IT - Don Bosco a Roma 2022 %40 4 X 2022


IT - Don Bosco a Roma 2022 %40 4 X 2022

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Guida ai luoghi di don Bosco
nella Capitale

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Guida ai luoghi di don Bosco
nella Capitale

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Roma, 9 ottobre 2022
La canonizzazione del salesiano coadiutore Artemide Zatti è una grazia speciale della Provvi-
denza di Dio in questo periodo storico. Il riconoscimento della santità di un confratello che ha
vissuto in pienezza il progetto evangelico delle Costituzioni è uno stimolo e un aiuto nel cammi-
no di santificazione di tutti noi salesiani. La testimonianza di questa santità, che si attua
nella missione salesiana, rivela il valore unico delle beatitudini, ed è il dono più prezioso che
possiamo offrire ai giovani (C 25).
Dopo la canonizzazione di don Bosco avvenuta il 1 aprile 1934 e quella di San Luigi Versi-
glia e di San Callisto Caravario avvenuta il 1 ottobre 2000, la proclamazione della santità di
Artemide Zatti, il 9 ottobre 2022, da parte di Papa Francesco, indica a tutta la Chiesa che
Lui è il primo santo salesiano coadiutore della Congregazione Salesiana. Tale evento, come
affermano le Costituzioni all’articolo 45, ricorda a noi Salesiani di don Bosco la bellezza
complementare della nostra vocazione: “Ciascuno di noi è responsabile della missione comune e
vi partecipa con la ricchezza dei suoi doni e delle caratteristiche laicale e sacerdotale dell’unica
vocazione salesiana. Il salesiano coadiutore porta in tutti i campi educativi e pastorali il valore
proprio della sua laicità, che lo rende in modo specifico testimone del Regno di Dio nel mondo,
vicino ai giovani e alle realtà del lavoro. Il salesiano presbitero o diacono apporta al comune
lavoro di promozione e di educazione alla fede la specificità del suo ministero, che lo rende segno
di Cristo pastore, particolarmente con la predicazione del Vangelo e l’azione sacramentale. La
presenza significativa e complementare di salesiani chierici e laici nella comunità costituisce un
elemento essenziale della sua fisionomia e completezza apostolica”.
E’ con grande gioia che per tale occasione presento il testo “Don Bosco a Roma” come dono ai
salesiani partecipanti alla canonizzazione, ma anche come preziosa eredità per tutti coloro che
leggeranno questo libro. Il libro racconta l’amore di don Bosco per la città eterna, fa cogliere la
sua conoscenza profonda di Roma e il suo desiderio di aprire una casa nella città del Papa.
Se nella cascina dei Becchi emerge il valore dell’educazione ricevuta da mamma Margherita,
il sogno dei 9 anni che segna la sua vita, la semplicità della vita contadina, se a Chieri co-
5
gliamo il valore del sacrificio, dell’amicizia, del lavoro e dello studio, il desiderio di scoprire la
vocazione sacerdotale, se nella città di Torino in particolare al Convitto Ecclesiastico e nelle
peregrinazioni iniziali dell’oratorio si rivela l’abbozzo di quella vocazione al servizio dei giova-
ni che richiede costante discernimento, se a Valdocco, culla della spiritualità salesiana, emerge
il don Bosco che crea il Sistema Preventivo, costruisce una casa dove i giovani sperimentano lo
spirito di famiglia, crea scuole e laboratori, raduna il primo nucleo di giovani che diventeranno

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i primi salesiani, a Roma emerge chiaramente don Bosco fondatore, amante della Chiesa e del
Papa, con il desiderio di ricevere l’approvazione delle Costituzioni Salesiane. Il libro illustra
un vero e proprio pellegrinaggio storico e spirituale sui luoghi di don Bosco a Roma: le residen-
ze di don Bosco a Roma, i luoghi più visitati e cari al Santo, le possibili case salesiane a
Roma.
Auguro a ciascun Salesiano di don Bosco e membro della Famiglia salesiana che, ripercorren-
do i luoghi con fede e devozione, possa rivivere in se stesso/a la passione del nostro fondatore
e, nella fedeltà, rinnovare continuamente il carisma di San Giovanni Bosco attraverso la testi-
monianza di santità personale. Sant’Artemide Zatti interceda per noi.
Don Ángel Fernández Artime
Rettor Maggiore
6

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INTRODUZIONE
Spesso, parlando di Don Bosco, ricordiamo e raccontiamo alcuni particolari episo-
di della sua vita, accaduti non a Torino o ai Becchi, ma durante i suoi numerosi
viaggi fuori da Torino e dal Piemonte. Tra essi, senza dubbio, la maggioranza ebbe
come mèta Roma.
Sono poche oggi le persone che, visitando la città eterna (o addirittura vivendo-
ci), si chiedono quali siano i luoghi che, proprio nella capitale d'Italia, hanno visto
la presenza del Santo.
Questo interrogativo ci ha spinto a studiare con accuratezza tali viaggi che, come
molti sanno, sono in numero di venti. Ci ha sorpreso il risultato di un calcolo,
seppure approssimativo, dei giorni che Don Bosco trascorse a Roma; questi sono
quasi 700. Ciò significa che il Santo, dei suoi 72 anni di vita, quasi 2 li ha passati
nella città dei Papi. E non è poco, se consideriamo le condizioni dei mezzi di tra-
sporto dellOttocento.
In due anni di tempo e in una Roma "ristretta", come quella di allora, è naturale
che il Santo torinese abbia visitato tutto ciò che ci fosse da visitare. Quindi una
prima risposta all'interrogativo precedente potrebbe essere: "Don Bosco ha visto
tutto ciò che era visitabile". Ma spesso "tutto" è sinonimo di "niente''.
Esaminando più attentamente le pagine delle Memorie Biografiche che racconta-
no i suoi viaggi, si forma nella mente del lettore una certa "cartina topografica"
7 dei luoghi che, per il Santo, hanno rivestito maggior interesse. È su questi allora
che concentriamo l'attenzione, con il rammarico di chi, pur volendo vedere tutto,
è comunque costretto ad operare delle scelte.
Purtroppo oggi alcuni di questi posti non esistono più (come la "casa dei confes-
sori" presso il Monastero di Tor de' Specchi, il monastero di S. Cajo al Quirinale,
la casa di Mons. Manacorda ...) perché demoliti nei successivi riassetti urbanistici

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della città. Sarebbe quindi inutile inserirli in quella che vuol essere una guida per
coloro che oggi intendono visitare la Roma di Don Bosco”.
Venti viaggi sono veramente tanti. Ma perché il Santo si recò così spesso a Roma?
1. Per amore al Papa.
2. Per amore alla città eterna.
3. Per l'approvazione delle Regole della Società Salesiana.
4. Per le nomine e le temporalità dei Vescovi.
5. Per divulgare le Letture Cattoliche.
6. Per procurare i mezzi alle sue varie opere.

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Per dare una certa unità logica al lavoro, questi luoghi sono stati divisi in tre par-
ti, ognuna delle quali comprende la spiegazione e, soprattutto, la citazione delle
pagine delle Memorie Biografiche che si riferiscono ad ogni singolo posto. Le sin-
gole parti non costituiscono però altrettanti "itinerari", sia perché i luoghi di una
stessa parte a volte sono molto distanti tra loro, sia perché in questo modo
ognuno ha più libertà di scegliere quei posti che più ritiene interessanti, inseren-
doli nella programmazione della propria visita alla città eterna, senza essere lega-
to da un ordine prestabilito, nella certezza di avere una presentazione non del
tutto esaustiva.
.
1. Le residenze di Don Bosco a Roma
Sono qui descritti alcuni dei palazzi che ospitarono il Santo nelle sue permanenze
in Roma. Naturalmente ad alcuni siamo maggiormente legati (Tor de' Specchi, Via
Sistina...) e ad altri un po' meno. Inoltre, per alcuni abbiamo a disposizione abbon-
danza di materiale narrativo delle pagine delle Memorie Biografiche, mentre per
altri non è così. Sono questi i motivi che determinano la notevole differenza nella
lunghezza delle singole spiegazioni, più o meno dettagliate. Riferendoci all'abita-
zione dove don Bosco risiedette in ogni viaggio, non poteva mancare una breve
presentazione del viaggio e dei motivi che, in quel momento, avevano spinto il
Santo a scendere fino a Roma. Anche se nei due ultimi soggiorni romani (1884,
1887) Don Bosco risiedette al Sacro Cuore, abbiamo preferito trattare questo
nell'ultima parte: "le possibili case salesiane a Roma”, essendo l'opera del Sacro
Cuore il coronamento di tante imprese volte a creare un primo insediamento sa-
lesiano nella città eterna
2. I luoghi più visitati e cari al Santo
9 È fuori discussione che il luogo più visitato da Don Bosco è stato il Vaticano, in
ogni sue parte (Basilica, Cupola, Tomba di S. Pietro, Palazzi Apostolici, Udienze
Pontificie...). Vi sono però altri posti a cui Don Bosco era particolarmente legato.
Essi costituiscono questa seconda parte del lavoro. È stato inserito in questa par-
te anche il simpatico racconto dell'incontro di Don Bosco con un gruppo di ra-
gazzi, avvenuto in piazza del Popolo, perché ci è sembrata l'unica delle tre parti
dove questo poteva essere collocato senza forzature.

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3. Le possibili case salesiane a Roma
Molte volte Don Bosco ha pensato di mandare i suoi figli a Roma, per il bene del
popolo e per la vicinanza con la Santa Sede. I suoi pensieri sono caduti su molti
istituti già esistenti nella città e che il Santo prendeva in considerazione solo dopo
un diretto invito ad occuparsene (spesso del Papa). Dovette però aspettare che
fosse ultimata la costruzione della Basilica del Sacro Cuore, con l'annesso Ospizio,
per avere una casa tutta sua in Roma.
A coloro che desiderano visitare "salesianamente" Roma, auguriamo di poter trovare
in queste pagine dell'utile materiale, invitandoli a visitare, qualche istante di più,
dove riscontrano che vi è stato anche Don Bosco. Perché quel luogo che vi sarà
più caro, resterà maggiormente scolpito nella vostra mente ed in essa vi parrà di
trovare qualche cosa che vi appartiene: l'affetto, l'amore a San Giovanni Bosco”.
10

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Casa
De Maistre
Palazzo Volpi
Via del Quirinale, 21
Nel seicentesco palazzo Volpi, di fronte alla Chiesa di San Carlo al Quirinale
(del Borromini), abitava nel 1858 la nobile famiglia del Conte Carlo De Rodolfo
De Maistre, che ospitò Don Bosco durante tutta la sua permanenza a Roma nel
primo soggiorno (21 febbraio - 16 aprile 1858).
Don Bosco aveva preso alloggio in quella parte del
monte Quirinale detta le Quattro Fontane perché quattro
fontane perenni zampillano dagli angoli di quattro contrade
che ivi mettono capo. Il Conte Rodolfo De Maistre, la si-
gnora Contessa e le loro buone figliuole, i loro figli Fran-
cesco, Carlo ed Eugenio uffiziale nelle truppe pontificie, lo
trattavano con una attenzione ed una carità pari alla stima
e allantica amicizia, che gli professavano. Non avevano
cappella in casa, ma alluopo Don Bosco poteva celebrare
la Santa Messa in quella di certe suore del Belgio, le quali
occupavano un appartamento nel medesimo palazzo.
(M.B. V, 819-20)
Il Santo giunse qui, assieme al Chierico Michele Rua, stremato dal viaggio,
prima di intraprendere il quale aveva fatto testamento. (M.B. V, 804)
12
Non esistendo ancora una ferrovia continua tra Torino e Roma, dovettero
avventurarsi in un viaggio assai travagliato: in treno fino a Genova, dove si im-
barcarono sul battello "Aventino", col quale sbarcarono a Civitavecchia. Don
Bosco soffriva il mal di mare, e questo viaggio fu per lui un vero e proprio tor-
mento. (M.B. V, 811-814)
Da Civitavecchia, ripresosi un po' dal malessere della traversata, salirono su

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una vettura postale con la quale, facendo sosta a Palo per mangiare qualcosa,
alle 22,30 del 21 febbraio 1858, raggiunsero la città eterna.
Un certo brivido sorprese i viaggiatori al pensiero che entravano
nella Città Santa. Uno diceva: – Siamo a Roma! – Un altro: – Siamo
nella terra dei santi! – Fra queste e consimili espressioni pervennero
ove il vetturino aveva il suo luogo di fermata. Don Bosco era giunto
alla città dei Papi il 21 febbraio. Non avendo egli alcuna conoscen-
za del luogo, cercò una guida che per dodici baiocchi lo accompa-
gnò alla casa abitata dal Conte De Maistre, via del Quirinale n. 49,
alle Quattro Fontane. Don Bosco e i suoi compagni giunsero alle
undici e furono accolti con tanta bontà dal Conte Rodolfo e dalla
Contessa; gli altri della famiglia erano già a riposo. Preso un podi
ristoro si ritirarono anchessi nelle stanze loro assegnate.
(M.B. V, 818)
Il programma di questo suo primo soggiorno romano era:
Mettersi in relazione con ragguardevoli personaggi dellalma
città e con la loro scorta incominciare subito le sue visite ai luoghi
più celebri, ai santuari, alle basiliche, alle chiese che sincontrano ad
ogni passo. La sua divozione ardente aveva bisogno di uno sfogo, la
sua intelligenza desiderava contemplare le opere che i Papi avevano
innalzato in Roma, la sua memoria fra i ruderi maestosi dellimpero
anelava ad evocare le scene mirabili dei gloriosi martiri. Era suo
impegno far acquisto di esatte cognizioni per continuare a scrivere
le Letture Cattoliche, specialmente quelle che trattavano della Sto-
ria Ecclesiastica e della vita dei Papi. Bra-
moso di visitare tutto minutamente, anche
le meraviglie dellarte antica e moderna,
decise di consacrarvi un mese intero senza
altre distrazioni
(M.B. V, 821).
Purtroppo oggi non è possibile visitare l'interno del
palazzo, perché ospita delle abitazioni private.
Siamo qui!

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Palazzo
Vimercati
Piazza San Pietro in Vincoli
La Basilica di S. Pietro in Vincoli fu molto cara a Don Bosco; infatti egli
spesso vi si ritirava a pregare o a celebrarvi la Santa Messa. Questo attac-
camento si spiega anche per il fatto che nel suo secondo soggiorno romano
(7 gennaio - 2 marzo 1967) Don Bosco abitò in casa del Conte Vimercati,
nel palazzo adiacente l'artistica Chiesa.
Il viaggio verso Roma comportò un imprevisto:
A pochissima distanza da Roma incontrammo Mons. Ma-
nacorda ed il Cav. Marietti, che con mille feste entrarono con
noi nel vagone e ci condussero a Roma... Qui però accadde
cosa che disturbò alquanto la nostra contentezza. Non trovam-
mo più i nostri biglietti, si doveva pagare lintiera corsa.
Per interposizione però dei signori Manacorda e Marietti
fummo liberi protemporesperando di trovarli alla stazione dei
passaporti...
Larrivo di Don Bosco era stato già particolarmente
atteso:
15
Siamo qui!
Arrivato appena D. Bosco in Roma, come fosse venuto un
principe, tutta, la città si mosse; e le prime famiglie romane
vennero a fargli visita. Ma la voce di taumaturgo l'aveva
preceduto e molti infelici lo aspettavano come l'angelo sa-
lutare. Che fede, che confidenza nel nostro D. Bosco io non

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vidi e non sperava vedere mai! In tutti gli angoli della città, que-
sta mattina non si vedeva che manifesti: la Storia d'Italia del
Sac. Bosco Giovanni. Ci andava ancora questa improvvisata per
commuovere gli animi...
Il soggiorno iniziò subito con una guarigione dello stesso conte:
Appena messo piede in casa dell'ospite, Don Bosco erasi
recato nella stanza del Conte, santa persona, da lungo tempo
travagliato da acerbi dolori e da vertigini. Lo trovò a letto in uno
stato compassionevole, senza umana speranza di guarigione e
poca di potersi levare. Si rianimò tutto al comparire di Don Bo-
16
sco, il quale lo benedisse e gli annunziò che presto si sarebbe
alzato. Il Conte a tale annunzio gli rispose:
- Ebbene! - solo quando mi alzerò da letto, lascierò che
Don Bosco ritorni a Torino. - Egli così diceva credendo impossi-
bile ogni sollievo. Ma dopo due o tre giorni ecco si calmano i
dolori ed egli senza stento può levarsi e andare a pranzo colla

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famiglia. Don Bosco al vederlo entrare in sala gli disse:
- Signor Conte, ella vuol dunque che io vada a Torino? -
Il Conte ricordò le sue parole e protestò che era pentito
daverle pronunziate. Il buon Padre volse la cosa in facezia, di-
fatti quel miglioramento non era tale da potersi affermare che il
Conte fosse perfettamente ristabilito. Sembrava che il Signore
non volesse togliergli la croce che aveagli data pel suo meglio,
ma solo renderla meno pesante. Sta il fatto però che aveva
guadagnato molto di forze e la grazia concessa dalla Madonna
non poteva mettersi in dubbio.
Lattività di Don Bosco, in attesa delludienza papale fu molto intensa:
Fedele alla costante sua pratica di confessarsi tutte le setti-
mane, Don Bosco aveva scelto per confessore il Padre Vasco
Gesuita, direttore spirituale del Conte Vimercati, cui si recava a
visitare ogni otto giorni.
Ma ciò che giova rilevare si è che egli, fin dal primo giorno
che si trovò in Roma, aveva incominciato, e lo continuò per
tutto il tempo che vi rimase, un vero apostolato, predicando
ogni giorno, confessando sovente, visitando ammalati, istituti,
collegi, monasteri e conventi, dando udienze fino ad ora tardis-
sima della notte: consigliando ogni sorta di persone; lasciando,
colle medaglie della Madonna Ausiliatrice e colla benedizione
nel nome di lei, speranza di sanità a non pochi infermi. Moltissi-
mi si raccomandavano a lui come ad un santo, con grande
soddisfazione del Sommo Pontefice, pel gran bene che si anda-
va operando.
Oggi il palazzo del Conte Vimercati è affidato, assieme alla Basilica, alla
custodia dei canonici Lateranensi, che ne conservano attentamente l'antica
immagine. Infatti è possibile ammirare i corridoi e le sale dove il Santo, per
17
ore e ore, diede udienza alle migliaia di persone che chiedevano aiuto, guari-
gioni, consigli, conforto. Un cartello posto sopra lo stipite di una porta ricor-
da che in quella stanza fu ospitato Don Bosco "prima del 1870". Era questa
la camera del Santo. In questa casa il 26 Febbraio 1867 sono state scatta-
te dal fotografo Achille De Sanglau le uniche due fotografie romane del
Santo: quella di don Bosco col breviario in mano e quella nellatto di benedi-

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re "Don Francesia, il Signor Pardini, Maestro di casa, e il figlio di questi, ingi-
nocchiati innanzi a Lui" (M.B. VIII, 706). Egli, pur essendo restio al posare
per i fotografi, accondiscese alla richiesta del Conte (che voleva un ricordo
del prete torinese), per ringraziarlo della premurosa ospitalità.
Subito si sparse la voce di queste fotografie, soprattutto della seconda.
Il 26 febbraio, dopo la visita alle famiglie Altieri e Vitelleschi,
D. Bosco ritornava alla casa ospitale del Conte Vimercati per
intrattenersi con lui nelle ultime ore della sua dimora in Roma.
Accondiscendendo alle sue preghiere, permise che lo fotogra-
fassero in atto di benedire D. Francesia, il signor Pardini, mae-
stro di casa, e il figlio di questi, inginocchiati innanzi a lui. Pare
che qualcuno desiderasse che questo ritratto fosse posto in
vendita e ne corse la notizia; ma non se ne fece che una limita-
ta distribuzione di copie ad amici intimi e benefattori. Cordialis-
simi e commoventi furono nel pomeriggio i colloqui del conte
con Don Bosco, che anche in quelle ultime ore diede udienza a
persone che insistevano per parlargli.
Don Bosco partì da qui il 26 Febbraio 1867 per far ritorno a Torino,
lasciando in molti romani un ricordo indelebile, come scrisse il Mons. Mana-
corda al Cav. Oreglia:
Tengo ancora gli occhi gonfi dalle lagrime che mi procurò la
sua partenza. Ieri sera alle ore 8 ci lasciava qui in Roma quali
orfani desolati e commossi nel vederlo partire. La Signoria Vo-
stra saprà cosa fu la dimora di questo nostro buon padre in
Roma. Il vincitore di Magenta... diventerà un pigmeo di fronte a
D. Bosco. La nobiltà Romana che si confondeva colla plebe, e
dimenticava l'etichetta di corte per piegare il ginocchio a D.
Bosco e riceverne la benedizione, non lascierà l'anticamera del
Padre dei monelli, per sedere al fianco del gran Sire. Oh quanto
18
è potente la virtù di D. Bosco. Vorrei descriverle la scena della
sua partenza, ma non posso, non mi regge il cuore. D. France-
sia le dirà tutto.
Saputa la premurosa accoglienza dei romani, i ragazzi dellOratorio di
Valdocco non vollero essere da meno, accogliendo il santo con la famosa
scritta: "Roma ti ammira, Torino ti ama" (M.B. VIII, 714), che fu causa di
molte giuste contestazioni da parte dei romani e che Papa Giovanni XXIII
corresse in: "Tutto il mondo ti ammira, tutto il mondo ti ama".

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Casa
Colonna
Piazza Santa Chiara 49
In questo palazzo, nellallora via S. Chiara 49, abitava lo spedizioniere
apostolico Stefano Colonna, che ospitò il Santo nei suoi soggiorni del 1871
(giugno e settembre) e in quello del 1873 (24 febbraio - 4 marzo).
I motivi che spinsero il Santo a recarsi a Roma in questi viaggi erano
principalmente: le trattative tra Regno d'Italia e Santa Sede per la nomina di
oltre 60 vescovi di diocesi italiane vacanti e per l'approvazione delle Costi-
tuzioni Salesiane.
Don Bosco riuscì nelle trattative e più di 40 diocesi furono provviste del
loro pastore. Tra queste anche la diocesi di Torino. Il Santo insistette con Pio
IX affinché vi fosse promosso Mons. Gastaldi, finora suo grande amico.
Siamo qui!
Il Papa, anche se di parere diverso, accettò, dicendo
però al Santo: "Voi lo volete, e io ve lo do" (M.B. X, 19
443). ... Quante pene procurò a Don Bosco tale no-
mina! ... [Da iniziale amico, una volta vescovo di Tori-
no, il Gastaldi si dimostrò intransigente verso Don
Bosco, fino a sospenderlo dalle Confessioni nella sua
Diocesi].

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Oggi purtroppo, questo palazzo a pochi passi dal Pantheon è adibito ad
abitazioni private, per cui non è possibile visitarne l'interno.

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Casa
Sigismondi
Via Sistina 104
Abitava qui la famiglia Sigismondi, della quale don Bosco fu ospite ben
sei volte, negli anni 1873, 1874, 1875, 1876 (marzo e novembre),
1877 (gennaio-febbraio e luglio).
In quegli anni la preoccupazione principale del Santo era il consolida-
mento della sua opera e, in primo luogo, l'impegno per l'approvazione delle
Costituzioni salesiane da parte della Santa Sede.
Don Bosco risiedeva all'ultimo piano dell'edificio, dove spesso era co-
stretto a ritirarsi per stendere testi, correggere bozze, formulare domande,
scrivere lettere (in molte delle quali si legge ancora l'indirizzo: via Sistina
104).
Tra queste lettere riveste particolare importanza quella scritta il 16
marzo 1874 ai Direttori delle Case Salesiane, in cui il Santo, annunciando la
ormai prossima riunione della Commissione Cardinalizia incaricata di decide-
re circa l'approvazione delle Costituzioni Salesiane, chiese particolari pre-
ghiere e pratiche di pietà:
21
Dilettissimi figli in G. C.
Il giorno 24 di questo mese sarà assai memorabile per la nostra Pia
Società.
Voi ricorderete certamente come Essa sia stata definitivamente appro-
vata con Decreto del 1 Marzo 1869: ora si tratta della definitiva approva-
zione delle Costituzioni.

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A quest'uopo dal S. Padre venne scelta una Congregazione, di Cardinali, che
dovranno proferire il loro parere intorno a questo argomento che è dei più
importanti pel nostro bene presente e futuro. Le preghiere finora spesso racco-
mandate erano dirizzate a questo fine. Dobbiamo quindi
raddoppiare le nostre suppliche presso al Divin Trono, affin-
ché Dio Pietoso disponga che ogni cosa si compia secondo
la sua maggior gloria e il nostro particolare vantaggio spiri-
tuale.
Siamo qui!
Uniamoci pertanto nello spirito di viva fede, e tutti i congre-
gati Salesiani cogli allievi dalla Divina Provvidenza loro affi-
dati facciano, un cuor solo ed un'anima sola per implorare i
lumi dello Spirito santo sopra gli Eminentissimi Porporati con
un Triduo di preghiere e di esercizii di cristiana pietà.
Affinché vi sia conformità, nelle nostre suppliche alla Misericordia Divina si
stabilisce:
1° Cominciando il 21 di questo mese per tre giorni si farà rigoroso digiuno
da tutti i Soci Salesiani. Chi per motivo ragionevole non potesse digiunare reciti
il Miserere con tre Salve Regina alla B. V. Ausiliatrice col versetto: Maria, Auxi-
lium Christianorum, ora pro nobis.
Ciascuno aggiunga quelle preghiere e quelle mortificazioni che giudicherà
compatibili colle sue forze e coi doveri del proprio, stato.
2° Si invitino gli amati nostri allievi ad accostarsi colla maggior frequenza
possibile ai Sacramenti della Confessione e Comunione.
Al mattino si cominci col canto del Veni Creator Spiritus etc... Le preghiere,
il Rosario, la Messa, la Meditazione siano indirizzate a questo bisogno.
3° Lungo la giornata tutti i Soci Salesiani passino il tempo loro possibile
avanti al Santissimo Sacramento. La recita del Breviario, lettura spirituale, tutte
le preghiere ordinario, siano fatte in chiesa.
22
Il Piccolo Clero, gli iscritti alla Compagnia di S. Luigi, del SS. Sacramento,
dellImmacolata, di S. Giuseppe, siano eccitati a fare altrettanto.
4° La sera poi allora, più comoda ciascuno, si raccoglierà in chiesa, e colla
massima devozione, recitato il Veni Creator come al mattino, si farà la solita
pratica in riparazione degli oltraggi che Gesù riceve nel SS. Sacramento; canta-
ta quindi lAve maris Stella, si darà la benedizione col SS. Sacramento.

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Queste nostre umili istanze alla bontà del Signore comincieranno
il 21 e continueranno fino al mattino del 24 di questo mese inclusi-
vamente.
La Grazia di N.S.G.C. sia sempre con noi. Amen
Aff.mo in G.C. Sac. G. Bosco
Roma, 16 marzo 1874
IL 24 marzo si radunò quindi la Congregazione Particolare”, che si
svolse favorevolmente. Ma, per il protrarsi delle discussioni, i cardinali stabi-
lirono di radunarsi di nuovo il 31. (M.B. X, 790).
Il 31 Don Berto tornò a S. Andrea delle Fratte a far accendere due can-
dele all'altare della Madonna del Miracolo.
Alle 9 tornava a radunarsi la Congregazione Particolare per l'approva-
zione delle nostre Costituzioni; stette raccolta fino all'una e mezzo pomeri-
diana; e al dubbio proposto: - Se, e come debbano approvarsi le recenti
Costituzioni della Società' Salesiana nel caso? - Rispondeva: - AFFIRMATIVE
ET AD MENTEM.
Evidentemente anche il lavoro della Congregazione Particolare fu grave,
e per grazia di Dio e di Maria SS. Ausiliatrice pienamente favorevole.
Non si poteva desiderar di più! Dapprima gli Eminentissimi pensavano di
limitare l'approvazione ad experimentum per un decennio, cioè d'esigere un
decennio di prova all'approvazione definitiva; ma poi, attese le ripetute e
insistenti preghiere di Don Bosco, i buoni uffici del Card. Berardi e le nette e
favorevoli dichiarazioni del S. Padre, vennero alla votazione per l'approvazio-
ne definitiva, e tre Eminentissimi diedero il voto favorevole, uno ad decen-
nium.
Monsignor Segretario chiese una particolare udienza al S. Padre, che
gliela fissò per il pomeriggio del venerdì santo, 3 aprile, ascoltò attentamen-
te la relazione, e quando sentì che mancava un voto per l'approvazione
assoluta, sorridendo esclamò: - Ebbene, questo voto ce lo metto io!
24
Alle 6 pom. Mons. Vitelleschi era ancora in udienza, e di quella medesi-
ma sera Don Bosco si recava da lui a prender notizia della conclusione.
Monsignore sera seduto, in quel momento a tavola e stava mangiando la
minestra. Dopo alcuni istanti fe' entrar in sala Don Bosco, e, appena lo vide,
esclamò:
- Don Bosco, metta i lanternoni! Le Costituzioni della sua Congregazione
definitivamente approvate: e Dimissorie assolute AD DECENNIUM.

3.5 Page 25

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E il Santo nostro Fondatore, pieno di giubilo, per tutta risposta, con sem-
plicità infantile gli porse un grosso confetto di zucchero candito, ricevuto
dalla signora Monti dicendo: - Prenda questa caramella. Il colloquio si pro-
trasse fin verso le 10.
Le costituzioni Salesiane, dopo tante sofferenze, erano state finalmente
approvate! Veramente quest'opera costò a Don Bosco tanti sacrifici e tanta
fatica, se arrivò a dire: "se avessi saputo prima quanti dolori, fatiche, opposi-
zioni e contraddizioni costi il fondare una Società Religiosa, forse non avrei
avuto il coraggio di accingermi allopera".
IL 13 aprile fu quindi stilato il decreto di approvazione, che il Santo rice-
vette dalle mani di Don Berto proprio qui, in via Sistina.
La Santità di Nostro Signore Pio Papa IX, nell'udienza avuta dal sotto-
scritto Mons. Segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari; in
data 3 aprile 1874, Feria sesta in Parasceve, osservate attentamente le
Lettere Commendatizie dei Vescovi dei Luoghi, in cui esistono Case della Pia
Società detta dei Preti di San Francesco di Sales, e gli abbondanti frutti che
la medesima produsse nella Vigna del Signore, le soprascritte Costituzioni,
come si contengono in questo esemplare, di cui lAutografo si conserva
nell'Archivio di questa Sacra Congregazione, approvò e confermò, come col
tenore del presente Decreto le approva e le conferma, salva la giurisdizione
degli Ordinarii, secondo il prescritto dei Sacri Canoni e delle Apostoliche Co-
stituzioni.
Dato a Roma... il 13 Aprile 1874.
Card. BIZZARRI prefetto.
S. Arciv. di Seleucia Segretario.
Oggi il palazzo ospita privati, per cui è impossibile visitarne l'interno.
25

3.6 Page 26

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Monastero di
Tor de
Specchi
Via del Teatro Marcello 40
A pochi passi dallAra Coeli, il Campidoglio e i Fori Imperiali troviamo
uno dei luoghi più cari alla Famiglia Salesiana: il Monastero di Tor de' Spec-
chi. Questi ha una storia antica; fu fondato da S. Francesca Romana agli
inizi del XV secolo e, da allora, è un punto di riferimento per la vita cri-
stiana della capitale. Molti furono i Santi che, in diversi modi, ebbero con-
tatti con quest'opera: S. Filippo Neri, S. Bernardino da Siena, S. Roberto
Bellarmino, S. Gaspare del Bufalo, S. Francesco di Sales e S. Giovanni Bo-
sco.
Don Bosco era molto legato a questo Monastero e, dopo il 1870,
si interessò affinché questo non fosse incamerato dallo Stato, come tanti
altri beni ecclesiastici. Di questo interessamento fu pregato dalla stessa
Presidente delle Oblate, Madre Maddalena Galeffi e da D. Domenico Berti,
Beneficiario Liberiano, che gli scrisse:
Raccomando ai suoi valevolissimi uffici per la conservazione dei
beni ed ogni altra cosa dell'istorica casa di S. Francesca Romana,
tenuta dalle nobili Figlie di questa Santa, le Oblate, così dette di
26
Tor de' Specchi. Veda di slacciarle dalle unghie rapaci della giunta
liquidatrice, senza andare tanto per le lunghe con una lite presso il
Tribunale.
Egli non se lo fece ripetere due volte, e ne parlò subito al Ministro Lanza,
con il quale stava trattando per la questione della temporalità dei Vescovi:
- Veda, Don Bosco; i cattolici credono che io sia anticatto-

3.7 Page 27

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lico; tutt'altro!
E Don Bosco, prese la palla al balzo:
- Eccellenza, io avrei da domandarle qualche favore!
- E quale? parli pure.
- Di salvarmi le case religiose di Tor de' Specchi, delle suore
della Carità della Bocca della Verità, e quelle di Trinità dei Monti. Ed
espose anche particolari ragioni della domanda, cioè: le prime reli-
giose avrebbero potuto rivendicare i loro diritti in tribunale, le se-
conde prestavano servizi negli ospedali, le terze erano di naziona-
lità francese. Il Ministro rifletté alquanto, ne prese nota, e lassicu-
rò che quelle case sarebbero andate esenti dallincameramento, e
la promessa fu mantenuta.
In un'altra occasione,
...la Madre Galeffi mandò a chiamare lAvv. Patrocinatore della
causa di Tor de' Specchi...
Don Bosco lascoltò attentamente. Si fece spiegar bene lo stato
della causa, come era stata condotta, e poi si pose egli stesso ad
istruirlo intorno al modo di condurre a buon termine la questione e
in modo tale che lavvocato stesso ne fu stupito. In fine lo consi-
gliò che, se mai avesse veduto la causa volgere a male o allungarsi
di troppo, di scrivere ad un certo Cutica, impiegato a Firenze, da cui
dipendono interamente queste cose,
- Costui, diceva Don Bosco, mi conosce non solo, ma ci trat-
tiamo da veri amici... ed anche nel caso della perdita della causa...
ci tratterà con bontà e ci indicherà la via per essere vittoriosi, o ci
proporrà un aggiustamento. E, dopo questo bisognerà pensare ad
assicurare la casa e le sostanze di Tor deSpecchi in modo che il
Governo non possa più avere appiglio.
- Stia certo, soggiunse lavvocato, eseguiremo fedelmente i
suoi consigli.
Don Bosco era certo della buona riuscita dellO-
perazione e, nel 1870, scrisse alla Madre Presi-
dente una lettera, nel suo classico linguaggio im-
27
maginifico, che ancor oggi si conserva nellarchi-
vio del Monastero, dove si legge;
Siamo qui!
Era di mezzogiorno quando si oscurò il cielo e
si formò un oscurissimo temporale sopra il ritiro
e il monastero di Tor deSpecchi. In mezzo alle
fitte nubi apparvero mostri giganti, dragoni di va-
rio aspetto che vomitavano fuoco, gettavano
saette e spade sopra quel santo edifizio. Torre de

3.8 Page 28

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3.9 Page 29

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Specchi minacciava di essere ridotta in cenere, quando una donna
vestita da Regina, accompagnata da molti armati si avanzò verso i
mostri feroci portando avanti uno stendardo su cui era scritto: Io
sono laiuto dei cristiani. Al suo avvicinarsi quei mostri fecero orri-
bili contorsioni, e avventandosi luno contro laltro si dispersero
lasciando il cielo sereno. Quella regina, allora, disperse un cane-
stro di bellissimi fiori che tutti caddero sopra la casa di Torre de
Specchi. Le religiose e le figlie educande che tutte spaventate
eransi nascoste, uscirono e, giubilanti raccolsero quei fiori che riem-
pirono tutte le camere di fragrantissimo odore. Credo che capirà
tutto...”.
Nella paura dellincameramento dei beni, le religiose fecero un voto al
Sacro Cuore di Gesù: se avessero vinto la Causa contro la Giunta Liqui-
datrice dellAsse Ecclesiastico, le Oblate avrebbero osservato in perpetuo,
ogni anno, il digiuno stretto alla vigilia della festa del Sacro Cuore. Il voto
venne formulato ufficialmente il 10 maggio 1876 e nel mese di giugno Tor de
Specchi veniva dichiarata esente dalla confisca. Ancora oggi questo im-
pegno viene scrupolosamente mantenuto.
Il Santo, dal 1878 al 1882 (14° - 18° soggiorno) ebbe come punto di
appoggio Tor de' Specchi, più precisamente la "casa dei confessori'' (ora
demolita), che sorgeva proprio in faccia al Monastero, al n. 36 di via Tor
de' Specchi (oggi Via del Teatro Marcello).
Come mai il Santo ebbe in uso questi locali? Occorre tornare un po
indietro negli anni.
La benemerita madre Maddalena Galeffi, mossa da zelo per
l'istruzione religiosa non solo delle Signore componenti la casa da lei
presieduta, ma anche di tante altre persone e stimolata pure dal
desiderio di compiere una caritatevole opera a vantaggio dell'Orato-
rio, si faceva spedire da Bosco molte e svariate pubblicazioni, che
ella cercava industriosamente di esitare: erano libri ascetici, ma-
nuali di pietà, racconti morali ed ameni, ed anche immagini, meda-
glie, corone, crocifissi e simili. Dal 1870 in poi di questi oggetti le
si mandavano grandi casse, a ognuna delle quali i librai dell'oratorio
univano un catalogo con la specifica dei prezzi relativi, restando
29
sempre inteso che al mittente bisognava rimettere l'ammontare. In
breve tempo lo smercio divenne larghissimo, sicché le ordinazioni si
moltiplicavano; quanto alle somme ricavate dalla vendita, la buona
Presidente o le inviava di tanto in tanto a Torino, o le consegnava
nelle mani di Don Bosco o le affidava ad altri da lui incaricati.
Finalmente nel '74 ella pensò di richiedere al Beato un conto
più preciso dellimporto totale e delle somme versate, ed ecco che
allora ebbe la sgradita sorpresa di trovare che a suo debito rimane-

3.10 Page 30

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va una partita ancor molto rilevante, della quale non era in grado di
fornire alcuna spiegazione. Era stato sempre suo convincimento
che le somme spedite rappresentassero tutto il ricavato dalle ven-
dite successive in base ai prezzi di tariffa, mentre le cose stavano
in ben altro modo. La ragione fu che in questo negozio la Presidente
si serviva dell'opera altrui, avendo affidato a una persona secolare di
sua fiducia tutta la contabilità e il disbrigo delle operazioni finan-
ziarie; ma sembra che nel maneggio del danaro non ci fosse trop-
pa esattezza. La madre Galeffi, che non aveva alcun sospetto,
continuò l'opera buona fino alla morte, ingegnandosi di coprire a
poco a poco il disavanzo.
Avvenuta la sua morte nel gennaio del '76, la nuova Presiden-
te marchesa Canonici, tenutone proposito con Don Bosco, poté ve-
rificare a danno di lui una scadenza di lire 20.133,32, che non
apparivano pagate, sebbene le merci fossero state spedite e rice-
vute. La nobildonna, sebbene avesse diritto di eccepire che la Casa
di Tor de' Specchi non doveva dirsi obbligata per i contratti per-
sonali della defunta, pure sia in ossequio alla buona memoria del-
la compianta Superiora sia per delicati riguardi verso Don Bosco,
mostrò desiderio di comporre equamente la vertenza. Allora il Bea-
to, a cui interessava di avere in Roma un procuratore generale della
Congregazione e un punto di recapito per sé e per i suoi, domandò
come compenso che la Casa di Tor de' Specchi gli concedesse
l'uso gratuito di alcune camere per abitazione.
La madre Canonici; previo il consenso delle signore Oblate, an-
nuì di buon grado, mettendo a sua disposizione tutto il secondo
piano di una casa appartenente al Monastero e situata là di fronte
col numero 36. La concessione non poteva in alcun modo superare
la durata di trent'anni, esclusa anche la facoltà di sublocare in tutto
o in parte le camere. In corrispettività Don Bosco si riteneva salda-
to e soddisfatto del suo credito sia nel caso che si servisse della
concessione per l'intero trentennio sia che gli piacesse di servirse-
ne per un tempo minore od anche di non servirsene affatto. La
relativa scrittura venne firmata nel marzo seguente. I lettori non
immaginino che fosse un grande appartamento: una porticina im-
30
metteva dalla strada a una scaletta angusta e logora, che portava
a cinque stanzuccie strette e basse, dove si soffocava dal caldo
l'estate e si basiva dal freddo l'inverno.
La Cappella del Monastero riveste una importanza particolare per
tutta la Famiglia Salesiana, perché, oltre a recarvisi spesso a celebrare il
Sacrificio Eucaristico, Don Bosco tenne qui la prima conferenza ai Coope-
ratori Salesiani.
Un altro mezzo di diffusione efficacissimo [per far aderire allAs-

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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sociazione dei Cooperatori] furono le due conferenze annue, pre-
scritte dal Regolamento per il giorno di San Francesco di Sales e
per la festa di Maria Ausiliatrice.
Tali convegni servivano molto bene alla propaganda, sia perché
ne era libero l'ingresso, sia perché poi ne dava particolareggiate
notizie la stampa, sia anche perché offrivano talora occasione a
pubblicazioncelle che andavano per le mani di molti. Fino al '78
non serano tenute conferenze; Don Bosco ne diede allora l'e-
sempio a Roma e a Torino.
La conferenza romana fu al 29 gennaio 1878. Don Bosco si
prefisse di farla in modo che potesse servire ai modello a tutte le 31
altre, dovunque in seguito se ne facessero; perciò vi premise un'ade-
guata preparazione. Scelse anzitutto un luogo graditissimo all'ari-
stocrazia romana: la cappella delle nobili Oblate di Tor de' Spec-
chi.
Si procacciò poi l'intervento di nobili signori e signore, di prela-
ti e altri ecclesiastici in buon numero. Ottenne che vi andasse a
presiedere il cardinal vicario Monaco La Valletta, al quale si unì
l'eminentissimo Sbarretti.

4.2 Page 32

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Con l'invito mandò il programma a stampa, preceduto da que-
ste note illustrative.
CONFERENZA DEI COOPERATORI SALESIANI I
N ROMA 27 GENNAIO 1878.
Con l'autorizzazione e con l'intervento di S. E. Rev.ma il Sig.
Cardinal Monaco La Valletta, Vicario di Sua Santità, avrà luogo la
prima Conferenza dei Cooperatori Salesiani, come sta prescritto
nel capo VI, articolo 4° del Regolamento.
La radunanza sarà tenuta nella chiesa della Eccell.ma Casa del-
le Oblate di Santa Francesca Romana, nota sotto il nome di Torre
de' Specchi. Si entrerà per la porta maggiore dell'Istituto e si andrà
direttamente in Cappella.
Tutti i Cooperatori sono rispettosamente invitati. Sua Santità con
tratto di grande bontà concede indulgenza plenaria a tutti i Coope-
ratori che prenderanno parte a questa Conferenza.
Secondo la prescrizione delle regole sarà fatta una questua in
favore dei Missionari Salesiani che sono in America, per altri
che si preparano alla partenza, ed anche in favore di alcune case
che si stanno attivando in paesi, in cui ve n'è massima urgenza.
Roma, 25 gennaio 1878.
Sac. GIO. BOSCO.
Il concorso non poteva desiderarsi migliore né per numero né per
qualità d'intervenuti. Alle 3 pomeridiane un sacerdote salesiano
montò sul palco appositamente eretto secondo l'uso romano e
lesse nella vita del Salesio scritta dal Galizia il capitolo sull'Amore
del Santo verso i poveri: lettura ascoltata dai presenti con viva at-
tenzione. Indi una celebre cantatrice fece udire un bellissimo
mottetto sulle parole Tu es Petrus, eseguito con accompagnamen-
to d'organo.
Infine Don Bosco in berretta e ferraiolo pronunziò un discorso
durato tre quarti d'ora. Cominciò così: Eminenze Reverendissime,
nobili, e rispettabili signori. In questo bel giorno, dedicato a San
Francesco di Sales, prima solennità che celebra la Santa Chiesa
32
dacché ne venne proclamato Dottore, ha luogo in Roma la prima
conferenza dei Cooperatori salesiani, e a me è dato l'alto onore di
parlare alla vostra presenza. Il Santo Padre ci manda la sua apo-
stolica benedizione e ci concede il prezioso tesoro dell'indulgenza
plenaria, mentre il Cardinal Vicario si degnò di venire ad assistere e
a presiedere questa adunanza. Fu scelta all'uopo questa chiesa
delle nobili Oblate di santa Francesca: perché questo istituto fu il
primo che in questalma Città abbia cominciato a beneficare i
poveri ragazzi delle case salesiane.

4.3 Page 33

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Io stesso, che avrei dovuto trovarmi altrove, ho dovuto per forti
motivi trattenermi qua, e questo mi procaccia la dolce consolazione
di prendere parte a questa prima conferenza.
Sia dunque benedetto il Signore, siano sempre adorate le sue divi-
ne disposizioni. Intanto per secondare lo scopo di questa prima radu-
nanza io non fo un discorso accademico, non una predica morale, ma
un racconto storico intorno all'origine e progressi dei Cooperatori sale-
siani”.
Narrata la storia dei Cooperatori dagli inizi fino al momento in cui
parlava, proruppe in una calda esortazione, perché tutti coadiuvas-
sero i Salesiani nell'opera di salvare la gioventù. Illustri signori, dis-
se, i protestanti, gl'increduli, i settari di ogni fatta niente lasciano d'inten-
tato a danno dell'incauta gioventù e come lupi affamati si aggirano a
fare scempio degli agnelli di Cristo.
Stampe, fotografie, scuole, asili, collegi, sussidi, promesse, minac-
ce, calunnie, tutto mettono in opera a fine di pervertire le tenere ani-
me, trapparle dal seno materno della Chiesa, adescarle, tirarle a sé e
gettarle in braccio a Satana.
E quello che più addolora si è che maestri, istitutori e persino certi
genitori prestano la mano a quest'opera di desolazione. Ora, a spet-
tacolo così straziante ce ne staremo noi indifferenti e freddi? Non
sia mai, o anime cortesi; no, non si avveri che siano più accorti, più
animosi nel fare il male i figli delle tenebre, che non nell'operare il be-
ne i figli della luce. Laonde ciascuno di noi si faccia guida, maestro,
salvatore di fanciulli.
Alle arti ingannatrici della malignità contrapponiamo le industrie
amorose della carità nostra, stampe a stampe, scuole a scuole, col-
legi a collegi; vigiliamo attenti sui bimbi delle nostre famiglie, parroc-
chie ed istituti; e poiché una turba immensa di poveri ragazzi e ra-
gazze si trova in ogni luogo...
La sera stessa Don Bosco scrisse a Don Rua: Oggi abbiamo avu-
to una conferenza presieduta dal Card. Vicario... farà epoca nella sto-
ria. Vuol dire senza dubbio nella storia della Congregazione; ma e
perché non anche nella storia della Chiesa? Dopo il battesimo del 9
maggio 1876, questa conferenza, presieduta in Roma dal Vicario del
Papa, fu quasi la confermazione per la Pia Unione dei Cooperatori.
33
Molti sono gli episodi che si potrebbero raccontare sulla permanenza del
Santo a Tor de' Specchi, ma ce n'è uno che merita la nostra attenzione,
perché dimostra la rettitudine e la fermezza del Santo piemontese.
I protagonisti del fatto sono D. Bosco e Mons. Macchi, Maestro di Ca-
mera del S. Padre, un tempo amico di Don Bosco (che lo mise in buona luce
presso Pio IX) ed ora suo oppositore.

4.4 Page 34

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Accadde in quei giorni un episodio assai significante. Detto si-
gnore poneva ogni studio per non incontrarsi con Don Bosco. Una
mattina Don Bosco andò a celebrare la messa nella chiesa di Tor
de' Specchi. Nel convento mentre egli stava all'altare, venne pure
colui.
La Presidente, senza dir nulla, invitò Don Bosco a salire sopra per
prendere il caffè. Don Bosco accettò l'invito. Nemmeno quel tal si-
gnore era stato avvisa- to della presenza di Don Bosco. Trovatoselo
di fronte, Don Bosco restò sorpreso al vederlo; ma l'altro seppe
fare il disinvolto. Erano con lui due giovani svizzere, eleganti ma
sfacciate. Il signore, appena visto Don Bosco, gli disse accennando
alle giovani: - Veda, Don Bosco, che due bei tocchi di grazia di Dio!
- Don Bosco non rispose. L'interlocutore senza scomporsi pro-
seguì: - Che ne dice di queste due figlie?
- Ma io non me ne intendo e non so che cosa dire, rispose Don
Bosco. Io non credo che questi siano discorsi convenienti a un
prete.
- Oh, esclamò il primo ironicamente, se tutti i preti fossero co-
me lei, le cose andrebbero meglio!...
- Non dica, se fossero come me, osservò Don Bosco, ma se fos-
sero come li vuole Nostro Signore Gesù Cristo.
La Presidente interruppe l'increscioso dialogo, dicendo a quel
signore: - E quando procurerà un'udienza dal Santo Padre per Don
Bosco?
- Veda, rispose quel tale, il Santo Padre ha tante cose da fare,
che non ha tempo, almeno per ora, di dare udienza a Don Bosco.
Ma... vedremo... vedremo...
- Oh noi, fecero allora baldanzosamente le due giovani, in que-
sto mese abbiamo avuto quattro udienze dal Santo Padre!
Il Servo di Dio, udito ciò, non poté a meno di osservare a quelle
signore: - Loro, quattro volte in un mese sono state ammesse alla
presenza del Papa, e io che sono qui a Roma da più mesi, che ho
34
tanti affari da sbrigare, che chiedo udienza da tanto tempo, io
non posso ottenere di sbrigarmi per ritornare a Torino!
Quel signore rispose che avrebbe cercato, che si sarebbe vedu-
to, che qui e che là, e intanto continuò a fare i complimenti con
le signorine.
Don Bosco nauseato si levò e si ritrasse, accompagnato dalla
Presidente, alla quale disse:

4.5 Page 35

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- Signora, io non credeva che lei mi preparasse una simile sorpre-
sa.
- Scusi, Don Bosco, rispose la Presidente, io ho fatto questo, perché
potesse trovarsi una volta con quel signore e fare a lui stesso la do-
manda dell'udienza.
- Ebbene, replicò Don Bosco, mi faccia la grazia di adoperarsi,
perché io non mi trovi mai più a contatto con quest'uomo.
Concludendo, ricordiamo che le Oblate sono sempre state molto ospi-
tali e disponibili nei confronti dei Salesiani, verso i quali hanno dimostrato
anche grande generosità, aiutando economicamente i figli di Don Bosco per
la costruzione della Basilica del Sacro Cuore e la Chiesa di S. Maria Libera-
trice al Testaccio.
Il Monastero merita di essere visitato, prenotando telefonicamente la
visita.

4.6 Page 36

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36

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4.8 Page 38

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Il Vaticano
Piazza San Pietro
Città del Vaticano
IL Vaticano è senz'altro il colle di Roma che più di tutti ha visto la presen-
za di Don Bosco. In ogni suo viaggio nella città eterna, il Santo compì almeno
una visita alla tomba del Principe degli Apostoli e al suo Successore.
La biografia di Don Bosco è ricca di avvenimenti verificatisi in Vaticano,
per cui è stato necessario operare una scelta, tenendo maggiormente pre-
sente il primo soggiorno del Santo nella città (1858), di cui Don Rua ci ha
lasciato una cronaca dettagliata non solo delle visite compiute, ma anche
degli stati d'animo di Don Bosco nel visitare per la prima volta questi santi
luoghi.
Chissà quante volte egli aveva desiderato questo momento!
Egli non tralasciò di visitare nulla, avvalendosi anche della parola di Pio
IX: Procurate di vedere tutto ciò che è visibile(M.B. V, 862); la visita
durò infatti più giorni, come scrisse il Lemoyne.
I) LA BASILICA
38
Il 26 febbraio accompagnato dal Sig. Carlo De Maistre
e dal Ch. Rua, si diresse al Vaticano, colle il quale contiene
quanto vi ha di più memorabile nella religione, di più eccel-
lente nelle arti. Passando sopra il ponte Sant'Angelo recitaro-
no il Credo per acquistare i cinquanta giorni d'indulgenza
concessi dai Sommi Pontefici; e salutata la statua di S. Mi-
chele, dominante la mole Adriana, ridotta a fortezza, eccoli

4.9 Page 39

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sulla gran piazza della Basilica.
In questo spazio fu il circo nel quale Nerone condannava
i cristiani al supplizio del fuoco. Ora è circondato da 284
colonne con 88 pilastri disposti in semicerchio da ambo i
lati in quattro file che dividono il porticato in tre ambulacri,
dei quali il più ampio nel mezzo può dar transito a due car-
rozze; sopra il colonnato campeggiano 96 statue di santi.
In fondo alla piazza una magnifica gradinata mette al ve-
stibolo del tempio, tutto adorno di marmi, di pitture, statue
ed altri ornamenti.
Superiormente cè la gran loggia per la benedizione pa-
pale. Tutta quella facciata maestosa ed imponente regge
tredici statue colossali, rappresentanti il Salvatore con a
destra S. Giovanni Battista, e gli Apostoli, meno S. Pietro,
disposti ai lati. Nel centro della piazza fiancheggiato da due
meravigliose fontane, che gettano continuamente a grande
altezza torrenti di acqua, s'innalza un obelisco egiziano,
sormontato da una croce, nel mezzo della quale è incassa-
to un pezzo del Santo Legno.
Don Bosco e i suoi compagni si levarono il cappello e gli
fecero riverenza, lucrando con quest'atto altri cinquanta
giorni d'indulgenza.
La Basilica ha cinque porte; chiunque la visita in qualsia-
si giorno dell'anno, può guadagnare l'indulgenza plenaria,
purché abbia premessa la Confessione e la Comunione.
D. Bosco appena entrò, di fronte a tanta magnificenza
ed immensità, rimase buon tratto di tempo come estatico,
senza proferir parola; e la prima cosa che lo colpì
furono le statue in marmo dei fondatori degli Ordi-
39
ni religiosi, intorno ai pilastri della navata maggiore.
Gli parve di vedere la celeste Gerusalemme...
NOTA 33 - MB V,826-828
Siamo qui!
Non immaginava certo che un giorno anche lui, co-
me aveva sognato, sarebbe stato proprio lì, nella
grande Chiesa cuore del mondo. Infatti, in occasione
della sua Canonizzazione (1934), venne collocata,

4.10 Page 40

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sopra la statua bronzea di S. Pietro e leffigie di Pio IX, una grande sta-
tua in marmo bianco di Carrara, del peso di alcune tonnellate, raffigu-
rante il Santo con Domenico Savio e Zeffirino Namuncurà.
Torniamo al racconto...
La lunghezza della Basilica nella navata maggiore, dalla
porta di bronzo alla cattedra di S. Pietro, è di metri
185,37 e l'altezza fino alla volta di 46. È il maggior tem-
pio di tutta la cristianità. Dopo S. Pietro, il più vasto è
quello di S. Paolo in Londra.
Se a questo, diceva D. Bosco scherzando, aggiungiamo
la chiesa del nostro Oratorio si forma la precisa lunghezza
della Basilica Vaticana. Ciascuna cappella ha le dimensioni
di una chiesa ordinaria.
D. Bosco incominciò a visitare la navata minore a diritta
entrando, e la esaminò in ogni sua parte, cappella per cap-
pella, altare per altare, quadro per quadro. Osservò ogni
statua, ogni bassorilievo, ogni mosaico; contemplò le tombe
così splendide di vari Papi. Fra queste notò quella della fa-
mosa Matilde contessa di Canossa, la quale sostenne l'au-
torità Pontificia contro Enrico IV imperatore di Germania; e
l'altra di Cristina Alessandra regina di Svezia, che, essendo
protestante, conosciuta la falsità di quella setta, rinunziò al
trono per farsi cattolica, morendo in Roma nel 1655. D.
Bosco di ogni cosa prendeva e scriveva memoria, con dati
storici; ma soprattutto appagava la sua devozione.
Entrò nella cappella detta della colonna santa, ove si
conserva una colonna qui trasportata dal tempio di Geru-
salemme a cui si appoggiò Gesù Cristo allorché predicava
40
alle turbe. Si ammira che la parte toccata dalle sacre spal-
le del Salvatore non è mai coperta di polvere.
Si mise in adorazione nella cappella del SS. Sacramento,
il cui altare è dedicato a S. Maurizio e a suoi compagni
martiri che sono i protettori principali del Piemonte. Accan-
to a questo altare avvi uno scalone per cui si ascende al

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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palazzo pontificio.
Nella cappella gregoriana osservò venerata sull'altare
un'antica immagine di Maria SS., opera dei tempi di Pa-
squale II eletto nel 1099.
L'ultima stazione in quella chiesa la fece innanzi alla
tribuna principale detta della Cattedra, posta in fondo allo
spazio che forma come il coro dell'altare papale. Ci sono
quattro statue gigantesche di metallo, sopra un altare, che
sorreggono una gran sede pontificale della stessa materia.
Le due anteriori rappresentano S. Ambrogio e S. Agostino;
le due posteriori S. Atanasio e S. Giovanni Grisostomo. In-
cassata nella sedia di bronzo se ne conserva, come prezio-
sa reliquia, una di legno intarsiata d'avorio a vari bassori-
lievi. Questa sedia appartenne al Senatore Pudente e servì
all'Apostolo San Pietro e a molti altri Pontefici dopo di lui.
Venerato quel simbolo dell'infallibile magistero della
Chiesa, D. Bosco ritornò a prostrarsi innanzi alla Confes-
sione di S. Pietro; quindi si recò a piegare il capo dinanzi
alla statua in bronzo del Principe degli Apostoli, collocata
presso un pilone a destra, e a baciarne rispettosamente il
piede, che sporge alquanto fuori del piedistallo, in gran
parte consumato dalle labbra dei fedeli. È una statua fatta
gettare da S. Leone Magno, servendosi del bronzo di quella
di Giove Capitolino, in memoria della pace ottenuta da At-
tila.
Scoccavano le cinque pomeridiane, e D. Bosco sentivasi
molto stanco, poiché dalle undici del mattino egli, sempre
in piedi, erasi aggirato per quella navata della Basilica. Per-
ciò ritornava alle Quattro Fontane.
(M.B. V, 828-829)
41
Il 3 marzo era destinato a proseguire la visita della Ba-
silica Vaticana.
D. Bosco col Ch. Rua e il Conte Carlo usciva di casa alle
sei e mezzo, ed eccolo in S. Pietro presso all'altare papale,
che, isolato in mezzo alla crociera, si erge maestoso sopra
sette gradini di marmo bianco. Innanzi a questo avvi nel

5.2 Page 42

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5.3 Page 43

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pavimento un vasto vacuo regolare, cinto da una preziosa
balaustrata sulla quale ardono continuamente centododici
lampade sorrette da cornucopie di metallo dorato; e nel
quale, per mezzo di doppia marmorea scala, si discende al
ripiano della Confessione, posta sotto l'altare papale.
È una cappella ornata di preziosi marmi, di stucchi do-
rati e di ventiquattro bassorilievi in bronzo rappresentanti i
fatti principali della vita di S. Pietro; nel sotterraneo di essa
è nascosta la tomba del Principe degli Apostoli. D. Bosco
sull'altare di questa cappella, adorna di due antichissime
immagini dei Santi Pietro e Paolo dipinte sopra lastra d'ar-
gento, ebbe la fortuna di celebrare la S. Messa.
Dopo aver lungamente pregato, risalì nella Basilica e
diede uno sguardo attento alla navata di crociera lunga
circa 135 metri. Di sopra all'altare papale si aderge la
sterminata cupola, con metri 42 e 7 di diametro, la quale
sia per l'altezza e vastità, sia per gli splendidi lavori in mo-
saico eseguiti dai più celebri artisti, fa restare incantato chi
la rimira. È sostenuta da quattro piloni; ciascuno di essi
gira 70 metri e 85 centimetri ed ha una loggia detta delle
reliquie. Racchiudono in custodia il volto santo della Vero-
nica, una porzione della santa Croce, la sacra lancia ed il
teschio di Sant'Andrea.
Celebre la reliquia del sacro Volto che si crede essere
quel pannolino, di cui servissi il Divin Salvatore per tergersi
la faccia grondante sangue. Egli vi lasciò impressa la sua
effigie che diede a Santa Veronica, mentre saliva al Monte
Calvario. Persone degne di fede raccontano che quel sacro
volto l'anno 1849 trasudò sangue più volte, anzi cangiò
colore, in guisa da variarne i primieri lineamenti. Questi
fatti furono consegnati agli scritti e i canonici di S. Pietro
43
ne facevano testimonianza.
D. Bosco, penetrato da questi pensieri così atti a commuovere
un'anima piena di fede, si avvicinò alla cattedra di S. Pietro e,
dopo averle rinnovato l'atto del suo ossequio, volse il passo verso
la parte meridionale della Basilica e osservò altre tombe di Pon-
tefici, esaminò le sontuose cappelle e gli altari, specialmente

5.4 Page 44

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quello della Vergine della Colonna, così detto per l'immagine di
Maria Santissima dipinta sopra una colonna dell'antica basilica
Costantiniana. Venerava eziandio le urne che racchiudono i corpi
di vari Santi: degli Apostoli, Simone e Giuda, di S. Leone Magno,
dei Ss. Leone II, III, IV, di S. Bonifacio IV, di S. Leone IX, di S. Gre-
gorio Magno e di S. Giovanni Grisostomo. Infine si fermò all'ulti-
ma cappella della navata minore, ossia al battistero, la conca del
quale è di porfido.
Questa seconda visita a S. Pietro terminava mezz'ora dopo il
mezzodì, sicché il sig. Carlo De-Maistre riserbò per altra volta la
salita alla cupola.
(MB V, 839-840)
II) SULLA CUPOLA
Il giorno 8 di marzo fu dedicato a salire sulla cupola di S. Pie-
tro.
Il Canonico Lantiesi aveva procurato a Don Bosco e ai suoi
amici il biglietto, di cui deve essere munito chiunque desidera di
procurarsi questa soddisfazione.
Il tempo era sereno e D. Bosco, detta messa nella chiesa del
Gesù all'altare dedicato a S. Francesco Zaverio, per mantenere la
promessa fatta in Torino al Conte Zaverio Provana di Collegno,
giunse al Vaticano alle ore 9 in compagnia del sig. Carlo De-
Maistre e del Ch. Rua.
Consegnato il biglietto, fu loro aperta la porta, e incomincia-
rono a montar su per una scala assai comoda. Quasi vicino al
ripiano della Basilica sono notati i più celebri personaggi, Re,
44
principi che salirono fino alla palla della cupola, e osservarono
con piacere il nome di vari Sovrani del Piemonte e di altri membri
di Casa Savoia.
Qui diedero un'occhiata al terrazzo del gran tempio, che si
presenta come una vasta piazza selciata, la quale nel mezzo ha
una sorgente d'acqua perenne. Visitarono anche la campana
maggiore, il cui diametro è di oltre tre metri.

5.5 Page 45

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Ed eccoli per una scaletta fatta a lumaca, entrare nella prima
e poi nella seconda ringhiera interna della cupola e farne il giro.
Intanto D. Bosco notò che i mosaici, da lui contemplati ad uno ad
uno, i quali dalla chiesa apparivano tanto esigui, visti di lassù
prendevano forma gigantesca.
Guardando poi in basso, gli uomini che lavoravano o cammi-
navano nel tempio parevano altrettanti bambini e l'altare papale,
sormontato dal baldacchino di bronzo alto dal pavimento circa
29 metri, un semplice seggiolone.
Lultimo piano sovra cui ascesero è quello che posa sopra la
punta della cupola medesima. Avevano raggiunta l'altezza di me-
tri 118 e più. Quasi tutto intorno lo sguardo va a perdersi in un
orizzonte vastissimo.
C'era ancora la palla, per giungere alla quale bisogna passare
per una scaletta a perpendicolo arrampicandosi per sei metri,
come dentro ad un sacco.
Ma D. Bosco salì intrepidamente col Conte e col Ch. Rua, ed
eccoli nella palla che aveva intorno alcuni fori come piccole fine-
stre, e che poteva dar comodo ricetto a sedici persone. Qui,
all'altezza di circa 130 metri, D. Bosco prese a parlare di varie
cose riguardanti l'Oratorio di Torino, ricordò con affetto i suoi
giovani, ed espresse il desiderio di rivederli al più presto possibile
e di lavorare per la loro salvezza.
Ripreso fiato, discese senza più arrestarsi finché pervenne co
suoi amici alla porta d'uscita. Bisognoso di prendere un po' di
riposo, andò ad ascoltare la predica che da poco era incomincia-
ta nella Basilica.
Il predicatore gli piacque per la buona lingua e un bel gestire:
trattava dell'osservanza delle leggi civili.
45
Dopo la predica, restando a D. Bosco ancora un po' di tempo,
lo impiegò a visitare la sacrestia, che è una vera magnificenza,
degna di S. Pietro in Vaticano.
Intanto erano giunte le undici e mezzo, ed essendo ancora
digiuno andò a fare cosuoi compagni una piccola refezione.
(MB V, 850-852)

5.6 Page 46

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III) MUSEO PIO CRISTIANO
D. Bosco e il sig. Carlo De Maistre andarono a far visita a Mons. Borro-
meo, maggiordomo di Sua Santità. Furono accolti tanto bene, e dopo di
aver parlato molto delle cose del Piemonte e di Milano, sua patria, Monsi-
gnore prese il nome di D. Bosco, del signor Carlo e di Rua, per metterli sul
catalogo di quelli che desideravano di ricevere la Palma dalle mani del Santo
Padre.
Accanto alla loggia di questo prelato, intorno alle corti del
palazzo Pontificio, vi sono i musei. D. Bosco vi entrò, vide cose
veramente grandi, ma si fermò specialmente in un vasto salone
oblungo, ove è il museo Cristiano.
Ammirò pure molte pitture del Salvatore, della Madonna, dei
46
Santi e tra le altre un Buon Pastore che porta una pecorella sul
collo. Tali oggetti furono ritrovati nelle catacombe.
Dal Vaticano inoltrandosi nel centro di Roma, Don Bosco pas-
sò a piazza Scossacavalli, ove lavoravano gli scrittori del celebre
periodico La Civiltà Cattolica. Andò a far loro una visita, come
aveva promesso al P. Bresciani, e provò vero piacere notando che
i principali sostenitori di tale pubblicazione erano piemontesi.

5.7 Page 47

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D. Bosco sentiva un vivo desiderio di ritornare a casa; perciò
troncando ogni indugio era ormai giunto al Quirinale, quando il
coronaio Foccardi lo vide col signor De Maistre davanti alla sua
bottega e li invitò ad entrare. A forza di cortesie intrattenutili
alquanto, nell'atto che volevano assolutamente partire. - Ecco,
disse loro, ecco la vettura; io li accompagno e li porto a casa.
Sebbene D. Bosco si mettesse di mala voglia in carrozza, tut-
tavia per compiacenza accondiscese. E il Foccardi, pel desiderio
di trattenersi più a lungo con D. Bosco, lo condusse assai lontano
e lo fece girar tanto, che giunse a casa a notte oscura.
"Entrato in casa, scrisse D. Bosco, mi viene consegnata una
lettera: l'apro, la leggo, ed era del tenor seguente: " Si previene il
sig. Abate Bosco che S. Santità si è degnata di ammetterlo all'u-
dienza domani nove di marzo dalle ore undici e tre quarti ad
un'ora".
Tale notizia, sebbene aspettata e molto desiderata, mi diede
una rivoluzione al sangue, e per tutta quella sera non mi fu più
possibile di parlare d'altro se non che del Papa e dell'udienza ".
Il Cardinale Antonelli non aveva dimenticato la sua promessa.
(M.B. V, 853s)
IV) PRIMA UDIENZA PAPALE
Come abbiamo già detto, il motivo principale che muoveva Don Bo-
sco a scendere fino a Roma era il poter essere ricevuto in udienza dal
Santo Padre.
La prima udienza, tanto attesa, sarebbe poi passata alla storia, rac-
contata in ogni particolare dallo stesso Don Bosco e da Don Rua, che lo
accompagnò in veste di segretario.
Il Card. Antonelli, segretario di Stato, aveva promesso a Don Bosco 47
che si sarebbe interessato affinché questi fosse presto ricevuto in
udienza dal Sommo Pontefice.
E finalmente giunse il momento tanto atteso...
Il 9 marzo fu adunque il giorno dell'udienza papale; e D. Bo-
sco, avendo bisogno di parlare prima di questa al Card. Gaude,

5.8 Page 48

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andò a dir messa alla chiesa di S. Maria sopra Minerva, che è
uno dei più belli e ricchi edifizi sacri di Roma. Sotto l'altar mag-
giore avvi il corpo di S. Caterina da Siena. Offerto il S. Sacrifizio,
egli si recò dal Cardinale, al quale poté parlare subito, ed avuti
consigli ed informazioni, ritornò alle Quattro Fontane, affrettan-
dosi di preparare le domande da farsi al S. Padre.
Non erano lontane le undici, e D. Bosco e il Ch. Rua in man-
telletta, occupati da mille pensieri, giungono al Vaticano e ne
montano le scale più macchinalmente che scientemente. Entrati
nelle sale Pontificie, custodite da guardie svizzere e da guardie
nobili, i camerieri li salutano, facendo un profondo inchino; pren-
dono la lettera per l'udienza che D. Bosco teneva in mano, e di
sala in sala lo conducono col suo compagno, fino all'anticamera
del Pontefice.
Siccome vi erano parecchi altri in attesa di essere introdotti,
così dovettero aspettare circa un'ora e mezza.
"Quel tempo, scrisse poi D. Bosco, l'abbiamo impiegato ad os-
servare i luoghi ove ci trovavamo. Le sale sono grandi, maestose,
ben tappezzate, ma niente di lusso. Un semplice tappeto verde
copriva il pavimento. Le tappezzerie erano di seta rossa, ma sen-
za ornati, le sedie di legno duro. Un solo seggiolone, posto sopra
un palchetto alquanto elegante, indicava che quella era la sala
Pontificia. Questa cosa abbiamo veduta con piacere, ricordando le
mordaci ed ingiuste imputazioni che taluni vanno facendo contro
allo sfarzo ed al lusso della corte Pontificia ".
All'improvviso suona un campanello, e il prelato d'anticamera
fa loro cenno di avanzarsi e di entrare nella stanza del Papa. In
quel momento D. Bosco restò come confuso e dovette farsi una
48
specie di violenza per non perdere l'equilibrio. - Coraggio, disse,
andiamo. - Il Ch. Rua lo segue portando una copia, legata artisti-
camente, di tutti i fascicoli delle Letture Cattoliche. Entrano, ed
eccoli finalmente alla presenza di Pio IX; fanno una genuflessione
all'ingresso della sala, l'altra nella metà e la terza ai piedi del
Pontefice. Ma cessò quasi intieramente la loro apprensione,
quando videro in Pio IX l'aspetto di un uomo il più affabile, il più
venerando e nel tempo stesso il più soave che possa dipingere un

5.9 Page 49

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5.10 Page 50

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pittore. Non gli poterono baciare il piede, perché era seduto al
tavolino; gli baciarono la mano, e il Ch. Rua, memore della pro-
messa fatta ai suoi compagni, la baciò una volta per sé e una
volta per essi. Allora il Santo Padre fece loro segno di alzarsi e
mettersi davanti a lui. Obbedirono, ma D. Bosco volendo parlare
secondo che l'etichetta prescriveva, si rimise ginocchioni - No,
replicò il Papa, alzatevi pure.
Conviene qui notare, che annunziando Don Bosco al Papa, il
prelato introduttore aveva letto male il suo nome perché invece
di scrivere Bosco aveva scritto Bosser; perciò il Papa incominciò
ad interrogarlo così:
- Voi siete piemontese?
- Sì, Santità; sono piemontese e in questo momento provo la
più grande consolazione della mia vita, trovandomi ai piedi del
Vicario di Gesù Cristo.
- E in quale cosa vi occupate?
- Santità, io mi occupo nella istruzione della gioventù e nelle
Letture Cattoliche.
- L'istruzione della gioventù fu cosa utile in tutti i tempi; ma
oggidì è più necessaria che mai. Vi è anche un altro in Torino che
si occupa dei giovani.
Qui D. Bosco si accorse che non era dato giusto il suo nome,
e in pari tempo il Papa comprese altresì che egli non era Bosser,
ma Bosco, Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Allora
prese un aspetto assai più ilare e continuò:
- Che cosa fate nel vostro Ospizio?
- Un po' di tutto, santo Padre: dico la messa, predico, confes-
so, faccio scuola; alcune volte mi tocca andare in cucina ad inse-
gnare al cuoco, ed anche scopar la chiesa.
Il Santo Padre sorrise a questa risposta, e gli domandò più
50
cose riguardanti ai giovani, ai chierici, ed agli Oratori, dei quali
era già informato. Lo richiese pure del numero e del nome dei
sacerdoti che lo aiutavano, e di coloro i quali collaboravano nella
pubblicazione delle Letture Cattoliche.
Voltosi poi al Ch. Rua, gli chiese se era già Sacerdote, ed egli
rispose:
- Santità, non ancora, ma sono solamente chierico e percorro
il terzo anno di teologia.

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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- Che trattato studiate?
- Studio il trattato de Baptismo e de Confirmatione, e mentre
voleva terminare l'elenco degli altri, il Papa osservò:
- Questo è il trattato più facile.
Quindi voltatosi nuovamente a Don Bosco, con aria ridente gli
disse:
- Mi ricordo dell'oblazione mandatami a Gaeta, e dei teneri
sentimenti con cui quei giovanetti l'accompagnarono.
D. Bosco approfittò di quel medesimo discorso per esprimergli
lattaccamento di tutti i suoi giovani alla Sacra sua persona, e lo
pregava di gradirne un segno in una copia delle Letture Cattoli-
che.
- Santità, gli disse, Le offro una copia di quei libretti finora
stampati, e la offro a nome della Direzione; la legatura è lavoro
dei giovani di nostra Casa.
- Quanti sono questi giovani?
- Santità, i giovani della casa sono circa 200: i legatori 15.
- Bene, egli rispose, io voglio mandar una medaglia a caduno.
Quindi, andato in un'altra camera, dopo brevi istanti ritornò,
portando 15 piccole medaglie della Concezione.
Queste saranno pei giovanetti legatori, disse a D. Bosco, men-
tre gliele porgeva. Rivoltosi poi al Ch. Rua, gliene diede una più
grande, dicendo: - Questa è pel vostro compagno. Quindi rivoltosi
nuovamente a lui, gli porse una piccola scatola, che ne rinchiude-
va un'altra ancora più grande, dicendo: - E questa è per voi.
Essendosi essi inginocchiati per ricevere i preziosi regali, il
Santo Padre loro disse di alzarsi.
Credendo poi che eglino volessero già partire, Pio IX stava per
congedarli, quando Don Bosco prese a parlargli così:
- Santità, avrei qualche cosa di particolare da comunicarle.
- Va bene, rispose il Papa. Allora si fece cenno al Ch. Rua di
ritirarsi, ed egli fatta la genuflessione in mezzo alla camera, se 51
ne uscì.
Il Santo Padre ragionò di nuovo con D. Bosco intorno agli
Oratori e sullo spirito che vi s'insinua, e lodò la pubblicazione
delle Letture Cattoliche, dicendogli d'incoraggiarne i collaboratori,
che egli di cuore benediceva. Tra le cose che ripeté con vera
compiacenza fu questa: Quando penso a quei giovani, rimango
ancora intenerito per quelle 33 lire inviatemi a Gaeta. Poveri gio-

6.2 Page 52

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vani, aggiungeva, si privarono del soldo destinato alla pagnottella
e al companatico: gran sacrifizio per loro!
D. Bosco rispose: - Il nostro desiderio era di poter fare di più,
e fummo grandemente consolati alla notizia che l'umile nostra
offerta tornò gradita a Vostra Santità. Vostra Santità sappia, che
là in Torino ha una numerosa schiera di figli, che la amano tene-
ramente, ed ogni qualvolta loro accade di parlare del Vicario di
Gesù Cristo, lo fanno col più vivo trasporto di gioia.
Il Santo Padre udì ciò con molta soddisfazione, e fatto ricade-
re il discorso sugli Oratori, ad un certo punto uscì spontanea-
mente in questa dimanda a D. Bosco:
- Mio caro, voi avete messo molte cose in movimento, ma se
voi veniste a morire che cosa ne sarebbe dell'opera vostra?
Don Bosco, che stava per entrare nel suo argomento principa-
le, colse tosto la propizia occasione, e risposto che era appunto
venuto a Roma per provvedere all'avvenire degli Oratori, gli pre-
sentò la lettera commendatizia di Mons. Fransoni. E soggiungeva:
- Supplico Vostra Santità a volermi dare le basi di una Istituzione
che sia compatibile nei tempi e nei luoghi in cui viviamo.
Il Vicario di Gesù Cristo, letta la raccomandazione dell'intrepi-
do esiliato, conosciuti i progetti e le intenzioni di Don Bosco, se
ne mostrò molto contento e disse: - Si vede che andiamo tutti e
tre d'accordo. Pio IX esortò pertanto D. Bosco a redigere le rego-
le della Pia Società, secondo lo scopo che ne aveva concepito, e
gli diede in proposito importanti suggerimenti. Tra le altre cose gli
disse: - Bisogna che voi stabiliate una Società, la quale non possa
essere incagliata dal Governo; ma nel tempo stesso non dovete
contentarvi di legarne i membri con semplici promesse, perché
altrimenti non esisterebbero gli opportuni legami tra soci e soci,
52
tra superiori e inferiori; non sareste mai sicuro dei vostri soggetti,
né potreste fare lungo assegnamento sulla loro volontà. Procura-
te di adattare le vostre regole sopra questi principi e, compiuto il
lavoro, sarà esaminato. L'impresa però non è tanto facile. Si trat-
ta di vivere nel mondo senza essere conosciuti dal mondo. Tutta-
via, se in questa opera avvi il volere di Dio, Egli vi illuminerà. An-
date, pregate e dopo alcuni giorni ritornerete e vi dirò il mio pen-

6.3 Page 53

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siero.
Pio IX era pronto nel capire le domande e spedito nel dare le
risposte. In cinque minuti si poteva trattare con lui di affari pei
quali con altri si sarebbe richiesta un'ora. D. Bosco gli domandò
pure vari favori, che benignamente gli furono concessi.
In fine D. Bosco chiese la benedizione sopra le persone che in
qualche modo lo riguardavano.
Allora fu richiamato il Ch. Rua, rientrato il quale D. Bosco do-
mandò al Papa la santa benedizione, ed ambedue s'inginocchia-
rono per riceverla. - Ve la do di cuore, rispose il Santo Padre con
voce intenerita, mentre erano ancor essi del pari commossi. Ed
ecco la formula speciale che usò Pio IX, e che giudichiamo bene
di registrare quale gloriosa rimembranza.
Benedictio Dei Omnipotentis, Patris et Filii et Spiritus Sancti
descendat super te, super socium tuum, super tuos in soriem Do-
mini vocatos, super adiutores et benefactores tuos et super
omnes pueros tuos, et super omnia opera tua, et maneat nunc et
semper et semper et semper.

6.4 Page 54

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Sul finir dell'udienza il Papa, chiesto a D. Bosco se già avesse visitata
la Basilica di S. Pietro, gli dava il più ampio permesso di poter vedere
ogni monumento o cosa notabile che vi fosse nell'alma città, ordinando
al Monsignore dell'anticamera che innanzi a D. Bosco si aprisse ogni più
recondito ripostiglio. - Procurate di vedere tutto ciò che è visibile - gli
disse.
COMMENTO DI DON BOSCO: La bontà del Santo Padre, notò
D. Bosco, il mio vivo desiderio d'intrattenermi con lui avevano
portata l'udienza oltre a mezz'ora, tempo assai considerevole, sia
riguardo alla sua persona, sia riguardo all'ora del pranzo che per
nostra cagione gli era ritardato. Compresi di stima e di venera-
zione, confusi da tanti segni di benevolenza, partimmo dal palaz-
zo pontificio e ce ne andammo al Quirinale. L'impressione di que-
sta udienza sarà certamente incancellabile dal nostro cuore, ed è
poi per noi un argomento di fatto per poter dire che basta l'ac-
costarci al Pontefice per ravvisare in esso un padre che altro non
desidera che il bene dei suoi figliuoli, i fedeli di tutto il mondo.
Chi lo ascolta a parlare, egli è costretto a dire in cuor suo: - In
quell'uomo avvi qualche cosa di sovra umano che non apparisce
negli altri uomini”.
V) LA TOMBA DI SAN PIETRO
D. Bosco si giovò della licenza del Papa per visitare i sotterranei del-
la Basilica Vaticana. Questo spazio tra l'antico e nuovo pavimento costi-
tuisce appunto quei sotterranei detti anche grotte Vaticane. Qui furono
posti quasi tutti i monumenti che esistevano nella chiesa antica, fra i
quali pregevolissime opere di scultura e pittura: quadri in mosaico, se-
polcri dei Papi, sarcofaghi di personaggi celebri, statue, lapidi e altari.
54
D. Bosco narrava poi ai giovani: Ci vorrebbe un volume per notare
le grandi cose ivi vedute; ma noto una cosa sola ed è un'immagine di
Maria detta della bocciata. Questa immagine è posta in un altare sot-
terraneo ed è molto antica. Tal nome le fu dato pel fatto seguente. Un
giovane, per disprezzo o forse inavvertitamente, con una boccia andò a
colpire in un occhio l'immagine di Maria. Avvenne un gran prodigio.
Grondò sangue dalla fronte e dall'occhio, che si vede ancora rosseg-
giante sopra le gote dell'immagine. Due gocce sprizzarono lateralmente

6.5 Page 55

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sovra un sasso che conservasi gelosamente riparato con due cancelli di
ferro”.
Ma in quei sotterranei ciò che più attraeva D. Bosco era la
memoria del Principe degli Apostoli. Accompagnato da Mons.
Borromeo consumò la maggior parte di quel giorno a visitare la
Confessione. Poi si fece aprire la cripta sotterranea dove era la
tomba di San Pietro. Guardò, esaminò ogni oggetto, ogni angolo,
le mura, le volte, il pavimento. Quindi chiese se non vi era più
nulla da vedere. - Più nulla, gli fu risposto.
- Ma proprio la tomba del santo Apostolo ove è? - Qui sotto!
È sita profondamente sottoterra nello stesso luogo che occupava
quando era in piedi l'antica Basilica; e non fu più aperta da molti
secoli per timore che taluno possa tentare di spezzarne qualche
reliquia.
- Ma io vorrei giungere fin là.
- Non è possibile.
- Mi hanno detto però che in qualche modo si potrebbe vede-
re.
- Tutto ciò che si può far vedere glielo ho fatto, vedere: il di
più è rigorosamente proibito.
- Ma il Papa mi ha detto essere ordine suo che nulla mi si
tenga celato. Quando ritornerò a lui e mi chiedesse se ho visto
tutto, mi rincrescerebbe di non poter dire di sì.
Monsignore mandò a prendere alcune chiavi ed aprì una spe-
cie di armadio. Qui vi era un foro che scendeva sotterra. D. Bo-
sco guardò, ma tutto era tenebre.
- È contento? disse il Monsignore.
- Non ancora; vorrei vedere.
- E come vuol fare?
- Mandi a prendere una canna ed un cerino.
Venne la canna ed il cerino, che appiccicato sulla punta di
quella venne calato giù. Ma si spense tosto nell'aria morta. La
55
canna però non giungeva al fondo. Allora fu fatta venire una
seconda canna, che aveva all'estremità un uncino di ferro. Così si
giunse a toccare il coperchio della tomba di S. Pietro. Era sepolta
a sette od otto metri di profondità. Battendo leggermente, il suo-
no che veniva su, ora indicava che l'uncino urtava nel ferro ed
ora nel marmo. Ciò confermava quello che avevano scritto gli
storici antichi.

6.6 Page 56

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Don Bosco visitava tutto con ogni diligenza per servirsene nel
correggere la vita da lui già scritta di San Pietro.
(M.B. V,862s.)
Il Santo Padre intanto aveva espresso il desiderio che Don Bosco
assistesse in Vaticano al devoto e magnifico spettacolo di tutte le fun-
zioni della settimana santa. Quindi aveva dato incarico a Mons. Borro-
meo di invitarlo a nome suo, e di procurargli un posto dal quale potesse
con suo agio essere spettatore dei sacri riti.
VI) SETTIMANA SANTA A ROMA
Il domani, domenica delle Palme, 28 marzo, D. Bosco, col Ch. Rua,
entrò nella Basilica di S. Pietro molto prima che incominciassero le fun-
zioni.
Il Conte Carlo De-Maistre lo accompagnò alla tribuna de' di-
plomatici, ove eragli preparato il posto. Al suo fianco stava un
milord inglese protestante, meravigliato a quella solennità di riti.
A un certo punto un cantore soprano della cappella Sistina cantò
una parte da solo, ma così bene che Don Bosco ne fu commosso
fino alle lagrime e quel milord era rimasto come estatico. Termi-
nato quel canto il milord si volse a Don Bosco ed esclamò in lati-
no: - Post hoc paradisus! – Quel signore dopo qualche tempo si
convertì al cattolicismo e poi fu prete e Vescovo.
Come il Papa ebbe benedette le palme, venuto il proprio tur-
no, il corpo diplomatico, sfilò verso il trono del Pontefice, ed ogni
ambasciatore e ministro ricevette la palma dalle sue mani.
Anche D. Bosco e il Ch. Rua s'inginocchiarono ai piedi del Pon-
tefice ed ebbero la palma. Così Pio IX volle. E non era D. Bosco
56
un ambasciatore dell'Altissimo?
Il Card. Marini, che era uno dei due Cardinali diaconi assistenti
al trono, perché D. Bosco potesse assistere da vicino anche nella
cappella Sistina a tutte le altre funzioni della settimana santa, se
lo prese come caudatario.
Così il servo di Dio, in veste violacea, stette quasi a fianco del
Papa nel tempo dell'intero cerimoniale, e poté gustare i canti

6.7 Page 57

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gregoriani e le musiche dell'Allegri e del Palestrina.
Nel giovedì vide pontificare la messa dal Cardinal Mario Mat-
tei come il più anziano dei Vescovi Suburbicari; seguì il Pontefice
che processionalmente portava il SS. Sacramento alla Cappella
Paolina per riporlo nell'urna ivi preparata; lo accompagnò sulla
loggia vaticana dalla quale Roma attendeva la solenne benedizio-
ne; assistette in due vastissime gallerie del palazzo alla lavanda
dei piedi, fatta dal Papa a tredici sacerdoti, e alla loro cena com-
memorativa, servita dallo stesso Vicario di Gesù Cristo.
A proposito del venerdì santo così leggiamo in un opuscolo
stampato in Parigi nel 1883 col titolo Don Bosco à Paris par un
ancien Magistrat, a pag. 66. "A Roma un magistrato francese
stava inginocchiato vicino ad un sacerdote il giorno di venerdì
santo nella cappella Paolina adorando Gesù in Sacramento nel
Santo Sepolcro. Il magistrato era accompagnato da un signore
italiano, che nell'uscire gli disse:
- Avevate vicino a voi D. Bosco, un santo, il Vincenzo De' Paoli
di Torino.
E D. Bosco lo fu dell'Italia, e se Dio lo vuole, del mondo inte-
ro(commenta il biografo) D. Bosco dopo l'adorazione aveva ripreso il
suo ufficio di caudatario presso il Card. Marini.
Sabato santo pontificava il Cardinale Francesco Gaude.
VII) SECONDA UDIENZA
Ritornato al Quirinale, sul far della sera, ricevette linvito di recarsi in
Vaticano. Il Papa desiderava intrattenersi a lungo con lui, e lo accolse
nel modo più benevolo e paterno.
Prese subito a parlargli così. - Ho pensato al vostro progetto,
57
e mi sono convinto che potrà procacciare assai del bene alla gio-
ventù. Bisogna attuarlo. I vostri Oratori senza di esso come po-
trebbero conservarsi e come provvedere ai loro bisogni spirituali?
Perciò mi sembra necessaria una nuova Congregazione religiosa,
in mezzo a questi tempi luttuosi. Essa deve fondarsi sopra queste
basi: Sia una società con voti, perché senza voti non si manter-

6.8 Page 58

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rebbe l'unità di spirito e di opere; ma questi voti debbono essere
semplici e da potersi facilmente sciogliere, affinché il malvolere di
alcuno dei soci non turbi la pace e l'unione degli altri. Le regole
siano miti e di facile osservanza. La foggia di vestire, le pratiche
di pietà non la facciano segnalare in mezzo al secolo. Forse a
questo fine, sarebbe meglio chiamarla Società, anziché Congre-
gazione. Insomma studiate in modo che ogni membro di essa in
faccia alla Chiesa sia un religioso, e nella vile società sia un libe-
ro cittadino.
Quindi accennava ad alcune Congregazioni, le cui Regole ave-
vano speciale analogia con quella che meditavasi d'istituire.
D. Bosco allora presentava umilmente a Pio IX il manoscritto
delle sue Costituzioni. - Ecco, Beatissimo Padre, gli diceva, il re-
golamento che racchiude la disciplina e lo spirito che da venti
anni guida coloro, i quali impiegano le loro fatiche negli Oratori.
Mi era già prima d'ora adoperato a ridurre gli articoli in forma
regolare; ma nei giorni passati vi ho fatto correzioni ed aggiunte
secondo le basi che Vostra Santità degnavasi tracciarmi la prima
volta, che ebbi l'alto onore di prostrarmi ai Vostri piedi. Siccome
però nell'abbozzare i singoli capitoli avrò certamente in più cose
sbagliata la traccia proposta, così io rimetto il tutto nelle mani di
Vostra Santità e di chi Ella si degnerà di stabilire per leggere,
correggere, aggiungere, togliere quanto sarà giudicato a maggior
gloria di Dio ed al bene delle anime.
Il Pontefice prese dalle mani di D. Bosco quel regolamento,
svolse alcune di quelle pagine, approvò di bel nuovo l'idea che le
aveva ispirate e pose quel manoscritto sopra di un tavolino. Così
fu stabilito dallo stesso Vicario di Gesù Cristo, che D. Bosco
avrebbe messo mano alla fondazione di una nuova Società reli-
58
giosa.
Quindi il Papa si fece esporre minutamente i primordi dell'ope-
ra degli Oratori in Torino e ciò che aveva mosso D. Bosco a co-
minciarla, tutto ciò che si faceva e come si faceva e gli ostacoli
che si erano dovuti superare. Nell'udire le tante contraddizioni,
minacce, persecuzioni e lusinghe, esclamò, alludendo anche a
quanto egli stesso aveva sofferto dalla rivoluzione: - Davvero!

6.9 Page 59

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Ambulavimus per vias difficiles!
E D. Bosco gli rispose, sorridendo: - Ma, colla grazia di Dio,
non lassali sumus in via iniquitatis; - e continuò a narrare il gran
bene che il Signore erasi degnato di operare nella sua infinita
misericordia, e come molti giovani di straordinaria virtù fossero
vissuti e vivessero ancora nell'Oratorio.
Il discorso quindi si aggirò sulla vita di Savio Domenico, e Don
Bosco raccontò al Papa la visione del buon giovanetto sull'Inghil-
terra. Pio IX ascoltò con bontà e con piacere e disse:
- Questo mi conferma nel mio proposito di lavorare energica-
mente a favore dell'Inghilterra a cui ho rivolto le mie più vive sol-
lecitudini.
Tal racconto, se non altro, mi è come consiglio di un'anima
buona.
Ma questa rivelazione fece nascere un sospetto nella mente di
Pio IX, e, guardando fisso D. Bosco, gli chiese se anche egli aves-
se talora avuto arcana indicazione per procedere nell'opera che
aveva fondata; e siccome gli parve che D. Bosco esitasse alquan-
to, insistette perché gli raccontasse minutamente tutte le cose
che avessero anche solo apparenza di soprannaturale.
E D. Bosco con figliale abbandono gli narrò quanto si era pre-
sentato alla sua fantasia in sogni straordinari, che in parte già si
erano verificati, incominciando dal primo, quando egli era in età
di circa nove anni.
Il Papa lo ascoltò con viva attenzione e molto commosso, non
dissimulando che ne faceva gran caso; e gli raccomandò:
-Ritornato a Torino, scrivete questi sogni ed ogni altra cosa
che mi avete ora esposta, minutamente e nel loro senso natura-
le; conservatele qual patrimonio per la vostra Congregazione;
59
lasciatele per incoraggiamento e norma ai vostri figli.
Da ciò trasse argomento per esaltare la missione di chi si oc-
cupa della gioventù, usando le più affettuose espressioni di com-
piacenza; e nello stesso tempo accennò al bene che si operava in
Roma dagli Oratori festivi e da molti Istituti; e diede lode all'edu-
cazione ed all'istruzione impartita ai giovanetti nell'Ospizio apo-

6.10 Page 60

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7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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stolico di S. Michele. D. Bosco ascoltava e taceva; ma parve al
Santo Padre che egli non fosse pienamente del suo parere riguar-
do all'Ospizio di S. Michele: - Voi dunque, gli disse, sapete qual-
che cosa che io non so.
- Prego il Santo Padre a scusarmi, se non mi credo lecito fare
alcune osservazioni; ma se V. S. me lo comanda, parlerò.
- Allora ve lo comando e voglio che parliate.
D. Bosco parlò, usando tuttavia una prudente riserbatezza, ed
espose i giudizi di eminenti personaggi intorno all'Ospizio di S.
Michele, dei quali desideravasi che ne fosse informato il Pontefi-
ce. Pio IX, sorpreso a quelle non aspettate rivelazioni, disse
senz'altro che sarebbesi giovato di quelle notizie per rimediare ai
segnalati inconvenienti, ed essendosi parlato di laboratori, gli
chiese di quali mestieri, arti e studi si occupassero i giovanetti in
Valdocco.
Quindi lo interrogò: - Fra le scienze, alle quali vi siete applica-
to, quale è quella che vi è maggiormente piaciuta?
- Santo Padre, rispose D. Bosco, non sono molte le mie cogni-
zioni; quella però che mi piacerebbe e desidero si è scire Jesum
Christum et hunc crucifixum.
A questa risposta il Papa rimase alquanto pensoso, e forse
volendo mettere alla prova questa sua dichiarazione, gli manife-
stò come fosse stato molto soddisfatto per la riuscita degli eser-
cizi spirituali alle detenute, e che, per dargli un pegno della sua
stima ed affezione, aveva risoluto di nominarlo suo cameriere
segreto, col titolo di Monsignore. D. Bosco, che mai non aveva
ambito onori, modestamente ringraziò il Pontefice, dicendogli in
bel modo e scherzando: - Santità! che bella figura io farei,
quando fossi Monsignore, in mezzo ai miei ragazzi! I miei figli
non saprebbero più riconoscermi ed avere in me tutta la loro
61
confidenza se dovessero darmi il titolo di Monsignore! Non ose-
rebbero più avvicinarsi e tirarmi ora da una parte ed ora dall'al-
tra come fanno adesso. E poi il mondo, per questa dignità, mi
crederebbe ricco, ed io non avrei più coraggio di presentarmi a
questuare per il nostro Oratorio e per le nostre opere. Beatissimo
Padre! è meglio ch'io resti sempre il povero D. Bosco!

7.2 Page 62

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Il Papa ammirò un'umiltà così graziosa, mentre Don Bosco
senz'altro passava a chiedergli un'approvazione ed un permesso
per poter diffondere anche negli stati Pontifici le sue Letture
Cattoliche, e l'esenzione, se fosse possibile, dalla tassa postale
per i suoi libretti.
Pio IX gli promise che volentieri lo avrebbe contentato; ma lo
consigliò a presentarsi al Cardinal Vicario per farne parola ezian-
dio con lui, acciocché incominciasse ad aver notizia della sua
promessa.
Gli disse quindi di aver dato uno sguardo alla sua Storia d'Ita-
lia ed alle Letture Cattoliche; lodò molto la pubblicazione che da
lui si andava facendo delle vite dei Sommi Pontefici dei primi tre
secoli, e lo incoraggiò a scrivere, poiché in tal modo sarebbe sta-
to benemerito della Chiesa, massime in questi tempi; e soggiunse,
congratulandosi con lui: -Voi fate, colle vostre opere, rivivere i
miei Antecessori, specialmente quelli la cui vita era poco nota ai
fedeli.
E, dopo averlo interrogato da quali autori traesse le notizie
spettanti ai Papi, gli accordava a viva voce varie facoltà persona-
li, che D. Bosco aveagli domandate: quella in perpetuo di poter
confessare in omni loco Ecclesiae, e la dispensa dall'obbligo di
recitare il breviario.
Infine, non ancora soddisfatta la bontà dell'impareggiabile
Pontefice, concedevagli ogni possibile facoltà con queste parole: -
Vi concedo tutto quello che posso concedervi. - E ciò detto im-
partivagli la sua benedizione.
IMPRESSIONI: D. Bosco usciva dalla camera del Papa confuso e
commosso per tanta degnazione e narrava al Ch. Rua quanto eragli
62
occorso in questa memorabile udienza. La dispensa dal breviario era
un gran sollievo per la sua delicata coscienza, poiché sovente dal
mattino alla sera era occupato dalla moltitudine dei penitenti, dalle
visite e dagli affari. Tuttavia, finché poté, continuò a recitarlo per inte-
ro; o almeno in parte anche quando aveva stanca e inferma la vista e
indebolito lo stomaco.
Ma intanto, quanto è da ammirarsi l'affezione del Sommo Pontefice

7.3 Page 63

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per Don Bosco! Pio IX da quel momento fu sempre padre ed amico per
lui: lo ebbe in grandissima stima, desiderava la sua conversazione, ri-
chiedevalo più di una volta di consiglio, gli offriva ripetutamente digni-
tà ecclesiastiche per tenerlo vicino a sé. Don Bosco però, sempre ob-
bediente, eziandio ai suoi desideri, non credette dover accondiscendere
a tale offerta. Mentre egli chiedeva onorificenze per altri, per conto
suo sempre se ne sottrasse.
VIII) IL GIORNO DI PASQUA
Il 4 aprile le salve d'artiglieria dal Castel S. Angelo annuncia-
vano l'aurora del giorno di Pasqua.
Pio IX scendeva verso le dieci nella Basilica in sedia gestatoria
e cantava la S. Messa. Dopo i pontificali egli doveva benedire
secondo il solito urbi et orbi dalla loggia di S. Pietro. Sfilò il cor-
teggio dei Vescovi e dei Cardinali e salì alla loggia.
D. Bosco col Card. Marini ed un Vescovo restarono per un
istante vicino al davanzale, coperto di un magnifico drappo, sul
quale erano stati deposti tre aurei triregni. Il Cardinale disse a D.
Bosco:
- Osservate quale spettacolo! - D. Bosco girava sulla piazza
gli occhi attoniti. Una folla di 200.000 persone stava accalcata
colla faccia rivolta alla loggia. I tetti, le finestre, i terrazzi di tut-
te le case erano occupati.
L'esercito francese riempiva una parte dello spazio compreso
tra l'obelisco e la scalinata di S. Pietro. I battaglioni della fanteria
pontificia stavano schierati a destra e a sinistra. Indietro, la ca-
valleria e l'artiglieria. Migliaia di carrozze erano ferme alle due ali
della piazza, vicino ai portici del Bernini, e nel fondo presso le
case. Specialmente su quelle a nolo stavano in piedi gruppi di
63
persone che parevano dominare la piazza. Era un vociare cla-
moroso, un calpestio di cavalli, una confusione incredibile. Nessu-
no può farsi un'idea di tale spettacolo.
D. Bosco, che aveva lasciato il Papa nella Basilica nell'atto che
venerava le esposte reliquie insigni, credeva che avrebbe tardato
a comparire. Assorto nel contemplare tanta gente di ogni nazio-

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ne, a un tratto s'accorge che i due prelati sono scomparsi, e vede
a destra e a sinistra le stanghe della sedia gestatoria che gli era
sopraggiunta alle spalle senza che se ne avvedesse. Si trovò allo-
ra in una posizione difficile; stretto fra la sedia e la balaustra,
appena poteva muoversi; tutto intorno alla sedia stavano pigiati i
Cardinali, i vescovi, i cerimonieri e i sediari, sicché non vedeva un
varco per uscirne.
Rivolgere il viso al Papa era sconvenienza; voltargli le spalle
un'inciviltà; rimanere nel centro del balcone una ridicolaggine.
Non potendo far di meglio, si volse di fianco; allora la punta di un
piede del Papa posava sulla sua spalla. In quel mentre un silenzio
solenne regnò sulla piazza in modo che si sarebbe potuto udire il
ronzio di una mosca che vola. Gli stessi cavalli stavano immobili.
D. Bosco, per nulla turbato, attento ad ogni minimo incidente,
osservò che un solo nitrito, e il suono di un orologio che batteva
le ore, si fece udire mentre il Papa seduto recitava alcune pre-
ghiere di rito.
Egli intanto, visto che il pavimento della loggia era sparso di
frondi e di fiori, si curvò, e raccogliendo alcuni di quei fiori li met-
teva tra i fogli del libro che aveva in mano.
Finalmente Pio IX si alzò in piedi per benedire: aperse le brac-
cia, sollevò al Cielo le mani, le stese sulla moltitudine, la quale
curvò la fronte, e la sua voce nel cantare la formola della bene-
dizione, sonora, potente, solenne si udiva al di là di piazza Rusti-
cucci e dalla soffitta del palazzo degli scrittori della Civiltà Cat-
tolica.
La folla rispose alla benedizione del Papa con una immensa
calorosa ovazione. Allora il Card. Ugolini Giuseppe lesse in latino
il Breve dell'indulgenza plenaria e subito il Card. Marini lesse lo
64
stesso Breve in lingua italiana.
D. Bosco si era inginocchiato, e quando si rialzò la sedia ed il
Papa erano scomparsi. Tutte le campane suonavano a festa, tuo-
nava continuamente il cannone da Castel Sant'Angelo, le musiche
militari facevano risuonare le loro trombe.
Il Card. Marini allora, accompagnato dal caudatario, discese e

7.5 Page 65

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7.6 Page 66

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andò alla sua carrozza. Ma appena questa si mosse, D. Bosco
sentissi preso dal male prodotto da quel moto e gli si rivoltava lo
stomaco. Sofferse alquanto; ma non potendo più resistere, mani-
festò al Cardinale quel suo incomodo. Per consiglio del Cardinale,
salì in cassetta col cocchiere; ma continuando il malessere, scese
per camminare a piedi. Essendo in veste paonazza, sarebbe stato
oggetto di meraviglia o di scherno, se avesse attraversato Roma
tutto solo; allora il segretario, anche buonissimo prete e gentile,
scese di carrozza e lo accompagnò al palazzo del Cardinale.
Era scomparso quel momentaneo disturbo cagionato dalla
commozione provata in quel mattino, ma non cessò così presto
l'ilarità di tanti suoi amici piemontesi, fra i quali Tamietti Giovanni
di Cambiano, che lo avevano visto sulla loggia Vaticana. Quando
lo incontrarono:
- Ma bravo, gli dicevano, ma bene. Faceva una bella figura
così esposto a tutta la piazza! -
E D. Bosco apriva il suo libro e mostrava loro i fiori che lassù
aveva presi, i quali disseccati conservò sempre, cari ricordi di quel
giorno.
IX) TERZA UDIENZA
Don Bosco il 6 aprile ritornava ad un'udienza particolare di Pio IX col Ch.
Rua e il Teol. Morialdo, ammesso in Vaticano per gentile interposizione dello
stesso D. Bosco. Entravano nell'anticamera alle ore nove di sera, e subito D.
Bosco venne introdotto.
Il Papa appena lo ebbe innanzi gli disse con viso serio: - Abate
Bosco, dove vi siete andato a ficcare il giorno di Pasqua in tempo
della benedizione Papale? Lì, innanzi al Papa! E tenendo la spalla
66
sotto il suo piede come se il Pontefice avesse bisogno di essere
sostenuto da D. Bosco.
- Santo Padre, rispose D. Bosco tranquillo ed umile, fui colto
all'improvvista e le domando venia se io in qualche modo l'ho of-
feso!
- E aggiungete ancora l'affronto, col domandarmi se mi avete

7.7 Page 67

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offeso?
D. Bosco guardò il Papa, gli parve fittizio tale suo contegno; e
infatti un sorriso accennava di comparire su quelle labbra vene-
rande.
E il Pontefice continuò: - Ma che cosa vi è saltato in testa di
cogliere fiori in quel momento? Ci volle tutta la gravità di Pio IX
per non scoppiar dalle risa. E il Papa allora sorrise, e amorevol-
mente passò a dirgli senz'altro di aver letto con attenzione il
manoscritto delle Costituzioni dal primo all'ultimo articolo. Preso-
lo dal tavolino, glielo porse soggiungendo: - Consegnatelo al Car-
dinale Gaude, il quale lo esaminerà, e a suo tempo ve ne parlerà:
- D. Bosco lo aperse e vide che Pio IX aveva avuta la degnazione
di aggiungervi alcune note e modificazioni di propria mano.
Il Santo Padre propendeva che quel regolamento fosse tosto
dato ad una Commissione incaricata di riferire; ma D. Bosco gli
chiese che permettesse di metterlo per qualche tempo in esecu-
zione, per poi umiliarlo di nuovo a Sua Santità. Pio IX approvò e
nello stesso tempo gli indicò tutto il tramite che avrebbe dovuto
percorrere per ottenere la definitiva approvazione della sua Pia
Società colle relative Costituzioni.
Quindi D. Bosco gli rammentò varie suppliche che avevagli
presentate per ottenere concessioni di indulgenze nominatamente
per alcuni suoi benefattori, e per coloro che avessero promosso il
canto di laudi sacre. E il Papa benignamente assicurò che avreb-
be provveduto.
D. Bosco gli chiese eziandio un'indulgenza plenaria per tutti i
giovani che intervenivano agli Oratorii festivi, per quel giorno da
essi scelto in cui si accosterebbero ai SS. Sacramenti; la benedi-
zione apostolica a quelli che prendono parte attiva a questi ora-
tori; a coloro che in qualunque modo si adoperano per la diffu-
sione delle Letture Cattoliche; e ai giovani dell'Ospizio di S. Fran-
67
cesco di Sales; infine alcune facoltà speciali per D. Morizio e D.
Reviglio. E Pio IX gli concesse tutti i favori a lui chiesti.
- Ed ora, Beatissimo Padre, soggiunse D. Bosco, abbia la bon-
tà di suggerirmi una massima che io possa ripetere ai miei giova-
ni, come ricordo uscito dalle labbra del Vicario di Gesù Cristo.

7.8 Page 68

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- La presenza di Dio! rispose il Papa: dite ai vostri giovani in
mio nome che si regolino sempre con questo pensiero!... Ed ora
non avete più nulla da domandarmi? Voi desiderate certamente
ancora qualche cosa.
- Santo Padre, rispose egli, la Santità Vostra si è degnata di
concedermi quanto ho domandato, e per ora non mi resta che di
ringraziarla dal più intimo del cuore.
- Eppure, eppure, voi desiderate ancora qualche cosa.
A questa replica D. Bosco stava là come sospeso senza profe-
rir parola, quando il Pontefice soggiunse:
- E come? Non desiderate voi di fare stare allegri i vostri gio-
vanetti, quando
sarete ritornato in mezzo di loro?
- Santità, questo sì.
- Dunque aspettate.
Pochi istanti prima erano entrati in quella stanza il Teol, Mu-
rialdo, il Ch. Rua e D. Cerutti di Varazze, cancelliere nella Curia
Arcivescovile di Genova. Essi rimasero stupiti della famigliarità
colla quale il Papa trattava benignamente D. Bosco e di ciò che
videro in quel momento. Il Papa aveva aperto lo scrigno, ne trae-
va fuori colle due mani un bel gruzzolo di monete romane d'oro e
senza contarle porgevale a D. Bosco, dicendo:
- Prendete e date poi una buona merenda ai vostri figliuoli.
Ognuno può immaginare l'impressione che fece sopra Don Bosco
questo atto di sì paterna bontà di Pio IX, il quale con grande
amorevolezza si rivolgeva anche agli ecclesiastici sopravvenuti,
benediceva le corone, i crocifissi ed altri oggetti divoti che gli
68
presentarono, e dava a tutti un prezioso ricordo in medaglie. Era-
no tutti commossi, e quando il teologo Murialdo poté rivolgere la
parola al Papa, gli domandò una speciale benedizione per l'Orato-
rio di S. Luigi, a cui l'aveva preposto D. Bosco. Pio IX gli rispose: -
Sta bene occuparsi dei fanciulli: vi sono degli apostoli, che vorreb-
bero allontanare i ragazzi da Gesù; ma il alvatore diceva: Sinite
parvulos venire a me; e così dobbiamo fare noi. Iddio da molte

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benedizioni a chi si occupa a pro dei fanciulli, ed è grande conso-
lazione il salvarsi in compagnia di altri salvati da noi, mentre è
poltroneria volersi salvare da soli. - Disse allora il Teol. Murialdo:
- Il bisogno è grande specialmente nel nostro paese.
E subito ripigliò il Santo Padre: - Dappertutto, e certo anche
nel vostro paese, dove per le sregolatezze della stampa avvengo-
no gravi mali. Si stampa in un luogo; ma penetrano dappertutto
gli scritti, perché non si ha il muro della Cina per impedire loro
l'entrata. L'anno scorso nel mio viaggio a Firenze e a Bologna
ebbi a sequestrare migliaia di opuscoletti provenienti da Torino e
da Milano.
Non è a dire quanto tali parole confortassero più che mai il
Teol. Murialdo nella sua impresa, e il Papa non dimenticò lo ze-
lante giovane prete torinese, domandandone poi notizie a D. Bo-
sco nel 1867.
Ormai l'udienza era al suo termine: tutti si inginocchiarono per
ricevere ancora una benedizione dal Papa, il quale incoraggiò D.
Bosco, che si ritirava per l'ultimo, a proseguire l'opera sua, a pra-
ticare per esperimento le regole che avevagli presentate; e lo
esortò una seconda volta a scrivere minutamente quanto aveva
narrato a lui di cose soprannaturali, anche di quelle stesse di mi-
nor importanza, ma che avevano relazione colla prima idea for-
mata degli Oratorii, ripetendo che saperle, sarebbe stato di gran-
dissimo conforto, nei tempi avvenire, per coloro che avrebbero
fatto parte della nuova Congregazione. Mentre così parlava, en-
trò un Cardinale per sottoporre alla sua firma alcune carte, e Pio
IX interruppe il discorso e congedò D. Bosco dicendogli:
- Rammentatevi quel che vi ho detto.
All'indomani il Papa firmava i Rescritti di proprio pugno e li faceva
consegnare a D. Bosco; il quale, illuminato dai consigli e confortato dalle
parole del Vicario di Gesù Cristo, nei giorni che si fermò ancora a Roma,
69
ritoccava le regole della Pia Società di S. Francesco di Sales, e ne toglieva
e aggiungeva più altre per renderne la sostanza conforme ai sentimenti di
Pio IX.

7.10 Page 70

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Catacombe
di San
Callisto
Via Appia Antica 110
Don Bosco ebbe sempre una grande devozione ai Santi Martiri. Tale
devozione, unita al desiderio di conoscere i luoghi del loro martirio e della
sepoltura, per poterne poi scrivere con maggior precisione e chiarezza le
vite, lo portarono a visitare con puntigliosità le catacombe romane. Al
lattenta osservazione era però unito uno spirito di profonda fede e de-
vozione.
La sua attenzione si diresse in modo particolare verso le catacombe
di San Sebastiano e S. Callisto sulla Via Appia Antica, durante il soggiorno
del 1858.
Le ultime sue visite furono alla Confessione di San Pietro ed
alle catacombe. Dopo aver pregato nella basilica di S. Sebastia-
no, viste due delle frecce che ferirono il santo Tribuno e la co-
lonna cui fu legato, scese nelle sacre gallerie che custodirono le
ossa di migliaia e migliaia di martiri ed ove San Filippo Neri tan-
te notti vegliò in fervorose orazioni.
70
Passò quindi alle catacombe di S. Callisto. Quivi attendevalo
probabilmente il Cavaliere G. B. De Rossi, che aveva scoperte
quelle catacombe, ed al quale avevalo presentato Mons. di San
Marzano.
Chi entra in quei luoghi prova una tale commozione, che rima-

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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ne indimenticabile per tutta la vita; e D. Bosco era assorto in
santi dolcissimi pensieri nel percorrere quei sotterranei, ove i primi
cristiani, coll'assistere al S. Sacrificio, colle preghiere in comune,
col canto dei salmi e delle profezie, colla santissima Comunione,
coll'ascoltare la parola dei Vescovi e dei Papi, avevano trovato
la forza necessaria per il martirio che li aspettava.
È impossibile mirare ad occhi asciutti queloculi
che aveano rinchiuso i corpi sanguinosi o arsi di
tanti eroi del- la fede, le tombe di ben quattordici
Papi che avevano data la vita per testificare ciò
71
che insegnavano, e la cripta di S. Cecilia.
Siamo qui!
D. Bosco osservava i molti antichissimi affreschi
che simboleggiano N. S. Gesù Cristo e lEucarestia;
e le care immagini che rappresentavano lo sposali-

8.2 Page 72

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8.3 Page 73

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zio di Maria SS. con S. Giuseppe, l'Assunzione di Maria in cielo;
ed altre la Madre di Dio col bambino in braccio o sulle ginoc-
chia. Egli era incantato dal sentimento di modestia che splende
in queste immagini, nelle quali larte cristiana primitiva aveva
saputo riprodurre la bellezza incomparabile dellanima e lideale
altissimo della perfezione morale che si deve attribuire alla Ver-
gine divina.
Non mancavano altre figure di santi e di martiri.
Don Bosco usciva dalle catacombe alle 6 della sera e vi era
entrato alle 8 del mattino. Aveva preso un podi refezione presso i
religiosi che le hanno in custodia. (M.B. V, 919-920)
A volte il destino gioca strani scherzi, ed oggi il Sacro Cimitero è ac-
curatamente custodito dai figli di Don Bosco, e l'antico monastero trappi-
sta (dove il Santo si fermò a pranzo) è una casa di formazione per giovani
salesiani .
In essa è ancora riconoscibile l'antico nucleo, risalente ai tempi della
visita di Don Bosco. Una statua del Santo, di fronte all'ingresso dellIstituto
"San Tarcisio", ci ricorda che qui Don Bosco, che un tempo fu soltanto
visitatore, oggi è di casa.
La visita di queste catacombe, definite da Papa Giovanni XXIII le più augu-
ste e le più celebri di Roma, è caldamente consigliata.
73

8.4 Page 74

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Santa Maria
sopra
Minerva
Piazza della Minerva 42
Questa chiesa, fondata nel VII secolo sopra i resti di un tempio di Mi-
nerva Calcidica e rifatto in forme gotiche attorno al 1280, era molto
amata dal Santo Piemontese. Egli, infatti, spesso vi si recava a celebrare
il Divino Sacrificio e a predicare. Un altro motivo che spiega l'assiduità delle
visite del santo a questa chiesa è che nel palazzo ad essa adiacente abi-
tava il Card. Gaude, piemontese e suo amico.
È stato questo tempio uno dei primi luoghi che il Santo visitò in Ro-
ma, il 23 febbraio 1858.
Verso le nove si portarono alla chiesa di Santa Maria sopra
Minerva, così detta perché costrutta sopra le rovine di un tempio
dedicato a tale Dea. Entrati nel convento, furono accolti con
somma bontà dal Card. Gaude che quivi aveva la sua dimora e li
attendeva. Quel porporato, che era in ottima relazione con D.
Bosco, lo trattenne ad udienza privata circa
un'ora e mezzo. Egli si compiacque di parlare
74
il proprio dialetto piemontese lo interrogava
intorno alle cose degli Oratorii festivi, chiedeva
altre notizie più essenziali sulle condizioni della
Chiesa negli stati sardi e ascoltava benigna-
mente ciò che D. Bosco gli disse sulle Costitu-
zioni che aveva seco portate. Colle sue parole
e coi suoi modi dimostrava che l'alto grado del Siamo qui!

8.5 Page 75

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quale era insignito non aveva alterato punto sua umiltà, e nem-
meno gli aveva fatto diminuire l'amor patrio e l'affezione verso i
suoi antichi amici. In occasione di questa visita e in tutto ciò che
poi occorse a Don Bosco nel trattare col Cardinale, gli die' aiuto il
Padre Marchi Domenicano, che per lui ebbe molta deferenza e si
offrì pure di servirlo in tutto quello che gli sarebbe potuto occor-
rere durante il suo soggiorno in Roma.
Più di una volta il Santo si raccolse in preghiera nella Chiesa d i S. Maria
sopra Minerva, in momenti particolarmente importanti, come fece il 9 mar-
zo 1858, prima di recarsi in Vaticano per essere ricevuto per la prima
volta da Pio IX.
Il 9 marzo fu adunque il giorno dell'udienza papale; e D. Bo-
sco, avendo bisogno di parlare prima di questa al Card. Gaude,
75
andò a dir messa alla chiesa di S. Maria sopra Minerva, che è uno
dei più belli e ricchi edifizi sacri di Roma. Sotto l'altar maggiore
avvi il corpo di S. Caterina da Siena. Offerto il S. Sacrifizio, egli si
recò dal Cardinale, al quale poté parlare subito, ed avuti consigli
ed informazioni, ritornò a casa, affrettandosi di' preparare le do-
mande da farsi al Papa.

8.6 Page 76

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8.7 Page 77

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Santa Maria
in Cosmedin
Piazza Bocca della Verità 18
Anche nell'antica chiesa di S. Maria in Cosmedin il Santo veniva
spesso.
Il tempio fu eretto nel VI secolo sopra una grande aula porticata
di età flavia, di cui restano varie colonne incorporate nelledificio, che
sorgeva presso un grandioso altare e due templi consacrati a Ercole
Invitto e a Cerere.
La Chiesa, ingrandita da Adriano I nellVIII secolo fu data ai Greci
che, fuggiti alle persecuzioni degli iconoclasti d'oriente, si erano sta-
biliti nei quartieri presso il Tevere; da essi ebbe il nome di Schola
Graeca e S. Maria in Cosmedin (il termine greco che significa
"ornamento").
Annesso alla Chiesa è il Monastero delle suore della Carità, salva-
to per intervento di Don Bosco dall'incameramento dei beni. La stes-
sa mattina del 6 marzo, dopo aver visitato l'Ospizio San Michele in
Ripa, e ricevuto in dono alcuni lavori eseguiti dai giovani, Don Bosco
ripassa il Tevere al ponte rotto e deve rifugiarsi nel vestibolo della
Chiesa di Santa Maria in Cosmedin (dove cè il faccione della Bocca
77
della Verità), per ripararsi da un violento acquazzone che li aveva
sorpresi. Vestibolo già occupato da alcuni bovari, con cui, inevitabil-
mente, Don Bosco attacca bottone”.
Quivi attesero che si calmasse un acquazzone che inondava

8.8 Page 78

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tutte le vie, e osservavano in una piazza, detta della Bocca della
verità, molti buoi aggiogati che riposavano nel fango, esposti al
vento e alla pioggia. I bovari erano venuti sotto al medesimo
vestibolo e si posero a pranzare con un appetito invidiabile. In-
vece di minestra o pietanza avevano un pezzo di merluzzo cru-
do, da cui ciascuno strappava un brano di mano in mano che
gliene occorreva. Le loro pagnotelle erano di segala e di meliga.
Acqua la bevanda.
Scorgendo in loro un'aria di semplicità e di bontà, D. Bosco si
avvicinò: Eh! avete buon appetito?
- Molto! rispose uno di essi.
- Vi basta quel cibo a togliervi la fame e a sostentarvi?
- Ci basta; e grazie a Dio quando si può averne, giacché es-
sendo poveri non possiamo pretendere di più.
- Perché non conducete quei buoi nella stalla?
- Perché non ne abbiamo.
- Li lasciate sempre esposti al vento e alla pioggia, giorno e
notte?
- Sempre, sempre.
- Fate lo stesso ai vostri paesi?
- Sì, facciamo lo stesso, perché abbiamo poche
stalle; perciò o piova, o faccia vento, o nevichi,
giorno e notte stanno sempre all'aperto.
Siamo qui!
- E le vacche e i vitelli piccoli sono anch'essi espo-
sti a tali intemperie?
- Egualmente. Tra noi si usa che gli animali di stalla stanno
78
sempre in stalla, e quelli che cominciano a stare fuori, se ne
stanno sempre fuori.
- State molto lontano di qui?
- Quaranta miglia.
- Nei giorni festivi potete assistere alle sacre funzioni?

8.9 Page 79

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- Oh! chi ne dubita? Ci abbiamo la nostra cappella, ci abbia-
mo il prete che ci dice messa, fa la predica e il catechismo, e
tutti, comunque lontani, si danno premura d'intervenire.
- Andate anche qualche volta a confessarvi?
- Oh! senza dubbio. Ci sono forse cristiani che non adempio-
no questi santi doveri? Adesso ci è il giubileo e noi tutti ci dare-
mo sollecitudine di farlo bene.
Da questi discorsi appariva la buona indole di quei paesani, i
quali vivono contenti della loro povertà e lieti del loro stato,
purché possano adempire i doveri di buon cristiano e disimpe-
79
gnare ciò che riguarda l'umile loro mestiere. Mentre essi parla-
vano, D. Bosco pensava al gran bene che avrebbero fatto conti-
nuate missioni apostoliche nella vastità dell'agro Romano, pen-
siero che non lo abbandonò più nel corso intero della sua vita.

8.10 Page 80

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9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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Nel vestibolo della Chiesa si conserva la famosa "bocca della
verità", un mascherone romano così chiamato a causa della leg-
genda, che dice che, per provare la verità di una persona, basta
che questi infili la sua mano nella "bocca" della verità! Ai bu-
giardi questa verrebbe mozzata.
La fama della bontà di D. Bosco andava diffondendosi in Roma
per le
di quanti si erano
a lui in quei po-
chi giorni. Anzi D. Rua afferma come fosse noto a molti
e
a lui lo narrassero, il
accaduto in Torino nel 1849, di quel
alla perché si potesse confessare,
essi
di
ciò che era
in quella
circostanza.
si
in Roma qualche
vari sacer-
doti e alcuni Padri della
di
del
e che
per bene
e la sua
il
non
di far
chi
Bosco, nelle
case
e nei
dei
e ai
di un
del quale tutti
la e la
era
piena fe-
de.
81

9.2 Page 82

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Santa Maria
del Popolo
Piazza del Popolo 12
Anche questa Chiesa, come quella di Trinità dei Monti, è una delle
più famose della città. Essa sorse da una cappelletta costruita da
Pasquale II (1099) a spese del popolo romano (donde il nome), sul-
le tombe dei Domizi, forse in ringraziamento per la conquista di Ge-
rusalemme (avvenuta nel luglio dello stesso anno, al termine della
prima crociata).
Fu restaurata, ingrandita e ritoccata più volte da artisti come il
Bramante e il Bernini.
Qui si recavano spesso i nobili romani (molti dei quali avevano
parenti sepolti nella stessa
Chiesa). E' perciò normale che Don Bosco vi si recasse spesso a
celebrare la Messa, ad incontrare nobili romani, e a raccogliere delle
sostanziose offerte per le sue numerose opere.
Il 7 marzo, Domenica, era destinato per la visita della gran-
diosa chiesa detta S. Maria del popolo, alla quale è annesso il
Convento dei Padri Agostiniani.
Nell'altar maggiore si venera un'immagine miracolosa della
Madonna, attribuita a S. Luca.
82
Alcune pie e nobili persone desideravano che D. Bosco an-
dasse colà a celebrare la santa Messa, nella quale intendevano
fare la loro santa Comunione.
Erano le 9 quando il signor Filippo Canori Foccardi, coronaio
dei sacri palazzi apostolici e che teneva anche negozi di reli-
quiarii, mosaici, camei ed altri oggetti di belle arti, persona piena
di fede e di fervore, venne a prendere D. Bosco colla propria vet-

9.3 Page 83

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tura. D. Bosco, celebrata la S. Messa e appagata la sua divozio-
ne e quella dei fedeli, dato uno sguardo alla Villa Borghese e
all'artistica gran piazza del popolo, alle due chiese S. Maria dei
miracoli e S. Maria di Monte Santo che decorano ai due lati
l'ingresso alla via del Corso, salì di nuovo in vettura
e si recò a casa della principessa Potocka, apparte-
nente alla famiglia dei Conti e principi Sobieski, anti-
chi sovrani di Polonia. Qui era stata preparata la
colazione. (MB 5, 895 - 896)
Merita tutta la nostra attenzione un simpatico e
significativo episodio durante il suo primo sog-
giorno a Roma, nel 1858, in Piazza del Popolo. E'
Siamo qui! un fatto (avvenuto forse il giorno precedente il
suo rientro a Torino:14 Aprile 1858): che ci dimo-
stra la grande capacità pedagogica del santo Torinese e la sua facili-
tà nell'avvicinare i ragazzi e farseli amici.
Fra i Cardinali che passò ad ossequiare vi fu l'Eminentissimo
Tosti, per invito del quale aveva altra volta indirizzate alcune 83
parole ai giovani dell'Ospizio di San Michele. Il Cardinale, soddi-
sfatto della cortesia di Don Bosco, essendo l'ora della sua pas-
seggiata, palesò il desiderio di averlo per compagno, ed ambe-
due salirono in carrozza. Si incominciò a parlare del sistema più
adatto all'educazione dei giovani. Don Bosco erasi sempre meglio
persuaso che gli alunni di quell'Ospizio non avevano famigliarità coi

9.4 Page 84

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superiori, anzi li temevano: cosa poco piacevole, comandando ivi
i preti. Perciò diceva: - Veda, Eminentissimo, è impossibile poter
bene educare i giovani se questi non hanno confidenza nei supe-
riori. - Ma come, replicava il Cardinale, si può guadagnare que-
sta confidenza? - Col cercare che essi si avvicinino a noi, to-
gliendo ogni causa che da noi li allontani. - E come si può fare
per avvicinarli a noi? - Avvicinandoci noi ad essi, cercando di
adattarci ai loro gusti, facendoci simili a loro. Vuole che faccia-
mo una prova? Mi dica: in qual punto di Roma si può trovare un
bel numero di ragazzi? - In Piazza Termini, in Piazza del Popolo;
rispose il Cardinale. - Ebbene: andiamo dunque in Piazza del Po-
polo. Il Cardinale diede ordine al carrozziere, e si andò. D. Bosco
scese di carrozza, e il Cardinale rimase osservando. Don Bosco,
visto un crocchio di giovanetti che giuocavano, si avvicinò, ma i
biricchini fuggirono. Allora li chiamò colle buone maniere e i gio-
vani dopo qualche esitanza ritornarono. D. Bosco li regalò di
qualche cosuccia, domandò notizia delle loro famiglie, chiese a
qual giuoco si divertissero, li invitò a ripigliarlo, si fermò a pre-
siedere al loro trastullo, ed egli stesso vi prese parte. Allora altri
giovani che stavano guardando in lontananza corsero nume-
rosissimi dai quattro angoli della piazza intorno al prete, che
tutti li accoglieva amorevolmente ed aveva per tutti una buona
parola ed uno regaluccio; loro chiedeva se fossero buoni, se di-
cessero le orazioni, se andassero a confessarsi. Quando volle al-
lontanarsi, lo seguirono per un buon tratto, e solo lo lasciarono
allorché risalì in carrozza. Il Cardinale era meravigliato. - Ha
visto? gli disse D. Bosco. - Avevate ragione; esclamò il Cardina-
le. Ma questa ragione parve che non lo distogliesse dal riguar-
dare necessario il sistema adoperato nel reggere l'Ospizio di S.
Michele. Sua Em. era autoritario; per lui doveva essere un assio-
ma che la confidenza fa perdere la riverenza. Pio IX infatti, do-
84
po che ebbe parlato con D. Bosco, convocati presso di sé alcu-
ni dei capi dell'Ospizio e udite le loro rimostranze, si persuase
di dover rimediare ai più gravi inconvenienti. Ma il Cardinale Tosti
si oppose a qualunque riforma. Fu come un muro di bronzo e a
nulla si poté rimediare...
(MB V, 917-918)

9.5 Page 85

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9.8 Page 88

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Ospizio di
San Michele
a Ripa
Piazza di Porta Portese
Lungotevere Ripa
L'Istituto Romano di San Michele (già Ospizio), pia istituzione
fondata nel XVI secolo con lo scopo di raccogliere ed istruire nelle
arti i giovani poveri e di ospitare gli anziani e le fanciulle orfane, fu
ospitato in una costruzione che ha una fronte di 334 metri. L'edifi-
cazione del palazzo vide impegnati, per oltre un secolo, Carlo Fonta-
na, poi il Fuga ed il Forti.
L'edificio ospitava dapprima l'Ospizio, a cui fu annessa una casa di
correzione per i giovani, poi il carcere delle donne e la caserma dei
doganieri.
Include la chiesetta della Madonna del buon viaggio e la grande
Chiesa a croce greca di San Michele (opera del Fontana).
L'Istituto ha oggi una nuova sede a Tor Marangia, e l'antico palaz-
zo ospita numerosi uffici del Ministero dei Beni Culturali ed è sede di
numerose mostre.
In un primo momento Don Bosco vi si recò soltanto per visitare
88 questa famosa istituzione, ma poi vi tornò più volte, su incarico del
Papa. Pio IX voleva infatti conoscere il pensiero dell'educatore pie-
montese circa il sistema pedagogico praticato nellOspizio. In seguito
lo stesso Pio IX insistette affinché Don Bosco ne prendesse la dire-
zione, ma l'Opposizione di coloro che ne erano a capo consigliò il
Santo a desistere dall'impresa.

9.9 Page 89

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Ecco il racconto della prima visita di Don Bosco a quest'Opera,
risalente al 29 febbraio 1858.
Nel pomeriggio si decise di portarsi col Conte Rodolfo De-
Maistre al grande Ospizio di S. Michele in Ripa posto di là del
Tevere, per ossequiare il Cardinale Antonio Tosti che ne era il
Presidente. Sua Eminenza era stato in Torino, incaricato d'affari
presso il Governo di Piemonte dal 1822 sino al 1829 acqui-
standosi l'affettuosa stima del fiore dei nobili e dei dotti.
Don Bosco e il Conte passato il fiume, dopo aver prestato
ossequio nell'Isola Tiberina alla chiesa di San Bartolomeo, che
conserva sotto l'altar maggiore le ossa dell'Apostolo; vista pure
la chiesa di S. Cecilia edificata nel sito medesimo ove fu la casa
di questa Santa, veneratone il corpo, che dopo tanti secoli con-
servasi incorrotto, giunsero all'Istituto di S. Michele.
La facciata principale dell'edifizio si estende per ben 345
metri, avendone 80 di profondità e 23 nella massima sua altez-
za: il suo circuito è di circa un chilometro. Albergava oltre ad
800 persone, la maggior parte giovanetti.
D. Bosco e il suo nobile compagno ebbero tosto una graziosa
accoglienza dal Cardinale, che raccontò ad essi varii episodii
accaduti a lui nel tempo della repubblica e come fosse stato
costretto a vivere alcun tempo lontano dall'Ospizio per non
restare la vittima di qualche assassinio.
Mentre si congedavano, l'illustre porporato li invitò a visitare
l'Ospizio, pregandoli ad avvertirlo del giorno e dell'ora nella qua-
le avrebbe avuto il piacere di rivederli.
Don Bosco volentieri accettò l'invito del Porporato, e la settimana se-
guente visitò con più calma l'ospizio.
La mattina del 6 marzo D. Bosco accompagnato 89
dalla famiglia De Maistre e dal Ch. Rua, si recò a
visitare il magnifico Ospizio di S. Michele in Ripa.
Siamo qui!
Il Cardinale Tosti, che li attendeva, avea imbandito
per loro una sontuosa colaziuncola, alla quale però
D. Bosco e i suoi amici non presero parte. Una leg-
gera refezione era stata loro servita prima di uscir

9.10 Page 90

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di casa, e non volevano mancare alla legge del digiuno.
Allora il Cardinale ebbe la degnazione di accompagnarli per
ogni piano e sala dell'Ospizio, seguito da uno dei direttori. Quivi i
giovani apprendevano le arti meccaniche e le arti liberali. Quelli
che si occupavano nelle prime avevano i loro opificii per calzolai,
sarti, fabbri ferrai, falegnami, tintori, cappellai, sellai, ebanisti.
Molti lavoravano in una tipografia e in una legatoria di libri. Pio
IX, a fine di beneficare questo Ospizio, avevagli concesso il privi-
legio, in forza del quale soltanto colà potevansi stampare i libri
scolastici, che si usavano in tutti gli stati Pontificii.
Quelli che accudivano alle arti liberali, sotto la direzione di
abili maestri, ed erano il maggior numero, davano opera alla
fabbricazione dei tappeti ed arazzi del genere di quelli dei Gobe-
lins, come pure all'intaglio in legno, alla pittura, alla scultura,
all'incisione in camei, in rame e di medaglie.
D. Bosco passava di laboratorio in laboratorio. Era già stato
fatto consapevole dell'andamento di quella casa dal conte De
Maistre e da varii signori romani laici ed ecclesiastici, i quali si
lamentavano che gli amministratori avevano alquanto eluso lo
scopo di quella fondazione. Infatti l'Ospizio, invece di ricoverare
giovani tutti poveri, manteneva fanciulli anche di famiglie bene-
stanti coi redditi della carità, e figli e nipoti d'impiegati e di per-
sonaggi molto autorevoli qui ricevevano la loro educazione. Per-
ciò inevitabili le preferenze e le gelosie.
Il vitto giornaliero della comunità era abbondante di carne e
di vino, e i prudenti facevano osservare che la maggior parte
degli alunni non avrebbero potuto onestamente procurarsi tale
imbandigione quando fossero usciti dall'Ospizio.
Alle arti meccaniche, trascurate perché umili e che avrebbero
dovuto assicurare il pane alla gran maggioranza dei ricoverati,
90
erano preferite le arti liberali, perché recavano più lustro allo
stabilimento, specie gli arazzi ed i tappeti che ornavano i palazzi
dei varii principi. Dava causa eziandio a lamentanze il sistema
repressivo adoperato per mantenere la disciplina fra i giovani; e
si infliggevano punizioni corporali antiquate, non troppo severe,
ma che avvilivano il trasgressore dei regolamenti. In quella stes-

10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

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10.2 Page 92

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sa mattina gli amici avevano cercato di indurre D. Bosco a ten-
tar la prova per far cessare quei disordini, col palesare al Cardi-
nale Presidente le voci per Roma diffuse contro certi ammini-
stratori dell'Opera Pia. D. Bosco però non credette doversi immi-
schiare in questioni di tal genere.
Tuttavia egli osservava ogni cosa: i giovani, i capi d'arte, gli
istitutori ed assistenti; esaminava con qual perfezione si ese-
guissero i lavori; interrogava gli uni e gli altri, con quella finezza
bonaria, che era tutta sua propria, in modo da potersi dar ra-
gione dello spirito dominante: e notava nella sua mente ciò che
parevagli più degno di considerazione. Vide intanto pareti e pa-
vimenti tersi come specchi: fiorente la sanità degli alunni, assi-
dua la vigilanza degli assistenti, insegnata con amore la scienza
del catechismo, fissati i giorni per i sacramenti della Confessione
e della Comunione. Ad ogni classe poi di alunni veniva impartita
un'istruzione letteraria conveniente al loro stato.
Egli adunque constatò che, se vi era qualche difetto più o
meno grave, dal quale non va esente nessuna opera umana,
pure un gran bene ne risultava a vantaggio dei figli del popolo.
Non però tutto quello che poteva aspettarsi; infatti non gli sfug-
giva l'impaccio e l'evidente timore che manifestavasi in molti
alunni, quando i superiori comparivano in mezzo a loro, oppure
quand'essi dovevano recarsi a render conti negli uffici della dire-
zione. Ciò faceva male a D. Bosco, perché l'indole dei fanciulli
romani era espansiva ed affettuosa; quindi pensava al modo di
dare una lezione pratica a quesuperiori, del suo sistema nell'e-
ducare; e il destro gli venne agevole.
Mentre D. Bosco si aggirava per que' immensi locali, accom-
pagnato dal Cardinale e da qualche superiore subalterno, si udì
92
zufolare e poi cantare. Ed ecco un giovanetto che discendeva lo
scalone, e che ad uno svolto si trovò all'improvviso alla presenza
del Cardinale, del suo Direttore e di D. Bosco. Il canto gli morì
subito in bocca e stette col berretto in mano e colla testa bas-
sa. - È questo, dissegli il Direttore, il profitto degli avvisi e delle
lezioni che vi sono date? Screanzato che siete! Andate al vostro
laboratorio ed aspettatemi per ricevere la meritata punizione. E
lei sig. D. Bosco, scusi ...

10.3 Page 93

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- Che cosa? replicò D. Bosco mentre quel giovane si era al-
lontanato. Io non ho nulla da scusare, e non saprei in che abbia
mancato quel poveretto.
- E quel zufolare villano non le sembra un'irriverenza?
- Involontaria però; e lei, mio buon signore, sa meglio di me
che S. Filippo Neri era solito a dire ai giovani che frequentavano
i suoi Oratorii: - State fermi se potete! E se non potete, gridate,
saltate, purché non facciate peccati. Io pure esigo, in certi tempi
della giornata, il silenzio; ma non bado a certe piccole trasgres-
sioni cagionate dall'irriflessione; del resto lascio amiei figliuoli
tutta la libertà di gridare e cantare nel cortile, su e giù per le
scale: soglio raccomandarmi soltanto che mi rispettino almeno
le muraglie. Meglio un po' di rumore che un silenzio rabbioso o
sospetto... Ma ciò che ora mi fa pena è che quel povero figliuolo
sarà in grave fastidio per la sua sgridata... nutrirà qualche risen-
timento... Non le sembra che sia meglio che lo andiamo a consola-
re nel suo laboratorio?
Quel Direttore fu tanto cortese da aderire al suo desiderio, e
come furono nel laboratorio, D. Bosco chiamò a sé quel giovane,
che dispettoso e avvilito cercava di nascondersi, e: - Amico, gli
disse, ho una cosa da dirti. Vieni, qui che il tuo buon superiore
te lo permette. Il giovane si avvicinò e D. Bosco proseguì: - Ho
accomodato tutto, sai; ma con un patto che d'ora in avanti sii
sempre buono, e che siamo amici. Prendi questa medaglia e per
compenso dirai un'Ave Maria per me.
Il giovane vivamente commosso baciò la mano che gli pre-
sentava la medaglia e disse: - Me la metterò al collo, e la terrò
sempre per sua memoria. I suoi compagni, che già sapevano il
caso succeduto, sorridevano, e salutavano D. Bosco che attra-
versava quella vasta sala, mentre il Direttore faceva il propo-
nimento, di non più rimproverare alcuno tanto forte per un
93
nonnulla; e ammirava l'arte di D. Bosco per guadagnarsi i cuori.
Il Conte De Maistre narrava più volte questo fatto. Finalmen-
te, visitate tutte le sale, l'Em.mo porporato, D. Bosco e la comi-
tiva erano giunti sul terrazzo che ricopre tutto l'edifizio, del
quale a mezzodì il Tevere rasenta il muro, formando un angolo
ove erano legati parecchi battelli. Questo si può chiamare il por-

10.4 Page 94

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to delle navi mercantili che da Ostia vengono a Roma. Mentre
D. Bosco osservava con un colpo d'occhio tutta l'estensione di
quel vasto edifizio, provava una grande soddisfazione nel pensa-
re ai tanti giovani quivi avviati alla virtù e ad una vita onorata; e
pare che abbia concepito il santo desiderio, e domandato a Dio
di portare i suoi giovanetti di Torino allo stesso numero delle
persone quivi raccolte. Pochi anni dopo, quel suo desiderio era
una realtà.
Quando discese dal terrazzo erano le dodici e mezzo. I ra-
gazzi erano andati a pranzo, e sentendosi Sua Eminenza molto
stanca, il Conte e Don Bosco presero congedo. A lui e ai suoi
amici il Cardinale aveva regalato il disegno dell'ospizio e un'inci-
sione rappresentante S. Gerolamo, lavori eseguiti dai giovani.
Questo fatto fu seguito da uno specifico invito del Papa (che
94
nel frattempo aveva parlato con Don Bosco) al Cardinale, affin-
ché cambiasse qualcosa nella gestione dellOspizio. Il Tosti, inve-
ce, si oppose a qualunque riforma, fu come un muro di bronzo e
a nulla si poté rimediare, benché egli dirigesse con amore e zelo
quell'ammirabile istituzione. Il Porporato era autoritario, per lui
doveva essere un assioma che la confidenza fa perdere la rive-
renza.
Considerata la situazione, Il Santo, visitato ancora lospizio,

10.5 Page 95

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nel 1867 ne previse la fine.
Altro incarico di confidenza il Venerabile ebbe da Pio IX. Questi, come nel
1858, così nel 1867 gli commise di far visita al magnifico Ospizio di S. Mi-
chele a Ripa, il quale con i molti fanciulli ricoverati albergava circa 1200
persone e in Roma godeva fama d'istituto di poveri giovani.
L'Ospizio stava grandemente a cuore di Pio IX, perché n'era
stato egli medesimo per venti mesi il presidente, per volere di PP.
Leone XII nel 1825. Trovatolo molto decaduto ne aveva rimossi
gravi abusi, allontanato impiegati infedeli, riordinato il bilancio,
saldati i debiti contratti dal suo predecessore, rialzate le scuole di
arti e mestieri, sicché rifiorì in modo meraviglioso.
Conoscendo pertanto gli antichi disordini, temeva che si rinno-
vassero e che le persone interessate nell'amministrazione, alcune
per esserne causa, altre perché conniventi o timide, non gli fa-
cessero conoscere il vero stato delle cose. Ed è per questo che
si rivolgeva a D. Bosco.
Dal canto suo il Servo di Dio era già stato informato dalla
Duchessa di Sora e da altre Dame della prima nobiltà. Quindi gli
rincresceva adempiere a questo uffizio, tanto più che prevedeva
le difficoltà di porre rimedio a certi disordini. Ma il Santo Padre
glie l'aveva imposto ed egli ubbidì. Postosi ad interrogare con
quella finezza, che gli era propria, or l'uno or l'altro dei ricove-
rati, conobbe che di giovani poveri, nello stretto senso della pa-
rola, ve n'erano pochi o nessuno. In quanto al resto, poco o nul-
la era stato mutato dal giorno della sua prima visita.
Ritornato dal Papa stava in dubbio se dovesse o no palesargli
l'intiera verità; ma il Santo Padre accorgendosi della sua esita-
zione gli disse chiaramente:
- Voglio che mi diciate tutto! vi ho mandato a visitare ap-
punto perché mi facciate una relazione fedele.
95
D. Bosco allora parlò schietto, e conchiuse dicendo che,
colle vistose rendite dell'Ospizio si sarebbero potuti accogliere,
mantenere e istruire convenientemente un numero maggiore di
giovanetti. Il Papa fu soddisfatto nel sentire tutta intiera In veri-
tà. Il Venerabile aggiunse ancora:
- Santo Padre! purtroppo che verremo al punto che l'Ospizio

10.6 Page 96

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cadrà, cioè sarebbe caduto in mani laiche. Questa previsione
restò impressa nella mente di Pio IX, che la ricordava a D. Bo-
sco, come vedremo, dopo il 1870.
Ma l'esposta relazione attirò una tempesta addosso al Servo
di Dio. Gli amministratori dell'Ospizio, chiamati dal Sommo Pon-
tefice che fece loro una buona ramanzina, non tardarono a
pensare che la visita di D. Bosco poteva essere la sola cagione
di quei rimproveri, e decisi, con altri, di prendere una rivincita,
non potendo intaccar la sua persona, stabilirono di cercar qual-
che appiglio nelle cento operette da lui divulgate a piene mani in
mezzo al popolo cristiano. La previsione d i Don Bosco imman-
cabilmente si avverò, e Pio IX non esitò a ricordarglielo, in un'u-
dienza del 1871. Il 28 giugno, vigilia della solennità dei Santi
Apostoli, Don Bosco si recava al Vaticano, essendogli stato co-
municato che il Santo Padre l'attendeva in privata udienza. Era
una prova lampante di benevolenza ed interessamento partico-
lare, perché immenso in quei giorni era il lavoro del Papa per le
pubbliche udienze ai numerosissimi pellegrinaggi e per le private
alle più alte personalità. Invitato ad entrare, come pose il piede
sulla soglia, l'Augusto Pontefice, fissandolo amabilmente, escla-
mò:
- Ebbene, Don Bosco, l'Ospizio di S. Michele a Ripa è poi ca-
duto! Questo vasto istituto di beneficenza, che sorgeva sulla
sponda del Tevere, detta la Ripa grande, era particolarmente
caro al Papa, perché ne aveva avuto la direzione e l'amministra-
zione nella sua giovinezza, e l'aveva rimesso in fiore, saldandone
tutti i debiti e perfezionandone anche la scuola di arti e mestieri.
Tra l'altro, per risvegliare nei giovani artigiani maggior impegno
al lavoro, nel suo gran cuore, vi aveva introdotto - come poi
fece anche Don Bosco nell'Oratorio - un mezzo assai vantag-
gioso e semplicissimo, quello di mettere gli alunni a parte del
96
ricavato del loro lavoro. Così ogni giovinetto poteva, un po' alla
volta, farsi un bel gruzzoletto, che gli tornava vantaggioso allor-
ché usciva dall'istituto, venendogli consegnato a compiuto tiro-
cinio. Il Papa, con quell'esclamazione, voleva ricordare a Don
Bosco non tanto la sua cooperazione al proposito di rimettere
l'Ospizio in pieno scopo di fondazione, ma più ancora il frutto
dell'ispezione da lui compiuta.

10.7 Page 97

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Ospizio
Tata Giovanni
Via Arenula
(oggi demolito)
Questo Istituto aveva finalità simili al San Michele, ed anch'esso
andava lentamente decadendo. Don Bosco lo visitò e ne fu abbastan-
za contento, ma non al punto di prenderne la direzione, come voleva
Pio IX (che da semplice sacerdote ne era stato il Direttore).
Il glorioso Istituto, dall'antica sede di via S. Anna de' Falegnami
(Via Arenula fu aperta nel 1880 per collegare il largo di Torre Argentina
con il ponte Garibaldi, distruggendo in tal modo parte di via delle Zoc-
colette e le antiche chiese di "S. Maria de' Calderari", "S. Bartolomeo
dei Vaccinari", "S. Anna dei Falegnami" e "Ss. Vincenzo ed Ana-
stasio dei Cuochi", così denominata perché sede della Compagnia
della Ss. Annunziata dei Cuochi e dei Pasticceri), all'inizio del secolo si
è trasferito in viale di Porta Ardeatina. Oggi la vecchia sede è stata
demolita, mentre la nuova ospita un Istituto Scolastico.
La prima visita del Santo a questOpera risale al
27 febbraio 1858.
Risolse di recarsi in alcuni Istituti di beneficenza, a
pro dei giovani, (dove sperava di aver lume e con-
97
forto a zelare vie maggiormente lo spirituale e
materiale vantaggio dell'Oratorio.
Siamo qui!
Si recò pertanto a visitare l'Ospizio di Tata Giovanni,
posto nella via detta di Sant'Anna de' Falegnami,

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che fu per lui oggetto di vera compiacenza e per l'origine e per
lo scopo, non che pel suo andamento.
Sul finire del secolo XVIII, un povero muratore di nome Gio-
vanni Burgi, vedendo ogni giorno tanti poveri fanciulli orfani an-
dar vagando per Roma cenciosi e scalzi, ne fu tocco di compas-
sione e provò di raccoglierne alcuni in una piccola casa presa a
pigione. Benedicendo Iddio quest'opera, il numero dei giovanetti
andò aumentando; fu ampliato il locale, e i fanciulli pieni di rico-
noscenza e di affetto presero a chiamare il loro benefattore col
nome di Tata, che nella favella del volgo romano significa padre.
Di qui derivò all'Istituto il titolo di Tata Giovanni, che conserva
tuttora. Il Burgi aveva pochi mezzi di fortuna, ma possedeva un
gran cuore, onde pei suoi figliuoli adottivi non si adontava punto
di andare questuando. Papa Pio VI, che vide sorgere sotto il suo
Pontificato quell'Istituto, gli comprò una casa, se ne fece insigne
benefattore, e i suoi successori ne imitarono l'esempio.
Vi è un direttore, che sceglie un compagno coadiutore; mo-
rendo quello, succedegli il coadiutore.
I giovanetti vi sono accolti dai nove ai quattordici anni, e vi si
tengono sino ai venti. I più maturi e virtuosi presiedono alle ca-
merate, ed i meglio istruiti insegnano agli altri gli elementi del
leggere e dello scrivere e dell'aritmetica.
Alcuni chierici e laici fanno scuola alla sera. La maggior parte
dei ricovera- ti imparano un mestiere, scegliendo quello che loro
talenta. Non avendo i laboratorii interni, uscivano ad imparare il
mestiere in vari laboratorii della città, come da principio facevasi
anche tra noi. A taluni si permette l'apprendimento delle arti
belle e lo studio delle lettere, ma dopo lunghe e sicure prove di
una eminente pietà e di perspicace ingegno.
98
I fondi di sussistenza erano centocinquanta lire al mese che
dava Pio IX, qualche elemosina e una parte di ciò che guada-
gnavano gli orfani stessi. Questi di lor guadagno rilasciavano
all'Opera fino a quindici baiocchi della loro paga giornaliera, cioè
sedici soldi; e il sopra più era tenuto in cassa per loro conto.
L'Istituto, che dipende direttamente dal Papa, è posto sotto
la protezione di Maria Vergine Assunta in Cielo e di S. Francesco

10.9 Page 99

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di Sales.
L'ora della levata e del riposo, i dormitori e l'assistenza, un
Santo per protettore a ciascuna camera, tutto insomma portava
l'impronta del nostro Ospizio, e D. Bosco apprese con soddisfa-
zione di aver piantata in Torino l'opera di Tata Giovanni senza
neppure conoscerla. Le opere di carità, quali più quali meno, si
assomigliano tutte, perché hanno per autore Iddio, e per ispira-
trice la Chiesa che non mutano mai né per mutar di tempo né
per mutar di luogo.
Pio IX da semplice Sacerdote fu sette anni Direttore di
quell'Ospizio, e lo considerava sempre come cosa sua, e vi si
conservava ancora la medesima camera da lui occupata. In
quell'anno i giovani erano circa 150.
(M.B. V,830 s)
GIOVANNI BORGIA
LOspizio di Tata Giovanni nacque quando Giovanni Borgi ini-
ziò ad ospitare (1784) nella propria casa in via deCartari i ra-
gazzi che vedeva dormire abbandonati sulle panche e sui gradini
del Pantheon di ritorno dalla
processione serale (cui usava
partecipare) organizzata dall'O-
ratorio del Caravita; oltre a for-
nire loro vitto e alloggio (con
laiuto della sorella Domenica),
egli iniziò a mandarli a lavorare
presso suoi amici artigiani affin-
ché imparassero un mestiere
che potesse poi sostentarli nella
vita. Avvalendosi della collabo-
99
razione di volontari laici e sacer-
doti cercava inoltre di procura-
re loro una istruzione scolastica
e religiosa.
Poiché egli trattava tali ragazzi
come dei figli, questi presero a

10.10 Page 100

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100
chiamarlo affettuosamente Tata che in dialetto romano significa-
va "padre"; di qui il suo soprannome e la denominazione presa
dall'Ospizio. Allo stesso tempo, poiché era di modi rudi e cercava
di soccorrere quanti più ragazzi possibili, tra alcuni di essi si di-
ceva anche: «fuggi, fuggi, ecco Tata Giovanni!».
Con il tempo la sua opera si ingrandì e attrasse linteresse di
diversi personaggi che la sostennero con donazioni e rendite;
successivamente Papa Pio VI comprò per lOspizio il palazzo
Ruggia a via Giulia (dove, nel frattempo, listituto si era trasferito
in affitto, arrivando a ospitare fino a 40 orfani).
Con lavvento della Repubblica Romana (e la morte di Tata
Giovanni nel 1798) lattività dellOspizio rischiò di cessa- re;
nonostante varie tribolazioni esso continuò ad operare (riunito
ad altri istituti minori, tra cui quello del venerabile fra' Bonifacio
da Sezze) grazie all'opera dell'avv. Belisario Cristaldi che tra-
sportò lOspizio presso la chiesa di S. Nicola da Tolentino; suc-
cessivamente, nel periodo napoleonico, listituto ebbe sede pres-
so S. Silvestro al Quirinale, Borgo S. Agata ai Monti e il Palazzo
Ravenna all'Esquilino.
Nel 1816, ritornato Pio VII a Roma, l'Ospizio di Tata Giovanni
trovò finalmente una dimora stabile presso la chiesa di S. Anna
dei Falegnami sotto la guida del canonico Storace. In questo pe-
riodo l'attività dell'Ospizio si ingrandì (arrivando ad ospitare fino
a 120 ragazzi) e si istituzionalizzò, con l'adozione di norme e
regolamenti.
Allattività dellOspizio, che aveva mantenuto lo spirito origi-
nario del fondatore, collaboravano molti laici e giovani ecclesia-
stici del tempo; tra questi si ricordano su tutti il futuro Papa e
Beato Pio IX, oltre a mons. Morichini, mons. Vespignani e diversi
altri.
Nel 1869 lOspizio di Tata Giovanni fu uno dei luoghi più si-
gnificativi delle manifestazioni per il cinquantesimo anniversario
dell'ordinazione sacerdotale di Pio IX; il 12 aprile del 1869 il
Papa tornò all'Ospizio di Tata Giovanni (in ricordo della prima
Messa celebrata qui l'11 aprile 1819), dopo aver distribuito
personalmente la comunione agli orfani del Tata Giovanni il gior-

11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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no precedente in San Pietro.
Tra gli ex-allievi del Tata Giovanni si ricordano il Servo di Dio
Federico Cionchi ed il monaco Colombano Longoria; San Giovanni
Bosco, in occasione di un suo viaggio a Roma, ebbe invece modo
di visitare lOspizio di Tata Giovanni e di scorgere in esso molte
somiglianze con quanto aveva fondato a Torino.
Nel 1887 lOspizio - insieme con la chiesa di S. Anna dei
Falegnami - fu abbattuto per lapertura di via Arenula e trasferi-
to in Piazza del Biscione nel palazzo Righetti (già Orsini e Pio di
Savoia), dove rimase fino al 1926; da qui passò nell'attuale sede
di viale di porta Ardeatina.

11.2 Page 102

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Colonia
agricola
Vigna Pia
Via Filippo Tajani
102
Un terzo Istituto educativo caro a Pio IX era la colonia agricola
Vigna Pia. Per questo nel 1867 propose al Santo di trasformarla in
casa salesiana.
L'Istituto era situato (in quel tempo) in aperta campagna, po-
co lontano dal letto del Tevere. La non felice posizione dell'opera
fu uno dei motivi che lasciarono il Santo titubante sulla decisione
da prendersi (igienicamente la struttura era molto carente e, so-
prattutto, la vicinanza del fiume aumentava la possibilità di infe-
zioni e malattie).
Ciò che più impedì al Santo di insediarsi a Vigna Pia fu co-
munque l'opposizione della Commissione Direttiva delle Opere Pie
di Roma, restia ad affidare un'opera romana ad uno straniero pie-
montese.
Don Bosco giunse persino a stilare una proposta per l'ammini-
strazione di Vigna Pia, ma dovette poi rinunciare all'impresa.
D. Bosco non mancò di comunicare al Santo Padre l'esibizio-
ne che eragli fatta di locali e danaro, perché aprisse una Casa in
Roma. Era questo un suo desiderio. Pio IX gli indicò Vigna Pia,
bella istituzione da lui stesso fondata, della quale aveagli già
parlato nel 1858, una specie di colonia agricola e di casa di
correzione per cento giovanetti abbandonati, vagabondi, oziosi.

11.3 Page 103

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Alla direzione dello stabilimento vi erano alcuni religiosi fran-
cesi, i quali volentieri avrebbero ceduto ad altri quella missione.
Pio IX desiderava che i figli dell'Oratorio di S. Francesco di Sales
succedessero ad essi. Il Duca Salviati era tutto caldo per effet-
tuare un tal progetto e andò con Don Bosco a visitare Vigna Pia.
Il progetto però, dopo pratiche durate più mesi, non fu attuato.
Le Commissioni Direttive delle Opere Pie di Roma non vollero
mai cedere alcunché della loro autonomia, anche in minima par-
te. Noi abbiamo in un manoscritto la base di quelle trattative.
PROPOSTA INTORNO ALL'AMMINISTRAZIONE DELLO STABILIMEN-
TO DETTO DI VIGNA PIA.
Il Sac. Giovanni Bosco si assume l'amministrazione dello sta-
bilimento di Vigna Pia proponendo quanto segue:
1° Provvederà un numero di persone sufficienti per la educa-
zione religiosa, morale, artistica e scientifica, in proporzione
dell'età, bisogno e condizione dei giovanetti ricoverati.
2° I giovanetti saranno occupati nell'agricoltura, ne' mestieri
più vitali della società come sono calzolai, falegnami, sarti, ferrai
ed anche nello studio, qualora se ne vedesse la convenienza.
Tutti per altro avranno la scuola serale in cui fra le altre cose vi
sarà l'insegnamento musicale.
3° Il Direttore locale è arbitro della disciplina, ma non può né
ricevere né mandare via alcun allievo dallo stabilimento senza il
consenso dell'Amministrazione.
4° Il Direttore provvederà vitto, vestito, medico,
medicine, capi d'arte, parrucchieri, bucato, rappez-
zatura e quanto altro possa occorrere pei giovani.
Siamo qui!
5° Per la coltivazione della terra si tratterà a parte
se debbasi operare a conto dell'Amministra- zione
oppure a conto del Direttore: ma è fatta facoltà di
seminare legumi ed erbaggi per uso dello stabilimen-
103

11.4 Page 104

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104
to.
6° L'Amministrazione dà facoltà al Direttore di accettare
giovani a di lui conto proprio e destinarli al lavoro od allo studio
come egli meglio crederà, purché lo comporti la capacità del
locale.
7° L'Amministrazione pagherà al Direttore per ciascun indivi-
duo in ragione di un franco al giorno se non eccedono il numero
di cento; per quelli che oltrepassassero questo numero saranno
pagati per ciascuno 90 centesimi.
Il Direttore, maestri, assistenti, persone di servizio, sono con-
siderati come allievi nel pagamento per parte dell'Amministra-
zione, cioè avranno tutti un franco caduno.
8° Con questa somma l'Amministrazione intende di essere
esonerata da ogni spesa, fuori di quanto sarà giudicato necessa-
rio per la conservazione od ampliazione dell'edificio dello stabili-
mento.
9° L'Amministrazione farà un mutuo di tre mila scudi al Di-
rettore per le spese di primo impianto e per l'anticipazione delle
provviste più necessarie.
10° Questa somma comincerà ad estinguersi dopo un anno,
mercè la ritenuta di tre franchi al mese su quanto si corrisponde

11.5 Page 105

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per ciascun allievo. Istituto Vigna Pia.
11° Questo mutuo sarà garantito con mezzi da convenirsi.
12° Il contratto durerà un quinquennio e in caso che alcuna
delle parti per ragionevoli motivi volesse ritirarsene, dovrà preve-
nire l'altra parte due anni prima.
13° Qualora succedessero tempi in cui i commestibili au-
mentassero di prezzo in modo eccezionale, l'Amministrazione si
obbliga di inviare due de' suoi membri per verificare il bisogno e
venire in soccorso, per quanto sarà possibile secondo le gravità
del caso.
14° Nella entrata di possesso si farà un inventario degli og-
getti mobili, esistenti nello stabilimento, e se ne darà conto in
caso di scioglimento di contratto. Si eccettuano però le cose che
si consumano coll'uso, di cui si dirà soltanto in qual modo siansi
consumate.
15° Il contratto incomincierà ad essere in vigore nell'anno....
(M.B. VIII,606)
Vigna Pia
Listituto Vigna Pia è in origine una tenuta agricola e un orfanotro-
fio, oggi scuola e sede di comunità religiosa.
La tenuta si forma nel 1850 per volere di Pio IX, come «istituto
agrario di carità» per orfani in età da lavoro affidati alla Congregazio-
ne della Sacra Famiglia di Bergamo. Ledificio principale del Convitto
ha forma quadrangolare con interno cavo e si prolunga nel Padiglione
di Leone XIII, del 1889.
Nel 1932 la tenuta si costituisce in parrocchia rurale. Perduta nel
Dopoguerra la vocazione agricola, nel 1978 il titolo parrocchiale vie-
ne trasferito alla nuova chiesa della Sacra Famiglia e lIstituto diventa
una scuola privata collegata con il vicino Sacro Cuore, continuando ad
ospitare la Procura generale della Sacra Famiglia.
La colonia agraria
Nel 1850 e 1851 i generosi benefattori Principe Torlonia, Princi-
105

11.6 Page 106

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106
pessa Wolkonski e lordine religioso dei Minimi costituiscono una pro-
prietà fondiaria unitaria estesa 22 ettari, denominata Istituto agrario
di carità Vigna Pia. Il nome «Pia» trae origine dal papa regnante, Pio
IX, promotore e protettore delliniziativa.
Linsediamento è strutturato secondo lo schema della «colonia»,
cioè una tenuta agricola su vasti terreni a coltura disposti intorno ad
un corpo di fabbrica principale, con funzione di centro amministrativo.
La popolazione è costituita di «orfani e altri garzonetti più sventu-
rati», in età di lavoro, cioè tra i 7 e i 21 anni. Dopo lalfabetizzazione
essi ricevono la formazione teorica in agronomia e agrimensura, cui
segue lapprendistato di orticultura, cerealicultura e viticultura ed infi-
ne il collocamento a servizio in una famiglia rurale. La cura danime è
affidata alla vicina parrocchia del Casaletto, mentre quella materiale è
affidata alla Sacra Famiglia di Bergamo, congregazione di vita religiosa
la cui missione è lapostolato rurale.
Il Convitto
Ledificio principale, denominato Convitto, ha forma quadrangolare,
con interno cavo, sul quale si affacciano i ballatoi dei dormitori. Una
forma architettonica simile si ritrova, oltre che nei convitti, in molte
opere architettoniche destinate alla «vita comunitaria di eguali», come
ad esempio le carceri.
Il Convitto rivolge il prospetto principale non alla tenuta, ma alla
Valle della Magliana e al Tevere, ed è sormontato dallo stemma papa-
le tra due cornucopie colme di grano.
Gli altri edifici
Il Convitto si prolunga in un padiglione di minor altezza, dono di
Papa Leone XIII nel 1889. Poco dopo la sua inaugurazione, il 23 apri-
le 1891, sia il Padiglione che il Convitto sono seriamente danneggiati
dallo scoppio accidentale della vicina Polveriera di Forte Portuense.
La tenuta si completa, in origine, con numerosi casali rurali e un
portale monumentale sulla Via Portuense, con a fianco una cappellina
di campagna: entrambi sono oggi scomparsi.

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Chiesa del
S. Sudario
Via del Sudario
Svanite le speranze di aprire una casa salesiana Vigna Pia, Don Bosco nel
1869 fissò l'attenzione sulla Chiesa del S. Sudario, che aveva visitato già
nel 1867.
Questa si trova a pochi passi da Piazza Navona. Costruita nel 1604 da
Carlo Castellamonte e restaurata nel 1867 da C. Rainaldi, si erge con la
facciata a intonaco incorporata nelle case attigue.
Era la Chiesa dei piemontesi, nizzardi e savoiardi. Forse proprio per
questo attirò, fin dal 1867, l'attenzione del Santo piemontese.
La Chiesa apparteneva allo Stato italiano (dopo la cessazione del
Sodalizio del S. Sudario”), e Don Bosco intraprese subito le trattative a
Firenze per averne la custodia, utilizzando anche i locali annessi.
Le trattative col Cav. Canton durarono a lungo, e questi presentò Don
Bosco ad alcuni impiegati, suoi amici e buoni cattolici, che a tempo e luogo
lo avrebbero potuto aiutare presso il Governo”.
Don Bosco presentò l'idea al Santo Padre, prevedendo già che le trat-
tative non sarebbe- ro state di breve durata, e quindi si prestavano a te-
nerlo in diretta comunicazione col Ministro. Pio IX approvò”.
Il Santo aveva visto bene; tali trattative durarono molto a lungo (circa
8 anni) e in esse Don Bosco dimostrò una grande furbizia politica”, come
cogliamo leggendo le pagine del Lemoyne.
107

11.8 Page 108

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108
Siamo qui!
Il Venerabile stava a cuore la classe della povera
gioventù romana. Svanita la speranza di avere una
sede a Vigna Pia, incominciava a meditare un ardito
disegno per raggiungere in altro modo il suo scopo:
però, subordinandolo a qualche nuova proposta che
avrebbe potuto fargli il Sommo Pontefice, si pro-
poneva di procedere senza premura e con maturità
di consiglio.
Nel 1867 egli aveva visitata la Chiesa del S. Sudario,
nella quale fin dal 1597 era stata fondata da alcuni pii sudditi degli
Stati Sardi, coll'approvazione della Santa Sede, una confraternita che
aveva per fine principale l'educazione morale della gioventù di quel
rione.
Sul principio del secolo XIX la confraternita aveva cessato dal
possesso e dall'amministrazione della Chiesa e dall'adempimento de-
gli oneri annessi. Questi diritti però e questi doveri, dopo una serie di
anni (1831) erano stati affidati alla Legazione Sarda residente in
Roma, poiché i Re Sabaudi avevano avuto sempre quella confraterni-
ta sotto la loro speciale protezione. Nel 1868 il tempio era chiuso,
perché bisognava metter mano ad urgenti ristauri.
Don Bosco aveva disegnato di potere avere un casamento annes-
so a quella chiesa, che facilmente si sarebbe potuto addattare ad
ospizio di carità pei giovanetti. Il suo piano era questo: Proporre al
Governo di cedergli l'uso e l'amministrazione della Chiesa e della ca-
sa, offrendogli la propria cooperazione in danaro per condurre rapi-
damente a termine i progettati ristauri della chiesa, perché al più
presto si potesse riaprire al culto.
Altro motivo aveva forse Don Bosco nell'affrettare una casa sale-
siana in Roma. Egli prevedeva inevitabile l'entrata delle truppe italia-
ne in quella città e voleva prendere stanza co' suoi presso la chiesa
del SS. Sudario prima di questo avvenimento, perché, mentre nessuno
avrebbe trovato allora meritevole di critica la sua posizione in faccia
alla Santa Sede, poi anche il nuovo Governo sarebbe stato natural-
mente portato a far rispettare coloro che avrebbe riconosciuto come
suoi sudditi per doppia causa, coi quali aveva stretto regolare con-
tratto, e perciò non avrebbe mancato di proteggerli e difenderli dai

11.9 Page 109

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partiti estremi: e una legge d'incameramento non li avrebbe colpiti.
Questa è una nostra supposizione, ma è una realtà che Don Bo-
sco col suo ingegno e colla sua perspicacia studiava tutti gli aspetti
di un disegno e ne prevedeva tutte le difficoltà e le conseguenze.
Infatti quale era il fine che il Venerabile voleva raggiungere?
Ecco il suo programma, che egli diceva e raccomandava a tutti di
far conoscere: Far del bene a quanti si può e del male a nessuno. Mi
si lasci fare del bene ai ragazzi poveri ed abbandonati, affinché non
vadano a finire in un ergastolo. Ecco la sola mia politica. Io rispetto
tutte le autorità costituite come cittadino, e come cattolico e come
prete dipendo dal Sommo Pontefice”.
E questa politica, che altro non era fuorché la prudenza del ser-
pente unita alla semplicità della colomba, è quella che lo rese così
glorioso in faccia a Dio e in faccia agli uomini.
Egli, adunque, scriveva di detto disegno ad un suo grande amico, il
cavaliere Carlo Canton, Direttore e Capo di Sezione di seconda clas-
se al Ministero degli affari esteri, a Firenze; e questi gli rispondeva,
approvando, incoraggiando, e assicurandolo che lo avrebbe avvertito
del momento opportuno per incominciare quella pratica.
Don Bosco intanto faceva copiare negli archivii di Stato un lungo
documento, che serve a dar luce alle trattative che durarono vari
anni e che egli presentò al Ministero dell'interno con le altre carte
relative all'affare. Era un dispaccio della R. Legazione degli Stati Sardi
presso la S. Sede in data 10 aprile 1851, contenente lunghi cenni
storici sulla Chiesa del Santo Sudario. Questa ebbe origine da una
confraternita omonima, composta di antichi sudditi dei Duchi di Sa-
voia, Piemontesi, Nizzardi e Savoiardi, sul cadere del secolo XVI.
Per ora si doveva solamente studiare il progetto: e Don Bosco
esponeva, per sua norma, alcuni preliminari di convenzione da lui
meditati e scritti in varii articoli.
1° Il Sacerdote Bosco, seguendo lo spirito dell'Istituto di Torino
col titolo di Oratorio di S. Francesco di Sales, sottentrerebbe alla
cessata società o sodalizio del SS. Sudario che, secondo le tavole di
fondazione, oltre alle pratiche religiose, aveva pure lo scopo di dare
ospitalità ai pellegrini, visitar i carcerati e gli infermi, indirizzare i fan-
109

11.10 Page 110

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ciulli per la via della salvezza ed altre simili opere di carità.
2° Si obbliga di pagare le tasse di qualunque specie, fare a sue
spese le riparazioni ordinarie tanto per la chiesa quanto per i fabbri-
cati annessi; provvedere per la nettezza della chiesa, fornire e ripa-
rare i paramenti, banchi, sedie, candellieri, cera e vino e tutto quello
che è necessario al divin culto.
3° Provvede per l'amministrazione dell'istituto, della chiesa e dei
fabbricati; sia per ciò che riguarda agli inquilini, sia alla manutenzione
degli edifizii, non meno di sei persone; non meno di due sacerdoti,
uno Rettore, l'altro Vicerettore, un sagrestano, due chierici pel servi-
zio delle sacre funzioni nei giorni feriali e sopratutto nei giorni festivi.
4° Ogni giorno vi saranno non meno di due messe, con obbligo di
assistere alle confessioni, visitar gli ammalati, e, se ne avranno il per-
messo, anche visitare i carcerati.
5° Nei giorni festivi faranno la spiegazione del vangelo agli adulti
e il catechismo per fanciulli più abbandonati, colla benedizione del
SS. Sacramento.
6° Adempirà i legati pii annessi, sia in messe lette o cantate, sia
in tridui, novene, quarant'ore, e per tutte le altre solennità che corro-
no nel corso dell'anno.
In allora pare non si parlasse dei diritti che spettavano alla Casa
Reale. Don Bosco si fermò a Firenze una settimana, andando da uno
all'altro dei varii Ministeri, tenendo colloqui particolari con qualche
Ministro e con altri personaggi di alto grado. Ovunque si presentava,
era bene accolto, avendo il merito di essere chiamato la cortesia e
l'affabilità personificata.
Purtroppo, questi progetti andarono a monte, perché dopo il
1870 fa Chiesa fu dichiarata "Chiesa della Famiglia Reale", cioè
la Chiesa particolare di Casa Savoia.
Oggi è affidata allOrdinariato Militare per lItalia.

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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La chiesa del SS.mo Sudario
dei Piemontesi all'Argentina
La storia della chiesa, già appartenuta all'imperiale Abbazia di
Farfa già prima del Mille e nota come S. Maria de Cellis o "Cella Far-
foe", ci dice che fu ceduta ai francesi nel 1478; questi la ricostruiro-
no e la dedicarono a S. Luigi IX re di Francia, per cui fu chiamata S.
Maria in Cella in S. Loisio.
I francesi ricostruirono poi la magnifica chiesa di S. Luigi in Cam-
po Marzio nel 1589 lasciando quella all'Argentina e la chiesa diven-
ne l'edificio di culto della nazione piemontese a Roma. La colonia
savoiarda, nizzarda e piemontese, riunita in una Confraternita uffi-
cialmente riconosciuta da Papa Clemente VIII il 2 giugno 1597, dive-
nuta poi Arciconfraternita del SS.mo Sudario, trovò qui temporanea-
mente alloggio nella chiesa già dedicata a S. Luigi. Lo stesso Papa
donò ai Piemontesi il quadro della S. Sindone che tuttora si trova
sull'altare maggiore.
111

12.2 Page 112

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Nel 1604, su commissione di Carlo Emanuele I di Savoia, l'archi-
tetto Carlo di Castellamonte progettò l'edificio, già ampliato nel
1660 da Carlo Rainaldi con lavori e sopraelevamenti in diverse fasi
relative al 1667, al 1682 per concludersi poi nell'edificio che ancora
oggi vediamo.
Da Papa Paolo V, con la bolla del 19 settembre 1605, l'arcicon-
fraternita ebbe la facoltà di graziare annualmente un condannato a
morte. Dal 1685 al 1687, sotto Pier Francesco Garola fu eseguita
la facciata e l'altare maggiore. Alla fine del Settecento, sottoposta
alle spogliazioni napoleoniche, la chiesa venne sconsacrata e riaperta
solo nel 1801 per intervento di Carlo Emanuele III: nuovamente ab-
bandonata fu trasformata in scuderia fino al 1814. Riaperta al culto
dopo la Restaurazione, risistemata dall'architetto Giacomo Monaldi,
fu dichiarata Chiesa Nazionale Sarda. Passata sotto il patrocinio della
casa reale fu la sede del Cappellano Maggiore dei Palazzi Reali e
sede dei Cappellani palatini fino ai 1946. Successivamente fu la sede
dell'ordinario Palatino della Presidenza della Repubblica Italiana, al-
lorché, con il concordato, abolito l'istituto, la chiesa passò sotto la
giurisdizione dell'ordinariato militare che ne ha promosso in questi
ultimi anni i restauri.
L'interno è formato da una navata unica, coperta da una volta a
botte, sulle cui pareti, scandite da lesene e colonne addossate, sono
posti due altari entro un nicchione aperto da un arco a tutto sesto.
Sulla controfacciata sta l'organo settecentesco, posto su una canto-
ria lignea, sul quale troneggia lo scudo reale. A destra l'altare seicen-
tesco dedicato a San Francesco di Sales, costruito con un ricco com-
messo di marmi e con una pala tradizionalmente attribuita a Carlo
Cesi, realizzata, forse, per la canonizzazione del santo, avvenuta il
19 aprile 1665 proprio in questa chiesa. Oltre l'elegante balaustra
marmorea sta il presbiterio decorato da affreschi di Cesare Maccari
eseguiti tra il 1871 e il 1873 raffiguranti il Discorso di Sant'Anselmo
112
d'Aosta al Concilio Ecumenico e l'altro di fronte, l'incontro tra San
Francesco di Sales e il Beato Giovanni Giovenale Ancina. Dello stesso
autore le allegorie delle Virtù e la Gloria dei Beati Ludovica, Amedeo,
Umberto, Bonifacio e Margherita di Casa Savoia, sulla volta. Due
coppie di colonne compongono la struttura dellaltare maggiore dove
al centro campeggia la grande pala di Antonimo Gherardi raffiguran-

12.3 Page 113

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te Cristo deposto sul sudario con Santi e Beati di Casa Savoia, realiz-
zata nel 1682. Da sinistra si riconoscono San Massimo, primo ve-
scovo di Torino, la Beata Margherita di Savoia, san Maurizio, protet-
tore dello Stato Sabaudo e i beati Ludovica e Amedeo. Sul timpano è
posto il gruppo scultoreo in stucco, progettato dallo stesso Gherardi
ma realizzato da Pietro Mentinovese, allievo del Bernini, con l'Eterno
Padre al centro tra angeli e cherubini che sostengono una copia della
Sindone realizzata dalla principessa Maria Francesca di Savoia, una
delle numerose che ritraevano la reliquia posseduta dai Savoia fin dal
1452 e conservata prima a Chambery e poi a Torino. A sinistra è
posto l'altare dedicato al Beato Amedeo di Savoia, il quale, duca
dal1465, abdicando a favore della moglie, si dedicò a opere di mise-
ricordia.
113

12.4 Page 114

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Chiesa di
San Giovanni
della Pigna
Piazza della Pigna
114
Fallito anche il tentativo di avere la Chiesa del S. Sudario, il Santo si
impegnò per avere quella di San Giovanni della Pigna, con i locali an-
nessi.
Questa è di origine antichissima e, nel 1577, fu data da Gregorio XIII
alla Compagnia della Pietà verso i Carcerati, che la fece riedificare da A.
Torroni.
Apparteneva ancora alla Compagnia della pietà verso i Carcerati
quando, nell'Udienza dell’8 febbraio 1870, il Papa propose a Don Bosco
di prenderla come propria sede romana.
- Ebbene, disse, quella casa dell'anno scorso qui a Roma è poi
andata a monte! Ma quest'anno io voglio che ne mettiate una e ci
penserò io a procurarvela. Avete veduto la chiesa di S. Giovanni della
Pigna?
" - No, Santità, risposi.
" - Ebbene andatela a vedere, poi tornerete a
dire se vi garba ... ".
Il giorno stesso il Santo diede la bella notizia a
Don Rua (Del denaro che ho qui, ne faccio un
consolidato di franchi 100 al mese per la futura
casa di Roma. Il rimanente lo porto a casa meco) e
dopo alcuni giorni si recò a visitare la Chiesa, per
Siamo qui!

12.5 Page 115

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dare poi la risposta definitiva al Papa.
Risorgevano dunque le speranze di aprire una casa salesiana in
Roma. Il Venerabile fece parola della proposta avuta dal S. Padre per
la Chiesa di S. Giovanni della Pigna coll'Eminentissimo Cardinale Qua-
glia, e ne ebbe incoraggiamento. Anzi con uno degli addetti alla so-
vraintendenza delle proprietà del Vaticano si recò a vedere la chiesa
proposta e trovò una magnifica chiesa, piccola sì, ma bella, con cin-
que altari di marmo e un bell'organo nuovo. Presso la chiesa era una
casa e visitò anche questa: e gli parve che essa potesse comoda-
mente dare alloggio a quindici persone. Gli si fece anche vedere un
altro edifizio un po' discosto, assai più grande, appartenente alla
Chiesa stessa, che, appigionato, rendeva seimila franchi all'anno.
Compiuta la visita tornò dal Santo Padre il 12 febbraio; e gli dis-
se:
- Santità, ho poi veduto la casa e la chiesa.
- Bene, rispose il Santo Padre; se le volete, sono per voi.
- Ringrazio tanto Vostra Santità, ed accetto.
(M.B. 9,816)
Don Bosco era certo che il vecchio progetto di aprire una ca-
sa in Roma potesse finalmente essere realizzato. Questa certezza
la troviamo in una lettera a Don Rua del 14 Febbraio e una a
Don Bonetti del 17 febbraio.
L'apertura di una casa con una piccola ma bella Chiesa si può
giudicare cosa ultimata pel prossimo autunno. Nella prossima setti-
mana spero di essere a Torino; ma piuttosto che lasciare le cose a
metà, è meglio ritardare qualche giorno”.
(M.B. 824-5).
Per l'avvenire, quando verrai a Roma, troverai a tua disposizione
una casa con una stupenda chiesetta. Il resto a voce. Silenzio e alle-
gro.
115
Dio benedica te e le tue fatiche e credimi,
Aff.mo in G. C. Sac. Gio. Bosco.
Roma 17 - 2 - 1870.
Pensieri, questi, che confermò il 7 marzo a Torino, nella Con-
ferenza ai Salesiani, tenuta per raccontare gli esiti del soggiorno
romano.

12.6 Page 116

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12.7 Page 117

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“... Così in quest'anno, nel mese di agosto o di ottobre, se arriva
niente in contrario, si manderanno già alcuni a Roma, oltre all'altro
collegio che abbiamo da aprire ad Alassio... Così sono restato inteso
col Sommo Pontefice.
Siccome l'anno scorso avea fatto una piccola offerta per il Colle-
gio di Roma, l'ho lasciata là, ed ora con qualche altra cosa insieme
ho assicurato 100 franchi mensili per vestire quelli che andranno poi
a Roma nel corrente anno ...”
(M.B. IX, 834)
Purtroppo, tali certezze erano destinate a svanire, di fronte ad
altre difficoltà che sopraggiunsero in seguito.
La Chiesa e la casa di S. Giovanni della Pigna hanno comunque
ospitato i Salesiani, perché nel 1905 questi locali furono messi a
disposizione della Congregazione Salesiana da Pio X. Fino al 1974,
infatti, sono stati adibiti a residenza del Procuratore Generale della
Società Salesiana.
San Giovanni della Pigna
Storia
La chiesa di San Giovanni in Pigna, originariamente dedicata ai
santi martiri Eleuterio e Genesio, è documentata in una bolla pa-
pale di papa Agapito II del 955 e in una di Giovanni XII del 962.
Essendo caduta in rovina, nel 1584, papa Gregorio XIII la
concesse allArciconfraternita della Pietà verso i carcerati, che la
riedificò a partire dalle fondamenta. Della costruzione della nuova
chiesa fu incaricato l'architetto Torroni; terminata nel 1624, as-
sunse il titolo di Sancti Ioannis de Pinea. È stata nuovamente re-
staurata nel secolo successivo e nel 1837 sotto la direzione di
117
Virginio Vespignani.
Nel 1870, Pio IX l'affidò alla società salesiana di San Giovanni
Bosco e, dal 1985, per volere di Giovanni Paolo II, è sede della
diaconia di san Giovanni della Pigna. Nel 2007 la chiesa è stata
interessata da un restauro che ha ripristinato l'originale cromia
degli esterni.

12.8 Page 118

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118
Esterno
La chiesa è dedicata a San Giovanni Battista; lappellativo della
Pigna fa riferimento alla grande pigna di bronzo scoperta nella
zona, oggi conservata nel Cortile della Pigna allinterno della Città
del Vaticano, nel Cortile della Pigna.
La facciata è a capanna, in un semplice stile barocco. Il corni-
cione, recante un'iscrizione in lingua latina che ricorda la passata
presenza all'interno della chiesa dellArciconfraternita della Pietà
verso i carcerati, è idealmente sorretto da quattro paraste con
capitelli ionici che dividono la facciata in tre settori verticali:
ognuno dei due laterali ospita, in alto, una finestra rettangolare
priva di cornice e davanzale; nel settore centrale invece si trova il
portale, che presenta un architrave con un bassorilievo raffigu-
rante un ange- lo ed un frontone circolare. La facciata è corona-
ta dal semplice timpano sormontato da una croce in ferro.
Interno
L'interno della chiesa è a navata unica ed è frutto dei rifaci-
menti del XVIII secolo. Lungo la navata, che è coperta con volta a
botte lunettata, si trovano, entro grandi nicchie intervallate da
lesene in marmi policromi, quattro altari laterali, due per lato. Il
primo altare a destra è dedicato a sant'Eleuterio papa, il secondo
di destra a San Genesio di Arles; il primo a sinistra, invece, è de-
dicato alla Madonna ed ospita la tela Madonna col Bambino e
Angeli, del XVIII secolo, copia di un'immagine del XIV secolo della
Madonna di San Luca, il secondo a destra a Santa Teresa d'Avila.
In fondo alla navata si trova il presbiterio, delimitato da una ba-
laustra e composto da una campata a pianta quadrata con volta
a cupola dipinta e da un'abside semicircolare con, sulla volta, una
decorazione a cassettoni. Nell'abside vi è l'altare maggiore in
marmi policromi che presenta nell'ancona, tra due coppie di co-
lonne corinzie, la pala San Giovanni Battista, degli inizi del XVII
secolo, opera di Baldassarre Croce, e più in alto, la Pietà di Luigi
Garzi, aggiunta successivamente.

12.9 Page 119

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12.10 Page 120

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Basilica e
Ospizio del
Sacro Cuore
Via Marsala, 38-42
DALLE MEMORIE BIOGRAFICHE
Non cè fondatore o fondatrice di Ordine, Congregazione o Istituto
religioso, che non abbia anelato di portare le tende a Roma. Un impul-
so divino li sospingeva, per differenti vie, verso il centro dellunità,
dellautorità e del Magistero. Da molti anni, e prima che le Regole
fossero approvate dalla Chiesa, anche Don Bosco vagheggiava il dise-
gno di una sua fondazione nella città dei Papi; ma tutti i tentativi tor-
narono in nulla fino al 1880, quando, finalmente, nel modo più inatte-
so quel sogno a lungo accarezzato, accennò a tradursi in realtà; una
realtà invero che costò al Beato sette anni di pressoché ininterrotti
patemi morali e fisici, ma che in ultimo gli meritò le benedizioni di Dio e
l'ammirazione degli uomini. Narreremo le circostanze che precedettero e
accompagnarono il principiare della chiesa e dell'ospizio che presero il
nome dal Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio
120
LE INTENZIONI PASTORALI
SUL CASTRO PRETORIO
Il piano edilizio escogitato da monsignor De Mérode, ministro di Pio
IX, portava a uno sviluppo della città nei quartieri alti, specialmente in
quello del Castro Pretorio. Che tale orientamento fosse stato ben pre-
visto e ben preparato, lo prova il fatto che dopo il 20 settembre 1870

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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lespansione da quella parte più che arrestarsi s'accelerò, sicché parve
sorgere ivi quasi una nuova città. Ma nell'allargarsi crescente dell'abitato
a tutto si pensava allora fuorché all'assistenza spirituale di una popola-
zione avventizia che ognor più si addensava nell'ampia zona. Vi pensò il
tribolato Pontefice Pio IX, il quale, benché esausto di mezzi dopo la per-
dita dei propri Stati, non cessava di sopperire ai bisogni religiosi della sua
Roma.
L'8 dicembre 1870 egli aveva glorificato San Giuseppe proclaman-
dolo Patrono della Chiesa universale, né andò guari che acquistò a pro-
prie spese un tratto di terreno là sull'Esquilino con l'intenzione di eriger-
vi una chiesa da dedicarsi al grande Patriarca.
Ma di lì a poco mutò divisamento. Nel 1871 i Vescovi d'Italia fece-
ro a gara per consacrare solennemente le loro diocesi al Cuore adorabile di
Gesù; donde nacque a Roma l'idea che nella città del Vicario di Cristo
avesse a sorgere un grande santuario dedicato al divin Cuore, donde,
come da focolare perenne, nuovo calore di pietà s'irradiasse dall'urbe
nell'orbe. Banditore della proposta fu il padre Maresca barnabita, che
dirigeva il Messaggero del Cuor di Gesù.
Ecco perché l'angelico Pio IX dispose che sulla detta area non più a
San Giuseppe, ma al Sacro Cuore di Gesù s'innalzasse il tempio divisa-
to, mostrandosi ben lieto che da quel punto più alto della città eterna
il Cuore adorabile del Redentore come da un gran trono benedicesse
quasi al mondo intero.
Ma le cose purtroppo andavano in lungo, sicché, mentre il nuovo
centro s'ingrandiva per ogni verso, le parrocchie limitrofe di Santa Maria
degli Angeli, di San Bernardo, di Santa Maria Maggiore e di San Loren-
zo fuori le Mura non bastavano più alla cura di tante anime. Vi rime-
diava come poteva quel sant'uomo che fu il francescano padre Lodovico
da Casoria, coadiuvato da giovani laici dell'Azione
Cattolica, fra cui primeggiava l'avvocato Pericoli;
un'umile cappella aperta in un edifizio poco più là 121
dal sito dell'erigenda chiesa provvedeva alle esigen-
ze del culto. La morte intanto rapì il grande Pio IX
senza che null'altro ancora si fosse fatto per attua-
re il suo disegno.
Siamo qui!

13.2 Page 122

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LIMPEGNO DI LEONE XIII SUL S. CUORE
L'assunzione di Leone XIII al seggio pontificale segnò il vero comincia-
mento dell'impresa. Egli che, Vescovo di Perugia, era stato uno dei primi
a consacrare la sua diocesi al Sacro Cuore, presa conoscenza delle in-
tenzioni di Pio IX, ne caldeggiò a tutto potere l'esecuzione. Fin dal 1°
agosto del 1878 per mezzo del suo Vicario cardinale Monaco La Val-
letta con una lettera latina indirizzata a tutti i Vescovi dell'orbe catto-
lico, eccetto che ai francesi già impegnati nell'erezione della Basilica
di Montmartre, fece loro invito di concorrere mediante collette locali alla
grandiosa impresa. La raccolta delle pie oblazioni era affidata alla Fe-
derazione Piana delle Società Cattoliche di Roma; una Commissione,
nominata dal Cardinale fra il Patriziato romano e presieduta dal mar-
chese Giulio Merighi, doveva invigilare all'andamento dei lavori. Questi
lavori s'intrapresero subito con alacrità. S'incominciò dallo sterramento
per rimuovere un monticello che ingombrava l'area, elevandosi alcuni
metri dal piano stradale; indi si pose mano allo scavo del terreno per le
sostruzioni. Ma qui gli operai s'imbatterono in un grosso ostacolo, fre-
quente nel sottosuolo romano; poiché apparvero tosto alti cunicoli o
gallerie sotterranee, formate in tempi remoti per l'estrazione della poz-
zolana, che si adopera a Roma, come altrove la sabbia, nella calce.
Questo contrattempo fu causa che si dovesse discendere a quattordici
metri di profondità per trovare lo strato su cui murare le fondamenta.
La prima pietra vi poté essere calata, con la benedizione del Cardinale,
il 17 agosto 1879, giorno sacro a San Gioachino e onomastico del
Papa.
122
IL DISEGNO DELLA CHIESA
Il disegno della chiesa, in stile bramantesco, era stato steso
dal conte Francesco Vespignani, architetto dei Sacri Palazzi, quando
spuntò un curioso incidente dal Belgio (ne ricaviamo i particolari dalla
copia di una corrispondenza fra il Cardinale di Malines e il Cardinale
Vicario. Tale copia fu comunicata a Don Bosco nel 1880 dal padre
Maresca). La circolare inviata dal Cardinale Vicario all'Episcopato nel
1878 aveva richiamato l'attenzione della baronessa De Monier, la
quale si disponeva a offrire centomila franchi per la costruzione della
basilica, a patto però che si adottasse un disegno dell'architetto suo
connazionale barone De Béthune. Non basta: l'oblatrice nulla avrebbe

13.3 Page 123

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donato per un sacro edifizio nello stile della rinascenza, volendo essa
a Roma una chiesa gotica oppure romanica. Il cardinale Dechamps,
arcivescovo di Malines, consentì a informarne il Cardinale Vicario.
Certamente la condizione imposta creava serie difficoltà, massime
per il fatto che già si stavano costruendo le fondamenta secondo il
disegno del Vespignani; tuttavia il Cardinale Vicario pregò l'Eminentissi-
mo Belga di mandargli il disegno proposto, non senza osservare che in
Roma quei due stili non piacevano. Al che l'Arcivescovo di Malines nell'in-
viare il disegno replicava: "Roma, il centro del Cattolicismo, deve avere
monumenti di tutte le grandi epoche della sua storia ed è certamente
rincrescevole che accanto alle basiliche costantiniane e alle basiliche
classiche della rinascenza nulla si veda di somigliante alle cattedrali di
Colonia, di Amiens, di York, di Reims, di Westminster e a tante altre ammi-
rabili chiese del mondo cattolico, senza dimenticare la cattedrale di Mi-
lano. Questo esclusivismo fu una conseguenza, lo so, della storia, ma
ecco che l'occasione si presenta di farla sparire".
In ogni modo il progetto del Béthune fu attentamente esaminato. "Al
certo, riscrisse il Cardinale Vicario, dovendosi erigere una chiesa di stile
123

13.4 Page 124

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assolutamente gotico, assai opportuno sarebbe il progetto presentato;
per altro qui in Roma per siffatti edifizi trova maggior favore lo stile
classico. Inoltre, compiendosi qui il lavoro nelle misure e forme prescrit-
te, l'offerta di lire centomila, quantunque assai ragguardevole, non sa-
rebbe sufficiente, secondo i calcoli fatti, a raggiungere lo scopo". A sua
volta il Vespignani, insigne rappresentante del classicismo romano, nella
relazione al Cardinale Vicario scriveva: "In Roma, sede delle belle arti,
non ha trovato mai favore lo stile assolutamente gotico come quello
che trae origine dal barbaro e solamente è stato adottato ora nella
costruzione degli attuali tempi evangelici".
Il padre Maresca la pensava diversamente; onde consigliò alla Baro-
nessa d'indurre il cardinale Dechamps a trattarne col Papa. Ma Sua
Eminenza se ne schermì, non credendo di poter aggiungere altro a
quanto già aveva scritto a Roma.
E così per una questione bizantina la vistosa offerta svanì.
124
ESAURIMENTO DEI FONDI
INTERRUZIONE DEI LAVORI
Noi siamo persuasi che l'ingegnosità di Don Bosco avrebbe trovato
la maniera, per dirla con una frase volgare, di salvare capra e cavoli; ma
il suo nome allora non era per anco entrato in campo.
Certo è che ben pochi al mondo possedettero come Don Bosco l'arte
o meglio il dono di sapersi procacciare i necessari soccorsi per compiere
tante e sì grandi opere di bene. Così, ad esempio, per quel che riguarda
l'iniziativa romana, essa, benché lanciata così dall'alto e raccomandata
da nomi di principesca risonanza, dopo le prime mosse si arenò com-
pletamente. La mancanza di danaro costrinse a sospendere i lavori,
quando la costruzione era appena a fior di terra. Il Papa, che aveva
già sulle braccia la monumentale fabbrica dell'abside di San Giovanni in
Laterano e il grandioso lazzaretto di Santa Marta in Vaticano, ne rima-
se addoloratissimo, né poteva rassegnarsi a quella specie d'insuccesso;
ma la Provvidenza gli mandò in tempo una buona ispirazione. Dobbia-
mo questa notizia al racconto fattone alcuni anni dopo dal cardinale
Alimonda

13.5 Page 125

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LIDEA DI AFFIDARE LINCARICO A DON BOSCO
Un giorno Leone XIII, tenendo circolo con i Cardinali, manifestò loro
tutta l'amarezza dell'animo suo per quella forzata sospensione. Ne an-
dava di mezzo, diceva, la gloria di Dio, l'onore della Santa Sede e il bene
spirituale di una popolazione tanto numerosa.
- Santo Padre, prese a dire l'Alimonda, io proporrei un modo sicuro
per riuscire nell'intento.
- Quale? chiese il Papa non poco sorpreso.
- Affidarla a Don Bosco.
- Ma Don Bosco accetterà?
- Santità, io conosco Don Bosco e la sua piena e illimitata devozione
al Papa; quando Vostra Santità gliela proponga, sono certissimo che egli
accetterà.
Questo colloquio avveniva nel marzo del 1880, nei giorni cioè
della presenza di Don Bosco a Roma; perciò, Leone XIII diede incarico al
suo Vicario di parlargliene. Sua Eminenza gliene parlò la sera del 24,
senza però manifestargli che c'entrava il desiderio del Papa; gliene riparlò
con maggior insistenza il 28, ma sempre come di cosa sua. Don Bosco
non disse né sì né no, tante e tali erano le difficoltà che gli si affaccia-
vano alla mente, come si raccoglie da più testimonianze dei processi.
Anzitutto le difficoltà di ordine finanziario.
Dai Romani ben poco si aspettava, conoscendo anche per esperien-
za, come già gliene aveva scritto il Cardinale Vicario, quanto allora
fossero stretti di mano. [I fatti lo confermarono. Al pranzo che si diede
nel giorno della consacrazione (14 maggio 1887), il parroco e procu-
ratore Don Dalmazzo, levatosi a brindare, facendosi a esprimere ricono-
scenza verso i benefattori, mise in prima linea i Romani. Don Bosco, preso in
mano il coltello e vibrati alcuni colpettini al bicchiere, lo arrestò nella foga
del suo dire e in mezzo al generale silenzio gli rivolse con tutta calma le
seguenti parole: - Questo non è vero. Va' pure avanti. - In quel- l'istante
Don Bosco dovette ripensare agl'inauditi strapazzi de' suoi viaggi per limosi-
nare le somme necessarie all'impresa. Uno dei commensali che rimase atto-
nito alla franchezza del Beato e che ripeté sovente il racconto dell'episodio,
fu monsignor Jara, già vescovo di Ancud nel Chile].
Né molto sperava dai Francesi, in quel tempo tutti intenti alla loro
125

13.6 Page 126

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126
grande chiesa nazionale del Sacro Cuore e a sostenere le scuole libere;
d'altra parte egli aveva ragione di credere che essi, generosi sempre con
lui finché si trattasse di aiutarlo a mantenere i suoi giovanetti, non
avrebbero preso interesse alla nuova chiesa di Roma.
Nemmeno sull'Italia sembravagli di poter fare largo assegnamento,
sia per le ruinose condizioni economiche del paese, sia per il soverchio
delle pubbliche gravezze, sia per la necessità di soccorrere tante buo-
ne istituzioni locali richieste dalle nuove condizioni politiche dello Sta-
to.
Non ignorava poi il costo delle costruzioni a Roma, le quali impor-
tavano maggiori spese che non in qualunque altra città d'Italia. E non
aveva già sulle spalle un bel numero di opere edilizie? Costruiva le due
chiese di San Giovanni Evangelista a Torino e di Maria Ausiliatrice a
Vallecrosia; fabbricava a Marsiglia, fabbricava a Nizza, fabbricava alla
Spezia. Era prudente aggiungere ancora legna al fuoco?
Un altro motivo di non avventurarsi era la freddezza che gli pareva
di vedere nell'accoglienza fatta al progetto di una chiesa al Castro
Pretorio. Erasi bandito a tutto il mondo che il divisato santuario sareb-
be stato pure un monumento alla memoria di Pio IX, tutti i Vescovi
della Cattolicità erano stati invitati a raccogliere limosine; ma, raggra-
nellato un centinaio di mille lire, tutto fu finito né si aveva speranza in
altre risorse.
Aggiungevasi un terzo guaio. Don Bosco, assumendosi quel carico,
avrebbe dovuto ratificare i contratti già stretti dalla precedente am-
ministrazione, alla quale per giunta si concedeva ancora una certa
ingerenza nell'opera; se non che quei contratti erano assai onerosi,
quali purtroppo solevano essere, allorché si trattava di lavori intrapresi
in nome del Papa.
É qui il luogo di ripetere quanto altrove abbiamo scritto della diffi-
denza con cui si guardava dai Romani ai così detti buzzurri, cioè ai
Piemontesi. Il vedere Piemontesi preferiti in opera di tanto rilievo non
poteva non suscitare gelosie; né, dato lo stato degli animi, la cosa de-
ve recar meraviglia. Difatti, propagatasi la notizia, una commissione di
ecclesiastici si fece presentare da un Prelato al Cardinale Vicario per
protestare contro l'umiliazione che si voleva infliggere al clero romano.
Sua Eminenza, ascoltatili con amorevolezza, non si provò nemmeno a
contraddire, ma si limitò bonariamente a chiedere se si sentivano essi

13.7 Page 127

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13.8 Page 128

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128
di addossarsi quel peso, soggiungendo che si era ancora in tempo. Si
dichiararono pronti. Il Cardinale promise di soddisfare il loro desiderio.
- Con Don Bosco la cosa è presto aggiustata, soggiunse. Combine-
rò col Santo Padre. Don Bosco non ha difficoltà di cedere l'impresa.
- Allora quegli, non contenti, gli dissero che avrebbero formato una
commissione; ma intanto gli chiesero quanto ricevesse Don Bosco dal-
la Santa Sede per quella costruzione.
- Nulla, - rispose Sua Eminenza, che poi fece loro in breve la di-
stinta delle maggiori spese occorrenti e manifestò il suo convincimento
che a Roma avrebbero potuto raccogliere ben poco. Fu una doccia
fredda fredda, che smorzò in un attimo i bollenti spiriti.
DON BOSCO ACCETTA LINCARICO
Al disopra però di tutte queste considerazioni umane due altre di
ordine più elevato si ergevano dinanzi al pensiero di Don Bosco: l'onore
della Chiesa e l'onore della Santa Sede. Era un'onta che Roma cattoli-
ca sfigurasse così di fronte ai protestanti; essi con fondi poderosi ave-
vano già innalzati nella santa città parecchi templi, e i cattolici non
riuscivano a innalzarne uno. Era un disdoro il potersi dire che la voce
del Papa aveva ottenuto un'eco sì fioca nel mondo. Ecco dunque
perché, ventilando il pro e il contro, Don Bosco sulle prime esitò tanto
a esimersi dal grave peso.
Ma venne finalmente a trarlo da tutte le sue incertezze la parola del
Papa. Nella sospiratissima udienza del 5 aprile Leone XIII gli palesò il
proprio desiderio, assicurandolo che con l'aderirvi avrebbe fatto cosa
santa e gratissima al Papa: troppa essere la sua pena per quell'impo-
tenza a continuare. - Il desiderio del Papa, rispose Don Bosco, è per me
un comando; accetto l'incarico che Vostra Santità ha la bontà di affi-
darmi.
- Ma io non potrò darvi denari, soggiunse il Papa.
- Io a Vostra Santità non chieggo denari; chieggo soltanto la sua
benedizione con tutti quei favori spirituali che crederà bene concedere
a me e a quanti coopereranno meco a far sì che il Cuor di Gesù abbia
un tempio nella capitale del mondo cattolico. Anzi, se Vostra Santità
me lo permette, io edificherò pure accanto alla chiesa un oratorio festi-

13.9 Page 129

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vo con un grande ospizio, dove insieme possano essere accolti e avviati
alle scuole e alle arti e mestieri tanti poveri giovani, che specialmente
in quel quartiere abbondano.
- Volentieri, gli rispose il Papa, benedico voi e con voi quanti concor-
reranno a un'opera così santa, sulla quale invoco fin d'ora le benedizio-
ni di Dio. Per le modalità dell'esecuzione v'intenderete col Cardinale
Vicario.
Sparsasi in Roma la notizia che Don Bosco aveva ricevuto dal
Santo Padre l'incarico di fondare un collegio al Castro Pretorio e di
edificarvi la chiesa del Sacro Cuore, alcuni membri verdi della giunta
municipale si recarono dal ministro Villa guardasigilli per sapere quale
contegno si dovesse tenere di fronte al nuovo istituto, che probabil-
mente avrebbe preso vaste proporzioni. Non erano ancora passati dieci
anni dalla breccia di Porta Pia: ad ogni stormire di frasca vaticana la
setta gettava l'allarme. Il Ministro però, che era quel che era, ma che
conosceva abbastanza Don Bosco, e come deputato rappresentava il
collegio elettorale di Castelnuovo, ascoltatili in silenzio, disse franca-
mente a quei signori:
- Don Bosco fa del bene a molti giovani togliendoli dal mal fare e
dando loro l'istruzione. Egli non si occupa di politica. Lo lascino fare.
Il marchese Scati, al quale sul finire del 1880 Don Bosco narrava
il fatto, non si tenne dal manifestargli i suoi timori di guerre che i mas-
soni del municipio e del governo gli avrebbero pur sempre potuto muo-
vere. Il Beato gli rispose: "Per questo ci conviene andar guardinghi: sem-
plici come le colombe, ma prudenti come i serpenti. Don Bosco si man-
tiene sempre scrupolosamente nella legalità: dare a Cesare tutto ciò che
è di Cesare, niente di più, ma niente di meno. Guai se Don Bosco com-
mettesse un'imprudenza! Troppi giovani si troverebbero ricacciati sulla
strada".
LA CONVENZIONE TRA VICARIATO E DON BOSCO
Tornato dall'udienza pontificia, Don Bosco venne abbozzando una specie
di promemoria, che rimise egli stesso nelle mani del Cardinale Vicario la
sera del 18 aprile, antivigilia della sua partenza da Roma (Diario di Don
Berto: “18 aprile, Domenica. A sera Don Bosco andò dal Card. Vicario a
portare un promemoria da presentarsi al S. Padre intorno all'erezione
129

13.10 Page 130

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della chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma”). Egli condensò nel breve
scritto gli elementi, che poi servirono di base a compilare la convenzione
definitiva.
A Sua Eminenza Reverendissima il Sig. Card. Raffaele Monaco La Valletta
Vicario di S.S. in Roma.
I. La Chiesa del Sacro Cuore di Gesù, monumento a S. S. Pio IX di cara
memoria. – Ad unico fine di promuovere la maggior gloria di Dio e il de-
coro di Nostra Santa Religione di buon grado con tutti i miei religiosi io
mi associo a V. E. Rev.ma per cooperare al proseguimento dei lavori in
corso per la erezione della chiesa da dedicarsi al Sacro Cuore di Gesù in
omaggio al glorioso Sommo Pontefice Pio IX di sempre cara memoria.
In quanto alle condizioni da stabilirsi bramerei che la E. V. facesse per
ambedue le parti: quella dell'Autorità Ecclesiastica e quella della Congre-
gazione Salesiana, che la E. V. ha sempre guardato con occhio paterno.
Ma poiché Ella desidera che io esponga a tale uopo i miei pensieri, lo fo
volentieri, dando fin d'ora ogni facoltà alla E. V. di modificare ogni cosa

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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come nella illuminata di Lei prudenza giudicherà più opportuno.
II. La Congregazione di S. Francesco di Sales.
1° La Pia Società di S. Francesco di Sales per mezzo del suo Rettore
prende l'impegno di cooperare con tutti i mezzi a lei possibili per assiste-
re i lavori, cercar mezzi pecuniarii, e materiali da costruzione per ultima-
re la pia impresa che spera possa condursi a compimento nello spazio di
due anni e mezzo o al più tardi in tre.
2° Terminato il sacro edifizio, la medesima Congregazione si assumono le
spese occorrenti per le provviste dei suppellettili, degli arredi e paramenti
sacri; pagherà le spese d'imposta, di manutenzione, di riparazione e simili.
3° Provvederà il personale necessario per l'esercizio del culto religioso,
cioè un sufficiente numero di preti per la celebrazione di messe a como-
dità dei fedeli, per ascoltare le sacramentali confessioni, predicare e fare
catechismi ai fanciulli.
4° Contemporaneamente ai lavori della chiesa o tosto che i medesimi
saranno terminati, si porrà mano all'edificazione di un ospizio in favore
dei poveri fanciulli. Quivi oltre ai ragazzi ricoverati si aprirà un oratorio
festivo pei giovanetti che dimorano in quel vicinato, loro si farà il cate-
chismo, la scuola serale e se sarà mestieri anche diurna, come si pratica
nelle case della Congregazione aperte con identico scopo.
5° Consacrata la chiesa al divin culto, i Salesiani dipenderanno dall'Auto-
rità dell'Ordinario, come dipendono le chiese che appartengono a Con-
gregazioni Ecclesiastiche, qualora poi la prelodata Autorità Ecclesiastica
giudicasse di erigere a Parrocchia la chiesa del Sacro Cuore, il parroco si
sceglierà tra religiosi Salesiani, che il Rettore della Congregazione pro-
porrà all'Em.mo Card. Vicario di Roma, e sarà quello che la stessa Emi-
nenza Sua giudicherà più idoneo a quella carica per promuovere la gloria
di Dio e il bene delle anime.
131
III. L'Autorità Ecclesiastica.
1° Sua Eminenza Reverendissima il Sig. Card. Vicario continuerà il suo
appoggio materiale e morale in favore dell'Opera con tante sollecitudini
da lui cominciata e promossa; metterà a disposizione del Sac. Bosco il

14.2 Page 132

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terreno, i muri dell'edifizio nello stato in cui si trovano. Il danaro raccolto
per cura di S. E. o di altri a questo fine sarà tutto e unicamente impiega-
to nella costruzione della chiesa monumentale.
2° Darà facoltà di continuare la questua in quei luoghi e presso a quelle
persone, cui la prudenza suggerirà di ricorrere.
3° L'Em.mo Card. Vicario non avrà alcuna responsabilità materiale pei
lavori o pei nuovi acquisti di terreno, che occorressero alla prefata co-
struzione.
4° S. E. il Sig. Cardinale Vicario è umilmente pregato di presentare que-
sto progetto al S. Padre, affinché lo modifichi a suo piacimento, e questo
non avrà alcun valore, se non quando sarà dalla Santità Sua approvato e
benedetto.
Roma, 10 Aprile 1880. - Sac. Gio. Bosco.
LAPPROVAZIONE DEL CONSIGLIO SUPERIORE
Secondo le nostre Costituzioni, Don Bosco non poteva impegnarsi a fon-
do in un affare di tanta mole senza prima interpellare il proprio Capitolo.
Giunto pertanto a Torino e radunati i suoi consiglieri, espose loro la pro-
posta del Santo Padre.
Lunga fu la discussione. Tutti convenivano essere onorifica la proposta
pontificia, ma onerosissima; aversi in quel tempo debiti per oltre a tre-
centomila lire, né sembrare cosa prudentemente e coscienziosamente
consigliabile il metter mano a un'impresa che avrebbe inghiottito milioni.
Dalla discussione si passò ai voti, che risultarono sei contrari e uno solo
favorevole, quello certamente di Don Bosco.
Egli al vedersi respinta a quel modo la proposta del Santo Padre sorrise e
disse:
132
- Mi avete dato tutti un no rotondo, e sta bene, perché avete agito
secondo la prudenza necessaria a seguirsi nei casi seri e di somma im-
portanza com'è questo. Ma se invece di un no mi date un sì, io vi posso
assicurare che il Cuore di Gesù manderà i mezzi per fabbricare la sua
chiesa, pagherà i nostri debiti e ci darà ancora una bella mancia.
Le sue parole, ispirate a sì viva fiducia nella divina Provvidenza, cambia-

14.3 Page 133

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rono di botto i pareri, sicché, rifatta la votazione, i sei no diventarono
tutti sì. Anzi, poiché, esaminato il disegno, si trovò che era troppo angu-
sto, ecco che, seduta stante, si deliberò di proporne al Santo Padre un
altro più vasto che riuscisse degno del Sacro Cuore e di Roma. E così fu
fatto. La mancia altro non era che l'ospizio, il quale non entrava nelle
intenzioni del Papa, ma sarebbe un di più, dato quasi a titolo di premio
dal Sacro Cuore. I debiti della Congregazione, come il Servo di Dio aveva
promesso e come attestò il cardinale Cagliero nei processi, vennero pa-
gati senza che nascessero inconvenienti.
Non si pose tempo in mezzo per dare principio alle trattative.
LA PRIMA DIMORA DEI SALESIANI A ROMA
Frattanto mentre a Torino si elaborava uno schema di convenzione da
inviare a Roma, Don Bosco s'affrettò a fare acquisto di un'area limitrofa
al terreno primitivo, sulla quale sorgeva una casetta, all'estremità oppo-
sta, là dove oggi l'ospizio fa angolo fra via Marsala e via Marghera. Spe-
se in tutto lire quarantanove mila e cinquecento.
Quella casetta, alzata di due piani, fu la prima dimora dei Salesiani du-
rante il periodo dei lavori. Lo scopo di Don Bosco nell'allargare così l'arca
fabbricabile era di far posto al prolungamento della chiesa e all'erezione
dell'ospizio. Egli non sapeva che con questo mandava a monte gl'intrighi
dei protestanti per fabbricare colà un loro tempio; lo sapeva però bene il
Cardinale Vicario, che si disse lietissimo dell'acquisto.
Sua Eminenza non dimostrò uguale arrendevolezza per l'ampliamento
della chiesa: si sentiva forse ancora legato alle sorti dell'impresa e pa-
ventava un secondo insuccesso. Ci volle del bello e del buono a piegarlo;
infine l'intervento risoluto dell'architetto ne vinse le opposizioni: lasciata
intatta la larghezza della chiesa, ai 35 metri di lunghezza precedenti ne
furono aggiunti 11 per due nuove arcate e 18 per un abside. Infatti rac-
comandava a Don Dalmazzo: Pregherei il Cardinale che ci aiutasse a fare
in modo che la chiesa sia molto spaziosa. Come trovasi nell'attuale dise-
gno avrebbe appena 400 metri pel pubblico, e noi avremmo bisogno che
ne avesse almeno il doppio. Perciocché la nuova parrocchia prima che sia
terminata. abbraccerà non meno di sei mila anime. Ciò richiederebbe cir-
ca 900 metri affinché contenga un terzo della popolazione.
133

14.4 Page 134

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COME RACCOGLIERE I FONDI NECESSARI
Per animare alla carità le persone ricche, pie e generose, Don Bosco le
stringeva vie più alla Chiesa e al Papa con i vincoli di onorificenze o di
favori spirituali, che a seconda dei casi egli si studiava di ottener loro
dalla Santa Sede. Queste persone poi, sentendosi allora quasi più vicine al
Vicario di Gesù Cristo e da lui particolarmente dilette, godevano di ren-
dersene degne facendo del loro meglio per cooperare in opere, nelle quali
stimassero d'incontrare il sovrano gradimento del Santo Padre.
Esemplare è la lettera inviata a Don Dalmazzo che parla pure del com-
promesso per l'acquisto del nuovo terreno e tocca del trapasso legale
della proprietà circa il terreno vecchio e l'iniziata costruzione. Il signor
Sigismondi aveva anticipato per Don Bosco la somma di ventimila lire. In
mezzo a sì aridi affari una nota di buon umore rivela e infonde serenità.
Car.mo D. Dalmazzo,
Ti mando due suppliche che tu puoi presentare al Card. Giannelli
o forse meglio al Card. Mertel. Sono due insigni nostre Benefat-
trici fervorose cattoliche. Mad. Prat ha già offerto 65 mila lire
(sessanta cinque mila) pel danaro di S. Pietro. Manderà altra
somma tra breve tempo.
Se ci sono spese saranno fatte, ma desidero di farle io per poter
dire che è un regalo. Cosa che frutterà assai più.
Il Sig. Caranti ha ricevuto risposta per mezzo del Comm. Fontana
che noi prendevamo anche il casotto a prezzo conveniente e ri-
spose di sì. Sarà bene parlargli. Il compromesso dà tempo a
provvedere e ciò va bene. Io mi occupo di ogni cosa; specialmen-
te del mutuo e ne spero assai bene.
134
Appena fatto l'atto notarile del trapasso in nostro favore della
Chiesa del Sacro Cuore, dammene subito notizia.
Ogni cosa letta in Capitolo fu approvata.
Per tua norma se facciamo bancarotta andremo a rifugiarci nella
Patagonia con D. Fagnano. Dunque avanti con tranquillità...
Torino, 9-7-1880.
Aff.mo amico - Sac. Gio. Bosco.

14.5 Page 135

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PROPRIETÀ ED USUFRUTTO
La "clausula" sulla quale Don Bosco in una successiva lettera a Don Dal-
mazzo dice di aver molto riflettuto, si riferiva all'articolo 3° dello schema
di convenzione, articolo modificato poi nel senso da lui proposto.
Mio caro D. Dalmazzo,
ho molto riflettuto sulla clausula relativa al caso che venisse a
mancare la nostra Congregazione. Ma in faccia alla legge non
siamo ente né morale né legale. D'altra parte anche in caso di
cataclisma sarà sempre più rispettata una chiesa parrocchiale
che appartenga all'Autorità ecclesiastica, anziché una nostra
proprietà che non possiamo possedere se non come proprietà
individuale.
Credo pertanto, se siamo ancora in tempo, si possa: La chiesa e
la casa parrocchiale nella proprietà appartengono all'Ordinario di
Roma in perpetuo; ma l'usofrutto apparterrà in perpetuo alla pia
Società, di S. Francesco di Sales. Il resto si metta nelle mani della
Divina Provvidenza. Se le cose non sono ancora conchiuse tu po-
trai parlare in questo senso al Card. Vicario. Altrimenti lasciamo
quello che è scritto...
Torino, 14-7-1880.
Aff.mo amico - Sac. Gio. Bosco.
Nel discutere con Don Dalmazzo sul regolamento della proprietà l'ottimo
Cardinale Vicario si lasciò sfuggire queste parole: "Tutti dicono che la
Congregazione Salesiana è Don Bosco. Finché egli vive, bene; morto lui,
tutto si scioglierà come nebbia al sole". Per altro si compiacque di ascol-
tare gli argomenti addotti dal suo interlocutore per dimostrare la stabilità
della Congregazione. Questi chiuse la sua apologia osservando che se a
Don Bosco e alla Congregazione fosse per toccare la fortuna di aver
sempre a Cardinale Vicario un Porporato come Sua Eminenza, che era
per i Salesiani un vero padre, Don Bosco non avrebbe insistito tanto sulla
proprietà, lasciando tutto nelle mani sue; ma, poiché le cose potevano
mutare, la prudenza consigliava di non transigere. L'osservazione gli gar-
bò e disse che nel senso voluto avrebbe riferito al Santo Padre.
135
Il giorno 14 luglio Don Dalmazzo scrisse al Beato: "Il Cardinale Vicario
parlò a lungo col S. Padre su questo affare ed Egli disse al Vicario:

14.6 Page 136

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- Parlate con D. Dalmazzo e ditegli che scriva a Don Bosco e lo preghi a
nome mio a non mettere difficoltà alcuna a questa fabbricazione, perché
ne va di mezzo la salute delle anime".
A volta di corriere Don Bosco rinnovò al Procuratore le sue istruzioni così
formulate: "La proprietà della Chiesa in perpetuo all'autorità ecclesiasti-
ca; e l'uso in perpetuo alla nostra Congregazione...".
IL PRIMO PARROCO SALESIANO
Botte e risposte fra il Vicariato di Roma e il Capitolo Superiore per fissa-
re il testo della convenzione si susseguivano e s'incalzavano ancora,
quando il Servo di Dio presentò ufficialmente il candidato a reggere la
parrocchia, della quale sul finire di marzo erasi avuto il riconoscimento
civile; l'erezione canonica datava già dal 2 febbraio dell'anno anteceden-
te.
136
Eminenza Reverend.ma,
Da notizie provenienti da varie fonti mi risulta essere intenzione
della E. V. Rev.ma di affidare la cura della nuova Parrocchia del
Sacro Cuore di Gesù ad un Sacerdote Salesiano. Qualora tale sia
la rispettabile di Lei volontà, io Le propongo la scelta nella perso-
na del nostro Procuratore Generale D. Francesco Dalmazzo Dot-
tore in Lettere e figlio del fu Giacomo. Appena tale nomina sia
effettuata, io mi darò premura d'inviare in aiuto del medesimo un
numero sufficiente di sacerdoti procurando che vadano forniti
delle doti necessarie a chi si consacra al sacro Ministero delle
anime...
Della E. V. Rev.ma
Torino, 31 Luglio 1880.
Obbl.mo Servitore - Sac. Gio. Bosco.
Il decreto di nomina e d'investizione fu emanato solo il 12 luglio 1881 e
comunicato al neoparroco Don Dalmazzo il 3 agosto successivo.

14.7 Page 137

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Nonostante il buon volere dei contraenti, sorgevano sempre punti di di-
saccordo, sicché s'arrivò all'autunno senza che si addivenisse a una per-
fetta intesa.
Don Bosco mirava a eliminare qualsiasi causa di contestazione nel futuro.
Nella prima metà di ottobre si discuteva ancora della congrua parroc-
chiale. I Superiori di Torino stavano in dubbio se chiederla o no, e se
chiederla al municipio, al governo o alla Santa Sede. Finalmente il 18 di
quel mese Don Bosco scrisse al Procuratore: "Riguardo alla Congrua ci
rimettiamo a quello che giudicherà di fare il S. Padre e che consiglierà
l'Em.mo Card. Vicario". La cosa finì con essere regolata a tenore dell'arti-
colo 10° della convenzione.
137
RIPRESA DEI LAVORI
Intanto gli operai ripigliavano adagio adagio il lavoro; anzi Don Sala an-
dava già in cerca delle colonne di granito volute dall'architetto. Nella let-
tera citata Don Bosco proseguiva: " Don Sala è in giro per avere i prezzi
delle colonne per la Chiesa del Sacro Cuore. Te ne darò cenno e se avvi

14.8 Page 138

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qualche cosa, dimmelo tosto […] Fede, preghiera e avanti".
Col mese di novembre scadeva il termine convenuto per il pagamento di
una forte rata del debito contratto verso la Banca Tiberina nell'acquisto
del terreno, della casa e di materiali da costruzione, né si sapeva dove
dar del capo. Ricorrere alla stampa per sollecitare offerte non conveniva
ancora, finché rimanevano incompiute le ultime formalità. L'imbarazzo di
Don Bosco traspare abbastanza da questa lettera.
Car.mo D. Dalmazzo,
Occorre regolare partita Caranti secondo la lettera in cui dove-
vansi pagare 39 mila e 500 lire al presente. Io non aveva rileva-
ta tale clausula. Per la crisi finanziaria tutti gridano e chiudono la
borsa. Possiamo contare in Roma sopra qualcuno? Pensaci e poi
dimmene qualche cosa.
Urge al sommo poter cercare danaro pel Sacro Cuore, ma finché
le cose siano definitivamente compiute pare non convenga pub-
blicare. Pure siamo senza danari!
Dunque fa la conclusione”...
FIRMA DELLA CONVENZIONE
138
Ma la conclusione tardava tuttora a venire, perché Don Bosco esitava
alquanto su due articoli. L'articolo 8° imponeva un termine perentorio al
compimento dei lavori e il 13° prospettava l'eventualità che l'Autorità
Ecclesiastica, per manco di persona salesiana adatta, dovesse deputare
alla parrocchia un vicario ed economo anche a vita. "L'articolo dei sei
anni obbligatori, scrisse Don Bosco il 9 dicembre, e l'altra del Vicario
parrocchiale a vita devono essere modificati". A tal uopo egli accludeva
una nota redatta da Don Rua a nome del Capitolo Superiore e firmata
da Don Bosco. Il senso d'illuminata prudenza e di santa semplicità che
la informa, rispecchia molto bene lo spirito del nostro amato Fondatore.
Eminenza Reverendissima,
Il Capitolo Superiore della pia Società di S. Francesco di Sales per

14.9 Page 139

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mezzo dello scrivente suo Rettor Maggiore prega la E. V. Rev.ma
a voler permettere due piccole modificazioni agli articoli di pro-
posta per la chiesa del Sacro Cuore.
Se si dovesse sempre trattare colla sempre benemerita Eminenza
Vostra si accetterebbero queste e qualunque altra condizione.
Ma si tratta di evitare vertenze che troppo facilmente potrebbero
insorgere tra coloro che in avvenire amministreranno le cose no-
stre dopo di noi.
Pertanto all'articolo 8° fu aggiunto: "purché questo non sia per
impedimento di forza maggiore è fissato il termine dei lavori ob-
bligatorii della casa parrocchiale al nono anno".
13° - A questo articolo le parole dopo "Vicario od Economo" fu
tolto anche a vita per lasciare pieno esercizio all'Autorità Eccle-
siastica e donare alla Congregazione Salesiana la possibilità di
subentrare al normale esercizio della parrocchia e porre fine agli
inconvenienti che sarebbero inevitabili nel caso i giovani dell'Ospi-
zio, dell'Oratorio festivo e delle scuole dovessero intervenire alla
chiesa parrocchiale, quando questa dipendesse da un ammini-
stratore estraneo alla pia Società...
Torino, 11 Dicembre 1880.
Obbl.mo servitore - Sac. Gio. Bosco.
Alle due modificazioni desiderate da Don Bosco il Vicariato fece buon
viso, nel primo caso con l'aggiunta di una riserva circa l'eventualità di-
pendente da forza maggiore e nel secondo con la sostituzione di
"temporaneo" ad "anche a vita". Con questo ebbero termine le scherma-
glie sul testo della convenzione, che l'11 dicembre fu sottoscritta da Don
Bosco e il 18, previa l'approvazione del Papa, dal Cardinale Vicario. Fra
l'una e l'altra data presentatosi Don Dalmazzo al Papa per umiliargli au-
guri e omaggi da parte di Don Bosco e dei Salesiani, il Santo Padre gli
domandò a che punto si stesse per le firme. Udito essere imminente la
firma del Cardinale Vicario, disse: -Fate presto e fate gran bene!
139

14.10 Page 140

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DEBITI E PAGAMENTI
Intanto bisognava saldare i conti con la Banca Tiberina, che mandò la
parcella del debito, ammontante a lire quarantadue mila, né ammetteva
dilazione oltre la fine di dicembre. "Qui non v'è speranza di trovar danaro,
aveva scritto Don Dalmazzo al Beato il 10 dicembre. Se ci fosse Don
Bosco, allora qualche cosa verrebbe certo". E continuava a tempestare
per avere di che. Il pensiero di Don Bosco è in questo passo di una lette-
ra del 9 al disperato Procuratore ("Potrò pagare o debbo scappare a
Torino o in America? Mi consigli e mi aiuti " (Lett. 6 dicembre): "Per
concretare il da farsi colla Banca Tiberina è d'uopo osservare che non
avendo potuto vendere gli stabili ad hoc, non abbiamo il danaro prepara-
to. Perciò se si può aspettare pagheremo l'interesse, come per l'altra
somma. Diversamente facciasi un'eccezione sul modo di pagamento; cioè
pagare a somme ripartite. Si studierà di estinguere l'intiera somma entro
breve tempo. Tu poi in omnibus labora per raccogliere oblazioni e se non
puoi provvedere altrimenti, fa' o perpetra qualche furto rilevante, o me-
glio, opera qualche sottrazione matematica nella cassa di qualche ban-
chiere. Altri scriveranno altro".
La Banca però, non appena si convinse della potenza di Don Bosco, ac-
cordò che i pagamenti si facessero a lunghe more; anzi a Don Dalmazzo,
che aveva procura generale a nome di lui, diede per lo spazio di sette
anni somme cospicue con semplice ricevuta, senza ipoteca. Arrivò finan-
co a dargli una volta ottantamila lire, dicendo il direttore: - Si tratta di
Don Bosco che ha la Provvidenza a sua disposizione e non ci fa perdere.
FIDUCIA NELLA PROVVIDENZA
Davvero soltanto la fiducia illimitata nella Provvidenza poté indurre Don
Bosco a curvare le spalle sotto sì grave peso; chi guardava le cose uma-
namente, dinanzi a tanto ardire tentennava il capo. Interrogato allora da
140
un eminente personaggio dove pensasse di prendere i mezzi in tempi
così critici e anormali, rispose: - Dalla Provvidenza. - Al che quegli in-
calzò, domandando se fosse privilegio suo speciale l'avere la Provvidenza
a propria disposizione. E Don Bosco: - Grazie a Dio, non ci è mai venuta
meno. - Infatti, spese due milioni per la chiesa e uno e mezzo per l'ospi-
zio, cifre a quei tempi assai rilevanti.

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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Éperò doveroso aggiungere che egli non tentò la Provvidenza, ma s'aiutò
anche quanto poté. Sono incredibili gli strapazzi e le sofferenze a cui si
sottopose per eseguire il desiderio del Pontefice, strapazzi e sofferenze
che, al dire di Don Cerruti che ne fu testimonio, gli abbreviarono la vita.
Per tutti questi motivi, a cose fatte, Leone XIII alcun tempo dopo la mor-
te del Servo di Dio, disse al successore di lui: - Ah, fu veramente una
felice idea quella di affidare a Don Bosco l'erezione della chiesa del Sacro
Cuore al Castro Pretorio!
Ma Don Bosco mirava lontano. Il nostro monsignor Giovanni Marenco
ricordava una sua misteriosa parola, che il tempo non deve coprire di
oblio. Nel giorno stesso in cui accettò quell'onerosissima offerta, il Beato
gli domandò:
- Sai perché abbiamo accettato la casa di Roma?
- Io no, rispose quegli.
- Ebbene, sta attento. L'abbiamo accettata perché quando il Papa sarà
quello che ora non è e come deve essere, metteremo nella nostra casa la
stazione centrale per evangelizzare l'agro romano. Sarà opera non meno
importante che quella di evangelizzare la Patagonia. Allora i Salesiani
saranno conosciuti e risplenderà la loro gloria.
Contenevano queste parole un vaticinio? Oggi intanto il Papa non è più
quello che era allora, ma è come dev'essere. Quanto al resto, il tempo
darà la risposta.
Ma, o vaticinio o no, splende qui se non altro un lampo dello zelo che
ardeva perenne in cuore al nostro Beato Padre, che, mentre a talune im-
prese metteva mano, altre ne vagheggiava.
IL SOGGIORNO A ROMA DEL 1884
Dal 24 marzo 1880, quando il Card. La Valletta chiese a Don Bo-
sco di assumersi l'onere di costruire il tempio, Don Bosco impegnò mol-
to del suo tempo e delle sue energie perché l'opera procedesse spedi-
tamente, contro i tanti imprevisti e le grosse spese da affrontare. Per
questo, Don Bosco nel 1884 tornò a Roma, dove cercava offerenti e
dove lanciò una lotteria i cui ricavati sarebbero serviti a sfoltire un po'
la massa dei debiti già accumulati.
141

15.2 Page 142

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Giunse nella città il 14 aprile, e questa volta finalmente poteva abi-
tare in una casa tutta sua! I giovani dell'oratorio lo ricevettero festosa-
mente ed egli, vedendoli, corse col pensiero ai loro compagni di Val-
docco, cui fece scrivere una lettera da don Lemoyne.
Egli sperava di potersi riposare un po' a Roma (era appena tornato
da uno stancante viaggio in Francia), invece i preparativi della lotteria
e le difficoltà per ottenere alla Congregazione Salesiana i privilegi da
tempo richiesti, uniti alle centinaia di udienze che era costretto a con-
cedere alle persone che volevano essere ricevute da lui, fecero sì che
invece di riposarsi, il Santo si stancò ulteriormente, pur avendo limitato
al massimo le visite ad illustri personalità, come invece aveva fatto nei
precedenti viaggi.
L'8 maggio Don Bosco tenne la Conferenza ai Cooperatori (da Tor
de' Specchi). Il tempo era pessimo, ma un buon numero di persone sfi-
dò le intemperie per ascoltare il Santo.

15.3 Page 143

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RICEVUTO DAL PAPA LEONE XIII
Il 9 maggio era il giorno fissato per l'udienza concessagli dal Papa
Leone XIII, dopo essersi interessato sulle sue condizioni di salute, chiese
notizie sull'andamento dei lavori al Castro Pretorio e Don Bosco colse
l'occasione per proporre al Santo Padre una sua idea.
Dopo il Papa entrò a parlare della chiesa del Sacro Cuore e doman-
dò:
- Quali lavori state ora compiendo?
Don Bosco spiegò a che punto fosse l'innalzato edifizio e quali fos-
sero i lavori in corso; disse delle difficoltà incontrate, del bene che si
faceva nel presbiterio già finito e che pel momento serviva di parroc-
chia, del mese di maggio cui interveniva un migliaio di persone ogni
sera, dell'oratorio festivo, delle scuole frequentate da duecento giovani,
del catechismo domenicale, al quale accorrevano circa trecento ragaz-
ze, dell'ospizio che si stava per costruire e dei locali già fatti o com-
prati che avrebbero potuto già contenere una cinquantina di giovanetti.
Il Papa ascoltava con vivo interesse questa esposizione, quando Don
Bosco uscì a dire:
- Io vorrei chiedere a Vostra Santità che mi permettesse di espri-
mere una mia idea.
- Dite, dite, rispose il Santo Padre.
- Questa chiesa, proseguì Don Bosco, è cattolica, cioè tutto il mon-
do prende parte alla sua costruzione, e questo ospizio è per i giovanetti
di ogni nazione della terra. Io vorrei che Vostra Santità comparisse in
quest'opera.
- No, non devo rifiutarmi, disse il Papa. E che cosa proporreste?
- Che Vostra Santità si assumesse la spesa della facciata della
chiesa del Sacro Cuore. Che bella cosa sarebbe se sopra il frontone si
leggesse scolpita questa epigrafe: Catholicorum pietas construxit, fron-
tem autem huius ecclesiae Leo XIII Pont. Max. proprio aere aedificavit!
- Avete dunque già preparata l'iscrizione?
- Questa o un'altra migliore, ma purché esprima questo sentimento.
143

15.4 Page 144

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Il Papa si mise a ridere.
- E perché no? Accetto la facciata: la farò io.
- Ma, Santo Padre, spiegò Don Bosco, non voglio tuttavia che resti
solo nell'impresa di edificare questa facciata: voglio aiutarlo in quello
che posso. L'altro giorno la contessa Fontenay non le portò diecimila
lire?
- Sì, è vero.
- Ebbene, è Don Bosco che l'ha consigliata a fare questa offerta.
Fra poco Vostra Santità riceverà altre diecimila lire; ed io so che un'al-
tra persona di Marsiglia, affinché si proseguano i lavori della chiesa, si
dispone a fare una generosa offerta a Vostra Santità.
- Sì, sì; resta dunque concluso l'affare a questo modo.
- Santo Padre, lo ringrazio di tanta bontà; ma mi permetta di dire
ancora una cosa. Vorrei che il mondo conoscesse questa sua generosi-
tà e, se mi fosse permesso, io la pubblicherei nel Bollettino Salesiano.
- Date pure a questo fatto la pubblicità che volete e secondo la
vostra prudenza. Nella sua proposta Don Bosco vedeva anche un mez-
zo per avvantaggiare il denaro di S. Pietro, allora scemato di molto.
144
LA LETTERA DA ROMA DEL 1884
Il 19° soggiorno di Don Bosco nella città eterna è diventato impor-
tante per una lettera, la famosa "lettera da Roma". Questa, scritta il
10 maggio e recante la firma del Santo, è il racconto di un suo sogno
sull'andamento dell'oratorio di Valdocco.
Egli, anziano e stanco, incaricò il suo segretario (Don Lemoyne) di
stendere il testo, dopo avergli dato alcune sommarie indicazioni del
sogno.
«D. Bosco in quelle notti in cui si era trovato male aveva fatto uno
di quei sogni che fanno epoca. In diverse volte lo raccontò a D. Lemoy-
ne e quindi glielo fece stendere e leggere correggendolo. Quindi si do-
vette rifare e ricopiare. Siccome riguardava specialmente i membri della
congregazione Salesiana fu necessario un nuovo lavoro perché potesse
essere letto in pubblico alla presenza di tutti i giovani dell'Oratorio.

15.5 Page 145

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Conservata quindi tutta la seconda parte si dovette mettere da par-
te ciò che prolissamente si diceva nella prima, rappresentando cioè
solo la scena delle due ricreazioni. Questa lettera venne spedita il 10
maggio. Letta in pubblico da D. Rua fece un grande effetto; ormai da
varii anni i giovani non erano assuefatti a udir lettere loro indirizzate
da D. Bosco. Fu questo nellOratorio come il segnale di una riforma
della quale parleremo nel progresso del nostro racconto. Il primo effet-
to di questo sogno fu che D. Bosco conobbe lo stato di tante coscienze
anche di certi uni che sembravano buonissimi sicché alcuni furono al-
lontanati dalla casa». (Braido)
Oggi la lettera da Roma è considerata un pilastro tra gli scritti pe-
dagogici di Don Bosco. È un testo breve, ma denso, in cui si ritrova il
Don Bosco autentico, vivo, il padre che ama i suoi figli. Non è un trat-
tato, ma una lettera sgorgata dal cuore, dal- lamore e dallesperienza
educativa del prete torinese.
È la lettera di un padre lontano che ha nostalgia dei suoi figli.
Quasi sulle mosse per lasciare l'eterna città Don Bosco fece scrivere
all'Oratorio sotto forma di lettera la narrazione di un sogno della mas-
sima importanza. L'aveva avuto in una di quelle notti, nelle quali si
sentiva più male. Lo raccontò in più volte a Don Lemoyne ingiungendo-
gli di stenderlo; il che eseguito, se lo fece leggere, dettando correzioni.
Il 6 maggio aveva fatto scrivere a Don Rua: "Don Bosco sta preparan-
do una lettera che intende di mandare ai giovani, nella quale vuol dire
tante belle cose ai suoi amatissimi figliuoli". La lettera fu spedita il 10
maggio; ma Don Rua, non credendo conveniente leggerla in pubblico
tutta intera, pregò d'inviargliene una copia che potesse andare per gli
alunni. Don Lemoyne ne estrasse per loro le parti che non riguardavano
i superiori. La lettura fattane da Don Rua alla sera dopo le orazioni
venne ascoltata dai giovani con tremore, massime perché il Santo dice-
va d'aver conosciuto lo stato di molte coscienze. Dopo il ritorno era
una processione di ragazzi alla stia camera per sapere com'egli li aves-
se veduti. Due principali effetti ne derivarono: un principio di riforma
nella vita dell'Oratorio e l'allontanamento di certuni, che sembravano
buonissimi
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LO STEMMA SALESIANO
In quello stesso anno venne alla luce lo "stemma" Salesiano, proprio
per essere collocato sulla Chiesa del Sacro Cuore.
La Congregazione non si era dato ancora uno stemma ufficiale, co-
me fu costume di tutte le famiglie religiose; per uso di sigillo s'impri-
meva la figura di S. Francesco di Sales circondata da scritta latina che
designava la Pia Società Salesiana.
Soltanto il 12 settembre 1884 Don Sala presentò al Capitolo Su-
periore l'abbozzo dell'impresa salesiana, indottovi dall'opportunità di
fissarla sulla chiesa del Sacro Cuore fra quel- le di Pio IX e di Leone
XIII. L'aveva disegnata il professor Boidi. Era uno scudo con una grande
ancora nel mezzo; a destra di questa il busto di S. Francesco di Sales,
a sinistra un cuore infiammato, sull'alto una stella raggiante a sei pun-
te; sotto, un bosco, dietro cui alte montagne; da basso due rami, uno
di palma e l'al- tro d'alloro, intrecciati nei gambi, ab- bracciavano lo
scudo fino metà. Nel- la parte inferiore usciva una fascia svolazzante e
recante il motto: Sinite parvulos venire ad me.
Si osservò che tale motto era sta- to già preso da altri. Don Barbe-
ris propose di mutarlo in Temperanza e Lavoro, sugge- ritogli dal sogno
di Don Bosco, nel quale questo binomio è dato appunto come stemma
ossia distintivo della Congregazione. Don Durando avrebbe preferito
Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Don Bosco risolse la que-
stione dicendo: - Un motto fu già adottato fino dai primordi dell'Orato-
rio, ai tempi del Convitto, quando io andava alle prigioni: Da mihi ani-
mas, cetera tolle. - Il Capitolo acclamò Don Bosco e accettò lo storico
motto.
Al Santo non piacque la stella che sormontava lo scudo, perché gli
sembrava che sapesse alquanto di emblema massonico e vi fece sosti-
tuire la croce raggiante. La stella venne poi introdotta a sinistra, al
disopra del cuore. In tal modo restarono ravvicinati i tre simboli delle
virtù teologali.
Il motto prescelto, come i più antichi alunni dell'Oratorio, fra cui il
canonico Ballesio e il cardinale Cagliero, deposero nei processi, si vede-
va ab antico, quand'essi erano ancora piccoli, scritto a grossi caratteri
sulla porta della stanzetta di Don Bosco.

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Non si poteva meglio esprimere quello che fu l'obiettivo supremo del
Santo nell'agire e nel soffrire, nello scrivere e nel parlare, obiettivo che
doveva formare il programma essenziale della Società da lui fondata.
Che il bene delle anime sia stato sempre la sua massima preoccupa-
zione, si scorge abbastanza leggendone la vita.
LULTIMA VOLTA A ROMA (1887)
Il 1887 fu l'anno in cui Roma vide per l'ultima volta Don Bosco.
Egli partì da Torino la mattina del 20 aprile. "Partì da casa, scrisse
Don Lazzero, che pareva non potesse resistere al viaggio nemmeno
sino a Moncalieri".
Egli ormai era anziano e affaticato, ma volle lo stesso affrontare
questo viaggio nella città eterna, che sapeva essere l'ultimo della sua
vita.
Il motivo del perché si fosse messo in viaggio lo spiegò lo stesso
Don Bosco ad alcuni sacerdoti di Arezzo:
Uno di loro, presa confidenza, gli domandò perché mai egli, così
sofferente come appariva, si fosse azzardato a fare un viaggio tanto
lungo. Rispose:
- Che volete? È un comando del Papa, e al Papa non si può dire di
no. Fra pochi giorni avremo la consacrazione della chiesa del Sacro
Cuore al Castro Pretorio.
Il Papa, saputo ciò, disse al nostro superiore locale. - "E Don Bosco
viene alla consacrazione?". Avendogli quegli risposto che le mie condi-
zioni di salute non me lo avrebbero permesso: "No, disse il Papa. Voglio
che venga. Scrivetegli che se non viene, non gli firmo il passaporto pel
paradiso". Vedete bene che è anche mio interesse andar a prendere un
documento così prezioso, di cui avrò bisogno certamente e fra non
molto. L'Arciprete di Capannole, che ci descrive questa visita, afferma
che le parole di Don Bosco sono da lui riferite "testualmente". Dunque,
cosa che non avremmo saputo da altra fonte, il penoso viaggio fu in
sostanza per Don Bosco un atto di obbedienza al Papa.
Partì per Roma la mattina del 30, giungendo alla stazione di Termi-
ni poco dopo le 15. Mentre sorretto moveva a stento i passi verso l'u-
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scita, dispensava buone e talora lepide parole a tutti quelli che gli era-
no venuti incontro. Gli si presentarono pure due sorelle ch'ei riconobbe,
e gli dissero che, se permetteva, sarebbero andate a visitarlo.
Don Bosco sorridendo rispose:
- Per far visita a Don Bosco in Roma ci vogliono da dieci a dodici
mila lire. - Ma tosto ripigliò: - A loro tuttavia darò udienza anche gra-
tuitamente.
Entrò in casa da via Magenta. La porta era adorna di festoni, le
colon- ne dell'atrio vestite di fiori, e dalla parete esterna dell'abside
pendeva un'epigrafe che diceva: Roma si allieta e si esalta nell'acco-
gliere tra le sue mura il nuovo Filippo, Don Giovanni Bosco.
Sotto il porticato lo aspettavano i giovani e i superiori. Egli, seduto
sopra un'umile scranna, permise a tutti di baciargli la mano; quindi
ascoltò amorevolmente canti e letture". Alla fine del trattenimento,
mentre saliva i primi gradini per avviarsi al piano superiore, disse in
tono faceto a quelli che lo attorniavano: - Mi avete lette delle compo-
sizioni parlandomi di tante cose, ma del pranzo non mi avete detto
ancora nulla. - Tutti risero e gli si rispose che il pranzo era apparec-
chiato. Si misero a mensa con lui alcuni signori, fra i quali spiccava
l'alta figura del principe Augusto Czartoryski.
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UDIENZA PONTIFICIA
Il 13 maggio, vigilia della solenne Consacrazione della Basilica, il
Santo fu ricevuto in udienza dal Santo Padre.
Il Papa lo accolse festevolmente, né permise che s'inginocchiasse al
bacio del piede, ma comandò a monsignor Della Volpe di avvicinargli
una poltroncina. Essendo stata questa collocata a una certa distanza, il
Papa se la tirò da presso, vi fece sedere Don Bosco, lo prese per la
destra e, stringendola caramente fra le sue mani, gli ripeteva:
- Oh caro Don Bosco, come state?... Come state?... - Poi si alzò e
soggiunse: - Don Bosco, forse avete freddo, non è vero? - Così dicen-
do, andò a prendere una larga pelliccia e tornando a lui gli disse in
tono di grande confidenza: - Vedete questa bella pelliccia di ermellino
che mi è stata regalata oggi per il mio giubileo sacerdotale? Voglio che

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siate voi il primo a usarne. - E glie l'accomodò sulle ginocchia. Quindi,
sedutosi di nuovo, lo riprese per la mano e premurosamente gli doman-
dò sue notizie.
Don Bosco, muto fino allora e commosso all'estremo per quei tratti
di paterna degnazione da parte del Vicario di Gesù Cristo, gli rispose: -
Sono vecchio, Padre Santo, ho settantadue anni; è questo il mio ultimo
viaggio e la conclusione di tutte le cose mie. Prima di morire volevo
vedere ancora una volta la Santità Vostra e ricevere una vostra bene-
dizione. Sono stato esaudito. Ora non mi rimane altro da fare se non
cantare: Nunc dimittis servum tuum, Domine, secundum verbum tuum,
in pace, quia viderunt oculi mei salutare tuum: LUMEN ad revelationem
gentium et GLORIAM plebis tuae Israél. - Accentuò intenzionalmente le
parole lumen e gloriam, accomodandole a Leone XIII, che soleva venir
salutato con il lumen in caelo della pseudoprofezia di S. Malachia.
Il Santo Padre gli fece osservare che l'età di lui era meno avanzata
della propria; avere egli settantotto anni e nutrire tuttavia speranza di
rivedere il suo caro Don Bosco.
- Fate conto di vivere ancora, gli disse. Finché non udirete che Leo-
ne XIII è morto, state tranquillo.
- Santo Padre, ripigliò Don Bosco, la vostra parola è in certi casi
infallibile ed io vorrei bene accettare l'augurio; ma creda, io sono alla
fine de' miei giorni.
Il Santo Padre chiese quindi nuove de' suoi giovani, delle sue case,
interessandosi molto delle Missioni; gli domandò pure se di nulla abbi-
sognasse. Don Bosco gli parlò di tutto, specialmente della chiesa del
Sacro Cuore che la dimane si doveva consacrare. Infine gli raccomandò
i giovani cantori venuti da Torino, che molto desideravano di vederlo e
di essere da lui benedetti.
Il Papa espresse la sua alta soddisfazione su quanto aveva udito,
disse che certamente voleva vedere i giovanetti di Don Bosco e parlare
ad essi e insistette vivamente nel raccomandare che si procurasse di
conservare le spirito di lui in tutta la Congregazione.
- Raccomandate ai Salesiani specialmente l'ubbidienza e dite loro
che conservino le vostre massime e le tradizioni che voi lascerete. So
che avete ottenuto ottimi risultati con la frequente confessione e co-
munione fra i vostri giovani. Continuate, e fate che i Salesiani alla loro
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15.10 Page 150

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volta continuino e raccomandino ai giovani loro affidati questa pratica
salutare. A voi e al vostro Vicario mi preme di raccomandare che siate
solleciti tanto del numero dei Salesiani quanto della santità di quelli
che già avete. Non è il numero che aumenta la gloria di Dio, ma la vir-
tù, la santità dei soci. Perciò siate molto cauti e rigorosi nell'accettare
nuovi membri nella Congregazione; badate anzitutto che siano di mo-
ralità provata.
Quindi, prendendo ancora Don Bosco per mano, gli domandò che in
confidenza gli dicesse che cosa egli pensasse intorno ai futuri avveni-
menti nella Chiesa. Don Bosco si schermiva, dicendo che il Santo Padre
conosceva meglio di lui l'andamento delle cose pubbliche. Ma il Papa
ribadì: Non vi domando del presente, ché questo lo so anch'io; vi do-
mando dell'avvenire.
- Ma io non sono profeta, rispose Don Bosco sorridendo.
- Tuttavia, com'egli disse riferendo a Don
Lemoyne il colloquio, dovette cedere, manifestando le sue opinioni e
quanto conosceva. Che cosa egli intendesse con questo quanto cono-
sceva, non lo svelò ad alcuno.
Il Santo Padre l'avrebbe forse voluto intrattenere più a lungo, se non
avesse visto il suo stato di sofferenza. Don Bosco, accortosi che egli
stava per licenziarlo, gli disse che aveva seco il suo Vicario e il suo se-
gretario e che, se Sua Santità si degnasse di esaudirli, desideravano
ricevere la sua benedizione. Il Papa acconsentì, fece squillare il campa-
nello e i due furono introdotti. Don Bosco presentò Don Rua. - Ah voi
siete Don Rua, disse il Papa, siete il Vicario della Congregazione. Bene,
bene! Sento che fin da ragazzo siete stato allevato da Don Bosco.
Continuate, continuate nell'opera incominciata e mantenete in voi lo
spirito del vostro fondatore.
- Oh sì, Santo Padre, rispose Don Rua, noi speriamo con la vostra
benedizione di poter spendere fin l'ultimo respiro per quell'opera, alla
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quale fin da fanciulli ci siamo consacrati.
Don Bosco presentò quindi, Don Viglietti come suo segretario.
- Che cosa avete fatto, interrogò il Papa, di quel segretario che vi
accompagnò l'ultima volta?
- Santo Padre, rispose Don Bosco, è rimasto a Torino per sbrigare

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lavori che gli ho dati. C'è molto da fare, ma non ho bisogno di racco-
mandare tanto ai miei figli il lavoro. Piuttosto è da raccomandare la
moderazione. Ve ne sono molti che si logorano la salute, né sono con-
tenti di lavorare durante il giorno, anche di notte si affaticano.
- Oh sì, riprese il Santo Padre, in tutto ci vuole moderazione; il cor-
po esige il debito riposo per poterlo adoperare nelle opere che sono
della maggior gloria di Dio. - Padre Santo, disse allora Don Rua, noi
siamo disposti ad obbedirla; ma in queste cose chi ci ha dato lo scan-
dalo, è stato Don Bosco stesso...
Data infine una larga benedizione, congedò Don Bosco con grande
amorevolezza, facendolo accompagnare fino allo scalone. Al suo pas-
saggio le guardie svizzere si misero sull'attenti. Don Bosco ridendo dis-
se loro:
- Non sono mica un re io! Sono un povero prete tutto gobbo e che
non valgo nulla. State pure tranquilli. - Quei militi si accostarono a lui,
baciandogli riverentemente le mani.
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LE RELIQUIE PER LALTARE DEL SACRO CUORE
Mentre Don Bosco stava in Vaticano, erano giunte dal Vicariato alla
chiesa del Sacro Cuore le reliquie che si dovevano collocare nel sepol-
creto dell'altare maggiore. La teca ermeticamente chiusa e suggellata
conteneva una particella della culla di Gesù Bambino, e reliquie dei
santi Apostoli Pietro e Paolo, dell'Apostolo S. Giacomo, del Martire San
Lorenzo e del Patrono S. Francesco di Sales. Collocatele in un'urna do-
rata ed esposte nella cappella antica, si cantò alle ore ventuna l'inno
dei Martiri, proseguendosi poi l'officiatura di rito durante il silenzio della
notte.
Don Bosco aveva fatto chiedere alla sacra Congregazione dei Riti
alcuni favori spirituali, come di poter celebrare la Messa del Sacro
Cuore nei primi tre giorni dopo la consacrazione e l'indulgenza plenaria
dal 14 al 19 nelle forme consuete, oltre all'indulgenza di sette anni e
sette quarantene ogni volta che almeno con cuore contrito si facesse
soltanto una visita alla chiesa.

16.3 Page 153

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LA CONSACRAZIONE DELLA CHIESA
Un Avviso Sacro del Cardinale Vicario con la data del 2 maggio no-
tificava ai fedeli la prossima consacrazione e dava l'orario delle sacre
funzioni dei giorni successivi: Vi si diceva essere quello un "Santuario
universale" avendovi concorso "con le sue offerte tutto l'orbe cattolico".
Donde s'inferiva: "Deve essere quindi motivo di santo giubilo per tutti i
cattolici, e pei Romani in ispecie, il vedere che dopo dieci anni di lavoro,
di stenti e di difficoltà grandi, sia finalmente compiuto questo grande
edifizio, voto di tante anime pie e di questo Cuore adorabile divotissi-
me. Restano, è vero, a compiersi parecchi altari e varie decorazioni, ma
la popolazione sempre crescente dei nuovi quartieri in questa regione
esigeva che, rotto ogni indugio, si sospendesse ogni lavoro, che al sacro
tempio può accrescere lustro e splendore, ma che non è assolutamente
necessario, per dare, in chiesa più ampia, comodità ai fedeli di attende-
re ai loro doveri religiosi. E se parecchi lavori resteranno a compiersi, i
buoni Romani e quanti zelano la gloria di Dio troveranno nel loro fervo-
re un nuovo incentivo ad accorrere colle loro elemosine, perché presto
sia il sacro tempio di ogni cosa necessaria al culto provveduto, e sia
esso meno indegno di quel Dio che sta per venire ad abitarvi colla sua
amorosa presenza".
Nel parlare di stenti il documento del Vicariato diceva una grande
verità. Furono in realtà sette anni di stenti inauditi, eroici, se s'intenda,
com'è doveroso, riferirli a Don Bosco; ché quelli eventualmente toccati
ad altri prima che egli si addossasse l'impresa, furono al confronto fu-
scelli di paglia. Né la sospirata aurora del 14 maggio venne a porvi
termine; anzi misero a prova la sua pazienza fin sul letto di morte per
passare quindi in eredità al suo successore.
Ogni cosa era ben allestita sia per la cerimonia della consacrazione
che per le solenni funzioni dei giorni seguenti. Verso le sette giunse il
consacrante, cardinale Lucido Maria Parocchi, Vicario di Sua Santità e
protettore della Congregazione salesiana, accompagnato dalla sua an-
ticamera, come nelle maggiori occasioni, e ricevuto dai Superiori, da
numeroso clero, da buon numero di Salesiani d'altre case, dai giovani di
Valdocco e dai loro fratelli dell'ospizio. Il rito, secondo il cerimoniale, si
svolse a porte chiuse. Quando le porte si spalancarono ai fedeli, erano
passate ben cinque ore. Don Bosco vi assistette in santo raccoglimento;
vi assistettero con lui vari illustri personaggi. Alla fine monsignor Do-
menico Jacobini, arcivescovo di Tiro e segretario di Propaganda, acco-
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16.4 Page 154

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154
statosi al Servo di Dio, gli porse il braccio e lo accompagnò piano piano
in camera, compiacendosi poscia d'avergli prestato quel servigio.
A mezzogiorno celebrò per primo Don Dalmazzo, mentre il nuovo
organo riempiva il tempio delle sue armonie. Divoti e curiosi erano en-
trati a centinaia...
Il cardinale Vicario, riposatosi alcun poco dalla faticosa cerimonia,
salì da Don Bosco, lo abbracciò con effusione di affetto, e poi si fermò
con lui a pranzo fra numerosi e illustri invitati. Al levare delle mense il
Santo ringraziò pubblicamente il Cardinale di quanto aveva già fatto
come Protettore dei Salesiani, parlando della sua persona con venera-
zione e riconoscenza. Quindi:
- Abbiamo cominciato bene, Eminenza proseguì, e narrò con la
massima semplicità la guarigione istantanea del giorno innanzi. Poi dis-
se che in qualunque caso gli si presentassero persone desiderose di
grazie, egli aveva tenuto sempre lo stesso metodo, d'indurre cioè i sup-
plicanti a fare un'elemosina in onore di Gesù, della Madonna o di qual-
che Santo come mezzo per ottenere favori da Dio; nella chiesa di Ma-
ria Ausiliatrice e di S. Giovanni Evangelista non esserci mattone che
non fosse segnato da qualche grazia.
Il Cardinale si alzò egli pure a parlare. Si congratulò con Don Bosco,
perché anche a lavori non terminati avesse aperta la chiesa, mostrando
così di volerla dare prima al Sacro Cuore di Gesù che alle frange e ai
gingilli degli artisti. Disse molto bene della Congregazione Salesiana;
non avergli essa dato fino allora che consolazioni né mai alcun distur-
bo, pena o fatica; perciò di simili protettorati essere disposto ad accet-
tarne uno al giorno. Don Bosco sorridendo gli rispose: Aspetti, aspetti,
Eminenza; il tempo dei fastidi a causa nostra nascerà anche per lei.
- Ebbene, riprese il Cardinale, qui nella vostra chiesa del Sacro Cuo-
re ci avete una cappella che volete dedicare a S. Francesco di Sales,
vostro patrono, non è vero?
- Precisamente, Eminenza.
- Bene: io voglio pagare
la spesa di quell'altare e spero dal Protettore della Congregazione
che avete in cielo, gli aiuti necessari nelle pene e fastidi riserbati al
protettore terreno di questa pia Società.

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La geniale e generosa uscita fu salutata da vivi applausi. I giovani
dell'Oratorio diedero quella sera il primo saggio della loro bravura, ese-
guendo il vespro appositamente composto dal maestro Galli. Pontificò
monsignor Giulio Lenti, arcivescovo di Side e vicegerente di Roma. Nel
frattempo Don Bosco riceveva molte illustri visite di Vescovi e Cardinali.
Le feste propriamente dette durarono cinque giorni con un crescen-
do continuo di concorso e di vera pietà da parte dei fedeli. Ogni matti-
no messa letta celebrata da un Cardinale e messa solenne pontificale;
ogni pomeriggio conferenza salesiana in una lingua sempre diversa,
vespri in musica e predica.
Solennissimo fu il primo giorno, domenica. Alle sette celebrò il car-
dinale Melchers tedesco; alle dieci pontificò monsignor Jacobini con
l'assistenza di un Vescovo degli Stati Uniti. I giovani di Torino eseguiro-
no insuperabilmente la messa del Cherubini, detta dell'Incoronazione.
Don Bosco intanto dava continue udienze; lo visitarono anche tre Ve-
scovi e il cardinale di Canossa.
Al pranzo egli aveva alla sua destra monsignor Kirby e alla sinistra il
principe Czartoryski, che passava la maggior parte del tempo in casa;
molti altri personaggi prendevano parte all'agape familiare. A suo tem-
po Don Rua lo pregò di dire qualche parola. Egli, alzatosi faticosamente
e appoggiandosi con le mani alla tavola, disse con voce stentata:
- Bevo alla cara memoria del nostro grande amico, teologo Mar-
gotti, testé defunto, al difensore dei sacri diritti della Chiesa, a colui
che ci amò sempre e che prima che noi partissimo per Roma ci vide
così volentieri, mettendo il suo accreditato giornale a nostra disposizio-
ne per narrare le feste che ora noi facciamo. Bevo con la ferma fiducia
che i miei zelanti Cooperatori e Cooperatrici si degneranno di aiutarci a
compiere questo ospizio del Sacro Cuore, affinché possiamo dare al-
bergo, educazione e istruzione a cinquecento ragazzi del popolo, alle-
vandoli nel santo timor di Dio; sicché portino poi frutti di buone opere
per loro stessi e per la società. Bevo in onore di monsignor Kirby, col
quale sono stretto da imperitura amicizia.
Monsignor Kirby rispose a nome di tutti i Cooperatori e Cooperatrici,
dicendo che egli ed i suoi amici tenevano conto delle sue parole come
di un testamento, e assicurandolo che egli ed i suoi amici avrebbero
fatto quanto era in loro potere per eseguire fedelmente la sua inspirata
volontà e che l'ospizio sarebbe condotto a termine, com'egli desiderava.
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Alle tre e mezzo tenne conferenza in francese monsignor Carlo
Murrey di Lione, uditore di Rota per la Francia. Egli mostrò quanto fos-
se opportuna l'opera di Don Bosco a vantaggio della gioventù povera e
abbandonata e quanto consolanti i risultati già ottenuti. Alle cinque
predica sul Sacro Cuore, fatta dall'eloquente monsignor Omodei Zorini,
missionario apostolico. Dopo i cantori di Valdocco eseguirono i vespri
dell'Aldega. Sul tardi facciata, campanile, chiesa, ospizio illuminati a
giorno, secondo disegno tracciato con buon gusto da un chierico sale-
siano, richiamarono per alcune ore gran gente anche da punti remoti
della città.
Il cardinale Placido Schiaffino, degli Olivetani, disse nel secondo
giorno la Messa della comunione generale.
LULTIMA MESSA ALLALTARE DI M. AUSILIATRICE
Quella mattina Don Bosco volle scendere in chiesa per celebrare
all'altare di Maria Ausiliatrice. Non meno di quindici volte durante il
divin sacrifizio si arrestò, preso da forte commozione e versando lacri-
me. Don Viglietti che lo assisteva, dovette di quando in quando distrar-
lo, affinché potesse andare avanti. Mentre poi si allontanava dall'altare,
la folla intenerita gli si strinse intorno, baciandogli i paramenti e le mani
libere dal calice e seguendolo in sacrestia. Qui gli si domandò a una
voce la benedizione.
- Sì, sì, - rispose. E saliti i tre gradini della porta che mette in comuni-
cazione la prima sacrestia con la seconda, si volse indietro, alzò la de-
stra, ma subito ruppe in pianto e coprendosi con ambe le palme il vol-
to:
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- Benedico... benedico - ripeteva con voce soffocata senza poter
finire la frase. Fu necessario prenderlo dolcemente per le braccia e con-
durlo via. Gli astanti impressionati si movevano per tenergli dietro, ma fu
chiusa la porta.
Chi non avrebbe desiderato saper quale fosse stata la causa di tanta
emozione? Don Viglietti, quando lo vide ritornato nella sua calma abitua-
le, glielo domandò. Rispose:
- Avevo dinanzi agli occhi viva la scena di quando sui dieci anni
sognai della Congregazione. Vedevo proprio e udivo la mamma e i fratelli

16.7 Page 157

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16.8 Page 158

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questionare sul sogno... Allora la Madonna gli aveva detto: - A suo tem-
po tutto comprenderai. Trascorsi ormai da quel giorno sessantadue anni
di fatiche, di sacrifizi, di lotte, ecco che un lampo improvviso gli aveva
rivelato nell'erezione della chiesa del Sacro Cuore a Roma il coronamen-
to della missione adombratagli misteriosamente sull'esordire della vita.
Dai Becchi di Castelnuovo alla Sede del Vicario di Gesù Cristo, com'era
stato lungo e arduo il cammino! Sentì in quel punto che l'opera sua per-
sonale volgeva al termine, benedisse con le lacrime agli occhi la divina
Provvidenza e levò lo sguardo fiducioso al soggiorno dell'eterna pace in
seno a Dio.
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16.9 Page 159

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LETTERA DA ROMA
10 maggio 1884
Miei carissimi figliuoli in G. C.,
Vicino o lontano io penso sempre a voi. Un solo è il mio desiderio, quello di vedervi
felici nel tempo e nell'eternità. Questo pensiero, questo desiderio mi risolsero a scrivervi
questa lettera. Sento, o cari miei, il peso della mia lontananza da voi e il non vedervi e
il non sentirvi mi cagiona pena, quale voi non potete immaginare. Perciò io avrei deside-
rato scrivere queste righe una settimana fa, ma le continue occupazioni me lo impe-
dirono. Tuttavia benché pochi giorni manchino al mio ritorno, voglio anticipare la mia
venuta fra voi almeno per lettera, non potendolo di persona. Sono le parole di chi vi
ama teneramente in Gesù Cristo ed ha dovere di parlarvi colla libertà di un padre. E
voi me lo permetterete, non è vero? E mi presterete attenzione e metterete in pratica
quello che sono per dirvi.
Ho affermato che voi siete l'unico ed il continuo pensiero della mia mente. Ordun-
que in una delle sere scorse io mi era ritirato in camera, e mentre mi disponeva per an-
dare a riposo, aveva incominciato a recitare le preghiere, che mi insegnò la mia buona
mamma.
In quel momento non so bene se preso dal sonno o tratto fuor di me da una distra-
zione, mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell'Oratorio.
Uno di questi due mi si avvicinò e salutatomi affettuosamente, mi disse:
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- 0 Don Bosco! Mi conosce?
- Sì che ti conosco, risposi.
- E si ricorda ancora di me? soggiunse quell'uomo.

16.10 Page 160

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- Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfrè ed eri nell'Oratorio prima del 1870.
- Dica! continuò quell'uomo, vuol vedere i giovani, che erano nell'Oratorio ai
miei tempi?
- Si, fammeli vedere, io risposi, ciò mi cagionerà molto piacere.
Allora Valfrè mi mostrò i giovani tutti colle stesse sembianze e colla statura e
nell'età di quel tempo. Mi pareva di essere nell'antico Oratorio nell'ora della ricrea-
zione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria.
Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Qui si giuocava alla rana, là a ba-
rarotta ed al pallone. In un luogo era radunato un crocchio di giovani, che pendeva
dal labbro di un prete, il quale narrava una storiella. In un altro luogo un chierico
che in mezzo ad altri giovanetti giuocava all'asino vola ed ai mestieri. Si cantava,
si rideva da tutte parti e dovunque chierici e preti, e intorno ad essi i giovani che
schiamazzavano allegramente. Si vedeva che fra i giovani e i superiori regnava la
più grande cordialità e confidenza. Io era incantato a questo spettacolo, e Valfrè mi
disse: - Veda, la famigliarità porta affetto e l'affetto porta confidenza. Ciò è che
apre i cuori e i giovani palesano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti ed ai
Superiori. Diventano schietti in confessione e fuori di confessione e si prestano docili
a tutto ciò, che vuol comandare colui, dal quale sono certi di essere amati.
In quell'istante si avvicinò a me l'altro mio antico allievo, che aveva la barba
tutta bianca e mi disse: - Don Bosco, vuole adesso conoscere e vedere i giovani, che
attualmente sono nell'Oratorio?
Costui era Buzzetti Giuseppe.
- Sì, risposi io; perché è già un mese che più non li vedo!
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E me lì additò: vidi l'Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione, Ma non udi-
va più grida di gioia e cantici, non più vedeva quel moto, quella vita, come nella
prima scena.
Negli atti e nel viso di molti giovani si leggeva una noia, una spossatezza, una
musoneria, una diffidenza, che faceva pena al mio cuore.
Vidi, è vero, molti che correvano, giuocavano, si agitavano con beata spensiera-
tezza, ma altri non pochi io ne vedeva, star soli, appoggiati ai pilastri in preda a

17 Pages 161-170

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17.1 Page 161

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pensieri sconfortanti; altri su per le scale e nei corridoi o sopra i poggiuoli dalla parte
del giardino per sottrarsi alla ricreazione comune; altri passeggiare lentamente in grup-
pi parlando sottovoce fra di loro, dando attorno occhiate sospettose e maligne: talora
sorridere ma con un sorriso accompagnato da occhiate da far non solamente sospettare,
ma credere che S. Luigi avrebbe arrossito se si fosse trovato in compagnia di costoro;
eziandio fra coloro che giuocavano ve ne erano alcuni così svogliati, che facevano veder
chiaramente, come non trovassero gusto nei divertimenti.
- Ha visto i suoi giovani? mi disse quell'antico allievo.
- Li vedo, risposi sospirando.
- Quanto sono differenti da quelli che eravamo noi una volta! esclamò quell'antico
allievo.
- Purtroppo! Quanta svogliatezza in questa ricreazione!
- E di qui proviene la freddezza in tanti nell'accostarsi ai santi Sacramenti, la
trascuranza delle pratiche di pietà in chiesa e altrove, lo star mal volentieri in un luogo
ove la Divina Provvidenza li ricolma di ogni bene pel corpo, per l'anima, per l'intellet-
to. Di qui il non corrispondere che molti fanno alla loro vocazione; di qui le ingratitu-
dini verso i Superiori; di qui i segretumi e le mormorazioni, con tutte le altre deplorevo-
li conseguenze.
- Capisco, intendo, risposi io. Ma come si possono rianimare questi miei cari giova-
ni acciocché riprendano l'antica vivacità, allegrezza, espansione?
- Colla carità!
- Colla carità? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se io li
amo. Tu sai quanto per essi ho sofferto e tollerato pel corso di ben quaranta anni, e
quanto tollero e soffro ancora adesso. Quanti stenti quante umiliazioni, quante opposi-
zioni, quante persecuzioni, per dare ad essi pane, casa, maestri e specialmente per pro-
curare la salute delle loro anime. Ho fatto quanto ho saputo e potuto per coloro che
formano l'affetto di tutta la mia vita.
- Non parlo di lei!
161
- Di chi dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Dei direttori, prefetti, maestri,
assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro? Come consumano i
loro anni giovanili per coloro, che ad essi affidò la Divina Provvidenza?
- Vedo, conosco; ma ciò non basta: ci manca il meglio.
- Che cosa manca adunque?

17.2 Page 162

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- Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere ama-
ti.
- Ma non hanno gli occhi in fronte? Non hanno il lume dell'intelligenza? Non
vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore?
- No; lo ripeto, ciò non basta.
- Che cosa ci vuole adunque?
- Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono, col partecipare alle loro
inclinazioni infantili, imparino a veder l'amore in quelle cose che naturalmente loro
piacciono poco; quali sono, la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi; e
queste cose imparino a far con slancio ed amore
- Spiegati meglio!
- Osservi i giovani in ricreazione.
Osservai e quindi replicai: - E che cosa c'è di speciale da vedere?
- Sono tanti anni che va educando giovani, e non capisce? Guardi meglio! Dove
sono i nostri Salesiani?
Osservai e vidi che ben pochi preti e chierici si mescolavano fra i giovani e ancor
più pochi prendevano parte ai loro divertimenti. I Superiori non erano più l'anima
della ricreazione. La maggior parte di essi passeggiavano fra di loro parlando, sen-
za badare che cosa facessero gli allievi: altri guardavano la ricreazione non dandosi
nessun pensiero dei giovani: altri sorvegliavano così alla lontana senza avvertire chi
commettesse qualche mancanza; qualcuno poi avvertiva ma in atto minaccioso e ciò
raramente. Vi era qualche Salesiano che avrebbe desiderato intromettersi in qual-
che gruppo dì giovani, ma vidi che questi giovani cercavano studiosamente di allon-
tanarsi dai maestri e dai Superiori.
162
Allora quel mio amico ripigliò: - Negli antichi tempi dell'Oratorio lei non sta-
va sempre in mezzo ai giovani e specialmente in tempo di ricreazione? Si ricorda
quei belli anni? Era un tripudio di Paradiso, un'epoca che ricordiam sempre con
amore, perché l'affetto era quello che ci serviva di regola; e noi per lei non avevamo
segreti.
- Certamente! E allora tutto era gioia per me e nei giovani uno slancio per avvi-
cinarsi a me, per volermi parlare, ed una viva ansia di udire i miei consigli e met-
terli in pratica. Ora però vedi come le udienze continue e gli affari moltiplicati e la
mia sanità me lo impediscono.

17.3 Page 163

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- Va bene: ma se lei non può perché i suoi Salesiani non si fanno suoi imitatori?
Perché non insiste, non esige che trattino i giovani come li trattava lei?
- Io parlo, mi spolmono, ma pur troppo molti non si sentono più di far le fatiche di
una volta.
- E quindi trascurando il meno, perdono il più e questo più sono le loro fatiche.
Amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai Superiori. E a
questo modo sarà facile la loro fatica. La causa del presente cambiamento nell'Oratorio
è che un numero di giovani non ha confidenza nei Superiori. Anticamente i cuori erano
tutti aperti ai Superiori, che i giovani amavano ed obbedivano prontamente, Ma ora i
Superiori sono considerati come Superiori e non più come padri, fratelli ed amici; quin-
di sono temuti e poco amati. Perciò se si vuol fare un cuor solo ed un'anima sola, per
amore di Gesù bisogna che si rompa quella fatale barriera della diffidenza e sottentri a
questa la confidenza cordiale. Quindi l'obbedienza guidi l'allievo come la madre guida
il suo fanciullino; allora regnerà nell'Oratorio la pace e l'allegrezza antica.
- Come dunque fare per rompere questa barriera?
- Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si
dimostra l'affetto e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole
essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e
portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità! Il maestro visto solo in
cattedra è maestro e non più, ma se va in ricreazione coi giovani diventa come fratello.
Se uno è visto solo predicare dal pulpito si dirà che fa né più né meno del proprio dove-
re, ma se dice una parola in ricreazione è la parola di uno che ama. Quante conversio-
ni non cagionarono alcune sue parole fatte risuonare all'improvviso all'orecchio di un
giovane nel mentre che si divertiva! Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene
tutto, specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i
giovani ed i Superiori. I cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i
loro difetti. Questo amore fa sopportare ai Superiori le fatiche, le noie; le ingratitudini,
i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti. Gesù Cristo non spezzo la canna
già fessa, né spense il lucignolo che fumigava. Ecco il vostro modello. Allora non si
vedrà più chi lavorerà per fine di vanagloria; chi punirà solamente per vendicare l'amor 163
proprio offeso; chi si ritirerà dal campo della sorveglianza per gelosia di una temuta
preponderanza altrui; chi mormorerà degli altri volendo essere amato e stimato dai
giovani, esclusi tutti gli altri superiori, guadagnando null’altro che disprezzo ed ipocrite
moine; chi si lascia rubare il cuore da una creatura e per fare la corte a questa trascu-
rare tutti gli altri giovanetti; chi per amore dei proprii comodi tenga in non cale il dove-
re strettissimo della sorveglianza; chi per un vano rispetto umano si astenga dall'ammo-

17.4 Page 164

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nire chi deve essere ammonito. Se ci sarà questo vero amore non si cercherà altro che
la gloria di Dio e la salute delle anime. Quando illanguidisce questo amore, allora
è che le cose non vanno più bene. Perché si vuoi sostituire alla carità la freddezza di
un regolamento? Perché i Superiori si allontanano dall'osservanza di quelle regole
di educazione che Don Bosco ha loro dettate? Perché al sistema di prevenire colla
vigilanza e amorosamente i disordini, si va sostituendo a poco a poco il sistema
meno pesante e più spiccio per chi comanda, di bandir leggi che se si sostengono coi
castighi accendono odii e fruttano dispiaceri; se si trascura di farle osservare, frut-
tano disprezzo per i Superiori e sono causa di disordini gravissimi?
E ciò accade necessariamente se manca la famigliarità. Se adunque si vuole che
l'Oratorio ritorni all'antica felicità, si rimetta in vigore l'antico sistema: il Superio-
re sia tutto a tutti, pronto ad ascoltar sempre ogni dubbio o lamentanza dei giova-
ni, tutto occhio per sorvegliare paternamente la loro condotta, tutto cuore per cercare
il bene spirituale e temporale di coloro che la Provvidenza gli ha affidati.
Allora i cuori non saranno più chiusi e non regneranno più certi segretumi che
uccidono. Solo in caso di immoralità i Superiori siano inesorabili. É meglio correre
pericolo di scacciare dalla casa un innocente, che ritenere uno scandaloso. Gli assis-
tenti si facci ano uno strettissimo dovere di coscienza di riferire ai Superiori tutte
quelle cose le quali conoscano in qualunque modo esser offesa di Dio.
Allora io interrogai: - E quale è il mezzo precipuo perché trionfi simile famigli-
arità e simile amore e confidenza?
- L'osservanza esatta delle regole della casa.
- E null'altro?
- Il piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera.
164
Mentre così il mio antico allievo finiva di parlare ed io continuava ad osservare
con vivo dispiacere quella ricreazione, a poco a poco mi sentii oppresso da grande
stanchezza che andava ognora crescendo. Questa oppressione giunse al punto che
non potendo più resistere mi scossi e rinvenni.
Mi trovai in piedi vicino al letto. Le mie gambe erano così gonfie e mi faceano
così male che non poteva più star ritto. L'ora era tardissima, quindi me ne andai a
letto risoluto di scrivere a’ miei cari figliuoli queste righe.
Io desidero di non far questi sogni perché mi stancano troppo. Nel giorno se-
guente mi sentiva rotto nella persona e non vedeva l'ora di potermi riposare la sera
seguente. Ma ecco appena fui in letto ricominciare il sogno. Avevo dinanzi il cortile,

17.5 Page 165

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i giovani che ora sono nell'Oratorio, e lo stesso antico allievo dell'Oratorio. Io presi ad
interrogarlo: - Ciò che mi dicesti io lo farò sapere a' miei Salesiani; ma ai giovani
dell'Oratorio che cosa debbo dire?
Mi rispose: - Che essi riconoscano quanto i Superiori, i maestri, gli assistenti fati-
chino e studino per loro amore, poiché se non fosse pel loro bene non si assoggetterebbero
a tanti sacrifizi; che si ricordino essere l'umiltà la fonte di ogni tranquillità; che sap-
piano sopportare i difetti degli altri, poiché al mondo non si trova la perfezione, ma
questa è solo in Paradiso; che cessino dalle mormorazioni, poiché queste raffreddano i
cuori; e sovratutto che procurino di vivere nella santa grazia di Dio. Chi non ha pace
con Dio, non ha pace con sé, non ha pace cogli altri.
- E tu mi dici adunque che vi sono fra i miei giovani di quelli che non hanno la
pace con Dio?
- Questa è la prima causa del mal umore fra le altre che lei sa, alle quali deve porre
rimedio, e che non fa d'uopo che ora le dica. Infatti non diffida se non chi ha segreti da
custodire, se non chi teme che questi segreti vengano a conoscersi, perché sa che glie ne
tornerebbe vergogna e disgrazia. Nello stesso tempo se il cuore non ha la pace con Dio,
rimane angosciato, irrequieto, insofferente d'obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra
che ogni cosa vada a male, e perché esso non ha amore, giudica che i Superiori non lo
amino.
- Eppure, o caro mio, non vedi quanta frequenza di Confessioni e di Comunioni vi
è nell'Oratorio? É vero che grande è la frequenza delle Confessioni, ma ciò che manca
radicalmente in tanti giovanetti che si confessano è la stabilità nei proponimenti. Si
confessano, ma sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni prossime, le stesse abitudi-
ni cattive, le stesse disobbedienze, le stesse trascuranze nei doveri. Così si va avanti per
mesi e mesi, e anche per anni e taluni perfino così continuano alla 5a Ginnasiale.
Sono confessioni che valgono poco o nulla; quindi non recano pace e se un giovanetto
fosse chiamato in quello stato al tribunale di Dio sarebbe un affare ben serio.
- E di costoro ve n'ha molti all'Oratorio?
- Pochi in confronto del gran numero di giovani che sono nella casa. Osservi; e me li 165
additava.
Io guardai e ad uno ad uno vidi quei giovani. Ma in questi pochi io vidi cose che
hanno profondamente amareggiato il mio cuore. Non voglio metterle sulla carta, ma
quando sarò di ritorno voglio esporle a ciascuno cui si riferiscono. Qui vi dirò soltanto
che è tempo di pregare e di prendere ferme risoluzioni; proporre non colle parole, ma coi

17.6 Page 166

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fatti, e far vedere che i Comollo, i Savio Domenico, i Besucco e i Saccardi vivono
ancora tra noi.
In ultimo domandai a quel mio amico: - Hai nulla altro da dirmi?
- Predichi a tutti, grandi e piccoli che si ricordino sempre che sono figli di Maria
SS. Ausiliatrice. Che essa li ha qui radunati per condurli via dai pericoli del mon-
do, perché si amassero come fratelli e perché dessero gloria a Dio e a lei colla loro
buona condotta; che è la Madonna quella che loro provvede pane e mezzi di studia-
re con infinite grazie e portenti. Si ricordino che sono alla vigilia della festa della
loro SS. Madre e che coll'aiuto suo deve cadere quella barriera di diffidenza che il
demonio ha saputo innalzare tra giovani e Superiori e della quale sa giovarsi per la
rovina di certe anime.
- E ci riusciremo a togliere questa barriera?
- Sì certamente, purché grandi e piccoli siano pronti a soffrire qualche piccola
mortificazione per amore di Maria e mettano in pratica ciò che io ho detto.
Intanto io continuava a guardare i miei giovinetti e allo spettacolo di coloro che
vedeva avviati verso l'eterna perdizione sentii tale stretta al cuore che mi svegliai.
Molte cose importantissime che io vidi desidererei ancora narrarvi, ma il tempo e le
convenienze non me lo permettono.
166
Concludo: Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio che per i suoi
cari giovani ha consumata tutta la vita? Niente altro fuorché, fatte le debite propor-
zioni, ritornino i giorni felici dell'antico Oratorio. I giorni dell'affetto e della confi-
denza cristiana tra i giovani ed i Superiori; i giorni dello spinto di accondiscen-
denza e sopportazione per amore di Gesù Cristo, degli uni verso degli altri; i giorni
dei cuori aperti con tutta semplicità e candore, i giorni della carità e della vera alle-
grezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa
che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre. Voi non conoscete
abbastanza quale fortuna sia la vostra di essere stati ricoverati nell'Oratorio. In-
nanzi a Dio vi protesto: Basta che un giovane entri in una casa Salesiana, perché
la Vergine SS. lo prenda subito sotto la sua protezione speciale. Mettiamoci adun-
que tutti d'accordo. La carità di quelli che comandano, la carità di quelli che de-
vono obbedire faccia regnare fra di noi lo spirito di S. Francesco di Sales. O miei
cari figliuoli, si avvicina il tempo nel quale dovrò distaccarmi da voi e partire per la
mia eternità. [Nota del Segretario. A questo punto Don Bosco sospese di dettare;
gli occhi suoi si empirono di lagrime, non per rincrescimento, ma per ineffabile tene-
rezza che trapelava dal suo sguardo e dal suono della sua voce: dopo qualche istan-

17.7 Page 167

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te continuò]. Quindi io bramo di lasciar voi, o preti, o chierici, o giovani carissimi, per
quella via del Signore nella quale esso stesso vi desidera.
A questo fine il Santo Padre, che io ho visto venerdì 9 di maggio, vi manda di tut-
to cuore la sua benedizione. Il giorno della festa di Maria Ausiliatrice mi troverò con
voi innanzi all'effigie della nostra amorosissima Madre. Voglio che questa gran festa si
celebri con ogni solennità e Don Lazzero e Don Marchisio pensino a far sì che stiano
allegri anche in refettorio. La festa di Maria Ausiliatrice deve essere il preludio della
festa eterna che dobbiam celebrare tutti insieme uniti un giorno in Paradiso.
Roma, 10 maggio 1884
Vostro aff.mo in G. C.
167

17.8 Page 168

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FONTI
Sullargomento dei soggiorni di Don Bosco a Roma è possibile avvalersi di
queste ricerche:
1. DON BOSCO A ROMA di don Fabio Bianchini - pro manuscripto 1988
Il testo, che è uno studio sui luoghi, una ricerca e suddivisione dei siti, è
stato composto in occasione del centenario della morte di don Bosco. Da
esso è attinta la struttura del testo attuale, la suddivisione dei luoghi e le
indicazioni topografiche
2. I SOGGIORNI DEL BEATO DON BOSCO IN ROMA del Sac. Salvatore Ro-
molo, S E I — Torino 1929 (Scuola tipografica salesiana)
Il volume, in 407 pagine, ripercorre cronologicamente ciascuno dei 20
viaggi che Don Bosco fece nella capitale, con laggiunta di unappendice.
È un omaggio a Don Bosco nellanno della sua beatificazione. Rimane
tuttora lo studio più completo e documentato.
3. NUMERO SPECIALE DEL BOLLETTINO SALESIANO Supplemento di ottobre
‘99, dal titolo DON BOSCO RACCONTA- Il viaggio a Roma nel 1858
168
Don Manieri Giancarlo e Don Motto Francesco si concentrano sul primo
soggiorno, certamente il più ricco di informazioni sulla curiositàdi Don
Bosco di voler scoprire ogni angolo della città.
Fascicolo di 47 pagine, arricchito di molte immagini di Roma sparita, il
sussidio si proponeva di accompagnare i pellegrini venuti a Roma per il Giu-
bileo del 2000, sui luoghi percorsi dallo stesso Don Bosco.

17.9 Page 169

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4. DON BOSCO A ROMA di Antonio Sperduti - Venti viaggi nella città eter-
na - Edizione interna a cura della Casa per feriedellOspizio S. Cuore
Il sussidio, di 67 pagine, illustrato con foto depoca, elenca brevemente cia-
scuno dei 20 viaggi di Don Bosco a Roma, rilevandone laspetto prevalente.
Si conclude con un prospetto delle date più significative della sua vita.
5. UN PIEMONTESE A ROMA a cura di Michele Novelli
Il lavoro, sulla falsariga della ricerca di Fabio Bianchini Don Bosco a Roma
e sulla documentazione delle Memorie Biografiche., sollecitato dallOpera
Romana Pellegrinaggi, si inserisce nellambito delle iniziative del Bicentena-
rio della nascita di Don Bosco.
169

17.10 Page 170

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INDICE
INTRODUZIONE
7
1. LE RESIDENZE DI DON BOSCO A ROMA
1.1. Casa De Maistre
12
1.2. Palazzo Vimercati
15
1.3. Casa Colonna
19
1.4. Casa Sigismondi
21
1.5. Monastero di Tor deSpecchi
26
2. I LUOGHI PIÙ VISITATI E CARI AL SANTO
2.1. Vaticano
38
2.2. Catacombe di San Callisto
70
2.3. Santa Maria sopra Minerva
74
2.4. Santa Maria in Cosmedin
77
2.5. Santa Maria del Popolo
82
3. LE POSSIBILI CASE SALESIANE A ROMA
3.1. Ospizio di San Michele a Ripa
88
3.2. Ospizio Tata Giovanni
97

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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3.3. Colonia Agrícola Vigna Pia
102
3.4. Chiesa del Santo Sudario
107
3.5. Chiesa di San Giovanni della Pigna
114
3.6. Basilica e Ospizio del Sacro Cuore
120

18.2 Page 172

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Sia prima che dopo l'Unità d'Italia, anche quando
Roma fu proclamata Capitale del Regno, Don
Bosco, un piemontese che mantenne un
equilibrio tra la fedeltà alle istituzioni del Regno
e il suo amore incondizionato per il Papa, venne
a Roma in 20 occasioni, trascorrendovi in tutto
2 anni, tra diffidenza da parte delle autorità
ecclesiastiche, un caloroso benvenuto sia da
Pio IX che da Leone XIII e la devota ammirazione
del popolo romano.