A1__Come_se_vedesse_l_invisibile___don_Gildasio_Mendes___Agosto_2024


A1__Come_se_vedesse_l_invisibile___don_Gildasio_Mendes___Agosto_2024

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1.1 Page 1

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1.2 Page 2

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1.3 Page 3

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Revisione
Don Valter Rossi SDB
Don Bruno Ferrero SDB
Margherita Ferro
Nadia Casetta
Copertina
Fabrizio Emigli

1.4 Page 4

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Prefazione
In occasione del bicentenario del sogno dei nove
anni di Don Bosco, Don Gildásio Mendes Dos
Santos, Consigliere Generale per la Comunicazione
Sociale, ha sentito l’urgenza di scrivere un libro con
il titolo “Come se vedesse l’invisibile”. La frase
riprende come fonte di ispirazione la lettera agli
Ebrei 11,27, con la quale l’autore biblico ha
sintetizzato tutta la vicenda di Mosè; un’illuminante
reinterpretazione del concetto evangelico della fede
con stimolanti riflessioni. È questo un testo deci-
sivo per comprendere l’evoluzione del pensiero di
Don Bosco ripreso per tutti noi come modello
nell’art. 21 delle Costituzioni salesiane.
Attraverso questa prospettiva, in modo per-
suasivo, don Gildásio percorre a ritroso la storia del
sogno dei nove anni di Don Bosco paragonandolo a
Mosè come un pellegrino in cammino verso la “terra
promessa”. Il sogno di Don Bosco, il famoso “sogno
delle tre fermate”, verrà ripreso ed esteso in
tematiche nelle quali il possibile esercizio dell’uomo
avvalora l’iconico ripercorrere della mistica visione:
in un primo momento i lupi diventano agnelli, poi
alcuni agnelli diventano pastori e finalmente con il
crescere del numero dei pastori, questi diventano
missionari, sempre al servizio dei ragazzi in altre
parti del mondo. Un agire orientato verso un
immediato servizio al cospetto degli ultimi, dei
giovani abbandonati, un amore per chi soffre, la
vera consistenza della sua vita come unico
comandamento, quello dell’amore.

1.5 Page 5

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In questo excursus, l’autore rilegge la storia di
Don Bosco come quella di un giovane sacerdote che
movendo i primi passi anzitutto tra la famiglia
Moglia, poi a Chieri, sia nella casa di Lucia Matta,
che in quella di Giuseppe Pianta, deve vivere in
mezzo a una serie di inenarrabili difficoltà, in uno
scantinato e successivamente, da giovane prete, è
costretto a ricercare un luogo per i suoi ragazzi
passando da San Francesco d’Assisi all’Opera della
Marchesa Barolo, da San Pietro in Vincoli, presso i
Molini di Città, a Casa Moretta, dal prato dei fratelli
Filippi, fino all’incontro provvidenziale con
Pancrazio Soave che gli offre un luogo per fare il
suo “laboratorio”. Alla risposta di Don Bosco «Non
un laboratorio ma un oratorio», replica «Oratorio o
laboratorio, un posto c’è ed è proprietà del sig.
Giuseppe Pinardi» e fatto il contratto, finalmente
finisce questo lungo pellegrinaggio attraverso il
deserto con l’arrivo a Valdocco, “la terra promessa”.

1.6 Page 6

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I tratti esperienziali che hanno portato Don Bosco a
vivere un po’ qua e là, a vivere le stesse situazioni che
vivono tanti ragazzi, lo hanno portato poi a mettere in
pratica l’accoglienza e il senso dell’offerta di ospitalità.
Questo è il concetto e il termine chiave con il quale
don Gildásio fa una interpretazione biblica e cristiana
dell’ospitalità, per la quale la persona umana è vista
come ospite, e tutto appartiene a Dio e dunque è in
comunione fraterna e solidarietà con e per l’altro.
Ecco dunque come egli affronta nei capitoli successivi
la figura di Don Bosco e la sua esperienza spirituale e
educativa.
Don Gildásio, di fatto, definisce l’opera di Don
Bosco “Ospitalità Salesiana”, “essenza della carità
educativa di Don Bosco” e qualifica la sua azione
come “ospitalità evangelica ed educativa”.
Cito letteralmente il testo, a mio avviso, più
significativo per la rilettura che fa di Don Bosco e
dell’Oratorio di Valdocco:
«L’ospitalità di Don Bosco si manifesta nel
prendersi cura degli altri, nell’accogliere un
giovane orfano e nel prendersi cura di lui
affinché possa svilupparsi come persona
umana, amata da Dio, con la missione di
rispondere al progetto di Dio nella sua vita».
E l’autore continua la sua riflessione:

1.7 Page 7

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«L’ospitalità per Don Bosco consiste dunque
nella responsabilità e nell’impegno di trovare
per i giovani i mezzi e le risorse necessarie per
costruire un luogo per accoglierli, per fornire il
cibo, un posto per dormire, uno spazio per
giocare e divertirsi, i libri per studiare, un
maestro per insegnargli un mestiere».
In seguito don Gildàsio sottolinea:
«Per lui l’ospitalità si fa anche creando un
clima di gioia, dove gli educatori sono amici
dei giovani, dove il rapporto si realizza con
fiducia e familiarità, dove i giovani imparano a
suonare strumenti musicali, a cantare, a
suonare, a vivere la liturgia nella sua bellezza
e nella sua grandezza spirituale».
Con nessun altro ragionamento si può na-
scondere al cristiano questa evidente, indubbia
verità, in altre parole, l’originalità dell’approccio si
trova in questa rilettura di Don Bosco a partire dai
due sogni: quello dei nove anni (1824), e quello del
giovane sacerdote (1844), come un vero o proprio
pellegrinaggio simile a quello di Mosè in ricerca
della “terra promessa”; camminando nel buio
sostenuto dalla fede e dunque “come se vedesse
l’invisibile”.
Perché parlo di originalità nell’approccio? Il
fondamento del bene dell’uomo consiste
nell’antropologia biblica, “la teologia dell’ospitalità”,
nella quale l’uomo è debitore ed essendo ospite in
questo mondo, riconosce che tutto appartiene solo
e totalmente a Dio. Egli ci accoglie e ci rende suoi
ospiti, con la responsabilità di essere suoi
collaboratori nel rendere più umana la vita di tutti.
In particolar modo gli stranieri, i migranti, i senza
tetto, privati di famiglia e di lavoro. È questo un
quadro drammatico che caratterizza il nostro
mondo di oggi. Da questo punto di vista occorre
essere consapevoli della dimensione di tale dramma
universale in ogni parte del mondo nel quale molti

1.8 Page 8

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giovani si trovano in pellegrinaggio, nell’andare
vago nel deserto della vita alla ricerca di
accoglienza, ospitalità e amore.

1.9 Page 9

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Persino la ripetuta citazione che fa don Gildásio
della celebrazione della Santa Messa nel Sacro
Cuore, nel maggio 1887, poco più di otto mesi
prima del suo arrivo definitivo alla Casa del Padre,
e il pianto che per quindici volte che gli fece
interrompere la celebrazione, mentre contemplava
pieno di stupore e di riconoscenza come in un
“flashback” tutto il percorso doloroso di quel sogno.
Sono le parole confortanti di Maria, madre e
maestra, «A suo tempo tutto comprenderai», che
vogliono essere la conferma dell’autenticità della
sua vocazione e missione, dunque della sua santità
al servizio di «un progetto di vita fortemente uni-
tario: il servizio dei giovani» che il nostro Padre
«realizzò con fermezza e costanza, fra ostacoli e
fatiche, con la sensibilità di un cuore generoso» (C.
21).

1.10 Page 10

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Mi auguro che la lettura del libro possa portare
stimoli per continuare a portare avanti il “sogno di
Dio” mentre camminiamo come Don Bosco “come
se vedessimo l’invisibile”.
Don Pascual Chávez Villanueva, SDB
Roma, 24 febbraio 2024

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Interpretare un sogno oggi
Celebrando il Bicentenario del “Sogno dei nove
anni” di Don Bosco, questo libro si propone di
approfondire il sogno fatto da Giovannino a nove
anni e risognato ormai da giovane prete a Torino,
nell’anno 1844.
Quando, più avanti nella vita, visita Papa Pio IX,
e riceve l’obbedienza dal Pontefice di fissare i suoi
ricordi e il suo sistema educativo, scriverà le sue
famose Memorie dell’Oratorio1
1 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio di San Francesco di
Sales dal 1815 al 1855. Saggio introduttivo e note storiche a cura
di Aldo Giraudo, LAS, Roma 2011..
Evidentemente, per un bambino, un sogno,
anche se rivelato da Dio, non è facile da assimilare
e capire rapidamente. Questo verrà interpretato
progressivamente e troverà conferme durante tutte
le esperienze di vita, nell’esistenza quotidiana, nella
riprova dei fatti accennati nel sogno e nella
gradualità degli accadimenti.
Il sogno è riletto a partire da un’ampia pro-
spettiva: la rivelazione fa parte del disegno di amore
e di chiamata di Dio nella sua vita. Esso è un
segno, un messaggio che Giovanni Bosco
sperimenta e che segue, interpreta, vive e
concretizza all’interno del progetto di Dio nella sua
vita, del carisma e della missione che lo Spirito
Santo gli affida. È proprio questo sogno che ha
orientato il suo cammino verso il sacerdozio ed ha
marcato profondamente tutta la sua vita.

2.2 Page 12

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Inizialmente possiamo chiederci: quando Don
Bosco ha fatto suo, in modo esplicito ed
esperienziale, questo sogno? L’idea centrale di
questo libro cerca proprio di rispondere a questa
domanda.
L’argomentazione alla base di questo inter-
rogativo porta a mostrare come Don Bosco, dal
1844 al 1846, vive con intensità e non senza
sofferenze, una continua peregrinazione, cercando
un luogo per i suoi giovani a Torino, per
concretizzare quanto intravisto nel sogno. È quindi
nel Don Bosco adulto che il sogno diventa vita,
esistenza, esperienza.
Due domande sono fondamentali per questa
ricerca: cosa significa per Don Bosco vivere
l’esperienza del pellegrino alla continua ricerca di
un luogo, e dopo averlo trovato, come costruisce un
ambiente amichevole per accogliere e alloggiare i
giovani più poveri?

2.3 Page 13

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E, di conseguenza, vivendo personalmente
questa ricerca di un luogo per vivere ed accogliere i
suoi giovani, come Don Bosco ha sviluppato ed
integrato nella sua vita, spiritualità e prassi
educativa il valore dell’ospitalità?
Don Bosco è un pellegrino che cammina con fede
per realizzare il progetto d’amore di Dio nella sua
vita! Dal viaggio iniziale alla ricerca di un luogo
stabile fino alla realizzazione della sua opera di
educatore e fondatore, Don Bosco ha vissuto un
cammino spirituale, un vero e proprio
pellegrinaggio, alla stregua di Mosè, in cerca della
Terra Promessa Salesiana: Valdocco!
In questo filone, vogliamo presentare come, a
partire dall’esperienza del pellegrino, egli
sperimenta il valore evangelico dell’ospitalità,
fondando l’Opera Salesiana come luogo di ac-
coglienza, di affetto e di crescita umana e spi-
rituale.
Don Bosco sa bene, per le sue esperienze di vita,
che cosa sia essere ospite e cosa sia dare ospitalità:
essere accolto in una casa, avere cibo, sentire
l’affetto delle persone, ricevere un sostegno
educativo, avere un posto per lavorare... Da ragazzo
e da giovane, ha vissuto nella propria carne il
valore evangelico dell’ospitalità; motivo per cui, da
novello prete, contempla Dio nei volti di tutti quelli
che cercano ospitalità.

2.4 Page 14

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Come prete e fondatore, Don Bosco ha chiaro
cosa significhi accogliere, amare, ed educare i più
poveri. Era una personalità sorprendente e
luminosa,
profondamente
creativa
ed
intraprendente. Sapeva fare rapidamente le sue
scelte pastorali e stabilire rapporti con la Chiesa, le
autorità e le famiglie del tempo.
Con grande ispirazione divina e saggezza
educativa, raggiunse profondamente i suoi giovani
attraverso l’amore di un padre, di un educatore
geniale ed instancabile, di un leader capace di
attirare i giovani a collaborare nella missione che
Dio gli aveva affidata.
In tutto ciò che faceva, aveva uno scopo chiaro:
fare la volontà di Dio e realizzare il suo sogno,
quello di salvare le anime!
Per i suoi ragazzi, per i primi Salesiani e per
molti laici, Don Bosco è stato un uomo di Dio
venuto al mondo per compiere una grande opera.
La sua santità è un dono meraviglioso per la Chiesa
e per il mondo. Ancora oggi in tutte le
Congregazioni sparse nel mondo, nei tanti cortili
degli oratori, la figura di Don Bosco si erge piena di
speranza e luce per tutti i giovani che
rappresentano il futuro che verrà.
Come una spirale temporale, con un salto
cronologico e dinamico nel sogno dei nove anni di
Giovannino, ci immergeremo nella sua intenzione,
in una inversione riflessa come un’immagine in uno
specchio temporale. Tra il sogno dei nove anni e il
sogno del giovane prete: mistero e ricerca!

2.5 Page 15

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Come Don Bosco siamo tutti pellegrini di Dio!
Pellegrini con i giovani!
Roma, 24 maggio 2024.
Don Gildásio Mendes dos Santos - SDB

2.6 Page 16

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Becchi, Piemonte, 1824. Don Bosco giovinetto, 9
anni,
«All’età di nove anni ho fatto un sogno, che mi
rimase profondamente impresso nella mente
per tutta la vita... A quel punto, sempre nel
sonno, mi misi a piangere, e pregai a voler
parlare in modo da capire, poiché io non
sapevo quale cosa volesse significare. [...]
Allora ella mi pose la mano sul capo
dicendomi: “A suo tempo tutto
comprenderai”»2
2 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 62 s..

2.7 Page 17

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Torino, ottobre del 1844. Don Bosco, giovane
prete
«La seconda domenica di ottobre di quell’anno
doveva partecipare ai miei giovanetti, che
l’Oratorio sarebbe stato trasferito in Valdocco.
Ma l’incertezza del luogo, dei mezzi, delle
persone mi lasciavano veramente sopra
pensiero. La sera precedente andai a letto col
cuore inquieto.
In quella notte feci un nuovo sogno, che pare
un’appendice di quello fatto ai Becchi quando
aveva nove anni»3
3 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 134..

2.8 Page 18

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Basilica del Sacro Cuore, Roma, maggio 1887.
Don Bosco, 8 mesi prima di morire
«Quella mattina Don Bosco volle scendere in
chiesa per celebrare all’altare di Maria
Ausiliatrice. Non meno di quindici volte
durante il Divin sacrificio si arrestò, preso da
forte commozione e versando lacrime... Avevo
dinanzi agli occhi viva la scena di quando sui
dieci anni sognai della Congregazione. Vedevo
proprio e udivo la mamma e i fratelli
questionare sul sogno... Allora la Madonna gli
aveva detto: “A suo tempo tutto
comprenderai”»4
4 Eugenio Ceria, Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco
1886-1888, vol. XVIII, SEI, Torino 1937, pagg. 340-341..

2.9 Page 19

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Dalle Costituzioni salesiane
«Il Signore ci ha donato Don Bosco come
padre e maestro.
Lo studiamo e lo imitiamo, ammirando in lui
uno splendido accordo di natura e di grazia.
Profondamente uomo, ricco delle virtù della
sua gente, egli era aperto alle realtà terrestri.
Profondamente uomo di Dio, ricolmo dei doni
dello Spirito Santo, viveva “come se vedesse
5
l’invisibile»
5 Costituzioni e regolamenti della Società di San
Francesco di Sales, Edizioni S.D.B., Roma 2015, art. 21.
.

2.10 Page 20

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PRIMA PARTE

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Don Bosco prete novello rivive
il sogno dei nove anni
Nel 1844, Don Bosco, sacerdote novello a Torino,
rivive come un flashback il sogno dei nove anni del
1824.
«La seconda domenica di ottobre di quell’anno
(1844) doveva partecipare ai miei giovanetti,
che l’Oratorio sarebbe stato trasferito in
Valdocco. Ma l’incertezza del luogo, dei mezzi,
delle persone mi lasciavano veramente sopra
pensiero. La sera precedente andai a letto col
cuore inquieto. In quella notte feci un nuovo
sogno, che pare un’appendice di quello fatto ai
Becchi quando aveva nove anni»6
6 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 134.
Qui riportiamo citazioni dalle Memorie dell’Oratorio e
dalle Memorie Biograche senza approfondire le fonti. Per
uno studio approfondito della vita del Santo consigliamo:
A. Giraudo (a cura di), Memorie dell’Oratorio di S.
Francesco di Sales dal 1815 al 1855. Saggio introduttivo
e note storiche, LAS, Roma 2021. T. Bosco (a cura di), San
Giovanni Bosco, Memorie, Elledici, Torino 1985 (con qualche
ritocco alla lingua del 1800 nell’italiano popolare di
oggi). Oppure i diversi studi condotti dall’Istituto Storico
Salesiano, nella rivista «Ricerche Storiche Salesiane»
(LAS)..
Le cricche dei teppisti
Torino, 1844. Don Bosco è prete da pochi anni.
Nel quartiere della periferia di Torino, chiamato
Valdocco, dà avvio all’Oratorio di San Francesco di
Sales. Questi si consolida nel momento in cui trova
una sede stabile in casa Pinardi, nel 1846.

3.2 Page 22

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In quegli anni, un gran numero di giovani poveri,
spinti dalla necessità di trovare lavoro, sta
giungendo a Torino, città in rapido sviluppo
economico e sociale, sperimentando una grande
fragilità a livello affettivo, religioso ed educativo7

3.3 Page 23

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7 Per una visione ampia della vita e missione di Don Bosco
a Valdocco, cf. Pietro Braido, Don Bosco prete dei giovani nel secolo
delle libertà, voll. I-II, LAS, Roma 2009..
Don Bosco sceglie di dedicarsi totalmente a loro,
ai giovani più poveri e abbandonati, che arrivano
nella città di Torino per lavorare. Sono giovani dei
quali nessuno vuole prendersi cura; fonte di paura
per i cittadini benestanti; ma in cerca di un futuro
migliore.
«Preso atto che le strutture organizzate della
Chiesa non erano più adatte a rispondere agli
squilibri sociali e culturali dell’epoca, animato
dalla tradizione caritativa cattolica, Don Bosco
tentò una diversa interazione con i giovani
sradicati dal proprio ambiente d’origine»8
8 Pietro Braido, Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle
libertà, Vol. II, LAS, Roma 2009, pag. 42..

3.4 Page 24

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Lupi e agnelli
Nel secondo sogno, Don Bosco è un uomo ormai
fatto, un prete integrato nella Comunità Cristiana
come Sacerdote che ha maturato i suoi pensieri e
concretizzato questo debito interiore con un senso
pieno e di sacrificio.
Liberare il sogno, significa avere una re-
sponsabilità di questa divina consapevolezza e, con
i piedi ben piantati sulla terra, iniziare a realizzarlo.
«La seconda domenica di ottobre di quell’anno
(1844) doveva partecipare ai miei giovanetti,
che l’Oratorio sarebbe stato trasferito in
Valdocco. Ma l’incertezza del luogo, dei mezzi,
delle persone mi lasciavano veramente sopra
pensiero. La sera precedente andai a letto col
cuore inquieto»9
9 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag.134..
Prosegue Don Bosco, narrando il suo secondo
sogno, e sottolineando:
«Io giudico bene di esporlo letteralmente.
Sognai di vedermi in mezzo ad una mol-
titudine di lupi, di capre, e capretti, di agnelli,
pecore, montoni, cani ed uccelli. Tutti insieme
facevano un rumore, uno schiamazzo o meglio
un diavolio da incutere spavento ai più
coraggiosi. Io voleva fuggire, quando una
Signora, assai ben messa a foggia di
pastorella, mi fe’ cenno di seguire ed
accompagnare quel gregge strano, mentre Ella
precedeva»10
10 Ibid..
Il sogno del pellegrino
Don Bosco è un vero pellegrino che sogna.
Il sogno lo pone in un’attività costante e im-
pegnativa. Espressione della sua vitalità interiore è

3.5 Page 25

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energia ed entusiasmo. Il sogno nel cuore di
Giovanni Bosco è come un roveto ardente: fiamma
di fuoco interiore, di movimento vitale che emana
da lui, in Dio.
La realizzazione del sogno richiede concen-
trazione e attenzione per scoprire i segni di Dio,
ogni giorno, nelle piccole cose, per interpretare e
dare significato a tutto ciò che è connesso al sogno.
Ma portare un sogno nel cuore ha bisogno di
ricerca costante, camminando alle volte nel buio; è
interrogarsi sempre su cosa fare per concretizzare
ciò che il sogno velatamente ha annunciato.
Il periodo che va dal 1844 al 1846 è un tempo di
profondi interrogativi esistenziali sul significato e,
soprattutto, sulla concreta realizzazione del sogno
dei nove anni. Don Bosco vive a livello psicologico e
spirituale un vero peso dell’essere, spostandosi
repentinamente da un luogo all’altro, prendendo
decisioni importanti in breve tempo, confrontandosi
con persone vicine a lui nelle intenzioni e arrivando
al punto di far dubitare della sua salute mentale.

3.6 Page 26

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Scelto da Dio per una grande missione, il
cammino di fede di Don Bosco è dinamico, sempre
in salita, vivendo l’esodo dell’uscita dal suo piccolo
borgo dei Becchi e alla continua ricerca di un posto
per sé e per i suoi giovani.
Nel suo orizzonte di fede: deserto e strada
facendo!
Una strada nel deserto
Il percorso intrapreso da Don Bosco crea un
parallelo con il viaggio di Mosè alla ricerca della
Terra Promessa11
11 Jacques Loew, Preghiera e Vita. Grandi modelli, Edizione
Morcellana, Brescia 1991.. Sia Mosè che Don Bosco
hanno due grandi missioni volute e scelte per loro
da Dio.
Il pellegrinaggio, visto nel termine più recondito
come cura e ritrovo, è l’espressione più profonda
che l’uomo può cogliere sulla condizione umana.
Se si percorre una strada paludosa, non si pensa
a discostarsene di qualche passo per vedere com’è e
dove porta? Alla fine, quando si arriva, ci si
meraviglia dell’arduo percorso e ci si compiace della
fatica.

3.7 Page 27

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Come in una lotta, nel dibattersi al di qua di quei
confini, Don Bosco intraprende un lungo
pellegrinaggio alla ricerca della terra, di una meta
promessa, di un luogo fisso, di un terreno
finalmente solido che rappresenta quel limite
estremo.
Nel nome di una verità assoluta, Don Bosco,
attraverserà come Mosè il “deserto” approdando al
confine e giungendo al modello evangelico per la
cura del suo prossimo12
12 Morand Wirth nel libro Don Bosco et la Bible, presenta
uno studio sull’influenza e i testi dell’Antico e Nuovo Testamento
nella vita di Don Bosco, pagg. 46-85..
La pastorella imperiosa
Il secondo sogno ha una sequenza semplice e
concreta. Si apre rapidamente al nuovo, a ciò che
verrà, e a ciò che deve essere realizzato: gli animali
si trasformano in agnelli, diventano più grandi,
arrivano nuovi agnelli che aiutano a trasformare gli
altri animali che devono ancora essere
trasformati... Tutto è pedagogico! Tutto viene
svelato, mostrando un orizzonte, una promessa e
un grande futuro.
In questo scenario, si nota un altro punto
importante che marcherà per sempre Don Bosco e
che chiarisce la sua missione. C’è una cosa
meravigliosa che succede in questo momento del
sogno: agnelli che si prendono cura degli altri...,
«una meraviglia», scrive Don Bosco.

3.8 Page 28

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«Allora succedette una meraviglia: molti
agnelli cangiava si in pastorelli, che crescendo
prendevano cura degli altri. Crescendo i
pastorelli in gran numero, si divisero e
andavano altrove per raccogliere altri strani
animali e guidarli in altri ovili»13

3.9 Page 29

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13 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 134. .
Il sogno sarà condiviso con altri, tanti altri. Il
sogno suo, che è il sogno di Dio per lui, sarà il
sogno di tante altre persone che arriveranno per
aiutarlo nella missione. Camminare insieme!
Questo è il segreto di tutti quelli che camminano
con Dio.
La parte successiva del sogno prosegue con
un’altra indicazione molto preziosa e rivelatrice per
Don Bosco da parte della Pastorella: una Chiesa
con una iscrizione dedicata a Maria.
Siamo a uno dei punti culminanti del sogno: egli
conferma che Maria lo sta guidando con certezza. È
chiamato a prendersi cura dei giovani poveri, tra i
quali emergeranno coloro che si prenderanno cura
e collaboreranno alla missione (i suoi collaboratori,
i futuri Salesiani), e si intravvede la Chiesa
dedicata a Maria, da dove la missione si espanderà
e la Gloria della Madre del Figlio di Dio sarà
conosciuta.

3.10 Page 30

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«Io voleva andarmene, perché mi sembrava
tempo di recarmi a celebrar Messa, ma la
Pastora mi invitò di guardare al mezzodì.
Guardando vidi un campo in cui era stata
seminata meliga, patate, cavoli, barbabietole,
lattughe e molti altri erbaggi. Guarda
un’altra volta, mi disse, e guardai di nuovo.
Allora vidi una stupenda ed alta Chiesa.
Un’orchestra, una musica strumentale e
vocale mi invitavano a cantar Messa.
Nell’interno di quella chiesa era una fascia
bianca, in cui a caratteri cubitali era scritto:
Hic domus mea, inde gloria mea”.
Continuando nel sogno volli domandare alla
Pastora dove mi trovassi; che cosa volevasi
indicare con quel camminare, colle fermate,
con quella casa, chiesa, poi altra chiesa. Tu
comprenderai ogni cosa quando cogli occhi
tuoi materiali vedrai di fatto quanto ora vedi
cogli occhi della mente. Ma parendomi di
essere svegliato, dissi: “Io vedo chiaro e vedo
cogli occhi materiali; so dove vado e quello che
faccio”. In quel momento suonò la campana
dell’Ave Maria nella Chiesa di S. Francesco ed
io mi svegliai»14
14 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit.,
pagg.134s..

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Impossibile... Meraviglioso
All’interno del sogno, ci sono la visione e le
domande necessarie e naturali che sorgono, come a
dire alla Pastorella: «E adesso? Cosa significano
questi animali, questa chiesa, tutto questo?».
Domande che rivelano uno stare davanti alla
Pastorella dicendo: «Sì, tutto questo è meraviglioso.
Viene da Te, mi fido di Te. Come posso realizzare
tutto questo?».
C’è ancora molto da fare... C’è una grande
distanza tra il sogno e la realtà. Don Bosco, nella
fede, ha bisogno di fare questo passaggio, di
realizzare ciò che è più impegnativo e sacrificante:
trasformare il sogno in realtà! Di portare nel
silenzio un sogno come un seme che matura...
Il sogno del bambino di nove anni ora matura nel
suo cuore, nel profondo di Don Bosco sacerdote.
Tutto ciò ha importanti implicazioni per la sua
interpretazione di fede. Ora è lui stesso ad
interpretare il sogno, a sognare con i piedi per
terra, con la testa centrata sulle domande concrete
a cui deve dare risposte, dove ci sono i giovani, i
ragazzi perduti che gridano aiuto.

4.2 Page 32

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Quanto pesa un sogno?
Un sogno proietta sempre qualcosa di nuovo,
pone la persona di fronte all’imprevedibile,
all’immaginario, al simbolico. E tutta questa realtà
psicologica e spirituale ha un forte impatto sulla
psiche umana, sulle emozioni, sul modo di
interpretare la vita.
A ciò si aggiunge il peso spirituale: come portare
questa nuova realtà non ancora realizzata? Come
vivere la vita ordinaria a livello esistenziale,
conservando intatto in sé qualcosa che non è
ancora visibile, non ancora realizzato e renderlo
concreto?
Chi può portare questo fardello? Solo la persona
e nessun altro. La persona e Dio. È evidente che
Don Bosco condivideva con il suo grande direttore
spirituale Don Cafasso l’inquietudine e la ricerca
spirituale.
Ma Don Bosco stesso sapeva di poter andare
molto più lontano. Tra ciò che aveva visualizzato
nel suo sogno, tra ciò che stava realizzando e che
doveva ancora realizzare, il confine era sottile, come
tra la follia e un’idea geniale.
La notte chiara come il giorno
Il silenzio del cuore e dell’anima, per una
persona chiamata da Dio a svolgere una grande
missione, si svolge sovente nell’oscurità della notte,
alla ricerca della flebile fiammella di una lanterna.
Spesso si trasformano in un turbinio di immagini e
voci che passano nella mente e nel cuore. Dio è il
lievito invisibile in questo difficile esercizio
dell’amore donato, un respiro che segna il destino.
Così ora Don Bosco sa di aver conseguito
un’attitudine inviata dal Cielo.

4.3 Page 33

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Questa tensione psico-spirituale aumenta e
raggiunge un vertice, nel quale la persona entra in
crisi esistenziale. Come si può realizzare un
progetto al confine di sé, senza avere la certezza
che si tratti davvero della volontà di Dio? Perché un
grande sogno richiede anche grandi azioni!
Il segreto del futuro
È interessante osservare la sequenza di verbi
utilizzati dal Santo nella narrazione del secondo
sogno.
Don Bosco esprime il suo stato interiore latente
nel vivere questo sogno e le tappe della dinamica
psicologica spirituale del racconto onirico:
guardare, ascoltare, accompagnare, seguire,
stancarsi, fuggire e trasformare. Parla della
precarietà di luoghi, mezzi e persone. È molto
concreto. Segue una logica semplice ma realistica.
Cosa dovrebbe fare, con quali mezzi, con quali
persone portare a termine questo compito?

4.4 Page 34

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«Questo [sogno] mi occupò quasi tutta la
notte; molte particolarità l’accompagnarono;
allora ne compresi poco il significato perché
poca fede ci prestava, ma capii le cose di
mano in mano avevano il loro effetto. Anzi, più
tardi [...] congiuntamente ad altro sogno, mi
servì di programma nelle mie deliberazioni»15

4.5 Page 35

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15 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag.135..
Leggendo il sogno nella sua interezza, vediamo
che l’incertezza non riguarda semplicemente la
ricerca di un posto materiale per i suoi giovani, ma
qualcosa in più, ciò che Dio gli chiede e gli mostra
nel sogno. Ciò che lo tormenta è la missione del
futuro, ciò che Dio deve rivelargli in segreto.
Afferrato dall’invisibile
È interessante notare questo verbo “stancare”.
All’interno di tutte queste immagini simboliche, sia
per la loro intensità visiva, sia per il loro
sorprendente movimento e la loro crescente e
inaspettata conclusione, hanno un grande effetto
psicologico sul suo processo affettivo-cognitivo di
raccolta di informazioni e di tentativo di
comprensione.

4.6 Page 36

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Il sogno è come un immenso torrente che invade
il nostro universo interiore, con azioni rapide,
trasformazioni veloci, in un crescendo continuo,
che ci rende emotivamente stanchi.
Il protagonista del sogno è Don Bosco. Non sta a
guardare da lontano, come se ci fosse qualcosa di
distante. È chiamato ad agire, ad intervenire, a fare
qualcosa per placare il conflitto. Inoltre, sperimenta
l’impotenza fisica ed emotiva di non poter risolvere
la situazione.
Come calmare tutti i bambini che litigano? Oltre
al limite fisico, ce n’è un altro che deve affrontare,
ma a un livello più profondo, (spirituale ed
esistenziale), come prendersi cura di questi
giovani? Quale missione ha Dio per lui?
«Andammo vagando per vari siti; facemmo tre
stazioni o fermate. Ad ogni fermata molti di
quegli animali si cangiavano in agnelli, il cui
numero andavasi ognor più ingrossando.
Dopo avere molto camminato mi sono trovato
in un prato, dove quegli animali saltellavano e
mangiavano insieme senza che gli uni
tentassero di nuocere agli altri. Ma l’incertezza
del luogo, dei mezzi, delle persone mi
lasciavano veramente sopra pensiero»16
16 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 134..

4.7 Page 37

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Solitario pellegrino della Grazia
Domanda difficile, ma necessaria, per un giovane
prete di fronte a una missione: «Come posso far sì
che tutto questo si realizzi?».
La risposta, che consola, è molto semplice, ma è
ancora piena di mistero: «A suo tempo tutto
comprenderai».
In pratica Don Bosco, completamente solo,
porterà il peso di un sogno, di una grande pro-
messa e di un progetto immenso. Un cammino di
solitudine per portare nel silenzio, nel dolore e nella
gioia un sogno che germoglia nel tempo di Dio.
Attraverso la sua personale esperienza di fede,
Don Bosco è chiamato ad interpretare la sua vita,
gli eventi della sua quotidianità, dando loro un
senso, un abbandono totale ad un pellegrinaggio
continuo in ricerca nel giorno e nella notte.
Nulla di ciò che accade nella sua vita è al di fuori
del suo universo di interpretazione della fede: dalle
persone che incontra, alle strade che si aprono;
dalle difficoltà che incontra, ai passi da compiere
per iniziare la Congregazione. Tutto è interpretato
dalla fede profonda e dalla fiducia in Dio e nella
sua grazia.
Suo compito era custodire questa rivelazione tra
Dio e se stesso. Nulla più di questo intimo patto
che sapeva nel suo cuore di non poter rivelare. Qui,
Don Bosco si immerge in un percorso di solitudine
con se stesso, entra in un mistero che solo lui,
nella preghiera e nell’interpretazione attraverso la
sua fede in Dio, può trovare come finestra aperte di
speranza e di conforto.

4.8 Page 38

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Nella sua fede, lui sa che il suo sogno è anche il
sogno di altri come Mosè, Giuseppe...

4.9 Page 39

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SECONDA PARTE

4.10 Page 40

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Parti! La strada si rivelerà
Don Bosco vent’anni dopo il sogno dei nove anni
sogna di nuovo, alla luce della realtà… l’invisibile.
Fortissimi e fittissimi i pensieri dell’uomo
comune, frecce acuminate di una volontà concessa
dalla Grazia, Don Bosco parte verso la terra
promessa, Valdocco, come Mosè era partito verso la
sua Terra Promessa.
Questa similitudine mette in luce prima di tutto
una visione Biblica che accomuna queste due
figure straordinarie.
Il cammino come sottolineato nel sogno, parola
chiave del viatico spirituale, fa sì che la vocazione
di Don Bosco sia l’affidamento a Dio, un segno che
sfida lo spazio sconfinato del deserto.
Uno tra i personaggi Biblici che più assomiglia a
Don Bosco è proprio Mosè. Entrambi hanno un
viaggio di fede da intraprendere e racchiudono in sé
come una promessa: la missione di portare un
popolo in un predestinato luogo.
La fede li condurrà verso l’azione esercitata da
Dio. Nella Lettera agli Ebrei, si legge che:
«Per fede, Mosè lasciò l’Egitto, senza temere
l’ira del re; infatti rimase saldo come se
vedesse l’invisibile»17
17 Cf. Eb 11,27..

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Insolitamente, troviamo nella biografia di Don
Bosco un passaggio in cui si fa riferimento al
popolo di Dio che partiva dall’Egitto. Emerge qui un
particolare molto interessante sull’interesse di Don
Bosco per questo brano, che entra proprio nel tema
dell’uscita del popolo di Dio dall’Egitto, del
pellegrinaggio del popolo di Dio che cerca un
alloggio, una terra, un’ospitalità.
«Questi sogni tornavano di gran conforto al
gran Servo di Dio. “Mi ricordo, narrava
Giuseppe Buzzetti, che talora il nostro caro
Don Bosco, alludendo al fatto del popolo
Ebreo che partiva dall’Egitto, s’inoltrava nel
deserto e successivamente costruiva i suoi
accampamenti in vari luoghi ci incoraggiava a
sperare che tardi o tosto Dio avrebbe dato a
noi pure una Terra Promessa, dove fermare
stabile dimora”»18
18 G.B. Lemoyne, Vita di San Giovanni Bosco, vol. I - Nuova
Edizione a cura di Don Angelo Amadei, SEI, Torino
1983, pag. 278..
Don Bosco affronta tutte le vicende della vita con
grande fede, cercando di dare significato a tutto ciò
che appare sul suo cammino.
Non era un uomo che condivideva volentieri con
altri la sua esperienza personale con Dio; era un
pellegrino che aveva imparato a camminare nel
deserto della vita con profonda libertà interiore.

5.2 Page 42

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Quel che il deserto insegna
Biblicamente, il deserto è il luogo della pu-
rificazione, della libertà, il luogo dove Dio parla al
cuore ed educa quelli che Lui sceglie per una
missione speciale.
Dio educa attraverso lo sconosciuto, nell’im-
prevedibile. Dio prepara la persona ad entrare nella
“pedagogia del deserto”, cioè a camminare
nell’incertezza seguendo una logica di fede in cui la
persona si confronta direttamente con Dio che
parla nel cammino, nello spazio nudo e sconfinato
del costante movimento interiore ed esteriore.
Nel deserto la fede matura e cresce. Il deserto fa
entrare la persona nell’impercettibile, nell’incognita
delle cose perché, solo arrivando al vero confine con
se stesso, rivelerà l’uomo.
Il deserto è il luogo della preghiera, della libertà
interiore, della consegna, nell’esercizio del lungo
cammino che tante volte si rivela senza conoscere
la meta.
Ecco la grandezza di Don Bosco. Non ha paura di
questo deserto. Non sfugge.
Con l’aiuto della Grazia, lui legge la presenza di
Dio nello sconosciuto, nell’incertezza, nella critica
ostile all’interno della Chiesa del suo tempo, nella
fragilità fisica e nella malattia.
Mosè ha ascoltato il clamore del suo popolo. Don
Bosco ha ascoltato il clamore dei suoi giovani
poveri.

5.3 Page 43

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Come Mosè, Don Bosco è chiamato da Dio ad
una missione grande e impegnativa.
Contro ogni speranza, Don Bosco camminerà. In
una terra promessa per i giovani, andrà in
pellegrinaggio.
Tutto questo richiederà una grande fiducia nella
promessa di Dio.
Un nido per i passeri
Don Bosco era angustiato! Proprio cosi, narra
Don Lemonye di Don Bosco, che cerca un posto per
tanti giovani che arrivano...
«Colle sante industrie su descritte il piccolo
Oratorio festivo nel 1843 andava meravi-
gliosamente prosperando. Don Bosco però era
alquanto angustiato per la ristrettezza dello
spazio che gli era concesso. Per il numero,
non era più conveniente che i giovanetti
sostassero sulla piazza della Chiesa di San
Francesco d’Assisi anche per breve
ricreazione…»19
19 G.B. Lemoyne, Memorie Biografiche, vol. II, pag. 135..
Considerando che questa Chiesa era centrale,
con molte messe, vari preti, affluenza dei cittadini...
non era un luogo adatto per questa attività e non
era accettato da buona parte della società.

5.4 Page 44

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«I giovanetti perciò riuscivano un ingombro ed
un disturbo. E poi le guardie della città non
potevano tollerare un assembramento
clamoroso in uno dei punti più centrali e
nobili delle abitazioni... Per questo Don Bosco,
prima o dopo le sue radunanze, andava sul
piazzale della Chiesa e nei crocicchi delle vie
adiacenti...»20

5.5 Page 45

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20 G.B. Lemoyne, Memorie Biografiche, vol. II, pag.
135s..
In una folla di giovani, da solo, il sogno e la
realtà si confrontano duramente.
«È matto!»
C’è nel percorso di Don Bosco la sfida di af-
frontare da solo, con Dio, quel mistero che fa parte
di tutti quelli che entrano nel cammino di chi
ascolta la volontà di Dio, che si svela lentamente,
creando incomprensioni.
È vero che lui ha avuto dei buoni direttori
spirituali, in modo speciale Don Giuseppe Cafasso,
che lo accompagnò nel suo cammino spirituale.
Tuttavia, chi può entrare nel profondo del suo
cuore inquieto, portatore di un sogno
incomprensibile?
Non resta che camminare nel mistero con
profonda fede e fiducia.
Invece di trovare la comprensione, o almeno la
possibilità di non essere disturbato nel suo camino
di ricerca spirituale per concretizzare il sogno,
accade proprio il contrario.

5.6 Page 46

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L’esperienza personale di Don Bosco di credere e
seguire quel sogno ha lasciato alcune persone,
anche se a lui vicine, molto preoccupate con il suo
modo di interpretare la realtà intorno a sé.
Questo atteggiamento, considerato sbagliato da
parte dei suoi stretti collaboratori, è narrato
all’interno della sua biografia da Don Lemoyne.
Nel 1846, «sparsasi la voce delle gravi difficoltà
che sorgevano ad incagliare l’opera di Don
Bosco, parecchi amici, invece di incoraggiarlo a
perseverare, presero a suggerirgli di
abbandonare l’impresa [...] Alcuni suoi
condiscepoli di Seminario e di Convitto volelro
tentar la prova di consigliarlo almeno a mutar
metodo nel suo apostolato.
Vedi, gli dicevano: tu comprometti il ca-
rattere sacerdotale.
E in che modo? Rispondeva D. Bosco.
– Colle tue stravaganze: coll’abbassarti a
prender parte ai giuochi di tanti monelli, col
permettere che quiesti ti accompagnino con
tanti schiamazzi irreverenti. Sono cose non
mai viste in Torino, e contrarie alle antiche
abitudini di un Clero così grave e riserbato
come il nostro»21
21 G.B. Lemoyne, Memorie Biografiche, vol. II, pag.
408s..

5.7 Page 47

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Lemoyne, scrivendo sulla situazione psicologica
di Don Bosco, afferma che proprio il teologo Borel,
un grande suo amico, era assai preoccupato
pensando addirittura che lui presentasse un
disturbo mentale.
«Lo stesso impareggiabile Teologo Borel, che
pur entrava pienamente nelle sue idee, in
presenza di Don Sebastiano Pacchiotti prese a
parlargli così:
Caro D. Bosco, per non esporsi al pericolo di
perdere il tutto, è meglio che noi salviamo la
parte. Aspettiamo tempi più favorevoli ai
nostri disegni. Perciè diamo il congedo agli
attuali giovinetti dell’Oratorio, ritenendo
soltanto una ventina dei più piccoli. Mentre
privatamente continueremo ad occuparci di
questi pochi, Iddio ci aprirà la via per fare di
più, provvedendocene i mezzi e un locale
opportuno.
D. Bosco come persona sicura del fatto suo,
rispose:
Non così, non così! Il Signore nella sua
misericordia ha cominciato e deve finire
l’opera sua. Lei sa, signor Teologo, con quanta
pena noi abbiamo potuto strappare dalla via
del male così gran numero di giovanetti, e
quanto bene ora questi ci corrispondano. Io
sono adunque di parere che non convegna
abbandonarli nuovamente a sé stessi e ai
pericoli del mondo con grave danno delle loro
anime.
Ma intanto dove radunarli?
– Nell’Oratorio.

5.8 Page 48

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– Dove è quest’Oratorio?
Io lo veggo già fatto: veggo una chiesa, veggo
una casa, veggo un recinto per la ricreazione.
Questo c’è ed io lo veggo.
E dove sono tutte queste cose? Domandò il
buon Teologo.
Non posso ancor dire dove siano, ma esi-
stono certamente, e io le veggo e saranno per
noi»22
22 G.B. Lemoyne. Memorie Biografiche, vol. II, pag. 409s..
Questo dialogo disturba profondamente il grande
amico di Don Bosco. Il teologo Borel per ogni
domanda che fa, riceve una risposta precisa. Alla
risposta di Don Bosco, fa una nuova domanda, e
questi risponde a ogni domanda con fermezza,
lasciando Teologo Borel assai commosso e
certamente confuso e spaventato.
«All’udire tali parole, il Teologo Borel, come
assicurava egli stesso quando, parecchi anni
dopo, raccontava questo fatto ad acluni dei
più provetti Salesiani, si sentì profondamente
commosso. A lui parve di avere in queste
asserzioni una prova abbastanza certa della
pazzia caro amico, ed esclamò:
Povero mio D. Bosco! Davvero che gli ha
dato volta il cervello!
Quindi, non potendo più reggere all’immensa
pena che ne provava in cuore, gli si accostò,
gli diede un bacio, e poi si allontanò da lui,
versando caldissimi lagrime. Anche D.
Pacchiotti gli diede uno sguardo di
compassione, dicendo:

5.9 Page 49

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Povero D. Bosco! e si ritirò addolorato»23

5.10 Page 50

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23 Ivi, pag. 410..
Luci sul cammino
Con tutte queste reazioni da parte di amici e
fedeli, Don Bosco continua il suo cammino
personale di interpretazione di fede del sogno e
lavora per farlo diventare realtà. Segue con
determinazione ogni indizio, per trovare segni
concreti nel quotidiano che realizzino la strada che
sta facendo.
Preoccupato e inquieto si immerge in questo
silenzio, affondando nel suo profondo mistero in un
legame faticoso e incerto quanto una strada in
salita.
Sono dubbi naturali quelli che attraversano il
cuore di chi è chiamato ad una grande missione nel
nome di Dio.
Nel profondo del proprio essere, Don Bosco
interpreta il suo viaggio e queste nuove realtà con
un atteggiamento di profonda fides, la fiducia che
Dio è con lui e che deve continuare il cammino,
cercando di interpretare tutto alla luce
dell’affidamento Divino.

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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La malattia
Incomprensione. Critiche. Incertezze. Malattia!
Don Bosco, prete da pochi anni, che porta in sé
una grande sfida per trovare un posto per i suoi
giovani a Torino, improvvisamente cade ammalato.
Ai primi del luglio 1846, ritornando di domenica
dall’Oratorio al Rifugio, egli ebbe uno svenimento e
dovette mettersi a letto febbricitante. Dalla gravità,
dal decorso e dalla conclusione della malattia si
può pensare a una grave affezione polmonare forse
una broncopolmonite. Superata la seria crisi si
imponeva una lunga convalescenza al luogo
natale...
Da Castelnuovo Don Bosco si teneva in costante
contatto epistolare con il Teol. Borel. Terminata poi
la lunga convalescenza di quasi quattro mesi, il 3
novembre 1846, si sistemava con la madre nella
casa affittata in giugno.
Esausto e costretto all’immobilità, Don Bosco
anche nella malattia ha un pensiero costante di
azione per i suoi giovani: la missione non può
essere abbandonata.
Ciò che si sarebbe rilevato al suo sguardo resta
celato, né si conosce quale panorama, quali
drammatiche esperienze attendevano chi le
attraversava. Solo chi è in grado di elevarsi al di
sopra dell’uomo ed elevarsi ad altezze celesti può
guardare dentro e poi forse anche attraversarle.

6.2 Page 52

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La forza dall’alto
Nonostante tutte le incertezze e difficoltà, Don
Bosco ha continuato a percorrere questo cammino
di silenzio interiore alimentato solo dalla fiducia in
Dio e in se stesso. Per questo motivo ha scritto poco
della propria persona. Non ha voluto parlare molto
della sua vita interiore. E ciò che ha scritto e
riportato è solo una piccola parte del grande
mosaico della sua esperienza di fede.
Nella sua vita spirituale si è affidato profon-
damente alla guida di Don Cafasso, che è stato il
primo a dare il suo contributo. Il rapporto di fiducia
con il suo direttore spirituale lo ha aiutato nel
processo di discernimento e nelle decisioni
importanti della sua vita.
Quando inizia la fondazione della Congregazione,
riunendo il piccolo gruppo dei primi Salesiani, Don
Bosco apre un immenso orizzonte ad una nuova
realtà che abbraccia completamente: fondare una
Congregazione al servizio dei giovani più poveri.
Che impresa!
Solo grazie alla fiducia e alla volontà può
immergersi anima e corpo in questa avventura
soprannaturale che era totalmente al di fuori della
logica umana. Questa fiducia gli dà sicurezza e
serenità nel cammino spirituale di Sacerdote e
Fondatore della Congregazione Salesiana.

6.3 Page 53

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Don Bosco vive nella fiducia. Nel suo rapporto di
padre, educatore e fondatore, insieme ai suoi
Salesiani e ai suoi giovani, avvia un grande
movimento di educazione dei giovani.
Fidarsi è vivere il cammino Evangelico del Regno di
Dio, compiere la sua volontà, esercitare i valori del
Vangelo ed abbracciare la via della Santità. La fiducia
genera atteggiamenti coerenti e chiari. La fiducia
rende credibile tutto ciò che Don Bosco ha fatto. In
questo modo si crea una rete di relazioni basate sulla
verità, dimostrando che la credibilità nasce da un
profondo atteggiamento di fiducia.
La fiducia in Dio nasce per Don Bosco dal
profondo abbandono al suo progetto, nella certezza
di mettere la propria vita al servizio di una missione
più grande di lui.
Il suo affidamento si compie nelle realtà della
vita quotidiana, nelle nuove situazioni che incontra.
Nell’incorrere di tutte queste difficoltà, sperimenta
nella vita quotidiana la certezza che Dio sta
confermando le opere della sua grazia.
Con un grande senso di concretezza e una
volontà decisa di realizzare il sogno di Dio nella sua
vita, cerca i giovani intorno a Torino, accoglie uno,
due, in seguito molti altri giovani poveri. L’arrivo di
ogni ragazzo all’Oratorio di Valdocco è una certezza
che Dio è presente, e che la sua opera crescerà
abbondantemente.

6.4 Page 54

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TERZA PARTE

6.5 Page 55

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Come uno sciame in volo
La costante ricerca di un luogo sicuro per i suoi
giovani è una grande incertezza, un mare popolato
nella sua mente che pesa come il cielo e il vento
cuciti su di un triste mantello.
Leggendo dalle sue Memorie dell’Oratorio, Don
Bosco inizia a narrare al suo “popolo” che sarebbe
arrivato un momento sorprendente nella loro vita.
È l’anno 1841.
«Appena entrato nel Convito di S. Francesco,
subito mi trovai una schiera di giovanetti che
me seguivano per i viali, per le piazze e nella
stessa sacristia della Chiesa dell’Istituto. Ma
non poteva prendermi diretta cura di loro per
mancanza di locale»24
24 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 127..
Don Bosco inizia nel Convitto ecclesiastico di S.
Francesco d’Assisi il primo Oratorio, e lì rimane,
sorprendentemente, fino all’anno 1844:
«Questo fu l’andamento ordinario dell’Oratorio
per quasi tre anni, cioè, fino all’ottobre del
1844. Intanto cose nuove, mutazioni ed anche
tribolazioni andava la divina Providenza
preparando»25
25 Ivi, pag. 132..
Se da un lato Don Bosco mette il suo cuore per
iniziare un’idea di Oratorio, come prete giovane, ci
sono altre proposte di lavoro per lui:

6.6 Page 56

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«Nei tre anni passati al Convitto fui dal
medesimo (Teologo Borel) più volte invitato a
servire nelle sacre funzioni, a confessare, a
predicare seco lui. Di modo che il campo del
mio lavoro era già conosciuto e in certo modo
famigliare»26

6.7 Page 57

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26 Ib., pag. 133..
In quello stesso anno, oltre alla difficoltà per Don
Bosco di dedicarsi ai giovani e trovare un posto
sicuro per loro, c’era anche l’impegno di rispondere
ai diversi inviti e compiere altre funzioni per il
Convitto. In verità, Don Bosco, percepiva che un
tempo molto difficile sarebbe presto iniziato. Un
momento drammatico per lui e i suoi giovani:
«La seconda domenica di ottobre di 1844
doveva partecipare ai mei giovanetti che
l’Oratorio sarebbe stato trasferito in Valdocco.
Ma l’incertezza del luogo, dei mezzi, delle
persone mi lasciavano veramente sopra
pensiero. La sera precedente andai a letto con
cuore inquieto. In quella notte feci un sogno
che pare un’appendice di quello fatto ai
Becchi quando avevo nove anni»27
27 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 134..
Nonostante tutto, prevale la perseveranza nel
proseguire.

6.8 Page 58

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Da un posto all’altro, in ogni cambiamento, Don
Bosco porta con sé e i suoi giovani alcune cose,
come un crocifisso, del materiale liturgico e
soprattutto la sua profonda tristezza di pellegrino
alla ricerca di un posto sicuro.
È pellegrino chi cerca con devozione qualcosa di
sacro, più in là, come un cavaliere in una terra
straniera che viaggia alla ricerca di Dio affinché il
cielo si colori di nuovo.
«...Passammo colà sette mesi (Ospedaletto di
S. Filomena) e noi ci pensavamo di aver
trovato il paradiso terrestre, quando dovemmo
abbandonare l’amato asilo per andarcene a
cercare un altro [...] Ed eccoci una domenica
del mese di luglio 1845: si prendono panche,
inginocchiatoi, candelieri, alcune sedie, croci,
quadri e quadretti, e ciascuno portando
quell’oggetto di cui era capace, a guisa di
popolare emigrazione...»28
28 Ivi, pag. 138..
Pietro Braido a questo riguardo afferma:
«L’apertura dell’Ospedaletto il primo agosto
1845 sottraeva già mesi prima ai cappellani
l’uso di locali, prima assegnati all’oratorio.
Aveva inizio la peregrinazione dell’oratorio in
sede successive usate semplicemente per i
catechismi o solo per la ricreazione: San Pietro
in Vincoli, Mulini Dora, casa Moretta, prato
Filippi, fino al riguardo ultimo, Valdocco»29
29 Pietro Braido, Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle
libertà, Istituto Storico Salesiano, Roma - Studi 20, vol.
I, LAS, Roma 2009, pag. 182. In realtà l’Ospedaletto aprì
il 10 agosto 1845..
Tutto accade rapidamente: l’arrivo a un luogo
con i giovani e la speranza di rimanere in quel
luogo. Però, molto presto, arriva un’altra, triste
notizia: non è possibile rimanere per vari motivi. Un
altro esodo si prepara per quel prete accompagnato

6.9 Page 59

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da tanti giovani per le strade di Torino.
Un luogo sicuro e la missione affidata
Finalmente arriva una risposta reale a questa
grande sofferenza: un luogo sicuro, una vera
consolazione. Si tratta del trasferimento nell’attuale
Oratorio di S. Francesco di Sales a Valdocco. Don
Bosco narra questo momento decisivo e storico
rivelando i suoi profondi sentimenti colmi di
emozione e speranza.
«Mentre succedevansi le cose soprammen-
tovate, era venuta l’ultima domenica in cui mi
era ancora permesso di tenere l’Oratorio nel
prato (15 marzo 1846). Io taceva tutto, ma
tutti sapevano i miei imbarazzi e le mie spine.
In sulla sera di quel giorno rimirai la
moltitudine di fanciulli, che si trastullavano; e
considerava la copiosa messe che si andava
preparando per sacro ministero, per cui era
solo di operai, sfinito di forze, di sanità male
andata, senza sapere dove avrei in avvenire
potuto radunare i miei ragazzi. Mi senti
veramente commosso.

6.10 Page 60

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Ritiratomi pertanto in disparte, mi posi a
passeggiare da solo e forse per la prima volta,
mi sentii commosso fino alle lacrime.
Passeggiando e alzando gli occhi al cielo. “Mio
Dio, esclamai, perché non mi fate palese il
luogo in cui volete che io raccolga questi
fanciulli? O fatemelo conoscere o ditemi quello
che debbo fare”.
Terminava quelle espressioni, quando giunge
un cotale, di nome Pancrazio Soave, che
balbettando mi dice:
È vero che cerca un sito per fare un la-
boratorio?.
Non un laboratorio ma un Oratorio.
Non so se sia lo stesso Oratorio o labora-
torio, ma un sito c’è, lo venga a vedere. E di
proprietà del sig. Giuseppe Pinardi, onesta
persona. Venga e farà un buon contratto.
La domenica seguente, solennità di Pasqua,
nel giorno 12 di aprile, si trasportano colà
tutti gli attrezzi di Chiesa e di ricreazione, e
andammo a prendere possesso della nuova
località»30
30 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag.
152s..

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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Cercando un posto per i suoi giovani che
aumentano giorno dopo giorno, dice Don Braido, si
evidenziano vari momenti che Don Bosco vive come
pellegrino:
«Per la Messa e le altre funzioni Sacre, Don
Bosco accompagnava i giovani da una Chiesa
all’altra, con la preferenza di alcune, come
narra nel Cenno storico. “Nei giorni festivi li
conduceva ai Sassi, quando alla Madonna di
Campagna, quando ai Cappuccini del Monte,
o talora a Superga”»31
31 Pietro Braido, Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle
libertà, Istituto Storico Salesiano, Roma - Studi 20, vol.
I, LAS, Roma 2009, pag. 183. Le indagini archivistiche
hanno appurato che gli spostamenti dell’Oratorio si
svolsero con un ordine cronologico diverso. Per una
comprensione più accurata cf. Francesco Motto, L’Oratorio di
Don Bosco presso il cimitero di S. Pietro in Torino. Una
documentata ricostruzione del noto episodio, RSS 5
[1986] pagg. 199-220..
Da questo passo inoltre si evince anche l’a-
sprezza delle realtà che affrontava:
«L’effimera presenza a San Pietro in Vincoli,
interrotta, secondo Don Bosco anche per
l’acrimoniosa denuncia del cappellano, l’ex
Cappuccino
Don
Giuseppe
Tesio
(1777-1845)»32
32 Ibid..
L’instancabile ricerca forniva talvolta delle scelte
difficili che serravano in un cerchio di ferro i
continui tentativi di avere un luogo stabile e
duraturo:

7.2 Page 62

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«La scelta esclusivamente oratoriana, infatti,
stava maturando da parecchi mesi anche per
la crescente impossibilità di coesistenza della
missione tra i giovani e l’impegno di
cappellano nell’Ospedaletto di S. Filomena.
Tra l’altro le traversie dell’oratorio itinerante
erano coincise con condizioni sempre più
precarie della salute di Don Bosco. La
Marchesa Barolo - a Roma per l’approvazione
dei suoi Istituti Religiosi - gli era vicina con
sensibilità materna, servendosi dei buoni
uffici del teologo Borel, che essa impegnava
con insistenza a occuparsi della salute del
prete Castelnovese, ammesse precarie, a
causa del superlavoro, dallo stesso
interessante. In una lettera del 3 gennaio
1846 il teologo la rassicurava: all’indomani
dell’Epifania Don Bosco si sarebbe preso un
periodo di riposo. Ma la permanenza presso
l’amico, curato nel sobborgo Torinese di Sassi,
non risolveva il problema, poiché i giovani non
finivano di andare a cercarlo, stancando i suoi
polmoni con le confessioni»33

7.3 Page 63

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33 Ivi, pag. 186..
Ma la caparbietà e l’abnegazione di Don Bosco
non conoscevano limiti. Le scelte andavano fatte
anche in base alle urgenze dei suoi giovani che
erano al primo posto nel suo cuore. Ogni tentativo
da parte della Marchesa di Barolo di appropriarsi di
una figura e di un maestro così carismatico e
capace come Don Bosco erano vani. «Diventava
inevitabile a Don Bosco la rescissione del rapporto
“professionale”. Così avrebbe detto all’energica
marchesa:

7.4 Page 64

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«La mia risposta è già pensata. Ella ha denaro
e con facilità troverà preti quanti ne vuole pei
suoi istituti. De poveri fanciulli bon è così,
cesserò dall’impegno regolare e mi darò di
proposito alla cura dei fanciulli abbandonati»34

7.5 Page 65

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34 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pp. 151..
Don Bosco che ha vissuto nella sua pelle il
dramma di cercare un posto per vivere, mangiare...
Lui che ha sofferto per trovare un spazio per
dormire e studiare... è empatico, è vicino ai suoi
giovani che conoscono il suo dramma.
Ma la sua saggezza di pellegrino lo colloca
sempre nel cammino della ricerca della volontà di
Dio. Il sogno si realizza nel cammino.

7.6 Page 66

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QUARTA PARTE

7.7 Page 67

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«Il mio nome è Giovanni»
La dimensione di Don Bosco come pellegrino
inizia già nella sua infanzia. Nella dinamica
interiore del bambino e adolescente c’è la dura
realtà della perdita e mancanza del padre, che
perde quando è ancora un bambino35
35 Cf. Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 59-60..
Lui è consapevole della sua realtà umana e della
sua storia difficile. Nel suo decisivo ed emozionante
incontro con Don Calosso, lui dice con trasparenza
e grande senso di realtà e coraggio:
«Il mio nome è Giovanni, mio padre morì
quando io era ancor bambino. Mia madre è
vedova con cinque creature da mantenere. Ho
imparato a leggere e un poco a scrivere»36
36 Ivi, pag. 70..
Come adolescente, Don Bosco è un pellegrino
che cerca un padre, un punto di riferimento
spirituale per crescere e maturare.
Da famiglia semplice e povera, porta con sé
l’esperienza della carestia, dei tempi difficili,
soprattutto dopo la morte del padre.
«Ma come vivere, che mangiare, come pagare i
fitti e provvedere a molti fanciulli che ad ogni
momento dimandavano pane, calzamento,
abiti o camicie, senza cui non potevano
recarsi al lavoro? Avevamo fatto venire da
casa un po’ di vino, di meliga, fagioli, grano e
simili. Per fare fronte alle prime spese avevo
venduto qualche pezzo di campo ed una
vigna»37
37 Ivi, pag. 168..
Con il cappello in mano
Un episodio in particolare segnerà la sua vita. È
il febbraio del 1828, all’alba e le colline sono
coperte di neve, in uno degli inverni più freddi

7.8 Page 68

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dell’epoca. Per i contrasti con il fratellastro Antonio,
la povera mamma Margherita è costretta a
mandare il suo Giovannino a cercare lavoro presso
le cascine di paesi vicini. Una pratica abbastanza
consueta per l’epoca, ma non nel pieno dell’inverno,
mentre i lavori dei campi sono fermi e nessuno
cerca mano d’opera, disponibile a poco prezzo: i
garzoni non si assumono che a fine marzo.
Giovanni ha tredici anni e lascia piangendo la
casa dove è nato. Dopo aver girovagato per le
colline intorno giunge alla cascina dei coniugi
Moglia, parenti della mamma.Il dialogo è straziante.
«Moglia. Chi cerchi, ragazzo?
Bosco. Cerco Luigi Moglia.
M. Sono io, e che desideri?

7.9 Page 69

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B. Mia madre mi disse che venissi a fare il
vostro vaccaro.
M. Povero ragazzo, io non posso prenderti
adesso siamo d’inverno e i vaccari chi li ha li
licenzia: non siamo soliti prenderne fin dopo
1’Annunziata. Abbi pazienza e va’ a casa.
B. Prendetemi un po’! Datemi anche niente
per paga.
M. Non ti voglio, sarai capace a far nulla.
B. (piangendo) Prendetemi: io mi seggo qui per
terra e non mi muoverò più.
E cosi dicendo Bosco si mise a raccogliere
cogli altri i vimini sparsi per terra.
Moglia Dorotea persuase il marito almeno per
qualche giorno qual povero giovanetto come si
fece»38
38 Teresio Bosco, Don Bosco Storie di un prete, Elledici (Leu-
man-Torino), 1999, pag. 44s..
Si fermerà quasi due anni, come un garzone
modello che vedrà aumentare la sua “paga” fino a
50 lire l’anno, tanto i suoi servizi erano preziosi.
Quante volte si sarà rivisto, accogliendo i suoi
poveri ragazzi piangenti e sperduti, con il cappello
in mano e il cuore ferito, senza più soldi, affetti e
sostegni, e avrà di nuovo pianto, senza farsi vedere,
nascondendo quelle lacrime in un sorriso
accogliente e generoso.

7.10 Page 70

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Pellegrino anche da studente!
Nelle Memorie dell’Oratorio narra la sua difficoltà
di dover fare un lungo tratto di strada a piedi ogni
giorno per andare a scuola.
«Gli studi fatti in privato, l’entrare in una
scuola pubblica con maestro nuovo, furono
per me uno sconcerto che dovetti quasi
cominciare la grammatica italiana per farmi
poi strada alla latina. Per qualche tempo
andava da casa ogni giorno a scuola in paese,
ma nel crudo inverno mi era quasi
impossibile»39
39 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 76..
Con molta semplicità e onestà, confessa che era
molto duro e quasi impossibile continuare facendo
quelle andate e ritorno giornaliere assai
impegnative.
«Tra due andate e due ritorni formavasi venti
chilometri di cammino al giorno»40
40 Ibid..
Il pellegrino Giovanni Bosco trova perfino una
pensione, perché la sua salute non avrebbe retto
tante fatiche.
«Fui pertanto messo in pensione con un
onest’uomo di nome Roberto Giovanni di
professione sarto e buon dilettante di canto
gregoriano e di musica vocale»41
41 Ibid. .

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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Un adolescente in città
Giovanni ha sedici anni e arriva a Chieri, piccola
città vicino a Torino per studiare. Lui stesso narra
la sua ricerca di un luogo, certamente con l’aiuto di
Mamma Margherita.
«Dopo la perdita di tanto tempo finalmente fu
presa la risoluzione di recarmi a Chieri ove
applicarmi seriamente allo studio. Era l’anno
1830. Per chi è allevato tra boschi e appena
ha veduto qualche paesello di provincia prova
grande impressione di ogni piccola novità. La
mia pensione era in casa di una compatriota,
Lucia Matta, vedova con un solo figlio, che si
recava in quella città per assisterlo e
vegliarlo»42
42 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit. pag. 77s.
Don Bosco dovrebbe scrivere 1831. L’anno scolastico
iniziava il 1° novembre, con un triduo di esercizi
spirituali e si concludeva con la festa di San Luigi
Gonzaga (21 giugno)..
Giovanni è educato dalla mamma a vivere nella
semplicità con grande fede e generosità.
Raccontando la sua esperienza a Chieri, cerca di
non parlare di se stesso, del sacrificio e delle
incertezze che ha vissuto in questa città.
«Giovanni abbia abitato per alcun tempo
presso un tal Cavalli, il quale gli assegnò un
angolo della stalla per riposarvi di notte, e lo
obbligò a prendersi cura di un giumento e ad
attendere a qualche lavoro, in una sua vigna
poco lontana dalla città»43
43 Marco Bay, Giovanni Bosco a Chieri - 1831-1841,
Prefazione di S.E. Mons. Carlo Chenis - SDB - Vescovo
della Diocesi di Civitavecchia, LAS, Roma 2010, pag.
59..
Narrando il proprio esodo, alla ricerca di un
luogo per vivere, è drammatica, umanamente
parlando, la situazione che Giovanni Bosco vive. Un

8.2 Page 72

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giovane che decisamente vuole arrivare fino
all’impossibile per studiare e per diventare prete. È
determinato e flessibile; è coraggioso e umile.
«In quell’anno un cugino ed amico della
famiglia Bosco, della stessa borgata di
Morialdo, Giuseppe Pianta, aveva deciso di
andare ad aprire una bottega di caffè e liquori
in Chieri. Margherita colse l’opportunità e lo
pregò di accettare Giovanni in casa sua, ed il
Pianta propose al giovane l’ufficio di
garzone-caffettiere nella sua bottega»44
44 Ivi, p. 58..
Giovanni Bosco accetta di fare i servizi più
semplici e umili in cambio di un posto per dormire
e mangiare.
«Questo fu l’anno, nel quale dovette sop-
portare le maggiori privazioni, persino nel
povero scarno vitto, si dice che il signor Ceppi,
negoziante in ferro a Chieri, abbia fatte
istanze presso il Pianta, perché si affrettasse
ad ospitare Giovanni. Comunque sia andata la
cosa, noi lo troviamo presto in casa del
cugino, a fare il sorvegliante notturno e ad
occuparsi delle varie faccende domestiche.
Non riceveva stipendio, ma aveva libero il
tempo necessario per poter studiare. Il cugino
concedevagli la minestra. La madre, come era
consuetudine, gli provvedeva da casa pane e
pietanza. Uno stretto vano sopra un piccolo
forno, costrutto per cuocere le paste dolci e al
quale si ascendeva per una scaletta, era il
luogo destinatogli per dormire; per poco che
egli si fosse allungato nel lettuccio, i suoi piedi
sporgevano non solo dall’incomodo paglie-
riccio, ma dalla stessa apertura del vano (MB,
288-289)»45
45 Ivi, pag. 59..
Era veramente un luogo molto stretto per

8.3 Page 73

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dormire. Un anfratto poverissimo. Nel cuore di
Giovanni Bosco vive un sogno che contrasta
violentemente con la realtà.
La fede di questo giovane pellegrino lo aiuta a
interpretare la vita come un lungo cammino. Nel
suo cuore impara il dono meraviglioso e
imprescindibile per vivere: l’accoglienza, un
alloggio, uno spazio di ospitalità!

8.4 Page 74

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Un cuore sconfinato
Un punto centrale che stiamo presentando in
questo libro è che Don Bosco ha vissuto
profondamente l’esperienza del pellegrino alla
ricerca di un luogo sicuro e stabile, sia psico-
logicamente che spiritualmente.
In pratica, egli disegna un’ampia mappa del suo
cammino di pellegrino, andando di luogo in luogo
alla ricerca del compimento del progetto di Dio su
di lui.
Mentre compie questo pellegrinaggio di profonda
fede, sperimenta due realtà direttamente collegate
tra loro: cerca un luogo e, quando lo trova, vuole
farne un luogo di ospitalità. È un pellegrino in
cerca di un luogo dove vivere, dove occuparsi dei
suoi giovani, dove avviare un oratorio e dove
realizzare il progetto di Dio.
Nell’esperienza personale, reale, faticosa, di ogni
giorno, tra il vivere come pellegrino e poi come
educatore che accoglie, cura e che dà ospitalità,
Don Bosco vive tutta questa realtà a partire dalla
sua fede, dalla sua interpretazione dell’azione di
Dio che trova nella Bibbia, dal modo in cui alcuni
personaggi biblici, (come Mosè e Abramo), hanno
vissuto questa realtà.
Un posto nel cuore
Giovanni Bosco, che ha vissuto in profondità la
ricerca dell’ospitalità, diventando colui che dà
ospitalità. Da questa esperienza, che lui vive come
pellegrino in cerca di un posto per vivere, studiare,
lavorare e accogliere i suoi giovani; dalla sua
esperienza di accogliere i giovani poveri che
arrivano a Torino in cerca di lavoro, casa e pane;
dalla sua testimonianza di pellegrino che cerca Dio
per realizzare un sogno... da tutto ciò nasce il suo
vero credo: amare è offrire ospitalità, educare è
creare un ambiente di ospitalità.

8.5 Page 75

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La congiuntura storica in cui viveva Don Bosco
era di miseria, povertà, carestie, disgrazie nelle
famiglie, instabilità economica e politica,
migrazione di giovani dal mondo rurale alla ricerca
di lavoro nelle grandi città.
Nella periferia di Torino, Don Bosco vive la
faticosa esperienza di cercare senza sosta un luogo
sicuro per dare ospitalità ai suoi giovani poveri. Lì,
dà vita a una casa di ospitalità improntata
all’accoglienza, alla fiducia, alla reciprocità,
all’amore e al dono di sé. L’ambiente di Valdocco
all’inizio è povero di strutture, ma profondamente
ricco di ospitalità.
I primi Salesiani che crescono nell’oratorio di
Valdocco vivono una vita molto semplice,
lavorando, prendendosi cura della casa, ricevendo
qualche sostegno e aiuto dai primi collaboratori.
L’ospitalità è il cuore della loro vita.
Questa dinamica di un Don Bosco pellegrino è
importante per capire meglio come egli educhi i
Salesiani ad essere missionari, a uscire, a fondare
nuove case, ad essere pellegrini con i giovani.

8.6 Page 76

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Per lui l’ospitalità non è solo una azione sociale e
caritativa. Al contrario: il suo modo di accogliere,
rivela la sua spiritualità profondamente trasformata
dall’esperienza della propria vita, di un giovane in
cerca di un luogo per vivere e studiare. Don Bosco
incorpora profondamente nella sua vita e nella sua
fede, l’esperienza fondante di essere un pellegrino e
un ospite in questo mondo. Educare è dare ai
giovani poveri, che pure sono pellegrini nella vita,
l’ospitalità.
Nella visione biblica, la persona che cerca un
luogo per vivere, è un vero straniero. Il popolo di
Dio fu un popolo straniero. I giovani di Don Bosco
erano stranieri.
Dietro la condizione di ospite c’è una profonda
realtà esistenziale: sentirsi straniero, cioè dover
imparare a conoscere nuove persone, il luogo, le
condizioni di vita, adattarsi alle nuove esigenze
delle regole del posto, rinunciare ad alcune cose
personali e, soprattutto, sapersi lasciare andare,
sentire che la vita è fragile, che dipendiamo dagli
altri.

8.7 Page 77

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QUINTA PARTE

8.8 Page 78

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La voce inquietante dei giovani
La genesi dell’esperienza di Don Bosco come
educatore nasce praticamente da questa grande
verità: chi è l’altro per lui? Cosa significa la persona
di un giovane povero che lo guarda negli occhi?
Un’interrogazione che cerca un senso, che
interpreta la realtà a partire dalla fede e dalla
visione di Dio.
Chi è un ospite?
L’ospite è essenzialmente uno straniero, colui
che viene da fuori46
46 Carmine di Sante, Lo straniero nella Bibbia. Saggio sull’ospi-
talità, Editrice Città Aperta, Enna 2002..
La genesi della ospitalità biblica si trova nella
storia del popolo di Dio, che lascia la sua terra per
entrare in una terra nuova; quindi, la condizione
dell’uomo nella Bibbia è la condizione dello
straniero. «Lo straniero nella Bibbia è soprattutto
una figura antropologica»47
47 Carmine di Sante, «Teologia biblica dell’Ospitalità. Statuto
epistemologico ed etico», in Marco dal Corso (a cura di), Teologia
dell’Ospitalità, Queriniana, Brescia 2019, pag. 40..
Nella Bibbia lo straniero è l’orfano, la vedova,
l’affamato, colui che non ha nulla da indossare, il
malato, il prigioniero48
48 Cf. Mt 25,31-46..
L’altro, nella sua debolezza, nel suo silenzio, nel
suo nulla, nel suo impoverimento e nel suo
bisogno, mi interroga profondamente. «Per questo la
voce più inquietante è quella della vittima in cui il
suo silenzio continua a interrogare al di là della sua
stessa esistenza»49
49 Carmine di Sante, «Teologia biblica», op. cit., pag. 41..
Nel sogno dei nove anni Giovanni Bosco si
confronta quasi in modo violento con la realtà
urlante dell’altro: ci sono giovani che lottano, che
gridano brutte parole, ma anche che si trasformano
da lupi in agnelli.
Toccato profondamente dalla realtà dell’altro,

8.9 Page 79

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tutta la vita di Don Bosco diventa una ricerca
dell’umano. Lui è appassionato della persona, del
significato profondo del vivere, dell’amare e
dell’essere felice.
Paura, mai
Questo incontro con la realtà che porta ad
interrogarsi sull’umano inizia già da piccolo a casa
sua. Giovannino vive in casa la realtà dura della
perdita del padre, le difficoltà con il fratello
maggiore, la necessità di uscire da casa per
studiare.
Nella sua commovente narrazione nelle Memorie
dell’Oratorio sull’impatto emotivo e sociale vissuto
alla morte del padre, possiamo cogliere la sua
capacità di mettersi nei panni della madre.

8.10 Page 80

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«[Lui] cessava di vivere nella buona età di anni
34, il 12 maggio 1817. Non so che ne sia stato
di me in quella luttuosa occorrenza; soltanto
mi ricordo ed è il primo fatto della vita di cui
tengo memoria, che tutti uscivano dalla
camera del defunto, ed io ci voleva
assolutamente rimanere. “Vieni, Giovanni,
vieni meco”, ripeteva l’addolorata genitrice.
“Se non viene papà, non ci voglio andare”,
risposi. “Povero figlio, - ripigliò mia madre -,
vieni meco, tu non hai più padre”»50

9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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50 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 59s..
Don Bosco parla del suo forte pianto e del pianto
della madre. Figlio e madre sono intimamente uniti
in una empatia profondamente amorosa.
«Ciò detto ruppe in forte pianto, mi prese per
mano e mi trasse altrove, mentre io piangeva
perché ella piangeva, giacché in quella età non
poteva certamente comprendere quanto
grande infortunio fosse la perdita del padre»51
51 Ivi, pag. 60..
Don Bosco vive l’esperienza della fragilità umana
e della vita: la morte di un padre ancora giovane, la
dura realtà della perdita di un riferimento affettivo
per la madre e per i figli, la difficoltà di una famiglia
che d’ora innanzi deve gestire la vita senza un
capofamiglia.

9.2 Page 82

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Dura esperienza della perdita!
«Questo fatto mise tutta la famiglia nella
costernazione. Erano cinque persone da
mantenere; i raccolti dell’annata, unica nostra
risorsa, andarono falliti per una terribile
siccità; i commestibili giunsero a prezzi
favolosi»52
52 Ibid..
Tocca allora alla madre assumere la direzione
della famiglia. Mamma Margherita, donna di
grande fede, spirito di lavoro e sacrificio e acuta
sensibilità umana, abbraccia la nuova realtà di
vedova con tenerezza e determinazione.
Giovannino assorbe da mamma Margherita la
sensibilità verso l’umano. Da lei impara a mettersi
nei panni degli altri. Non era difficile comprendere
cosa potesse significare per una madre vedova
prendersi cura di tutti i figli e senza dimenticare la
gestione emozionale e materiale della vita.
Sia nei volti dei giovani abbandonati e paurosi
del sogno dei nove anni che, nella realtà della vita
in famiglia e nella sua propria esperienza di orfano,
Don Bosco impara l’importanza fondante di non
temere, ma di cercare senza paura il volto e la
fragilità dell’altro.

9.3 Page 83

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Su questo tema, Carmine di Sante, ispirandosi a
Emmanuel Lévinas dice che è «l’altro che sfida l’io
con la sua nudità e il suo bisogno»53

9.4 Page 84

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53 Per il senso generale del testo vedi: Carmine di Sante, «Teolo-
gia biblica», op. cit., pag. 37-38.. Questo significa che la
povertà dell’altro mi interpella profondamente.
Con linguaggio biblico, l’altro che mi interpella è
il messaggio di Dio per me. Continuando, di Sante
sottolinea:
«In questa palese nudità interpreta il luogo
originario dell’apparire dell’Assoluto e i segni
indelebili della sua presenza»54
54 Ivi..
Nella maturazione dell’uomo pellegrino in cerca
di ospitalità, Don Bosco sviluppa una grande
attitudine spirituale alla ricerca dell’altro, del
debole, del povero e dell’abbandonato.
L’incontro di Don Bosco con il povero e fragile
Bartolomeo Garelli è un vero archetipo della sua
pedagogia. In questo incontro, considerato l’inizio
dell’Oratorio Salesiano, troviamo la grandezza del
Santo dei giovani che riconosce nel piccolo
Bartolomeo l’umano, nel suo volto il volto di Dio,
nella sua presenza un pellegrino in cerca di casa e
pane, nella sua risposta la voce di Dio. In
Bartolomeo Garelli, Don Bosco incontra se stesso,
ricorda sua vita di orfano, rivive il suo cammino di
pellegrino in cerca di ospitalità.

9.5 Page 85

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« Mio buon amico, come ti chiami?
Risponde timidamente il ragazzino:
Mi chiamo Bartolomeo Garelli.
Di che paese tu sei?
Di Asti.
Vive tuo padre?
No, mio padre è morto.
E tua madre?
Mia madre è anche morta.
Quanti anni hai?
Ne ho sedici.
Sai leggere e scrivere?
Non so niente.
Sei stato promosso alla Santa Comunione?
Non ancora»55
55 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag.128s.
.
Questo incontro rivela la dinamica spirituale del
Don Bosco pellegrino: nell’altro trova se stesso;
Bartolomeo è l’eco dell’amore nel suo cuore di
padre. Lui vede Dio nell’altro! Entra nella dinamica
spirituale in cui trasforma il suo “io”, il suo
“essere”, nel suo “essere per l’altro”.
Nel suo cammino spirituale, vivendo e amando i
più poveri, Don Bosco si dedica intensamente
all’altro. Giorno e notte, troviamo un Don Bosco
che cerca intensamente e appassionatamente
l’altro.

9.6 Page 86

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Per Don Bosco, educare è prendersi cura
dell’altro, di ogni giovane, specialmente il più
povero perché Dio abita nell’umano!
Una cura totale
Don Bosco difende con tutte le sue forze la
dignità dei suoi giovani poveri.
Il fatto di aver vissuto nella propria carne la
fragilità della vita, ciò che significa essere un
ospite, lo porta a integrare profondamente nel suo
essere e nella sua spiritualità la cura dell’altro. Il
giovane povero è un ospite in questo mondo.
Questa etica è per lui fondamentale.
I suoi scritti riflettono la profonda convinzione di
un educatore che vede Dio nei giovani poveri. Per
questo diceva con grande convinzione: «Mi basta
che siano giovani perché io li ami».
L’ospitalità di Don Bosco è integrale: è cura della
persona nella sua totalità. Per lui, ogni giovane
deve essere amato, perché è figlio di Dio e
dev’essere felice.
Chiamato da Dio per educare i giovani poveri, lui
cammina con loro per cercare un luogo sicuro. Lui
si offre e si consegna ai giovani perché loro sono la
vera immagine di Dio.

9.7 Page 87

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Un popolo ferito
Di fronte alla realtà della perdita, della ricerca di
un posto dove vivere, la persona umana è libera di
fare delle scelte: affrontare tutto per trovare il
proprio posto nel mondo o abbandonare la realtà e
fuggire da essa.
Nella Bibbia, Dio – attraverso l’ospitalità –educa
il suo popolo a sperimentare l’umano in modo
profondo:
«Se Dio si rivela ad Israele e lo sceglie come
popolo è per dischiudere a questo popolo - e
attraverso questo popolo all’umanità -
l’umano come umano ospitale»56
56 Carmine di Sante. Teologia dell’Ospitalità, op. cit., pag.
45..
Su questa base, l’antropologia biblica è pro-
fondamente costruita dalla figura dell’essere umano
ospitato e accolto.
Per la Bibbia, responsabilità è rispondere all’altro
che non si è scelto: ogni altro che, incrociando il
nostro cammino, chiede solidarietà e vicinanza.
Nel Nuovo Testamento abbiamo diverse parabole
di Gesù che esprimono l’umano ospitale.
La Parabola del Buon Samaritano57
57 Cf. Lc 10,25-37. ad esempio, esprime
l’importanza categorica di prendersi cura dell’altro
con compassione e dignità perché, nell’uomo
derubato, ferito e abbandonato abita la presenza di
Dio.

9.8 Page 88

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Il Buon Samaritano ha trovato se stesso
nell’altro; ha vissuto l’amore di Dio nella vicinanza
e nella solidarietà senza limiti.
L’umano fragile, il volto del giovane povero che
cerca amore, la persona che ha fame e cerca un
posto per vivere..., in tutto questo, Don Bosco va
interpretando il sogno fatto a nove anni, e va dando
significato alla seconda parte del sogno compiuto
parecchi anni dopo.
Infatti, lui è in cerca della realizzazione della sua
missione che trova significato nell’altro.
A esempio di Gesù Buon Pastore58
58 Cf. Gv 10,1-21., che cura le sue pecore con
amore e compassione, Don Bosco profondamente
sensibile alla situazione dei giovani del suo tempo,
cerca il giovane, contempla il suo volto, sente il suo
cuore, cerca per lui una realizzazione ed un posto
in cui vivere...
Lui è una persona che sa leggere la realtà che lo
circonda con grande capacità critica e
lungimiranza. Per questo vede il contesto so-
ciologico, culturale e politico in cui i giovani vivono.
Analizzando l’operato di Don Bosco, si vede come
lui sa svolgere una attenta analisi dei dati
demografici giovanili. Sa fare una diagnosi coerente
delle loro condizioni di vita e interpreta questa
realtà con uno sguardo di fede in una più ampia
visione cristiana.

9.9 Page 89

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Don Bosco va in profondità perché, come
sacerdote, a partire da un orizzonte di fede in Dio,
ha una visione evangelica molto chiara del valore
della vita, della persona umana, della forza dei suoi
talenti, dell’importanza di promuovere il
protagonismo dei giovani.
Don Bosco, attento alla realtà dei giovani poveri
di Torino, cerca uno spazio per accoglierli ed
educarli, un luogo che permetta loro di dormire,
mangiare, giocare, pregare, cantare e apprendere
una professione.
«Don Bosco visse una tipica esperienza
pastorale nel suo primo Oratorio, che fu per i
giovani casa che accoglie, parrocchia che
evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile
per incontrarsi da amici e vivere in allegria»59
59 Costituzioni, op. cit., art. 40..
Una porta sempre aperta
La base Biblica dell’ospitalità ha come punto di
partenza la consapevolezza che il popolo di Dio è
senza terra, ed è senza un posto dove vivere. Si
tratta quindi di un approccio biblico antropologico:
l’essere umano – come ospite umano si pone in
solidarietà con gli altri.

9.10 Page 90

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Questa è la condizione fondamentale: sentirsi
ospiti ci apre alla ricerca e al significato dell’altro
nella nostra vita. Trovando se stessi e Dio
incontriamo l’altro. Questo cammino di uscita da sé
verso l’altro costituisce un profondo percorso
spirituale.
Dio si rivela e promette una terra. Nel dare la
terra al suo popolo, Dio educa a vivere in una
vicendevole fratellanza. Dio prima di tutto assicura
categoricamente tre cose: di amare il suo popolo, di
promettere loro la terra promessa e che questa
terra appartiene sempre a Dio.
Vivere l’ospitalità è pertanto definire l’identità
della persona che crede in Dio, che sa che tutto ciò
che ha la persona è dono di Dio e, proprio per
questo, appartiene a Lui.
«Ma se la mia stessa identità è ospitalità. Ne
viene, allora, che la mia stessa identità
individuale, originale e irrepetibile, è un fatto
etico: io non sono quel che sono, un fatto
brutto, ma sono ciò che sono disposto a
diventare nella complessa relazione con l’altro
di cui l’ospitalità è traccia. La nostra identità
non è un fatto, è un compito, un compito
morale. Vivere non è un accadimento casuale,
è rispondere ad un appello, è appunto aprire
la porta all’ospite, lasciare inquietare dalla
tensione fra diritto e giustizia, ma trovare
anche nell’accoglienza dell’ospite il senso di
benedizione della nostra vita»60
60 Placido Sgroi, «Per un’etica come ospitalità», in Marco del
Corso, Teologia dell’Ospitalità, Queriniana, Brescia 2019,
pag. 84..
Nella pedagogia di Dio che dialoga con il suo
popolo, chi deve uscire e camminare è colui che
impara a essere ospite nella terra che Dio gli ha
dato, chi la abita è quindi “straniero”.
L’esperienza di vivere la fede come popolo di Dio
è sempre dinamica, creativa, aperta e libera. Essere

10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

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stranieri non significa non appartenere. Al
contrario: significa essere tutti di Dio perché Dio è
una guida, ama, si preoccupa, cammina con noi.
Mettendo sempre Dio al centro di tutto il nostro
essere, il significato profondo dell’ospite che non
possiede le cose materiali vede la sua
appartenenza legata a un dono.
Come sappiamo dalla Bibbia, l’idolatria è stata la
grande tentazione del popolo di Dio. L’idolatria
dell’io porta a un atteggiamento di egoismo, di
individualismo, di materialismo e di indifferenza
verso gli altri. È un modo di vivere che può
distruggere il senso della comunità, dell’essere
popolo di Dio, della fedeltà alla sua parola. L’uomo
idolatra cerca il potere e il dominio: è
individualista, la sua terra è solo sua, teme la vita
come pellegrinaggio ed è chiuso al dono
dell’ospitalità. L’antidoto contro l’idolatria è
l’ospitalità!

10.2 Page 92

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Legato all’egocentrismo, il popolo correva il
pericolo di cercare altri dei, di vivere nell’idolatria e
di abbandonare il vero Dio, Jahvé.
Sempre tra le idolatrie ci sono il potere, il denaro
e il relativismo etico. La pedagogia di Dio propone
un percorso totalmente diverso: vivere come ospite
richiede una grande libertà interiore, l’obbedienza a
Dio e la fedeltà alla sua chiamata perché solo lui è
la verità.
In questa ottica, Valdocco è la casa dell’umano
che ama.
Nell’esperienza educativa di Valdocco, Don Bosco
affronta l’umano: per lui, in ogni giovane c’è un
cuore che ama e che vuole essere amato; ogni
ragazzo cerca un padre che possa prendersi cura di
lui.
Valdocco diventa la casa dell’ospitalità e della
carità; casa di accoglienza, dove i giovani trovano
cibo, amicizia, Dio e un motivo per vivere.
Siamo tutti ospiti in questo mondo
Orientati da una prospettiva biblica61
61 I cinque libri del Deuteronomio raccontano in pratica il
fondamento dell’ospitalità. Creando Adamo ed Eva e collocandoli
nel giardino dell’Eden, Dio rivela il suo amore di Creatore, offre
loro la libertà di crescere e moltiplicarsi, di conoscere la legge del
bene e del male e di sapere che la loro condizione , possiamo
dire che il popolo di Dio ha vissuto il pellegrinaggio
in una continua ricerca di un luogo stabile. Dio
sceglie il suo popolo durante il cammino. Dio si
rivela, ama e accompagna il suo popolo lungo la
via. In questo processo dell’essere sempre in
cammino, si evidenzia un aspetto fondamentale nel
modo in cui il popolo di Dio vive la sua spiritualità:
il popolo fa l’esperienza dell’ospitalità. È Dio stesso
che educa il suo popolo a vivere una vita di fede in
una continua esperienza di apertura verso il
prossimo, come una vera e propria educazione del
cuore.

10.3 Page 93

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In primo luogo, Dio dà al suo popolo una terra
dove poter vivere, crescere e moltiplicarsi. Ma c’è
una condizione: la terra appartiene a Dio. Non
appartiene al popolo. A questo punto emerge già
una chiara richiesta che tutto il popolo di Dio deve
accogliere. Una richiesta che tocca la condizione
umana e il modo in cui le persone si relazionano
con se stesse, con gli altri e con la terra.

10.4 Page 94

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Questo vale per ogni tempo e per ogni uomo: se
la terra non è nostra, siamo tutti ospiti in questo
universo. Questo è il punto di partenza
dell’ospitalità. Dio crea un’alleanza d’amore eterna,
è fedele e ci dà tutto, ma la terra non è nostra. Noi
siamo “ospiti”.
La fratellanza umana nasce da questo at-
teggiamento: la vita è dono. L’universo con tutte le
cose create da Dio è dono. La gratuità è
l’espressione della libertà di essere e condividere i
doni perché tutto è di Dio.
Ogni persona è sacra
Biblicamente, Dio dà la terra al suo popolo, ma
la terra è di Dio, non del popolo! Questo significa
che Dio è il Signore di tutto e che i suoi figli e figlie
sono chiamati a vivere sulla terra con un grande
senso di gratitudine, libertà, fraternità e solidarietà
con gli altri.
Questo è il fondamento della carità verso gli altri:
siamo tutti fratelli e sorelle, creati da Dio per vivere
in questo mondo, ma non dobbiamo sentirci
proprietari delle cose, perché sono tutte dono di Dio
e tutto a Lui appartiene.
Negli scritti spirituali di Don Bosco, nei suoi
insegnamenti, nelle stesse Costituzioni dei
Salesiani, egli insiste sempre sul fatto che la
Congregazione Salesiana è un dono di Dio ai
giovani.
Tutto ciò che siamo e abbiamo è iniziativa di Dio.

10.5 Page 95

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«Con senso di umile gratitudine crediamo che
la Società di San Francesco di Sales è nata
non da solo progetto umano, ma per iniziativa
di Dio. Per contribuire alla salvezza della
gioventù, “questa porzione la più delicata e la
più preziosa dell’umana società”, lo Spirito
Santo suscitò, con l’intervento Materno di
Maria, San Giovanni Bosco» 62

10.6 Page 96

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Creazione. Questa dinamica continua successivamente
negli altri quattro libri del Deuteronomio. Dio educa il
Suo popolo a vivere profondamente come ospite nella
sua terra. È in queè quella di ospiti. L’ospitalità inizia
infatti con la storia della sta realtà che il popolo di Dio è
amato e sperimenta Dio che si rivela. Questi testi «sono
narrazioni unitarie e coerenti che compaiono nei cinque
libri della Bibbia (Pentateuco). È un racconto intuitivo
dell’umano come umano che ospita». Carmine di Sante,
«Teologia Biblica», op. cit., pag. 44..

10.7 Page 97

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Per Don Bosco, la vita è un dono e dobbiamo
metterla a servizio degli altri in questo mondo,
dicendo: «Il Signore ci ha collocato in questo mondo
per gli altri».
Dietro questa visione c’è un atteggiamento di
fede profonda e convinta: siamo passeggeri in
questo mondo. Siamo venuti qui per una missione.
Tutto appartiene a Dio.
Nella spiritualità di Don Bosco, questa verità è
molto chiara:
«Egli ci ama, ci cura, ci chiama e ci accom-
pagna in questo mondo per compiere una
missione e ci aspetta nell’eternità»63
62 Costituzioni, op. cit., art. 1..
Noi, sue creature, siamo “ospiti” in questo
mondo. Chi si sente profondamente in questo
modo, impara ad amare e ad accogliere.

10.8 Page 98

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Collaboratori della Creazione
Don Bosco ha sviluppato una spiritualità la cui
centralità è molto chiara: Dio cura, accompagna,
vede, accoglie e ama.
In tutti i suoi scritti e insegnamenti ha un’idea
fondamentale e fondante: in questo mondo siamo di
passaggio per realizzare una missione e dopo questo
pellegrinaggio, arriveremo al paradiso. Questa è una
convinzione profonda, impressa in tutto ciò che vive e
insegna il Santo: la vita è transitoria, siamo qui solo
di passaggio. Per questo è importante vivere bene,
allegri e mettersi a servizio degli altri.
Don Bosco spesso parlava di abnegazione, di
semplicità, di povertà, della fragilità della vita.
Questa condizione esistenziale ci pone di fronte alla
fragilità e alla caducità della vita. Riconoscersi
come ospiti in questo mondo, significa vivere con
grande distacco da sé stessi e dagli altri.
Un elemento che emerge dalla visione dell’essere
ospiti davanti a Dio è il nostro modo di vedere e
relazionarci con gli altri. Se siamo ospiti, se non
siamo proprietari della terra, anche l’altro è ospite e
si trova nella mia stessa condizione. Non sono
superiore all’altro perché ciò che ho, non è
totalmente mio.
Tutto appartiene a Dio: il dono della vita, la
famiglia, la terra, la natura, i beni materiali, le
conquiste, tutto è un dono di Dio e tutto appartiene
a Lui.

10.9 Page 99

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Questa visione ci pone in un atteggiamento di
umiltà e di eguaglianza con gli altri. C’è un’urgenza
di accogliere l’altro: i poveri, i migranti, i malati, i
bisognosi, perché loro ed io siamo uno.
Questo atteggiamento è un punto di partenza per
un’etica sociale di apertura ed impegno verso
l’altro.
«C’è un posto anche per te!»
Nel Nuovo Testamento questa dinamica ritorna,
perché la persona è sempre la stessa nella sua
psicodinamica.
Gesù, nella sua predicazione, chiama il popolo a
lasciare le idolatrie del potere, del denaro, del
relativismo etico e dell’egocentrismo per vivere
fedeli a Dio con tutto il cuore. Le Beatitudini sono
un vero e proprio antidoto contro l’individualismo e
l’egoismo.
Gesù applica la pedagogia di Dio in modo molto
originale: siamo tutti pellegrini in questo mondo.
Da questa visione nasce un’etica della libertà della
persona. La Parabola del Buon Samaritano è un
archetipo di questa visione del Dio che si rivela
nell’altro, nel più debole, nello straniero.
Gesù, consapevole che tutto appartiene a Dio,
parla della semplicità della vita.

10.10 Page 100

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«Guardate gli uccelli del cielo: non seminano,
né mietono, né ammassano nei granai; eppure
il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi
forse più di loro? E chi di voi, per quanto si
dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla
sua vita? E perché vi affannate per il vestito?
Osservate come crescono i gigli del campo:
non lavorano e non filano. Eppure io vi dico
che neanche Salomone, con tutta la sua
gloria, vestiva come uno di loro»64

11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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63 Gli insegnamenti di vita spirituale di Don Bosco sono
profondamente fondati nella spiritualità Biblica, nella
Dottrina e tradizione della Chiesa. Cf. San Giovanni Bosco,
Insegnamenti di vita spirituale. Un’antologia.
Introduzione e note a cura di Aldo Giraudo, LAS, Roma
2013. .

11.2 Page 102

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«La verità vi farà liberi» (Gv 8,32), ha detto Gesù.
E la verità passa attraverso di Lui, attraverso la
promessa del Padre, perché Dio rivela la Sua
Sapienza ai semplici, agli umili e ai poveri.
Nella Sua pedagogia, Dio è sempre amorevole e
concreto. La vita di fede deve essere pratica, una
reale testimonianza. Per questo la visione
dell’ospitalità è una vera sintesi della vita di chi
crede in Dio.
L’ospitalità esprime la vera fede, la libertà di
vivere in questo mondo senza attaccarsi alle cose di
questo mondo, di praticare la spiritualità
dell’accoglienza, della condivisione fraterna, della
cura degli altri che soffrono, di vivere la vita
quotidiana come dono e gratuità. Questo
ovviamente richiede un impegno concreto, un
cambio di mentalità, un continuo mettersi al
servizio dell’altro.

11.3 Page 103

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L’identità è un vero esercizio di vita cristiana. È
un modo di essere che si trova sempre nell’altro,
nel fratello. La fraternità diventa, da questo punto
di vista, una conseguenza naturale del credere in
Dio. Questo non significa assolutamente che la
persona perda la sua singolarità, la sua soggettività
e la sua autonomia.
L’esperienza di fede in Dio arricchisce tutti questi
aspetti perché vengono vissuti nell’incontro con
l’altro. L’elemento che definisce concretamente la
mia vita di fede, è la mia esperienza di carità e di
comunione con gli altri. Non posso imparare e
sviluppare la mia vita di fede, senza la presenza
dell’altro.
L’altro diventa quindi il mio essere in Dio.
«Siamo ospiti (host), perché solo la relazione
con l’altro ci libera dalla prigione di
un’identità chiusa e anonima e ci restituisce
la nostra insostituibile unicità, il cui nome è
responsabilità. La nostra originalità, la nostra
individualità irriducibile, non nasce da un
atto di auto-identificazione, ma dal fatto che
mi viene assegnata una responsabilità
insostituibile per l’altro»65
64 Cf. Mt 6,26-29..

11.4 Page 104

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11.5 Page 105

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In conseguenza a queste considerazioni appare
chiara l’importanza e la responsabilità dell’uomo,
del cristiano, che si rivela nel compimento umano
di due metà che si tengono insieme in equilibrio:
carità e ospitalità, ottenendo una concezione del
mondo allo stesso tempo conforme alla realtà e alla
spiritualità.

11.6 Page 106

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SESTA PARTE

11.7 Page 107

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Un’ospitalità evangelica ed educativa
L’ospitalità di Don Bosco si manifesta nel
prendersi cura degli altri, nell’accogliere un giovane
orfano e nel prendersi cura di lui affinché possa
svilupparsi come persona umana, amata da Dio,
con la missione di rispondere al progetto di Dio
nella sua vita.
Per lui prendersi cura del corpo e dell’anima di
un giovane straniero e povero, è un compito che
tocca il cuore, cioè, l’amore e la responsabilità verso
l’altro.
L’ospitalità per Don Bosco consiste dunque nella
responsabilità e nell’impegno di trovare per i
giovani i mezzi e le risorse necessarie per costruire
un luogo per accoglierli, per fornire il cibo, un posto
per dormire, uno spazio per giocare e divertirsi, i
libri per studiare, un maestro per insegnargli un
mestiere.
L’ospitalità si manifesta nella responsabili
sociale, di creare un ambiente educativo, in cui i
buoni Cristiani e i collaboratori sono coinvolti per
l’educazione umana, cristiana e professionale dei
giovani.
L’ospitalità si traduce nel preparare i giovani
accolti tra le proprie mura a leggere, a scrivere, ad
apprendere un mestiere, ad entrare nella società e
a trovare un lavoro per sostenere la propria vita.

11.8 Page 108

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Per lui l’ospitalità si fa anche creando un clima
di gioia, dove gli educatori sono amici dei giovani,
dove il rapporto si realizza con fiducia e familiarità,
dove i giovani imparano a suonare strumenti
musicali, a cantare, a suonare, a vivere la liturgia
nella sua bellezza e nella sua grandezza spirituale.
Educare è accogliere con spirito ospitale
Ospitalità Salesiana! Ovunque troviamo questa
iconica scritta “Accoglienza”, che riassume nella
sua diretta terminologia, l’essenza della carità
educativa di Don Bosco.
Partendo dall’esperienza personale di pellegrino e
creatore dell’ambiente, dell’ospitalità educativa, in
modo geniale, Don Bosco crea l’amicizia sociale
come base del suo sistema educativo e la
consapevolezza che ognuno di noi è dono di Dio,
unico.
Soltanto nella relazione la persona si sviluppa e
impara a vivere in comunità fraterna. Da questo
elemento fondamentale sgorga il grande senso di
porre la vita al servizio dell’altro.
«Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per
voi sono disposto anche a dare la vita»66
65 Placido Sgroi, «Per un’etica come Ospitalità» op. cit., pag. 82..

11.9 Page 109

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A livello psicologico e spirituale possiamo
affermare che Don Bosco, nonostante il suo forte
temperamento, si svuoti per lasciare che l’altro
diventi parte di sé. L’ospitalità per Don Bosco è la
base dell’amore fraterno, la consegna all’altro, il
donarsi. Il suo amore non conosce confini. Vari
studi hanno cercato di evidenziare questo amore
incondizionato per i giovani, il senso pieno di
accoglienza delle diversità, e l’assenza di giudizio
nei confronti delle persone che gli si ponevano
innanzi.

11.10 Page 110

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Nell’Oratorio, pur con la presenza di tanti giovani
di età, provenienza e indole diverse, egli sapeva
come amare ciascuno in modo tale da farlo sentire
speciale.
In un cerchio immaginario, egli sapeva cogliere
nell’altro il pathos intellegibile dell’anima. Ognuno
di loro rappresentava la pagina di un libro
differente, e perché ogni essere umano ha una
realtà che deve essere ascoltata.
Don Bosco crede e ama. Ama e crede. Questo gli
dà la capacità di integrare in modo naturale la
grazia di unire ciò che è profondamente umano al
profondamente santo.
«Don Bosco ci amava in un modo unico»
Una delle testimonianze più vivide e forti su
come Don Bosco amasse è quella di Don Paolo
Albera, suo secondo successore. In una delle sue
lettere circolari scritte ai Salesiani, descrive come
avvertiva l’amore di Don Bosco:

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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«Don Bosco ci amava in un modo unico,
tipicamente suo: si sentiva un fascino ir-
resistibile nei suoi confronti, che le parole non
possono esprimere o far capire a chi non ha
avuto l’opportunità di sperimentarlo»67

12.2 Page 112

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66 Don Ruffino, Cronaca dell’Oratorio, ASC 110, quaderno
5, p. 10..

12.3 Page 113

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Don Albera prosegue affermando:
«Il suo amore ha attratto, conquistato e
trasformato i nostri cuori. Ci ha attirato a sé
con la pienezza dell’amore soprannaturale che
ardeva nel suo cuore e che, con le sue
fiamme, ha assorbito e unificato le piccole
scintille dello stesso amore suscitato nei
nostri cuori dalla mano di Dio»68
67 Paolo Albera, Lettere Circolari di D. Paolo Albera ai
Salesiani, SEI, Torino 1922..
L’ospitalità vissuta da Don Bosco è profon-
damente segnata da un grande amore, l’amore di
un padre, l’amore di un amico, l’amore di chi
spende la propria vita per gli altri.
Quando Don Bosco si ammala gravemente,
ancora giovane Sacerdote, i suoi giovani iniziano
una vera e propria novena di preghiere e sacrifici
personali per la sua guarigione. Vediamo in questo
momento la grande espressione dell’amore che
cura, della fedeltà amorosa dei giovani verso Don
Bosco.

12.4 Page 114

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Egli affascina i suoi giovani, gioca e canta con
loro, li accompagna nella formazione, pregano
insieme creando uno spirito familiare. I giovani, di
conseguenza, non possono che essere toccati nel
vivo da questo modo di essere: un sacerdote che si
mette totalmente al loro servizio e che si diverte a
stare con loro.
L’amore è il focolare della casa
Nell’esperienza di ospitalità che Don Bosco fa con
i suoi giovani, l’amore è un focolare che accoglie, il
pane condiviso uno spazio abitato dal cuore. Perché
l’ospitalità di Don Bosco non consiste solo
nell’accogliere i giovani in un luogo dove dormire e
mangiare.
È tutto questo, ma è molto di più: è l’ospitalità
dell’affetto di un padre, dell’accoglienza amorevole,
del gesto di chi è fedele, e che fissa la dimora della
Divina Provvidenza nell’universo che si svela.
Il modo di amare in profondità di Don Bosco
definisce la sua capacità di creare un’atmosfera di
ospitalità, di preparare un terreno migliore. Crea
legami con i suoi giovani e apre loro un orizzonte di
possibilità e crescita per diventare persone cristiane
al servizio degli altri nella società.

12.5 Page 115

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Come un buon pastore che amae dà la
sua vita per i suoi giovani
L’immagine del Buon Pastore69
68 Ibid., che è associata a Don Bosco come Padre
e Maestro dei giovani, esprime la vera agape
dell’amore del Santo per i suoi giovani.

12.6 Page 116

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Il Salmo 22 dice che «il pastore prepara la
tavola...». Questo rito di accoglienza manifesta
l’amore che si dona, che rende felice l’altro in Dio.
Partendo dalla sua esperienza spirituale, Don
Bosco sviluppa a Valdocco una vera e propria scuola
di ospitalità, di amore operante. Profondamente
segnato da questa visione dell’accoglienza dei giovani
nella casa Salesiana, lui sviluppa nei suoi scritti
questa visione evangelica del pellegrino in cerca di
Dio, dell’ospite che crea un ambiente da accogliere e
amare.
La pedagogia Salesiana s’identifica con tutta la
sua azione e la sua azione con la sua personalità;
l’interiorità di Don Bosco si concentra in definitiva
sul suo cuore.
«L’educazione è cosa del cuore». Cuore che ama
ed accoglie come accoglie Dio.

12.7 Page 117

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Valdocco, una casa ospitale
Don Bosco educa i suoi Salesiani e i giovani a
vivere alla scuola della ospitalità Evangelica.
Ogni giovane sogna e ha diritto ad una casa, una
scuola, a un’istruzione, ad imparare un mestiere,
indipendentemente dal proprio status sociale.
Per Don Bosco, vivere il Vangelo accogliendo,
ospitando, creando un luogo e un ambiente per i
giovani, è il grande messaggio della sua chiamata.
Don Bosco è fermamente convinto che in ogni
giovane, soprattutto i più poveri, hanno bisogno
dell’ospitalità, perché questa è universale, ed è
evangelica. I primi missionari Salesiani che partivano
per le Americhe erano profondamente segnati da
questa visione. Il carisma salesiano diventa il
fondamento nell’accoglienza, nel creare un centro
giovanile dove, l’essenza dell’ascolto, diventa un
modello di insegnamento.
Valdocco è la casa madre dell’ accoglienza. Da
questa casa è nato il carisma salesiano, dono di Dio
alla Chiesa; dono di Dio ai giovani.
Valdocco è la fonte del carisma e la nostra
opzione oggi e sempre.
Per noi, avere un profondo desiderio di crescita
della nostra identità carismatica significa tornare
alle radici dello spirito salesiano, alle nostre fonti
salesiane, all’opzione Valdocco70
69 Cf. Gv 10,11-18., alle nostre origini.

12.8 Page 118

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Da Valdocco, fonte carismatica di un sogno, di
una esperienza, di una donazione, camminiamo
con i giovani e con i tempi, verso l’eternità.
Valdocco è la casa del sogno: il sogno che fa
sognare71

12.9 Page 119

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70 Pascual Chavez Villanueva, Il Carisma Salesiano, Rassegna
CNOS, Settembre-Dicembre 2022, pag. 39. ieri, oggi e
domani.
Don Bosco ha contemplato la gloria di Dio e ci ha
insegnato che siamo in questo mondo per servire gli
altri.
Siamo in questo mondo come ospiti, in pel-
legrinaggio verso un altro luogo, il cielo: dove Dio è
Padre e ci accoglie perché siamo ospiti nella Sua
Casa Eterna.

12.10 Page 120

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SETTIMA PARTE

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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Con il sole in faccia
Don Bosco crede che tutto sia creato da Dio e noi
siamo sue creature, nulla è nostro. Siamo ospiti di
Dio su questa terra e in questo mondo.
Egli è profondamente convinto che Dio ami ogni
giovane e che ognuno sia chiamato a rispondere
generosamente a questo suo dono, per svilupparsi
come persona libera in Dio e profondamente felice.
La gratuità è il dono di Dio e per questo è
necessario vivere con gioia, rispondendo a questo
dono: fare il proprio dovere, lavorare, vivere nella
gioia.
Per Don Bosco la vita è transitoria e passa
velocemente; noi siamo in questo mondo per una
missione: dobbiamo mettere il nostro cuore e tutta
la nostra vita nelle cose di Dio, perché tutto è
transitorio: luoghi, persone, beni umani e materiali,
ma Dio resta.
Fare tutto per la gloria di Dio!
Don Bosco usava spesso l’espressione «Fare tutto
per la gloria di Dio».
Nella sua grande visione di costruzione della
Basilica di Maria Ausiliatrice, la sua convinzione
che la Basilica fosse per la Gloria di Dio era il frutto
di un immaginario molto forte.

13.2 Page 122

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Quando si parla della spiritualità di Don Bosco,
molti tra gli studiosi del Santo dei giovani, sono
attenti a mantenere uno stretto legame tra il
profondamente umano e il profondamente santo.
La Santità di Don Bosco è una conoscenza che
va dritta al cuore.
Egli ha vissuto la sua spiritualità nella vita
quotidiana, nelle preghiere semplici e popolari,
sperimentando il valore della gioia come
espressione di Santità.
Una descrizione molto realistica della Santità di
Don Bosco è stata fatta da Mons. Carlo Chenis:
«Don Bosco ha praticato il “martirio della
ferialità”, costruendo la propria santità, tappa
dopo tappa, tra tante avversità umane e
abbondanti aiuti soprannaturali. Santità che
non ha improvvisato, bensì costruito giorno
dopo giorno con costanza contadina. Neppure
il martirio di sangue s’improvvisa. È solo
l’esito di un martirio già celebrato con la
propria esistenza nella carità verso Dio e verso
il prossimo»72
71 Ángel Fernández Artime, Strenna 2024. «Il sogno che fa so-
gnare» Un cuore che trasforma i “lupi” in “agnelli”,
Valdocco, 2023..

13.3 Page 123

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Don Bosco come pellegrino di Dio, ha vissuto
concretamente quello che Gesù ha insegnato sul
criterio per la salvezza di un credente:

13.4 Page 124

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«Perché io ho avuto fame e mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da
bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e
mi avete vestito, malato e mi avete visitato,
carcerato e siete venuti a trovarmi»73

13.5 Page 125

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72 Marco Bay, Giovanni Bosco a Chieri, op. cit, pag. 7..

13.6 Page 126

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La sua spiritualità è stata amorosa, accogliente e
concreta!
La Santità di Don Bosco
Esistono diversi studi sulla Santità di Don
Bosco74
73 Cf. Mt 25,35-36.. Non è il caso di addentrarci
nelle questioni teologiche e canoniche della Santità
del Santo, ma vorrei sottolineare alcuni aspetti
importanti della sua Santità alla luce di quanto
abbiamo riflettuto in questo testo.
Don Bosco, pellegrino, che nella sua ricerca di
Dio e della sua gloria, fa l’esperienza umana e
spirituale di essere ospite e quindi ospita, dà inizio
ad una Congregazione per ospitare i giovani nella
loro interezza.
Parliamo della Santità di Don Bosco consi-
derando la sua esperienza da piccolo, che porta un
sogno nel suo cuore, studia, vive, soffre e ama per
realizzarlo; la sua continua ricerca come pellegrino
della terra promessa di Valdocco; la creazione di
una Spiritualità della accoglienza e dell’ospitalità
per i suoi giovani poveri; la sua Santità vissuta e
testimoniata.

13.7 Page 127

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Dunque, partiamo qui dalla Santità di Don
Bosco a partire dalla sua fede in Dio come pel-
legrino, ospite e santo che ha fatto della sua
ospitalità ai più poveri, l’espressione più grande e
significativa della sua Santità.
Don Bosco ha vissuto la sua spiritualità con un
profondo senso della Chiesa. Vive nella Chiesa,
partendo dalla Dottrina e dagli insegnamenti della
Chiesa.
Da vari studi sulla Santità di Don Bosco,
sappiamo che fu un uomo dalla profonda vita di
preghiera, dall’intenso lavoro pastorale, dall’intenso
servizio agli altri75
74 Come esempio, ricordiamo: Andrea Bozzolo. La Santità di Don
Bosco: ermeneutica teologica delle deposizioni nei processi di
beatificazione e canonizzazione, LAS, Roma 2015; Teresio Bosco, Don
Bosco visto da vicino, Elledici, Leumann-Torino 1996..

13.8 Page 128

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I raggi della sua luce
Don Bosco fu un uomo di Chiesa!
La sua Santità è stata riconosciuta dalla Chiesa!
Fondamentalmente, la Santità è il dono di una
persona che crede in Dio, vive e pratica la fede, la
speranza e la carità.

13.9 Page 129

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Il documento “Lumen Gentium” presenta la
teologia della Chiesa sulla Santità: la vocazione
universale alla santità che è fondamentale per la
vita e la missione di tutta la Chiesa.
Il punto centrale della Santità è che essa è la
perfezione della carità, cioè l’espressione più
profonda e più vera del mistero di amore e di fede,
vissuto nel cuore di una persona. È la libera
risposta di fede di una persona che ama totalmente
Dio e cerca di vivere questo dono al servizio degli
altri.
La Santità di Don Bosco è stata profondamente
vissuta nella grazia di Dio, nella risposta al dono
dello Spirito Santo nella sua vita, nell’esperienza
del mistero della Croce e della Risurrezione di
Cristo nella sua immensa carità per i più poveri,
nel suo grande amore per Maria e per la Chiesa.
«La Santità come perfezione della Carità: la
Santità è caratterizzata come perfezione della
Carità»76
75 Eugenio Ceria, Don Bosco con Dio, SEI, Torino 1929..

13.10 Page 130

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Il giovane prete, originario dei Becchi, vive
originalmente la Santità con i suoi giovani e, in
Valdocco genera uno spirito di vita e di azione
radicato nel Vangelo e che diventa successivamente
spiritualità e pedagogia Salesiana.

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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Questo dono originale di Santità di Don Bosco è
dono per la Chiesa e per il mondo77

14.2 Page 132

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76 Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen Gentium, Costituzione
dogmatica sulla Chiesa, 1964, n. 39..

14.3 Page 133

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La Santità di Don Bosco è stata vissuta lungo
tutta la sua vita: si è costruita sul cammino di fede
che ha compiuto, sul suo modo di rispondere ai
segni di Dio, sul suo carisma, sulla sua cultura.
Possiamo dire, sulla sua identità di contadino, di
uomo semplice, di artista, di comunicatore, di
fondatore.
Don Bosco ha vissuto un dono Divino, incarnato
nella sua vita e nella sua realtà personale.
Don Bosco ha ricevuto da Dio, attraverso lo
Spirito Santo, il dono del Carisma Salesiano. Per
questo motivo, per comprendere la Santità di Don
Bosco all’interno dell’immenso e ricco mosaico dei
Santi, è importante sottolineare il dono ricevuto
come Santo fondatore.
La Santità di Don Bosco, riconosciuta dalla
Chiesa è un dono meraviglioso, è una attestazione
ufficiale delle sue virtù del Carisma Salesiano e di
tutta la Famiglia Salesiana. Questa Santità è stata
testimoniata da persone che hanno conosciuto Don
Bosco.

14.4 Page 134

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Fino all’ultimo respiro
Don Bosco è il Santo della Carità pastorale. La
lettura della sua vita Apostolica rivela chiaramente
che egli si è donato completamente ai suoi giovani.
A Valdocco, Don Bosco ha vissuto un’esperienza
di Santità dal suo cuore di Buon Pastore. Don
Bosco accoglie, ama, cura, prepara la tavola, il
cibo, sa ascoltare le sue pecorelle, si prende cura
dei giovani abbandonati, indica la buona strada,
vive profondamente la gioia.
La Santità di Don Bosco è profondamente legata
alla cura degli altri vivendo questo cammino nel
completo affidamento Divino.
In un ambiente in cui i giovani sperimentavano
la vita Cristiana nella semplicità, essi avevamo la
facoltà di vivere nella devozione Eucaristica
praticando il Sacramento della Riconciliazione
attraverso la devozione alla Madonna e a San
Francesco di Sales.
La Chiesa insegna che la Santità è soprattutto
una risposta al dono dell’amore di Dio. Non è una
conquista personale. Non è un impegno morale
categorico o una posizione psicologica di
auto-miglioramento. Al contrario, è una risposta al
dono dell’amore di Dio, della Sua Grazia, vissuta
nella fede, nella speranza e nella carità.

14.5 Page 135

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Don Bosco amava profondamente Gesù Cristo.
Lo ha seguito e ha dato la sua vita per Lui. Ha
portato nella sua vita il mistero della Croce di
Cristo. Lui è stato il buon servo che, fino alla fine,
ha offerto tutto per Lui attraverso del suo amore e
dedizione ai giovani.
Don Bosco ha vissuto e partecipato nella fede il
Mistero della Vita, Passione, Morte e Risurrezione
di Cristo, della Sua Redenzione. La sua Santità è
espressione della sua vita vissuta nel mistero
d’amore del Cristo Redentore.
L’espressione di Don Bosco in riferimento al suo
amore ai giovani ci mostra la profondità e la verità
della sua consegna a Dio nella persona dei giovani:
Questa Santità affascina i suoi Salesiani e i suoi
giovani. È una Santità quotidiana. Matura nel suo
modo di relazionarsi, di educare, di accompagnare i
suoi alunni, di prendere decisioni difficili, di
abbandonarsi alla Divina Provvidenza cercando la
Gloria di Dio.
Don Bosco ha vissuto la Santità in casa con i
suoi giovani, nelle attività quotidiane dell’Oratorio,
nei suoi viaggi, nei suoi scritti, nel suo immenso
lavoro di fondazione della Congregazione Salesiana.
Don Bosco ha vissuto una Santità semplice,
pratica, profonda e gioiosa. Per questo ha lasciato
un’impronta profonda in tutti: da Don Rua, suo
successore, ai giovani dell’Oratorio.

14.6 Page 136

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La Santità come vissuto della Carità è l’e-
spressione matura e l’elemento visibile e concreto
del vivere la fede e la speranza.
La carità è il frutto della Santità per la ricchezza
della vita della Chiesa.

14.7 Page 137

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OTTAVA PARTE

14.8 Page 138

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«Noi l’abbiamo conosciuto...»
Tanti Salesiani, giovani e laici hanno conosciuto
Don Bosco da vicino: hanno assistito al suo modo
di essere, di vivere, di pregare, di amare, di
educare, e di spendere la vita a servizio dei suoi
giovani.
Sicuramente tutti avevano qualcosa da rac-
contare sulla Santità di Don Bosco. Riporto alcune
testimonianze del processo di Canonizzazione di
Don Bosco, come riportato da Don Teresio Bosco78

14.9 Page 139

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77
Su questa originalità di Santità di una persona è interes-
sante la riflessione di Andrea Bozzolo. «Richiamata questa
dimensione oggettiva della Santità, occorre però affermare che
essa ha infiniti colori e straordinarie sfumature, abita i tempi, i
luoghi e le esperienze più diversi, si presenta ogni volta con
l’audacia creativa dell’amore, fuori da ogni uniformità piatta e
ripetitiva. Se, infatti, il potere del male opera una sorta di
massificazione al ribasso, avvolgendo tutto di un’unica tenebra, la
potenza dello Spirito fa splendere con infinite varianti cromatiche
e figurali i raggi della sua luce».
Andrea Bozzolo, La Santità di Don Bosco, op. cit., pag. 13..

14.10 Page 140

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Il Vescovo, Mons. Giovanni Battista Bertagna
sottolinea come la vita in Dio era il centro della vita
del Santo:
«Don Bosco in ogni circostanza sembrava non
saper parlare che di cose spirituali e di Gloria
di Dio»79
78 Teresio Bosco, Don Bosco visto da vicino, Elledici, Leu-
mann-Torino 1996..
Il signore Giovanni Villa, pasticciere, che
certamente ha sperimentato l’amore paterno di Don
Bosco, ricorda che
«Il metodo di educazione di Don Bosco era
tutto paterno. Insomma, era un padre
amoroso in mezzo ai suoi figli»80
79 Ivi, pag. 52..

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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Subito dopo, con semplicità, cita un suo
compagno che ha conosciuto Don Bosco:
«Si conosceva da tutti che egli camminava alla
presenza di Dio. Un mio compagno mi diceva
un giorno che non si poteva negare, nel
contemplare Don Bosco in tutto il suo
esteriore contegno, che fosse sempre per così
dire in faccio a Dio»81
80 Ivi, pag. 59..

15.2 Page 142

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Giovanni Bisio, entrato nell’Oratorio a 26 anni e
che divenne commerciante, è stato al fianco di Don
Bosco per sette anni; ha dichiarato di dover tutto al
Santo, e parlando del Paradiso, diceva:
«Lo sentì più volte a dire: “Che piacere quando
saremo tutti in Paradiso”. Egli mi diresse
spiritualmente per undici anni, e se
attualmente sono quel che sono e per riguardo
all’anima e per la posizione, devo tutto a Don
Bosco»82
81 Ivi, pag. 60..
Un contadino, Giorgio Moglia, trovandosi con
Don Bosco per l’ultima volta, testimoniò con molta
semplicità come il Santo affidasse tutto a Dio:
«Don Bosco morì pochi anni fa nell’Oratorio di
Valdocco. Io l’ho veduto qualche mese prima.
Lo trovai seduto su un seggiolone, sfinito di
forze, paziente però e giovanile.

15.3 Page 143

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Avendogli chiesto come stava, egli mi disse:
“Eh, siamo nelle mani di Dio”»83

15.4 Page 144

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82 Ivi, pag. 63..

15.5 Page 145

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Don Giovanni Cagliero, Vescovo e Vicario
Apostolico della Patagonia, nel suo testamento,
testimonia la fiducia di Don Bosco nella Divina
Providenza:
«Non ricordo di averlo visto un solo momento,
nei 35 anni in cui stetti al suo fianco,
scoraggiato, infastidito o inquieto per i debiti
dei quali era sovente carico. Sovente diceva:
“La Divina Provvidenza è grande, e come
pensa agli uccelli dell’aria, cosi penserà ai
miei giovanetti”»84
83 Ivi, pag. 35..
Michele Rua, Sacerdote Salesiano, successore di
Don Bosco testimonia il modo di Don Bosco di
contemplare Dio.
«Talvolta, accompagnandolo la sera ad ora
tarda al riposo, si fermava a contemplare il
cielo stellato, e ci tratteneva, immemore della
sua stanchezza, a discorrere della immensità,
onnipotenza e sapienza divina. Altre volte, in
campagna, ci faceva osservare la bellezza dei
campi, dei prati, l’abbondanza dei frutti, e ci
parlava della bontà e provvidenza di Dio»85
84 Ivi, pag. 125..

15.6 Page 146

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Un contributo decisivo alla causa di Don Bosco
fu quello di Don Filippo Rinaldi, il quale, in data 29
settembre 1926, scrivendo al Cardinale Prefetto
della Congregazione dei Riti, attestava tra altro:
«E qui, Eminenza, mi permetta di aggiungere
mia intima convinzione che il Venerabile fu
proprio un uomo di Dio, continuamente unito
a Dio nella preghiera»86
85 Ivi, pag. 168..

15.7 Page 147

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Scrive G.B. Lemonye, il primo grande biografo di
Don Bosco:
«La potenza Divina, che irrompe silenzio-
samente e quasi nascostamente, nella vita di
Don Bosco è tale che non tutti l’avvertono.
Egli manifestava lo straordinario con tanta
semplicità che parve quasi di più mite
splendore, meno astruso alla nostra povera
natura»87
86 Eugenio Ceria, Don Bosco con Dio, op.cit., pag. 144..
Queste testimonianze rese per la Canonizzazione
di Don Bosco, esprimono una Santità vissuta e
condivisa con le persone. Don Bosco era molto
semplice, trasparente e concreto nel suo modo di
vivere la fede al servizio degli altri.
Le affermazioni di ogni persona che ha co-
nosciuto Don Bosco confermano come lui abbia
compiuto un cammino di Santità attraverso il suo
personale pellegrinaggio, il suo modo di vivere la
fede come un buon samaritano che cerca i giovani
perduti e che li accoglie con la sua ospitalità.

15.8 Page 148

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Dal sogno dei nove anni, fino alla fine della sua
vita, Don Bosco ha camminato con i piedi in terra,
con il cuore in Dio e con i suoi giovani. Camminava
contemplando il volto di ogni persona e
contemplando il volto di Dio.
Nelle Costituzioni Salesiane88
87 G. B. Lemoyne, Memorie Biografiche, op. cit., vol II, pag.
157. troviamo un articolo prezioso che sintetizza chi
fu Don Bosco

15.9 Page 149

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«Profondamente uomo, ricco delle virtù della
sua gente, egli era aperto alle realtà terrestri;
profondamente uomo di Dio, ricolmo dei doni
dello Spirito Santo, viveva “come se vedesse
l’invisibile”»89

15.10 Page 150

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88 Cf. Costituzioni, op. cit., art. 21..
Se il seme non muore
«Quella mattina Don Bosco volle scendere in
Chiesa per celebrare all’altare di Maria
Ausiliatrice. Non meno di quindici volte
durante il Divin Sacrificio si arrestò, preso da
forte commozione e versando lacrime... Avevo
dinanzi agli occhi viva la scena di quando sui
dieci anni sognai della Congregazione. Vedevo
proprio e udivo la mamma e i fratelli
questionare sul sogno... Allora la Madonna gli
aveva detto: “A suo tempo tutto
comprenderai”»90
89 Eb 11,27..

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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Abbiamo pochissime informazioni circa l’ultima
Celebrazione Eucaristica vissuta nel 1887 a Roma
nella Basilica del Sacro Cuore. Cosa sia realmente
successo in quelle numerose pause interrotte da un
pianto incontenibile non è noto. Quel momento
rappresenta senza dubbio un legame fondamentale
tra passato e futuro. Un anello temporale lega il
sogno dei nove anni a quello successivo dei
ventinove anni. Don Bosco sospende la Santa
Messa per ben quindici volte; non riuscendo a
celebrare perché assalito dalla commozione.
Quello che importa è il suo silenzio che parla
nella sua invisibile gestualità, esprimendo il
progetto che Dio gli ha affidato.
Il Don Bosco pellegrino che ha tanto girovagato e
lottato, ha fondato una Congregazione, ha edificato
Chiese ed edifici, ideato una pedagogia per i giovani
abbandonati.
Finalmente il pellegrino di Dio, come Mosè,
contempla la Gloria di Dio nel deserto che ha
percorso. Quel giovane che cercava ospitalità per
mangiare e dormire, è stato il primo ospite di
Valdocco. Da questo luogo nasce il seme dell’Opera
di Don Bosco che crescerà in tutto il mondo.

16.2 Page 152

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Quel momento dell’Eucaristia lo toccò pro-
fondamente. Era per lui un momento speciale di
ringraziamento, di Gloria resa a Dio che invade
tutto il suo essere perché, tutto ciò che ha
realizzato, è il frutto di una vita condotta per
l’amore: del suo amore profuso per l’altro.
Ricorda, piange e ringrazia. È un momento in cui
viene assalito da una moltitudine di sentimenti che
invadono di significato questo cammino che, con
tante spinose difficoltà, lo invita alla presenza di
Dio.
Dio assicura per i suoi figli alcuni momenti di
confortante testimonianza: la Santità è una via in
salita che va ricercata in questa terra, e per tutto
ciò Don Bosco è stato un maestro di vita.
«Ella precedeva...»
La presenza della Signora è una costante ed un
punto di riferimento centrale nel sogno. Narra Don
Bosco nel suo secondo sogno: «Ella precedeva». È
interessante notare come “Ella” guida, dà la
direzione, lo incoraggia... Don Bosco confessa che,
«oppresso dalla stanchezza voleva sedermi
accanto di una strada vicina... ma la pa-
storella mi invitò a continuare il cammino...»91
90 Eugenio Ceria, Memorie biografiche, op. cit., vol. XVIII, pp.
340-341..

16.3 Page 153

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Il cammino lo porterà ad un luogo dove c’è un
vasto cortile con un porticato attorno, dove lui
vedeva una Chiesa. Le immagini si intrecciano e
formano un passaggio impressionante:
«Fatto ancora breve tratto di via, mi sono
trovato in un vasto cortile con porticato
attorno alla cui estremità eravi una Chiesa»92
91 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 134..

16.4 Page 154

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È bello notare che subito dopo aver raccontato
del luogo dove c’era una Chiesa, parla in modo
sorprendente della trasformazione di un grande
numero di quegli animali in agnelli.
Questa trasformazione è un passaggio estre-
mamente importante per Don Bosco proprio perché
lì, c’è l’intervento di Dio e di Maria nella vita dei
giovani. Egli integra profondamente nella vita e
nella spiritualità questa verità: Dio agisce per
primo. Lei, la Pastorella lo vuole.
«Allora mi accorsi che quattro quinti di quegli
animali erano diventati agnelli. Il loro numero
poi divenne grandissima Ma essi fermava si
poco, e tosto partivano»93
92 Ibid..
Dal suo sogno dei nove anni a quello di novello
Sacerdote a Torino, dagli anni di apostolato come
educatore e fondatore, Don Bosco è stato un uomo
interamente Mariano. Il termine Totus Tuus, o
Maria è molto adatto a definire Don Bosco.

16.5 Page 155

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Don Bosco è Mariano giorno e notte: prega,
medita, ama, affida e dedica tutto a Lei, la Pastora
del suo sogno. Colei che lo guida nel suo cammino
Sacerdotale, Colei che è la sua Ausiliatrice, la
tenera Madre che egli chiama la vera Fondatrice
della Congregazione Salesiana.
«Ha fatto tutto Lei»
La Santità di Don Bosco è profondamente
segnata da una genuina e forte devozione Mariana.
Il suo amore per Maria, iniziato nell’infanzia, è
maturato ed è cresciuto fino al suo ultimo
momento, nell’ora della morte.
Nel secondo sogno, il Santo ha una visione della
Chiesa di Maria Ausiliatrice vent’anni prima della
sua costruzione. Come sappiamo, Don Bosco ha
lavorato con grande impegno e sacrificio per
costruire questa Basilica dedicata a Lei, «Colei che
ha fatto tutto».
Maria è una guida per Don Bosco. È Madre e
Maestra. È un riferimento affettivo e spirituale,
costante e ricco di sapienza. Maria, Colei che è
apparsa in sogno a nove anni, sarà sempre con lui
per non abbandonarlo mai, per guidarlo ed aiutarlo
a camminare.
Nei momenti bui, nello sconforto, Maria ha
rappresentato la Madre: Colei che genera la vita e
che rimarrà per sempre quel legame ancestrale e
intimamente profondo, che origina tra finito e
infinito il mistero della sua e nostra esistenza.

16.6 Page 156

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La devozione Mariana di Don Bosco si rivela
nella sua vita, nei suoi scritti, nella sua pedagogia
educativa, nei suoi messaggi ai collaboratori,
praticamente in tutto il suo essere. L’espressione
«Ha fatto tutto Lei!», era per Don Bosco una
profonda convinzione di fede.
Nella costruzione della Basilica di Maria Au-
siliatrice, Don Bosco ha riversato il suo grande
amore per la Vergine Maria, la sua gratitudine che
segna a poco a poco il passaggio tra l’invisibile e
l’anima, tra l’umano spirito e la certezza della
Divina Misericordia.
Per tutto questo riconosciamo in Don Bosco la
sua autenticità, l’inesauribile esempio di chi, nel
vedere l’altro, ha saputo esprimere la purezza
dell’amore operante.
Il dono del tempo
Certamente con molta commozione e profonda
gratitudine Don Bosco ha scritto questo passaggio
del suo sogno dei nove anni:
«A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a
piangere, e pregai quello a voler parlare in
modo da capire, perciocché io non sapeva
quale cosa si volesse significare. Allora ella mi
pose la mano sul capo dicendomi: “A suo
tempo tutto comprenderai”»94
93 Ibid..

16.7 Page 157

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Memoria emozionante del sogno dei nove anni,
che si è compiuta nel tempo della sua vita come
pellegrino, in cerca della realizzazione del disegno
di Dio nella sua vita.
Profezia potente nata nel cuore e nell’anima di
Giovani Bosco che ha seguito il suo cammino come
Mosè per trovare la Terra Promessa di Valdocco.
Casa fraterna, casa di accoglienza, educazione e
festa in Dio: i giovani canteranno il dono di un
padre che cammina con loro.
Speranza gioiosa che germina dalla Santità di
Don Bosco e si diffonde per tutto il mondo.
Santità luminosa di chi dall’inizio alla fine della
vita, ha cercato di realizzare il piano di Dio per lui.
«Tutto è compiuto!»
Una luce dall’alto irrompe: è la gloria del cielo ad
illuminare davanti alla sorgente l’infinito che, due
occhi sono troppo pochi per comprendere l’universo
che si svela:
«Quella mattina - narra il suo segretario - Don
Bosco volle scendere in Chiesa per celebrare
all’altare di Maria Ausiliatrice. Non meno di
quindici volte durante il Divin Sacrificio si
arrestò, preso da forte commozione e versando
lacrime...»95
94 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, op. cit., pag. 63..

16.8 Page 158

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Quando il segretario chiese a Don Bosco perché
era cosi emozionato durante la celebrazione della
Messa, il Santo fece una rivelazione meravigliosa,
espressione del suo grande cuore Mariano:
«Avevo dinanzi agli occhi viva la scena di
quando sui dieci anni sognai della Congre-
gazione. Vedevo proprio e udivo la mamma e i
fratelli questionare sul sogno».
Allora la Madonna gli aveva detto: «A suo
tempo tutto comprenderai»96
95 Eugenio Ceria, Memorie Biografiche, op. cit., vol. XVIII, pp.
340-341..
Nessuno conosce il profondo silenzio, le lacrime e
la pace di Don Bosco nella liturgia intensa di quel
mattino. Solo allora, in quella piega dell’anima, un
mare calmo si apprestava finalmente a colmare
quel lungo tempo passato a fare, a creare, a
pensare. Tutto era così vicino ora.
Sì, occorre un occhio nitido e ben chiaro per
scoprire quella luce fioca di chi sa camminare
vicino alla terra. Maria, nell’immensità apparteneva
all’umanità, ora Don Bosco era vicino al battito che
pulsa nella profondità nell’essere. Passo a passo il
significato prendeva forma e le immagini diventano
vere.

16.9 Page 159

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Il sogno di una vita, fatto nell’ottobre del 1844,
dove tutta un’esistenza lo aveva impegnato nella
costruzione, era tangibile come il Corpo del Cristo
in quell’ultima Eucarestia.
Il Corpo era il pane donato, come tutto l’amore ai
giovani era la fortuna di aver posseduto uno spazio
capace per assistere l’altro.
Nel cammino che noi facciamo oggi con Don
Bosco e i giovani, possa risuonare la voce nel
profondo di ognuno di noi: “Come se vedessimo
l’invisibile”.

16.10 Page 160

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BIBLIOGRAFIA
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teologica delle deposizioni nei processi di
beatificazione e canonizzazione, LAS, Roma 2015.
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Carmine di Sante, «Teologia Biblica dell’Ospitalità.
Statuto epistemologico e etico» in Marco dal Corso (a
cura di), Teologia dell’Ospitalità, BTC 196,
Queriniana, Brescia 2019.
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di Sales dal 1815 al 1855. Saggio introduttivo e
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2011.
Giovanni Bosco, Insegnamenti di vita spirituale.
Un’antologia. Introduzione e note a cura di Aldo
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G.B. Lemoyne, Vita di San Giovanni Bosco. Vol. I -
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G.B. Lemoyne, Memorie Biografiche di don Giovanni
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Jacques Loew, Preghiera e Vita. Grandi modelli,
Edizione Morcelliana, Brescia 1991.
Marco Bay, Giovanni Bosco a Chieri - 1831-1841,
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Placido Sgroi, «Per un’etica come ospitalità» in Marco dal
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Teresio Bosco, Don Bosco visto da vicino, Elledici,
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17.3 Page 163

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96
Ibid.

17.4 Page 164

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Collana SPIRITUALITÀ E PEDAGOGIA SALESIANA
Morand Wirth, I Salmi nel cuore di san Francesco di Sales
Conferenza Ispettorie Salesiane dItalia - Ufficio Parrocchie e Oratori (ed.), Quale
oratorio per il terzo millennio?
Gianni Asti, Don Bosco confessa i suoi ragazzi
Egidio Viganò, L’interiorità apostolica
Pier Luigi Cameroni, La santità anche per te!
Juan Josè Bartolomè, Rafael Vicent (a cura di), Quali salesiani per i
giovani d’oggi?
Rossano Sala, PASTORALE GIOVANILE 2. Intorno al fuoco vivo del
Sinodo
Fabio Attard, Francisco Santos Montero, Accompagnamento salesiano e
affettività
Fabio Attard, Miguel Ángel García, Direzione spirituale in prospettiva
salesiana
Claudio Russo, Buongiorno con don Bosco
Morand Wirth, I Salmi nella pedagogia di don Bosco
Antonio Carriero, Né lupi né agnelli
Morand Wirth, I misteri del Rosario nella vita di don Bosco
© Giugno 2024 - Editrice Elledici
Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino
011 9552111
info@elledici.org
ISBN 978-88-01-06911-2

17.5 Page 165

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Interpretare un sogno oggi
11

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Interpretare un sogno oggi
13

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60
Come se vedesse linvisibile

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112 Come se vedesse linvisibile

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Indice
Prefazione 3
Interpretare un sogno oggi
9
Prima Parte
Don Bosco prete novello rivive il sogno
dei nove anni
20
Le cricche dei teppisti 20
Lupi e agnelli
22
Il sogno del pellegrino 23
Una strada nel deserto 24
La pastorella imperiosa 25
Impossibile... Meraviglioso
28
Quanto pesa un sogno? 29
La notte chiara come il giorno 29
Il segreto del futuro
30
Afferrato dall’invisibile 31
Solitario pellegrino della Grazia 33
Seconda parte
«Parti! La strada si rivelerà» 36
Quel che il deserto insegna 38
Un nido per i passeri 39
«È matto!» 40
Luci sul cammino 44
La malattia 45
La forza dall’alto 46

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Terza Parte
Come uno sciame in volo 50
Un luogo sicuro e la missione affidata 53
Quarta Parte
«Il mio nome è Giovanni» 60
Con il cappello in mano 61
Pellegrino anche da studente! 63
Un adolescente in città 64
Un cuore sconfinato
67
Un posto nel cuore 67
Quinta Parte
La voce inquietante dei giovani 72
Paura, mai 73
Una cura totale 78
Un popolo ferito 79
Una porta sempre aperta 81
Siamo tutti ospiti in questo mondo 84
Ogni persona è sacra 86
Collaboratori della Creazione 88
«C’è posto anche per te!» 89
Sesta Parte
Un’ospitalità evangelica ed educativa 94
Educare è accogliere con spirito ospitale 95
«Don Bosco ci amava in un modo unico» 96
L’amore è il focolare della casa 98

18.4 Page 174

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Come un buon pastore che ama
e dà la sua vita per i suoi giovani
99
Valdocco, una casa ospitale 100
Settima Parte
Con il sole in faccia
104
Fare tutto per la gloria di Dio! 104
La Santità di Don Bosco 106
I raggi della sua luce 107
Fino all’ultimo respiro 110
Ottava Parte
«Noi l’abbiamo conosciuto...» 114
Se il seme non muore 118
«Ella precedeva...» 120
«Ha fatto tutto Lei» 122
Il dono del tempo 123
«Tutto è compiuto!»124
Bibliografia 127

18.5 Page 175

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Stampa: Industria Grafica Falciola (TO)