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Codice scheda: ASC A4530501 (Microscheda: 3934A11/B9)
Luogo e data: TORINO ­ 18/03/1884
Autore: RUA MICHELE
Destinatario: SACRA CONGREGAZIONE DEI VV. E RR.
Classificazione: Rua: Corrispondenza con altri
Tipo documento e supporto: Lettera spedita ­ Manoscritto
Autenticità: Firma autografa
Contenuto: Espone i fatti intorno al ricorso del Sig. Carlo Ferrero di
Torino che reclama ingiustamente dai salesiani la somma di L. 20 mila.
***
Torino, 18 marzo 1884
Eminenza
Il venerato mio Superiore Don Giovanni Bosco Rettore Maggiore della
Congregazione Salesiana ha ricevuto da cotesta Sacra Congregazione
dei Vescovi e Regolari pro informatione il ricorso che le indirizzava il
Sig. Carlo Ferrero da Torino per reclamare da noi una somma di L.
20.000,00. Pertanto il prelodato Don Bosco in obbedienza agli ordini
di cotesta autorevole Congregazione, mi lascia di esporre all'Eminenza
Vostra quanto segue:
Correva l'anno 1877 quando nella primavera, senza essere in nessun
modo ricercato, si presentò al Sac. Gio. Bosco il Signor Ferrero,
proveniente da Pinerolo, dove abitava una palazzina detta il Palazzo
Ducale, a cui esso aveva dato il nome di Nevrocomio. Trovavasi in
gravi strettezze finanziarie con tre figlie nubili in giovanile età, poco
robuste, ed un'altra maritata ma tocca da lenta tisi che l'andava
consumando. Egli rappresentò a Don Bosco La triste sua posizione
finanziaria, decantò le sue abilità, mostrò il più vivo desiderio di
ritirarsi dal mondo in un colle sue figlie nubili per consacrarsi al
Signore, impiegando le sue cognizioni a benefizio dei prossimi
specialmente nelle missioni. In data del 3 aprile 1877 firmò eziandio
una dichiarazione in cui si obbligava 1° di occuparsi diligentemente in
tutti quei lavori che gli venissero assegnati dai Superiori o in Torino od
altrove; 2° di contentarsi del vitto, alloggio e vestito comune, e di
attenersi interamente al regolamento della casa; 3° di ritirarsi qualora,
per qualsiasi motivo non potesse continuare a rimanere nell'Oratorio,
od a ciò lo invitassero i Superiori, senza avere diritto a nulla né in
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danaro né in altro.
Don Bosco sempre disposto ad accogliere amorevolmente chi desidera
far del bene, dopo alcuni colloqui avuti con lui, parendo che sincere
fossero le sue disposizioni, gli diede parola di accoglierlo in qualcuno
degli ospizi delle case salesiane. Secondando pure le di lui calde
preghiere promise anche di accogliere nelle case delle Figlie di Maria
Ausiliatrice alle tre sue figliuole nubili, che a quanto esso diceva, erano
tutte tre desiderose di darsi pur esse a Dio.
Rimaneva a cercar modo di disfarsi del palazzo che era di sua
proprietà. Il Ferrero propose che Don Bosco ne facesse acquisto.
Questi trovandosi allora appunto in bisogno di un locale per aprire un
Ospizio a pro dei poveri giovani che supplicavano di essere ricoverati,
dopo aver fatto visitare il palazzo ed inteso il prezzo che il Ferrero ne
domandava, fece rispondere per mezzo dell'esponente, Prefetto della
Congregazione Salesiana, con lettera in data 23 settembre 1877 che noi
eravamo disposti a trattare per l'acquisto del Palazzo Ducale, ma che
desideravamo di vedere il certificato delle ipoteche, ed avere un
inventario degli oggetti mobili cadenti nella vendita; e con altra in data
11 ottobre seguente con cui si diceva che s'intendeva di fare acquisto
dello stabile al prezzo di L. 33.500, ma previo giudizio di purgazione.
Se non che questo giudizio di purgazione non mai si fece; anzi quando
si aspettava di addivenire alla stipulazione dell'atto d'acquisto
mediante tale giudizio, si venne ad intendere che il Sig. Ferrero
metteva il suo palazzo all'asta pubblica, recedendo così dalle
intelligenze fatte con Don Bosco: giacché, se all'asta il suo stabile
avesse potuto arrivare a maggiore somma, certo il Ferrero non avrebbe
più lasciato a Don Bosco al prezzo che era stato con lui inteso. In vista
di ciò Don Bosco si tenne sciolto da ogni impegno, e libero di
concorrere o no all'incanto, secondo che gli converrebbe. E così fece.
Per aiutare ad accrescere il prezzo dello stabile, e così favorire il
Ferrero, Don Bosco per mezzo di altri concorse all'incanto, ma senza
prendere nessun impegno di arrivare ad una somma più che ad
un'altra. Malgrado questo concorso il prezzo ricavato dal Ferrero
all'incanto invece di superare, od eguagliare almeno la somma sperata
di L. 33.500,00, non raggiunse che la somma di circa L.18 mila. Di qui
nasce la pretesa di rifatta che accampa il Sig. Ferrero di L. 15.500,00,
la quale somma, con l'aggiunta forse degli interessi e di certi
indennizzi per mano d'opera, egli fa salire a L. 20.500,00. Ora basta il
sovraesposto per poter tosto giudicare che la sua pretesa è affatto
ingiusta ed irragionevole.

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Il Ferrero era stato accolto nellOoratorio od Ospizio di San Francesco
di Sales di Torino in principio di novembre del 1877, ma non tardò a
dar a divedere che era bello sano dall'aver volontà seria di divenir
Salesiano e Missionario. La sua condotta affatto irregolare, la sua
trascuranza delle più essenziali pratiche di pietà, le sue continue
relazioni con esterni, non permisero mai di ammetterlo al noviziato, né
di considerarlo come terziario, la quale categoria presso i Salesiani non
esiste punto. Tuttavia in vista della necessità e delle strettezze in cui
egli sarebbesi trovato in mezzo al mondo, si continua a tenerlo in un
laboratorio fotografico, alquanto appartato dall'Ospizio,
provvedendolo di quanto occorreva. Se non che nel 1880 vedendo
bazzicare nella sua camera e nel suo laboratorio persone sospette
introdotte senza alcuna licenza dei Superiori, si venne a temere di
qualche disordine, e tosto ne fu ripreso seriamente. Egli manifestò che
trattava di accasarsi. Fu allora che gli si disse chiaramente che facesse
pure le pratiche necessarie osservando le debite convenienze, e noi non
avremmo disapprovato il suo divisamento; ma ciò che non avrebbe
potuto tollerarsi sarebbe di fare tali pratiche, e trattare tale negozio
rimanendo nelle nostre case: uscisse e poi provvedesse a suo talento.
Per facilitargli il modo di impiegarsi gli si lasciò un certificato in cui
tacendo della sua condotta irregolare si diceva quanto si poteva di bene
sulla sua fedeltà ed abilità.
Egli chiese qualche mese di tempo: gli fu accordato, purché stesse alle
regole della casa, e rompesse per intanto le relazioni suddette.
Promise, ma non ne fu nulla, che anzi fu peggio di prima.
Frattanto delle tre figlie, una si fece realmente suora, mentre le due
altre dimostrarono di non essere chiamate a tale stato, l'una per
mancanza di salute, l'altra per mancanza di volontà stantechè
domandava che suo padre andasse a ritirarla. In vista delle circostanze
particolari di quella famiglia, anche le Suore di Maria Ausiliatrice
tollerarono quanto era possibile ritenendone una in una casa
dell'Istituto nel paese di Mornese, ed inviandone l'altra fra le giovani
educande del Collegio di Nizza Monferrato, mentre esortavano il padre
a collocarle in qualche istituto o famiglia, od a metter su nuovamente
casa per ritirarle presso di sé. E ben lungi dal metterle sulla strada
come egli ci accusa, le si ritennero finché non furono entrambe allocate
nell'Ospizio Cerrato nella città di Asti.
Dal canto suo il Ferrero proseguiva a menare una condotta sempre più
irregolare. In vista di ciò nel 1881 gli si fissava nuovamente per uscire
dal nostro Ospizio un termine di qualche mese, accordandoci con lui
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sul tempo che paresse necessario per trovar un impiego.
Dovendosi poi il Capitolo Superiore dei Salesiani radunare, il Ferrero
sotto la data del 22 agosto scrisse una lunga lettera in cui domandava
la somma di L. 16.500,00, oltre qualche altra somma per indennizzo e
compenso delle sue fatiche: e ciò a dispetto della citata dichiarazione
in cui si obbligava, nel caso di dover uscire dallo stabilimento, a
ritirarsi senza aver diritto a nulla né in danaro, né in altro, e
minacciava con altre lettere di ricorrere ai tribunali, ed anche ai
giornali se non riceveva favorevole risposta. Tale domanda e tali
minacce non produssero altro effetto che far intendere essere desso
veramente indegno di rimanere in casa nostra, mentre, trattato con
tanti riguardi, corrispondeva con tanta ingratitudine. Vedendo che alla
scadenza della dilazione accordatagli non si decideva di partire,
scorgendo ancora che nulla più si occupava dei lavori affidatigli,
abbandonava i suoi allievi delle ore, delle mezze giornate, e talora delle
giornate intere, e andava mormorando contro i Superiori, gli si intimò
di uscire di casa nostra.
Visto come i Superiori erano risoluti di venire ad una conclusione, egli
(che a parole ora mostrasi così alieno dai tribunali civili) ricorse tosto
al tribunale, ed alli 6 dicembre 1881 ci fece intimare una citazione dalla
Pretura di Torino, sezione Borgo Dora per far pronunziare la pronta
reintegrazione nel possesso dei locali di sua abitazione (quasi ne fosse
egli il padrone) l'esercizio del laboratorio ecc. Usando verso di lui tutta
la possibile longanimità, gli si fece intendere che come interno non si
poteva più tollerare: però se ancora gli abbisognava di qualche tempo
per trovarsi un conveniente impiego, noi l'avremmo ammesso come
operaio esterno, fissandogli un onorario mensile, poiché non si voleva,
sebbene lo meritasse, metterlo sul lastrico senza mezzo di sussistenza.
Gli si fece pertanto qualche anticipazione di danaro, gli si lasciò ritirare
tutti i mobili ed arnesi che avea portati nella sua entrata, ad eccezione
degli utensili di fotografia, a cui doveva ancora attendere, e così rimise
la sua casa in piedi, e ritirando la sua citazione cominciò venire a
lavorare tra noi come esterno.
Mancava però sovente, ed anche venendo ben più si occupava di cose
strane che del suo lavoro, facendo perdere il tempo ai suoi allievi, e
cagionandoci gravi danni, perché non disimpegnava puntualmente le
commissioni ed i lavori che gli venivano affidati. Si dovette pertanto
cambiargli lo stipendio, invece di mensile fissarlo a tanto ogni ora che
avrebbe passata al lavoro, nel qual modo la durò sino al maggio del
1883 quando, avendo finalmente trovato un impiego, cessò di venire

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nel nostro Ospizio, e di ricevere da noi lo stipendio. Ritirò quasi tutti
gli attrezzi d'arte che ancora eranvi nell'Oratorio, cui riebbe in
condizione assai migliore, perché rammendati a nostre spese; fu
rimborsato di quei pochi che di comune accordo non ritirò, e così ci
separammo in modo affatto amichevole. È certo che da niun altro, fuor
che da lui, ci saremmo aspettato un nuovo tratto d'ingratitudine quale
si è quello che ora ci usa.
Prima di concludere questa esposizione giudico bene di segnalare
alcune osservazioni:
1°. A leggere la relazione del Ferrero parrebbe che egli siasi emancipato
spontaneamente dalla casa nostra per far valere i suoi pretesi diritti;
invece si dovette allontanarlo nel modo che sopra si scorge, mentre egli
fece quanto poté per rimanere, malgrado l'incompatibilità delle sue
relazioni e della irregolare sua condotta: e finché fu lasciato tranquillo
nello stabilimento non ha fatto mai menzione di alcun diritto.
2°. Asserisce che due figlie furono messe sulla strada dalle Suore di
Maria Ausiliatrice perché non si sentivano di monacarsi.
Questo pure non è che una vera menzogna, giacché si usò con esse
tutta la possibile carità col ritenerle nelle case delle Suore di Maria
Ausiliatrice finché non furono convenientemente allocate altrove; anzi
non si fece neppure pagare la pensione per i circa tre anni che le figlie
stettero nelle case delle Suore medesime, che secondo il regolamento
sarebbe di L. 30 mensili a testa.
3°. Tenta di far credere che come religioso terziario (che non fu mai)
egli ricorra al Tribunale ecclesiastico per delicatezza desiderando
risolvere tale questione da buon cristiano con mezzi conciliativi.
Ma devesi notare che oltre all'aver ricorso ai tribunali civili nel
dicembre del 1881 come sopra si disse, dopo la sua uscita minacciò
nuovamente in agosto del 1883 di ricorrere ai tribunali non solo
ecclesiastici, ma civili, e se ciò non bastasse perfino alla pubblicità dei
giornali. Ed anzi abbiamo motivi da credere che già tentò di ricorrere
ai tribunali civili: e se poi se ne astenne, fu solo perché non aveva
buoni argomenti da far valere avanti a quei tribunali.
4°. Accusa la Congregazione Salesiana di averlo spogliato dei suoi averi
con raggiri non troppo commendevoli.
Dall'esposizione sopra descritta si vede come la Congregazione
Salesiana si diportò riguardo allo stabile detto il Palazzo Ducale: se
essa non ne fece acquisto fu solo perché il Ferrero non addivenne al
giudizio di purgazione che era posto come condizione; di più recedette
egli stesso dalle intelligenze fatte col Signor Don Bosco mettendolo
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all'asta pubblica.
Quanto poi a immobili ed attrezzi teniamo presso di noi ricevuta
regolare tutta scritta di sua mano e da lui firmata, in cui dichiara aver
ritirato dall'Oratorio Salesiano tutti gli effetti mobili di sua spettanza
che vi si trovavano, e di essere stato compensato per i rimanenti,
lasciati nelle nostre case, con altri oggetti.
Non si sa dunque di che cosa egli sia stato spogliato dalla
Congregazione Salesiana, in quella vece egli stesso spogliò la
Congregazione nostra facendole fare molte spese che essa avrebbe
potuto evitare a benefizio di tanti poveri giovanetti che deve
mantenere, calzare e vestire, allo scopo di poterli istruire e rendere
buoni cristiani.
Ecco, Eminenza Reverendissima, quanto per ora a nome del Signor
Don Bosco posso dire, per informare come di ragione codesta Sacra
Congregazione intorno alla vertenza Ferrero.
Confido che la Eminenza Vostra dal sovra esposto abbia potuto di
leggieri persuadersi che quelle del Ferrero non sono che irragionevoli
pretese, e che si degnerà di fargli capire che lasci finalmente in pace
persone le quali, lungi dall'avergli tolto il fatto suo, sacrificarono il
fatto loro per lui e per la sua famiglia.
Colgo questa propizia occasione per inchinarmi al bacio della Sacra
Porpora, e pregando Dio che spanda ogni più eletta benedizione sulla
veneranda sua persona godo dell'alto onore di professarmi con
profonda venerazione.
D. V. Em. R.ma
Umil.mo Obb.mo Servitore
Sac. Michele Rua

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