Educare come Don Bosco 2012-2103, Lectio salesiana - Segni della presenza del Regno di Dio

DICEMBRE 2012


Segni della presenza del Regno di Dio


ARTICOLO 33. PROMOZIONE SOCIALE E COLLETTIVA

Don Bosco ha visto con chiarezza la portata sociale della sua opera.

Lavoriamo in ambienti popolari e per i giovani poveri. Li educhiamo alle responsabilità morali, professionali e sociali, collaborando con loro, e contribuiamo alla promozione del gruppo e dell'ambiente.

Partecipiamo in qualità di religiosi alla testimonianza e all'impegno della Chiesa per la giustizia e la pace. Rimanendo indipendenti da ogni ideologia e politica di partito, rifiutiamo tutto ciò che favorisce la miseria, l'ingiustizia e la violenza, e cooperiamo con quanti costruiscono una società più degna dell'uomo.

La promozione, a cui ci dedichiamo in spirito evangelico, realizza l'amore liberatore di Cristo e costituisce un segno della presenza del Regno di Dio.


Nell’articolo 33 emerge con evidenza la considerazione della portata sociale del nostro servizio. Don Bosco ha voluto tutta la sua opera come un progetto di risanamento sociale attraverso l'educazione della gioventù, che riteneva essere il vero “segreto” e la chiave del miglioramento dell'intera società. Nello stesso tempo egli fece sempre capire che “non faceva politica” nel senso che, essendo impegnato per il bene della gente umile, non si schierava né con il potere né contro di esso. La “politica del Padre nostro”, che egli propugnava, significava dare alla gente, nella Parola di Dio, nell'educazione, nei luoghi di aggregazione, ragioni, mezzi e motivi per vivere e per combattere pacificamente le proprie cause.

Ciò che è cambiato ora, rispetto a certe situazioni del secolo scorso, è il fatto che noi oggi non siamo soltanto davanti a dei poveri, ma davanti alla povertà come fenomeno globale e strutturale. La nostra collocazione nel campo dell'educazione, inoltre, non può non prendere in considerazione la funzione che questa ha nei riguardi della conservazione o trasformazione del sistema sociale vigente.


Il secondo e terzo capoverso dell'articolo mettono in luce due aspetti della nostra partecipazione alla trasformazione della società.

Il primo è legato al nostro compito di educatori: in una società disuguale ci prendiamo cura degli ambienti bisognosi di promozione superando il concetto dell'educazione come vantaggio personale e favorendo dinamismi di cambio: “educhiamo alle responsabilità morali, sociali e professionali”. Bisogna perciò domandarsi che significa oggi essere “onesti cittadini”, in società spesso soggette all'ingiustizia, o in altre travagliate da problemi morali o in quelle in cui i diritti umani - e dei minori in particolare - sono pubblicamente e impunemente lesi. Significa schierarsi in una lotta pacifica e coraggiosa per la giustizia, per creare un reale spirito di fraternità, per portare attenzione agli ultimi, per elevare la moralità pubblica. Affiora il bisogno di discernere la prospettiva generale della nostra educazione (mai individualistica) e di rivedere l'area particolare della formazione sociale, tanto raccomandata dal Magistero della Chiesa.

Il secondo aspetto è legato alla nostra qualità di religiosi: siamo chiamati a offrire una testimonianza radicale per la giustizia e la pace. Siamo chiamati a rifiutare tutto ciò che favorisce la miseria, e a cooperare con coloro che costruiscono una società più degna dell'uomo.


Di fatto il nostro impegno sociale sgorga dalla nostra qualità di religiosi-apostoli, e questo in primo luogo chiede che le parole e gli interventi abbiano come sorgente e anima viva la carità del Cristo Salvatore; come motivazione le esigenze del Vangelo e la volontà di soccorrere Cristo stesso in coloro che soffrono ingiustizia; come scopo cooperare all'affermazione del Regno, animando l'ordine temporale con lo spirito del Vangelo; come stile quello di Don Bosco: una bontà dialogante che procede per le vie dell'amore.

Il nostro impegno, in secondo luogo, poggia sulla comunione ecclesiale. In questo campo, come negli altri, non possiamo agire secondo la nostra fantasia né soltanto secondo la nostra spontanea generosità: inseriti nella Chiesa locale, partecipiamo alla sua azione con una preoccupazione di coerenza e di tempestività.

Da questi principi deriva un terzo criterio: la nostra indipendenza da partiti politici e da ideologie di moda. La Chiesa, nella sua esperienza, è giunta a distinguere le diverse possibilità che ha un laico da quelle di un religioso o di un pastore a riguardo degli interventi nell'area politica.


Il criterio globale salesiano comprende i tre aspetti sopra indicati (missione “religiosa”, “comunione” ecclesiale, indipendenza politica e ideologica) e li compone armonicamente in un atteggiamento tanto intensamente “pastorale” da evitare tutto ciò che può allontanare dalla gioventù e dalla sua educazione integrale; e, allo stesso tempo, porta a un atteggiamento di costruttivo dialogo con tutte le persone responsabili del bene comune, al di là della stessa loro fede religiosa.


L'ultimo capoverso dell'articolo riprende il tema dell'unità della nostra missione e mostra come tutto questo compito, apparentemente profano, è intimamente legato al compito di educazione della fede. L'unità è assicurata dalla coscienza del salesiano, guidata e illuminata da un riferimento fondamentale: l'amore liberatore di Cristo che si attua attraverso diversità di azioni. Qualunque cosa il salesiano faccia, quindi anche attraverso questi contenuti umani, vuole essere «segno e portatore dell'amore di Dio ai giovani». Il servizio di promozione «prepara la fede» di chi non l'ha ancora, stimola e sostiene la fede di chi già la possiede: l'uno e l'altro possono riconoscere nella dedizione di cui sono oggetto un segno della verità di Cristo che viene loro annunciato attraverso le opere.



Spunti per la riflessione personale

  • Di Don Bosco colgo unicamente la portata pastorale o ricordo anche di cogliere e di imitare la portata sociale della sua opera?

  • Cerco di essere voce dell’impegno della Chiesa per la giustizia e la pace all’interno dell’ambiente educativo in cui opero?

  • Qualsiasi sia il tipo di opera in cui lavoro, sono abituato a scegliere di partire (nel progettare, agire, verificare) dai più poveri, fragili e a disagio tra i ragazzi?


Spunti per la riflessione comunitaria

  • Facciamo frequentemente discernimento sul fatto che le nostre opere siano collocate o meno in ambienti popolari?

  • Abbiamo il coraggio, quando le circostanze lo richiedono e rimanendo indipendenti da ogni ideologia e politica di partito, di denunciare l’ingiustizia e la violenza, soprattutto se compiuta su minori?

  • Don Viganò diceva che “non è umiltà il non aver peso nazionale e internazionale nei problemi giovanili” (CG22 RRM 1978-1983, n° 337). Nella nostra progettazione educativo–pastorale è presente la prospettiva del mettersi in rete con gli organismi civili di educazione e promozione sociale del territorio e offrire la nostra cooperazione a servizio di una politica giovanile e popolare?

Preghiera

Preghiamo il Signore

che dilati gli spazi della nostra intelligenza

e dia apertura universale alla nostra carità.


Perché, lavorando con dedizione totale

al bene delle persone a noi affidate,

sappiamo introdurle al senso del bene comune

e le formiamo alle loro responsabilità personali e sociali,

ti preghiamo, Signore.


Perché nella nostra missione di religiosi

ci impegniamo con costante fedeltà

a collaborare con la Chiesa

nel lavorare per la giustizia e la pace,

ti preghiamo, Signore.


Perché alla base di ogni nostro progetto e sforzo

poniamo sempre la fede nella risurrezione di Cristo,

sorgente della vita ed energia per il suo pieno sviluppo,

non cediamo al fascino delle ideologie

o alle divisioni di partito,

ti preghiamo, Signore.


Perché nello spirito evangelico,

con la forza dell'amore liberatore di Cristo,

sappiamo rifiutare ogni ingiustizia e violenza,

siamo capaci di collaborare

con tutti gli operatori di giustizia e di pace,

ti preghiamo, Signore.