Vivere il sacerdozio da salesiani (ACG 431)

VIVERE IL SACERDOZIO DA SALESIANI


Ivo Coelho, Consigliere generale per formazione


ACG 431 (2019)

 

Dopo aver dedicato una lettera a riflettere sulla vocazione del salesiano laico - “Una rinnovata attenzione al salesiano coadiutore” (ACG 424) - è giusto concentrare lo sguardo sulla vocazione del salesiano prete.

Non va dimenticato che il primo traguardo da perseguire nella sezione formazione del progetto del Rettor Maggiore e del suo consiglio per il periodo 2014-2020 è “Promuovere nella Congregazione una migliore comprensione della vocazione consacrata salesiana nelle sue due forme”, “approfondendo i temi come la vita consacrata, il salesiano sacerdote e il salesiano coadiutore” (ACG 419 52). È questa una risposta all’invito del CG27 ad esplorare in profondità la nostra identità carismatica, a crescere nella consapevolezza della nostra vocazione e a vivere fedelmente il progetto apostolico di Don Bosco, focalizzando l’attenzione su quattro aree tematiche: “Vivere nella grazia di unità e nella gioia la nostra vocazione consacrata salesiana, che è dono di Dio e progetto personale di vita; fare una forte esperienza spirituale, assumendo il modo d’essere e agire di Gesù obbediente, povero e casto, e diventando ricercatori di Dio; costruire la fraternità nelle nostre comunità di vita e di azione; dedicarsi generosamente alla missione, camminando con i giovani per dare speranza al mondo” (CG27 p. 90). Già il CG26 aveva chiesto ai salesiani di “dare priorità e visibilità all’unità della consacrazione apostolica, pur realizzandola nelle due forme diverse” e di “approfondire l’originalità salesiana del ministero ordinato e promuovere maggiormente la vocazione del salesiano coadiutore” (CG26 55).

Presentiamo queste riflessioni e orientamenti sul salesiano presbitero quando siamo ormai prossimi all’inizio del CG28, nella speranze che servano come contributo per la riflessione che nasce dal grande interrogativo che ci siamo posti e che è al centro del Capitolo stesso: “Quali salesiani per i giovani di oggi?”



1. Alcune considerazioni generali

 

La nostra vocazione consacrata salesiana è un dono

 

Il primo passo sta nel riconoscere che la nostra vocazione è un dono di Dio. Don Juan Vecchi, ottavo successore di Don Bosco, ci ha ricordato che la categoria del “dono” è fondamentale per comprendere la vera natura della vita consacrata. È infatti un termine che ricorre molto frequentemente in Vita Consecrata “riferito alla totalità della Vita Consacrata, a ciascuna delle sue manifestazioni storiche o carismi, a molte delle sue componenti o aspetti particolari: i voti, la comunità, il servizio di carità. Un dono ricevuto ed un dono offerto” (ACG 357 8). I molti santi che hanno vissuto la loro consacrazione religiosa come sacerdoti o che sono stati sacerdoti fondatori di famiglie religiose, sono essi stessi doni meravigliosi alla Chiesa: Basilio, Benedetto, Domenico, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Giovanni della croce, Giuseppe Vaz, Francesco di Sales, Vincenzo de Paoli, Don Bosco Giuseppe Benedetto Cottolengo, solo per citarne alcuni. In questo nostro tempo siamo stati benedetti con Papa Francesco, che porta nella Chiesa il dono del suo sacerdozio vissuto come religioso.

La nostra vocazione consacrata salesiana è un dono di Dio a noi, ai giovani, alla Chiesa, al mondo e siamo chiamati a esserne profondamente grati e gioire della sua bellezza.

 La consacrazione religiosa è la nostra fondamentale identità nella Chiesa

 

La nostra consacrazione religiosa è la nostra identità fondamentale nella Chiesa. Il diritto canonico illustra la natura del popolo di Dio, costituito dai fedeli laici, dai ministri ordinati e membri della gerarchia, e dai membri di istituti di vita consacrata e società di vita apostolica. Come religiosi, tutti noi, salesiani sacerdoti e salesiani laici, apparteniamo alla vita consacrata nel popolo di Dio. Qui sta la fonte della nostra vocazione e missione. È qui che la Chiesa ci colloca e dove desidera vederci fiorire e portare frutto.

Stranamente, non c’è stata sufficiente attenzione nella Chiesa al tema del sacerdozio religioso. Don Viganò, settimo successore di Don Bosco, commenta due volte questo fatto; la prima volta nella sua lettera del 1991, “Ci sta a cuore il prete del duemila” (ACG 335), dopo il sinodo sulla formazione al sacerdozio, e poi di nuovo nel 1995, in “Il Sinodo sulla Vita consacrata” (ACG 351). “È un peccato, però – afferma don Egidio - che nel Sinodo non si sia neppure accennata la delicata e complessa problematica del religioso-prete. Forse i tempi non sono ancora maturi e c’è bisogno, prima, di ulteriori ricerche dottrinali”.1 Anche oggi la situazione sembra rimanere la stessa. La nuova Ratio per la Chiesa, Il dono della vocazione presbiterale (2016), non contiene alcuna considerazione speciale per il sacerdote religioso, nonostante il fatto che nel 2016 vi fossero 134.495 sacerdoti religiosi, pari al 32,3%, cioè quasi un terzo del numero totale di sacerdoti nella Chiesa cattolica.

Per noi, tuttavia, è urgente riflettere sull’identità del salesiano prete. Una identità chiara e sana porta gioia e unità nella vita e dà una direzione stabile al lavoro apostolico. In questa lettera cercheremo di evidenziare ciò che sta alla radice dell’essere salesiano presbitero all’interno nella nostra unica vocazione consacrata, attingendo a una comprensione rinnovata della vita religiosa e del sacerdozio. La vita fraterna, i consigli evangelici e la missione non sono elementi che esistono accanto al ministero dei salesiani preti. Sono piuttosto la matrice fondamentale e la radice vitale della nostra vocazione. Nelle parole della nostra Ratio: “Il salesiano sacerdote [o diacono] congiunge in sé i doni della consacrazione salesiana e quelli del ministero pastorale, ma in modo tale che è la consacrazione salesiana a determinare le modalità originali del suo essere sacerdote e dell’esercizio del suo ministero” (FSDB 39).

 

Salesiani presbiteri e salesiani laici partecipano dello stesso sacerdozio di Cristo

 

La riflessione teologica nel periodo postconciliare è caratterizzata da un’intensa presa di coscienza del legame tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune dei fedeli. Tutti noi, salesiani chierici e coadiutori, partecipiamo del sacerdozio di Cristo.

Il sacerdozio di Cristo è unico e assolutamente originale. Nelle altre religioni, e persino nell’ebraismo, il sacerdote appartiene alla sfera del sacro. Nel Nuovo Testamento, invece, lungi dall’essere una peculiare espressione religiosa del sacro, il sacerdozio di Gesù deriva direttamente dalla sua vita e dagli eventi salvifici della sua Pasqua, e coinvolge così l’intera realtà umana. Il sacrificio di Gesù è un sacrificio di obbedienza: consiste nell’offrire se stesso completamente e interamente al Padre, fino alla consegna totale di sé sulla croce. La sua vita e la sua morte trasformano le nostre resistenze e il male che portiamo dentro, aprendo la strada al pentimento e al perdono, alla nuova vita di Zaccheo, Pietro, Maria di Magdala, cioè alla vita della risurrezione. “Poiché con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati” (Eb 10,14).

Quindi per noi c’è un solo sacerdote e un solo sacrificio, tenendo conto del fatto che, dal punto di vista ebraico, Gesù era un laico, e che il suo sacrificio si è compiuto non nel tempio, ma sul Calvario e in un contesto che certamente non era “sacro”. “Un tale modo di diventare sommo sacerdote è diametralmente opposto rispetto all’antico: invece di una separazione rituale, troviamo una solidarietà esistenziale; invece di un innalzamento al di sopra degli altri, troviamo un estremo abbassamento; invece di una proibizione di ogni contatto con la morte, troviamo l’esigenza di accettare la sofferenza e la morte.”2

Tutti i battezzati in Cristo sono infatti chiamati a unirsi con lui, offrendo i loro corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (Rom 12,1). Questo è il “sacerdozio comune” dei fedeli, e tutti noi, salesiani coadiutori e chierici, partecipiamo a questo sacerdozio. Questo sacerdozio comune fondato sul battesimo, è “l’espressione suprema della dignità umana … la modalità storica per sentirsi coinvolti nella redenzione e nella salvezza” (ACG 335 16-17). Non c’è dignità più alta di quella che ci è stata conferita con il battesimo. Per chi tra noi è abituato a sentir parlare del sacerdote come di un alter Christus, queste parole di san Giovanni Paolo II possono sorprendere e farci del bene.

 

Già al tempo dei Padri, si era soli ti affermare: Christianus alter Christus” (Il cristiano è un secondo Cristo), intendendo con ciò sottolineare la dignità del battezzato e la sua vocazione, in Cristo, alla santità. … Sant’Agostino … soleva ripetere: “Vobis sum episcopus, vobiscum christianus” (“Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano”). A ben riflettere, significa ben più christianus che non episcopus, anche se si tratta del Vescovo di Roma.3

 

Il sacerdozio ministeriale esiste soltanto per servire

 

Il sacerdozio ministeriale è totalmente al servizio del sacerdozio comune dei fedeli. Il suo unico scopo è aiutare i discepoli di Cristo a partecipare al suo sacerdozio, a superare il male con l’amore e il perdono e ad offrirsi totalmente al Padre (ACG 335 15-20). Ponendo il ministro nel cuore della sua comunità, l’ordinazione lo consacra al servizio di quella comunità. È una grazia non di separazione ma di comunione. Il sacerdote è chiamato ad avere il cuore del Buon Pastore e ad avere “una consapevolezza e un sentimento interiore che lo legano inseparabilmente” a coloro a cui è inviato. La carità pastorale porta ad una costante immersione nella vita del popolo di Dio, nella continua auto-donazione del servizio.4 

Questa carità pastorale”, il Concilio Vaticano II ci ricorda, “scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbitero” (PO 14). Se nell’Eucaristia ogni battezzato è chiamato a unirsi all’offerta che Gesù ha fatto di se stesso al Padre, con tanto più ragione quelli chiamati al sacerdozio ministeriale sono chiamati ad applicare a se stessi “ciò che viene realizzato sull’altare” (PO 14), prendendo e offrendo se stessi al Padre, rompendosi come il pane e donandosi ai loro fratelli e sorelle, trasformando le loro vite in Eucaristia.

La carità pastorale non è un nuovo elemento che arriva dopo l’ordinazione, identificato con particolari “attività pastorali” riservate al sacerdote, ma è invece alla radice stessa della vocazione dei Salesiani chiamati a diventare presbiteri.  La carità pastorale è al centro del nostro spirito, come forza trainante e motivazione che dà energia a tutto ciò che siamo e facciamo.

 

Don Bosco ha vissuto e ci ha trasmesso, sotto l’ispirazione di Dio, uno stile originale di vita e di azione: lo spirito salesiano.

Il suo centro e la sua sintesi è la carità pastorale, caratterizzata da quel dinamismo giovanile che si rivelava cosi forte nel nostro Fondatore e alle origini della nostra Società: è uno slancio apostolico che ci fa cercare le anime e servire solo Dio (C 10).

 

Il salesiano prete è un uomo che si lascia guidare dalla carità, “ordinato” per servire. Si comprende subito perché il clericalismo non può e non deve trovare posto nella sua vita. Don Egidio Viganò anticipa in modo sorprendente i forti richiami di Papa Francesco contro il clericalismo.

 

Se c'è un’incrostazione veramente deleteria da eliminare in un ministro ordinato è quella di una eventuale modalità «clericalista» (di cui non mancano esempi nella storia) che lo porti a far da «padrone» nel Popolo di Dio; essa in nulla si addice a Cristo Buon Pastore, che è il «Servo di Jahvè». Il prete che la facesse propria dimostrerebbe di non aver capito il sacerdozio della Nuova Alleanza (ACG 335 18).

 

Ci fa bene accogliere l’invito di Papa Francesco a meditare sulla “incommensurabile grandezza del dono” e sulla nostra piccolezza.

 

L’incommensurabile grandezza del dono che ci è stato dato per il ministero ci relega tra i più piccoli degli uomini. Il sacerdote è il più povero degli uomini – sì, il sacerdote è il più povero degli uomini – se Gesù non lo arricchisce con la sua povertà, è il più inutile servo se Gesù non lo chiama amico, il più stolto degli uomini se Gesù non lo istruisce pazientemente come fece con Pietro, il più indifeso dei cristiani se il Buon Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge.

 

Leggendo in contrasto l’annuncio a Zaccaria nel Santo dei Santi dentro il tempio di Gerusalemme e l’annuncio a Maria in un villaggio sconosciuto della Galilea, in un tempo segnato da conflitti e miserie, il Papa continua presentando un appello paterno ai sacerdoti.

 

Nessuno di noi è stato chiamato per un posto importante, nessuno. A volte senza volerlo, senza colpa morale, ci abituiamo a identificare la nostra attività quotidiana di sacerdoti, religiosi, consacrati, laici, catechisti, con determinati riti, con riunioni e colloqui, dove il posto che occupiamo nella riunione, alla mensa o in aula è gerarchico; somigliamo più a Zaccaria che a Maria.

 

Il Papa invita quindi i sacerdoti a tornare a Nazaret: “Forse dobbiamo uscire dai luoghi importanti e solenni; dobbiamo tornare ai luoghi in cui siamo stati chiamati, dove era evidente che l’iniziativa e il potere erano di Dio”. Il segreto è di “tornare a Nazaret” per rinnovarci come pastori che sono allo stesso tempo discepoli e missionari. Dobbiamo pregare senza mai stancarci con le parole di nostra Madre: “Sono sacerdote, perché Lui ha guardato con bontà la mia piccolezza (cfr. Lc 1,48)”.5



2. Il salesiano presbitero


 Abbiamo parlato del sacerdozio battesimale come la nostra più grande e insuperabile dignità (anche per il vescovo di Roma!), e di come il sacerdozio ministeriale sia in tutto e per tutto un ministero interamente proteso verso il servizio del sacerdozio battesimale. Il salesiano sacerdote assume completamente il sacerdozio ministeriale e lo vive “dal di dentro” della sua consacrazione salesiana.

Troviamo la stessa verità di base circa la nostra identità espressa nell’articolo 3 delle nostre Costituzioni, che è come una password per l’intero testo costituzionale: “La missione dà a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto, specifica il compito che abbiamo nella Chiesa e determina il posto che occupiamo tra le famiglie religiose”. Non è primariamente ciò che facciamo nella grande varietà delle nostre opere che definisce la dimensione missionaria della nostra vita, quanto piuttosto la nostra stessa esistenza come salesiani consacrati. Anzi, “siamo una missione” come afferma Papa Francesco: “È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (EG 273). Se questo è vero per ogni cristiano, lo è sicuramente per coloro che sono chiamati a fare della loro consacrazione battesimale la ragion d’essere della loro vita attraverso la consacrazione religiosa e sacerdotale.

Se la missione che ho ereditato con il carisma di Don Bosco non “dà il tono concreto” a tutta la mia vita, non sono né un salesiano né un prete, perché l’unica modalità di vivere il sacerdozio che la Chiesa riconosce in me quando sono stato scelto per ricevere gli ordini sacri è quella contenuta nelle nostre Costituzioni, dal primo all’ultimo articolo. Anche il rito di ordinazione lo esprime con chiarezza: è la Congregazione nella persona dell’ispettore che presenta le “credenziali” di chi sta per essere ordinato, ed è congiuntamente al vescovo ordinante e all’ispettore, che rappresentano l’insieme della Chiesa e della Congregazione, che si fa promessa di obbedienza. È infatti sempre e solo nell’autorità della Chiesa e della Congregazione che la potestas di un prete salesiano trova la sua fonte sorgiva e la sua piena giustificazione.6

Come diremo nuovamente in seguito, la missione non è mai generica. Si compie in un campo specificatamente assegnatoci e in modo salesianamente originale, con radici che vengono dall’alto, come professiamo nel primo articolo delle Costituzioni.



Con senso di umile gratitudine crediamo che la Società di san Francesco di Sales è nata non da solo progetto umano, ma per iniziativa di Dio. Per contribuire alla salvezza della gioventù, “questa porzione la più delicata e la più preziosa dell’umana società”, lo Spirito Santo suscitò, con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco.

Formò in lui un cuore di padre e di maestro, capace di una dedizione totale: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani”.



Passiamo ora ad alcuni punti circa l’identità-missione del salesiano presbitero, anche se non si tratterà di uno studio sistematico o esaustivo.7

 

2.1 La comunità

 

Come insiste la nuova Ratio della Chiesa, la comunità tiene un posto assolutamente essenziale per la vita di un sacerdote, sia nelle fasi della sua preparazione (discepolato, configurazione, sintesi vocazionale), sia nel ministero, vissuto come formazione permanente. 8 La vita fraterna in comunità è essenziale per la maturità umana e spirituale, per crescere nell’amore. Come esseri umani cresciamo solo attraverso relazioni improntate all’amore. I nostri fratelli e sorelle crescono nella loro capacità di amare e di essere amati nel seno delle loro famiglie; per noi, salesiani sacerdoti e salesiani laici, questo avviene nel seno della comunità religiosa e, insieme ai laici, nella comunità educativa e pastorale.

Come religioso, il ministero del salesiano sacerdote è sempre mediato dalla comunità. Il titolo dell’articolo 44 delle Costituzioni lo dice esplicitamente: “missione comunitaria”.

 

Il mandato apostolico, che la Chiesa ci affida, viene assunto e attuato in primo luogo dalle comunità ispettoriali e locali i cui membri hanno funzioni complementari con compiti tutti importanti. Essi ne prendono coscienza: la coesione e la corresponsabilità fraterna permettono di raggiungere gli obiettivi pastorali.



Per il salesiano prete questo significa che non c’è spazio per l’individualismo apostolico: le sue scelte apostoliche devono essere mediate dalla comunità; non possono essere semplicemente identificare con le sue scelte individuali in base a simpatie, antipatie o posizioni personali.

Dobbiamo tenere a mente, inoltre, che la comunità salesiana è caratterizzata da una complementarità essenziale tra salesiani preti e salesiani laici.

La presenza significativa e complementare di salesiani chierici e laici nella comunità costituisce un elemento essenziale della sua fisionomia e completezza apostolica (C 45).



Il salesiano-prete deve sentirsi riferito spontaneamente, per la forza comunionale della sua stessa salesianità, al coadiutore; e il salesiano-laico deve sperimentare altrettanto verso il confratello prete. La nostra vocazione, radicalmente comunitaria, esige una comunione effettiva non solo di fraternità tra le persone”.9 

La dimensione sacerdotale non è esclusiva dei confratelli sacerdoti e la dimensione laicale non appartiene esclusivamente ai confratelli coadiutori. La comunità salesiana non è un’aggregazione artificiale di due tipologie di membri che si sforzano in qualche modo di vivere insieme. Nel cuore di ogni confratello sono presenti entrambe le dimensioni, evidenziate in modi diversi, ma sempre intimamente connesse, in modo che il salesiano sacerdote coltiva anche la dimensione laicale della missione comune, mentre il salesiano coadiutore coltiva anche la dimensione sacerdotale di quella stessa missione. “Senza la dimensione laicale perderemmo quell'aspetto positivo di sana «secolarità» che ci caratterizza nella scelta delle mediazioni educative. E senza la dimensione sacerdotale correremmo il rischio di perdere la qualità pastorale di tutto il progetto. Sbilanciando la complementarità potremmo cadere, da una parte, in una specie di attivismo sociale pragmatista e, dall’altra, in un tipo d’impegno pastorale troppo generico che non sarebbe più l’autentica missione di Don Bosco”.10

Naturalmente don Viganò sottolinea che l’intensità della carità pastorale e il grado di santità non dipendono dal ministero ordinato o dai vari servizi che mettiamo a disposizione di altri perché parte della nostra responsabilità apostolica condivisa, ma solo dalla nostra vitalità interiore, ossia dal modo in cui viviamo il sacerdozio comune; detto in altre parole, dalla vita di fede, speranza e carità. Don Egidio quindi prosegue con delle affermazioni che restano anche oggi alquanto sorprendenti.

 

La vita di grazia, ossia di carità pastorale, ha - come ha detto San Tommaso d’Aquino - un valore che è per sé stesso più grande di tutte le cose create. Saremo tutti giudicati in base all’amore: nella Gerusalemme celeste non ci sarà più bisogno né di Bibbia, né di Vescovi e Preti, né di Magistero, né di Sacramenti, né di Coordinamento, né di tanti mutui servizi che sono indispensabili qui nella storia. Perciò già ora, nella comunità ecclesiale, l'ordine delle realtà istituzionali, gerarchiche e operative passa in seconda linea (se così si può dire; basti pensare a dove è stato collocato nella «Lumen gentium» il capitolo sul Popolo di Dio!) di fronte al Mistero a cui esse servono e che rivelano a chi vive la fede. La santità si radica nel grado di partecipazione e di comunione con la vita trinitaria. L'intensità della santità la vediamo rappresentata in Maria; l'autenticità ministeriale in Pietro. Entrambi grandi santi: ma si vede in essi che il grado di santità non si identifica con quello gerarchico e ministeriale.11

 

Il sacerdozio ministeriale non è uno speciale privilegio, quanto piuttosto un servizio destinato a cessare, e che già ora occupa il secondo posto. La sua gloria consiste nel mettersi al servizio del popolo di Dio affinché tutti, compresi i sacerdoti, possano raggiungere le “vertiginose altezze” della santità.

 

2.2 Il carisma

 

Essendo salesiano nella sua essenza, come abbiamo visto, il ministero del confratello sacerdote è sempre mediato dal suo carisma. Ecco perché il termine salesiano precede la qualifica successiva di coadiutore o sacerdote: “salesiano” è inteso come primo indicatore della identità. Il carisma salesiano dà il tono a tutto12.

Visto come modalità di sequela di Cristo, il sacerdozio religioso è molto diverso dal sacerdozio diocesano. Per il sacerdote diocesano è centrale e determinante il ministero, al quale dedica interamente la sua vita. Il sacerdote religioso, invece, trova la sua regola di vita in un fondatore e nel suo modo originale (e originante) di seguire il Signore. L’esistenza del salesiano sacerdote è quindi contrassegnata in tutto e per tutto dal carisma che ha origine in Don Bosco.13 Don Bosco non pensava primariamente al tipo di ministero che gli sarebbe stato affidato nella Chiesa, come la maggior parte dei giovani seminaristi, che solitamente hanno in prospettiva di dover animare e presiedere una comunità parrocchiale. Non sentiva di essere chiamato a svolgere un ministero già esistente; sentiva piuttosto di essere chiamato a concretizzare e tradurre in opere quella nuova pedagogia della grazia che era tutt’uno col suo modo di essere presente tra i giovani.14

Il sacerdozio assunto nell’orizzonte di un particolare carisma conferisce al ministero del sacerdote religioso un posto particolare nella Chiesa, che non è uguale a quello del clero diocesano. Tanto è vero che il sacerdote diocesano è radicato in un particolare territorio, mentre il sacerdote religioso è caratterizzato da un’apertura universale. Al primo è affidata la cura pastorale ordinaria di una parrocchia e di una diocesi, mentre il secondo partecipa a una missione speciale che è trasversale rispetto ai confini territoriali ecclesiastici.15 Il sacerdote diocesano è chiamato a un ministero generale che si rivolge all’intero arco della vita umana, dal concepimento alla morte. Il sacerdote religioso, invece, ha una vocazione che è essenzialmente un servizio particolare a una fase o dimensione della vita, così come si è manifestato e poi codificato nel suo carisma. San Benedetto, Antonio da Padova, Camillo de Lellis, e, in tempi più vicini a noi, Massimiliano Kolbe, Alberto Hurtado e tanti altri sono stati così grandi doni per la Chiesa e per il mondo grazie alla loro fedeltà al carisma particolare a cui sono stati chiamati, e col quale era perfettamente sintonizzato il dono del loro sacerdozio.

Ecco perché le scelte apostoliche di un salesiano sacerdote sono sempre mediate dal nostro carisma educativo-pastorale per i giovani, soprattutto quelli più in difficoltà. A volte sento giovani diaconi o sacerdoti salesiani lamentarsi del fatto che non hanno avuto occasione di celebrare un battesimo o presiedere a un matrimonio e mi chiedo: quanti battesimi ha celebrato Don Bosco o quanti matrimoni ha presieduto? Ed era per questo meno prete? Non dobbiamo mai perdere di vista la particolarità molto concreta della fisionomia del salesiano sacerdote, così come Don Bosco l’ha modellata. Insieme al confratello salesiano laico, il salesiano prete è invitato a una missione immersa nel mondo dei giovani e del ceto popolare, che si declina tutta in impegni di carattere educativo-pastorale, e si rivolge a persone che sono spesso lontane dalla Chiesa o appartenenti ad altre religioni.

La consacrazione apostolica del salesiano presbitero si concretizza ed esprime nei tre munera del sacerdozio ministeriale.

Attraverso il ministero della Parola (munus docendi) il salesiano sacerdote semina la parola di Cristo in un’ampia varietà di situazioni e attraverso diverse forme di predicazione, aiuto e consiglio, illuminando l’esperienza dei giovani, aiutando a orientare le loro vite, accompagnandoli nella trasformazione e trasfigurazione della loro esistenza (FSDB 39).

L’identità carismatica emerge anche dal fatto che il ministero della Parola si adatta a un’ampia varietà di situazioni e contesti. Il salesiano prete è pronto a fare uso degli approcci più svariati e sa come incontrare i giovani al punto in cui si trova la loro libertà (C 38). Adattare noi stessi ai giovani e alla loro esperienza, piuttosto che aspettarci che siano loro a conformarsi ai nostri standard è la prima e fondamentale forma di inculturazione salesiana.

La figura del salesiano catechista, che era parte della vita di molte delle nostre case, ci dà un’idea della varietà di forme in cui il munus docendi può essere realizzato all’interno di un ambiente salesiano. Il catechista era di solito un salesiano prete giovane e dinamico, che si occupava di tutto ciò che in vario modo riguardava l’evangelizzazione, la catechesi e la vita cristiana all’interno della casa salesiana. Si prendeva cura delle celebrazioni liturgiche e delle pratiche di pietà, della vita dei gruppi, in particolare di quelli aggregati da un esplicito interesse apostolico (come ad esempio il gruppo missionario); seguiva l’animazione vocazionale e l’accompagnamento personale dei giovani. Questa figura, ritrovabile nella storia non remota delle nostre case, ci aiuta a percepire come il carisma salesiano possa fondersi armoniosamente con il munus docendi del ministero sacerdotale, all’interno della missione affidata alla comunità.

È significativo anche il fatto che sia il ministero della Parola ad occupare il primo posto, e non quello della santificazione. Sarebbe un peccato, quindi, se i nostri giovani salesiani giungessero a concludere la loro formazione specifica con una preoccupazione eccessiva ed esclusiva per il munus celebrandi, piuttosto che avere nel cuore una vibrante passione per il primo annuncio, su cui insiste con forza Christus Vivit.16

Il ministero della santificazione (munus sanctificandi) può avere molte espressioni in chiave salesiana, ma la più significativa consiste nel mettersi a servizio dei giovani accompagnandoli nella iniziazione alla vita in Cristo, nella preghiera liturgica e nella celebrazione dei sacramenti, in particolare quelli della Riconciliazione e dell’Eucaristia (FSDB 39). Il salesiano prete è uno specialista nell’iniziare i Garelli e i Magone di oggi alla vita sacramentale. Anche in questo campo impara a incontrare i giovani al punto in cui si trova la loro libertà e l’esperienza della vita a cui sono stati esposti (cfr. C 38). Sa di essere chiamato ad essere un esperto in quest’arte, con la capacità di creare simboli e linguaggi che abbiano senso per i giovani di oggi. 

Il Sinodo sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale diventa un forte appello per la Chiesa, perché ci si rinnovi nella capacità di raggiungere le nuove generazioni, i nativi del mondo digitale che vivono all’interno dei social networks, con i grandi rischi ma anche l’immenso potenziale che tutto ciò comporta. La Chiesa ha il diritto di aspettarsi che i figli di Don Bosco siano in prima linea nel trovare nuove vie di iniziazione al mistero di Cristo su questo nuovo terreno digitale. “Non si tratta più soltanto di ‘usare’ strumenti di comunicazione, ma di vivere in una cultura ampiamente digitalizzata che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri” (CV 86). Il munus sanctificandi prevede di accompagnare questi e altri giovani nel loro incontro con Cristo con una creatività che emerge dal profondo della nostra vita di fede, speranza e carità. 

Dobbiamo quindi insistere sul fatto che il servizio è quello di “iniziare” alla vita nello Spirito, e non solo quello di amministrare i sacramenti. Preparare i giovani salesiani perché vivano con passione e competenza in questo campo apostolico è sicuramente una delle grandi sfide che la formazione iniziale deve affrontare, perché richiede molto di più che l’inserimento di qualche corso aggiuntivo di catechesi o teologia sacramentale in un piano di studi già zeppo di esami.

Il sacramento della Riconciliazione occupa un posto speciale nella vita di un sacerdote salesiano, come è stato nella vita di Don Bosco. Per nostro padre, questo sacramento è stato forse il più grande mezzo di iniziazione alla vita nello Spirito. Vi ha dedicato così tanto tempo ed energie, raggiungendo i suoi giovani uno ad uno, trovando quel “punto accessibile al bene … questa corda sensibile del cuore” 17 da cui poteva fiorire una nuova vita. Questa arte spirituale non è spuntata dal nulla. Ripensiamo all’adolescente Giovanni Bosco che ha imparato ad amare questo sacramento durante gli anni alla cascina Moglia e poi alla scuola del buon don Calosso. Andiamo con la memoria al giovane sacerdote che si prepara sotto la saggia guida di don Cafasso per l’“esame di confessione” al Convitto. Chiediamoci quale sia il posto di questo sacramento, prima nella nostra vita personale e poi nel nostro ministero. Che tipo di sacerdoti salesiani saremo se non siamo assidui frequentatori di questo sacramento e ci rendiamo raramente disponibili per questo ministero?

Il ministero di animazione della comunità cristiana (munus pascendi) è totalmente orientato al servizio dell’unità nelle diverse comunità: la comunità religiosa, la comunità educativa e pastorale, la Famiglia Salesiana, il movimento salesiano e la comunità umana e sociale in senso lato (FSDB 39). Animazione, con la sua radice latina anima, consiste nel dare vita e promuovere unità. Non si tratta quindi di una dinamica verticistica. L’anima è presente ovunque e lavora dall’interno. La Chiesa invita coloro a cui è stato affidato il munus pascendi ad adottare un nuovo modo di esercitare l’autorità, che dia luce e forza alla dinamica della fraternità (NW 41).

È interessante a questo proposito, vedere come viene intesa l’autorità nei nuovi orientamenti per il direttore e la comunità salesiana approvati dal Rettor Maggiore e dal suo Consiglio nel giugno 2019.

 

Il Sistema Preventivo promuove uno stile di leadership in cui la fiducia e la confidenza sono fondamentali nel rapporto tra educatore e giovani, e ugualmente tra i confratelli all’interno della comunità salesiana. Il ruolo di guida e animazione di coloro a cui è affidato un “servizio di autorità” non è per questo affatto diminuito. Al contrario, quando tale ruolo e servizio sono vissuti secondo lo spirito salesiano, essi acquistano una maggiore autorevolezza, molto più efficace di ciò che si riesce ad ottenere solo ricorrendo alla “freddezza di un regolamento” (Lettera da Roma 1884).

È interessante trovare lo stesso appello alla autorevolezza nel documento finale dell’assemblea sinodale sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale: “Per compiere un vero cammino di maturazione i giovani hanno bisogno di adulti autorevoli. Nel suo significato etimologico la auctoritas indica la capacità di far crescere; non esprime l’idea di un potere direttivo, ma di una vera forza generativa” (Documento finale Sinodo sui giovani, 71),

Per consentire a un salesiano di maturare in questo tipo di auctoritas, prima come educatore con i giovani e poi anche nel suo servizio di leadership, molta attenzione e cura deve essere data alla sua crescita umana e spirituale. 18

 

Conseguentemente occorrono una formazione e una qualificazione chiare negli obiettivi e efficaci negli itinerari da seguire, così da abilitare a una grande capacità di relazioni umane significative, a essere liberi e premuniti contro ogni forma di clericalismo, con una buona teologia del laicato alla base e esperienze che rendano esperti di formazione congiunta con i laici che condividono la nostra stessa missione. La vita fraterna in comunità deve diventare un elemento chiaro e criterio ineludibile per il discernimento vocazionale e l’ammissione alla professione perpetua.

Insistiamo su questo punto: nessun prete, tanto meno il salesiano prete, può ritenersi esente o trovare modi per diluire e sminuire il servizio della comunione. Gesù è morto per poter riunire in unità tutti i figli dispersi di Dio (Gv 11,52). Ci sono limiti che possiamo porre noi verso coloro che Dio considera e vuole come suoi figli?  “Chi è il mio prossimo” non deve forse diventare sempre e senza eccezioni “chi è mio fratello e mia sorella”? Possiamo noi che siamo discepoli appassionati al seguito del Signore permetterci di porre dei limiti alla comunione, escludendo forse prima i samaritani, ma poi anche gli ebrei, e infine le persone di altre religioni, prima quelli giudicati come peccatori, e poi anche i rifugiati, i migranti e tutti coloro che sentiamo come intrusi e disturbatori del comfort a cui ci siamo affezionati? Siamo chiamati ad essere profeti della fraternità e non ci sono limiti alla comunione fraterna: si espande in cerchi concentrici per abbracciare l’intera creazione di Dio, che è Padre di noi tutti, e che fa splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi. E sarebbe bene ricordare che la comunione nella Chiesa è una realtà teologale prima di essere una nostra preoccupazione pastorale”. “Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose (to plērōma tou ta panta en pasin plēromenou)” (Ef 1,22-23).

È nel contesto di questo amore per il Corpo di Cristo, nella sua totalità e nella sua concretezza come comunità in cui siamo inseriti, che il servizio dell’autorità trova il suo significato e la sua giustificazione. Il ministero di Papa Francesco è un costante promemoria del modo evangelico di “servire i servi di Dio” affidati alle nostre cure. Il nuovo Manuale del Direttore offre validi spunti di meditazione e incoraggiamento per i confratelli che sono chiamati al servizio dell’autorità, una responsabilità che in diverse aree della Congregazione oggi può esigere grande sacrificio personale.

 

2.3 Il segno

 

Come consacrato, il salesiano presbitero è un segno escatologico, un memoriale vivente del modo di vivere di Gesù. Nel suo celibato per amore del Regno, egli diventa un segno della vita della risurrezione che Gesù offre a tutti.19 L’insistenza di Don Bosco sulle cose ultime (i novissimi) può essere intesa come una profezia legata a questa nostra identità: siamo nella Chiesa, in particolare per i giovani, segni della risurrezione. Il salesiano sacerdote è sempre e ovunque un educatore-pastore, sempre orientato al bene totale, alla salvezza di coloro a cui è mandato, “totalità” che si comprende e viene definita dalla missione e dalla persona del Signore Gesù.

Quindi, come tutte le persone consacrate, la vita del salesiano sacerdote è segnata da una vera passione per il Signore, che si traduce ed esprime in una gioia che facilmente diventa contagiosa e visibile (l’allegria salesiana! Vedi C 17), “nell'attesa che si compia la beata speranza, e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo” (Ordinario della Messa, rito di comunione).

Quando presiede la celebrazione dei sacramenti, il confratello sacerdote sa che agisce in persona Christi e che le sue azioni hanno un’efficacia (ex opere operato) che non dipende dal suo esserne degno o dal suo valore come persona. Ma è ugualmente consapevole del fatto che è chiamato a unire la sua offerta a quella di Cristo, come tutti i cristiani, e che, come persona consacrata, è chiamato a vivere in modo tale che la offerta del suo proprio corpo e della sua vita diventi una profezia e un segno.20

Come tutte le persone consacrate, anche il salesiano sacerdote trova il suo posto nel cuore mariano della Chiesa. Maria è la donna che è la Chiesa. La vocazione di ogni membro della Chiesa è di essere, come Maria, un totale sì a Dio. Siamo la sposa che attende con ansia l’arrivo dello Sposo, e con lo Spirito diciamo: Vieni, Signore Gesù! (Apocalisse 22,17) La vocazione di Maria è la vocazione di noi tutti. La vita consacrata ha il suo posto in questo cuore mariano della Chiesa, perché il suo ruolo e compito è quello di essere una profezia di questo sì e della comunione finale di tutti gli esseri umani con Dio nella vita della risurrezione.

Allo stesso tempo, Maria è anche una persona concreta con cui intratteniamo una relazione molto speciale. Questo è ciò che è accaduto nella vita di Don Bosco, per il quale la Chiesa aveva non solo un volto mariano, ma anche il volto di sua madre, quella donna saggia che mentre ha intuito le esigenze della vocazione sacerdotale chi si prepara a diventare prete, ha anche saputo affidare suo figlio interamente a Maria.21

La maturità affettiva del salesiano sacerdote, vissuta in una chiara identità sessuale, è un’espressione limpida del suo celibato che assume una particolare importanza nel contesto della tutela e salvaguardia dei minori. Qui si coglie la permanente validità e la forte rilevanza dell’insistenza di Don Bosco sulla virtù della purezza. Come salesiano, il confratello sacerdote è chiamato ad una particolare imitazione della purezza di Gesù. Gesù è il puro di cuore alla cui presenza donne, bambini e uomini si sentivano accolti e al sicuro. È così pienamente Figlio del Padre che è stato in grado di mostrarsi a ogni uomo e ogni donna esclusivamente come fratello. “Solamente come fratello egli si è offerto all’attenzione, all’amicizia, alla tenerezza affettiva delle sue sorelle e dei suoi fratelli. La sua libertà su questo punto è totale, limpida e divina. Il suo celibato, lungi dall’essere una rinuncia e una limitazione, è la conseguenza della sua condizione esclusivamente filiale e fraterna”.22 Il salesiano sa, tuttavia, che è chiamato non solo a essere una presenza senz’altro affidabile per i giovani, ma anche un segno che risplende e irradia, che fa presa sui giovani, consentendogli di educarli all’amore e alla purezza (C 81).

Come sacerdote, il salesiano è chiamato a esercitare la paternità spirituale con quella finezza di maturità umana e spirituale che lo aiuta ad essere davvero paterno senza però cadere nel paternalismo. Il rischio di un paternalismo soffocante che rasenta il clericalismo e l’abuso di autorità, può essere reso più forte dal modo in cui le figure paterne possono essere vissute e comprese in determinati contesti culturali. In queste situazioni dovremo compiere maggiori sforzi per imitare la paternità di Don Bosco. Per quanto esigente tale impegno possa essere non possiamo però abbassare lo standard e scendere a compromessi quando c’è in gioco questo obiettivo. La paternità di Don Bosco è come il segno distintivo del suo spirito e del suo carisma. “Del nostro Padre si ricorda soprattutto la preoccupazione per il bene spirituale, la bontà che ispirava i suoi rapporti e la saggezza nell’orientamento dei singoli e del gruppo: un trinomio che caratterizza la sua paternità. Questa poi si esprimeva in molteplici gesti ed atteggiamenti”. 23

L’amorevolezza è al cuore del sistema preventivo. È il modo unico di don Bosco di relazionarsi con i giovani; la stessa parola, nata dallo splendido accordo di amore materno e forza paterna di chi ce l’ha trasmessa, fuori dal nostro contesto e dalla nostra storia perde il suo significato. Questo tipo di amore puro o purezza amorevole che è al cuore del nostro carisma può essere compreso e assorbito solo per osmosi. Matura lentamente nel corso degli anni, fino a giungere al sincero e trasparente dono di sé, che contempliamo non solo nella vita di Don Bosco, ma anche in così tanti suoi figli, come Srugi, Variara, Zatti, Cimatti e Sandor, per citarne solo alcuni.

C’è un altro campo in cui oggi il nostro essere “segno escatologico” e “memoriale vivente del modo di vivere di Gesù” diventa un dono prezioso per i giovani, per la Chiesa e per il mondo. La coscienza ecologica sta maturando e cresce insieme con il crescere in scala geometrica del rischio ecologico senza precedenti, che stiamo tutti correndo come famiglia umana, e che colpisce innanzitutto le giovani generazioni. Essendo segni della risurrezione attraverso il dono della nostra consacrazione, siamo anche segni del valore della creazione e della chiamata alla conversione eco-spirituale richiesta da Laudato Sii. La risurrezione getta una luce nuova sulla vita, illuminando la nostra profondissima interconnessione con l’intera creazione.

Se noi riduciamo l’uomo esclusivamente alla sua dimensione orizzontale, a ciò che si può percepire empiricamente, la stessa vita perde il suo senso profondo. L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio. … Siamo invitati, ancora una volta, a rinnovare con coraggio e con forza la nostra fede nella vita eterna, anzi a vivere con questa grande speranza e testimoniarla al mondo: dietro il presente non c’è il nulla. E proprio la fede nella vita eterna dà al cristiano il coraggio di amare ancora più intensamente questa nostra terra e di lavorare per costruirle un futuro, per darle una vera e sicura speranza.24  

Più cresciamo nella coscienza del destino eterno incorporato in ogni volto umano, più ogni altro aspetto della vita viene riscoperto nel suo immenso valore, partecipe dell’unico divino disegno, in cui universo creato e libertà creata di ogni “nato da donna” si rispecchiano l’un l’altra, entrambi misteri della medesima infinita portata. Come persone consacrate siamo indubitabilmente chiamati anche a testimoniare la meravigliosa interconnessione di tutto ciò che Dio ha creato, e del suo crescere e procedere verso (uni-verso) l’eschaton, la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo.

 

3. Animazione, vocazione e formazione

 

Alla luce di ciò di cui abbiamo condiviso, propongo alcuni suggerimenti che potrebbero aiutarci ad approfondire l’identità consacrata salesiana nella forma sacerdotale in questo nostro tempo.

Un primo punto è approfondire la nostra consapevolezza della bellezza della vita consacrata. L’animazione vocazionale e la formazione iniziale sono processi che funzionano sostanzialmente “per contagio”: una persona consacrata che vive la sua vocazione con gioia e passione è attraente e profetica. In questo contesto, sarebbe bene ricordare i libretti pubblicati dalla CIVCSVA durante l’anno dedicato alla vita consacrata, tutti incentrati sul Signore: la gioia di seguire il Signore (Rallegratevi); saper discernere i segni della sua presenza nell’attesa della venuta del Signore, che è al cuore della vocazione consacrata (Scrutate); la bellezza e lo splendore del Signore (Contemplate); essere testimoni del Signore Risorto tra tutte le genti (Annunciate).25 

Un secondo punto è approfondire la nostra comprensione del sacerdozio stesso. Il problema non deriva dall’essere troppo sacerdoti, ma dall’esserlo troppo poco: tendiamo a concentrarci sul “fare il prete” piuttosto che sull’esserlo per davvero. Il problema nella Congregazione è che abbiamo “molti sacerdoti ma poco sacerdozio”.26 Tendiamo ad essere affascinati da quello che come preti facciamo, e forse anche dal ritorno immediato che ne deriva, con la “spinta sociale” legata allo status e l’apprezzamento dei fedeli, piuttosto che dal vivere il sacerdozio di Cristo nella sua vera profondità. C’è un vero tesoro nascosto da riscoprire e fare nostro nel rinnovato impegno per comprendere la bellezza del sacerdozio di Cristo.

In terzo luogo, il salesiano presbitero deve essere formato ad essere molto attento al contesto socioculturale e ai rapidi cambiamenti in atto, che sono di fatto la realtà in cui vivono i giovani. Ciò implica allo stesso tempo un costante ritorno all’ispirazione carismatica a cui si alimenta la nostra identità e missione salesiana. Noi siamo nati dalla esperienza di Don Bosco con i giovani emarginati di Valdocco, per i quali ha consumato tutta la sua vita, fino all’ultimo respiro. La nostre Costituzioni sono l’incarnazione di questa vocazione e missione, e la Chiesa ci chiede solo e sempre di essere fedeli a questo specifico patrimonio e mandato. Lungi dall’essere una proprietà privata della Congregazione, le Costituzioni appartengono alla Chiesa, ed è sull’autorità di Pietro che dalla Chiesa siamo chiamati a viverle. Nella varietà di contesti e continui mutamenti che condizionano la cultura e la vita delle persone di oggi, l’esperienza carismatica di Don Bosco resta il nostro centro di gravità. È il criterio permanente non solo per le varie attività che si portano avanti, ma anche, e a maggior ragione, per il nostro impegno personale nella missione tra i giovani, come salesiani preti e coadiutori.



Don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel suo primo oratorio, che fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria.

Nel compiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività e opera (C 40).

 

Quarto punto: il carisma salesiano deve caratterizzare il nostro impegno nel campo della animazione vocazionale in ogni sua espressione. Mentre accompagniamo tutti i giovani alla scoperta della loro vocazione, dobbiamo anche proporre coraggiosamente ciò che è tipico del nostro carisma, coinvolgendoli nella nostra missione, nella vita di comunità e nell’esperienza dei valori tipici del nostro spirito.27 All’interno di questa presentazione del carisma, dobbiamo imparare a promuovere una buona percezione della vocazione consacrata salesiana, anzitutto nella gioiosa testimonianza del nostro modo di viverla, e poi anche col farne esplicitamente la proposta. Ci saranno sempre quelli che verranno da noi con l’intenzione primaria di diventare sacerdoti. Questi devono essere aiutati a discernere se si sentono e sono davvero chiamati ad abbracciare il carisma salesiano con tutto il loro cuore. Tale “conversione” al carisma è condizione indispensabile per ulteriori passi nel cammino. Di qui il grande compito per tutte le nostre ispettorie di migrare una volta per tutte dal reclutamento di candidati a una vera cultura vocazionale.28 

Per quanto riguarda la vocazione ad essere salesiano prete, alcuni criteri di discernimento devono essere tenuti presenti con molta cura: la consacrazione salesiana (capitolo 2 delle Costituzioni); la capacità di essere un vero costruttore (e non un distruttore!) di comunità; lo zelo per la salvezza dei giovani …limitandoci ad enunciare l’essenziale, da cui poi molti altri elementi tipici della nostra vita derivano.

Un quinto punto riguarda il miglioramento e rafforzamento dei processi di accompagnamento durante prenoviziato, noviziato e postnoviziato. Queste tre fasi formano un’unità tra di loro e sono di vitale importanza per la crescita dell’identità consacrata salesiana nelle sue due forme. Se è vero che, come rivela il nostro recente studio sull’accompagnamento personale salesiano, circa l’80% dei nostri candidati parla di una vera scoperta dell’accompagnamento spirituale personale solo nel prenoviziato, queste fasi diventano ancora più cruciali.29 L’accompagnamento spirituale personale nel contesto dell’accompagnamento della comunità è uno strumento indispensabile per la assunzione personale dei valori della nostra vocazione. Ogni ispettoria è chiamata a investire con coraggio nella preparazione dei formatori, individualmente e come equipe, in modo che diventino guide capaci di guadagnarsi la fiducia (Studia di farti amare!) e di raggiungere il cuore dei salesiani in formazione iniziale. Non possiamo permetterci di avere situazioni in cui l’autorità mal gestita genera dinamiche di paura e di sospetto, che finiscono col rovinare il processo di accompagnamento e di formazione nel suo insieme.30 Inoltre i formatori, e specialmente quelli che offrono il servizio di accompagnamento spirituale personale, devono essere in grado di aiutare ad approfondire soprattutto le dimensioni carismatica e comunitaria, all’interno del cammino di configurazione a Cristo, che è l’orizzonte ultimo in cui ogni altro passo trova la sua ragion d’essere.

Un sesto punto riguarda il miglioramento e rafforzamento dei processi di accompagnamento e discernimento durante il tirocinio e la preparazione alla professione perpetua. Le nostre Costituzioni descrivono il tirocinio come una fase di intensa esperienza di vita, fatta di azione educativa e pastorale salesiana.31 Data la sua prossimità alla professione perpetua, questa fase della formazione iniziale diventa ancora più importante sia da parte dell’individuo che della comunità. Non varrebbe la pena investire in forme migliori e più efficaci di accompagnamento durante questa fase così preziosa e delicata per la nostra vita di salesiani, in modo che diventi veramente un fare “esperienza dei valori della vocazione salesiana” (C 98)? Il Rettor Maggiore ha insistito perché gli ispettori inviino tirocinanti solo alle comunità che hanno una provata capacità di accompagnarli. Potrebbe essere utile anche incoraggiare una rinnovata riflessione sui criteri per l’ammissione alla professione perpetua.

Il passaggio dal tirocinio alla fase successiva della formazione iniziale, che normalmente ha luogo a breve distanza di tempo dalla preparazione per la professione perpetua, può offrire buone opportunità di discernimento sia per il confratello che per la comunità. Attivare un processo di valutazione che abbraccia l’insieme dell’esperienza salesiana del confratello dal noviziato in poi, con speciale attenzione al tirocinio, offre una buona base per esplorare a fondo le proprie motivazioni. La scelta di iniziare una formazione specifica per diventare salesiano presbitero ha bisogno di solide radici e di “criteri positivi”32 che si manifestano nella esperienza salesiana di fatto vissuta. In questa linea la Ratio ci invita ad effettuare una valutazione complessiva dell’esperienza del tirocinio.

 

È opportuno che alla conclusione del tirocinio ci sia una valutazione globale di tutta l’esperienza e del cammino vocazionale fatto, sia da parte dell’Ispettore e della comunità sia da parte dell’interessato (FSDB 439). 

Al termine del tirocinio si faccia una valutazione globale dell’esperienza da parte dell’Ispettore, della comunità e del confratello (FSDB 444).

 

Nulla ci impedisce di ampliare l’orizzonte di tale valutazione, fino a coprire l’intero arco di vita salesiana dal noviziato al momento presente, da cui guardare in avanti per un programma di vita che si proietta coraggiosamente verso il futuro. Alcune ispettorie sintonizzano questa valutazione complessiva con la “dichiarazione di intenzione” necessaria per iniziare la formazione specifica verso il sacerdozio.

 

La formazione specifica del confratello chierico esige da ogni candidato l’orientamento chiaro verso la vita sacerdotale. Perciò, al momento della sua accettazione per questa fase formativa, si richiede dal confratello una dichiarazione di intenzione nel senso suddetto. Le modalità per tale dichiarazione possono essere varie: ad esempio, attraverso la domanda all’Ispettore di intraprendere gli studi teologici o la domanda di iniziare la preparazione della professione perpetua nella linea del presbiterato salesiano (FSDB 482).

 Buone pratiche come queste possono contribuire a valorizzare meglio il passaggio cruciale dal tirocinio alla formazione specifica e alla professione perpetua. Evidentemente si richiedono le migliori disposizioni e il coinvolgimento convinto sia del confratello interessato, sia di coloro che lo accompagnano in quel momento della sua vita.

Un settimo punto riguarda la formazione specifica in preparazione al sacerdozio salesiano. Questa fase, anche per la sua durata, ha un impatto formidabile sull’identità consacrata salesiana nella sua forma sacerdotale. La Ratio non potrebbe essere più chiara nel formulare gli obiettivi propri di questa fase:

 

La nostra regola vivente è Gesù Cristo… che noi scopriamo presente in Don Bosco che donò la sua vita ai giovani” (C 196). Questa affermazione delle Costituzioni esprime in sintesi la vocazione del salesiano: conformarsi a Gesù Cristo e dare la vita per i giovani, come Don Bosco. Tutta la formazione, iniziale e permanente, consiste nell’assumere e rendere reale nelle persone e nella comunità questa identità. Al suo sviluppo vengono indirizzati l’impegno di ogni candidato e di ogni confratello, l’azione degli animatori, l’intero progetto di formazione.

Pertanto, l’identità salesiana è fondamento di unità e di appartenenza alla Congregazione nella sua estensione mondiale. È il cuore di tutta la formazione; da essa il processo formativo prende l’avvio e ad essa si riferisce costantemente. Ed è criterio determinante di discernimento vocazionale (FSDB 25).

 Il salesiano sacerdote [o diacono] congiunge in sé i doni della consacrazione salesiana e quelli del ministero pastorale, ma in modo tale che è la consacrazione salesiana a determinare le modalità originali del suo essere sacerdote e dell’esercizio del suo ministero. Come segno sacramentale di Cristo Buon Pastore da cui attinge la sua carità pastorale, cerca di “salvare” i giovani, lavorando nel contesto della sua comunità (FSDB 39).

 

È tempo di ripensare l’intero processo di formazione specifica in modo da dare alla nostra identità consacrata salesiana la centralità che le appartiene. Non è affatto sufficiente garantire che il piano di studi corrisponda ai requisiti accademici in vista dell’ordinazione sacerdotale. Dobbiamo identificare e promuovere i metodi che meglio favoriscono il raggiungimento continuo di quella sintesi carismatica che è il nucleo della vocazione del salesiano presbitero. Come il cardinale J.J. Hamer aveva con forza sostenuto nel corso del sinodo su La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali, i superiori maggiori hanno la responsabilità di garantire una perfetta armonia tra la formazione al sacerdozio e la formazione alla vita religiosa, a seconda della particolare identità e il carisma di ciascun istituto.33 Durante lo studio della teologia, dovremmo unire gli sforzi e mettere a punto itinerari formativi e percorsi accademici che aiutino leggere i trattati teologici alla luce del nostro carisma.

Esistono in particolare due tipi di relazioni che hanno un impatto davvero forte sul futuro ministero e che pertanto devono essere oggetto di particolare attenzione. La prima è l’esperienza vissuta della comunità religiosa: un chiaro senso di appartenenza e la capacità di donarsi in un servizio generoso sono segni positivi estremamente importanti. I problemi nella vita della comunità dopo l’ordinazione spesso hanno le loro radici in una debole esperienza di comunità durante la formazione iniziale. La seconda è la capacità di vivere lo spirito e la missione salesiani condivisi con i laici. La consistenza di queste convinzioni, competenze e abilità non emergeranno da sé dopo l’ordinazione, quasi fossero automatiche; si richiede invece una deliberata e sistematica attenzione a questo campo durante i processi di formazione iniziale.

Dobbiamo garantire che la formazione specifica non si riduca nell’insieme alla sua dimensione intellettuale, pur sempre necessaria, tanto meno al mero “superamento degli esami”. Gli aspiranti al sacerdozio salesiano devono essere aiutati ad entrare più profondamente nella loro specifica identità di confratelli chiamati a vivere il sacerdozio nella vocazione e missione salesiana. Ciò richiederebbe, come abbiamo detto, una revisione approfondita dei processi e degli strumenti di formazione (progetto formativo immunitario e progetto personale di vita; accompagnamento personale, di gruppo e di comunità), un allargamento dell’equipe di persone coinvolte nella formazione, includendo uomini e donne laici e coppie sposate, e favorendo una migliore preparazione dei formatori. Tutto ciò sarà da portare avanti con un approccio partecipativo, per garantire che i giovani confratelli siano attivamente coinvolti, come primi responsabili della loro formazione.

Ottavo punto: il periodo del quinquennio. Non c’è nulla che possa provare l’importanza di questa fase in modo più convincente di quanto lo sia stata l’esperienza diretta di Don Bosco. È nei primi cinque anni del suo sacerdozio, coincidenti con il tempo intercorso tra la sua ordinazione sacerdotale e l’inizio dell’oratorio con dimora stabile a Valdocco, che è nata la missione salesiana. L’esperienza personale del nostro fondatore offre al contempo una formidabile testimonianza circa l’importanza di essere accompagnati durante il periodo cruciale del pieno inserimento nel ministero educativo-pastorale: senza Cafasso al suo fianco non possiamo nemmeno immaginare il San Giovanni Bosco che conosciamo e cerchiamo di seguire. È primariamente responsabilità dell’ispettore assegnare confratelli a comunità in cui possono essere seguiti e accompagnati, così come senza dubbio spetta ai confratelli interessati riconoscere che c’è bisogno di tale vicinanza, accogliendo di buon grado di essere accompagnati e sostenuti. Non meno importante in questo momento è il supporto proveniente dal gruppo dei pari. Sono già in atto esperienze molto valide di incontri tra salesiani del quinquennio per reciproco sostegno, a livello ispettoriale e interispettoriale; vale la pena condividere queste buone prassi. E poi c'è lo studio, che Cafasso definiva l’ottavo sacramento del prete. Sarebbe una tragedia se i salesiani sacerdoti smettessero di leggere, riflettere e studiare subito dopo l’ordinazione. Se vogliamo essere educatori e pastori e non funzionari o mercenari, dobbiamo certamente prenderci cura della dimensione riflessiva e contemplativa della nostra vocazione. Il miglior esempio qui è lo stesso Don Bosco: il Don Bosco che aveva una stanza riservata a lui al Convitto dove ritirarsi ogni giorno nei suoi primi anni di sacerdozio, per leggere e scrivere. 34

Nono. Dato il gran numero di parrocchie nella Congregazione e il forte impatto formativo di questa particolare forma di servizio pastorale sulla nostra vita salesiana e sul nostro modo di percepire e vivere il ministero sacerdotale, sarebbe importante nel prossimo sessennio promuovere processi di ascolto, studio e riflessione su questo tema, da portare avanti congiuntamente come Dicasteri della Pastorale Giovanile, delle Missioni e della Formazione, coinvolgendo confratelli e comunità direttamente impegnati nel ministero parrocchiale salesiano.

Infine, come decimo punto, il salesiano sacerdote, insieme al salesiano coadiutore, è chiamato a promuovere attivamente l’ecclesiologia di comunione, che si espande in cerchi concentrici fino ad abbracciare l’intera umanità. Questo significa andare oltre i confini delle nostre comunità religiose ed educative-pastorali, per fare rete con altri religiosi, la comunità diocesana, la comunità umana in cui siamo situati e con tutti coloro che sono interessati a prendersi cura della nostra casa comune e a promuovere la vita e il futuro dei giovani, soprattutto dei più emarginati. Il sacerdozio di Cristo abbraccia l’intera famiglia umana e, in verità, ogni forma di vita dentro lo splendore della creazione, opera di Dio.

*

 Man mano che impareremo ad avere migliore cura dell’identità dei nostri confratelli sacerdoti, al contempo vedremo un miglioramento nella qualità pastorale, nella spiritualità e nella responsabilità condivisa del primo protagonista della missione, che è la comunità. La crescita permanente in tutti questi aspetti fin qui presentati è una permanente sfida per la vita religiosa salesiana nelle sue due forme, con l’obiettivo ultimo di crescere insieme, salesiani laici e salesiani presbiteri, in fede e in umanità, così da rendere un servizio più fecondo ai giovani e a tutti coloro ai quali siamo inviati, mettendoci il cuore e tutte le energie e le risorse a nostra disposizione.


 

 





 

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DOMANDE PER LA RIFLESSIONE PERSONALE E COMUNITARIA


1. Quale passo concreto posso fare per diventare meglio consapevole della bellezza della vita consacrata?


2. Sia che la mia vocazione sia quella di salesiano prete o quella di salesiano coadiutore, cosa posso fare per approfondire la mia comprensione del sacerdozio salesiano?


3. Cosa posso fare io come confratello e noi insieme come comunità per migliorare la nostra conoscenza del contesto in cui vivono i nostri giovani, specialmente quelli tra loro che sono in condizioni più precarie? Cosa potremmo fare per approfondire la conoscenza del nostro carisma e della sua inculturazione nel nostro tempo e contesto di vita?


4. Cosa possiamo fare per garantire che l’animazione vocazionale sia caratterizzata dal carisma salesiano e da una presentazione significativa dell'identità consacrata salesiana vissuta nelle sue due forme? Come possiamo passare dal reclutamento di vocazioni all’accompagnamento dei giovani nel discernimento della loro vocazione, e dal delegare tutto all’“incaricato delle vocazioni” a una responsabilità condivisa da tutti i confratelli e da ogni comunità?


5. Come può l’ispettoria preparare formatori e guide spirituali per il prenoviziato, il noviziato e il postnoviziato e sostenere la formazione permanente degli attuali formatori?


6. Come possiamo preparare direttori e altri confratelli per un buon accompagnamento dei tirocinanti affidati alle comunità? Inoltre, come potremmo iniziare a far diventare nostra prassi la “valutazione complessiva” dell’esperienza della formazione iniziale?


7. Come possiamo garantire che la formazione specifica includa non solo la dimensione intellettuale ma anche quella umano-fraterna, pastorale, carismatica e consacrata vissuta da salesiano sacerdote (o salesiano laico)?


8. Come possiamo garantire un adeguato accompagnamento dei confratelli nel quinquennio? E come garantire che i confratelli mantengano vivo l'amore per la riflessione e lo studio, prestando la dovuta attenzione anche ai documenti della Chiesa e della Congregazione?


9. Quali passi concreti potremmo fare per vivere meglio la complementarità dell’unica vocazione salesiana in due forme (vedi C 45)?


1 ACG 351 20 = Lettere circolari di don Egidio Viganò ai Salesiani (Roma 1996) 1535.

2 Albert Vanhoye, “La novità del sacerdozio di Cristo,” La Civiltà Cattolica n. 3541, n. 1 (1998) 16-27.

3 Giovanni Paolo II, Varcare le soglie della speranza, Mondadori, Milano 1994, 11-12.

4 S. Dianich, Teología del ministerio ordenado. Una interpretación eclesiológica, Ed. Paulinas, Madrid 1988, 324.

5 Papa Francesco, incontro con i vescovi, i preti, i religiosi e le religiose, consacrati e seminaristi, catechisti e animatori durante il viaggio apostolico in Mozambico, Madagascar e isole Mauritius, 5 settembre 2019:

https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/september/documents/papa-francesco_20190905_consacrati-mozambico.html (02.11.2019).

6 Nel diritto canonico il termine usato per esprimere ciò che è conferito con la ordinazione (diaconale, sacerdotale, episcopale) è potestas. È interessante notare che per 155 volte nella traduzione ufficiale italiana del codice si trova il termine potestà, mentre solo due volte viene usato il termine potere, in riferimento al potere civile (can. 285 e 1254). La potestà sempre rimanda alla sorgente da cui essa proviene, ultimamente al “potere concesso da Cristo ai suoi apostoli e ai loro legittimi successori, per reggere e governare i fedeli e indirizzarli alla vita eterna” (https://www.simone.it/newdiz/newdiz.php?action=view&dizionario=9 – 26.11.19). La potestas conferita con l’ordinazione non è un potere privato che posso esercitare a piacimento come e dove voglio, e che posso investire, come fosse un mio patrimonio, ora in una congregazione religiosa e ora in qualche diocesi, a seconda della convenienza. È piuttosto quanto la Chiesa mi affida secondo il suo disegno, che nel nostro caso è espresso nelle Costituzioni che la Chiesa stessa ha approvato.

7 Molti di questi punti possono essere trovati in ACG 335. Dopo aver rilevato che il sinodo sulla formazione sacerdotale non aveva trattato il tema del sacerdozio dei religiosi, don Viganò proseguì dicendo che nella Congregazione salesiana invece avevamo già elaborato alcune riflessioni, soprattutto quando si è riflettuto sulla qualità pastorale della nostra missione, riferendosi probabilmente al CG23 sull’educazione alla fede (vedi ACG 335 20-29 = Lettere 1091-98).

8 Congregazione per il clero, Il dono della vocazione presbiterale (2016) 51.

9 ACG 335 23 = Lettere 1093-94.

10 ACG 335 23-24 = Lettere 1094. Vedi anche ACG 424 65-69: “Una rinnovata attenzione al salesiano coadiutore”.

11 ACG 335 25 = Lettere 1095. Vedi anche Catechismo della Chiesa Cattolica 773.

12 Ibid. 21:

Sappiamo che la consacrazione propria della nostra professione religiosa è radicata nella dignità battesimale e ci fa crescere nella fede e nel discepolato di Cristo con un particolare «Spirito salesiano» per essere segni e portatori dell'amore di Dio ai giovani. Giustamente abbiamo espresso questa caratterizzazione spirituale ponendo il termine «salesiano» come sostantivo di base; ogni confratello è così «salesiano-prete» o «salesiano-laico».

In questa lettera sono stati utilizzati i termini presbitero, prete, sacerdote, come anche laico e coadiutore, riferiti ai confratelli salesiani, nel modo in cui già si trovano presenti nei documenti della Congregazione, senza voler dare particolari accentuazioni o differenziazioni di significato a ognuno di essi.

13 Vedi A. Bozzolo, Salesiano prete e salesiano coadiutore: spunti per un’interpretazione teologica, in Sapientiam dedit illi. Studi su don Bosco e sul carisma salesiano, ed. A. Bozzolo, LAS, Roma 2015, 340.

14 Ibid. 347:

In questo senso, Balthasar riconosce in Pietro la fisionomia tipica del clero diocesano, mentre individua in Giovanni l’emblema del clero religioso. In questi due discepoli, infatti, la compresenza di ufficio e amore segue “un movimento che va in direzioni opposte. Pietro ottiene un ufficio, e per l’ufficio, per esercitarlo meglio, gli viene in aggiunta donato l’amore. Giovanni impersona originariamente l’amore, [… e] a partire dall’aspetto personale ottiene l’ufficio di sacerdote” (H.U. von Balthasar, Gli stati di vita del cristiano, Jaca Book, Milano 1984, 247).

Non è senza significato, in questa prospettiva, che mentre Pietro certamente aveva preso moglie, Giovanni sia rimasto vergine: “In quanto vergine egli è rappresentante dei ‘preti regolari’ nei confronti del coniugato ‘prete secolare’ Pietro”. La presenza di Giovanni ai piedi della croce con Maria illumina, poi, il particolare legame mariano della vita consacrata e dei presbiteri che la assumono. In essi, infatti, il sacerdozio ministeriale e oggettivo pare in modo particolare associato al sacerdozio soggettivo ed esistenziale della consegna di sé, così come i voti di castità, povertà e obbedienza la richiedono. Nei religiosi presbiteri, dunque, la grazia dell’ordinazione si colloca dentro lo spazio mariano dell’obbedienza a Dio propria del loro Ordine, dentro una forma caratteristica di attuazione dell’amore giovanneo che Maria sempre di nuovo insegna ai grandi fondatori e ai loro figli spirituali.

15 Ibid. 352.

16 CV 214, con riferimento a EG 165.

17 Le Memorie Biografiche, dopo aver narrato il modo di vivere questo sacramento nell’oratorio di Valdocco, offrono un breve sommario di come Don Bosco “soleva ragionare”:

Siccome non v'è terreno ingrato e sterile che per mezzo di lunga pazienza non si possa finalmente ridurre a frutto, così è dell'uomo; vera terra morale, la quale per quanto sia sterile e restìa, produce nondimeno tosto o tardi pensieri onesti e poi atti virtuosi, quando un direttore con ardenti preghiere aggiunge i suoi sforzi alla mano di Dio nel coltivarla e renderla feconda e bella. In ogni giovane anche il più disgraziato avvi un punto accessibile al bene e dovere primo dell'educatore è di cercar questo punto, questa corda sensibile del cuore e di trarne profitto” (MB V 367).


18 ll direttore salesiano: un ministero per l'animazione e il governo della comunità locale (2019) n° 40.

19 ACG 342 23 = Lettere 1293: La vita consacrata esprime in modo eminente la natura sacramentale della Chiesa. “In particolare proclama apertamente l'indole escatologica del Popolo di Dio. I consacrati, con la loro donazione totale attraverso la pratica dei consigli evangelici, divengono un segno visibile della forza della risurrezione, si sforzano di essere esperti nel discernere l'azione di Cristo risorto nella storia e testimoniano gli impegni e la gioia della speranza nella preparazione del ritorno del Signore con l'attesa di «Cieli nuovi e terra nuova».

ACG 347 20 = Lettere 1437: “Pensando alla «Sacramentalità» di tutta la Chiesa, molto sottolineata dal Concilio, si è parlato della funzione simbolico-trasformatrice della Vita consacrata, nelle sue svariate forme carismatiche, come se fosse una «parabola escatologica» per la fede di tutto il Popolo di Dio. La sua «significatività», secondo questo ruolo simbolico-profetico, non la innalza sopra gli altri membri della Chiesa come se possedesse una maggior dignità, ma la distingue e la fa sussidiaria perché destinata a un peculiare servizio. Essa proclama alcuni aspetti del multiforme mistero di Cristo, rendendo percettibili ai contemporanei i suoi ricchi contenuti di salvezza”.

20 “Mi attendo che ‘svegliate il mondo’, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia. Come ho detto ai Superiori Generali «la radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico»”. Lettera Apostolica del Santo Padre Francesco a tutti i consacrati in occasione dell'Anno della Vita Consacrata, 28.11.2014. Vedi anche Bozzolo, op. cit., 335: “A differenza del ministero ordinato che ha una consistenza istituzionale sovrapersonale, grazie a cui rimane valido anche il ministero di un prete indegno, la vita consacrata consiste tutta nella qualità della risposta amante di coloro che la vivono. Non vi è la castità di chi non è casto, la povertà di chi non è povero, l’obbedienza di chi non obbedisce”.

21 Bozzolo, op. cit., 347-349.

22 F. Rossi de Gasperis, Sentieri di vita, Paoline, Milano 2007, vol. 2.2:242.

23 J.E. Vecchi, ACG 365 43.

24 Benedetto XVI, Udienza generale, 2 novembre 2011.

25 CIVCSVA, Rallegratevi. Ai consacrati e alle consacrate dal magistero di Papa Francesco (febbraio 2014); Scrutate. Ai consacrati e alle consacrate in cammino sui segni di Dio (settembre 2014); Contemplate. Ai consacrati e alle consacrate sulle tracce della Bellezza (novembre 2015); Annunciate. Ai consacrati e alle consacrate testimoni del Vangelo tra le genti (agosto 2016).

26 ACG 335 6 = Lettere 1080.

27 Criteri e norme di discernimento vocazionale salesiano, 3a edizione, Roma 2000, 39.

28 CG27 75,1.

29 M. Bay, Giovani salesiani e accompagnamento. Risultati di una ricerca internazionale, LAS, Roma 2018, 472-473. Vedi anche Giovani salesiani e accompagnamento. Orientamenti e direttive, Roma 2019, n° 46. Va tenuto presente che il 54,42% dice anche di essere setato seguito in qualche modo da ‘un’amico dell’anima’ negli anni prima del prenoviziato.

30 M. Bay, op. cit., 482-483: 8. Elementi di disagio o difficoltà nell’esperienza di accompagnamento spirituale personalizzato. Vedi anche Giovani salesiani e accompagnamento. Orientamenti e direttive, Roma 2019, n° 53-59.

31 C 115: “confronto vitale e intenso con l’azione salesiana in un’esperienza educativo pastorale”.

32 Vedi Criteri e norme 39; 42-43.

33 Citato in ACG 335 11 = Lettere 1084. Jean Jérôme Hamer, OP, STD (1916-1996) era un cardinale belga, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita Apostolica (1985-1992).

34 Vedi G. Buccellato, Appunti per una “Storia Spirituale” del sacerdote Gio’ Bosco, LDC, Torino 2008, 67. Vedi anche la vastissima serie di pubblicazioni di Don Bosco stesso, ora facilmente accessibile: http://www.donboscosanto.eu/.