon Pastore, nello stile di Don Bosco. Tale "lettura" determinerà se un'azione è veramente salesiana, o se siamo ridotti ad essere, come dice ripetutamente Papa Francesco, una semplice ONG che lavora per la promozione della gioventù. Questo "sguardo pastorale" - con la "serena attenzione, che sa rimanere pienamente presente davanti a qualcuno senza stare a pensare a ciò che viene dopo" (Laudato Si' 226) - ci permetterà di discernere le priorità evangeliche nel nostro lavoro, e allo stesso tempo di riconoscere "l'azione dello Spirito" nella vita dei giovani: altrimenti, corriamo il rischio di lavorare molto, ma tralasciando la missione - un pericolo molto reale, data la complessità della realtà giovanile.

  1. Una caratteristica della preghiera salesiana, sottolineata fin dall'inizio nella nostra Regola di Vita, è il rapporto inscindibile con la vita, sull'esempio di Don Bosco, che "visse l'esperienza di una preghiera umile, fiduciosa e apostolica, che congiungeva spontaneamente l'orazione con la vita" (Cost. 86). Lo stesso articolo finisce affermando che la preghiera salesiana "è aderente alla vita e si prolunga in essa": culmine e fonte, come dice il Concilio Vaticano II, parlando dell'Eucaristia.

Non si tratta, dunque, di "lasciar alla porta della cappella" le nostre preoccupazioni, progetti pastorali, entusiasmi e delusioni; in quel caso, chi entra a dialogare con Dio? Una persona vuota, senza identità, senza storia, senza motivi per incontrare il Signore... Come abbiamo visto, l'articolo 95 parla esplicitamente del "bisogno di Dio, avvertito nell'impegno apostolico".

  1. Cercando di rendere questo punto ancora più concreto, lo stesso articolo indica; in maniera breve ma molto importante, come le diverse "forme" di preghiera nascono dalla situazione vitale dei nostri giovani: "scoprendo i frutti dello Spirito nella vita degli uomini, specialmente dei giovani, [egli] rende grazie in ogni cosa[4]; condividendo i loro problemi e sofferenze, invoca per essi la luce e la forza della... Sua presenza". La preghiera di lode e di ringraziamento nasce dalla contemplazione dell'azione dello Spirito nei nostri giovani (qui di nuovo è necessario lo sguardo di fede del Buon Pastore: dobbiamo ricordare che Gesù loda e ringrazia il Padre anche dopo l'insuccesso della sua predicazione nelle città del lago! Mt 11,25-30). La preghiera di domanda e di petizione sorge dalla partecipazione nei loro problemi e difficoltà; e mi piacerebbe aggiungere una forma di preghiera tipica del mediatore-apostolo, alle volte troppo dimenticata: quella di intercessione ("affinché il disegno del Padre si compia in ciascuno di essi" - Cost. 86) e persino di riparazione (nel suo senso più autentico).

  2. Finalmente, tra molti altri aspetti, vorrei sottolineare la dimensione comunitaria della nostra preghiera: "(il salesiano) partecipa alle ricchezze spirituali che la comunità gli offre". Alla luce di tutto ciò che abbiamo; detto prima, non si potrebbe intendere questa dimensione anche come una condivisione comunitaria dell'esperienza di Dio di ciascun confratello? Come sarebbe bello se, nella comunità, potessimo esprimere e condividere la maniera in cui ognuno di noi "scopre Dio" nei nostri destinatari! Penso all'icona di Emmaus: tra quelli che sono rimasti a Gerusalemme e quelli che sono andati a quel villaggio, c'è un interscambio di "incontri con Gesù risorto", che culmina con la presenza del Signore stesso! (cf. Le 24,33-35).

Concretamente...

Indubbiamente, tutto questo costituisce un ideale, una mèta che non sempre si raggiunge nella nostra vita quotidiana. D'altra parte, si tratta di un elemento-chiave della nostra spiritualità, uno degli elementi fondamentali, come si diceva all'inizio: la "grazia dell'unità", la chiamata a diventare "mistici nello Spirito" e "contemplativi nell'azione". Questo, mi sembra, è anche il traguardo della vita intesa in chiave di formazione permanente, e perciò vorrei sottolineare una parola chiave, che intenzionalmente non ho menzionato finora: "il salesiano impara a incontrare Dio...". Questo termine indica che è indispensabile un apprendistato, fatto in primo luogo di sforzo personale, indubbiamente, ma anche di tempo, accompagnamento, esperienze che facciano possibile questo "imparare". Non dobbiamo dare per scontato che ogni incontro e lavoro con i giovani automaticamente diventi preghiera e incontro con Dio. In altre parole, avendo riflettuto sul "che", è necessario anche insistere sul "come".

Prima di procedere, però, vorrei notare che il "che" sopra tracciato è eminentemente pratico, e in quel senso è già un "come". "Il nostro essere dipende dal nostro modo di vedere e dalla misura in cui questa visione diviene stabile nella nostra intenzionalità. Non arriviamo a vedere, tuttavia, attraverso il semplice atto di guardare, ma attraverso un allenamento della nostra visione con l'aiuto delle metafore e dei simboli che costituiscono le nostre convinzioni centrali" [5]. In qualsiasi sforzo di cambiare la nostra vita, quindi, acquisire una visione Corretta è molto più importante che l'esercizio pur diligente della forza di volontà. Gesù, dovremmo ricordare, faceva uso abbondante delle immagini. "La forza di volontà è un motore inaffidabile su cui fidarsi per l'energia interiore; un'immagine corretta, invece, silenziosamente ed inesorabilmente ci trae nel suo campo della realtà, che è anche un campo di energia"[6]'. Il cammino verso la vita come incontro con Dio, o meglio, l'unione con Lui, comporta una formazione della nostra visione che non può essere sottovalutata.

Spetta ad ogni Ispettoria, e ad ogni comunità locale, trovare i mezzi più adeguati per camminare verso questa "identità salesiana". Ma possiamo anche ritornare alla "criteriologia" proposta sopra, che ci offre allo stesso tempo anche "condizioni di possibilità" per arrivare a questo traguardo.

Il primo criterio è una condizione necessaria (ma non sufficiente!): se non facciamo lo sforzo di stare con i giovani, non c'è la possibilità di scoprire l'operazione della grazia in loro. Oggi costatiamo, in diverse parti della Congregazione, un certo "allontanamento" dai giovani da parte dei nostri confratelli, giovani e non, e soprattutto una certa svalutazione dell'assistenza: come se avessimo "cose più importanti da fare". Corriamo il rischio di perdere l'incontro con i giovani reali (alcune volte troppo difficili da gestire) e ci rifugiamo nell'incontro virtuale, attraverso tanti mezzi moderni di comunicazione — anche se qualche volta potremmo arrivare al punto di "offrirlo a Dio"! Ma non è questa la via, non è questo che ci fa diventare "buoni pastori dei giovani" sull'esempio di, Don Bosco. Dunque, è indispensabile offrire ai nostri confratelli giovani l'esperienza di essere con i giovani, educandoli (questo è indispensabile!) al vero senso dell'assistenza salesiana: il che si fa non soltanto con le parole ma con l'esempio.

Il secondo, il terzo e il quarto criterio comportano, infatti, una rieducazione della nostra visione: la coscienza della missione, la consapevolezza della dialettica tra Dio che ci aspetta nei giovani e la nostra vocazione come epifania, lo "sguardo pastorale". Non basta "essere con i giovani": bisogna farlo con il senso di missione, che deriva direttamente dall'obbedienza intesa come ricerca e compimento della volontà di Dio. È necessario cercare strategie e linee di azione per rafforzare questo senso "di fede" nel lavoro con essi, evitando ogni tipo di individualismo o di "scelte puramente personali" nell'azione educativa e pastorale. Non basta fare "cose buone", o anche di "scoprire Dio" in tutte le persone. Siamo chiamati a trovare Dio precisamente nei giovani "poveri, abbandonati e in pericolo" (Cost. 26), "prioritariamente la gioventù maschile" (Reg. 3), e non in qualsiasi persona.

Il quinto criterio è la dialettica tra "preghiera" e vita. C'è un rapporto vitale tra le "pratiche di pietà" - quelle comunitarie e quelle personali - e la vita. Gesù stesso ha sentito il bisogno di trascorrere lunghi momenti in preghiera. L'amore è prima di tutto uno stato piuttosto che un atto. Ma ha bisogno di atti, di momenti speciali che lo dichiarano, affermano, celebrano, condividono, rafforzano. È importante superare un atteggiamento di dicotomia. Il Dio che scopriamo in coloro a cui siamo inviati è lo stesso Dio che invochiamo e celebriamo e ringraziamo nei nostri momenti formali e informali di preghiera. Il salesiano ha bisogno di momenti di silenzio per rivedere e rivivere la sua giornata, per rendere grazie e per l'intercessione. Non può permettersi di trascurare i momenti di tranquillità che sono intrecciati nella struttura della vita comunitaria. Tali pratiche e momenti sono elementi importanti nella dialettica del nostro percorso verso l'unione di amore che è la vita come preghiera. La nostra vita e il nostro lavoro entrano in questi momenti, le nostre intenzioni si purificano, i nostri occhi si schiariscono e la nostra visione si sblocca per vedere l'opera di Dio nella vita di coloro ai quali siamo stati mandati. È ora di fare attenzione all'invito dei nostri Capitoli Generali recenti e di curare particolarmente la preghiera personale e la meditazione, dove ciascuno esprime il suo modo personale e profondo di essere figlio di Dio, rendendo grazie al Padre e confidandogli i desideri e le preoccupazioni dell'apostolato, ricordando che per Don Bosco l'orazione mentale era "garanzia di gioiosa perseveranza nella vocazione", in quanto rafforza la nostra intimità con Dio, salva dall'abitudine, conserva il cuore libero, attinge dinamismo e costanza, e alimenta la dedizione verso coloro a cui siamo mandati (Cost. 93, 88). Come comunità ispettoriali e locali, abbiamo bisogno di prestare rinnovata attenzione ai ritiri mensili e agli esercizi spirituali annuali, che sono "occasioni particolari di ascolto della Parola di Dio, di discernimento' della sua volontà e di purificazione del cuore", e che "ridonano ai nostro spirito profonda unità nel Signore Gesù e tengono viva l'attesa del suo ritorno" (Cost. 91). Si dovrebbe aggiungere qui anche l'accompagnamento spirituale che "addestra" i nostri occhi, che ci aiuta a sviluppare l'intelligenza contemplativa e la capacità di discernere la presenza di Dio e l'azione di grazia nei nostri destinatari (vedi CG27 67,2), così pure l'accompagnamento pastorale nei primi anni di ministero - e qui i maestri dei novizi, i direttori e le guide spirituali dei postnovizi, dei tirocinanti e dei giovani confratelli in formazione specifica hanno una responsabilità tutta speciale. Particolarmente nei primi anni della formazione, impariamo e siamo aiutati a riconoscere la dimensione divina della nostra attività. Avvertiamo "l'esigenza di pregare senza sosta in dialogo semplice e cordiale con il Cristo vivo e con il Padre"; impariamo ad essere attenti alla presenza dello Spirito e a compiere tutto per amore di Dio (Cost. 12).

Non c'è bisogno di elaborare ulteriormente la sesta condizione. Vale la pena, invece, soffermarci sulla settima, la dimensione comunitaria, perché risponde all'insistenza dei nostri Capitoli Generali recenti sulle forme comuni di preghiera, sia vecchie che nuove. Una delle difficoltà riguardo alla preghiera comunitaria è la condivisione fraterna, in particolare della nostra esperienza di Dio. Non è facile "rieducarci" in questo senso. Indubbiamente, è più facile farlo con i giovani confratelli all'inizio della vita salesiana, ma neanche nel loro caso si può prenderlo per scontato. È necessario trovare momenti idonei di condivisione comunitaria (la lectio divina inclusa), per educarli (e educare noi stessi) a pregare insieme partendo dalle esperienze del nostro lavoro educativo e pastorale: preghiere di ringraziamento, di petizione, di intercessione, di riparazione... Inoltre, queste esperienze rafforzano e approfondiscono in maniera straordinaria la vita fraterna, quasi da diventarne un termometro: dove non c'è comunicazione in profondità, il livello di vita comunitaria è molto superficiale, a volte quasi inesistente.

Chiedo che il Direttore di ogni comunità, dopo aver studiato e meditato personalmente su questa mia riflessione, inviti ciascuno dei suoi confratelli a fare lo stesso, e renda possibile un momento comunitario di scambio e dialogo, utilizzando queste o altre domande simili: Quali aspetti mi colpiscono di più? In quali aspetti avrei / avremmo bisogno di crescere? Quali passi potrei /potremmo prendere in questa direzione?

In modo speciale, invito i maestri dei novizi, i direttori e le guide spirituali di ogni livello di formazione a escogitare modi di accompagnare i giovani confratelli, come individui e come comunità, nel loro cammino verso la vita come preghiera.

Cari confratelli, invochiamo insieme l'assistenza della Madonna, "modello di preghiera e di carità pastorale" (Cost. 92) e "madre e maestra" (Cost. 98), di san Giuseppe, "maestro della vita interiore", del nostro padre Don Bosco, e di una moltitudine di confratelli, grandi e piccoli, tra cui il beato Artemide Zatti e il ven. Simaan Srugi, i quali vissero la grazia di unità e ora intercedono per noi.

NOTE

1 "Que no es otra cosa oración mental, a mi parecer, sino tratar de amistad, estando muchas veces tratando a solas con quien sabemos que nos ama." S. Teresa di Gesù, Vida 8, 5.

2 Mentre l'unione con Dio è il tema di Cost. 12, Cost. 95 sulla vita come preghiera occupa un posto molto speciale nelle Costituzioni, venendo proprio alla fine stessa, non solo del cap. VII: In dialogo con il Signore, ma anche della Seconda Parte delle nostre Costituzioni: Inviati ai giovani — in comunità — al seguito di Cristo. Il CG22 era estremamente sensibile alla struttura delle Costituzioni, e la collocazione di Cost. 95 lo fa una specie di sintesi non solo della nostra vita di preghiera ma anche di tutta la nostra vita. Esso tratta precisamente della vita come preghiera.

3 Vale la pena fermarsi sulla presenza salesiana come anticipazione della vita eterna, e essenzialmente come uno stare insieme con Dio e con tutti i nostri fratelli e sorelle. Sul primo punto, cf. J. Ratzinger, "My Joy is to Be in Thy Presence: On the Christian Belief in Eternal Life," in J. Ratzinger, God is Near Us: The Eucharist, the Heart of Life (San Francisco: Ignatius Press, 2003). Sul secondo punto, cf. il suggerimento affascinante di J. Alison che "la gioia messa davanti a [Gesù]" (Eb 12, 2) era precisamente "la possibilità di gioire per sempre in una grande celebrazione, insieme ad una moltitudine di persone, buoni, cattivi, depressivi, ma esseri umani e perciò amati." Cf. J. Alison, Raising Abel: The Recovery of the Eschatological Imagination (New York, Crossroad, 1996), 189. "Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore" (Mt 6,21). Il cuore di Gesù è senz'altro centrato sul Padre e su di noi tutti, i suoi fratelli e sorelle.

4 L'articolo costituzionale cita Ef 5,20; io aggiungerei Fa 4,6 (il testo paolino della Messa di Don Bosco).

5 We are as we come to see and as that seeing becomes enduring in our intentionality. We do not come to see, however, just by looking but by training our vision through the metaphors and symbols that constitute our centrai convictions." Stanley Hauerwas, Vision and Virtue (Notre Dame: University of Notre Dame Press, 1981), 2.

6 Willpower is a notoriously sputtery engin on which to rely for internal energy, but a right image silently and inexorably pulls us into its field of reality, which is also a field of energy." Eugene H. Peterson, Under the Unpredictable Plani: An Exploration in Vocational Holiness (Grand Rapids: William B. Eerdmans / Leominster: Gracewing, 1992), 6.