07 Marzo - Morire continuamente a se stessi per vivere in Cristo


07 Marzo - Morire continuamente a se stessi per vivere in Cristo

Morire continuamente a se stessi

per vivere in Cristo.



Dedichiamo questo incontro ad individuare gli aspetti della nostra vita bisognosi di “riforma” o di purificazione, per rinnovare il nostro proposito di dedizione incondizionata al Signore nella vocazione e nella missione salesiana, con ardore e con decisione, e fissare i punti concreti a partire dai quali delineare il nostro progetto di vita.

1 1. L’agilità spirituale di chi ama Dio sopra ogni cosa

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Don Ceria nel suo Don Bosco con Dio scrive che gli ultimi anni di Don Bosco non furono uno «sfolgorare in lui di lampi straordinari ..., ma tutto passò nelle forme e nelle condizioni solite a riscontrarsi in chi si avvia a una morte preceduta da lunga e dolorosa infermità: se pure non deve considerarsi straordinario il modo con cui Don Bosco sopportò fino all’ultimo i suoi mali. La santità cresce fino al termine estremo della vita; allora anzi, meglio di prima, si vede veramente chi è santo»1.

Poi Ceria cita il padre Faber, il quale enumerava, tra le morti più preziose agli occhi di Dio, la “morte del distacco”: «Fa una tale morte chi non ha nulla da sacrificare, nulla di cui spogliarsi, nulla da lasciare, perché la sua anima o non s’è mai attaccata alla terra, o se n’è staccata da molto tempo, sicché la morte spirituale andò innanzi alla morte fisica»2.

Queste espressioni richiamano a noi Salesiani la seconda parte del motto di don Bosco, che è anche nostro: «Caetera tolle». Troppo facilmente e volentieri ci fermiamo alla prima parte, al «Da mihi animas». I due momenti vanno strettamente uniti tra loro, come abbiamo visto sia a proposito del modello sacerdotale proposto dal Cafasso, sia nell’itinerario spirituale del nostro fondatore. Anzi, senza un quotidiano dono di sé a Dio - che avviene nel distacco da noi stessi, dalle persone e dalle cose, per poter dire il nostro «Fiat voluntas tua», calandoci nella contingenza della vita quotidiana, nella nostra umanità reale, nella nostra collocazione comunitaria, ecclesiale e civile, nel vivo delle molteplici relazioni interpersonali -, senza questo dono, non solo non facciamo alcun passo sulla via della santità (alla quale siamo chiamati e sulla quale “dobbiamo” camminare), ma rendiamo sterile anche il nostro lavoro pastorale ed educativo.

Ho già accennato alla definizione di “vita devota” (di vita cristiana integrale e santa) che ci presenta Francesco di Sales nella Filotea: «una sorta di agilità e vivacità spirituale, per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto ... È compito della Carità farci praticare tutti i comandamenti di Dio senza eccezioni e nella loro totalità - continua il santo -, spetta alla devozione (al fervore spirituale) aggiungervi la prontezza e la diligenza». San Francesco di Sales usava l’immagine dell’uomo spiritualmente sano, il quale, «non solo cammina, ma corre e salta nella via dei comandamenti di Dio e, inoltre, prende di corsa i sentieri dei consigli e delle ispirazioni celesti». Ritratto perfetto di Don Bosco e del salesiano, come da lui è stato pensato, nella generosità e nell’entusiasmo continuo e crescente per la sua chiamata.

Oggi come nel passato continuano ad essere di attualità le osservazioni del santo savoiardo sul giudizio formulato dalla «gente della strada» nei confronti delle persone dichiaratamente religiose: «immusonite, tristi, imbronciate». Conoscendo le nostre comunità, sappiamo che questo pericolo c’è anche per noi. È importante che ci domandiamo: Quale immagine della perfezione cristiana trasmettiamo con la nostra vita ai confratelli, alla gente, ai nostri giovani, in questo tempo dominato da una concezione pagana dell’esistenza? La vita cristiana e la consacrazione religiosa, intese nella prospettiva di san Francesco di Sales e di Don Bosco, forgiano personalità affascinanti, cariche di umanità vera: di che livello è la nostra qualità umana?

In questo concetto di santità, la consegna totale al Signore, amato con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze, attraverso lo “svuotamento di sé”, il distacco, gioca un ruolo centrale, insostituibile. Nei processi informativi per la beatificazione di Don Bosco, troviamo moltissimi testimoni che, prima dei prodigi di carità apostolica e di fervore operativo, si premurarono di sottolineare il “caetera tolle” del nostro padre, come frutto di un amore integrale e travolgente per Dio: «Don Bosco in tutta la sua vita amò Dio con tutte le sue forze e lo fece amare dal suo prossimo», testimonia Don Turchi; e il Cagliero specifica: «Questo amore fu l’unica brama, l’unico sospiro, il più ardente desiderio di tutta la sua vita. Lo udii ripetere migliaia di volte: Tutto per il Signore e per la sua gloria!».

Due voci, tra tante, dalle quali emerge una figura spirituale di straordinaria grandezza, la cui attività prodigiosa, vertiginosa trova fecondità proprio nel radicamento in Dio e nel distacco assoluto da sé: «Le grandi opere benefiche - puntualizzò Don Francesco Cerutti -, i suoi numerosi scritti, l’infaticabile ministero delle confessioni e della predicazione, i lunghi ed estenuanti viaggi ... non si possono spiegare e comprendere che collocandoli nello scenario ardente del suo amore verso Dio, da cui attingevano tutta la loro forza».

Il riferimento a Dio era divenuto per Don Bosco (concettualmente ed affettivamente) il centro unificante di tutte le componenti della sua personalità, la ragion d’essere ideale e operativa. Tutto il resto acquistava significato e importanza in quanto riferito a Lui, collocato nel suo amoroso piano salvifico, proiettato nell’orizzonte della sua “santissima volontà”.

In quest’ottica va inteso il “caetera tolle”, che non è disprezzo o svalutazione delle cose, ma grande libertà interiore nell’adesione alla volontà di Dio. San Francesco di Sales lo chiama «santa indifferenza», traendo spunto dalle parole di Cristo sulla croce: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito» e afferma, rivolgendosi alle sue religiose: «in esse è racchiusa tutta la perfezione cristiana. Tali espressioni ci mostrano il perfetto abbandono di nostro Signore nella mani del Padre suo celeste, senza riserva alcuna; ... ci evidenziano la sua umiltà, la sua ubbidienza e la sua vera sottomissione». La “santa indifferenza” è l’imitazione di Gesù in «questo perfetto abbandono nelle mani del Padre Celeste e questa perfetta indifferenza in ciò che appartiene alla divina volontà ... Ogni ritardo nella nostra perfezione deriva soltanto da questa mancanza di abbandono»3.

Gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, nel quarto giorno della seconda settimana, suggeriscono la meditazione sulle “tre combinazioni di comportamenti umani” (Tres binarios de hombres: nn. 149-155). Tre uomini hanno guadagnato rispettivamente diecimila ducati, «non puramente e debitamente per amor di Dio, e vogliono tutti e tre salvarsi e trovare in pace Dio nostro Signore, togliendosi il peso e l’impedimento che hanno per questo, nell’affezione alla cosa acquistata». Il primo vorrebbe lasciare l’affetto che ha per la cosa acquistata, ma e non si decide fino all’ora della morte. Il secondo «vuole lasciare l’affetto, ma vuole lasciarlo in modo tale da ritenere la cosa acquistata, cosicché Dio venga là dove egli vuole, e non determina di lasciarla per andare a Dio, anche se questo fosse la cosa migliore per lui. Il terzo vuole lasciare l’affetto, ma vuole lasciarlo in modo tale da non avere neppure affezione a tenere la cosa acquistata o non tenerla, ma vuole soltanto volerla o non volerla secondo che Dio nostro Signore gli metterà nella volontà e a tale persona sembrerà meglio, per servizio e lode di sua divina maestà; e, nel frattempo, vuole far conto che tutto lascia nell’affetto, sforzandosi di non volere né quella né alcuna altra cosa, se non lo muova unicamente il servizio di Dio nostro Signore; in maniera che il desiderio di poter meglio servire Dio nostro Signore lo muova a prendere la cosa o lasciarla»4.

La formulazione è un po’ barocca, ma la sostanza è decisiva per la vita spirituale, e deve caratterizzare l’esame di coscienza di chi vuol vivere una povertà reale. S. Francesco di Sales userà un’espressione sintetica: «Come piace a Dio».

Questa “indifferenza”, dunque, non è soltanto lo sforzo ascetico per zittire e domare le tendenze della natura e così aderire meglio alle esigenze della nostra vocazione, ma nella prospettiva dei maestri di spiritualità cristiana (e di Don Bosco) appare come la pienezza dell’amore, alla quale giunge, dopo la «morte della volontà», chi si conforma a Cristo, vivendo per lui e in lui, e lo raggiunge al culmine del totale abbandono - fosse anche sulla croce o nella notte più oscura, come avvenne, in modo dolorosissimo, negli ultimi quindici anni di vita al nostro Don Bosco.

2 2. Estasi della vita e dell’azione

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La «morte a se stesso», vissuta nelle quotidiane vicende dell’esistenza, nei rapporti con le persone, nell’adeguamento alle contingenze che invitano ad uno spogliamento, doloroso e spesso umiliante, dei nostri gusti, dei nostri punti di vista (anche i più santi), sfocia in quella che Francesco di Sales chiama l’«estasi della vita e delle opere». Quando egli parla di “estasi dell’azione” non intende proporre semplicemente una “mistica dell’apostolato” in contrapposizione con una “mistica della contemplazione”; ma intende ricuperare una definizione più “cristica” della mistica: la kenosis dello svuotamento di sé libero e gratuito, nella concretezza della vita, per amore del Signore.

Le “opere e la vita” del Sales sono il confronto di tutti i singoli momenti della nostra esistenza con la vita del Cristo e con tutti i punti del suo insegnamento, «di modo che noi non viviamo soltanto una vita civile, onesta e cristiana, ma una vita sovrumana, spirituale, devota, estatica; cioè una vita che è al di fuori e al di sopra della nostra condizione naturale. Non rubare, non mentire, non commettere lussuria, pregare Dio ... è vivere secondo la ragione naturale dell’uomo; ma abbandonare tutti i nostri beni, amare la povertà ...; mantenersi entro gli ambiti di una castità assoluta e, da ultimo vivere in mezzo al mondo contro tutte le opinioni e i principi del mondo e andando contro la corrente ... mediante ordinarie rassegnazioni, rinunce e rinnegamenti di noi stessi, non è vivere umanamente, ma sovrumanamente; non è vivere in noi ma fuori di noi e al di sopra di noi: e poiché nessuno può salire in questo modo al di sopra di se stesso, se il Padre eterno non lo attrae, questo tipo di vita deve essere allora un rapimento continuo e un’estasi perpetua di azione e di operazione»5.

«Se siamo spirituali ... lasciamo la nostra vita umana per viverne un’altra più alta, al di sopra di noi stessi, nascondendo tutta questa nuova vita in Dio con Gesù Cristo»6. Questo tipo di “estasi”, ci porta a condurre con quotidiana facilità «una vita elevata e congiunta a Dio con la mortificazione dei desideri mondani, della volontà e delle inclinazioni naturali, per mezzo di una dolcezza interiore, di semplicità e di umiltà, e soprattutto per mezzo di una continua carità». Se non ci sono questi sintomi, avverte Francesco di Sales, certi rigori e sublimità spirituali, anche i fenomeni mistici più rari «sono molto dubbi e pericolosi»7.

È così appunto che si vive “nascosti con Cristo in Dio” «superando se stesso e le proprie inclinazioni naturali». Questa è «l’estasi della vita operativa di cui parla principalmente il grande Apostolo quando dice: Vivo, ma non più io; è Gesù Cristo che vive in me (Gal 2,20) e che chiarisce egli stesso, in altri termini, ai Romani (6,4-11), quando dice che il nostro uomo vecchio è crocifisso con Gesù Cristo, che noi siamo morti con lui al peccato e con lui siamo ugualmente risuscitati per camminare in novità di vita, per non essere più schiavi del peccato»8.

In una parola - continua Francesco - si tratta di vivere l’energica, pressante e meravigliosa esortazione di san Paolo, l’apostolo «completamente rapito e trasformato dall’amore del suo Signore», il quale «parlando di se stesso (e dobbiamo dire altrettanto di ciascuno di noi) dice: La carità di Cristo ci spinge (2Cor 5,14)»9.

Tutto questo da noi va affrontato con lo stile di Don Bosco: con semplicità, con dolcezza e amorevolezza, con cordialità, con capacità di adattamento pratico, con serenità, con intraprendenza e creatività pratica.

San Francesco di Sales elenca le virtù che meglio traducono il distacco necessario per vivere nella carità: «pazienza, dolcezza, umiltà, tranquillità». Sono gli elementi essenziali dell’ascesi salesiana, tutta orientata verso la pienezza dell’amore.

3 3. Ricerca amorosa della volontà di Dio

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Come in Don Bosco si è attuata l’estasi della vita e dell’azione? I processi di beatificazione e canonizzazione l’hanno rivelato con una convergenza assoluta di tutti i testimoni. Preoccupato di vivere nell’azione concreta l’invocazione del Padre nostro, “Sia fatta la tua volontà”, egli era proiettato dall’amore in una dimensione spirituale di apertura e di ricerca (discernimento) continua della volontà di Dio; dunque viveva una condizione interiore ed esteriore di duttilità e di agilità nelle scelte, relativizzando tutto al servizio di Dio e alla salvezza delle anime.

Pregava intensamente e si consigliava, per discernere, per non ingannarsi; poi aderiva cordialmente e decisamente, andando avanti fino “alla temerarietà”: «Assicuratevi, ci diceva, in quel che vi proponete di fare, che sia la volontà di Dio, e poi tirate diritto senza più arrestarvi» (Cerutti).

La necessità, per l’identità spirituale del salesiano, di questo atteggiamento di “eteronomia” spirituale, di obbedienza assoluta e di distacco da i propri punti di vista e dalle naturali propensioni, don Bosco la presenta con voluto risalto nelle Memorie dell’Oratorio, quando racconta i motivi che furono alla base delle sue scelte operative e della sua missione specifica dopo i tre anni di Convitto ecclesiastico. È una pagina suggestiva, che merita la pena leggere per disteso: «Un giorno D. Caffasso mi chiamò a sé e mi disse: - Ora avete compiuto il corso de’ vostri studi; uopo è che andiate a lavorare. In questi tempi la messe è copiosa assai. A quale cosa vi sentite specialmente inclinato?

- A quella che Ella si compiacerà di indicarmi.

Vi sono tre impieghi: Vicecurato a Buttigliera d’Asti; Ripetitore di morale qui al Convitto; Direttore del piccolo Ospedaletto accanto al Rifugio. Quale scegliereste?

- Quello che Ella giudicherà.

- Non vi sentite propensione ad una cosa più che ad un’altra?

- La mia propensione è di occuparmi per la gioventù. Ella poi faccia di me quel che vuole; io conosco la volontà del Signore nel suo consiglio.

- In questo momento che cosa occupa il vostro cuore, che si ravvolge in mente vostra?

- In questo momento mi pare di trovarmi in mezzo ad una moltitudine di fanciulli, che mi dimandano aiuto.

- Andate adunque a fare qualche settimana di vacanza. Al vostro ritorno vi dirò la vostra destinazione.

Dopo quelle vacanze D. Caffasso lasciò passare qualche settimana senza dirmi niente; io gli chiesi niente affatto.

- Perché non dimandate quale sia la vostra destinazione? mi disse un giorno.

- Perché io voglio riconoscere la volontà di Dio nella sua deliberazione e voglio metter niente del mio volere.

- Fatevi fagotto e andate col T. Borrelli; là sarete direttore del piccolo Ospedale di S. Filomena; lavorerete anche nell’Opera del Rifugio. Intanto Dio vi metterà tra mano quanto dovrete fare per la gioventù.

A prima vista sembrava che tale consiglio contrariasse le mie inclinazioni, perciocché la direzione di un Ospedale; il predicare e confessare in un istituto di oltre a quattrocento giovanette mi avrebbe tolto il tempo ad ogni altra occupazione. Pure erano questi i voleri del cielo, come ne fui in appresso assicurato»10.

Una tale disponibilità incondizionata, nel superamento di sé e nel distacco “indifferente” dalle proprie aspirazioni, anche le più sante, era la conseguenza della decisione di “darsi totalmente a Dio” da lui maturata e fatta crescere negli anni di formazione, e poteva scaturire solo da un ardente amor di Dio che si esplicitava nel desiderio assoluto di santità (santità intesa nel senso salesiano e donboschiano).

4 4. Grandi desideri e forte determinazione

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Questo nucleo generatore, questo movimento unificante della vita, questa ispirazione centrale dell’esistenza, Don Bosco la proponeva, semplificandola nelle espressioni, ma con integralità, a tutti i suoi ragazzi, come apprendiamo dalla vita di Domenico Savio: «Erano sei mesi da che il Savio dimorava nell’Oratorio, quando fu ivi fatta una predica sul modo facile di farsi santo. Il predicatore si fermò specialmente a sviluppare tre pensieri che fecero profonda impressione sull’animo di Domenico, vale a dire: è volontà di Dio che ci facciamo tutti santi; è assai facile di riuscirvi; è un gran premio preparato in cielo a chi si fa santo». La recezione dei ragazzi era diversa, a seconda della loro maturità spirituale.

La reazione di Domenico contiene alcuni elementi da considerare con attenzione: «Quella predica fu per Domenico una scintilla che gli infiammò il cuore di amor di Dio ... Mi sento un desiderio e un bisogno di farmi santo: io non pensava di potermi far santo con tanta facilità; ma ora che ho capito potersi ciò effettuare anche stando allegro, io voglio assolutamente, ed ho assolutamente bisogno di farmi santo. Mi dica adunque come debbo regolarmi per incominciare tale impresa»11.

Senza amore “infiammato”, forte desiderio e assoluta decisione, non ci può essere vita spirituale. Lo insegna S. Francesco di Sales e lo ripete più volte sant’Alfonso. Ad esempio, nella Pratica di amar Gesù Cristo, egli presenta un Ristretto delle virtù che deve praticare chi ama Gesù ed afferma che «i mezzi principali per la perfezione sono: 1. Fuggire ogni peccato deliberato, benché leggero; ma se per caso commettiamo qualche mancanza guardiamoci di adirarcene con noi stessi con impazienza; bisogna allora pentircene con pace e facendo un atto d’amore a Gesù Cristo ... 2. Desiderare di giungere alla perfezione de’ Santi e di patire ogni cosa per dar gusto a Gesù Cristo; e se non abbiamo questo desiderio, pregare Gesù Cristo che per sua bontà ce lo conceda, perché altrimenti se non desideriamo con vero desiderio di farci santi non daremo mai un passo per avanzarci nella perfezione. 3. Avere una vera risoluzione di giungere alla perfezione. Chi non ha questa risoluzione opera con debolezza e nelle occasioni non supera le ripugnanze; all’incontro un’anima risoluta coll’aiuto di Dio, che non manca mai, vince tutto»12.

Questa era anche la direttiva spirituale principale che san Filippo Neri dava ai suoi discepoli, mezzo secolo prima di Francesco di Sales: per un’efficace vita spirituale, diceva, deve stare al primo posto un grande desiderio di perfezione: «Bisogna desiderar di fare cose grandi per servizio di Dio e non contentarsi di una bontà mediocre»13.

Sono necessarie, dunque, queste due cose: in primo luogo coltivare dei grandi desideri, grandi sogni, grandi ambizioni sante di esprimere tutto ciò per cui ci sentiamo creati e chiamati; in secondo luogo, malgrado tutti gli ostacoli, mettere in atto una forte decisione, fare tutto ciò che è in nostro potere per raggiungere lo scopo, abbandonandoci poi nelle mani di Dio. (sant’Ignazio dice: Fa’ come se tutto dipendesse da te, ma affida tutto alla grazia del Signore). Nel prologo delle Costituzioni Don Bosco invitava i salesiani a seguire prontamente la vocazione, rompendo «con risoluzione» ogni indugio: «S. Girolamo, a chi è chiamato ad uscire dal mondo, dà questo consiglio: Ti affretta, ten prego, e la fune della navicella aderente al lido taglia anzi che slegarla»14.

Mi pare opportuno proporvi un esame, particolarmente attento, su questi punti: c’è in noi il desiderio ardente e la decisione di amare Dio sopra ogni cosa e di fare ogni cosa per amor suo? Siamo veramente mossi, in tutto ciò che facciamo, da un discernimento continuo della volontà di Dio? Quali effetti concreti ne derivano, sia nelle grandi scelte sia nei comportamenti nella vita quotidiana?





1 E. Ceria, Don Bosco con Dio, Colle Don Bosco (Asti) 1947, p. 350.

2 Ivi, pp. 350-351.

3 Predica per il Venerdì Santo, 25 marzo 1622, in Oeuvres de saint Francois de Sales, t. X, Annecy 1898, p. 389.

4 Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali.Edizione con testo originale a fronte a cura di Pietro Schiavone, Cinisello Balsamo 1995, pp. 227-229.

5 Francesco di Sales, Trattato dell’amor di Dio, a cura di Ruggero Balboni, Milano 1989, pp. 523-524.

6 Ivi, p. 525.

7 Ivi, p. 527.

8 Ivi, p. 528.

9 Ivi, p. 530.

10 G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855. Introduzione e note a cura di A. da Silva Ferreira, Roma 1992, 2,929-960.

11 G. Bosco, Vita del giovinetto Savio Domenico allievo dell’Oratorio di San Francesco di Sales, in [A. Caviglia,] Opere e scritti editi e inediti di don Bosco nuovamente pubblicati e riveduti secondo le edizioni originali e manoscritti, vol. IV, Torino 1942-1943, p. 25.

12 Alfonso de Liguori, Pratica di amar Gesù Cristo, in Opere ascetiche, vol. I, Torino 1873, p. 850.

13 A. Cistellini, Oratoire philippin, in Dictionnaire de spiritualité acsétique et mystique. Doctrine et histoire, t. XI, Paris 1982, c. 857.

14 San Giovanni Bosco ai Soci Salesiani, in Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales precedute dall’Introduzione scritta dal Fondatore, Torino 1954, p. 13. Il testo è ripreso da un opuscolo di sant’Alfonso de’ Liguori, Avvisi spettanti alla vocazione religiosa, in in Opere ascetiche, vol. IV, Torino 1867, pp. 399: «Consiglia S. Girolamo, a chi è chiamato ad uscire dal mondo così: Festina, quaeso te, et haerenti in solo naviculae funem magis praescinde, quam solve».