Lectio salesiana Salesiana 2011-2012, Il confratello nella comunità

Maggio 2012


Art. 52 Il Confratello nella Comunità


La comunità accoglie il confratello con cuore aperto, lo accetta com'è e ne favorisce la maturazione. Gli offre la possibilità di esplicare le sue doti di natura e di grazia. Provvede a ciò che occorre e lo sostiene nei momenti di difficoltà, di dubbio, di fatica, di malattia.

Don Bosco a chi gli chiedeva di rimanere con lui era solito dire: “Pane, lavoro e paradiso: ecco tre cose che ti posso offrire io in nome del Signore” .

Il confratello s'impegna a costruire la comunità in cui vive e la ama, anche se imperfetta: sa di trovare in essa la presenza di Cristo.

Accetta la correzione fraterna, combatte quanto scopre in sé di anticomunitario e partecipa generosamente alla vita e al lavoro comune. Ringrazia Dio di essere tra fratelli che lo incoraggiano e lo aiutano.


Il bellissimo articolo 52 della nostra Regola di vita presenta analiticamente l’azione della comunità nei confronti di ogni confratello e il contributo che ciascun salesiano deve dare per la propria comunità affinché regni il clima di famiglia che deve distinguere la nostra vita. Credo che tutti, nel leggere l’intero articolo, diano pieno assenso di ragione e di spirito ai contenuti espressi in esso.


La comunità, dice il testo costituzionale, “accoglie” e “accetta” il confratello: due verbi precisi che segnano le tappe dell’integrazione nella comunità. E’ vero ed é bellissimo, ma credo che sia necessario che tutti, evitando il rischio dell’”astrattismo”, riflettiamo seriamente, nella prospettiva di fede, sulle motivazioni fondanti l’accettazione e l’accoglienza del confratello. E’ per questo che mi piace porre alla mia e vostra riflessione l’affermazione di fede: “Il fratello é sacramento di Cristo”.


Cristo é al centro della comunità. Proprio perché in Cristo siamo misteriosamente l’uno nell’altro, proprio perché siamo in comunione, il comandamento più grande, il comandamento riassuntivo, é il comandamento dell’amore(Gv 15,12). Dio é Amore, quindi noi dobbiamo essere amore (cfr. 1Gv 4,7-13)


Noi siamo persone con un corpo. Per amare abbiamo bisogno di passare attraverso la nostra realtà corporale. Non posso manifestare il mio amore se non in forma corporale; non posso raggiungere l’altro se non attraverso il mio corpo e il suo corpo. Anche per accedere a Dio dobbiamo passare attraverso la corporeità. E’ possibile raggiungere Dio solo se vengo a contatto con Lui. Per questo Dio si é fatto uomo. Per amare Dio abbiamo bisogno del corpo di Gesù, che con la sua umanità é veramente sacramento di Dio. Si raggiunge Dio toccando Gesù(cfr. 1Gv 1,1-4). Per noi che non abbiamo più il corpo materiale di Gesù il contatto con Cristo avviene attraverso i sacramenti, in modo particolarissimo con l’eucarestia che é il punto culmine di questo toccare Gesù; ma l’eucarestia non ce l’hai sempre a portata di mano e così gli altri sacramenti. Questo potrebbe far affievolire il contatto con Lui. In risposta a questa esigenza umana lo stesso Cristo Gesù fa della sua umanità un sacramento per noi: Gesù si é identificato con l’uomo “con l’incarnazione il Figlio di Dio si é unito in certo modo ad ogni uomo (GS,22), per cui l’uomo é in certo modo “sacramento di Cristo”. Io incontrando l’uomo, incontro Gesù e incontrando Gesù, incontro Dio.


L’uomo é quindi strada per andare a Dio. La risposta più adeguata a questa presenza dello stesso Cristo é l’atteggiamento di continua scoperta del fratello che abbiamo accanto: una persona con la quale Cristo si é identificato-alleato (cfr Mt 25,40.45). E’ importante risvegliarci dall’abitudine e dalla superficialità nell’incontro con il fratello. Per questo ci vuole un atto di fede grandissimo: forse é più facile riconoscere Gesù nell’eucarestia che nel fratello, perché tante volte il fratello é una immagine sciupata, opaca, del Cristo. Bisogna rinnovarsi nella visione di fede: l’uomo é veramente la strada che conduce a Dio. L’amore che scende da Dio, che é dono suo, ci fa amare l’un l’altro. In forza di questo amore verso il fratello risaliamo a Dio.


Come faccio ad essere sicuro di amare Dio, come faccio a riamare Dio? Amando il fratello. A mano a mano che cresce l’amore per il fratello, cresce in me l’amore verso Dio, e crescendo in me l’amore verso Dio, cresce in me l’amore per il fratello. Questi due amori crescono a gara.

Gesù consegna un nuovo comandamento che non é la somma dei due precetti: amore a Dio e al prossimo. All’interno del cristianesimo c’é sempre stato un filone di dualismo. Questo perché si é rimasti alla legge e ai profeti. Nel comandamento nuovo: “Amerai il Signore Dio tuo...e il tuo prossimo come te stesso”, i due precetti antichi, sono integrati e superati. Un unico dinamismo porta ad amare Dio sopra ogni persona e sopra ogni cosa amando le sue creature e nel progressivo amore per le creature si giunge ad amare il Creatore sopra ogni persona e ogni cosa. Gesù, quando dà il comandamento nuovo, rivela che nel fratello c’é Dio, per cui se tu ami il tuo fratello, nel fratello ami Dio. Così é superata ogni dicotomia. Questa é veramente l’Eucarestia totale (tutta da meditare la prima lettera di Giovanni).


Se le cose stanno così, l’esperienza concreta di vita vissuta diventa il luogo e la misura di maturazione delle convinzioni, di crescita nella fede e di capacità di comunione. Il campo da gioco della comunione é la comunità: “Nella vita di comunità, poi, deve farsi in qualche modo tangibile che la comunione fraterna, prima d’essere strumento per una determinata missione, é spazio teologale in cui si può sperimentare la mistica presenza del Signore risorto [Mt 18,20] (VC 42) . La comunione si pone sulla linea della beatitudine “beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. “Shalom” nella visione biblica non é assenza di guerra, di divisione, ma molto di più: é lo stato, la situazione dell’uomo che vive in pieno e totale equilibrio, in globale armonia con la natura, con se stesso, con gli altri, con Dio: é la pienezza della comunione. Questi operatori di pace saranno chiamati, e lo sono realmente, figli di Dio.


Per vivere in comunione la vita fraterna, mi devo incarnare nella comunità reale. Le statistiche ci dicono che le comunità oggi sono con prevalenza di anziani, difficile cambio di mentalità, presenza più o meno accentuata di inconsistenze vocazionali... . Amare la comunità, vuol dire concretamente amare ogni singolo confratello così come é, senza pretendere che le cose cambino subito e senza tentare fughe compensatorie. Bisogna incarnarsi nella situazione a partire dal reale per tendere alla comunità ideale, ricordando che la comunità, ogni singolo confratello é la prima missione: “La Chiesa affida alle comunità di vita consacrata il particolare compito di far crescere la spiritualità della comunione prima di tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale e oltre i suoi confini...” (VC 51). La diversità é ricchezza e, come dice il nostro Rettor Maggiore, il tesoro più grande che abbiamo sono i confratelli.


Occorre camminare con le idee chiare su questo punto altrimenti si cede a compromessi. Non sarò vero nel mio dono ai giovani, cioè “segno e portatore dell’amore di Dio” (Cost. 2), se non sono vero nel mio dono alla comunità, luogo della presenza di Cristo. Ci vuole però grande realismo: anche la prima comunità di Gerusalemme non era perfetta: Anania e Safira, la tensione per la disparità di trattamento tra le vedove degli ebrei e quelle degli ellenisti... (cfr Atti 5,1-11; 6,1-4)

Dobbiamo crescere nel senso di appartenenza: sono a casa mia!


Per vivere in comunione la vita fraterna, devo avere “senso di casa mia” (cfr Cost. 16). Sentirsi a casa propria é il test che verifica il mio senso di appartenenza e di accettazione della comunità. E’ un atteggiamento che si traduce in un prendersi cura di quanto avviene in essa, dalle cose più profonde alle cos e più esterne, strutturali: tutto, a modo proprio, é parte di me, della mia vita. Dobbiamo riscoprire il “Tocca a me” che va oltre il collegio e l’albergo. Per vivere in comunione la vita fraterna devo assumere l’atteggiamento del “parto io” e combattere la bestemmia salesiana: “non tocca a me”. Pretendere dagli altri, senza pagare per primi, significa non voler costruire la comunità. Riscopriamo quindi lo spirito di famiglia: sincerità di rapporti ad oltranza; fiducia e solidarietà reciproca; allegria e ottimismo; lealtà e sincerità. La comunità accoglie e accetta il confratello e il confratello si impegna a costruire la comunità in cui vive e la ama.


Per la riflessione personale

  • Considero la mia comunità come casa mia o mi sento piuttosto parte di un’azienda? Ho a cuore il buon funzionamento della vita della mia famiglia o mi limito a non pestare i piedi a nessuno?

  • Sono capace di accettare la correzione fraterna e di sentirmi chiamato a porla in essere nel momento in cui mi rendo conto che il bene di un confratello è in pericolo? Mi sento responsabile del cammino di santità dei miei confratelli e della congregazione?

  • So rinunciare ad una mia necessità per favorire un confratello nella certezza che la costruzione della comunità non può esserci senza il sacrificio personale di tutti per farsi spazio a vicenda?


Per la riflessione comunitaria

  • Nella costruzione della vita comunitaria cerchiamo di tener conto delle piccole o grandi esigenze di tutti i confratelli oppure ci limitiamo a far silenzio per non turbare le sensibilità altrui, finendo così per vivere autonomamente?

  • Sentiamo la presenza di Cristo al centro della nostra comunità oppure si limitiamo ad una visione edulcorata che fatica a concretizzarsi in precise scelte quotidiane che ne evidenzino la reale centralità?

  • Maria Santissima è per noi modello di accoglienza e di incontro del confratello?



Preghiera


O Signore, che ispirasti Don Bosco,

a fondare la vita delle nostre comunità

sullo spirito di famiglia,

manda il tuo Spirito d’amore,

perché regni fra noi quell’amicizia fraterna

fatta di calore umano e di delicatezza soprannaturale

che favorisce la comunione delle gioie e delle pene,

e sostiene nelle ore della difficoltà.


Donaci carità, fede e semplicità,

perché sappiamo ascoltare insieme

la tua Parola, parlare di Te insieme,

condividere esperienze e progetti apostolici

in una reale corresponsabilità,

guidati unicamente dalla ricerca della tua gloria.

Per Cristo nostro Signore. Amen

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