STELLA. II. Don Bosco nella storia della religiosita cattolica


STELLA. II. Don Bosco nella storia della religiosita cattolica

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
NELLA STORIA DELLA RELIGIOSITA CATTOLICA
I

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
DON BOSCO
nella storia della religiosità cattolica
11. mentalità religiosa e spiritualirh
Nel tentativo di ricostruire la religiosità
e la spiritualità di Don Bosco l'autore ha
avuto cura di organizzare gli elementi do-
minanti secondo i medesimi schemi meil-
tali di Don Bosco, tali quali vennero a
costituirsi nel corso della sua vita, in con-
nessione con gli stimoli ambientali e con
le esigenze delle opere ch'Egli andava svi-
luppando per la educazione della gioventù.
Dopo l'analisi dei capisaldi della religii-
sità e spiritualità di Don Bosco l'autore
passa a esaminare i nuclei maturati in re-
ciprocità, ma in tappe successive e distin-
guibili: religiosità e spiritualità vissuta
con i giovani prima, con i Salesiani dopo,
elementi religiosi nel sistema educativo,
valore di fatti straordinari nella religiosità
di Don Bosco e del suo ambiente. Un'at-
tenzione particolare è data alla genesi, alle
fasi e al valote dei sogni profetici.
La ricostruziohe storica è sempre accom-
pagnata dalla critica delle fonti, che, an-
che in questo seciildo vol~iine,ha portato
a revisioni e approfondimenti nella cono-
scenza della personalità di Don Bosco.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
D O N BOSCO
-I1 MENTALITA RELIGIOSA E SPIRITUALITA

1.4 Page 4

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
PIETRO STELLA
DON BOSCO
NELLA STORIA DELLA RELIGIOSITÀ CATTOLICA
VOLUME SECONDO
MENTALITA RELIGIOSA
E SPIRITUALITA

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Virto per la congregazione Salesiana
Sac. Pietro Ronchino
Roma, l>-1-1969
Visto: nulla osta
Sac. Luigi Chiandotto
Roma, 31-1-1969
IMPRIMATUR
Datzlm Tiferni Tiberini die 26 lunii 1969
Vincentius Pieggi
Vic. Gcij.
COPYRIGIIT BY PAS-VERLAAGG, - FELDSTRASS1E0,9 - ZURIQI/SCHWEIZ
- S.T.E. - CITTÀ DI CASTELLO LUGLIO 1969
INDICE GENERALE
Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . .
Premessa . . . . . . . . . . . . . .
1) La conoscenza d i Dio, 19. - 2) Don Bosco e il tradizionalismo, 27. -
3) Dio nella propria vita, 32.
CAP. I1 - L'UOMO. . . . . . . . . . . . .
1) L'anima, 34. - 2) I1 corpo, 35. - 3) I1 cuore, 37.
1) La corruzione del cuore, 46. - 2) Le creature dopo il peccato, 50. -
3) Peccato e mondo nel dinamismo ascetico di Don Bosco, 51.
1) Lineamenti generali della storia della religione secondo Don Bosco, 61. -
2) La storia dei popoli, 64. - 3) La storia come documento di Dio, 66. -
4) Derivazioni letterarie e intime convinzioni d i Don Bosco, 67. - 5 ) La
società del secolo XIX tra religione e rivoluzione, 73. - 6) Conservatorismo
fino al 1848, 75. - 7) I1 momento nwguelfo, 77. 8 -. ) Sentimenti antira-
dicali e antiprotestantici dopo il '48, 81. - 9) La questione romana, 86. -
10) Mentalità intransigente e duttilita pratica, 90. - I l ) La questione so-
ciale, 95. - Nota al capitolo IV, 97.
1)Gesù nell'Eucaristia, 101. - 2) Gesù Cristo Giudice, 107. - 3) L'esem.
pio di Gesù, 110. - 4) Gesù Divin Salvatore, 114.
1 ) Attaccamento alla religione cattolica, 119. - 2) Lineamenti di ecclesio-
logia: la Chiesa e la salvezza 124. - 3) La Chiesa, i suoi caratteri e i
suoi Pastori, 131. - 4) La Chiesa e la santità, 138. - 5 ) La Chiesa
trionfatrice. 144.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
- 1) Primi elementi di pietà mariana, 147. 2) Maria SS. e la salvezza,
149. - 3) L'Immacolata, 154. - 4) L'Ausiliatrice, 163.
1) La morte e l'aldilà nella vita di Don Bosco, 177. - 2) I1 Paradiso, 182
.- 3) L'inferno, 185.
- 1) Felicità e religione, 187. - 2) Felicità f d a c e degli empi, 191. 3) 11
dolore neila vita dei giusto e dell'empio, 195. - 4) I giovani e la salvezza
eterna, 197. - 5) Significato del darsi a Dio per tempo, 202.
1) Domenico Savio, l'ideale realiziato, 206. - 2) E facile farsi sanii, 209.
- 3) Valentino, l'ideale fnist~ato,212. - 4) Natura e segni della santità,
215. - 5) Don Bosco e la tradizione spirituale sulla santità cristiana, 218.
1) L'obbedienza: a) sua importanza nell'ambiente d i Don Bosco, 227. -
b ) Virtù principale dei giovane, 229. - C) Motivazioni teologiche e dati
di esperienza, 231. - d ) Obbedienza e libera iniziativa del giovane, 237.
- 2) La purezza: a) dati sull'atteggiamento di Don Bosco dall'adolescenza
alla maturità, 240. - b) Derivazioni culturali e letterarie, 244. - C) Don
Bosco e i costumi del suo tempo, 247. - d ) Situazioni di Valdocco, 250. -
e ) L'educazione dei giovani d a purezza, 253. - f ) Superamento delle
tentazioni, 255. - g) Problemi particolari dell'educazione tra pubertà
e matrimonio, 262.
CAP. X I I - PREGHIERA SACRAMENTI E OSSERVANZE RELIGIOSE . .
275
- 1) Devozioni e osservanze nelle campagne torinesi e dell'alto astigiano
nella prima metà dellOttocento (prolegomeni), 275. 2) Osservanze reli-
giose e fatti di aristocrazia spirituale tra il popolo, 277. - 3) Pratica
religiosa genuina tra follùore e superstizione, 279. - 4 ) Metodi di pra-
tica religiosa proposti ai fedeli, 283. - 5 ) Incidenze socio-economicbc sulla
- pratica religiosa, 285. - 6 ) Osservanze religiose in crisi a Torino e in
Piemonte nella seconda metà dellOttocento, 286. 7) Fermenti rimo-
vatori della pratica religiosa, 295. - 8) Campagna per la comunione
frequente, 299. - 9) Pratiche di pietà a Valdocco, 303. - 10) La con-
fessione, 310. - 11) La comunione frequente, 319. - 12) Devozioni,
pii esercizi, litumia, 326. - 13) Pullulare d i devozioni all'Oratorio, 333.
- 14) Esercizi spirituali ciascun anno ed esercizio mensile delia buona
morte, 335. - 15) I1 gusto per la preghiera e la sincera devozione, 341.
- 16) Le associazioni religiose, 346.
CAP. X I I I - I SALESIANI RELIGIOSI NUOVI PER LA SALVEZZA DELLA
GIOVENT~ . . . . . . . . . . . . . 359
1 ) Problemi socioreligiosi del clero, 359. -- 2) I Salesiani per la rigene-
razione e la salvezza della società, 367. - 3) I1 senso delia famiglia, 377.
- 4) 11 crlsma taumaturgico, 379. - 5) Dottrine e usanze religiose:
a) Finalità ascetiche e caritative della Società Salesiana, 382. - b ) Tirocinio
pratico e formazione alla vita salesiana, 386. - C) Vocazione, voti e sal-
vezza eterna, 392. - d) Obbedienza, castirà e povertà, 402. - e) I ren-
diconti, 414. - f ) Pratiche di pietà, 421. - g) La vita comune, 430. -
6) I1 Salesiano secondo le biografie e nccrologie, 435.
- CAP. X I V ELEMENTI RELIGIOSI NEL SISTEMA EDUCATIVO DI DON
Bosco
. . . . . . . . . . . . . 441
1) Preludi al «Sistema preventivo P negli scritti di Don Bosco (1844-1877),
441. - 2) I1 Sistema preventivo nel contesto culturale di Don Bosco e
del suo ambiente, 450. - 3) Valori e limiti dell'opuscolo sul Sistema
preventivo, 459. - 4) Altri documenti sul sistema educativo di Don Bo-
sco, 466. - 5 ) Elementi religiosi nel sistema educativo di Don Bosco, 469.
- 1) La mistica, 475. - 2) I miracoli, 484, - 3) La scienia di cose oc-
culte, 487. - 4) La leggenda, 490. 5) Don Bosco e i fatti straordi-
nari. 498.
CONCLUSIONE . . . . . . . . . . . . . 501
Bilancio di una mentalità religiosa e di una spiritualità, 501.
1) Classificazione e problematica dei sogni, 507. - 2) I1 sogno di Lanio
(6 dicembre 1876), 508. - 3) Il sogno d i S. Benigno Canavese (10 set-
tembre 18811, 526. - 4) I vaticini su avvenimenti del 1870.74, 532. -
5 ) I1 «sogno» delle due colonne (fine maggio 1862), 547. - 6) Le pre-
dizioni di morte (il decesso del giovane Vittorio Maestro), 554. - 7)
Considerazioni per uno studio psicologico, teologico e pedagogico, 559. -
Appendice di documenti, 563.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
ABBREVIAZIONI
A
AS
DB
DHGE
Documenti
DSP
DTC
EC
Epistolario
Indice MB
Archivio
Archivio centrale salesiano (Torino, v. M. Ausiliatrice 32)
Don Bosco
Dictionnaire d'histoire et géographie ecclésiastiques
Documenti per scrivere la storia di D. Giovanni Bosco . . . (AS 110)
Dictionnaire de spiritualité
Dictionnaire de théologie catholique
Enciclopedia cattolica
Epirtolario di S. Giovanni Bosco (ed. E. CERIA)T, orino 1955-1959,
4 vol.
E. FOGLIO,Indice analitico delle hlemorie biografiche di S. Giovanni
Bosco nei 19 volumi, Torino 1948
Letture cattoliche
G. B. LEMOYNEM, emorie biografiche di Don Giovanni Bosco.. .
poi: Memorie biogr. del Venerabile Servo di Dio Don Giovanni
Bosco.. ., S. Benigno Canavese, Torino 1898-1917, vol. 1-9;
G. B. LEMOYNZ-AA.MADEI,Memorie biografiche di San Gio-
vanni Bosco, 10, Torino 1939; E. CERIA, Memorie biografiche
del Beato Giovanni Bosco. . ., vol. 11-15, Torino 1930-1934;
ID., Memorie biografiche di San Giovanni Bosco, vol. 16-19,
Torino 1935.1939
S. Giov. Bosco, Memorie dell'0raforio di S. Francesco di Sales dal
1815 al 1855 a cura del sac. Eugenio Ceria, Torino 1946

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
PREMESSA
Il nostro titolo annunzia due tipi di ricostruzione storica: quella della
mentalità religiosa e quella della spiritualità. Per mentalità religiosa intende-
remo come è sentito il rapporto con Dio e come in forza di questo sentimento
si sviluppa un modo di agire e di inserirsi nella storia.
Per spiritualità intenderemo uno specifico modo di sentire la perfezione
cristiana e di tendere ad essa o, se si vuole, un modo di ordinare la propria
vita all'acquisto della perfezione cristiana e anche alla partecipazione di speciali
carismi della divina presenza.
Chi percorre la vita di Don Bosco seguendone gli schemi mentali e batten-
done le piste del pensiero trova come matrice l'idea della salvezza redentiva
neiia Chiesa cattolica unica depositaria dei mezzi salvifici; awerte come il
richiamo della gioventù sbandata, povera e abbandonata, susciti in lui i'istanza
educativa per promuoverne l'inserimento nel mondo e nella Chiesa con me-
todi di dolcezza e carità, ma con una certa tensione che proviene dali'ansia per
la salvezza eterna dei giovani.
Don Michele Rua che conobbe Don Bosco come pochi altri, ce ne lascia
in pochi tratti un profilo sommamente vero: « Non diede passo, non pronunziò
parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza deiia
gioventù. Lasciò che altri accumulasse tesori, che altri cercasse piaceri, e corresse
dietro agli onori; Don Bosco realmente non ebbe a cuore altro che le anime;
disse col fatto, non solo colla parola: Da mihi animas, caetera tolle ( l ) .
Fu appunto Don Bosco stesso a riassumere in tale motto le proprie aspira-
zioni. Da mihi animas caetera tolle sono le parole ch'egli tenne assiduamente
sott'occhio, scritte su di un cartellino che già nel 1854 Domenico Savio poté
leggere e interpretare con l'aiuto del Maestro: « O Signore, datemi anime e
prendetevi tutte le altre cose » ( 2 ) .
Neil'interpretazione accomodatizia che Don Bosco assegna a Genesi 14,21
('1 M. RUA, Lettere ciycolari, Torino 1910, p. 142: lettera del 29 gennaio 1896
( 2 ) BOSCO, Vita del giovanetto Savio Domenica, Torino 1859, p. 38.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
il termine chiave è il vocabolo « animas », cioè quel termine che da secoli
nel linguaggio cristiano designava l'elemento spirituale dell'uomo, posto nel
tempo ma immortale, tra salvezza e rovina eterna, tra peccato e grazia, tra
Genisalemme e Babilonia, tra Dio e Satana. Se salvi l'anima tua - scrive
Don Bosco -, tutto va bene, e goderai per sempre; ma se la sbagli, perderai
anima e corpo, Dio e Paradiso, sarai per sempre dannato » (l). « Se la salvi,
tutto è salvato, ma se la perdi, tutto è perduto. Hai un'anima sola, un solo
peccato te la può far perdere » ('1. L'affermazione di S. Agostino, che Don Bo-
sco ripete ai suoi collaboratori, Animam salvasti, animam tuam praedestina-
sti (7c,i indica sufficientemente a quali remoti schemi si collega la sua tematica
e quale tipo di linguaggio abbia violentemente trasferito le parole del re di
Sodoma ad Abramo in un ordine di idee ben discosto. È un senso accomodatizio
che non si trova nelle annotazioni del Martini alla Bibbia e nemmeno in quelle
di altri commenti probabilmente letti da Don Bosco, come lo Zucconi, il Tirino,
il Calmet, ma che si scopre in alcune opere ascetiche e pastorali prodotte
dal clima di riforma tridentina (9.È un senso che facilmente fa pensare al
motto ignaziano: Ad maiorem Dei gloriam et ad salutem animarum, in cui si
trovano espressamente accostati i termini chiave di Don Bosco: salvezza delle
anime. Ma mentre il motto ignaziano enunzia un proposito o propone un fine
da raggiungere, quello di Don Bosco è esplicitamente una espressione interlocu-
toria. I1 dialogo tra il re di Sodoma e Abramo è trasferito nella persona di Don
Bosco che parla al suo Signore. Da mihi animas diventa una preghiera religiosa,
fatta a un Dio che ascolta e può concedere. Come l'antico re palestinese ad
- Abramo, così Don Bosco a Dio esprime il desiderio di avere ciò che in realtà
è già proprietà divina, perché creatura e perché - come dice il Martini
« acquisto in guerra giusta ». Da mihi animas già propone un modo di sentire Dio
e l'umanità.
Propriamente Don Bosco, evocando il proprio motto, non si rifà a Ignazio
di Loyola. Egli stesso ci dice che si tratta di « parole che soleva ripetere S. Fran-
O) [Bosco], Il giovane provueduto, Torino 1847, p. jj.
(*l Bosco, Il mese di m a g i o , Torino 1858, p. 25 S.
[Bosco], Il giovane provveduto, ed. c., p. 26; Bosco, Cooperatori Salesiani Ossi4 un
modo puatico per giovare al buon costume ed alla civile società, San Pier d'Arena 1877, p. 4;
1co8n8f6e:reEnpziastaoilaSraiole,s2ia5n9i0n.e.l.1878: MB 13, p. 805; Circolare ai Cooperatori, Torino 15 ottobre
Gn 14,21 nel senso inteso da DB si trova in Louis TRONSOFNor,ma cleri, pars 2,
cp. 5, art. 2, sect. 3, §
animas, caetera tolle tihi
1l, .D. .el.zeIdloemsalduictiesreandiemhaernutmC, lte.ri1ci,
Parisiis
». E in
1739, p.
contesto
23: «Da mihi
di preghiera, in
Simon SALAM- OMelchior GELABERRTeg,ula cleri, cp. 4, art. 17, Animarum zelus, Tanrini
1762, p. 198: n Domine, qui amas animas, da mihi amorem tui, ut postea fetventer dicam:
da mihi animas; caetera tolle tihi. Excita insuper torpescentes sacerdotes ad te sincero cordis
aliectu amandum; si enim amaverint te, nonne animas a te ita dilectas, et in amorosis tuis vi-
scerihus pretiosas, ardente? amahunt? nonne hunc praevium habentes morem, illarum con-
versioni, sanctificationi, et saluti totis virihus vacahunt? omnia siquidem vincit amor; nescit
molimina amor. Utinam ergo tuo excitati amore, et adusti, agonizemur omnes pro justitia tua,
consumamur certatim pro gloria tua, pro nostra, omniomque salute. Amen r.
cesco di Sales P, senza però scendere a precisare donde abbia attinto tale
notizia (').
« Credere ed operare per salvarci » è, secondo Don Bosco, tutto quanto
l'uomo deve fare; è in compendio il messaggio di Cristo. Gesù insegnava pro-
» ( v . prio questo: « insegnava tutto ciò che è necessario di credere ed operare per
salvarci « Egli diceva che era il figliuolo unico di Dio, e il Salvatore pro-
messo agli uomini venuto dal cielo in terra per insegnar loro la strada della sa-
lute » ('). I1 salvarsi l'anima, quello che S. Alfonso e molti scrittori spirituali
del suo tempo indicavano come l'uno necessario, appare essere anche il nucleo
essenziale e irrinnnziabile, la radice più profonda della sua attività interiore,
del suo dialogo con Dio, del lavorio su se stesso, della sua operosità di apostolo,
conosciutosi come chiamato e nato per la salvezza della gioventù povera ed
abbandonata.
Presa a sé tale istanza appare comune, reperibile, ad esempio, in Antonio
Maria Claret o nei fratelli Cavanis, anch'essi educatori della gioventù nell'ot-
tocento e fondatori di congregazioni religiose; reperibile addirittura in Giovanni
Battista de la Salle, nel Calasanzio e in Gerolamo Emiliani ("). Tuttavia per
se stessa offre già un fondamento per classificare Don Bosco in u n determinato
tipo di spiritualità. Nel contesto, ad esempio, della sua istanza apostolica il ter-
mine negativo di distacco dalle creature non è traducibile in quello di annienta-
mento e nemmeno in quello di rifusione in Dio, a prescindere anche dal fatto
che Don Bosco come spirito, come cultura, come ambiente è assai lontano dalla
spiritualità di Maestro Eckhart o di Harphins o dello stesso Bérulle. Nella spi-
ritualità di Don Bosco il distacco dalle cose non ha come presupposto una
considerazione cosi pessimistica delle creature, da non farne sentire la fun-
zionalità verso il bene da operare. La tendenza all'azione, anzi, la tendenza
all'operosità spesso tesa sotto lo stimolo dell'urgenza e nella coscienza di una
missione celeste, pone Don Bosco su una linea di spiritualità di vita attiva,
che fa si che egli si contraddistingua dallo stesso Francesco di Sales e da quanti,
nonostante una vita di operosità intensa, nella propria coscienza spirituale dan-
no largo posto all'impegno psicologico e anche psicosensorio per portarsi a uno
stato di unione con Dio nella preghiera.
Don Bosco, come dicevamo, appare proiettato e concentrato nell'operosità.
Ciò che esprime sul distacco dalle cose non è tanto in ordine a uno stato di
orazione, quanto piuttosto di azione apostolica; il distacco è uno stato d'animo
necessario per la più assoluta libertà e disponibilità nelle esigenze dell'apostolato
stesso. 11 distacco di Don Bosco è assai vicino, nel suo contenuto, a quello
(7) Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenica, p. 38.
(8) BOSCO, Maniera facile per imparare la storia racra ad xro del popolo crirtiano, TO-
cino 1855, p. 47.
(9) BOSCO, Maniera facile, p. 49.
('0) A questo proposito nell'arco della pastorale e catechesi deil'età moderna si ha la
documentata indagine di Elisaheth GERMAIN, Parler d u salut? A u x origine: d'une mentalite
religieuse. La CatéchGse d u salar dans la France de la Restauratiun, Paris 1967.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
di S. Alfonso. Anch'esso può avere come correlativo l'elemento positivo con il
quale S. Aifonso sintetizza la perfaione cristiana: la conformità alla volontà
di Dio. Ma ancora una volta in Don Bosco l'operosità sopravviene a determi-
nare il senso da dare all'impegno di conformità ai divini voleri: impegnarsi in
quelle opere che Dio assegna da compiere. Sicché l'operosità porta a contrad-
distinguere la spiritualità di Don Bosco da quella alfonsiana concentrata sul-
l'interno dell'uomo.
In più: la specifica vocazione di Don Bosco, la sua dedizione alla salvezza
della gioventù povera e abbandonata, fa che in lui si ritrovino calati in un
nuovo ordine moltissimi elementi che nella loto materialità provengono da
S. Alfonso o dalla comune mentalità religiosa dell'ottocento piemontese, in
cui, nonostante tutto, elementi caratteristici italiani risultano profondamente
modulati da stimoli della spiritualità francese sopravvenuti dal Sei allJOrtocento
e operanti ancora alla radice di nuovi stati d'animo fioriti in tempi di Risorgi-
mento; in tempi di Immacolata Concaione e Infallibilità pontificia, di modu-
lazioni tradizionaliste e di fede quasi medievale nel miracoloso, di decadenza
liturgica e di massima espansione delle divozioni private, di reazione al rigo-
risma e di resistenza a fermenti di riforma protestante o laicizzazione della
società italiana.
Ma in quale misura è possibile spingersi nella vita spirituale di Don Bosco
per comprenderne la tensione verso la perfezione cristiana nelle fasi di germi-
nazione e di sviluppo? In quale misura è possibile stabilire nn'indagine sulla
spiritualità di lui, se per spiritualità s'intende, come dicemmo, ordinare la
propria vita verso la perfaione cristiana? Una indagine che voglia cogliere
nella loro germinazione e maturazione lo spirito, la dottrina e le opere di Don
Bosco incamminato nella via della perfezione è posta in difficoltà dall'estrema
indigenza di fonti sulla vita interiore di lui. È una indigenza che abbiamo denun-
ziata già nella introduzione generale. Don Bosco, uomo operoso e teso nel
lavoro, sembra quasi risoluto di non appagare chi voglia fermarlo per studiarne
le recondite sorgenti di energie. Ci è sembrato perciò miglior partito sottendere
gli elementi di spiritualità nel tessuto più vistoso della religiosità, cioè di quanto
risulta fatto e detto in forza di un principio religioso e, nel caso di Don Bosco,
in forza della costante e dichiarata persuasione di essere strumento di Dio
nella educazione della gioventù. La religiosità, casi intesa, potrà permettere di
utilizzare a buon diritto criteri e metodi della sociologia religiosa, della storia
del folklore e di altre scienze che possono essere all'occorrenza sussidiarie nella
indagine su una vita, su una cultura e su una mentalità.
D'altra parte la documentazione relativa a Don Bosco, e soprattutto gli
scritti da lui lasciatici, sono tali da scoraggiare chiunque voglia avere l'ambizione
di trovare un rigoroso sistema di pensiero. Scritti come il Giovane provveduto,
il Mese di maggio, la Storia sacra e quella ecclesiastica giovano a porre in evi-
denza una serie di temi fondamentali, dominati da qiiello della salvezza delle
anime e di tutta l'umanità. B possibile ordinare tali nuclei seguendo già sche-
matizzazioni di Don Bosco stesso. In tal senso è legittimo esaminare successiva-
16
mente quale significato avesse l'idea di Dio nella mentalità di Don Bosco, che
cosa ne pensasse egli dell'uomo, delle sue vicende in tutti i tempi e in quelli nei
quali viveva - secondo quella sensibilità per la storia che era in lui partico-
larmente viva. E poiché l'uomo a lui appare come peccatore e la storia
umana venata dal peccato e dall'incombere di pericoli nel tempo e nell'eternità,
è anche legittimo chiedersi quali leve ne risultassero mosse nella sua vita di
sacerdote educatore, catechista e fondatore dell'Ottocento piemontese.
La sua sensibilità religiosa pone in grande evidenza Gesù Cristo, sentito
e predicato come Divin Salvatore, la Chiesa come arca di salvezza, Maria SS.
immacolata, madre e aiuto per i singoli e per la «congregazione dei fedeli ».
I1 tema della salvezza eterna dà particolari modalità alla prospettiva degli ulti-
mi destini >)mani: la morte, il giudizio, l'inferno e il paradiso.
Non ci preoccuperemo di trovare nessi dove Don Bosco non li avverti
e non li additò. Esamineremo i temi suindicati come « costanti » del suo
spirito e nuclei fondamentali sviluppati in reciprocità con fatti personali O
ambientali. Passeremo quindi ad analizzare come in forza di queste dominanti
Don Bosco dispiegò la sua opera per la salvezza delle anime e anzitutto per la
salvezza della gioventù.
Come sacerdote educatore Don Bosco sviluppò una serie di temi fonda-
mentali di religiosità e spiritualità per i giovani, dei quali cercò di stu-
diare le istanze, gli ideali, l'indole e i mezzi più idonei a renderli buoni cristiani
e onesti cittadini, rivolti a curare « il grande affare » della salvezza dell'anima.
Su questi temi successivamente innestò la religiosità e spiritualità per i « n u o
vi » religiosi educatori da lui istituiti: i Salesiani anzitutto ( e quindi le Figlie
di Maria Ausiiiatrice), i quali anche formò a quel « sistema » educativo che
si decise a teorizzare in un dato momento della sua vita.
Ci soffermeremo infine sui fatti straordinari: miracoli, sogni e predizioni.
Essi pervadono tutta la vita di Don Bosco a partire dall'infanzia. Ma un discorso
su di essi, che presuma toccare i dati più fondamentali e saliei~ti,è possibile
solo quando appaiano nel loro complesso gli elementi costitutivi della mentali-
tà religiosa di Don Bosco, casi come maturò sotto gli stimoli dell'ambiente.
E bene che non passiamo sotto silenzio alcune caratteristiche del me-
todo da noi seguito. Nel tentativo di individuare fatti che intervennero nel
formare la mentalità di Don Bosco e che ebbero incidenza sul suo eventuale
permanere o evolversi abbiamo cercato di fondarci anzitutto su quei fatti
che Don Bosco stesso pose in evidenza sia in ciò che scrisse, sia anche in
ciò che disse o fece. In secondo luogo, trattandosi di idee, abbiamo fatto
ricorso ai mezii con i quali queste idee vennero espresse e fissate, cioè a&
scritti editi e inediti, seguiti nei loro vari stadi: dalle minute più o meno tormen-
tate di Don Bosco, alle edizioni rese pubbliche fino ai nostri giorni; per quanto
ci fu possibile abbiamo tentato di risalire dalla prima composizione degB
scritti di Don Bosco fino alle loro fonti. Ma dove non fu possibile stabilire
con assoluta esattezza nessi tra fatti o scritti, abhiamo creduto legittimo
evocare quel complesso di elementi ambientali - spirituali o sociali - che,

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
ulla base di buoni indizi, ci sono sembrati caratterizzare l'ambiente che nel
amplesso pervase il modo di essere, di pensare e di agire di Don Bosco.
Questa cura motiva, ad esempio, le pagine suile osservanze religiose in Piemonte
e soprattutto nel Monferrato e dovrebbe dare ragion d'essere alle altre sui
problemi vocazionali e pastorali del clero piemontese, pagine poste poi in rap-
porto rispettivamente con l'indagine sulle osservanze religiose proposte ai
giovani. Torniamo a dirlo: quelle pagine, non vogliono essere né un excursus,
una cornice posticcia, ma la presentazione di elementi che intervennero
nella trama di fatti e di idee. Esse perciò non dovrebbero esigere come titolo
all'intero libro, ad esempio, Don Bosco e il suo ambiente, quasi che si sia
fatta una giustappasizione di dati, ma quello che abbiamo adottato: Don Bosco
nelle storia della religiosità cattolica.
Non sfuggirà a! lettore la prolissità di molte citazioni da scritti di Don
Bosco o da scritti del suo ambiente. La ragione è che molte opere letterarie
del Piemonte religioso sono oggi rarissime e quasi irreperibili. Lo stesso pur-
troppo vale anche per moltissimi scritti di Don Bosco. Per quanto riguarda
la vita di lui, oltre che alle fonti di prima mano, ci si può riferire alle Memorie
biografiche. Ma gli scritti di Don Bosco, tolte le lettere e una trentina di
operette più fortunate, sono davvero un patrimonio sconosciuto o difficilmente
accessibile persino alla gran parte degli studiosi. Manca un opera omnia. L'edi-
zione iniziata da Don Alberto Caviglia si è arenata dopo la sua morte. A stento
sono usciti postumi, a distanza di quasi trent'anni, i volumi relativi a tre bio-
grafie. L'edizione critica è solo un desiderio di molti e un voto del Capitolo
generale XIX dei Salesiani. Bene o male, dunque, abbiamo creduto opportuno
potius abundare in citazioni illuminanti, quam deficere.
CAPITOLO I
DIO CREATORE E SIGNORE
1. La conoscenza di Dio
Il da mzhz anzmas caetera tolle fa supporre che Don Bosco conosca già
e senta presente il suo interlocutore: Dio, Signore della sua esistenza e della sua
vocazione. Tale conoscenza, avvenuta nell'infanzia ed arricchita successivamente,
porta l'impronta - diciamolo subito - di quanto è stato detto pro o contro
la conoscibilità e la stessa esistenza di Dio, contro la componibilità delle sue
perfezioni con l'esistenza del male nel mondo, contro la divina rivelazione e
contro gl'interventi divini straordinari. Nell'Ottocento quanto è stato detto
da Montaigne e Bayle, da Voltaire e dal d'Holbach intesse anche la catechesi
in termini di confutazione. La catechesi comincia dal Credo in Dzo padre onnz-
potente e pone subito l'accento sulla conoscihilità e conoscenza di Dio, suila
necessità di un culto religioso e della rivelazione; svolge temi che assunsero
uno sviluppo vistoso nell'apologetica e nella trattatistica da metà Seicento
in avanti (l).
Dio, dunque, domina come un sole meridiano la mente di Don Bosco. Sia
che egli si ponga nello stato d'animo di chi difende la fede o in quello
del catechista, dello scrittore di ascetica o di storia, in qualsiasi stato d'animo
egli sente e contempla Dio creatore e signore, principio e ragion d'essere di
tutto. Dio è il primo ad essere presentato nel Giovane provveduto ai ragazzi
e nella Chiave del paradzso agli adulti, nel Cattolico istruzto e nel Cattolica
provveduto, nella Storza sacra e nella Storia ecclesiastica. « Alzate gli occhi al
cielo » - usa scrivere Don Busco - « e nel vostro animo sentirete sorgere
spontaneo il senso di Dio ». « Alzate gli occhi, o figliuoli miei, ed osservate
quanto esiste nel cielo e nella terra. I1 sole, la luna, le stelle, l'aria, l'acqua, il
fuoco sono tutte cose che un tempo non esistevano. Ma c'è un Dio, che colla
(1) Per qualche lineamento generale cf. M. CHOSSADTi,eu (connaissancc naturelle de),
in DTC, 4, Paris 1911, cl. 759-810: posizioni iiiosofiche e teologiche dal sec. XVI al XIX;
A. MICHELT, raditionalisrne, in DTC, 15, Paris 1946, cl. 1350; E. HOCEDEHZis,toiie de la
théologie au XIX' siede, Paris 1947-1952.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella

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DonsBcoesnczoanedlila Dstoioriacdoemllaereuligniosfaitàttcoatctohlieca.hVaoleIsI.igSitteolla una previa operazione divina. È
un certo innatismo, di cui è possibile ritrovare in Don Bosco altri relitti: « Gli
uomini - egli scrive - portano scolpita nei loro cuori la religione natu-
rale » (l2). Una voce interna « a tutti parla nel cuore e dice: l'anima tua non
potrà essere annichilata e vivrà in eterno » (l3). Don Bosco però non ci dice
se, per prendere coscienza di questa idea, sia necessario un ulteriore intervento
di Dio sulle «orecchie del cuore », per aprirle, e sul « tatto del cuore », per
aiutare a percepire quanto è impresso, e inoltre non si pone il problema del
valore probante di tale testimonianza interiore (l4).
Don Bosco insomma è più pronto ad indicare ciò che dicono queste voci
interiori che a spiegarne la profonda natura; più pronto ad indicare i nessi
delle cose con Dio e con I'uomo, che a proporne motivazioni:
« M a vista deii'ordine e della maravigliosa armonia che regna in tutto l'universo
non si può esitare un istante sopra la credenza di un Dio, che ha creato, ha dato movi-
mento a tutte le cose e le conserva i . . .l A tutto Egli ha donato l'esistenza colla sua
onnipotenza, a tutto provvede coila sua bontà. Egli è che sostiene e fa muovere il
peso formidabile dell'immensità. Egli è che dà modo e vita a tutti gli esseri viventi.
Egli dà l'esistenza a tutto come creatore, provvede a tutto come conservatore, e a Lui
tutto si riferisce come ad ultimo fine. A tutte le cose egli dice: son io che ti ho
fatto: ego sum. E in questa parola, che ogni uomo può e deve comprendere, si
esprime tutta la sua potenza e la sua divinità.
Ma qui awi una verità che accrescerà di certo la nostra maraviglia. Tutte le cose
che miriamo neii'tiniverso le ha create per noi. I1 sole che risplende nel giorno, la
luna che dirada le tenebre della notte, le stelle che abbelliscono il firmamento, l'aria
che ci dà il respiro, l'acqua che serve agli usi dell'uomo, il fuoco che ci riscalda, la
terra che ci dà frutti, tutto fu fatto da Dio per noi. Omnia subiecisti sub pedibus eius.
Che sentimenti di gratitudine, di rispetto, di amore non dobbiamo avere verso di un
Dio così grande e nel tempo stesso così buono! Che cosa dovremo noi dare per cor-
rispondere a questa grande bontà del nostro Dio? » ('5).
D'altronde in convergenza con la celebrazione di Dio che I'uomo ascolta
dalla voce delle creature, c'è anche quella ch'è possibile cogliere nella tradi-
zione dei popoli e soprattutto rielle vicende del popolo ebraico. L'idea di Dio
è universale, perché fu « chiaramente comunicata ad Adamo, primo uomo del
mondo, e da lui tramandata di generazione in generazione a tutti i suoi discen-
denti » (l6). Una rivelazione divina ai primordi dell'umanità è per Don Bosco
un fatto certo e l'inizio di una catena di rivelazioni. L'irruzione di Dio negli
eventi umani è per lui qualcosa di assolutamente oggettivo. Come Nicolas
(l2) BOSCO, Il cattolico istruito, pt. 1, tratt. 3, p. 18 S., che pare ispirarsi ali'AxMÉ,
CatPchisme, p. 11: « I1 y a une Religion naturelle, que Dieu a gravbe dans i'esprit e:
dans le coeur de tous les hommes a.
~. (l3)
('4)
Bosco, Il mese
La discussione
di
sul
m a-u-i o..
valore
giorno 2.
probante
dTeollr'iensope1ri8e5-n8za
n 24
A ~d.el
divino
è
posteriore:
del-
l'epoca del modernismo. Cf. R. VERNEAUDXieu, , in Catholicirme, t. 3, cl. 780.782.
- ('5) BOSCOIl, mese di mag.. gio., g-iorno 1.. D. 20 S.
!l6) BOSCO, 11 cattolico istruito, pt. l , tiatt. 1, p. 10.
Jamin - le cui operette divulgative circolavano anche in Piemonte - Don
Bosco avrebbe potuto scrivere che la rivelazione « non è una verità speculativa
che debba decidersi nel tribunale della ragione, ma una verità di fatto, sopra
di cui la testimonianza ha diritto di dare una decisione (l7).
In conclusione pare che per Don Bosco ci siano vari ordini di conoscenza
dell'idea di Dio. Questa è derivata dalla conoscenza delle creature, ma è anche
innata, cioè inserita da Dio stesso nel cuore dell'uomo, e infine è appresa
per rivelazione divina tramandata di generazione in generazione.
Si comprende facilmente come Don Bosco viva e senta il divino in pieno
dima cristiano, nella tradizione religiosa innestatasi su quella ebraica. I1 Dio di
Don Bosco è un Dio che parla alle sue creature, è il Dio di Ahramo, di Isacco
e di Giac~bhe,Dio incarnato e rivelato da Gesù come in tre persone uguali
e distinte. È un Dio personale. Un Dio quasi materializzato dalla letteratura
religiosa popolare che esprimeva natura e operazioni divine con figure e atteg-
giamenti desunti dal liiguaggio umano. Un Dio a cui si arrivava per via storica;
che nell'epoca d'oro della spiritualità francese era stato affermato con veemenza
in contrapposizione all'Ente supremo astratto e impersonale che veniva rim-
proverato a molta filosofia sviluppatasi dopo Descartes.
I1 sentimento comune, invocato anche da Don Bosco come prova dell'esi-
stenza di Dio, è ben diverso da quello deista di Butler o di Lessing che vi dan-
no un valore affettivo e volontaristico. Come per Bossuet o come per i missio-
nari che nel Seicento difendevano i riti e la civiltà cinese, per Don Bosco
il sentimento comune è quello che suppone un'unica derivazione dell'umanità
dal capostipite Ahramo, suppone un Diluvio che distrusse il genere umano
e una rivelazione primitiva tramandata dai noachidi e diffusasi in tutto il
mondo: è una serie di atti dell'intelletto.
È raro che Don Bosco usi l'appellativo Essere supremo (l8), nonostante
gli fosse suggerito come una delle possibili alternative da chi gli rivide le
Sei domeniche di S. Luigi pubblicate nel 1846 (l9). E n t e supremo - come
aveva potuto apprendere sul Trattato della locuzione oratoria in uso nelle
scuole piemontesi -, è un modo di dire che « si dee fuggire del tutto, e
perché non italiano e perché non è elegante, ma sente l'affettazione filosofica,
e non esprime né la bontà né la provvidenza né l'onnipotenza di Dio, né che
tutte le cose sono sue creature. Onde si dica l'onnipotente, il Signore, o il
Padre nostro, come c'insegnò a nominarlo il Salvatore; ovvero con altro nome,
che allo stesso si adatti nelle divine scritture » ("1.
( 0 ) N. JAMINP,ensieri, cp. 3, 5 45, Venezia 1823, p. 78, Questa formnatissima opera
di volgarizzazione apologetica venne stampata in italiano a Carmagnola 1819; liberata da
tendenze
~~
~~
~~
~
sallicane"eWsianti,. venne
edita
r>er ooera
dell'ilmicizia
Cattolica
a
Torino,
chez
Hyacinthe Marietti, nel 1823.
(18) Cf. ad esempio Il cattolico isiruilo, l. c., p. 10, dove ricalca l'Aimé.
('9) [BOSCO], Le sei domeniche e la novena di san Luigi Gonzaga, Torino 1846,
esemplare interfogliato presso I'AS 133 Sei domeitiche, alla p. 31.
(a) Trattato della locuzione oratoria e dell'arte poetica approvalo dall'eccellentiisimo
Magistrato della Riforina ad uso delle scuole, cp. 5, Torino, Stamp. Reale 1829, p. 53 S.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
L'appellativo che risulta familiare per I)on Bosco è quello di Signore. « I1
Signore vi fa sapere che se voi comincierete ad esser buoni in gioventù, tali
sarete nel resto della vita » ('l); « datevi per tempo alla virtù, e vi assicuro,
che avrete sempre un cuore allegro e contento, e conoscerete quanto sia dol-
ce servire al Signore » ; « il Signore è pronto a perdonare » (=); « la mise-
ricordia del Signore è grande » ("); il Signore ci parla e ci assicura che i bene-
fici che compartisce sono per i giusti e per i peccatori (=); morire, è rendere
l'anima al Signore ("). Signore è appunto il termine con il quale (riflessamente
o no) Don Bosco completò il suo motto: Da mihi animas; non « O Dio onni-
potente e misericordioso »; non « Maria Vergine, immacolata, ausiliatrice D;
ma Signore: è i1 termine che gli è abituale anche nelle lettere, è appellativo
che nel contesto letterario vitale indica quegli stesso che è designato, ad esem-
pio, dalle espressioni della liturgia cristiana: Kyrie, eleison, Dominus vobiscum.
Signore, insieme ai senso di dipendenza e sudditanza riverente, riflette
anche la persuasione dell'onnipotenza divina. Dio, che crea dal nulla e conserva
nell'essere, manifesta la sua potenza perspicuamente preordinando i fatti uma-
ni, prevedendoli e preannunziandoli, intervenendo con la parola e con l'opera,
sospendendo le leggi della natura ed operando prodigi (n).
Don Bosco non comprende l'atteggiamento di coloro che discutono la pos-
sibilità della rivelazione o dei miracoli: « Se Iddio infinito dal niente creò
questo mondo che noi vediamo, creò noi stessi, quali esistiamo, perché non
potrà manifestare a noi le cose necessarie a conseguire il fine per cui ci ha
creati? Non sarebbe egli ridicolo, il dire, che Iddio onnipotente non possa
far quello, che fanno gli uomini creati da lui, col manifestare e comunicare ad
altri i loro interni pensieri? non possa far quello che fanno tuttodi i maestri
col manifestare le loro cognizioni agli scolari?
Dio è sovrano signore di tutte le cose. I1 nome e l'immagine, dalle sca-
turigini bibliche, nel Sei-Settecento esprimevano bene l'idea di dominio asso-
luto e di sudditanza totale. L'idea della Divina Maestà suscitava un contorno
d'immagini che provenivano dal costume delle corti umane; immagini di fasto,
di inchini, di riverenze, di timore rispettoso, di cura a non far nulla di non
gradito al sovrano, nulla di indegno e di sconveniente alla sua sacralità, per non
incappare nella sua giusta ira ("1. Tipico è il metodo seguito dail'amico di Don
[Bosco], Il giovane provveduto, pt. 1 [sez. Il, art. 3, Torino 1847, p. 12.
(n)[Bosco], Il giovane provveduto, l. G., art. 3, p. 13.
(2)[Bosco], Esercizio di divozione alla misericordia di Dio, p. 59.
(24) [BOSCO], Esercizio di divozione alla misericordia di Dio, p. 81.
(25) [BOSCO], Esercizio di dioozione alla misericordia di Dio, p. 31.
("1 Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenica, cp. 25, Torino 1859, p. 120.
(n)il tipico della
nifestazioni della potenza
mentalità deli'epoca considerare la rivelazione
divina invisibile. Cf. O. CHADWCFKro,m Bossuet
e
to
la storia
Newman
.m. a. -,
Cambridge 1957.
(a)Bosco, Il cattolico istruito, pt. 1, tratt. 3, p. 20.
(29) Sono elementi posti in rilievo, ad esempio, per l'età barocca da J. A. JUNGIVIANN,
Liturgisches Erbe und pastorale Gegenwm.t, Innsbnick 1960, p. 108.119.
24
Bosco Luigi Comollo per fare a lunghe preghiere senza veruna distrazione D.
«Vuoi che io ti dica, dicevami, come io mi metta a pregare, ella è un'imma-
gine tutta materiale che ti farà ridere: Chiudo gli occhi, col pensiero mi porto
entro una grande sala adornata nella maniera la più squisita, in fondo alla
quale si erge un maestoso trono su cui siede l'onnipotente, dopo di lui tutti
i cori dei beati comprensori, quivi mi prostro, e con tutto il rispetto a me pos-
sibile faccio la mia preghiera »
L'appellativo Sua Divina Maestà, così frequente nel Seicento, poté giun-
gere fino ai tempi di Don Bosco e sedimentare nel Regolamento della Compa-
gnia dell'Immacolata ("). I1 Rex tremendae maiestatis del Dies irae e della
religiositi medievale è presente e vivo con tutta la sua severità nelle considera-
zioni sul ,giudizio dell'anima dopo morte e sul giudizio universale. Presente
e vivo nella sua incomparabile dignità è Dio nell'Eucaristia, sfolgorante più
dei re Soie nella raggiera dell'Ostensorio, onorato e venerato daila sua corte
d'onore nelle processioni eucaristiche per la festa del Corpus Domini o nelle
frequenti Benedizioni eucaristiche. Mentre la Comunione porta ad accentuare
i sentimenti di commozione per la presenza nel proprio cuore dell'Ospite
divino, l'adorazione facilmente suscita sentimenti connessi al senso della Divina
Maestà.
Dio ì. Padre misericordioso e prowidente. Egli è il « pietoso nostro padre
che è nei cieli D ("). Testimoni diretti ricordano l'inflessione che assumeva la
voce, ordinariamente piana di Don Bosco, quando, nella recita comune delle
preghiere, pronunziava le parole Padre nostro (33). Quali sentimenti precisa-
mente lo animassero non è
saperlo. Ma quando scrive di Dio Padre
pietoso e Padre delle misericordie egli lo fa in contesti che suppongono I'espe-
rienza cristiana, abituata a ripercorrere mentalmente quanto Dio ha fatto nella
sua bontà, ad Adamo e a tutta l'umanità, ai singoli uomini giusti o peccatori,
tutti comunque bisognosi di aiuto e oggetto di cure più che paterne, e tutti
chiamati alla salvezza eterna in Cristo Gesù ("). L'accento sulla parola Padre
- si può legittimamente immaginare - vuole esprimere la propria devozio-
ne filiale, il riconoscimento di quel che è Dio per l'uomo e la protesta di quel
che Don Bosco vuole essere; e inoltre vuole esprimere la certezza che Dio
Padre pietoso non abbandonerà mai i suoi figli.
Anche quanto ci ha lasciato sulla misericordia di Dio non è soltanto l'af-
(30) [Bosco], Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo, Torino 1844, p. 47.
(3') BOSCO, Vita del giovanetto Sauio Domenico, cp. 16, Torino 1859, p. 81: «Nel
giorno
Divina
dMi aseusatàa..m. mB.essione
i
fratelli si
accosteranno
alla
santa
comunione,
pregando
Sua
, . Parole di DB riferite da Don Giovanni Bonetti, Annali 111, p. 55, AS 110
Bonetti 4.
(3)E. CERIAD,on Bosco con Dio, Torino 1929, p. 76. Testimonianza di Don Ascanio
Savio, cf. MB 3, p. 589.
(n)L'Esercizio di divozione alla misericordia di Dio celebra iippunto le misericordie
del Signore a cominciare dalla creazione. Tale schema è adottato anche nel Mese di
maggio, giorno 9.

2.5 Page 15

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DonfBeormscaoznieolnlaestdoiriaudnellaatrterliigbioustiodcaivttoinlicoa.. VInol IcI.liSmteallainfatti di postumi antigiansenisti
e antideisti la misericordia divina poteva essere oggetto di trattazioni polemi-
che sul modo come bisognava intendcrla in rapporto ai temi più discussi
della predestinazione e premozione divina, deli'azione divina permanente nella
conservazione delle creature. Don Bosco tende piuttosto ad alimentare il senso
religioso e la confidenza in Dio.
I metodi di cui si serve non sono quelli del controversista. Helvetius,
Boulanger, d'Holbach avevano criticato il Dio dei cristiani: un Dio che pur
essendo onnipotente e buono, non impediva la rovina delle proprie creature;
che pur potendo riscattare l'umanità dal peccato mediante un gesto di poten-
za regale, aveva scelto un m o crudele e sanguinario: la morte del suo figlio
unigenito. I1 predestinazianismo rigido aveva ristretto le vie della salvezza al
piccolo numero degli eletti; il resto dell'umanità era destinata all'infelicità eter-
na. Don Bosco non si pone a risolvere obiezioni, ma lascia pagine per i credenti.
A questi ripresenta i documenti della bontà infinita di Dio, attingendo ora al
Tableau de la miséricorde divzne di Nicolas-Sylvestre Bergier, ora all'Apparec-
cbio alla morte di S. Alfonso 0 ' ) . Davanti a Dio infinitamente buono l'uomo è
evocato invece con il senso della colpa. In questo, più che al Bergier Don
Bosco si accosta a S. Alfonso:
*< Si mio Dio, - fa dire Don Bosco al lettore - io vi ringrazio di tutti i beneficii
che mi avete fatti e che ogni giorno andate facendo; vi fui sconoscente per lo passato,
ma ora vi amo con tutto il mio cuore, mi pento d'avervi oltraggiato, mi rincresce più
di avervi offesoche qualunque male avessi potuto incorrere; deh illuminatemi o bontà
infinita,fatemi conoscere la mia grande ingratitudine; ah non vi avessi mai offeso! » (36).
Lo scopo che egli si propone nel suo Esercizio di diuozione è dunque quel-
lo di promuovere una conuersio ad Deum e non una distaccata considerazione
filosofica. E il meccanismo della conversione è da lui stimolato inducendo un
certo senso dell'urgenza; egli tende a muovere mediante l'evocazione della mor-
te e degli eterni supplizi con i quali la giustizia divina colpirà inesorabilmente
. (35) N . S. BERGIER, Tableau de la misérico~de divine tiré de PEcriture Sainte ou
motifs de confiance eii Dieu . . , Besan~on1821 (I1 Pont. Ateneo Salesiano ne conserva un
esemplare con la scritta: « Amelie Piossasco n6e Panissera - Lotterie de D. Bosco »). Si
deve alle iniziative di Pio Brunone Lanteri e dell'ilmicuia Cattolica la ristampa del
Manuale pauperum del carmelitano Alessandro di S. Francesco (1558-1629), Torino, Gia-
unto Marietti, 182.. . ; i'oblato di Maria Giuseppe Loggero puhblicò anonimi i Tesori
. di confidenza in Dio ossia compendio del manuale de' poveri coll'aggiunta dello sciogli-
mento delle difficoltd a conforto de' peccatori.. , Pinerolo 1831, 2 vol., egli attinge
anche al Bergier e ali'antigiansenista J. - J. LANGUET, Trattato della confidenza neMa mise-
ricordia di Dio. . . , Venezia 1780, edito poi a Milano 1836.
( s )[Bosco], Esercizio di diuozione alla misericordia di Dio, p. 37; S. ALEONSO,
Apparecchio alla morte, consid. 16, punt. 1, Affetti e preghiere, in Opere ascetiche, vol.
2, Torino, Marietti 1846, p. 73: «Si, mio Dio.. . io v'amo con tutto il cuore, mi pento
di
o
avervi oltraggiato più
bontà infinita, fatemi
cdoinqouscaelurenqiluetomrtoalech&eiov'haovefsasittpoo. t.u.toAhincnoornrervei.
Deh illuminatemi,
avessi offeso mai,
o Gesù mio! »
gli ostinati nella colpa: « Dio punisce il peccato nell'altra vita »; ma « finché
l'anima è unita al corpo è tempo di misericordia e di perdono » ("). « D i o ti
poteva far morire appena commesso il primo peccato. Ma Egli ti ha conservato
in vita per usarti la sua misericordia, ed ora ti offre la sua grazia » (3S). I mali
che si abbattono sull'uomo nella vita terrena, possono essere punizioni vendi-
cative per chi le subisce, ma tutte contengono per l'umanità un valore medi-
cinale: una voce che chiama alla conversione e al perdono, che Dio concederà
sicuramente a chi, pentito, si rivolge a lui.
Minore sviluppo ha negli scritti di Don Bosco il tema della Provvidenza
divina; ma non per questo è meno presente nel suo sentimento religioso. Emer-
ge soprattutto in caso di strettezze economiche, come fondamento alla c o d .
denza, ma anche nella contemplazione degli eventi umani, sia propri, sia altrui,
sia della Chiesa, sia della Congregazione salesiana (3y).
2. Don Bosco e il tradizionalismo
Maggior rilievo acquistano le persuasioni di Don Bosco sulla conoscenza
di Dio, se le poniamo a confronto con quelle espresse nell'ambiente letterario
torinese a lui più familiare, non perdendo di vista i rapporti ch'esse hanno con la
spiritualità e non dimenticando il carattere educativo semplice e semplificante
dei testi che ci documentano la mentalità di Don Bosco.
Come autori significativi possiamo prelevare il Tassoni e il Frayssinous,
che Don Bosco asserisce d'aver letto da chierico, le pastorali del card. De La
Luzerne pubblicate nella Collezione di buoni libri, Gioachino Ventura e Augu-
sto Nicolas citati da Don Bosco in Marauiglie di Maria Ausiliatrice, scrittori di
gran grido nel loro tempo. Questi apologisti dal più al meno sono venati di
fideismo e tradizionalismo ("1. Essi hanno presente la crisi del Cattolicesimo
in Europa, le convulsioni della Rivoluzione, il secolo decimottavo con la sua
critica corrosiva ai danni della fede e l'esagerata esaltazione della ragione. Rea-
gendo al deismo illuminista si portano a posizioni radicalmente opposte. Non è
vero che la religione positiva sia inutile, non è vero che insegni dogmi incom-
prensibili e oscuri, non è vero che sia frutto di ignoranza e di superstizione, non
è vero che ostacoli il progresso e la felicità dei popoli.
La critica mossa all'ottimismo razionalista li porta tuttavia ad accettare
il momento scettico del deismo stesso: posto che l'uomo sia capace di rendersi
conto che esiste un Dio creatore, che cosa altro è capace di dedurre? « Subito
che uno ha cognizione di Dio, - scrive il Tassoni - si sente spinto dalla
natura medesima a prestare a questo sovrano Nume culto, ossequio ed omaggio.
(9)Bosco, Il mese di maggio, giorno 20, Torino 1858, p. 118.
(a)BOSCO, Il mese di maggio, 1.c., p. 120.
(39) Eloquentissimo è, sotto questo aspetto, i'elenco di episodi nell'lndice MB p. 359 s.
(N) Orientative sono le voci che il DTC dedica al Frayssinous, al De La Luzerne, al
Nicolas e al Ventura; utile è anche L. LE GOUILLOLU,volution religieuse de la pensée
de F. Lamennais, Paris 1966.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
fra I'uomo e Dio non vi è proporzione. Come dunque, in qual modo potrò
io
Chi mi assicura di rendergli cosa grata? Quale sarà il sacrificio
a lui più accetto? » (41).
Di più, rincalza il Frayssinous: venuto a conoscere dalla ragione e dal
sentimento comune che esiste una suprema intelligenza che cosa conosco di
più riguardo a Dio? « Ma qual è la sua maniera di esistere? Qual è la sua na-
tura? Come accordare insieme le divine perfezioni? » (").
La verità è mortificante per le presunzioni umane: « Collocato I'uomo,
per così dire, tra l'essere ed il nulla, presenta nelle sue facoltà molti tratti di
somiglianza col suo divino Autore; ma egli sperimenta nel tempo stesso l'im-
perfezione e la miieria di ogni cosa creata. S'egli è intelligente, la sua intelli-
genza perb è circoscritta in angusti confini; se non è nell'impotenza assoluta
di conseguire ogni verità, non gli è conceduto però di tutto vedere e di tutto
conoscere » (").
« Studiate la teologia dei genii profondi, che illuminaro~iol'universo, -
scrive il card. De La Luzerne - di que' filosofi, a tempi loro così venerati ed
ammirati dai secoli seguenti e dei quali gli increduli si vantmo di essere se-
guaci. Scorrete le loro incertezze, le loro contraddizioni, i loro vergognosi er-
rori intorno a Dio e alla sua provvidenza sopra la natura, l'origine e la desti-
nazione dell'anima, sopra il primo principio ed il bene supremo. La loro igno-
ranza nella religione è tanto grande, quanto la loro scienza nelle altre materie.
Di tutte le scoperte fatte per arrivare alla conoscenza delle verità celesti, una
sola ve n'ha, di cui lo spirito umano possa gloriarsi, la confessione cioè, che
hanno fatta i più grandi filosofi, della loro impotenza, e del bisogno d'una
rivelazione divina » ("). La religione, conclude chiaro e netto il Tassoni, non
solo è possibile, ma assolutamente necessaria ("). La perversione religiosa e
morale avvenuta fuori della tradizione dei patriarchi e del popolo ebraico, di-
venuto depositario della rivelazione primitiva, per i tradizionalisti sono argo-
menti palmari della incapacità costitutiva della ragione a percepite le verità
fondamentali relative a Dio e alla propria salvezza eterna.
Chi poi percorra la letteratura a cui si rifanno i De Maistre, i Frayssinous,
i Ventura, i Tassoni, facilmente s'imbatte nelle piste del Portorealismo: nel
pessimismo agostinianista circa le possibilità della natura espresso, ad esempio,
dal Dugiiet ed incorporato e aggravato da mons. Montazet in una sua pastorale
(") A. M. TASSONLIa, religione dimostrata e difesa, t. 1, lih. 1, C. 10, Torino,
Stamp. Ailiana 1824, p. 144.
(42) FRAYSSIN~DUifeSsa, del Cristianesimo, vol. I, p. 67: «Qual t la sua maniera
di esistere?.. . ». E l'interrogativo di Berkeiey che il F. si ripropone, senza perb darvi una
risposta diretta. Questa la darà più avanti, e sari quella del tradizionalismo.
('3) F R A Y S ~ I ND~ifWesaS ,del Cristianesimo, vol. 1, p. 55 S.
(M)C. G. DE LA LUZERNIEst,ruzione pastorale sopra la eccellenza della religione,
Torino, Eredi Botta 1849, p. 20.
(45) TASS~NLIa, religione dimostrata e difesa, l. c., p. 144.
sulle origini deil'incredulità e sui fondamenti della religione ("). È un pessi-
mismo fatto proprio dal Valsecchi in opere che divennero arsenali di argomenti
per apologisti minori italiani, quali il Tassoni e l'anonimo autore dei Cenni
sulle principali verità della cattolica religione, ai quali attinge Don Bosco per
il suo primo abbozzo del Cattolico istruito ('l). Alle radici del tradizionalismo
ottocentesco è possibile ritrovate il fideismo di Pascal o il pessimismo di Ni-
cole, che riflettono, entrambi, in alcune loro pagine, lo scetticismo di Montaigne
e quello più stemperato di Charron (48).
Nelle pagine di Don Bosco l'istanza uadizionalista sfiora abbastanza il te-
ma della necessità della rivelazione, sebbene non al punto da far affermare che
Dio nella sua natura e nei suoi attributi sia inconoscibile e che I'uomo non
percepisca abbastanza per istinto di natura i sentimenti che deve nutrire verso
il suo Creatore e Signore.
« La religione naturale - scrive Don Bosco - conduce bensi l'uomo alla cogni-
zione di molte verità, ma ve ne sono moltissime che sarebbero state per sempre
all'uomo sconosciute senza rivelazione. Per esempio: la religione naturale ci dice,
che I'uomo deve prestare un culto a Dio, ma non ci spiega abbastanza quale sia, n6
in qual modo debba essere prestato. Perciò noi vediamo che molti popoli, guidati dalla
sola religione naturale, caddero in turpissimi errori, fino ad adorare qual Dio animali
immondi.. . Nella Grecia ed altrove si sacrificavano vittime umane al sole, alla luna
e d e stelle; nella China si uccidevano i fanciulli quando erano troppi in numero,
altrove mangiavasi carne umana, e simili barbarie si commettevano in più luoghi, ove
gli uomini si erano allontanati dai principi della rivelazione » (49).
Come presso i tradiiionalisii anche nel complesso deUe pagine del Cat-
tolico irtruito non è del tutto evidente la distinzione tra piano filosofico e pia-
no storico, tra metafisica e storia, vista - oltre tutto - con animo polemico.
Un filosofo neotomista avrebbe ponito rimproverare questa poco legittima e
poco benefica estrapolazione di teologia positiva e storia sacra sull'indagine
filosofica. Alla radice della confusione rischiata o commessa vi avrebbe potuto
vedere, oltre alla reazione antilluminista, la grave difficoltà posta al filosofo
cattolico dai peccato originale. Accettato che l'uomo storico è indebolito nelle
sue potenze, ne deriva la difficoltà a cogliere da esso le caratteristiche da attri-
buire in astratto alla natura umana immaginata d o stato puro.
Comunque Don Bosco supera abbastanza I'aporia delle sue argomentazioni
(46) M. de MONTAZEIsTtr,uzione pastorale di rnonsignor arcivercouo di Lione sopra
le sorgenti dell'incredulitd, e sopra li fondamenti della religione, Napoli 1778 e VerceUi 1778
dedicata al vescovo di Novara M. A. Balhis Bertone. Sulla dipendenza da J. - J. Duguet 6.
- . STELLA. lacauer ,Toseoh Du-euet .(1647.1733) e le sue fortune in Italia in Salesianum, 27
9: (1965) 6js S.
(47) Alba, tip. Chiantore e Sansoldi 1849. Bossuet, Frayssinous, Valsecchi c Tassoni
sono espressamente citati nella prefazione, p. 6.
(a)Cf, H. busso^, La pensée religieuse fran~aise de Charron ù Pascal, Paris 1933;
A. M.BATTISTA, Alle origini del pensiero politico libertino. Montaignr e Charron, Mila-
no 1966.
(@) Bosco, Il cattolico istruito, pt. 1, tratt. 3, p. 19.

2.7 Page 17

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DonnBeollsacornifeullsaiostnoeriaddeelllaCraetlitgoioliscitoà ciastttrouliictao. VionltIrIa. pSrteelslaa dopo il 1870 e condotta a ter-
mine nel 1883. Le prove dell'esistenza di Dio vengono rifuse e suddivise in
argomento metafisico, fisico e morale, secondo quanto era fatto da una nuova
fonte: I dovevi cristiani esposti alla studiosa italiana del sacerdote Enrico Gio-
vannini (=O). L'argomento metafisico enunzia quello di causalità, di ragione suf-
ficiente e del contingente al necessario, mantenendo largamente sviluppato l'apo-
logo dell'uovo e della gallina; quello fisico è l'argomento dell'ordine: dell'oro-
logio e dell'orologiaio; il terzo argomento, quello morale, s'impemia sul fatto
che « tutti i popoli hanno sempre riconosciuto l'esistenza della divinità.
Don Bosco passa quindi a sostenere, come già nel Cattolico istruito, la ne-
cessità della religioge e della rivelazione. Ciò che scrive sulla rivelazione si col-
loca ormai decisamente su un piano di teologia cristiana derivata dal dato rive-
lato e si distingue abbastanza nettamente da quanto prima è detto sull'origine
dell'idea di Dio mediante raziocinio.
La necessità della rivelazione - scrive Don Bosco - deriva dal fatto
che Dio ha « destinato » l'uomo « ad un fine ultimo soprannaturale », per rag-
giungere il quale l'uomo stesso ha bisogno di professare parecchie verità supe-
riori al naturale suo intendimento. E in secondo luogo proviene dal fatto che
« l'intelligenza dell'uomo offuscata pel peccato di origine non è capace di co-
noscere, senza mescolamento di gravi errori, tutte le verità necessarie alla sua
morale direzione. Ora Iddio benignissimo degnossi rivelare all'uomo e le ve-
rità di ordine soprannaturale, e grande numero eziandio di quelle di ordine
naturale »
La maggiore nitidezza espositiva, la distinzione dei duplice ordine di verità
rivelate ha, oltre tutto, alla radice un avvenimento importante. I1 concilio Va-
ticano I ha condannato il tradizionalismo. Sono quindi sopravvenute chiarifi-
cazioni sia in teologia che in catechesi cattolica. Fonte diretta delle chiarifica-
zioni è sempre l'opera catechistica del Giovannini (").
Quale incidenza ha potuto avere il tradizionalismo sulla reiigiosità dell'Ot-
tocento? A prescindere da considerazioni astratte, ci sembra che in concreto
gli autori che abbiamo sopra evocato manifestino una certa tendenza a dilatare
i termini della rivelazione: questa investe ovviamente l'umanità, anche al di
di quella rivelazione specialissima affidata al popolo ebreo e alla generazione
neo-testamentaria. I1 nuovo popolo di Dio, la Chiesa, continua ad essere il
campo magnetico su cui cadono gl'interventi straordinari di Dio: rivelazioni,
miracoli, predizioni, oracoli di ogni genere, apparizioni celesti. In questa predi-
(50) Bologna
storica, dogmatica,
1872. I1 Giovannini attinge largamente ad
morale, liturgica e canonica del Catechismo.
A. G u i ~ ~
Prato 1863;
o18r Ss6p5, i'e. g.a.ziEonne-
trambi gli autori sono consigliati ai Salesiani dal secondo capitolo generale del sett. 1880.
Cf. Delibevazioni.. ., Torino 1882, p. 68.
(5') Bosco, Il cattolico nel secolo, Torino 1883, p. 35.
(52) Ad es. al a senza mescolamento di gravi errori* di DB fa riscontro la «mescu
lanza di molti errori n del Giovamini, o. c., p. 38.
sposizione verso prodigi e profezie è percepihile la loro reazione al senso di
sospetto che invece era stato fomentato nel Settecento dal razionalismo.
« In faccia ai miracoli posteriori al Vangelo - scrive Augusto Nicolas - noi
siamo posti nella medesima situazione come in faccia a tutti gli altri fatti storici ».
«Dove ci sembrano sufficientementestabiliti, dobbiamo ammetterli senza alcuna dif-
ficoltà; od anche con una inclinazione più dichiarata per queste testimonianze della
potenza e deila bontà del Dio che adoriamo. . . più preoccupati del timore di rifiutare
la nostra credenza ai veri miracoli che di quello di ammetterne dei dubbii od anche
dei falsi » ( 2 ) .
È nella natura di Dio, sostiene il Nicolas, continuare a dar controprove
inoppugnabili e inconfondibili in favore dell'economia di salvezza ch'egli ha
stabilito per gli uomini fino alla fine dei secoli. La loro frequenza o infrequen-
za è dovuta a molti fattori. È connessa, tra l'altro alla presenza o no di una
fede viva.
« Ai nostri giorni - egli scrive - il miracolo è raro, perché & rara la fede.
I1 Figlio dell'uomo non fece più miracoli quando fu nelle mani degli scribi e dei
farisei e comparve davanti a Pilato ed Erode. Non ne fece più durante la sua pas-
sione, lui che ne aveva fatti tanti in mezzo alle moltitudini credenti della Giudea.
Così egli non ne fa.quasi più ai nostri giorni dopo di averne fatti così gran copia
nel medio evo. La sua divinità se ne astiene, per la consumazione della nostra prova
o del nostro castigo. Ma risorga egli, ricompaia la santità, e i più gran miracoli si
compiranno » ("1.
Una tendenza analoga è percepibile in Don Bosco. La mano di.Dio non
si è accorciata. La santità e lo straordinario possono esplodere nella Chiesa ad
ogni istante. Quanto più è surriscaldato il cuore di fede e dell'amore di Dio,
tanto meno c'è da meravigliarsi se l'onnipotenza divina si manifesta con pro-
digi. Quanto più Dio ha piani straordinari, tanto più c'è da attendersi il suo
intervento (5i). Anzi senza segni straordinari divini è temerario intraprendere
nella Chiesa imprese straordinarie. La tradizione salesiana ripete a tal proposito
un episodio significativo:
« Si presentò un giorno al nostro Padre uno zelante sacerdote, il quale
aveva in animo di fondare non so quale istituto religioso. Don Bosco, dopo
d'averlo attentamente ascoltato, gli chiese, coll'ahituale e serena sua franchez-
za, se, relativamente all'opera che voleva iniziare, avesse avuto qualche rivela-
zione o illuminazione celeste. I1 buon sacerdote rimase sorpreso: poi candi-
damente rispose che nessuna indicazione o grazia soprannaturale egli poteva
addurre in appoggio del suo progetto. Allora Don Bosco, benevolmente ma con
fermezza, lo esortò a deporne ogni pensiero » (%).
1
\\
%,)
A
NTCOLASh.
~
~~
Vereine Maria
vivente
nella
Chiesa. . . ,
pt.
2,
lib.
3,
C.
8,
Torino, Bibl. Eccl. Editrice 1863, p. 159.
(") NICOLALSa, Vergine Maria viuente nella Chiera, 1. c., p. 164.
(5s) Sul molo dei miracoli neiia religiosità di DB ci occuperemo più avanti, cp. 7, § 4.
(sa) P, RICALDOFNeEde,ltà a Don BOSCO santo, p. 8 S., che attinge a MB 7, p. 48 S.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
3. Dio nella propria vita
La persuasione di essere sotto una pressione singolarissima del divino
domina la vita di Don Bosco, sta alla radice deUe sue risoluzioni più audaci ed
è pronta a esplodere in gesti inconsueti. La fede di essere strumento del Signore
per una missione singolarissima fu in lui profonda e salda. Da lui stesso venia-
mo a conoscere quel che provò, quando avverti il miracoloso in cui si trovava
implicato.
<t Un giorno - attesta il salesiano Don Vespiguani - ci arrischiammo a fare
a Don Bosco qualche domanda sopra i suoi sogni e doni straordinari . . .
Don Bosco, sofridendo e fermandosi a guardarci, come per volgere in serio le
cose, ci disse: - Ditemi voi che cosa poteva fare il povero Don Bosco, se dal Cielo
non veniva ogni momento qualche speciale aiuto? Vi assicuro che la corrispondenza
.dei nostri giovani era tale da provocar miracoli.
Allora fu che ci narrò il prodigio delle particole. In una festa delle più solenni
il sagrestano, awisato da lui che facesse consacrare una nuova pisside di particole
per la Comunione generale, erasene scordato. Don Bosco, venuto 3 momento di to-
gliere la pisside dal tabernacolo, la scoperchiò e vide entro appena una quindicina
.di particole. Cominciò con quelle a comunicare i giovani, pensando che, terminatele,
avrebbe in pronto le altre, ch'ei credeva in fondo al tabernacolo. Fini una balaustrata,
ne cominciò una seconda e senza interruzione gli si vedevano fluire nuove particole
dalle mani. - Mi misi a tremare e mi sentiva confuso al vedere quell'aumentarsi di
particole sotto le mie dita, finché giunsi al termine della Comunione numerosissima
,con particole d'avanzo. Tornato all'altare, m'awidi che altra pisside non vi era, sicché
,compresi che il Signore aveva voluto premiare casi tanti buoni giovanetti, che altri-
menti avrebbero perduto la santa Comunione e sarebbero rimasti come le tiirbe del
.deserto senza forze, perché senza gli aiuti della divina grazia » (n).
Insieme alla commozione e trepidazione sorgeva talora il senso di gioia
o la cura gelosa a non lasciar trasparire nulla che potesse suscitare irrisione.
In tutto, comunque, Don Bosco senti e vide una garanzia dall'alto. Ciò fonda-
va in lui l'atteggiamento religioso caratteristico del Servo biblico, del profeta
che non può sottrarsi ai voleri divini. E non soltanto per timore reverenziale,
ma anche nella persuasione di quanto è buono Dia Padre con i suoi figli. Testi-
monianze solide ricordano le sue lacrime irrefrenabili, allorché nel 1887, vec-
chio cadente celebrava la sua prima messa a Roma nella chiesa al S. Cuore
finalmente costruita dopo più di un lustro speso ad elemosinare. Egli non bada-
va alla moltitudine di fedeli che lo circondava. La sua mente risaliva al p a s ~
sato. La voce udita in sogno tra i nove e i dieci anni tornava a risuonargli ni-
tida e insistente: « A suo tempo tutto comprenderai ». Finalmente Don Bosco
capiva che il Signore per fare cose grandi si era servito di lui, povero, oscuro,
senza mezzi pastorello dei Becchi (%).
(n)G. VESPIGNAUNnI,anno alla scuola del Beato Don Bosco, p. 33 S.
(58) MB 18, P. 340 S.
CAPITOLO I1
L'UOMO
Per Don 8osco uomo non è equivalente ad anima, anche se a questa
pensi di preferenza e con predilezione. L'uomo nel complesso del creato è vi-
sto come la più perfetta delle creature visibili ('); seconda, quindi, in perfezione,
dopo gli angeli, che sono puri spiriti. Questa gradualità è posta in evidenza
dal racconto della creazione, che parte dalle creature inferiori, arriva agli no-
mini e agli angeli e ridiscende poi, nella descrizione del peccato, dagli angeli
ali'uomo e a tutte le creature(').
L'uomo è un composto di anima e di corpo. Don Bosco talvolta lo affer-
ma (3); ma più spesso, sia nei suoi scritti apologetici che in quelli spirituali, si
esprime in termini alquanto diversi: l'uomo è dotato di un'anima e di un corpo.
Tipico è l'esordio della considerazione sul fine deli'uomo nel Giovaee provve-
duto: «Considera, o figliuolo, che questo tuo corpo, quest'anima tua ti furono
dati da Dio senza alcun tuo merito » ('). Espressione brevissima, che ci offre
già il quadro degli elementi con i quali Don Bosco intesse i suoi scritti spiri-
tuali: lui, scrittore (sostituito dal lettore o, comunque, da chi parla attraverso
il libro); colui che legge o ascolta; la sua anima e il suo corpo; e infine, Dio.
Cinque entità che sorgono in atteggiamenti diversi, con tendenze talora in ur-
to che fanno scaturire il dramma sacro.
Don Bosco, da una parte, fa trasparire il proprio interessamento per me
e per la mia anima, e il timore che io possa dimenticare le finalità essenziali del
mio essere; io, che mi soffermo ad ascoltare, che mi esamino, trepido ora ri-
i.l,)i-Bosco-l.. Il a-iovane provveduto, pt. 1 [scz. l], art. 1, Torino 1847, p. 9; ID.,
Storia sacra, epoca 1, cp. 1, arino 1847, p. 13.
( 2 ) Non è solo lo schema della Storia sacra e della Maniera fucile per imparare la
Storia sacra: lo si trova anche abbastanza abbozzato in Esercizio di divozione alla miseri-
cordia di Dio, nel Mese di maggio e nel Compendio di ciò che un cristiano deve sapere,
:. credere
(3)
e pratic~re premesso
«L'uomo 8 formato
a la chiave del paradiso.
di due sostanze.. .D: predica
sulla morte, incipit:
«Se io
ptessi . D [1842], AS 132 Prediche A 2, f. lv.
ed.
(4) [BOSCO]I,l giovane provveduto, pt.
C,, p. 32. E sul Mese di maggio, giorno 2,
1, Sette considerazioni, 1,
p. 23: <<Dioci ha donato
uFn'ainneimdael.l'.u.o»m.o,

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
flettendo sul mio comportamento passato, ora su quel che faccio della mia
anima e del mio corpo. E dico a me stesso: <C L'anima sola dev'essere lo sco-
po deUe mie azioni. Si tratta di essere sempre beato, o sempre infelice, ahi
vada ogni cosa purché mi salvi ». Mi rivolgo a Dio: « Mio Dio, perdonatemi i
miei peccati ». Oppure, a mia volta, vengo esortato a parlare con me stesso:
« Conchiudi anche tu così: H o un'anima; se la perdo ho perduto ogni co-
sa. . . » ( 9 .
È un modo di esprimersi che Don Bosco nei suoi scritti deriva dagli autori
preferiti. Anche S. Alfonso inizia la meditazione sul fine dell'uomo delle
Massime eterne cbn i medesimi termini: « Considera, anima mia, come que-
st'essere che tu hai te l'ha dato Dio, creandoti a sua immagine, senza tuoi
meriti >> (&)). « Considera cristiano e di': un'anima ho, se questa io perdo, ho
perduto ogni cosa: un'anitna ho, se a danno di quest'anima mi guadagno un
mondo, che mi serve? se divento un giand'uomo e perdo l'anima, che mi gio-
va? . . . Dunque, se l'anima è mia. . . deggio ben pensare a salvarmi. Questo
è un punto che troppo importa >> (7).
1. L'anima
Se i'uoino vale più delle altre creature visibili è perché ha l'anima. Essa
è il soffio di Dio. « Quando Iddio creò l'anima, soffiò sopra dell'uomo e die-
degli lo spirito della vita » (s). È l'anima che rende l'uomo immagine e somi-
glianza di Dio. D'altra parte, il fatto che l'uomo abbia ricevuto questo soffio di-
vino comporta anche che abbia i requisiti essenziali dello spirito.
Le facoltà deli'anima, memoria intelletto e volontà, ce lo manifestano.
Don Bosco argomenta più facilmente dalla ragione o facoltà di pensare. È,
questa, un dono che abbiamo « p e r mezzo dell'anima: il fatto - scrive egli
- che « per mezzo dell'anima noi abbiamo la facoltà di crearci delle idee, d i
combinarle, di produrre certi capolavori, che sollevano l'uomo sopra tutte le
altre creature » è una prova che l'anima « è il simbolo ovvero il contrassegno
dell'intelligenza di Dio » (9). I1 fatto poi che nessuna cosa creata contenti
l'uomo, dimostra che il suo affetto, la sua volontà, non sono create che per
trovare quiete in Dio. Questa tendenza innata manifesta perciò anche la natura
superiore deli'uomo rispetto aUe altre creature visibili.
L'anima è immortale. L'immagine e somiglianza di Dio « sarebbe imper-
(9 [BOSCOIl, giovane provveduto, pt. 1, Sette considerazioni, l. c., p. 34.
(6) S. ALFONSMO,assime eterne, Del fine dell'uomo, 1, in Opere ascetiche, 2, Torino
1846, p. 473.
(') S. ALPONSOM,assime eterne, Dell'importanza del fine, 31, l. C,, p. 475
[Bosco], Il giovane provueduto, l. c., p. 9.
(9) Bosco, 11 mese di maggio, giorno 2, p. 24.
fetta, se non avesse del Creatore la prerogativa principale, che è l'immor-
talità » (").
« Quando Iddio creò l'anima soffiò sopra dell'uomo e diedegli lo spirito
della vita; questo soffio è semplice, è spirituale, fatto ad immagine e somi-
glianza di Dio, che è eterno ed immortale; perciò deve essere immortale l'anima
nostra » (l').
L'anima è libera: « Dio diede all'anima nostra la libertà, cioè la facoltà
di scegliere il bene o il male, assicurandole un premio se fa bene, minacciando
un castigo qualora scelga il male. La qual cosa, come si disse, non facendosi
nella vita presente, Iddio riserbò l'eternità, ove quelli che operano bene saran-
no ricompensati con un premio che non finirà mai più; e quelli che trasgredirono
la Divina legge saranno puniti con un supplizio eterno » (l2).
2. I1 corpo
I l corpo è senza dubbio anch'esso un dono di Dio. Don Bosco lo afferma
discorrendo della creazione dell'uomo. Dio, si legge nel Mese di maggio, « creò
il corpo con quelle belle qualità che noi in esso rimiriamo » (l3). Ancora una
volta siamo chiamati da una parte, per contemplare qualcosa che ci è stato
dato e ormai ci appartiene, quasi dimenticando per un momento che invece
il corpo è una componente essenziale della natura umana: concetto che Don
Bosco esprime, ad esempio in una predica giovanile: «L'uomo è formato di
due sostanze, una spirituale, la quale perché pensa, giudica e ragiona, necessaria-
mente non ha parti in cui possa essere disciolta; onde è di sua propria natura
immortale. Questa spirituale sostanza, che anima si chiama, trovaci unita ad
un'altra sostanza materiale . . . » (l4). Sicché davanti a noi che meditiamo, si
presentano idealmente anima e corpo, unite, fino a quando interviene la morte,
cioè il fatto (o il momento) della « separazione dell'anima dal corpo » ("1.
La morte, « distruzione » deli'essere umano (9m,ette in luce le modalità
dell'unione. « A vicenda l'uno dall'altro dipendono » (I7). Ma il corpo propria-
(l0)BOSCO, Il mese di maggio, I. c., p. 24; cf. anche Maniera facile, Torino 1855,
p. 8 S.
('1) Bosco, I1 mese di maggio, l. c., p. 24 S.
(12) BOSCO, Il mese di maggio, l. c., p. 25.
(13) Bosco, I l mese di maggio, l. C , p. 23.
(14) Predica suila morte, cf. sopra, nota 3.
(15) [Bosco], Il giovane provveduto, Sette consideraiiani, La morte, cd. G., p. 36:
La morte P una separazione dell'anima dal mrpo con un totale abbandono delle cose
ddiaiqleuemstsoemdoi nqduoe»s.toVimsiorniadsos.u.m. el'alanimpraedihcaa
sopra citata: B
da lasciare i1
E un
corpo
totale assoluta separamento
con un totale abbandono
del mondo D.
(26) Preghiera per la buona morte nel Giovane provveduto, ed. c., p. 142: «Gesù
Signore. . . accettate la distruzione- del mio essere... *.
(n)Predica sulla morte, A'S 132 Prediche A 2, f. I v.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
mente è strumento dell'anima. Esso è come una cosa o vestito: qualcosa che
ci appartiene e ci serve, senza che però meriti il nostro più grande attaccamento.
Paragonato anche solo ai pregi dell'anima, è destinato sempre ad essere in sot-
t'ordine: <<Evero che questo corpo è un bel dono fattoci da Dio, datoci per
coprire l'anima nostra; ma i'umiltà è il più bello ornamento deli'anima » (l8).
E ciononostante, non è uno strumento puramente passivo. Z'anima lo av-
verte nel corso della vita mortale, allorché si trova sotto l'influsso degli istinti
e delle passioni del corpo, siano essi ordinati o no; siano o no dominati dalle
potenze dell'anima. In punto di morte l'anima dimostra la sua tendenza a sol-
levarsi in un mondp che non è quello della carne, quasi fosse lei stessa dotata
di una qualche corporeità impigliata in quella del corpo. Questo agonizza più
che per la sua disgregazione, perché prova affanni e oppressioni P, << insepa-
rabili dagli sforzi che naturalmente l'anima deve fare nel rompere i legami del
corpo n (l9). I1 momento della morte è quello in cui l'anima è presentata come
qualcosa che sta dentro il corpo: in quel momento <C gli ultimi sospiri del cuore
sforzeranno l'anima mia ad uscire dal corpo » (m).
In tutte queste espressioni sono trasparenti le vestigia di un qualche pla-
tonismo che aveva compenetrato il linguaggio specialmente della letteratura spi-
rituale cristiana, resistendo, nonostante i secoli, alle suggestioni del linguaggio
artistotelico che invece si dilatava nelle trattazioni teologico-scolastiche.
L'anima non è detta una scintilla dello spirito racchiusa nella prigione
corporea; ma, sotto l'ispirazione cristiana, è chiamata soffio divino, essere crea-
to con una natura che la Bibbia aiutava a definire immagine e somiglianza di
Dio. Il platonismo tuttavia interveniva a far precisare i termini di tale so-
miglianza; l'uomo somiglia a Dio non tanto per il corpo, e nemmeno perché
è un composto di due principi, ma piuttosto per il fatto che uno di questi
principi è spirito immortale, capace di pensare e volere.
Vestigia platoniche potrebbero essere ancora nella sentenza di S. Filippo
Neri, resa propria da Don Bosco: << Non nutrite delicatamente il corpo » (21),
( ' 8 ) BOSCO, Il mese di maggio, giorno 3, ed. c., p. 31.
(1" Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenica, cp. 24, Torino 1859, p. 114. La
morte senza sofferenze è una grazia speciale. DB lo pone in rilievo per Michele Magone:
c< Non fece agonia di sorta; nemmeno dimostrò agitazione, pena, affanno od altro dolore
che nahiralmente si prova nella terribile separazione deli'anima dal corpo. I o non saprei
qual nome dare dia morte di Magone se non dicendola un sonno di gioia che porta
l'anima dalle pene deUa vita alia beata eremita » (Cenno biografico.. ., Torino 1861, p. 83 s).
(m)Preghiera per la buona morte nel Giovane provveduto, ed. C,, p. 142.
P') Il corpo è anche qui considerato come qsalcosa che è &dato a noi, che noi
dobbiamo curare e regolare. Cf. BOSCO, Porta teco cristiano ovvero avvisi importanti intorno
. . ai doveri
gioventù.
-delSicrtirsotivaannoo.
, Torino 1858, p. 34: Ricordi generali di S. I;ilippo Neri
in moltissime operette destinate ai giovani; ne citiamo alcune
alla
del-
i'ambiente di DB: [G. B. ISNARDI],Voce angelica ossia l'angelo custode che ammaestra
misa figlia.. . , Pinerolo 1835, p. 68 (ristampata dalla tip, e libr. Salesiana, S. Benigno Canav.
. 1889); [S. A. B u ~ i r o ] ,Un mazzolin di fiori ai fanciulli, ed alle tanciulle ossia antiveleno
cristiano.. , Torino, Paravia 1836, p. 243; [C. FEBRFXI],Regole di vita e buone massime
o in quella di S. Luigi Gonzaga, riportata da una fonte delle Sei donzeniche
in onore di S. Luigi: <<Nonsi è udito mai di essere giunto veruno all'alto della
perfezione, senza avervi colà cacciato il corpo, come un giumento restio a forza
di battiture, e di simili penitenze. . . A chi ci esorta a non usare gran rigore
contro del nostro corpo dohbiam rispondere, che Iddio ci ha dato in custodia
il corpo, come schiavo ribellatosi tante volte al suo padrone ("). In Don Bosco
gli appellativi di giumento e schiavo, atti a mettere in evidenza la diversità di
natura dei corpo dall'io che riceve il giumento in consegna, è corretta dali'evoca-
zione di Gesù Cristo, esemplare inderogabile per ogni cristiano: C< A chi vi
dice che non conviene usar tanto rigore contro del nostro corpo, rispondete:
chi non vuol patire con Gesù Cristo non potrà godere con Gesù Cristo (").
Tuttavia è ancora presente un termine di antitesi nei riguardi del corpo. Con-
tro il corpo bisogna agire, nell'impiicita persuasione ch'esso recalcitri e meriti
perciò di essere trattato con rigore. Linguaggio che tanto è consueto nei riguar-
di del corpo, altrettanto è insolito nei riguardi dell'anima, anche quando si parla
delle sue tendenze più diaboliche. È ovvio però che su tale modo di vedere, nel
pensiero cristiano, si riflette la teologia del peccato e delle sue conseguenze. Il
modo di esprimersi di Don Bosco, come quello di altri autori spirituali non è
evidentemente in linea di una pura speculazione filosofica, ma riflette già la
conoscenza di un elemento dovuto alla rivelazione divina, o, comunque, a una
tradizione primitiva.
3. Il cuore
Non è insolita in Don Bosco un'altra serie di espressioni che hanno come
perno il cuore. E non soltanto in contesti pedagogici per indicare uno dei fini che
l'educatore deve conseguire: guadagnare il cuore dell'allievo per poterlo edu-
care efficacemente(l4).Può interessare il chiedersi che cosa Don Bosco intendes-
se con l'espressione: <( parlare il linguaggio del cuore »; ma qui già ci interessa
illuminare il senso che vi assegnava in un contesto propriamente religioso e
teologico.
Don Bosco parla del cuore come di una parte di noi: il nostro cuore. E
non soltanto come organo dell'amore, ma come parte centrale del nostro essere.
. . per la gioventù studiora. , Torino, Patsvia 1840, p. 69-71 (Alcuni ricordi di S. Filippo
Neri); Ricordi di S. Fiiippo Neri alla gioventù, in L. ABELLY,Indirizzo per procurare
utilmente la salute delle anime.. . , (Coliez. ai buoni libri, C. 1, disp. 20 e 21), Torino,
Botta 1850, p. 278 s); G . B. PAGANI, Considerazioni sulla S.S. Eucaristia e pratiche divote
per vivere cristianamente, Novara, S. d. [185. .l, p. 83-85.
. (22) P, DE MATTBII,l gio~uneangelico san Luigi Gonzaga proposto in esemplare di
ben vivere . . . A celebrar con frutto le sei domeniche.. , Genova 1843, p. 26 S. (dome-
nica 3).
(a)Sci domeniche, dom. 2, pratica, in [Bosco], Giovane provveduto, ed. G., p. 59.
. (24) Espressione che ricorre, ad es. nel Sistema preventivo nella educazione della
gioventù, § I, ci. Inaugurazione del patronato di S. Pietro in Nizza a Mare.. , Torino
1877, p. 25 S.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
I1 cuore vuole, il cuore desidera, comprende e intende, ascolta ciò che gli si
dice, s'infiamma d'amore, riflette, si muove.
Questo modo di esprimersi, comune a molti popoli, nella Cristianità ha
come suo alimento perenne la S. Scrittura e come veicolo scrittori classici quali
S. Agostino, S. Gregorio Magno, S. Bernardo, S. Francesco di Sales, S. Teresa
d'Avila, Bérulle, la letteratura portorealista non meno di quella sul S. Cuore
di Gesù e di Maria
Per la teologia spirituale del Sei-Ottocento il cuore non è soltanto il sim-
bolo dell'amore. Esso ha anche la capacità di pensare; ma si tratta sempre di
una percezione che non è di pura ragione, bensì già carica di affetto e di desiderio.
« Amabilissimo S. Luigi - fa chiedere Don Bosco al giovane - . . . fate, che
il mio cuore per l'avvenire non pensi più ad altro se non alle cose del cielo,
ed abbia sempre a vile quelle della terra » (26). E usa in parallelo pensare e
avere a vile, dimostrando di servirsi della voce pensare nel senso di avere in
pregio.
Pensare alle cose del cielo e avere a vile quelle della terra potrebbe legit-
timamente considerarsi equivalente a un'altra coppia di espressioni: distaccare
il cuore dalle cose della terra e stimare solo quelle celesti, appunto come scrive
Don Bosco nelle Sei domeniche, che hanno come fonte non un portorealista
agostinianista, ma il provinciale dei Gesuiti di Napoli, a metà Settecento, Pa-
squale De Mattei: « Se vogliamo anche noi distaccare il nostro cuore dalle cose
di questo mondo ed affezionarci alle cose di Dio cominciamo dal disprezzare i
beni terreni che c'impediscono e stimare solo quelle cose che giovano per con-
durci alla beata eternità dicendo come diceva S. Luigi: ciò che non è eterno è
un nulla: Quod aeternum n o n est nihil est >> (").
Ma il distacco implica già un'operazione: il distaccare il cuore, che è anche
detto e descritto come purificazione. Pasquale De Mattei parla propriamente
della purità della m e n t e : quella negativa « che depura i pensieri e gli affetti,
con istaccarli da questi beni lotolenti del mondo » e quella positiva « che unisce
i medesimi pensieri ed affetti in Dio, fonte ricchissima di purezza. La prima, che
costituisce un primo grado, « innalza sopra i vapori grossolani di questa bassa
regione » del mondo. La seconda solleva ancora più in alto, dove l'aria è più
pura e dove la mente è più investita dal calore e dalla luce del sole » (").
Pensieri e affetti sono ricordati insieme, perché in realtà la purificazione
investe entrambi. Antonio Martini (altro autore noto a Don Bosco), nei suoi
commenti alla Bibbia pone in evidenza come di fronte alle verità del Regno
dei Cieli sono possibili tre gradi di intelligenza: l'intelligenza della lettera,
(") Cf. A. GUILLAUMONLTer, sens der nomr du coeur dnns l'antiquiié, in Le coeur,
Eluder carmélitaines 13 (1950) p. 41-81 e altri saggi sulla medesima raccolta di studi;
bibliografia in A. HORTRLANTOe,ologia del corazdn. Estudio sobre la metodologia teolo-
gica afectiuo-prdctica, uista a traués de Vicente Contenson, Madrid 1957, p. 114.117.
(26) Sei domeniche, dom. 4, in [ b s c o ] , Il giouane prouveduto, p. 62 S.
(n)[Bosco], Il giovane provueduto, p. 62.
i")DE MA~TEII,l giouane angelico, domenica 4 , p. 40 S.
38
quella dello spirito e quella del cuore (29).Se si dovessero accordare le espres-
sioni del Martini con quelle del De Mattei, bisognerebbe affermare che l'intel-
ligenza del cuore c'è, quando il cuore è puro, liberato dai vapori o dal fango
della terra, riempito di amore per le cose celesti ("1.
Don Bosco, scrivendo di Francesco Besucco, ci dice che aveva il cuore
<< vuoto delle cose del mondo » e che « Iddio lo riempiva delle sue grazie »
B un'espressione che egli ha derivata da una relazione sull'infanzia di Francesco
redatta dal suo prevosto Don Pepino, ma la si trova già, ad esempio, in S. Al-
fonso, per il quale la perfezione consiste nel distaccare il cuore dalle cose
della terra e conformarlo alla volontà di Dio. S. Alfonso ammonisce che « quel
cuore, in cui sta qualche affetto terreno non può esser mai tutto di Dio »:
« i n un cuore staccato da ogni affetto di cose create subito entra e lo riempie
il divino amore » (32).
Il distacco, dunque, postula l'opera umana, ma comporta anche quella
divina. All'immagine dell'innalzamento dai miasmi della terra alle pure regio-
ni eteree è assai f i e l'altra del flusso e riflusso: invasione di grazia, che com-
prime la concupiscenza; prevalere della concupiscenza che allontana la grazia.
Chi pone in evidenza l'opera dell'uomo, scrive che quando l'uomo ha vuotato
il cuore degli affetti terreni, allora Dio interviene per riempirlo di grazie celesti.
Chi invece pone in luce l'azione divina, facilmente scrive di Dio che dona la sua
grazia; la dona gradualmente, finché nel cuore diventi dominante. Il penetrare
della grazia divina è descritto come un'azione che comincia dall'esterno, am-
mollisce e illumina (u),inclina il cuore verso il suo asse connaturale: quello
delle realtà celesti. L'inquietum cor trova allora quell'appagamento che è possi-
bile in terra, cioè la pienezza dell'amore divino e la speranza di raggiungere
la meta verso cui istintivamente anela.
Può stupire il trovare che Don Bosco dica dell'anima ciò che S. Agostino
scrive del cuore. L'anima - scrive Don Bosco - è quell'essere invisibile « che
(29) Così traduce il Martini Mt 13, 11: « A voi è concesso di intendere i misteri
del Regno de' cieli; ma ad essi ciò non è stato concesso n. E commenta: « El manifesto
che Cristo non parla dell'intelligenza della lettera, e nemmeno di quella dello spirito, la
quale poteva essere comune a molti; ma bensi di quella intelligenza, che egli altrove con
Isaia chiama intelligenza del cuore, per la quale le verità della religione non solo si ap-
prendono, ma si amano, la quale non a tutti, anzi piuttosto a pachi dice esser concessa D.
Di quest'espressione abbiamo tentato una esegesi nel saggio Il vangelo di Matteo tradotto
e annotato da Antonio Mnrtini. Derivazioni e fortune in Salesianum 29 (1967) p. 345.
(30) I1 De Mattei parla deli'intelligenza delle cose celesti: « Se voi troppo amate
. - - i beni di quaggiù, ciò avviene, perché avete un cuore troppo nella tema infangato, e
oerò eravoso,. e Desante. onde vien tirato g-verso la terra. che è centro delle cose gravi D:
. ci. Il giovane angelico, dom. 4, ed. c., p. 42.
(31) BOSCO, Il pastore110 delle Alpi. . , cp. 12, Torino 1864, p. 67. I1 testo da
cui DB trascrive è aVAS 133 Besucco 1. D. 17.
(3" S. ALPONSO,Pratica d'amar G.'c., cp. 11, n. l e 7, in Opere arcetiche 1,
Torino 1845, p. 800 e 802.
(33) BOSCO, Il cattolico istruito, pt. 1, tratt. 1, p. 12: *Iddio buono, per am-
mollire il cuore d i quel sovrano, fece sentire il peso di sua potenza.. .D. Suli'illuminazione
divina che rimuove la cecita del cuore, cf. la Imitazione di Cristo, C. 1 cap. 1.

3.2 Page 22

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
sentiamo in noi, e che tende continuamente ad elevarsi a Dio; queli'essere
intelligente che pensa e ragiona, e che non può trovare la sua felicità sopra la
terra, e che perciò in mezzo alle stesse ricchezze e in mezzo a qualsiasi piacere
della terra ella è sempre inquieta finché non riposi in Dio, percincché Dio solo
può renderla felice » ("1. Perché si possa dire che per Don Bosco anima sia
equivalente di cuore bisognerebbe trovare qualche elemento che ce lo dica
espressamente o ce lo suggerisca. Invece troviamo in più di un testo anima
e cuore giustapposti. Nel Mese di maggio Don Bosco chiede: « Non hai forse
impiegato il tuo cuore e l'anima tua nell'amare delle creature, delle ricchezze,
degli onori, e di certi piaceri illeciti? » ("). In punto di morte, come già rile-
vammo, i sospiri del cuore sforzano i'auima a uscire dal corpo(36).Propria-
mente nel linguaggio agostinista il cuore è la sede in cui l'anima esplica le sue
attività spirituali di pensiero e di agetto. Non è da escludere che Don Bosco
non potesse avvertire il valore dei termini che aveva assimilato e che proveni-
vano da un'antropologia non propriamente aristotelica.
È da notare infine che come per S. Alfonso e come per molti scrittori
del Sei-Ottocento, anche per Don Bosco non ci sono vie di mezzo, ma soltanto
un'alternativa: darsi a Dio o alle creature, avere il cuore attaccato alle creature
o distaccato da esse, impiegato per Dio o impiegato per i beni terreni: «Ama
pure qualunque oggetto delia terra, ma troverai sempre un vuoto nel tuo cuo-
re, se non ami Iddio. . . Se tu avessi due cuori, oppure potessi dividere in due
parti quello che hai: potresti impiegarne una parte ad amare Iddio, un'altra
parte ad amare il mondo. Ma no, dice Iddio, amerai il tuo Signore Iddio con
tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua » (").
Invece il darsi a Dio può considerarsi come equivalente a dare il cuoue
a Dio, giacché dare il cuore significa donarsi totalmente, e donarsi a Dio Crea-
tore, Signore e Padre significa servirlo. Nel servizio di Dio il cuore gode e al
("1 Bosco, Il mese di maggio, giorno 2, p. 23 S.
(35) BOSCO, Il mese di maggio, giorno 12, p. 77. Si tratta di ovvie interrogazioni di tale
tipo di letteratiira. I1 De Mattei, ad esempio, chiede: «Meritano il mio amore questi beni,
che son vanità, e bugia di beni? Ecco due lo8 proprietà: Vanitas, son beni da nulla, va.
nissimi; mostrano con bugia di essere un gran che: Vanitas, et mendacium » (o. c., p. 42).
Comune, in tutta Italia, era la canzonclna: Vanità di vanità - Tutto il mondo e ciò che ha,
. Ogni cosa . vanità. . ». Per il Piemonte cf. Libro d'oro ossia via del Paradiso insegnata
dai missionari colliiggiunta delle lodi spirituali che si cantano nelle S. Missioni, Torino,
Marietti 1840, p. 136.
(3)[Boscol, Il giovane prouvcduto, p. 142.
(37) BOSCO, Il mese di maggio, giorno 12, P. 77. P. Delehaye avrebbe detto che si
tratta di una contrapposizione dovuta alle tendenze semplificatrici dell'anima popolare;
per applicazioni di tale principio 6 . DELU-IAYLEe ,leggende agiografiche, cp. 2, Firenze
1906, P. 31 S. Altri parlerebbero di tendenze dualistiche o addirittura manichee. Comunque
sia, non si possono minimizzare affermazionidette con altri stati d'animo e in altri con-
testi, sulla possibilità di usare ordinatamente i beni creati e sulla possibilità di santificarsi
in qualsiasi condizione di vita. Cf. Le mépris du monde. La notion de mépris du monde danr
la tradition spirituelle occidentale, Paris 1965. Per quanto riguarda DB avremo occasione
di riparlarne.
contrario chi serve il demonio «comunque si sforzi per mostrarsi contento,
tuttavia avrà sempre il cuore che piange, dicendogli: Tu sei infelice perché
nemico d'Iddio » ("1.
Darsi a Dio non implica la rinunzia totale ai beni e ai piaceri della terra.
Pur ricalcando espressioni di S. Alfonso, quelle di Don Bosco risultano più
sfumate. Mentre, ad esempio, S. Alfonso scrive: «Non sei nato né dei vivere
per godere, per farti ricco.. . per mangiare, per bere o dormire come bruti:
ma solo per amare Dio », Don Bosco ammonisce: « Non sei al mondo solamente
per godere, per farti ricco, per mangiare, bere e dormire, come fanno le bestie;
ma il tuo fine si è di amare il tuo Dio » (39).In questa espressione Don Bosco,
più di S. Alfonso, pone in evidenza l'ordinabilità di fini terreni al fine ultimo
e la liceità del sentirsi al mondo anche per godere, per farsi ricco, per man-
niare e bere, e non come bestie, ma come creature ragionevoli che subordinano
;fini secondi a quello iiltimo.
La terra assume il molo classico di luogo di passaggio. S. Alfonso invita
a considerare la vita presente come « viaggio all'eternità »: « Non habemus hzc
manentem czvztatem, sed futzram znquzninzss (Heb. 13, 14) Questa terra
non è già la nostra patria, ella per noi è luogo di passaggio per dove passare
tra breve alla casa dell'eternità. Ibit homo zn domum aeteunztatzs suae (").
Anche per Don Bosco l'uomo che riconosce il proprio fine segue l'istinto
dell'anima e si considera un viaggiatore in cammino verso il Cielo ("l). « Ambu-
late dum lucem habetzs - scrive S. Alfouso -. Bisogna che camminiam nella
via del Signore or che abbiamo la luce; perché questa poi si perde in morte P.
E Don Bosco: « Camminare per la via del Cielo or che abbiamo la luce, perché
questa luce si perde in morte. Ambulate, dum lucem habetis » ("). I1 Signore
e il Cielo sostanzialmente si equivalgono. È Dio, scrive Don Bosco, che « con-
sola i beati col suo amorevole sguardo, e sparge nel loro cuore un mare di deii-
zie ». « 11 beato resterà talmente immerso nelle delizie che andrà esclamando.
sono sazio, o Signore, della vostra gloria. Satzabor cum apparuerzt glma
tua 9 ('3).
(3)[Bosco], Il giovane provveduto, pt. I , [sa. l], art. 3, p. 13.
(39) S. ALFONSMOa,ssime eterne, l. c., p. 473; [Bosco], Il giovane provveduto, Sette
considerazioni, cons. 1, p. 32 S.
(a)S. ALFONSAOp,parecchio alla morte, consid. 14, in Opere ascetiche, 2, p. 63.
(41) Bosco, Il mese di maggio, giorno 12, p. 79.
,("1 , S. A ~ r o ~ s oAp. parecchio alla morte, consid. Il, l. c., p. 52; Bosco, Il mese
di maggio, giorno 10, p. 68.
(41)BOSCO, Il mese di maggio, giorno 28, p. 161; [ID.], Il giovane provveduto,
Sette considerazioni, cons. 7, p. 49.

3.3 Page 23

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
L'idea di Dio e quella dell'uomo indicano già molte ragioni della radicale
ripulsa di Don Bosco al peccato.
Sentito Dio come Creatore, Signore e Sovrano, il peccato di conseguenza
è avvertito come ribellione della creatura, disubbidienza del servo, offese al
Sovrano e al Padre, motivo di giusto sdegno e di giusta punizione('). Sia che
descriva il peccato dei protoparenti sulla scorta di Francesco Soave nelia Storia
sacra, sia che s'ispiri al Gerdil nel Cattolico istruito o al Collot o al Catechismo
istorico di mons. Bigex nella Maniera facile per imporaue la storia sacra, lo sche-
ma di Don Bosco è identico, perché attraverso vie diverse si rifà alia medesima
interpretazione della Scrittura e del peccato deil'umanità.
Anche le pagine ascetiche che derivano da S. Alfonso danno del peccato
il medesimo quadro: esso è il gesto blasfemo del servo che dice al Creatore
e Signore: non serviam (').
Inoltre, nei riguardi di Dio Il peccato è pazzesca ingratitudine: 4 Ma chi
è quel Dio, contro di cui te la vuoi prendere? Egli è colui, che ti ha data la vita,
te la conserva, e te la può togliere ad ogni momento. Dio è quel grande
benefattore che ti ha dato quanto hai nella vita presente. Sanità, beni tempc-
rali, memoria, lingua, occhi, orecchi, piedi, mani, tutto fu dato da Lui, e di
questi doni te ne servisti per offenderlo (7.
E <( chi sei tu, o cristiano, che ti ribelli contro al tuo Creatore? Tu sei
(') Cf. le voci offesa di Dio e peccato in Indice MB, p. 282s; 315s.
(2) S. ALFONSOM, assime eteune, Del peccato mortale, 5 1 e 2, ed. c., p. 475: «Chi
pecca dice a Dio col fatto: allontanati da me, non ti voglio ubbidire, non ti voglio servire,
. non ti voglio riconoscere per mio signore, non ti voglio tener per Dio: il mio Dio
quel piacere, queli'intetesse, quella vendetta .. DLwisti, non servian a.
[Bosco], Il giovane provuedufo, Sette considerazioni, cons. 2, p. 35: «Chi pecca
dice col fatto al Signore: va, o Dio, lontano da me, io non ti voglio più obbedire, non
ti voglio più servire, non ti vogiio riconoscere più per mio Signore: Non serviam. I1 mio
Dio quel piacere, quella vendetta, quella collera, quel discorso cattiva, quella bestemmia n.
Cf. Il mese di maggio, giorno 14, p. 94.
(3) 11 mese di maggio, giorno 14, p. 87.

3.4 Page 24

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
una miserabile creatura, che non può niente, un cieco che nulla vede, un po-
vero che possiede niente. Miser et paupeu et coecus et nurlus. E tu, miserabile
creatura, hai ardimento di irritare questo tuo Dio, alla cui presenza trema
il cielo, l'inferno e la terra? Vilis pulvisculus t a m teuribilem maiestatem audet
iuuitaue? (S. Bernardo) » (').
In altri termini, I'aveusio a Deo e la conuersio ad c~eatuuasalla luce dei
testi biblici e della tradizione ascetica a cui più da vicino Don Bosco si connette,
è tradotta in termini personali, in cui più che l'ordine oggettivo derivante dalla
natura deUe cose, è posto in rilievo la duplice volontà del Creatore e della
creatura libera.
Considerato Bell'uomo, il peccato appare uno sfregio di ciò che rendeva
l'uomo la creatura visibile più perfetta: la sua somiglianza con Dio. La conver-
sio ad creaturas ha come effetto neli'uomo il suo abbmtimento. Don Bosco
si rifà a un etimo allora abbastanza accettato: peccato viene da « pecus che vuoi
dire peccoua bestia, perché I'uomo peccando agisce contro la ragione . . . opera
da bruto. . . riducesi alla condizione di un giumento . . . si fa turpe e deforme,
feroce e brutto . . . si disonora, si degrada, si avvilisce e si rende un mostro il
più .orribile e spaventoso » (9. L'ispirazione hiblica è anche evidente. Don
Bosco cita con frequenza il testo: « H o m o c u m i n honoue esset, non intellexit,
jumentis insipieutibus compauatus est » (6). E commenta: « Vedeste mai udi-
tori che cosa fanno i giumenti allorché si muovono? Qualonque ( s i c ) cibo loro
si pari innanzi; qualunque bevanda, sia acqua chiara od impura e turhida, ed
anche sozze immondezze; purché loro possa soddisfare i loro bestiali appetiti;
corrono, mangiano, kvono, tutto addentano, tutto mordono, tutto trangugiano;
purché rechi loro qualche gusto; e serva a riempire l'ingordo ventre. Così pure
fa un uomo quando pecca. Egli ecclissa i chiari lumi della ragione; si ingolfa
nelle più sozze azioni: cammina qual bestia dietro le cose vili del mondo. . . » (7).
Sia che scriva in generale del peccato, sia che tratti di quelli contro la fede
o contro la castita, Don Bosco ha presente l'immagine del bruto e nella mente
gli risuona la frase della Scrittura: « Debbo coprirmi la faccia di confusione e
i')Il mese di maggio, giorno 14, p. 88.
cs) Predica sul peccato mortale, 17 apr. 1842, minuta autogr. AS 132 Prediche
A 4. f. 6 r.
( 6 ) Ps. 48, 20. Ne danno un'esegesi &mie a quella di DB, P. SEGNERLIa, manna
dell'anima, 14 maggio, in Opere, 7, Torino, Soc. Tipografico-Libraria 1832, p. 350-352.
(Paolo Segnai, insieme al Tornielli è uno degli autori citati da D B in margine alla predica
sulla morte, su cui ci. sopra, cp. 2, nota 3) e Luis de LA POENTEM,editazioni sui misteri,
pt. 1, med. 3, punt. 3, 1, Torino, Marietti 18921°, p. 57 s (su tale opera meditavano D B
e i Salesiani, ci. M B 13, p. 270). Su «pecco, non quasi pedem capio, ut nugantcr, sed a
Pecur D, cf. G.J. Vossms (1577-16491, Etyrnologicon linguae latinae, Lugduni 1664, p. 377;
cf. anche M. MARTINIULSex,icon philologicum, 2, Traiecti Batavorum 1711, p. 196. Quanto
a quest'ultimo dizionario ci. M B 3, p. 130. E infine ci. anche Nubert HUMBER(1T686-1778),
Pensieri sopra le più importenti verità del16 religione, cp. 19, 1, Torino, Marietti 1828,
... p. 67: « I l peccatore colla sua condotta si disonora fino a rendersi somigliante ai bruti
insensati. I-lomo, cum in honore erset n.
(') Predica sul peccato mortale, l. C,, f. 6r.
44
ripetere il ximprovero fatto da Dio per bocca di un suo profeta: l'uomo, egli dice,
essendo stato elevato al più alto onore, non lo conobbe: e si degradò ad operare
come giumento insensato e tenne una condotta simile a quella degli animali im-
mondi » (s). Mediante l'abbominevole vizio dell'impurità l'uomo « jumentis in-
sipientibus compauatus est, e t similts factus est illis » ('). Persino nei sogni il
peccato, satana e i giovani che ne sono vittima assumono talora la figura di be-
stie. Verrebbe fatto di chiedersi se nella rappresentazione del peccato negli scrit-
ti e nei sogni non ci sia una reciprocità di influsso e se già, il sogno dei nove
anni in cui i ragazzi rissosi e bestemmiatori erano figurati come capretti, cani,
gatti, orsi non abbia alla radice una qualche predica o lettura sul peccato che
rende simili alle bestie. O anche se il primo sogno non abbia contribuito a im-
primere in Don Bosco l'immagine del peccato sotto forma di una bestia immonda.
L'abhrutimento ha i suoi effetti sulle potenze dell'anima: « La memoria
ottenebrata dimentica affatto il fine beato per cui era creata, solo s'attacca alle
cose sensibili e carnali, tenendo sempre in mente i già goduti piaceri, sperando
goderne di più. La volontà diviene codarda e vigliacca; nulla più sa appetire
che cose disordinate e vili. La ragione poi che è quella facoltà che lo rende co-
tanto superiore a tutti gl'altri animali, pel peccato si accieca, s'oscura; più non
guarda il cielo sua patria, ma solo ha di mira i diletti e le cose del senso » (").
L'uomo quando pecca « ecclissa i chiari lumi della ragione; si ingolfa nelle più
sozze azioni: cammina qual bestia dietro le cose vili del mondo: ricerca tutto,
fa nulla risparmio purché riesca a sfogare le sue sensualità: aggiugne colpe a
stravizi, stravizi a misfatti, peccato a peccato; abyssus, abyssum invocat, finché
giugne a tal punto di depravazione, che nulla più desidera se non le laidaze del
peccato, nulla più vede se non le lusinghe fuueste del peccato » (l1).
Analoghe sono le conseguenze del peccato d'origine, trasmesso dai proto-
parenti a tutta l'umana progenie. I1 Catechismo diocesano cosi spiegava gli effetti
prodotti dal peccato di origine: « Ci rende inimici di Dio, schiavi del Demonio,
inclinati al male, soggetti a tutte le miserie di questa vita, ed alla morte del
corpo, e rncritevoli dell'inferno nell'altra » (l2). Don Bosco nella Manieua facile
peu imparaue la storia sacra distingue, come il Collot e il Bigex, le miserie dell'ani-
ma, che sono l'ignoranza, la concupiscenza e la esclusione dal cielo; e le miserie
del corpo, che sono la povertà, le malattie e la morte (l3). L'ignoranza dà il destro
(8) BOSCO, Mese di maggio, giorno 9, p. 63.
(9Bosco, Mese di maggio, giorno 25, p 145; ci. anche predica sulla disonestà in
M B 16, p. 598 (A S 132 Prediche B 4).
,llo,) Predica sul oeccato mortale, l. c., L. 61.
('1) Predica sul peccato mortale, l. c., f. 6r.
(12) Compendio della dottrina cristiana ad zrro della diocesi di Torino, Catech. ad
. uso de' giovani già ammessi alla Comunione.. , pt. 1, lez. 2, Torino, Paravia 1843, p. 58.
(13) Maniera facile, IV Caduta dell'uomo, Torino 1855, p. 12: 'D. Quali sono le
conseguenze di questo peccato? - R. Le conseguenze del peccato orignale sono tutte
le miserie dewanima e del corpo. - D. Quali sono l e miserie dell'anima? - R. Le
. miserie dell'anima sono l'ignoranza, la connipiscenza e la esclusione dal cielo.. .D.
[A. BIGEX],Catechismo irtorico. . , Torino, Stamperia Reale [1821], p. 8: « 11
peccato di Adamo, ed Eva ha portato alcun male ai loro discendenti? Signor sì, ha portato

3.5 Page 25

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
di esprimere la tesi generica dei tradizionalisti moderati:
« i'ignoranza
consiste
i n ciò che i'uomo non può conoscere il suo fine, n é i suoi doveri senza la rivela-
zione » (l4). La concupiscenza è definita con un termine biblico, ma che assume
un senso proprio nella teologia agostinista: « Per concupiscenza s'intende l'in-
clinazione al peccato » (l5).
1. La corruzione del cuore
I! termine cuore torna sotto la penna d i Don Bosco, allorché egli ricerca le
cause del peccato e presenta la fenomenologia che accompagna il peccato stesso
come atto e come stato. I1 suo circolo si può riassumere in tre termini: superbia
diabolica, ignoranza colpevole, impuriti abbominevole; e può concentrarsi i n
un asse bipolare: corruzione dello spirito e della carne. La sua meta terrena
è I'apostasia, cioè l'idolatria o l'ateismo (l6).
Don Bosco tratta specificamente della corruzione del cuore e dell'ignoranza
come causa deli'incredulità in un inedito che doveva entrare nella terza parte
del Cattolico istvutto (poi: Cattolico istruito). L'incredulità non è ordinariamente
all'inizio, m a alla fine di una catena di peccati:
« Pcadrel. L'esperienza ci fa conoscere, che coloro i quali si danno ai vizii
ed allo sfogo delle passioni, passano con facilità a negare la verità deila religione.
Fcigliol. Come awiene questo lacrimevole passaggio?
P. Per lo più la cosa avviene casi: quel giovane per esempio comincia a darsi
ai vizj, da un peccato passa ad un altro, ma in questo stato non è tranquillo e sentesi
una spina in cuore, che turba i suoi piaceri. Tale spina è il pensiero della religione,
la quale proibisce il male, e fa sentire i rimorsi del peccato. Come levarsi questa
tutte le miserie deli'anima, e del
la concupiscenza, e l'esclusione
dcaolrppoa. r-adiQsou.a.l.i
sono
n.
le
miserie
dell'anima?
-
L'ignoranza,
[P. COLLOT1,672-17411, Explication der premières uérités d c lri religion. Nonvelle
e d , Lyon-Paris 1827, p. 37s: « A quoi furent-ils sujets? - 11s furent sujets à l'ignorante,
à la concupiscence, aux misères de la vie, à la mort, et à la mort étunelie . . . o .
(l4) BOSCO, Maniera facile, ed. C,, p. 12 S.
(l5) BOSCO, Maniera facile, ed. c., P. 13. [COLLOTIE,xplication, ed. c., p. 38: «La
concu~iscenceest
l'inclination
au
o6ehé
A~-
»~ ..
-
(l6) Si tratta di idee comuni. L'arcivescovo di Torino, Alessandro Riccardi, così scti-
veva nella Pastorale del 25 gennaio 1869: « È ben raro infatti che voi troviate taluno di
questi increduli, che, rinunziando a Dio, non rinunzi pur anca alla virtù ed alla morale,
giacché l'incredulità o è figlia della corruzione, o ne diviene quanto pNma la madre (Torino,
Eredi Botta 1869, p. 6).
D B non pensa che esistano increduli e atei allo stato puro, nei quali c i d non rimanga
un barlume di religiosità: «La parola incredulo significa precisamente colui che nulla
crede. Ma siccome gli uomini comunque irreligiosi e di guasti costumi non giungono mai
ad essere intimamente persuasi che nulla debba credersi in fatto di religione, così diciamo,
che gli uomini fanno piuttosto gl'increduli, di quello che realmente siano. Gli increduli
intesi in questo senso sono di due sorte: quelli che parlano e vivono come se non a
fosse religione; gli altri non sparlano della religione, ma vivono come se non ci fosse r ( I l
cattolico istrutto, pt. 3 tratt. 1, ms. autogr., AS 133).
spina? abbandonare quegli illeciti piaceri? non si vuole. Dunque si comincia ad abor-
rire quella religione, che tali vizj proibisce, quindi si fa a dubitare della fede, a non
frequentare più i Sacramenti, indi si comincia una vita quasi non ci fosse né Para-
diso, n6 Inferno. I n simil guisa quel giovane, quell'uomo, quella donna, ch'erano
ferventissimi nella propria religione, a poco a poco giungono a dubitare di tutto e
negare qualsivoglia verità della Fede, e diventan miscredeuti D ('").
I1 darsi ai vizi e ai piaceri nel Mese di maggio è darsi all'impurità. I! quadro
che ne dà Don Bosco segue io stesso diagramma dell'inedito citato:
« N o i vediamo i cristiani ailegri, pieni di fervore nelle pratiche religiose, assi-
dui ai Sacramenti: ma appena la disonesti si fa strada nel loro cuore, cominciano al
divenir tiepidi, diminuiscono la frequenza de' sacramenti, si annoiano della parola di
Dio, cominciano a dubitare delle verità della fede, e cadendo di abisso in abisso fi-
niscono col divenire increduli e talora veri apostati. Luxuriari idem est ac apostatare
a Deo » ('9).
La crisi degli eresiarchi quasi sempre è presentata secondo questi schemi.
Lutero, ad esempio, « fin d a fanciullo manifestò u n carattere, un'indole per-
versa, che molti scrittori della sua vita asseriscono che era figlio del demonio
medesimo » (l9). « Aveva ingegno ardito, animo intraprendente, ma superbo, am-
bizioso, pronto alle ribellioni, alle calunnie, dato ad ogni vizio, e specialmente
ali'impudicizia » (l0). « Dopoché apostatò dali'ordine professato e dalla Cattolica
. (l7) Bosco, Il cattolico irtrutto, pt. 3, tratt. 3, che dipende dai Cenni s ~ l k p. rincipali
verità della cattolica religione.. , Alba 1849, p. 109 s: « La cagione dell'incredulità: La
corruzione del cuore. - L'esperienza ci fa conoscere che coloro i quali si danno a' vizii,
ed allo sfogo delle passioni, passano con facilità a negare la verità della religione. Se mal
non m'appongo ia cosa avviene così: quel giovane, per esempio, comincia a gustare il piacere
del peccato, e bel bello si consacra allo sfogo delle passioni. In questo stato di godimento
non è tranquillo, e sentesi una spina in cuore che tutba i suoi piaceri. (Tale spina è il
pensiero della religione la quale proibisce il peccato e lo sfogo delle passioni). Rincre-
scendogli adunque di ritornar indietro e rinunziare a' gustati piaceri, comincia ad abborrire
quella religione che non gli mio1 concedere quanto brama; in seguito si fa a dubitare su
di essa: e finalmente arriva a negare che vi sia un inferno, un paradiso, e nega qualsivoglia
verità che venga insegnata dalla Religione. Ecco quale sia la cagione per cui molti diventano
increduli S.
(18) BOSCO, Il mere di maggio, giorno 25, p. 147. Insigne fautore di questo modo di
vedere è il padre Segneri: la disonestà, edi predica, è il più obbrobrioso di tutti i vizi,
accieca più
SEGNERI,l
d'ogni altro l'intendimento,
cristiano inrtruito nella sua
elepgigùe.i.n.d,urTaorilincou, oMrea, riaertrtiiva18a55l,evpa.r
la fede cf.
982 (indice
alla voce Disonertà); le medesime sono espresse neil'lncredulo senza scura.
(19) Bosco, Il cattolico irtrz~ito,pt. 2, tratt. 20, p. 106, che sembra dipendete da
S. ALEONSOSt,oria delle eresie, cp. 11, art. 1, § 1, n. 3, in Opere dommatiche, Torino,
Marietti 1848, p. 172 s: u Scrive il cardinal Gotti, essersi detto che il Demonio, essendo
stato ricettato in sua casa in abito di rigattiere, ebbe commercio colla madre, e così ella
avesse conceputo questo parto maledetto n.
(W)Bosco, Il cattolico istruito, l. c., p. 106; S. ALFVNSOSt,oria delle eresie, cp. 11,
art. 1, p. 173 s: « Lutero vivace di spirito.. . pieno di vizi, superbo, ambizioso, petulante,
propenso alle sedizioni, alle calunnie, ed anche alle impudicizie ».

3.6 Page 26

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Don BoRsecloignieollnaes,tocraialpdeeslltaòr,elcigoiomsievciatdtoilsicsai,. Vi osl uIIo. Si tevlolati solenni; fece partecipe all'enorme
suo sacrilegio un'infelice monaca, abbandonavasi all'ubriachezza, e dava soven-
ti volte in eccessi di collera furiosa, sicché pareva un indemoniato: autorizzò
lo spoglio, il derubamento dei beni di Chiesa; più di centomila persone trucidate;
sette città smantellate; un'infinità di chiese, di conventi, di castelli derubati,
demoliti o incendiati. Tale fu l'opera della Riforma, ossia la rivolta di LU-
tero . . . P (...
Calvino, a sua volta, nato da una « donna di cattiva fama », « all'età +i
quattordici anni, corruppe i suoi costumi, e di buon'ora menò una vita dissolu-
ta »; fu processato e condannato « per un delitto abbominevole » Ebbe per
maestro l'astuto luterano Volmaro, il quale « poté facilmente insinuare i suoi
errori nel cuore guasto del discepolo D (=). COSICalvino divenne eresiarca, apo-
stolo d'iniquità, « diedesi in braccio ad ogni sorta di vizi », fu « sordido, fiorda-
lizzato, concubinario, convinto di furto, sodomita, ipocondriaco, crudele » (").
Enrico VIII, responsabile dello scisma d'Inghilterra, « si lasciò accecare
dal vizio della disonestà: e il Signore ci fa tremendamente sentite che il darsi a
questo vizio è lo stesso che abbandonare la fede: Luxuriari'idem est ac aposta-
tare a Deo » (").
Non è dunque la ragione illuminata che conduce al peccato o all'irreli-
gione e all'incredulità. Don Bosco si dimostra in netta reazione all'illnminismo
e un fautore dei « lumi della fede e della religione » in termini che risultano
ereditati dall'apologetica del Settecento. Le paginette del Cristiano istrutto che
abbiamo evocato derivano dall'anonimo: Cenni sulla cattolica religione con appen-
dice sull'incredulità moderna. Questo a sua volta, riassume da fonti fine Sette-
cento inizio Ottocento: Valsecchi, Tassoni, Frayssinous, oltre che Bossuet (26).
I ritratti sinistri di Lutero, Calvino, Enrico VIII sono ricalcati special-
mente dalla Storia delle eresie di S. Alfonso. In loro la polemica plurisecolare
ha fatto scomparire istanze religiose o angustiata ricerca della verità e della
salvezza eterna ("). rimasto solo il calco della loro ribellione, ricomposto
su quello della storia biblica. Gli eresiarchi appaiono « al pari agitati da quello
spirito di superbia, che persuase agli angeli già ribelli, voler piuttosto precipi-
tarsi in un abisso di fuoco, che piegarsi ubbidienti al loro Fattore »; la dottrina
,dei maomettani, dei greci ortodossi e dei protestanti appare « diabolica ne'
("1 BOSCO, Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 20, p. 112.
(a)BOSCO, Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 24, p. 130.
BOSCO,Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 24, p. 131.
(24) Bosco, Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 24, p. 133S.
(=) BOSCO, i l cattolico istruito, pt. 2, tratt. 26, p. 143.
(26) Cenni sulla cattolica religione, p. 6.
(n)Qualcosa di andogo è awenuto neiia letteratura protestante anti-cattolica, che
presenta il Cattolicesimo, altrettanto sommariamente, come sentina di lusso e lussuria, ipo-
crisia religiosa, superstizione, ciudeità verso gli Ebrei, gli Ugonotti, i Valdesi, ecc. -
Saggi di questa
l e régime des
letteratura in
rois avec un
Piemonte
precis sur
elreasnoVaadudeosiesm..p.io,
I Valdesi ossiano i cristiani-cattolici secondo la Chiesa
MARANDTAab,leau du Piémont sous
pTriumrhit,ivla'a..n..,XTIo1rh1o803118;49A. . BERT,
suoi autori, animalesca nei suoi seguaci, terrena nei suoi patrocinatori » (").
reresia, l'incredulità, l'ateismo appaiono come necessariamente connessi al-
l'immoralità, cioè a una qualche forma di corruzione del cuore: superbia
o lussuria, e, facilmente, ad ambedue.
« I1 Protestantesimo - scrive Don Bosco - è corruzione del Cattolice-
simo e per la sua natura conduce al vizio e alla turpitudine » « I1 vizio
conduce al Protestantesimo; il buon costume, la morigeratezza conduce al Cat-
tolicesimo » (9.Possono esserci eretici onesti e probi, per la ragione che nel-
l'eresia si conservano ancora « molte massime del vangelo » o anche perché i
protestanti « vivendo in paesi cattolici, trattando con cattolici, leggendo o sen-
tendo leggere libri cattolici, sono in una certa maniera costretti a conservarne
le massime, e seguirne gli esempi » (3L). Ma chi è edotto su quel che è essenzial-
mente il Cattolicesimo, se rimane nell'eresia è corrotto. Don Bosco stenta ad
ammettere buona fede nei pastori protestanti e nei cattolici apostati. Questi
ultimi per lui sono infelici che hanno ceduto alle passioni. Luigi De Sanctis:,
ad esempio, uno dei primi maestri della facoltà teologica valdese « era un
prete, che si fece protestante a fine di seguire vita scandalosa » ('9).
Don Bosco bada specialmente ai suoi giovani. Non solo il peccato, ma
soprattutto il persistere in esso lo rattrista. Egli pensa all'anima e al suo de-
stino eterno. I1 simbolo del cuore gli suggerisce termini bibiici che pongono in
evidenza l'avevsio a Deo divenuta ribellione prolungata. Egli parla di cuore
inespugnabile e cuori induriti chi resistono alla grazia divina, cuori induriti,
che provocano su se stessi l'ira del Signore. A tal proposito è interessante la
buona notte data ai giovani il 12 gennaio 1862, in cui assistiamo a un alter-
narsi di espressioni enucleate attorno all'idea di anima o di cuore:
«Vi sono in questa casa certi cuori ostinati, che resistono alla grazia di Dio. Essi
hanno provocata su di loro I'ira del Signore, che ci minacciava di qualche singolare
castigo. Maria SS., che si è sempre dimostrata protettrice di questa casa, con un
segno sensibile tenne indietro questi castighi, in quel modo che noi abbiamo veduto;
limitandosi ad avvertire pietosamente quei tali che si fanno vedere di cuore ine-
spugnabile.
Io vi assicuro che quando penso suiio stato di taluni io piango di dolore. Dopo
tanti favori del cielo, vedere certuni così indifierenti, trascurati deli'anima propria!
Se costoro non si risolvono a questo in tempo, di romperla una volta col peccato e
di darsi al Signore, forse non avranno mai più in tutta la loro vita una grazia tale
di convertirsi.. . Poco tempo fa vi fu una minutissima visita al vostro cuore e nes-
(.28.) P, SEGNERLI'i,ncredulo rema scrrso, pt. 2, cp. 13, in Opere, 10, Torino 1832,
p. 293.
( x ) BOSCO, I1 cattolico istruito, pt. 2, tratt. 40, p. 310.
(a)BOSCO, Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 41, p. 315.
(31) Bosco, Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 40, p. 310.
(32) Bosco, Il cattolico nel secolo, pt. 3, tratt. 2, p. 315,

3.7 Page 27

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
suuo se ne accorse. Ma per i buoni deve essere di grande conforto, e pegno di s i a -
rezza per l'anima loro. Agli spensierati invece deve porgere occasione di serie ri-
flessioni » (33).
È difficile cogliere il significato preciso di queste espressioni. Cuore e
anima sono entrambi posti in rapporto a Dio e alla sua divina grazia; entrambi,
come di consueto, sono considerati come appartenenti all'uomo e sotto il suo
controllo. Sembrerebbe che sia supposta una bipolarità del libero volere: una
nell'anima e nel cuore, l'altra nell'io responsabile. A questo soprattutto è ri-
volto l'appello, perché, come supremo responsabile, intervenga a smantellare
quanto rende il cuore inespugnabile e l'anima in stato di non accogliere le
grazie del Signore.
2. Le creature dopo ii peccato
Anche le cose, che prima, contemplate come uscite dalle mani di Dio
apparivano meravigliose, poste in rapporto all'uomo corrotto dal peccato, acqui-
stano una luce sinistra. In loro si riflette la malia del peccato e a loro volta
emanano un'attrattiva maliarda. All'uomo promettono chissà quali piaceri; ma
la felicità che prospettano è un inganno. Anche Don Bosco, scrittore d'ascetica,
usa trasferire nelle cose le tendenze sfrenate delle passioni umane. I beni della
terra spesso finiscono per essere presentati come il mondo ingannatore: « Noi
siamo in questo mondo come in un mar burrascoso, in un esilio, in una valle
di lagrime » (%). I l mondo è un mare in cui si rischia di far naufragio: « Sol-
chiamo un m a infido - di un mondo traditore - al sospirato lido - chi
mai ci condurrà? » ( 9 .
« Mondo, ti ho conosciuto » dicono che esclamasse Alfonso de' Liguori,
dopo aver provato le amarezze degli intrighi umani come giovane avvocato a
Napoli (l6).« Mondo più per me non sei, - Io per te non sono più »,cantava
lo stesso S. Alfonso ("). I piaceri del mondo, scrive Don Bosco, sono un lac-
cio in mano al « nemico dell'uman genere » (l8). Lavorare per trar profitto
(33) MB 7 , p. 38 S. che proviene dalla Cronaca di Don Bonetti.
(3)Bosco, Il mese di maggio, giorno 30, p. 169.
(3s) Lode popolare inserita nel Giovane provueduto, Torino 1878, p. 449.
(") O. GREGORLIO'u,ltima causa difesa di S Alfonso in Asprenas 7 (1960), p. 119.
(n)S. ALPONSOCa, nzoncine spirituali in Opere ascetiche, 1, Torino, Marietti 1845,
p. 527.
(38) Introduzione alle Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales,
Entrata in religione, Torino 1875, p. VI s: « I1 nemico dell'uman genere esercita la sua
malignità contro gli uomini in tre modi cioè: coi piaceri o soddisfazioni terrene, colle sostanze
temporali e speciahente mile ricchezze, e coll'ahuso della libertà ».
Sui lacci «che suole il demonio tendere all'anima » ci. [Bosco], Il giovane prou.
ueduto, pt. 1 [sa. 21, art. 6. Ahne astuzie che usa il demonio per ingannare la gioventu,
ed. C , p. 28 s; e sui lacci che intrappolano e fanno cadere, cf. sogno sull'infemo MB 9,
p. 167-181.
dal danaro, per « acquistare un campo, una vigna, un prato, una cascina » o
per conseguire onori è stoltezza e inganno (").
nz
Anche Don Bosco accoglie nel Giovane prouueduto la ca oncina alfon-
siana: « Mondo più per me non sei. . . » ("), dimostrando, anche per questo
verso, la continuità d'ispirazione con la corrente ascetica di cui S. Alfonso è
rappresentante.
3. Peccato e mondo ne1 dinamismo ascetico d i Don Bosco
È ancora S. Alfonso che ci aiuta a porre in luce il ruolo che hanno il pec-
cato e il mondo nelle pagine ascetiche di Don Bosco. Infatti quanto Don Bo-
sco dice sul fine ultimo, sul peccato, sulla morte e sugli altri novissimi, sulla
preziosità del tempo e la misericordia di Dio sia sul Giovane provveduto, sia
anche nel libretto sul Giubileo o nel Mese di ma-a-gio o in conferenze ai Saiesia-
ni, è derivato in gran parte da pagine alfonsiane.
Esaminiamo le Massime eterne e le considerazioni corrispondenti del Gzo-
vane prouueduto. S. Alfonso si rivolge ai lazzaroni di Napoli o alla gente rozza
e semplice delle campagne dove predica le sacre missioni. I1 discorso della
salvezza eterna è subito proposto senza circonlocuzioni: « Considera, anima mia,
come quest'essere che tu hai te l'ha dato Dio, creandoti a sua immagine. . . e
ti ha creato acciò l'amassi e servissi in questa vita per poi goderlo in paradi-
so » ("l). S. Alfonso non prosegue suscitando sentimenti di gioia nell'apprendere
che si è destinati al Cielo, ma subito suggerisce esclamazioni di stupore: « O
me infelice che a tutt'altro ho pensato, fuorché al mio fine! ». Dopo l'enun-
ziazione del fine non fa seguito nemmeno un esame di coscienza. Questo è sup-
posto: rapido e causa di sgomento, perché ci si è trovati in colpa.
Lo stesso meccanismo regge la considerazione sul peccato: enunziazione
del fine, senso di colpa: « Considera, come tu creato da Dio per amarlo, con
ingratitudine d'inferno te gli sei rihellato » ( 9 . Portato a collocarsi davanti al
Giudice divino il lettore è subito indotto a sentirsi in peccato mortale: «Con-
sidera, come appena l'anima usciri dal corpo, sarà condotta innanzi al tribunale
di Dio per essere giudicata. Il giudice è un Dio onnipotente da te maltrattato,
adirato al sommo » ("). S. Alfonso, insomma, chiarissimamente scrive un libro
da porre in mano al peccatore. Altri potevano invitare e sentire la morte come
il momento che finalmente libera dai lacci del mondo, il ritorno in patria, il
ricongiungimento con il proprio mistico Capo. S. Alfonso invece ha di mira la
conversione. Egli insinua il senso deiia colpa, per fare scattare il gemito del
peccatore penitente e la risoluzione di tornare a Dio definitivamente. Dopo aver
(9)Il mese di maggio, giorno 12, p. 86.
(W) Il giovane provueduto, Torino 1874, p. 424 ed edizioni successive.
(4)S. ALFONSMOa, ssime eterne, Del fine deli'uomo, ed. c., p. 473.
(42) S. ALEONSMOa,ssime eterne, Del peccato mortale, § l e 2, ed. c., p. 475
("1 S. ANFONSMOa,ssime eterne, Del giudizio finale, § 1, ed. C,, p. 477.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
luogo. « Sorvegliate continuamente i giovani -
ammonisce
Don
Bosco -
in
qualunque luogo si trovino mettendoli quasi nell'impossibilità di far male;
e in modo più attento alla sera dopo la cena, e così prevenire anche il menomo
disordine D("). « I n ogni crocchio si introduca destramente un chierico. Si
tenga bene a mente che facendosi in modo diverso, i cattivi discorsi guaste-
P). ranno i cuori » Sono affermazioni che legittimerebbero alcune ipotesi: o
tra i giovani di Valdocco c'era motivo di temere; oppure il timore di Don Bosco
proveniva da persuasioni di principio; oppure, infine, persuasioni teologiche e
pedagogiche trovavano una conferma e una ragiou d'essere nei dati di fatto.
L'insistenza di Don Bosco ricorda quella analoga di S. Alfonso nei riguardi
dei seminaristi. '
« I1 prefetto - egli vuole - sia egli il primo a levarsi e l'ultimo ad andare a
letto. Sia pronto ad accompagnare i seminaristi quando vanno alla cappella o aila
scuola o alla mensa.. . Per quel che poi spetta a' seminaristi nel riposo della notte
stia accorto a serrare il comune colla chiave, col porsela sotto il cuscino; ed anche a
tenere sempre il lume acceso, con provvedere che lo stoppino sia ben accomodato e
vi sia olio sufficiente alla lampada, e si tenga il fucile [ = l'acciarinol vicino, se mai
quella si smorzasse. . . E quando i seminaristi la mattina vanno all'orazione, stia
accorto a vedere se ne resta alcuno nel camerino, e se resta, attenda a non lasciarlo
restar solo, almeno ne avvisi il prefetto de' corridori, il che è meglio. Se mai alcun semi-
narista è chiamato alla porta, lo faccia accompagnare dal prefetto de' corridori, non
permettendo che vada mai solo. . . Nelle ricreazioni che si faranno cosi nella came-
rata, come in campagna nelle uscite, procuri che tutti stiano sotto i suoi occhi, e
vicini. . . Tenga ancor egli due o almeno uno de' seminaristi per esploratore, che fedel-
mente ed in segreto l'avvisi di qualche difetto di cui non si è potuto accorgere. . . D (q).
La persuasione che i giovani, lasciati a se stessi sicuramente commettano il
male, rovinino sé e i compagni, domina chiarissimamente, sia pure in situazioni
e con modalità diverse, S. Alfonso, Don Bosco e molti altri educatori cattolici
dell'età moderna sui quali incide fortemente il mistero cristiano della natura
dehilitata dal peccato originale e iatalmente incline al male. Non è soltanto
la scuola pedagogica di Port-Royal a dimostrarsi preoccupata dell'assistenza dei
giovani, nel timore che pecchino. Non sono soltanto i discepoli di Giovanni
Battista de la Salle (le cui dipendenze dalla pedagogia di Port-Royal sono docu.
mentate), né soltanto coloro che si rifanno a Laucelot al Cofitel o al Rollin:
«Non trovate dura - scriveva il gesuita Jean Croiset (1666-1738) in un regola-
mento per giovani convittori - se un gran numero di prefetti e di altre persone vi
osservino e non vi perdano mai di vista; né stupitevi se non uscite mai senza avere
un valletto che non vi lasci un momento e che è obbligato di rendere conto esatto
MB 14,^p.840.
("1 S. ALFONSOR,egolamento per i seminari, § 3, in Opere ascetiche, 3, Torino
1847, p. 883. Cf. O. GREMRIOI,l «Regolamento per i seminari, di sant'Alfonro in
Asprenas 10 (19631, p. 408-419.
della vostra condotta al Padre Principale responsabile della vostra condotta; non
trovate duro se non fate un passo senza essere osservati. Se nelle camere, h sala
di studio, in chiesa, nel gioco, a passeggio e in tutte le ricreazioni ciascuno di voi è
sotto gli occhi di parecchi prefetti e se giorno e notte si veglia sulla vostra condotta,
ciò è dovuto al fatto che una bella e buona educazione non si può dare se non a tal
prezzo. Questa eterna vigilanza è opprimente, ma è necessaria: non potrebbero ha-
stare meno cure, meno sorveglianti, meno applicazioni; non c'è che un grande zelo
per la vostra salute, non c'è che un motivo soprannaturale che possa applicare cosi
servilmente tante persone di merito; alle loro cure, alla loro pietà, alla loro vigilanza,
al loro zelo infaticabile dovete attribuire le benedizioni, che Dio spande su di voi »
L'assistenza protettiva poteva diventare opprimente. Don Bosco lo rilevò
in u n discorsetto serale ai giovani il 15 aprile 1877; m a non per questo rece-
dette:
«Alcuni poi, pochi, pochissimi, si lamentano continuamente, e spargono il mal-
contento fra i compagni, dicendo: - Non possiamo leggere un libro di nostro gusto,
senza aver subito chi ci interrompa quella lettura; sempre gli occhi dei superiori ad-
dosso a noi in tutti i luoghi! E altre cose simili. Spensierati che sono! I vostri assistenti
sarebbero crudeli se non facessero così: questo è il loro dovere, questo richiede il
vostro bene. Gli assistenti avrebbero ben altro da fare, se si contentassero del loro
personale interesse; potrebbero stare tranquilli, se l'assistenza non fosse un loro pre-
ciso dovere. Se ciò fanno è per impedire il male e ciò ridonda a vostro bene. Gli
assistenti dovranno inoltre rendere conto a Dio, se avran trascurato di assistere i loro
giovani e se questi per loro negligenza si fossero lasciati andare a qualche colpa.
Questo vada per chi ne ha di bisogno »
Una massima, corrente nella letteratura per sacerdoti, era che un prete
non va mai solo in paradiso o all'inferno. È in linea con i sentimenti di Don
Bosco quanto S. Alfonso scrive nel suo Regolamento per i seminavj: « Quanti
prelati si danneranno e saran cagione della dannazione di tante loro pecorelle
per questa causa, cioè per la poca attenzione che hanno al buon regolamento
dei loro seminarj! » ("0).
I novissimi e il problema della salvezza eterna gettano la loro luce su
ogni manifestazione della vita cristiana. I1 senso del peccato e delle sue conse-
guenze non mancano di modulare la teologia e la vita di Don Bosco secondo
una dinamica che ha alla radice le dottrine sul peccato originale, sulla libertà
e sulla grazia quali si sono sviluppate nel cattolicesimo già all'epoca della ri-
forma protestante sotto l'influsso degli scritti antipelagiani di S. Agostino.
Molti elementi, l'abbiamo sottolineato, non sono esclusivi di portorealisti o di
gesuiti, ma tipici di una mentalità comune che si manifesta anche al di degli
antagonismi di fazioni o di istituzioni. I n più in Don Bosco c'è l'esperienza di
(9)J. CROISETR,eglements porrr messicurs les pensionnaires des Pères Jésuites .. . ,
pt. 1, § 28, Lyon 1749, p. 64.
(59) M B 13, p. 421.
( M ) S. ALFONSOR,egolamento per i seminari, Introduz., I.c., p. 878.

3.10 Page 30

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
tempi che - come vedremo - apparivano « tristissimi » per I'irrefrenabile
fenomeno dell'apostasia e scristianizzazione della società europea.
Si rischia però di favorire una distorsione ottica, se non si richiamano,
a questo punto, alcuni elementi. E anzitutto, l'ambiente in cui si mossero
Don Bosco, i suoi collaboratori e i giovani. Non bisogna dimenticare I'evolu-
zione che snbi Valdocco. Prima fu centro di raduno festivo per studenti e gio-
vani apprendisti torinesi o stabilitisi nella capitale, provenienti da cittadine di
provincia o dalla campagna. Ogni domenica era una sagra. I giovani invadevano
quasi ogni stanza della Casa Pinardi acquistata via via da Don Bosco. Con lui
in testa si spostavano volentieri per i prati e talora anche in collina. L'oratorio
festivo continua a iavvivare la Casa, che a poco a poco, trasformata in pensio-
nato e orfanotrofio, ospita sempre in maggior numero studenti, chierici e ap-
prendisti. Sorgono scuole interne e laboratori; ma per i giovani, continua
a esserci libertà di movimenti, sotto l'assistenza paterna di Don Bosco e ma-
terna di mamma Margherita, coadiuvati da giovani e chierici più maturi,
come Rua e Buzzetti. Poi il pensionato si trasforma in collegio con due se-
zioni autonome di giovani studenti e artigiani. Ormai la popolazione in-
terna è quasi esclusivamente costituita da adolescenti i cui maestri e assistenti
sono Salesiani. I gruppi avevano grandi ambienti di raccolta: le sale di studio,
i cameroni comuni, la chiesa. I ragazzi tuttavia facilmente ottenevano di
spostarsi da un luogo all'altro anche da soli. I tempi di ricreazione trasforma-
vano la casa in un gran formicaio. La massa era in cortile, ma i ragazzi passa-
vano più o meno svelti e chiacchierini per i corridoi e raggiungevano la camera
di qualche superiore. I visitatori che immaginavano l'oratorio un collegio
come gli altri, si facevano l'impressione che invece era un gran caos, un povero
istituto educativo senza disciplina.
Quella situazione, che durò ancora dopo la morte di Don Bosco, era frutto di
un'esperienza educativa singolare. Nonostante suggestioni che potevano pro-
venire da tradizionali collegi, l'Oratorio cercò di mantenere a suo modo alcune
manifestazioni che provenivano dalla primordiale esperienza casalinga.
Le condizioni di libertà lasciate a tanti giovani, sia pure gravitanti nel-
l'assembramento oratoriano e collegiale, non potevano non esigere quella in-
dispensabile vigilanza suggerita dalla « naturale mobilità giovanile » (6'). Ma
al di là deUe pure preoccupazioni di ordine e di disciplina gli orizzonti di Don
Bosco sono dominati da quelle etiche e religiose. Egli vuole che i ragazzi fac-
ciano tutto quel che vogliono, ma non commettano peccati. Fa sua la massima
di S. Filippo Neri: « State allegramente: non voglio scmpoli, né malinconie:
mi basta che non facciate peccati » ("), che poi egli evoca nel S i s t e m a p v e v e n t t v o
a sostegno del principio di libertà: « Si dia ampia facoltà di saltare, correre,
schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino,
(6') 11 sistema preventivo nella educazione della giouentù, § 1, n. 2, in Inaugurazione
del patronato di S. Pietro in Nizxa a Mare, Torino 1877, p. 25.
(0)Porla teco cristiano, Torino 1855, p. 34,
le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla
moralità ed alla sanità. . . Fate tutto quello che volete, diceva il grande amico
della gioventù S. Filippo Neri, a me basta che non facciate peccati » (").
Per quanto poggiata suil'assistenza, l'opera educativa di Don Bosco ma-
nifesta come fulcro assai più valido l'appello al senso morale dei giovani. Ci
si accorge che la vigilanza sia all'oratorio che nei collegi ha la sua ragion d'es-
sere, ma è, tutto sommato, sussidiaria e complementare. Fuori delì'Oratorio
e del collegio la vigilanza non c'è e non può esserci. Ciò tuttavia non diminuisce
l'efficacia del sistema educativo che è basato sul senso morale e sul legame
personale tra educatore ed educando. Tale rapporto per Don Bosco è assolu-
tamente necessario. Egli non concepisce un'autoeducazione: «Pieghecete si-
curamente al male se non vi lasciate piegare da chi ha cura d'indirizzarvi »iM).
E la ragione ultima, in lui sacerdote educatore, su un piano teologico, non può
non essere che la fede nel peccato originale e nelle sile conseguenze. Ritorne-
remo su queste considerazioni a proposito del sistema educativo di Don Bosco.
(a)11 sistema preuentivo, § 2, li. 3, l. G., p. 28
(M) Cf. sopra, nota 54.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Quanto abbiamo esposto finora ci ba condotti a illuminare sdiciente-
mente un fatto importante nella spiritualità di Don Bosco: la reciprocità tra
teologia e vita. L'idea di Dio, quella dell'uomo e della colpa si situano in
un'esperienza religiosa e si riflettono nella costruzione di pagine ascetiche e
nella prassi educativa. Tale circolarità si riscontra anche nel senso che Don
Bosco ha della storia in rapporto al suo comportamento interiore e alla sua atti-
vità educativa.
Benedetto Croce e altri, trovarono tendenziosa la Storia d'ltalia di Don
Bosco (l). Lo stesso verdetto avrebbero potuto esprimere per qualsiasi altra
sua pagina storica. La qualifica è certamente infelice e polemica. Essa C', tutto
sommato, la deformazione di una intuizione giusta: per un momento Croce
ha dimenticato che Don Bosco è uno scrittore dell'epoca risorgimentale e che
per lui vale quanto comunemente si afferma su molte pagine storiche di quel
tempo. Anche Don Bosco, uomo dell'Ottocento risorgimentale, della storia non
solo si giova, ma intende giovarsi come uno strumento (come uu'arma, se si
vuole) per educare e proclamare la fede che vive. I1 presentare episodi, ad
esempio la resistenza dei Comuni medievali a Federigo imperatore, come mani-
festazioni di un sentimento nazionale nativo o come fase verso la compagine
unitaria dell'ltalia era per molta parte la trasposizione di propri sentimenti, era
una ricostruzione di fatti evocati e interpretati da una passione avvampante (')
In Cola di Rienzo e nei Vespri siciliani si vedevano insopprimibili tendenze d a
(l) L'affrettata (e poco persuasiva) stroncatura di Benedetto Croce è su La Critica
34 (1936) p. 157, contro cui reagì La Ciu. Cattolica 87 (1936) 2, p. 138-148 (ried. in Matio
BARBERAS,an Giovanni Bosco educatore, Torino 1942, p. 121-141). Esprimono ancora
valutazioni negative suiia Storia d'Italia di D B : Ernesto CODIGNOLiAn Pedagogisti ed
educatori, Milano 1939, ci. 87 e Luigi BULFERETTIL,a Restaurazione in Questioni d i storia
del Risorgimento e dell'unità d'ltalia, Milano 1951, p. 179. Per il nostro punto di vista 6.
il vol. 1, p. 229-231.
!
(2) Con la resistenza dei comuni al « tedesca imperatore » nella storiografia risorgi.
l
mentale inizia Carlo M~RANDII, partiti politici nella storia d'ltalia, Firenze 1963, p. 1.

4.2 Page 32

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
libertà o alhnità, espressioni genuine di un popolo, disegni intangibili della
Provvidenza.
I1 clima risorgimentale dà una nuova ragiou d'essere alla storiografia reli-
giosa, a cui più direttamente si collega Don Bosco. Nei fatti, al di di aspi-
razioni nazionali, viene visto il realizzarsi di un disegno divino per la libera-
(7. zione dal peccato e la salvezza di tutti gli uomini I1 tempo risorgimentale
infatti dà un apporto di materia, perché nel disegno storiografico vengono im-
messi anche i fatti più recenti; un apporto interpretativo, perché vengono
posti in luce nuovi nessi provvidenziali tra i fatti; e una conferma di finalità,
perché l'intento educativo etico-religioso (già scopo della storiografia che si
rifaceva a Bossuet' e al suo tempo e più in alto ancora, a S. Agostino) trovava
una conferma e un incitamento nel medesimo indirizzo assunto dalla storio-
grafia risorgimentale.
Se c'è una novità nella storiografia di Don Bosco e di molti del suo me-
desimo indirizzo, rispetto al Discorso sulla storia universale di Bossuet, questa
è da ricercare nel soggetto a cui l'opera è indirizzata, oltre che nella nuova
temperie storica. Don Bosco non scrive ad USO di un giovane principe, e nem-
meno per giovani collegiali delle classi più alte, ma ad uso di « ogni stato di
persone D, senza sfoggio di concetti o di frasi che tolgano la accessibilità del lin-
guaggio semplice e popolare: ad uso di persone dalla cultura minima, con idee
e frasi, scelte da chi si è fatto uno studio di rendersi conto di ciò che l'umile
popolo sia in grado di capire (9.E se in qualche misura è novità, questa però si
manifesta un riflesso delle preoccupazioni di educazione popolare che a Torino
Don Bosco condivideva con Don Cafasso e con il teologo Borel, col Baricco, col
Rayneri, con l'Aperti, con quanti sostenevano le Letture d i famiglia del Valerio,
Merita qui di essere ricordata un'operetta del sacerdote Angelo VOLENTIERI,
La religione studiata nella storia. Opera compilata per ammaestramento della giouenttì, To-
rino, Paravia 1849 3. Attorno al 1850-60 era adottata a Torino e in Piemonte nelle classi
di umaniti e retorica.
Dalle fatture Paravia (AS 112 Fatture) si ricava che anche aLi'Oratorio se ne facevano
acquisti. Sul nesso tra storiografia recente con quella di Bossuet l'autore ha affermazioni,
ancor oggi in parte valide e che allora erano orientative per i giovani studiosi: I1 pen-
siero di svolgere il principio provvidenziale nella storia non è nuovo, è quello che domina
nel famoso discorso sulla Storia universale di Monsig. Bossuet [e in nota: NeU'opera de
civitate Dei, anche prima di esso S. Agostino svolge il principio providenziale nella
storia]. Ai nostri giorni è ancora più fortemente sentita l'utilità morale e religiosa di
queste investigazioni, e si veggono apparire opere grandiose di tale argomento, tutte però
dietro le traccie deli'immortale Vescovo di Meaux. L'Italia vede ora escire contm-
poraneamente due di queste opere di concetto colossale: la Storia universale di Cesare
Cantù e le Meditazioni storiche di Cesare Balbo; in Germania F. Schlegel scrisse in questo
senso la Filosofia della storia, ed in Francia l'Ah. Rohrbacher ci fa dono deil'Histoire unb
uerselle de l'Eglise Catholique depuis le commencemente du monde jusquc à nos fours »
(P. 14).
(9 Sono asseriioni di D B nella prefazione alla Storia sacra, Torino 1847, p. 7. D B
si rifà a educatori interessati dell'educazione popolare: il Fecia e il Gareili. La cura ad
adottare la lingua viva ha giovato a mantenere una certa freschezza nella pagina d i D B
Esse, ad esempio, hanno meno arcaismi di quelle del Pellico.
60
la Biblioteca popolare del Pomha, le scuole serali per artigiani, con quanti ideal-
mente percepivano la dignità del popolo o già avvertivano il ruolo che avrebbe
potuto assumere nel nuovo ordinamento politico e sociale d'Italia.
1. Lineamenti generali della storia deiia religione secondo Don Bosco
Anteriori alla Storia d'Italia, quella ecclesiastica e quella sacra, insieme
alla storia della religione tracciata nel Cattolico istruito, annunziano alcuni ca-
pisaldi interpretativi che non muteranno nemmeno nella costruzione di una
storia d'Italia dai suoi primi abitatori fino a metà Ottocento.
Sono presentate anzitutto le convinzioni creazioniste, quelle dell'unicità
- di origine del genere umano, del peccato commesso dai progenitori e trasmes-
so a tutta la discendenza. Presto - anche nelle pagine di Don Bosco
scompaiono dal quadro storico masse umane e popoli che non hanno rapporti
con gli Ebrei chiamati ad essere il popolo di Dio. Punti chiave sono le pro-
messe di un redentore per tutta l'umanità o i fatti strepitosi che pongono
in luce gli interventi di Dio per mantenere nella sua purezza quella religione
che egli stesso aveva rivelata come unica accetta. La massa umana esterna
al popolo di Dio è intravista appena nel suo percorso aherrante sui sentieri
dell'idolatria e dell'immoralità. Riaffiora raramente: ora come popolo cana-
neo o filisteo, ora come assiri o egizi che intervengono come laccio, strumento
-. . di perversione o di castigo.
I1 male supremo che è posto in luce, è l'idolatria, la quale .porta con
sé immancabilmente la corruzione morale: crudeltà, lussuria, superbia. Il be-
ne sommo è la religione conservata nella sua purezza e osservata nei suoi
m-andati cultuali ed etici. Benessere economico, prestigio politico entrano in
luce religiosa: come premio per i buoni, ma anche come tentazione o come
atto di misericordia per i cattivi che non avranno felicità nella vita eterna.
Predizioni e miracoli manifestano continuamente non solo l'esistenza, ma già
anche l'intervento di Dio. L'avverarsi delle predizioni e prefigurazioni pone
in luce il dominio del Signore sugli awenimenti umani, così come il bene
premiato e il male punito manifestano l'uomo libero e responsabile di ciò
che compie e che gli è imputato.
I1 perché degli avvenimenti non è ricercato nel peso che altri fatti posso-
no avere su quelli che si seguono nel loro compimento, bensì nel valore reli-
gioso ed etico che manifestano. Un fatto, ad esempio, emerge nella storia,
perché era stato predetto in ordine al Messia che sarebbe nato da una Vergine,
sarebbe morto in croce per espiare e versare il proprio sangue come prezzo
di riscatto dellaumanità dall'ingiusta schiavitù del demonio. Mosè, Davide,
Giona, l'agnello pasquale, il serpente di bronzo hanno la loro ragion d'essere,
perché prefigurano Gesù Cristo. Questi guarisce ciechi, sordi, muti come
aveva predetto Isaia. I1 diluvio ha la sua ragion d'essere come castigo all'uma-
nità corrotta, premio a Noè integro nella sua religione e nei suoi costumi,
G1

4.3 Page 33

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Don Bopsrceofingeulrlaazsitoorniae ddeillaqrueleigllioasichceatstoalriceab.bVeolsIIt.aStatelllaa sorte deli'umanità, anche dopo la
venuta di Cristo. L'arca, che avrebbe superato il diluvio, era lo strumento d i
salvezza predisposto da Dio per Noè, il deposito delle promesse di salvaza
fatte ad Adamo, prefigurazione della Chiesa, che avrebbe superato nel corso
dei secoli qualsiasi tipo di diluvio.
Temi del Vecchio e del Nuovo Testamento, interpretazioni allegoriche
e tipiche di S. Agostino, di S. Gregorio Magno, di Bossuet e di commentatori
come il Sacy, il Calmet o il Martini, servono a proclamare che Dio esiste, pre-
dispone gli avvenimenti umani e manifesta i propri voleri. L'unica religione
gradita a Dio, l'unica società religiosa, l'unica istituzione depositaria sia dei
mezzi di salvezza, 'che dell'unica vera etica e dell'unico vero credo è la Chiesa
cattolica, preparata già dal momento della Creazione, prefigurata dalla Sina-
goga, fondata da Cristo e destinata ad essere l'arca di salvezza fino alla fine
dei secoli.
Anche nella Storia ecclesiastica e in quella delle religioni del Cattolico
istnnito i popoli riaffiorano quando sul loro orizzonte compare luminosa la Cro-
ce evangelizzatrice. I movimenti ereticali (ridotti in sette eretiche con fondatori
e proseliti) in tanto sono seguiti, in quanto sono causa di lotte per la Chiesa
e pesano su di essa come strumenti di Dio ammonitori o purificatori. Le portae
inferi, le potenze iniernali, insidiatrici della Chiesa di Cristo, vengono evocate
come le forze occulte che intervengono nella produzione di qualche male,
soprattutto di ordine religioso ed etico. Così, ad esempio, Don Bosco presenta
l'inizio degli scismi e delle eresie, come macchinazione diabolica: « L'inferno
vedendo l'idolatria pressoché distrutta, arrabbiato per le vittorie che la Chie-
sa aveva riportato suUe persecuzioni, tentò d'affliggerla con scismi ed eresie,
(9. che per lo spazio di oltre quattrocent'anni non cessarono di lacerarla »
Un quadro analogo sta come proemio alla storia moderna. Questa anzi,
più di ogni altra appare carica d i lotte e manifesta una caratteristica della sto-
ria della religione: quanto più furiosi sono gli assalti diabolici, tanto più lu-
minosi sono i trionfi della Chiesa:
«Non vi fu mai tempo che la Chiesa sia stata più combattuta, e che abbia por-
tato più iusigni vittorie, quanto in quest'epoca quinta. Un diluvio d'eretici ardita-
mente l'assale; molti suoi ministri invece di sostenerla, si ribellano, e le fanno
profondissime piaghe; a questi si unirono i principi del secolo, che col ferro, colla
strage e col saccheggiamento la opprimono, e la vogliono annichilata. I1 demonio si
nasconde sotto il manto di società segrete, di moderna filosofia; eccita ribellioni, su-
scita sanguinose persecuzioni. Ma essa è opera di Dio, perciò sono vani gli sforzi
tutti deii'inferno. Nuovi ordini religiosi, Missionarii instancabili, Apostoli insupera-
bili, Pontefici grandi per santità, zelo e dottrina tutti insieme di un nior solo, ed
una sola mente, dali'onnipotente braccio confortati, confusero lo spirito di menzogna,
difesero validamente la verità cattolica, e portarono la iuce del Vangelo fino agli
( 5 ) BOSCO, Storia ecclesiastica, epoca 2, Torino 1845, p. 115 S.
62
ultimi confini della terra. Cosi sebbene non senza gravi danni, lungi però da essere
distrutta, si ebbe anzi la Chiesa nuove conquiste e più doriosi trionfi » ( 6 ) .
La storia dunque per Don Bosco, come per Mauro Cappellari o il Rohr-
bacher, come per Pio I X e per centinaia di vescovi, come per il Margotti e per
centinaia di pubblicisti cattolici, è un alternarsi di lotte e trionfi: trionfo del bene
sul male, della Chiesa sui suoi nemici, della mistica Donna sul serpente infer-
nale. 11 perché di un trionfo più luminoso di altri è d a ricercare nel fatto che
più impetuosi sono stati gli assalti diabolici,
Don Bosco non pare che sia di coloro che, come Augusto Nicolas, a metà
Ottocento pronosticano una estinzione della fede (l), fors'anche solo in Eu-
ropa('). Non è nemmeno di coloro che trovano come prefigurazione attinente
alla Chiesa di meti Ottocento la senescenza o decrepitezza, o la morte d i Ra-
chele mentre partorisce figli della nuova speranza ( 9 ) . Per Don Bosco « l a
religione cattolica nelle missioni è in progresso, e quantunque in alcuni luoghi
perseguitata, nullameno trionfa. NeU'Europa poi ella fiorisce bensì, ma incontra
inolti ostacoli, i quali di mano in mano che nascono vengono superati, e le
oppressioni che alcuni paesi fanno sentire ai cattolici, pare che preparino una
reazione con vantaggio universale del cattolicismo » ('9.
I pronostici di Don Bosco suU'avvenire della Chiesa sono davvero otti-
mistici. A conclusione della sua Storia ecclesiastica scrive chiaro e netto:
B . . . Eiia sempre trionfò. Ella ha veduto i regni, ie repubbliche, e gli imperi a sé
d'intorno crollare e rovinar affatto; essa sola è rimasta ferma ed immobile. Corre il
secolo decimonono dacché fu fondata, e si mostra tutto gioriio nella più florida età.
,, . 161
R-"n"c"rn",
"Cinrin
..r..rrleriastica,.
~~
enoca
5.
ed.
C,,
p.
287 S. Il
diluvio
di
eretici,
ribelli
alla Chiesa anche nel Cattolico istruito, 2, tratt. 20, p. 101.
(7) A. NrcoL~s,La Vergine Maria viuente nella Chiesa.. ., 1. 3, q. 8, vol. 2,
Torino 1863, p. 164: « B predetto che allorquando verrà il re50 deli'hticr~gto,il quale
d-o~vrà orecedere il finale trionfo del Figlio dell'uomo, quando non vi sarà piu fede sulla
serra, ogni maniera di prestigi si disputerà la credulità n.
(8) Così si esprime l'anonima fonte del Cattolico istruito, Cenni rulla cattolica reli-
gione, Alba 1849, p. 102: «Pensate un po' che spaventosa disgrazia sarebbe mai la nostra,
se col nostro disamore, col sacrilego nostro disprezzo per questa Religione santissima che è
2 tesoro nostro, la nostra gloria migliore, noi quasi sforzassimo Dio a levar via di mezzo
a noi questa gloria nostra, questo nostro prezioso tesoro? Ci pensino gi'ltaliani segnata-
mente; e se amano se stessi, le loro famiglie, ii popolo, e l'Italia, si guardino dal coope-
rPaernesiaertir.a.r.reospuplolartuPnaitsrsiaimui na
si terribile
confortnre
castigo! n.
i cattolici
E il vescovo savoiardo mons. Rendu in
nclle presenti tribolazioni della Chiesa
(CoUez. di buoni libri, 11, disp. 23 e 24), Torino 1860, p. 69: «Sappiamo altresi che per
punire
infedeltà e mostruose apostasie, Dio abbandona qualche volta popoli interi
al senso privato ed a tutte le fiuttuazio~del pensiero. Ahimk!... I popoli allora abban-
-- ,In".+; I A osni . di dottrina, cadono di rivoluzione in rivoluzione, nella servitù, nella
~
barbarie, e in tutte le calamità che le accompagnano».
(9) Era l'opinione degli epigoni gianseuisti in Italia contemporanei di DB. Cf.
qv, *-"".A., -7 «.. .r.n~a.i.olotisti » oavcsi e il tramonto del portorealismo in Lombardia in Riv. di st.
~
della Chiex i8 Italia 19 {1965), P. 38-85.
(la) BOSCO, Storia ecclesiastica, epoca 5, ed. c., p. 386

4.4 Page 34

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Verranno altri dopo di noi, e la vedranno sempre fiorente, e retta dalla mano Divina
supererà gloriosa tutte le vicende umane, vincerà i suoi nemici, e si avanzerà con pié
fermo a traverso dei secoli e dei rivolgimenti sino al hnir dei tempi, per fare poi di
tutti i suoi figli un solo regno nella patria dei beati r (n).
2. La storia dei popoli
La Stor~ad'ltalza raccontata alla gioventtl, costruita con aneddoti in suc-
cessione cronologica, si prestava meno della Storia sacra ed ecclesiastica a espri-
mere mediante una serie concatenata di fatti, lo sviluppo degli avvenimenti
- secondo un disegno provvidenziale. Già pensata come storia d'Italia - come
altre opere divulgative tra le quali si allinea oscilla tra storia di una con-
figurazione geografica o etnica. L'Italia, che inizialmente appare sede o amal-
gama di popoli diversi, diviene centro unificatore dei popoli mediterriuiei,
centro di civiltà e di religione, e quindi, nazione culturalmente unita, sebbene
politicamente frazionata.
Talvolta affiora la cura di cogliere gli elementi che portano all'unifica-
zione culturale e spirituale (l2). Chiaramente espresso è il molo della religione
e della Chiesa come elemento di progresso anche civile, in reazione alla tesi
di quanti presentano il Papato e la Chiesa organizzata come elemento di op-
pressione e regressione.
Importanti sono personaggi che si sono distinti come condottieri, magi-
strati, capi, saggi, artisti, santi ("). Volentieri Don Bosco si sofferma a illnstrar-
ne le virtù, I'esemplarità e il contributo al progresso civile e morale, che è
portato a ritenere come benedizione di Dio alla religiosità e alla vita virtuosa.
I1 senso del progresso in molti valori terreni (arte, commercio, benessere . . .),
ch'era diventata una conquista della storiografia illuminista, è presente anche
nell'umile storia di Don Bosco, così come lo era in vari suoi modelli (Lamé-
Fleury, Parravicini, Zini, Ricotti . . .)(li). Ma il suo ruolo è specificato dalla com-
ponente etico-religiosa che interviene nell'interpretazione dei progressi e delle
involuzioni anche civili e che Don Bosco aveva assimilata attraverso il Berca-
stel, il Gerdil, il Loriquet . . .
(")
(l2)
Bosco, Storia
BOSCO, Storia
ecclesiastica, epoca
d'italia, epoca,-l, ~
5.
&
ed
in
o1c8.5,. 5rn,.pz.
xx
86;
ed.
Caviglia,
in
Opere
e
scritti
editi e inediti di Don Bosco, 3, Torino 1935, p. 74: la concessione della cittadinama
romana ai popoli italici « è fatto notevolissimo nella storia perché tutta ?Italia si un1 con
Roma e ne divenne un oooolo solo ».
(l3) I1 rilievo delle iirtù e dei vizi deriva molto dal fatto che DB polarizia gli
gli avvenimenti attorno a personaggi. Neli'edizione definitiva su 152 paragrafi, 118 prendono
il titolo da una o più persone. Questa tendenza al ritratto di protagonisti, suggerita da mo-
tivi pedagogici, si uova spiccata anche in una fonte di DB: Il Giannetto del Parravicini.
("1 Cf. Gianni M. Pozzo, La storia e il progresso nell'llluminismo francese, Padova
1964; e soprattutto quanto presenta, sulla divina pedagogia e l'educazione del genere umano,
Michelangelo GHIO.L'idea d i progresso nell'tlluminismo francese e tedesco, Torino 1962,
P 9s; 133-145; 167-180...
I1 caso più grandioso di decadimento è quello dell'impero romano e del-
l'età barbarica. Causa ne è indicato talora qualche personaggio inetto, ma il
più delle volte Don Bosco addita fattori d'ordirne religioso e morale: la cru-
deltà, la dissolutezza, l'invidia, l'egoismo, l'infedeltà ai patti, il tradimento, il
sacrilegio. Q u a m o imperatori malvagi sono indicati come coloro « i quali
introdussero tali disordini nell'impero che si può dire aver essi grandissima-
mente contribuito a precipitarlo nell'abisso dell'immoralità e del disordi-
ne >> (l5). Attila, i Franchi, Napoleone sono tipiche personificazioni di super-
bia o crudeltà, che prima o poi si attira le punizioni divine. Peste, guerra,
fame, sconfitte, lutti di ogni genere, malversazioni di persone e di popoli han-
no alla radice qualche peccato. E chi pecca opprimendo gli altri, è strumento
di punizione, ma a sua volta si attira i castighi divini: cosi i Pisani « soggetta-
rono Amalfi ad orribile saccheggio, ed ora sono eglino stessi a vedere la
loro città in preda ai maggiori disastri » (l6), le milizie delle città italiane allea-
te di Federico Barbarossa aiutarono a distruggere Milano « per isfogare l'odio
loro contro quella città, la quale negli anni addietro aveva quasi intieramente
rovinato le città di Lodi e di Como » (O).
Roma, più di ogni altra città, è vista quale oggetto di piani divini. « La
Provvidenza che destinava Roma ad essere dominatrice di tutta l'Italia dispo-
se che al pacifico Numa succedessero l'un dopo l'altro due re coraggiosi e guer-
rieri, i quali dilatassero i confini della potenza romana sopra gli altri popoli
italiani » ('9)I.1 destino di Roma era che divenisse « gloriosa sede del Vicario
di Gesù Cristo », passando attraverso il crogiuolo della purificazione. Come
capitale pagana era stata « città superba ». Subendo il saccheggio di Alarico
« quella città superba espiò con disastri senza numero l'abuso che aveva fatto
della sua passata grandezza ». « Una furiosa tempesta e una folgore continua-
ta accrebbero le devastazioni: abbatté vari templi, e ridusse in polvere quegli
idoli altre volte adorati, e dagli Imperatori cristiani conservati ad abbellimento
della città » (lg).
Virtù e vizi sono considerati non soltanto in rapporto al progresso o al-
l'involuzione dei popoli, bensì anche come causa di fatti singolari, che poi
sono argomento manifesto di un intervento divino straordinario. Nerone si
tolse la vita il giorno stesso in cui alcuni anni prima aveva fatto uccidere sua
madre (lU);« il conte Ugolino fu crudele verso la patria ed aveva fatto perire
in carcere molti dei suoi concittadini; ed egli stesso prima di morire dovette
provare tutti gli orrori di una rabbiosa fame. Quanto terribili sono i giudizi
di Dio! » (2'); Napoleone a Fontainebleau « è costretto a rinunciare alie sue
(15) BOSCO, Storia d'lt~lia,epoca 2, Torino 1855, p. 127-131; ed. Caviglia, p. 108-111.
('6) Bosco, Storia d'Italia, epoca 3, Torino 1855, p. 293; ed. Caviglia, p. 244.
(17) Bosco, Storia d'Italia, epoca 3, Torino 1855, p. 268; ed. Caviglia, p. 224.
(18) BOSCO, Storia d'Italia, epoca 1, Torino 1855, p. 27; ed. Caviglia, p. 29.
(19) Bosco, Storia d'Italia, epoca 2, Torino 1855, p. 162 s; ed. Caviglia, p. 135.
(W)Bosco, Storia d'Italia, epoca 2, Torino 1855, p. 112; ed. Caviglia, p. 98.
(21) Bosco, Storia d'Italia, epoca 3, Torino 1855, p. 293; ed. Caviglia, p. 244. Le stesse
espressioni sono nella Storia ecclesiastica, epoca 5, Torino 1845, p. 367.

4.5 Page 35

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
corone, e nel dolore bagna di sue lagrime quel luogo medesimo dove egli
aveva fatto scorrere quelle del Romano Pontefice » (a).Don Bosco si mostra
attento a porre in luce questi curiosi casi d i contrappasso e li presenta come
predisposti da Dio: i mali che si abbattono sui cattivi dimostrano che « a w i
un Dio giusto che a tempo e a luogo rende il meritato castigo » ("1. La sua
persuasione è che « i malvagi sono sempre puniti del male che fanno, e tanto
più severamente quanto più sono ricchi e potenti » ("). C'è perciò una propor-
zione nei castighi divini, anche terreni: « Silla sazio di sangue cittadino, si ab-
bandonò a due vizi turpissimi, all'intemperanza e alla dissolutezza, la quale co-
sa gli cagionò un? malattia assai crudele, e fini coll'essere rosicato vivo dai
vermi » (=); durante il sacco di Roma Carlo di Borbone, traditore di France-
sco I e apostata, fu ucciso con un colpo di moschetto «pagando i l fio di avere
tradito il suo re e la sua religione » ("). Don BOSCO indica ai giovani oltre che
le motivazioni della morte, anche i reconditi motivi di una certa distribuzione
dei mali: « Nell'epidemia di colera L18541 fu osservato dai periti nell'arte
che coloro i quali tenevano vita sregolata, erano i primi ad essere colpiti dal
male »
I vizi non sono mai causa d i progresso, ma di corruzione; la virtù, invece,
si risolve a beneficio dei popoli; cosi avvenne, ad esempio, nel caso di Teo-
dolinda ("). La tesi di Don Bosco, come quella di Bossuet, è agli antipodi di
quella di I-Iobbes o deli'apologo delle Api di Bernard de Mandeville (1670?-
1733): per Don Bosco non è affatto vero, anzi è assolutamente falso, che vizi
privati possano essere causa di benefizi pubblici.
3. L a storia come documento d i Dio
Nel loro complesso gli avvenimenti umani, cosi come sono descritti nelle
pagine storiografiche di Don Bosco, portano ad assumere un atteggiamento
analogo a quello che lo spirito religioso prende nella contemplazione del
creato.
(a)Bosco, Storia d'ltalia, epoca 4, Torino 1855, p. 468; ed. Caviglia, p. 389 S.
(a)Bosco, Storia d'Italia, epoca 1, Torino 1855, p. 22; ed. Caviglia, p. 24.
(a)BOSCO, Storia d'ltalia, epoca 1, Torino 1855, p. 36. Sempre puniti viene poi
attenuato: ordinariamente puniti; cf. ed. Caviglia, p. 36.
("1 Bosco, Storia d'ltalia, epoca 1, Torino 1855, p. 87; dissolutezza fu poi mutato in
disonestà, ci. ed. Caviglia, p. 77.
BOSCO, Storia d'ltalia, epoca 4, Torino 1855, p. 388; ed. Caviglia, p. 321.
(n)Bosco, Storia d'Italia, epoca 4, Torino 1855, p. 517; ed. Caviglia, p. 420. I1
resto continua: «Quindi i medici più dotti consigliavano di tenere una vita morigerata
e temperante, e puri5care la coscienza coi conforti deila religione per acquetare i rimorsi che
provano quelli che sono aggravati dalla colpa ».
("1 Bosco, .Storia d'Italia, epoca 3, Torino 1855, p. 200-205; ed. Caviglia, p. 172.177.
Dio domina i fatti umani, anche se l'uomo ne è protagonista. Prova evi-
dente e incontrovertibile sono gl'interventi straordinari: la rivelazione, le pre-
dizioni i miracoli; l'itinerario degli avvenimenti verso lo splendore dell'unica
vera religione. Sotto questo aspetto la Storia d'ltalia di Don Bosco, come la
storiografia neoguelfa, è in consonanza con la terza parte del Dzscorso sulla
storta universale di Bossuet, che illustra come gli avvenimenti degli Imperi
sono provvidenzialmente regolati perché portino allo « stabilimento del regno
di Cristo » (l9). Altra prova del dominio divino è il fatto che il vizio, il disordine
religioso e morale, non riescono mai a predominare: nonostante le insidie e
le lotte, il bene riesce sempre a trionfare. L'opera divina di giustizia e di miseri-
cordia è sempre educativa e si attua ordinariamente per cause mediate: indi-
vidui e popoli, cause morali o naturali sono presentati come strumenti di Dio.
La storia - potremmo dire - secondo Don Bosco porta il vestigio Dio; an-
zi più che il vestigio, perché è carica della sua parola e della sua azione.
4. Derivazioni letterarie e i n t i m e convinzioni d i Don Bosco
Il richiamo a Bossuet e al suo tempo, per quanto possa sembrare meno
persuasivo che quello alla storiografia risorgimentale, non è però meno fonda-
to. La sostanziale consonanza di spirito di fronte agli eventi (che, ovviamente,
a metà Ottocento sono assai diversi da quelli di fine Seicento) trova una so-
lida conferma nello studio filologico delle letteratura religiosa a cui si rifà
i'opera storiografica di Don Bosco. Già abbiamo detto come la ' ~ t i r i adella
Religione inserita nel Cattolico istruito ricalca quella abbozzata dal Gerdil
nella Breve esposizione dei caratteri della vera religione (9). Chi prende in
mano altre fonti di Don Bosco, come il Loriquet (Storia sacra e Stouia eccle-
(8)BOSSUETDi,scorso sulla storia universale, pt. 3, Napoli 1857, p. 339-431. Si veda
spec. il cp. 1. - La prima ed. italiana è del 1712.
(N)Diamo qualche confronto a titolo di saggio:
GERDILB,reve esposizione, Torino 1822,
Bosco, IL catrolico istruito, pt. 1, tratt.
p. 5:
«Tre cose gli promise spezialmente;
6, p. 32:
«Tre particolari promesse fece Iddio ad
che avrebbe data alla sua posterità la
terra, in cui i'aveva fatto venire; che però
fu detta terra di promissione;
. ~.che io avrebbe fatto padre di un gran
oooolo numeroso al oari delle stdle del cie-
lo, e delle arene del mare;
e che tutte le Nazioni deUa terra, in-
v..o..l.ie d-i-en-i-à~nelle tenebre deli'idolatria. sa-
~
rebbero state benedette, o sia richiamate alla
conoscenza di Dio, in uno che nascerebbe da
lui ».
Abramo.
1. Che lo avrebbe fatto padre di un
popolo numeroso ai pari delle stelle del cielo
e
sabbia
...
2. Che avrebbe dato a' suoi discendenti
il paese di canaa,n,,
3. Che tutte le nazioni sarebbero state
benedette, ossia richiamate aUa conoscenza
di Dio da Uno che nascerebbe da lui ».

4.6 Page 36

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
siastica) (3'), Francesco Soave (Storia d e l popolo ebreo) (") o Cristoforo Schmid
(Racconti cavati dalla S a n t a Scrittura) (l3) trova presto modo di risalire a scritti
e a tempi anteriori. I1 gesuita Loriquet per la Storia ecclesiastica si è servito,
come egli stesso dice, del Lhomond (34). M a di questi erano n o t e le fonti:
I'Abrégé d e Z'bistoire e t d e la morale de I'Ancien Testament, le parti storiche
delle Expositions s u r la doctrine chrétienne d e l Mésenguy, u n o dei p i ù solidi
scrittori che ancora ebbe il giansenismo nel Settecento, e il Discours s u r
l'histoire universelle d i Bossuet (").
I1 padre Loriquet ci f a inoltre conoscere che ha incorporata quasi per
intero I'Abrégé de I'histoire sainte dell'abate Durandi, e h a f a t t o proprie del
medesimo autore re Preuves de la religion (36). Ciò che, a d esempio, Don Bo-
( 3 ) [LOIIIQUET],Storia sac~a, Torino,
Marietti 1847, p. 10; 12:
dal
« I1 demonio
Cielo I.. .]
cihnevidgiiàoseora[s.t.a.tIo.
precipitato
Morto Adamo dopo una penitenza di
930 anni E . . .] ».
Vedi anche più sotto nota 41 e testo
corrispondente.
Bosco, Storia sacra, Torino 1847, p. 14;
17:
« I l demonio, che poco prima era stato
cacciato dal paradiso I...l invidioso [.. .].
. . .Condusse di poi una vits penitente
in espiazione del suo peccato, e santamente
mori in età di 930 anni ».
(") F. SOAVE, Storia &l popolo ebreo. . . ,
Vigevano 1814, p. 40 S.
« Aronne per vi1 timore acconsentì; e fat-
tisi daBe donne portar gli orecchini d'oro,
li fuse, e ne fabbricò un vitello, che con
sacrificj e cori feste e con bagordi gli Ebrei
si posero ad adorare.
Mirò Iddio la loro perversità [.. .] ».
G. Bosco, Storia sacra, Torino 1847,
p. 63:
« Aronne temendo le loro minacce ac-
condiscese, e fattosi portare gli orecchini
d'oro delle donne, li fuse e ne fabbricò un
vitello, che con sacrihzio, con feste, e con
hagordi gli Ebrei si posero ad adorare.
Mirò Iddio la loro perversità 1.. .] ».
(33) C. SCHMID,Racconti ' cavati dalla
Santa Scrittmrn, Nuovo Test., Milano 1840,
p. 89:
« Eravi anche un certo mendico per no-
me Lazzaro, il quale giaceva alla porta di
quel ricco tutto pieno di piaghe, e deside-
rava di saziarsi dei minunoli che cadevano
dalla sua mensa; ma nessuno gliene dava, so-
lo i cani venivano a leccargli le piaghe n.
Bosco, Storia sacra, Torino 1847, p. 178:
aEravi pure un mendico per nome Lai-
zaro il quale tutto coperto di piaghe gia-
ceva alla porta di quel ricco, ed era così
travagliato daUa fame, che desiderava sa-
ziarsi deUe briciole che cadevano dalla men-
sa di quel ricco, e non gliele dava. Solo
i cani più compassionevoli di lui andavano
a leccare le sue piaghe D.
(Y)[LOKIQUET]S,tolili ecclesi~stica. ., Torino, Marietti 1844, p. 5 s: « L'eccellente
Storia della Chiesa scritta dal Lhomond è la pura fonte a cui abbiamo attinto u.
(3)Lhomond, oltre alla Histoire abrégée de Eglise, ha compilato varie altre operette
. per la gioventù e per gli educatoti: Histoire abrégée de la religion avant la venue de Jésus-
Christ, Doctrine chrétienne en forme de lectures de piété, Epitome historiae sacrae . . ;
tra tali opere è possibile documentare un'interdipendenza. Il Volentieri (La religione studiota
nella storia, Torino 1849, p. 14) scrive - e l'abbiamo potuto controllare - che I'Histoire
abrégée de la religion «nella massima parte non è che un accazamento di brani dei
Mezanguy, e che perciò perde qualche volta di vista quello stretto legame, e quella
naturale dipendenza degli awenimenti tanto necessarii a così fatti lavori».
. (36) L'avvertenza è stata eliminata nella prefazione della Storia sacra del Loriqnet
edita in italiano da Marietti; si legge invece in edizioni francesi, ad es. Histoire sainte . .,
Lyon, L. Lesne 1842, p. VII: « Depuis longtemps il cxistait un Abrégé de I'Histoire sainte
sco scrive come argomento circa la divinità dei libri sacri nella prefazione alla
Storia sacra, proviene dal Loriquet, che h a fatto proprie le Preuves del Duran-
di (3'). Questi, a sua volta, d e r m a che p e r la storia sacra h a t e n u t o presente,
tra l'altro, u n a fortunatissima o p e r a uscita dal cenacolo d i Port-Royal: l'Hi-
stoire d u Vieux e t Nouveau Testament d i Le Maitre d e Sacy sieur de Royau-
m o n t (l", stampata nella versione italiana anche a T o r i n o da Giambattista
Paravia (l9) (editore del Giovane provveduto e stampatore d i molte Letture
par demondes et per réponres. L'auteur de cet ouvrage a eu les intentions les plus
louahles; mais il nous a pani n'avoir pas tiré d'une sujet aussi riche tout le parti qu'on
avait dioit d'en attendre. 1". Il lui est 4chappé plusieurs tratis qui assurément peuvent et
doivent $tre ignoré des enfants. 2O. O n ne trouve point dans sa narration cet ordre, cette
. suite qui lient entre eux les événements divers . . 3". Le choix des faits en eux-m2mes n'est
. . pas toujours heureus; la rédaction en est sowent vicieuse .D.
(37) [LORIQUET]S, toria ecc!esiastica. . .,
Bosco, Storia sacra, Torino 1847, p. 12:
Torino, Marietti 1844, p. 152:
«D. Come si prova che gli scrittori della
« D . Quali prove abbiamo noi della di- Bibbia furono da Dio assistiti ed illuminati?
vinità della Scrittura?
R. Ne abbiamo quattro: 1. i miracoli
operati dai profeti, i quali dimostrano, che
Dio li aveva mandati; 2. le profezie risguar-
R. Sono quattro le ragioni che dimostra-
no la Divina assistenza ne' sacri scrittori:
1. i miracoli specialmente da' profeti ope-
rati, i
provano che Dio li aveva man-
danti la venuta di G. C. e molti altri av- dati; 2. le profezie risguardanti la venuta di
venimenti, le quali si sono perfettamente G. C,; e molti altri awenimenti che si
avverate; 3. l'elevatezza della dottrina scrit- avverarono perfettamente; 3. la sublimità
turale, la quale è sì santa e perfetta, che della dottrina della Sacra Bibbia, la quale
Dio solo può esserne l'autore; 4. l'ammira- è si pura e sì perfetta, che. Dio solo può
bile efficacia che ha sopra coloro che la esserne l'autore; 4. l ' m i r a b i l e efficacia che
leggono; conciossiaché santifica il loro cua- ha sul cuore di coloro che la leggono, con-
re e li riempie di contentezza e di pace ». ciossiachh ne santifica il cuore, lo riempie di
contentezza e di pace D.
[DURANOI]A, brégé de I'Histoire sainte avec der preuves de la religion, par demandes
et per réponser. NoiiveUe édition, Paris, Veuve Estienne 1713, p. 211:
« Dem. Quelles preuves a-t-on de la divinite de l'kriture?
Rep. On en a quatre 1'. Les Miracles que les Prophètes ont faits, qui prouvent
que Dieu les avait envoyés. 2". Les ProphQies qui regardent Jésus-Christ et les autres
événemens: iesquelles ont été toutes accomplies. 30. La subiimité de la doctrine de
l'kriture, qui est si sainte et si parfaite qu'il n'y a que Dieu qui en puisse &re l'Auteur.
40. Le pouvoir admirable qu'eUe a sur cew qui la lisent; car en sanctifianr leur coeur, elle
le remplit de joie et de consolation 8.
L'edizione del Durandi che abbiamo trascritta è ignorata dal BARBIER, Dictionnaire
des ouvrages nnonymes et pseudonymes, 1, Paris 1872, p. 27.
D B sviluppa quanto scrive nella Storia sacra poi sul Cattolico istruito, pt. I ; tratt.
5, p. 26 S.
(3)[DURANDI]A, brégé de I'Histoire sainte, p. XIV; e più sopra (p. XI) dichiara di
essemi servito del Doujeat, Eloges des personnes illurtres de I'Ancicn Testament e del
Eleury, Les moeurs des Israelites et des Chrétiens.
(39) [Nicolas FONTAINE]S,toria del Vecchio e Nuovo l'eriamento ossia della Bibbia
sacra con rifle~sionimorali. . . Opera del Signor Le Maitre de Saci ossia Royaumont . . . ,
Torino, G. B. Paravia 1837.

4.7 Page 37

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Cattoliche) e citata da Don Bosco stesso nel suo Massimino ("l. La Storia del
popolo ebreo di Francesco Soave e la Storia del Cristianesimo dell'abate Berca-
stel ci riportano a loro volta a opere del Calinet, del b l l i n , del Fleury, e quindi
all'ambiente, di cui Bossuet e i portorealisti sono una tipica espressione.
Più sopra abbiamo riportato la conclusione della Storia ecclesiastica di Don
Bosco, imperniata sulle lotte e sui trionfi della Chiesa. La si può riconoscere
facilmente nelle espressioni che il Loriquet pone alla fine della sua Storia:
LORIQUET:
« Essa ha visti i reami, le repubbli-
che, gl'imperi, scuo;ersi e sfasciarsi at-
torno e in mezzo di sé: essa solamente
è rimasta ferma ed immota, e dopo di-
ciotto secoli ci si mostra con tutta la
vigoria, la bellezza, la fecondità dei pri-
mi suoi anni.
Gli awenire
la vedranno ancora fiorente; ed essa con-
tinuerà ad avanzarsi con pié fermo a tra-
DON BOSCO:
« Eila ha veduto i regni, le repub-
Miche, e gli imperi a sé d'intorno crol-
lare e rovinar affatto; essa sola E rima-
sta ferma ed immobile. Corre il secolo
decimonono dacché fu fondata, e si mo-
stra tutto giorno nella più florida età.
Verranno altri
dopo di noi, e la vedranno sempre fio-
rente, e retta daila mano Divina snpe-
("1 Bosco, Massimino ossia incontro di un giovanetto con un ministro protestante
sul Campidoglio, Torino 1874, p. 6: « I n tempo delle classi elementari e delle due prime
ginnasiali aveva letto e stiidinto la storia di più autori. I1 Soave, Calmet, Secco, Royamoud
(sic), il Bosco, gli erano famigliari come l'Ave Maria D.
I1 Secco in questione è Luciano SECCOS, . J., Storia sacra dellilntico e Nuovo Testa-
mento, Torino, Marietti 1841. Dipende in parte dallo Schmid, a quest'ultimo D B lo pre-
ieri per qualche .pa-sina:
SECCO, Storia sacra, p. 271:
«Poi chiamato a sè un fanciuUo, e
postolo ivi in mazo di loro, lo abhracciò,
soggiungendo: In verità vi dico, che se non
sarete mutati, e non diventerete umili e
semplici, come i fanciulli, non entrerete nel
regno de' cieli. Chi dunque si sarà fatto
piccolo come questo fanciullo, quegli nel
regno de' cieli sarà il maggiore.
Bosco, Storia sacra, Torino 1847, p. 173:
«Fece poi venire un fanciullo e postolo
in mazo loro lo abbracciò, e saggiunse: In
verità vi dico, che se non diventerete mi-
li e semplici come fanciulli non entrerete
nel regno de' Cieli:
Chi dunque si sarà fatto piccolo come
questi fanciulli, sarà il maggiore nel regno
de' Cieli.
Chi accoglie in mio nome un fanciullo
Indi seguì: Chi accoglierà in mio nome riceve me, e chi riceve me, riceve colui che
un tale fanciullo riceve me, e chi riceve me, mi ha mandato, cioè il mio Padre celeste.
riceve colui, che mi ha mandato; chi poi Indi proseguì: - Chi scandalizzerà uno di
scandalizzerà uno di questi piccoli, che cre- questi pargoli, i quali credono in me, sa-
dono in me, meglio per lui, che gli fosse rebbe meglio per lui, che gli fosse appesa
appesa
so nel
palrocfoolnlodoundaelmmacairnea,I.e.
fosse
.l gli
sommer-
Angioli
ai collo una
profondo del
macina,
mare C.
.e.lsiglsioAmnmgeelrigelsosreo
nel
ai-
loro nel cielo vedono sempre la faccia del telari sempre vedono in Cielo la faccia del
celeste mio Padre ».
mio celeste Padre D.
SCI~MIDR,acconti, ed. c., p. 81: « [ . . .1 Chiunque accoglie nel nome mio un
fanciullo come uno di questi, accoglie me stesso. Ma per chi avrà scandaliizato uno di
questi piccoli che credono in me, meglio sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina
e che fosse sommerso nel fondo del mare I . . .l gli Angioli loro veggono del continuo
ne' cieli il volto del divin mio Padre >.,
verso dei secoli e degli umani rivolgi-
menti sino alla fine dei tempi, per poi
riunirsi a Gesù nel soggiorno del giubilo
sempiterno ("1.
rerà gloriosa tutte le vicende umane,
vincerà i suoi nemici, e si avanzerà con
pié fermo a traverso dei secoli e dei
rivolgimenti sino al finir dei tempi, per
fare poi di tutti i suoi figli un solo
regno nella patria dei beati ».
Ma allora potrebbe riproporsi il dubbio sul valore delle pagine degli scrit-
ti editi, come espressione della forma mentis di Don Bosco stesso. Chiave di
soluzione, tra le tante, sono l e parole di Don Bosco che non sono legate a que-
ste fonti così remote. Quelle, ad esempio, che egli pone in carta, più indipenden-
temente, nelle prefazioni a opere apologetiche o agiografiche: alle Conversazion~
tra un avvocato ed un curato (1855), alla vita di S. Martino (1855), alla Appari-
zione della Beata Vergine sulla montagna di la Salette (1871); o nelle considera-
zioni sui tempi che si leggono nell'dmanacco Il Galantuomo, anonime, ma che
dall'esame interno e dalla costante tradizione sono attribuite o attribuibili a
Don Bosco (").
Apparizioni della Vergine, predizioni e guarigioni miracolose esercitano
anche su Don Bosco un grande fascino. Come il marista EIuguet, come mons.
d e Ségur e altri divulgatori, se ne fa propagandista: le apparizioni della Salette,
quelle di Lourdes, il movimento degli occhi di un'effigie mariana a Taggia, i
prodigiosi movimenti di una statua di S. Domenica a Soriano, apparizioni a pie
donzelle, le predizioni di suor Maria della Nativiti o di Luisa Lateau trovano
posto sulle Letture Cattoliche insieme alle meraviglie di Maria Aiisiliatrice, alle
grazie straordinarie ottenute per intercessione d i S. Pancrazio, di Luigi Comollo
e Domenico Savio. I fatti miracolosi hanno sempre un valore multiplo: « Que-
(41) [LORIQUETS]t,oria ecdesiartica, Torino, Marietti 1844, p. 129.
La stessa conclusione, con lievissime varianti, si legge nella Storia della Chiesa dalla
sua fondazione fino al pontificato di Gregorio XVI, Torino, Marietti 1841; p. 329s: a Quale
istmzione dobbiamo ricavare dalla storia della Chiesa Cattolica? - L'istoria della Chiesa
c'insegna, che il suo destino qui in terra è di essere sempre perseguitata e sempre trion-
fante.. . Ella ha veduto i regni, le repubbliche, e gl'imperi a d'intorno crollare, e rovinar
perfino in mezzo al suo seno. Ella sole è rimasta ferma, ed immobile; e dopo diciotto
secoli ella mostra tutto il vigore, la fecondità della sua giovinezza.
Quelli che verranno dopo di noi la troveranno ancora costantemente la stessa: ella
continuerà di fermo passo ad avaniarsi a traverso dei secoli, e delle rivoluzioni umane
sino alla fine del tempo per riunirsi a Gesù Cristo nei luogo del suo eterno riposo ».
Quest'altra Storia della Chiesa, diversa come stnittura da quella ecclesiastica del
Loriquet, sembrerebbe di derivazione austriaca, tradotta dal gesuita Acacio Saracinelli e
con aggiunte del suo confratello Paolo Beorchia (1795-1859), che fu a Torino vario tempo.
Cf.
SOMMERVOGBEibLli,othèyue de
Come si vede, al Loriquet si
la Comp.
accostano
de JPsus, I, CI. 1317.
i termini: rivolgimenti,
tempi,
piè
fermo. . .
A questa Storia si accostano moltissime espressioni del primo periodo di D B: ha veduto
i &i, a d'intorno crollare . . .
(a)Cf. Il Galantuomo. Almanacco per l'anno 1889, Torino 1889, p. 49: «Come
vi dissi più sopra io, Galantuomo, era quasi tutto opera di D. Bosco a quel primo tempo D.
Più avanti esamineremo le coincidenze tra le profezie del Galrintuomo 1870-74 e quelle
inviate a Pio IX nello stesso periodo

4.8 Page 38

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
sti segni sensibili della Onnipotenza Divina,
-
egli
scrive
-
sono
sempre
presagio di gravi avvenimenti che manifestano la misericordia e la bontà
del Signore, oppure la sua giustizia e il suo sdegno, ma in modo che se ne trag-
ga la sua maggior gloria e il maggior vantaggio delle anime >> (").
Guerra, colera, malattie, morti, grandi funerali in Corte hanno sempre
un nesso con il peccato che grava sull'umanità. « L a guerra - si legge sul
Galantuomo per il 1860 - è un flagello che Dio manda agli uomini pei loro
peccati. Questi peccati non cessano ancora. . . Si lavora e si fa lavorare nei
giorni festivi. Ci sono le prediche e molti non vanno; ci sono preti e confessio-
nali; e per non recare loro disturbo, molti (che pur non sono né eretici, né
ebrei) vi si accostaho di rado; e non pochi non si accostano mai, e taluno giun-
se fino a mettere in burla il bene che fanno gli altri D (").
I mali presenti fanno prevedere castighi d'ogni genere nel prossimo futuro.
I1 Galantuomo per il 1860, ad esempio, prosegue: <i Ora io vi accenno ancor
altri flagelli che temo siano per avvenire in quest'anno. Avremo un'altra guer-
ra ancor più sanguinosa, la quale, se non farà spargere tanto sangue, manderà
però maggior numero di anime all'inferno. Avremo due malattie terribili, che
io non voglio nominare, e di cui vedrete i terribilissimi effetti. Due c o s p i d
personaggi scompariranno dalla faccia del mondo politico colla loro gloria.
Molti padri e molte madri non sapranno darsi pace della insubordinazione dei
loro figlioli; piangeranno i disgusti che loro danno, lamenteranno discordie che
cagionano in famiglia. Andranno in cerca del rimedio e non troveranno che ve-
leno, perché l'unico rimedio è la religione che essi medesimi trascurano >> (").
I1 Galantuomo per il 1869 lascia trasparire un giudizio di condanna divi-
na sull'operato di Luigi Carlo Farini, storico e politico della destra liberale:
A chi cerca di protestantizzare l'Italia dirò che un uomo che patti da questo
mondo colpito dalla giustizia di Dio in modo spaventoso, aveva scritto una
bella sentenza che va bene per loro. I o ve la stampo qui per intiero e per
conforto nostro e per desolazione dei tristi. E stoltezza storica e politica, e un
delirio da fanciulli distruggere zl cattolzcismo in Italia. L'Italia, il ripeto, è
cattolica, e non u'è altro cattolzc~smoche il Romano D ("). Farini è colui che
nel 1860 aveva ordinate le prime perquisizioni all'Oratorio.
I1 Galantuomo per il 1873, dopo avere presentato quanto aveva sconvolto
l'Europa negli anni precedenti, ammonisce: << Lo so che vi sono ancora molti che
non riconoscono queste disgrazie come veri castighi di 'Dio; ma essi sono
ciechi, simili a quell'ostinato ed insensato Faraone che credeva essere cosa natu,
tale le piaghe d'Egitto » (47).
I fatti contemporanei, insomma, non nieno che quelli remoti continuano
(9Bosco,Apparizione della Beata Vercrgine
1871, p. 7.
("1 11 Galantuomo per il 1860, p. 2os.
(") Il Galantuomo per il 1860, p. 22.
("1 11 Galantt~omoper il 1869, p. 4.
1") 11 Galantuomo per il 1873, p. 8.
montagna di salette, , , ,
a manifestare la mano di Dio sui fatti umani, condotti secondo fini di giustizia
e di misericordia. L'umanità continua ad essere chiamata alla verità e al bene,
alla religione, a Cristo Salvatore, alla Chiesa unica vera arca di salvezza, alla
vita eterna. Tra l'insegnamento della storia e quello dei fatti contemporanei
non c'è nessuna frattura e contraddizione. La scala dei valori fondamentali di
Don Bosco vi si manifesta ugualmente e pienamente. I motivi dominanti: Dio,
salvezza dal peccato e dalla morte eterna, valori etici e religiosi quali criteri
d'interpretazione dei fatti e stimolo a conformare la propria vita al disegno di-
vino, si ritrovano nella presentazione dei fatti e nei pronostici per l'avvenire:
« Poiché avvi un solo Dio, una sola fede ed una sola religione, uniamoci anche
noi in un dio vincolo di fede e di carità per aiutarci nei bisogni della vita presente
sicché i'uno dali'altro a vicenda confortati nel corpo e nello spirito possiamo di poi
un giorno regnare eternamente con Dio nella patria dei beati in cielo (*).
Questa è la conclusione che Don Bosco fa alla sua Sforza d'Italia nel 1855
e che lascia sostanzialmente immutata anche nelle ultime edizioni pubblicate
lui vivente, sotto il suo controllo("). L'insegnamento supremo della storia,
secondo Don Bosco, è un insegnamento religioso; anzi la storia insegna che
l'unità dei valori religiosi, dopo la frattura causata dal peccato, è processo fati-
coso di unificazione, di conoscenza, di adesione, di liberazione e di salvezza.
Le risoluzioni che la storia deve indurre a prendere (e che Don Bosco propone)
sono relative alla fede e alla morale.
A questo punto è bene esaminare come queste considerazioni abbastanza
generali incidano sul giudizio che Don Bosco si fa del suo secolo.
5. La società del secolo XIX ira religione e rivoluzione
Nel crogiolo degli avvenimenti di cui furono teatro Torino e l'Italia Don
Bosco trovò il proprio posto prima come catechista dei ragazzi avventizi venuti
a Torino in cerca di lavoro; poi, facendosi istitutore e direttore di complesse
opere di educazione. Necessitato a stendere la mano a chiunque avrebbe potuto
aiutarlo, per lo meno finanziariamente, presto imparò la via di istituzioni pub-
bliche e di privati. I1 questuare maturò in lui l'arte di far comprendere ai pa-
trizi torinesi, al clero, agli amministratori cittadini o agli organi della segrete-
ria di Stato per gli affari interni l'utilità degli Oratori, facendo leva sull'urgen-
za che tutti potevano sentire, di provvedere educazione, ricovero, vitto e vesti-
to a giovani che, diversamente, sarebbero divenuti delinquenti ("). Non biso-
(4)BUSCOS,toria d'Italia. Torino 1855, P. 525.
(49)
(so)
Buonsacod,eSsctorirziaionde'Itdarlaiam, mTaotircinao
1S86I7, P, 4x8.
della gioventù povera,
abbandonata, a
stessa
e da cui sono a temersifunestissimeconseguenze» se non si rimedia, è neUa circolare qer la
lotteria
nel 1851 ( A S 131.04 Circolari e inviti; Eptsjolaro 43). In scritture
successive D B si manifesta più cauto; ma riprende toni che suscitino 11 senso delyurgenza

4.9 Page 39

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
gna tuttavia dimenticare che, mentre Don Bosco batteva alla porta della Curia
d i Torino - o a quella della Casa Reale, dell'ordine Mauriziano, dell'opera
della Mendicità Istruita e alla Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli - nel Pie-
monte, in Italia, in Europa avvenivano mutamenti profondissimi sia nelle
strutture sociali, sia nei rapporti tra Chiesa cattolica e autorità politiche, tra cat-
tolici praticanti, indifferenti o avversi. Era un complesso di avvenimenti che
non poteva non incidere su Don Bosco: non esclusi gli avvenimenti politici.
Don Bosco definì la propria politica, quella del Pater noster ('l). Espressioni
come questa possono sembrare illuminanti. Indicherebbero che Don Bosco non
voleva farne: intendeva percorrere la propria strada, fare del bene, e basta. Ma
collocate nel loro Contesto possono apparire risposte evasive, date quando gli si
chiedeva semplicisticamente - o con l'aria dell'amico che vuol mettere un po'
in imbarazzo - se teneva per Garibaldi o per Mazzini o per Pio I X (").
Tanto più si rimane circospetti, allorché si bada ad altre testimonianze
che potrebbero apparire contrastanti. « U n giorno - ricordava mons. Bono-
melli nel 1889 -, non sono molti anni, mi tratteneva familiarmente con quel-
l'uomo di Dio, che fu il sacerdote Giovanni Bosco, vero apostolo della gioventù,
e il cui nome è rimasto in benedizione. Con quel fare semplice e pieno di tatto
pratico, mi disse queste precise parole, che non dimenticherò mai: Nel 1848
io mi accorsi che se volea fare un po' di bene, dovea mettere da banda ogni
politica. Me ne sono sempre guardato e cosi ho potuto fare qualche cosa, e non
ho trovato ostacoli, anzi ho avuto aiuti anche dove meno me l'aspettava (").
Un senso piìi preciso al <( mettere da banda ogni politica » è dato dallo
stesso Bonomelli nell'esortazione che aggiunge alla testimonianza di Don Bosco:
Il Sacerdote - egli dice - è mandato da Gesù Cristo <( in mezzo al mondo
per continuare l'opera sua, cioè per ammaestrare, per dispensare i Sacramenti,
per pregare, esortare, ammonire, correggere, consolare e salvare le anime: ecco
la missione che abbiamo ricevuto, ed ecco le armi che ci ha dato per combattere
le battaglie . . . Adoperiamoci a rendere buoni cristiani tutti quelli che sono
affidati alle nostre cute e avremo eccellenti elettori, che si occuperanno con
amore e con zelo intelligente degli interessi inseparabili della patria e della reli-
gione D (").
dopo il '70, soprattutto in conferenze ai Cooperatori o nelle relazioni annuali riportate dal
Bollettino salesiano. L'espressione « ricovero, vitto e vestito » è deile Regole o Costituzioni
della Società di S. Francesco di Sules; 6. il nostro libro l, p. 113 nota 37.
(5') Così DB si sarebbe espresso con Pio IX in un colloquio dei 1867 (M B 8, p. 593).
(") Vari episodi segnalati in Indice M B, p. 332 S. alla voce Politica.
P3)Geremia BONOMELLI, Il clero e la società naodernu (lett. pastorale del 1889) in
. Problemi e questioni del giorno, Milano 1892, p. 306. Questo brano è riportato anche dalle
MB 6,. o h88
("1 BONOMELLI, I2 clero e la societd moderna, l. c., p. 307. Per la storia delle idee
e degli atteggiamenti assunti dai cattolici d'Europa è interessante notare che il Bonomelli
attinge (e lo dice) alla circolare di Mons. Sibour, arcivescovo di Parigi, del 15 gennaio 1851:
Mandement de monseigneur l'archeu8que de Parix, pour développer et confirme? le Déc~et
du Concile de Paris relatil à l'intervention du Clergé duns les uffaires politiques, Paris 1851.
Di questo documento abbiamo trovato qualche esemplare anche a Torino.
Ora, è interessante indagare fino a che punto questi ricordi tardivi di Don
Bosco corrispondano alla documentazione che egli stesso ci ha lasciato prima e
dopo il '48: ricercare le circostanze che in quell'anno << fatale » lo portarono a
scoprire che se voleva fare un po' di bene, dovea mettere da banda ogni poli-
tica D. Di conseguenza avremo elementi per dare il loro giusto valore non sol-
tanto alla prescrizione ch'egli lasciò ai Salesiani, di non far politica; ma anche
ad alcuni fatti che possono lasciare perplessi, come ad esempio, la lettera invia-
ta nel 1873 all'imperatore d'Austria, nella quale suggerisce una serie di allean-
ze e altre misure che, in sé, non possono non definirsi misure politiche.
,6. Conservatorismo fino al 1848
I1 sentimento che si vivesse in tempi difficili pervade le Pastorali di mons.
Fransoni, fin da quando Don Bosco era ancora giovane studente a Chieri. Nel
1833 Giovanni Bosco poteva ascoltare nella pastorale per la quaresima come
i1 papa era preso di mira dai moderni nemici dell'altare e del trono )> ("1.
Nel 1846 per la elezione di Pio IX poteva leggere come i settari prendevano
<< ovunque di mira l'altare, ed il trono D (%) minacciando il più terribile assalto.
La marea dei nemici dava l'idea di un torrente impetuoso ognor più rigonfio »
che minacciava di rovesciar la sua piena sul campo evangelico. Mons. Fransoni
invita ad accomunare le preghiere per il papa e per il re, che vede, entrambi,
'insidiati dai nemici:
Se raccomandato vi abbiamo d'implorar dal Signore i più validi aiuti pel
Supremo Capo e Pastore della Cattolica Chiesa Pio IX, affinché possa glorioso trionfar
negli assalti dei suoi ognora più furiosi nemici, siccome però l'accanita lor guerra ha
insiem per oggetto il rovesciamento dei troni, così lo stesso replicar vi dobbiamo di
fare per l'amato nostro Sovrano il Re Carlo Alberto » ('"1.
All'arcivescovo, come al Nunzio Antonucci e allo stesso Carlo Alberto,
i clamori dei democratici radicali facilmente richiamavano allora i giacobini e
l'idra della Rivoluzione: cioè quanto la letteratura della Restaurazione aveva
(55)
(56)
Lett.
Lett.
pastorale
pastorale
del
del
18
25
febbraio 1833, Torino, Eredi Botta 1833, p. 15
giugno 1846, Torino, Eredi Botta 1846, p. 5:
ST. ravagliano,
è vero, da lungo tempo non represse le brighe, e prendendo ovunque di mira l'altare, ed
il trono ci minacciano il più terribile assalto D E più sopra, p. 4: «Né già ci si opponga,
,che tempi ancor più cattivi si eran quelli, nei quali il Conclave si tenne in a i fu detto
Pio VI1. . . »: si preannunzia il parallelo tra i due Pio, su di esso faran leva i cattolici
per sperare nel trionfo definitivo di Pio IX sui suoi nemici, così come aveva trionfata Pio
VI1 sulla Rivoluzione e su Napoleone.
(v) Lettera pastorale del 7 agosto '47. Torino, Eredi Botta 1847, p. 111. L'arcivescovo
in questo periodo, tenace difensore dei Gesuiti, diviene sempre più impopolare. Si vedano i
documenti evocati da M. F. MELLANO, Il caso Fransoni e la politica ecclesiastica piemontese
,(1848-1850), Roma 1964, p. 54-61.

4.10 Page 40

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
presentato come causa dei mali che avevano aftlitto Chiesa e società, trono e
altare (j8).
Gli scritti di Don Bosco anteriori al '48 rispecchiano tale stato d'animo.
La Storia ecclesiastica, ad esempio, non si sofferma a distinguere che cosa possa
esserci di valido nelle aspirazioni dei sansimoniani, dei maniniani o del lamen-
naisismo, ma guarda unicamente all'atteggiamento eversivo per denunziarlo e
condannarlo.
M a domanda {(fateci conoscere i sansimoniani D, Don Bosco risponde:
« I l conte Claudio di san Simone nativo di Parigi diede il nome a questi moderni
novatori. Passata una parte di sua vita nel mestiere deli'arrni, egli si pose in capo di
stabilire un nuovo cristianesimo, dichiarando perciò guerra alla monarchia e alla reli-
gione. Egli credea in Dio e alla creazione, e subito contraddiceva a se stesso asserendo
la materia essere eterna. Pensavasi che tutto il mondo dovesse ascriversi alla sua riforma,
ma vedendo che le suefatiche gli cagionavano ovunque persecuzioni, cadde in una
tetra malinconia, e nella sua disperazione si tirò un colpo di pistola. . .
Gli errori di Sansimone sono in gran parte seguiti dall'Abate La Menné, il quale
sebbene un tempo abbia scritto a favore della fede, ora traviò con danno della reli-
gione, segue oggidì una dottrina che conduce al Deisrno e direi quasi all'Ateismo » (59).
La religione è il valore che Don Bosco vede insidiato dai « moderni nova-
tori ». Sentita questa alla radice di ogni vero bene e di ogni progresso umano,
di conseguenza condanna persone e movimenti che negano o combattono la Chie-
sa o qualcuno dei suoi insegnamenti. Quanti aderiscono alla Carboneria, alla
Giovane Italia o alla Riforma radicale soiio « moderni nemici della fede », af-
hliati a società che, <( sebbene cangiano il nome, conservano sempre i medesimi
principii, e si possono sempre definire conventicole segrete che mirano al sov-
vertimento dell'ordine civile, morale, e religioso >> (").
Ancora nel 1855 Don Bosco
gione sia il sostegno dei troni, e
si fa portavoce
[sia anche] la
della persuasione che
felicità dei popoli che
llaa orneloi--
rano e ne praticano i precetti »:
« Giuseppe Francesco, riconoscendo che il favorire la religione è il mezzo più po-
tente per conservare gli Stati, e che il disprezzo della medesima ne è ta rovina, cominciò
a stabilire molte cose favorevoli alla religione 1. . .l fece un concordato colla Santa
Sede, con cui donando piena libertà di esercitare il culto religioso, concede alla Chiesa
tutti quei favori e quella protezione che si possono desiderare da un sovrano veramente
cattolico (6').
1
'
(") Cf. N. RODOLICCOa,rlo Alberto negli aimi 1843-1849, Firenze 1943; P. PIRRI,
Pio I X e Vittorio Emanuele I I dul loro curteggio priuato. I. La laicizxurione dello Stato
Sardo 1848-1856, Roma 1944; F. FONZIA, ntonucci (Benedetto Antonio) in Dizioiz. Biogr.
degli Italiani, 3, Roma 1961, p. 591-5933, L'Antonucci (1798-1879)fu a h i n o come Nunzio
dal nov. 1844 al 12 apr. 1851. Sono fonti interessanti per questo periodo GIOBERTIIl,
Gesriitu moderno, Losanna 1847; C. So~nitoDELLA MARGARIITMAe,~no~mdnrsntorico poli-
tico. . . ,. .T.o.r.i.n..o .1X-51-.
(j9i Bosco, Storia ecclesiastica, Torino 1845, p. 375 S.
(W) Bosco, Storia ecclesiastica, Torino 1845, p. 387.
(") Bosco, Storia d'Italia, Torino 1855, p. 522.
Dopo il 1860 il binomio trono e altare (trono e religione) si rarefà nelle
opere che Don Bosco pubblica sotto il proprio nome. Anzi, si può dire, non è
più nel suo vocabolario dell'ultimo quindicennio di vita. Prevalgono altre espres-
sioni, suggerite - del resto - dalla pubblicistica ambientale: religione e pa-
tria("), religione, moralità e patria ("l), buon costume e civile società("). Si ha
comunque l'impressione che il modo di esprimersi di Don Bosco negli scritti
anteriori al '48 rifletta un giudizio di valore comune a quanti nutrivano simpatia
per l'alleanza fra il trono e l'altare nella lotta contro le nuove forze che appari-
vano come originate dalla rivoluzione francese ("). Attorno al '48, ricorda Don
Bosco nelle Memorie dell'Ovatorio << apparve tale un pervertimento di idee e
di azioni, che io non poteva più fidarmi di gente di servizio (66).
7. I1 momento neoguetfo
I1 1848, anno dello Statuto e della prima guerra d'indipendenza, è anche
quello dell'efhera fiammata neoguelfa (&'). Sembrò a molti che si fosse trovata
la via giusta da far percorrere alle aspirazioni nazionali e ai sentimenti di rispet-
to al Papa; si sarebbero convogliati gli sforzi unitari verso una federazione di
stati italiani; il Papa avrebbe mantenuto il suo dominio temporale, non più in
difesa delle -pop- olazioni da barbari invasori, ma a tutela della propria autonomia
di capo spirituale.
Per questo periodo le fonti sull'atteggiamento di Don Bosco sono alquanto
contrastanti. Le Memorie dell'Oratouio nulla lasciano trasparire circa eventuali
entusiasmi patriottici di Don Bosco. Ci descrivono la sua riluttanza a far parte-
cipare i giovani dei due suoi oratori alle cosiddette feste nazionali, celebrate at-
torno alla concessione dello Statuto (febbraiomarzo) e collocano in quel tempo
un episodio abbastanza significativo:
La domenicadopo la festa accennata [una festa nazionale], alle due pomeridiane,
io era in ricreazione coi giovanetti, mcntre un cotaie stava leggendo l'Armonia, quando
(62) Frammento di circolare per PAmico della Gioventù, Torino, Marietti [1848], A S
131.04.
(63) Le scuole d i b e n e b r a de1l'Oratorio d i S. Francesco di Sules in Torino dauanti
al Consiglio d i Stato, pel sacerdote Giovanni Bosco, Torino 1879, p. 4.
(W) BOSCO, Cooperatori salesiani ossia un modo pratico per giovare al buon costume e
alla civile società, S. Pier d'Arena 1877.
(6s) Bosco, Storia ecclesiastica, Torino 1845, p. 370: e D. Quali sono stati gli effetti
della persecuzione contro la Chiesa romana? - R. La persecuzione Francese, come quella de-
- Cglriisitmo.[pLIeOrfialRtooTsroQi6RUsocmShSiTaatnmo]i,rainazozenacvcaflenecosei.a.sa.tlitc»ra.o.,.c.h,eToprrioncour1a8r4e4n,upo.v1o22sp: le«nDdo.rQe uaalllai
Chiesa
furono
di
gli
Gesù
ultimi
sfoni della modernafilosofia? R. Essa incominciò un'aperta persecuzione, che non cedette
né in duratané in ctudeltà a quella dei primi secoli deila Chiesa. I filosofi aveano sparso... p.
(G) M 0 p. 206.
e (67) Per quanto riguarda DB sotto altra prospettiva sono E. VALENTINI, Don BOSCO e le
aspirarioni del Risorgimento; A. CAVIGLIA, La romanità di Don Bosco; In., ,Dpn
ei
orcohirogni sociali dell'epoca; G. MATTADI,on BOSCO e la questione operaia, studi riuniti in Don
e il 48, Torino 1948.

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
i preti soliti ad aiutarmi nel sacro ministero si presentano in corpo con medaglia, coc-
carda, bandiera a tricolore, più con un giornale veramente immorale detto Opinione.
Uno di loro, assai rispettabile per zelo e dottrina, mi si fa davanti e rimirando che a
mio fianco eravi chi tra mano aveva Mrmonia, - Vitupero!, prese a dire. 2 tempo
di finirla con questi rugiadosi. - Ciò dicendo strappò da l'altrui mano quel foglio, lo
ridusse in mille pezzi, lo gittò per terra, e sputandoci sopra, lo pestò e calpestò cento
volte. . . Rimasi sbalordito a quel modo di parlare e di agire. . . » ( a ) .
Risaltano vivaci i sentimenti dei personaggi posti in scena. Don Bosco, non
contrario alla lettura dell'Armonia e gli altri sacerdoti accaniti sostenitori del-
l'Opinione L'Armonia, il battagliero giornale inizialmente clerico-moderato poi
cattolico-intransigente, aveva lihero accesso all'Oratorio. L'Opinione giornale
di u n gruppo di moderati liberali, diretto dal generale Giacomo Durando, fra-
tello del lazzarista, influentissimo a Torino, Marcantonio, era ricordato da Don
Bosco come veramente immorale (").
Ma l'Armonia diede inizio alle sue pubblicazioni il 4 luglio 1848, in tem-
pi non più propizi alle armi piemontesi e italiane in terra lombarda. L'episodio
non può assolutamente collocarsi - come tendono a fare Don Lemoyne e Don
Ceria - attorno alle feste dello Statuto. C'è da chiedersi allora, se i sentimenti
ricordati da Don Bosco nelle Memorie dell'Oratorto indichino adeguatamente,
senza reticenze, tutto i'atteggiamento di Don Bosco: ciò che pensò, ciò che
fece o tollerò nei mesi precedenti allo Statuto, in tempi in cui la maggioranza
del clero ( e anche prelati che poi si staccarono dalla causa nazionale e si mostra-
rono intransigenti) aderì al neoguelfismo e plaudi alla guerra d'indipendenza.
La documentazione che invita a riflettere è anzitutto la qualifica di « gran-
de » che Don Bosco dà a Gioherti nella seconda edizione della Storia ecclesiastica
(18491(70);e in secondo luogo quanto è sopravvissuto dell'Amico della gioven-
- gzornale politzco-religioso, di cui Don Bosco fu gerente responsabile (7').
(a)Mo, p. 219.
(69) Sull'Armonia cf. B. MONTALE, Lineamenti generali per In storia dell'Armonia dal 1848
al 1857 in Rassegna storica del Risorgim. 43 (1956), p. 475.484; e per un contesto più generale:
G. BUSTICOP,er la storia del giornalismo in Piemonte, in Rass. stor. del Risorgim. 24 (1937)
p. 1657 - L. PICCION«~L,a frusta D torinese del 1850, in Rass. stor. del Risorgim. 22 (1935),
p 599-604; Giornalismo del Risorgimento (ed. Comitato Nazionale per la celebraz. della
stampa parlamentare)Torino 1961. Brevi indicazioni sull'Armonia, sull'lstruttore e sull'Amico
in A. WWO, Bibliografia storica degli Stati della Monarchia di Savoio, 1, Torino 1884, n.
3291
e 3293, ma è interessante tutto il prospetto di
(70) A proposito di Pio IX, cf. Bosco, Storia
peecrcioledsiicaistsicoart.i.a.t,toTrnoorinaol
'48.
1848
2,
p.
182:
a I1 gran Gioberti chiama il giorno che lo vide il più bello di sua vita. Gli stessi eretici lo
ammirano e lo lodano. Tutto ii mondo risorge a nuova gloria per questo incomparabile Pon-
tefice. Noi cattolici intanto preghiamo Iddio di agevolargli le vie opportune per impedire i
danni che i malvagi tentano cagionare alla Chiesa, e governarla con nuovi trionfii>.Abbiamo
trascritto vari
gran Gioberti
apgelriiostdeis,sipeerrcehtiéci,cicupiafreannsoengunitaoscNonodi ecartefcoolincdi.it.e.
valutazioni
D.
I'accostamento
del
(71) Si conseivano: 1) il frammento di circolare, Torino, Marietti E18481 citato sopra,
nota 13; 2) la circolare del 1849, stampata dallo Speirani, già del teologo Appendini, ora
presso I'AS 131.04, edita in Epistolario 17; 3) satira contro Brofferio, stampata dallo Spei-
L'Amico, citato da Don Bosco nel Cattolico istruito (1853) e nel Mese d i mag-
gio (1858) ("), scomparve poi del tutto. I1 che non può far specie, se si pensa
che Don Bosco conservò tra le moltissime carte, anche i suoi quaderni di stu-
dente a Chieri e molti altri brogliacci di poca entità. Unicamente sono sopravvis-
sute due circolari (un frammento di quella che ne annunzia la pubblicazione
e una che sollecita pagamenti) e uiia satira in versi contro Brofferio, stampata
da Speirani come estratto dell'Amico della gioventù. Altro materiale riguardante
l'Amico sono alcuni elenchi di associati e l'incartamento del processo intentato
dallo Speirani a D o n Bosco dopo il fallimento del giornale, avvenuto ai primi
di maggio 1849, dopo il 61" numero. . .
Nel maggio l'Amico si fuse con l'Istruttore del popolo, fondato il 2 feh-
hraio 1849 e stampato dallo stesso Speirani (").
L'Istruttore per tutto l'arco di tempo in cui convisse con l'Amico era di
tendenze costituzionarie. Dal neoguelfismo giohertiano iniziale, passò a un mo-
deratismo progressista, rispettoso delle autonomie politiche e municipali, sulla
linea d i Cesare Balho e di Massimo d'Azeglio, perciò anche - per quanto riguar-
dava la causa nazionale - antiaustriaco:
« N o i - si leggeva sull'articolo di fondo del 2 febbraio 1849 - teniamo per
fermo. che sebbene d i italiani possano andare divisi sulle questioni secondarie, son
tutti dLccordo in quella dell'indipendenza.
Fuori l'austriaco, è il grido d'ogni buon cittadino dalle prime alpi all'estrema
Sicilia ...
Noi vogliamo all'interno una monarchia circondata di istituzioni liberali, o ciò
che noi crediamo lo stesso, lo statuto con tutte le modificazioni progressive volute
dalla ragione e dai tempi. Noi crediamo che l'eterno creatore degli uomini, e delle
cose abbia detto alle umane istituzioni, come ai fluiti del mare fin qui giugnerete, e
qui romperete l'orgoglio dei vostri disegni; perché a lato del progresso della libertà,
noi crediamo debba camminare un principio d'ordine, il quale serva di argine agli
straripamenti della volontà popolare; e difenda le sue stesse sovranità contro i suoi
proprii eccessi.
È in questo senso che noi crediamo vada inteso il principio della sovranità na-
zionale, che noi così distinguiamo dalla sovranità del popolo, cioè un principio di
reni, in AS 134; 4) processo relativo all'hico: incartamento anche con scritture autogr. di
DB, in AS 112 Processi-Speirani; 5) elenchi di sottoscrittori e altri appunti in AS 132 Qua-
derni-taccuini.
Un annunzio di pubblicazione è dato daUa Gazzetta piemontese 26 ottobre e 1" novem-
bre 1848: «L'amico della gioventù - Giornale religioso, morale e politico, che si pubblica il
martedi, giovedì e sabato. - Le associazioni si ricevono in Turino dall'editore Giacinto Ma-
rietti, nelle provincie dagli ufficipostali. Prezio per tre mesi in Torino L. 3; nelle provincie
del Regno, franco per la posta, L. 4,50, ed all'esrcro, franco ai codni, L. 4,50. La si trova
esaminato in una rassegna del periodico satirico Il Fischietto, 28 dicembre 1948, dal titolo
Fisiologia del
torinese. Alcune inesattezze delle MB 3, p. 479-489 sono corrette da
E. VALENTINLI'i,talianitd di Don Bosco, p. 20-22.
(n)Bosco, Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 9, ed. C ,p. 16; 11 mese di maggio, g. 20,
esempio, Torino 1858, p. 122 S.
(73) La collezione dell'lstruttore è presso le Bibl. Civiche di Torino.

5.2 Page 42

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
ordine concentrato nella monarchia ereditaria della Casa di Savoia, ed un principio pro-
gressivo di libertà, rappresentato dai concorso del popolo nel fare le leggi col mezzo
della parlamentare rappresentanza, e siccome è l'unione di questi due elementi che noi
crediamo indispensabile per la felicità della nazione, noi non riconosciamo né nel po-
tere monarchico, né nel potere del popolo il diritto di cambiarne le basi, poiché una
nazione non ha maggiore diritto di distruggere la sua costituzione fondamentale, di
quello che spetti ad un individuo la facoltà di distruggere la propria esistenza.
A fronte di questi principii noi crediamo non solo pericolosa, ma anche antipoii-
tica, antinazionale la convocazione di una costituente italiana con mandato illimitato,
nel mentre aderiamo di buon cuore a quelia predicata da Gioherti per trattare i comuni
interessi, salva I'antonomia dei singoli stati d'Italia.
Del resto code intimamente connesse coi popolari interessi, noi difendiamo le
istituzioni municipali le più larghe possibili, le libertà e la indipendenza della Chiesa
dirimpetto allo stato, la libertà di insegnamento sotto la di lei sorveglianza, e tutte
insomma le provvidenze vantaggiose all'incremento morale, intellettuale, ed econn-
mico, della classe più numerosa della società » ('9
Sullo stesso numero il « gran filosofo n Gioberti è difeso quale « cattolico
dalle ferme convinzioni » contro quanti lo avversavano o gli attribuivano senti-
menti ch'erano in realtà di gruppi giobertiani poco fedeli. Anche l'Istuuttore
prende posizione contro i radicali e in particolare contro Angelo Brofferio, defi-
nito fulmine di eloquenza, eroe magniloquente nel consesso subalpino. Dal n"
69 (mercoledì 2 maggio) l'Istruttore assunse il sottotitolo L'Amico. Si è ormai
dopo la disfatta di Novara (23 marzo), sono gii avvenute l'abdicazione di Carlo
Alberto e l'armistizio (26 marzo); proseguono le trattative della pace, che sarà
sancita il 6 agosto. I1 Piemonte attraversa ore tristissime, rovinato economica-
mente e politicamente dalla guerra. Al fallimento della politica neoguelfa se-
guiri il declino dei gruppi moderati e la scena politica dopo il '51 sarà domi-
nata da Cavour e dalla destra liberale. Al fallimento dei fogli neoguek?, segui
quelio di varie pubblicazioni moderate, come l'istruttore del popolo, che chiu-
se i battenti nel dicembre 1850.
I1 fatto che l'Amico si sia fuso con l'Istruttore potrebbe indurre a conclu-
sioni precipitose: entrambi i giornali erano del medesimo indirizzo. Ma può
darsi, invece, che i motivi che portarono alla fusione siano stati di ordine diver-
so. Per Don Bosco furono forse, soprattutto, di ordine finanziario. E può darsi
che la situazione fallimentare l'abbia indotto ad accettare condizioni imposte da
altri, ad esempio dallo stampatore, interessato a conglobare gli abbonati del-
l'Amico con quelli dell'altro foglio che usciva dai suoi torchi. Quel che è
sicuro è l'atteggiamento antiradicale di Don Bosco prima e dopo il '48 e il fa-
vore costante per l'Armonia e per il suo brillante redattore Don Giacomo Mar-
gotti. Le circolari superstiti delllAmico, inoltre, nel contesto delle preoccupazioni
progressiste del momento, ci mostrano il posto che occupano i giovani. Essi
erano la porzione « favorita del genere umano, su cui erano riposte le speran-
ze della patria, la prosperità delle famiglie e l'onore della Religione ». Quanto
(74) L'articolo è sottoscritto: avv. Casanova.
Don Bosco scriveva ai parroci e ai padri di famiglia, alla ricerca di abbonati,
poneva in rilievo la concretezza del suo ideale educativo, che pur venendo in
buona parte da inclinazioni native e dalla formazione ecclesiastica ricevuta, si
inseriva nelle urgenze etico-religiose del momento storico che attraversava.
8. Sentimenti antiradicali e antiprotestantici dopo il '48
I1 Quarautotto nella tradizione piemontese divenne sinonimo e simbolo
di sommovimento; per la tradizione conservatrice è simbolo di sommovimento
tumultuoso, quasi satanico. L'abolizione della censura ecclesiastica, decretata il
30 ottobre 1847, e l'imposizione generale di quella civile aveva avuto come con-
seguenza negativa il sequestro di una pastorale di mons. Fransoni, che lasciava
trasparire contro il liberalismo, le società patriottiche e le aspirazioni costitu-
zionarie i termini con i quali si era espresso mons. Chiaveroti dopo i moti del
marzo 1821 (75).Tale avvenimento era stato appena l'avvio di un'altra serie
di riforme strutturali, eseguite in nome della libertà civile e del progresso. Nel
'48 ventie dichiarata la libertà di culto; nel '50 fu abolito il foro ecclesiastico;
nel '55 venne costituita la Cassa ecclesiastica con i fondi di corporazioni eccle-
siastiche soppresse; nel '59 furono comminate pene ai ministri del culto che face-
vano pressioni morali sui cittadini in occasione di suffragi elettorali.
Le riforme spesso si basavano su principi giuridici e di giurisprudenza
elaborati dal giurisdizionalismo regalista o episcopalista. Mons. Fransoni, ad
esempio, venne più d'una volta denunziato per abuso di potere, in termini che
ricordavano il classico appello per abuso. Lo Stato, sentito fino al '48 come
protettore della Religione cattolica, ormai, volutamente o no, si desacralizzava
e l'opinione cattolica conservatrice si sentiva in angustia ("): conservava senti-
menti di venerazione per la sacra persona del re e per l'autorità pubblica me-
diante distinzioni e richiami ai monito di S. Pietro, obbedite e portate rispetto
ai superiori (n).
Tutto assumeva il valore di sintomo della profonda trasformazione anche di
mentalità, riguardo a cui l'atteggiamento suggerito da Roma e seguito non solo a
Torino, era quello dell'intransigenza, nel timore che il lasciar rimuovere la più
piccola pietra, avrebbe prodotto una irrimediabile falla nella diga contro lo spirito
sovversivo anticristiano. I n altri termini, i conservatori avvertivano che bisognava
(75) Pio IX h quella circostanza si sarebbe manifestato dolente per l'irrigidimento dei
vescovi piemontesi e in particolare per le dimissioni di mons. Charvaz da vescovo di Pinerolo;
incline, invece, ad approvare l'atteggiamento di Carlo Alberto. Cf. MELLANO, Il caso Fran.
soni, p. 51 S.
(76) Questi stati d'animo sono posti in rilievo specialmente da A. C. JEMOLCOh,iesa e
Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1855 e Il «partito cattolico » piemontese nel
. 1835 e la legge sorda soppressiva delle comunità religiose in Rass. star. del Risorgina. 11-12
(1918-19)p. 1-52, ora in Scritti vari di rtoria religiosa e civile. . , Milano 1965.
(7)Cf. Verbali del primo Capitolo genera!e dei Salesiani (1877),autogr. di Don Barbe-
ris, parole di DB (AS O46), riportate da MB 13, p. 288. Al testo 1 Pt. 2,123 DB dà un
senso accomodatizio.

5.3 Page 43

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
star fermi sui principi, non fare concessioni alla « rivoluzione », riconquistare
alla Chiesa i figli ribelli, ridarle autorevolezza, non solo per motivi di prestigio e
per il progresso che ne sarebbe venuto alla società, ma anche per dare efficacia
alla missione di salvezza ch'essa doveva continuare a svolgere anche in quei tri-
stissimi tempi.
I Fransoni di Friburgo, di Colonia, di Poznan-Gniezno si chiamavano allora
Moriiley, Droste, Dunin. Ma fu possibile raggiungere soluzioni meno disastrose
di quella di Torino, il cui arcivescovo fu arrestato, processato, esiliato e mai più
desiderato dalle classi politiche dirigenti (7s).
I vescovi de'la provincia ecclesiastica di Torino, riunitisi a Villanovetta (Sa-
luzzo) nel 1849, cercarono di cogliere gl'insegnamenti delle amare esperienze qua-
rantottesche. C'erano stati vari mali: « l'abuso indegno della stampa, le conse-
guenze terribili del libertinaggio, gLi ormri dell'empietà e dell'anarchia P. Ma que-
ste cose fecero aprir gli occhi anche ai più ciechi amatori di libertà, i quali ai
brevi sogni dell'illusione videro succedersi la lunga veglia del disinganno e del pen-
timento; e confessarono, che senza Dio e senza Religione non v'è né freno, né or-
dine, e la società non è, che un caos di errori, ed un abisso di calamità spaven-
tose (l9). Gli ultimi sconvolgimenti s erano serviti alla « più aperta separazione
de' buoni dai rei ». Come Dio fece scaturire dalle tenebre la luce, e il bene
dal male, purgando la sua mistica vigna dalla zizzania, che la contaminava D, così
Dio permise chesi dilatassero maggiormente le tenebre per confondere i nemici
colle opere delle tenebre stesse, e difendere la Chiesa colle armi de' suoi stessi
avversari >> ("j.
Ormai bisognava porsi al disopra degli avvenimenti e vederne il loro valore
di annunzio di un'era nuova: L'età nostra - ai-fermavano i vescovi - sem-
bra come posta in mezzo ad ordini vecchi di cose, che vanno cadendo, e ad altri
nuovi che sorgono; divisa fra le memorie del passato, e gli incerti desiderj del-
l'avvenire, e perciò del continuo agitata da speranze e da timori, e da un certo
indefinito e tormentoso desiderare, che affannosamente la combatte » ('l).
Si guardava all'esempio che veniva da vicino e da lontano: Negli Stati
Uniti d'America, e nella Germania i vescovi si adunarono in Sinodi per tutelare
la fede, richiamare al pristino splendore la disciplina ecclesiastica, riformare i co-
stumi, rivendicare i diritti e la libertà della Chiesa. L'esempio loro fu seguito dai
Vescovi della Savoia, cominciò ad imitarsi da quelli del Piemonte, continuerà ad
emularsi in tutte le Provincie, e finirà presto, come speriamo, per avere il suo
compimento in un Concilio Nazionale; e così se lo Stato ha il suo Parlamento in
(x)L'accostamento è fatto, ad esempio, da G. GIIISERnIella recens. a M. F. MELLANO,
Il caso Fransoni . .., in Riu. di storiadella Chiesa in It. 21 (1967), p. 263.268.
(79) I vescoui della provincia ecclesiastica di Torino insieme congreg~tial venerabile
clero e al dilettissimo popolo delle loro diocesi (Viilanovetta, 29 luglio '49). Torino, Marietti
.-- , 184,8 n ,8.
(80) I vescoui della prou. eccl. di Torino, p. 9.
I vescovi della prou. eccl. di Torino, p. 12.
azione, lo avrà pure la Chiesa per tutelare ad un tempo nei limiti delle proprie
attribuzioni gli interessi della società cristiana e civile >> ('l).
I1 Sinodo nazionale rimase appena un progetto, ma l'averlo programmato po-
teva considerarsi il segno di un sentimento unificatore, di un serrate le file, a cui
la nuova crisi di civiltà europea spingeva la gerarchia e preludeva da una parte al
concilio Vaticano primo e dall'altra all'organizzazione dei cattolici awiatasi de-
cisamente dopo il '70. Dalla riunione di Villanovetta derivarono tuttavia altri
frutti più immediati e concreti: il senso dell'unione tra i vescovi e tutta la gamma
di stampa che doveva formare l'opinione pubblica cattolica insieme a1l'Armonia:
la Collezone di buoni libri (dispensa I , 1"settembre 1849); La Campana (n. 1,
30 marzo 1850); la Biblioteca eccleszastica (1852) e finalmente le Letture Calto-
liche (1"marzo 1853) (83).
Queste ultime nascevano sotto la protezione, con il sostegno e il suffragio
dell'epis~o~atsoubalpino. Don Bosco ci tiene a sottolinearlo (?. Ma soprattutto
si appoggiavano al vescovo d'Ivrea, mons. Moreno, e a mons. Losana, vescovo
di Biella.
Non è facile dire in forza di quali accordi nella collana delle Letture Catto-
liche siano apparsi fascicoli reazionari e abbastanza irritanti come il Catechismo
cattolico sulle vivoluzioni (1854) o qi~ellodel barone Nilinse come si rubino i
beni della Chiesa (1855) e come il furto pubblico sia stato, anche in Piemonte,
causa di pubblici castighi divini (a).Nemmeno è facile stabilire a chi siano do-
vute alcune presentazioni alquanto esplosive e intransigenti. È possibile tuttavia
rilevare consonanza di idee e coincidenze con pagine elaborate da Don Bosco, o
per lo meno, da lui sottoscritte ad esempio nel Cattolico istruito. , ..
Le pagine dove più netta appare la persuasione che religione e rivoluzione
siano inconciliabili sono quelle premesse al Catechismo cattolico sulle vivolu-
(82) I vescovi della pro". eccl. di Torino, p. 10.
(83) Come la Campana, anche le Letture Cattoliche risentono della fondazione dei pe-
riodico vaidese La buona novella, &e'bbe inizio a Torino, tip. degli Artisti A. Pons e C.,
nel 1851 con il sottotitolo: giornale dell'evangelizzazione italiana, diretto da J. P. Meille. Su
di
e~s-s~o~
si
~
veda
V.
VINAY.
Luigi
Desanctis
e
il
movimento
evangelico
fra
gli
Italiani
durante
i!
Risorgimento, Torino 1965. -
(84) I1 «Piano dell'associazione alle Letture Cattoliche » avvertiva: << Nelle città e iuu-
ghi di provincia le associazioni si ricevono da quelle persone, che sono designate dai rispettivi
Ordinari Diocesani S. A Ivrea tale u5cio era svolto dallo stesso vicario generaie. I1 vescovo
di Bieila raccomandò ie LC con una apposita circoiare (cf. LC a 2, fasc. 1, pp. 111-VIII).
(a)Sui castighi in Piemonte ha un'appendice l'opuscolo dei barone di Nlinse, I beni
della Chiesa come si rgbino.. . , Torino 1855, p. 76-83: « 1815. - Si ottiene la facoltà di ven-
dere, e si ordina ia vendita di beni ecclesiastici, per i bisogni dello Stato. Pessimo raccolto,
obbligo di far la guerra, che porta seco la rovina delle fianze, e delle provincie occupate
dalle truppe. Dio ci iiheri dagli altri mali. - 1828. - I l Re Carlo Felice rende alla Chiesa i
. beni che prima erano stati tolti, e rappresenta allc chiese i capitali dovuti. Cessano ie guerre:
fertiiità nelle campagne: fiorisee il commercio.. 1850 4 maggio. - L'Arcivescovo di Torino è
posto in cittadella. Nei giorno stesso una rigida brina secca le erbe, i gelsi, e perfino alcuni
aiberi.. ca-gionando danni ai Piemonte dai 15 e più milioni. (Le cose pitì recenti si tacciono
perché tristamente troppo note a tutti) ».
83

5.4 Page 44

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
zioni. Il discorso al lettore comincia con il quadro dei tempi difficili e dei << tristi
casi » che possono provocare le rivoluzioni, di cui il cattolicesimo non è n6 pro-
motore né connivente:
La ragione fondamentale, per cui il cattolicesimo non verrà mai a favorire le
rivoluzioni consiste in ciò, che tutti sono vincolati ad un'autorità certa, che è la
Chiesa, e questa Chiesa, appoggiata alle Sacre Scritture, dice a tutti i fedeli: ubbidite
aiie legittime autorità; chi resiste ali'autorità resiste a Dio, da cui ogni autorità di-
pende. E poiché i fedeli devono uniformarsi a questa sentenza, ne segue che niun
buon cattolico sarà partigiano deUe rivoluzioni D (86).
Quanto abbiamo riferito non è contrario, ma anzi sostanzialmente in linea
con quanto Don Bosco scriveva nel 1845 nella Storia ecclesiastica sul demonio
che, << sotto il manto di società segrete, di moderna filosofia, eccita ribellioni,
suscita sanguinose persecuzioni ("1. Si comprende poi come in tempo di pro-
selitismo valdese ed evangelico Don Bosco accosti i moderni novatori agli eretici
protestanti e polemicamente. Ancb'egli, come mons. Charvaz o l'abate Martinet
o mons. Rendu, denunzia il protestantesimo quale nemico dei trono e deli'altare,
tendenzialmente anarchico e regicida. Secondo il Cattolico istruito proporre il
principio del libero esame, è come dire: « fatevi una religione ad arbitrio,
I . . .l fate quel che volete; rubate, disobbedite, trucidate il vostro Re, i mini-
stri, e chiunque paia colpevole agli occhi vostri, voi farete certamente bene,
purché crediate di far buone azioni » ("1. « I1 protestante - si legge nella pre-
fazione al Catechismo cattolico sulle rivoluzioni - se vuole essere conseguente
a se stesso, deve dire: l'unica mia autorità è la ragione. Quindi via ogni di-
pendenza religiosa, via ogni convenzione sociale, via ogni ordine, ogni legge, via
ogni autorità: la mia ragione e non altro; la sola forza mi farà ubbidire. Che
anzi: se venisse a capriccio di uno o più protestanti di fare una congiura, di ucci-
dere un loro superiore, fosse lo stesso sovrano, potrebbero farlo, purché loro
sembri cosa buona D ( 9 .
Accostati a queste espressioni, gli appelli di Don Bosco per la educazione
della gioventù acquistano un senso più preciso. Si tratta di salvare i giovani d a
Chiesa, a Dio, alla vita eterna, ma anche di sottrarre alla rivoluzione la possibilità
di rinnovarsi, e di preparare le giovani generazioni ad inserirsi come buoni cri-
stiani e onesti cittadini nella società. L'immagine del torrente impetuoso che si
leggeva in una pastorale di mons. Fransoni del 1847, la si ritrova anche nella
(86) [Seraho SOKDSI,. J., 1793-18651,Catechismo cattolico sulle rivoluzioni, Torino
18545, p. 3: Al Lettore. SOMMEXVCBGiEblLio;thèque de la Comp. de Jésurs, t. 7, cl. 1389 S.
cita un'edizione del 1832. Quella delle LC nella prefazione da noi ricordata cita le Letture
Cattoliche, fasc. 12 (Il Cattolico istruito, p. 245-3401; e in nota, Milner, citato su Il catto-
lico istruito, p. 305 e aggiunge una citazione dagli Annales Catholiques de Genèue, décem.
1253
.,,"A
BOSCO, Storia ecclesiastica, Torino 1854, p. 287 S.
(@) BOSCO, Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 37, p. 284.
(89) [SORDII]l, catechirmo cattolico sulle rivoluzioni, Torino 1854, p. 4
premessa a un fascicolo delle Letture Cattoliche del 1854: compito dei buoni è
opporsi «con tutta attività e con tutti i mezzi Ieciti ed onesti al torrente che
tenta travolgere nelle corrotte sue onde la Società e la Religione ». L'unionedelle
forze darà << la consolazione un giorno di vedere i nostri nemici, i nemici della Fede
Cattolica e della Società, o convinti dei loro errori, delle loro utopie convertirsi e
unirsi a noi; o scornati e confiisi ravvolgersi nel fango della loro sconfitta, in-
capaci di più nuocere )> (*). È, questo, il programma intransigente, che muove
il << partito clericale » nelle elezioni politiche e amministrative fino al né eletti,
né elettori del 1861 e ai non expedit del 1871, interpretato poi come proibi-
zione nel 1886.
I1 1854 è l'unico +nno in cui sul Galantuomo si trova l'invito: votare, vo-
tare bene, votare tutti. << Nessuno ha il diritto di non votare, perché nessuno ha
il diritto di non salvare la sua patria. Non votare è atto di cattivo cittadino.
Votar male è un delitto n. L'elemento religioso sopravviene come criterio essen-
ziale di valutazione: il cattolico che va aiie urne per eleggere i deputati o i con-
siglieri comunali deve guardare soprattutto se i candidati abbiano « buon senso,
esperienza d'affari e religione » (9').
L'antipatia di Don Bosco per lo spirito rivoluzionario è posta in piena luce
dalle sue pagine sulle perquisizioni subite dopo il 1860. Quelli che egli chia-
mava liberali democuatici o semplicemente Italiani, saiebbero i responsabili di
tutti i mali della società e della Chiesa in Italia, essi avrebbero promosso << 10
spirito di rivoluzione cominciando dalla reggia. dei sovrani fino al tugurio del
rozzo contadino e del povero artigiano »:
Soppresse le corporazioni religiose dell'uno e dell'altro sesso, messo in non cale
ogni legge della Chiesa e l'autorità del medesimo Pontefice, abolito il foro ecclesiasti-
co, incamerati i beni delle collegiate, dei seminari e delle mense vescovili, furono an-
che invasi nella maggior parte gli Stati della Santa Sede. I reggitori delle cose pub-
bliche, per incuter terror a tutti e far vedere che temevano nissiino, diedero principio
ai domicili coatti e alie perquisizioni » P2).
Di fronte ai reggitori delle cose pubbliche, come di fronte alla rivoluzione,
il giudizio di Don Bosco non cambia. I detentori dell'autorità metitano rispetto,
perché l'autorità viene da Dio; ma i cattivi rcggitori dei tempi presenti, come
quelli dei secoli passati, saranno colpiti dalla giustizia di Dio. L'insidia diabolica
ai danni di Don Bosco e deil'Oratorio, manifestatasi pesantemente con le perqui-
sizioni, è, come altri fatti straordinari, segno che l'oratorio è opera di Dio, invi-
diata dal demonio; ma le forze dell'inferno non prevarranno e, come per la
(9) Ai nortri arrociati, appcllo della direzione delle LC premessa al fascicolo Ai conta-
dini. Regole di buona condotta per la gente di campagna utili a qualsiasi condizione di per-
sone, Torino 1854, p. 6-7.
(9') 11Galantuomo. Alman~cconmionale pel 1854, Torino 1853, p. 86-88.
(92) Autogr. di DB, AS 132 Perquisizioni,p, 1-2; ci. MB 6 , p. 550. DB adopera in senso
dispregiativo i termini democratico e democraticone in due lettere a Pio Galleani d'Aglianu,
Torino, 13 e 14 agosto 1855 (Episto!ario 107 s).

5.5 Page 45

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Chiesa anche per l'opera d i Don Bosco le vessazioni sono presagio di futuri trion.
fi. D'altra parte si hanno elementi a sufficienza per rendersi conto come
Bosco sia tra coloro che giudicano i fatti che portarono alllunificazione nazionale
da u n punto di vista religioso e non riescono a sottacere il giudizio di condanna
sulle Persone e sulle fazioni che unilateralmente tolsero alla chiesa e al papato
in Italia posizioni di privilegio.
9. La questione romana
Ovviamente 6 o u Bosco non può accettare e giustificare una qualsiasi mossa
mazziniana, garibaldina o «italiana D, volta a spogliare il Romano Pontefice dal
suo dominio temporale.
« Noi - aveva affermato Cavour nel programmatico discorso del 2 5 marzo
1861 al Parlamento - dobbiamo andare a Roma, ma a due condizioni, noi doh-
biamo andarvi di concerto con la Francia, inoltre senza che la riunione di questa
città al resto d'Italia possa essere interpretata dai cattolici, in Italia e fuori, come
il segnale della servitù della Chiesa. Noi dobbiamo, cioè, andare a Roma, senza
che perciò l'indipendenza vera del Pontefice venga a menomarsi. Noi dobbiamo
andare a Roma senza che l'autorità civile estenda il suo potere sull'ordine spiri-
tuale. Ecco le due condizioni che debbono verificarsi perché noi possiamo andare
a Roma senza mettere in pericolo le sorti d'Ital-i-a » fg3\\
Ma come garantire l'indipendenza vera del Po\\nte2 f. ice, se non con un qual-
che dominio temporale? Don Bosco nella Storia ecclesiastica sulla linea del
Loriquet aveva lasciato trasparire la sua disapprovazione per quanto era awe-
nuto a Roma nei tempi della Rivoluzione e dell'Impero napoleonico. Dopo Ie
rivoluzione romana del 1849 affrontò esplicitamente l'argomento del potere tem-
porale nel Cattolico tstrutto (1850) e accennò al « gran tumore » che i Protestanti
e i «moderni increduli » menavano contro il dominio temporale dei Papi (*).
Nella Storia d'Italia dedica all'argomento un intero paragrafo, esprimendovi
quanto è possibile trovare in molta pubhlicistica cattolica del tempo (95). I1 do-
« Era la terza spogliazione che la politica cavouriana faceva al programma repub
blicano n: cosi notava Stefano Jacini, ponendo in luce una delle urgenze che premevano sul
concreto senso politico di Cavour, puntare su Roma voleva dire incanalare nelle forze nazi*
nali monatchiche molti spiriti che diversamente avrebbero aderito a Mazzini o a Garibaldi.
Cf. JACINIL,a questione romana al principio del 1863, Torino, Pomba, p. 14-23.
(94) BOSCO, 11 cattolico istruito, pt. 2, tratt. 11-13: Dominio temporale dei Papi; La
S. Scrittura non è contraria al dominio temporale dei Papi; Aicune obiezioni dei moderni con-
tro al dominio temporale dei Papi.
(95) Cid, le moltissime pubblicazioni venute nel periodo della Rivoluzione francese, at-
torno ai moti del 1831, ai progetti #incameramento del 1848 e alla rivoluzione romana del
1849. L'ispirazione era spesso settecentesca: da opere relative alle manimorte o alla chinea
(Mamachi, ecc.) ail'opuscolo sul dominio temporale del Papa del gesuita Alfonso Muzzardli
(1749-1813)edito a parte o nell'opera maggiore Il buon uso della logica in materia di reli-
gione, più volte stampata (SOMMERVOGBEibLl., de la Comp. de Jésus, t. 5, d. 1493-1495).
Una discreta bibliografia,che comprende anche opuscoli, è data da G. MORONDI,izionario di
minio temporale, egli scrive, lungi dall'essere contro lo spirito evangelico, è frutto
di un disegno provvidenziale. Le circostanze hanno fatto si, che il Papa divenisse
sovrano d i un territorio che gli garantiva l'autonomia necessaria per svolgere il
suo compito d i padre di tutti i credenti e vicario d i Cristo: « Se per supposizione
in questi tempi il Romano Pontefice non fosse re, e ch'egli, come capo del
cattolicesimo, dovesse comandare qualche cosa contraria ai voleri di quel
sovrano, di cui fosse suddito, potrebbe forse avere libera relazione co' re cat-
tolici d i tutto il mondo, quando, come per disavventura potrebbe accadere,
diventasse suddito d i un re eretico o persecutore del cristianesimo? ». Riguardo
al dominio temporale Don Bosco va ancora oltre:
« Tale dominio temporale non solamente appartiene ai sudditi degli Stati Romani,
ma si può chiamar proprietà di tutti i cattolici, i quali come ilgli affezionati, in ogni
tempo concorsero e devono tuttora concorrere per conservare la libertà e le sostanze
del capo deUa cristianità » (%).
Dunque nemmeno il Papa avrebbe potuto rinunziare a territori sui quali
non soltanto gli abitanti, ma tutti i cristiani avevano un certo diritto d i pro-
prietà? Per quanto singolare, questa era anche l'argomentazione che Pio IX
portava in documenti del 1860, di cui le Letture Cattoliche si fecero eco nel
1867:
«Noi. diceva Pio IX, non possiamo cedere ciò che non è nostro; Noi non pos-
siamo rinunziare alle provincie apparienenti al nostro pontificio dominio senza violare
i solenni giuramenti da cui siamo legati, senza recare ingiuria a tutti i cattolici; diffi-
coltà insuperahili c'impediscono cotesta cessione » (n).
erudizionc storico eccleriastica, 67, Venezia 1854, p. 268-332, voce: Sovirinità de' Romani
Pontefici e della S. Sede. - Per quanto riguarda la Storia d'ltalia di DB è possibile trovare
coincidenze non soltanto con passi della Civiltd Cattolica e del Moroni (ci. A. CAVIGLIA, in
Opere e scritti editi e inediti di Don Bosco, 3, Torino 1935, p. 548 s; 556-558),ma anche con
il Muzzarelli, con il savoiardo A. MARTINET (1802-1874), L'arche du peuple, par Platon-
Polichinelle, entretien 21", t. 2, Parls 1851, p. 39-53 e con pagine della Armonia.
(96) Bosco, Storia d'ltalin, Torino 1855, p. 213 s.
(97) P, BOCCALANDDRelOd,ominio temporale del Papa, conversazioni tra uno studente
ed un professore, Torino 1869, p. 102-104, che cita l'enciclica 19 gennaio e l'allocuzione 28
settembre 1860.
L'appello alla volontà dei cattolici di tutto il mondo ha l'aria di essere una ultima ratio
per fermare gli «italiani R e ricordare loro che avranno da fare (forse anche militarmente) con
cattolici di altre nazioni. Messo alle strette, DB evade dicendo che, se il papa consente ai
piemontesi, anch'egli sarà contento di dire loro di andare a Roma. Significativo è quanto si
legge sulla Cronaca di Don Bonetti (Annali 111, AS 110 Bonetti 4, p. 20-24): «Luglio 7
[1862]. Stasera trovandoci con Don Bosco cercammo di farlo discorrere &e d'imparare il
modo col quale dobbiamo regolarci in questi tempi così calamitosi, e senza che esso se ne
accorgesse venimmo a estrargli di bocca quanto segue: - Quest'oggi mi sono trovato in una
casa dove ero circondato da una schiera di democratici. Dopo aver parlato di diverse cose
indifferenti,il discorso cadde sulle cose politiche del giorno. I1 fatto si è che quei liberaloni
volevano sapere che cosa pensasse Don Bosco dell'andata dei Piemontesi a Roma e di ciò
lo interrogarono. Don Bosco vedendo che il mettersi a discorrere di tali cose e con gente tale
era lo stesso che sfiatarsi senza trarne alcun vantaggio, rispose subito recisamente: io dirò

5.6 Page 46

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
L o stesso anno la tipografia dell'Oratorio ristampava un opuscolo del ve-
scovo di Mondovi, mons. Ghilardi, dal titolo quanto mai polemico: L e aspira-
zioni riuoluzzonarie a Roma avversate da tutti i diritti, esecrate da t u t t i i buonz,
maledette d a t u t t i i santi ("1; a Roma le leste commemorative del martirio d i
S. Pietro riunivano centinaia di vescovi e migliaia d i pellegrini che volevano in
tal modo attestare la propria devozione a1 papa. I1 1"luglio, ad esempio, giorno
di canonizzazione, la basilica di S. Pietro era gremita. « All'offertorio - rife-
riva a Torino l'Unità Cattolica, il nuovo giornale del Margotti - fu cantato il
T u es Petrus d a seicento voci divise i n tre cori, uno al fondo sopra l'ingresso,
uno alla confessione, e uno alla ringhiera della cupola, composto tutto di voci fan-
ciullesche I.. .l. I1 non praevalebunt finale riusci maravigliosamente. L'avreste
detto l'eco della parola del Verbo di Dio ripetuto da tutte le creature. E questa
parola è vera in eterno D("). Don Bosco in quel tempo - stando a quanto egli
stesso avrebbe asserito dopo la breccia di Porta Pia - era già persuaso sulla {al-
lacia delle speranze espresse dall'Unità Cattoltca o da altri a Roma e altrove. Noi1
per questo però cambiò idea nei riguardi del potere temporale:
«Questo potere temporale - si legge sull'opuscolo La Chzesa cattolzca e la sua
gerarchia - sebbene al Papa non sia necessario assolutamente, gli è tuttavia neces-
sario relativamente, avuto cioè riguardo alle condizioni dei tempi. Egli difatto circon-
dato da tanti ostacoli, che gli si mettono innanzi anche come a capo della Chiesa Cat-
tolica, non potrebbe liberamente, come si conviene, governare la Chiesa, provvedere al
bene delle anime che gli sono affidate, se non fosse indipendente da qualsiasi potere
civile, da qualsiasi sovrano » ('m).
loro subito quel che penso: io sono coi Papa, sono cattolico, obbedisco al Papa ciecamente.
Se il Papa dicesse ai Piemontesi venite a Roma, allora io pure direi andate; se il Papa dice
che l'andata dei Piemontesi a Roma è un latrocinio, allora io dico 'lo stesso. Ma si misero a
gridare: Sit rationabile obsequium uestrum. - Si, sia pure ragionevole il vostro ossequio nel
modo per esempio con mi dobbiamo dire le nostre orazioni mattina e sera, sul modo che
dobbiamo tenere nel fare un po' di meditazione ogni giorno, in queste ECi altre shili cose
sit rationabile obsequium uestrum: ma in cose che riguardano ad un dogma di fede, allora se
vogliamo essere cattolici, dobbiamo pensare, credere come pensa e crede il Papa. - Ma ci dica
almeno quello che pensa suUe possibilità di questa andata. Ecco quel che io penso, e quel
che loro dico: 2 un sogno che i Piemontesi vadano a Roma, è un sogno che i Piemontesi
qualora andassero vi potessero rimanere, e infine dico che almne volte anche sognando uno
può rompersi la testa. Diedero uno scroscio di riso, e si mostrarono soddisfatti. Questo il
modo di riportar vittoria senza entrare nella questione, della quale uno non esce se non
coiia testa scaldata e coll'animo vieppiù ostinato ».
(98) Quinta ed., Torino, tip. dell'oratorio di S. Franc. di Sales 1867.
("1 L'Uniti cattolica, 4 luglio 1867. Questi sentimenti, già espressi in termini di fede
confermata dagli eventi nel 1849-50. attorno al '67 assumono l'accento di fiducia nell'inter-
vento divino. Cf. ad es. La Civiltà Cattolica, 1 (1850) 2, p. 647 e in sentimenti espressi in
L'Episcopato e la Rivoluzione in Italia ossia Atti collettiui dei Vescovi italiani preceduti
da quelli del Sommo Pontefice Pio I X contro le leggi e i fatti della Rivoluzione.. . , Mondovì
1867, 2 vol. Da ricordare che per la circostanza D B ripiibbiicò la Vita di S. Pietro sotto il
titolo Il Centenario di S. Pietro apostolo colla vita del medesimo . . . (LC), Torino 1867 e le
LC di quell'anno pubblicarono vari altri fascicoli
(la)Bosco, La Chiesa Cattolica e la sua
rgeelartaivrcihaila.P.a.p,aTtoo.rino
1869,
p.
81 S. 2
ciò
che esprime, ad esempio, il Muzzarelli: «Deduco evidentemente che la temporale sovranità
Dopo i1 '70 non abbiamo nuove affermazioni esplicite sul potere temporale.
Allora cattolici poterono illudersi circa u n intervento dell'Austria contro l'Ita-
lia ('O1). Si pensava che Dio avrebbe benedetto le armi che avrebbero ricollocato
il pontefice sul suo legittimo trono e avrebbe umiliato la rivoluzione. È del '73 il
messaggio profetico di D o n Bosco a Francesco Giuseppe:
24 maggio 1873 - 24 giugno 1873
B Questo dice il Signore all'Imperatore d'Austria. Fatti animo: provvedi a' miei
servi fedeli ed a te stesso. Il mio hrore si versa sopra tutte le nazioni della terra,
perché si vuole far dimenticare ia mia legge; portare in trionfo quelli che la
profanano; opprimere quelli che la osservano. Vuoi t u essere la verga della mia
potenza? Vuoi tu compiere gli arcani miei voleri, e divenire il benefattore del
mondo? Appoggiati sulle potenze del Nord, ma non sulla Prussia. Stringi relazioni
colla Russia, ma niuna allea~uaA. ssociati colla Francia, dopo la Francia avrai la Spagna.
Fate un solo spirito ed una sola azione.
Somma segretezza coi nemici del mio santo nome. Colla prudenza, e coll'energia
diverrete invincibili. Non credere alle menzogne di Chi ti dicesse il contrario: ahborri-
sci i nemici del Crocifisso. Spera e confida in me che sono il Donatore delle vittorie
agli eserciti, il Salvatore dei popoli e dei Sovrani Amen, Amen » ('O2).
Non è facile scoprire a che cosa propriamente mirasse Don Bosco con que-
sto messaggio. Pensava a un ristabilimento del potere temporale? a che cosa
vogliono riferirsi gli accenni alle vittorie e agli eserciti? Nel medesimo tempo
Don Bosco preannunziava a Pio IX nuove afflizioni, forse un nuovo esilio, cui
sarebbero succeduti un glorioso trionfo e un'era di pace. Anche il Galantuomo
agli amici preannunziava afflizioni, trionfi e tempi di pace (lo3). Quanto Don Bo-
del Papa non è certamente necessaria, e non può né anche dirsi utile assolutamente e indi-
.....-...-. ."+;ntom~..n-te,.m-a..rh.-'e-l-la oer altro A ouò ~- iovaiealla Chiesa in certi tempi e in certe circostanze D
(Del buon uso della logica, 1, Napoli 1865, p. 515).
(101) La Giustizia divina avrebbe dato Roma al Papa e
ti: è ouesto.. do.oo Porta Pia, uno dei temi dominanti della
~
trasferitasia Firenze: cf. B. MALINVEURNiIs,o~gime~teoun
avrebbe
Civiltà
punito i
Cattolica
ceat.tdiveill.'ei.lrgml-'ohneita-
iti d'Italia ne La CiCiltà Catto-
lica a (1870-1898)in La Scuola Cattolica 89 (1961),p. 445-448. A Torino L'Orlodosso, perio-
dico di sacra teologia e scienze ecclesiastiche (2, 1871, p. 25) notava che l'Austria « è spinta
da' suoi popoli cattolici a combattere Italia per rimettere in trono il PonteficeD. Merita di
essere ricordata l'operetta di un autore al quale s'ispirò DB: Domenico CERI~MI,orte infelice
.&...i 'n~ri.n.c.io~i ~in~,te.nsi ed o.p.pressori della S. Chiesa C. A. - Romana, (Colla. di buoni libri,
a. 12, disp. 4 e 5), Torino, tip. deii'Armonia 1861.
('a)Copia di Don Berto riveduta da DB in AS 132 Sogni 1, edita in MB 10,
p. 65.
(103) Il Galantuomo per il 1870, p. 6 (in previsione del Concilio Vaticano I): 4 In questi
giorni, noi tuttora viventi, vedremo il mondo intero, meravigliare delle grandi guarigioni
della Chiesa, ed applaudire palma a palma al suo trionfo D; per il 1871, p. 8: essere ras-
segnati alla volontà di Dio; la pazienza «conduce alla vittoria r; per il 1873, p. 10:
«Ai nostri tempi Iddio vuol far un gran miracolo, preghiamo, e quando meno ce io pense-
89

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
sco disse nei 1877 ai membri del capitolo generale dei Salesiani circa i'obhe-
dienza alle legittime autorità, etiam discolis, lascia pensare che sui detentori del
potere in Italia egli non avesse mutato parere. I1 giudizio che, inoltre, aggiunse
sui tempi non è meno pesante di quello espresso già nel 1845 nella Storia eccle-
siastica: con in più l'esperienza di quel che era avvenuto nel frattempo: « Io
credo, asseriva, che da San Pietro fino a noi non ci siano mai stati tempi così dif-
ficili. L'arte è raffinata e i mezzi sono immensi. Nemmeno le persecuzioni di Giu-
liano I'Apostata erano così ipocrite e dannose 0 (lM). Eppure in tempi così difficili
Don Bosco non approva né le recriminazioni, né le lotte a spada tratta. Egli è
per la pazienza, per h sopportazione e per il lavoro « a più non si dire » perché
« l e cose » (cioè - nel contesto - le opere educative salesiane) procedano
avanti bene sia per il vantaggio della « società civile che per quella ecclesia-
stica » (lw).
10. Mentalità intransigente e duttilità pratica
Posto questo giudizio negativo di fondo sui fatti e sulle persone che realiz-
zarono l'uniti italiana, quale significato hanno i passi compiuti da Don Bosco tra
Santa Sede e governo italiano (lM)?
Non è inutile a questo punto evocare per somini capi orientamenti dei
vescovi subalpini a metà Ottocento (lm).
Tenuto conto, come termine di misura, il rapporto Chiesa e Stato, riforme
remo udiremo un gran fracasso, e sarà la torre di Babele che cadrà a terra, come un d i al
suono delle trombe caddero le mura di Gerico » (cadrà la Rivoluzione?).
In quello dei 1875 l'aspettativa di fatti imminenti si smorza: a Diedi bensi uno sguardo
al passato, al presente, e per quanto l'esperienza lascia vedere, riguardai ancora I'avvenite,
ma nulla trovai di nuovo n (p, 3 s). Nel Galantuomo degli anni successivi le allusioni ai mali
dell'umanità si fanno sempre più generici.
('M) Così almeno è riferito da Don Barberis nel Verbale del Capitolo conservato all'AS
046/1877 e riferito in MB 13, p. 288.
('a) MB 13, P. 288.
(LM) Niimerossirni episodi sono menzionati in Indice MB p. 475 alla voce Ve~covi
(Elezione dei) e all'altra Temporalità, p. 450s. La documentazione esibita dalle MB è re.
peribile all'AS 112 Vescovi (scritture e ritagli di giornali raccolti da Don Berto); 110 Le-
moyne, la collez. Documenti che inserisce annalisticamente anche qualche documento dal 1865
in avanti. Di recente accessione dYAS è la documentazione fotografica della Segreteria d i
Stato del Vaticano (ora presso l'Arch. Segreto Vaticano) con inedite scritture di DB, Anto-
nelli, mons. Tortone, ecc.; certamente tali documenti acquistano maggior senso nel complesso
delle carte relative alla missione Vegezzi e Tonello, presso gli archivi interqssati ddlo Stato
italiano e della S. Sede. Non ricordiamo nessuno dei molti scritti celebrativi apparsi attorno
al 1929-1934 in clima nazional-fascista e nemmeno quelli dei 1960-61 in occasione delfinirà
d'Italia.
('m) Si veda su questo, la breve rassegna che fa G. GRISERnIella recensione alla Mel-
lano, cf. sopra, nota 78.
e conservatorismo, recenti studi ci presentano Luigi Fransoni, nrcivescovo di
Torino, e Giovanni Negri, vescovo di Tortona, come prelati che tendevano a po.
sizioni rigide e intransigenti: essi furono i primi a essere toccati negativamente
dalle riforme. Prelati giovani, come il vescovo di Fossano Luigi Fantini (già a-
rato dell'Annunziata in Torino, dove Don Cocchi cominciò il primo Oratorio) e
Lorenzo Renaldi, vescovo di Pinerolo, erano su posizioni opposte e ritenuti ii-
beraleggianti, insieme all'anziano Gian Pietro Losana, vescovo di Biella. Altri
vescovi tenevano posizioni intermedie, propensi a compromessi in questioni
particolari o anche disposti a un concordato generale, in cui si tenessero pre-
senti le istanze della classe liberale dirigente. Quello di Alessandria, mons. Pa-
sio, e mons. D'Angennes, vescovo di Alessandria prima del Pasio e poi arcive-
scovo di Vercelli, prelati entrambi dell'era della Restaurazione, erano simpatiz-
zanti, sia pure in misura diversa, per le riforme. Mons. Andrea Charvaz, già ve-
scovo di Pinerolo, poi arcivescovo di Genova, e mons. Calabiana, vescovo di Ca-
sale e poi arcivescovo di Milano, erano conservatori disposti a negoziare per una
qualche composizione tra Chiesa e Stato. Inizialmente condiscendenti o transi-
genti, ma poi sempre meno concilianti furono mons. Gianotti vescovo di Saluzzo
prima di mons. Gastaldi, mons. Clemente Manzini, vescovo di Cuneo, e mons.
Antonio Odone, vescovo di Susa. Lottatori tenaci, favorevoli a una partecipa-
zione politica dei cattolici e desiderosi di soluzioni concordatarie particolari O
generali, erano mons. Ghilardi, vescovo di Mondovì, e mons Luigi Moreno,
vescovo d'Ivrea, legato però molto anche ai liberaleggianti.
Per definire la posizione di Don Bosco bisognerebbe ancora tener presente
quella del clero torinese, in cui egli più immediatamente si inseriva. Vari perso-
naggi influenti del clero secolare avevario posti chiave nell'amministrazione cit-
tadina o in sede culturale: il teologo Pietro Baricco fu vicesindaco per molto
tempo; Amedeo Peyron, Ghiringhello, Rayneri furono a lungo professori nel-
l'università. Altri avevano influsso in Corte, come il canonico Stanislao Gazelli
di Rossana e l'abate Camillo Pelletta. Altri infine, in proporzioni diverse, po-
tevano influire (o per lo meno, essere ascoltati) nella sfera ~oliticac, ome il laz-
zarista Marcantonio Durando e, a suo modo, il sanremese Don Giacomo Mar-
gotti attraverso le sue pubblicazioni di stimolo o di protesta.
Prima del '60 è documentabile una certa intesa diretta a una certa disposi-
zione a soluzioni di ammorbidimento tra vita politica, amministrativa e reli-
giosa: una mentalità comune torinese non collimante e in disaccordo con le va-
lutazioni di Roma e gl'impulsi romani che apparivano non adatti e forieri di
tensioni inutili e di fratture fatali.
Dopo il '60 quest'atmosfera si dirada alquanto, ma non fino al punto che
non ci fossero intese tra autorità amministrative civili ed ecclesiastiche. Soprattutto
prima del trasferimento della Corte a Firenze e a Roma ci fu un certo affiata-
mento tra la Corte, il clero, opere caritative ed educative, dirette o influenzate
da enti ecclesiastici. È noto, anzi, come dopo la morte di Cavour Vittorio Ema-
nuele I1 avesse ridestato le sue tendenze a compiere un'azione ~oliticaperso-
91

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
nale, al di fuori di quella governativa, servendosi, tra l'altro degli uomini di
Corte ('9.
Potrebbe stupire, ad esempio, che nel 1865 Don Bosco abbia potuto otte-
nere la partecipazione del principe Amedeo alla posa della prima pietra del san-
tuario a Maria Ausiliatrice. Ma proprio in quel tempo la Corte per vie anche non
governative, si studiava di attutire gli attriti tra Chiesa e Staio.
Nel 1863, in tempi in cui garihaldini e mazziniani miravano decisamente
su Roma e i cattolici conservatori scrivevano «non praevalebunt », a Torino si
poneva mano alla costruzione di una chiesa dedicata agli apostoli Pietro e Paolo
nel Borgo S. Salvario. Il canonico Zappata, vicario capitolare, munziava al clero
e al popolo che tale'scelta era riuscita di vivo gradimento a Pio IX, il quale au-
spicava ch'essa servisse in Torino a tutela e sostegno della fede. I1 canonico
aggiungeva che il municipio con pubblica deliberazione assegnava una somma
cospicua per la costruzione della chiesa (lm). Alia posa deUa prima pietra, il 13
giugno 1863, presero parte il duca Amedeo d'Aosta e la Giunta municipale. La
chiesa, abbastanza ampia, venne finita rapidamente, nonostante fosse costata oltre
mezzo milione di lire (lL0). Venne consacrata da mons. Bdma, vescovo titolare di
Tolemaide, il 12 novembre 1865. Alla prima messa assistettero con il popolo
la duchessa di Genova, Elisabetta di Savoia, e la principessa Margherita, sua fi-
glia, poi regina d'Italia. Al trasferimento dell'Eucaristia, dei crismi e dei vasi
sacri dall'antica alla nuova residenza parrocchiale intervennero, insieme ai sa-
cerdoti e ai seminaristi, anche gli allievi delle scuole municipali e oltre sessanta-
mila persone (,"'),.
Se c'è da trovare un posto a Don Bosco in linea con qualcuno dei vescovi
e nel suo ambiente, diremmo che sia da indicare vicino a quello di vescovi con i
quali egli fu in maggiore familiarità: mons. Moreiio (almeno fino al 1860-64) e
mons. Tommaso Ghilardi. Per l'attitudine pratica Don Bosco merita di stare
vicino a moltissimi suoi confratelli del clero torinese: vicino a Don Cafasso e al
Peyron; più vicino a mons. Fransoni, che a mons. Gastaldi; più vicino ai cugini
Murialdo che a Don Cocchi e ai suoi collaboratori più diretti, Ponte, Carpano,
(los) Su quanto abbiamo evocato, necessariamente per sommi capi, è abbondante e pcr-
si?asiva la storiografia su Vittorio Emanuele 11, Cavour, Costantino N i g a , Gualterio ed è
sufficiente rimandare a W. MATURI, Interpretazioni del Risorgimemo. Lezioni d i storia della
storiografia, Torino 1962.
('09) Lettera circolare in data 19 marzo 1863.
(lio) In questo periodo di compressione politica, ma di larga pratica religiosa e alto fer-
vore (lo vedremo più avanti a proposito della frequente comunione) a Torino vennero co-
struite e condotte a termine le seguenti chiese: l ) parrocchia e di S. Massho, nel 1853, che
costò L. 1.500.000; 2) parrocchia di S. Giulia, 1863, L. 650.000; 3 ) parrocchia dei SS. Pietro
e Paolo, 1865, L. 540.000; 4) parrocchia deii'Immacolata Concezione, 1867, L. 220.000; 5 )
chiesa di Maria SS. Ausiliatrice, 1868, L. 890.000; 6 ) parrocchia di S. Barbara, 1869,
L. 336.000. Cf. Atti del congresso eucaristico tenutosi in Torino nei giorni 2-6 settembre
1894, 2, Torino 1895, D. 389 S.
('l1) Lorenzo PAMPIRIOO, . P., vesc. di Alba, Elogio funebre del teol. Maurizio Arpino
[1824-l8871 fondutore e primo curato della parrocchia dei SS. Apostoli Pietro e Paolo.. . ,
Torino 1887.
Trivero, Tasca; vicino al conte Cays, presidente delle Conferenze di S. Vin-
cenzo de' Paoli prima che si facesse salesiano e di sentimenti conservatori.
Con la differenza però, rispetto a tutti, che seppe emergere dalla sfera locale con
un complesso di opere che si dilatarono anche al di dell'oceano e poté giun-
gere vicino a Pio IX come figlio fedelissimo e come profeta.
Tra Chiesa e Stato Don Bosco non si inserì vistosamei~tecon progetti pro-
pri: non fu, cioè, come i1 Margotti o come i redattori della Civiltà Cattolica;
nemmeno fu come il Tommaseo e come Ruggero Bonghi propagatori di pro-
grammi e orientamenti sul piano culturale e politico. Fu un cauto divulgatore
dell'intransigentismo e, all'occorrenza, un mediatore solerte: uno che, venuto dal
basso clero, aveva potuto avvicinare e studiare persone, soppesare sentimenti e
situazioni. Sotto i governi postcavouriani di destra, specialmente dal secondo
ministero Ricasoli al Visconti Venosta (1873) Don Bosco poté presentare liste
di nomi accetti alla S. Sede e al Governo italiano per le sedi vescovili vacanti
e, tra il 1868 e il 1873, intervenire anche con qualche spunto personale nelle
trattative complesse sulla temporalità dei vescovi.
Ma il suo giudizio di valore sui fatti e sulle persone probabilmente era ben
noto. Don Bosco per Pio IX e per il card. Antonelli era un fedelissimo, un sa-
cerdote santo e zelante, molto cauto e accorto, dalle molte entrature e di sano
senso pratico. Coloro poi, che avevano il culto del progresso unito a quello per
la patria, in Don Bosco vedevano un prete zelante che, nonostante le idee antiii-
herali, contribuiva all'educazione del popolo. Per chi non aveva spirito di parte
se non per il mito del progresso 'e l'ideale della patria, come lo stesso Rat-
razzi ("'l, o come Vigliani, Cibrario, Crispi . . . , in Don Bosco c'era già molto
per fondare ammirazione, benevolenza e fiducia, soprattutto quando'nella mente
affioravano figure di preti, o di anticlericali, ugualmente settari nella loro intransi-
genza e per nulla « utili » alla costruzione degli italiani, una volta che si era fatta
l'Italia.
In Don Bosco, come in mons. Ghilardi, il giudizio di valore sugli avveni-
menti del secolo è fortemente influenzato dal complesso dei valori supremi e
irrinunciabili, cioè dei valori trascendenti ch'essi sentono incarnati nella Chiesa
Cattolica, unica depositaria della vera religione, del bene, della verità, della
virtù. della giustizia, delle forze morali capaci di dare solidità e progresso d a
società civile.
Ciò che è visto come minaccia alla Chiesa e alla sua missione spirituale, è
facilmente sentito come frutto di spirito diabolico, anzi, come incarnazione del
(In) Oggi con più serenità vengono riveduti giudizi alquanto unilaterali. Del Rattazzi
non si può dire propriamente quanto venne scritto da R. Aubert su colui che diede il nome
alla legge soppressiva del tribunale ecclesiastico, Giuseppe Siccardi: giut~onsultopartigiano
d'una moderniizazione deUc istituzioni che però nulla aveva del settario (riferito, con a!tri
apprezzamenti da MELLANO,Il cuso Fransoni, p. 97): l'atteggiamento religioso dei Siccardi è
ben distinto dalt'animo per lo meno anticlericale del Rattazzi; tuttavia non da lasciare nel-
l'ombra la simpatia di questi per vane istituzioni e opere benefiche.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
demonio, che nei tempi recenti si nasconde sotto il manto di società segrete,
di moderna filosofia, eccita ribellioni, suscita sanguinose persecuzioni ("3).
Ciò che può far soffrire i membri insigni o attivi della Chiesa cattolica, è
interpretato come prova divina o insidia diabolica. Di riflesso, il giudizio su que-
sti membri eletti si trasforma in giudizio etico religioso: essi sono i huoni, i.
1
1
i
l
menti a Pio I X nel 1870 (la sentinella d'Israele rimanga ai suo posto) o i mes-
saggi di lutti domestici fatti pervenire nel 1854-55 a Vittorio Emanuele 11. Don
Bosco certamente conta d'influire sulle decisioni anche politiche. Ma la sua po-
sizione esatta è quella del profeta religioso; analoga a quella di Mosé che si pre-
prediletti da Dio. Al contrario, fatti luttuosi, calamità pubbliche, malattie, morti
di persone legate alla rivoluzione, sono interpretati come tremendi castighi d i
senta in nome di Dio al Faraone, agli Egiziani e agli Ebrei. Egli bada ai ri-
flessi che orientamenti politici possono avere sull'azione spirituale deila Chiesa.
Dio. La pazzia di Luigi Carlo Farini, non meno della disgrazia di Napoleone,
Ciò che dice è presentato come voce di Dio e indirizzato a chi è sentito come
il bombardamento subito da Parigi nel 1870, interpretati come castighi, ci fanno
operante in un piano voluto da Dio, dal quale appunto viene ogni potere nella
anche conoscere indjrettamente che Don Bosco coliocava tra i « cattivi » Farini
società religiosa e in quella civile. In altre parole, suggerendo alleanze in nome
e Napoleone, e Parigi, tra le città corrotte e punite come Sodoma e Gomorra("').
di Dio, egli ha la mente fissa alla origine soprannaturale del messaggio profe-
Cosi awiene che il medesimo genere di fatti viene interpretato come condanna o
tico, alle conseguenze benefiche che ne sarebbero venute alla religione, e non
prova misericordiosa, a seconda che i colpiti sono i huoni o i cattivi, destinati i
al valore politico che in sé avevano le alleanze tra nazioni e potenze. Don Bosco,
primi al trionfo e i secondi chiamati al pentimento o giustamente colpiti con de-
poi, indirizzava i suoi messaggi agli individui: da persona a persona, in privato,
finitiva punizione ad ammonimento pubblico.
anzi in segreto; rivolgendosi alla coscienza nella forma meno condizionata dalle
Non stupisce che, obbedendo a questa mentalità, Don Bosco - come al-
suggestioni dell'opinione pubblica e dagl'influssi delle sfere politiche.
tri - suggerisca come primo rimedio per i mali della società la buona confessione
I n questo senso egli poté pensare che quanto aveva fatto non poteva pro-
e comunione, la pratica dei doveri cristiani, il riconciliarsi con Dio e con la
priamente considerarsi politico; e poteva aver detto, oltre che al Bonomelli an-
Chiesa. Non meraviglia ch'egli - come altri - contro il colera o come condi-
che ai suoi Salesiani, che egli nel '48 capi che se voleva fare un po' di bene
zione per ottenere grazie di ordine «materiale » indichi anzitutto atti di amor
doveva lasciare da parte la politica. Se cosi è, si ha ancora un motivo per consi-
di Dio e pratiche devote
derare Don Bosco tanto duttile nella pratica, altrettanto tendenzialmente inte-
Non stupisce, d'altra parte, ch'egli abbia cura di sottolineare i vantaggi
grista come mentalità, in quanto tende a non badare al valore politico di ciò che
anche politici che derivavano da fatti per sé religiosi, quali erano, ad esempio,
fa o suggerisce di fare, ma al senso etico religioso e alle ripercussioni benefi-
i vantaggi civili venuti all'Europa dal Cristianesimo nel medioevo o quelli che
che che la politica può avere sull'Istituzione ecclesiastica nella quale vive e
sarebbero derivati dalla definizione dell'infallibilità pontificia
I
opera.
,.
Infine tale mentalità ci offre qualche indizio per valutare episodi come la
lettera a Francesco Giuseppe circa l'alleanza con Francia e Spagna o i suggeri-
11. La questione sociale
("3) Bosco, Storia ecclesiasfica, Torino 1845, p. 288.
l
Qui è
ancora aggiungere qualche parola sull'atteggiamento di Don
("'1 Cf. sopra, capo IV, nota 46; su Napoleone, le pagine della Storia ecclesiastica e
Bosco di fronte alla questione sociale. Non pare che egli si ponga il problema
Storia d'Italia; su Parigi, il Galantuomo per il 1873, p. 8: «Vi è già stata la guerra, abbiamo
veduta la Babilonia dei nostri tempi, la città più corrotta, ove per fare dispetto a Gesù
Cristo si mangiò carne il venerdì santo, circondata da nemici, priva di pane, in preda alle
fiamme ».
Cf. la voce Colera in Indice MB p. 77. - Modo sicuro di scansare o per lo meno in-
delle classi in trasformazione: almeno, non si hanno documenti che ce lo atte-
stino. E$i avverte, si, che la società è minata dalla rivoluzione e avverte una
certa separazione e tensione tra ricchi e poveri. Ma ciò che fa, non è una teoriz-
zazione come quella dell'ozanam o del Toni010 e una conseguente pianificazio-
lcaozniotrnaeredseelnCza.Gda.Mnn.oGe..d.
.a,nzTiocroiinioua1n8t5a4gg(ioCiolllcahioolnerea-dmi obrbuuosnid
i cui
libri,
siaxo
a. 6,
minacciati.
disp. 123
Compj-
e 124).
Cp. 2, art. 2: Mazi soprannaturali contro il cholera-morbus. l) Cessar dal peccato e conver-
tirsi di cuore a Dio; 21 Ricorrere a Dio con umile e confidente preghiera nel nome adorabile
di Gesù Cristo; 3) Invocare il possente patrocinio di Maria SS. (p, 75-97).
ne (l"). Egli invita all'ohbedienza e al rispetto, non fa che stendere la mano ai
ricchi,
l'elemosina, chiedere sussidi in schemi tradizionali e collocabili
in qualsiasi secolo (se non fosse che attingano a fonti del Sei-Ottocento e ten-
gano presenti situazioni ~ontemporanee)("~)L.'istanza marxista non pare l'ah-
(Il6) Per il medioevo cf. sopra, § 2. Sull'infailibilitàponti6cia: Bosco, Il giovane prouue-
duto, Torino 1885, p. 434: « Giova agli stessi Sovrani: poiché la parola infallibile del Pontefice
facendo udire più autorevolmente agli uomini l'obbligo di stare soggetti ai principi della terra,
e condannando la ribellione contro ai medesimi, il Papato diventa di sua natura il più valido
sostegno dei loro troni e delia pubblica quiete D. Sui vantaggi che la «autorità sociale o de-
riva dalla de6nizione deli'infallibilitàpontificia cf. S. FRANCO, L'infallibilifd pontificia proposta
ai fedeli (LC), Torino 1871, p. 188 s (fonte del Giov. prouveduto).
(117) Cf. Giuseppe AI, Don BOSCOC i bisogni sociali deli'epoca, in Don Bosco e
il '48, p. 48.52, che parla di «contributi di Don Bosco alla soluzione deiia qiiestione ope-
raia ».
(158) Si pensi alle pagine sull'elemosina, mem per assicurarsi il Paradiso, nel Mese di
maggio, giorno 29, Torino 1858, p. 164-168,che, con la sentenza yuod superest, date paupe-
94

5.10 Page 50

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
bia toccato. La Società di mutuo soccorso istituita nel 1850 tra i soci deila Com-
pagnia S. Luigi e di cui egli era direttore nato, non ebbe, a quanto pare, molto
seguito e, ad ogni modo, s'inserisce in un complesso abbastanza vasto di Società
d i mutuo soccorso sorte in epoca di autodifesa dell'operaio nella società liberale
.e padronale (Il9).
La sua intuizione radicatissima e vissuta è quella dell'educazione della gio.
ventù, ch'egli vede come fattore fondamentale nella trasformazione sociale:
« Chi voglia rigenerare una città od un paese non ha altro mezzo più potente:
bisogna che cominci coll'aprire un buon Oratorio festivo » (lm).
Ma che cosa intende egli per rigeneraiione sociale? Non pare che sento
l'istanza economica sansimoniana, liberale o marxista. Non pare che avverta la
vasta portata del fenomeno pauperista in ordine a rivolgimenti sociali (l2').
Equivalente a rigenetiazione sociale pare sia l'espressione: fare onesti cittadini e
buoni cristiani: idea in cui non è esclusa, in cui è integrabile, ma non è e6ca-
cemente operante nei termini nei quali allora storicamente si svolgeva, la que-
stione sociale. I problemi sociali nella mente e nella prassi di Don Bosco coinci-
.dono con quelli dell'educazione etico-religiosa del popolo; problemi che compor-
tano un determinato tipo di educatore che sappia lavorare con le classi povere ed
.esige la coliaborazione di chi può e deve.
ribus forniscono le idee madri poi espresse in conierenze ai Cooperatori salesiani (una rapida
rasseana jn M#rTar, a c., p. 47 s). Esse non hanno nemmeno la ricchezza e la concretezza
esplicita deli'opera dei Muratori suila Carità cristiana, che è del 1721 e che già manifesta una
visione abbastanza organica della società a lui contemporanea.
("9) Un quadro delle società di mutuo soccorso neli'ottocento è in Giuseppe MELLANO,
La popolazione di Torino e del Piemonte nel secolo XIX . . ., Torino 1961, p. 136.145.
. . L'awertenza premessa al regolamento della Società di mutuo soccorso di alcuni individui
della Compagnia di San Luigi eretta nelZ'Oratorio di san Francesco di Sdcs . , Torino, Spei.
rani e Ferrero 1850, p. 131, sottoscritta da DB approva la società e l'intenzione di mettere
in riserbo un soldo per settimana. Si limita poi a raccomandare le regole della Compagnia di
S. Luigi « d a cui dipende il vantaggio fondamentale, ci06 quello dell'anima ».
('m) L'affermazione è ricordata come consueta a DB da Don Rua in una lettera ai par-
roci d'Italia, stampata a Parma, tip. Fiaccadori 1896, p. 1. Ma il problema dell'educazione
giovanile nel quadro teorico-storico-sociale non è owiamente sviluppata da DB così come,
ad esempio, da Emiliano AVOGADRDOELLA MOTTAS,aggio intorno al Socialismo e alle dottrine
e tendenze socialistiche (Biblioteca ecclesiastica), 2, Torino, Speirani e Tortone 1854, p. 187-
189.
(l2') DB vede però molto bene i riflessi etico-religiosi, anche se non assimila la tenni-
nologia del tempo (democrazia, capitalismo, ecc.). Tipico ci pare quanto avrebbe detto a
Lucca ai cooperatori il 15 gennaio 1882 (Bollettino salesiano, 6, 1882, p. 81 s): «Fra catto.
lici non vi sono né opere nostre né opere di altri. Siamo tutti figli di Dio e deila Chiesa;
. fidi del Papa.. Se i giovanetti sono raccolti nell'oratorio festivo, se frequentano la scuola,
. . . se sono ospitati, il bene morale e civile è per Lucca . . Quod superest date eleoposynam .
Uno avrà 1000 franchi di rendita e di 800 pub onestamente vivere; or hene, i 200 che avan-
zano cadono sotto le parole: date eleemosynam. . . chi non il superfluo ruba ai Siano
re.. .n.
NOTA AL CAPITOLO IV
Conseguenze di queste persecuzioni (lU).
Dio è buono, Dio è grande. Egli spesso permette tribulazioni e poi dalle
cose stesse che a noi paiono male, nella sua immensa misericordia egli sa rica-
varne il hene. Grave disturbo ci cagionarono le perquisizioni, ma in fine tor-
naro[no] a grande vantaggio anche materiale della nostra istituzione.
Primo vantaggio fu di assicurare il governo, che le pretese relazioni com-
promettenti coi Gesuiti, coll'arcivescovo Fransoni e col Sommo Pontefice erano
stolte delazioni fatte al governo, e che coloro, di Saluggia, che assicurarono ripe-
tutamente il Ministro Farini esistere tali relazioni, vennero conosciuti per solenni
mentitori.
Tutte le autorità civili, fiscali, di pubblica sicurezza, del municipio, della
-pubblica istruzione furono convinti che malgrado la nostra difficile posizione,
malerado la tristezza dei tempi, mantenendoci fermi cattolici nulla era tra noi
insegnato che potesse minimamente ledere oppure urtar colle tendenze, colle
leggi governative. Perché noi abbiamo sempre avuta ferma volontà di dare a
Dio quello che è di Dio; a Cesare tutto quello che è di Cesare, salva la coscienza.
Quindi le nostre case furono sempre ben vedute da ogni autorità del governo
ed ove ne fu mestieri protette ed aiutate. Ci servi pure di terribile avviso del
cangiamento radicale dei tempi. Prima le cose che avevano anche solo aspetto di
beneficenza, o scopo religioso, o ammi[ni]strate da corporazioni religiose la-
sciavansi libere a se stesse, e l'autorità governativa non si mischiava punto. Dopo
volle regolare tutto a rigore di legge. Quindi fummo in tempo a provvedere ai
casi nostri e prevenire le lunghe vessazioni, cui parecchi istituti di nostra specie
andarono e vanno esposti.
Si trovò vantagiosissima la massima, costantemente tra noi osservata, di
non mai mischiarsi nella politica puo contuo; perciocché oggi si può favorire
un principio in buona coscienza; dimani succede un nuovo funzionario, che pro-
pone cosa da non potersi am[m]ettere, ed ecco subito avversioni e nimicizie da
parte di coloro, le cui idee non si possono secondare.
Il nostro istituto depurato pubblicamente dalla stampa religiosa e dalla
cattiva, che nulla trovò da biasimare, acquistò gran credito nella pubblica
opinione. Molti vescovi, come Monsig. Calahiana di Casale, molti Mnnicipii,
come quello di Lanzo, fecero dimanda di andare nel rispettivo paese e diocesi
ad aprire casa di educazione.
Fra le mdte persone degne di alto riguardo, che in quella occasione
vennero a consolarci e a confortarci, fu il caritatevole cm. Luigi Anglesio
Rettore dell'opera detta del Cottolengo. Nel congedarsi il santo sacerdote
ini salutò con queste parole: Si rallegri nel Signore. L'opera sua fu provata.
(la) Trascriviamo dalla minuta autogr. di DD, AS 132 Perquisizioni, accettando tutte le
varianti da lui introdotte.

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Quando si cominciò la persecuzione contro gli apostoli, essi uscirono da
Genisalemme e andarono a portare la fede in altre città ed in altri paesi.
Così sarà della sua casa.
Disse la verità. Da quell'epoca cominciammo appunto ad avere un numero
così esorbitante di domande per giovanetti, che non potendosi tutti racco-
gliere in Valdocco, fummo costretti a d aprire altre e poi altre case, di cui
prima fu il piccolo Seminario o collegio di S. Carlo in Mirabello Monferrato.
Fine di alcuni nostri perquisitori.
Mentre adoro i divini voleri in tutte le cose umane, non posso a meno
di notare alcuni fatti, che taluno può dire avvenuti a caso, ma che la religione
chiama permissioni del Signore. Dio mi liberi dal compiacermene, prego anzi
che siano ricolmi di celesti benedizioni tutti quelli che forse ignorantemente
ci hanno fatto del male. Espongo dunque alcuni fatti.
L'avv. Fumagalli e Grasselli (lz)
Questi due avvocati si mostrarono veramente zelanti nelle perquisizioni
clie si fecero in questa casa ed in altre famiglie della città, e fu in premio
del loro zelo politico, che poco dopo vennero inviati delegati di pubblica
sicurezza a Bologna. Mentre colà radoppiavano le loro sollecitudini per mo-
strarsi degni della ricevuta promozione, una sera, circa la mezza notte, mentre
ritornavano dall'uffizio della questura, da mano incognita restarono ambedue
colpiti dallo sparo di un trombone, ed ambedue caddero estinti sull'istante.
I1 cav. Gatti (lz4).
Esso fece sempre parole di cortesia e di protezione in faccia, ma in se-
greto ci fece tutto il male che ha potuto. Presentò al ministro una serie di
('a)Fumagalli forse è una errata lettura del documento rilasciato a DB dagli inquisi-
tori. Questi sarebbero stati: Costantino Meregalli, applicato di terza classe alla seconda di-
visione del ministero dell'interno; cav. Stefano Gatti, membro della parte direttiva al Mini-
stero deli'lstruzione pubblica in qualiti di ispettore delle scuole normali, magistrali e tecni-
che; avvocato Antonio Grasselli, ispettore di pubblica sicurezw della sezione Moncenisio di
Torino; avvocato Stefano Tua, facente funzione
zione Borgo Dora. Cf. Calendario generale del
d'ispettore
Regno pel
d1i86p0ub. .b.li,caTosircinuora, zSa.dp.e, rpl.a
se-
70;
86; 664.
('24) Sui Gatti, cavaliere dell'ordine Mauriziano, abbiamo un promemoria di Don Berto,
AS 132: Perquisizioni: «Notizieintorno al Cav. Gatti Stefano. CI"] Egli era nativo, si crede, di
Felizano [ = Felissano] (Alessandria).Nel 1849 egli era applicato alla Direzione del giornale
L'Opinione. Allorché i1 Lanza fu nominato Ministro deil'istmzione pubblica, si elesse a suo
segretario privato il Gatti.
2" In seguito fu nominato ispettore centrale delle Scuole e nel 1860 circa Capo di divi-
sione in detto Ministero per la parte della Contabilità, e sul finire del 1862 passò a quella
delle Scuole Superiori ed Universitarie.
Y Trasportata nel 1864 la capitale ossia la sede del Governo a Firenze, egii fu dap.
cose che non avevano alcun fondamento; si diede poi a pubblicare calunnie
nei giornali ostili alla religione ed alla morale. Richiese alcune copie della vita
di Savio Domenica, per edificarmi, egli scriveva, in quelle eroiche virtù; m a
in realtà per farne tema di burla e disprezzo con molti articoli fatti pubblicare
nel giornale astigiano detto Il Cittadino (l").
Queste però furono le ultime sue gesta. Un umore malinconico lo as-
salì; le sue facoltà intellettuali si turbarono a segno che, fu daprima cangiato
di occupazioni, di poi come maniaco licenziato dal suo impiego. La sua mania
fece sì che più volte tentò di suicidarsi. Un giorno assali la sua stessa moglie
e la privò di vita e dopo qualche tempi> di vita infelice mi si disse che
abbia infelicemente terminati i suoi giorni nel paese d i . . . il [lacuna nel-
l'orig.] del. mese [lacuna nell'orig.] anno [lacuna nell'orig.].
Farini("6). I1 commendatore Farini, caldo promotore della rivoluzione
italiana, in mezzo alle ricchezie che andava ammassando da tutte le parti,
diceva che egli voleva morire povero. Fu veramente così.
Egli erasi comperata una ricca viUa nel paese di Saluggia; colà soleva accogliere
i suoi amici per trattare le cose politiche di speciale rilievo. Là, pure ripetutamente
venne assicurato che nella casa di D. Bosco esistevano le famose compromettenti re-
lazioni.
Mi assicurano che l'ultimo decreto da lui firmato fu quello che ordinava
la perquisizione alle nostre case. Dopo rimase sorpreso da timor panico che
lo rendeva insociabile, di poi parevagli che tutti fossero ribellati contro di lui.
l u t t a l'Europa, andava dicendo, è in rivoluzione contro l'Italia. Fu quindi
costretto ad abbandonare il ministero; la pazzia crebbe, divenne furioso; e
giunse a tale aberrazione mentale, che, orrendo a dirsi, non voleva più altro
cibo se non i proprii escrementi. Dopo passati quasi tre anni in questo mise-
rabile stato moriva veramente povero nel paese di [lacuna nell'orig.] ove era
stato ritirato per nascondere la sua sventura al consorzio degli uomini. Moriva
il . . . del mese [lacuna dell'orig.] anno [lacuna nell'orig.].
Camillo Cavour. - La vita di questo celebre politico è nota nella storia.
Buone promesse, cortese con tutti, poi tristi fatti dietro alle spalle. Venuto
prima messo in disponibilità ed alcuni anni dopo rientrò nei Ministero, ma probabilmente
non vi si trovava più quando il Governo italiano si traslocb a Roma.
4" Mentre si trovava ancora al servizio fu colpito da pazzia, ed allora si ritirb al suo
paese.
5" Quivi in un momento di maggiore alienazione diede un calcio terribile alla sua mo-
&e che le cagionò la morte. Alcuni anni dopo soccombette egli pure.
È quanto si è raccolto sul suo conto n.
(la)Il Cittadino, giornale politico, amministrativo, commerciale della provincia d'Asti,
Asti 1851ss. Cf. MANNOB, ibliograjia storica degli stati della monarchia di Savoia, vol. 2,
n. 11474. Ad Asti per la festa delle bandiere nazionali il Gatti pubblicò Il di XIX decembre
1847 in Arti: Narrazione, Asti, S.d. Cf. MANNOo.,C,, n. 11431.
(126) Sul Farini cf. P. ZAMA,L. C. Farini nel Risorgimento italiano, Faenza 1962.

6.2 Page 52

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
più volte all'Oratorio, si tratteneva volentieri a discorrere coi giovani, dilet-
tandosi di osservarli in ricreazione; prendeva parte alle sacre funzioni; più di
una volta intervenne alla nostra processione di S. Luigi portando da una
mano il cereo, dall'altro il libro divoto cantando l'lnfensus hostis gloriae. Se io
avessi desiderato parlargli non voleva darmi udienza se non a pranw con lui.
I1 decreto delle nostre perquisizioni non era firmato da lui, ma egli ne era
consapevole, e come presidente dei ministri confermava quanto gli altri fa-
cevano.
Nell'ottobre del 1860 egli diceva nella camera dei deputati: chi vuoi
sapere che sarà di noi di qui a sei mesi! Appunto sei mesi dopo, il giorno fis-
sato per fare la sua' festa, vale a dire la festa deu>unità nazionale, cui l'alta
e bassa democrazia, tutti i rivoluzionari ambivano prendervi parte, il pro-
motore principale di tutte le cose ne fu privo, cadde egli in grave malattia
che in breve lo tolse di vita senza che potesse munirsi de' conforti di nostra
santa religione. Aveva il piede sul più alto scalino della gloria quando fu pre-
cipitato nella tomba.
Egli aveva persuaso il municipio di Torino a non più prendere parte
alle spese né più intervenire alla processione del Corpus Domini ( 6 giugno
lSbl), e in quello stesso giorno il cadavere di Cavour era dai deputati accom.
pagnato alla tomba(ln). Di più coloro che rifiutaronsi di accompagnare
.. il SS. Saccamento in processione, in quel giorno e in quell'ora stessa accom.
pagnavano il carro funebre del celebre estinto. Cavour moriva il . . . anno .
Io spero che tutti questi personaggi avranno trovato misericordia nel
cospetto del Signore, siccome abbiamo invocato di tutto cuore [con i] nostri
giovanetti; ho voluto soltanto notare questi fatti per accertare i miei figli
Salesiani, che Dio benedice cbi ci benedice, e benefica largamente i nostri
benefattori; e puni con non lievi flagelli coloro, che ci hanno avversati.
(lZ7)Cavour morì il giovedì 6 giugno 1861 pochi minuti prima delle sette dcl mattino.
I funerali ebbero luogo, solennissimi alle 19 del giorno seguente. e Il conte di Cavour fu
forse esempio unico nelle storie parlamentari di un uomo. . . che in dieci anni passando da
. iin'impopolarità grandissima, ad una ancor più grande popolarità, potesse introdurre variazioni
così grandi. 1. .l Noi non vorremmo certo servirci di tutti i mezzi d i cui egli usò e usò
largamenie per riuscire nei suoi intenti m. (Il camponone, venerdi 7 giugno 1861).
100
CAPITOLO V
GESÙ CRISTO
1. Gesù nell'Eucaristia
Quando, sotto la spinta di preoccupazioni agiografiche e moralistiche,
Don Bosco sceglie fatti per le biografie di Comollo, Savio, Cafasso, Magone,
Besucco, il Gesù che gli si presenta inserito nella vita vissuta dei hiografati
è anzitutto quello dei Sacramento. Ed è significativo notarlo già nel suo primo
scritto edito, i Cenni sul Comollo, che ci portano già molto vicino alle prime
esperienze spirituali di Don Bosco stesso.
Luigi Comollo, compresso alquanto nella sua affettività dall'ambieute
nel quale si trovava a disagio per timidezza temperamentale, nell.~Eucaristia
trovò la Persona in cui concentrare al massimo, in clima religioso, i propri sen-
timenti. Da quando per la prima volta venne ammesso alla Confessione e alla
Comunione - scrive Don Bosco - tanto vi si affezionò, che «nello acco-
starvisi provava la più grande consolazione; né mai lasciavasi sfuggire occa-
sione senza che ne approfittasse ». E poiché l'uso della Comunione sacramen-
tale «non bastava a saziare l'amore onde tutto ardeva per Gesù, trovò modo
di provvedervi bellamente colla Comunione spirituale » ('l.
Don Bosco ci descrive minutamente le manifestazioni affettive di Comollo
nell'atinosfera dell'unione eucaristica: « Alla Comunione spirituale, e sa-
cramentale univa frequenti visite a Gesù sacramentato, dell'amore di cui
talmente seotivasi penetrato che ben sovente giungeva a passare ore intiere
sfogando i suoi fervorosi e teneri affetti coll'amato suo Gesù » (*). Da chierico
« premetteva alla Comunione un giorno di rigoroso digiuno in onore di Ma-
ria SS.; dopo la confessione non voleva più parlare d'altro, che di cose con-
cernenti alla grandezza, alla bontà, all'amore del suo Gesù che si preparava
a ricevere nel di seguente, e giunta l'ora d'accostarsi alla sacra mensa, io lo
scorgevo assorto nei più alti, e divoti pensieri, e composta la persona nel
(i) [Bosco], Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo . . . , Torino 1844,
p. 10.
(2) [BOSCO], Cezni sfoi'ici, p. 10.

6.3 Page 53

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
più divoto atteggiamento, a passo grave cogli occhi bassi dando in frequenti
scuotimenti di santa commossione (sicj avvicinavasi a ricevere il Santo dei
Santi. Ritiratosi poscia a suo posto pareva fosse fuori d i sé, tanto vivamente
vedevasi commosso, e da viva divozione penetrato. Pregava, ma ne era inter-
rotto da singhiozzi, interni gemiti, e lagrime, né poteva acquetare i trasporti
di tenera commozione, se non quando terminata la Messa si cominciava il
canto del mattutino. Avvertito da me più volte a frenare quegli atti di esterna
divozione, come quelli che potevano dare, nell'occhio altrui, mi sento, rispon-
devami, mi sento una piena di tal contento nel cuore, cui se non permetto
qualche sfogo pare ~i voglia togliere il respiro. Nel giorno della comunione
diceva altre volte, mi sento si ripieno di dolcezza, e d i contento, che né so
capire, né spiegare » (7.
Non colpiscono solo i sentimenti di Comollo, ma già l'attenzione che
vi presta Don Bosco, ritenendoli degni di ammirazione, se non di imitazione (4).
Essi richiamano quelli facilmente posti in rilievo da agiografi dell'epoca post-
tridentina, cioè di tempi in cui la reazione contro le eresie protestantiche
sulla presenza reale contribuiva a proiettare su Gesù eucaristico la spiritua-
lità cattolica('). Don Bosco stesso ci ricorda quale documento era giovato
a sorreggere il Comollo nella sua affettività eucaristica: « Quando già chierico
trovavasi nel Seminario udivasi più volte a dire: f u per l'insigne opera di
S. Alfonso che ha per titolo: visite a l SS. Sacramento, che imparai a fare
la Comunione spirituale la quale posso dire essere stato il mio sostegno in
tutti i pericoli, cui andava soggetto finché fui vestito da secolare » ( 6 j .
Si riscontra in ciò una certa coincidenza con quanto conosciamo di
Giovannino Bosco. Anch'egli avrebbe avuto in mano nella sua adolescenza
la stessa operetta di S. Alfouso('), il cui ruolo fu largamente benefico in
tempi in cui la vita religiosa ordinaria e la stessa mistica erano state mortifi-
cate dalle polemiche antiquietiste sull'orazione e avevano trovato il loro alveo
sicuro e inviolato nella spiritualità eucaristica (O).
(9 [Bosco], Cenni storici, p. 33 S.
(4) [Bosco], Cenni storici, p. 3: Ai signori seminaristi di Chiai. - Siccome l'esempio
delle azioni virtuose vale assai più di un qualunque elegante discorso, così non sarà fuor di
ragione, che a voi si presenti un cenno storico sulla vita di colui, il quale essendo vissuto
nello stesso luogo, e sotto la medesima disciplina che voi vivete, vi può servire di vero mo-
dello perché possiate rendervi degni del fhe sublime a cui aspirate, e riuscire poi un di ottimi
leviti nella vigna del Signore ».
( 5 ) Rimandiamo al nostro saggio L'Eucaristia nella spiritualità italiana da metà Seicento
ai prodromi del movimento liturgico in Eucaristia. Memoriale del Signore e Sacramento pe.
renne. Torino 1967. D. 141.182.
'(6) [Bosco], Cenni storici, p. 10.
(') MB 1, p. 238. Le opere ascetiche in questione, ricordate da Don Lemoyne, potreb-
bero essere il volumetto: Opere spirituali del beato Alfonso de' Liguori uescovo di S. Agata
de' Goti. Parte prima che contiene la Visita a1 SS. Sagramento, ed a Maria Santissima per
ciurcu?~giorno del mere. . . di più le Massime eterne, La quiete per gli scrzipolosi, Il modo
di conversare fomigliarmentc con Dio. .. Parte seconda che contiene L'amore delle anime,
cioè r?flessioni ed affetti sulla Passione di Gesù Cristo, Torino, Gaetano Balbino 1820.
STELI.AL,'Eucaristia nella spiritualità italiana, p. 165-173
I1 fervore di Comollo esplode, quando, durante la malattia mortale gli
viene portato il Viatico:
«Terminata la confessione, fatta la preparazione per ricevere il SS. Viatico, già
il signor Direttore, che ne era il ministro, seguito dai Seminaristi entrava nella camera
d'infermeria; al suo comparire, l'infermo tutto turbato, cangia colore, muta d'aspetto, e
pieno di santo trasporto esclama: « oh bella vista. . . giocondo vedere. . . ! Mira come
risplende quel sole! Quante belle stelle gli fanno corona! Quanti prostrati a terra
l'adorano e non osano alzar la chinata fronte, deh! lascia che io vada inginocchiarmi
con loro, e adori anch'io quel non mai veduto soie. - Mentre tali cose diceva, voleva
rizzarsi, e con forti slanci tentava portarsi verso il SS. Scramento; io mi sforzava onde
trattenerlo in letto; mi cadevan le lagrime dagli occhi per tenerezza, e stupore, non sa-
peva che dire, né che rispondergli; ed egli vieppiù si dibatteva onde portarsi voso il
SS. Viatico; né s'acquetò finché non l'ebbe ricevuto. Dopo la comunione tutto nei più
affettuosi sentimenti concentrato verso il suo Gesù, stette alcun tempo immobile, quindi
ripieno di meraviglia: « o h ! . . . portento d'amore, esclamava! Chi mai son io per
essere fatto degno di tesoro sì prezioso! oh! esultino pure gli Angeli del cielo, ma
ben con più di ragione ho io di che allegrarmi, giacché colui che gli Angeli prostrati
mirano rispettosamente in Cielo svelato, io lo custodisco nel seno: quem Coeli ca-
pere non possunt meo gremio confero: magnificavit Deus facere nobiscum; oprb il
Signore con me le sue meraviglie, e ne fui di celeste gioia, e di divina consolazione
ripieno, et facti sumus laetantes » (9).
Vien fatto di pensare a Luigi Gonzaga e alie Sei domeniche pubblicate
da Don Bosco due anni dopo la biografia di Comollo. Luigi nutriva tale tene-
rezza per Gesù sacramentato, che «passava più ore al giorno avanti l'Altare
del Sacramento. Impiegava tre giorni a prepararsi aila comunione, tre giorni
appresso per farne il ringraziamento. Nel ricevere poi l'ostia santa discioglie-
vasi in tali lagrime e deliquii, che spesso non aveva forze a rizzarsi da terra » (l0).
« All'avviso di morire cantò il T e D e u m , e pien di allegrezza andava ripetendo:
oh che gioia, ce ne andiamo: Laetantes i m u s » ("1.
S. Alfonso comincia la sua dodicesima Visita rievocando il Viatico a
Filippo Neri: « Quando si comunicò per viatico, in vedere entrare il SS. Sacra-
mento esclamò: Ecco l'amor mio, ecco l'amor mio. Dica dunque ciascuno &
noi alla presenza qui d i Gesù sacramentato: Ecco l'amor mio, ecco l'oggetto de'
miei amori, di tutta la mia vita e di tutta l'eternità »('q.
La comunione eucaristica svela l'sanità e la reciprocità irresistibile tra
l'anima e Gesù. S. Alfonso lo esprime rifacendosi alle visioni di una mistica
medievale:
«Disse un giorno il Signore a S. Metilde: Non si trova ape che con tanto impeto
si getti sopra de' fiori a succiare il mele, con quanto io per violenza d'amore vengo
(9) [Bosco], Cenni storici, p. 57 S.
(10) [Bosco], Le sei domeniche e la novena di san Luigi Gonzaga. . ., giorno 6, Torho,
Speirani e Ferrero 1846, p. 28.
(11) [Bosco], Le sei domeniche, giorno 9, ed. c., p. 36 S.
(12) S. ALFONSOO,pere spiritunli, pt. I , Visita 12, in Opere ascetiche, 1, Torino, Ma-
rietti 1845, p. 381.

6.4 Page 54

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
aUe anime neiia S. Comunione: Se dunque Gesù Cristo ha tanto desiderio di venire
alle anime nostre, è ragione che ancor noi abbiamo gran desiderio nel comunicarci di
ricever lui e '1 suo divino amore » ('9).
L'anima - egli commenta - alla comunione prova « u n gran distacco
dalle creature ed un gran desiderio d'avanzarsi nel divino amore » (").
Don Bosco in altri termini pone in rilievo le stesse persuasioni nella
biografia di Domenico Savio. Questi, portato da Don Bosco alla comunione
frequente e quotidiana « godeva di sé medesimo ». « Se ho qualche pena h
cuore, egli diceva, 70 dal confessore, che mi consiglia [ . . . 3 . Se poi vogiio
qualche cosa di grande, vo a ricevere l'Ostia santa in cui travasi corpus quod
pro nobis traditum est, [.. .l. Che cosa mi manca per essere felice? Nulla
in questo mondo: mi manca solo il poter godere svelato in cielo colui che ora
con occhio di fede miro e adoro sull'altare » (l5),. « Era per lui - continua
Don Bosco - una vera delizia di poter passare qualche ora dinanzi a Gesù
Sacramentato. Almeno una volta al giorno andava invariabilmente a fargli
visita, invitando altri a fargli compagnia » (l6).
Come nei Cenni su Comollo (come anche nel racconto a fondo storico
La forza della buona educazione) Don Bosco si sofferma a descrivere Pappa..
recchio di Domenico alla prima comunione e alle successive:
a La sera che precedeva la comunione prima di coricarsi egli faceva una pre-
ghiera a questo scopo, e conchiudeva sempre così: Sia lodato e ringraziato ogni mo-
mento il santissimo e divinissimo Sacramento. Al mattino poi faceva una sufficiente
preparazione; ma il ringraziamento era senza limite. Per lo più, se non era chiamato,
dimenticava la colezione, la ricreazione, e talvolta fino la scuola, standosi in orazione,
o meglio in contemplazione della divina bontà che in modo ineffabile comunica agli
uomini i tesori delia sua infinita misericordia » (17).
Da Domenico Savio apprendiamo un'altra fonte letteraria di tale pietà
eucaristica: Il tesoro nascosto nella S. Messa di S. Leonardo da Porto Maurizio
(1737), che ritroviamo nella collana delle Letture Cattoliche (1861) e ristam-
("1 S. ALFONSOOp,ere spirituali, pt. 2. Apparecchio alla Comunione, l. c., p. 406.
("1 S. ALFONSO,pere spi~ituali,pt. 2, Apparecchio alla Comunione, l. C,, p. 405. Ma
si tratta di dottrina comune. La si può trovare in S. Tommaso, nello Sapoli, in S. Francesco
. di Sales, in Saint-Cyran e nello Scaramelli.
(l5) BOSCO, Vita del giovanetto Savio Domenico . ., Torino 1859, p. 69.
('6) Bosco, Vita del giovanetto Sauio Domenico, ed. C,, p, 71.
buona('7e)dzBicoaszcioon,eV..it.a,
del giovanetto Savio Domenico,
Torino 1855, p. 30-38: Cp. 4.
ed. c., p.
I1 giorno
70; Bosco, La forze della
della Comunione. Tutto il
brano è tradotto da Un mari comme il y en a beaucoup, une femme comme il y en a aeu,
Caen-Paris 1853 (ed. 1869, p. 21-30): « A son teveil, la première pensée de Jean-Pierre fui un
mot d'adoration et d'amour, un élan dc son coeur vers le Dieu qu'il allait bieni6t recevoir ».
«Appena svegliato, il primo pensiero di Pietro fu un atto di adorazione e di amore ed in.
sieme uno slancio del suo cuore verso quel Dio che in quel mattino egli sarebbe andato a
ricevew ».
pato più volte dalla tipografia dell'Orat~rio('~)I.l tesoro nascosto non ha pre
senti soltanto i protestanti. Esso ha di mira ormai anche il fenomeno di scri-
. stianizzazione dell'Europa e certe « proposizioni » scandalose che « si gettano
all'aria. . puzzano di ateismo, e sono il veleno della pietà. - Una messa di
più, una messa di meno poco conta. Non è poco, che ascolti la messa nei giorni
di festa. La messa di quel sacerdote è la messa della settimana santa; quando
egli comparisce all'altare, io me n'esco fuori di chiesa » (l9).
Per Don Bosco invece, come per S. Leonardo o per S. Alfonso e per lo
Scupoli, l'attrattiva e il desiderio del12Eucaristia sono un posto di vedetta:
il posto dove è possibile scoprire la radicazione deiia fede e della carità, il
gusto per le cose celesti, e, conseguentemente, il grado di perfezione cri-
stiana. I n Comollo disapprovava gemiti e singulti, ammirava però e additava
quanto gli confidava: « m i sento si ripieno di dolcezza e di contento, che
non so capire, né spiegare » ("). « D a ciò - commenta Don Bosco - ognun
vede chiaramente come il Comollo fosse avvanzato nella via della ~erfezione,
giacché quei movimenti di tenera commozione, di dolcezza, di contento per
le cose spirituali sono un effetto di quella fede viva, e carità infiammata,
che altamente gli era radicata nel cuore, e costantemente lo guidava in tutte
le sue azioni » ('l).
« Di s u i - diagnostica anche per Domenico Savio - nascev.a.
ilarità, quella gioia celeste che traspariva in tutte le sue azioni. N é pen-
siamoci che egli non comprendesse l'importanza di quanto faceva e non avesse
un tenor di vita cristiana, quale si conviene a chi desidera far la comunione
quotidiana. Perciocché la sua condotta era per ogni lato irreprensibile
Michele Magone, a sua volta, « in qualunque momento avesse inteso
che si distribuisse la S. Comunione, si recitasse qualche preghiera, o si can-
tasse qualche lode, fosse in chiesa, o fuori di chiesa, egli tosto interrompeva
la ricreazione, e andava a prendere parte a quel canto, o a quella pratica di
pietà» (=). Ricevuto il Sacramento « e r a talmente attento, raccolto e com-
posto nella persona che pareva insensibile ad ogni cosa esterna. Talvolta i
compagni uscendo di chiesa e passandogli vicino lo urtavano; spesso inciam-
pavano ne' suoi piedi ed anche glieli calpestavano. Ma egli come se nulla
avvenisse proseguiva tranquillo la sua preghiera o meditazione » ("1.
(18) Domenico Savio ne scrive in una Icttera all'amica Giovanni Massagia, che manca
nella prima edizione della Vita ed è introdotta nella seconda, Torino, tip. italiana di F. Mar-
tinengo 1860, p. 102-104.
La prima edizione del Tesoro nascosto apparsa tra le LC è del febbraio 1860 (Torino,
Paravia): la quatta L. del
dalia S.E.I. (Torino 1930.
.1.8).84
(Torino,
tip.
e
Iibt.
Salesiana). In
seguito
venne
stampata
( a )S. LEONARDDAOP. M., Opere complete, 2, Venezia 1868, p. 325.
l\\ a,i
IRnscol. Cenni
L----~..
storici.,.P.
34.
(21) [Bosco], Cenni storici, p. 34 s.
. (n) Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico, ed. c., p. 69 S.
(23) BOSCO, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele.. , Torino 1861, p. 41 S.
(24) BOSCO, Cenno biografico, p. 40. Lo stesso si legge nel Giovane provveduto, pt. 1,

6.5 Page 55

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Accanto all'immancabile capitolo sui Sacramenti, l e biografie scritte
d a Don Bosco hanno quelle sulla morte con il momento del viatico e l'amore
d i Dio che si manifesta in affetto incontenibile verso l'Eucaristia: il Pane che
dà speranza nella vita quando I'organismo si dissolve. Magone, scrive Dori
BOSCO « per grazia speciale di nostro Signore Gesù Cristo non solo pareva
insensibile al male, ma pareva sentire grande consolazione nei medesimi pati-
menti >> (9.« Dite a mia madre - raccomandò - . . . c h e io la amo; che
faccia coraggio a perserverare nel bene, che io muoio volentieri; che io
parto dal mondo con Gesù e con Maria e vado ad attenderla dal Paradiso » (").
- Giovanna Maria Magone - scrisse Don Rua
« ottenne di venir a
finir i suoi giorni nella casa dove erasi santificato il siio figlio, e riconoscente
pel favore, lavorava indefessa e al mattino la prima messa che celebravasi
neji'oratorio era sempre da lei udita. Pregava volontieri e temeva il peccato
come un serpente. Dopo sette giorni di malattia mori con tutti i conforti
della religione, pienamente rassegnata, ed invocando Gesù, Maria, Giuseppe
ed il siio Michele, a cui dimandava che la prendesse con lui in Paradiso »(n).
Ancora più caratteristica è la morte di Francesco Besucco, il nipote del
parroco di Argentera, venuto all'oratorio per consumarsi nella tensione
dello studio, dell'ascetismo e del clima cittadino per lui inadatto. Sul letto
di morte giaculatorie e canti sacri riecheggiano nella sua mente intorpidita
dalla febbre. Canto e preghiera, che avevano riempito la sua solitudine di
pastorello o di piccolo orame nella chiesetta di Argentera davanti al Crocifisso
O a Valdocco davanti al Sacramento:
«Circa alle dieci e mezzo pareva non potesse più avere che pochi minuti di vita;
quando egli trasse fuori le mani tentando di levarle in alto. Io gli presi le mani e le
raggiunsi insieme affinché di nuovo le appoggiasse sul letto. Egli le sciolse e le levò
d i nuovo in alto con aria ridente tenendo gli occhi fissi come chi rimira qualche og-.
getto di somma consolazione [.. .l Sembrava che gli balenasse sul volto una bellaza,
un tale splendore che appariva oscurato il lume stesso della lucerna. Tutti gli astanu
che erano in numero di dieci all'incirca rimasero stupefatti; ma crebbe in tutti la
maraviglia quando l'infermo elevando alquanto il capo e prolungando le mani quanto
poteva come chi stringe la mano a persona amata, cominciò con voce giuliva e so.
noia a cantar così: Lodate Maria - O lingue fedeli - Risuoni ne' cieli - La vostra
armonia.
Dopo faceva varii sforzi per sollevare in alto la persona e stendendo le mani
unite in forma divota, si pose di nuovo a cantare così: O Gesù d'amore acceso - Non
[sez. l], art. 5, Torino 1847, p. 17: «S. Stanislao Costa stava in Chiesa con tanta divozione,
che voite non udiva le chiamate n6 sentiva le spinte, colle quali i suoi scrvitori io avver.
tivano ~erchéandasse a casa ». Anche S. Luigi quando pregava v quantunque forte chiamato,
con difficoltàpoteva udire ci6 che da lui si voleva, tanto era il diletto che provava intratte-
nersi con Dio » (Sei domeniche, giorno 8, in Giovane prouu., ed. C,, p. 69).
(25) Bosco, Cenno biografico, n. 25.
(aj Bosco, Cenno biografico,p. 81.
(n)Morì all'oratorio il 20 gennaio 1872. Cf. Necrologia autogr.di
forio di S. Francesco di Sales. Torino, Defimti, AS 276.
R,,~in: ora.
vi avessi mai offeso - O mio caro e buon Gesù - Non vi voglio offender più.
Senza interrompere intonò la lode: Perdon caro Gesù - Pietà mio Dio - Prima di
peccar più - Morir vogl'io. [ . . .l Eravamo tutt'ora attoniti per la maraviglia quando
il Besucco continuò il suo canto, ma le sue parole erano tronche e mutilate, quasi
dRiechdielrisCpioenld.e. .adTaanmtoorehveol l.i.i.ntSerornogpaozivoenri.pIeocchaotopro..tu.toAsovlotaindtoonroaccilogmlieiore cquuoesrt.e. :.
Datemi il vostro amor . . . Mio caro e buon Signor.. . Indi si lasciò cadere regolar-
mente sul letto senza dar segno di vita. Ma accorgendosi che non si pregava più, né
gli suggerivano più giaculatorie, tosto si voltò dicendomi: Mi aiuti, preghiamo. Gesù,
,Giuseppe, Maria assistetemi in questa mia agonia. Gesù, Giuseppe, e Maria spiri in
pace con voi l'anima mia [ .. .l Erano le undici quando egli volle parlare, ma non
potendo più disse solo questa parola: I1 Crocifisso [ .. .l Pochi istanti dopo
[dopo le undici e un quarto] l'anima sua lasciava il corpo e se ne volava gloriosa,
come fondatamente speriamo, a godere la gloria celeste in compagnia di quelli che
coll'innocenza della vita hanno servito Iddio in questo mondo, ed ora lo godono e lo
benedicono in eterno D (*).
Gesù, dunque, domina la vita spirituale di Don Bosco e dell'ambiente
.che ha lui al centro. Ma soprattutto è il Gesù eucaristico, con il contesto
.degli elementi che ne formano il culto individuale e comunitario. È questo
il Gesù con il quale Don Bosco stesso colloquia nella visita quotidiana,
fatta al pomeriggio in chiesa; il Gesù davanti al quale colloca i suoi gio-
vani i n preghiera, quandu si reca in città ad elemosinate per loro. Trattando
con lui negli anni della vecchiaia, in cui non riesce più a controllarsi piena-
mente, Don Bosco tradisce il proprio affetto e le sue Messe sono bagnate di
lagrime e interrotte da quei singhiozzi che non aveva approvato in Comollo.
Nella difficoltà di muoversi nei suoi ultimi anni ttascorreva lunghe ore nelle
sue camerette, mentre i suoi salesiani erano occupati con i giovani. I n que-
gli anni avvennero anche quei fenomeni di levitazione e irradiazione dei
volto che furono testimoniate dal giovane che gli serviva la Messa e che poi
fu salesiano e missionario: Don Evasio Garrone (").
2. Gesu Cristo Giudice
A Gesù sacramentato fa contrasto quello evocato nel contesto dei novis-
simi. Gesù dell'Eucaristia è il Gesù che ha tanto amato gli nomini; è Dio
con noi, benigno, paziente, amorevolissimo, che iniiamma con le sue saette
d'amore. I1 Cristo dei novissimi è un Cristo tremendo: quello del Dies irae
calamitatis et miseriae. E la ragione è - si legge nel Giovane provveduto e nel
Mese di maggio - che dopo la morte è finito il tempo della inisericordia (%).
(28) BOSCO, Il pa~dorellodelle Alpi .. ., Torino 1864, p. 171 S.
. (29) MB 13, p. 897.
(M)Bosco, Il giovane provveduto.. , Torino 1885, p. 499: « In questa vita il Si-
gnore esercita l'u&io di Padre misericordioso, nell'altra quello di Giudice severo ». Questa
107

6.6 Page 56

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Don Bosco fa sua la rappresentazione della letteratura devota popolare, che
in Italia nell'Ottocento si ispira ancora al Segneri, a Leonardo da Porto Mau-
rizio, al Pinamonti, a S. A l f ~ n s o ( ~ ' )A. l giudizio Gesù Cristo si mostrerà
adirato e chiederà st-ttissimo conto delle grazie elargite, dell'uso fatto delle
sue misericordie, dello scempio fatto del suo preziosissimo sangue, delle
risposte insolenti o insane alle sue insistenti chiamate. Le meditazioni quo.
ridiane sui novissimi proposte nel Giovane provveduto, quelle dell'eserci-
zio mensile della buona morte o degli annuali esercizi spirituali ripropongono
il meccanismo della conversione e, con esso, tutto quanto possa far scattare
il pentimento, il ritorno a Dio, il proposito di non più peccare. Per questa
ragione Don Bosco e i suoi giovani entrano senza diiiicoltà nella dinamica
dei novissimi, inserendosi come peccatori spaventati e compunti, che si
impauriscono alla visione del giudice corrucciato e deli'inferno spalancato:
perché vogliono ancora una volta, mensilmente, settimanalmente, annual-
mente, riprotestarsi peccatori pentiti, gettarsi come il figlio1 prodigo ai
piedi del Padre celeste, ai piedi dell'albero della vita e irrorarsi del suo
sangue benedetto:
«Appena uscita l'anima dal corpo subito comparirà davanti al Divin Giudice.
La prima cosa che rende terribile questa comparsa si è che l'anima si trova sola a1
cospetto di un Dio che sprezzò, di un Dio il quale conosce ogni segretezza del tuo
cuore, ogni pensiero. Quali cose porterai teco? Porterai quel tanto di bene e di male
che operasti in vita: refert unusquisque prout gessit sive bonum, sive malum. Non si
può trovare né scusa né pretesto. Al dissopra avrai un giudice sdegnato, da un canto
i peccati che ti accusano, dall'altro i demoni pronti ad eseguire la condanna, dentro
una coscienza che ti agita e ti tormenta, al dissotto un inferno che sta per ingojarti.
I n tali strettezze dove andrai, dove fuggirai? L,. .l Tu, dirà, il Divin Giudice, a di-
nota manca nelle edizioni precedenti. Può essere stata aggiunta da altri, rispecchia però pie-
namente quanto DB scrive già nella meditazione sul giudizio, che P del 1847 L'anima si
raccomanderà alla misericordia Divina, e la misericordia non è più per lui, perché colla
morte finisce il tempo della misericordia D, p. 42). Nel Mese di maggio, Torino 1858: «Fin.
ché l'anima P unita al corpo è tempo di misericoidia e di perdono>, (giorno 20, p. 118).
S. Alfonso, da cui DB attingc gli argomenti sul giudizio e sulla misericordia, specifica
ancor di più. Accettando uu'afferinazione di Leonardo da P. Maurizio scrive che anche su
questa terra il tempo della misericordia può essere limitato. Quando il peccatore ha col.
mato la misura dei peccati,
il tempo della vendetta non
Dio sottrae
aspetta più
elacagsrtaigzaia.
efficace:
. . O gli
«Dio aspetta, ma
manda la morte. e
quando giunge
lo fa morire in
peccato; o pure lo priva delle grazie abbondanti e lo lascia colla sola grazia sdciente colla
quale il peccatore potrebbe si bene salvarsi, ma non si salverà. La mente accecata, il more
indurito, il mal abito fatto, ienderanno la sua salvazione moralmente impossibile; e così re-
sterà, se non assoliitamente, almeno moralmente abbandonato ». Cf. Apparecchio alla morte,
cons. 17, punt. 2, ed. Marietti, P. 78; A. GEMELLI, Il J~ance~canesimoM, ilano 19363,
.D. 26~ 3. .
Un discreto elenco di opere spirituali sui novissimi in reiaiione a S. Alfonso è
dato da G. C~ccrn.ro~Lee, fonti e i modi di documentazione in S. ALFONSMO. DE LIGUORI,
Opere ascetiche. Introduzione generale,
sogna aggiungere il B~AMONSTeIri,e di
Roma 1960, p. 214.216.
meditazioni prediche ed
Per quanto
istruzioni..
.r,igMuairldanaoD1B84b4i;-
ZAMA-MELLIGNeIs,ù al cuore del giovane, Roma 1833; Torino, G . Marietti 1834.. .
spetto di tanti doni, di tante grazie, oh quanto male corrispondesti alla tua profes-
sione! Venuta Seta in cui appena cominciavi a conoscermi, tosto cominciasti ad offen-
dermi con bugie, con mancanze di rispetto alle chiese, con disobbedienze a' tuoi ge-
nitori. con molte altre trasgressioni de' tuoi doveri. - Almeno col crescere degii anni
avessi meglio regolato le tue azioni; ma tu crescendo in età aumentasti il disprezzo
della mia legge . . . » (9.
La requisitoria incalza senza possibiltà di scuse e attenuanti, senza p09
sibilità di scampo: «L'anima si raccomanderà agli angeli, a' santi, a Maria
Santissima; ed ella a nome di tutti risponderà: chiedi ora il mio ajuto? Non
mi volesti oer Madre in vita, adesso non ti conosco più per figlio, non ti
conosco più: nescio vos » ( D ) .
Talora nella rappresentazione drammatica sembrerebbe che il senti-
mento sfugga al controllo dogmatico: si induce a immaginare accanto a
Cristo jiudice inesorabile, Maria onnipotenza supplice, madre pietosa di
tutti i credenti ancora in quel momento, implorante anche allora, quasi in
contrasto con il suo divin Figlio:
Avvocata in quest'esiglio,
Deh! lo sii per me lassù,
Cara Mamma, d'un tuo figlio!
Presso il Trono di Gesù(").
Ma tale contrapposizione, deplorata energicamente nei Monita salutavia
B. Mariac Virginis ad suos devotos indiscreto8 del Widenfeld, dal Nicole,
dal Muratori, dallo stesso Segneri è scomparsa nelle opere più vigili a cui
con predilezione si rifà Don Bosco: le Glorie di Maria, l'Apparecchio alla
morte e altri scritti alfonsiani che conoscono le riserve espresse dal Muratori
nell'opuscolo Dello regolata devozione ("). I1 quadro è meno contrastato, ma
più coerente. Il dramma, più che dalla contrapposizione tra Gesù e Maria
viene fatto scaturire dall'intima disperazione dell'anima dannata nell'inelut-
tabilità della sua sorte:
« Vanima si raccomanderà alla misericordia Divina, e la misericordia non è più
per lei, perchi colla morte finisce il tempo della misericordia. Si raccomanderà agli an-
geli, a' santi, a Maria Santissima: ed ella a nome di tutti risponderà chiedi ora il
mio ajuto? Non mi volesti per Madre in vita, adesso non ti conosco più per figlio,
non ti conosco più: nescio vos. I1 peccatore non trovando scampo alcuno griderà alle
montagne, alle pietre che lo coprano, e non si muoveranno; invocherà l'inferno, e lo
(D) [Bosco], Il giovane prouueduto, Torino 1847, p. 40 s; le medesime espressioni sono
riprese sul Mese di maggio, giorno 16, ed. 1858, p. 95 S.
(33) BOSCOI1, giovane prouueduto, ed. c., p. 42.
,ioni.
(.3.,)DTaolrlaino1,dteip: .
« O del
e libr.
Cielo gran Regina n: Scelta di
Salesiana 18793, p. 36; Bosco,
I
Laudi sacre ad uso delle mis-
l giouane prouueduto, ed. 1885,
p. 467.
(3s) Cf. G. CACCIATOSR.EA,lfonso de' Liguori e il Giansenismo . . . , Firenze 1942.
109

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
vedrà aperto: Inferius horuendum chaos. Queilo è l'istante ui cui l'inesorabil Giudice
proferirà la tremenda sentenza; figlio infedele, va lungi da me, il mio Padre Celeste
ti ha maledetto, io ti maledico; vattene al fuoco eterno. . . » (36).
I1 giovanetto che legge, il figlio del popolo, il salesiano che ascolta
la predica agli esercizi spirituali è sollecitato a diventar pensoso e a temere:
a immaginarsi quasi scoccare l'ora terribile, il suono tremendo delle trombe
angeliche:
Ahi! che I'orribil tromba
Già rimbomba intorno
E nell'estremo giorno
Già sento in me iorror.
1.. .l
Monti, su me cadete,
Apriti, term, amai,
Confuso griderai,
Ma invano sarà il gridar.
Del Giudice supremo
l'orribile presenza,
E la fatal sentenza
Fa d'uopo sostener.
1.. .l
Di quel gran di fatale
Sciiotiti al lampo, al tuono
Ed or, che puoi, perdono
T'affretta ad implorar (V).
I1 proposito che vuol fare sgorgare la rappresentazione di Cristo severo
con a fianco la Corte celeste, i demoni e gli angeli, il bene e il male compiuti,
è anche espresso nei termini di una devozione il cui fondamento sicuro è,
con preferenza, la teoIogia alfonsiana, che dà larghissimo posto alla gtazia
e alla libertà, alla preghiera e alla devozione a Maria Vergine: « Gesù mio,
fatemi la grazia che io possa essere uno di quelli benedetti; Vergine Santis-
sima, aiutatemi voi, proteggetemi i n vita ed in morte, e specialmente quando
mi presenterò al Divin Figlio per essere giudicato »p).
3. L'esempio di Gesù
Sempre nell'ambito della spiritualità vissuta, della pietà e della peda-
gogia cristiana troviamo, anche in Don Bosco, un notevole ruolo di Gesù
IBoscoI, 11 giovane provueduto, Torino 1847, p. 42
("1 [Bosco], 11 giovane provueduto, ed. c., p. 336.338. Tale lode era in uso in
Piemonte gid nel sec. XVIII; si trova, ad esempio, in Lodi spirituali per le missioni ad uso
di diverse diocesi
p. 30-32.
Piemonte. . . In Asti, presso Gio. Battista Massa, d. 1179.. .I,
[BOSCO]I,l giovane provveduto, ed. C,, p. 43
110
come « esempio ». A differenza d i alcuni suoi ispiratori (come il Gobinet o la
stessa Imitazione d i Cuisto) Don Bosco non spiega qual senso propriamente
intenda, né d a sviluppo dottrinale all'argomento (39). Si possono trovare, ad
esempio, spunti circa la conformità a Cristo che il fedele deve raggiungere
su questa terra, per essere veramente membro vivo di Cristo Capo e per es-
sere riconosciuto d a Lui al giudizio e dichiarato figlio benedetto del Padre
celeste("). Ma niente altro che spunti. L'attenzione di Don Bosco, più che
all'analogia del Corpo(") va ai misteri terreni di Gesù, agli insegnamenti
che Cristo ha lasciato attraverso le sue azioni e i suoi discorsi, ponendoli in
contrasto all'implicita persuasione che non se ne è tenuto conto adeguato.
I1 Giovane provvedulo presenta qua e là Gesa modello d i obbedienza
o di mitezza, .Gesù che mostra quanto ami i giovanetti, cioè i filii h o m i n u m (").
L'esempio dedotto dalla vita di Cristo è più frequente che non quello preso
dalla vita di S. Luigi Gonzaga o da quella di Luigi Comollo e la ragione della
preferenza è implicita nella persuasione che Cristo è il divino modello, di
cui il Gonzaga, il Comollo, S. Filippo Neri, S. Rosa da Lima, sono imi-
tatoti.
La Stouia sacra e la Maniera facile peu impauare la storia sacra comple-
tano elementi germinalmente espressi già nelle opere che precedettero. Oltre
a Gesù modello con la sua vita è presentato Gesù maestro con sentenze,
con il discorso della montagna e con ~ a r a b o l eche inculcano il distacco dai
beni della terra, l'amore di Dio, la necessità di darsi a Dio per liberarsi dal
peccato e per salvarsi, l'umiltà, la prudenza, il nascondimento, la mitezza
(39) GOBINETIs,truzione della gioventù nella pietà cristiana, pt. 5, cp. 15, massima
11, Torino 1831, p. 428. Più significativoè Un mazzolin di fiori ai fancizllli ed alle fanc~ullc
ossia antiveleno cristiano. . . , Torino, Paravia 1836, p. 30-40: « Lezione 111. Deli'imitazioue,
ed amore di G. C. ». L'operetta è anonima, ma ne è autore i'oblato di M.V. Stefano
Messio Burzio, zio dei chierico di cui DB fu prefetto in seminario e del quale lasci? una
testimonianza pubblicata da F. GIORDANCOen,ni istruttisi di perfezione proposti u' gtovani
desiderosi della medesima nella vita edificante di Giuseppe Burzio . . ., Torino, stamperia
degli artisti tipografi, p. 96.137.
(a)[Bosco], Il giovane provveduto, Torino 1847, p. 42.
Una delle rarissime affermazioni è nel Mese dr maggio, ultimo giorno di aprile, To-
rCinriosto185n8el,lap.g1ra5z:ia«..M. aAriia
inoltre è nosua
quale proposito
madre percbb
S. Guglielmo
ci rigenerò per mezzo di Gesù
Abate si esprime così: Maria
è madre del Capo, quindi è anche Madie delle membra, che siamo noi: Nos sumus
*beli membra Christi ». L'accento 1. sulla maternità spirituale di Maria, chiamata in causa per
suscitare la pratica devota del mese
ossia il mese di maggio santificato ad
u Essa, dice Guglielmo Abate,. . . è
momnaoatdriaernedoi.deMFloancratieap.oè.,.,cAoTpsìosrtèiinnoom, aGFdE.reRMRdairAieRmttIio,l1ti85m3e;,mmpba.rrii2a.8n.:.i
Mproargiaenèitrincoes.t.ra.
madre,
In uno
perché ci
Salvatore
ridonb la vita di grazia stataci tolta
omnium Iesu plurimos Maria peperit
dalla prima nostra
ad salutem . . . Eo
ipso quod Mater est capitis, multorum membrorum mateu est. Mater Christi mater est membro-
m m Christi; guia caput et corpus unas est Christus. . . Guliel. Ab. cant. 4 ». Dalle note
Marietti si ricava che DB acquistò varie copie di quest'opera del Ferrari; cf. AS 112
Fatture, Marietti.
(42) [Bosco], Il giovane provveduto, Torino 1847, p. 11; 14

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
anche quando si è contraddetti o maltrattati, la carità senza limiti, che
giunge a chiedere il perdono per gli uccisori. Risulta che Don Bosco, nella
considerazione di Gesù, a differenza di quanto farà in quella di Maria San-
tissima, più che al senso figurato preferisce l'esemplarismo che scaturisce
dai fatti e dalle sentenze. Differisce perciò dalle tendenze figuriste del Royau-
mont (espressione di un'epoca molto impregnata di agostinismo e di alle-
gorismo, in reazione anche all'interpretazione letterale del testo sacro, a cui
si erano attaccati i Protestanti). Don Bosco è più sulla linea del Calmet,
di Francesco Soave e di Cristoforo Schmid. Non ama molto le considera-
zioni morali aggiuqte ai fatti. Vuole che i fatti stessi siano impregnati di
esemplarismo. Il « si conferma il fin qui detto con qualche esempio », ca-
ratteristico nell'Esercizio di perfezione e di virtù religiose del Rodriguez,
ma anche di molta predicazione e letteratura devota, Don Bosco lo assimila
specialmente per libri devoti come il Mese d i maggio o il Divoto dell'Angelo
Custode. Non però nelle biografie del Savio e di Magone che si collegano di
più, per la struttura letteraria, alla Storia sacra, a quella ecclesiastica e alle
Vite dei Papi, in cui più coscientemente pare sia seguito il canone stiiistico
che poi Don Bosco suggerisce a Don Lemoyne: la « moralità » non sia ag-
giunta ai fatti, ma la narrazione sia condotta in modo tale, da presentarsi
essa stessa come stimolo all'imitazione (").
Il « si conferma il fin qui detto con un esempio » è invece nella strut-
tura letteraria delle conferenze formative ai Salesiani. Negli esercizi spiri-
tuali predicati a Trofarello (e poi più volte sugli stessi schemi) illustrando
la vita religiosa in generale o i singoli voti e le principali virtù, quasi sempre
pone al posto di onore la dottrina di Gesù o il suo esempio. Fonte lettera-
ria sono La vera sposa di Gesù Cristo di S. Alfonso, l'Esercizio d i pevfezione del
Rodriguez("). Stimolo remoto alla schematizzazione ch'egli viene a pre-
ferire è forse anche quel che scrisse nelle Regole o Costituzioni ispirandosi,
probabilmente, alle Regole dei Lazzaristi: « Gesù Cristo cominciò a fare ed
insegnare, così i congregati [soci] continueranno a perfezionare se stessi
(9DB a Don Lemoyne, Torino, 3 novembre 1869. AS 131.01; Epistolario 786.
E 4; (M9BC9o,sìp, .i'i9s8tt6usz)i:on«eHosumio«vvaivnittagpguirdiuisc, hciavdiivterainriuCs,onsgurreggiatzivoenleocKiu(sA.S..1»3,2cPheredsiocnhoe
di un'omelia solitamente attribuita a S. Bernardo, provengono dalla Vera sposa di Gesù
Cristo, cp. 2 De' beni dello stato religioso, in S. ALEONSOO,pere ascetiche, 4, Torino,
Marietti 1847, p. 16-27; la cui fonte diretta pare sia Carlo Gregorio ROSIGNOLLIa, saggia
elettione . .., pt. 1, cp. 15, Torino 1673 2, p. 258-290, e indirette, quelle raccolte in S.
ALPONSMO. DE LIGUOROI,pere ascetiche, 14, Roma 1935, p. 37-60.
~~~~~~~, Lo schema sui «rendiconti di coscienza» (AS 132 Prediche G3; MB 9, p. 995) è
intessuto di citazioni e frasi che si ritrovano sul
Esercizio di perjezione e di
virtù cristiane, p t 3, tratt. 7, Della chiarezza con che si dee procedere co' Superiori e
Padri spirituali, cp. 3 e 5, ed. Torino, Marietti, 1828, vol. 3, p. 476.489. Le derivazioni dal
medesimo trattato del Rodriguez, dell'Introduaione alle Regole o Costituzioni della Soc.
di S. Franc. di Sales sono segnalate da P. BROCARDOire,zione spirituale e rendiconto,
Roma 1966, p. 165.
colla pratica delle interne ed esterne virtù, coll'acquisto della scienza, di
poi si adopreranno e benefizio del prossimo » (").
Quanto l'evocazione di Gesù sia penetrata nel meccanismo religioso
ambientale è possibile ricavarlo, ad esempio, dalla Vita di Domenico Savio,
dove Don Bosco incorpora una testimonianza di Don Giuseppe Cugliero,
maestro elementare di Domenico a Moudonio. Domenico Savio, calunniato da
alcuni compagni di scuola non si difende. Scoperti i colpevoli, il maestro lo
interroga per scoprire i motivi di quel comportamento singolare. Domenico,
ch'era allora sugli undici anni, adduce varie ragioni e conchiude: « D'al-
tronde pensava anche al nostro T)ivin Salvatore, il quale fu ingiustamente
calunniato »(46).
Qualcosli di analogo si riscontra in Don Bosco in momenti di inelutta-
bile sofferenza. Quando mamma Margherita, contrariata e stanca aveva decisa
di tornarsene ai Becchi, Don Bosco non disse nulla, ma indicò il Crocifisso ap-
peso alla parete ("). Nel 1860, sorpreso dalla prima perquisizione domici-
liare sopravvenuta improvvisa, non può nascondere la propria contrarietà,
soprattutto per la disinvoltura e insolenza degli inquirenti, in tempi in cui
negli ambienti religiosi era vivissimo il senso della sacralità del sacerdozio:
«Entrati in mia camera, io mi abboncionai al loro arbitrio. Cominciarono a met-
termi le mani in dosso; quindi ogni saccoccia, il taccuino, il porta monete, le brache,
il giustacnore, la sottana, gli orli degli abiti, lo stesso fiocco delia beretta fu soggerto
di indagini a fine di trovare, essi dicevano, il corpo del delitto. Siccome queste opera-
zioni si facevano in modo grossolano spingendomi in tutti i versi, io mi lasciai
sfuggire le parole: Et cum sceleratis reputatg!s est. Che dice, chiese un di loro.'- Dico
che voi mi fate il servizio che altre volte alcuni prestarono al Divin Salvatore » (@l.
L'episodio è un indice della capacità di controllo di Don Bosco, che
lascia apparire, ma non capire il senso di ripulsa e di protesta. Però la com-
ponente temperamentale non interviene fino al punto da comprimere il sen-
timento religioso che contemporaneamente si esprime e ci rivela qualcosa
ch'era profondamente creduto e vissuto.
(6)Regole della Societi di San Francesco di Sales, Scopo di questa congregazione,
art. 2; AS 022(1), p. 6, ms. di Don Rua con correz. di DB; Regole oovero costituzioni
comuni della congregazione della Missione, S.l. 1658, cp. 1, art. 1, p. 9 s: « Gesù Cristo.. .
cominciò prima a fare, e poi ad insegnare ». Da ricordare anche ii cosiddetto testamento
spirituale ai Salesiani: « I l nostro vero Superiore Gesù Cristo, non morrà. Egli sarà
sempre nostro Maestro, nostra guida, nostro modello... Giudice e rimuneratore della
nostra fedeltà nel suo servizio» (AS 132 Quaderni 6, p. 30; MB 17, p. 258).
(*) Bosco, Vita del giovanetto Sauio Domenico, Torino 1859, p. 33. L'originale della
lettera di Don Cugiiero si conserva all'AS 9 Savio (da catalogare).
(47) LEMOYNE, Scexc morali di famiglia esposte nella vita di Margherita Basco. . . ,
cp. 23, Torino 18902, p. 143 (quest'edizione porta alcuni ritocchi dovuti a DB stesso).
(a)Bosco, Le perquisizioni, AS 132 (ms. autogr. di DB, p. 9 s) riportato con
qualche variante in MB 6, p. 560 S.

6.9 Page 59

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
4. Gesù Divin Salvatore
Quando invece Don Bosco è nella calma degli scritti storici o nello
stato d'animo dell'apologista, del catechista e del sacro oratore, il Cristo
che più domina, insieme a Gesù Sacramentato, è il Divin Salvatore disceso
dal cielo per redimerci dalla schiavitù del peccato e salvarci dalla morte
eterna. L'influsso della catechesi ambientale è evidente e documentabile.
La spiegazione della dottrina cristiana i n uso nella diocesi di Torino pone
chiaramente l'accento sul ruolo salvifico del Verbo incarnato. Gesù vuol
- dire Salvatore (4q). Gesù Cristo - scrive Don Bosco riassumendo
« inse
gnava tutto ciò che è necessario di credere ed operare per salvarci » Il
Vangelo annunzia agli uomini il « mezzo per conseguire la eterna salute » (5').
E la Maniera facile a proporci una sintesi dottrinale del Vangelo, in cui sono
linee portanti gli elementi etici e soteriologici:
« D . Perché G. C. ha fatto tutti questi miracoli?
R. G. C. ha fatto tutti questi miracoli per dimostrare che la sua dottrina era di-
vina, e clie egli era figlio di Dio.
D. Che cosa insegnava in particolare sopra gli onori?
R. Egli insegnava che il superbo sarà umiliato, e che l'umile sarà glorificato.
D. Che cosa insegnava intorno ali'uso delle ricchezze?
R. Egli insegnava che una cosa sola è necessaria, e che nulla serve all'uomo di guada-
gnare tutto il mondo se poi viene a perdere l'anima propria.
D. Che cosa insegnava sopra i piaceri della terra?
R. Egli insegnava che alla morte i piaceri e le allegrezze del mondo si cangeranno in
tristezze, e che la tristezza del giusto si cangerà in piacerc ed allegreiza. [.. .]
(49) Compendio della dottrina cristiana od uso della diocesi di Torino, Catech. degli
ammessi alla Comunione, pt. 1, lez. 3, Torino, G. B. Paravia [1844], p. 60: «Si chiama
Gesù, che vuol dire Salvatore, perché ci ha salvati dalla morte eterna meritata pei
nostri peccati n.
("1 Bosco, Maniera facile per imparare la storia sacra. . . , Torino 1855, p. 47. Cf.
[A. BIGEX], Catechismo btorico, ed. c., p. 19: «Cosa insegnava Gesù Cristo nella sua
predicazione? - Tutto
COLLOTE,xplication des
ciò, che è necessario a
premières vérités de la
credere, e fare
religion .. ., ch.
per salvarsi». Invece il
4, art. 3, ed. c., p. 95:
« Qu'enseignait Jésus-Christ?- Il enseignait tout ce qui est nécessaire au salut S.
Un'altra sintesi, sulla medesima linea, si ha nella Storia sacra, Torino 1847, p. 158:
«Caduto il nostro genitore Adamo dallo stato d'innocenza in cui iu da Dio creato, egli e
tutti i posteri doverono per molti secoli gemere sotto la dura schiavitù del demonio, il
quale grande parte ne traeva seco ad eterna perdizione, né c'era per l'uomo altro mezzo
onde salvarsi, se non la fede in quel Liberatore, che la bontà Divina gli aveva promesso.
Perciò tutti gli avvenimenti della Legge antica, la speranza de' Patriarchi, le predizioni dei
Profeti miravano al tempo awenturoso di questo universale Salvatore D. I1 brano già si
trova nella Storia ecclesiastica, Torino 1845, p. 20, escluso il periodo finale: «Perciò -
Salvatore D.
(5') BOSCO, Maniera facile, p 56 S.
D. Che cosa diceva G. C. di se medesimo?
R. Egli diceva che era il figliuolo unico di Dio, e il Salvatore promesso agli uomini
venuto dal cielo in terra per insegnar loro la strada della salute » ( j 2 ) .
Altrove (Cattolico istruito, Vite dei Papi, scritti mariani) è anche Gesù
Divin Salvatore ad esserci proposto. Ed è interessante notare una sfumatura
che distingue Don Bosco da S. Alfonso. Anche questi adopera l'espressione
Divin Salvatove, ma senza una vera e propria preferenza rispetto a quella di
nostro Divin Redentore. Don Bosco, quando dipende da pagine alfonsiane
incorpora Redentore e Salvatore (*). M a quando si sgancia alquanto dal
dettato delle fonti, quasi sempre a Gesù alterna l'appellativo di nostro Diviiz
Salvatore, sia che si rifaccia al SauveurSdvatwe di fonti francesi, come il
Loriquet, sia anche quando rimane nell'ambito del discorso ispiratogli uni-
camente da S. Alfonso.
La salvezza, poi, è sentita come polarizzata nell'istituzione: nella Chiesa.
Conseguentemente il Divin Salvatore è sentito come istitutore, fondatore,
legislatore, venerato e ascoltato in quanti sono suoi vicari, suoi ministri e
rappresentanti: « I1 nostro Divin Salvatore - scrive nel Mese di maggio -
disceso dal cielo per salvarci volle stabilire u n mezzo onde fosse assicurato
il deposito della fede fondando un regno spirituale sopra la terra. Questo
regno è la sua Chiesa ovvero la congregazione dei fedeli cristiani di tutto il
mondo, che professano la dottrina di Gesù Cristo sotto la condotta de' le-
gittimi pastori e specialmente del Romano Pontefice che ne è il capo da
(52) BOSCO, Maniera facile, p. 48s. Altri autori presentano altre sintesi: Fleury,
Collot, Pouget, Bougeant, Rosmini ... I1 valore della schematizzazione di DB può risultare
maggiormente dal confronto con altri. Giandomenico Boriglioni, ad esempio, così riassume
la dottrina di Gesù Cristo: «Primo far penitenza; 2. Far bene a chi ci fa male; 3. Disprez-
zare la vanità del Mondo; 4. Portar la croce; 5. Pregar Dio di continuo » (Compendio della
dotwina cristiana.. ., pt. 1, cp. 22, Torino, Eredi Avondo 1771, p. 70).
(53) Occorrerebbe qui addurre una lunga serie di paralleli tra le Masrime eterne,
l'Apparecchio alla morte, La vera sposa di Gesù Cristo e il Giovene provveduto, il Mese
di maggio, l'Introduzione alle Regole o Costituzioni della Soc. di S. Franc. di Sales. Ci si
consenta di citare un caso patente:
S. ALFONSOA,pp. alla morte, cons. 16,
[Bosco], Esercizio di diuoz. alla mise-
punt. 2, Torino, Marietti 1845, p. 73:
ricordia di Dio, ed. c., p. 62 S.
«Par che dica Gesù Cristo, parlando
«Onde non c'è maravigiia se i santi
di te: Laboravi clamans, raucae factae sunt padri applicano quanto segue ai nostro Di-
fauces meae. [in nota: ps. LXVIII, 41 Fi- vin Salvatore, quasi vada dicendo all'uom
glio, quasi ho perduto la voce in chiamarti. peccatore iaboravi clamans, raucae factae
Avvertite, o peccatori, dice S. Teresa, che sunt fduces meae (Psaim. 68). Figlio ho
sta
vi
chiamando quel
ha da giudicare.
.S.ig»n.ore
che
un
giorno
quasi perduto la voce in chiamarti. Av-
vertite, o peccatori, dice Santa Teresa, che
vi sta chiamando quel Signore che voi
avete tanto offeso v .
Nel Mese di maggio è caratteristica la consideraz. per il giorno terzo: La redenzione
(p. 28-31) dove poi si parla sempre del Salvatore, Messia promesso, Figlio di Dio.

6.10 Page 60

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Dio stabilito » (%). Il tema di Gesù Capo, di cui i fedeli sono membra, per
quanto espresso, non trova sviluppo ("1 e non pare assuma nella mentalità
di Don Bosco la vivezza e la presenza che ha invece il sentire Gesù Capo
della vera e unica religione. Manca, oltre tutto, uno sviluppo adeguato deila
dottrina della grazia; e forse, in ciò Don Bosco subisce l'influsso del cate-
chismo diocesano, nato in tempi di forti polemiche sulla grazia e perciò
reticente, forse a ragion veduta, in un campo in cui non si volevano assumere
posizioni di scuola (%). Eppure Don Bosco non se ne dimentica. Scrivendo
ad amici, specialmente chierici e sacerdoti, quasi mai fa mancare la clau-
sola: « la grazia di nostro Signore Gesù Cristo sia sempre con noi » (").
I1 sentirsi chiamato a promuovere la salvezza delle anime, il motto
« da mihi animas, caetera tolle >> darà ancora un movente alle preferenze
di Don Bosco per l'appellativo Divtfz Salvatore. Ma non bisogna dimenti-
care anche le condizioni ambientali. I1 sentirsi in tristissimi tempi, a sol-
care il mare in6do di un mondo traditore, sotto un diluvio di errori e il
soffio inaridente delf'indifferentismo e dell'irreligione blasfema dà un'enfasi
speciale alla qualifica « Divino », come affermazione di una fede ripudiata
e combattuta da molti, con i quali convive e di cui quotidianamente av-
verte I'incideiiia sulla propria vita e sulle sorti della Chiesa e delle anime.
L'appellativo « Salvatore » acquista risalto dal contesto di pericoli spirituali
che le anime e la mistica arca di salvezza - la Chiesa - attraversano men-
tre volgono verso il porto sicuro delf'eternità beata
I1 sentire Gesù come Salvatore spiega, inoltre, come mai negli scritti
e nelle parole di Don Bosco risultino sbiaditi molti altri elementi del mi-
stero cristiano. E anzitutto, il mistero trinitario. Certamente la Trinità è
dogma. Chi non la crede o chi non la conosce, non può essere ammesso ai
Sacramenti. Ma il mistero trinitario non è tra le verità su cui Don Bosco
(") Bosco, I l mese di maggio, giorno 4, Torino 1858, p. 33, che si ispira a I1
cattolico istruito, pt. 2, tratt. 3, Torino 1853, p. 88 e perciò alle sue relative fonti.
(55) Gli accenni più significativi sono a proposito della Chiesa romana. Essa è santa,
« perché Santo è il Capo di lei, Gesù Cristo, sorgente d i ogni santità». Cf. LI cattolico
istruito, pt. 2, tratt. 5 , ed. c., p. 99. Espressioni analoghe sono nei Fondamenti della
cattolica religione, nel Mese di maggio, La Chiesa Cattolica e la sua gerarchia, ecc. Owia-
mente anche in ciò DB è portavoce d i quanto circolava nei Catechismi, a cominciare da
. quello della diocesi di Torino: «D. Perché la Chiesa si dice Santa? - R. Perché Santo
è il Capo, che è Gesù Cristo. . perch6 tutti i suoi membri sono chiamati aila santità. . . »
(Compendio alla dottr. crist., Cat. ad uso degli ammessi alia Comun., pt. 1, lez. 10, § 2,
ed. c., p. 72).
(16) STELLA, Alle fonti del catechismo d i san Pio X. I l catechismo di mons. Casati
in Salesianum 23 (1961), p. 43-81.
(9) Si percorra l'Epistolario di DB, speciahente si vedano gli ulthni due volumi.
(58) Soprattutto LI cattolico istruito, pt. 1, tratt. 12-17, come i1 Catéchisme deli'Aim.4,
risente deUa polemica deista e illuminista sulla divinità d i Gesù Cristo. B ovvio che in
DB non si tratta solo di reminiscenze letterarie, ma d i partecipazione a u n fatto che preoc-
cupava tutta la Cristianità del suo tempo.
si sofferma. Certamente il mistero trinitario è il più caratteristico e il più
fondamentale della divina rivelazione, ma le meditazioni di Don Bosco sul
paradiso sono concentrate su Dio personale, Dio sommo bene che appa-
gherà la sete di felicità che riarde nel cuore umano e che le creature non pos-
sono appagare appunto perché l'uomo è fatto per Dio. Certamente Gesù Cristo
è il Figlio unigenito di Dio, ma Don Bosco non si sofferma, come Bérulle,
Thomassin o il contemporaneo Scheeben a contemplazioni e considerazioni
che vadano al di della semplice affermazione (").
L'attenzione di Don Bosco, più che sul misterioso modo dell'incarna-
zione e della vita teandrica di Cristo, va in tre direzioni: verso la persona
divina di Gesù, verso i misteri della vita terrena e verso quel Cristo che è
in ordine .all'umanità debilitata dal peccato.
(s9) Il Padre e lo Spirito Santo sono evocati, come nel Catechismo diocesano, quando
sono descritti l'Incarnazione, la Pentecoste, i Sacramenti, sia nelle operette storiche e ca.
techistiche, sia in quelle devozionali.
117

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
CAPITOLO VI
LA CHIESA
1. Attaccamento alla religione cattolica
Meritano di essere posti a confronto due documenti che stanno agli
estremi dell'attività letteraria di Don Bosco: i Cenni su Luigi Comollo e il
cosiddetto testamento spirituale. I primi, editi nel 1844; il secondo, composto
tra il 1884 e il 1886. I primi, preceduti da manoscritti che mostrano ancora
la mano del contadino che ha cominciato tardi a prendere in mano la penna
e, a dispetto degli studi ecclesiastici, la fa correre rozzamente sui fogli; il se-
condo è scritto con la mano incerta del vecchio, con i segni angolosi, lan-
ciati tra un tremito e l'altro del polso. Quando compone i Cenni Don Bosco
è ancora giovane sacerdote. La sua vita si svolge nella cerchia di una casa
di formazione. Il suo ministero sacerdotale ha come manifestazioni più vi-
stose il catechismo a poveri ragazzi nella sagrestia di S. Francesco #Assisi,
qualche visita alle carceri, forse anche qualche triduo e qualche corso di
esercizi spirituali a comunità con le quali non ha ancora stabili legami e la
familiarità che gl'ispirano giovanotti e adolescenti. La sua mente va ancora
a Chieri: ai colleghi del seminario e ai giovani leviti per i quali l'altare è
ancora una meta da raggiungere. Tutto questo si riflette nei Cenni. I1 Co-
moUo che presenta alla loro imitazione ed edificazione è tutto concentrato
ad acquistare le virtù necessarie a chi si accosta al santo monte del sacer-
dozio, per toccare con le povere mani di peccatore le carni immacolate di
Cristo reso presente sull'altare. I1 senso della Chiesa è implicito, allo stato
germinale. La Chiesa che vi si ricorda, a lettere maiuscole, è il luogo del
culto e poco più. Don Bosco scrive d i funzioni di Chiesa (l), di cose di Chiesa,
di Luigi che si tratteneva in Chiesa (2). I1 sacerdozio è sentito prepotente-
mente in funzione del divin sacrificio. I1 ministero pastorale s'intravvede
dove si discorre della carità verso il prossimo o dell'ansia che assale Comollo
( l ) [Bosco], Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo . . . , Torino 1844,
p. 22; 31 s; 35; 38.
(2) [BOSCO], Cenni storici, p. 22; 26.

7.2 Page 62

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
quando pensa che lui, « guardiano d i buoni », dovrà diventate prete, « pastore
delle anime » (9,
I1 documento del 1884-86 è invece lo scritto di chi ha combattuto
una lunga battaglia, di chi è il motore di un vasto complesso di istituzioni.
Don Bosco predice trionfi, preannunzia l'espansione missionaria e fa il
nome di regioni lontane dove migliaia di giovani beneficieranno dello zelo
indefesso dei Salesiani. Quasi ogni pagina, quasi ogni riga condensa l'esperienza
della lunga vita di un uomo che ha fatto molto, ha conosciuto moltissimo gli
uomini e le pieghe più recondite del loro spirito: a Il mondo ci riceverà sem-
pre con piacere fino a tanto che le nostre sollecitudini saranno dirette ai sel-
vaggi, ai fanciulli pi& poveri, più pericolanti della Società » (').
Don Bosco ha presente il servizio ecclesiale nel mondo: « Ricordiamoci
che noi regaliamo un gran tesoro alla Chiesa quando noi procuriamo una
buona vocazione; che questa vocazione o questo prete vada in Diocesi, nelle
Missioni, o in una casa religiosa non importa. È sempre un gran tesoro che
si regala alla Chiesa di G. C. » (9.
Ai suoi figli, che aveva condotto talora per cammini impervi, e che non
senza difficoltà aveva inserito come congregazione chiericale nella Chiesa,
ricorda quel che devono aver sempre davanti agli occhi: « P e r l'accettazione
si seguano le norme prescritte dalla santa Chiesa, dalle nostre Costituzioni,
dalle deliberazioni Capitolari » (6). « Qualora in un paese od in qualche città
vi si presenti una difficoltà da parte di qualche autorità spirituale o tempo-
rale, procurate di fare in modo potervi presentare per dare ragione di quanto
avete operato. La spiegazione personale delle vostre intenzioni buone diminui-
sce assai e spesso fa scomparire le sinistre idee che nella mente di taluni pos-
sono formarsi » (').
Portato poi lo sguardo su quanto egli ha fatto personalmente, sente il
bisogno di proclamarne il significato:
«Nelle mie prediche, nei discorsi e libri stampati ho sempre fatto quanto po-
teva per sostenere, difendere e propagare principii cattolici. Tuttavia se in essi fosse
trovata qualche frase, qualche parola che contenesse anche solo un dubbio o non fosse
abbastanza spiegata la verità, io intendo di rivocare, rettificare ogni pensiero, o senti-
mento non esatto. In generale poi io sottometto ogni detto, scritto, o stampa a qual-
siasi decisione, correzione, o semplice consiglio della Santa Madre Chiesa Catto-
lica » (V).
Infine anch'egli, come molti sacerdoti e vescovi, rilascia la sua dichia-
razione di fedeiti alla Chiesa: « I o intendo di vivere e di morire nella santa
P) [Bosco], Cenni storici, p. 25; 38; 45 s; 62.
(4) AS 132 Quaderni 8; ME 17, p. 272.
ME 17, p. 262.
(6) MB 17, p. 264.
ME 17, p. 270.
($1 MB 17, p. 265.
120
cattolica religione che ha per capo il Romano Pontefice, Vicario di Gesù
Cristo sopra la terra. Credo e professo tutte le verità della fede che Dio ha
rivelato alla Santa Chiesa » (9.
Vien fatto di pensare aUe pagine a cui s'ispirò nel 1850 quando com-
pose per arginare tra il popolino il proselitismo valdese gli Avvisi ai cat.
tolici e i Fondamenti della cattolica religione: vien fatto di pensare all'opu-
scolo tradotto dal francese, Attaccamento inviolabile alla ueligione cattolica
necessario massimamente ai nostri tempi. Più volte vi si legge il motto: « IO
voglio vivere, e morire figlio fedele della Chiesa Cattolica »:
« Io coll'aiuto della grazia di Dio voglio vivere, e morire figlio fedele della
Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, e Romana, perché essa è Divina. Essa fu stabilita
sulla terra da Gesù Cristo Figlio eterno di Dio, Dio egli stesso ed in tutto eguale a
suo Padre. . .
Io voglio vivere, e morire figlio fedele della Chiesa Cattolica, perché ella è una.
Essa ha per tutto il mondo la stessa fede, la stessa dottrina, gli stessi Sacramenti.
'Tutti questi punti si sviluppano più o meno secondo le circostanze, ma non si mutano
mai. . .
Io voglio vivere, e morire figlio fedele della Chiesa Cattolica, perchi è Santa.
Santa nel suo Capo invisibile che è Gesù Cristo; Santa nella sua Fede, nella sua
dottrina, e nei suoi Sacramenti, che sono stati istituiti da Gesù Cristo, e santificano.
quelli che li ricevono degnamente; e Santa nel suo fine, cioè la vita eterna. . . ("0).
L'Attaccamento inviolabile lamentava l'atteggiamento dei «cattolici in-
gannati »; cioè « il vedere un gran numero di cattolici, che si lasciano ab-
bagliare, ed ingannare, e diventano senza precisamente volerlo, m a per IOIO
negligenza, nemici della Chiesa » (l1).
Sotto l'impressione di quel che avviene a Torino, attorno al suo Oratorio
per opera della propaganda protestante e nei fermenti risorgimentali Don
Bosco manifesta le medesime apprensioni. E come si usava allora - negli
anni del manifesto di Marx e dei proclami mazziniani - anch'egli lancia il
suo appello:
«Popoli Cattolici, aprite gli occhi, si tendono a voi gravissime insidie col tentare
di allontanarvi da quell'unica vera, unica santa Religione, che solamente conservasi
nella Chiesa di Gesù Cristo.
Questo pericolo fu già in più guise proclamato dai nostri legittimi Pastori, i
Vescovi.
(9) MB 17, p. 272.
(io) Attaccamenlo inviolabile alla religione cattolica necersario massimamente ai tempi
nostri calamitori. Traduzione dai francese coll'aggiunta della lettera di D. Gliovannil
P[iva] ai giovani colti ed onorati, Genova 1840, p. 14-34. Altre edizioni: Novara 1841;
Mondovi 1851 e 1852. La lettera deli'ahate Piva venne stampata anche all'Oratorio senza
nome d'autore e senza note con il titolo Un'armu di dife~uai giovani colti per conservare lo
omoria lede. Seconda edizione (Opuscoli cattolici, 3), Torino, tip. e libr. dell'orat. di S.
~ r a i c .di Saies 1875.
(n) Attaccamento inviolabile, Genova 1840, p. 13

7.3 Page 63

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella

7.4 Page 64

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Protestanti noi? E.. .l sì sì protestiamo pure anche noi; cioè protestiamo con-
tro l'attentato, e l'oltraggio sacrilego che si fa alla Religione nostra Cattolica, Apo-
stolica e Romana . . . » ('5).
Ne1 '50 alla sicurezza del trionfo contemplato nella storia, si aggiunge in
Don Bosco la concitazione della lotta e la costernazione per l'apostasia. E
quando I'apostata è un giovanotto che aveva frequentato qualche tempo
l'oratorio, per Don Bosco è una ferita nel suo sentimento di padre. Ci si
spiega cosi i l tono alquanto vivace delle pagine scritte t r a i l 1 8 5 0 e i1 1860
contro i Valdesi; in particolare, contro i pastori Bert e Peyran, contro i preti
apostati Trivier e D e Sanctis (l6). Come i vescovi e i pubblicisti dell'Armo-
nia, della Campana, della Collezione di buoni libri, anch'egli propone ai fedeli il
problema della fedeltà alla Chiesa in termini di alternativa: vivere da veri a i -
stiani nella vera Chiesa e salvarsi, o non vivere da veri cristiani e fuori della
vera Chiesa e rischiare di perdersi eternamente:
«Poiché avvi un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo, avvi anche una sola
vera Chiesa, fuori di cui niuno può salvarsi.
Considera, o cristiano, e trema riflettendo al gran numero di quelli che non
sono in grembo della Chiesa Cattolica e perciò tutti fuori della strada che conduce
al cielo. Considera, e rallegrati in cuor tuo, perché Dio ti ha creato in questa sua
Chiesa, in cui sono tanti mezzi di salvezza. Sii a Dio riconoscente, e per ringraziarlo
procura di osservare i precetti che la Chiesa a nome di Dio propone a' suoi figli » (17).
2. Lineamenti di ecclesiologia: fa Chiesa e la salvezza
Traspare il ruolo che Don Bosco assegna all'istituzione, alla gerarchia
e ai segni di comunione ecclesiastica. Egli non propone - come i gianseni-
sti - ii problema dei figli della Chiesa mandati fuori dalla casa del padre
ingiustamente (l8). Non ha nella propria vita l'amara esperienza della scomunica
('5) I vescovi della provincia ecclesiastica di Torino . . ., p. 19.
('6) Contro di essi polemizza specialmente I l cattolico istruito (1853). 11 De Sanctis
è preso di mira nelle Conversazioni tra un avvocato ed un curato di campagna sul sacramento
della confessione, Torino 1855, p. 112-122: Appendice sul libro intitolato La Confessione
saggio dogmatico storico.
('7) BOSCO, I l mese di maggio, giorno 4, Torino 1858, p. 35 s. Tra i tanti opuscoli
che riflettono la medesima mentalità e la stessa ansia ricordiamo la Fedele osservanza dei
precetti della Chiesa con esempi adattati a ciascuno di essi (Collezione di buoni libri,
a. 12, disp. 181, Torino 1850. L'introduzione lamenta come «ormai più non vi hanno che
pache contrade privilegiate, salve dai guasti dell'incredulità » . . . « Deh! però tu, o Cri-
stiano, che riguardi
precetti, bada bene
..an.c»or(ap.la5)C. hVieesnanceomrisetatmuapamtoadpreer,
fermo di rimanerti fedele a'
le Letture Cattoliche, luglio
suoi
1860
e in seconda edizione all'oratorio nel 1873. A quest'opuscolo DB s'ispirò per il Compendio
di ciò che un cristiano deve sapere, credere e praticare in LA chiave del paradiso in mano
al cattolico..., Torino 1856, p. 5-27.
(l8) A riguardo si veda la proposizione 91 di Quesnel sul timore delle scomuniche
ingiuste; ma suli'argomento si soffermano ad es. il GUDVEKT, Jésus Christ SONI l'anathèmc,
124
anche se ha quella delle divergenze con vescovi e co.
Forse anche per questo ciò che egli scrive sull'appar
perentorio, svolto quasi sempre attorno alle anal,
madre, di nave, d i gregge, di corpo.
. Del resto nemmeno il catechismo diocesano è lar,
manda: « Si pnb esser salvo fuori della Chiesa Cattolica
Il catechismo diocesano risponde: « N o n si può essere salvo,
salvarsi fuori dall'arca di Noè, che i u figura di questa Chiesa »i
Già nei F o d a m e n t i Uella cattolica religione fa sua questa persi.
« D . Fuori della Chiesa Cattolica Apostolica Romana si può aver saliite?
R. No -- perché siccome chi non fu nell'arca di Noè peri nel diluvio, cosi L
non è nella Chiesa Cattolica Apostolica Romana non E nella Chiesa di Gesù Cristo,
in cui solamente trovasi la vera religione, epperciò fuori di essa niuno può sal-
varsi » ( W ) .
Non aderire alla Chiesa Cattolica equivale a non aderire a Cristo. Quando
i Protestanti dicono che credono in Cristo e nel Vangelo e che perciò sono
nella vera Chiesa, bisogna rispondere:
«Voi dite di credere a Cristo ed al Vangelo, ma non è vero, perché non credete
a tutto quello che c'insegna Gesù Cristo nel suo Vangelo, non credete alla sua Chie-
sa, non credete al Pontefice Romano stato da Gesù Cristo stesso stabilito per gover-
nare la sua Chiesa. Inoltre permettendo voi ad ognuno la libera interpretazione del
Vangelo di Gesù Cristo, aprite con ciò una larga via all'errore, nel quale è quasi ine-
vitabile il cadere guidato solo dal proprio lume. Perciò voi, o Protestanti, Siete come
membri d'un corpo senza Capo, come pecorelle senza pastore, come discepoli senza
maestro, separati dal fonte della vita, che è G. Cristo D (Z1).
Riguardo alla vocazione allo stato ecclesiastico e religioso Don Bosco
scriverà che il seguirla ci mette nella via percorrendo la quale più facilmente
ci si salva ("). Trattandosi d i adesione alla Chiesa non si tratta di facilità, ma di
necessità: l'unica via d i salvezza è la vera Chiesa di Cristo.
C'è di più, e Don Bosco lo pone in evidenza nel 1851 facendo proprie
Amsterdam 1711; N. PETITPIEDE,xamen pacifique de l'acceptation et du fond de ia Bulle
Unigenitus, t. 3, Cologne 1749, p. 193.202; il Mésenyy e il Gourlin nei loro catechismi, ii
Tamburini nel suo trattato De Ecclesia. Cf. il nostro saggio: La dottrina del Corpo mistico
nell'ecclesioloeia niansenista del Settecento in De Ecclesia praelectionum selectio (litoprafate),
Torino 1 9 6 2 , ~5. 11.227.
(19) Compendio della dottrina cristiana ad uso della diocesi di Torino, Cat. ad uso
deeli ammessi alla Comun.. ~ t 1.. lei. 10, § 2, Torino, Paravia C18441, p. 72. A prescindere
daWelementci ondizionatori ambientali le idee di fondo sulla Chiesa come «arca di salvezza r
in Piemonte sono quelle medesime documentate per la Francia da E. GEKMAINP,arler du
salut, p. 467,559.
( m )[BOSCO],
(21) [BOSCO],
LA
La
Chiesa
Chiesa
Cattolica . .
Cattolica. .
.,
.,
Avvisi
Avvisi
ai
ai
Cattolici, Torino 1850,
cattolici, ed. c., p. 18.
p.
14.
(") Sono le parole dalla Introduzione alle Regole o Costituzioni della Società di

7.5 Page 65

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
due citazioni patristiche delli4ttaccanzento inviolabile della religione cattolica:
fuori della vera Chiesa non c'è la benevolenza paterna di Dio e non c'è
vera virtù:
- «Chi non ha la Chiesa per madre, non può avere Dio per padre (S. Ciprianoj.
«Chiunque si separa dalla Chiesa Cattolica, sia pur buona la vita di lui, non posse.
derà mai la vita eterna, ma la collera di Dio verrà sopra di lui pel solo delitto di
essere separato dall'unità di Gesù Cristo. Questa bontà e probità, che non è som-
messa alla Chiesa, è un'ipocrisia sottile e perniciosa (S. Agostino) » p).
Le Chiese degli eretici - si legge nei Fondamenti della cattolica re-
ligione « non sono sante, perché rigettano tutti od in parte i Sacramenti, da
cui solo deriva la vera santità ».
l-: ovvio che ci troviamo nel campo della divulgazione per i giovani e
per il popolo, in un campo, cioè, dove facilmente gli scrittori scendono ai forti
contrasti e concentrano la mente dei lettori su elementi ben distinti tra loro,
stagliati come disegni a tratto, in cui è naturale che non bisogna ricercare le
gradazioni dell'acquerello.
Ci troviamo nel campo della polemica, tendenzialmente fatta per rilevare
contrapposizioni e contrasti. Siamo i n tempi in cui si razionalizza e si ogget-
tivizza. Si parla in termini d i vero e di falso. I quali termini, oltre che sotto
la penna dei vescovi piemontesi e di Don Bosco, si ritrovano più in alto
nei tempi: in scrittori di secoli precedenti, nel Gerdil, nel Valsecchi, i n Bos-
snet, nei Walenburch, in trattatisti come Tournely e Billuart o in manuali-
sti come Collet, Bailly, Gazzaniga, Perrone (24).
Soltanto nel 1863 vediamo introdotte nei Fondamenti della cattolica re-
ligione alcune precisazioni sulla salvezza d i chi non è nella fede cattolica.
a Tra I Protestanti si possono salvare:
1" I fanciulli che muoiono prima dell'uso della ragione purché siano stati vali-
damente battezzati;
2" Si salvano eziandio coloro che sono in buona fede, cioè sono fermamente per-
suasi di trovarsi neiia vera religione. Perciocché costoro nel loro more sono cattolici,
e se conoscessero la religione cattolica certamente l'abbraccerebbero » (E).
Anche rivolgendosi ai cattolici Don Bosco si esprime senza mezze misure,
in termini di integrismo: forse con alla mente i cattolici liberali o i mazziniani,
tra Chiesa e patria, praticanti in chiesa e in marcia contro Roma.
«La nostra fede - pubblicava sui Mese d i maggio nel 1856 - deve avere
certe qualità, le quali mancando a nulla giova per salvarci. La nostra fede deve essere
S. Francesco di Sales, Importanza di seguire la vocazione, Torino 1877, p. 6.
i") Bosco, Il giovane prouveduto, Torino 1851, p. 332.
(2*j Tra le opere d'insieme che possono dare un'idea sui temi e schemi dominanti
ci. Karl WERNERG, eschichte der apologetischen und polemischen Litcrutur der christiliche
Theologie, b. 4, Schafihausen 1865; Henri DANIELOeUa, ltri autori, Sentire Ecclesiam, Roma
1964, 2 vol.
(E) Bosco, Il giovane provveduto, Torino 1863, p. 392.
intera, cioè deve abbracciare tutti gli articoli di nostra religione. Tutte ie verità della
fede sono da Dio rivelate; quindi, chi nega di credere un solo articolo di fede, nega
di credere a Dio medesimo 1.. .I Gli articoli di fede sono tutti legati insieme e for-
mano una catena che lega la ragione colla rivelazione, e si viene a costituire una scala
per cui l'uomo monta fino a Dio. Ma rotto un anello deiia catena, o spezzato un gra-
dino di questa mistica scala è rotta ogni nostra relazione con Dio. Che ti vale credere
alla Chiesa, al Vicario di Gesù Cristo, se poi ne dispregi gl'insegnamenti? se parli
male del Sommo Pontefice? Parliamo chiaro: o tutti gli articoli di nostra fede o
nissuno; perché il negarne uno solo è negarli tutti »
Nel 1867 queste espressioni vennero censurate come non conformi « alle
teologiche dottrine ». E d effettivamente si prestavano ad essere intese nel
senso errato visto dal consultare della Congregaiione dell'Indice, canonico
Pio Delicati: « La violazione di ogni divino comandamento è la trasgres-
sione di un articolo di fede. Dal che verrebbe ad inferirsi che pecca sempre
contro la fede chiunque pecca contro u n divino precetto » (n). Ma la mente
di Don Bosco è sufficientemente manifesta. Egli insiste sulla fede piena,
sulla fede che dev'essere viva, perché possa dirsi « vera D, vivificata cioè
dalla divina grazia perché soltanto così può dirsi fede salutare. L'aggetti-
vazione, che Don Bosco aveva potuto assimilare dalla letteratura apologetica
popolare e da quella pastorale subalpina, poté, in questo caso portarlo sul
limite dell'equivoco, assorto com'era dal problema della salvezza eterna.
Nelle argomeiltazioni di Don Bosco, infatti, la salvezza eterna vuole es-
sere il termine che impone i criteri di scelta tra le varie confessioni religiose.
Facilmente nella catechesi e nella controversia si serve di un ane,d.d?t.o risa-
lente ai tempi delle guerre di religione:
«Enrico I V Re di Francia era capo del partito dei Calvinisu quando sali sul
trono; ma Iddio lo illuminò col fargli conoscere la vera religione. Da prima procurò
d'istruirsi rettamente nei dogmi della Cattolica Religione; poscia fece venire alla
(26) Bosco, Il mese di maggio, giorno 8, Torino 1858, p. 50 s; il testo di DB presenta
consonanze con X&aele RICCA dei Minimi di S. Fr. da Paola, Il figlio di Maria nel mese
di maggio, Genova 1857, p. 42115 (che ne è probabile fonte): «La tua fede sia anche
intiera. Nella vera Religione non creder tutto è creder niente. Tanto si fa torto a Dio
con non credere niente, quanto con un solo articolo di fede che si neghi. . .n.
(n) Propriamente la censura è diretta alla considerazione sulla fede, passata inte-
gralmente dal
principe degli
Mese di
apostoli
maggio 2 Il centenario di S.
ed un triduo in preparazione
Pdeielltarofeasptoas.t.o.l,oTcoorlilnaov1it8a67d,elp.m2e1d4e-s2i1m9o.
DB soppresse il brano che anche noi abbiamo omesso nel testo, e cioé: Perciò colui
che dice di amare il prossimo, e intanto nomina il nome di Dio invano; colui che onora
i genitori e intanto prende la roba altrui, o si da in preda alla disonesti, al disprezzo dei
Sacramenti, del Vicario di Gesù Cristo; costui, dico, trasgredisce un articolo di fede, che
10 fa colpevole di tutti di altri D: 6. Vita di S. Pietro. . ., Torino 1869, p. 216; ma lasciò
sl'eespparerslisiomnaelecdoenlcluSsoimvamcohePoonffterifvicaeu?g.u. a.itnneegnatreneil
fianco a equivoci:
uno solo è negarli
« Che ti
tutti e.
vale
credere. . .
La censura del can. Pio Delicati è, in copia, alVAS 133 Papi, S. Pietro e in MB
8, p. 763. Notiamo infine che il testo sulla fede nel Mere di maggio continuò ad essere
ristampato integro e indisturbato fuio ai nostri giorni.

7.6 Page 66

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DosntiBaospcroesneenllzaastMoriianidsetrllia rperloigtieosstianctiatteolilcoar.oVodliImI. aSntedlùla, se credevano, che egli si potesse
salvare nella Chiesa Romana. Dopo seria riflessione risposero di si. Allora il Re sa-
viamente ripigliù: Perché dunque voi i'avete abbandonata? I cattolici affermano che
niuno può ottener salute nella vostra setta; voi convenite che si può avere nella loro;
l
ragion vuole che io mi attenga alla via più sicura e preferisca quella religione in cui
per comun sentimento io mi posso salvare. Quindi il Re rinunziò all'eresia e rientrù
nel seno deila cattolica religione (2).
L'aneddoto, che dalla Storia ecclesiastica passò ai Fondamenti della cat-
tolica religione, è attinto al Loriquet. Questi l o deriva dalle aggiunte alla
Histoire ecclésiastique del Fleury ("9). Si risale cosi all'epoca in cui aveva
grande importanza fa dottrina sui sistemi morali e sul tuziorismo riconosciuto
da tutti obbligatorio come regola d'azione, ailorché si trattava della vita
eterna e dei mezzi necessari per conseguirla.
L'argomento a metà Seicento era stato punto d'arrivo di laboriose con-
versazioni ora serene, ora polemiche, ora tessute di appelli alla carità, ora
di improvvisi scatti di sdegno e di ingiurie. Era stata un'ammissione pre-
1
ziosa che aveva fatto il pastore Paul Ferry, e Bossuet ne aveva fatto il pun-
tello per un qiialche dialogo di riunione e rappacificazione, dilatatosi al di
là della Francia e nel quale intervenne anche Ldbniz. Se dunque i Cattolici
potevano essere sicuri di avere nella Chiesa Cattolica i mezzi di salvezza, quelli
delle religioni riformate li rispettassero. I1 mezzo di salvezza che i « fratelli
prétendus réformés » riconoscevano era l'annunzio della buona novella,
fatto sufficientemente nel Cattolicesimo e che pertanto dava garanzie del-
I
l'azione della divina grazia (=).
1
Ma c'era di più. I Cattolici, secondo Bossuet, ritenevano insufficiente la
predicazione evangelica fatta nelle Chiese riformate. Dunque chi voleva es-
l
sere sicuro di avere i mezzi di salvezza, doveva abbandonare la pretesa ri-
forma e abbracciare il Cattolicesimo.
Come Bossuet, anche Don Bosco pensa a un ritorno dei protestanti
alla Chiesa Cattolica. Certamente questo desiderio animò il siio gesto cari-
tatevole verso l'apostata D e Sanctis venuto in urto con la Chiesa Valdese
nel 1854-55. I1 De Sanctis gli rispose che « n o n credeva mai di trovare
tanta generosità e tanta gentilezza in u n uomo, che mi è apertamente ne-
mico [. . .] mentre mi combatte mostra di amarmi sinceramente porgen-
i1
domi una mano benefica nel momento della amizione; e cosi mostra di cono-
l
(2)[Bosco], La Chiesa Cattolico. . . Avvisi ai Cattolici, Torino 1850, p. 20 S.
("9) [LORIQUWLS']t,oria ecclesiastica.. ., epoca nona, Dall'abhiurazione di Enrico I V . . .,
Torino 1844, p. I l 1 s; il cui testo è identico a quello di C. FLEUNYH,istoire ecclésiastique.. . ,
1. 180, 9 61, t. 36, Paris 1751, p. 466, che attinge a fonti del secolo precedente. DB intrc~
dusse i'episodio nella sua Storia ecclesiastica. . ., Torino 18482, p. 150 S.
('Q) K. WERNERG, eschichte der apologetischen und polemischen Literatur, b. 4, p. 724.
'772; R. STNUTTMALlNi ,perpétuiié de la foi dans la controverse Bossuet-Jurieu in Reo.
d'hist. ecclés. 37 (1941), p. 145-189.
128
scere la pratica di quella carità cristiana che in teorica è praticata così bene
da tanti » (31).
Ma Don Bosco ha soprattutto davanti agli occhi i suoi giovani, U suo
popolo: i fedeli minacciati nella fede. Egli pensa a fermare I'apostasia, a
impedire il flusso verso l'evangeiismo protestante, presentando al cattolico
un tema che - a quei tempi - in chiave di letteratura sui novissimi e
sulle massime eterne, toccava profondamente gli spiriti.
Significativo è il drammatico dialogo che Don Bosco fa fare accanto
al letto del giovane apostata Severino, gravemente infermo, tra il suo ex
direttore dell'oratorio (vero o fittizio) e un ministro protestante:
« Vi dico di ritirarvi, disse il Ministro con accento risentito, voi non avete
niente né da fare né da dire con questo giovane.
- Ho molto da fare, ho molto da dire con questo mio figlio.
- Chi siete voi che vi mostrate cotanto ardito?
- Chi siete voi che comandate con tanta pretesa?
- l o sono il ministro Valdese, e voi chi siete?
- Io sono il Direttore deli'Oratorio [. . .l.
- Che cosa volete da questo infermo?
- Voglio aiutarlo a salvarsi l'anima.
- Egli non ha più nulla da fare con voi.
- Perché mai?
- Perché egli si è ascritto alla Chiesa Valdese, e non ha più relazioni religiose
coi Cattolici.
- Io l'ho inscritto prima di voi nel catalogo de' miei figliuoli, ne sono stato,
e voglio esserne il vero padrone, e per questo motivo esso non ha niente, da fare,
né da dire co' Valdesi.
- Ma voi, signor abate, parlando così, turbate la coscienza dell'infermo, e vi
esponete a certe conseguenze, di cui avrete forse a pentirvene.
- Quando si tratta di salvare un'anima non temo alcuna conseguenza.. .
- Alto là, voi dovete allontanarvi di qui.
- Alto là, voi dovete allontanarvene prima di m e . . .
- Ma voi non sapete con chi parlate?
- So benissimo con chi parlo, e credo che anche voi sappiate con chi parlate.
- Non sapete. . . ho i'autorità . . .
- In fatto di religione rispetto tutti, ma non temo nessuno. E tanto meno io
temo voi in questo momento, perché so che l'infermo è pentito d'aver dato il nome
alla vostra credenza e vuole morire cattolico.
- E questa una seduzione. una menzogna. Non è vero, Severino, che voi volete
essere perseverante nella nostra~hiesa?
- Io voglio essere perseverante nella religione . . .
- Adagio; badate bene a quello che dite.
- Signor ministro, disse il prete, parlate più con calma. Permettetemi soltan-
to che io faccia nn'interrogazione ali'infermo. La risposta che darà servirà di regola
ad amhidue.
(3) Luigi De Sanctis a DB, Torino, s.d. (timbro postale del 18 nov. 1854, orig.
in AS 126. 1 De Sanctis); cf. anche MB 5, p. 141.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Tacque allora ii Ministro e tenendo gli occhi spalancati sopra il prete si pose
a sedere. I1 sacerdote si volse a me con amorevolezza e parlò cosi: Ascolta, o Seve-
rino: questo signore ha scritto un libro in cui dice ripetutamente che un buon Catto-
lico si può salvare nella sua religione; dunque niun Cattolico deve abbracciare altra
credenza per salvarsi. Tutti i Cattolici dicono parimenti che osservando la propria
religione certamente si salvano. Ma soggiungono che colui il quale si ostina a stare
nel protestantesimo, certamente si danna. . .
Ora dimmi tu se vuoi lasciare la certezza di salvarti ed esporti al dubbio, anzi
secondo i Cattolici, alla certezza di andare eternamente perduto?
No, e poi no, io risposi, e sempre no. Io son nato Cattolico, voglio vivere e mori-
re Cattolico. - Questp fu l'ultimo ricordo di mio padre.. . Mi pento di quanto ho
fatto.
Allora il ministro si alzò, prese il cappello, e voltosi al prete disse: In questo
momento non si può più ragionare: verrò a tempo migliore. Ma voi, o Severino,
vi gettate in un abisso . . . » (33).
Con efficacia Don Bosco presenta i momenti salienti deU8 sua azione e
argomentazione: suscitare la crisi della coscienza protestante e offrire la cer-
tezza nel Cattolicesimo. A suo modo agisce secondo I'apologetica «nuova »
proposta da Charron e pianificata magistralmente da Pascal: l'apologetica
psicologica che fa leva sull'uomo totale agendo - secondo il linguaggio del
tempo - sul cuore e sui sentimenti, cioè sulle convinzioni più profonde della
vita ("i
Cina suggeriva di condurre anzitutto al pirronismo sui valori religiosi ai
quali i cinesi aderivano; passassero quindi a proporre le certezze cristiane.
Lo stesso cammino percorrono l'apologetica di Pascal, di Huet - così come
quella del Segneri e di molti portorealisti, di tradiiionalisti e fideisti da metà
Seicento e in avanti - sia pure con sfumature e proporzioni diverse. Essa
parte dal presupposto della natura decaduta. Descrive gli errori grossolani in
cui gli uomini sono caduti in materia etica e religiosa. Fa sentire il tremendo
giudizio di Dio che grava su chi ne trasgredisce i mandati, descrive lo stato
infelice d'incertezza in cui sono caduti gli « spiriti forti » apostati e libertini,
infelici soprattutto in punto di morte. Propone quindi la sicurezza, la felicità
e il progresso umano resi possibili dalla religione cattolica (").
Anche Don Bosco ha tutto questo. Ma già la sua tendenza pratica dà
largo posto ai fatti: alla fede operativa. Procedendo negli anni comprende la
(32) BOSCO, Seuerino ossia avventure di un giovane alpigiano, Torino 1868, p. 164-167.
(33) Cf. L. COGNET, Li spiritualité moderne. I. L'essor: 1900.1650, Paris 1966, p. 414-
416; A. M. BATTISTA, Alle origini del pensiero politico libertino. Montaigne e Charron, Mi-
lano 1966.
(34) A. PRANDIR, eligiorità e cultura nel '700 italiano, Bologna 1966: si occupa
propriamente dei predicatori e degli apologisti contro gli espiriti forti »; tra gli altri, sono
trattati: Segneri, Turchi, Concina, Gerdil, Valsecchi.
forza che possono avere i fatti davanti al mondo divenuto incredulo e scettico
persino di fronte alla vita di preghiera di anime consacrate.
« Le famiglie religiose recenti - scriveva a Leone XIII nel 1878 - sono chiamate
dalla necessità dei tempi. Colla fermezza della fede, coiie opere loro materiali devono
combattere le idee di chi nell'uomo vede soltanto materia. Costoro spesso disprezzano
chi prega e chi medita, ma saranno costretti a credere alle opere di cui sono testimoni
oculari » (s).
«Siamo in tempi - avrebbe asserito nel 1877 -, in cui bisogna operare. I1
mondo è divenuto materiale, perciò bisogna lavorare e far conoscere il bene che si
fa. Se uno fa anche miracoli pregando giorno e notte e stando nella sua cella, il mon-
do non ci bada e non ci crede più. I1 mondo ha bisogno di vedere e toccare [ . . .l I1
mondo attuale vuole vedere le opere, vuole vedere il clero lavorare a istsuire e a
educare la gioventù povera e abbandonata, con opere caritatevoli, con ospizi, scuole,
arti, mestieri.. . E questo è l'unico mezzo per salvare la povera gioventù istsuendola
nella religione e quindi di cristianizzare la società »p).
La sua apologetica così, precorsa dall'azione e dall'apologetica sui vantaggi
della religione sviluppatasi tra illuminismo, romanticismo e pragmatismo, non si
allineerà con i preludi di quella, che nell'era moderna farà leva sul tema ago-
stiniano dell'uomo inquieto finché non riposa in Dio, bensì con quella che, nel
medesimo tempo, prelndeva alla « testimonianza cristiana » che caratterizza la
pastorale e l'apologetica cattolica dei nostri tempi. Si allineerà cioè all'apolo-
getica della carità e dell'azione sociale che allora si sviluppava attorno all'opera
dei Congressi e aveva suoi profeti tra il clero mons. Scalabrini, Bonomelli,
Capecelatro, oltre che Don Bosco, il Murialdo, Ludovico da Casoria. Si porterà
idealmente sulla linea di Vincenzo de' Paoli e delle Conferenze dell'ozanam,
quasi cogliendo finalmente l'istanza di chi, come Voltaire o Rattazzi o Crispi,
si dichiarava indulgente davanti a una buona azione e insuperahilmente nau-
seato di fronte alla controversie confessionali e al dogmatismo religioso.
3. La Chiesa, i suoi caratteri e i suoi Pastori
Nel descrivere la Chiesa Don Bosco facilmente prende l'avvio daiia
serie di immagini che gli sono familiari: quelle di regno, monarchia, fami-
glia. Quelle immagini, cioè, che potevano essergli suggerite, oltre che dall'apo-
logetica tradizionale dei grandi e piccoli libri, anche dalla propria esperienza
viva (37). La forma di governo civile della sua inianzia e del suo primo sa-
cerdozio era quella dei « piissimi » Carlo Felice e Carlo Alberto, i sovrani che
Dalla minuta aiitogr. di DB, in AS Sogni 1.
M .13, p. 126. Combien une honne action est prkf6rable à la controverse »:
6. VOLTAIRE, Quertions sur l'Encyclopédie, alla voce Religion, sect. 2, in Oeuures, 46,
Londres 1776, p. 164.
(3') Cf. G. T ~ I L SL,es notes dc PEglise dans l'apologétique catholique depuis lri
Kéforme, Gembloiix 1937; ID., Lu notion de cutholicité de PEglise d l'époque moderne, in
Ephemerides theol. louanienses 13 (1936), p. 5.73.

7.8 Page 68

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
egli ricordava come protettori della Chiesa, rispettosi del clero e zelanti del
bene materiale e spirituale dei propri sudditi, i sovrani che nella storia sono
passati come gli epigoni dell'assolutismo paternalista della Restaurazione
subalpina.
Regno e famiglia gli venivano suggeriti anche dalle condizioni del pa-
pato. I romani pontefici del suo tempo erano padri di tutti i fedeli del mondo
e sovrani nel loro dominio temporale.
Famiglia poi era immagine suggeritagli dalle sue predilezioni educative,
dalla sua ambizione a sentirsi capo e padre dei birichini, ch'egli appunto chia-
mava figliuoli (spesso italianizzando il fieui dialettale), ma sublimando tutto
con un contenuto mbrale e spirituale suggerito dalla sua qualità di sacerdote,
divenuto padre spirituale, direttore e confessore di giovani, chierici e sacer-
doti.
La definizione da cui invariabilmente si diparte porta il termine di con-
gregazione: la Chiesa è la congregazione dei credenti, dei fedeli (38). Questo
è d'altronde il termine suggeritogli dal catechismo diocesano, dove la Chiesa
è definita «congregazione di tutti i fedeii che professano la fede e la legge
d i Gesù Cristo s o n o il governo dei legittimi pastori » ("). Come il cate-
chismo diocesano, come il Loriquet, I'Aimé, lo Scheffmacher, il Gerdil e
tutte le sue consuete fonti di catechesi e apologetica, discorrendo della Chiesa,
Don Bosco porta presto l'attenzione alle strutture e, anzitutto, alla gerarchia:
ai legittimi pastori.
(38) Cf, Y , M. J. CONGANRo,te sur les mots confession n, « église » et « communion »
in Chrétiens en dialogue.. :, Paris 1964, p. 211-242.
Ecco un saggio di definizioni che DB dà della Chiesa: 1) Storia ecclesiasti~a,Torino
1845, p. 14: « E la congregazione di tutti quelli che professano la fede e la dottuina di
Gesù Cristo, e son governati da un Capo Supremo, che è il Vicario di lui in terr!aa»:'
sono gli identici termini che si leggono nella Storia della Chiesa dalla sua fondazione fino
al pontificato di Gregorio X V I , Torino, Marietti 1843, p. 11 (curata dal gesuita Paolo
Beorchia). 2) 11 cattolico istruito, pt. 2, tratt. 3, Torino 1853, p. 88: «Gesù Cristo prima di
salire al cielo fondò una Chiesa, vale a dire, una congregazione di veri credenti, i quali,
sotto la diraione di un capo stabilito da lui medesimo, fedelmente professassero la fede
e la legge da lui insegnata D. 3) Maniera facile per imparare la storia sacra, Torino 1855,
p. 58: «Prima di salire ai cielo Egli fondò una società di fedeli, i quali davess,elo
professare la dottrina del Vangelo sotto il governo di un capo da lui stabilito D. 4) La chiave
del paradiso, Torino 1856, p. 10: «Gesù Cristo prima di salire al cielo fondò una Chiesa,
;che è la congregazione dei fedeli cristiani, che sotto la condotta del sommo Pontefice e dei
legittimi pastori, professano la religione stabilita da G.C. e partecipano ai medesimi sacra-
menti %. ?) 11 mese di maggio, Torino 1858, p. 33: « Il nostro Divin Salvatore disceso dal
cielo per salvarci volle stabilire un maro onde fosse assicurato il deposito della fede
fondando un regno spirituale sopra la terra. Questo regno è la sua Chiesa ovyero la
congregazione dei fedeli cristiani di tutto il mondo che professano la dottrina di Gesù
Cristo sotto la condotta de' legittimi pastori, e specialmente del Romano Pontefice che ne
è il capo da Dio stabilito».
(39) Compendio della dottrina cristiana ad uso della diocesi di Torino, Catech. ad uso
degli ammessi alla Comun. e degli adulti, pt. 1, l a . 10, 5 2, Torino, Paravia [18441,
p. 72.
Per Don Bosco è secondo la natura delle cose che la Chiesa sia getar-
chica, anzi monarchica. Una costituzione democratica, neLle sue pagine, impli-
citamente è un controsenso, qualcosa di innaturale e costituzionalmente
caotico.
«Siccome nei regni deUa terra vi ha un ordine, per cui si parte dal Sovrano
e si discende a grado a grado sino all'ultimo dei sudditi, cosi heiia Chiesa Cattolica
esiste un ordine, detto gerarchia ecclesiastica, per cui secondo questa gerarchia noi
partiamo da Dio, che della Chiesa è Capo invisibile, veniamo al Romano Pontefice,
di Lui Vicario e Capo visibile in terra, indi passiamo ai Vescovi ed agli altri sacri
ministri, da cui i divini voleri sono comunicati a tutti i rimanenti fedeli sparsi nelle
varie parti del mondo » (a).
« La Chiesa di Gesù Cristo - egii aggiunge - è somigliante ad un regno. Ora
un regno qualsiasi non è fatto pel monarca, che l'ha da reggere; ma si crea il mo-
narca perché governi il regno; e h c h é durerà il regno, sempre si avrà chi lo presieda e
governi, altrimenti rovinerebbe.
Parimenti la Chiesa non essendo stata fondata pel Papa, ma sibbene il Papa
stahilito per governare la Chiesa, ne discende che fino a tanto che esisterà la Chiesa,
dovrà esservi il suo fondamento e capo, che è il Papa »(a).
<( Supponete una famiglia che debba durare sino aila hne del mondo, come potrà
conservarsi? - Figlio. Questa famiglia conserverassi quando abbia sempre un buon
capo che la governi. - Padre. Comprendete ora chi sia questa famigiia e chi ne sia
il Capo? - Figli. Basta, basta; abbiamo ottimamente capito. Questa grande fami-
glia è la Chiesa, questo Capo è ii Romano Pontefice » (").
Don Bosco non ignora i vescovi, anzi espressamente n e parla, ailorché
si tratta di argomentare sulla unità, perpetuità e apostoiicità 'della Chiesa.
Tali caratteri sono assicurati dalla legittima successione dei vescovi catto-
lici ai dodici apostoli.
Però facilmente è portato a vedere i vescovi in funzione, non solo su-
bordinata, ma quasi sussidiaria a quelia del Papa: come suoi rappresentanti
e portavoce presso i fedeli che per moltissime ragioni non possono diretta-
mente comunicare con il padre comune (").
(") Bosco, Il cattolico nel secolo, pt. 1, tratt. 25, Torino 1883, p. 163 s, che riprende
sostanzialmente Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 8, Torino 1853, p. 8.
("1 Bosco, Il cattolico nel secolo, pt. 1, tratt. 18, ed. c., p. 115; 11 cattolico istruito,
pr. 2, trart. 12, ed. c., p. 40.
(O)Bosco, IL cattolico n d secolo, l. c., p. 116; I1 cattolico istruito, l. C,, p. 41 S.
(") Bosco, Il mese di maggio, giorno 6, Torino 1858, p. 43: <+LaChiesa è una con-
gregazione di fedeli cristiani sparsi per tutto il mondo, che a guisa di un numeroso gregge
sono governati da un pastore supremo che è il Romano Pontefice. Ma se ciascun cristiano
dovesse avere direttamente relazione col Vicario di Gesù Cristo, con difikoltà esli po-
trebbe far pervenire a lui le sue parole, e di rado comunicargli i suoi pensieri.. . ». E più
sopra, giorno 5 (I1 capo della Chiesa); p. 39: «Pasce oves meas, pasce agnos meos. Dalla
Santa Scrittura chiaro apparisce che gli agnelli ivi indicano tutti i fedeli cristiani, e le
pecore sono i sacri pastori, che devono dipendere dal Pastore Supremo che è Pietro, e dopo
di lui i suoi successori ».

7.9 Page 69

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
I concili hanno la loro importanza. Don Bosco lo avverte e lo proclama
anche alla vigilia del Vaticano I (servendosi della penna di Don Bonetti) (*)..
Ma l'immagine della famiglia è preponderante e prepotente nella sua mente;
resa più forte, forse dalle condizioni particolari della sua vita, dalla familia-
rità ch'era riuscito ad avere con Pio IX. Con lui Don Bosco sapeva inten-
dersi rapidamente, con brevi frasi, già ben studiate, che portavano il ponte-
fice a intuire e a rispondere appropriatamente, subito e quasi sempre nel senso
che Don Bosco desiderava, per assicurarsi un solido puntello a Torino, dove
invece più facilmente era sotto gli occhi di uomini, pur di larghe vedute e
di solida esperienza .(come il padre Marcantonio Durando), ma con i quali
non si sentiva in perfetta consonanza e dai quali poteva temere incagli, at-
tenuati e superati dall'appoggio che gli veniva dal papa.
Una componente alla venerazione e un argomento all'apologetica è ap-
punto suggerito dalla contemplazione di quanto, risalendo nei secoli sta
dietro a Pio IX e ai vescovi. È tutta una serie di pastori, che risalgono come
una catena h o agli apostoli, b o a Gesù Cristo, garantiscono la legittimità
della gerarchia e portano il carisma della divinità nella Chiesa Cattolica.
L'argomento di Tertulliano nel secolo XVII aveva trovato una voce
potente in Bossuet. A lui, o ad altri del suo tempo - oltre che al Bellarmino,
ai Walenhurch, a Holden, ai repertori catechistici più usitati, come
quello d i Marchant, di Nicole, del Pouget, dei Tourlot - si ispirano i divul-
gatori che hanno risonanza in Piemonte ancora ai tempi di Don Bosco; non
escluso il Gerdil con i suoi fortunatissimi Caratteri della vera ueligione.
«Questa Chiesa - scriveva il Gerdil - è Appostolica, perché fondata sul
fondamento degli Appostoli, perché depositaria, come si è detto, della Dottrina
consegnatale da essi; perché il Ministero Appostolico della dispensazione de' Misterj
si è propagato nella Chiesa per mezzo della sacra Ordinazione, onde si è continuata
senza interrompimento la successione de' Pastori. Questa successione è evidentissima
ne' Romani Pontefici. Ne rende testimonianza Sant'Ireneo fino al Pontefice Sant'Eleu-
terio; indi Sant'Agostino, che viveva nel quinto secolo, coli'annoverare fra' motivi,
che lo ritenevano inviolahilmente attaccato alla Chiesa, la non mai interrotta succes-
sione de' Pontefici dopo San Pietro, cui commise Cristo la cura di pascere la sua
Greggia. Così Monsignore Bossuet nel secolo passato mostra nel suo discorso sopra
la Storia universale, quale consolazione ella sia per li figliuoli di Dio, ed insieme
quale argomento di verità il vedere, che da Innocenzo XI Papa di santa memoria,
il quale aliora teneva la prima Sede della Chiesa, si va di grado in grado salendo
senza interruzione fino a San Pietro costituito da Gesù Cristo Wncipe degli Appo-
stali; e quindi ripigliando i Pontefici, che hanno servito sotto la Legge, si arriva
( M )Bosco, I concili generali e la Chiesa Cattolica, Torino 1869. In AS 133 Concili
generaii: schema deilbpuscolo, inviato da DB a Don Bonerci, autog. di DB, 2 E. ( M B 9,
p. 475) e frammento ms. di Don Bonetti, 1 f.: « Tomm. - Costui ne parla così bene.. . »,
edito poi alla p. 79 S.
- Utile, anche se non si pone il problema delle fonti e dei manoscritti, è G. M. MEDXCA,
« I concili generali e la Chiesa Cattolica » nel nensr'ero d i Don Bosco in Riu. di pedagonia
e scienze relig., 1 (1963), p. 3-28.
fino ad Aronne, ed a Mosè, indi a' Patriarchi, e sino ali'origine del Mondo. Onde,
se nelie cose appartenenti alla salute ha bisogno lo spirito umano, soggetto per se
stesso a tanta instabilità, di essere assicurato, e retto da qualche autoriti certa, quale
maggiore autorità può desiderarsi di quella delia Chiesa Cattolica, la quale riunisce
in se i'autorità di tutti i secoli passati, e le antiche tradizioni del genere umano fin
dalla sua prima origine? D ("1.
Don Bosco nel Cattolico istraito se ne fa eco fedelissima:
«Questa Chiesa dicesi Apostolica, perché fondata sopra le verità insegnate da
G. C. e predicate dagli Apostoli. l? Apostolica, perché da S. Pietro, Principe degli
Apostoli, senza interruzione, presenta la serie de' suoi successori fino ai giorni no-
stri [. . .] Questa successione di Romani Pontefici è evidentissima. A tacere di altri
scrittori, S. Ireneo, che visse nel secondo secolo, ne rende testimonianza sino al
Pontefice S. Eleuterio. Eusebio, Vescovo di Cesarea, espone la serie e le principali
azioni de' Pontefici da G. C. fino a' suoi tempi, vale a dire fino al principio del
quarto secolo. S. Agostino, che visse nel quinto secolo, fra i motivi che lo ritenevano
inviolahilmente attaccato alla Chiesa, annovera la non mai interrotta successione dei
Pontefici dopo S. Pietro, cui commise Iddio la cura di governare il suo gregge. Dopo
il quinto secolo non occorre più dimostrare questa successione, perché da quel tempo
fino ad oggi tutte le storie ecclesiastiche e profane, scritte dagli stessi eretici, ce ne
fanno luminosa testimonianza.
Anche i Pastori che amministrano le Chiese, ossia le Diocesi dei varii paesi
cattolici, contano pure, alcuni, i loro antecessori fino agli apostoli o ai tempi apo-
stolici [.. .l.
Al qual proposito osserva uno dei pii1 dotti scrittori (Monsig. Bossuet), che è
una grande consolazione per quelli, che si trovano nella Chiesa Cattolica,. ed insie-
me un argomento di verità il considerare, che dal regnante Pontefice si vada di grado
in grado salendo, senza interruzione, fino a S. Pietro, costituito da Gesù Cristo Prin-
cipe degli Apostoli, e quindi, ripigliando la serie de' Pontefici della legge antica, si
arrivi fino ad Aronne ed a Mosé, indi a' Patriarchi, e fino all'origine del Mondo.
Onde, se nelle cose appartenenti alla religione ed aila salvezza delle anime lo spirito
umano, soggetto per se stesso a tanta instabilità, ha bisogno d'essere assicurato e
retto da qualche autorità certa, quale maggiore autorità può desiderarsi, che quella
della Chiesa Cattolica, la quale riunisce in sé l'autorità di tutti i secoli passati fino
ad Adamo, che fu il primo uomo del mondo? D (46).
Già nei Fondamenti della cattolica religione a proposito della apostolicità
aveva rilevato: « Questa prerogativa è consolantissima per noi Cattolici.
Imperocché la sola nostra Chiesa cominciando dal regnante Pio IX rimonta da
un Papa all'altro senza alcuna interruzione sino a S. Pietro stabilito Principe
degli Apostoli, e Capo della Chiesa dal medesimo Gesù Cristo » ("). Più e
più volte ripeterà questa convinzione. E si può credere ch'essa esprima uno
("1 GERDILB,reve esposizione dei caratteri della vera religione. . . , Torino, G. Ma-
rietti 1822, p. 45 S.
(9BOSCO, Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 7, ed. c., p. 107-111.
(") [Bosco], La Chiesa Cattolica.. . Avvisi ai Cattolici, Torino 1850, p. 11.

7.10 Page 70

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
dei momenti della sua spiritualità ecclesiale, componente della sua spiritualità
totale volta al problema della salvezza propria e di tutte le anime.
Ne deriva conseguentemente una spiritualità di rispetto, di docilità e
di obbedienza a quanto mediatamente è sentito provenire da Dio. Anche
sotto questo aspetto Don Bosco appare interprete e portavoce di un modo di
vedere comune alla religiosità del suo ambiente, quale risulta dalle manife-
stazioni dei fedeli per la persona del Papa, dalla puhblicistica dei periodici
politico-religiosi, dalle pastorali, dagli stessi formulari di preghiera (*).
L'Eucologio, manuale di devozioni in uso nella diocesi di Torino e
posto in mano soprattutto agli studenti, aveva una bella preghiera a Gesù,
capo invisibile della 'Chiesa in favore del Sommo Pontefice, « primo pastore »
e «capo visibile » della Chiesa: « Sia egli il primo in santità, in dottrina, ed in
zelo, come lo è in dignità. Sia egli il Vicario del vostro amore, come lo è
della vostra autorità e del vostro potere. Segua l'esempio di Pietro, di cui
egli è il successore. Quanto più s'innalza sopra degli altri, tanto più egli vi
ami, e conduca il vostro gregge coll'amor vostro, da cui prenda il modello
del suo » (49).
Il cattolico provveduto di Don Bosco (e di Don Bonetti) rispecchia
il clima combattivo della seconda metà dell'Ottocento. A Dio onnipotente ed
eterno si chiede misericordia per il suo servo e nostro Sommo Pontefice:
« Guidatelo sulla via deli'eterna salute, afinch6 per la grazia vostra desideri
con ardore e compia con 'fortezza quanto vi piace. O Signore, conservatelo, fortifica-
telo e rendetelo felice suiia terra, e non permettete mai che egli cada nelle mani dei
suoi nemici. Fate che ei si adoperi a promuovere con apostolico zelo il bene delle
anime, ad estendere il vostro regno nel cuore di tutti gli uomini; difenda con for-
tezza i diritti della vostra Chiesa, e da esperto nocchiero nel proceUoso mare di que-
sto mondo guidi al porto della salute la navicella di Pietro. Concedete che egli possa
vedere giorni felici per la Chiesa, distrutti gli errori, cessati gli scandali, umiliati,
convertiti i suoi nemici e a capo di numerosissimo gregge giungere al cielo, e rice-
vere da voi, supremo Pastore, l'eterno guiderdone. Per Gesù Cristo nostro Salva-
tore » (%).
Sentito il Papa come Padre e i vescovi come pastori, l'atteggiamento
dei fedeli verso di loro è presentato come di chi riceve il pascolo, la guida,
(4) Per molti anni vari periodici cattolici segnalavano le offerte inviate al Papa come
Obolo d i S. Pietro, omaggi di vescovi, di personalità, di semplici popolani, pellegrinaggi
italiani ed esteri e, per reazione, gl'insulti (veri o supposti) che i nemici della Chiesa
lanciavano contro il Supremo Gerarca ddla Chiesa.
Prato
. ("j Eucologio..
spirituale. . ,
., Torino, Mussano 1844,
Torino, Francesco Prato
p.
179
65
...,
S. La preghiera si trova
p. 135-137. L'Eircologio
già in
venne
stampato più volte nell'Ottocento e anche aii'inizio del nostro secolo.
(3)[Bosco], Il cattolico provveduto per le pratiche di pietà con analoghe istr7~zioni
secondo il bisogno dei tempi.. ., Torino 1868, p. 663 S. Il ms. di questa preghiera, come
di quasi tutto il Cattolico provveduto, G di Don Bonetti.
gli ordini. Ancora una volta non è azzardato dire che su questo modo d i ve-
dere si rispecchi la propensione di Don Bosco a tradurre in schemi famili-
stici il rapporto tra educatori ed educandi:
«Che direste voi di un figlio. il quale facesse mille proteste di amare suo padre
e intanto non curasse o si mettesse sotto i piedi i suoi ordini? Che pensereste di un
suddito, il quale asserisce di volere bene al suo Re, di promuovere il vantaggio del
regno, e intanto non mostrasse di ubbidire alle leggi dai ministri discusse e dal so-
vrano approvate?
Figli. -Diremmo e penseremmo che l'uno è un cattivo figlio e l'altro un cattivo
suddito.
Padre. - Ora questo padre è il Papa, e i suoi figli sono tutti i Cristiani; il
regno P la Chiesa, il Re supremo ed invisibile è Gesù Cristo, il Re visibile n'& il suo
Vicario, il Romano Pontefice. Fate voi stessi l'applicazione di questa similitudine D (51).
A questo punto torna alla mente il complesso della sua attività come
sacerdote apostolo della gioventù abbandonata e fondatore di istituti reli-
giosi. I principi pedagogici enucleati nelle paginette sul Sistema preventivo
(1877) trovano già un fondamento, oltre che nella tradizione pedagogica, nella
sua esperienza. Guadagnarsi il cuore degli allievi, farseli amici ha come
corrispondente il guadagnarsi le persone con le quali ha da trattare e colla-
borare: farsele amiche.
Dall'arcivescovo Fransoni egli, ancora chierico, ottenne il condono di
un anno di studi teologici in vista dell'età avanzata (rispetto ai suoi colleghi
di seminario); quindi, da sacerdote, una posizione di fiducia tra coloro che
attendevano agli oratori e una serie di privilegi per i chierici che. lo 'coadiuva-
vano e che, anche dopo la riapertura del seminario cittadino, poté tenere
ali'Oratorio di Valdocco.
Torna alla mente i1 suo atteggiamento con i vescovi e con la Santa
Sede a riguardo della Congregazione salesiana e di quella delle Figlie di
Maria Ausiliatrice. Per i primi ottenne comprensione, simpatia, aiuti, ma
anche i ben noti contrasti che lo spinsero ad appoggiarsi risolutamente a
Roma. Viceversa, per le Figlie di Maria Ausiliatrice ebbe divergenze con la
Congregazione dei Vescovi e Regolari. Si appoggiò allora al vescovo di
Acqui e ad altri pastori locali che approvarono la tenera pianticella di Mor-
nese appoggiata al tronco ormai sufficientemente robusto dei Salesiani.
Don Bosco ottenne che Roma temporeggiasse e attendesse il risultato del-
l'esperimento fatto sotto la responsabilità delle legittime autorità locali.
Nel 1874 furono approvate le Costituzioni dei Salesiani. Don Bosco scrisse
ai suoi figli che potevano considerarle come infallibili, perché approvate dal
(51) Bosco, Il cattolico nel secolo, pt. l , tratt. 26, Torino 1883, p. 173; Il cattolico
istruito, pt. 2, tratt. 9, Torino 1853, p. 13 S. Tra le moiteplici espressioni della devozione
al Papa nell'Ottocento significativa è quella che si legge nel Movimento caftolico, 1889,
p. 388: «Vi potrà essere pericolo che un'Opera cattolica sia poco papale, ma non vi sarà
mai quello di essere troppo papali D. Cf. G. CA~PELOKIlOm, ovimento cattolico in Italia,
Roma 1961, p. 255.
137

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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DonPaBpoasc,omneallansetogrliia daenlnlairesluigciocseissicvaitto-lica.cVooml IeI. Svteedllaremo - ne farà un'applicazione
così libera e ardita, da suscitare angustie e proteste in più d'uno a Torino e
a Roma (").
Egli è dunque figlio docile, figlio obbediente, ma anche abile. È figlio
adulto che sa giudicare, sa farsi ascoltare, sa fare agire secondo quel che crede
veramente secondo lo spirito della Chiesa per la salvezza delle anime. La sua
vita e le sue parole integrano così le pagine di divulgazione catechistica e
apologetica, in cui il fedele è semplicemente spronato a essere figlio devoto e os-
servante.
Egli sa scegliere i momenti, i modi e anche le persone a cui parlare. Ha
il senso della gerarchia, ma anche queiio del carisma singolare donato a lui
e alle sue opere. Ardisce presentarsi talora come portavoce del Signore.
Scrive da profeta a Pio IX e a Leone XIII, mentre ad altri preferisce portare
come contrassegno divino le opere. Rispecchia questa mentalità la frase che
gli viene attribuita: « Quando insorgono difficoltà io rispondo aprendo una
nuova casa » ("1. Manifestando il suo temperamento fondamentale di uomo
d'azione, a chi non crede alle ragioni della ragione e a quelle del cuore egli
ha cura di presentare quella delle opere con la persuasione che sia la più
idonea, almeno, tenuto conto delle tendenze degli uomini del suo tempo.
4. La Chiesa e la santità
Istanze educative, legami di simpatia e amicizia stanno alla radice deiie
pagine su Luigi Comollo indirizzate ai chierici del seminario di Chieri. Sono
istanze che, in circostanze analoghe muovono poi Don Bosco a scrivere le
biografie di Don Cafasso e dei suoi alunni Savio, Magone, Besucco. Ma ii
confronto tra la prima edizione dei Cenni (1844) e la seconda (1854) porta
a scoprire quanto di nuovo è intervenuto nella coscienza di Don Bosco
agiogtafo. Nei Cenni del '54 non vi sono soltanto nuovi particolari sulla vita
di Comollo, bensi anche un nuovo modo di considerare la sua vita virtuosa
in rapporto alla Chiesa. La virtù non cresce dovunque: « egli è proprio della
sola Cattolica Religione aver dei Santi e degli uomini segnalati in virtù; essa
sola abbonda di mezzi che confortano l'uomo in tutti i bisogni della vita;
.essa lo istruisce e lo guida nella giovinezza pel sentiero della verità: lo con-
forta co' Sacramenti, colla parola di vita nell'età adulta: raddoppia le soiie-
citudini nelle malattie, nulla tralasciando di quanto può contribuire al bene
spirituale ed eterno, ed anche al bene temporale; essa sola lo conforta in
punto di morte, nella morte e dopo morte » (%).
(") MB 14, p. 229.
("1 Introduzione aUe Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales,
Torino 1875, p. [V]. Per riffermuioni analoghe cf. MB 17, p. 296: «Le regole sono ap-
provate dalla Santa Sede, la quale non erra mai; obbedendo ad essa, noi obbediamo imme
diatamente a Dio D; MB 17, p. 296: «Le nostre regole, vedete, sono infallibili. . . D.
("1 MB 14, p. 229.
I Cenni del '54 risultano chiaramente sotto l'influsso delle opere apolo-
getiche che li hanno receduti: gli Avvisi ai cattolici e il Cattolico istruito.
Quanto Don Bosco ha scritto sulla santità, carattere esclusivo della vera Chiesa
di Cristo, ormai si riverbera su tutte le sue opere agiografiche e biografiche.
Don Bosco comprende il ruolo catechistico e apologetico che possono assu-
mere scritti agiografici e biografici. «Fortunati i cattolici - esclama nella
nuova edizione delle Sei domeniche (1854) -, che si trovano in una religione.
la quale in ogni tempo, in ogni luogo, di ogni età e condizione ebbe sempre
gloriosi eroi, che colla innocenza della vita, e colla austerità della penitenza,
giunsero a tali gradi di santità, cui solamente la santa Religione di Gesù Cristo
può condurre » (").
« O Religione Cattolica - ripeteva nei Cenni su Comollo - religione
santa, religione divina! Quanto sono grandi i beni che tu procuri a chi ti
pratica, a chi in te spera e in te confida! Quanto sono fortunati quelli che
si trovano nel tuo seno e ne praticano i precetti »(%).
Intenti educativi contemperati a quelli apologetici si riflettono in molti
scritti del 1855-56: La forza della buona educazione, la Vita di S. Martino e
quella di S. Pancrazio. Le predilezioni agiografiche manifestate già nella
Storia ecclesiastica, unite alle preoccupazioni di conservazione e difesa deiia
fede, danno origine alle Vite dei Papi (=). Don Bosco lo dichiara iniziandone
la serie con la Vita di S. Pietro:
« Più volte ho tra me pensato al modo di calmare l'odio e l'avversione che in que-
sti tristi tempi taluno manifesta contro ai Papi e contro alla loro autorità. Meaza
molto efficace mi sembrò la conoscenza dei fatti che riguardano la vit+:di.quei su-,
premi pastori stabiliti a fare le veci di G. C. sopra la terra e a guidare le nostre ani-
me per la via del Cielo. - Io penso, diceva tra me, non trovarsi tarita malignità
nell'uomo ragionevole da essere awerso a coloro che hanno fatto ai popoli tanto
bene spirituale e temporale, che hanno tenuto una vita santa e la più laboriosa, che
furono sempre venerati da tutti i buoni e in tutti i tempi e che spesso per promuo-
vere la gloria di Dio e il vantaggio del prossimo difesero la religione e la propria
autorità col loro sangue » (S8).
In altri termini l'agiografia ha una funzione analoga a quella delle opere
benefiche. Don Bosco ha fiducia sulla forza persuasiva che i fatti possono avere
sulla mentalità pragmatista e utilitarista del suo tempo.
D'altra parte, la percezione della santità neila Chiesa è anche percezione
del flusso divino nella « congregazione dei fedeli »: in quella stessa del suo
ambiente di Torino e dell'Oratorio.
(n)Bosco, C e n ~ siulla vita del giouane Luigi Comollo.. . , Torino 1854, p. 95.
(56) [Bosco], Le sei domeniche e la novena in onore di san Luigi Gonzaga con alcune
lodi sacre, Torino 1854, p. 3.
( 9 )Bosco, Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo, ed. c., p. 96.
(58) LO abbiamo già notato nel libro 1, cp. 10: DB facilmente inserisce sia nella
Storia ecclesiastica che nelle Vite dei Papi episodi desunti dal Croiset, Esercizi di pietd
per tutti i giorni dell'anno.

8.2 Page 72

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Si comprende pertanto la sua vihratilità interiore e il suo entnsiasmu
nel contemplare la santità vissuta, il suo osannare davanti ad atti di virtù
che gli si presentano come garanzia della via che ha abbracciata e conservata.
È significativo che contemporaneamente, in termini e in ambienti diversi,
studiosi come Moehler e Newman o pastori d'anime come Don Bosco abbiano
prestato attenzione alla santità nella Chiesa Cattolica. Newman, come Moehler,
contempla la cascata di grazia operata nella Chiesa dallo Spirito Santo. D o n
Bosco, che in quest'ordine d'idee è più nel raggio d'influsso di Bossuet, av-
verte il legame con Cristo e per mezzo di Cristo, direttamente con Dio.
Sicché la sua ritlessione sulla santità della Chiesa e dei fedeli s'inserisce con-
sapevolmente in una mentalità accentuatamente cristologica e soteriologica.
Il fatto poi che nella Chiesa vi siano peccatori non suscita nei suoi
scritti gravi problemi dottrinali. Don Bosco infatti, più che all'analogia del
Corpo mistico, allorché discorre del peccato e dei peccatori, si rifà a quella di
famiglia e di madre (59).La Madre Chiesa è santa, senza macchia e senza ruga.
Tale rimane, anche se molti suoi figli siano peccatori, anche se suoi figli la
combattano e ;la rinneghino:
« La Chiesa Romana si può veramente dir Santa, perché Santo è il Capo di lei,
Gesù Cristo, sorgente di ogni santità, che la regge e la governa coll'assistenza dello
Spirito Santo. E Santa perché tiene i mezzi più efficaci per santificare le anime, come
sono i Sacramenti, il Sacrificio della Messa, la preghiera pubblica, i consigli evangelici
e simili. E Santa perché in ogni tempo e in tutti i luoghi ebbe sempre un gran numero
di Santi, che risplendettero per virtù e miracoli » (m).
Don Bosco non affronta, nemmeno nei termini di Antonio Martini, l'ese-
gesi di testi hiblici applicati figurativamente alla Chiesa, come Nigra sum, s e d
fovmosa (Cant. 1, 4). Commenta il Martini:
« I n primo luogo, con S. Agostino de doctr. Christ 111 32, può dirsi che la
Chiesa è bruna insieme e hella, per essere riuniti nel tempo presente nella stessa rete
i pesci buoni e i cattivi (Matth. XII. 27) i giusti e i peccatori, ovvero collo stesso
santo diremo, che la Chiesa è bruna per ragione della natura corrotta per lo peccato,
ma hella per virtù della grazia, Serm. 201 de Temp.
I n secondo luogo le persecuzioni, le tribolazioni, l'eresie, gli scandali, onde è
infestata nel tempo presente la Chiesa, le danno all'esteriore un aspetto assai tristo,
e quasi simile alle povere tende de' pastori di Cedar, le quali esposte agli ardori del
sole e a tutte le ingiurie dell'aria sono brutte a vedersi, ma nell'interno ella è bella
e splendida e magnificamente ornata per l'esimie virtù, per l'umiltà per la pazienza,
per la fede, per la invitta carità e pe' meriti che ella aduna nel cielo, e pel numeroso
stuolo de' santi che ella accoglie I . . .l Bellezza sovrana e incorruttibile è quella della
Chiesa, bellezza, che non verrà meno giammai, neppur in quell'atrocissima guerra
che farà a lei l'ultimo suo nemico, I'Anticristo; bellezza che la rende degna dell'amore
("1 Bosco, Vita di san Pietro pvincipe degli apostoli. . . , Torino 1856, p. 3 S.
(W) Cf. soprattutto per quanto riguarda la trattatistica A. KERKVOOIWLaE,théologie
du Corps mystique au X I F sièclc in Nouvelle revue théol. 67 (1945), p. 1025-1038.
140
dello sposo e dell'amore di tutte quelle anime che sono degne di conoscere e di ap-
prezzare questa interiore bellezza; e queste sono quelle che qui si chiamano figlie
d i Gerusalemme » (L1).
C'è invece una sostanziale consonanza nell'interpretazione relativa alle
sette eretiche:
« Bellissima - aggiunge il Martini - è la Chiesa Cattolica tra le donne, vale
a dire, tra tutte le società, o sinagoghe, o sette, o adunanze d'uomini che pro-
fessano religione. Tutte queste sette sono brutte e deformi per la cecità, per l'ignoranza,
per gli errori e pe' vizi, onde secondo il linguaggio delle Scritture si paragonano
alle donne corrotte e adultere. Ma la vera Chiesa è vergine, pura, incontami-
nata, sposata ad un solo uomo, cioè a Cristo. I n lei la vera fede incorrotta, in lei
la scienza purissima dei costumi, il deposito delle Scritture sante intiero ed inviolato,
i Sacramenti, l'unico sacrifizio. Che se ella nel suo seno contiene anche dei peccatori.
la loto deformità non offusca il candore d i lei, perché i loro peccati ella detesta, né
a lei possono ascriversi come alle altre sette ascriver si possono i peccati de' loro
seguaci, perché queste in molte maniere allentano la briglia alle passioni degli uomini
e corrompendo in essi la radice di ogni bene, qual'è la fede, aprono largo e libero
campo all'iniquità » (").
L'analogia della vite, affine a quella del corpo, in Don Bosco interviene
per spiegare come mai non può esserci « vera » (piena) santità in coloro che
non sono in comunione con la Chiesa Cattolica. Essi « si possono paragonare
ai rami d i u n albero tagliato dal proprio tronco. Tagliati, vale a dire, separati
dall'alhero della santità, che è Gesù Cristo, e dopo di lui i suoi Vicari, che
egli destinò a fare le sue veci in terra; gli eretici sono come tami'secchi, e
incapaci di far frutto. Quindi invece d'insegnare una dottrina santa, insegnano cose
le più assurde ed empie. Per esempio, dicono essere inutili le opere buone » (a).
Quanto agli apostati, Don Bosco ribadisce più volte la sua persuasione: « Niuno
mai abbandonò la cattolica religione per condurre una vita più virtuosa. Per
l'opposto sappiamo dalla storia che tutti quelli che l'hanno abbandonata per
(61) Bosco, Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 5, Torino 1853, p. 99 S. E ovvio che i
concetti espressi da DB si ritrovano in libri che aveva sottomano, ad es. in S~EFFMACHER,
Catechismo di controversia (Colla. buoni libri, a. 2, disp. 13 e 14),Tonno 1851, p. 49: «La
Chiesa è Santa, perché Gesù Cristo suo capo è la sorgente di tutta la santith; che la sua
dottrina e i suoi sacramenti sono santi, e che non si trovano santi eccetto nella sua
società*; AIMÉ, Catéchisme raisonné sur les tondements de la foi, pt. 4, ch. 4, Lyon
1821, p. 143 s: «D. Comment prouvez-vous que i'Eglise Romaine est sainte? - R. Je
prouve que 1'Eglise Romaine est sainte, 1" parce qu'elle a entre les mains ies moyens
les plus efiicaces pour sanctifier les ames, qui sont les sacrements, le sacrifice, fa prière
publique, les conseils évangéliques, etc. 2" Parce que, dans tous les tcmps, il s'est formé une
infinite de saints dans cette Eglise; 3" Parce que, dans tous ies temps, Dieu a marqué, par
les miracles les plus eclatants, l'approbation qu'il donnait au culte qu'on lui rend dans cette
Eglise ».
- . (62) A. MARTINIL,a sacra Bibbia secondo la Volgata tradotta in lingua italiana. : .,
3. Firenze 1852. o. 752 S. Pare sia l'edizione «1851 » che DB cita nel Cattolico istruito,
pt. 2, tratt. 37, orino 1853, p. 279.
(a)A. MARTINLI,a sacra Bibbza, l. C,, p. 753, in nota a Cant. 1, 7

8.3 Page 73

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DonabBborsaccocniaerllea sqtouraialcdheella areltlirgaioscitràedcaetntozlaicar.eVliogliIoI.sSat,ellcaiò fecero per condurre una vira
più libera e disordinata; segno evidente che a ciò erano mossi non dalla cogni-
zione della verità, ma dal desiderio di una religione più lassa; e più favorevole
alle malnate loro passioni » (M).
I1 tema della santità richiama immancabilmente quello dei miracoli, delle
profezie e di altri fatti straordinari. I miracoli, scrive Don Bosco, sono fatti
che superano « di gran lunga » le forze della natura. Sono operati per virtù
divina(65) e sono « sempre presagio di gravi avvenimenti che manifestano l a
misericordia e la bontà del Signore, oppure la sua giustizia e il suo sdegno, ma
in modo che se ne tragga la sua maggior gloria e il maggior vantaggio delle
anime » (a).
Per Don Bosco è ovvio che vi siano miracoli e d è u n fatto che siano tutti
in favore della Chiesa: « Gesù disse che nella sua Chiesa si sarebbero operati
miracoli maggiori che Egli non operò: e non fissò n é tempo n é numero, perciò
finché vi sarà la Chiesa, noi vedremo sempre la mano del Signore che fari
manifesta la sua potenza con prodigiosi avvenimenti, perché ieri ed oggi e
sempre G. C. sarà quello che governa e assiste la sua Chiesa fino alla consu-
mazione dei secoli » (67).
Per lui è ovvio che tra i protestanti non vi siano santi taumaturghi. Fuori
della Chiesa cattolica « tutte le altre chiese non possono mostrarci un uomo
di loro credenza il quale abbia operato un solo miracolo. Al contrario, la
Chiesa Romana, oltre u n gran numero di Santi e di miracoli riconosciuti dai
medesimi eretici, presenta migliaia di monumenti, i quali ci attestano che d a
Gesù Cristo fino ai nostri di in ogni secolo, e possiam dire in ogni anno si
operano miracoli
Gli iniziatori del protestantesimo - ama ripetere Don
(*) Bosco, Il cattolico istruito, pt. 2, tratt. 5, ed. c., p. 102; ma qui è da ricordare
quanto DB aggiunse, per precisare la sua catechesi, sulla salvezza dei bambini che non
hanno ancora raggiunto l'uso di ragione e sugli eretici di buona fede. Cf. sopra, nota 25 e
testo corrispondente. Come si vede, non pone espressamente il problema degli atei e dei
pagani, né approfondisce quello sugli apostati o che, comunque, hanno ri6utato di aderire
al Cattolicesimo da loro in qualche modo conosciuto.
(6)[Bosco], La Chiesu Catlolicu. . . Avvisi ai cattolici, Torino 1851, p. 22. Il
testo che abbiamo trascritto manca nell'ed. del 1850, ma rimane, con leggeri ritocchi, nelle
edizioni successive. La tesi sulla immoralità alla radice deli'apostasia è comprovata con la
descrizione di Lutero, ecc.
(a)Bosco, Il cattolico istruito, pt. 1, tratt. 12, ed. c., p. 52: « I miracoli di Gesù Cristo
non possono essere effetti delle leggi della natura, perché essi sono di gran lunga superiori
aUe medesime leggi. Per esempio, morto i'iiomo, il cadavere di lui deve di sua natura
putrefarsi; ali'incontro il miracolo sospende le leggi deUa natura quando per opera divina
il cadavere invece di corrompersi conservasi o ritorna a nuova vita D. Nel medesimo contesto
YAIMÉ, Catéchisme, pt. 2, ch. 4, ed. c., p. 83, scrive che «les miracles de Jisus-Christ ne
peuvent pas avoir bt4 les effets des lois de la nature, parce qu'ils ont été faits contuiz
ces m2mes lois ».
. (67) Bosco, Apparizione della Beata Vergine sulla montagna di La Salette con altri fatti
prodigiosi.. , Torino 1871, p. 7.
(68) BOSCO, Apparizione della Beata Vergine, ed. C,, p. 6 S.
Bosco - secondo quel che scrisse Erasmo di Rotterdam, non sono riusciti a
guarire nemmeno u n cavallo zoppo (a).
Come agiografo e biografo facilmente si sofferma sui fatti sensazionali:
sulle meraviglie di S. Pancrazio e di Maria Ausiliatrice, sui prodigi di S. Mastino
e sulle grazie attribuite all'intercessione di Domenico Savio. La sua introduzione
alla V i t a d i S. Mavtino è un curioso documento della agiografia popolare che
proietta sullo stesso piano fatti eterogenei:
«Parlare di miracoli in questi tempi! forse che saranno creduti? Adagio, cri-
stiano lettore, non farti illusione per certi discorsi di alcuni nemici del Cristianesimo.
Se m osservi che leggiamo essersi operati miracoli grandi, siccome vediamo notati
ne' sacri libri; se tu osservi che il Salvatore ha detto che i predicatori del Vangela
ne avrebberb fatti dei più strepitosi, cesserà lo stupore, la sorpresa. Notiamone
alcuni.
Un serpente che parla ad Adamo e ad Eva nel Paradiso terrestre; un diluvio
universale che copre mtta la terra; una pioggia di fuoco che incendia ed inabissa le
città della Pentapoli; la moglie di Lot cangiata in una stahia di sale; un Angelo che
rattiene il braccio e pada ad Abramo afiinché non uccida il proprio figliuolo; le dieci
piaghe dell'Egitto; la verga di hlosé, la quale prima 6 mutata in serpente e poi divide
le acque del Mar Rosso; la manna che piove dal cielo per quatant'anni; l'Arca del-
l'Allea a che ferma la corrente del fiume Giordano; I'asina di Balaam che parla con
voce umana; il sole che si ferma al comando di Giosuè; i corvi che portano regolar-
mente il pane al profeta Elia; morti risuscitati; l'olio e il pane moltiplicati; queste,
dico, ed altre infinite maravigiie, che tu trovi registrate nella storia del mondo, non
è egli vero, che mentre ti recano grande sorpresa, ti appariscono però ad un tempo
qudi fatti i più certi e indubitati, siccome quelli che si trovano registrafi i r i u n libro
divino qual è la Bibbia?
Che diremo poi di quanto leggiamo nel Vangelo? Quivi una stella annunzia la
nascita del Salvatore; una schiera di Angeli ne dà festevole annunzio ai pastori;
l'acqua si cangia in vino; con poco di pane si nutrono abbondantemente più mila uo-
mini; i sordi acquistano l'udito; i ciechi la vista; i muti la parola; i lebbrosi sono tnon-
dati; malattie dall'arte umana insanabili instantemente guarite; uomini morti da quat-
tro giorni e già incadaveriti o puzzolenti, e che pur risorgono a nuova vita, parlano,
camminano. I l Vangelo è ripieno di fatti di simil genere. Pure il Salvatore disse che i
suoi seguaci avrebbero operato cose maggiori t. . .l.
Questo Santo glorioso, che tanto faticò per la predicazioue del Vangelo; che
operò tanti prodigi per diffondere la fede di Cristo fra gli idolatri e conservarla fra gli
eretici mentre era mortale in terra; ora che è Beato in cielo si degni volgere uno
sguardo pietoso sopra di noi, e ci ottenga da Dio perseveranza e coraggio da poter
vivere e morire nella santa cattolica religione, unica vera, unica santa, unica confer-
mata da miracoli, unica che in ogni tempo abbia avuto uomini santi, e fuori della
quale niuno può salvarsi » (").
(69) Bosco, Il giovane prouuedrto, Torino 1851, p. 325; ID., Il cattolico istruito, pt. 2,
trati. 28, ed. c., p. 159.
(70) Bosco, Vita d i san Martino uercouo di Tours, Torino 1855, p. IV.VIII

8.4 Page 74

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Don
BoscoI1nemllaersatovriiagldieolslaoreèligcioosmitàe
cuanttolgicraa.nVdoel
II. Stella
agglomerato
in
cui
Don
Bosco
avverte
- ed esprime in linguaggio popolare - il soprannaturale: la continua esplo-
sione multiforme del divino nella Chiesa.
Egli n e attinge sicurezza per sé e per quanti si appoggiano alla sua perso-
nalità. Ma per quanto riguarda avvenimenti contemporanei, difficilmente ado-
pera il termine miracolo ed ha consueto quello di fatti straordinari o mera-
vigliosi. È persuaso che Maria Santissima intervenga benignamente in suo fa-
vore anche con fatti miracolosi, ma egli preferisce parlare sempre di grazie
straordinarie e di maraviglie. Forse ha presente il monito inviato all'arcivescovo
d i Torino, mons. Riccardi, riguardo alle Letture Cattoliche denunziate alla Con-
gregazione dell'Indke:
« . ..Colgo altresì il destro, presentandomisi l'opportunità, avvertirla che altre
denunzie a questi di ne pervennero intorno ad una pubblicazione periodica che vede
costì la luce col titolo Letture Cattoliche ove incontransi, se non errori manifesti, per
lo meno, tali parole o storielie da eccitare, anziché la pubblica edificazione, le risa e
le beffe in un secolo in cui la critica cotanto abusa per screditare la religione, segna-
tamente in fatto di opere ascetiche e mistiche » (71).
5. La Chiesa trionfatrice
È superfluo soffermarci anche a questo punto per ricordare i1 senso della
lotta e dei trionfi. La lotta del bene contro il male s'incarna in lotta delle forze
infernali contro la Chiesa e specialmente contro il suo capo visibile.
Anche per Don Bosco la navicella di Pietro passa imperterrita attraverso
il furore dei flutti sotto u n nugolo d i proiettili nemici. La roccia resiste allo
sconquasso dei marosi. La novella arca di Noè supererà il « diluvio di errori
di ogni specie, di bestemmie, di eresie, di libertinaggio, di mala fede, di incre-
ll
('7. dulità, e di indifferentismo » A Roma papale ciascuno deve ormeggiare la
propria navicella, perché « chi è unito al Papa, è unito con Gesù Cristo, e chi
rompe questo legame fa naufragio nel mare burrascoso dell'errore e si perde
1
miseramente » (73).
I
I
171) Fr. Aneelo Vincenzo Modena. seer. della Coner. dell'Indice. a mons. Riccardi. Roma
1
,(dallaMinerva), i 9 apr. 1867, MB 8, p.'775.
(72) È l'immagine del sogno delle due colonne (MB 7, p. 179). E anche quella di stampe
aeioerafiche.come i'antioorta di A. MUZZARELDLeIl.le cause dei mali oresenti e del timore
I
!
de' mali fuizrri e suoi rimedi.. ., Torino, tip. e iibr. dell'Or. di S. ~rancd. i Sales 1874, con
la didascalia: «Voghi pure, miei carissimi, voghi pure questa nave del Signore tra le bufere
del secolo sinira delle oromesse di Cristo. ma non senza le sollecitudini che Dio le ha date.
i
1
Poiché, se il nocchiero vegghia, non però deve dormire il navigante (Eraclio, vesc. d'Ippona) D.
1
Ma si tratta di un luogo comune, di una protesta comune dei cattolici impegnati. Cf. la stampa
riprodotta in G. SPADOLINL'Io,pposizione cattolica da Porta Pia al '98, Firenze 1961, p. 272.
1I
L'espressione che abbiamo trascritta, inserita nel discorso della mistica arca di Noè, che porta
a salvezza gli eletti, t di una lettera pastorale di mons. Losana, vescovo di Biella del 29 gen-
iiaio 1866, Biella, tip. Gius. Amosso 1866, p. 4.
(73) BOSCO, Il centenario d 2 S . Pietro apostolo. . . , Torino 1867, p. V.
La Storia sacra, quella ecclesiastica e quella d'Italia, sebbene ritoccate,
concludono invariabilmente con la sicurezza che la Chiesa, nonostante le lotte,
sempre trionferà: «Comunque vediamo la Chiesa perseguitata, nuiladheno
dobbiamo rimanere fermi nella fede, tenendo per certo, che la guerra finirà
col trionfo della Chiesa e del suo supremo pastore. È pertanto nostro dovere
conservare ed accrescere in noi la fede, la speranza e la carità per meritarci
di avere parte alla gloria, che Dio tiene preparata ai veri cattolici in Paradiso,
dove saremo felici per tutta l'eternità P (l4).
(") Bosco, Storia ecclesiartica, Torino 1870, p. 371, epilogo che si trova immutato
neli'edizione decima, Torino 1888, p. 439.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
CAPITOLO VI1
MARIA SANTISSIMA
1. Primi elementi di pieta mariana
Tra i ricordi più antichi di Don Bosco un avvenimento saliente è il sogno
fatto « dai nove in dieci anni ». Maria Santissima e Gesù Cristo non vi sono
mai espressamente nominati. L'arcano che circonda il loro nome accresce rive-
renza e senso del soprannaturale. Ma è indubbio che Maria è la « donna di
maestoso aspetto, vestita di un manto, che risplendeva da tutte le parti, come
se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella ». È indubbio che Gesù
è «l'uomo venerando, in virile età, nobiimente vestito », il cui volto è tal-
mente luminoso, che Giovannino non riesce a rimirarlo. La signora di mae-
stoso aspetto è anche di una amabilità materna conquidente. Scorgendo Gio-
vannino ognor più confuso, gli fa cenno di accostarsi e lo prende con bontà
per mano (l).
Può darsi che Don Bosco, ponendo in carta il sogno nel 1873 e alla ricerca
dei mezzi espressivi, abbia fatto ricorso a termini e a immagini che gii posse-
deva; ad esempio, alla descrizione della Signora, affettuosissima anche se triste,
dal volto abbagliante e dal fulgido vestito ch'era apparsa ai due pastorelli di
La Salette. II termine «Dama » ado~eratonel racconto su La Salette edito nel
1854, è cambiato in quello di « Signora » nell'edizione del 1871, tale quale si
trova poi nelle Memavie dell'Ovatorio (2).
Eppure ci pare che il racconto del sogno dei nove anni, così com'è affidato
(1) M 0 p. 23 S.
(2) Bosco, Raccolta di curiosi auuenimenti contemporanei, Torino 1854, p. 51 e 57 s:
«Allora noi vedemmo una Dama in mezzo alla luce I...l Aveva il volto bianco, allungato;
io non potevo riguardarla per molto tempo ». ID., Apparizione della Beata Vergine rulla mon-
. . tagna di La Salette.. , Torino 1871, p. 11 e 18: K AUora noi vedemmo una Signora [. .l
. Aveva il volto bianco. . ». I1 testo di DB deriva fedelissimamente da G. CONFALONIELR'aI,p.
parizione della Beata Vergine a due pastorelli sulla Montagna d i Salette diocesi d i Grenoble
. in Francia il 19 settembre 1846.. ., NOvara 1 8 4 . . ; ed. 1856, p. 11 s: «Allora noi vedem-
mo una Dama in mezzo alla luce. . .D. La fonte è citata da DB all'inizio della narrazione:
Raccoltd . . . , p. 47.

8.6 Page 76

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
alle Memorie dell'Oratorio o come ci è tramandato da testimonianze da esse
indipendenti, ci offre sufficientemente i termini che dovevano formare sostan-
zialmente la religiosità popolare che Giovannino Bosco cominciò ad assimilare
ai Becchi. Del resto, anche al di fuori del sogno, si hanno conferme di questi
primi embrioni della devozione mariana di Don Bosco. Maria SS. è invocata
tre volte al giortio con la recita dell'Angelus, onorata con la recita del Rosario,
con festività e titoli della zona Morialdo-Chieri: la Vergine del Rosario, la
Madonna del Castello, la Vergine Addolorata, la Madonna delle Grazie
Don Bosco ci ricorda persino come la lettura dei Reali di Francia nelle serate
invernali veniva iniziata e conclusa con il segno della santa Croce e la recita
dell'Ave Maria ('1. '
Quando poi, ventenne, fu alla ricerca pressante della via da seguire ricorda
egli stesso che pregò con fervore, fece una novena alla Madonna e ricevette
il responso decisivo dallo zio di Luigi Comollo proprio l'ultimo giorno della
. novena,. dowo che aveva servito due messe in duomo all'altare della Madonna
delle Grazie (j).
Non meno significativi sono i Cennz sul Comollo. Don Bosco, giovane
prete, ha cura di descrivere ai suoi colleghi seminaristi di Chieri, come Luigi
(( da piccolino soleva far fioretti alla Madonna, coll'astinenza di qualche porzione
di cibo, o di frutto che gli si donava per companatico P, manifestando l'inten-
zione di regalarlo a Maria t6). Cresciuto negli anni, « offriva ogni settimana
digiuni a Maria, nei pranzi stessi, e nelle cene, sovente sotto specioso pretesto
si toglieva da tavola nel meglio del mangiare » e questo «sempre per amor di
Maria ('1. Soffermandosi in Chiesa, (( non ne usciva mai senza prima trattenersi
alquanto col suo Gesù, e raccomandarsi alla cara sua madre Maria » ('1.
Queste abitudini furono continuate in seminario. Anzi, prima della comu-
nione eucaristica, stando a ciò che riferisce Don Bosco, Luigi premetteva un
giorno di rigoroso digiuno in onore di Maria SS. (9) e altrettanto faceva ogni
settimana il giorno di sabato (lo). Stimolo letterario a questi fervori mariani era
stato, per riconoscimento del Comollo stesso, l'opera di S. Alfonso, Visite al
SS. Sacramento e a Maria Samtzssima ("). Don Bosco ricorda come ((parlava con
trasporto dell'immenso amor di Gesù nel darsi a noi in cibo nella santa Comu-
(3) La festa dei Rosario, nella prima domenica di ottobre, era celebrata a Morialdo, a
Mondonio e un po' dovunque in Piemonte. La Madonna del Castello era venerata a Castel-
nuovo. A Chieri si celebravano solennemente, anche con processioni, la festa dell'Addolorata
e della Madonna delle Grazie.
(4) M 0 p. 29.
(5) M 0 p. 81.
( 6 ) [Bosco], Cenni
storici
sulla
vita
del
chierico
Lufyi
Comollo . . . , Torino
1844,
p. 12.
(7) [Bosco], Cenni storici, p. 12 S.
(8) [BOSCO], Cenni storici, p. 10 S.
(9) [Bosco], Cenni storici, p. 12.
(IO) [BOSCO], Cenni storici, p. 36.
(11) [Bosco], Cenni storici, p. 10.
uione: quando discorreva della Madonna, tutto si vedeva compreso di tenerezza,
e dopo d'aver raccontato, o udito raccontare qualche grazia concessa dalla Ma-
donna a favore del corpo, egli sul finir tutto rosseggiava in volto, e alle volte
rompendo anche in lacrime esclamava: se Maria cotanto favorisce questo misera-
bile corpo, quanti non saranno i favori che sarà per concedere a pro delle anime
di chi la invoca? » (l2).
Sul letto di morte Comollo avrebbe anche svelato il fondo di amarezza e di
critica che nutriva verso la falsa devozione e i falsi devoti, in termini che potreh-
hero far pensare a quelli della Regolata devozione del Muratori:
S'armi pur tutto contro di noi l'inferno, con Maria in nostra difesa, nostra
sarà la vittoria. Guardati però bene dall'essere di quei tali, che per recitare a Maria
qualche preghiera. per offrirle qualclie mortificazione credono essere da lei protetti,
mentre conducono una vita tutta libera, e scostumata. A vece di essere di tali divoti,
è meglio non esserlo, perché se si mostrano tali, è puro effetto d'ipocrisia per essere
favoriti nei loro cattivi disegni, e quello che è più, se fosse possibile, farle approvare
la loro vita sregolata. Sii tu sempre dei veri divoti di Maria coll'imitare le di lei
virtù e proverai i dolci effetti di sua bontà, ed amore n ('3).
Si trova, comunque, già enunziata la quasi totalità degli elementi che in
chiave diversa Don Bosco esprimerà sulla devozione a Maria Santissima; devo-
zione che è fondata sulla maternità di Maria, che deve esprimersi in una vita
virtuosa e garantisce il possesso del patrocinio più possente che si possa
avere mentre si milita (< in questo mondo di lacrime » (").
,.
2. Maria §S. e la salvedza
Risulta evidente anche come l'attenzione di Don Bosco va al ruolo che Ma-
ria SS. ha in ordine alla salvezza personale di ciascuno. Nella stessa angolatura
si trovano le pagine su Maria SS. affidate al Giovane provveduto. Ai lettori egli
propone quanto assicura Maria SS. D: « Se sarete suoi devoti, oltre a colmarvi
di benedizioni in questo mondo, avrete il Paradiso nell'altra vita (lS). E come
S. Alfonso nelle Glovie di Maria, anche Don Bosco convalida la propria afferma-
zione evocando un testo hiblico accomodato a Maria SS. gii dalla liturgia della
Immacolata Concezione: << Qui elucidant me vitam aeternam hahebunt » (Eccl.
(12) [BOSCO], Cenni storici, p. 21.
('3) [Bosco], Cenni rtorici, p. 62 S.
('9 [Bosco], Cenni storici, p. 62.
(lS) [BOSCO], Il giovane provveduto.. .,Torino 1847, p. 51. Significativa è la conclu-
sione dell'intera considerazione: a Chi può reciti il suo Rosario, ma non dimentichi mai ogni
giorno di recitare tre Ave e tre Gloria Patri colla giaailatoria: Cara Madre Vergine Maria,
fate ch'io salvi I'anima mia ». La pia pratica delle tre Ave Maria era già stata inculcata, tra gli
altri, da S. Leonardo da Porto Maurizio e da S. Alfonso: ci. B. INNOCENTI, OFM, S. Leoaardo
da Porto Mauri~io(1616-1751)e S. AlJonso Maria de' Liguori (1696-1787) in Miscellanea
francescana 51 (1951), p. 582.

8.7 Page 77

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Don Bosco nella
24, 3 1 ) (l6).
stoErilaucdiedllaarreelicghioesitnàeclattteoslitcoa.bViobllIiIc. oStehlala il
senso
di
esplicare
o
-
secondo
il Martini - di interpretare ("),in S. Alfonso assume il senso di adoperarsi per
far conoscere e amare Maria, e in Don Bosco qunezllo di essere divoti: due ese-
gesi che hanno come fondo comune il sentimento che una interpretazione sa-
pienziale, un vero zelo e una vera devozione non possono non scaturire (come
dice il Martini a proposito della elucidatio) che dalla « purità di costumi » (ls).
Vita eterna, poi, da S. Alfonso e da Don Bosco non è assunta nel senso pro-
posto ad esempio da un classico della mariologia di allora, Ugone cardinale:
come vita contemplativa « quae est perpetua », ma Vita eterna è intesa come
« Paradiso nell'altra vita », che nel linguaggio di S. Alfonso, e molto più -
ci sembra - in quello di Don Bosco, comporta a itutto elementi appetitivi: la
felicità e il godimento eterno di Dio e di ogni altro bene, senza alcun male (lg).
L'importanza di Maria SS. in ordine alla salvezza è data dalla teologia ma-
riana implicita nel Giovane provveduto ed espressa per sommi capi in altri
scritti: « Ella - scrive Don Bosco nel Mese di maggio - è la più santa fra
tutte le creature; la madre di Dio, la madre nostra, madre potente e pietosa che
ardentemente desidera di colmarci di celesti favori (m).La divozione di S. Vin-
cenzo de' Paoli per Maria SS. - trascrive Don Bosco daU'Ansart - partiva
« dal desiderio di glorificare Dio » nella persona di colei che Dio stesso ha vo-
luto glorificare (l'). Sempre presente è il senso della dignità di Maria, quale
(16) S. ALFONSOLe, glorie di Maria, Introduz., in Opere ascetiche, 1, Torino 1845,
p. 8.
(17) «Coloro che m'illustrano, avranno la vita eterna: I miei interpreti, quelli che si
affaticano per ispazare agli altri, e particolarmente ai piccoli il pane della mia celeste dottri-
na, avranno la vita eterna ». Così in A. MARTINI, La Sacra Bibbia ossia il Vecchio ed il
Nuovo Testamento secondo la Volgata.. ., 4, Torino 1839, p. 367.
(18) MARTIN1I.,C,, p. 367: 6 Suppone che questi [gli interpreti] l'onore d i ministero
si santo sosterranno colla conveniente purità di costumi.. . D. Nessun accenno a interpreta.
zioni accomodatizie mariane.
(19) « Q u i elucidant me, vitam meam verbo et exemplo praedicando, vitam aeternam
habebunt; (ad literam) ve1 vitam contemplativam, quae perpetua est: Ve1 vitam aeternam,
. . idest duri, idest, qui Beatam Mariam praedicant, vitam debent ducere duram, sicut ipsa.
Hugo Cardinali1 D: cf. JosE DE S. MIGUELY BARCO, Biblia mariana. , Genuae 1749,
. . p. 198, Dubium 108.
Quest'opera come avvertimmo, t fonte di DB, Maraviglie . , Torino 1868; non perb
per quest'esegesi.
(20) Bosco, Il mese di maggio. . . , ultimo giorno d'apr., Torino 1858, p. 16. DB s'ispira
ad A. FERRARSiIm, boli mariani ossia il mese di maggio ad onore di Maria . . ., Torino, G . Ma-
rietti 1853, p. 22: « C'introdurremo in cotesto santo esercizio considerando i principali
motivi che astringono un cristiano ad esserle devoti, cioè: I" perche ella è adorna tra le crea-
tiire d.i- u.n~a~se~nt~ ita la oiù trascendente:. 2" nerché ella t madre d i Dio e madre nostra ». I n
~~~
~
~
altri contesti la consonanza tra DB e il Ferrari è più trasparente e meno generica.
(21) [BOSCO], Il cristiano guidato alla uirtii ed alla civiltà secondo lo spirito di san
Vincenzo de' Paoli . . . , Torino 1848, p. 104: « L a sua divozione per la Madre del Figlio di
Dio e per gli altri Santi, partivano tutte e due dallo stesso principio, ci& dal desiderio d i
glori6care Dio nella persona di coloro che egli stesso ha voluto glorificare n; G . ANSART,
Lo spirito di S. Vincenzo de' Paoli.. . , I, Genova 1840, p. 178: <<Lasua divozione per la
. Madre del Figlio d i Dio, e la sua divaione per gli Santi, partivano tutte e due dallo stesso
principio . .
150
Madre del Verbo incarnato. Esplicite e frequenti sono le espressioni «nostra
madre celeste n, « nostra celeste Protettrice » e altre, che portano sottesa la
consapevolezza che si possiede una grande garanzia di salvezza, quando ci si
affida alla Madre di Gesù e Madre nostra; consapevolezza che, in una predica
mariana di Don Bosco è condensata nella tesi che la devozione a Maria è
segno di predestinazioue (u).
La preoccupazione di Comollo - che era del resto quella di S. Alfonso,
del Muratori, del Crasset . . .- si ritrova anche in Don Bosco, nei suoi scritti
e nei suoi discorsi: la vera devozione è quella che scaturisce da un desiderio
efficace di vita virtuosa; è quella perciò che si manifesta in esercizi di virtù
e in atti di culto, chiamati talora fioretti, talora ossequi.
In libri ascetici la convinzione teologico-pastorale si trasforma in riso-
luzione e preghiera, specialmente nelle pagine che sono più vicine all'influsso
alfonsiano: « O amorosa Madre delle misericordie - suggerisce Don Bosco
nell'Esercizio di dioozione alla misericoudia di Dio -, dolcezza e conforto de'
peccatori, fate cb'io sia esaudito, giacché non si è mai dimandata grazia a Dio
per voi, la quale non sia stata concessa » (9.
Non meno presente è il senso della mediazione subordinata di Maria, che
è, si, madre di Dio, ma - a sua volta - interceditrice presso il suo divin
Figliuolo: « Ella - si dice nel Mese di maggio - ci ottenga da Gesù suo
Divin Figliuolo la grazia di poter conoscere, amare, servire Iddio in questa vita
e andarlo poi un giorno a godere eternamente in cielo » (24). Oppure anche,
dopo aver dichiarato a Dio, Padre delle misericordie il proprio pentimento,
Don Bosco invita a volgere lo sguardo a Maria e supplicarla: « Poiché il più
hell'ornamento del cristianesimo è la Madre del Salvatore, Mar?a 'Santissima,
cosi a voi mi rivolgo, o clementissima Vergine Maria, io sono sicuro di acqui-
stare la grazia di Dio, il diritto al Paradiso, di riacquistare insomma la perduta
mia dignità, se Voi pregherete per me, Auxilium christianorum, ora pro no-
bis » (z).
(n)Una postilla autogr. di DB awerte che la predica fu tenuta a [Torino] nei ritiro
delle Orfanelle (non lontano da Valdocco e dal Convitto). Cf. AS 132 Prediche D/11.
Madre, Celeste protettrice *: ad es. in Bosco, Il mese di maggio, ed. c., p. 16.
(9[Bosco], Esercizio di divorione alla misericordia di Dio, p. 38. Vi si riscontra il
medesimo modo di procedere dell'Apparecchio alla morte, che dopo ciascun punto delle con-
siderazioni pone Affetti e preghiere. Quella di DB in parte s'ispira aUa nota supplica di
. S. Bernardo: «Non si è mai udito al mondo che da Voi sia abbandonato chi implora i vostri
favori . . »; in parte da S. ALFONSOAp,parecchio alla morte, consid. 16 Della misericordia
. d i Dio, punto 2, in Opere ascetiche, 2, Torino 1846, p. 74: « O Maria.. . voi siete la madre
della misericordia .. ».
( M )Bosco, I1 mese di maggio, giorno 12, ed. C,, p. 80. Non sapremmo dire h o a che
punto in DB ci sia vigilanza teologica usata a ragion veduta. Certo c'è in S. Alfonso, che ha
presentissime le apprensioni del Muratori, del Nicole, del Widenfeld e la polemica relativa
alle denunzie di intemperanza della devozione mariana. Cf. P. HOFFER, La dévotion à Marie
au declin du XVII si2cle. Autour du jansénisme et des « Avis salutaires de la B. V . Marie à
ssemsod.é.v.o,tsFiirnednizsecr1e9t4s4»., Fribourg 1938; G . CACCI~ITOS.RAEl,fonro de Liguori e il gianseni-
("j Bosco, I1 mese di maggio, giorno 9 , ed. c., p. 63 S.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Appellativi come Omnipotentia supplex, dalla seconda metà del Seicento
alla fine del secolo successivo erano stati posti sotto accusa da Teolilo Raynaud,
Pascal, Muratori. . . e perciò erano stati adoperati con una certa parsimonia.
In Don Bosco non pare ci siano. C'è tuttavia il sentimento corretto che la let-
teratura devota assegnava anche agli appellativi più iperbolici: c'è la persua-
sione che la Madre di Dio entra come avvocata efficacissima e come mediatrice
potentissima presso Dio. C'è il sentimento che Maria Vergine sia la novella
Ester che strappa al re divino la salvezza del proprio popolo: che sia figurata
giustamente - come del resto fa la liturgia - nell'albero della vita, nell'arca
di N&, nella scala di Giacobbe (26).
L'attitudine di Don Bosco è quella deli'educatore cristiano e del pastore
d'anime, più che del teologo speculativo. Problemi, come quello della medis-
zione universale di Maria, non sono affrontati. Continuo, invece, e pressante è
l'invito a gettarsi fiduciosamente nelle braccia di questa Madre amantissima e
a raccomandarsi a questa avvocata, che « sta alla destra del giudice. . . quasi
per invigilare che la divina giustizia non la vinca sulla misericordia » (27).Uno
dei mezzi di cui si serve per inculcare tali convinzioni, e che suggerisce ad altri,
sono i cosiddetti « esempi ». Vari sono attinti a S. Alfonso o alla ricchissima
umile letteratura mariana dell'ottocento, soprattutto a quella dei Mesi di maggio,
che pongono in luce da una parte la protezione elargita effettivamente da Ma-
ria ai suoi devoti in vita e in morte, dall'altra i requisiti della vera devozione
mariana.
Oltre che con i fioretti e con gli esempi la devozione a Maria è alimentata
per mezzo delle laudi sacre, che sono ora di encomio e di affetto, ora di confi-
denza fervorosa. Familiari erano a Valdocco, come altrove in Italia nell'otto-
cento, laudi di dedizione amorosa e filiale. Si cantava con una certa preferenza:
A' tuoi piè, Maria diletta,
Vengon tutti i figli tuoi
Cara Madre, il dono accetta
Degli amanti nostri cuor (28).
(2" Simboli mariani posti in voga dalla teologia e devozione mariana, legittimata dai-
I'interpretazione allegorica della Scrittura. I testi più espliciti, editi da DB, sono ne I1 mese
di
cui
maggio, ultimo giorno d'aprile, ed. c., p.
dipendono gli altri scritti: Rimembranza .
1.
2 s;
., N
Maraviglie
ove giorni,
...,
ecc.
Torino
1868,
p.
6-19,
da
(n)Bosco, Marauiglic della Madre di Dio . . ., p. 13: Un buon avvocato deve avere
diiigenia, potere presso il giudice, autorità presso la corte regale e scienza nel trattare le cause
E . . .l quasi per invigilare che la divina giustizia non la vinca sulla misericordia D. Cf.
JosÉ DE S. MIGUELY BARCO8,iblia mariana, ihbium 49, Genuae 1749, p. 83: «Est
Advocata generis humani. Bonus advocatus debet habere diligentiam, et coram Rege aliquam
potentizm, et coram familia Regis magnam gratiam, et in proponendis allegationibus magnam
sapientiam . . . ».
(z) Bosco, Il giowne provveduto. . . , 1885, p. 475. La lode f u introdoita nell'ed. 1873,
p. 442.
Non mancano le laudi in cui (e già Io notammo) per u n momento st
dimentica la parabola del Figlio1 Prodigo o quella del Buon Samaritano, ma si
pensa al Dio d'Israele che si conosce come punitore del popolo (o dell'anima)
che l'ha tradito. Si grida allora la propria fiducia in quel che succederà nei
Cielo:
Se l'offeso Creatore
Cambia l'ira in lenirà,
Tu disarmi il gran furore
E c'impetri ognor pietà (")
Siam rei di mille errori
Abbiam il Ciel nemico
Da' giusti suoi rigori
Chi ci difender&?(30)
Ecco dunque, o peccatori,
Di salute ecco la via:
Siate amanti di Maria,
Cile Maria vi salverà (3')
Infine per l'oratorio e per la cerchia dei familiari di Don Bosco una sor-
gente caratteristica di devozione sono i sogni. Sogni, che per Don Bosco spesso
erano stati motivo di conforto e di fiducia in momenti cruciali, come quarido,
nel 1844, dovendo abbandonare il Convitto, trepidava sull'avvenire proprio e
del gruppo di giovani che gli si erano affezionati. Maria è la madre benigna
che incoraggia, che esorta a proseguire l'opera educativa, che fa balenare un'av-
venire migliore: casa e chiesa da cui Dio difionderà la gloria della 'sua madre
santissima (").
Pastorella, guida, regina, madre, la Signora dei sogni è uno degli elementi
che caratterizzano la devozione mariana dell'oratorio. La persuasione di Don
Bosco, diveniva la persuasione di tutti: giovani e Salesiani. Don Bosco e le
suo opere erano specialissimamente protette dalla Vergine SS.; nulla si era
fatto senza una palpahile prova che Maria Vergine era intervenuta per suggerire
soluzioni, per appianare difficoltà o per proteggere dalle insidie diaboliche.
I sogni mariani contribuivano a dare un senso collettivo alla persuasione che
i devoti di Maria erano oggetto di grazie speciali: i sogni assicuravano che tutti
e ciascuno di coloro che vivevano con Don Bosco partecipavano di questo spe-
cialissimo carisma. Don Bosco non fa misteri sulla sua stessa intima persuasione:
<< Non diede passo la Congregazione senza che qualche fatto soprannaturale
non lo consigliasse; non mutamento o perfezionamento o ingrandimento, che
(29) Bosco, Il giovane provveduto.. ., Torino 1885, p. 466: dalla lode: « O del Cielo
gran Regina », introdotta neli'ed. 1863, p. 406 S.
.130,1 Bosco.. Il eiovane provveduto . . . , Torino 1885, p. 476; lode introdotra nell'ed.
1851, p. 356 S.
(31) Bosco, Il giovaae prouueduio . . ., Torino 1885, p. 480, dalla lode: «Peccatori, se
bramate u introdotta neil'ed. 1873, p. 446 S.
(32) I1 sogno del '44 riferito da DB stesso: M 0 p. 134136.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Appellativi come Omnipotentia supplex, dalla seconda metà del Seicento
alla fine del secolo successivo erano stati posti sotto accusa da Teofilo Raynaud,
Pascd, Muratori. . . e perciò erano stati adoperati con una certa parsimonia.
I n Don Bosco non pare ci siano. C'è tuttavia il sentimento corretto che la let-
teratura devota assegnava anche agli appellativi più iperholici: c'è la persua-
sione che la Madre di Dio entra come avvocata efficacissima e come mediatrice
potentissima presso Dio. C'è il sentimento che Maria Vergine sia la novella
Ester che strappa al re divino la salvezza del proprio popolo: che sia figurata
giustamente - come del resto fa la liturgia - nell'alhero della vita, nell'arca
di Noè, nella scala di Giacohhe (2".
L'attitudine di' Don Bosco è quella dell'educatore cristiano e del pastore
d'anime, più che del teologo speculativo. Problemi, come quello della media-
zione universale di Maria, non sono atirontati. Continuo, invece, e pressante è
l'invito a gettarsi fiduciosamente nelle braccia di questa Madre amantissima e
a raccomandarsi a questa avvocata, che «sta alla destra del giudice. . . quasi
per invigilare che la divina giustizia non la vinca sulia misericordia » (27).Uno
dei mezzi di cui si serve per inculcare tali convinzioni, e che suggerisce ad altri,
sono i cosiddetti « esempi ». Vari sono attinti a S. Alfonso o alla ricchissima
umile letteratura mariana deIi'Ottocento, soprattutto a quella dei Mesi di maggio,
che pongono in luce da una parte la protezione elargita effettivamente da Ma-
ria ai suoi devoti in vita e in morte, dall'altra i requisiti della vera devozione
mariana.
Oltre che con i fioretti e con gli esempi la devozione a Maria è alimentata
per mezzo delle laudi sacre, che sono ora di encomio e di affetto, ora di confi-
denza fervorosa. Famiiiari erano a Valdocco, come altrove in Italia nell'otto-
cento, laudi di dedizione amorosa e filiale. Si cantava con una certa preferenza:
A' tuoi piP, Maria diletta,
Vengon tutti i figli tuoi
Cara Madre, il dono accetta
Degli amanti nostri cuor(2s).
(2b) Simboli mariani posti in voga. dalla teologia e devozione mariana, legittimata dal-
l'interpretazione allegorica deila Scrithlra. I testi più espliciti, editi da DB, sono ne Il mese
di maggio, ultimo giorno d'aprile, ed. c., p. 12 s; Maravigllie. . ., Torino 1868, p. 6-19, da
cui dipendono gli altri scritti: Rimembranza . . ., Noue giorni, ecc.
(n)Bosco, Marauiglie della Madre di Dio . . ., p. 13: « Un buon avvacato deve avere
diligenza, potere presso il giudice, autorità presso la corte regale e scienza nel trattare le cause
[...l quasi per invigilare che la divina giustizia non la vinca sulla misericordia». Cf.
JosÉ DE S. MIGUEL Y BARCOB,iblia mariuna, Dubium 49, Genuae 1749, p. 83: n Est
Advocata generis hiimani. Bonus advocatus debet habere diligentiam, et coram Rege aliquam
potentiam, et coram familia Regis magnam giatiam, et in proponendis allegationibus maBnam
sapientiam. . . ».
(2)Bosco, Il giovane prouueduto . . ., 1885, p. 475. La lode f u introdotta nell'ed. 1873,
p. 442.
Non mancano le laudi in cui (e già lo notammo) per un momento st
dimentica la parabola del Figlio1 Prodigo o quella del Biion Samaritano, ma si
pensa al Dio d'Israele che si conosce come punitore del popolo (o dell'anima)
che l'ha tradito. Si grida allora la propria fiducia in quel che succederà nei
Cielo:
Se l'offeso Creatore
Cambia i'ira in lenità,
Tu disarmi il gran furore
E c'impetri ognor pietà (29)
Siam rei di mille errori
Abbiam il Ciel nemico
Da' gii~stisuoi rigori
Chi ci difenderà? (3)
Ecco dunque, o peccatori,
Di salute ecco la via:
Siate amanti di Maria,
Ché Maria vi salverà (3')
Infme per l'oratorio e per la cerchia dei familiari di Don Bosco una sor-
gente caratteristica di devozione sono i sogni. Sogni, che per Don Bosco spesso
erano stati motivo di conforto e di fiducia in momenti cruciali, come quando,
nel 1844, dovendo abbandonare il Convitto, trepidava sull'avvenire proprio e
del gruppo di giovani che gli si erano affezionati. Maria è la madre benigna
che incoraggia, che esorta a proseguire l'opera educativa, che fa balenare un'av-
venke migliore: casa e chiesa da cui Dio diffonderà la gloria della sua madre
santissima (=).
Pastorella, guida, regina, madre, la Signora dei sogni è uno degli elementi
che caratterizzano la devozione mariana dell'Oratorio. La persuasione di Don
Bosco, diveniva la persuasione di tutti: giovani e Salesiani. Don Bosco e le
suo opere erano specidissimamente protette dalla Vergine SS.; nulla si era
fatto senza una palpabile prova che Maria Vergine era intervenuta per suggerire
soluzioni, per appianare difficoltà o per proteggere dalle insidie diaboliche.
I sogni mariani contribuivano a dare un senso collettivo alla persuasione che
i devoti di Maria erano oggetto di grazie speciali: i sogni assicuravano che tutti
e ciascuno di coloro che vivevano con Don Bosco partecipavano di questo spe-
cialissimo carisma. Don Bosco non fa misteri sulla sua stessa intima persuasione:
« N o n diede passo la Congregazione senza che qualche fatto soprannaturale
non lo consigliasse; non mutamento o perfezionamento o ingrandimento, che
( s )Bosco, Il giovane provveduto.. . , Torino 1885, p. 466: dalla lode: « O del Cielo
gian Regina D, introdotta nell'ed. 1863, p. 406 S.
(30) Bosco, Il giovane provveduto. . . , Torino 1885, p. 476; lode introdotta neli'ed.
1851, p. 356 S.
(31) Bosco, Il giouane prooveduto . . ., Torino 1885, p. 480, dalla lode: «Peccatori, se
bramate » introdotta nell'ed. 1873, p. 446 S.
(g)Il sogno del '44 è riferitoda DB stesso: M 0 p. 134.136.

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DonnoBnoscsoiansetllaatsotopriraedceeldlaurteoligdioasituàncaotrtodliicnae. VdoellIIS. Sigtenlloare » (l3). Più avanti va negli anni,
più - sembra - esprime e ribaclisce la persuasione che la sua opera è stata del
Signore e, in particolare, di Maria SS.: « Finora abbiamo camminato sul certo.
Non possiamo errare; è Maria che ci'guida » ("). Le parole udite dal Signore
nel sogno fatto dai nove ai dieci anni gli risuonavano ancora alla vigilia dei
declino, a Roma, celebrando la messa il 16 maggio 1887 con sopra gli occhi
l'effigie dell'Ausiliatrice: « Avevo dinanzi agli occhi viva la scena di quando,
sui dieci anni, sognai della Congregazione. Vedevo proprio e udivo la mamma
-e i fratelli questionare sul sogno [ . . . 1. Allora la Madonna gli aveva detto:
A suo tempo tutto comprenderai » (l5).
3. L'Immacolata
Non meno antica è la venerazione d i Don Bosco per l'Immacolata Conce-
zione di Maria, e per il molo ch'essa ebbe, merita una considerazione speciale.
Nel Settecento tale culto aveva subito una qualche compressione. Ludo-
vico Antonio Muratori l'aveva assunto come tipo di culto mariano fondato su
una pia credenza, a cui corrispondeva un'opinione disputata tra le scuole teolo-
giche. La Chiesa tuttavia - secondo il Muratori - lo permetteva, approvandone
la sostanza, cioè l'ossequio a Maria, sulla base di un mistero manifestamente
connesso a quello dell'Incarnazione ("1. A Nizza Mare il vescovo domenicano
Giacomo Astesan nel 1762 aveva protestato contro l'intervento deUe autorità
cittadine in abito da cerimonia alle celebrazioni dell'Immacolata, che avevano
luogo nella chiesa dei Gesuiti ("1. Ma più che questi remoti precedenti inte-
ressano gli stimoli ambientali che nella religiosità di Don Bosco assegnarono
all'Immacolata un ruolo privilegiato, che invece non ebbero altre devozioni.
Anzitutto è da ricordare che la chiesa del Seminario a Chieri, già dei
Filippini, era consacrata all'Immacolata Concezione; l'Immacolata dominava la
chiesa dalla pala dell'altare maggiore. I chierici quotidianamente ne potevano
contemplare una statua in legno, posta nella cappella attigua alla chiesa, dove
(3)hlJ3 12, p. 69, che attingono alle Cronache di Don Barheris (AS 110): conferenza di
DB ai direttori salesiani tenuta il 2 febbraio 1876.
(3) Casi avrebbe detto DB nel 1887, secondo quel che riferisce Don Viglietti, da a i
derivano le MB 18, p. 439. Come noteremo più avanti nel cp. 15, Don Viglietti è fonte da
usare con cautela. Tende a colorire, amplificare, portare a dimensioni che suscitino rneravi-
glia e devozione. Comunque sia, ciò che abbiamo trascritto & in linea con le persuasioni più
volte espresse da DB. E qui ricordiamo, ancora una volta le M 0 p. 16: Questo lavoro.. .
servirà a far conoscere come Dio abbia egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo », e il
ms. sulle Perquisizioni subite dall'Oratorio.
i")MB 18. D. 340 S. Fonte è Don Vielietti.
(36) Del irat tori sono da ricordare leVopereDe rngeniorum moderatione e De supersti-
tione uitanda, cui seguirono altri scritti pro e contro suoi e di altri. Cf. J. STRICHELZe,
voeu du sang en faveur de l'lmmaculée Conception, Roma 1959, 2 vol.
(3)Cf. STELLA, Il giansenismo in Italia, 111, Ziirich 1966, p. 561-563.
154
ordinariamente facevano le loro devozioni (l8). Anche la chiesa annessa all'ar-
civescovado di Torino, dove Don Bosco ricevette il sacro presbiterato, è de-
dicata all'Immacolata Concezione di Maria Vergine (39). Don Bosco stesso,
inoltre, ci ricorda che cominciò il suo primo catechismo sotto gli auspici di
Maria Immacolata 1'8 dicembre 1841.
Ormai si era in tempi in cui teologia, devozione e fervore, ora reagendo alla
regolata devozione del secolo precedente, ora animandosi dell'entusiasmo del-
?età romantica, ora reagendo all'indifferentismo, all'apostasia e alle insolenze
più o meno meditate di patrioti anticlericaii, trasferivano nell'Immacolata molti
dei loro migliori sentimenti, facendo della Vergine che calpestava il serpente
infernale un simbolo, un presagio e un ideale.
Per il solito fenomeno di osmosi culturale e effettiva, a metà Ottocento
s'impiantò in Piemonte anche il culto al Cuore Immacolato di Maria, che in
- quegli anni faceva vibrare larghissimi strati di fedeli in Francia. Almeno un
sesto della popolazione totale - oltre a due milioni di francesi si erano iscritti
all'arciconfraternita del SS. ed Immacolato Cuore di Maria, eretta a Parigi
nella chiesa di N. S. delle Vittorie o ad altre aggregate alla primaria pari-
gina("). Uno dei promotori a Pinerolo fu il teologo Stefano Alessio Burzio,
zio di quel chierico Giuseppe Burzio, sul quale, come sappiamo, Don BOSCO
scrisse una memoria. A Torino se ne fecero apostoli i Gesuiti. Allontanati
loro, la pia unione continuò a fiorire. Nel 1866 il curato dei Santi Martiri,
diede inizio a Il Cuor di Maria, bollettino interessante per le entusiastiche
relazioni sul m e s e mariano, che a Torino e altrove concentrava nelle chiese
moltitudini di fedeli (").
Proteste di fede in Maria madre di salvezza, madre immacolata, madre
amorevole si coagulano nella nuova associazione, insieme all'ansia per i pec-
catori e per i nemici della Chiesa:
« In questi ultimi tempi calamitosi - si legge sul manuale edito a Torino nel
1852 -, nei quali la miscredenza tenta di distruggere ogni sentimento religioso nel
cuore dei popoli, la misericordia di Dio ha voluto che canonicamente si istituisse la
Pia Associazione dei divoti del Sacro Cuore di Maria » (a).
belle
(9)Sulla chiesa
arti del Duomo e
(39) Sulla chiesa
di S. Filippo in
delle oltre chiese
deli'Immacolata
cdCfi.hCGiehr.iieIcr.fi..A.A.R,. TNBoEorisn~~oDoT1,OoM8r7,ei8nm,oopr.siae2c7rsa3to-.2r.i8c.7o,.-rTeloigriinosoe
e di
1898,
p. 6769.
( W ) Cf il Manuale d i divozione . . . in onore del Santissimo ed Immacolato Cuore di Ma-
ria. . . , Pimerolo 1842; apparve anonimo; l'autore, S. A. Burzio, i. indicato do E. GIORDANO,
. Cenni d i perfezione proposti a' giouani desiderosi della medesima nella uita edificante di
Giuseppe Burzio .., Torino 1846, p. 161.
. (a)Il Cuor di Maria. Bullettino mensile italilino deli'arciconfraierniia del Sacro ed Im-
macolato Cuor d i Maria per la conuersione dei peccatori. . , Torino, tip. di G. Speirani,
1866 ss.
(42) Manuale per gli aggregati alla pio unione dell'lmmacolato Santissimo Cuore di
Maria canonicamente eretta nella chiesa parrocchiale de' S.ti Maartiri in Torino . . ., Torino,
Speirani e Tortone [18521, p. 3.

9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Segno dei divini voleri era il successo che aveva avuto l'associazione:
«Ha oggidi più di diciassette milioni di ascritti a tal divozione, e la sola To-
rino numera nella chiesa parrocchiale dei Santi Martiri duecento diciannove mila
associati. Oltreacciò in novecento novantaquattro chiese è canonicamente eretta la
Compagnia dell'Immacolato Cuor di Maria, che ha per iscopo principale di pregare
sempre per la conversione dei peccatori. Laonde gli ascritti debbono chiamarsi ben
fortunati e contenti, sapendo che in ogni settimana, oltre le cotidiane preghiere che per
loro si fanno, si celebra ancora, ogni sahbato, a novecento novantaquattro altari la santa
messa, che si applica per gli associati a sì bella divozione, e per quei peccatori, che
sono specialmente raccomandati » i").
Un'altra autorevole conferma veniva dal Sommo Pontefice:
« I1 regnante Gerarca Pio IX, nell'atto che benediceva un Vescovo ed altri Mis-
sionarii, i quali partivano per le missioni straniere, diceva loro: - Non vi dimenti-
cate dell'opera maravigliosa di Dio, se volete convertire i popoli alla Cattolica Fede;
questa mirabil'opera è l'istituzione dell'Arciconfraternita dell'Immacolato Cuor di
Maria, fondata da pochi anni in Parigi, e sparsa oggiinai per tutto il mondo; questa
divozione salverà non solo la Francia, ma il mondo intero » i").
Nel 1854, anno della definizione dogmatica dell'Immacolata Concezione
di Maria, Torino aveva superato, bene o male, il terrore del colera. Attorno
a11'8 dicembre e nei mesi successivi i fedeli si riversavano nel cariss'mo santua-
rio della Consolata, per ringraziare la Vergine della protezione celeste e per
protestare la propria fede, chiedere la potentissima intercessione di Maria in
tempi in cui la patria sembrava andare alla deriva verso il sacrilegio e l'apo-
stasia. Vivissima era allora la tensione tra favorevoli e oppositori alla legge
per la soppressione di comunità religiose. Pie associazioni si succedevano a
turno e gremivano la Consolata per ascoltare la messa, ascoltare l'oratore sacro
di turno e accostarsi in massa aila comunione eucaristica. Un giorno venne
anche riservato ai giovani dell'Orato~iodi S. Francesco di Sales. NelI'ultima
settimana di inarzo 1855 la città si era trasformata in una fantastica luminaria.
Alla sera da centinaia di finestre e abbaini splendevano lampade e lumini
multicolori. Qua e là, sotto statue o immagini dell'Immacolata si leggeva:
« Credi P. I1 25 marzo, festa dell'Annunziazione, << framtnista al volgo », fu
vista la principessa Clotilde, primogenita di Vittorio Emanuele 11, davanti
al quadro della Consolata. I1 mercoledi successivo furono notati i suoi figlio-
letti. Implorava forse la misericordia divina sulle gravi decisioni che prendeva
('7? suo padre? Supplicava il divino aiuto? I1 conforto dalla celeste Consolatrice
La sera dei 25 l'oblato di Maria Vergine, padre Vincenzo Berchialla, poi
arcivescovo di Cagliari, prende lo spunto dal protovangelo: inimicitias ponam
. i")Manuale per gli aggregati. . . , p 4.
("1 Manuale per gli aggregati . . , p. 5 S.
(45Viincenzo Gregorio BERCI~IALOLAM,V, Feste torinesi al santu~riodella Consolata
per la definizione dommatica delL'Immacolata Concezione . . . , Torino, G. Marietti 1855.
156
inter te et mulzerem . . ., e perora anche contro il socialismo, contro le società
proscritte, le quali tutte, come dimostrava la storia, sarebbero state vinte
dalla Chiesa, cosi come era stato debellato il peccato originale:
«Voi - continuava elogiando i torinesi - intendeste d'onorar la Immacolata
Maria, e di smentir solennemente le calunniose voci di quelli che combattono la santa
vostra religione, e dicono essere ormai disperata la causa del Cattolicismo e della
Sedia di Pietro.. . confondeste gli inimici di Dio, di Maria e della Chiesa, i quali
poterono avvedersi orinai di essere in numero scarsissimi ne' vaneggiamenti de' loro
errori D
E facile rendersi conto come la devozione all'Immacolata, di metà Otto-
cento, differisce profondamente da quella del secolo anteriore. Ai tempi del
Muratori e di S. Alfonso si era ancora molto sulla scia e nella mentalità della
reazione cattolica alla riforma protestante (sebbene già si temesse per il fe-
nomeno sempre più grave dell'incredulità e dell'indifferentismo). Nel Sette-
cento, contro la teologia protestante che negava la mediazione subordinata di
Maria SS. e dei Santi, o che non accettava sfumature alla dottrina sull'uni-
versalità del peccato originale, la devozione cattolica si concentrava sull'onore
da rendere a Maria, creatura privilegiata. Chi allora si faceva un gran pro-
blema della predestinazione e della salvezza eterna, anche contro il Prote-
stantesimo protestava la propria fiducia iiliale in Maria e si persuadeva inti-
mamente che onorando la Celeste Madre, affermandone il privilegio dell'im-
macolato concepimento, si acquistava un segno di predestinazione. Il Sei e il
Settecento furono i secoli in cui il fervore personale e collettivo s'impegnò con
voto a spargere il sangue, pur di difendere il privilegio dell'Imma~olataCon-
cezione (").
A metà Ottocento si guarda anche alla Chiesa e al fenomeno dell'illan-
guidimento della fede. Ci si angustia per la fede cattolica insidiata dalla nuova
incarnazione del serpente infernale nelle eresie moderne dell'indifferentismo, irre-
Ii-rione. odio alla Chiesa, violazione dei diritti e della dignità del clero e del
Papa.
L'immagine dell'Immacolata sopra il globo terrestre, beata e beatificante,
tranquilla e sorridente, con lo sguardo immerso in una visione celeste, con
il piede che schiaccia il serpente infernale (o anche quella della medaglia
mivacolosa, di Maria vestita di bianco con fascia e manto azzurrini, che allarga
le braccia sul mondo irrorandolo di raggi splendenti) erano simboli nei quali
si trasferivano le situazioni nuove: da una parte la Chiesa, il Papa, i buoni,
la fede insidiata, e dall'altra le sètte, gli errori, i cattivi, i nemici del bene;
i quali tutti sarebbero stati schiacciati, perché la Chiesa, il Papa, i fedeli
confidavano in Dio e sentivano che anche in loro, come in Maria, anche in
quei tristissimi tempi avrebbe trionfato la grazia divina. Si sentivano risuo-
nare gli appelli della Labouré, dei fanciulli di La Salette, di Bernadette Sou-
(46) BERCHIALLFAe,ste torinesi, p. 3 S.
(47) Cf. sopra nota 36.

9.2 Page 82

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DonbBiroosucos.neMllaasrtioariaSdSe.llaimrepligloiorsaitvàacaltatolcicoan. vVeorl sIIi.oSnteel,laperché ormai il braccio del suo
divin Figlio si faceva pesante, la collera divina giungeva ali'orlo della soppor-
tazione, i castighi divini, carestia, fame, malattie, guerre avrebbero som-
merso la terra, se gli uomini non si sar&+ero convertiti e se, perciò, i buoni
non avrAbjero moltiplicato le loro suppliche (").
È, questo, il nuovo modo di sentire i rapporti tra Cielo e terra, con
Maria mediatrice. I n Italia e altrove, diocesi spogliate del loro pastore sen-
tivano più impegnante lo stimolo a protestare la propria fedeltà alla Chiesa
e a dare sicurezza !a:se stessi e ai pastori ("). È dunque il tempo in cui il
problema della salvezza personale s'inserisce in quello della sopravvivenza della
fede comunitaria e della sopravvivenza di istituzioni che si avvertivano depo-
sitarie dei mezzi di salvezza eterna.
I n quell'ora di tenebre si guarda in alto, alla stella del mattino, a
Maria Immacolata, che calpesta il demonio; e si grida la propria fede: non
praevalebunt. Si invoca Maria, quasi incitandola: t u gloria Isuuel, t u onori-
ficentia populi nostri, t u , cunctas haereses interemisti in universo mundo. Mol-
tissimi, da Pio I X ai più modesti apostoli del mese mariano, proclamavano
la Beata Vergine « saldissima difesa D, Colei che « ha sempre distrutto tutte
le eresie D; Colei << che, tutta bella e immacolata ha schiacciato il capo vele-
noso del crudelissimo serpente »; Colei che « ha salvato i popoli fedeli da
gravissimi mali di ogni genere »; Colei, infine che è « sicurissimo rifugio
e fedelissimo aiuto per i Cristiani (%). Maria Immacolata entra insomma,
fulgidissimamente, nella mentalità religiosa che risolve la storia umana in
lotte e trionfi del bene e del male, deUa Chiesa e dei suoi nemici.
<< Furonvi mai tempi, figliuoli miei - chiedeva un diwlgatore del mese mariano
-, in cui, come in questi, sia bisogno di invocare la Vergine santissima in ajuto dei
cristiani ed in isperdimento delle eresie? E non già contro gli infedeli, non già con.
tro gli eretici; ma contro figlioli della Chiesa medesima prevaricati, e fatti suoi ne-
mici! Nemici colle sfacciate censure, colle sfacciate mormorazioni, e fino colle sfacciate
derisioni contro i misteri più augusti della Fede; contro la Chiesa, e i suoi comanda-
menti, e i suoi riti, e le sue feste; contro ii Vicario di Gesù Cristo in terra; contro
i Vescovi; contro i Sacerdoti; contro i Claustrali; contro tutti i consacrati al Signore,
contro tutti i pii, contro tutti i devoti! (51).
("1 P. LUSTRISSIMSIM, , La mariologia nel secolo XIX, Roma 1964, p. 26: «Le
reaiiizaiioni teologiche [nei sec. XIX] restano molto inferiori alla fioritura spirimale e cari-
smatica » (accenni alla Labouré e alla Soubirous).
("1 I sentimenti di fedeltà ai vescovi allontanati dalla loro sede sono espressi un po' da
tutti
editi
i periodici cattolici deli'epoca.
da E. COLOMIATMToI,ns. Luigi
Rdeigi umaardrocheasimFornasn.soFnrai .n.s.o,niTomrionloti
documenti
1892.
sono
stati
(%) Espressioni della Lettera Apostolica IneffabilisDeus, 8 dic. 1854. Queste e moltis-
sime altre desunte da documenti di Pio IX sono riportate da G. QUADRILO'i,mmacolata e
la Chiesa nell'insegnamento di Pio I X , in L'Immacolata Auriliabice . . ., Torino 1955,
P. 41-64,
(5') A. FONTANA, Il mese dei Fori consacrato a Maria Santissima. Libricciuolo pel po-
polo, Monza 1856, p. 63.
Ai nemici aperti della Chiesa si aggiungono i cristiani indifferenti:
« Coloro che di Dio, della Fede, della Chiesa, della pietà d d a devozione nulla
si curano; e vivendo in apparenza di persone savie innanzi agli uomiui, vivono da
bestie innanzi a Dio, non curandosi di chiesa, di sacramenti, di digiuni, di astinenze,
di orazioni, come la religione, e la Chiesa, e i'altra vita fossero favole! Sicché lino
sotto i flagelli più terribili del Signore non levano mai un pensiero al cielo; ma di
tutto danno colpa ai climi, alle stagioni, i venti, la siccità, e le pioggie! quasi non
avesse Egii le miiie volte giurato nelle sue Scritture che frutto del peccato sono le
calamità e la morte.
Questa indifferenza, questo letargo nelle cose deiia religione è come l'eresia
universale de' nostri giorni »
Ahìme! - esclamava un altro scrittore - la devozione a Maria in
molte parti va raffreddandosi e scemando. Non si instilla più con tanta sol-
lecitudine ne' giovanetti, non si coltiva più con tanto amor negli adulti, si
arrossisce di comparir divoti di questa augusta Signora D (").
Si era ormai in tempi difficilissimi. Si era ormai negli « ultimi tempi ».
A metà Ottocento era stato riesumato il manoscritto di Luigi Maria Grignion
de Montfort, Trattato della vera diuozione a Maria Vergine. Tremando e
sperando si leggeva quanto egli aveva scritto su ciò che sarebbe avvenuto negli
ultimi tempi: « I1 diavolo, sapendo bene ch'egli ha poco tempo, e meno
che mai, per perdere le anime, raddoppierà tutti i giorni i suoi sforzi e le
sue battaglie: susciterà quanto prima nuove persecuzioni, e tenderà terribili
insidie ai servi fedeli ed ai veri figli di Maria, ch'egli ha maggior difficoltà a vin-
cere degli altri. A queste ultime e crudeli persecuzioni del diayolò, che cre-
sceranno tutti i giorni fino al regno deli'Anticristo, debbesi principalmente
applicare questa prima e celebre profezia e maledizione di Dio, fatta nel
paradiso terrestre contro il serpente » ("1.
Agli ultimi tempi Dio ha riservato uno scontro diretto tra Satana e la
Donna, tra i devoti di Maria e i sicari del Maligno. I devoti lettori potevano
leggere le asserzioni perentorie del profeta: « Dio vuole che la santa Madre
ora sia più conosciuta, amata ed onorata che non lo fu per lo passato D ('1
<< ciò che arriverà senza dubbio, se i predestinati entrano colla grazia e coi lumi
dello Spirito Santo nelia pratica interna e perfetta della vera devozione ma-
riana. I veri devoti di Maria saranno le scolte elette della Chiesa negli ultimi
tempi contro le potenze infernali: Saranno nuvole tonanti e svolazzanti per
( a )A. FONTANIAl ,mese dei fiori. .., p. 65. Dopo i'Ersai rur l'indifférence en ma-
tière de religion del Lamennais frequentissimi sono gli allarmi di apologisti e di pontefici
(Gregario W1 e Pio IX) contro la «eresia » ddl'indifferentismo religioso.
(3)Francesco
dezze, virtù e glorie
CARINI, S. J.,
della SS. Vag
Il
in
esapbebrattoutdtiedricsaatbobaatiMdaerlila'anonssoia.
.c.o,nsMidielarnaozi-oVneinseuzlilae
gran-
1869,
p. 373. La prima edizione è del 1862.
(s)L. M. GRIGNI~DNE MONTEORTTra,ttato della vera davozione a Maria Vergine,
pt. I, cp. 1 (Collez. di buoni libri, a. 8, disp. 183 e 184),Torino 1857, p. 46.
(ls) L. M. GRIGNIODNE MONTFOROT. ,C , p. 50.

9.3 Page 83

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Don Bl'aorsicao naelllamsteonrioamdeollasroeflifgioiosditàelclaottoSlipcair.iVtool ISI.aSntetolla, che senza attaccarsi a nulla, né
stupirsi di nulla, né mettersi in pena di nulla, spargeranno la pioggia della
parola di Dio e della vita eterna: toneranno contro il peccato, grideranno
contro il mondo, percuoteranno il diavolo ed i suoi aderenti, e passeranno
da parte a parte per la vita o per la morte colla loro spada a due tagli della
parola di Dio tutti coloro, ai quali saranno mandati dall'Altissimo. Saranno
veri apostoli degli ultimi tempi, a cui il Signore delle virtù darà la parola e la
(9. forza per oprar meraviglie e riportare spoglie gloriose sopra i suoi nemici s
I1 gesuita Carini cosi esorta i cristiani in un libro che Don Bosco defini
aureo:
Se tu vivi in iina di quelle epoche funeste in cui Dio, o per punizione dei pec-
cati, o pei fini altissimi di sua provvidenza permette che la Chiesa sia perseguitata,
non cader di animo: la Chiesa su questa terra è militante; sarà combattuta, ma la
vittoria sarà certa, perché portae inferi non praevalebunt adversus eam. Tu sta saldo
ai principi della fede; col crescer dei bisogni accresci la fiducia e la preghiera; la pre-
ghiera non ha perduto la sua efficacia,ed il braccio di Maria non è accorciato. Pré-
gala a sollecitar il suo soccorso, ne elongaveris auxilium fuum; anima tutti a pregare,
e non temer che Ella schiaccierà i nemici di Dio e della Chiesa, e convertirà i com-
battimenti in vittorie, le persecuzioni in trionfi D (n).
Non soltanto la meditazione della Scrittura induceva a sperare. Anche
la storia recente offriva coincidenze che facevano riflettere. L'eresia aveva
cercato di umiliare il papato nella persona di Pio V I I ; ma Dio, dopo la
prova, aveva dato al pontefice e alla Chiesa uno splendido trionfo. A ben
guardare Maria SS. non ne era stata estranea: << I1 glorioso Pio VI1 ricono-
scendo dalla protezione di Maria il suo ristabilimento nella Sede pontificia
e la pace ridonata alla Chiesa dopo una serie di tristi avvenimenti, in segno
di gratitudine verso la gran Regina del cielo, institui l'anno 1815 in suo onore
,quella festa che si chiama Maria aiuto dei cristiani
La Rivoluzione
ora insidiava un altro P i q ("l ma si poteva essere certi che Maria, da lui
.onorata e aureolata con il dogma dell'Immacolata Concezione, sarebbe inter-
venuta ancora una volta; Ella ancora una volta si sarebbe dimostrata a ~ x i l i u m
~Christianorum.La logica dei fatti portava a venerare l'Immacolata come aiuto
,dei Cristiani e, particolarmente, del Papa. Bisognava che sorgesse qualche
(9L. M. GRIGNION DE MONTFORo.TC,,,p. 51 S.
uno
( n ) CARINI,
schema per
Il sabbato dedicato a Maria, ed. c., p. 375.
l'opuscolo Nove giorni (AS 133). I1 Carini
La qualiiica
è citato in
«aureo u è
Maraviglie.
.
in
.,
D. 93.
(9)Bosco, Il mese di maggio, giorno 9, Torino 1858, p. 65.
(s9)Era istintivo rilevare un certo ricorso storico del pontificato di Pio VI1 in quello di
Pio IX, impegnati entrambi con la Rivoluzione. Cf. ad esempio Ignazio COSTADELLA TORRE,
Pio V I 1 e Pio IX. Reminiscenze e conforti, Torino 1860; A. BRIGNOLE SALE, Considkrations
sur la question romaine, Genes 1860, p. 31s; H E L I ~DNE BARREMREo,me vue d Rome, Paris-
Marseille 1862, p. 43: «Le sabre de Victor h m a n u d n'est pas pret de soulever ce rocher
contre lequel s'est brisée i'épée et le genie de Napoieon ».
nuovo apostolo, che esplodesse qualche avvenimento straordinario, perché
si suscitasse una nuova vampata del fervore mariano e l'invocazione Maria,
auxilium Christianorum fiorisse sulla bocca di tutti i fedeli.
Tra le mura dell'oratorio la devozione all'Immacolata assumeva un signi-
ficato pii1 intimo, meno percosso dai sussulti politico sociali. Don Bosco, a
tu per t u con i giovani, sottolinea quanto giova a suscitare maggior fervore
religioso e maggiore impegno nel complesso dell'opera educativa. Maria San-
tissima, « madre di Purità » del Giovane provveduto (1847)(@) diviene
facilmente, dopo il 1854, la Vergine Immacolata, la Madre purissima che
«odia tutto ciò che è contrario alla purità > > P ) .Don Bosco fa stampare ripe-
tutamente a migliaia cartelline con una Coroncina all'immacolata Vergine Ma-
ria ("),. Ciò che prima era affidato prevalentemente alla devozione a S. Luigi,
attorno al 1854 e dopo di allora viene a gravitare attorno all'Immacolata
Concezione("). La pratica del mese di maggio in onore di Maria Santissima
assume anche il carattere di mese in onore di Maria SS. Immacolata ("). La
definizione pontificia dà maggiore enfasi alla novena e alla festa dell'otto di-
cembre, solennizzate con fioretti e sermoncini. Davanti all'Immacolata insorge
istintivo il bisogno di purificarsi che, in piano collettivo, si manifesta come
« pulizia >> della casa (a).I n quel tempo - suole dite Don Bosco - la Ma-
donna fa la grazia di individuare giovani non adatti all'oratorio che, conse-
guentemente, vengono invitati ad allontanarsene. Non è raro che tale sele-
zione sia accompagnata dalla manifestazione di un << sogno »,che giova a rin-
novare l'alone di soprannaturale su Don Bosco e sulla sua opera.
I n Don Bosco non bisogna ricercare prolisse trattazioni sul privilegio
dell'immacolato concepimento. Di edito egli ha lasciato, come frattazione
più estesa, soltanto due paginette del Mese di maggio su Maria, che è la
<< più santa di tutte le creature, tutta bella e senza macchia, piena di grazia . . .
(a)[Bosco], Il giovane provveduto.. . , Torino 1847, p. 53. Vi si legge già, tuttavia,
la giaculatoria: a Sia benedetta la santa ed immacolata concezione della beatissima Vergine
Maria n (p. 122).
(6%)Bosco, Il mese di maggio, giorno 26, Torino 1858, p. 154.
(a)AS 112 Fatture, De Agostini: 24 gennaio 1855. - 8.000 Coroncine in onore del-
l'Immacolata Concezione, 4 pag. in-l6 ». Forse si tratta della Coroncina ad onore dell'imma-
colato concepimento di Mmia sempre Vergine pubblicata in appendice a [Bosco], Il giubi-
leo e pratiche divote per la visita delle chiese, Torino 1854, p. 59-61.
(e) Indicativi potrebbero essere i «fioretti D assegnati da DB per la novena dell'Imma-
colata, oltre a quanto
di esempio cf. Bosco,
una special divozione
egli &dò ai proai
Vita del giovanetto
aU'immacolato cuore
SddaieviMiosuarDoiaiomg..ieo.nvMiacnaair.iS.aa.,v,dioiTc,eovMrian,aogioo1n8ve5o, 9gB,lieops.uec6scs4oe:.reA«sAetmviteopvlroea
vostro fidiuolo: ottenetemi di morire prima che io commetta un peccato contrario alla virtù
della modestia n.
(s)Bosco, Il mese di maggio consacrato a Maria SS. Immacolata. . . , Torino 1858.
(65) Sermoncino serale del 27 no". 1860: Siamo sul principiare la novena deii'Imma-
colata. Ogni novena è fatale nellOratorio per qualcheduno. È il tempo nel quale la Madonna
fa la cerna tra la zizzania e il grano ed allontana gli ostinati nei male »: MB 6 p. 787 (dalla
Cronaca di Don Rufhno)

9.4 Page 84

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Don Boosscsoianecllraesattoariaedfeollramrealitgaiosniellcaatgtoraliczaia. ,Voill IcI.hSetevllauol dire che Maria dal primo istante
di sua esistenza fu senza macchia originale ed attuale, e seria macchia perse-
verò fino ail'ultimo respiro di vita » (@). Ben poco ci ha lasciato nel campo
dottrinale. Nella pratica, ci manifesta la tendenza ad assegnare un ruolo
all'Immacolata nell'opera educativa e a valorizzare nel clima del fervore ma-
riano esercizi virtuosi, pratiche devote « in onore di Maria Immacolata »
« p e r assicurarsi la protezione della gran Madre di Dio in vita e specialmente
in punto di morte » (67).
Nondimeno è possibile individuare nella pietà mariana di Don Bosco,
presa in sé, o in quella verso la Vergine Immacolata qualche elemento germi-
nale volto verso'l'Ausiliatrice. Fu già Don Giacomelli a rilevarlo. Su un lu-
nario del 1848 Don Bosco aveva incollato cinque immagini. Una, di N. S.
delle Vittorie; una, della Maternità; e tre della Immacolata. Di queste ultime,
una portava a stampa l'invocazione: « O Vergine Immacolata, Tu che sola
portasti vittoria di tutte le eresie vieni ora in nostro aiuto: noi di cuore ricor-
riamo a te: Auxilium Christianorum, ora pro nohis ». Don Bosco vi aggiunse
a mano « Inde expectamus consolationem » (*). Successivamente egli si era
preparato un altro cartone con tre immagini di Maria Vergine. Due erano
ricordo del mese mariano celebrato a Torino nelle chiese della Trinità e delle
Adoratrici. La terza immagine era dell'Immacolata con l'iscrizione: O Ver-
gine Immacolata, . . . Auxilium Christianorum ora pro nobis ». Don BOSCO
vi aggiunse a matita: « Terribilis ut castrorum acies ordinata » (6q).
A che cosa avrà pensato guardando quelle immagini e leggendone le
invocazioni? alle lotte della Chiesa? alle battaglie delle anime contro le insi-
die del male? . . . Nel Mese d i maggio, che è del '58, ritroviamo le espres-
sioni Auxilium Christianouum e Teuribilir ut castrorum acies oudinata. En-
trambi sono nella considerazione su Maria nostra protettuice in punto d i morte.
Don Bosco invita a farsi divoti di Maria. Ella sarà protettrice in vita, ma
soprattutto in morte, quando maggiore sarà il pericolo. In punto di morte
sarà, come fa invocare la Chiesa, Azixilium Christianouum; « sarà un capitano
terribile, che a guisa di un ordinato esercito reprimerà gli assalti del ne-
mico infernale; terribilis u t castrorum acies o+didinata» ("). Auxilium Chri-
stianorum è anche invocata alla fine di una breve supplica nello stesso Mese
d i maggio, in cui si dichiara la propria sicurezza di conseguire la grazia e il
diritto al paradiso, se Maria interporrà la sua intercessione (7').
L'espressione Auxilium Christianorum era dunque presente sotto gli occhi
(66) Bosco, Il mese di maggto, ultimo giorno d'aprile, Torino 1858, p. 12 S.
.,(67) In tali termini è formulato lo scouo della ComAoa"nnia dell'lmmacolata. Cf. Bosco,
Vita dc! giovanetto Savio Domenico, ed. c., p. 76.
(@) MB 3, p. 589 S.
. ,i69,! MB 6,. D. 17.
(70) BOSCO, Il mese di maggio, giorno 31, ed. c., p. 175 e 177
(71) BOSCO, Il mese di maggio, giorno 9, ed. c., p. 64.
di Don Bosco, nella sua cameretta, prima ch'egli se ne facesse promotore.
Era nota a lui per i nessi con Lepanto e Pio VII; gli era forse familiare, tra
quelle con le quali supplicava la Sania Vergine Immacolata, Madre di Dio.
Le circostanze politico religiose che avevano dato una particolare fisio-
nomia al culto dell'Immacolata furono anche caratteristiche premesse e com-
ponenti a quelli di Maria SS. sotto il titolo di Auxilium Christianorum. Dopo
la seconda guerra d'indipendenza lo Stato pontificio appariva irrimediahiimente
destinato ad essere sfaldato. Ogni speranza umana sembrava contraria ai
destini dei potere temporale. Vescovi zelanti levavano la loro voce, esortando
i fedeli a implorare l'aiuto divino. Quelli dell'umbria, il 2 febbraio 1860
facendosi eco alla Ineffabilis Deus, esprimevano la loro fiducia nella «Madre
di misericordia », nella « guerriera invitta ed invincibile »: Colei a cui « si
debbono tutte le vittorie della Chiesa » non sarebbe rimasta inerte. Invitavano
perciò i fedeli a supplicare Dio « per intercessione del Cuore Immacolato di
Maria, Madre di Dio, I'Ausiliatrice dei Cristiani, la potentissima che tiene
sotto i suoi piedi la testa ribelle dell'antico serpente » ( 7 2 ) .
Qualche mese dopo il loro appello l'Umbria era parte del regno d'Italia.
La causa nazionale prendeva ormai una piega decisiva e drammatica. L'Italia
avrebbe spogliato il suo Padre spirituale dei domini temporali. Roma appariva,
per storia e per posizione geografica, la citti destinata a divenire capitale del
nuovo regno. Cera tuttavia chi volgeva lo sguardo altrove: chi, suggeriva di
lasciare Roma al Papa, o anche ridarla all'Icalia, ma senza quella' corona che
secondo alcuni non doveva più esistere perché ormai troppo a lungo fatalmente
legata al Papato. Si faceva anche il nome di Spoleto come possibile capitale
d'Italia, candidata a tale onore dalla sua centralità nella penisola ( l 3 ) .
Proprio mentre si guardava a Spoleto per darle una preminenza politica,
la cittadina umbra attrasse prepotente l'attenzione dell'Italia cattolica. Nei
marzo 1862 si diffuse la notizia che presso Spoleto, alla Fratta, tra Castelrinaldi
e Montefako, da un'antica effigie di una chiesa diruta, Maria SS. aveva rivolto
la parola a un bambino di poco meno di cinque anni: Righetto Cionchi. Il 19
marzo un giovane contadino, colpito da mali cronici, s'era sentito ispirato
a rivolgersi a quella immagine e in pochi giorni aveva ricuperato la salute
senza l'aiuto di medici e di medicine. I n poco tempo l'immagine divenne
centro d'attrazione per devoti oranti e supplicanti. L'arcivescovo di Spoleto,
(72) Lettera circolaue dell'arcivescovo e vescovi di Spoleto, Terni, Foligno, Rieti, No?.
cia, Civita Castellana, Amelia, Narni ai loro diocesani, Spoleto 1860, p. 4 e 31, citata da
P. BROCARDLIOAu, riliatrice di Spoleto e Don Bosco, in L'Immacolato Auriliaaice, Torino
1955, p. 252.
('3) Cf. BROCARDo.Oc., P. 253, e per una vivida presentazione dei sentimenti espressi
attorno alla capitale da dare ali'Italia dal '60 a1 '70 6.F. GIABODSt,oria dello polilic~.esterd
italiana dal 1870 al 1896, Bari 1962, p. 191-209.

9.5 Page 85

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Giovanni Battista Arnaldi, inviava all'Armonia di Torino una relazione sugli
avvenimenti, in data 1 7 maggio, edita poi il 27 dello stesso mese. Vi annun-
ziava il prodigio e l'« affollatissimo popolo » che da Spoleto, Todi, Perugia,
Foligno, Nocera, Narni, Norcia accorreva attorno alla miracolosa effigie spe-
cialmente nei giorni festivi. Era uno spettacolo grandioso di fedeli « quasi
condotti da un lume e da una forza celeste, concorso spontaneo, concorso
inesplicabile ed inesprimibile », « miracolo dei miracoli », per cui « gli stessi
nemici della Chiesa, gli stessi claudicanti nella fede sono costretti a confessare
non potersi spiegare questo sacro entusiasmo dei popoli » e non potersi attri-
buire « a industria pretina D.
L'immagine che la fede del popolo chiamava semplicemente la Madonna
o la Madonna scoperta, Madonna della Stella o Madonna di Spoleto, dall'ar-
civescovo ricevette il nome ufficiale di Aiuto dei Cristiani o Auxilium Chri-
stiano~um.
L'arcivescovo era persuaso che tale titolo era « il più adatto sotto ogni
rispetto » ("). Forse alla scelta sarà stato spinto dalla vicinanza del 24 maggio,
festa liturgica deIl'Auxilizim Christianorum, chègli si riprometteva di cele-
brare sul luogo del prodigio; forse anch'egli, come moltissimi, avrà pensato
alle analogie tra Pio VII, che elevò a festa della Chiesa universale quella
del 24 maggio, e Pio IX, che avrebbe potuto dare a tale titolo, dopo il pieno
trionfo sulla Rivoluzione, un riconoscimento maggiore proprio a Spoleto,
ch'era stata Ia cattedra vescovile di papa Mastai, prima che assurgesse a
quella di S. Pietro (l5).
Gli occhi dei cattolici italiani si rivolgono all'Umhria. Periodici di
Roma, Tonno, Genova, Milano, Napoli pubblicano quanto mons. Arnaldi
o altri comunicano su Spoleto, sulle guarigioni aperate dail'Auxilium Chri-
stianorum, sul concorso di popolo sempre crescente, sull'entusiasmo spi-
rituale che si dilata sempre di più. « Si è veramente destato a guisa di una
scintilla elettrica un santo entusiasmo oltremonte e d'oltremare per l'Imma-
gine gloriosa », scriveva mons. Arnaldi il 26 giugno 1862 (l6).
Questa bellissima e prodigiosissima immagine - notava un periodico di To-
rino nel novembre successivo- si è manifestata in un punto, che è il centro non pure
dell'archidiocesi di Spnleto, ma lo è altresì delYUmbria, e quel che più è degno di at-
tenzione, è il centro d'Italia. Con questo, noi diremmo, si manifesta il volere di Dio
(8)Relazione di mons. Arnaldi su LlArmonia, 27 maggio 1862.
(75) Nella relazione del 24 marzo 1863 esprime il voto che Pio IX venga a incoronare
la Madonna di Spoleto collocata nel tempio eretto dalla devozione dei fedeli: « Augurar vor-
rei eziandio che il Regnante Pontefice nel ritorno che fari dal campo delle Vittorie riportate
da' suoi nemici, imitando il suo di sempre grande e venerabile memoria Antecessore Pio VII,
che incoronava la prodigiosa Vergine in Savona in atto di gratitudine, coglierà l'opportuna
occasione di porre sul capo di questa in oggi tanto veneranda Immagine la Corona da Maria
stessa offertagli de' suoi trionfi *: Relazione rulla taumaturga immagine di Maria Auxiliwm
Christianorum prodigiosamente manifestatasi nelle vicinanze di Spoleto, Bologna 18633,
p. 7 2 S.
(76) Relazioni . . ., p. 23.
e della Vergine: col presentarsi si prodigiosamente in questi calamitosi tempi nel
bel mezzo d'Italia, ha voluto far conoscere ch'Ella si pone in mezzo all3Italia per
difenderla, per aiutarla e per sovvenirla in ogni suo bisogno temporale ed eterno» (n).
« Sia sempre benedetto Iddio - esclamava mons. Arnaldi -, che
nella sua misericordia si è degnato ravvivare la fede in tutta l'Umbria con
la prodigiosa manifestazione della sua gran Madre Maria. Sia benedetta la
Vergine, che con questa manifestazione si t degnata segnalare a preferenza
l'archidiocesi di Spoleto. Sia benedetto Gesù e Maria, che con questa mise-
ricordiosa manifestazione aprono il cuore dei cattolici a più viva speranza di
sollecito trionfo della Chiesa e dell'augusto suo Capo, e della conversione
dei poveri peccatori » ('9. Ne1 vedere la pianura che circonda la sacra effigie
divenuta ' u n «vero tempio echeggiante degli inni ed encomii della gran
Madre di Dio » l'arcivescovo si entusiasma: « A Domino factum est istud » (l9).
La Vergine SS. ha dato una « caparra di non lontano trionfo della Chiesa » (").
La Vergine a Spoleto par che dica: « Io sono, come lo fui in tutti i secoli,
alla vostra difesa: I o chiamata in aiuto schiacciai la testa a tutte le antiche
eresie, I o la schiaccerò ancora a questa: e come già la Chiesa trionfante per
le mani del suo Capo Visibile appese al mio Altare le spoglie de' suoi ne-
mici, cosi giungerà il momento del trionfo per me Vostra Madre, e per
Voi miei figli n ( " ) . Maria SS. vuole manifestamente aiutare Pio IX: « L a
Madonna, deila quale questo santo Pontefice proclamò l'immacolato concepi-
mento, vuole ad ogni costo salvarlo e condurlo al piìi splendido trionfo » (").
Nel settembre 1862 l'arcivescovo lancia l'idea di un grande tempio
sulla piana della Fratta, che accolga l'immagine taumaturga, e 'diventi la
roccaforte di Maria. Attraverso i fogli cattolici viene stimol'ata la bene-
ficenza. Torino, che f u tra le prime città a conoscere i fatti di Spoleto,
Torino che primeggiava tra le città che davano maggiori offerte per l'Obolo
di S. Pietro, rispose con singolare entusiasmo. L'Aumonia prima e l'Unità
(n)Lo buona scttimai?a,7 (23-29 no". 1862), p. 183.
(7s) Relazione del 17 maggio 1862.
(?9) Relazione del 3 settembre 1862.
(80) Relazione del 3 settembre 1862.
(8') Relazione del 24 marzo 1863. 1 medesimi temi sono svolti i11 un libro stampato
a Vaidocco, Giuseppe GATTI, La vergine Maria proporta in ragionamenti apologetici e mo-
rali, Torino, tip. dell'orat. di S. Franc. di Saies 1801, p. 106 s: «Possiamo rimanerci sicuri,
che nelle grondi battaglie della vita non ci verrà manco giammai la difesa dell'augusta doma
proclamata l'aiuto de' Cristiani, auxilium Christianorum. E quello che io dico in genere della
Chiesa, abbiatevelo altresì per detto di tutti noi in particolare. E perciò quando voi per
avventura vedeste quella nella persona o del suo Capo ovvero de' suoi pastori od anco del
popolo cristiano passare in mezzo alle più ardue prove, non vi lasciate no scoraggiare, o
anime pie. Invocate solo il sempre vivente aiuto dei cristiani, la sempre in lotta Donna della
vittoria, e vedrete restarne il serpente con sempre più ammaccata la testa. Vedrete al
solo apparire di lei chetare ia tempesta, e sotto il cielo deiia Cristianità tornare il sereno n.
Christ(i8a2n)oPrurmefa.z.i.o,neBoallolegnRae1la8z6i3o,nip.ru6l.la taumaturgo immagine di Maria Vergine Auxilium

9.6 Page 86

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Don CBoastctoolnicealla pstooiriaddaellla1re8l6ig3iosial c1a8tto6li7ca.pVuobl bIIl.iSctaerlloano elencht d i oblatori e numeri
straordinari consacrati interamente a Spoleto, alle grazie meravigliose che
continuamente venivano concesse colà o altrove per intercessione della tau-
maturga immagine. L'effigie dell'Auxilium Christianouzrm anche a Torino
venne incisa e divulgata dal tipografo libraio Giacinto Marietti con una pre-
ghiera composta d a Pio IX nella quale si domandava a Dio, con la media-
zione di Maria, d i restare fedeli « in mezzo a tanti assalti » (m). D a Bologna
e d a Spoleto stessa veniva distribuita una preghiera che è una protesta di
fede e di entusiasmo nella lotta:
« O Maria, o aiuto potentissimo dei Cristiani, Auxilium Christianorum [ .. .l
all'eficacissimo aiutd di vostra protezione materna finalmente abbandonati e a 5 -
dati, promettiamo [.. .l di volere fino all'ultimo nostro respiro mantenerci fermi e
costanti a costo di qualunque nostro temporale disastro, e di perder la vita stessa
nella vera fede, figli sempre obbedienti, riverenti e docili della Santa Cattolica Ro-
mana Chiesa, del Supremo Gerarca e Vicario di Cristo in terra, e degli altri legittimi
Pastori di nostre anime. Così vogliamo, cosi promettiamo, così col Vostro aiuto sia,
Vergine Immacolata, o Madre amorosissima, o Maria aiiitatrice costante, potentis-
sima, benignissima del Cristianesimo » (M).
Il nesso tra i due titoli, Immacolata e Ausiliatrice, è esplicito e com-
pleto: con il medesimo contenuto, con gli stessi moventi religiosi e gli stessi
titoli scritturistici che si ritroveranno in Don Bosco. Non manca nemmeno
l'immagine della navicella di Pietro tra i flutti, quale si ritrova nel sogno
che il 30 maggio 1862 Don Bosco raccontò ai giovani:
«Proteggete e custodite eziandio il Pontefice Sommo, onde nel mar tempestoso
conduca a porto di salvezza la navicella di Pietro, trionfando dei flutti orgogliosi,
che attentano sommergerla » ( a ) .
L'eco dei fatti d i Spoleto arrivò all'oratorio prestissimo. AUa sera del
24 maggio Don Bosco avrebbe annunziato « con grande contentezza, la prodi-
giosa manifestazione di un'immagine d i Maria avvenuta nelle vicinanie d i
Spoleto
L'Avmonia non aveva ancora pubblicato la prima relazione di
("1 La « Immagine di Maria SS.ma manifestatasi prodigiosamente nelle vicinanze di
Spoleto l'an. 1862 D si trova in antiporta a Luigi MAINI,Manifestazione culto e miracoli di
una immagine di Maria Santissima nelle vicinanze di Spoleto . . ., Torino, G. Marietti 1862,
e in appendice, come tavola fuori testo a Diuoti esercizi in onore del glorioso patriarca S. Giu-
seppe di S. Camillo de Lellir e di M . SS. Miracolosa di Spoleto, Torino, G. Marietti 1863.
Nel 1865 si vendevano anche minuscoli cannwchiali con I'immagine di Spoleto. Cf. avanti,
cp. 13, nota 84.
. (a)MAINIO, C., p. 55-57; Relazioni sulla laumaturga immagine. . ., p. 66-68.
(85) MAINIo, . C,, p. 56; Relazioni rulla taumaturga immagine. . , p. 67.
MB 7, p. 166. Don Lemojne riporta tra virgolette un brano che asserisce preso
dalla Cronaca di Don Bonetti. Invano abbiamo cercato su tale Cronaca e sulla contemporanea
Cronaca di Don Ruffiuoqualsiasi accenno a questo sermoncino serale del 24 maggio 1862
(sulla Cronaca di Don Bonetti dovrebbe essere negli Annali 111, p. 6-7, AS 110 Bonetti 4).
mons. Arnaldi, ma forse era già corsa la voce anche del titolo assegnato al-
l'immagine: Auxilium Chuistianorum. Il 30 Don Bosco racconta ai giovani il
« sogno » << avuto qualche giorno prima ». Tra l'impeto dei flutti e i proiet-
tili lanciati dalle navi nemiche, la nave della Chiesa, guidata dal Papa, trova fi-
nalmente rifugio sicuro tra due colonne. Una è sormontata dall'Eucaristia;
l'altra da una statua dell'Immacolata, che porta sotto un cartello con la scritta:
Auxilium Chvistianovum (*').
Nel settembre 1862 - come dicemmo - l'arcivescovo di Spoleto lan-
ciava l'iniziativa di u n grande tempio in onore di Maria SS. Aiuto dei Cri-
stiani Nel dicembre Don Bosco, a sua volta, comunicava la decisione di
erigere una chiesa da intitolare all'Auxilium Christianovum. Don Paolo
Albera, allora chierico, ricorda quel che Don Bosco stesso gli disse:
« H o confessato molto e per verità quasi non so cosa abbia detto o fatto, tanto
mi preoccupava un'idea che, distraendomi, mi traeva insensibilmente fuori di me.
Io pensavo: la nostra chiesa è troppo piccola, non può contenere tutti i giovani, o
vi stanno addossati l'un all'altro. Quindi ne fabbricheremo un'altra più bella, più
grande, che sia magnifica. Le daremo il titolo di Maria Ausiliatrice » P9).
2 interessante rilevare l'ordine delle urgenze e delle risoluzioni che -
stando a Don Albera - Don Bosco avrebbe manifestato. Non avrebbe pensato
efficacemente a Spoleto, alla gloria di Maria SS., alle necessità del quartiere;
ma alle strettezze in cui era venuta a trovarsi la comunità d i Valdocco, ai di-
sagi che n e derivavano dal fatto c h e i ragazzi erano pigiati nella chiesa di S.
Francesco di Sales, divenuta troppo piccola. La prima urgenza è quella della
chiesa per l'oratorio; poi vengono il titolo e tutti gli altri motivi. '.
Ma quanto al titolo è significativa un'altra affermazione, di cui si fa por-.
tavoce Don Giovanni Cagliero, e risalente alla fine del '62 o ai primi del
'63: <( La Madonna vuole che la onoriamo sotto il titolo di Maria Ausiliatrice:
i tempi corrono cosi tristi che abbiamo proprio bisogno che la Vergine SS. ci
aiuti a conservare e difendere la Fede cristiana » (%).
Da quel che conosciamo ci sembra ormai assodato che le virgolette di Don Lemoyne abbiano
un valore molto relativo. Tra virgolette egli riporta brani che testualmente non esistono sul
documento che cita e, viceversa, fuori virgolette spesso riporta brani trascritti materialmente
da fonti svariate, espressamente nominate o no.
Notiamo infine due piccoli errori cronologici riguardo ai sermoncini riportati nelle MB
7, p. 164 e 167 collocati al 23 e 25 maggio. Sull'originale (BONETTAI,nnali 111, p. 7 e 11)
sono rispettivamente al 25 e 26 maggio 1862. La successione delle MB è: 23, (241, 25, invece
di: (24), 25, 26.
Il sermoncino del 24 maggio non si trova nemmeno in AS 110 Lemoyne, Doctrmenti,
8, p. 54, che riportano i sermoncini di Don Banetti dagli Annali cirati (ma quello del 25 ha
già la data sbagliata del 23).
(57) ME, 7, p. 169-172.Più avanti ci soffermeremo su questo sogno ».
(W) La prima pietra fu collocata il 21 settembre 1862. Ne diede relazione mons. Arnaldi
a Don Gaetano Maini, rettore del
Relazioni sulla taumaturga immagine
.S.e.m,ipn.ar4io4.
di
Carpi,
con
lettera
del
22
settembre;
cf.
(a9) MB 7, p. 334.
(9)MB 7, p. 334.

9.7 Page 87

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Don Bosco nÈellausnto'arifafedermllaarzeiloignioesitàmcoaltttoolicav.eVriosliImI. iSlete,llaanche nel contesto delle perquisi-
zioni e di altre malversazioni che allora Don Bosco assaporò: un'afferma-
zione che riceve conferma e persuasività dalle pagine, tutte autografe, che
Don Bosco nel 1868 premetterà al libro: Maraviglie della madre 'di Dio iiz-
vocata sotto il titolo d i Marin Ausiliatrice. D o n Bosco in esse si pone in
chiave di escatologia mariana. Come Luigi Maria Grignion de Montfort,
anch'egli parla di ultimi tempi, di tempi calamitosi che denotano come ormai
ci si trovi nell'ora di Maria e propriamente nell'ora di Maria Auxilium Chri-
stianontm:
« I1 titolo di Auxilium Christianorum attribuito all'augusta Madre del Salva-
tore non è cosa nuova nella Chiesa di Gesù Cristo. Negli stessi libri santi deli'antico
testamento Maria è chiamata Regina che sta alla destra del suo Divin Figliuolo
vestita in oro e circondata di varietà [ . ..l In questo senso Maria fu salutata aiuto dei
cristiani fino dai primi tempi del Cristianesimo.
Una ragione per altro tutta speciale per cui la Chiesa vuole in questi ultimi tempi
segnalare il titolo di Auxilium Chrirtianorum è quello che adduce Monsignor Parisis
colle parole seguenti: «Quasi sempre quando il genere umano si è trovato in crisi
straordinarie, fu fatto degno, per uscirne, di riconoscere e benedire una nuova per-
fezione in questa ammirabile creatura, Maria SS. che quaggiù è il più magnifico ri-
flesso delle percezioni del Creatore » (Nicolas, pagina 121).
I1 bisogno oggi universalmente sentito di invocare Maria non è particolare, ma
generale; non sono più tiepidi da infervorare, peccatori da convertire, innocenti da
conservare. Queste cose sono sempre utili in ogni luogo, presso qualsiasi persona.
Ma è la stessa Chiesa Cattolica che è assalita. R assalita nelle sue funzioni, nelle
sacre sue istituzioni, nel suo Capo, nella sua dottrina, nella sua disciplina; è assalita
come Chiesa Cattolica, come centro della verità, come maestra di tutti i fedeli.
Ed è appunto per meritarsi una speciale protezione del Cielo che si ricorre a
Maria, come Madre comune, come speciale ausiiiatrice dei Re, e dei popoli cattolici,
come cattolici di tutto il mondo! » (9").
Ciò che d i mons. Parisis il Nicolas riportava a proposito dell'Imma-
colata concezione, Don Bosco lo colloca in ordine al titolo assegnato d a
mons. Arnaldi alla taumaturga immagine di Spoleto. Nel concorso di popolo
e nei prodigi Dufriche-Desgenettes aveva visto il segno ch'era l'ora del
Cuore SS. ed Immacolato di Maria. Motivi storici e teologici - oltre alle
contingenze di Spoleto - inducono Don Bosco ad affermare che si è ormai
i n tempi in cui la Madonna vuole essere onorata e invocata come Ausi-
liatrice.
(91) BOSCO, Maraviglie. . . , Torino 1868, p. 5-7. La citazione del Nicolas è così gene-
rica già nell'autografo di DB (AS 133 Maraviglie). I1 testo è trascritto da A. NICOLASL,a
Vergine Maria vivente nella Chiesa. Nuovi studi filosofici sul Cristianesimo, pt. 1, i. l,
cp. 5, § 2, Torino, Biblioteca Ecclesiastica Editrice 1863, p. 121. Il contesto è di polemica
contro Bordas-Dumoulin, « macolatista », legato agli ultimi fedeli di Port-Royal di Parigi (che
però non ne condividevano in tutto le atiermazioni). I1 Bordas-Dumoulin vorrebbe porre in
yardia dal Marianismo, dalla divinizzazione di Maria SS., di cui il dogma dell'Immacolata
sarebbe una manifestazione.
Cosi Don Bosco, che dell'Arciconfraternita del Cuore SS. e Immacolato
d i Maria aveva curato l'edizione della Storia (93), che nel '54 aveva divulgato
le apparizioni di La Salette e nel '44-47 aveva pubblicato una Corona dei
sette dolori di Maria SS., dopo il '60, senza rinunziare a nessuna delle altre
devozioni, diventa risolutamente l'apostolo della devozione a Maria Auxi-
lium Christianorztm.
Mentre i giornali continuavano a divulgare i fatti di Spoleto, Don Bosco
portava avanti il suo progetto. La marchesa Fassati in un suo diario ricorda
che un signore promise sussidi a Don Bosco a condizione che intitolasse la
nuova chiesa all'Auxilium Christianorum ("1). Parrebbe che agli amici fa-
coltosi Don Bosco abbia fatto parola della chiesa ormai necessaria all'Ora-
torio e non si sia mostrato deciso sul titolo. Questo - a quanto pare - sa-
rebbe prevalso dalla discussione e finalmente, sarehhe stato accettato dai
benefattori e dalle autorità cittadine interessate non senza una qualche ri-
trosia, forse per il timore che anche a Torino il titolo avrebbe potuto dare
occasione a subbugli e a rappresaglie come a Spoleto. La scelta definitiva
non dovette essere immediata, se è vero che sciolse ogni dubbio un intervento
(probahilmente sollecitato) di Pio IX. « Informato della necessità di una
chiesa nel luogo sopra indicato - scrive Don Bosco -, mandò la sua prima
graziosa offerta di franchi 500, facendo sentire che Maria Ausiliatrice sarebbe
stato un titolo certamente gradito all'augusta Regina del ciela » (li).
I1 1 2 giugno 1864 la marchesa Fassati notava su un suo diario che pre-
sto si sarebbe posto mano alla ,costruzione della chiesa: « Tutte le difficolti
preliminari sono state finalmente appianate [ .. .]. Si è cavillato a causa del
titolo Auxilium Christianorum, considerato ostile al governo a causa di
Spoleto » (95). Il 27 aprile 1865 venne posta la pietra angolare. Fatto impor-
tante e significativo fu la presenza d i Amedeo d i Savoia figlio d i Vittorio
Emanuele II(*). Forse la sua presenza fu ottenuta mediante la benevolenza
(92) Claude SAVARTPo, ur une sociologie de la ferueur religieuse: l'archiconfrérie de
Notre-Dame-Des-Victoiresi,n Rev. d'hist. ecclér. 59 (19641, p. 823-844.
(93) Cf. AS 112 Fatture, Speirani, li marzo 1857: stampate cinquemila copie «Storia
della Conf.ta S. C. Maria n, da identificare con Storia dell'arciconjraternita del SS. ed Imnaa-
colato Cuore di Maria eretta nella parrocchia della Madonna delle Vittorie in Parigi.
Opera del Sacerdote Dufribhe Desgenettes. . . Edizione 11, con aggiunte tolte dalla XIII
edizione francese, Torino, tip. Speirani e Tortone 1857.
(9") Diario deila Fassati, riferito.in BROCARDL'OAu, siliatrice di Spolcto, p. 267 nota.
("1 Bosco, iila~aviglie,p. 108s. l3 indicativo quanto DB aveva scritto in un primo
tempo sulla minuta (AS133 Maraviglie 1): « I n quanto poi al titolo sotto cui porre il novello
edirizio si stava
Maria ajuto dei
dcreilsitbiearnain, daoweensneemubrnavianccidheenfteoscseheqsuceiiollosediogMniardiaubAbuioxi.l.iu.m».
Cbristianorum:
E da ricordare
quanto nota Don Bonetti nella sua cronaca (BONETTAIn, nali 111, p. 61). DB scrisse a mons.
Arnaldi e ne ricevette risposta il 31 gennaio 1863. Il vescovo manifestava stima per DB, di
cui gli era noto lo «zelo grande per la gloria di Dio S.
(95) Diario citato in BROCARDL'OAu, riliatrice di Spoleto, p. 270.
(97) DB cercb di dare larga eco all'awenimento. Cf. [Bosco], Rimembranza della fun-
zione per la pietra angolare della chiesa sacrata a Maria Ausiliatricc in Torino-Valdocco il
giorno 27 aprile 1865, Torino, tip. deil'orat. di S. Franc. di Sales 1865; 11 Galantuomo. Alma-

9.8 Page 88

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Don Bdoiscpoenreslolansatgogriia dcehllea reglirgaiovsiittaàvcaanttoolician. VColoIIr.tSet,elllaa Fassati, la Callori, il cavaliere
d'Agliano e lo stesso conte Visone, sovrintendente della Rea1 Casa. D'al-
tronde, per la politica d i Corona - come già notavamo - la presenza del
principe poteva essere uno dei tanti passi per attutire la tensione tra Torino
e Roma, per svuotare la carica d'intransigenza che a Spoleto si dava al
titolo A u x i l i u m Christianovum.
Finalmente a tale titolo e a quello invalso a Spoleto di Aiuto d e i Cri-
stiani, si fini per preferire quello gia in uso e noto nella tradizione locale d i
Mavia Ausiliatrice o Beata Vergine Ausiliatrice.
Come mons. Arnaldi, anche Don Bosco fa leva sull'entusiasmo popolare,
sull'attesa di prodigi, sui favori celesti che si ottengono per intercessione di
Maria Ausiliatrice. Anch'egli pubblica grazie comunicate dai fedeli.
Come a Spoleto, anche a Valdocco si stampano e si distribuiscono
immagini con l'effigie deU'Ausiliatrice. Anche a Torino il santuario diviene
meta di pellegrinaggi e museo di ex-voto portati da ogni parte.
I l culto dell'Ausiliatrice dà una modalità nuova al m e s e di maggio
celebrato a Valdocco e nelle altre case di Don Bosco. Si comincia il mese
mariano nell'ultima settimana di aprile in modo che la chiusura coincida con
la festa dell'Ausiliatrice; vi si dà anche un senso di sicurezza e di speranza
legate alla rievocazione delle meraviglie di Maria Ausiliatrice. I1 mese di
maggio a Valdocco divenne una delle funzioni religiose p i ì ~frequentate della
città e del Piemonte. Molti accorrevano anche dalla provincia e da più
lontano e rimanevano estasiati ascoltando i nutriti cori polifonici diretti dal
maestro de Vecchi, da Don Cagliero e infine dal maestro Dogliani: la
Missa Papae Marcelli o quella di Rossini, potenti Tu es Petrus o movimentate
rievocazioni della battaglia di Lepanto con squilli di tromba e accavallarsi
di ondate sonore.
Spoleto declinava, diveniva un santuario locale, perdeva persino il
titolo popolare di Aiuto dei Cristiani e veniva conosciuto come Madonna
della Stella. Il santuario d i Valdocco diveniva centro d'irradiazione a scala
sempre più vasta: santuario locale e santuario mondiale (l8). Per i Salesiani
nacco per l'anno 1 8 6 6 . . . , Torino 1865, p. 32-48; Lotteria d'oggetti posta sotto 1s speciale pro-
tezione delle loro Altezze Reali il Principe Amedeo di Savoia duca d'Aosta.. ., il principe
Eugenio d i Carignano, la principessa Maria Elisabetta d i Sarronia duchessa d i Genova.. .
a fauore degli
l'ultimazione d
iOurnaatocrhiiemsaasicnhiVlialddioVccaold.o.c.c,o[,TdoiriPnoor,tatipN.udoevlal'0eradti.
Vanchiglia i
di S. Franc.
n
di
Torino e per
Sales 18651;
Marauiglie della Madre d i Dio . . . , Torino 1868 e altri opuscoli relativi all'Ausiliatrice.
)8'( Sarebbero qui da rammentare le celebrazioni solenni del 1871 nel centenario della
vittoria di Lepanto e quelle rievocate in termini entusiastici sul Bollettino salesiano: fiumane
di popolo, scintillii di luci in chiesa e fuori aila sera, grazie speciali in ciascun giorno della
novena sempre affollatissima.Cf. a titolo di esempio il Bollettino del giugno 1881: «Vi fu chi
prese la pena di contare le persone, che il 24 maggio entrarono nel Santuario di Maria Ausilia-
t2mr0iic0lea,.m.pe.atsrcsia,alcneadraoinmopmegrernelsama p.it.oi.rdtapiemrgseianngtogei,iolrcevh,ieaeledveedebepnbaderotelasdpecaoilancnsoocrlasatozaiRolnaeegipndoairtMacaalmcrgoahlgaegrrniioteare,u, dnsiisctaibnneqatiuvaacni.rtc.aa.-
risulta che in dieci giorni ben 20 mila persone si accostarono alla Mensa degli Angeli in osse-
che andavano in America era indimenticabile la funzione del Crocifisso ri-
cevuto ai piedi dell'Ausiliatrice. Le Figlie dell'Immacolata di Mornese si
trasformano in Figlie di Maria Ausiliatrice. Anch'esse sciamano per il mondo
dal sacro suolo di Valdocco. Tanto più sacro in quanto era già terra bene-
detta dal sangue di martiri. Valdocco, secondo un etimo fantasioso era
fatto derivare da V a l l i s occisorum ('9. Don Bosco in sogno vede che i glo-
riosi martiri della Legione Tebea venerati a Torino, Solutore Avventore e
Ottavio, hanno versato il loro sangue proprio dove sorge il santuario al-
I'Ausiliatrice ('").
La grande pala dell'Ausiliatrice dipinta dal Lorenzone, ammirata e dif-
fusa da Don Bosco, esprimeva efficacemente lo stato d'animo dei cattolici
in lotta e, bisognosi di sicurezza. Maria SS. ritta nella persona con vesti
regali e con in braccio Gesù. La Madre di Dio stringe in mano lo scettro
della sua potenza. 2 proprio Don Bosco a descrivercela cosi:
« L a Vergine campeggia in un mare di luce e di maestà, assisa sopra di un trono
di nubi. La copre un manto che è sostenuto da una schiera di Angeli, i quali facen-
dole corona le porgono ossequio come loto Regina. Colla destra tiene lo scettro che
è simbolo della sua potenza, quasi alludendo alle parole da Lei proferite nel santo
vangelo: Fecit mihi magna qui potens est. Colui, Dio, che è potente, fece a me cose
grandi. Colla sinistra tiene il Bambino che ha le braccia aperte offerendo cosi le sue
grazie e la sua misericordia a chi fa ricorso ali'Augusta sua Genitrice. In capo ha
il diadema ossia corona con cui proclamata Regina del cielo e della terra.. . n("').
Per quanto dopo il 1870 svaniscano molte speranze dei .cattolici ita-
liani, I'Ausiliatrice continua a ben esprimere il senso di lotta che anzi, dopo
di allora si faceva più vivo. Familiare diventa a Valdocco l'inno composto dal
chierico Bongiovanni:
Salve, salve, pietosa Maria,
Al tuo trono di gloria celeste
Uno stuolo di figlio vorria
I1 tuo aiuto potente implorar. . .
Tu che un giorno col piè vincitore
Gli calcasti la testa superba,
Tu disarmane il crudo livore,
Tu di lui trionfanti ci fa ('Q).
quio a Maria Ausiliatrice . . . Vorremmo che fossero qui presenti certi increduli dei giorni no-
stri, vorremmo un poco sentire che cosa direbbero ali'udire hnisono di tante testimonianze
in onor di Maria, e in prova dei valido suo intervento a sollievo delle umane miserie. . . ».
)9'( ~iill'etimolo~idai Valdocco cf. avanti cp. 15, nota 53.
('m) M 0 p. 136-138; MB 2 p. 298 S.
('0') BOSCO, Marauiglie, p. 127.
(1") Bosco, Il giovane prouucduto, Torino 1885, p. 478 S. La lode fu introdotta nel-
l'edizione 1873, p. 444.446.

9.9 Page 89

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Don Bosco neIl1la sstoimriabdoellola redlieglilo'sImitàmcaatctoollicaata. VoCl IoI.nScteelzlaione pervade il culto dell'Ausilia-
trice. Lei si apostrofa, Lei si supplica nei giorni della novena con una serie
di vibranti preghiere:
«Voi vedete, o Vergine Immacolata, i progressi che va facendo nelle nostre
città e campagne lo spirito d'abisso scatenatosi su questa valle di lagrime. Rimirate
la guerra furibonda che da ogni parte si muove alla nostra religione santissima, gli
assalti infernali, che si dirigono contro la Chiesa ed il suo augusto Capo, e gli im-
mensi danni religiosi e morali che ne derivano al civile consorzio. Deh! muovetevi,
o Regina del Cielo e deiia terra, a compassione del numero sterminato d i anime, che
in mezzo a questo generale scompiglio smarriscono la retta via correndo pericolo di
eterna dannazione,. e liberate le nazioni cristiane dal turbine d'empietà e di scostu-
matezza da cui sono . . . ravvolte » ('03).
Neli'ultimo giorno di questa dolce novena, noi intercediamo dal Vostro pos-
sente Patrocinio, o Vergine Immacolata, o Aiuto dei Cristiani, una grazia singolaris-
sima, come pegno simro per ottenere la guarigione della sconvolta umanità dai
mali, che siamo andati deplorando.
La guerra atroce ed incessante mossa alla religione col1 una miriade di mezzi ha
sconvolte le menti ed ha disuniti i cuori degli uomini. Noi vi supplichiamo pertanto,
o Maria SS., con tutte le forze deli'animo nostro a portare la calma in tutte le intel-
ligenze e ad unire fra loro tutti i cuori, sicché gli uomini tutti non abbiano più che
una sola mente ed un sol more nel far il bene, dipendano tutti sommessi non pur
dai precetti ma eziandio dai desideri e consigli del Sommo Pontefice, affinché, con
(lm) Solenne novena di preghiere ed opere buone secondo i bisogni dei tempi in prc-
pai.azione alla festa di Maria Santissima Aiuto dei Cristiani . . ., Torino, tip. e libr. Salesiana
1882, p. 5 S. Autore ne sarebbe Paolo Pio Perazzo (1846-1911), laico militante, ammiratore,
amico e imitatore di DB:
nelle Ferrovie dello Stato,
tecrfz.iaMrioarfiraannoceMscAanNoN. .IO., ,.FT.Mori.,noIl19s2er9v,op.d1i 8D7.io-
P.P.P. capo-ufficio
Altri formulari per
tridui e novene allilusiliatrice si trovano in 'Bosco, Lo nuvoletta del Carmelo . .., Torino
1877, p. 110-113: « O Maria Ausiliattice, Figlia prediletta del divin Padre. . .n; ID., Il gio-
nvain. e. .
provveduto . . .,
m, ampliata poi
Torino 1877 ",
nell'ediz. 1885,
p.
p.
143 s: « O
161-164. Nel
Maria
1869
SS., aiuto potente dei Cristia-
venne posta in circolazione una
pagellina di 4 p. con in prima pagina, riprodotta dallo Zambelli la pala del Lorenzone; alla
p. 2 c'è una «Preghiera con a i S. Luigi Goniaga si dedicava a Maria n; neUe seguenti un
«Atto con cui si prende per madre Maria Vergine »: nulla c'è di battagliero. In seguito
fu stampata una immagine con sul retto a colori l'icone del Lorenzone e sul verso era stam.
pata una preghiera alla « Beatissima Vergine Maria Immacolata Madre di Dio ed Ausilia
trice dei Cristiani » indulgenziata da Leone XIII: «Vergine Immacolata, Madre di Dio e
Madre Nostra, Maria, Voi vedete gli assalti dati per ogni dove dal Demonio e dal mondo
alla Fede Cattolica, nella quale a conseguire l'eterna gloria, intendiamo, la Dio mercé, di
vivere e morire. Voi, Soccorritrice dei Cristiani, rinnovate, a salvezza dei Vostri Figli, le an-
tiche vittorie. Essi afidano a Voi il fei.mo proponimento di non appartenere aiammai a Con-
greghe di eretici, né di settari; Voi, tutta Santa, presentate al Divin Figlio le nostre risolu-
zioni e ne impetrate le grazie necessarie a mantenerci irremovibili in quelle sino alla fine.
Consolate il Capo visibile della Chiesa, sostenete il Cattolico Episcopato, proteggete il Clero
ed il popolo che v'acclama Regina, affrettate con la potenza delle vostre suppliche il giorno
che tutte le genti vedrà raccolte intorno al Supremo Pastore. Così sia». - L'Ausiliatrice è
«invincibile trionfatrice dell'infernal serpente», che rende vittoriosi i suoi figli e special-
mente il Romano Pontefice in una novena di Giuseppe RIVA, Manuale di Filotea, Bergamo
1897, p. 511-513.
i'aiuto e le Benedizioni del Cielo, questa concordia di pensieri e questa unità di
propositi e di opere fecondino le comuni fatiche nella difesa della huona causa e le
ricolmino del più largo successo » (lW).
Senza Spoleto probabilmente D o n Bosco non sarebbe divenuto l'apostolo
dell'Ausiliatrice, anche se questa devozione era praticata da persone a lui
ben note: la marchesa Barolo e Don Alasonatti, iscritti ambedue alla vene-
randa associazione esistente a Torino nella chiesa d i S. Francesco da Paola ('O').
Senza Don Bosco però, la fiammata di Spoleto forse sarebbe stato u n episodio
caratteristico del decennio 1860-70 in clima di escatologismo mariano, di
messianismo prima della caduta dello Stato pontificio. Don Bosco, legando
aUa sua persona e nlle sue istituzioni il culto all'Ausiliatrice ha finito per
darvi un senso e una portata mondiale.
A poco a poco nella devozione mariana di Valdocco i fatti di Spoleto
perdono il loro significato causativo e nella coscienza dei fedeli si dileguano
tra i ricordi privi d i forza emotiva. Resta il fatto in sé, rimane cioè il santuario
con l'immagine fatta dipingere dal gran servo di Maria, Don Bosco, e intito-
lata per divina ispirazione all'Ausiliatrice. L'Ausiliatrice d i Don Bosco, di-
versamente che quella di Spoleto, non ha avuto alla sua origine una mani-
festazione prodigiosa con veggenti che siano laici e tra il popolo. I1 veggente,
D o n Bosco, nella fase germinativa della devozione cercò di non divulgare le
comunicazioni celesti. Tuttavia presto attorno all'immagine di Valdocco e
al suo luogo di culto si formò l'attrattiva del taumaturgico. Appariva già
u n miracolo il fatto che Don Bosco in tempi « cosi calamitosi » potesse pro-
curar da mangiare a tanti giovani e con soli quattro soldi in tasca avesse
dato l'avvio a una chiesa cosi grandiosa. Nell'animo del popolo 'si attenuano
(IM! Solenne novena, p. 25 S.
(1") La Barolo, come risulta dai registri della Confraternita eretta a Torino, era già
iscritta nel 1827. Don Alasonatti fu ascritto nel 1834. I1 suo libretto di «figliazione» si
conserva all'AS 275 Alasonatti. Da notare inoltre che a Ivrea mons. Moreno nel 1854 aveva
istituito una Associazione di Maria SS. Ausiliatrice che aveva «per iscopo precipuo d'in-
~
~
pctrare la conservazione deiia Fede Cattolica neUe nostre contrade, e la conversione degli
erranti e peccatori; e cib per mezzo di preghiere, della diihisione di stampati religiosi, con
impedite la circolazione de' cattivi ». Associazione che percib aveva fmuialità analoghe a
quella di S. Francesco di Sales istituita a Genova e diffusasi altrove.
Da una lettera di mons. Ghilardi a mons. Fransoni in data Mondovì 28 dic. 1852
si ricava che già allora mons. Fransoni, originario genovese, pensava di istituire a Torino
una Pia Unione d i Maria Ausiliatrice che avrebbe dovuto servire a coordinare, almeno sul
piano caritativo, le forze cattoliche, facendo leva sulle strutture parrocchiali. I1 progetto
di mons. Ghilardi era più ambizioso: «Quando poi sarà hene organizzata la Pia Unione
nella capitale, il Comitato Centrale con apposito programma potrà per modo di preghiera
invitare tutti i Vescovi dello Stato a seguir l'esempio della Metropolitana. Unendosi in
seguito li Comitati Diocesani a quello Centrale sarà perfezionato l'organismo deiia Pia
Unione ».Cf. G. GRISISRLI,'allontanamento e la mancata rinuncia di mons. Luigi Fransoni
arciuescovo di Torino in Bollett. storico bibliogr. snbalpino 64 (1966), p. 482. - Fransoni
avrebbe voluto istituire come diocesana la festa dell'Ausiiiatrice, come voto di ringraziamento
al suo ritorno a Torino. Dopo la sua morte, e dopo i fatti di Spoifto, il voto venne adempito
dal vicario capitolare Zappata. Cf. A. Curia Torino, Provisioni semplici, 1863, vol. 2, p. 8.

9.10 Page 90

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Don Bonsocno nseollalostiorinaedseslila treraligiloasitcàhciaetstoalicda.i VDoloIIn. StBelolasco e quella di Spoleto, ma anche
quelli del santuario di Valdocco con la banca del commendatore Cotta e con la
borsa di altri insigni benefattori. Si proclama con fervore che ogni mattone è
stata una grazia di Maria Ausiliatrice. Il nesso del banchiere Cotta con il
santuario era stato appunto stretto da una epifania taumaturgica. Più che
sulla sua propensione alla beneficenza si fissa l'attenzione sulla sua malattia,
sulla visita fattagli da Don Bosco, sulla guarigione immediata e stupefa-
cente, seguita da copiose offerte in denaro.
I1 santuario della Consolata in Torino e quello di S. Pancrazio a Pia-
nezza avevano avuto come alimentatori della fiducia popolare due insigni
ordini religiosi, i Cisterceosi e gli Agostiniani. Il santuario dell'Ausiliatrice alle
sue origini ebbe Don Bosco, i suoi orfanelli, i suoi scritti. Più tardi avrà
i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice. Gli Agostiniani avevano divul-
gato le Maraviglie di S. Pancrazio, cioè la sua vita, il suo martirio e le gra-
zie ottenute per sua intercessione a Pianezza i'").Le Maraviglie di Maria
Ausiliatrice divulgate da Don Bosco si muovono con movenze analoghe. Il
liliro si chiude con un serto di grazie ottenute per intercessione dalla Verxine
invocata sotto il titolo di Ausiliatrice dei Cristiani. Ai fedeli è suggerito,
attraverso il resoconto riconoscente di graziati, in quali circostanze e in quali
forme dar corso alla loro speranza e alla loro supplica. L'implorazione dei-
I.'AusiIiatrice, il ricorso a Lei nel luogo santo di Valdocco o ricordandone
l'effige o il titolo si dimostra efficace e dà motivo di supplicare dovunque
ci si trovi e per qualsiasi necessità per casi individuali o contro mali che
minacciano intere nazioni (l').
Così a Valdocco il difetto di prodigio iniziale viene largamente com-
pensato dal complesso t@maturgico successivo, che alla fine non ha più
bisogno nemmeno d i ;far leva sul fatto che T7aldocco è terra santa irrorata
dal sangue dei santi della Legione Tebea.
Quindi lo spazio sacro si dilata. Da Valdocco il cuito passa ad altri
luoghi, dove l'immagine taumaturgica viene ripetuta identica o nei suoi
elementi essenziali. L'Ausiliatrice è segno di unione tra cielo e terra, simbolo
di flusso benevolo su lunghi e su persone, dovunque venga insediata in
analogia con Valdocco: chiese, cappelle, aule scolastiche, case di ex alunni
o di familiari di Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice; sul letto o sul ta-
volo di studio e di lavoro, al collo, nel libro di devozione o di cultura. La co-
scienza religiosa ricorda la voce del servo di Maria, Don Bosco: « Siate devoti di
Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli P.
Dopo il ' i 0 il titolo dell'Ausiliatrice è sempre presentato nella prospet-
tiva degli eventi che lo posero in evidenza. Esso perciò fa ricordare le lotte
(l") CARLOGIOVENAI.F[.BARBEKISD]e,lle marauiglic di san Pancratio martire. . . ,
Carmagnola 1655.
(1") Per scongiurare il colera nel 1884 « l e medaglie distribuite nella sola Italia sorpas-
sarono la cifra di 400.000 ». Cf. LEMOYNEL,a Vergine potente ossia alcune grazie concesse
da Maria SS.Ausiliatrice (LC),Torino 1885, p. 117.
e i trionfi della Chiesa da Lepanto a Vienna, alla prigionia di Pio VI1 e
alle « calamità » più recenti (lag). I1 santuario dell'Ausiliatrice eretto a To-
rino ormai condiziona tutta la pietà mariana e il linguaggio di Don Bosco.
Anche i fedeli portano il loro contributo. Maria Ausiliatrice col racconto di
alcune grazie, la Nuvoletta del Carmelo, grazie edite sul Bollettino sale-
siano documentano come per i fedeli I'Ausiliatrice facilmente è un po' come
Consolatrice, Madonna del Soccorso, Mddonna delle Grazie: è un titolo
o un'invocazione, che nei tempi recenti ha dimostrato la sua efficacia. Don Bosco
stesso non fa distinzioni. Esorta a chiedere all'Ausiliatrice qualsiasi grazia per
l'anima (in ordine al fine soprannaturale) e per il corpo; per sé o per gli altri,
per le necessità dei popoli e per quelle della Chiesa.
Anch'egli però, quando agisce in forza delle radici pii1 profonde della de-
vozione mariana, dimentica quasi il titolo di cui si era fatto promotore.
Quando, ad esempio, nel 1867 si trovò in angustie perché si voleva idiggere
la condanna all'lndice al suo Centenario di S. Pietro Apostolo, in un momento
di prostraiione morale con mano pesante lasciò cadere sul memoriale di difesa
elaborato ciall'allora amico mons. Gastaldi due semplicissime parole: Maria
aiutatemi. Non: Maria Immacolata, non Maria Ausiliatrice, ma semplicemente
Maria aiutatemi. Poi, riprendendosi e ricordandosi del titolo preferito, con
mano più leggera e più attenta premise: Ausiliatrice. Sicché oggi leggiamo in
calce alle nitide linee di mons. Gastaldi questo trittico singolare, goffo e an-
goloso, che non è un capolavoro di calligrafia, ma di religiosità: Ausiliatrice
Mavia aiutatemi ('On).
Sul letto dell'agonia non è l'invocazione Immacolata o Ausil~atriceche
fiorisce sulle sue labbra contratte, ma l'invocazione di Madre; una, due e più
volte: Madre, Madre. . . Maria Santissima: Maria, Maria . . .
Maria allora è presente in quel che è di più essenziale per ogni cattolico:
Colei che prega per noi peccatori in vita e in morte; Colei che apre le porte
del paradiso insieme al suo figlio. Così appunto la invocò allora Don Bosco:
« In manus tuas, Domine, commendo spiritum rneum . . . Oh Madre . . . Ma-
dre. . . apritemi le porte del paradiso » ("').
('m) Significativa è un'allegoria del Santuario, dovuta al pittore Rollini e così dc-
scritta in Bosco, Maria Ausiliatrice col racconto di alcune grazie. . . , Torino 1875, p. 49 s:
«L'angelo messaggiero di Dio, bello di gioventù e forza, scaccia i'Eresia, gmppo di figure;
cioè la Riforma in figura di donna, che al vedere gli angeli riverenti, i quali adorano il SS.
fugge spaventata portando neli'una mano la bibbia adulterata e abbandonando daii'altra,
quali armi spuntate, la maschera deli'ipocrisia e le monete cornittrici, con cui tenta di recar
guerra al SS. Sacramento; 2" il Materialismo in figura d'uomo di forme atletiche, il quale
stringendo una fiaccola accesa onde portare incendio e distruzione dovunque passa la Ri-
forma, esso pure è rovesciato dali'angelo, e rotolando dali'alto sembra si stacchi dalla volta
per piombare a capofitto sul pavimento ».
('On) Cf. AS 133 Papi, S. Pietro, riprodotta da Leonard VON M m - I-Ienri Bosco,
Don Bosco, Torino 1965, tav. 118.
("O) MB 18 p. 537.

10 Pages 91-100

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
CAPITOLO VI11
I NOVISSIMI
1. La morte e I'aldilà nella vita di Don Bosco
Non bisogna dimenticare che la morte toccb prestissimo Giovanni Bosco.
A tre anni era già orfano di padre. Ricordava benissimo cosa avvenne quando
tutti uscivano dalla camera del defunto ed egli voleva assolutamente re-
starci:
« Vieni, Giovanni, vieni meco, - ripeteva l'addolorata genitrice. - Se non
viene papà, non ci voglio andare, - risposi. - Povero figlio, ripigliò mia madre,
vieni meco, tu non hai più padre. - Ciò detto, ruppe in forte pianto, mi prese per
mano e mi trasse altrove, mentre io piangeva perché ella piangeva. Giacchk in quella
età non poteva certamente comprendere quanto grande infortunio fosse:la perdita
del padre (1).
Altri avvenimenti luttuosi sono ricordati nelle Memorie dell'Oratouio:
la morte di Don Calosso, quella dell'amico Paolo Braja e dello studente
annegato alla Fontana Rossa (l)).
I Cenni sul Comollo, come documento abbastanza vicino ai fatti, gio-
vano a loro volta, a far conoscere con più immediatezza i sentimenti che
si muovevano in Don Bosco all'evocazione degli ultimi destini dell'uomo.
Che anzi, in più di un fatto ci manifestano una certa continuità con temi e
atteggiamenti che si ritroveranno nella stessa vita di Don Bosco. La morte
domina nei Cenni per i nessi che ha con la sanzione eterna. Sta quindi sullo
sfondo, a eccitare elementi emotivi, la posta finale: il premio eterno o le
pene eterne. L'eternità fa si che la morte faccia trepidare e si stia in ansia
per la sua incertezza: incerta è l'ora della morte, incerto è il comportamento
deli'uomo negli ultimi istanti della sua vita, incerta è perciò la sorte che
spetterà a ciascuno per tutta l'eternità. Don Bosco pone queste considerazioni
sotto l'occhio dei lettori come ultimi ricordi lasciati dall'amico: «Non

10.2 Page 92

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Don Bosscaoi nealnlacostroariasdeellbarreevliig,iosoitàlucantgtohliica.saVroalnIIn. oSteillagiorni di tua vita; ma checché ne
sia sull'incertezza dell'ora, n'è certa la venuta; perciò fa in maniera che
tutto il tuo vivere altro non sia che una preparazione alla morte al Giudi-
zio (9.È il tema comunissimo ai libri ascetici e devoziouali dell'epoca.
Tra questi, come noti a Don Bosco o al Comollo, sono da ricordare le
Massime eterne e l'Apparecchio alla morte di S. Alfonso, più l'opera del
Pinamonti l'lnierno aperto al cristiano. Nei Cenni si scopre la filigrana
dell'animo di Comollo e di Don Bosco stesso, che con l'amico manifesta una
certa ansia della sorte eterna, e anzi, un desiderio di scoprire i segreti d'ol-
tretomba che li riguardavano. I n fondo è sempre l'ansia della salvezza personale
che si manifesta, ancora una volta, sotto quest'aitra prospettiva.
Un giorno - riferisce Don Bosco nelle Memorie dell'Oratorio -, dopo aver
letto un lungo brano della vita dei Santi, tra celia e serietà dicemmo che sarebbe
stata una grande consolazione, se quello che di noi fosse primo a morire avesse por-
tato notizie delio stato suo. Rinnovando più volte tal cosa, abbiamo fatto questo
contratto: - Quello che di noi sarà il primo a morire, se Dio lo permetterà, recherà
notizia di sua salvezza al compagno superstite m (4).
I Cenni con maggiore evidenza ci pongono in luce il nesso tra la re-
ciproca promessa e l'angustia della salvezza. Prossimo a morire, Comollo avreb-
be ancora detto:
A seconda del patto che abbiamo fatto coiie più obbliganti promesse, cioè ore-
mus ad inuicem u t saluemur, non solo voglio che si estenda sino alla morte dell'uno,
o dell'altro, ma di ambidue; onde h c h é tu condurrai i tuoi giorni quaggiù, prometti,
e giura di pregar per me
Nella notte dopo le esequie, quando incombeva su tutti il ricordo
dello scomparso, un gran frastuono sulla mezzanotte lasciò terrificati i chie-
rici della camerata in cui si trovava Don Bosco. Questi e qualche altro sen-
tirono per tre volte la voce dell'amico che gridava: <( Bosco, sono salvo » (&).
(3) [Bosco], Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo . . ., Torino 1844,
p. 61.
(4) M 0 p. 105. Fatti dei genere non sono rari nell'agiografia: «Narra Vincenzo
vescovo, come due scolari molto divoti e virtuosi, che molto si amavano insieme, fecero
tra di loro questo accordo che 1' primo di essi che morisse, dovesse (se cosi però piaceva
a Dio) apparire dopo morte all'altro. In capo d'un certo tempo ne mori uno di loro: il quale
passati alcuni giorni apparve al compagno vivo, dal quale essendo addimandato come stava,
rispose: - Io sto bene, e son tanto consolato, che meglio non saprei desiderare. Imperoché
io sono unito con Christo neila Patria beata ». Cf. VALERIBOALLARDIDNA IVENEZIA, O.F.M.
Cap. (m. 1618), Prato fiorito di varii essempi..
p. 214. Quest'opera venne più volte ristampata:
.V,elnibez. ia1,1c6p1.22;01,6e2s0em. .p.i,o12715,0.Venezia
1605,
(5) [Bosco], Cenni storici, p. 60 S.
(6) M 0 p, 106 s: «Bosco, io son salvo! », sarà la traduzione dal piemontese: << Bosch,
mi san sal"»? Cf. anche Bosco, Nuovi cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo.. . ,
I n seguito l'ansia di Don Bosco si trasferisce in misura notevole sui
giovani. Ora sono parole sussurrate aii'orecchio, ora interrogativi gettati nella
confidenza della conversazione, ora bigliettini fatti trovare sul guanciale o
strisce di carta consegnate come strenna della Madonna: Come stai di anima?
Se morissi stanotte? Con migliore avvenire studia di riparare al passato: che
ritardi? (7).
Rispecchia pienamente la sua mentalità la reazione contro chi protestava
per il ricordo troppo frequente della morte ai giovani educandi: << Una delie
magagne della pedagogia moderna è il non volere più parlare dei Novissi-
mi ( 8 ) . Sentenza, che sembra avere come precedente quanto Comollo racco-
mandò all'amico:
«Felici quelli che passando i loro giorni in opere sante e pie si trovano apparec-
chiati per quel momento. Se poi sarai chiamato dal Signore a divenir y i d a delle
anime altrui, inculca mai sempre il pensiero deUa morte, del giudizio, rispetto alle
Chiese. . .
Gli uomini pensano di quando in quando alla morte, credono che verrà quella
non voluta ora, ma non vi si dispongono, eppercib allorché s'appressa il momento riman-
gono confusi, e chi muore in confusione per lo più va eternamente confuso! » ( 9 ) .
Non è da escludere pertanto che Don Bosco, dando importanza all'Eser-
cizio mensile della buona morte (dehendolo, con un'espressione che gli era
familiare, come elemento chiave dell'opera educativa)(") abbia agito in
forza di quel che aveva assimilato dell'amico. Comollo leggeva e rileggeva le
meditazioni sull'inferno del Pinamonti, «benché trista e spavenFsa » ne
fosse la materia, reputava meglio considerare le pene dell'inferno da vivo, che
doverle sperimentare sensibilmente dopo morte » (l1). Luigi Comolio era morto
in odore di santità: si era salvato, ed era ciò che Don Bosco desiderava di
tutti i suoi giovani.
D'altra parte l'interrogativo sulla salvezza eterna doveva giuocare un
ruolo non piccolo sulle leve emotive di Don Bosco in occasione di qualche
decesso. Pietro Enria, nei suoi ricordi per il processo di beatscazione di
Torino 1884, p. 107: «Si
per nome il compagno tre
ode distintamente
volte consecutive,
driicsue:on-areIola
voce
sono
del Comollo
salvo! ».
che,
chiamato
(') Cf., ad es., MB 6 p. 383; 399 S. Ltltima espressione C uno dei fioretti dati ai
giovani in nome delia Madonna nel 1862: AS 132 Fioretti, riprodotto in L. VONMATT .
H. Bosco, Don Bosco.. ., Tonno 1965, tav. 97.
DB
l'avrebbe
detto
a
Don
Francesco
Cermti
verso
il
1885.
Cf.
MB
2,.
o.
&
214.
(9) [Boscol, Cenni storici, p. 61 S.
(m) DB a Don Giov. Cagliero, Torino, 1' agosto 1876: Raccomanda cbe non mai
si ometta l'esercizio mensile deila buona morte. G questa la chiave di tutto», cf. ms. ong.
in AS 131.01 Cagliero, MB 12 p. 273; Epistolario 1477. Pochi mesi dopo, componendo il
discorso sul Sistema preventivo derrnerà che le «affettuose parole» che il direttore dirà
ogni sera dopo le preghiere in comune ai giovani educandi hanno il medesimo valore:
«Questa è la chiave della moralità n: cf. Inaugurazione del Patronato di S. Pietro in Nizza
c Mare. . ., Torino 1877, p. 29 S.
(11) [Bosco], Cenni storici, p. 48.

10.3 Page 93

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Don Bosco, aveva ancora scolpito nella mente il pianto di lui, quando ai
giovani nel dicembre 1855 annunziò la morte di Secondo Gurgo, il primo
giovane spirato all'Oratorio. Tutti furono profondamente commossi per l'af-
fetto che Don Bosco manifestava per uno di loro. Né poterono dimenticare
la desolazione del padre comune, quando venne a morire mamma Marghe-
rita. La morente dovette imporre ai circostanti di allontanare il figlio sacet-
dote, perché lei stessa non reggeva alla vista del figlio afflitto (l2).
Quando però Don Bosco contemplava la morte slegata dal complesso
affettivo, allora quasi meccanicamente circondava il fatto fisico con immagini,
concezioni antropologiche e teologiche dei dotti e del popolino. L'uomo
- come già nòtammo - gli appare come composto di anima e di corpo;
la morte, come la «separazione P dei due elementi, come momento in cui
l'anima finalmente rompe i legami corporei, sicché il corpo, quasi platoni-
camente, appare come prigione e come peso che trattiene su questa povera
terra, legata alla materia, l'anima spirituale.
Newman nel suo Sogno di Geronzio, porta a meditare il venir meno
nel morente, l'estinguersi delle proprie capacità psichiche, la dissoluzione
imminente, il timore di cadere nel nulla, il sentimento di non capire e di
non essere più niente. Don Bosco, sulla linea della trzdizione popolare deri-
vata dal Medioevo, fa apparire a fianco del moribondo il demonio che mol-
tiplica i suoi sforzi per condurre a dannazione. In quei terribili momenti
sopravvengono gli assalti della disperaiione, della sfiducia, della protesta.
Non si vuole la vita eterna, ma quella terrena, si ha vergogna di confessare
i peccati, si ha timore che le confessioni passate siano difettose e sacrileghe,
si trema al pensiero del giudizio tremendo che si dovrà affrontare
Tutti i peccati tuoi
Verranno a te davante,
Ohimè! le gravi e quante
Vedransi colpe in te.
Qual candida colomba,
Qual innocente Abele,
Tu puro e senza fiele,
Eri creduto un di.
Qual vista ailor faranno
I tuoi pensieri indegni
E que' livori e sdegni
Che I'alma in sen nutrì.
E se per vi1 rossore
Tacesti il tuo peccato,
Sarà in quel dì svelato
Per farti vergognar.
Monti, su me cadete,
Apriti, terra, omai,
Confuso griderai,
Ma invan sarà il gridar.
Del Giudice supremo
L'orribile presenza,
E la fatal sentenza
Fa d'uopo sostener (l1).
Spirato che sarò, ecco il giudizio,
Senza pietà il Signor
(12) La testimonianza di Enria & ali'AS 110 Enria, quaderno 2, p. 23-25; sulla morte
di mamma Margherita cf. MB 6, p. 560-568.
(13) Dalla lode Ahi! che l'orribil tromba D, che si trova in vari repertori di sacre
iodi per le Missioni popolari del Sette e Ottocento e sul Giovane prouueduto, Torino 1847,
p. 336-338.
Pien d'ira e di terror
Mi cerca i conti.
Pietà, Signor, pietà d'un miserabile
Pietà d'un traditor,
Pietà, perdon Signor,
Se no, son perso.
Mi vedo sotto il piè I'inferno aperto.
Demoni, Turchi, Ebrei
Bmciar, gridar co' miei
Tristi compagni.
Pieti, Signor, pietà d'un miserabile . . . (")
Newman, contemporaneo a Don Bosco, ma di un diversissimo ambiente
culturale e di sensibilità profondissimamente legata ad altri interessi, immagina
le tentazioni che salgono da un mondo che dubita della stessa esistenza del-
I'aldilà. Don Bosco freme e canta con i motivi delia tradizione devota popo-
lare e sotto l'influsso di una teologia fermamente convinta dei suoi valori spi-
rituali e immortali.
Sotto altra prospettiva la morte appare anche come una sciagura, come
conseguenza del primo peccato, quindi anche come espiazione. Essa perciò
ripropone il grande problema del dolore nel mondo (l5).
I n prospettiva alquanto più ottimistica la morte è presentata come
grazia, giacché Dio, mosso dalla sua misericordia, avrebbe commutato la
morte eterna per tutta l'umanità con quella fisica (l6). Tuttavia è sempre il
peccato a offrire le motivazioni più profonde sulla morte; o , se si vuole, il
peccato posto in relazione alla morte di Gesù Cristo. L'offerta della propria
morte a Dio in sacrificio di espiazione è appunto ispirata da un contesto di
teologia e di pietà che pone mente alla morte di Cristo come sacrificio la-
treutico ed espiatorio, in cui si considera come elemento sacrificale la « di-
struzione » del proprio essere.
Una visione guadiosa della morte c'è anche in Don Bosco. Ma la gioia
(M) Lode: «So, che ho da morir », sui quattro novissimi; anch'essa è della tradizione
popolare piemontese. Sul Giouane prouueduto, ed cit., p. 335 S.
('5) DaUa Preghiera per la buona morte: a Quando verserò le mie ultime lagrime,
sintomi della mia distruzione, ricevetele in sacrificio di espiazione, acciocché io spiri come
una vittima di penitenza D. E più sotto: n O Dio, che condannandoci alla morte, ce ne avete
nascosto il momento e l'ora.. . »: cf. Il giovane prouueduto, Torino 1847, p. 141 S.
(16) [Bosco], Esercizio d i diuozione alla misericordia di Dio, p. 55: « I nostri primi
genitori Adamo ed Eva disobbediscono a Dio e coi peccato si rendono indegni del paradiso
e colpevoli di morte. Il misericordioso Iddio loro cangia la morte eterna nella morte tempo-
rale e li conforta colla promessa di un Salvatore ». La sanzione immanente al peccato è
posta in maggiore evidenza ne Il mese d i maggio, giorno 20, Torino 1858, p. 119: Adamo
disubbidisce a Dio, e con tale disubhidienza condanna se stesso e tutta la sua discendenza
alla morte eterna; ma Iddio viene tosto in soccorso colla sua misericordia, e cangiando la
morte eterna dell'anima colla morte temporale del corpo, somministra un mezzo di salute
colla promessa del Salvatore ».

10.4 Page 94

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Don Boscnoonnellaprsotovriiaendeelldaarel lignieosssitoà ccaottonliclaa. VRoilsIIu. rSrteezlliaone. I n Don Bosco non si trova un
discorso sulla morte come inizio del trionfo di Cristo glorificato anche nelle
sue membra, bensi quello del guadagno e del riscatto col prezzo del divino
Sangue e dei meriti del Salvatore. La ragione è che Don Bosco è sulla linea
di Don Cafasso, di S. Alfonso, di Bossuet, dell'humiliavit semetipsum factus
oboediens usque ad mortem. L'ignominia della morte è estesa oltre alla
Croce: alla morte stessa, come umiliante per la natura umana degradata
a causa del suo peccato originario di superbia (l7). La visione gaudiosa è data
invece dal presentimento della felicità eterna che succederà finalmente agli
anni trascorsi nella terrena valle di lagrime.
2. I1 paradiso
Ma perché sia motivo di speranza, bisogna anche che il pensiero del pa-
radiso sia il riflesso della buona coscienza. Questa soltanto può giustificare
I'erompere gioioso del canto popolare semplicissimo giunto fino all'ambiente
di Don Bosco:
Paradiso! Paradiso!
Degli eletti, o gran città,
In te gioia, canto, e riso,
Regna, e sempre regnerà.
Sono puri in te i diletti,
Non mai misti di dolor,
Paghi sempre son gli affetti,
Scevri affatto di timor.
O felice e lieto giorno,
Che a goderti volerò,
I n che amabile soggiorno
Ivi ognor mi troverò? (18)
Quella del paradiso è una delie idee sovrane che compensano l'insod-
disfazione della vita terrena. Don Bosco molto spesso inserisce nel meccanismo
del risanamento interiore la prospettiva della gloria di Dio e della salvezza
delle anime: motivi di amore altruistico. Ciascuno - egli ripete - sia pronto
a sopportare il caldo il freddo, la fame la sete, le ingiurie tutte le volte che
ciò sia richiesto dalla maggior gloria d i Dio e dal bene delle anime (l9). Non
(17) Bosco, Il mese di maggio, giorno 3, Torino 1858, p. 30: «Considerare eziandio
che gran male sia il peccato poiché per riparare le conseguenze di esso, il Figlio di Dio ha
dovuto lasciare le delizie del cielo, assoggettarsi a tutte le miserie della nostra vita e finire
colla morte in croce D.
(l8) IBosco], Il giovane provveduto, Torino 1847, p. 340-342.
Sal
e
.(19)
s.. ,
L'espressione è
cp. 13, Torino
fissata
1875,
nelle Regole o Costituzioni della Società
p. 39, ma rispecchia una mentalità che
di S. Francesco
emerge allorché
di
si
discorre della salvezza delle anime.
Suli'idea della gloria di Dio neila spiritualità di DB cf. Francis DESRAMAUT, Don BOSCO
et la vie spirituelle, Paris 1967, p. 226-230.
meno abituale gli è la fiducia che un pezzo di paradiso aggiusta tutto. La
letteratura ascetica, come La guida del peccatore del domenicano Luigi di
Granada, la Filotea di S. Francesco di Sales, l'Apparecchio alla morte di
S. Alfonso, le Vite dei Santi contribuiscono ad alimentare tali persuasioni.
Don Bosco attinge propriamente le pagine sul paradiso alla Filotea e al
Mese di maggio del gesuita Alfonso Muzzarelli, il cui tessuto più suggestio-
nante è ricavato dai piaceri del mondo sensoriale e fantastico: cibi, musica,
bellezze che appagano la vista: tutte queste cose ci saranno in paradiso, pro-
mananti sostanzialmente da Dio stesso visto e
Uno spicco singolare ha il paradiso nelle opere agiografiche e biografiche.
Esso inonda con l a sua luce che traspare dal volto e da tutto il comporta-
mento dei santi morenti. L'aspirazione: « Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in
pace con voi l'anima mia » e la supplica a S. Giuseppe, che interceda perché
si possa morire come lui, tra le braccia di Gesù e di Maria (") sembrano quasi
trasformarsi in interpretazione agiografica degli ultimi eventi di Comollo, Savio,
Magone, Cafasso, Besucco. Luigi Comollo nell'atto che si pronunciavano i nomi
di Gesù, e di Maria, sempre sereno, e ridente in volto, movendo egli un
dolce sorriso a guisa di chi resta sorpreso alla vista di un maraviglioso, e
giocondo oggetto, senza far alcun movimento » spirò Domenico Savio
disse « addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro, ed
io non posso più ricordarmi. . . Oh! che bella cosa io vedo mai. . . Cosi
dicendo e ridendo con aria di paradiso spirò colle mani giunte innanzi al
petto in forma di croce senza fare il minimo movimento
Magone <( proferi
queste sue ultime parole: Gesù, Giuseppe e Maria io metto nelle vostre mani
I'anima mia. Quindi piegando le labbra come se avesse voluto fare un
sorriso, placidamente spirò i").Don Cafasso poco prima di spirare apre
gli occhi, pare voglia parlare, egli alza le mani, il suo corpo sembra solle-
(n)[Bosco], Il giovane provveduto, Del paradiso, Torino 1847, p. 48: e Quanto mai
fa bel vedere il Cielo con quella moltitudine e varietà di stelle! Aggiungi la vista di un bel
. giorno, dimodoch6 la chiarezza del sole non impedisca la chiara vista delle stelle della
luna.. »; S. FRANCESCO DI SALESI,ntroduzione alla uita divota, pt. 1, cp. 16, in Opere, 1,
Venezia 1735, p. 20: Considerate iuia hella notte ben serena, e pensate come fa bel vedere
il Cielo con quella moltitudine, e varietà di stelle, or aggiungete adesso questa bellezza a
quella d'un hei giorno, in
vista delle stelle, né della
lmunoado. .c.hDe.
la
chiarezza
del
Sole
non
impedisca
punto
la
chiara
Bosco, Il mese di maggio, giorno 28, ed. c., p. 160: «Ci piace la musica? Ma che
dolce musica sarà mai quella degli angioli e dei santi in paradiso! Un solo isttumento ce-
leste toccato per pochi istanti da un serafino rapl fuori dei sensi estatico S. Francesco d'As-
sisi. . . »; A. MUZZARELILl Im, ese di Maria, giorno 15, Torino, G. Marietti 1842, p. 62:
e Vi piace la musica? Ma che dolce musica sarà quella degli Angeli e dei Santi in paradiso!
Un solo istrumento celeste toccato per pochi istanti dalla mano di un serafino rapi fuori dei
sensi estatico san Francesco d'Assisi ».
(2') [Bosco], .!I giovane provveduto, Torino 1847, p. 139.
(") [Bosco], Cenni storici, p. 70 S.
(") Bosco, Vita del giovanetto Sauio Dome~tico,Torino 1859, p. 119.
(2)BOSCO, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele, Torino 1861, p. 83.

10.5 Page 95

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
vato in alto ». « A h si - esclama Don Bosco -, Maria è venuta a confor-
tarlo, Maria lo assiste, lo chiama » (=). Francesco Besucco, narra sempre
Don Bosco «pareva non potesse più avere che pochi minuti di vita; quando
egli trasse fuori le mani tentando di levarle in alto. Io gli presi le mani e le
raggiunsi insieme affinché di nuovo le appoggiasse sul letto. Egli le sciolse e
le levò di nuovo in alto con aria ridente tenendo gli occhi fissi come chi
rimira qualche oggetto di somma consolazione » (=). L'intera produzione agio-
grafica di Don Bosco, le vite di S. Martino, Caterina de Mattei da Racconigi,
Maria degli Angeli carmelitana scalza, medaglioni della Storia ecclesiastica of-
frono con le necessarie varianti il medesimo motivo dominante della morte
gaudiosa del giiisto.
L'aspirazione Laetantes ad Dominum zbirnus, che Don Bosco attinge
alla letteratura aloisiana a lui nota (Cepari, Cesari, Croiset, De Mattei)(27)
acquista il suo pieno senso dalla bipolarità in cui è situata: tra il premio
eterno e la valle di lagrime, tra l'esilio terreno e la patria celeste. L'esilio e
il senso del pellegrinaggio nel Medioevo non necessariamente comportavano un
sentimento di diffidenza nei riguardi delle persone e cose dalle quali ci si se-
parava. I peliegrini del Medioevo talora concentravano la loro spiritualità
sulio stato che avevano abbracciato, che loro permetteva di immergersi con
più agio nella contemplazione di Dio. Nell'era di Don Bosco, suila scia della
letteratura devota del tardo Medioevo e dell'età moderna (alfonsiana o no) il
considerarsi pellegrini in terra più facilmente suscitava il pensiero del mondo
traditore con i suoi adescamenti e i suoi «lacci ». Perciò il Laetantes imus
esprimeva il sollievo di chi finalmente si sottraeva alla situazione di pericolo.
L'idealizzazione religiosa poi, facilmente portava a creare dei siniboli, a
trasferire in una qualche misura la pregustazione del paradiso agli ambienti
che più permettevano di « darsi » a Dio e concentrarsi nei valori che veni-
vano ritenuti i piìi alti. La vita all'oratorio è come un paradiso. Valdocco
è l'isolotto sicuro dai marosi maliidi, angolo tranquillo per i giovani in quei
tempi calamitosi, angoIo benedetto dal Signore con grazie straordinarie. In
questa oasi molti finivano per rimanere durante le vacanze estive, o anche per
tutta la vita, perché vi riconoscevano il posto ideale per vivere bene in terra e
garantirsi il Cielo (").
(") Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso esposta in due ragionamenti
iunebri, Torino 1860, p. 108.
(26) Bosco, Il pastore110 delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco, Torino
1864, p. 168.
(27) [Bosco], Le sei domeniche e la novefia di san Luigi Gonzaga. . ., giorno 9, Torino
1846, p. 36s: «Egli è perciò che all'avviso di morire cantb il Te Deum, e pien di alie-
. grezza andava ripetendo: oh che sioja, ce ne andiamo: Loetantes imus D; DE MATTEII,l gio-
vine angelico san Luigi Gonraga... domenica 5, punt. 3, Genova 1843, p. 57: «Ail'awiso
di morire cantò i1 Te Deum, indi ripetea con gioja: Laetantm imus, Laetantes imusn.
(*a) CL. i ragguagli di Francesco Besucco sulla feliciti1 che gode aliOratorio: Bosco,
I1 pastore110 delle Alpi.. ., Torino 1864, p. 130-147 (l'originale di queste lettere è di un
italiano alquanto più scorretto, coincide però nella sostanza al testo riprodotto da DB: AS
3. L'inferno
La letteratura religiosa popolare ancora nell'ottocento era alimentata
da temi e figurazioni derivati dal Medioevo. L'inferno era il luogo delle pene
spirituali e sensibili. Le pene del senso riguardavano le tre potenze dell'anima,
memoria intelletto e volontà, e i cinque sensi del corpo. Strumento universale
di castigo erano il fuoco, lo zolfo incandescente, il piombo, il fetore infernale,
il fumo che penetrava gli occhi, la vista dei demoni, l'urlare disperato e
ininterrotto, i1 supplizio che gli uomini si procuravano a vicenda, le torture
più o meno raffinate che gli angeli ribelli applicavano agli uomini. Tutti erano
divorati dal verme del rimorso, dal sapere che per beni momentanei avevano
barattato quelli eterni . . .
Don Bosco assimila e ripete queste raffigurazioni, compresa quella del-
l'inferno luogo sotterraneo, le fa proprie nel Giovane provveduto, nel Mese
di maggio e in prediche e sogni; le fa balenare nei suoi moniti sull'anima
da salvare e il paradiso da acquistare. Le deriva propriamente dall'Appauecchio
alla morte, dalle Massime eterne, forse anche in parte dal Beyerlinck, dal
Segneri, dal Pinamonti, dal Rosignoli, dal Cattaneo, dal Biamonti, autori che,
quasi tutti, come pastori d'anime avevano fatto leva sull'inferno per condurre
alla conversione.
A questi quadri terrificanti, infatti, non bisogna chiedere altro che il
concetto teologico dell'inferno che consiste nella privazione eterna di Dio
e nella condanna a ogni male possibile agli uomini reprobi. Ma soprattutto
bisogna prenderli in considerazione come uno degli elementi forza nella
religiosità cattolica della conversione, elaborata da conoscitori della"psico1ogia
del popolo, predicatori di Esercizi e di Sacre missioni. Nel contesto di tutta
la predicazione e di tutta questa religiosità l'inferno è soltanto una fase.
in cui già. si fa leva sui motivi che si vogliono maggiormente sviluppare: il
timore, il proposito di gettarsi ai piedi del Padre celeste, come il Figlio1 pro-
digo, la fiducia di essere perdonati, la risoluzione di non perdere di vista il
il fine supremo per il quale si è stati creati (").
123 Besitcco). Occorrerebbe inoltre evocare, a proposito delioratorio, letterine d i ragazzi
. (AS 115) e di salesiani dei primi tempi (AS 275): Bonetti, Francesia, Oreglia, Angelo
Savio . .
(a)Il giovane provveduto (Torino 1847, p. 45), mutuando quasi integralmente dalle
Massime eterne cosi conclude la considerazione sull'inferno: « . . . T u maledetto da Dio sarai
cacciato via da quella patria beata, dal godimento di lui, dalla compagnia della Vergine, degli
Angeli e de' Santi. Orsù adunque penitenza; non aspettare che non vi sia più tempo; datti
a Dio. Chi sa che non sia questa l'ultima chiamata, a cui se non corrispondi, Iddio ti ah-
handoni e ti lasci piombare giù in quegli eterni supplizi D. Come notammo, non si tratta
solo di un genere letterario, ma di una mentalità che DB tendeva a muovere. I giovani dove-
vano esattamente trasalire, quando si sentivano rivolto da DB (che conoscevano profeta) la
domanda: Se morissi questa notte?

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
CAPITOLO IX
FELICITA E SALVEZZA, ISTANZE UMANE E CRISTIANE
1. Felicità e religione
Non è ovviamente il primo Don Bosco ad avvertire il rapporto tra
felicità e religione: si tratta infatti di istanze antiche quanto i'uomo. Nem-
meno è il primo a sentire questi due valori fondamentali in rapporto aUe
istanze specifiche dei giovani. Quando egli si rivolge a loro in quel sua primo
tentativo di esposizione metodica, che è il Giovane provveduto, non fa che
esprimere in termini abbastanza personali quanto aveva potuto leggere suila
Guida angelica, manualetto di ascetica per adolescenti, compilato a metà
Settecento da un sacerdote milanese (l).
L'istanza fondamentale che è riconosciuta negli uomini è quella della felicità.
Questo è il valore a cui vengono spesso subordinati gli altri, compresi quelli
religiosi della vita presente e della futura. E Don Bosco, come l'autore deila
Guida angelica, accetta tale persuasione senza discuterla (l). Non era d'altronde
in contrasto con la sua mentalità, che poneva Dio come termine supremamente
appagante la sete umana di beatitudine: «l'uomo - egli dice - è nato per
godere » (').
I1 giovane con il quale si pone a colloquiare nel prologo del Giovane
pvouveduto è, trasparentemente, un giovane che crede. Un giovane, cioè,
al quale la religione (la religione cattolica) si presenta come una necessiti.
( i ) Guida angelica, ossiano pratiche istruzioni per la gioventù. Opera utilissima a
ciascun giovanetto, data aUa luce da un sacerdote secolare miianese. Corretta ed accresciuta,
Torino, Stamperia Reale 1767. Cf. STELLA, Valori spirituali nel «Giovane provveduto »
di san Giovanni Bosco, Roma 1960, p. 51-61.
Cf. avanti, nota 4 e 5.
(3) MB 7, p. 507; Bosco, Il mese di maggio, giorno 2, Torino 1858, p. 24, che t. i'&-
segnamento del Catechismo: «D. Per qual fine Dio vi ha creato? - R. Per conoscerlo,
amarlo e servirlo in qucsra vita, e poi andarlo a godere per sempre nella celeste
Patria n: cf. Compendio della dottrina cristiana ad uso della diocesi di Torino, Breve Ca.
techismo, la. 1, Torino, Paravia [18441, p. 12.

10.7 Page 97

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Don Boscocnoemllae stqouriaaldceolslaaredligaiosaitcàcceattttaorlieca.aVloml IeI.nSotelplarima di dover comparire davanti al
Giudice divino, per scampare all'eterna infelicità nell'inferno. È un giovane
a cui la religione si profila come qualcosa che è abbastanza contronatura, in
quanto costringe a muoversi in un dato alveo, esige la rinunzia di piaceri
verso i quali l'uomo tende per natura, come a beni appaganti.
Ma quale natura? si tratta di quella natura che la dottrina cristiana
indica come indebolita dal peccato e perciò incline a scambiare per bene ciò
che invece per l'uomo, anche nella vita terrena è male? oppure si tratta della
natura percepita come sana o seguita nei suoi valori più sani?
I1 giovane, di cui Don Bosco scruta e mette in pubblico i pensieri, non
pare avverta @le distinzione, pare inoltre che intenda per religione la vita
in grazia di Dio, una vita in cui tutto è ordinato, misurato, controllato, pra-
ticato in modo da evitare peccati in pensieri parole e opere. Religione è intesa
genericamente come il servire Dio, il compiere un servizio al quale sia insito
il costringersi ad *<unavita malinconica e lontana da ogni divertimento e
piacere » (9).
E il giovane, per riuscire a godere in questa vita e nell'altra, deciderebbe
di darsi al servizio di Dio all'ultimo momento, in punto di morte, nella
persuasione che non sarà mai possibile « che per quaranta, cinquanta o ses-
sant'anni . . . D si possa camminare « per la difficile strada della virtù sempre
lontani da' piaceri (9.
Attraverso l'esame di autobiografie e di carteggi (ad esempio di Alfieri,
Cavour, Santorre di Santarosa, Massimo d'Azeglio) sarebbe possibile stabilire
in quale misura l'atteggiamento giovanile riprodotto da Don Bosco risponda
ad una situazione oggettiva nell'ambiente piemontese. Conosciuta la sensi-
bilità di Don Bosco ai « bisogni dei tempi », non pare che il suo sia soltanto
un accorgimento letterario, che anzi sarebbero possibili altre controprove su
(') [Bosco],
principali, con cui
Il giovane
il demonio
provveduto, Torino 1847,
suole allontanare i giovani
p. 5
dalla
vs:irtù«.DIilleprsiomnoo
èd'fianrgalnonroi
venir in mente che il servire al Signore consista in una vita malinconica e lontana da
ogni divertimento e piacere [.. .l. L'altro inganno è la speranza di una lunga vita colla
comodità di convertirsi nella vecchiaia od in punto di morte 8 .
Guida angelica, p. 5: «Uno de' principaii inganni, con cui suo1 ritirare l'infernale
nemico li Giovanetti dall'intraprendere ne1 fiore de' loro anni una vita modesta, ritirata,
e divota, si è il prometter loro e lunghezia di vita, e comodità di convertirsi a Dio sul fine
della lor vita S.
(j) [Bosco], I l giovane provveduto, ed. c., p. 28: a Il primo laccio che suole il
demonio tendere all'anima vostra è il presentarvi, come sarà mai possibile che per quaranta,
cinquanta o sessant'anni che vi promette di vita possiate camminare per la difficile strada
della virtù sempre lontani da' piaceri D.
Guida angelica, p. 71: «Una delle tentazioni, e de' principali inganni però, con
cui il demonio proccura di sedurre l'incauta gioventù dal servizio di Dio, è il rappresentar
loro, come sarà tnai possibile, che pcr quaranta, cinquanta, o sessant'anni, che loro promette
ancora d i vita, possano sempre camminare con tanta esattaia, e circospezione neUa
strada della virtù, combattendo continuamente contro de' loro nemici, sempre lontani da'
piaceri ».
giornali dell'epoca (Letture di famiglia, Gazzetta del popolo . . .) e libri di
vario genere, favorevoli o contrari alle tesi di Don Bosco.
La mentalità ch'egli affronta non è propriamente quella dell'ateo, ma
piuttosto quella di coloro che si muovono tra deismo e cristianesimo, tra cat-
tolicesimo e altre confessioni cristiane, tra vita impegnata in tutto il sistema
di pratiche, a cui la cura pastorale tendeva a portare, e una vita che tendeva
a non andare oltre il minimo di impegni esteriori: il minimo e l'essenziale
di frequenza ai sacramenti, con la mente rivolta piuttosto a quanto poteva
apportare un maggior benessere economico, culturale e affettivo nella «civile
società ».
Don Bosco non concede nulla all'obinione che i giovani potevano (o
erano soliti) porre riguardo al « servizio di Dio D. Non è vero che esso con-
sista in una vita malinconica. Anzi è vero il contrario: « Noi vediamo che
quelli, i quali vivono in grazia d'Iddio, sono sempre allegri, ed anche nelle
afflizioni hanno il cuor contento. Al contrario coloro che si danno a' piaceri
vivono arrabbiati, e si sforzano onde trovare la pace ne' loro passatempi, ma
sono sempre più infelici: non est pax impiis » (9.
Su questa risposta categorica ~robabilmenteDon Bosco faceva convergere
le coordinate della sua esperienza e della sua teologia.
La sua esperienza era segnata, già negli anni della giovinezza a Chieri.
dalle imprese della Società dell'Allegria, il cui motto pnté benissimo essere
stato l'espressione Servite Domifio in laetitia (salmo 99,1), che si legge nel
prologo del Giovane provveduto e che, per testimonianza di Don Bosco, era
abituale a Luigi Comollo proprio negli anni trascorsi a Chieri come studente
del Collegio ('). Don Bosco poteva essere ben convinto per esper.ienza perso-
nale, che non c'era affatto contrasto tra religione e allegria. Ancb'egli aveva
potuto percepire, con tutta probabilità, l'intima persuasione che sta al fondo
della usitatissima sentenza di S. Filippo Neri: « Figliuoli, state allegramente,
non voglio scrupoli, né malinconie; basta che non facciate peccati » ('). Anche
in Don Basco malinconia e allegria si trovano ravvicinate e contrapposte.
Ma poté esserci anche di più. Alla luce degli anni trascorsi al Convitto,
la reazione di Don Bosco alle obiezioni giovanili presentate sul Giovane prov-
veduto e in scritti successivi poté avere uno spettro più largo di quello che a
tutta prima potrebbe apparire alla semplice considerazione della mentalità
ch'era venuta maturando nell'età moderna, lievitata dall'illuminismo, iiducioso
(6) [Bosco], Il giovane provveduto, ed. C,, p. 28.
171 iBosco], I l giovane provveduto, ed. cit., p. 5 ; ID., Ceniri storici. . . , Torino,
1844, p. 2 3 S.
( 8 ) Massima che si trova, ad esempio, in [S. A. Bu~zro],Un mazzolin d i fiori
ai fanciulli ed alle fanciulle, ossia untiveleno mirtiano . . ., Torino, Paravia 1836, p. 247.
Il Buriio a proposito dell'allegrexza, si esprime in termini molto vicini a quelli di DB: < « A
voi piace, rigliuoli, figlie mie di star allegri, e d i buon umore, e vi dispiace la tristezza,
e la malinconia; ne avete ragione; io vi lodo; anzi non io solo, ma Gesù Cristo stesso
vi esorta alla santa allegrezza, ed a star lontani dalla tristezza e dalla malinconia » (p. 225's).

10.8 Page 98

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Don Bosnceol neblelansetsosriearedelulamrealnigoio,sitràacgagttioulnicga.ibViolel II.pSietenllaamente se d a una parte si fossero
divelte le barriere poste alla libertà da molteplici soprastrutture della società
e dall'altra, facendo progredire le conoscenze scientifiche. Don Bosco non
pare ahhia di mira, più o meno coscientemente, la mentalità illuminista che
considera il Cristianesimo storico come una soprastmttura opprimente da
disfare; non pare voglia soltanto rinsaldare nella mente dei giovani l'assolu-
tezza, la connatnralità e l'inderogahilità dei valori cristiani. Egli pare ahhia
di mira anche quel rigorismo che veniva di proposito combattuto al Convitto
ecclesiastico quale corresponsabile dell'apostasia moderna e del raffreddamento
della fede. Nei Cenni su Michele Magone, che sono del '61, perciò di un anno
posteriori alla biografia del Cafasso, i'autorevole maestro del Convitto, Don
Bosco scrive esplicitamente: « Io consiglierei di caldamente invigilare che
siano praticate cose facili, che non ispaventano, e neppure stancano il fedele
cristiano, massime poi la gioventù. I digiuni, le preghiere prolungate e simili
rigidi austerità per lo più si ammettono, o si praticano con pena e rilassa-
tezza » ('). Era ciò che si rimproverava ai pastori rigoristi, che caricavano
fardelli insopportabili sui semplici fedeli, soprattutto come penitenza sacra-
mentale o come pegno per l'assoluzione dei peccati; che scoraggiavano e
indebolivano la vita spirituale, facendo astenere irrazionalmente dalla comu-
nione eucaristica. Secondo Don Bosco bisognava aver riguardo « massime »
della gioventù, rispetto alla quale le sue affermazioni avevano il peso asse-
gnato dalla diuturna esperienza educativa e perciò assumevano il valore di
istanze pedagogiche. Più e più volte Don Bosco ripete che la gioventù è
volubile, non è tenace negli impegni, fragile, facile a stancarsi, faciie agli
scoraggiamenti come agli entusiasmi (l0).
Persuaso dunque intimamente per esperienza personale che allegria e
vita cristiana non sono in contrasto, pone la sua cura di educatore cristiano
a dosare insegnamenti e pratica religiosa dei giovani, in modo da renderli
compartecipi sempre più maturi della sua persuasione, che la vita cristiana
non solo non è affatto triste per sua natura, ma anche per sua natura è portata
a espandersi nell'allegria. I giovani stessi potevano constatarlo in Don Bosco,
tra le mura dell'oratorio, oltre che nelle biografie di santi come Filippo Neri,
Rosa da Lima, Luigi Gonzaga, Luigi Comollo ("). Che anzi, nella vita cri-
. (9) BOSCO, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele. . , Torino 1861, p. 46 S.
(m)Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico ... , Torino 1859, p. 37: 2 proprio
deli'età volubile della gioventù di cangiar sovente proposito intorno a ciò che vuole; perciò
non di rado avviene che oggi si delibera una cosa, dimani un'altra; oggi una virtù praticata
in grado
chele, ed.
eminente, domani
c., p. 46 s; ID., Il
ip'oapstpoores1t1o0»;deIllDe.,AClpeni.n.o.,biToogrrianfoico18s6u4l,
giovanetto
p. 113 s.
Magone
Mi-
(11) Sulle arguzie semplici di DB, arguzie adeguate all'ambiente fanciullesco e fmtto
anche deU'animo di un figiio di terre contadine, i'aneddotica è ricchissima. Sugii altri,
attira i'attenzione DB stesso nel Giovane provveduto, ed c., p. 12 s: « Beato quell'uomo che
dalla sua adolescenza avrà cominciato ad osservare i suoi [di Dio] comandamenti.
GQouensztaagvae..r.itàChfui
conosciuta da'
più affabile e
Santi, e specialmente da
più gioviale di S. Luigi
S. Rosa di Lima, e da S.
Gonzaga? Chi più lepido
Luigi
e più
190
stiana è insita la vera allegria, la quale non teme confronti con quella che
può essere prodotta dai piaceri ricercati in cose che sono in contrasto con la
legge di Dio.
La teologia porta Don Bosco a dare una formulazione perentoria al
suo asserto. Egli sostiene (e certamente ne era intimamente persuaso) che la
religione è « sola sorgente della vera felicità » (l2); « solo la religione e la
grazia di Dio può rendere l'uomo contento e felice » (l3); « la sola pratica
costante della religione può renderci felici nel tempo e nell'eternità » (l4).
Così come l'unica «vera » religione è la cattolica, cosi l'unica vera allegria
non può non essere che quella proveniente dal conoscere, amare e servire
Dio come egli vuole. Dio solo può appagare il cuore dell'uomo; così soltanto
la religione può dare la vera allegria, che appunto si attinge a Dio attraverso
i mezzi preordinati da Lui stesso.
Non deve passare inosservato l'aggettivo « vero ». l? quello che Don
Bosco adopera per indicare l'unica religione e l'unica Chiesa di Cristo. In
rapporto all'istanza di felicità l'aggettivo «vera» indica adeguatamente
un'ahitudine mentale di Don Bosco ed ha un signi6cato analogo a quello
inteso da Grozio nel suo trattato De vera religione o da Luigi Maria Grignion
de Montfort in quello della vera devozione a Maria Vergine. Non può
esserci vera felicità, cioè felicità piena, durevole e scevra da inganni, se
non « vivendo in grazia », agendo da « veri » cristiani, nella « fedele osser-
vanza dei « divini precetti D. I l giovane tende all'allegria, cioè alla gioia mani-
festata anche nel divertimento, nei giochi. La vera allegria c'è soltanto in
colui nel quale alberga la divina grazia.
2. Felicità fallace degli empi
Non est pax impiis è, in una qualche misura, il motto corrispettivo a
Servite Domino in laetitia (I5).
Nel Giovane provveduto gli empi sono in genere coloto che si danno
ai piaceri sregolati. La cerchia di tali « empi », sembra quella medesima di
allegro di S. Filippo Neri D. A questo riguardo sarebbero state desiderabili testimonianze di
ragazzi e giovani, per conoscere quali sentimenti avranno potuto suscitare questi interro-
gativi d i DB riguardo, ad esempio, a Luigi Gonzaga. Luigi Gonzaga si preseptava al
loro animo di giovani a metà Ottocento veramente come un ideale in tutto rispondente
alln loro istanze?
(12) BOSCO, La
forra della buona educazione ... , Torino 1855, p. 46:
«Malgrado la
miseria, la gioia cominciò ad albergare nella famidia, perciocché tutti praticavano la
religione, sola sorgente della vera felicità». Per sé è una traduiione da Un mari comme
il y en a beaucoup, une femme comme il y en a peu, Caen-Patis 1853'; ed. 1869, p. 34:
«Malgré leur misère, la joie était dans la maison, car tout le monde pratiquait la r e
ligion, seule source d'o* ddcoule le mai bonheur ».
(13) BOSCO, La forza della buona educazione. . ., ed. c., p. 48.
(14) BOSCO, Il pastorellO delle Alpi. . ., ed. c., p. 180.
(15) Bosco, Il giovane provveduto, p. 28: cf. sopra, nota 6.
191

10.9 Page 99

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Don BoscoS.neAllalfsotonrsiaod, edllai rSel.igLioesioncaartdtoolicdaa. VPoloIIr.tSoteMllaaurizio, di Paolo Segneri e di quanti
si muovevano nell'ambiente religioso popolare italiano. Esponendo il fine
dell'uomo sulla scia delle Massime eterne, Don Bosco nota come il demonio
(questi incarna tutte le siiggestioni avverse alla vita cristiana) permette che
tanti imparino la religione, ma poi si adopera perché non la mettano in pra-
tica: « Sanno di essere creati da Dio per amarlo e servirlo, e intanto colle loro
opere sembra che niente altro cerchino che la loro eterna rovina » (l6). « Se io
dico ad un figliuolo che frequenti i sacramenti, che faccia un po' di orazione
al giorno, risponde ho altro a fare, h o da lavorare, ho da divertirmi. O h Dio!
e non hai l'anima? » (l7).
Dopo il :48 il termine diventa più comprensivo, perché Don Bosco vi
inserisce il frutto delle sue nuove esperienze, in un mondo in cui s'infiltra
l'indifferentismo religioso o il protestantesimo. La forza della buona educazione
e la Novella amena di un vecchio soldato d i Napoleone ci presentano uomini
dell'ambiente artigiano e operaio (trasferiti dalla Francia in Piemonte) con
le loro obiezioni("); uomini inclini ad abbandonare la pratica religiosa che
nella loro vita non corrisponde ad un'adeguata conoscenza del Cristianesimo.
Altri opuscoli, invece, presentano ai cattolici la figura losca del ministro pro-
testante che corrompe con denaro la fede della povera gente("), o il profilo
dell'apostata, il quale nella polemica amara anticattolica, manifesta la vita
infelice che conduce, dopo avere abbandonata la vera religione, che in cuor suo
ancora ama e apprezza (>O).Per tutti costoro secondo la pubblicistica cattolica.
non può esserci vera pace. Non est pax irmpiis, ripete Don Bosco. L'inquietu-
dine dell'ex prete camilliano Luigi Desanctis, che dall'agiografia e biografia
valdese è interpretata come sincera ricerca religiosa, da Don Bosco invece è
sentita e presentata come conseguenza dell'apostasia. Ciò che secondo Don
Bosco ha condotto l'ex prete fuori del Cattolicesimo, è stato in sostanza il
desiderio di lasciare piene redini alle passioni sregolate. Ciò che gl'impedisce
(16) Bosco, Il giovane provveduto, Torino 1885, p. 18 (il testo citato non c'è neUa
prima edizione).
("9 [BOSCO], Il giovane provveduto, Torino 1847, p. 33 S.
('8) Fonte della Novella amena è Papa ciuil ou petites réponses à un uieux de la
vieille, Caen-Paris 18531, dovuto al medesimo autore di Un mari comme il y en a
beaucoup. . . Le obiezioni che vi si risolvono sono sul tipo di quelle di un fortunatissimo
opuscolo di L. DE SEGUKed, ito più volte
obbiezioni che si fanno piir frequentemente
anche
contro
a
le
Treolriignioo:neB..re.u,iTeorfianmo,igMliaarriiertitsip1o8s5te2'a.lle
(19) Di tono vivace e asprigno sono un po' tutte le Letture Cattoliche anti-protesta
ticbe del primo lustro. Tra i libretti che portano il nome di DB (o sono stati riconosciuti
da lui come propri) sono da ricordare: Dramma. Una disputa tra un avvocato @dun mini.
stro protestante (25 dic. 1853); Raccolta di curiosi avvenimenti contemporanei (aprile 1854).
Molto polemico i: [L. RENDUD],el commercio delle coscienze e dell'agitarione proteJtante
in Europa (10 e 25 settembre 1854).
(20) Ricordiamo Vita infelice di un nouello apostrita (LC, 10 dic. 1853) e tra le
opere note come esplicitamente di DB: Due conferenze tra due ministri protestanti ed
un prete cattolico intorno al Purgatorio (1857); Massimino ossia incontro di un giovanetto
con un ministro protestante sul Campidoglio (1874).
di ritornare al Cattolicesimo è il trovarsi ormai impigliato, più che con la
sètta, con le conseguenze della sua colpa: l'essersi vincolato con una donna
e non trovare più in sé la forza di restaurare i vincoli del sacerdozio catto-
lico ("1.
Don Bosco ama far emergere il valore della « vera » felicità dal con-
fronto con queUa degli empi. Casi tipici sono quelli della giovane valdese
Giuseppa, del padre dell'artigianello Pietro, di Michele Magone e dell'apo-
stata divenuto ministro protestante, incontratosi con Massimino sul Cam-
pidoglio.
I1 caso di Giuseppa, cosi come è esposto, sembra ispirato in parte a
di Giuditta, anch'essa giovane valdese, le cui peripezie costituiscono
un racconto apologetico citato nel Cattolico istvuito e poi edito tra le Letture
C a t t ~ l i c h e ( ~G) .iuseppa confida a una coetanea cattolica, che da tempo ha
sentito l'attrattiva verso il Cattolicesimo, ha visto le sue compagne « allegre
in questa vita » e fiduciose per la vita futura; non si sente più tranquilla della
sua religione, si sente dire daUe amiche che si trova « in gran pericolo di andare
all'inferno » se non si fa cattolica e questi discorsi sono per lei « altrettante
spine al cuore » che « accrescono quella malinconia che da qualche tempo
la opprime (*). Teme però i « mille
» a cui sicuramente si esporrà
facendosi cattolica: « anzi - aggiunge - temo che lo stesso mio padre mi
manderebbe via di casa, oppure mi farebbe mettere in prigione »t"). Vor-
rebbe liberarsi dalle sue inquietudini, dai suoi peccati, ma teme che il mani-
festarli in pubblica assemblea, fornisca a qualche impertinente l'occasione e i
mezzi di tormentarla.
Anch'ella - nella prospettiva di Don Bosco - soffre « un bene », come
pochi anni più tardi sarà di Domenica Savio. Anche Giuseppa viene interpel-
lata un giorno dal curato, mentre se ne sta afiutta tra le allegre compagne
cattoliche. Non sta male, non è vittima d i qualche disgrazia, non ha bisogno
di castagne, né d i pagnottelie, perché « i suoi parenti sono buoni proprie-
tarii ». Su questa base Don Bosco costruisce il discorso della liberazione com-
pleta:
« Curato. Dunque tu sei valdese?
Luigia [amica cattolica]. Questo appunto I'&ge.
Curato. Come, come! dimmi come sta questa cosa.
Luigia. Sig. Curato, io vi dico la cosa come è: questa compagna è solita a ve-
nirsi a trastullare con noi, e nel vederci stare tanto ailegre dopo le nostre sacre fun-
zioni, ella diviene malinconica, ed il suo cuore non è mai contento.
Curato. Ora comprendo il fatto; vedete mie buone figlie ,solamente i cattolici
Cf. sopra, capo 3, nota 32.
(2)P. E. BARONE, Giuditta ossia scene valdexi, 1845, Torino, tip. Baricco e Arnaidi
1846; LC 1883, citata in Bosco, Il cattolico ist~uitop, t. 2, tratt. 19, TOMO1853, p. 99.
- (*) BOSCOC, onversio~edi una valdese. Fatto contemporaneo..., Torino 1854, p.
.. l 7 . l A
A"
(n)Bosco, Conversione di una valdese, p. 13

10.10 Page 100

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Don Boscopnoeslslaonstooraiavedreellalarelvigeiroasittàracnaqttouliicllai.VodleIIl. Scuteollrae; perché nella sola Cattolica Religione ci
sono i veri mezzi atti ad ottenere agli uomini grazie e benedizioni dal Signore: ci so-
no gli aiuti necessari per non cadere in peccati, e i rimedi opportuni per cancellarli,
qualora per disgrazia ci avvenga di commetterne. . . » (25).
I n termini affini C o n Bosco descriverà la crisi del padre di Pietro.
Questi dormiva come un angioletto alla vigilia della sua prima Comunione.
I1 padre, ubbriacone, bestemmiatore, maltrattatore della moglie, lo contempla.
Istintivamente pone a confronto la propria vita con quella del figlio: « Bi-
sogna proprio che ci sia un'altra felicità oltre quella che si trova in fondo
alla bottiglia; )o porto invidia alla contentezza di mio figlio, la sua feliciti,
la sua contentezza mi sembrano essere pure e senza mescolanza » (%l.
Michele Magone, a sua volta, entrato ali'Oratorio, continua la vita di
monello scatenato: « Egli era felice, purché avesse avuto campo a fare salti
e star nllegro, senza ritlettere che la vera contentezza deve partire dalla pace
del cuore, dalla tranquillità di coscienza » ( n ) .In cortile è chiassoso, ma in
chiesa è annoiato. Senonché « all'improvviso incominciò a scemare quell'an-
sietà di trastullarsi! Appariva alquanto pensieroso, né più prendendo parte ai
trastulli se non invitato » ("). Anch'egli, come Giuseppa, scopre che i suoi
compagni sono completamente contenti: allegri nel gioco, sereni in chiesa,
allegri uscendo di chiesa. A un compagno svela le cause della sua tristezza:
«Questa malinconia deriva dal vedere i miei compagni a prendere parte alle pra-
tiche di pietà. Quel vederli allegri, pregare, accostaisi alla Confessione, alla Comu-
nione mi cagiona continua tristezia.
- Non capisco come la divozione degli altri possa esserti oggetto di malinconia.
- La ragione è facile a capirsi: i miei compagni che sono già buoni praticano la
religione e si fanno ancora più buoni; ed io che sono uii birbante non posso pren-
dervi parte, e questo mi cagiona grave rimorso e grande inquietudine » p).
Qualunque sia il dato di fatto che sottostà alle diverse narrazioni, risulta
evidente la linea sulla quale Don Bosco sviluppa il proprio discorso: il con-
fronto tra la felicità di chi vive in grazia e di chi invece ne è privo, tosto o
tardi mostra quale è la gioia vera e quale invece è fallace, perché non est
pux impiis. Scritti ascetici, apologetici, biografici e didascalici, partendo da
situazioni tra loro diverse, conducono a dar risalto luminosamente ai termini
del monito d i S. Filippo Neri: dove c'è grazia, c'è allegria; dove c'è peccato,
(25) Bosco, Conuersione di unii ualdere, p. 16 S.
(26) BOSCO, La forra della buona edtrcazione, ed. c., p. 27; e U n mari commc il y
en a beaucoup, ed. c., p. 19: « I1 Y a donc une autre bonhiur que celiii qii'on trouve
au fond d'une bouteiile. Je porte envie i celui de mon 61s ».
(n)Bosco, Cenno biografico..., Torino 1861, p. 16.
("1 Bosco, Cenno biosrufico, ed. c., p. 16.
(29) Bosco, Cenno biografico, ed. c., p. 17.
c'è malinconia. Ma in Don Bosco non si tratta soltanto di un monito: state
allegramente, purché non facciate peccati: scrupoli e malinconia, fuori di casa
m i a . . . I n Don Bosco è una tesi, è una risposta, comprovata dall'esperienza.
all'istanza fondamentale deli'uomo del suo tempo, ormai compenetrato del
senso del benessere illuminista; è anche una risposta costruita sulla trama di
quei temi agostinisti che dal Medioevo in avanti avevano permeato la lettera-
tura spirituale e che avevano vigoreggiato nuovamente al tempo del Bérulle,
di Pascal, di Bossuet, di Fénelon, di Bourdaloue ("1.
3. 11 dolore nella vita del giusto e dell'empio
~ p ~ u i seta,ndo a ciò che ci presenta D o n Bosco, anche la vita di chi
è in grazia è segnata dalle sofferenze. Giuseppa, che abbandonò la Chiesa
Valdese, non meno che Luigi Desanctis, che abbandonò quella cattolica,
dovette sopportare contrasti, incomprensioni, perseciizioni. Nella casa del-
l'artigiane110 Pietro non venne la prosperità; però « malgrado la miseria, la
concordia, la gioia cominciarono ad albergare in quella casa, perciocché tutti
praticavano la religione » (31). Michele Magone morì quattordicenne, con
sbocchi di sangue, dovuti molto probabilmente a tubercolosi. Eppure Don
Bosco è ben lontano dai pensare che questa morte sia stata un castigo per
la vita sprecata nei vizi. Come per Rosa da Lima e per Luigi Gonzaga (j2)
anche per Magone Don Bosco avrebbe potuto scrivere (ma in termini eqni-
valenti lo scrisse) che i n mezzo alle afflizioni ebbe il cuore contento e fu
sempre allegro, portato in cielo, perché in seguito l'iniquità non: n2 corrom-
pesse il cuore (" 1.
D i Magone, Savio, Besucco, Cafasso, Comollo Don Bosco amò porre in
('9Valga per tutti quanto riportava Bourdaloue, « i l più giansenista dei gesuiti n,
impregnato di agostinismo e profondamente toccato, come il Pascal dei Pensieri e delle
Lettere a un Provinciale dal franamento della fede, dall'incon,menza di molti cristiani, dal
diffondersideli'idea che la vita uistiana fosse tediosa e innaturale: «Ah! Signore, sclamava
un gran Santo, voi m'avete fortunatamente ingannato. Arrolandomi nella vostra milizia,
m'aspettavo, secondo i principi del vostro Vangelo, guerra ed assalti, ne' quali temevo, che
avesse a soccombere la mia fiacchezza. Ivli figuravo una strada mesta, penosa, nojosa, senza
riposo, senza ysto; ed all'opposto il cuor mio non ne fu mai più contento, n6 il mio spirito
più tranquillo e più sciolto. Quanti altri hanno resa una simile testimonianza! ma il male
si è, che non si gii crede, e che non si vuol venir alla prova personalmente e di proprio
sperimento »: d. BOURDALOUPeEn,sieri sopra diuersi punti d i ueligione e di morale . . .,
Sentiero della snlute stretto e ciò che può impegnarci più fortemente ad entrarvi, Venezia
1783, p. 25.
(31) Bosco, La forza della buona educazione, ed. c., p. 46.
(3)Bosco, IL giovane prouueduto, Torino 1847, p. 12; 58.
(3') BOSCO, Cenno biogralico, ed. C,, p. 6, e più esplicitamente nella vits di Besucco:
Il pastore110 delle A l p i . . . , Torino 1864, p. 148: «Dio vedeva il grande amore che
regnava verso di Lui in quel piccolo cuore, e ariché la malizia del mondo non can-
e"iaise il suo intellettc volle chiamarlo a sè, e oermise che un eccessivo affetto alle penitenze
ne desse in certo modo occasione ».

11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
luce la ricerca di penitenze afflittive, desiderate dall'amore per Gesù, il quale
tanto pati per noi, e dal desiderio di farsi una caparra di salvezza eterna con
una vita penitente.
La mescolanza di afflizioni e allegria nei buoni non era tale da tur-
bare le convinzioni di Don Bosco. La ragione potrebbe ricercarsi in quel
residuo di theologia cordis che ancora si ritrova in lui e nel suo ambiente.
Secondo la teologia agostinista fiorita nel Sei-Settecento, la mescolanza di
afflizione e piaceri disordinati impregna tutto l'essere, appesantisce il cuore
e io fa gravitare fuori del suo asse naturale, che è Dio. Nei giusti, invece,
il cuore è saldo, è impermeabile all'amarezza che emettono i beni terreni,
allorché questl vengono stretti ed amati sregolatamente. Quando invece il giu-
sto abbraccia la croce e la stringe al petto, il suo cuore viene inondato da
- gioia maggiore, perché allora Dio stesso fa distillare dalla croce il miele della
sua divina bontà, in una misura che è sconosciuta in quest'ordine di
provvidenza - ad altri oggetti capaci di allettare il cuore umano. I n quest'or-
dine di idee potrebbe trovar posto con una certa adeguatezza l'espressione
popolare inserita nel Giovane provveduto: «Altronde noi vediamo che quelli,
i quali vivono in grazia d'Iddio, sono sempre allegri, ed anche nelle afflizioni
hanno il cuor contento. Al contrario coloro che si danno a' piaceri vivono
arrabbiati » (9.
Ma ugualmente consone alla mentalità di Don Bosco sarebbero analogie.
allegorie e ragioni che si trovano, ad esempio, in S. Alfonso de' Liguori:
G S. Francesco di Sales - scrive S. Alfonso - ritrovandosi in un certo tempo
cinto da molte tribolazioni disse: Da qualche tempo in qua le tante opposizioni e
segrete contraddizioni che mi sono awenute mi recano una pace si dolce che non ha
pari: e mi presagiscono il prossimo stabilimento dell'anima mia nel suo Dio che
con tutta verità è l'unica ambizione e i'unico desiderio del mio cunre » ( E ) .
« Dicea S. Ignazio di Loyola: Non vi è legno più atto a produrre e conservare
l'amore verso Dio che il legno della santa croce » (N).
- Infatti, per mezzo delle afflizioni prosegue S. Alfonso - Dio purifica
l'anima che vive in tensione d'amore verso di lui. Le avversità sono perciò
necessarie: disposte da Dio per giungere alla perfetta unione ("1.
Persino è possibile trovare in S. Alfonso esempi che esprimono la tesi,
comunissima d'altronde, sulla vita triste degli empi:
«Un certo religioso missionario ritrovandosi nelle Indie a vedere un con-
dannato che stava già sul palco per essere giustiziato fu chiamato da quell'uomo che
gli disse: Sappiate, padre, ch'io sono stato della vostra religione; quando io osservai
("1 [Bosco], Il giovane provveduto, ed. C,, p. 23.
(E) S. ALPONSOPr,atica d'amar Gesù Cristo, pt. 1, cp. 5, § 8, in Opere ascetiche,
1, Torino 1845, p. 771.
(36) S. ALEONSPOr,atica d'amar Gesù Cristo, pt. 1, cp. 5, 5 10, 1. c., p. 772.
(9) S. ALFONSPOr,atica d'amar Gesh Cristo, pt. 1, cp. 5, § 11, l. c., p. 772.
le regoie vissi una vita sempre contenta; ma quando poi cominciai a rilasciarmi, su.
bito cominciai a sentir pena in ogni cosa; tanto che lasciai la religione e mi abbando-
nai a' vizi, i quali finalmente mi han ridotto a questo termine infelice » ('8).
Osserva ancora S. Alfonso, riferendo il pensiero di Ludovico de la Puente,
che le cose dolci della vita « benché piacciono al senso, lasciano non però
sempre l'amaro del rimorso di coscienza per la compiacenza difettosa che
per lo più in quelle abbiamo; ma per le amare prese con pazienza dalla mano
di Dio diventano dolci e care alle anime che le amano >> (39).
I1 discorso dello scrittore gesuita si muove in un contesto etico e asce-
tico. In S. Alfonso, in Don Bosco e nei loro contemporanei è più percepibile
l'ansia pastorale davanti al criticismo dei libertini miscredenti che penetra
sempre più nell'ambiente cristiano anche popolare. Nel Sette-Ottocento la
tensione ascetica dei « buoni », assume anche il valore di testimonianza e
di controprova della fallace allegria degli « spiriti forti ». I n S. Alfonso, è
un contesto di azione pastorale nel popolo. In Don Bosco ha i suoi termini
più specifici neli'arco delle preoccupazioni educative, di lui sacerdote che
intende formare onesti cittadini e buoni cristiani.
4. I giovani e la salvezza eterna
Darsi a Dio per tempo è uno dei moniti che più abitualmente Don Bosco
rivolge ai giovani. Le motivazioni e lo scopo sono abbastanza evidenti. Bi-
sogna darsi a Dio per tempo, appena se ne sente la voce, perché non si è certi
che il Signore rinnovi i suoi appelli egcaci prima della morte.'. Dopo la
morte non ci sarà più tempo per convertirsi ed è segnata la sorte per tutta
I'eternità. I1 nesso tra il donarsi a Dio per tempo, la vita e la salvezza eterna,
da guadagnarsi » e « assicurarsi », è palese. Ma l'invito che Don Bosco
rivolge ai giovani è ancora più pressante. Insieme alle soluzioni vere e false,
all'istanza fondamentale di felicità e allegria, nel Giovane provveduto egli
propone subito la tesi che svolgerà poi ripetutamente, condensata attorno a una
sentenza biblica: « Che se Iddio vi concedesse lunga vita, sentite ciò che vi
dice: quella strada che un figlio tiene in gioventù, si continua nella vecchiaia
fino alla morte. Adolescens iuxta vinm suanz etianz cum senuevit non uecedet
ab ea. E vuoi dire: se noi cominciamo una buona vita ora che siamo giovani,
buoni saremo negli anni avanzati, buona la nostra morte e principio di una
eterna felicità. Al contrario se i vizi prenderanno possesso di noi in gioventù,
per lo più continueranno in ogni età nostra h o alla morte. Caparra funesta di
una infelicissima eternità » (").
(3)S. ALFONSPOr,atica d'amar Gesù Cristo, pt. 1, cp. 5, § 8, I. c., p. 771.
(39) S. ALFONSPOr,atica d ' a m r Gesù Cristo, pt. 1, cp. 5, 5 8, l. C,, p. 771.
("9[BOSCO]I,l giovane provveduto, ed c., p. 6 s; cf. Guida angelica, ed. c., p. 6:
Ma se ali'opposto deviaste dal retto sentiero della virtù 1.. .l si empieranno le vostre ossa
di que' vizi, che seguiste ingannati neiia vostra gioventù, caparra ahi troppo certa di quei-
I'infelicissima eternità, che vi starà attendendo neli'Inferno! ».

11.2 Page 102

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Don Bosco nellaAsltlo'irisatadnezllaa redliigifoesliicictaàttDoliocan. VBool sIIc.oStealvlaeva dato una risposta portando subito
il discorso in chiave religiosa: soltanto la religione è capace di dare la vera
felicità. Postosi su tale piano, agevolmente può inserire i temi della letteratura
ascetica per giovani riguardo alla salvezza. Fonti principali sono la letteratura
su S. Luigi Gonzaga e quella che fa capo a Carlo Gobinet, l'educatore di
Fénelon.
La sentenza « adolescens juxta viam suam, etiam cum senuerit non recedet
ah ea » (Prov. 22, 6) in Don Bosco si traduce nella medesima formula che
si legge in Gobinet: « la salvezza di un figliuolo dipende ordinariamente dal
tempo della gioventù >> ('l).
Anzitutto; spiega il Gobinet « ciò è chiaro nella Scrittura Sacra: l'uomo
giovane giammai non lascerà nella sua vecchiaia la maniera di vivere, che
avrà una volta cominciata, cioè a dire, che questo di rado succede, essendo
indubitabile, che le prime impressioni sono potenti, e che i primi abiti si
radicano fortemente negli animi dei giovani » ("). È così spiegato il senso
che ha l'avverbio ordinariamente: succede di rado un mutamento radicale
di vita.
In secondo luogo - continua il Gobinet - l'esperienza insegna che la
gioventù è il tempo delle maggiori tentazioni e dei più gagliardi combattimenti.
« Le più violente tentazioni - nota egli, rifacendosi a S. Agostino - sono
quelle della voluttà », e « quantunque le tentazioni siano comuni a tutte le
età, nondimeno è certo che sono ordinariamente più farti e più frequenti
nella gioventù ». Donde ne viene che « quando uno le ha sormontate in questo
tempo, trova poscia una gran facilità per vincerle nel rimanente di sua
vita » ("I.
La terza ragione è che «Iddio aumenta le sue grazie, e moltiplica le
sue benedizioni a coloro che hanno degnamente vissuto nell'età giovanile, per
mantenerli nel diritto cammino, ove sono entrati col mezzo delle sue cele-
stiali grazie » (*). Viceversa, « coloro i quali si sono dati al vizio nella gioventù,
difficilmente se ne correggono, e sovente accade, che non se ne sanno mai stac-
care, e che si dannano irremissibilmente ("1.
« La mala vita - scrive Don Bosco - cominciata in gioventù troppo
(41) [BOSCO], Il giouane provveduto, ed. e., p. 12; C. GOBINETI,struzione della gio-
senti< nella pietà cristiana, pt. 1, cp. 7, Torino 1831, p. 43: a Che la salvezza dipende ordi-
nariamente dal tempo della gioventù *. La letteratura spirimale sul «grande affare delia
salvezza * è abbondantissima da metà Seicento a tutto l'Ottocento. I n rapporto a S. Alfonso
cf. le sue Opere ucetiche. Introduzione generale, Rcma 1961, p. 212-216, e per la Francia du-
rante la Restaurazione E. GERMAINP, arler d u salut, p. 95-131.
(42) GOBINET, Istruzione della gioventù, pt. 1, cp. 8: Che quelli, i quali hanno se-
guitata la virtù nell'età giovanile, la conservano ordinariamente, e con facilità, tutta la lor
vita, ed. e., p. 6.
("1 GOBINET,Istruzione della gioventi, l. c., p. 47.
(*) GOBINET, Istruzione della giouentù, I. c., p. 49.
(45) GOBINET,Istruzione della gioventù, pt. 1, cp. 10, ed. c., p. 57.
facilmente sarà tale fino alla morte » e condurrà « inevitabilmente aii'in-
ferno » (").
Da che cosa dipende questa quasi ineluttabile catena che trascinerà aUa
dannazione eterna? Donde la difficoltà di rompere i vincoli contratti in gio-
ventù?
«Questa difficoltà - suggerisce ancora il Gobinet - proviene da tre
cose. La prima è la forza e la potenza incredibile d'un cattivo abito, il quale
come una volta ha poste le sue radici in un'anima, non possono essere sbar-
hicate, che con molta pena » ("). E non soltanto per il fatto che le abitudini per
loro natura « durano lungo tempo e difficilmente si abbandonano », ma anche
per ciò che insegna il dogma del peccato originale. Le abitudini cattive « sono
quelle che, si attaccano più fortemente, e che sono le più malagevoli a cam-
biarsi, poiché la natura di già corrotta ha più rincrescimento nel passar al
bene, che ribrezzo a dimorar nel male » ("). Gli abiti perversi contratti in
gioventù, rispetto ad altri formatisi più avanti, sono più tenaci, per il fatto
che le passioni « non essendo moderate in questo tempo dalla virtù, crescono
con l'età e crescendo, aumentano e danno vigore al vizio, somministrandogli
ogni giorno nuove forze, di maniera che in fine si rendano indomite » (49).
D'altra patte, Dio restringe sempre più la mano con chi abusa delle
sue grazie e le disprezza. Così avviene che nel cuore umano diminuisce sempre
più la grazia divina e « la dominazione del demonio s'ingrandisce a misura
che i peccati moltiplicano e gli abiti viziosi crescono ». L'anima finisce per
essere completamente sotto la schiavitù del peccato e, giunta al colmo delle
iniquità, viene abbandonata da Dio « per sua sempiterna dannazione » (").
Si comprende dunque come, secondo il modo di vedere delL.Gobinet.
diventi sempre più difficile la conversione con il procedere degli anni e il
radicarsi dei vizi. Egli a questo proposito fa appello alla esperienza di S. Ago-
stino(jl). Riandando nelle sue confessioni agli anni del peccato, Agostino
attribuisce la depravazione giovanile ali'ozio nel quale trascorse l'anno deci-
mosesto della sua vita. Insieme a questa, altre cause furono la poca cura
ch'ebbe di lui il padre, il disprezzo che nutrì per gli avvertimenti continui
della madre, il cattivo esempio dei coetanei, la grande libertà in cui l'abban-
donarono i congiunti.
Cause esterne, queste, che favoriscono il processo deli'interno perver-
timento. A diciannove anni si sentì scosso dalla lettura dell'Hortensius, ma
« il vizio e le pessime inclinazioni avevano talmente guadagnato il suo cuore »
che, quantunque i pensieri della conversione fossero gagliardissimi e nono-
stante gli sforzi per « uscir dalla lordura », vi rimase, non un giorno, ma
(") [Bosco], Il giovane provveduto, ed. c., p. 12.
(47) GOBINET, Istruzione della giove~ztù,l. e., p. 57.
(48) GOBXNETIs,truzione della gioventi, I. e., p. 57.
(49) GOBINETI,struzione della gioventù, l. e., p. 58.
(m) GOBINETI,struzione della gioventù, 1. e., p. 60.
(SI) GOBINET, Istruzione della gioventù, pt. 1, cp. I l , p. 61-67

11.3 Page 103

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Don Bosco ndeallia sdtoicriiaandenlolavreelihgiosoitàaciatttorleicnat.aVoalnIIn.iS. teIll1a vizio contratto in tre anni della sua
gioventù, lo incatenò ancora per dodici anni interi, nei quali anzi «cadde in
disordini ancora maggiori D. Riassume il Gobinet: « Come l'impudicizia
conduce all'errore, ed all'acciecamento, lo precipitò nell'eresia de' Manichei,
ove stette nove anni, e a questa aggiunse un concubinato continuo, in cui
visse dal tempo della sua prima depravazione sino al giorno della sua con-
versione » (j2).
Presentata la caduta nel vizio e nel peccato, Gobinet passa a descrivere
il faticosissimo itinerario verso la vita di grazia. I1 ritorno è interpretato
come purificazione. Il peccato aveva penetrato tutte le fibre di Agostino, ne
aveva oscura. la mente, indebolita la volontà ed era giunto fino alla rocca
dello spirito: fino al cuore. La grazia di Dio lavorò seguendo i medesimi sen-
tieri. Convenne impiegar molto tempo per guarire il suo intelletto dagli
errori e ignoranze ». Ma questo non bastò. «L'intelletto era convinto e la
volontà non si arrendeva ancora: gli abiti viziosi possedevano talmente il
suo cuore, che gli facevano temere la sua emendazione più che la morte,
come lo testifica egli stesso. Bisognò disradicare i vizi dell'ambizione, ava-
rizia e impudicizia, uno dopo l'altro, e di già i primi due l'avevano abban-
donato, ma questa pessima e dannosa impudicizia si teneva ancora salda
e ostinatamente resisteva. Vi era talmente perduto, che credette cosa impns-
sibile di giammai liberarsene, stimando una gran miseria l'esser privo di
si infame voluttà, vera sorgente di tutti i mali » (9.
Finalmente, dopo le preghiere, le cure e le lacrime della madre, sti-
molato dalle esortazioni dei suoi migliori amici, « dopo i potenti movimenti
interiori della grazia divina, bisognò per perfezionare la sua conversione un mi-
racolo d'una voce che dal cielo altamente gl'intonò Tolle, lege, tolle, lege » (").
L'inno di Agostino, a Dio che lo aveva convertito, era l'argomento più
suggestionante che Charles Gobinet proponeva ai giovani in conferma delle
tesi poi accettate da Don Bosco nella loro sostanza, cioè nella asserzione
che « l a mala vita cominciata in gioventù troppo facilmente sarà tale fino
alla morte, e vi condurrà inevitabilmente all'inferno » ("1, Ma il nome di
S. Agostino non compare &atto nelle considerazioni del Giovane puovueduto
circa la salvezza che ordinariamente dipende dal tempo della gioventù. Nem-
meno vi si accenna alla voluttà e all'impndicizia. Don Bosco si limita a casi
che, forse, in quel contesto, potevano apparirgli meno suggestionanti, ma
ugualmente efficaci: Se voi vedete uomini avanzati negli anni dati al vizio
deli'ubbriachezza, del giunco, della bestemmia, per lo più potete dire: questi
vizi cominciarono in gioventù: Adolescens juxta viam suam, etiam c u m senuevit
non recedet ab ea ». Appoggiandosi quindi alla Guida angelica afferma: « Sarà
malinconico colui che serve il demonio, il quale comunque si sforzi per mo-
("1 G~BINEITst,rtrxione della gioventù, l. C,, p. 62.
GOBINEITst,ruzione della gioventù, l. c., p. 65 S.
(") GOBINETI s,t r l ~ r i ~ ideella gioventù, I. C,, p. 66.
("1 [Bosco], Il giovane provvedutu, ed. c., p. 12.
strarsi contento, tuttavia avri sempre il cunr che piange dicendogli: tu sei
infelice perché nemico d'Iddio » (56).
Oltre che sulla di5coltà di convertirsi una volta che si è depravati,
Don Bosco fa leva su motivi che gli sono suggeriti più direttamente dal
De Mattei e da S. Alfonso. Nelle Sei domeniche e nel Giovane provveduto
rileva come, a prescindere dal momento che davanti a Dio può segnare il
colmo delle iniquità, è un fatto che :la vita « è nelle mani del Signore » e
nessuno può patteggiare con la morte ("). I1 &lo della vita può essere tagliato
in qualsiasi giorno e in qualsiasi momento. Nessuno può essere sicuro di
trovarsi in stato di grazia al momento della morte. Sarebbe potuto accadere
allo stesso, S. Luigi quanto la Scrittura narra di Salomone. Se Luigi si fosse
dato al peccato da giovane, secondo la dottrina agostiniana, si sarebbe in-
durito nella colpa, avrebbe resistito a grazie che diversamente sarebbero
state efficaci e i doni del Signore, invece di aumentare sarebbero dimi-
nuiti: « Se S. Luigi avesse aspettato sino all'età avanzata a darsi al Si-
gnore non sarebbe senza dubbio divenuto sì gran Santo, giacché egli morì
molto giovane, e può essere che nemmen si fosse salvato P("). Luigi in-
vece, secondo quel che insegnava il Bellarmino (un po' alla luce della sua
tealoda congniista), venne prevenuto dalla grazia fui d&a prime infanzia;
fu uno di quelli che il Signore chiamò nella sua vigna già nelle prime ore
del giorno. Ma conosciuto il Signore, corrispose pienamente ed eroicamente
« e il Signore lo colmò di tante grazie che divenne gran Santo » P ) .
Per vie diverse Don Bosco giunge alla medesima conclusione: giunge
a ribadire l'idea che la salvezza dipende ordinariamente dalla gioventù. Del-
l'agostinismo del G o b i e t e del congmismo del Bellarminn avrebbe detto
quanto affermò in generale dei sistemi scolastici sulla grazia. Non gli im-
portava che fossero stretti o larghi, ma che servissero a salvare più anime.
Conviene ancora porre in rilievo nn'altra affermazione fatta da Don
Bosco nelle Sei domeniche:
«Tutti quelli che ora si trovano neli'inferno avevano volontà di darsi poi una
volta a Dio, ma la morte li prevenne, e adesso sono perduti per sempre; e fra quelle
fiamme vanno gridando: noi insensati, l'abbiamo sbagliata: nos insenrali, erravi-
mus >> (M).
Può sembrare un'asserzione troppo forte, troppo generalizzante e pe-
rentoria. Ma il contesto che bisogna immaginare 5 quello medesimo delle
(56) rBosco], I1 giovane provveduto, ed. c., p. 12.
(57) [BOSCO], Il giovane provveduto ed. c., p. 6.
(58) [BOSCO], Le sei domeniche, giorno 7 , Torino 1846, p. 31. Il titolo della conside-
razione
,(3
C:
9)
,
&F«BSo.scLo-ul.i,gLiesisedi ieddoemepnerichteem..p.o,
a Dio D.
giorno 7,
ed.
C,,
p.
31
S.
Zo
schema
del
Bellarmino
ètamesp. l.ic. itPamraeenvteentcuistatgoradtaial
De Mattei: u In
Castitatis . . . D:
ipsa pene infantia vocatus est ad
cf. Il giovine angelico san Luigi
vitam pcrfec-
Conzaga . . . ,
Genova 1843, p. 75 e 91, come motto delie considerazioni 7 e 8.
(a)[Bosco], LP sei domeniche..., giorno 7, ed. C,, p. 31 S.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella

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Don Bosco nella Cstoormiaedenllaortealvigaiomsio, cialttoDlicea. VMolaItI.teSit,ellaispirandosi al Bellarmino, insegna che
Dio amorosamente ci previene e ci chiama a servirlo in diverse ore del giorno,
cosi come è descritto nelia parabola evangelica del padre di famiglia che
chiama gli operai nella sua vigna. Luigi Gonzaga ebbe il privilegio di es-
sere chiamato alla prima ora. I principi della vita naturale e ragionevole
furono in lui già « prevenuti da tratti ammirabili della grazia » ("). « Poté
Luigi asserire più volte a' suoi Direttori, ricordarsi lui, che nel primo istante
di ragione, per un celeste lume da cui fu scorto, si rivolse a Dio con pie-
nezza di amore, e se gli offerf, e dedicò interamente, il che però riputava
egli ragionevolmente un dei principali heneiizi di Dio, e questo umilmente
chiamava il tempo di sua conversione »i"). Luigi corrispose. I1 Signore
allora, trovandolo disposto, gli elargì il « b e l privilegio » della purità. Nuove
corrispondenze, nuovi meriti sono la base di n~iovidoni, alia purità della
mente e del cuore il Signore fa seguire la facilità a elevarsi a lui e la di%-
coltà a distogliersi dalla preghiera estatica unitiva: « Come il cuor di S. Lui-
gi ebbe una mondezza la più illibata, cosi la sua mente ebbe pupille le
più felici a penetrare il bello della bontà divina » (*).
Se, alla luce del De Mattei, si scorrono le biografie di Savio, Magone,
Besucco, abbastanza facilmente ci si potrà persuadere ch'esse riflettono un
modo di vedere molto simile. La loro « virtù » esemplare e di grado sin-
golare, non fu soltanto frutto di ambiente, di educazione poggiata su fat-
tori unicamente umani, nemmeno fu il risultato unicamente della nativa ten-
denza dei giovani all'ideale. Agli occhi di Don Bosco si trattò sempre di fatti
più complessi, dove il divino e l'umano intervennero per produrre episodi e
personalità che Don Bosco non esita a chiamare sante e perfette.
grafici di DB. Ad esse fa riscontro queiio dei «seguire prontamente la vocazione » sviiup-
pato neiia Introduzione aUe Regole e Costituzioni della Società Salesiana e in profili biografici
di salesiani defunti.
(a)Cf. sopra, nota 59.
("1 DE MATTEI,Il giovine angelico san Luigi Gonzaga, p. 77.
(M) DEMATTEIIl, giovine angelico san Luigi Gonzaga, p. 109.
CAPITOLO X
LA SANTITA COME IDEALE DEI GIOVANI
L'istanza di felicità propria degli uomini da Don Bosco viene fatta
coincidere con la necessità di darsi a Dio e con l'urgenza di darsi a lui per
tempo. Anche il senso che spinge a incarnare un ideale e ad affermare una
personalità viene portato ugualmente sui valori religiosi.
In quest'ordine di idee conviene rifarsi ancora una volta ai Cenni sul
Comollo, come al ponte che ci porta sulle più antiche esperienze di Don
Bosco documentariamente raggiungibili e attendibili, soprattutto quando
la loro testimonianza è corroborata dagli antichi quaderni scolastici e dai
ricordi delle Memorie del2'Oratorio. Dalla lettura di tali documenti ci si
persuade che per Don Bosco l'izeale della propria vita fu incarnato in pa-
recchi simboli: in Don Calosso, in Don Banaudi, in Comollo stesso, liberato
da quanto le diverse tendenze ed esperienze di Don Bosco disapprovavano
e selezionavano. Luigi Comolio dall'amico Bosco veniva sublimato a ideale
di vita cristiana, quale «esemplare a qualunque persona sia secolare che re-
ligiosa » per le « virtù », che non furono straordinarie, nondimeno furono
nel loro genere « singolari e compite » (l). Come educatore Don Bosco amò
proporlo a modello degno di essere imitato quasi come Luigi Gonzaga, tanto
più che la forza suggestiva di Comollo era potenziata dalla testimonianza di-
retta e devota di lui, antico compagno ed amico.
I Cenni sono del '44. Nel '47 Don Bosco rinnova nel Giovane provve-
duto l'appello alla santità: « Datemi un figliuolo ubbidiente e sarà santo » (').
Anche in questo caso non si tratta di qualcosa d'inconsueto. Altri autori
spirituali avevano già rivolto il medesimo invito a ragazzi e a fan~iulle(~).
Nel 1851 Leonardo Murialdo esortava alla santità persino le giovani peri-
(l) [Bosco], Cenni storici.. ., Torino 1844, p. 81.
(9[Bosco], Il giovane provveduto, Torino 1847, p. 16.
p.
(
40:
3
) « [. G. . .
B. ISNARDVI]o,c
Offerisci dunque
e angelica, ossia
la tua volontà
l'Angelo Custode che
neiie mani di chi ti
ammaestra
governa, e
una figlia.. .,
lasciati docile
guidare, se vuoi piacere al cuor di G. C,, e farti santa s (ed. S. Benigno Canavese, tip. e libr.
Salesiana 188914, pp.64).

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Don Bosccoonlaelnlatistoraricacdoelltlae renliegliosRitàitciraottoldiceal. VBoul IoI.nStePllaastore: Dio è venuto al mondo non
solo per redimerci e per salvarci, ma anche per convertirci in santi. « A
tutti Egli rivolge il suo comando di amore: Sancti estate. Scongiuriamolo
che ci faccia santi e gran santi (4). Ne1 Giovane provveduto Don Bosco
invita a ripetere abitualmente la giaculatoria: «Vergine Maria, Madre di
Gesù, S. Luigi Gonzaga, fatemi santo » ( 7 . Ma già il Cottolengo suggeriva
ai suoi ricoverati (e Don Bosco poteva ben conoscerlo) la breve invocazione:
<< Vergine Maria, Madre d i Gesù, fateci santi » (6).
Del 1855 è la predica sulla santità che mise in crisi Domenico Savio.
I1 ruolo di questo giovane fu tale nell'ambiente di Don Bosco che c'induce
ad analizzare un po' minutamente l'episodio, così come Don Bosco lo pre-
sentò in un documento che fu oggetto per molti di riflessione e d i propo-
siti.
1. Dornenico Savio, l'ideale relizzato
Scrive Don Bosco:
Erano sei mesi che il Savio dimorava all'Oratorio quando fu ivi fatta una pre-
dica sul modo facile di farsi santo. I1 predicatore si fermò specialmente a sviluppare
tre pensieri che fecero profonda impressione sull'animo di Domenico, vale a dire:
è volontà di Dio che ci facciamo tutti santi; è assai facile riuscirvi; è un gran premio
preparato in cielo a chi si fa santo. Quella predica per Dornenico fu come una scin-
tilla che gl'idammò tutto . . . (7).
Non mette conto stabilire con esattezza il mese e il giorno in cui parlò
il predicatore (che la tradizione ha identificato con Don Bosco un po' per
istinto e non per prove perentorie). Domenico era entrato sul finire di ot-
tobre. La predica dunque potrebbe essere collocata all'incirca in marzo-aprile,
tra quaresima e Pasqua, forse nel triduo di esercizi spirituali che si solevano
fare in quel tempo, a metà anno, in quel primo risveglio primaverile delle
( 4 ) A. CASTELLAINl Ib,eato Leonardo Murialdo, 1, Roma 1966, p. 338.
(5) [Bosco], Il giounite provveduto, ed. C,, p. 81.
( 6 ) P. P. GASTALDI Ip, ~oiligidella carità cristiana descritti nella vita del ven. servo
di Dio Giuseppe Benedetto Cottolengo, 2, Torino 18924, p. 417. Cf. anche [S. A. Bum~o],
U n maxxolin di Fori ai fanciulli.. ., Torino, Paravia 1836, p. 16: Mattina e sera doman-
date la benedizione a Gesù, e a Maria avanti a qualche loro immagine, dicendo: Gesù mio,
Dio mio, e Maria madre mia beneditemi e fate santa l'anima mia ».
(7) BOSCO, Vita del giovanetto Savio Domenico, Torino 1859, p. 50. Quanto diremo
attorno a Domenico Savio è fondato in buona parte siille osservazioni di Giovanni MOIOLI,
La santità d i Domenico Savio, in Enciclopedia dell'adolescenza, Brescia 1964, p. 721-740.
Utili osservazioni sono anche nel capitolo Santità giovanile e normalità psichica di Renzo
'TITONE, Ascesi e personalitù, 'Torino 1956, p. 186-212, e [Joseph AUBI~YD],irettoire pour
l'année Domi>:ique Savio. 8 décembre 1955, Marseille 1954; ID., Un tout jeune saint. Le
message d'une canonisation d'adolescent in La aie spirituelle 92 (1955), p. 381.404.
campagne piemontesi ('). Nemmeno mette molto conto scoprire quale circo-
stanza può avere suggerito propriamente l'argomento al predicatore: forse
l'epistola della seconda domenica di quaresima, dove si legge il testo pao-
lino: haec est enim uoluntas Dei, sanctificatio uestra; oppure, genericamente,
la tematica che il Murialdo sviluppava indifferentemente in disparate nc-
casioni.
E importante invece tenere presenti le condizioni di Domenico: la sua
predisi;osizione accentuata ai valori religiosi, già coltivati nella prima infanzia
e condotti su un terreno propizio, quale era l'Oratorio di Don Bosco. Per
Domenico Valdocco era ambiente di novità cittadina, di elevazione culturale,
di cameratismo, dove fraternizzavano giovanotti apprendisti, venuti di so-
lito d a l l a provincia, con chierici e giovanetti studenti. Tutti facevano la
spola tra l'ambiente di lavoro o di studio in città, e la casa di Don Bosco.
Erano meno di un centinaio tra ragazzi e giovanotti, allora, a metà 1855;
un gruppo nel quale era comune e acceso il sentimento di fedeltà alla Chiesa,
specialmente allora, nell'imminenza delle leggi soppressive di enti ecclesia-
stici (O a fatto compiuto), nel fervore prodotto dalla proclamazione dogma-
tica dell'Immacolato Concepimento d i Maria. Erano sotto la direzione di
quel santo prete che per loro era davvero un padre affettuoso e che per
parroci e parrocchiani di pianura e di collina era il rispettabile direttore
delle Lettnue Cattoliche, autore di libri, direttore di collegio, benedetto dal
Signore, anche taumaturgo, venuto su proprio dalle loro terre e dal loro
ceto.
Da quanto avverrà dopo, da quel che successivamente Don Bosco
scr~verànelle biografie di altri giovani è pcssibile supporre più i n partico-
lare gli argomenti che avrà svolti nella predica che toccò l'animo di Do-
menico Savio.
Don Bosco avrà mostrato in che cosa corisiste la santità, ne avrà di-
stinti gli elementi essenziali da quelli accidentali o ch'erano del tutto estranei;
ne avrà fatto brillare la bellezza, forse portando qualche esempio di santo
tra i suoi preferiti: santi allegri e simpatici per i giovani, come S. Filippo
Neri; santi angelicamcnte eroici e felici, sebbene sempre vigilanti sulla propria
virtù, come Luigi Gonzaga che, interpellato mentre trattenevasi con altri
suoi pari allegramente giuocando, che cosa fatto avrebbe se in quel punto
fosse stato avvertito da un Angelo, che un quarto d'ora dopo il Signore 10
avrebbe chiamato al tremendo suo giudicio, egli prontamente rispose che
avrebbe seguitato il suo giuoco, perché so di certo, snggiunse, che questi di-
vertimenti piacciono al Signore » (').
Nel suo secondo punto Don Bosco avrà mostrato con quali mezzi qual-
siasi giovane, senza sforzo, avrebbe potuto divenire un gran santo; avrà,
cioè, mostrato il connaturale legame tra santità ed il compimento dei doveri
(8) La seconda domenica di quaresima ricorreva il 4 marzo e Pasqua 1'8 aprile.
(9) [Bosco], Il gzouane provveduto, Torino 1847, p. 21.
207

11.7 Page 107

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Don Boscdoenl epllarosptorriioa dsetlalatore,ligcihoseitàpcearttoi licgai.oVvoalnIiI. Sertealnlao allegria, studio, pietà, purezza, oh-
hedienza, amor di Dio e del prossimo; in una parola, il servizio che Dio ri-
chiedeva dalla loro età e condizione('O).
Infine avrà svolto la predica sul paradiso, sviluppando ciò che aveva
scritto sul Giovane prouueduto il gran premio preparato in cielo a coloro
che in terra sarebbero stati virtuosi.
Domenico Savio è un adolescente. Nato il 2 aprile 1842, nel '55 è sui
tredici anni. È piccolo di statura, malaticcio, ma molti indizi lo manifestanc
un ragazzo dal giudizio precoce, anche se ancora abbastanza impacciato
nell'esercizio dell'intelligenza, nell'assimilazione e maturazione culturale. D'al-
tronde, si trova in un ambiente in cui la cultura è fatta su libri di elementare
formazione e, per i giovani, prevalentemente di carattere devozionale, asce.
tico, aneddotico (").
Davanti allo spirito di Domenico prende forma l'eroe da imitare, sim-
bolo di quello che egli vorrà essere: il santo, l'uomo vicino a Dio, benedetto
dagli uomini, l'ispirato (l2). Ideale e premio stanno tra loro sottesi, stanno
luminosi, mentre il secondo punto della predica sembra essere svanito nella
sua sostanza e sostituito da altri elementi posti in evidenza silenziosamente
dalla coscienza religiosa dell'adolescente. I mezzi che lo faranno divenire
un eroe saranno le mortificazioni, le penitenze, le preghiere; egli si immer-
gerà in Dio nella solitudine. . . Domenico si apparta e si isola. Insegue il suo
ideale. Vede se stesso a praticare i mezzi che si è immaginati. Istintivamente
in lui si compie la misurazione tra le proprie forze e quelle che si sarebbero
richieste per realizzare l'ideale. È preso dal timore e quasi dallo scoraggia-
mento. Riuscirà a farsi santo?
Ormai naviga nel mondo dei sogni. La realtà non lo interessa. Come
tutti gli adolescenti, è portato a risolvere da sé, nell'isolamento i suoi pro-
(10) La nostra è, evidentemente, un'ipotesi, fondata su quanto DB stesso veri2 a
proporre, stando alle biografie che lui ne scrisse, a Savio, Magone, Besucco. Cf. anche il
sermoncino serale dei 10 settembre 1867 riferito in Mi3 8, p. 940-942. Vi si ritrovano sentenze
scritturistiche del Gobinet e del Giovane provveduto.
(1') Ci fondiamo sulle liste di %ti, dichiarati dai giovani proprio negli anni che ci
interessano: 1854-56(AS 18 Torino, S. Franc. di Sales 51). Ad ogni modo, quanto veniamo
dicendo riassume la documentazione che abbiamo presentato in una serie di laioni neUa
facoltà di Teologia del Pont. Ateneo Salesiano l'anno accademico 1964-65 sulla biografia
di Dom. Savio scritta da DB.
(1') Ancora una volta sottolineiamo il valore di congetma di quanto veniamo dicendo,
specialmente sulla scorta del Moioli. Essa è in qualche modo giustificata da quanto scrive
DB suli'entusiasmo, seguito da rinessione e isolamento taciturno: «Quella predica per
Domenico fu come una scintilla che gi'infiammò tutto il m e d'amore di Dio. Per qualche
giorno disse nulla, ma era meno allegro del solito, sicché se ne accorsero i compagni e me
ne accorsi anch'io.. . gli raccomandai che non mancasse di prendere sempre parte aila ri-
creazione coi suoi compagni » (Vitd, ed. c., p. 50s). Lultima raccomandazione non necessa-
riamente porta a supporre che Domenico materialmente si fosse isolato; ma lo scemare del-
l'allegria induce a credere che un isolamento psichico realmente dev'essere awenuto. Sempre
nella supposizione che il racconto di DB sia oggettivamente preciso in ogni particolare. E in
questa pagina non si hanno motivi seri per dubitarne.
blemi. Non si sente adulto, ma anch'egli avrà sentito l'impulso all'autonomia
dagli altri. Possiamo immaginare gli stimoli che continuavano a giungergli
dall'ambiente e che in quel momento sono di un mondo che non suggerisce
nulla a Domenico: il gioco dei compagni, che sarà apparso insipido senza
un vero senso (per lui), la serie dei compiti scolastici, i richiami a mensa di
mamma Margherita.. . Tutte cose di un ordine di idee che non gli appare
il suo.
A questo punto interviene l'educatore: Don Bosco che, nonostante non
faccia scuola, nonostante spesso si ritiri al Convitto ecclesiastico per scri-
vere, non perde di vista i suoi giovani, specialmente durante la ricreazione
o dall'osservatorio del suo confessionale.
«C;iudicando che tale cosa provenisse da novello incomodo di sanità gli chiesi
se pativa qualche male. Anzi, mi rispose, patisco qualche bene. - Che vorresti dire?
Voglio dire che mi sento un desiderio ed un bisogno di farmi santo.. . » ('3).
/
Domenica allora ripete in parte quanto aveva sentito nella predica e
manifesta quel che ha suscitato in lui: « I o non pensavo di potermi far
santo con tanta facilità; ma ora che ho capito potersi ciò effettuare anche
stando allegro, io voglio assolutamente, ed ho assolutamente bisogno di farmi
santo ». E aggiunge: « M i dica dunque come debbo regolarmi per cominciare
tale impresa ». Sotto lo stimolo dell'educatore che gli si è awicinato, alla pre-
senza di colui nel quale ha confidenza, Domenico compie il primo atto che
potrà portarlo a superate la diffrazione tra mondo ideale e mondo reale. Egli
si apre a Don Bosco. Questi capisce quale sostituzione si era operata .nétlla mente
del suo ragazzo e, saggiamente, ribadisce il valore di quei mezzi che, con
tutta probabilità aveva proposto in termini chiari nella sua predica e ag-
giunge quanto richiedeva l'emergere iniziale della fmstrazione:
a Io lodai il proposito, ma lo esortai a non inquietarsi, perché ne& commozioni
deli'animo non si conosce la voce del Signore; ché anzi io voleva per la prima cosa
una costante e moderata allegria, e consigliandolo ad essere perseverante neli'adem-
pimento de' suoi doveri di pietà e di studio, gli raccomandai che non mancasse di
prendere parte alla ricreazione coi suoi compagni »(M).
2. È facile farsi santi
La crisi di Domenico Savio getta luce sul completo valore che assumeva
per Don Bosco l'asserzione: « È facile farsi santi ». Non si trattava di un'ad-
domesticazione di mezzi: mezzi che facilitassero ciò che era arduo; nemmeno
si trattava di un abbassamento dell'ideale o soltanto di modalità accessorie
(l3) Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico, ed. C,, p. 50
('4) Bosco, Vita del giovanetto Suuio Domenico, ed. C,, p. 50s.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
della santità ch'egli propone. I n fondo, sembra, l'elemento che Don Bosco
vuol porre in piena luce è che la santità consiste non nel fare cose straordi-
narie, ma nel compimento dei propri doveri. Anche gli adolescenti per di-
venire santi non devono in sostanza fare altro. I doveri che Don Bosco
enumera a Domenico sono tutto sommato quelli che suggerisce a Magone e a
Besucco: studio, allegria, pietà(''); sono quelli che esprime ingenuamente
Domenico Savio, concentrando con piccola iperbolica facezia il tutto in
una parte, nella dichiarazione a Camillo Gavio, nuovo venuto all'Oratorio:
« Qui facciamo consistere la santità nello star molto allegri. Noi procure-
remo soltanto di evitare il peccato, come un gran nemico che ci ruba la
grazia di Dio-e la pace del cuore, di adempiere esattamente i nostri doveri,
e frequentare le cose di pietà. Comincia fin d'oggi a scriverti per ricordo:
seruzte Domzno tn laetztza, serviamo il Signore in santa allegria » ( l b ) .
In fondo Don Bosco pare avere presente (e sarà stato frutto di rifless~one
e di esperienza) il presupposto psicologico su cui lavora. La stoffa che ma-
neggia è una personalità in maturazione e abbastanza fragile, in cui manca
il tessuto connettivo di una logica serrata e di una volontà tenace (l7). Don
Bosco lo asserisce nella Vita di Domenico Savio, lo ribadisce in quella
di Magone e di Besucco e, infine, nelle sue osservazioni sul Sistema preventivo
nelle case di educazione. Da ciò risulta il suo oggettivismo pedagogico, at-
- - tento, oltre che al valore astratto dei mezzi educativi, alla capacità assi-
milatrice, oltre che selettiva dei giovani. « Per questo egli scrive io
consiglierei di caldamente invigilare che siano praticate cose facili, che non
ispaventano, e neppure stancano il fedele cristiano, massime poi la gio-
ventù. I digiuni, le preghiere prolungate e simili rigide austerità per lo più
si ommettono o si praticano con pena e rilassatezza. Teniamoci alle cose
facili, ma si facciano con perseveranza » (ls).
L'attenzione alle disponibilità dell'adolescente fa intuire a Don Bosco
il valore di una educazione continuata che aifondi le sue basi più lontane
già nell'infanzia. A proposito non delle pratiche di pietà, ma dello « spirito
di preghiera » (cioè, come egli spiega, del continuo stato di preghiera di
Francesco Besucco), egli constata: « È cosa assai difficile il far prendere
gusto alla preghiera ai giovanetti. La volubile età loro fa sembrare nau-
seante ed anche enorme peso qualunque cosa richieda seria attenzione di
mente. Ed è una grande ventura per chi da giovanetto è ammaestrato nella
preghiera, e ci prende gusto. Per essa è sempre aperta la sorgente delle
. (15) In termini espliciti, nella vita di Besucco: Il pastore110 delle Alpi. ., Torino
1864, p. 90.
(16) Bosco, Vita del giouanetto Sauio Domenico, ed. c., p. 86 S.
(17) BOSCO,Vita del giouanetto Savio Domenico, ed. c., p. 35 e 37: «Dunque io sono
la stoffa: ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e farà un bell'abito pel Signore. - Io
. temo che la tua gracilità non regga per lo studio. . .D, <' Egii è proprio dell'età volubile
della gioventù di cangiar sovente proposito.. se non avvi Chi attento vigili, spesso va a
terminare con mal esito un'educazione che forse poteva riuscire delle più fortunate D.
(18) BOSCO, Cenno biografica sul giovanetto Magone Michele, Torino 1861, p. 46 S.
divine benedizioni » (l9). Sotto quest'aspetto Don Bosco integra quanto, con
più accentuate preoccupazioni teologiche, aveva affermato nel Giovane prou-
ueduto sull'importanza di darsi a Dio per tempo ('O). L'esperienza avvalora
la persuasione che in chiave agiografica aveva proposto nel Giovane prov-
veduto: S. Rosa da Lima e S. Luigi « avendo cominciato fin da cinque anni a
servire fervorosamente il Signore, fatti adulti non trovavano più gusto se
non per le cose che riguardavano a Dio; e cosi divennero gran santi »('l).
Don Bosco non parla, come Teresa di Lisieux, di piccola via che conduce
alla santità, ma nella vita di Magone esprime qualcosa di analogo, quando
descrive i mezzi facili che il giovane, dietro suggerimento dell'educatore,
adoperava per proteggere la sua purità: mezzi che qualcuno avrebbe potuto
definire « troppo triviali ». Forse seguendo la piega che aveva dato al suo
discorso, Don Bosco conclude con il rilevare che per Michele Magone questi
mezzi « triviali» non furono certo la via maestosa, ma « il sentiero », che
lo conduse « ad un maraviglioso grado di perfezione »(").
('9) BOSCO, Il pastore110 'delle Alpi, ed. c., p. 113.
( W ) La soluzione in chiave teologica, sulla trama di sentenze scritturistiche e di teorie
sulla y u i a è dovuta, almeno in parte, sul piano filologico - come rilevammo - ail'idusso
del Gobiner, della Guida angelica e dei De Mattei. Le biografie danno un maggior riioio
a valori che sono oggetto di esperienza e di riflessione pedagogica. Non ci sembra che per
questo ci sia da pensare, ad esempio, a influssi diretti di Rousseau o di altri che, dopo di lui,
hanno insistito sulla importanza dell'educazione data nella prima infanzia. Sulla linea della
letteratura spirituale per adolescenti prodotta nell'ambiente di DB è possibile troyare osser-
vazioni che rispecchiano il medesimo atteggiamento e la medesima attenzionè alla teologia e
. ai dati sperimentali. Cf. ad esempio [S. A. Bumro], Un marzolin di fiori ai fanciulli ed alle
fanciulle. ., Torino, Paravia 1836, p. 3 s: « ParliSdo della società in generale, massime
nelle terre e ne' borghi rapporto ai ragazzi deil'uno e dell'altro sesso, quello che non si fa
prima della pubertà, non si è pib in tempo di farlo dopo. Qualora si manchi in tal età di
ben piantarvi nel cuore i semi del timor santo di Dio, dove in poi,. dove si riceveranno mai
fra muie interni ed esterni incentivi, che tirando al male, vieppiù dal santo timore discostano?
Ed ecco nel mondo perpetuato il mal costume, e quasi forestiera la virtù. Si coltivi solleci-
tamente e industriosamente in questo santo timore ed amor di Dio il cuore de' giovanetti;
e il mondo si vedrà riformato, anzi santo ». E a p. 7: «Ripiegando soavemente al bene i
primi sviluppi deil'inciinazion naturale del temperamento e deiia volontà.. . lo Spirito Santo
ci assicura perseverare d'ordinario sino aUa vecchiaia, c rendere l'uomo beato in vita, non
meno che in morte: Adolescens iuxta viam suam etuim cuna senuerit non recedet ab ea:
Bonum est viro dum portaverit iugum ab adolescentia sua. . . D. Cf. quest'ultima sentenzn
in un Avviso sacro pubblicato da DB nel 1849, MB 3, p. 606 (brano aliogr. con postille di
DB e cinque esemplari stampati di G. B. Paravia, in AS 131.04).
Anche Gobinet a proposito della preghiera ha rilievi in cui, immersi in tessuto teo-
logico, tra persuasioni suiia natura decaduta e sulla salvezza eterna, traspaiono dati di espe-
rienza: *<Laleggerezza dello spirito naturak alla lor età d'ordinario #impedisce d'applicarsi
... come converrebbe al pensiero della loro salvezza. Ricevono con facilità le cognizioni, ma
queste si scancellano ben presto dal loro spirito Pregano senza attenzione e senz'affetto:
recitano le orazioni non pensano a quel che dicono: parlano a Dio con le labbra, ma non
col cuore (Istruzione della gioventù, pt. 5, Tratt. della meditazione, art. 6, ed. c., p. 444).
(a)IBOSCO],I l giovane provueduto, ed. C , p. 12 S.
I") Bosco, Cenno biografico, ed. c., p. 46s.

11.9 Page 109

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
3. Valentino, l'ideale frustrato
In Vaientino Don Bosco ci presenta il caso di un giovane frustrato
nel suo ideale. Posteriore alle biografie di Savio, Magone, Besucco, il racconto
di Valentino è quasi il complemento di un discorso pedagogico, posto a
chiusura di una serie di esperienze interpretate alla luce del principio che
soltanto la religione può dare la << vera » felicità e solo la religione è fon-
damento di una compiuta educazione. Ecco in breve la traina del rac-
conto.
Osnero, rimasto presto vedovo, decide di collocare il figlio dodicenne
in collegio. E;a un galantuomo, Osnero; non credente, scetticheggiante, di
quelli che ritenevano come si potesse essere onesti e buoni cittadini senza
religione. Pose perciò il figlio in un collegio - dice Don Bosco - alla moda,
dove gli educandi vestivano divise da ufficialetti con casco e cimiero. Fu
però una delusione. Valentino tornò a casa per le vacanze autunnali svagato e
bocciato. Per non sprecare ulteriormente tempo e denaro Osnero, facendo
leva sull'affetto di Valentino per la defunta madre, donna religiosissima, per-
sdade il figlio a entrare in un collegio, dove l'educazione era fondata sulla
pratica religiosa. Valentino tornò ad essere un buon ragazzo. Anzi, andò
oltre. Era sui quindici anni ormai, neu'età degli ideali. Sotto la spinta del ri-
cordo materno e con sotto gli occhi il simbolo vivente di quel che sarebbe
potuto essere, si senti chiamato allo stato ecclesiastico. I consigli del con-
fessore e l'esame del direttore portarono a stabilire in termini esclusivi la
- vocazione. La probità dei costumi richiesta - gli aveva detto il direttore
del collegio « si conosce specialmente dalla vittoria dei vizi contrari ai
sesto comandamento e di ciò bisogna rimettersi al parere del confessore »
Valentino ne aveva avuto il responso positivo. La scienza, poi, era garan-
tità dal buon esito degli esami scolastici. Occorreva lo spirito ecclesiastico,
cioè la tendenza ed il piacere che si prova nel prendere parte a quelle fun-
zioni di chiesa che sono compatibili coll'età e colle occupazioni ». Infine era
necessario il desiderio di abbracciare il sacerdozio « a preferenza di qualunque
altro stato anche più vantaggioso e più glorioso » ("l. Valentino constata di
essere chiamato. «Tutte queste cose - asserisce - trovansi in me. Mia madre
desiderava ardentemente che mi facessi prete, ed io ero più ansioso di lei.
Ne fui avverso per ,due anni, per quei due anni che voi sapete: ma al presente
non mi sento a nissun'altra cosa inclinato. Incontrerò alcune difficoltà da
(U)BOSCOV,alentino o la vocazione impedita. Epirodio contemporuneo . . ., Torino
1866. Per la tensione di Vdentino non è presentata verso la santità, ma semplicemente
verso il sacerdozio. Solo implicitamente può essere considerata in ordine a!la 3anutà sa-
cerdotale. Questa tuttavia condiziona nettamente i'impegno ascetico di altri giovani, dei
quali DB ci ha lasciato la biografia: Comollo, Savio, Magone, Besucco.
1%) Bosco, Valentino, p. 27.
(25) BOSCO, Valentino, p. 28.
parte di mio padre che mi vorrebbe in una carriera civile, ma spero che Dio
mi aiuterà a superar ogni ostacolo » (").
A questo punto Osnero interviene. Al figlio che gli manifesta le proprie
intenzioni, egli risponde che la deliberazione è immatura: « La tua età - gli
scrive - ti rende incapace di conoscere quello che tu risolvi di fare. Tu
devi dipendere da me, e non da altri. Io sono tuo padre, io solo posso e vo-
glio renderti felice ("1.
Osnero a5da il figlio a un anziano amico, Mari, già navigato del mondo.
Valentino da Mari è condotto a conoscere e godere la vita. Lo scopo è
raggiunto, ma a caro prezzo e senza che il padre si sia reso conto delle crisi
interiori che laceravano e demolivano la personalità del figlio.
« I1 perfido Mari - scrive Don Bosco - dopo di aver fatto girare l'infelice
Valentino per alberghi, giuochi, caffè,balli, teatri, dopo averlo fatto viaggiare in varii
paesi e città, finalmente riuscì a sedurlo e per colmo di sventura ingolfarlo in quel
vizio che S. Paolo vuole che sia nemmen nominato fra i cristiani. Valentino vedeva
l'abisso verso cui camminava e sul principio ne sentiva i più acuti rimorsi. Cercò più
volte di andarsi a confessare; ma la scelerata guida ne lo ha sempre impedito. Una
sera voleva a qualunque costo recarsi presso un convento di cappuccini e Mari gli
fece sbagliare la strada e lo condusse in una casa di perversione. Valentino fu dolente
e provò tale rincrescimento e giunse a tal segno di disperazione che era per precipi-
tarsi giù da una finestra del terzo piano dell'albergo p).
Mari riusci a calmare il giovane. Ogni crisi sembrò definitivamente supe-
rata, i rimorsi non durarono molto. « Quasi insensibilmente Valentino si
abituò ai cattivi discorsi e a ogni sorta di lettura perversa D. , :' ',
Ma avviene il capovolgimento totale degli ideali. Valentino, « richia-
mando alla memoria il buon tempo goduto nel primo anno di collegio si abban-
donò ad ogni sorta di vizio, anzi dopo sei mesi di vita disordinata non sola-
mente non faceva opposizioni a Mari, ma di buon grado lo secondava in
ogni suo malvagio volere » ("). I1 pervertitore, finito il proprio compito, ri-
consegnò il giovane a Osnero. Questi non tardò ad accorgersi di avere in casa
un libertino. Valentino non sembrava avere limiti nello spendere, indebi-
tando sé ed il padre. Venne inviato in un'altra città per frequentare il liceo.
Ma i soldi dati dal padre per la pensione venivano impiegati in partite a
bigliardo. « L'afflitto padre malgrado la sua cadente età intraprese più volte
il viaggio fino a quella città, pregò, avvisò suo figlio, gli raccomandò di
ritoinare alla religione, alla vita felice che un tempo godeva » ('O). Valentino
finalmente manifesta il suo vero volto: quello del giovane che accusa e con-
danna se stesso e chi gli aveva demolito fa vita, infranto gli ideali; quello del
("6) BOSCO, Valentino, p. 28 S.
(n)Bosco, Valentino, p. 31.
( 8 )Bosco, Valentino, p. 38.
("1 Bosco, Valentino, p. 38s.
(M) BOSCO, Valentino, p. 41.

11.10 Page 110

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
giovane che ormai prosegue fatalmente, rabbiosamente, sadicamente l'ideale
invertito, nella consapevolenzza di giungere al proprio annientamento e alla
distruzione totale dell'ideale ignominioso che gli era stato imposto.
« Padre, rispondeva Valentino, le lezioni di Mari producono il loro effetto, mi
è impossibile tornare indietro. So che sono per la strada della rovina, ma bisogna
andare avanti.
- Caro Valentino, disse il padre piangendo, dammi ascolto. Vieni a casa, fa
quello che vuoi, purché abbandoni la cattiva strada per cui ti sei messo. Questa ma
vita ti conduce al disonore, alla miseria, ali'infamia, e conduce me anzi tempo alla
tomba.
Valentino io guardò fisso, e come volesse dire essere quello per colpa sua sog.
giunse: « Percht! mi avete impedita la vocazione? D. Ciò detto abbandonò il padre
in mezzo di una piazza, andò da un sensale per contrarre un altro mutuo maggiore
dei primi, poi ritornò ai suoi tristi compagni » ("1.
Chi percorra i temi moralistici espressi da Don Bosco in Valentino può
formarsi l'impressione che i1 racconto sia del tutto a tesi, sia in una certa
misura la variazione del tema dominante già enunziato in una predica giova-
niie sul vizio della disonestà(=) e riespresso nel Giovane piovveduto: non
est pax impiis, non c'è pace specialmente per i voluttuosi; chi si dà al vizio
sembra felice, ma in realtà è rosicchiato dal verme del rimorso, in realtà vive
arrabbiato e il cuore gli piange.
Posto 'pure che ,si tratti di un episodio a fondo storico, i1 fatto di
cronaca deve avere attirato l'attenzione di Don Bosco, perché egli vi trovava
comprovate le sue tesi. Tuttavia non si può negare che l'esposizione manifesta
un tessuto abbastanza solido di osservazioni psicologiche, ricavate da un
qualche fatto vero e trasferito nel tessuto del romanzo e d u c a t i ~ o ( ~ ~ ) .
Come notavamo, più che nel fatto di Valentino l'intento moralistico
e apologetico in tutta la sua ampiezza è svolto appunto nella predica giovanile
sulla disonestà. Don Bosco, come i moralisti classici a cui attinge (Segneri,
S. Alfonso, S. Leonardo da Porto Maurizio, Gohinet) e come altri che forse
non lesse (come Nicole) si aggira per la mente dei suoi giovani e ne coglie
le
intuizioni e obiezioni alle sue tesi. Egli avverte che i giovani, ba-
(31) BOSCO, Valentino, p. 41 S. Non sfugga il significato degli ultimi gesti attribuiti
a Valentino: il simbolo del gesto contronatura che è l'abbandonare il padre (affetto invertito
che si traduce fisicamente), l'indebitare sé e il padre (per la distruzione fisica di quanto era
oggetto di stima da parte di suo padre), il ritornare tra coloro che sono oggetto della sua
amicizia pervertita (non propriamente amici, ma compagni tristi) la cui consuetudine 6 segno
permanente e strumento efficacedeli'autodistruiione.
(32) AS 132 Prediche B 4; cf. MB 16, p. 594-601.
(33) Sarebbe da appurare, inoltre, h o a che punto la pittura del libertino turbato da
rimorsi religiosi risponda realmente a un'epoca ancora molto impregnata da abitudini e
schemi mentali derivati da una lunga tradizione di costume cristiano. Ci sembra che
bisogna resistere, rinche in questo caso, alla tentazione di ridurre tutto a mero astrattismo
teologico e amrninicolo oratorio o apologetico.
sandosi sull'esperienza quotidiana, possono affiancare, alla pittura del giovane
disperato, quella del gaudente fortunato. Questo possibile ideale, questo pos-
sibile oggetto di invidia, questo empio che già aveva proiettato la sua
ombra sulla riflessione religiosa dei Salmi, di Tobia, Giohhe, viene - nella
persuasione di Don Bosco - smontato nella prospettiva di una visione reli-
giosa integrale: con sullo sfondo la sanzione eterna. Quella del peccatore che
ha soffocato la voce dei rimorsi è un'apparente felicità. « N e l momento che
egli stima esserne già in possesso, che già va gridando pace e sicurezza, pax et
securitas, egli è appunto allora che Iddio, stanco dal soffrire oltraggi e in-
sulti, arma l'onnipotente sua destra, taglia il filo dei suoi giorni, ed improv-
viso il nostro peccatore è portaio dalla vita alla morte, dal tempo all'eternità,
dalle sozze sue delizie alle pene terribili deil'inferno » (").
L',infelicità eterna è lo sfondo su cui fa spicco non solo l'appello alla
salvezza, bensi anche quello alla santità.
4. Natura e segni delta santita
I1 modo come Don Bosco espone ai giovani e al popolo l'argomento delia
santità e della perfezione induce a pensare ch'egli, per studio, per intuizione
o assimilazione inconscia, abbia risolto problemi teoretici sulla natura della
santità cristiana secondo una determinata linea, che poi, come vedremo, ri-
sulterà suggerita dalla cultura religiosa ambientale. Inoltre, il suo modo di
vedere emerge solitamente in circostanze che occasionalmente intervengono
a stimolare il suo pensiero: nel corso di libri apologetici, agiogrieci, cate-
chistici o biografici.
Negli scritti apologetici - come già notammo - egli sostiene che la
santità è un frutto esclusivo della vera Chiesa. Ciò che è detto dal Cate-
chismo diocesano, dal Gerdil, ddl'Aimé, dal Frayssinous, passa negli Avvisi
ai cattolici, nel Giovane provveduto, nel Cattolzco istruito e in varie Vite:
Comollo, S. Pancrazio, S. Martino, S. Pietro. . . (35).
La santità ha come sorgente Cristo e passa alla Chiesa, che è deposi-
taria dei « mezzi più efficaci per santificare le anime ('". La sola Chiesa Cat-
tolica in ogni tempo e in tutti i luoghi ebbe sempre un gran numero di
Santi che rispiendettero per virtù e miracoli (").
Nella Storia ecclesiastica (1845), in contesto abbastanza lontano dalla
polemica antivaldese, Don Bosco si sofferma a rilevare l'opera gratuita di
Dio nella santità di Isidoro contadino: « F u uno di que' santi che mostrano
quanto sia vero, che il Signore anche fra le glebe, sa condurre i rozzi e gli
(3) Cf. sopra, cp. 7, § 4.
, . ($5) Bosco, I l cattolico istrurto, pt. I , tratt. 5, Torino 16f3, p. 99.
f*) Bosco. Il cattolico istruito. l. c.. D. 100.
~
(37; BOSCO; I! cattolico istruito, 1. C,, p. 100.

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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Don Boscoinndelolattsitoraialledellsaurbelliigmioisitàviceattdoleiclala. VopleIrI.feSzteiollane » ("): è la constatazione teologica
che si legge implicita nella conclusione dei Cenni sul Comollo, il guardiano
di buoi chiamato all'altare e morto dopo essersi distinto per virtù « singo-
lari e compiute D.
La preoccupazione apologetica e catechistica affiora in termini signifi-
cativi nelle pagine premesse alla Vita di S. Zita, nel 1853:
«Noi possiamo sfidare i Calvinisti, i Luterani, i Valdesi, gli Anglicani, tutti in-
sieme gli eretici d'ogni setta, a mostrarci tra loro una sola persona cosi eminentemente
virtuosa, come richiede la dottrina Cattolica, e come esige la Chiesa Romana » (39).
La santità accompagnata dai miracoli fiorisce unicamente nella Chiesa Cattolica;
«dunque essa è la vera Chiesa di Dio, sovrano autore d'ogni santità e di tutti i mi-
racoli. A l contrario fra gli eretici di qualunque setta non mai furono, non sono, né
ci saranno mai Santi, né miracoli; dunque i protestanti e gli eretici d'ogni nome hanno
in ciò stesso un manifesto segno dell'errore, del vizio deiie loro sette, tutti hanno
con sé un chiaro carattere, che dimostra non aver con loro la verità, ed essere le loro
sette riprovare da Dio » (a).
S. Zita, umile serva, è uno dei tanti fiori di santità che la Chiesa Cat-
tolica è capace di alimentare in tutti gli stati di vita (41).
Come gli Auuisi ai cattolici, anche la premessa alla vita di S. Zita
si risolve in appello: « O voi tutti, che lavorate, che siete aggravati da pene e
da travagli, se volete trovare una sorgente inestinguibile di consolazioni,
se volete rendervi fortunati, siate Santi! » (").
Qui ha inizio la perorazione agli umili lavoratori in favore deila san-
tità. L'autore della premessa si pone nella situazione di un popolano, per
il quale la santità può apparire come un ideale troppo superiore, riservato
a persone che abbiano possibiiità di fare chissà quali grandi cose:
«Divenir santo! direte voi, chi può aspirar a ciò? Bisognerebbe aver tempo per
trattenerci di continuo in preghiere, e in chiesa: bisognerebbe esser ricco per poter
fare grandi limosine: bisognerebbe essere letterato per poter comprendere, studiare,
e ragionare.
Errore grande, nostri buoni amici, è questa un'illusione pericolosa. Per farci
santi non è necessario d'essere padroni del nostro tempo, né d'esser ricchi, o letterati.
La mancanza di occupazione rende ozioso: le ricchezze spesso fanno degli avari, e la
scienza sovente fa degli orgogliosi.
Di quante cose adunque abbiamo bisogno per farci santi? DI una cosa sola:
Bisogna volerlo. Si: purché voi vogliate, potete essere santi: non vi manca altro che
21 volere » (").
BOSCO, Storie ecclesiastica, epoca 3, Torino 1845, p. 217.
(3)Vita di santa Zita serva e di sant'lsidoro contadino, Torino 1853, p. 4.
(") Vita di senta Zita, p. 5 S.
(") Viio di santa Zita, p. 9: «Quanto più la vita d i questa Santa agli ofchi del mondo
fu abbietta per la povertà de' natali, pel tenore del viver suo, quello cioè di povera
serva; altrettanto ella fu grande ed illustre dinanzi a Dio D.
( a )Vita d i santa Zifa, p. 6 .
(a)Vira di santa Zita, p. 6 s.
Troviamo qui enumerate alcune delle erronee idee della santità. Chiun-
que sia l'autore della premessa alla Vita di S. Zita, a ben guardare, non si
tarda a riconoscere una piena affinità con le idee che Don Bosco mostra di
arginare e correggete nei suoi giovanetti. Domenico Savio, Magone, Be
succo si succedono nello stesso ambiente con quasi le medesime di&coltà
e le medesime reazioni di fronte all'ideale perseguito. Chi conosce la vita
di collegio e il ripetersi di atteggiamenti nei giovani che si susseguono, non
stenta ad accettare la verisimiglianza globale di quanto letterariamente è
dovuto a Don Bosco. Orbene, Savio, Magone, Besucco tendono non solo alla
preghiera prolungata, ma a moltiplicare i tempi di orazione, le visite i11
chiesa durante la ricreazione, i fioretti; sono attratti dalla mortificazione,
vorrebbero.rendersi più scarso il vitto e più tormentato il sonno. Don Bosco
sorprende Domenico Savio intirizzito a letto con una sola coperta, a sta-
gione invernale inoltrata nei cameroni tutt'altro che riscaldati d i Valdocco,
dove la temperatura nelle prime ore del mattino scendeva a pochissimi gradi
sopra zero. Domenico è ammonito, s'impensierisce e scoppia in lagrime,
vedendosi interdette una dopo l'altra le mortificazioni che intendeva fare
per amore di Gesù, la cui vita terrena era stata sofferente, e per essere si-
curo di salvare l'anima propria.
- Besucco muore per quella che Don Bosco, scrivendo a ragazzi, definisce
ed incolpevolmente lo fu - una imprudenza da non imitare. Besucco,
ingenuo pastorello, che voleva farsi santo soffrendo con Gesù Crocifisso, e dor-
mendo con una semplice coperta in pieno inverno, rimase vittima, con tutta
probabilità, di una polmonite.
Dunque in che cosa consisteva la santità? Come si fecero:.s~ntiagri-
coltori, servi e giovani? La prefazione all'opuscoletto citato cosi risponde:
«Operai, agricoltori, artigiani, mercanti, e servi, e giovani, si sono santificati
ciascuno nel proprio stato. E come si sono santifirati? Facendo bene tutto ciò, che
dovevano fare. Essi adempievano tutti i loro doveri verso Dio, tutto soiTrendo pel
suo amore, a lui offerendo le loro pene, i loro travagli. Quest'è la grande scienza del-
la salute eterna e della santità » (").
È proposta infine l'ovvia considerazione che i miracoli non sono sinonimi
di santità, anche se Dio li concede in prova della santità vera:
«Nella vita dei Santi, che la Chiesa ci propone a modello, vedremo talvolta dei
fatti straordinari e deUe azioni strepitose: ma dobbiamo ritenere, che non sono que-
sti fatti, né queste azioni, che li abbiano fatti santi; bensi la loro fedeltà nel servizio
di Dio, e nell'adernpimento dei doveri del loro stato. Ci possono essere dei Santi
senza che abbiano fatto miracoli. Iddio coi miracoli e con altre azioni straordinarie
vuole glorificare i fedeli suoi servi, e rendere a tutto il mondo una sensibile testiino-
nianza della santità della Chiesa Cattolica, di cui sono figli » ("1.
( M ) V i t ~di santa Zita, p. 7 s
(45) Vira di soiltu Zita, p. 8.

12.2 Page 112

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Don Bosco5n.eDllaosntoriBa odeslclaoreeligiloasitàtrcaadttiozliicoa.nVeolsIIp. iSrtietlluaale sulla santita cristiana
Abbiamo già accennato come nello stesso tempo e nello stesso am.
biente il Cottolengo suggeriva ai fedeli di chiedere per intercessione di Ma-
ria SS. la santità. Libretti per ragazzi (come quelli scritti dagli oblati pie-
montesi Burzio e Isnardi) esortavano ragazzi e ragazze ad incamminarsi per
la via della santità. Le idee erronee relative alla santità, che si trovano nelle
biografie scritte da Don Bosco e riassunte nella prefazione alla Vita di S.
Zita, coincidono sostanzialmente con quelle che si leggono ad esempio nei
preamboli al Tuattato della vera devozione a Maria Vergine di Luigi Maria
Grignion de Montfort; ma già si possono leggere nello Scupoli e nell'lntro-
duzione alla vita devota di S. Francesco di Sales. I1 Combattimento spiri-
tuale dello Scupoli venne stampato a Torino nella Collezione di buoni libvi
nel 1851. Se ne possiede anzi una copia sgualcita del 1785 già appartenuta
al teologo Giambattista Appendini, amico e professore di teologia di Don
Bosco in seminario a Chieri (*). Quanto all'lntroduzione alla vita devota,
sappiamo che Don Bosco vi si ispirò per la considerazione sul paradiso che si
legge nel Giovane provveduto e nel Mese di maggio.
Molti - scrive lo Scupoli - senz'altto pensare, hanno posto il loro
ideale di perfezione « nel rigore della vita, nella macerazione della carne. ne'
ciliccj, ne' flagelli, nelle lunghe veglie, ne' digiuni, ed altri simili asprezze
e corporali fatiche. Altri, e particolarmente le donne, si danno a credere di
essere giunte a gran segno, quando dicono di molte orazioni vocali, odono
molte Messe e lunghi U&i, frequentano le Chiese e le Comunioni » (").
Tutte queste cose possono essere utili, ma sono soltanto mezzi di perfezione
e non la perfezione stessa.
« Colui ch'è dato al digiuno - ribadisce S. Francesco di Sales - si
terrà molto divoto, purché egli digiuni, ancorché il suo cuore sia pieno di
rancore, e non osando bagnare la sua lingua nel vino, e né ancor nell'acqua
per sobrietà, non avrà punto di scrupolo d'imbrattarla nei sangue del pros-
simo con mormorazioni e calunnie. Un altro si stimerà divoto, perché dice una
gran moltitudine d'orazioni ogni giorno, sebbene con tutto questo la sua
lingua s'impiega tutta in parole fastidiose o arroganti ed ingiuriose a dome-
stici e a vicini: queil'altro tira fuori volentieri limosina dalla borsa, per
darla a' poveri, ma non può cavare un tantino di dolcezza dal suo cuore per
perdonare a' nemici » (9.
("1 L. SCUPOLIIl, combattimento spirituale.. .,Torino, Giuseppe Davico 1785. Donato
al Centro Studi Salesiani del Pont. Ateneo Salesiano dal parroco di Villastellone, dove risie-
dette il teol. Appendini. Sul foglio di coperta iniziale è scritto «Exlibris Appendini Joannis
Baptistae 1831 n. Sul verso dello stesso foglio: « E x libris Giuganino Caroli n, nipote del.
YAppendini.
(47) SCUPOLIl, combattimento spirituale, pt. 1, cp. 1, ed. C,, p. 2.
(4S) S. FRANC. DI SALESIn,trodzizione alla uita divora, pt. 1, cp. 1, in Opere, 1, Venezia
1735, p. 7.
La vera devozione, soggiunge S. Francesco di Sales, « presuppone l'amor
di Dio, anzi ella non è altra cosa, che un vero amor di Dio, ma non però
amore tale e quale; perché in quanto, che l'amore divino abbellisce le anime
nostre, si chiama grazia, facendoci aggradevoli a sua divina Maestà, in quanto
poi ch'egli ci dà forza di far bene, si chiama carità, ma quando egli arriva a
tal grado di perfezione, che ci fa non solamente far bene, ma ci fa operare
diligentemente, frequentemente e prontamente, allora si chiama divozione » ('9).
« La divozione non aggiunge altro al fuoco della carità, se non la fiamma che
rende la carità pronta, attiva e diligente, non solo all'osservanza de' comanda-
menti di Dio, ma anco all'esercizio de' consiglj ed ispirazioni del Cielo »
Secondo lo Scupoli la perfezione « in altro non consiste, che nel cono-
scimento della bontà e grandezza di Dio e della nostra nichilità ed inclina-
zione ad ogni male; nell'amor suo ed odio di noi stessi; nella soggezione
non solo a lui, ma per amor suo ad ogni creatura; nella spropriazione d'ogni
nostro volere, e rassegnazione totale nel suo divino piacimento, ed oltre
ciò che tutto questo si voglia e faccia da noi puramente per gloria di Dio
e per suo solo compiacimento, e perché cosl egli vuole e merita di essere
amato e servito. Questa è la legge dell'amore impressa dalla mano dell'istesso
Signore ne' cuori de' suoi fedeli servi P(*'). In una parola, la perfezione
consiste, secondo lo Scupoli, in una cognizione affettiva e in un amore de-
voto e operativo. I1 termine « nichilità » esprime quella conoscenza che
porta ail'nmiltà, e non ha il senso specifico dei mistici fiamminghi, volti a
condurre l'anima verso l'annientainento, all'immedesimazione con i'essenza di
Dio, termine supremo della perfezione umana.
Oltre a S. Francesco di Sales e allo Scupoli attira ilattenzioEé un autore,
il cui corso di esercizi spirituali venne raccomandato nel secondo Capitolo
generale dei Salesiani (*): Paolo Segneri juniore, detto anche il Segnerino.
Questi, pnr nella brevità della vita, aveva avuto modo d'incidere nella pre-
dicazione popolare di lime Seicento e inizio Settecento, si da prendere degna-
mente posto accanto al Segneri maggiore, il modello dei quaresimalisti ita-
liani. Degli Esercizi dei Segneri junior si servirono S. Leonardo da Porto
Maurizio, S. Alfonso e vari altri che si erano comunicati i manoscritti. Di
lui rimase incantato Ludovico Antonio Muratori, che se ne fece biografo
ed editore. « Era - ricorda il Muratori - in bocca sua la parola di Dio
la più soave, viva, penetrante cosa del mondo. Piaceva ugualmente agli
(a)S. FRANC. DI SALES, Introduzione alla uita divota, l. C,, p. 8.
(s)S. FRANCDI. SALES,Introduzione alla uita divota, l. C,, p. 8.
( 5 ' ) SCUPOLII,l combattimento spirituale, l. c., p. 7.
(52) Deliberazioni del secondo Capitolo generale della Pia Società Salesiana tenuto in
Lonzo Torinese nel rettembre 1880, Torino 1882, p. 67. Non ci soEermiamo sulle conside.
razioni circa la santità e i mezzi per conseguirla, proposti da autori che DB potE conoscere,
come J. CROISET, Efercizi di pietà per tutti i giorni dell'anno, meditai. per il 23 febbraio.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
ignoranti e ai dotti, e tutti l'intendevano e stavano a udirlo rapiti da ine-
splicabil piacere per quella nobil chiarezza e insieme vivacità, che si osservò
sempre ne' suoi ragionamenti. Predicava inoltre il suo volto, tutto spirante
divozione ed umiltà, predicavano i suoi occhi, ne' quali ciascun leggeva una
santa modestia e una amabilità singolare »
Paolo Segneri proponeva tra l'altro un esame di coscienza « sopra l'ob-
bligo che ha ogni cristiano di aspirare alla santità » ("). Anch'egli dopo avere
enunziato l'obbligo che tutti hanno di tendere alla santità invitava a ri-
flettere su quello ch'essa era e su quello che non era. Non consiste, diceva,
in cose incompatibili con il proprio stato: « Un padre di famiglia non è
obbligato a veiidere tutto il suo e darlo a' poveri, benché questa azione in se
stessa sia un'opera sommamente buona ». «Non consiste in quelle grazie
straordinarie che ebbero molti santi nelle orazioni . . . D i S. Giovanni Battista
non si sa ch'egli facesse mai miracoli; e pure fu canonizzato per uno dei mag-
giori santi dalla bocca stessa di Cristo Signor nostro ». « Leviamoci adunque
dagli occhi quest'ultima ombra. Non sono le estasi, i miracoli, il dono delle
lagrime, e simili grazie straordinarie che facciano santo ».
La santità a cui siamo tenuti non consiste in mortificazioni straordinarie,
in penitenze e in devozioni gravose.
Nel Segneri ritroviamo un'osservazione che Don Bosco fa quando de-
scrive i sentimenti dei giovani davanti a impegni che appaiono gravosi:
« Molti - scrive il Segneri - si atterriscono al nome di santità perché si vanno
immaginando, che non si possa esser santo senza terribili discipline, aspri cilici, di-
giuni rigorosissimi e divozioni straordinarie. Come sentono che uno fa tali cose:
oh egli è un santo! tutto questo può esser bene, ma non è necessario per esser santo,
e noi non dobbiamo sgomentarci D (").
«La santità dunque - egli continua - a cui siamo obbligati di aspirare, con-
siste assolutamente in astenersi da ogni sorta di peccato, anca veniale fatto con av-
vertenza, e in fare e patire per amor di Dio tutto quel più che possiamo, quando.
attese tutte le circostanze ciò sia ben fatto (56).
È appunto quanto si ricava specialmente dalla Vita di Besucco, dove
sono maggiori le digressioni didascaliche e più trasparenti le preoccupazioni
educative. Besucco si presenta a Don Bosco. Dice di essere angustiato ri-
flettendo sulle parole del Signore: « non si può andare in paradiso se non
coll'innocenza e colla penitenza ». Aggiunge ch'egli ormai si trova nella ne-
cessità di fare penitenza. Don Bosco ribadisce le direttive date più volte: « con-
siderasse come penitenza la diligenza nello studio, l'attenzione nella scuola,
F3) P. SEGNERI IUNIOROEp,ere postume, Torino, G. Marietti 1857, p. 5.
(W)SEGNERI, Opere postume, Esame X I , ed. C,, p. 266-271.
("1 SEGNEROIp,ef'e Postume, l. C-, p. 267.
(56) SEG~YEOI~pIe,re postume, l. c., p. 267.
220
l'ubbidire ai superiori, il sopportare gli incomodi della vita quali sono caldo,
freddo, vento, fame, sete ». Besucco obietta che tali cose si soffrono per ne-
cessità e Don Bosco ribadisce: « Appunto, quello che si soffre per necessità,
se tu aggiungi di soffrire per amor di Dio diventerà penitenza, piacerà al
Signore, e sarà di merito all'anima tua » ("). I n più, lo esorta a rendere pic-
.coli umili servizi alla comunità e ai singoli compagni.
Tutto questo dà valore di attendibilità a quanto è riferito, appunto ri-
guardo alla santità nei manoscritti Annali di Don Bonetti. Si era sul finire
del 1862 o nei primi del '63. Besucco sarebbe entrato all'Oratorio nell'agosto
di quell'anno.
«Don Bosco - scrive il cronista - fece questa dimanda al chierico Aufossi:
qual credi che sia il modo più facile a noi per farci santi?
Caiene furono detti parecchi, ed egli disse essere il seguente: riconoscere la vo-
lontà di Dio in quella dei nostri superiori in quello che ci comandano, e in tutto
quello che ci accade lungo la vita (9.Alcune volte ci pare proprio, proseguì egli,
che non debba essere così, allora è tempo di farci coraggio e dire a noi: mi fu
detto così, perciò andiamo avanti. Altre volte ci sentiamo oppressi da qualche
calamità od angustia di corpo o di spirito: non ci perdiamo di coraggio, confor-
tiamoci col dolce pensiero che tutto è ordinato da quel pietoso nostro padre che'
nei cieli e per nostro bene: a lui tutto offriamoci.
Questo è il mezzo più acconcio per arrivare con somma facilità aUa più alta
perfezione. Un altro per esempio vuole fare penitenze, digiunare; il superiore lo con-
siglia a ciò non fare: ebbene ubbidiamo, ché cosi saremo sicuri di fare la volontà di
Dio, e saliamo un gradino sulle scale della santità » (").
, .. .
In definitiva Don Bosco appare sulla linea della spiritualità ascetica, prevalsa
dopo la crisi quietista in tempi in cui ormai si apprezzava il progresso delle
arti e delle scienze e non quanto appariva metafisica e astrattismo; appare
in linea con la spiritualità che colloca la perfezione nell'esercizio virtuoso
conforme alla volontà di Dio, manifesta anzitutto attraverso i doveri del
proprio stato. L'accento è posto sulle virtù, sul loro esercizio, sulla fede
amorosa e sulla carità operativa, sulle opere esigite dalla propria vita quo-
tidiana (che la polemica antiprotestante, non tenendo conto della posizione
calvinista, tendeva ad affermare come necessarie alla salvezza, quasi che i Rifor-
matori ne negassero in termini assoluti i1 valore saivifico).
Don Bosco non è certamente sulla linea di chi grande peso, o anche
fa consistere, la perfezione nella contemplazione amorosa di Dio, raggiunta
specialmente neil'orazione. Anch'egli, piuttosto, si fa portavoce della per-
suasione che la santità ordinaria è per tutti ed è a tutti accessibile. Anch'egli
propone e discute le concezioni errate e propone un concetto vero di santità.
(n)Bosco, Il pastore110 delle Alpi.. ., Torino 1864, p. 120.
(s)Aggiunto in sopralinea a e in mtto - la vita ».
(59) BONETTI, hinnali III, p. 53-55 (AS 110 Bonetti).
221

12.4 Page 114

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Don Bosco nellaPosttorreiabbdeellasreemligbiorsaire ccahttoelician. VmoloIIl.teSteclloase Don Bosco si faccia portavoce di
un luogo comune attinto soltanto da predicatori e scrittori spirituali. Bisogna
nondimeno resistere alla tentazione di risolvere tutto a genere letterario.
Gli studiosi delle tradizioni popolari, con buon fondamento, portano l'oc-
chi0 su quanto del costume popolare è posto in luce da predicatori di mis-
sioni e moralisti ch'ebbero esperienza pastorale. Assodato questo, sembre-
rebbe che nel caso nostro S. Francesco di Sales, Paolo Segneri, S. Alfonso
e molti altri, come lo stesso Muratori, il gesuita Croiset, ecc. si facciano
portavoci di usanze, costumi e persuasioni che attecchirono tenacemente nella
mente del popolo, impermeabile assai spesso ai ragionamenti anche più pal-
mari È interessante constatare come il popolo, anche per queste cose,
oltre che per leggende e usanze, si dimostri di memoria selettiva e di forza
raziocinativa a breve respiro. Memoria e raziocinio popolare, anche in materia
di santità, hanno avuto bisogno di essere continuamente alimentati, corretti,
sostenuti. Almeno, finché si mantennero quei condizionatori ambientali che
entrarono come corresponsabili nel mantenimento e nel lussureggiare di con-
vinzioni fiorite in base al medesimo meccanismo mentale che crea le leggende
e gli usi più caratteristici e talora meno riflessi.
Da notare che Don Bosco, come S. Alfonso (e in questo manifestano
tatto popolare) non hanno assimilato costruzioni, che invece si trovano in
mistici fiamminghi, nel Bona, nello Scaramelli. Don Bosco non parla di via
purgativa, illuminativa, unitiva, anche se ha i termini di purificazione, illu-
minazione (impetrare la luce divina per vedere la strada che il Signore invita
a percorrere) e di unione; non parla di incipienti, proficienti e perfetti, an-
che se ha i termini di progresso e perfezione. Egli parla bensì di gradi di
santità e di perfezione. Questi propriamente per lui - come per la cor-
rente ascetica in cui si inserisce - indicano le virtù divenute sempre più
ferme, più docili, più attive, più duttili agli impulsi della grazia, più stabili,
più radicate. La facilità operativa che, secondo S. Francesco di Sales, distingue la
devozione, viene posta in rilievo da Don Bosco, soprattutto nel descrivere
lo spirito di preghiera, l'affetto all'Eucaristia o anche lo spirito di peni-
tenza. Domenico Savio godeva di se medesimo. Diceva: « Che mi manca
per essere felice? nulla in questo mondo: mi manca solo il poter godere
svelato in cielo colui che ora con occhio di fede miro e adoro sull'altare P.
Con questi pensieri Domenico traeva i suoi giorni veramente felici. Di qui
- commenta Don Bosco - nasceva quella ilarità, quella gioia celeste che
traspariva in tutte le sue azioni » ("j.
Sales
(. .a.)rPacucòoletossedrea
significativo quanto riporta P. COLLOTLO, spirito
diversi scritti di monsignor Gio. Pietro Camus
di S. Francesco di
vescovo di Belley,
pt. 18, cp. 11, Venezia 17454,
che incominciano a darsi alla
p. 394: «Uno degli
divuzione, è l'usare
scogii in cui sogliouo
l'austerità con poca
duisrtcarreezioqnueel..li.,
Pwhi son quelli, anco tra le persone di spirito, che in questo punto non siano mancati D.
(6') BOSCO, Vita del giovanefto Savio Domenico, ed. c., p. 69.
Dunque i segni che mostrano i gradi di perfezione sono, secondo Don
Bosco, il gusto dimostrato nelle pratiche di pietà, la facilità a comporsi nella
preghiera, la fede viva per l'Eucaristia, la speranza profonda del paradiso,
I'iarità e la gioia che traspariva io tutte le azioni, l'uguaglianza di spirito
anche nelle contrarietà.
Per Magone i mezzi facili adottati con perseveranza quali custodi della
purità furono quei mezzi che lo condussero « ad un maraviglioso grado
di perfezione » ("), i cui segni erano per Don Bosco quelli che gli avevano mo-
strato il grado di santità e di perfezione di Domenico Savio.
Riguardo alla perfezione e ai suoi gradi nei Cenni sul Comollo Don
Bosco si esprime in termini che ci sembrano - come già più volte abbiamo
notato - un vestigio dell'agostinianismo settecentesco:
« Nel giorno deila comunione diceva altre volte, mi sento si ripieno di dolcezza
e di contento, che né so capire, né spiegare.
Da ciò ognun vede chiaramente come il ComoUo fosse awaniato neUa via della
perfezione, giacché quei movimenti di tenera commozione, di dolcezza, di contento
per le cose spirituali sono un effetto di quella fede viva, e carità infiammata, che al-
tamente gli era radicata nel cuore, e costantemente lo guidava in tutte le sue
azioni » ("1.
Sono i termini di « radicamento nel cuore » che fanno pensare al lin-
guaggio teologico agostinista.. I n questa linea, allora, la perfezione sarebbe
definita dal perfetto radicamento della fede, della speranza e della carità
nel cuore. Quanto più tali virtù infuse pervadono il terreno del cuore con le
loro radici, tanto più il cuore è illuminato da Dio, incline a lui,'attratto
irresistibilmente dalla forza del bene. Ma la mentalità di Don Bosco matura
molto più sulla linea degli autori che interpretano asceticamente la santità come
esercizio virtuoso fatto per amor di Dio, in unione con lui e perciò in confor-
mità alla volontà divina, secondo le esigenze della vita quotidiana.
Ciò che pare contraddistinguere Don Bosco dagli autori ai quali si
accosta è il fatto ch'egli proietta decisamente e con diuturnità il discorso della
perfezione e della santità nell'anima dei giovani. Ciò che egli dice
in termini sempre più espliciti può apparire, per sé, come una maturazione
di quanto l'intuizione popolare esprimeva allorché di qualche buon ragazzo
diceva ch'era un altro S. Luigi (M). Don Bosco, comunque, articola il suo
(a)Bosco, Cenno biografico sul giouonetto Magone Michele, ed. c., p. 47.
(a)[Bosco], Cenni sforici..., Torino 1841, p. 33 s. E dato maggior rilievo ai rap-
porto tra cuore, virtù teologali, comportamento e intiusso sugli altri in Bosco, Biogru151del
sacerdote Giuseppe Caffdsso, Torino 1860, p. 88: « I1 cuore di D. Caffasso era come una
fornace piena del fuoco di amor divino, di viva fede, di ferma speranza e d'infiammata
carità. Perciò una sua parola, uno sguardo, un sorriso, un gesto, la sola sua presenza taloia
bastavano a calmare la malinconia, far cessare le tentazioni, e produrre nell'animo sante riso
luzioni D.
(M) DB lo dice dell'amico Comollo: ci. Cenni storici, ed. C,, p. 20.
223

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Don Boscodinseclolarsstooriaandcehllae reinligiofosirzacadttoilicuan. aVocl IoI.nSctreelltaa esperienza educativa, mediante l'in-
tuizione di elementi che caratterizzano l'adolescenza e la gioventù. Egli fa
leva su istanze dell'animo giovanile, che non a torto possono considerarsi
fondamentali, e fa si che la santità diventi il sogno dei suoi giovani, l'ideale
da perseguire, al cui raggiungimento egli stesso collabora attentamente e deli-
catamente, correggendo, suggerendo, attirandosi confidenze, aiutando spesso
con consigli spiccioli proposti dal buon senso e dalla concretezza popolana, per-
suaso d'altronde - per convinzione pedagogica e teologica - che i giovani
hanno assolutamente bisogno di essere diretti, permeando sempre più l'am-
biente nella convinzione che loro, adolescenti, figli del popolo anonimo, pote-
vano essere realmente santi.
Sono ancora le Cronachette a riferire alcuni episodi che ci fotografano
Don Bosco nell'atto di far penetrare nei suoi giovani educandi e nei suoi
collaboratori l'idea che la santità è per tutti, a portata di mano, proprio al-
l'Oratorio.
Sul finire del 1862 o all'inizio del 1863 i circostanti chiesero a Don
Bosco se anche Domenico Savio, come i Santi, avesse fatto penitenze. « D .
Bosco venne a dire queste parole: Quel che vi assicuro si è che noi avremo
dei giovani della casa levati all'onore degli altari. Se Savio Domenico continua
cosi a fare miracoli, io non dubito punto, se sarò ancora in vita e possa co-
si spingere la causa, che la santa Chiesa ne permetta il culto almeno per
l'oratorio » (a).
In una buonanotte del 27 ottobre 1875, rifacendosi alla novena dei
Santi, rinnova il suo appello alla santità:
« O h quanti giovani vi sono già nel cielo, i quali si fecero santi, ed erano di
carne ed ossa come noi! Anzi dirò di più; quanti giovani vi sono già nel cielo, i quali
non solo erano uomini come noi, ma vivevano in questa Casa in cui vivete voi, pas-
seggiavano sotto questi portici, pregavano in questa chiesa, erano soggetti alle stesse
regole ed ai medesimi Superiori. Essi si fecero santi, ora che sono in paradiso, come
abbiamo tutta la fiducia di sperare che sia avvenuto a Savio Domenico, Magone,
Besucco ed a tanti altri. Or noi dobbiamo dire: Si isti et illi, cur non ego? Se si fe-
cero tanto buoni quei là, che erano nelle stesse cnirzcostanze che noi, perché non lo,
potremo noi ancora? Animiamoci, figlioli miei cari, animiamoci molto per battere la
via della salute; e se ci tocca patire qualche cosa di caldo o di freddo o incomodi
di sanità o altri; oppure se dovrete farvi molta viole a per ubbidire, studiare o tempe-
rare il vostro carattere, fatelo con grande coraggio, Fatelo volentieri, perché in com-
penso della poca pena sofferta su questa terra meriteremo un yiderdone imperituro
in cielo D (a).
Nel sermoncino serale del giorno successivo torna sull'argomento: sulla
santità facile, che ha come momenti il « cercare di sradicare dal mio cuore
("i)DONETTAI,n n u i 111, p. 53 s (AS 110 Bonetti 4).
(M) Mi 11, P. 460% che trascrive dalla Cronachetta di Don Barberis (AS 110).
quel difetto e di porvi al posto quella virtù », che ha come mandata divino
Si vis ad vitam ingredi; che può richiedere, nondimeno, fatica, che ha come
oggetto, insomma, la santità comune dei fedeli, con la prospettiva della sal-
vezza eterna ("). In pratica nel suo discorso Don Bosco non distingue tra
mezzi di salvezza e mezzi di santificazione: l'una e l'altra hanno come so-
stegno il pensiero del premio, quale allora Don Bosco usava presentare anche
a chi entrava nella Società Sa1esiai~a:Momentaneztmquod cruciat, aeternum
p o d delectat
p)MB 11, p. 461 S.
(m) Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales.. ., Torino 1875,
p. 47 s: «Se poi qualche volta l'osservanza deiie nostre regole vi tornasse di pena, allora
ricordatevi delle parole
vita presente.. . ».
dell'apostoto
S.
Paolo
che
dice:
Sono
momentanei
i
patimenti
deiia

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
CAPITOLO X I
PRINCIPALI VIRTZI DEI GIOVANI
1. L'obbedienza: a) sua importanza nell'ambiente di Don Bosco
La via compendiosa dei giovani alla salvezza e alla santità è, secondo
Don Bosco, i'obbedienza.
Chiarissimamente egli si pone nella linea di una morale e di una asce-
tica dei doveri. Al giovane che si trova alle prese con chi inneggia alla
libertà e deride il cristiano che pratica i propri doveri religiosi Don Bo-
sco suggerisce di assumere un atteggiamento deciso e proclamare il pro-
prio diritto a compiere con tutta libertà i doveri di cristiano, compresi quelli
della santificazione delle feste e dell'astinenza dalle carni (l). Puntualmente
poi addita a esempio i'ubbidienza di cui diedero saggio fin dalla prima in-
fanzia giovani comuni e santi canonizzati (").
L'ambiente dove Don Bosco mentalmente colloca la sua esortazione
(l) Bosco, Fondamenti della Religione Cattolica, 4 7: Tre particolari ricordi alla gio-
ventù, in Il giouane provveduto, Torino 1851, p. 330-332, e neUe edizioni successive. Il
testo di DB sembra ispirato a queUo di una Lettera di Don Giovanni Piva, edita in appen-
dice ad Attaccamento inviolabile alla Religione Cattolica necessario massimamente ai tempi
nostri calamitosi. . ., Genova 1840; edita andie da Giacinto Marietti in una Scelta di ragio-
namenti sui bisogni del tempo in materia di Religione tratti da diversi autori, Torino 1837,
p. 37-54; inserita neUa Collezione di buoni libri, a. 1, disp. 4, Ragionamenti sopra i libri
cattivi ed il parlare in materia di religione col modo di diportarsi coi libertini e miscredenti,
Torino 1849, p. 80-94; pubblicato a parte anche au'oratorio: Un'arma di difesa ai giovani
colti per conservare la propria fede, Torino, tip. e lihr. dell'orat. di S. Franc, di Sales
. 1872'; 1875'.
(2) BOSCO, Vita di S. Pancrazio martire.. , Torino 1856, p. 11: «Egli coll'ubbidienza
ai genitori, coll'esatto adempimento de' suoi doveri, colla singolare puntualità allo studio fot-
mava la delizia dei suoi parenti ed era proposto come modello a' suoi compagni »; In., Vita
della beata Maria degli fingeli carmelitana scalza torinese, Torino 1865, p. 8: Docile aUe
. amorose cure ed insegnamenti dei suoi cari, fedele agli impulsi della grazia di Dio, Marianna
prima ancora dei sette anni aveva una grande inclinazione aUe pratiche di pietà.. n; ID.,
. . Vita del giovanetto Savio Domenico, Torino 1859, p. 12: « Egli aveva sortito dalla natura
un'indole buona, un cuore propriamente nato per la pietà. Anche in quell'età di naturale
divagazione [sui quattro anni] egli dipendeva in tutto e per tutto dalla sua genitrice S.
227

12.7 Page 117

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
all'obbedienza è, anzitutto quello familiare: i giovani sono esortati all'ob-
bedienza da prestare ai genitori, e, successivamente, è quello dei giovani che
ha sott'occhio, nell'oratorio festivo, a cui più tardi si affianca il collegio.
Don Bosco si rivolge direttamente ai giovani come loro educatore, oppure in
appoggio dell'opera educativa che, tra le mura dell'internato, viene svdta
dai suoi Salesiani.
I1 clima culturale ch'egli esprime è quello della catechesi comune e
della teologia morale appresa in Seminario e nel Convitto. La vita cristiana
vi è sentita come adempimento delle leggi proposte alla coscienza. Per il
popolo e per i .pastori il buon cristiano è colui che compie i primi doveri
istruendosi, frequentando le chiese e i sacramenti, rispettando persone e tra-
dizioni sacre. L'ambiente civile in cui Don Bosco si muove, è quello preparato
dalla amministrazione assolutista di sovrani come Carlo Emanuele 111.
Molti in Piemonte portano impresse le doti dell'onesto laborioso funzionario,
che poi ci si studierà di far diventare ceto - se non costume - nell'Italia
politicamente e amministrativamente unificata (").
L'analfabetismo e la poca cultura religiosa portava a sostenere e ali-
mentare una certa eteronomia della religiosità del popolo.
E una mentalità, come abbiamo visto, tendenzialmente conservatrice e
antirivoluzionaria, che facilmente genera un senso di culto nei riguardi
dell'ordine già stabilito e del quieto e fiduciario rapporto tra autorità e sud-
ditanza. In una religiosità, poi, che conserva vivo e fondamentale il senso
della salvezza ultraterrena, la fedele osservanza dei precetti appare il mezzo
sovrano per conseguire la vita eterna. Ci si dispiaceva che si fosse in tempi
in cui non si badava alla santità della Chiesa e delle legittime autorità depo-
sitarie di poteri divini, si provava un profondo senso di ripulsa contro chi
appariva deridere le leggi e non badare alla Scrittura che ne inculcava l'os-
servanza e la riverenza. « Ormai - si diceva - più non vi hanno che poche
contrade privilegiate, salve dai guasti dell'incredulità, dove regna quell'ama-
bile semplicità che muove i popoli a camminare sulle tracce dei loro mag-
giori » ('). Altrove invece « domina tra molti una deplorabile ribellione, ed
una manifesta opposizione ai savii precetti della Chiesa ». Donde deriva
l'appello alla fedeltà e all'obbedienza:
«Tu, o Cristiano - si diceva -, che riguardi ancora la Chiesa come tua madre,
fermo di rimanerti fedele a' suoi precetti, bada bene che un triste rispetto umano,
temerarii ragionamenti od irreligiosi motteggi non ti abbiano a smuovere dalla pta-
(q Sul costume del funzionariopiemontese ci. G. QUIIZZA,Le riforme in Piemonte nella
prima metà del Settecento, Modena 1957; Ernesto RncIo~reP~o~li,tica e amministrazione nello
Stato unitario, in Studi storici, 1 (1959-1960),p. 472-512.
(q Fedele osservanza dei precetti della Chiesa con esempi adattati a ciascuno d i essi
(CoUez. di buoni libri, a. 1, disp. 18), Torino 1850, p. 4; e nelle LC,Torino 1860, p. III-X,
che rielabora però tutta l'intrcduzione.
tica dei tuoi doveri; né le frasi subornatrici di ossequio alla Religione t'inducano
giammai a dar orecchio a pericolosi sofismi. Niuno ti seduca con vane parole » (Ephes.
V, 6)is).
- «Credimi scriveva Don Bosco -, se ti vedranno costante nell'adem-
pimento de' tuoi doveri, avranno verso di te grande venerazione. . . Non sia
mai che le ciancie del mondo ti facciano ammettere qualche bene e ti in-
ducano a fare qualche male » (<). Ci si persuade che in tale mentalità il ter-
mine « dovere » è circondato da un senso di sacralità rispettosa e affettuosa,
che, con tutta probabilità, trovava una sincera rispondenza nell'animo di chi
la proponeva e di chi l'accettava.
b) Virtù principale del giovane
I1 pensiero di Don Bosco relativo all'obbedienza può essere colto age-
volmente nelle biografie da lui scritte, nelle operette asceticbe e devozio-
nali, nei sermoni serali o in espressioni occasionali.
E interessante notare come sia nei Cennz biografici che nel Gzovane
provveduto Don Bosco si soffermi a ritrarre l'amico Comollo, appena bam-
bino, che, costretto da congiunti presso i quali era andato, a rimanere più
di quanto i genitori gli avevano concesso, si ritira in un angolo a piangere,
perché obbligato, suo malgrado, a disubbidire('). Ci sembra un episodio in-
dicativo. Non solo il Comollo, ma Don Cafasso, Don Bosco stesso e molti
dei suoi giovani pare si siano fatti della puntualità all'orario un culto (an-
che se poi Don Bosco, personalmente, appare tenere un comportamento per
nulla inquieto, quando le circostanze lo portano ad agire diversamente).
Don Bosco, per lo meno, in agiografie e biografie ama sottolinearlo, non
meno di quanto facciano biografi di S. Alfonso e di persone che si sono san-
tificate nell'osservanza della disciplina in collegi o conventi (').
Tra le pagine dottrinali attira l'attenzione quanto Don Bosco scrive
sul Gzovane puovvtduto Una delle considerazioni è dedicata all'argomento
ed ha il titolo espressivo: « La prima virtù di un giovane è l'ubbidienza
a' propri genitori » Tradotto in ambiente di oratorio per giovani esterni
( 5 ) Fedele osservanza. . ., Torino 1850, p. 5 S.
(q Bosco, Il mese di maggio, giorno 27, Torino 1858, p. 156. Suil'osservanza dei pre-
cetti di Dio e della Chiesa DB torna abbastanza spesso nei suoi scritti catechistici e apologetici.
I l cattolico istrutto (1850)conteneva un trattenimento dedicato ai Precetti deiia Chiesa ipt. 2,
tratten. 14). I vescovi del Piemonte, come altrove, insistono sull'osseivanza dei precetti spe-
cialmente in occasione della quaresima.
(7) [BOSCO], Cenni storici.. ., Torino 1844, p. 8; [ID.], Il giovane provveduto,
Torino 1847, p. 14
( 8 ) A titolo di
S.
esempio:
Le
sei
domeniche
e
la
novena
in
onore
di
San
Luigi
Gonzaga
. . .,
Tl'oorrainzoion18e5. .4.,
p. 10 s: « Dall'eti di sette anni cominciò ad avere le sue
non ommise mai l'orario stabilito D; Biografia del sacerdote G
ore determinate
iuseppe Caffasso.
per
. .,
Torino 1860, p. 28: n Niuna cosa è tanto maravigliosa nella vita
l'esattezza nell'osservanza delle regole del convitto ecclesiastico
dpiriSva. tFardani cDes.cCoa..ff.aSs.so,quanto
(9) [Bosco], Il giovane provveduto, ed. L-., p. 13-16.

12.8 Page 118

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Don Bosceo ndeillacsotlolreiagidoe,llailrelpigriionscitiàpciaottoèlicae.nVuonlzIiI.aStotellian termini analoghi: « I1 fondamento
di ogni virtù in un giovane è l'ubbidienza a' suoi Superiori. Riconoscete
nella loro volontà quella di Dio, sottoponendovi loro senza opposizione di
sorta » ('7).
Sul piano letterario è possibile trovare una qualche rispondenza tra
il dettato della settecentesca Guida angelica e il Giovane provveduto. Don
Bosco, ad esempio, suggerisce:
« I consigli e gli avvertimenti dei vostri superioii siaiio regola del vostro vivere
e del vostro overare.
Beati voi se così farete; i vostri giorni saranno felici, ogni vostra azione sarà
sempre bene ordinata e di comune edificazione » (n).
La Guida angelica, d a parte sua, già raccomandava:
Unica regola del viver vostro e del vostro operare sieno gli avvertimenti e con-
sigli de' vostri superiori;
poiché casi allegri e felici saranno sempre i vostri anni, ed ogni vostra ope-
razione sarà sempre ordinata e di comune edificazione » ('2).
Svincolato da fonti letterarie, a tu per tu con i giovani, rivolgendo loro
familiarmente la parola, Don Bosco chiede che si lascino tagliare la testa, si
lascino guidare, quasi ciecamente, con assoluta confidenza su quanto comanderà
colui che li conosce e che loro vuol bene; gli diano la chiave del loro
cuore (l3). Ai giovani chiede che siano come fazzoletti, che si lasciano piegare
e spiegare, stringere in pugno e gettare in aria. Chiede, insomma, completa
docilità, disponibilità e duttilità. Spiega loro che l'obbedienza ha valore
penitenziale e sacrificale. I giovani non cerchino mortificazioni afflittive.
Obbediscano ai superiori, adempiano i loro doveri ("l. L'obbedienza ha va-
lore sacrificale; anzi tra i sacrifici è il più perfetto. Egli lo spiega ai gio-
vani collegiali di Valdocco, spronandone l'obbedienza fervorosa alla di-
sciplina dell'istituto:
«Fra tutti i doni che Dio ci fece, la libertà, cioè l'averci creati liberi, è il dono
più grande. Ora quando noi obbediamo facciamo un sacrifizio di questa libera vo-
('0) Regolamento per la Casa annessa all'0ratorio di S. Francesco di Saler, pt. 2, cp. 3,
Contegno verso i Superiori. Ne riporta una redazione MB 4, p. 749; le successive redaz.
originali, in AS 025. Tale regolamento diede origine al Regolamento per le case della Società
di S. Francesco di Sales, Torino 1877, dove il testo che abbiamo riportato è così sviluppato
(p?. 2, cp. 8): I1 fondamento d'ogni virtù in un giovane è l'ubbidienza a' suoi Superiori.
L'ubbidienza genera e conserva tiitte le altre virtù, e se questa è a tutti necessaria, lo è in
modo speciale per la gioventù. Se pertanto volete acquistare la virtù, cominciate dall'ubbi-
dienza ai vostri Superiori, sottomettendovi loro senza opposizione di sorta come fareste a Dio B.
(1') [Bosco], Il giovane prouueduto, ed. C , p. 16.
('2) Guida angelica.. ., Torino 1767, p. 41.
('3) Per un'antologia di testi di DB relativi all'ohbedienza cf. G. FAVINIA, lle fonti della
vita ralesiana, Torino 1965, p. 119-138, e in rapporto al cuore, cf. P. BRAIDOI1, sistema pre-
ventivo di Don Bosco, Zurich 19642,p. 173, testo e nota 50.
(14) È quanto DB raccomanda a Domenico Savio che vuole farsi santo.
230
lontà, assoggettandola al volere di un altro; ma è il sacrifizio più gradito che pos-
siamo fare a Dio. Ma perché questa obbedienza sia grata a Dio, deve essere di nostra
volontà. Uno che obbedisce malvolentieri, che obbedisce ma per timore di essere ca-
stigato dai superiori, l'obbedienza di costui non può essere piacevole a Dio, perché
a Dio non piacciono le cose fatte per forza. Egli essendo Dio d'amore vuole che tutto
si faccia per amore » (l5).
L'ubbidienza, dichiarò Don Bosco, fu la chiave e la serratura di cui
si servi Domenico Savio per entrare in paradiso e chiudere il passaggio al
demonio (l6). Dal fatto che Domenico si affidò a Don Bosco come stoffa al
sarto, derivò il suo progredire di virtù in virtù e l'esattezza nel compimento
dei suoi doveri("). Viceversa, quando l'obbedienza viene meno subentrano
i disordini' e gli scontenti (l8).
C ) Motivazioni teologiche e d a t i di esperienza
I1 fatto che Don Bosco accetti e d esprima queste formulazioni; il fatto,
anzi, che non dica semplicemente, come la Guida angelica, che il rispetto e
l'obbedienza siano una delle principali virtù(" ) ma più risolutamente as-
serisca ch'essa è la virtù principale, potrebbe interpretarsi come una certa
enfasi letteraria e u n espediente per suggestionare. Ma allora - ci sembra -
difficilmente ci si spiegherebbe l'insistenza d i Don Bosco che, costantemente
prodama la fondamentale importanza dell'obbedienza in tutto l'arco della
sua vita e del suo insegnamento.
Si potrebbe pensare che al d i sotto delle formulazioni assi&te ci sia
anche l'intuizione di qualcosa di concreto; ad esempio, della coscienza gio-
vanile (e, prima ancora, infantile), che facilmente fissa la mente e il senso
di colpevolezza sulle disubbidienze ai genitori e agli altri adulti verso i
('5) Predica tenuta nel 1858, riassunta da Don Bonetti nello zibaldone Memoria di
alcuni fatti tratti dalle prediche o dalla storia, ecc. n (AS 110 Bonetti 1, p. 10-17); ci. MB 6,
p. 12-16. Tra le possibili fonti può essere segnalato L. BEYERLINCMKa,gnum theahum vitae
humiinae, alla voce
« obedientia dicitur
OqubaesdiieOntbiaa,udti.en5t,iaV.e.n.e»tii(sp1. 790171,
p. 911-921. Vi si
B), la defmizione
trovano: l'etimologia
data da S. Tommaso
(l.C,), le varie specie: Cum sit quadmplex potestas imperandi, scilicet divina, et humana,
eaque cum Ecclesiastica, tum Politica, cui annectitur Oeconomica, sive Domestica; constar
etiam non unam Ohedientiae speciem constitui » (p. 911 F); la sentenza di S. Gsegorio Magno,
sola virtus est, quae alias virtutes menti inserit, insertasque custodit » (p. 911 H);l'oggetto
dell'obbedienza (p. 911 D); l'episodio di Sani che nella battaglia contro i Filistei non aspetta
Samuele (p. 912A); quello di S. Mauro (p. 916 G). I1 brano sulla natura sacrificale dellbbbe
dienza si appoggia a S. Gregorio Magno e a S. Tommaso (p. 912 B). Ma si tratta di luodii
facilmente reperibili anche altrove, come nella Vera sposa di Gesù Cristo di S. Alfonso, nel
Dircttorio ascetico dello Scaramelii, l'Esercizio di perfezione e di virtù cristiane del Rodriguez,
consi~liati.tra l'altro. dal secondo Capitolo generale dei Salesiani (Deliberarioni.. ., Torino
. (A). 1....8,87:~.
messo i'auali oerò non si trova l'etimo e l'episodio di S. Manro.
A
L
6. (16) Serkoncino serale del 16 maggio 1857, MB 5, 649.
(17) Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico. . ., Torino 1859, p. 35; 39.
1~ 18,)
Sermoncino
~
tenuto
a"eli
inizi
del
1864.
MB
7.
V.
602.
(19) Guida angelica.. ., ed. C,, p. 38.

12.9 Page 119

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Don Boscqounaelllia ssetonritaedelellgaarmeliigiodsiitàdciaptetonlidcae.nVzoal. IIS. Seteclloaè, quelli di Don Bosco sarebbero
termini che esprimono la percezione di qualcosa, riguardo a cui, però, non
si posseggono sue esplicite affermazioni. Egli infatti, per quanto sappiamo,
mai dice che la coscienza del ragazzo istintivamente o per costume assimi-
lato, è portata a fissarsi sulla disubbidienza, anche se - come molti scrit-
tori di ascetica e teologia pastorale - nel proporre esami di coscienza e in-
terrogatori da fare a fanciulli e giovani, mette in particolare evidenza le
disubbidienze e l e mancanze d i rispetto (m).
Le motivazioni cb'egli ci dà, si muovono piuttosto da altri tipi d i
intuizione e di istanze teologiche e pedagogiche.
Ciò che egli manifesta di percepire nei giovani, come già rilevammo,
è, oltre all'inesperienza, la gracilità psichica ed etica. I giovani, egli av-
verte, sono deboli e volubili ("). Nel suo modo di vedere non domina l'imma-
gine della tabula rasa suggerita dagli antichi grammatici, non quella della
molle cera su cui l'educazione debba imprimere i suoi insegnamenti. Non-
dimeno non gli è estranea l'immagine del plasmare, connessa talora al ter-
mine « cuore » t u ) . I1 cuore infatti attira volentieri l'attenzione di educatori
la cui esperienza appare abbastanza vicina a quella di Don Bosco. E non
solo attira l'attenzione di quelli d i Port-Royal o dei Fratelli delle Scuole
Cristiane ("). I1 gesuita P. Croiset (di cui Don Bosco sfruttò gli Esercizi di
pietà per tuttz i giorni dell'anno) affermava che oggetto di educazione non
era soltanto l'esprit, l'intelligenza d a formare culturalmente, ma soprattutto
il cuore. « L'esprit est toujours au service du coeur » ("): una volta che il
( W ) IBosco], Il gzouane provveduto, ed. c., p. 40 s, consideraz. sul Giudizio: «Venuta
l'età in cui appena cominciavi a conoscermi, tosto cominciasti ad offendermi con bugie, con
mancanze di rispetto alle Chiese, con disobbedienze a' tuoi genitori, e con molte altre trasgres-
sioni de' tuoi doveri n. E a p. 94, l'esame in preparazione della confessione sacramentale.
Tuttavia si pub ritenere con tranquillità che DB conosceva quanto asseriva Giuseppe
dForavsesteinseetgtinnaelailr'eAiunvidaumeenvtiortùde[i..g.ilo.uLaanepttriimnealldaidqiuuoezstieonveirdtùi
Maria Santissima, cp. 7: «Voi vi
è l'obbedienza. Questa peraltro è
la virtù che il demonio rende più gravosa ai giovanetti; ed è forse la più condcata da essi.
Appena infatti spunta in noi qualche barlume di ragione, ecco che subito vogliamo fare la
nostra volontà; e non vi ha nulla che più a rincresca quanto il fare il volere altmi. Quindi
le prime mancanze che si commettono, sono sempre disubbidienze; e poi vi si cade con tanta
facilità, che tante volte non si sanno numerare. Eppure l'ubbidienza è una virtù di cui abbiamo
bisogno nell'adolescenza, più che in qualunque altra età della nostra vita; mentre in questa
età siamo ancora privi deli'esperienza delle cose del mondo; e quindi è necessario più che
mai, che siamo diretti e guidati da persone che questa esperienza si abbiano già acquistato »:
cf. FRASSINETTOIp,ere ascetiche, 3, Roma 1910, p. 181. Le prime edizioni dell'Auviamento
sono anteriori al Giovane provveduto (1847) e DB, come vedremo, se ne servi Der la consi-
derazione sulla Divozione a Maria sanlissima, trascrivendone brani relativi d a purezza.
Cf. sopra, cp. 11, nota 19.
("1 Cf. sopra, nota 13.
(a) L. COGNETC, laude Lancelot solitaire dc Port-Royal, Paris 1950; Saturnino E.
GALLEGOYRIARTEF,.S.C., La teologia de la educacidn m san Juan Bautista de la Salle,
Madrid 1958.
("1 J. CROISETR,éjlexions chrétiennes sur diuers sujets de morale, Des illusions du coeur,
§ 8, t. 2, Lyon-Paris1823, p. 233 S. La prima edizione è dei 1707. SOMMERVOGEL, Bibl. de la
cuore è guadagnato, lo spirito non impegna molto tempo ad arrendersi("):
« la dépendance n'est pas réciproque n. L o spirito non è tanto forte; se la
passione non l'oscura, esso è sotto i l dominio del cuore. I1 cuore guasto
ha tanto potere da obbligare lo spirito ad adoperare tutte le sue sottigliezze
e i snoi artifici per autorizzare ciecamente tutte le sue inclinazioni o, per
meglio dire, tutti i snoi errori(26)). I1 principio vale in educazione:
« Non è soltanto I'esprit dei giovani che dev'essere coltivato: l'impresa non sa-
rebbe difficile; si può asserire che il cuore è il principale oggetto deli'educazione. Bi-
sogna scoprirne gli errori, regolarne i desideri, rintuzzarne i fallimenti. I l cuore ha
più parte nella scienza dei costumi, che non lo spirito » (l7).
Già da metà Seicento l'educazione punta decisamente sulla formazione
etica della persona. Nell'opera educativa, peraltro, l'educando non ha u n
ruolo puramente passivo e puramente recettivo. Immagini c m anche
nel tempo e nell'ambiente di Don Bosco sono quelle della coltura e delle
piante. « Siccome - scrive Don Bosco - una tenera pianta sebbene posta
in buon terreno dentro un giardino, tuttavia prende cattiva piega e finisce
male, s e non è coltivata e per dir così guidata fino a certa grossezza; casi
voi, miei cari figliuoli, piegherete sicuramente al male se non vi lasciate pie-
gare da chi ha cura d'indirizzarvi » (").
Se ci si guarda attorno, nel mondo teologico più vicino alle pagine del
Giovane provveduto, si ha motivo di pensare che Don Bosco poté scrivere
sotto l'impressione di quanto aveva potuto leggere sulla Guida angelica,
sul Gobinet, sul D e Mattei o su altre opere analoghe. La Guida angeiica pone
in guardia dall'essere troppo amanti della propria libertà, perchi, 'volendo
vivere regolati a modo proprio, si finisce per essere ingannati dallo stesso
proprio arbitrio e così si finisce per vivere sempre i n q ~ i e t i ( ~ I)1. Gobinet,
Comp. dc Jérus, t. 2, CI.1672, segnala diverse edizioni della traduz. italiana: Venezia 1715. . .,
Napoli 1837.
faut
(z)J, CROISET, Réjlexions chr&tienner,De l'éducation, §
savoir connaltre les génies, deviner les naturels, gagner les
c4o,euerds..
.c., t.
.P.
2, p. 329: « I1
È quanto sugge-
risce DD: un avviso amichevole e preventivo «per lo più riesce a guadagnare il cuore » del-
l'dievo, ci. Il sistema preventivo, § 1, n. 1 in Inaugurazione del patronato di S. Pietro
in NirzB a Mare.. ., Torino 1877, p. 25.
(26) J. CROISETR, éflexions chrdtiennes, Des illusions du coeur, § 8, 1. c., p. 234.
(n)CROISETR,églemens pour messieurs les pcnsionnuires des Pères Jésuites, Préface,
L-v~ on ,17496,.*o. 2 (.ne .oossedeva una copia la biblioteca di Valdocco, ora a Roma presso il
Pont. Ateneo Saiesiano).
(28) [BOSCO], Il giovane provveduto, Torino 1847, p. 13. Cf., ad esempio, CROISET,
Esercizi di pietà per tutti i giorni dell'anno, medita. per il 12 maggio, punt. 2, Venezia 1826,
p. 195: «Che delitto lasciare queste giovani piante senza cultura! Ma che ctudeltà, che
mdzalfiizoiari.n.o.n,seedm.inCa,, rep.in7q4:uel«leAnuvoovi e[Dteiror]e
che
ha
grani
fatto
cattivi! »;
un favore
[S. A. BURSIO]U, n mazzolin
si particolare, di cui tanti e
tante altre ne vanno
semore da se portata
privi, e
al male
sono senza coltura
e vieppiù strascinata
adbabiacnadtotinvaitiesaelmlepiin.c.l.inn.azioni
della
natura
(a)G U ~ & angelica. . ., p. 41.
233

12.10 Page 120

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Don Boscosunelllala sltionreiaadealglaorsetliingiiosstiacchatetolgiciaà. VcoolnIIo. sScteiallma o, esprime la convinzione che i gio-
vani sono, si, una tenera pianticella, ma anche sono una pianta malata.
L'intelletto del giovane è ottenebrato dall'ignoranza e il suo cuore è in-
cline alla indocilità, alla superbia, all'incostanza e a molti altri mali. L'opera
dell'educatore è necessaria. I1 cuore del giovane manifesta di essere pervaso
dallo spirito di Dio e di essere perciò un cuore retto, quando inclina a la-
sciarsi guidare e prova gusto a lasciarsi sorreggere nel hene da chi è già ma-
turo. Un giovane si manifesta retto, quando dimostra docilità, cioè, capa-
cità d i apprendere non soltanto noiionalmente, ma affettivamente ciò che
conduce alla pietà 13').
I1 modo .di vedere del Gobinet è certamente assai affine a quello che
traspare dalle pagine pedagogiche del Cofitel, di Saint-Cyran, di Nicole, di
Pascal("); ma su questo punto non appare tutto sommato in contrasto
con quello che esprime il Croiset, nel quale è noto l'influsso della scuola
spirituale berulliana, oltre che salesiana (32),,
« Le passioni - egli scrive - nascono con noi e non rimangono molto tempo
giovani. Esse sfruttano sempre la debolezza della ragione e l'indulgenza che si ha per
la prima infanzia o p).
«Un cuore che comincia a gustare il piacere ha bisogno di molti aiuti per essere
preservato dal pericolo: tutto c'è da temere nel mondo per i giovani » (3).
L'opera educativa deve supplire nei giovani al difetto di esperienza.
Deve fare apprendere come domare le passioni ancora prima che si sia in
età di temerle; e se l'orrore del vizio non previene, per dir così, la ragione,
gli avvisi più salutari e le lezioni più belle vengono sempre troppo tardi.
Una buona educazione forma lo spirito e regola il cuore("). Ma bisogna
« guadagnare il cuore », se si viiole guadagnare la mente (I6). Com'è evidente,
il Croiset ha di mira tutta la persona, ma specialmente la formazione intel-
lettuale e morale; la prima, come subordinata alla seconda.
Anche per Don Bosco il punto focale dell'educazione è costituito dai
valori etici della persona, ch'egli cura e segue neli'ambiente collettivistico
d'oratorio e di collegio che conosciamo, dove il punto di maggiore incontro
("1 GOBINETis,truzione della gioventù nella pietà cristiana, pt. 3, cp. 3 Del teno
ostacolo alla salute della gioventìì: I'indocilità de' giovani; cp. 4 Del quatto ostacolo:
l'incostanza; pt. 4, cp. 6 Della docilità; cp. 7 Ddl'ubbidienza.
(3') 1. CARR~Le,r pédagogues de Port-Royei, Paris 1887.
("1 P. POURUTL,a rpiritrralitÉ chrétienne, t. 4, pr. 2, 1)aris 1930, p. 339.341 e, con
più dati, la dissertazione di A. J. BORSTD, e c ~ l t uC o ~ dJie~sz ad mentem P. Joaxnis Croiret,
Romae 1961, specialmente. D. 112-115.
(33) CROISET,flezjonr chréticnnes, De l'éducation, § 1, ed. c., p. 324.
(3)CRorsET, Réflexions chrétienner, De l'éducation, § 1, ed. c., p. 323.
(35) CROISETR,éflexions chrétiennes, De l'éducation, § 3, ed. c., p. 327 s: « L'éducatiun
doit prévenir, pour ainsi dire, la raison . . . ».
(39 CROISETEs,ercizi d i pietà per tutti i gioini dell'anno, meditaz. per il 12 maggio,
pratiche, n. 2, ed. c., p, 198: «Si trovano dei naturali osniri, malinconici, pensosi.. . Biso-
gna guadagnare il loro cuore per miadaznare la loro mente D
tra la persona dell'educatore e dell'educando avviene in incontri fugaci in
cortile o nell'intimo della confessione sacramentale. Di ciò ne sono impor-
tante documentazione, oltre alle Cronachette, le già note biografie di Savio,
Magone, Besucco. Don Bosco segue il giovane grado a grado nello studio,
nella pietà, nelle manifestazioni comunitarie dove viene a spiccare qualche
buona qualità morale dei biografati. La sua cura è di presentare il graduale
crescere d i virtù in virtù dall'infanzia fino alla morte.
L'inderogabile necessità dell'obbedienza è dunque motivata dal fatto
che, secondo Don Bosco, una guida è indispensabile per la buona riuscita
,del giovane. A sua volta, l'importanza di tale correlazione risulta posta in
evidenza, in Don Bosco come nel Gobinet, nel Croiset, in S. Alfonso, dalla
persuasione che l'educatore, non meno che i genitori, deve rendere stretto
conto a Dio dell'educazione impartita, cioè, in ultima analisi, deve rispondere
della salvezza eterna e della santità ( o spirito di pietà) perseguito da colui che
è stato oggetto di educazione (").
In Don Bosco, come nella Guida angelica e più che nel Gobinet, I'in-
terrelazione educativa è posta in gran risalto dal diverso accento dato ai
vari compiti dell'edi~catore.Per Gobinet, e più ancora per il Cofitel, compito
primario dell'educatore è l'istruzione allettante(38). L'educatore però ha un
ruolo subordinato rispetto a quello che invece è incisivamente riconosciuto
allo Spirito Santo. È lo Spirito divino il principale educatore: è Lui che
porta ad amare il hene e a lasciarsi pervadere da esso.. L'uomo educatore ha
un ruolo concomitante, secondario. I1 suo insegnamento talora pare quasi
avere il ruolo di occasione necessaria e circostanza divinamente predisposta,
ma ner nulla richiesta, in rapporto alla illuminazione delle menti è . all'at-
trattiva dilettevole dei cuori (").
Don Bosco non ignora, il termine di illuminazione; però la sua mente
pare fissa soprattutto sugli elementi volontaristici. Quando chiede ai gio-
vani la chiave del cuore, pare pensi specialmente alla volontà, filialmente
disposta a lasciarsi guidare. Quando chiede che si lascino tagliare la testa
e si lascino guidare non dal proprio esclusivo criterio, ma aderiscano a quello
dell'educatore, fa pensare all'ohbedienza tamyuam cadauer di S. Ignazio,
(37) Cf, sopra, cp. 3, § 3.
(38) Per quanto riguarda il Gobinet, giustamente ne pone in riiievo il molo dato
all'istruaione sapiemiale J.-L. GoRE, L'itinéraire de Fénelon: humanisme et spiritualité,
Paris 1957.
(39) Noi, scrive il Coiìtei, riceviamo il lume della ragione come guida nascendo fisica-
mente, ma questo lume è così oscurato per il peccato di origine ed è talmente circondato
da fitte tenebre, che non può guidare con sicurezza tutti i nostri passi. Col Battesimo poi
si diviene tempio dello Spirito Santo, si viene illuminati dalla grazia, la quale fa che si
comprendano e si amino gl'insegnamenti della Scrittura, delle voci interne, delle circostanze
della vita, delle guide che le divine disposizioni assegnano, e primariamente, i genitori.
Purtroppo però, data la condiscendenza un po' morbosa dei parenti, in pratica alla educa-
zione domestica è preferibiie quella di buoni precettori. Cf. Traité d'éducation chrétienne
.et littéraire.. ., specialmente i. 1, cp. 1.9.

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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Don Boscoinl ecllauistotreiarmdeinllaereèligaiopspitàuncatottoleicsas.eVnozliIaI.lmSteelnlate la volontà del suddito rimessa alla
disposizione del superiore.
L'amorevolezza (la dolcezza) paziente dell'educatore, la perseveranza
nel ripetere avvisi e consigli propria di Don Bosco, ma che si trova già
nei pedagogisti portorealisti e gesuiti è chiarissimamente posta in rapporto
alla volubilità dei ragazzi Lo stesso prevenire le mancanze è richiesto
dalla « mobilità giovanile, che in un momento dimentica le regole discipli-
nari » ("), o - come dice il Croiset - dal fatto che le passioni prevengono
la ragione. E pertanto « l'éducation doit prévenir, pour ainsi dire, la raison » (").
Ora si potrebbe pensare che Don Bosco, a differenza degli educatoti di
Port-Royal o dei collegi gemitici del Sei-Settecento, non dia poi tanto peso
alle concezioni teologiche sulla natura decaduta; potrebbe sembrare ch'egli
si soffermi puramente al dato sperimentale della «mobilità giovanile» che
richiede un'assidua attenzione dell'educatore; ch'egli perciò non vada più
oltre e non si chieda quali siano le ragioni di tale mobilità: non si chiede
se siano frutto di una maggiore libertà delle passioni, inclini al male per
difetto di virtù sperimentata ed irrobustita.
Effettivamente Don Bosco pare più attento al fatto, più che alle ra-
gioni teologiche: pare che non usi (o non ami) molto spingersi a darne
motivazioni in un senso o neli'altro. È anche un fatto ch'egli si mosra re-
stio a fornire elementi teologici in documenti che, come il sunto sul si-
stema preventivo elaborato per il ministro Crispi, sa destinati ad ambienti
estranei o anche ostili a tipi d'istruzione definiti « clericali » ("). Ma non si
può non ricordare che la pratica religiosa, soprattutto quella dei sacra-
menti, è considerata essenziale fondamento di una educazione che non
voglia essere fallimentare. Senza religione non è possibile una vera e com-
piuta educazione, perché gli educatoti cattolici ai quali Don Bosco si allinea,
finivano per affermarne la necessità per la natura umana dehilitata dal peccato.
In defmitiva, dunque, non si può escludere, né minimizzare l'istanza
teologica alla radice dell'importanza, dottrinale e pratica, assegnata ali'ob-
hedienza, anche se quelli desunti da elementi psico-fisici talora risultano i
più evidenti.
(a)COUTELT,raité d'education chrétienne et littéraire, 1. 1, ch. 14, § 7 Tolérer
leur inapplication à i'htude et tous leurs autres défauts avec grande patience; § 8 Les
traiter avec heaucoup de douceur; § 9 Employer plutot les exhortations, que la riyeur
et les mhnaces, pour les porter à la piété et à la vertu (t. 1, Paris 1749, p. 175-184). La
persuasione che la natura decaduta si manifesta maggiormente nei fanciulli, nei quali le
passioni non sono ancora regolate da una virtù sperimentata, spinge l'educatore portorealista
aila dolcezza e alla carità paziente. Lo stesso si può rilevare nel già citato trattate110 del
Croiset.
("1 Bosco, Il sistema preventivo, § 1, n. 2, in Inaugurazione del patronato di S. Pietro
in Nizza a hlare, ed. c., p. 25.
(49 Cf. sopra, nota 35.
(e)I1 Promemoria sul sistema preventivo nella educazione della gioventù era accom-
pagnato da una lettera con la data di Roma, 21 febbraio 1878. I1 testo riprodotto nell'Epi-
stolario 1719 è ricostruito da una minuta, conservata in AS 131.01 Crispi.
D'altronde per confermare il valore dell'ubbidienza Don Bosco ai gio-
vani presenta motivi desunti dalla tradizione spirituale cristiana: « I1 no-
stro Salvatore quantunque onnipotente per insegnarci ad ubbidire fu in
tutto sottomesso alla B. V. ed a S. Giuseppe, esercitando l'umile mestiere di
artigiano. Per ubbidire poi al suo Padre celeste morì spasimando in croce ».
« L'ubbidienza prestata a' vostri superiori è lo stesso come se fosse pre-
stata a Gesù Cristo, a Maria SS. ed a S. Luigi D("). Tuttavia, la coscienza
della debolezza umana, dell'inclinazione al male particolarmente dei giovani
viene delimitata da quanto Don Bosco stesso sottolinea sull'attivismo dei
suoi giovani e sul senso di fiducia più volte loro dimostrato.
d) Obbedienza e libera iniziativa del giovane
Sul terreno dell'obbedienza si manifesta la complessità dell'atteggia-
mento di Don Bosco davanti al giovane. Da una parte egli, sotto il peso
della fondamentale istanza alla felicità e reagendo alla persuasione che la
vita cristiana sia per sua natura malinconica, esorta alla gioia che si espande
in allegria. Facendo proprio il motto di S. Filippo Neri, incoraggia a fare
qualsiasi cosa che possa contribuire a stare allegri. Ma dall'altra pone in
guardia dal peccato. I1 suo ottimismo si vela di timore, la sua fiducia di-
viene trepidante e il suo amore paterno si carica di apprensione. In prospet-
tiva etica ammonisce il giovane che piegherà sicuramente al male, se non
si lascia guidare; proclama la necessità della guida, finché la tenera pianti-
cella non si trasforma in albero robusto, capace di affrontare le bufere delle
tentazioni.
A ben guardare, nelle biografie di Savio, Magone Besucco sta sottesa,
tra le tante, anche questa tesi che abbiamo riassunto. Sebbene incanalate in
ideali religiosi, le forze giovanili tendono a muoversi caoticamente, s'ispi-
rana a giudizi imprudenti. In tutt'e tre i ragazzi 'Don Bosco deve moderare
la tendenza inopportuna alle mortificazioni, a tutti deve ribadire l'importanza
di accettare i disturbi ordinari della vita come condizionamenti predisposti
da Dio: accettarli come manifestazione della sua amorosa volontà. A Besucco
deve raccomandare l'importanza della comunione frequente. A Magone do-
vrà suggerire la confessione generale. Dopo di essa, dovrà lavorare con
pazienza per condurlo a superare le ansietà interiori che lo spingevano alla
confessione troppo frequente per un sentimento che Don Bosco chiama
«piacere n, ma che in realtà forse derivava da una coscienza inquieta, non
del tutto appagata, che trovava sicurezza accostandosi al confessore e riceven-
done direttive tranquillizzanti:
«Provava tanto piacere nel confessarsi, e vi andava con tanta frequenza, che il
confessore dovette moderarlo per impedire che non restasse dominato dagli scm-
poli. Questa malattia con grande facilità si fa strada nella mente dei giovanetti, quan-
do vogliono darsi dawero a servire il Signore. I1 danno è grave, perciocché con que-
(e)[Bosco], Il giovane provvedulo, ed. c., p. 14 S.

13.2 Page 122

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Don Boscsotonemllaesztzooriaildedlelamreolnigiioostituàrcbaattolalicam. eVnotleII,. Sagteitllaa il cuore, rende gravosa la pratica della
religione; e spesso fa tornare a mala vita coloro che avevau già fatti molti passi nella
virtù. I1 mezzo più facile per liberarci da tale sciagura si è l'abbandonarci aU'obbe-
dicnza illimitata del confessore. Quando esso dice che una cosa è cattiva, facciamo
quanto possiamo per non più commetterla. Dice in questa o in quell'altra azione non
esservi alcnn male? Si segua il consiglio, e si vada avanti con pace ed allegria di cuore.
Insomma l'obbedienza al Confessore è il mezzo più e5cace per liberarci dagli scrupoli
e perseverare nella grazia del Signore » (45).
Quando invece le forze dei giovani si muovono nell'alveo loro asse-
gnato, allora Don Bosco le segue con totale simpatia. Si sofferma a descri-
vere le miUe industrie di Savio, Magone e Besucco per aiutare i compagni
nello studio, nella formazione alla pietà e alla vera allegria. Ciò che Don
Bosco ammira e presenta a imitazione è l'iniziativa ben regolata, sotto la di-
rezione di colui che del giovane conosce tutto.
Le stesse Memorie delZ'Oratorio manifestano questa bipolarità tra
iniziativa del giovane e necessità della direzione. Con simpatia Don Bosco.
descrive le sue industrie di fanciullo e di adolescente per procurare quanto
occorreva a organizzare trattenimenti sereni ai Becchi prima, e a Chieri
dopo. Ai Becchi la mamma lo seguiva e non si stancava di ripetergli sen-
tenze dettate dal suo huon senso cristiano.
Ha cura, quindi, di notare come dovette a Don Calosso, se la sua
vita di pietà poté assumere un corso più ordinato; rileva che anch'egli poté
ottenere tale migliore assetto affidando tutto il proprio cuore al vecchio
sacerdote, manifestandogli tutte le movenze della sua vita. Sottolinea come
anch'egli ebbe proibita una mortificazione che non era adatta alla sua età.
Più oltre nota l'importanza ch'ebhe per lui la scelta di un huon confessore a.
Chieri e la necessità che, nondimeno, senti di una huona guida, allorché si
trattò di scegliere lo stato di vita. Ai consigli del teologo Borel e di Don Ca-
fasso dovette molte scelte importanti deUa sua vita.
Nella sua pratica di educatore questa tensione in campo hipolare sem-
bra manifestarsi con diverse accentuazioni, quali potevano essere sugge-
rite da situazioni diverse. Sembra, ad esempio, puntare largamente sdle
buone capacità dei giovani nel periodo in cui la Casa annessa all'Oratorio,
era un pensionato che dava larga autonomia ai giovani e stimolava in loro.
il senso di responsabilità e di autogoverno. Quando invece ha sott'occhio
la popolazione deli'internato, allora insiste molto sulla ohbedienza come
generatrice di ordine e di disciplina (").
In sostanza secondo Don Bosco l'atto prudenziale più importante del
giovane è quello che lo pone in obbedienza sotto una huona guida. L'ob-
(45) Bosco, Cenno biografico sul giouanetto Magone Michele, Torino 1861, p. 23 S.
(4) Ci rifacciamo a questo proposito a un'attenta lettura dei testi indicati sopra,
nota 13, oltre che a quelli segnalati, ad esempio, da Indice MB, p. 279 s, voci Obbedienza,
obbedire.
hedienza ha un ruolo fondamentale nell'equilibro del giovane, pianticella in
fase di crescenza, di guarigione, di solidificazione. Ha una funzione media-
trice: sta tra il comando dell'educatore che suggerisce e ordina o consiglia
fini da raggiungere e mezzi idonei per conseguirli da una parte, e impegno
personale delle proprie energie secondo le direttive ricevute.
I1 fine generale che Don Bosco si propone di raggiungere è il buon
cristiano e l'onesto cittadino; è anche il « santo ». Motto di S. Filippo
Neri sarebbe stato: « Datemi un giovine, una giovane casta, ed io ve li dò
santi >> ("). Don Bosco lo asserisce dell'obhedienza « Datemi un figliuolo
ubbidiente e sarà santo » (9.Probabilmente non ha voluto stabilire un
confronto tra le due virtù, ma solo costruire riguardo all'obbedienza un
motto che incisivamente ne dichiarasse l'importanza per la realizzazione di
quell'ideale ch'egli stesso faceva balenare ai giovani.
La pertinacia di Don Bosco a recidere esuheranze anche nella pratica
cristiana e a fare convergere le energie giovanili sul compimento dei propri
doveri indica quale tipo di personalità, quale spirito e quale cuore intendeva
portare a maturazione nei giovani mediante l'obbedienza. Una personalità
che, nonostante tutto, poteva essere elevata dai giovani a ideale, ma che,
concretamente formava al tipo di vita che avrebbero dovuto successivamente
affrontare.
Ci si può chiedere, infine, in quale misura le persuasioni di Don Bosco
circa i giovani che hanno bisogno di guida esprimessero la percezione dei-
l'intima istanza di sicurezza che. i giovani effettivamente hanno, appunto
nella loro volubile e mobile età. Anche qui, più che esplicite dichiarazioni
di Don Bosco abbiamo fatti. Abbiamo ricordato alcune di quells. &si che
Don Bosco ha fotografato dal vero, sia pure circondandole di una sua in-
terpretazione: la crisi di Domenico Savio e quella di Magone. I1 risultato che
da esse è seguito, è stata la correlazione affettiva tra Don Bosco e i
suoi giovani, la fiducia reciproca della guida e dei guidati. Ne è risultato
l'appagamento interiore di Savio e di Magone; ne è venuta la fiduciosa si-
curezza sulle proprie forze, sui propri passi guidati e regolati da colui che
sempre più sono venuti a conoscere come una personalità, fatta per loro
e posta a loro servizio, che li considera come dita della propria mano, a lui
cari come se stesso.
Dare la chiave del proprio cuore a Don Bosco diventava all'Oratorio.
una cosa normale, un'esigenza, un avvenimento indimenticabile per tutta
la vita. Trascorsi gli anni si ricordavano i segni d'affetto ricevuti: le paroline
all'orecchio, le noccioline o le castagne ricevute, il numero di anni che si avevano'
ancora da vivere secondo il calcolo profetico loro reso noto confidenzialmente;
si ricordavano i segni di stima e di rispetto, le piccole o grandi incombenze
loro affidate.
(47) G. FRASSINETAT~Iu,iamentodei giovanetti nella dioozione di Maria Santissima,
cp. 7, esempio 7, in Opere ascetiche, 3, Roma 1910, p. 187.
(e)Bosco, Il giovane prouueduto, ed. c., p. 16.

13.3 Page 123

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Don Bosco nellaGstioorviaadnenllia rZeuligcicoas,itàiclatrtaoglicaaz.zVoolcIIh. eSteinllavitò Domenico Savio al bagno e che
ebbe da ridire, perché nella biografia Don Bosco non aveva espresso il
fatto, era, stando ai registri, il ragazzo con votazione di condotta mo-
rale inferiore a tutti gli studenti dell'Oratorio: tra suflicienza e insuffi-
cienza. Più che ottantenne a Morialdo nel 1928 ricordava i bei tempi
trascorsi all'oratorio, da dove si allontanò a metà anno 1859 perché, di-
ceva, non seppe resistere al rincrescimento che gli riempi il cuore quando
Don Bosco pubblicamente deplorò i suoi rilievi sulla biografia dell'amico
Savio: « Colui che voleva rovinarlo da vivo, adesso vuole denigrarlo da
morto. E non sa, che casi facendo, fa brillare di più la virtù di Domenico
che in seguito resistette ad altre tentazioni, e mette in pubblico, non ri-
chiesto, la propria miseria ». Zucca ricordava i bei tempi, quando, nonostante
tutto, Don Bosco lo mandava a sera tarda in città ad eseguire commissioni.
Passava per gli angoli bui di quella strada di estrema periferia ch'era allora
via Cottolengo; proprio in quegli anditi oscuri dove Don Bosco era stato
assalito in quei tempi da maleintenzionati ed era stato soccorso dal miste-
rioso cane grigio. Auch'egli allora aveva invocato il Grigio. Anch'egii ricor-
dava d'aver visto a refettorio quel grosso cane accucciato vicino a Don Bosco.
Ricordando tutte queste cose il vecchio Zucca aveva gli occhi lucidi e ter-
geva qualche lacrima (49).
Piccoli episodi, se si vuole; ma nei quali, con tutta probabilità, veniva
trasferita e concentrata l'impressione globale dell'afietto, della stima, della
riconoscenza che i giovani poterono avere per Don Bosco al quale attribui-
vano il buon successo nella vita. L'essersi sentiti regolati nelle aspirazioni
e nelle iniziative aveva dato loro un senso di sicurezza che si era sedimen-
tato nel tepore della riconoscenza filiale per i benefici ricevuti proprio quando
ne avevano avuto bisogno.
2. La purezza: a) dati sull'atteggiamento di Don Bosco dall'adolescenza
alla maturità
Non importa molto sapere quante volte Don Bosco avrà potuto leg-
gere i Reali d i Francia, il Guerin Meschino, Bertoldo Bertoldino e Cacasenno
nella sua adolescenza a Morialdo o altrove, circondato da piccoli e grandi
in ascolto. Nemmeno stupisce che a Morialdo si leggessero quei libri, che ere-
ditati dal tardo Medioevo furono più volte ristampati a delizia del popolino.
Leggerli, era un costume che esisteva in ogni regione d'Italia e il
Manzoni vi ha legato uno dei suoi personaggi, il caritatevole sarto, la
("4 Giuseppe Antonio Zucca, di Battista e Caterina Giliardi n. a Morialdo (Castel-
nuovo) il 4 maggio 1843 (era perciò più piccolo di Domenico Savio); m. il 24 novembre 1928.
Per errore Don Amadei sul Bollettino salesiano 53 (1929) p. 31, lo dice morto il 25 e lo
dice più gandicello di Domenico. Abbiamo desunto i dati all'arch. parrocchiale di Castel-
nuovo. Quelii sulla condotta morale, dalle note autogr. di DB, AS 132 Oratorio.
cui sapienza era formata sul leggendario dei Santi e sui Reali d i Fralzcia, da lui
letti ~ i ùvolte e che lo fecero passare in paese per uomo di talento e di
scienza (9.
Forse i ricordi di Don Bosco potrebbero essere alquanto spostati: dal-
l'età di otto-tredici anni agli anni trascorsi alla cascina Moglia e dopo,
dai quattordici ai venti anni, dal 1829 al 1835, quando ormai sapeva leg-
aoere più speditamente di altri contadini, non tanto avanzati come lui nelle
lettere. Poté leggere nelle stalle, nei cosiddetti trebbi o trattenimenti ("1,
con più distensione dopo che Antonio, ventunenne si sposò e divenne con
tutta probabilità buon vicino di casa con la famigliola che dalla cascina dei
Becchi si era trasferita al Sussambrino.
Bisognerebbe rileggere i Reali dz Francta con lo stato d'animo di Gio.
vannino, circondato da «gente di ogni età e condizione », nelle stalle, dove
« tutti godevano di poter passare la serata di cinque od anche sei ore ascal-
tando immobili il lettore dei Realt d i Francta, che il povero lettore esponeva
ritto sopra una panca, a 5 c h é fosse da tutti udito e veduto »("). Giovan-
nino doveva sentirsi un reuccio nel gruppetto di coetanei e adulti, assorti
ad ascoltare e a fantasticare. Era quasi una cerimonia sacra che cominciava
e finiva «con il segno della santa Croce e colla recita deLYAve Mauia » (*)).
Bisognerebbe addentrarsi in quella fantasmagoria di episodi: di paladini
cristiani e di guerrieri saraceni che s'incontrano in boschi, castelli e locande,
(30) Autore dei Reali di Francia e del Guerin Merchino è Andrea da Barberino. I Reali,
secondo Italo B o a 1 (EC vol. 1, 1949, cl. 1190) «ebbero grandissima diffusione e sono tuttora
letti con piacere negli ambienti popolani ». Stando ad A. BRUNACDCiIz,ionaiio generale di
cultura, 2, Torino 1928, p. 1469, essi sono « u n o dei libri più letti e dimisi nelle campagne
d'Italia, di qualunque regione D. Esiste un'edizione critica, non completa, a cura di Giuseppe
Vandelli, Bologna 1892.1900, Del Guerin Meschino esiste uno studio filologico molto nutrito
di Giacomo Osella, Il Guerrin Meschino, Torino 1932. Un altro lettore dei Reali di Francia
avviato aila canonizzazione è Domenico Bàrbari, il passionista che nel 1845 ricevette Newman
convertito: cf. FEDERICO UELL'ADDOLORCA, PT,A, ,Il beato Domenico della Madre di Dio
passionista mirtico, apostolo, scrittore (1792-1849), Roma 1963', p. 14.
(Sa) Sui trebbi in Va1 Padana ci. F. Coco, Analisi storica e semantica della parola
« hebbo 8, in Il mondo agrario tradizionale sella valle padana, Modena 1963, p. 105112.
Contro i trebbi o radunanze notturne dei contadini nelle stalle scriveva qualche parroco
allarmato (cf. Giuseppe ORLANDCI., SS. R., Le campagne modenesi fra Rivoluzione e
Restau~~razion(e1770-1815), Modena 1967, p. 156. Anche DB nella sua predica giovanile
sull'impurith spezzò una lancia contro gli abusi che vi potevano accadere (cf. FRB 16, p. 599:
. . « E h uomini, permettetemi questo trasporto di zelo, uomini codardi e vili. lasciate bensì
. . il peccato. il frequentar combriccole, trebbi e ridotti . . . »). Altri trovavano quelle
assemblee utili per integrare l'istruzione religiosa (cf. ORLANDO.I,c., p. 599). In Piemonte
si ristampò più volte un'opera dovuta a un buon parroco di campagna e ch'era destinata
a occupare, insieme ai Reali di Francia le letture nelle stalle: Felice CECCA(m. 1815),
Le veglie de' contadini. Dialoghi familiari-istrtittivi-morali sorra (sic) le quattro ,parti della
dottrina cristiana ad uso, e vantaggio de' contadini, e di altre persone che voglrano appro-
fittarne, opera del parroco, e vicario foraneo di Villafranca Piemonte.. . , Torino, presso
Botta, P ~ a t oe Paravia 1806; Torino, Paravia 1854', Torino, G. Arneodo 1911".
(") M 0 p. 28 S.
(53) M 0 p. 29.

13.4 Page 124

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Don Bosccoheneslla'insvtoargiahdiseclloanreoligdioisiftiàocratdtoilicdao.nVzoellIlIe. Setelslai sfidano in duelli gagliardi e intermi-
nabili; sbocciano amori cavallereschi e gentili, da cui maturano figli a uno,
a due, di legittime nozze oppure occasionali, che a loro volta entrano a dare
sviluppo all'epopea. Inizia il sesto libro con il viaggio di Berta del gran pié
dall'ungheria alla Francia, dove va moglie al re Pipino. Lungo il percorso
ragiona con Elisabetta (sua dama, sorella di latte, di schiatta maganzese)
sul suo futuro sposo, che dalla madre gli era stato descritto come disutile
della persona e sozzo D. Vuole studiarlo meglio, perciò prega Elisabetta di
stare lei col re la prima notte. Elisabetta non tradisce la perfidia della sua
gente. Sa farsi credere Berta, che nondimeno riesce a rifugiarsi in un bosco,
finché le occulte trame vengono sventate.
I1 quarto libro narra dei prode Buovo d'Antona, rampollo del nobile
lignaggio dei Reali di Francia. Per salvarsi dai Maganzesi e dalla snaturata
madre e uxoricida, vagava per il mondo, sotto il mentito nome di Agostino.
Ma lo conobbe il vecchio duca Sinibaldo della Rocca per uno stratagemma
della duchessa, che di Buovo era stata nutrice e che, avendolo ospite, scru-
tandolo a lungo con armi e senza armi, l'aveva riconosciuto per quello che
era. Sinibaldo dunque, indotto dalla consorte, invitò messer Agostino a fare
quella cerimonia ospitale ch'era il bagno:
a Egli è usanza - gli disse -, io voglio che voi non vi schiviate di bagnarvi
meco, abbenchk io sia vecchio.
Buovo si vergognò e rispose: Io farò come vi piace, ma fatelo per questa sera di
notte, che ci potremo poi andare in letto: e cosi il bagno fu ordiwdto per la seguente
sera.
Quando fu la sera, Sinihaldo chiamò Buovo nella camera, e ambedue si comin-
ciarono a spogliare. Come Sinibaldo fu entrato nel bagno, Buovo spense la lume, ed
entrò nel bagno. Quando fu nudo la Duchessa moglie di Sinihaldo entrò nella came-
ra, e Buovo entrò dentro i'acqua insino al mento, e diceva alle donne. Ch'andate voi
cercando, vi volete bagnare? La gentildonna rispose: Noi non ci vogliamo bagnare,
ma veniamo per trovare l'antico e gentile lignaggio. E però non vi bisogna nascoil-
dere di sotto l'acqua, ch'io vi conosco bene: imperocché io v'alievai sette anni col
latte del mio petto e voi siete figliolo del Signor Duca Guidone d'Antona e della
malvagia duchessa Brandoria, che vi volle far morire. Voi vi fate chiamar Agostino,
ma voi avete nome Buovo n.
Per la duchessa non c'era equivoco. << Sulla spalla dritta di Buovo c'era il Niello
ch'avevano li Reali di Francia D. Quello di Bunvo << era una crocetta di sangue, tra
pelle e pelle (N).
Negli altri libri Rizieti e Fioravante abbattono guerrieri saraceni in
quantità e nobilmente difendono donzelle in pericolo. Amori folli trascinano
avvenenti donzelle saracene dietro cavalieri cristiani, palpiti gentili si span.
dono in grande fiamma, dan luogo a stratagemmi d'amore tra guerrieri
appena adolescenti e casteilane ancor tenere fanciulle.
(H)Li ReuZi di Frunba, 1. 4, cp. 43, Venezia 1781, p. 323 S.
242
Don Bosco, tra i tanti ricordi dell'adolesceilza e della gioventù,
presenta alla simpatia dei suoi Salesiani questo dei Reali di Francia,
senza nulla aggiungere che manifesti una qualche riserva sulle circostanze
della lettura e sul contenuto del libro. Quella lettura per cui poté avere tanto
uditorio, probabimente si sedimentò nel suo spirito come un ricordo sereno.
I1 Bertoldo poi (di cui, per quanto ci consta, come per i Reali non esiste-
vano che edizioni integrali) era pieno di lepidnze scaturite dall'umore popo-
lare grossolano e fantasioso verista e sano. Stando a ciò che si tramanda,
Don Bosco a suore scrupolose ne avrebbe suggerito come rimedio la let-
tura. E non dovrebbe sembrare strano. I1 gusto del popolo si fermava facil-
mente alla raffigurazione di muscolosi cavalieri vestiti di ferro con lance
e cimieri, che si menavano a gran colpi di spada, entravano in castelli, passeg-
giavano in sale sfarzose con dame e donzelle vestite di variopinti broccati. E
sognavano (i popolani) una vita che appariva di gran lunga migliore di
quella che conducevano nei campi, e inseguivano sugli schermi della fanta:
sia forzieri di monete d'oro, sale e letti che non avevano il lezzo del loro
letame e il tanfo del loro sudore. Nei Reali di Francia e nel Guerin Meschino
trovavano conferma ad alcuni dei loro personaggi ideali: il trionfo della giu-
stizia e della religione sull'ingiusto e sul sacrilego (").
I1 testo dei Reali di Francia è in forte contrasto con quanto, invece, si
trova sui libri che Don Bosco asseri di avere letti in Seminario. Libri che
appartengono a un'ascetica di Riforma, che reagisce ai costumi scadenti in-
trodottisi persino nel Santuario.
Nei Cenni sul Comollo Don Bosco descrive a edificazione quanto faceva
il suo novello Luigi Gonzaga, che fin da bambino fuggiva le per'sone di altro
sesso e, seminarista, non fissava in volto nemmeno le sue cugine, che di-
stingueva dalla voce o dall'ombra proiettata, e volentieri le lasciava partire
dal parlatorio del Seminario tirando un sospiro di sollievo (jb).
Nelle Sei domeniche e nel Giovane provveduto presenta Luigi Gonzaga
che non fissava in volto nemmeno sua madre, che non permetteva ai servi
di vestirlo, che non lasciava gli si vedesse la punta dei piedi quando si le-
vava dal letto, che fuggiva sbigottito oppure correva a flagellarsi nel suo stan-
zino quando veniva invitato a ballare.
(5)G questa l'interpretazione solitamente data da studiosi di folkiore e critica di testi
popolari;
(56)
cf. Bo~zr,&.G.i,n EC
Questo, per lo meno,
1, cl. 1190.
è ciò che riferisce
DB
nei
Cenni
storici. . .,
Torino
1845,
p. 34s: «Sovente era visitato da alcune sue cugine di Chieri, e questo gli era un grave
cruccio, dovendo trattare con persone di diverso sesso, onde appena detto queilo che la
suetta convenienza, e il bisogno voleva, raccomandarlo loro con bella maniera di venirlo a
trovare il meno possibile, tosto da loro si licenziava. Richiesto alcune volte se quelle sue
parenti (colle quail trattava con tanto riserbo) fossero grandi, o piccole, o di straordinaria
avvenenza, rispondea che all'ombra gli parevano grandi, che più oltre nulla sapeva non
avendole mai rimirare in faccia. Beli'esempio deyo di essere imitato da chiunque aspira o
trovasi neilo stato ecclesiastico! n. Quel che a noi interessa sottolineare in ordine a quanto
analizziamo è appunto questa esclamazione conclusiva di DB.

13.5 Page 125

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Il Giovane puovveduto ci narra di un pio giovanetto che, « interrogato
perché fosse cosi cauto negli sguardi, diede questa risposta: H o risoluto
di non guardare sembiante di donna per serbare gli occhi miei a mirare la
prima volta (se non ne sarò indegno) il bellissimo volto della Madre di puriti
Maria Santissima >> (").
Domenico Savio per le strade di Torino, quando si recava a scuola, non
guardava in giro. Venne ripreso da un compagno e diede iina risposta identica
a quella del pio giovanetta del Giovane provveduto. Domenico era cosi cauto
negli sguardi, scrive Don Bosco, che per questo motivo spesso tornava a casa
con il mal di testa (").
Della purità Don Bosco ci fa elogi superlativi. Virtù angelica, virtù
più di tutte cara al Figliolo di Dio. Gesù Cristo si scelse come madre una
Vergine, come custode un vergine, come discepolo prediletto un vergine.
Coloro i quali mantengono questa virtù sono quegli immacolati di cui parla
I'Apocalisse i quali sequuntur Agnum quoczmzque ierit (").
Il giovane che vuole custodire la sua purità stia attento a non frequen-
tare cattivi compagni e fugga le persone di altro sesso, fossero anche cugine
o sorelle, è sempre come avvicinare la paglia al fuoco; il demonio, che è
filosofo, sa le distinzioni: fa scomparire i termini cugina e sorella e lascia
quelli di donna
b) Derivazioni culturali e letterarie
Potrebbe sembrate che quanto Don Bosco esprime su questa materia
sia dovuto chissà a quali reconditi legami con il pessimismo gia~senista(~').
( 9 )[Bosco], Il giovane provveduto. . ., To~ino1847, p. 53.
(58) BOSCO, Vita del giovanetto Sauio Domenzco, Torino 1859, p. 64: «Non riniirava
mai in faccia persone di sesso diverso: andando a scuola non alzava mai gli occhi I...] Di
che indispettito un compagno lo rimproverò dicendo: che vuoi dunque fare dedi occhi se
non te ne servi a rimirare tali cose? Io voglio servirmene, rispondeva, per rimirare la faccia
deila nostra celeste Madre Maria, quando, se coll'aiuto di Dio ne sarò degno, andrò a tro.
varla in paradiso ». Sul mal di testa, si conserva la relazione di no compagno di Domenico:
Giusto Oilagnier in AS 9.160. Sul comportamento per le strade DB usa termini più circo-
stanziati un po' prima, p. 47: « L'andata poi ed il ritorno da scuola, che è tanto pericoloso pei
giovanetti che da' villaggi vengono nelle grandi città, pd nostro Domenico fu un vero
esercizio di virtù. Costante nell'eseguire gli ordini de' suoi su~eriori,andava a scuola.
ritornava a casa, senza neppure dare un'occhiata o porre ascolto icosa che ad un giovani
cristiano non convenisse ».
P9)Testi tipici sono la predica giovanile sull'impurità (MB 16, p. 594-601; AS 132
Prediche B 4); Il mese di maggio, giorno 25 e 26, Torino 1858, p. 144.154; gli appunti di
prediche per gli esercizi spirituali a Salesiani, tenuti a Trofareilo nel 1869 e in tempi suc-
cessivi (ms autogr. di DB AS 132 Prediche E 4; MB 9, p, 985.994). Cf. anche Indice
MB p. 62 s; 36 s voci Castità e Purità. Testi significativi sono raccolti e sistematicamente
presentati da P. BRAIDOIl, sistema preventivo, ed. c., p. 289.312.
( m ) Sermoncino serale del 5 luglio 1867, antivigilia della solenne celebrazione di
S. Luigi Gonzaga cf. MB 8, p. 873.
(") Senza, per questo, volere minimizzare la presenza del giansenismo tra gli ele-
menti che hanno avuto un certo peso in Piemonte specialmente nel costume religioso del
Ma a ben guardare, ci si accorge che bisogna andar cauti nell'affermare legami
che, già sul piano letterario e filologico risultano discutibili. I n tema della
purezza le fonti principali d i Don Bosco sono quasi tutte - per quanto
conosciamo - autori che nulla hanno a che fare con il giansenismo o che ad-
dirittura furono paladini impegnati a determinarne il tracollo. Non da CoGtel
o da Nicole, ma da Filippo Neri derivava l'avvertimento di Don Bosco a non
porsi le mani addosso: i giovani tra loro e tanto meno con ragazze. D a S.
Filippo ( e nel Giovane provueduto attraverso il Frassinetti) deriva il monito
a non trattare con familiarità nemmeno le congiunte, perché il demonio è
filosofo, fa scomparire il termine sorell~r e cugina per lasciare quello di
donna. Filippo Neri è santo del Rinasciniento che già respira le ansie della
Riforma cattolica (").
Dal gesuita Foresti, com'è già noto, deriva la sentenza abstrahe ligna
foco, si vis extinguere flammam (lontano dalle tentazioni, lontano dal vino,
dal gioco, dalla donna . . .).
Non è certamente giansenista la letteratura devozionale e ascetica che
porta a esempio, idealizza e fin anche retoricizza l'angelico Luigi Gonzaga.
Don Bosco moltissimo deve - ci sembra - come materia e come movenze
psichiche, a questa letteratura aloisiana, che si esprimeva nelle Sei domeniche
(in onore dei sei anni da lui vissuti nella Compagnia di Gesìi), nella Compa-
gnia S. Luigi Gonzaga, nella lettura di profili agiografici dovuti al Croiset,
al Cepari, al Cesari, allo stesso oratoriano Carlo Massini (a dispetto dell'accusa
mossagli di giansenismo) (@).
Potrebbe nascondere una mentalità giansenista la cautela'..verso il
sesso. Come commento all'aneddotto del pio giovanetto che non voleva mai
guardare volto di donna, si potrebbero scrivere le parole che il cardinale
Settecento. Vorremmo però porre in guardia da una certa faciiità (ancora oggi) ad attribuire
al giansenismo atteggiamenti spirituali, le cui cause sono assai più remote e, in misura
- diversa, alla radice di movenze spirituali che si trovano negli stessi antigiansenisti.
(62) Giustamente - ci pare c'è chi reagisce contro l'interpretazione della spiri-
tualità del Cinquecento italiano di Filippo Neri, Bonsignore Cacciaguerra, Scupoli . . . come
una spiritualità indulgente, perché - ad esempio - invitava alla frequente comunione. Si
rischia di fare propria i'inierpretazione polemica e. generalizzante di Antoine Arnauid e di
quanti, nel Seicento, reagivano all'umanesimo devoto, al molinismo, alla casistica. Cf. a
questo proposito Innocenza COLOSIOI,rrigidimento e austerità della spiritualità italiana
del Cinauecento in o.~.Dosirioneal Rinascimento in Rivista d i ascetica e mistica 32 (19631,
p. 286.i97.
(a)Ne abbiamo data una sommaria descrizione in Valori spirituali nel << Giovane
prouveduto »di San Giownni Borco, Roma 1960, p. 36-40. Croiset e Cepari sono, con il
Cesari, fonti dei Cenni di DB su S. Luigi. DB li cita, insieme all'Henrion (Le sei dome-
niche.. .,Torino 1854, p. 22). Il Massini venne tenuto presente per le Vite dei Papi, forse
anche per la Storia ecclesiastica. In Piemonte si stamparono più volte le sue Vite de' Santi,
nella doppia raccolta annuale (Torino 1767; Ivrea 1815; Torino 1831). Per le sue attinenze
con il giansenismo, cf. Enrico DAMMIG, I1 movimento giansenista ii Roma nella seconda metà
del secolo XVIII, Città del Vaticano 1945.

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Don BoBscoonnaelalaffsitdoariaadllealla Greuligidioasitàalcacttioellicoa.eVocl hIIe. Stterallascriviamo da u n esemplare apparte-
nuto a Don Gioacchino Berto, segretario di Don Bosco:
« L a donna f u fatta da Dio aiutatrice dell'uomo; per malizia del serpente vestì
persona di nemico. I n essa tutto ferisce, tutto è fuoco, tutto è omicida. La sua voce,
i suoi occhi sono assai più funesti di una tigre, di una fiera qualunque. Deh! se la
tua salvezza ti è cara, deh! fuggine la presenza, fuggine gli abboccamenti. L'uomo fu
scacciato dal paradiso per lei, ed essa conserva questo suo costume tuttora » ("1.
Accanto all'episodio di Luigi che non voleva fissare il volto della madre
e a quello di Comollo, che osava appena guardare l'ombra delle due cugine,
potrebbe scriversi a commento quanto annota il medesimo piissimo Bona:
« Odonsi tutto '1 dì allegare di molte scuse; la necessità, la consuetudine, la di-
ritta intenzione. Ma sotto sembianza di bene mali immensi s'ascondono: imperciocch6
cominciano ad uscirne alcune libertà danneggiatrici, incauti colloquii, gesti licenzio-
setti, sprezzature immodeste, frequenti donuzzi, e certi modi festevoli, fra i quali a
passo a passo il pudor si depone, e tutta in fin si depone la verecondia. Si fanno questi
passi gradatamente; e tale, che arrossendo all'orma soltanto di femmina inorridiva,
già con volto sicuro l'impudica nudità, e gli occhi lascivienti ne anisa » (65).
Però la fonte di Don Bosco sul pio giovanetto risoluto (se ne sarebbe
stato degno) di non guardare altro volto che quello di Maria in cielo, e su
Luigi Gonzaga che non fissava la madre è, per il Giovane provveduto, il pre-
vasto Frassinetti, notissimo alfonsiano, ch'ebhe non poche traversie per le
accuse di eccessivo benignismo nella cerchia dei rigoristi genovesi:
I1 nostro v. p. Carlo Giacinto, aveva tanto orrore alli impurità, che una volta,
vedendo una persona vestita indecentemente, gli venne il vomito; e disse un giorno
così: - Io sono risoluto di non guardare sembiante di donna, avendo proposto di
serbare gli occhi miei per mirare la prima volta (se io non sia indegno) il bellissimo
volto della Madre di purità, Maria SS.ma (nella V i t a ) » (a).
(H) G. BONAG,uida al cielo, cp. 5 , Mondovì 1853, p. 54.
(s)G. BONA, Guida al cielo, l. c., p. 54 S.
(66)G. FRASSINETTAIv,viamento dei giovanetti nella divorione di Maria Santissima,
cp. 7, esempio 5, in Opere ascetiche, 3, Roma 1910, p. 187. Carlo Giacinto di S. Maria, al
secolo Marino Sanguineti, nacque a Genova il 5 sett. 1658; morì il 23 aprile 1721.
L'episodio riferito dal Frassinetti si trova nelle Memorie dell'umile servo di Dio, divoto
di Maria P. Carlo Giacinto di santa Maria rigostiniano scalzo della provincia di Genova,
raccolte dal P. Giacinto di S. Maria del medesimo ordine.. ., pt. 3, cp. 6, Osservanza
de' voti professati e delle leggi particolari della sua riforma, Roma 1728, p. 192: «Parlando
una volta meco d'una Donzelia di gran credito nella città, dissemi: - Non esser egli punto
curioso di vederla; e che quando gli si presentasse l'occasione, non la guarderebbe altra-
mente in faccia. Poiché, mi soggiunse, io san risoluto di non guardare sembiante di donna;
avendo proposto di serbare gli occhi miei per mirare la prima volta (se non sia indegno)
il bellissimo volto della Madre di purità, Maria Santissima ». La biografia (di cui si conserva
copia nella biblioteca di Valdocco) continua con un particolare che si trova anche in quella
di S. Filippo Neri e di DB : « I n occasione d'appressarsi alla Santissima Comunione cena
femmina apparentemente immodesta, lo assali uno stimolo si furioso di vomito, che, come
L'unica differenza è, come si vede, che nella fonte il pio giovanetto
è in realtà un maturo frate agostiniano, servo di Dio e venerabile, che andava
per le vie della superba Genova in pieno Seicento. Don Bosco avrà forse
frainteso, oppure, com'era costume di pii scrittori, si sarà permesso qualche
lieve adattamento al SUO uditorio.
Non occorre perciò tirare in causa giansenismo e antigiansenismo,
ma la meiitalità comune, che pervadeva letteratura agiografica e omiletica,
produzione letteraria di piccoli e grandi autori, al di qua (persino) e a l di
di confini esistenti tra cattolici e protestanti P7). Questa letteratura tende
evidentemente a muovere il sentimento e a imprimere convinzioni, vuoi
collocare stimoli che poi agiscano al momento buono per resistere vittorio-
samente ai male. Perciò non prospettano casistica molto sfumata: non amano
presentare circostanze in cui per sé non esista peccato e non ci sia frana-
mento di pudore e verecondia, e il corpo e il sesso siano onestissimi.
A questa letteratura sarebbe troppo facile, ma non giusta, l'accusa in-
discriminata di rigido astrattismo, appunto perché la letteratura devota non
fa trattati scolastici, ma libri che spesso vogliono radicare convinzioni e
portare a un tipo ideale di costumi, tale quale - d'altra parte - era desi-
derato dall'animo popolare.
C) Don Bosco e i costumi del suo tempo
Ora, non è possibile avere una misura soddisfacente per valutare il
costume ideale che intendevano'promuovere i libri, e nemmeno è possibile
avere una misura adeguata per la letteratura di cui si fa portavoce Do' n Bosco,
se non si tiene conto del costume vivo e della sua evoluzione. ' .
confidò ad un sacerdote suo familiare, ebbe per un miracolo il trattenerlo» (l. C,). Tra i
suoi consigli a un confessore si legge qualcosa che dimostra la medesima disposizione d'animo
della Guida al cielo del Bona: «Dello spirito delle donne non si fidi per niente, non si fidi
per niente: ed avverta d'insegnare a queste di far orazione mentale. Due cose insegni, e
qui faccia consistere tutta la lor santità, cioè il frenar la ior collera e moderar la impazienza.
L'altra di non perder di vista il travagliare nella lor casa, l'arte e professione loro ». Come
molti del suo tempo, reagisce contro l'orazione di quiete e contro la devozione oziosa. La
maggior orazione e contemplazione per le donne sia « i l lavoro D.
(67) Indicativi sul costume che si ammetteva o si riprendeva, sono libri per confessori,
come ia Brieve, chiara e pratica istruzione per gli confessori di terre e villaggi intorno alle
cose che pid ordinariameiite accadono nell'amministrazione del sacramento della penitenza. . .
composta da un fratello missionario della Congregazione del P. Pavone, Napoli 1726 (più
volte ristampata); LEONARDdaO P. MAWRZIOD,irettori0 della confessione generale, Roma
1737 (stampato, tra gli altri, da Giacinto Marietti, Torino 1840); ALFONSODE LIGUORI,
Il con\\essore diretto per le confessioni della gente di campagna.. ., Venaia 1764 (stampato
ripetutamente anche dal Marietti). Sui costumi delle campagne piemontesi danno particolari
di una qualche utilita relativamente ail'ambiente di DB e dei suoi alunni le Istruzioni sem-
plici che porrono servire di metodo di vita cristiana e di ammaestramento per la buona edu-
cazione dedicate alle giovani figliuole d'ogni classe diuote di Maria SS.ma, Torino, tip.
Ferrero, Vertamy e Comp. 18463 (il Ferrero l'anno successivo risulta associato con lo
Speirani, il tipografo delle prime operette di DB); ricordiamo la pt. 2, cp. 6 e 7: Istruzioni
per saper dirigere le proprie sorelle da otto a dieci anni.. .; Istmzioni per i ragazzi e
ragazze addette alla custodia delle giovenche.
247

13.7 Page 127

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Un'evoluzione c'è, in generale, nell'ambiente piemontese ed europeo,
che da agricolo e artigianale (nel periodo in cui Don Bosco venne a operare
in Torino) passava nella fase industriale. Don Bosco, anzi, insieme a un'alta
percentuale dei giovani della Casa annessa all'Oratorio, è prova del duplice
fenomeno della fase industriale esordiente e dell'inurbamento correlativo.
Non bisogna quindi dimenticare quale incidenza ha potuto avere nel
costume e nella mentalità questo duplice fatto. Per Don Bosco e per molti
awiene il trapianto da un ambiente agricolo a uno d i vita cittadina. Avviene
il trapasso d a un ambiente di natura, dove molti fenomeni della vita nei
campi, nelle stalle, nelle case, erano sotto gli occhi di tutti. I piccoli potevano
vedere le loro niamme allattare bambini appena nati; ragazzotti si interes-
savano e si preoccupavano, con gli adulti, delle loro mucche e dei loro vi-
tellini. Nell'aperto ambiente di madre natura sulle colline del Monferrato
(nonostante la rozzezza morale di molti) i fenomeni della maternità pote-
vano essere un po' cose sacre, come il tocco del Creatore che si rinnovava
vicino a loro fb8). Per nulla turbava il senso del sacro il recitare due volte
alla settimana nei misteri gaudiosi del santo rosario « come la Vergine fu
annunziata dali'Angelo Gabriele, che dovea concepire e partorir il Signor
Gesù Cristo »; e come « la Vergine Santa avendo inteso che Santa Elisabetta
era gravida, si partì subito, ed andò a visitarla a casa sua, e stette con essa
tre mesi »; come, infine, « essendo venuto il tempo di partorire, partorì
Maria Vergine di Betlemme il nostro Redentore nella mezzanotte fra due
animali nel presepio » (@).
I1 linguaggio già in quei tempi diveniva più attento a nuove suscettihi-
lità. Le città anticiparono le campagne e i paesi collinari e montanini. Ma
ancora qualche decennio fa' era possible sentire annunziare i misteri del Ro-
sario, in paesi di montagna, con i termini che abbiamo riportato. Don Bosco,
adottando formule più reticenti (cb'erano d'altronde già in uso), dimostra
sintonia con questa nuova sensibilità, che però gli consente ancora di espri-
mere nel 1862 il caso della beata Caterina de Mattei da Racconigi:
«La madre non avendo latte a sufficienza, né potendo pagare una nutrice, era
costretta a mettere la povera bambina in collo ad un fratello, affinché la portasse in
cerca di latte presso alle donne che fossero in grado di poterne somministrare D (70).
(e)Intendiamo solo sottolineare almni elementi della psicodinamica nelle zone rurali
in qualche misura incidenti su quanto diremo riguardo a DB. I libri citati nella nota prece-
dente e documenti di archivi diocesani relativi a parrocchie di campagna pongono in luce
anche non pochi elementi negativi, roziezze e disordini morali.
(69) Trascriviamo da Orazioni all'uso della Congregazionc del Seminario di Torino
sotto il titolo della Beata Vergine Immacolata, Torino, G. Briolo 1782, p. 21 S. Le formule
sono immutate in sliccessive edizioni, per esempio: Orazioni giornoliprc ad uso dei Semi-
navio di Torino, Torino, Pomba 1819, p. 33; ma si leggono anche in altri devozionari che
abbiamo citato, in parte in Valori spirituali nel «Giovane provueduto », p. 112.
.(m)G. Bosco, Cenni storici intorno alla vita della B. Caterina De Mattei da Racco.
nigi. . . Torino 1862, p. 8.
Mutava la moda di abbigliamento. Gli abiti femminili, specialmente
di nobildonne, anche in tempo di Restaurazione avevano vistose scollature,
arrivavano però fino ai piedi. Via via vennero nuove mode, i vestiti femmi-
nili accorciarono, prima in città e poi anche nei campi (?l).
Ma la dinamica psichica, anche in fatto di sessualità, ha le sue reazioni
più impensate di epoca in epoca, di ambiente in ambiente. Nonostante mo-
niti di moralisti sugli sguardi impudichi degli adulti persino nei riguardi dei
bambini (l2),nonostante quanto Don Bosco scrivesse sulla custodia degli
occhi, nonastante la cura di Domenico Savio e d i Magone a moderare gli
sguardi, con buon fondamento si può asserire che la loro sensibilità poteva
ammettere figurazioni di angeli più che adolescenti veramente femminei,
dagli abiti ,aperti e svolazzanti, tali quali si vedono sulla copertina del Ga-
lantuomo per il 1855 o sulle copertine dei quaderni di Magone che ancor oggi
si conservano (j3).
Nell'Ottocento si sposta a età più matura il matrimonio. I fratelli di
Don Bosco, Antonio e Giuseppe (che sposarono rispettivamente ai ventuno
e ai venti anni con ragazze loro coetanee) indicano con esattezza il costume
del tempo e che ancora perdurò abbastanza a lungo, a secolo inoltrato, men-
tre in città e nei grossi borghi l'età dello sposo saliva tra i ventidue e i ven-
ticinaue anni. superato il tempo dei servizio militare e trovata una sistema-
zione di lavoio (").
Altro fatto: nella seconda metà del secolo si moltiplicano gl'internati
per studenti e artigiani; aumenta ,la popolazione studentesca; l'artigianato per
(71) Esistono ottime opere sulla storia dell'abbigliamento che non è necessario cit:re
qui. Piuttosto ricordiamo una nota sul costume contadino, rilevato dal punto di vista etico-
religioso nelle Istricrioni semplici, Torino 1846, p. 27 s: « In questa stagione [estate], per
via del caldo, molte figlie si astengono dal portare la così detta giubbetta, o giustaiorpo
[in nota: In dialetto Piemontese bvassiera], e depongono persino il fazzoletto dal collo,
cosa affatto contraria alla decenza; non imitate immodesta usanza.. .». L'autore ricorda
che il proprio corpo è consacrato a Dio nel Battesimo.
(n)A quanto pare la casistica si sarebbe estesa sull'immodestia degli sguardi nei riguardi
dei bambini verso l'inizio del secolo XVII. Vi ravviserebbe un influsso di spirito giansenista
Philippe An~es,L'enjant et la vie familiaie sous l'Ancien Régime, Paris 1960, p. 109s.
Le Irtruzio~isemplici raccomandano alle giovani alcune delicatezze da inculcare alle, bam-
bine da otto a dieci anni incaricate di accudire i bambini di minor età: «Non facciano e
non lascino fare ai bambini che custodiscono trastulli indecenti, che non permettano loro
di staie ignudi, essendo cosa che tanto offende il Signore.. . , quando i bambini hanno
qualche necessità devono consegnarli subito alla propria madre od avola, ma non mai
assisterli elleno stesse in tali bisogni (p. 91).
, AS (731 \\
--W
1.2-1.-M~~anone. Uno
è
stato
riprodotto in
Don
Bosco.
Opere
e
scritti
editi
e
inediti, 5, Torino 1965, p. 216.
(74) Francesco MARTINENlGaiOza,rista, Il gran passo raccomundaio ai giovani e alle
giovinette cristiane e
p. 182: « A lei non
anche
un poco ai loro genitori, Torino, tip. e libr.
non le farai saper nulla. Parla o fa parlare a'
Ssuaoleisipaanra:nti187..7.,
Fa dimandar loro la figlia per quando avrai venticinque o ventisei :nni e q u a t ~ ~ m i1l a1~e
almeno di stipendio. Questo è procedere onesto, e se l'avrà a riuscire, la riuscira; meglio
e più facile così, che col far dei iomanzi. . . ».

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Don Bomsciononreellnansitoraiassduemllaerepligrioopsiorzciaottnoilicaa.bVboalsItIa. nSzteallavistose. Soprattutto negli ambienti
cittadini il clima di libertà alimentato dagli avvenimenti politici favorisce nei
giovani lo svincolarsi da costumi, che invece ancora potevano resistere in pro-
vincia, sotto il controllo morale degli anziani e del clero.
Si modifica anche il vocabolario. Termini cari a Don Bosco, frequenti
sotto la sua penna specialmente prima del '70, come purezza e castità, sotto
la pressione della stampa e del linguaggio vivo anticlericale assumono in
certi ambienti una coloritura di derisione ("). I termini, invece, di moralità e di
buon costume acquistano sempre con più insistenza il senso di castità, pudore,
continenza e altre qualità affini, più o meno slegate da un contesto di
moralità confessionale. Quando nei Regolamenti per le case salesiane e nelle
deliberazioiii dei Capitoli generali si parla di moralità, quasi sempre s'inten-
dono la castità e le virtù connesse.
Che cosa avveniva nei giovani sotto la pressione di nuovi condiziona-
tori ambientali? Che cosa si poteva scatenare in prolungata vita di collegio, in
prolungato intervallo prima del matrimonio? Che cosa dai giovanotti poteva
ripercuotersi sugli adolescenti ospiti nello stesso ambiente educativo? Che
cosa, infine, veniva a determinarsi negli educatori?
Negli ultimi anni - asserisce Don Lemoyne - Don Bosco, resosi conto
della « cresciuta malizia nei giovani », si decise a parlare più chiaro sui
danni della disonestà (76). Dunque fatti nuovi influirono su di lui, provo-
carono sue nuove valutazioni e nuovi comportamenti. Non bisogna poi
dimenticarlo: attorno a11'80 si era in tempi in cui anticlericali e le stesse
autorità ecclesiastiche di Torino, tenevano gli occhi addosso all'Oratorio.
Tutto all'oratorio « doveva » andare bene.
d) Situazioni di Valdocco
Problemi particolari erano posti dalla situazione topografica dell'Oratorio
di Valdocco. Nel Porta t e c o cristiano Don Bosco ripete un vecchio monito ai
genitori: non tengano a dormire nel loro letto bambini; non lascino dor-
mire nello stesso letto fratelli e sorelle, perché ne potevano nascere gravi
disordini (n).Non è improbabile che Don Bosco sia stato spinto a includere
(") Basterebbe, a titolo di saggio, scorrere il «Sacco nero D, rubrica anticlericale della
Gazzetta del popolo.
i76) MB 7, p. 81.
(77jBOSCO, Porta teco cristiano ovvero nuv~siimportanti intorno ai doveri del cri-
stiano flcciocch6 ciascuno possa coonseguire la propria salvezza nello rtato in cui si trova,
Torino 1858, p. 25. Questa prima edizione non porta il nome di DB sul frontespizio ma
solo nella clausola della prefazione. Tra le varie parti che compongono i'opuscolo sono
da ricordare i Ricordi generali di S. Filippo Neri alla gioventù (p. 34-36), notissimi nel.
. . l'ambiente piemontese, più volte stampati, assimilati da DB (a State allegramente.. . ; non
nutrite delicatamente il corpo: fuggite i cattivi compagni .; non vi mettete le mani addosso
nemmeno per burla), suggeriti a Magone per difendere la purità (Cenno biografico. Torino
1861, p. 44 s). La raccomandazione 2 fatta, oltre che in qualche Sinodo, da S. Carlo Borro.
meo i cui Ricordi ossia ammaestramenti generali peu ogni ceto d i persone ma specialmente
questo avvertimento nel suo libricino da quanto poteva conoscere dei miseri
e malfamati quartieri di Valdocco e Vanchiglia del periodo anteriore al-
l'unità d'Italia. Quando scoppiò il colera nel '54, vennero tolti ragazzi da
misere stamberghe, dove padre madre nonni e numerosi figli stavano tutti
nella stessa stanza e dove l'unica divisione possibile consisteva nel rag-
gruppare i figli in un angolo sul medesimo pagliericcio o letto di fogliame.
Così testimonia Pietro Enria per la propria famiglia di poverissimi immigrati
dal Canavese("). Nella mente di Don Bosco, perciò, potevano prendere
corpo aneddoti a tinte fosche, come quello narrato dal padre Segneri nel
Cristiano irtruito, di fratello e sorella che finirono insieme nel vizio, e in-
sieme, prima di cadere nelle mani della giustizia divina, finirono in quella
degli uomini, che li condannò con sentenza capitale (lg).
Valdocco, inoltre, per lungo tempo fu di estrema periferia, sul declivio
che attraverso prati e orti conduceva al fiume Dora. Forse bastava salire
sul primo o secondo piano della casa, per scoprire tra squarci di cespugli
o muriccioli quanto avveniva a circa trecento metri giù nel fiume. Non erano
perciò senza fondamento i rigorosi precetti che sul bagno dava il Regola-
mento dell'Oratorio festivo: andare al bagno, stare a vedere quelli che si
bagnavano era severamente proibito ed era considerato come una delle più
gravi mancanze che gli oratoriani potessero commettere
Anche quando l'oratorio era recinto e ospitava studentelli e giovanotti
artigiani, nei tempi di calura estiva, quando Don Bosco era assente per gli
esercizi spirituali a S. Ignazio sopra Lanzo o al Convitto per scrivere libri
o in giro per predicare o elemosinare, poteva avvenire (e di fatto avveniva)
per i padri e le madri di famiglia, i capi di bottega e lavoranti erano stampati in appendice
alla vita scrittane dal Giussani e, a parte, ripetute volte anche in Piemonte. Per citate
qualche edizione, oltre a quel che d i S. Carlo venne incorporato nel Porta teco: La fami-
glia cristiana ovvero ammaestramenli e regole del viver cristiano per ogni stato di persone
recol~riproposti da S. Carlo Borromeo . . ., Novara 1839; Torino, tip. deli'Armonia 1861
(Collez d i buoni libri). I1 buon moralista cristiano perb non avwa nulla da ridire sui co-
stume che persone dello stesso sesso (la gente povera) potesse dormire nello stesso letto.
Le Istruzioni semplici raccomandano, alle giovani evidentemente, delicatezza: «Usate ogni
diligenza nel coricarvi e nell'alzarvi da letto, schivando al possibile le nudith ed ogni
sconcia giacitura; e maggiori riguardi userete ancora, qualora dobbiate coricarvi nel medesimo
letto con una sorella od amica» (p. 28).
(78) Pietro Enria era il maggiore di cinque fratelli orfani di madre. Narra le peripe-
zie del colèra nella sua deposizione per il processo di beatificazlone di DB, per il quale
depose il 27 gennaio 1893. I1 documento autogr. a a i attingiamo (AS 110 Enria, quaderno
2, p. 3-5) 6 da collocare nei mesi (o nel biennio?) precedente.
(79) SEGNERI, Il cristitiano inswuito, pt. i , ragion. 13, § 13, Torino, Marietti 1855,
p. 143.
(80) Regolamento dell'oratorio di S. Francesco di Saler per gli esterni, pt. 2, CB. 5,
Torino, tip. Salesiana 1877, p. 34 (le prime redazioni, come gia notammo, sarebbero del
1852-53). Le disposizioni sul bagno sono tutte autografe di DB: cf. 026(1) p. 21. Sui
pericoli dei bagni ne1 circondario di Tcrino » DB avverte nella Vita del giovanetto Savio
Donaenico, Torino 1859, p. 58. Allarmi sulla «frequenza delle sciagure che accadono alle
persone del popolo che si bagnano nei fiumi », in Letti6re di famiglia, a. 4 (1845), p. 245.

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Don Bocschoenerlalagasztozriia edelglaiorevliagnioostiti csacttaovlicaalc. aVtool IIi.lStmelluaretto a tramontana, saltato il pic-
colo canale d'acqua (la beal2ra) che irrorava gli orti e scendeva ai Molassi,
raggiunta la Dora, facessero quelle che Don Bosco chiamava le partite a
bagno. E le partite a bagno - a quanto sembra - si facevano casi come si
era, nudi bruchi, vestiti con la sola propria pelle
Ci si spiega dunque come Don Bosco abbia potuto reagire energica-
mente contro questo costume. E si può giustamente pensare che, oltre
ai disordini morali, nella sua mente si profilava il caso di qualche brutto
incidente, qualche fattaccio letale per l'anima o per il corpo fuiito in preda
alla stampa e alla pubblica autorità. Don Bosco poteva ben pensare alla re-
sponsabilità che si poteva addebitare e ai guai che potevano passare I'Orat*
rio e il suo direttore.
La tradizione ricorda l'incidente avvenuto nel luglio 1862, quando al-
cuni giovanotti, mentre Don Bosco si trovava a S. Ignazio in pieno solleone,
sfuggirono alla vigilanza di Don Alasonatti, si recarono a fare la loro partita
alla Dora. Mentre erano in acqua si sentirono, piantate sulla schiena, alcune
sonorissime palmate. Si guardarono attorno allibiti. U n soldato nuotava ac-
canto a loro. Interpellato, il militare non seppe che dire. Nel frattempo da
Lanzo Don Bosco inviava una lettera a Don Alasonatti su quattro lupi ra-
paci che si aggiravano all'Oratorio in veste di agnelli. Tornato a casa, si
mostrò informatissimo. Come ebbe 4 dire, il suo « telegrafo » lo aveva av-
vertito del disordine che stava succedendo, ma che con un colpo di filo era
intervenuto per dare una lezione sacrosanta a quei giovani sprovveduti(s2).
Ma poi la Dora non dovette più essere un grave problema. Attorno al
'70 cominciò a popolarsi di case. Andò crescendo u n nuovo quartiere(s3).
L'attrattiva del fiume non dovette essere più tanto forte sui giovani interni
e la responsabilità su quelli esterni dell'Oratorio festivo non dovette essere
sentita così stringente.
Invece si fecero sentire più gravi i problemi propri dell'internato: di
quell'alveare di circa sei-settecento giovani, dai dodici ai diciotto anni, non
tutti provenienti da famiglia sana, non tutti di angelici costumi e di ottime
intenzioni. Nell'internato, stando ai documenti, dovette diventare talora
assillante il problema della vigilanza e dell'assistenza, per impedire dovunque,
nei dormitori comuni, nel cortile, nei laboratori, negli angoli reconditi di-
scorsi, gesti, stampe e amicizie che potessero essere causa di disordini, cioè
di quanto teologicamente poteva essere definito peccato contro la modestia,
il pudore o la castità, con l'aggravante dello scandalo.
DB abbina sempre i pericoli di annegamento a quelli di immoralità. Ma oltre a
ciò si hanno testimonianze di tempi non lontanissimi sulle usanze di poverissimi &li della
periferia e della campagna.
. (") MB 7. D. 224-230.
(83) All'inizio del '900 però, dietro l'Oratorio fino alla Dora c'erano ancora prati.
Qualche casa sorgeva sulla strada lungo l'argine e sul corso Principe Oddone, che fiancheg-
gia la ferrovia Torino-Milano.
e ) L'educazione dei giovani alla purezza
Ci si rende conto come il problema della purezza abbia potuto toccare
da vicino e vivissimamente Don Bosco, già d a quando esso poté porsi alla
sua coscienza di adolescente, fino a quando fu educatore nell'oratorio di
Valdocco e direttore di educandati. La vivezza del problema risulta dall'insistenza
s ~ l i ' a r ~ o m e n t oP.iù e più volte nei suoi sogni la purezza è simboleggiata nel
candido giglio insidiato dal gattone infernale o scagliato a terra dalla probo-
scide dell'elefante diabolico, oppure nel fiore portato al trono di Maria e
stretto in mano, come simbolo del trionfo, da Domenico Savio apparso i n cele-
stiale visione
Forse Don Bosco dall'espetienza poteva essere portato a riflettere su
quanto S. Alfonso affermava nella sua teologia morale: la maggior parte di
coloro che si trovano all'inferno (anzi forse tutti) sono dannati a causa della
disonestà (85). La purità gli strappa appellativi e descrizioni che potevano
sembrare voli lirici, termini di commozione viva, tendenti a suscitare ammi-
(W)Cf. Indice MB, p. 365: voce Purità attraverso i sogni.
(85) S. ALFONSOT,heologia moralis, i. 3, tr. 4, § 413, in Opere morali, 1, Torino,
Marierti 1846, p. 456: «Utinam brevius aut obscurius explicare me potuissem! Sed cum
haec sit frequentioratque abundantior confessionum materia, et propter quam maior animarum
numerus ad infernum delabitur: imo non dubito asserere, ob hw unum impudicitiae vitium,
aut saltem non sine eo, omnes damnari quicumque damnantur n. Mermazioni analo~he
ha S. Alfonso nell'Homo apostolicus, tr: 9, punct. l , § 1, in Opere morali, 3, Torino, Ma-
rietti 1848, p. 178. Forse per questo S. Leonardo da P. Maurizio nel caso di confessioni
generali, specie in tempo di missioni popolari, suggerisce di andare spediti, quaqio si vede
il penitente ben disposto: «Interrogatelo in primo luogo del suo stato, della Sua età e
professione: incominciate dal sesto precetto, interrogando prima de' peccati fatti nelia
puetizia, e poi de' pensieri, parole, opere
vi darà colle sue risposte, ed io vi anderò
oscene, ma
suggerendo .
g..ra»d:arcaim. eDnitreetsteocroionddoelll'aapceorntuferassicohnee
generale. . ., Dialogo tra il confessore ed il penitente, Torino, Marietti 1840, p. 56.
Significative sono anche le persuasioni che, senza ambagi, Leonardo da P. Maurizio
manifesta nelle sue sacre missioni popolari: «Già so che mi risponderete, che quando dite
che la disonestà è poco male, e il minor male che faccia un uomo, non parlate assoluta-
mente, ma comparativamente, paragonandola agii
nata molto maggiori; ma questa risposta che
rialletvria?p.e.c.caStiechuenasi
commettono alla
volta sola avete
gior-
mac-
chiata l'anima a questo modo, io tra le vostre perdite vi voglio chiamar fortunato; ma dubito
che quest'una fragilità sia una, come uno è il mare, benché accolga nel seno fiumi senza
numero; una fragilità vuol dire cominciare appena passato l'uso della ragione dopo quei
sette
meno
odnelolatt'avnencichaidaiaimpbirùattdarescirecopnitam..i.lleIoimmnoonndedzuzbeitqouoptiudniatonamcheenteq,uealcnhoendufnioniredinevmoi-
altri, dato in preda a questo vizio maledetto, un dì per l'altro tra pensieri, parole ed
opere disoneste non arrivi a commettete dieci peccati mortali ogni dì, e così ogni mese
ne commetta sino a trecento, ed ogni anno più di tremila, e forse più di trentamila in
dieci anni. Che se vi aggiungeste anche quelli che commetteranno per vostra colpa quelli
a' quali avete insegnata la malizia, quelli che avete messi per la mala strada, quelli e
quelle che hanno imparato dal vostro esempio a fare il male, come pure ve li aggiunge
la divina giustizia, chi potrà ritrovare la somma giusta di tanta moltitudine? Or questa
moltitudine smisurata di scelleraggini è quella che voi chiamate una fragilità sola*: ci.
Istruzioni catechistiche per le sante missioni, Istr. 13, in Opere complete, 4, Venezia 1868,
p. 202 e 204.

13.10 Page 130

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Don Boraszcoionneellaesatorriaaddieclalarerealigbiiotsiitmà ceantttoalliicap.rVoonl tIIi. aSteslclaattare nel momento della tentazione.
E probabilmente lo erano, sia per Don Bosco, sia anche per quanti le con*
scevano già e le avevano assimilate dai medesimi libri e dalla medesima cul-
tura di cui Don Bosco si faceva espressione.
Purità facilmente diviene quasi sinonimo di innocenza, di stato di gra-
zia. I1 gesuita Patrignani, biografo di adolescenti e giovani secenteschi del
Collegio romano, lo dichiarava con enfasi: « L'innocenza e la purità sono due
virtù che posson dirsi gemelle: tanto l'una è simile all'altra, che scambiami
in volerle distintamente ravvisare » (@). Don Bosco ha abituale il motto:
« Et venerunt o m n i a b o n a pariter cum illa ». Quanto il sacro testo asserisce
della sapienza, egli ama affermarlo deila purità:
« L o Spirito Santo ci dice: che colla virtù della purità ci vengono tutti i beni:
venerunt omnia bona pariter c u m illa. Difatti quelli che hanno la bella sorte di poter
parlare con quelle anime che conservano questo prezioso tesoro discop-.ono una tran-
quillità, una pace di cuore, una contentezza tale, che superano ogni bene della terra.
Tu li vedi pazienti nella miseria, caritatevoli col prossimo, pacifici aiie ingiurie, ras-
segnati nelle malattie, attenti ai loro doveri, fervorosi nelle preghiere, ansiosi deiia
parola di Dio. Tu scorgi nel loro cuore una fede viva, una ferma speranza ed una
infiammata carità D(").
Quanto vuole essere affascinante la rappresentazione della purezza, al-
trettanto tende a indurre ribrezzo la pittura dell'impurità. I1 giovane dedito
alla libidine è ributtante, scontento di sé, spesso punito d a Dio con malattie,
roso dalla tubercolosi, malinconico, bilioso, scontroso sotto una h t a maschera
di gaudente. Finalmente poi è spesso spettacolo tremendo di una morte di-
sperata, preludio delle pene infernali(88).
(86) Giuseppe Antonio PATRIGNANViIt,e d i alcuni nobili conuitto~i stati e morti
nel Seminario Romano segnalati in bontd. . ., 2, Torino, G. Marietti, p. 167.
(87) BOSCO, Il mese di maggio, giorno 26, Torino 1858, p. 152. Cf. anche il sogno
di S. Benigno del 1881 (MB 15, p. 1831, di cui esiste minuta autogr. di DB (AS 132 Sogni)
e Il giouane provueduto, Torino 1878, p. 29: «La più bella delle virtù », introdotta in
queste edizioni. Di questa considerazione esiste autogr. di Don Bonetti, riveduto da DB
(133 Giovane provveduto). Il testo è ispirato al Mese d i maggio di DB stesso. Più fre-
quente è il motto Erunt sicut angeli in coelo, a cui pare s'ispiri la letteratura che propone
Luigi Gonzaga a modello e quella, in genere, della purità. Tra le varie opere merita di
essere ricordnta quella di Ciaude ARVISENELTa, uirtir angelica. Operetta utile specialmente
alla gioventù (Collez. buoni libri, a. 4, disp. 811, Torino 1852. Vi si trovano esposti diste-
samente i pregi della virtù e le precauzioni da prendere per conservarla: sono sostanzialmente
idee e termini che alimentano la spiritualità popolare delI'amhieiite di DB.
(M) Si veda la già citata predica giovanile sull'impurità MB 16, p. 599: «Degnatevi
solo
loro
di scorrere le contrade, di visitare
età, che potrebbero formare I'onor
le
di
ploiarzzfea;meiglvioei..
vedrete persone sul fiore di
. corrosi e @asti dal vizio,
divenuti l'obbrobrio e la feccia della società. Non parlo di tante famiglie che per un
tal vizio soffrono amare dissuizioni e discordie, provano le più grandi e calamitose stret-
mese tezze ». 13, questa, una delle tesi dominanti di Valentino o la uocazioi~e impedita, già
espressa nella considerazione suUa disonestà del
di maggio, giorno 25, Torino 1858,
p. 146: e Se tu entrerai nelle famiglie e dimanderai la cagione di tante discordie, di tante
Al tempo di Don Bosco, come in quelli del Coutel e del Gobinet, si
guardava lontano: alla salvezza eterna legata ordinariamente alle prime incli-
nazioni della gioventù; si badava al risanamento del costume cristiano, alla
solidificazione completa del giovane, perché possa resistere contro l'eresia e
contro gli assalti della miscredenza. Se c'era un campo dove l'educazione
doveva prevenire i primi scontri con le tentazioni, era proprio quello della
purezza, perché i n questo campo le passioni giovanili si mostravano partico-
larmente inclini ai piaceri disordinati. Istillare nella prima infanzia sentimenti
di orrore al vizio impuro, significava preparare per il tempo in cui i giovani
si sarebbero trovati « nell'età più pericolosa »is9).
f) Superamento delle tenia~ioni
Quanto all'interpretazione dei problemi giovanili connessi alla purezza
(diremmo, quanto alla sintomologia) e quanto ai mezzi educativi Don Bosco
mostra di avere assimilato molto del ricchissimo arsenale che era stato elabo-
rato nei secoli precedenti e che a lui perveniva attraverso scrittori di teologia
morale (Alasia, S. Alfonso, Frassinetti) o d i spiritualità per giovani (Gobinet.
Croiset, D e Mattei, Cesari).
Sintomi dei problemi di purezza erano le tentazioni, frutto di sugge-
stione diabolica, fermentate in pensieri cattivi, stimolate da circostanze am-
bientali come discorsi, lettura, frequenza di amici, giochi, pubblici spettacoli,
miserie, di tanti patrimoni mandati a ondo, molti sono costretti a rispondere che l'abo-
minevole vizia della disonestà ne fu la cagione. Dimandiamo ai medici che frequentano le
case dei privati ed i pubblici ospedali, e ci sapranno dire quanti siano mandati aiia tomba
sul fiore de' loro giorni. Oh! se le ceneri di costoro potessero parlare dalle tombe potrebbero
darci utilissimi avvisi n. Per considerazioni analoghe cf. ARVISENELTa, uirtù angelica, cp.
10,
de'
ed. c., p. 35s: « I n tale
proprii peccati, non si awede
acciecamento non si vede né
del pericolo evidente, in cui si è,
la
di
pebrrduettresziz. a.,.
I'infamiia
D: Carlo FER-
RERIC, orona d i fiori a Maria santissima. . ., Torino 18573, p. 145 s: « Vigilate, o figliuolo,
e detestate l'impurità. Ricordate che essa ottenebra la mente, corrompe il cuore, e travolge
l'uomo dalle celesti idee del
che assai degrada un figlio
suo destino al vile fango della terra.
di Dio, nacquero gli eretici, nascono
Dtuittoqduìesgtol'intucrrpeeduvliiz..io.
Quanti noi veggiamo sul fiore degli anni accecarsi per modo fra le laidezze, che, dimentichi
di Dio e di loro medesimi, vanno a finire luttuosamente! D. GOBINETI,struzione della
gioventir ha un nutrito capitolo sull'impudicizia o impurità, con terrificanti esempi, pt. 3,
cp, 8, Torino 1831, p. 184.206. Tra i suoi imitatori merita di essere ricordato (oltre all'Arvi-
Mspgeeionarsveseota)nrdtIù3i[nlu8eubt0eidlr.iit.Ham.dluo;mnoTsgbiegncrnirztoasro(1rea6tdre8ciiz6vdi-oei1sn7cpe7oe8vrt1oos,orddininieec.sBu.eie.,ssaSTonenoztoortiinmndoaa(,sciePocda)ni.zrs.aiiodv.n,eiaeraVr1feer8na4lnee3zc.ieIass-eAtrusctzoii,rornSeittatacmripes.tiarZenuiemccpporenerisslaea
( W ) 2 il lamento della morente moglie di Osnero, che lascia il figlio dodicenne proprio
quando ne avrebbe avuto più bisogno: ci. BOSCO, Valentino o la uocazione impedita, Torino
1866, p. 7. Questa persuasione, comune al Gohinet e a quanti altri sono sulla sua linea,
si riscontra anche nel Murialdo. Egli si pone il problema dei giovani che lasciano il
coUegio a «educazione compiuta ». Attorno al 1874-75 notava che c'era poco da conso.
larsi sulla perseveranza degli usciti, «perché si esce nella età criticissima: I'età dei
18, 20, 22, 23 anni D: cf. ~'~ARENGO,Contributi per uno studio su Leonardo Murialdo
educatore. Roma 1964, p. 227 nota.

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
« dove non c'è niente di bene, e per lo più s'impara sempre qualche cosa di
cattivo » (n). Un saggio del modo come venivano avvertiti e presentati i
pensieri cattivi lo si ha nel Giovane provveduto, che trascrive, in parte, dalla
Guida angelica (9'). Ma è possibile reperire documenti forse, per quel che ci
interessa, più significativi. Si posseggono, ad esempio, lettere confidenziali
scritte da giovani a D o n Bosco in varie circostanze. Una di queste è di u n
giovane chierico diciottenne, nato in una frazione non molto discosta da
quella dei Becchi. I n data 13 dicembre 1858 narra una grazia ricevuta per
intercessione dell'amico santo deceduto l'anno precedente, Domenico Savio:
Tristo e malinconico alcuni mesi or sono io passava giorni infelici combattuto
da mille
ed immaginazioni peccaminose Cercai ogni via per liberarmene;
ma inutilmente; già stava per credermi abbandonato da Dio. Non poteva né mangiare
di giorno, né dormire di notte. Ogni cosa era per me causa di nuova tristezza; era in
uno stato che non so se vi possa essere il più deplorabile. Una sera più tentato del
solito passeggiava per la stanza senza darmi pensiero di coricarmi. Mi gettai poscia, da
ignota forza oppresso, sopra del letto; ma tosto balaai quasi forsennato e mi posi al
tavolino. Apro senza sapere il perché il cassetto e la mano s'incontra in un piccolo
crocifisso: era una memoria del Savio Domenico che gelosamente custodiva; lo strin-
go con amhe le mani e gettatomi a terra ginocchioni esco in questa esclamazione:
amico mio, tu vedi la mia angoscia; se qualche cosa presso Dio tu puoi, deh! ottienmi
d'essere liberato da questa anticamera dell'inferno. I n sull'istante i miei occhi si
sciolsero in dirotto pianto e dopo un po' di tempo, recitate alcune preghiere, me ne
andai a letto per passare una notte la più tranquilla. Al mattino mi sentii spinto a
recarmi dai confessore, il che fatto, il mio cuore ricuperò la pace perduta » (m).
Da un'indagine fortunata potrebbe risultare che l'animo dei giovani a
Valdocco con molta probabilità agiva secondo le movenze emerse dalla me-
moria che abbiamo sopra riportato. Don Bosco poteva conoscerla in concreto
da confidenze ricevute (e sondate) in confessionale o fuori. Facilmente i n
questi giovani la tensione psicofisica veniva profondamente modificata dalle
persuasioni religiose, dagli insegnamenti ricevuti; veniva regolata, sviluppata
o compressa nell'alveo dell'amore di Dio, del proprio stato di grazia e della
propria salvezza eterna. I1 superamento poteva avvenire appunto dopo i l
moltiplicarsi di cariche emotive contrastanti, dopo prolungata angoscia e com-
pressione, diradata da una forte invasione di elemento religioso che veniva
(90) BOSCO, Il gwuane provueduto, Torino 1847, p. 26s.
(9') BOSCO, I l giovane provueduto, ed c., p. 26 s: a Gioverà moltissimo a preservarvi
dalle tentazioni il rimanervi lontani dalle occasioni, dalle conversazioni scandalose, da'
pubblici
adornate
spettacoli.. . Procurate di star
aitatini, aggiustate immagini o
qseumadprreettioncic.u.p.a»ti;,
e quando non
Guida angelica,
sapete che
ed. c., p.
fare,
58 s:
«Vi raccomando con tutta premura di stare molto lontani dalle cattive compagnie, conversa-
zioni scandalose, luoghi, e
l'aitarino, o colle immagini
fsopremttaacteoldiep' uqbubaldicrei.tt.i.niQ..u.a»n.do
non
sapete
che
fare,
adornate
(g2) AS 9.160 Savio (testimonianze utilizzate in gran parte da DB per la Vita).
Occorrerebbe esaminare le lettere del fondo AS 115 (lettere di auguri a DB per l'onomastico
o in altre circostanze) e 126 (lettere a DB).
a ristabilire l'equilibrio psicodinamico. L'apporto ambientai~
quello personale di Don Bosco, doveva avere un ruolo equilibrate
tale.
Ma Don Bosco doveva avere la percezione della precarietà dell'a.
. interiore giovanile. Nel Portd teco c~istiuno,per giustificare la lunga se.
cautele proposte, egli ci fa leggere che «abbiamo abbastanza entro di
stessi gli stimoli al male, senza cercarne al di fuori » (93).
L'educazione alla purezza (o, s e si vuole, la maturazione e l'irrobusti-
mento della « v i r t ù angelica D) si riduceva, tutto sommato, a due operazioni:
preparare e preservare. Preparare, prevenendo l'irruzione del male, lo sve-
gliarsi delle passioni già per loro natura inclini alla voluttà. Preparare perciò,
aprendo anzitutto il cuore alla grazia mediante la preghiera, l'istruzione reli-
P). giosa e l'uso dei Sacramenti La campagna in favore di una anticipata
comunione ai bambini faceva leva anche sul desiderio di proteggere la pu-
rezza, e quindi, in definitiva, tendeva a radicare l'adesione alla Chiesa, alla
pratica religiosa per tutta la vita.
La tradizione educativa a cui si collega Don Bosco non teme tanto la
conoscenza di quanto riguarda i rapporti tra uomo e donna. Teme piuttosto
l'intempestività ('9. La serie di fughe: fuga dall'ozio, dai cattivi compagni,
(93) Bosco, Porta teco cristiatio, Torino 1858, p. 44.
(94) Premunire l'innocenza con la Comunione è in sostanza il movente delle proteste
contro l'nso di rimandare indiscriminatamente la prima Comunione ai 12 :o 13 anni.
Cf. FRASSINETTCIo, mpendio della teologia morale di S. Alfonso M. de' Liguori.. .,
Genova 18673, p. 201 s: Sull'ammissione dei fanciulli alla SS. Comunione. Sul piano
ascetico popolare cf. SEGURL,a Santissima Comunione, Torino, tip. deU'Orat. di S. Franc.
di Sales 1869, p. 50.
(95) Una delle raccomandazioni che Nicole, Coiitel, RoUin fanno agli educatori è che
non feriscano con quanto dicono o fanno l'innocenza e la semplicità dei fanciulli. CoOtel,
tenuto conto delle debolaae dei genitori per i figli, pessimista anzi sulle capacità educative
della maggior parte dei parenti, dichiara le proprie preferenze per i saggi istitutori e per
i collegi. Tra gli educatori e pedagogisti che stanno tra la corrente cattolica tradizionale e
Rousseau, noto negli ambienti torinesi, è da segnalare J. B. Blanchard, la cui opera L'école
d a rnoeurs venne tradotta in italiano e ripetutamente edita (ci. avanti, cp. 15, nota 51).
Tra l'altro vi si legge: «Date loro de' precetti generali sulla decenza e sul pudore, per
darne poi loro de' più seri la prima volta che si lasceranno adescare anche assai leggier-
mente dalle lusinghe del mondo o dall'impeco delle passioni, quantunque non fosse questo
per più, che una espressione meno onesta, o per una sola parola un poco meno decente.
Allontanandoli così anche dalla vista e dall'apparen~a del male, gli allontanerete ancor
più daile realtà del medesimo, e tenendogli in guardia sul modo di parlare, si guarderanno
ancor più dall'operare meno bene. A misura che dall'attento istitutore vediassi a crescere
nei suo allievo la cognizione del male, raddoppierà ei le sue cure, e tutta metterà in opta
la sua prudenza per premunirlo co' suoi precetti e cogii esempi più acconci a tenerlo
sempre attaccato e sempre amico alla virtù. Gli porrà allora sotto degli occhi, ma con
cautela e quasi sol di profilo le immagini più detestevoli dei pericolosi vizi che regnano nel
commercio della società. Così entrando ei nel mondo, non sarà si facilmente colpito dagli
oggetti che gli verranno dinanzi, poi&& ne avrà già ricevuta una sufficiente contezza, ed
alla vista del male sarà perfettamente istruito della maniera, colla quale deve guardarsi »
(BLANCHARLaDs,cuola de' costumi, 1, Milano 1817, p. 39 s). Ci sembra nella sostanza una

14.2 Page 132

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
« dove non c'è niente di bene, e per lo più s'impara sempre qualche cosa d i
cattivo » (%). Un saggio del modo come venivano avvertiti e presentati i
pensieri cattivi lo si ha nel Giovane provveduto, che trascrive, in parte, dalla
Guida angelica (9'). Ma è possibile reperire documenti forse, per quel che ci
interessa, più significativi. Si posseggono, ad esempio, lettere confidenziali
scritte da giovani a D o n Bosco in varie circostanze. Una di queste è di u n
giovane chierico diciottenne, nato in una frazione non molto discosta da
quella dei Becchi. I n data 13 dicembre 1858 narra una grazia ricevuta per
intercessione dell'amico santo deceduto l'anno precedente, Domenica Savio:
«Tristo e mai,inconico alcuni mesi or sono io passava giorni infelici combattuto
da mille pensieri ed immaginazioni peccaminose. Ccrcai ogni via per liberarmene;
ma inutilmente; già stava per credermi abbandonato da Dio. Non poteva né mangiare
di giorno, né dormire di notte. Ogni cosa era per me causa di nuova tristezza; era in
uno stato che non so se vi possa essere il più deplorabile. Una sera più tentato del
solito passeggiava per la stanza senza darmi pensiero di coricarmi. Mi gettai poscia, da
ignota forza oppresso, sopra del letto; ma tosto balzai quasi forsennato e mi posi al
tavolino. Apro senza sapere il perche il cassetto e la mano s'incontra in un piccolo
crocifisso: era una memoria del Savio Domenica che gelosamente custodiva; lo strin-
go con ambe le mani e gettatomi a terra ginocchioni esco in questa esclamazione:
amico mio, tu vedi la mia angoscia; se qualche cosa presso Dio tu puoi, deh! ottienmi
d'essere liberato da questa anticamera dell'inferno. I n sull'istante i miei occhi si
sciolsero in dirotto pianto e dopo un po' di tempo, recitate alcune preghiere, me ne
andai a letto per passare una notte la più tranquilla. Al mattino mi sentii spinto a
recarmi dal confessore, il che fatto, il mio cuore ricuperò la pace perduta » (=).
Da un'indagine fortunata potrebbe risultare che l'animo dei giovani a
Valdocco con molta probabilità agiva secondo le movenze emerse dalla me-
moria che abbiamo sopra riportato. Don Bosco poteva conoscerla in concreto
da confidenze ricevute ( e sondate) i n confessionale o fuori. Facilmente in
questi giovani la tensione psicoGsica veniva profondamente modificata dalle
persuasioni religiose, dagli insegnamenti ricevuti; veniva regolata, sviluppata
o compressa nell'alveo dell'amore di Dio, del proprio stato di grazia e della
propria salvezza eterna. I1 superamento poteva avvenire appunto dopo il
moltiplicarsi di cariche emotive contrastanti, dopo prolungata angoscia e com-
pressione, diradata da una forte invasione di elemento religioso che veniva
(W) Bosco, I l giovane provveduto, Torino 1847, p. 26s.
(91) Bosco, Il giovane provveduto, ed C,, p. 26s: « Gioverà moltissimo a preservarvi
dapdauloblrebnliactteienstaaplzteiatortnianicio,illia.g.rg.imiuPsartnaoetceruvriimatlemonadtgaiinnsiitaodraqlsleuemadoprcrecetatsionicoicn.ui.,p.adnt;ia,llGee uqcidouanavnaednrosgaeznliioconan,i
scandalose, da'
sapete che fare,
ed. C,, p. 58 s:
«Vi raccomando con tutta premura di stare molto lontani dalle cattive compagnie, conversa-
zioni scandalose,
l'altarino, o colle
luoghi, e
immasini
spettacoli pubblici. . .
formate de' quadrettini
Q..u.a»n.do
non
sapete
che
fare,
adornate
("1 AS 9.160 Savio (testimonianze utilizzate in gran parte da DB per la Vita).
Occorrerebbe esaminate le lettete del fondo AS 115 (lettere di auguri a DB per l'onomastico
o in altre circostanze) e 126 (lettere a DB).
a ristabilire l'equilibrio psicodinamico. L'apporto ambientale, e soprattuto
quello personale di Don Bosco, doveva avere u n ruolo equilibratore fondamen-
tale.
Ma Don Bosco doveva avere la percezione della precarietà dell'equilibrio
interiore giovanile. Nel Porta tcco cristiano, per giustificare la lunga serie di
cautele proposte, egli ci fa leggere che « abbiamo abbastanza entro di noi
stessi gli stimoli al male, senza cercarne al di fuori » (93).
L'educaiione alla purezza (o, se si vuole, la maturazione e i'irrobusti-
mento della « virtù angelica ») si riduceva, tutto sommato, a due operazioni:
preparare e preservare. Preparare, prevenendo l'irruzione del male, lo sve-
gliarsi delle passioni già per loro natura inclini alla voluttà. Preparare perciò,
aprendo anzitutto il cuore alla grazia mediante la preghiera, l'istruzione reli-
giosa e l'uso dei Sacramenti("). La campagna in favore di una anticipata
comunione ai bambini faceva leva anche sul desiderio di proteggete la pu-
rezza, e quindi, in definitiva, tendeva a radicare l'adesione alla Chiesa, alla
pratica religiosa per tutta la vita.
La tradizione educativa a cui si collega D o n Bosco non teme tanto la
conoscenza di quanto riguarda i rapporti tra uomo e donna. Teme piuttosto
l'intempestività ('9.La serie di fughe: fuga dall'ozio, dai cattivi compagni,
(93) BOSCO, Porta teco cristiano, Torino 1858, p. 44.
(94) Premunire l'innocenza con la Comunione è in sostanza il movente delle proteste
contro I'uso di rimandare indiscriminatamente la prima Comunione ai l2 o 13 anni.
Cf. FRASSINETTCIo, mpendio della teologia morale di S. Alfonso M. de' 'liguori ...,
Genova 18673, p. 201 s: Sull'ammissione dei fanciulli alla SS. Comunioie. Sul piano
ascetico popolare cf. SEGURL,a Santissima Comunione, Torino, tip. dell'orat. di S. Franc.
di Sales 1869, p. 50.
(95) Una delle raccomandazioni che Nicole, Coiitel, Rollin fanno agli educatori che
non feriscano con quanto dicono o fanno l'innocenza e la semplicità dei fanciulli. Coiitel,
tenuto conto delle debolezze dei genitori per i tigli, pessimista anzi sulle capacifà educative
della maggior parte dei parenti, dichiara le proprie preferenze per i saggi istitutori e per
i collegi. Tra gli educatori e pedagogisti &e stanno tra la corrente cattolica tradizionale e
Rousseau, noto negli ambicnti torinesi, è da segnalare J. B. Blanchard, la cui opera Lecole
des naoeurs venne tradotta in italiano e ripetutamente edita (ci. avanti, cp. 15, nota 51).
Tra l'altro vi si legge: «Date loro de' precetti generali sulla decenza e sul pudore, per
darne poi loro de' più serj la prima volta che si lasceranno adescare anche assai leggier-
mente dalle lusinghe del mondo o dall'impeto delle passioni, quantunque non fosse questo
per più, che una espressione meno onesta, o per una sola parola un poco meno decente.
Allontanandoli così anche dalla vista e dall'apparenza del male, gli allontanerete ancor
più dalle realtà del medesimo, e tenendogli in guardia sul modo di parlare, si guarderanno
ancor più dall'operare meno bene. A misura che dall'attento istitutore vedrassi a crescere
nel suo allievo la cognizione del male, raddoppierà ei le sue cute, e tutta metterà in opra
la sua pmdenia per premunirlo co' suoi precetti e cogli esempi più acconci a tenerlo
sempre attaccato e sempre amico alla virtù. Gli porrà allora sotto degli occhi, ma con
cautela e quasi sol di profilo le immagini più detestevoli dei pericolosi vizj che regnano nel
commercio della società. Così entrando ei nel mondo, non sarà sì facilmente colpito dagli
oggetti che gli verranno dinanzi, poiché ne avrà già ricevuta una sufficiente contaza, ed
alla vista del male sarà perfettamente istmito della maniera, colla quale deve guardarsi
(BLANCHARLnDs,cuola de' costumi, 1, Milano 1817, p. 39 s). Ci sembra nella sostanza una

14.3 Page 133

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
dai cattivi discorsi, dai cattivi ritrovi, dagli stessi ambienti d i lavoro, nel caso
che vi regni il vizio, aveva 10 scopo di preservare dagli incentivi delle passioni
e d a quelle conoscenze che avrebbero potuto improwidamente raggiungere il
giovane, ancora tenera pianticella, stimolandolo, mettendo in moto il mecca-
nismo della seduzione e della depravazione ('6).
Awisi spiccioli, che potevano valere per giovani dell'Oratorio, per esterni
o anche per adolescenti i n vacanza, erano proposti da Don Bosco nel porta
teco cristiano e nel Regolamento per l'Oratorio festivo:
]]a gran massa dei giovani, l'assistenza, che poi, per quanto era possibile,
niva protesa fino alle vacanze. I giovani venivano posti sotto la responsa-
à dei parroci, ai quali poi era richiesto u n attestato di buona condotta ('OZ).
Negli a m i della collegializzazione Don Bosco ha parole dure sulle va-
- anze trascorse dai giovani in famiglia. Le vacanze egli asserì - sono la
dei diavolo, esprimendosi con u n motto che acquistava forza in-
cisiva appunto dalla sua perentorietà. Avrà badato certamente ai suoi ragazzi
(come al Valentino della storia romanzata) in cui la vocazione ecclesiastica o
« N o n andar vagando per le vie, soprattutto la notte, poiché oltre i gravi peri-
coli a mi vi esporreste, ciò potrebbe dar a sospettare che abbiate qualche sinistro,
la pratica cristiana ebbe u n crollo rude appunto durante le vacanze ('O3).
Ci si potrebbe allora chiedere, se anche sotto lo stimolo di queste espe-
progetto D (M).
«State in chiesa con grande inodestia e raccoglimento, non mai darvi appunta.
rienze dolorose, Don Bosco non abbia finito per preferire l'educazione negli
internati, che riducevano il tempo trascorso in famiglia e al paese (che ormai
menti, non volgere gli sguardi curiosi verso le persone di sesso diverso, non
un po' dovunque respirava di anticlericalismo). M a poté anche avvenire u n
ridere né far cenni o parlare con esse » (98).
« I n tempo di carnevale guardatevi ben dal lasciarvi travolgere dal torrente della
licenza e deila scostumatezza: non maschere, non travestimenti, né intervento a ra-
dunanze notturne » (W).
«Evitate ogni discorso osceno, o contrario alla Religione, perché S. Paolo ci
dice che i cattivi discorsi sono la rovina dei buoni costumi.
Dovete tutti in ogni tempo tenervi lontani dai teatri diurni e notturni, fuggire
le bettole, i caffé, i ridotti da giuoco, ed altri simili luoghi pericolosi » ( i @ ) .
«Abbiate un grande orrore al peccato contrario alla purità; evitandone con gran-
de studio le occasioni, scacciatene prontamente ogni cattivo pensiero, non fermatevi
un solo momento a pensare o rimirare cosa contraria aiia castità ed alla morige-
fenomeno in direzione del tutto inversa. Arroccato nel collegio, avrà potuto
proiettare luci fosche sull'amhiente familiare e sociale dei giovani, attribuendo
ad esso effetti, di cui invece bisognava ritrovare le cause, almeno parzialmente,
nella educazione di collegio. Questo, infatti, facilmente è presentato come
un paradiso terrestre, come un luogo henedetto(lW). E tuttavia per qual-
cuno poteva essere una prigione dorata ('"). Per altri (consapevolmente o no),
poteva essere il periodo i n cui si accumulava u n senso di evasione alla disciplina,
che poteva esplodere in manifestazioni non volute nel periodo estivo.
Ci si rende conto, comunque, che in questo arsenale di persuasioni, di
interpretazioni e soluzioni c'è molto di tradizionale, assimilato e riespresso
ratezza, ricordandovi anche nei luoghi i più nascosti che Dio è presente, che Egli
vede tutte le azioni, e penetra i più segreti pensieri del nostro cuore » ('01).
Avvisi validi per tutti potevano ancora leggersi sul Giovane prouuedu/o,
nella Storia sacra, nelle biografie di Comollo, Savio, Magone, Besucco.
Nell'internato, come dicevamo, assunse notevole importanza, tenuto conto
(102) Cf. Epix10l~rio 141. Esemplari stampati in diversi anni con postille dovute
a DB o ad altri si conservano ail'AS 131.04.
(103) Cf. la voce Vocaxza in Indice MB, p. 469 S. Le vacanze vendemmia del diavolo:
m 12, p. 362; « omnium malorum officina» MB 14, p. 795. I timori e i moniti di DB
coincidono nella
vacanze proposte
sogstanazagicoovnanqi useclloilaersip. r.e.ssQi udaarltageesduiiztaionAe.
M ~ A R E L LIlI ,buon uso
torinese. Torino, Marietti
delle
1841
buona teorizzazione deila linea pratica seguita da DB e dei suggerimenti
volte impartiti.
da lui più
(96) Si ripropone perciò il tema deila conoscenza e della iniziazione. Questa, stando
(esemplare neila bibl. di
per la gioventù sttrdiosa .
. V. ,alTdoorcicnoo),
e da [C. FERKEKI]R, egole d i
Paravia 1840, p. 53-56, o dalla
vita e
Guida
buone massime
angelica, che ha
un paragrafo sui «mali effetti delle vacanze e pratiche istruzioni per passarle santamente
(ed. c., p. 35-37).
ai termini che adopera DB, è tale, che dovrebbe far percepire la bono malizia di peri.
sieri, detti o fatti. Ecco, ad esempio, come scrive ne 11 giovane provveduto, ed. C,, p. 24:
Qualcheduno potrà dire: conosco le fuueste conseguenze dc' cattivi discorsi, ma come fare?
Io mi trovo in una scuola, in una bottega, in un negozio, ad un lavoro dove debbo
occuparmi, e si fanno cattivi discorsi. . . D.
(97) BOSCO, Porta teco cristiano. . ., Torino 1858, p. 44.
(98) BOSCO, Porta teco cristiano, ed. c., p. 45.
cosa
(W) Bosco,
rispondesse
Porta reco crisriano ed. c., p. 45.
ai moniti di DB e di altri riguardo
allepofesssitbeilpeopreonladreir.sAi bcobnotnodasnuti cnhoe-
tizie relative anche ali'Ottocento piemontese si trovano in G. POLAF A L L E ~ ~ ~ - V
Associazioni giovanili e feste antiche, Torino 1839-1942, 3 vol.; ID., La ]uventus attraverso
i secoli. Milano 1953.
(1") R<~golamcntdoell'oratorio di S. Francesco di Sales pel gli esterni, Torino 1877,p. 35.
('01) BOSCO, J'orfa teco cristiano, ed. C , , p. 43.
I
L
~
~
~
~
Alpi.
. .('o?)
,
Si veda la lettera di
Torino 1864, p. 132: «
Francesco Besucco al padrino
I1 maggiore di questi favori iu
in Bosco, I1 pastore110 delle
quello di mandarmi in questa
casa dove nuila più mi manca né per l'anima, né pel corpo D. L'originale (conservato all'AS
123 Besucco) dice propriamente: «Sarebbe quasi possibile che io provassi di ringraziarvi
del benefizio, che lei mi ha fatto, dopo avermi già fatto tanto tempo la scuola nella
sua casa, che ho imparato molte e belle cose, le quali mi ajutano fortemente in questo
onorevole oratorio, [= ?] mi fu ancor da lei ad acercarmi (sic) questo convitCtlo, il
quale s'impara molto, e che è molto vantaggioso per l'anima. Adesso ringrazio ognor sempre
più il Signore, di avermi favorito grandemente a preferenza di tant'altri e già sicuro che
~ io~
d~evo~
('05)
c~oDr[o~rm]isc, pnoicnodeSraevioa
questa Divina grazia D.
e l'amico Giovanni Massaglia
furono
invitati
da
DB
a
passare
le vacanze autumli in iuniglia. Per ambedue rispose Domenica: «Noi sappiamo che i
nostri parenti ci attendono con piacere; noi pure Li amiamo e ci andremmo volentieri; ma
sappiamo che l'uccello finche trovasi in gabbia non gode lihertd, è vero, però è sicuro dal
falcone. Al contrario se è fuori di gabbia, vola dove vuole, ma da un momento all'altro può

14.4 Page 134

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
da Don Bosco cori l'arricchimento delle sue risorse personali e in un contesto
ambientale che porta a dare un ruolo importantissimo ai fattori religiosi nella
soluzione di problemi classificati come problemi di purezza.
Ma sono riscontrabili anche notevoli differenze. La pratica dei sacramenti
aveva nei tempi di Don Bosco un risalto che non poteva esserci nel Seicento
dei Coiitel e dei Gobinet. La coscienza religiosa dei tempi di Don Bosco
reagiva a rigorismi esagerati attribuiti a secoli di veleno giansenista e aveva
problemi socioreligiosi posti dal Risorgimento e dall'industrializzazione.
Anche la fuga dell'ozio nel Sei-Settecento aveva caratteri molto diversi da
quella che propugnò e attuò Don Bosco. Nella ristretta cerchia delle scuole di
Port-Royal la fuga dell'ozio avveniva mediante lo studio, le tranquille pas-
seggiate, le declamazioni e le rappresentazioni sceniche che non volevano
essere soltanto mezzi di apprendimento. Nei collegi dei Gesuiti avevano larga
parte mezzi competitivi, come composizioni letterarie, rappresentazioni, decla-
mazioni, pratiche religiose promosse da gruppi o congregazioni studentesche.
Gli educatori portorealisti difidavano della competizione, perché la ritenevano
fomite di passioni disordinate.
Don Bosco porta con sé l'esperienza di contadinello e studente indu-
strioso; porta con sé il temperamento estroverso e versatile che lo ha speri-
mentato in molteplici arti; sa fare il sarto, il fabbro, il rilegatore, il musico,
il verseggiatore, lo scrittore, il prestigiatore, i'acrobata. I tradizionali mezzi
per vincere l'ozio, ch'egli stesso propone nel Giovane provveduto o nel Mese
di maggio, come l'adornare altarini, aggiustare immagini e quadrettini, si
trasformano preferenzialmente in occupazioni meno contingenti e più utili
in avvenire: lavori vari, banda musicale, scuola di canto, declamazioni in cui
non è l'ernulazione che serve da stimolo, ma il senso di propaganda: il volere
dar prova di quel che valgono i poveri figli del popolo raccolti da Don Bosco,
che si pongono a declamare davanti a personaggi come I'Aporti, il Rayneri e
il duca d'Aosta Amedeo di Savoia. La casa di Valdocco, casa laboriosa, diventa
talora chiassosa e rumorosa: una casa che non pochi non comprendono e
disapprovano (come mons. Tortone o il P. Marcantonio Durando). Monsignore
Lucido Maria Parocchi, poi arcivescovo di Bologna e cardinale protettore
della Società Salesiana, si trovò tra brusii e tramestii nella sagrestia del san-
tuario all'Ausiliatrice. « Non in commotione Dominus », disse in cuor suo
disapprovando. Se Don Bosco avesse realmente spirito di pietà non dovrebbe
permettere simili disordini (lo6).In realtà anche questo - diremmo - este-
riorismo poteva ben avere per Don Bosc6 il valore di simboli, che impegna-
vano tutto il ragaizo e contribuivano a svuotare ogni eventuale tensione del-
i'ambiente di collegio, intervenendo beneficamente a superare i problemi della
cadere negli artigli di queli'uccello di rapina. La nostra gabbia è l'oratorio; qui stiamo
. sicuri; se usciamo di qui temiamo di cadere negli artigli del falcone infernale D. « I o però ho
giudicato bene di mandarli qualche tempo a casa. . ».
('"1 Dichiarazioni confidenziali del card. Parocchi a mons. Lugari, promotore della
fede, Roma, 26 nov. 1900, copia ms. di mons. Lugari, iii AS 160.9.
260
pubertà, o meglio (secondo il suo linguaggio) della purità dei giovanetti.
Ma si amerebbe avere qualche affermazione esplicita di Don Bosco; una qual-
che teorizzazione accanto ai fatti. E invece le espressioni che si hanno sotto-
mano appaiono talora abbastanza slegate dai fatti ai quali vorremmo riferirle.
Spesso termini generici assumono il loro significato appunto dall'accostamento,
esplicito o per costume, a specifiche situazioni. Generici sono i termini ten-
tazione, cattivi pensieri, cattivi discorsi e cattivi compagni. Ma spesso s'indo-
vina facilmente dove va a parare il discorso di Don Bosco: in direzione della
modestia, della pudicizia e della castità propriamente detta.
Più di una volta si amerebbe che termini generici e nessi convenzionali
fossero invece sostituiti con quelli appropriati in correlazione a quelle diver-
sissime categorie che sono gli adolescenti, i giovani maturi, i chierici, i colle-
giali, i fidanzati e gli sposati. Quanto Don Bosco suggerisce al tredicenne
Magone non digerisce, quasi, nella sua materialità, da quello che raccomanda
ad Angelo Piccono e alla sua fidanzata nell'imminenza delle nozze (lm). Donde
questa genericiti nel linguaggio di Don Bosco? Per lo meno: perché ci è solo
pervenuto questo tipo di documentazione?
Sulla qualità e quantità di esortazioni date da Don Bosco avrà potuto
incidere la stia posizione, noi3 di pedagogista o igienista, ma di educatole, che
si è fatto uno studio di esprimere con termini comprensivi, ma non sugge-
stionanti, certi fatti, soprattutto in materia di purezza. Egli stesso lo dichiara
nella prefazione della Storia sacra: ha voluto « illuminare la mente per ren-
dere buono il cuore D; ha voluto evitare « maniere di parlare atte a destar
men puri concetti nelle mobili e tenere menti de' giovanetti »; «compilare un
corso di storia sacra, il quale mentre contiene tutte le notizie più importanti
de' libri sacri senza
di risvegliare idee meno opportune si potesse
presentare ad un giovanetto qualunque con dirgli: prendi e leggi » (laP).Per-
ciò riguardo a Noè scrive semplicemente che si assopì dopo aver bevuto il
vino, di cui non conosceva la forza, e venne deriso da Cam(lol); Sodoma e
Gomorra furono incendiate per colpe che vengono definite semplicemente
« malvagità » ed « enormi peccati >> (l"); la vendetta sui Sichemiti venne
provocata da quello che è chiamato soltanto « u n gravissimo insulto D fatto a
Dina, che per ciiriosità era andata ad una loro festa ("l).
Anche con i Salesiani, sebbene più esplicito e coiicreto, non giunge a
(107) BOSCO, Cenizo biografico sul giopanefto iCiagone Michele.. ., Torino 1861, p. 44s;
Epirtolario 1349, lettera ad Angelo Piccono, Torino 4 settcmbie 1873: «Ringrazio te e ia
. tua fidanzata dell'invito che mi fate di benedire le vostre nozze.. . Non mancherò di
pregare la Santa Vergine Ausiliatrice . . Ricordatevi però che la sole pratica della religione
può rendere felice il novello vostro stato ». Bisogna notare, però, che tale lettera non
comportava consigli precisi: DB declinava cortesemente l'invito offertogli di benedire le
. nozze, giacché precedenti impegni lo chiamavano altrove.
(lm) Bosco, Storia ranB per uso delle scuole.. , Torino 1847, p. 7.
(109) BOSCO,Storia sacra, p. 22.
(110) Bosco, Storia sacra, p. 28.
(111) Bosco, Storia sacra, p. 36.

14.5 Page 135

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Don Bostceormneinllai sctohreia dneollna rseilaignioositdàeclaicttaoltiic,a.aVlqoluIaI.nSttoellaevanescenti, soltanto sufficientemente
allusivi (almeno: stando alle fonti, che sono schemi autografi o appunti presi
da Don Bonetti, da Don Barberis, da Don Berto o da altri).
Stando così le cose, nella ricostruzione storica e nella interpretazione
si possono prendere abbagli, basati appunto sul tipo della documentazione
per noi oggi talora anodina e quasi sibiliina. Per esempio, si potrebbe essere
tentati di affermare che Don Bosco e il suo tempo, incomprensibilmente, non
abbiano conosciuto e affrontato problemi legati alla maturazione sessuale del
giovane. Tra questi fatti ne vogliamo esaminare alcuni, appunto per spingerci
nei limiti interpretativi possibili sulla base delle espressioni di Don Bosco
calate nel costume e nel linguaggio del suo ambiente torinese.
g) Problemi particolari dell'educazione tra puberth e matrimonio
Abbiamo ricordato più sopra una testimonianza di Don Lemoyne: Don
Bosco negli ultimi anni, constatando come era cresciuta la malizia dei giovani,
si decise a parlare piìi chiaro sul male del vizio contrario al sesto comanda-
mento ("'). Che cosa in concreto avrà avuto presente Don Bosco? A che cosa
avrà voluto alludere?
Avrà forse parlato genericamente dei mali prodotti dalla disonestà?
Avrà ripetuto il discorso solito dei castighi di Dio? avrà insistito nel descri-
vere il diluvio, quando omnis quippe cavo corrupevat viam suam? o nel nar-
rare la sorte di Sodoma e Gomorra? ("3) quella di peccatori rosi dalla ma-
lattia? O avrà anche più in concreto accennato a cattive abitudini, come la
masturbazione?
E fondato supporre che Don Bosco abbia ignorato (volutamente o no) un
fatto e un problema educativo sul quale esistevano trattazioni di moralisti,
medici, igienisti, pedagogisti?
La Storia d'Italia di Don Bosco in qualche tratto ha forse attinto alla
Enciclopedia popolare Ponlba (l"). È certo però che a Valdocco ne esistevano
(lu) Cf. sopra, nota 76.
(113) )E il testo &e cita nella predica iovanile sulla disonestà: MB 16, p. 595, e
nel Mese di maggio, giorno 25, Torino 1858, p. 145.
. (""1 Bosco, Storia d'Italia. . , Torino 1855, p. 436: «L'anno 1714 è altresì me-
morabile per tre morti importanti; quella di Luigi XIV re di Francia; la morte deita regina
d'Inghilterra di nome Anna; e infine per la morte della regina di Spagna chiamata Maria
Luisa, figlia del duca di Savoia »; C. BALBOIta, lia (Storia politica, civile e letteraria dell'),età
7 , § 24, in Nuova enciclopedia popolare, t. 7, Torino 1846, p. 829: « T r e morti impor-
tanti avvennero nell'anno 1714; quella di Luigi XIV, a cui succedendo Luigi XV fanciullo,
. . rimase Francia governata dai duca d'orléans reggente; quella di Anna regina d'Inghilterra
C. l; e quella di Maria Luisa di Savoia C , . . l ». L'unica variante rispetto ail'edizione
a parte dei Sommario della storia d'Italia è il punto e virgola dopo l'anno 1714, sostituito
poi con semplice virgola. Un confronto più meticoloso tra il testo di DB e le varie
redazioni dei Balbo lasciano aperta l'ipotesi di Don Caviglia: che L B potP avere sot-
t'occhio il testo del Sommario neii'Enciclopedia e in edizioni a parte, quale, ad esempio,
quella del 1852 Torino, Pomha (ed. 9 sulla 3 di Lasanna). Si vedano le osservaiioni
d i Don Caviglia in Opere e scritti cditi e inediti di Don Bosco, 3, Torino 1935, p. 564 5 .
diversi esemplari. Orbene, l'Enciclopedia popolare ha anche un articolo sul
tema: « Onanismo, masturbazione, manustuprazione, polluzione volontaria,
venere solitaria D, «Voci - vi si legge - che non abbisognano di defini-
zione, mentre indicano già per se stesse quel turpe vizio altrettanto condan-
nato dalle leggi divine, quanto dalle umane, che è una vera peste dell'adole-
scenza e della gioventù » ("5). Stando dunque all'Enciclopedia, non si trattava
di cose segrete, rare e peregrine, ma di fatti risaputi e già studiati.
La descrizione dei danni attribuiti al deplorato fatto, specialmente quando
diveniva un'abitudine, veniva fatta sulla base di un libro abbastanza noto del
medico calvinista svizzero Tissot, che aveva insegnato anche all'università di
Pavia (Il6).
Qualcosa di analogo si diceva sulla medesima Enciclopedia a proposito
della clorosi o pallore che poteva verificarsi nelle ndolescenti ('l7).
I1 discorso, come si vede, è condotto in chiave medica e igienica. Gli
adolescenti viziosi vengono considerati come ammalati. Nel quadro clinico
vengono portati a giudizio come causa o come circostanze concomitanti e
conseguenze, fatti che per sé non hanno nessun rapporto necessario con la
masturbazione, bensi solo con la pubertà in condizioni più o meno propizie
(pallore, dimagramento, malinconia, amore della solitudine, indebolimento
della vista . . .). Sono chiamate in causa mali come l'epilessia o la demenza
che, a quanto pare, rifiutano assolutamente nel loro albero genealogico il vizio
solitario. A questo si attribuisce la tisi che allora effettivamente aggrediva
(115) Nuova enciclopedia popolare, t. 10, Torino 1848, p. 76.
(116) Nuoua enciclopedia popolare, l. c., p. 76: « I primi sintomi che si manife-
stano in chi si abbandona alla masturbazione, sono il p a l l a della faccia, il dimagramento,
la di5coltà di digerire, la tristezza, l'irascibilità, l'amore della soiitudine, il languore degli
occhi, le palpitazioni frequenti, l'indebolimento della memoria. Ove non si ponga mente
a questi primi sintomi e non vi si metta riparo dai genitori o da chi presieder dehhe al-
l'educazione dei giovinetti, essi si fanno più gravi ed imponenti, e succederanno un languore
universale, la perdita quasi totale della memoria, l'indebolimento della facoltà visiva e del-
l'intelligenza, l'occhiaia circondata da un cerchio colore di piombo, l'indifferenaa per tutto
ciò che circonda l'onanista, l'incapacità di ogni sentimento generoso, la noia della vita,
le notti insonni e turbate, le palpitazioni incessanti, la leucorrea nelle donne e la blenorrea
cronica negli uomini; le polliizioni notturne involontarie prima accompagnate da qualche
soddisfazione, poscia anche ad insaputa dello stesso infermo, la digestione frequentemente
turbata, la gastroenterite cronica. Finalmente la vita di questi disgraziati viene spesso
troncata prima che essi abbiano raggiunta la virilità, e sono conseguenze frequenti del-
l'onanismo l'epilessia, la malinconia, l'isterismo, la demenza, le infiammazioni croniche dei
polmoni e del midollo spinale, e per ultimo la tisi polmonare, la tahe dorsale e la morte.
Molti fra questi sciagurati non soccomhono però, e giungono anche ad una certa e&,
ma in essa la vecchiaia è prematura, ogni vigore di animo e di corpo è spento, e sembrano
auasi omhre uscite dal se~olcroe condannate ad espiare fra mille stenti la violazione delle
leggi della natura n.
.1117.) Nuova encicloi>edia.po.t>olare. t. 3, Torino 1843, p. 30. Ma sull'argomento pOS.
sono interessare altre voci, come donna, melanconio, polluzione, pubertà, tiri.

14.6 Page 136

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Don Bosccoonnefllaacsitioitràia dlaellaporevliegrioasitgàiocavtetonlitcùa. VnoolnII.iSmtemllaunizzata, che dalle campagne si tra-
sferiva in città ("8).
I1 senso religioso chiama in causa il Vecchio e il Nuovo Testamento,
leggi divine e leggi umane che giustamente condannano l'abito peccaminoso.
Si ha perciò l'impressione che la coscienza dei castighi divini sul peccato abbia
portato persino medici e igienisti a vedere nessi causali tra fatti che sono
puramente concomitanti o comunque tra loro indipendenti.
A noi peraltro importa rilevare come quel vizio, « vera peste della gio-
ventù » era più che conosciuto e se ne tentava una profilassi i n cui è possibile
vedere come medici, igienisti, educatoti e moralisti mostrano una straordinaria
concordanza ("9);.
« A d oggetto d'impedire - continua l'Enciclopedia - che questo vizio prenda
radice nei giovanetti, dovranno questi essere continuamente osservati dall'occhio
vigile di chi presiede alla loro educazione; non si dovranno mai lasciar soli e per
lungo tempo adolescenti maliziosi con fanciulli innocenti, e si dovrà procurare di stan-
care il loro corpo cogli esercizii. I1 sonno sia sufficiente, ma non soverchio; il letto
sia piuttosto duro e non vi si lascino poltrire i giovanetti; si allontani ogni letniq
pericolosa, e quando vengasi a scoprire che qualche fanciullo od adolescente sia pre:
da di questo vizio, si cominci ad ammonire con buone ragioni, rappresentandogli sia
l'orrore della sua colpa, sia specialmente le conseguenze fatali che possono derivare
alla sua salute. D'allora in poi questo disgraziato, qualunque sia il sesso a cui appar-
tiene, non cessi di esser l'oggetto deila più attenta sorveglianza, ed egli stesso sia avver-
tito che in qualunque circostanza egli non sarà mai solo. Queste cure si protraggono
per varu mesi, cioè finché si abbia motivo a credere che l'abitudine viziosa fu abban-
donata. Tornando poi vani i consigli e le ammonizioni, si ricorra ai castighi più severi,
e mediante la forza si impedisca quest'infelice di procurare la propria rovina. Impe-
rocché in alcuni la violenza daabitudine finisce per cangiarsi in irresistibile impulso,
ed ottundendosi poco per volta la loro intelligenza, essi diventano sordi ad ogni per-
suasione. I n questi casi la camiciuola di forza adattata in modo che l'infermo non
possa toccare le parti genitali si applicherà durante la notte, e nel giorno egli non si
lascierà mai solo un istante. Afiine poi di far cessare questo impulso, si porranno in!
uso i viaggi a piedi fino alla stanchezza, i bagni freddi, il vitto vegetale, l'astinenza
da ogni liquore fermentato, il pane di segala oppure di farina grossolana, e soprat-
tutto si farà dormire l'infermo sul tavolo o su materassi ben duri, e si farà prendere
l'ultima refezione molto prima ch'ei vada a dormire, non tralasciando coteste atten-
zioni finché si ahbia fondato motivo a credere la guarigione completa » (lm).
Anche Don Bosco vuole che i giovani siano sempre assistiti; su di loro si
("8) Orientativi in generale possono essere, anche per apprezzamenti su!J'Ottocento,
trattati di medicina e di igiene, ad esempio Azzo &I, Trattato d'igiene, Milano 1952,
p. 1129.
("9) Riflettono una problematica analoga a quella d'italia MERET,Docurnentr pour
une histoire de l'éducation rexuelle, Paris 1957; A. PLA, O. P,, La marturbation. Réflexions
ihéologiq~cret pastorales in La vie rp2~ituelle.Supplément (mai 1966), p. 258-291.
('20) Nuova enciclopedia popolare, t. 10, ed. c., p. 76 S.
264
sempre vigile l'occhio dell'educatore; non si lascino mai in ozio, se non si
vuoleche lavori i l demonio; si ammoniscano con buone ragioni; si promuo-
vano passeggiate a piedi; il vino sia sempre modico e adacquato; l'orario sia
ta per tempo e riposo verso le dieci di sera: levata all'alba,
lie consuetudini campagnole conservate da molti anche nella
L'autorevole igienista piemontese Lorenzo Martini aveva espressioni an-
cara più vicine a quelle di D o n Bosco:
« P e r prevenire la malizia sarà più utile il tener questa vita. Si allontani il gio-
vanetto da quanto può corromperlo. Cagioni di corruzione sono i libri osceni, le
lubriche immagini, i disonesti ragionari, il pessimo esempio de' compagni. Badisi con
ogni studio a scegliere virtuosi institutori, religiosi famigli. Spesso il veleno è dome-
stico. Le sollecitudini debbono essere più vive ne' collegi. Separinsi, per quanto è
possibile, le varie età; non si perdan mai di vista gli alunni: ove abbiansi giusti mo-
tivi di dubitare, che vi sia qualcheduno infetto del vizio, prontamente si allontani.
E' questo un contagio, che in breve largamente diffondesi: il suo solo alito è morti-
fero: ogni indugio può portare conseguenze esiziali. Si fugga l'ozio: i giovani non
sien mai soli: mai neghittosi: non rimangano in letto, che per dormire: appena
svegliati si alzino, applichino i'animo a' loro studi: il tempo conceduto al riposo
a negli esercizi del corpo. Una vita attiva è il miglior antidoto
Prevenire il vizio (prevenire la corruzione del cuore e l'oscuramento
della ragione); prevenire e curare con la vita attiva erano principi ,p~'aticiche
potevano trovare perfettamente consenziente Don Bosco, il suo temperamento,
la sua spiritualità allergica alla devozione oziosa e non incline al puro psico-
Si poneva allora anche il problema della istruzione. Ma igienisti e me-
dici non erano molto entusiasti e andavano dalla diffidenza alla cautela.
« I danni di questa abitudine - si legge sull'Enciclopedia Pomba - furono di-
pinti da Tissot in modo da rendere il suo libro pericoloso, giacché superato il primo
ribrezzo, esso finisce per fornire un'esca alla vile passione che cerca di far prendere
(121) L. MAKTINI, Emilio o sia del governo dello vita, Milano 1829, p. 404 S. L'opera
era già stata pubblicata in latino: Aemilius seu de tuenda valetudine, Taurini 1820; i'anno
successivo Giacinto Marietti ne diede un'edizione con la versione italiana a fronte, dovuta
a Cristoforo Raggiolini. Di questa ne possiede un esemplare la biblioteca di Valdocco.
Sul Mattini ci. G. B. GERINI, Due medici peilagogirti. Maurizio Bufalini e Lorenzo Mar-
tini, Torino 1909. La Nuova enciclopedia popolare, t. 7, Torino 1846, p. 98, voce Igiene,
ne fa menzioiie insieme ali'igienista Turina: « nomi cari ai Piemontesi, i cui nuovi trattati
sono tuttodi fra le mani deila gioventù studiosa ».
(lz2) Nuova enciclopedia popolnre, t. 10, p. 76.
265

14.7 Page 137

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Don Bosco ne«lAlalsctuorniai dienlslatirteultigoiroisi-tà castctorilivcea. iVloMl II.aSrttienllia - coll'animo di far del bene, furono
innocente cagione di irreparabile male. Io metterei il libro di Tissot neUe mani di
chi già fosse vizioso: ma non mai di chi fosse tuttor senza macchia » ('23).
<< A prevenire u n vizio cosi pernicioso - egli commenta -, si esige
somma prudenza. Conviene opporsegli senza che ne nasca sentore. Conviene
opporsegli senza cbe n e nasca sentore, e se m'è lecita tale espressione, insi-
diosamente » (l").
Abbiamo ancora una prova, e questa volta esplicita, della reticenza che
si può riscontrare - con nostra insoddisfazione - in educatori come Don
Bosco e il Murialdo, abituati a parlare con giovani e che ebbero come memo-
rialisti preti e cliierici da loro formati con la stessa sensibilità. Don Bosco pare
caparbiamente attaccato all'avvertimento paolino: questo vizio nec nominetuu
in vobis (lz).
Tuttavia esiste un altro documento che ci permette di spingere ancora
più avanti l'esplorazione circa la conoscenza che Don Bosco poteva avere dei
fenomeni connessi alla pubertà e circa la loro interpretazione come morbosi,
moralmeilte peccaminosi e puniti da Dio. Si tratta dell'opuscolo La buona
uegola di vita per conseuvare la sanità apparso tra le Letture Cattoliche del
1854-55. Tra l'altro vi si trova u n dialogo tra u n giovane di nome Riccardo
e un suo amico medico, che ha tutta l'aria di essere un buon Mentore. Mette
conto riportare il dialogo nelle parti che maggiormente interessano il nostro
argomento.
« R. I n Grammatica [= terza ginnasiale, sui dodici tredici ami] ho avuto il primo
premio. Quando rivedo la medaglia mi vien voglia di bestemmiare. Quella medaglia
è stata l'ultima mia fortuna; dopo d'allora nulla ho avuto di buono in tutti i miei
giorni. Nel mezzo dell'anno di umanità ho perduto la voglia di studiare; ebbi impiego
nella stamperia d'un galantuomo che si onora di stampar cose oneste ed utili, ma fui
mandato via [ .. .l Tutto mi va male, né so come questa storia andrà a metter fine.
I n casa mi sgridano e mi ricordano i miei primi anni, in bottega mi sgridano; me ne
vivo più che posso solo soletto I . . .l Neppure il confessore sa più le faccende mie;
l'ho piantato da tre anni.
L'A. Figlio, io mi mostrerò confidente con voi. Dal vostro volto conosco in parte
l'origine della vostra infelicità. Siete contento che vi tratti come un mio antico cono-
scente e figlio?
R. Anzi, mi dia pure del tu.
L'A. Dalla metà deil'anno di umanità hai cominciato a patir di mano in mano
del mal essere, della malinconia, dell'inclinazione alla solitudine, del disgusto per gli
('a) MARTINEI,milio, ed. C,, p. 404. L'opera chiamata in causa è di Simon AndrE
TISSOT(1728-1797), L'onanismo ovvero disse~tazioni sopra le malattie cagionate dalle
polluzioni volontarie, Venezia 178S; prima edizione francese: Lailsanne 1760; si ebbero
altre edizioni ancora per tutto l'ottocento: Milano 1870; Fienze 1890...
(l2') MARTINEI,milio, ed. c., p. 404.
('3)Cf. Indice MB, p. 211: voce Impuri, impurità; Bosco, Il mese rli maggio,
giorno 25, Torino 1858, p. 144.
266
innocenti passatempi; poi brividi di freddo, svogliatezza al lavoro, irritazione biliosa
per ogni parola contrariante; poi noncuranza per ogni cosa di spirito e di pietà, ri-
morsi e poi altri rimorsi, e poi quasi disperazione di guarir mai de' tuoi mali.
R. Come sa ella tutte queste cose? Legge nel mio interno, o qualcuno le ha pale-
sata la mia vita?
L'A. Conosco facilmente le cose dai tuoi pochi detti e dal vederti. Ti paleserò
di più che daiia metà dell'anno di umanità hai cominciato a dimagrire, a provar diffi-
coltà di digestione, palpitazione al cuore, tremori, diminuzione di vista, mal di testa,
debolezza universale. Dico, o non dico il vero?
R. Non posso negare ciò che mi dice. Ma tante verità mi muovono a dispetto.
L'A. Vedi, figlio mio, tu ne' primi anni nutrivi ridenti speranze; tu eri accarez-
zato da' parenti e da' professori, trovavi gran gusto nelle lettere; in che modo sei di-
venuto a poto a poco imbecille? Lo sai tu stesso. Eri fornito di svegliato ingegno:
ara ti manca la memoria; talvolta non intendi le più facili cose; sei imbarazzato nel
parlare.
Prima tenevi la testa alta e ti scintillavano gli occhi, ora hai il capo basso e morti-
ficato. Talvolta hai spaventi addosso, e non sai se siano spaventi di Dio, o spaventi
degli uomini, spaventi di te stesso. E la prima volta che ti veggo: ma da' tuoi linea-
menti conosco la tua amara disgrazia. Tu piangi?
R. Ah, quel compagno esecrabile! L'ho maledetto cento volte, e pure. ..
L'A. Vedi che l'ho indovinata. Chi sa che non sia una bella misericordia del Si-
gnore che tu sia venuto da me.
R. Quel compagno scellerato mi insegnò ad operare contro alla virtù della mo-
destia.
L'A. Povero Riccardo! I1 tuo infortunio mi fa pena fino al fondo dell'anima.
Veramente sono orribili i peccati contro la santa modestia. Bisogna che r u m i ascolti.
Quel tuo miserabile com-pag~ no come se la passa?
R. E morto da un anno.
L'A. I1 Signore gli abbia perdonato. Ma sai di che malattia sia morto?
R. i?. diventato magro magro, poi è stato un mese a letto, poi non poteva più
alzarsi. Dicevano che andava per consunzione [.. .l.
R. O h mio Dio! e dire che io insegnai la malizia ad una mia piccola sorella di
cinque anni e mezzo, la quale morì l'anno scorso di soli ott'auni. H o tanti rimorsi che
non ne posso più.
L'A. Povera sorellina! Forse non sapeva qual gran male facesse, Dio ne avrh
avuto misericordia.
R. Ricordo la morte di mia sorella con amare lagrime. Ella ebbe per qualche
tempo soffocazione e tosse e febbre lenta, come dicevano i medici; i rimedi non vale-
vano. Quando era vicina a morire, baciava con tanto affetto un quadrettino della
Madonna. Un buon sacerdote era venuto ad assisterla. So che mia sorella pianse molto.
Domandò con voce debole perdono a mia madre dei disgusti dati. . . »(l").
(126) La buona regolu di vitu per conservare la sanità. Conversazioni popolari, T*
rino, tip. e libr. Salesiana [S. Pier d'Arena] 1883, p. 83-86. I1 proemio è sottoscritto:
P.B.S. L'edizione del 1883 è identica alla prima delle LC a. 2, in due fascicoli: 10 e 25
ottobre 1854, 10 e 25 febbraio 1855.
267

14.8 Page 138

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Don
Bosco
nNellealslotorisavdoellglaenrreszliigidoeslitàdciastctoolircsao.
Vol II. Stella
didascalico
si
avverte
la
sintomologia
degli
igienisti che nell'Ottocento si muovevano sulla scia del Tissot e dei mora-
listi che percorrevano quella del Segneri o di S. Alfonso. Non si tratta solo
di impressione e di congettura. L'autore cita infatti espressamente alcuni
medici, appoggiandosi alla loro autorità, alle loro esperienze e terapie. Tro-
viamo nominati Doussin-Dubreil, Carlo Francesco Bellingeri celebre medico
di Torino, e persino il Tissot, dal quale è riportato un terrificante episodio.
A chi sa, Tissot richiama il titolo della sua opera più nota: il saggio sul-
l'onanismo. Ma nel dialogo delle Letture Cattoliche i terinini onanismo, ma-
sturbazione, vizio solitario non sono mai adoperati. È sempre corrente l'espres-
sione generica di'« opere contro la virtù deila modestia ».
Riccardo, ormai sui diciannove-venti anni, confida che si è dibattuto nel
male per mesi e anni. A fatica è riuscito a districarsene, lottando tra i quindici
e i diciotto anni. Ormai è risanato: è come chi è giunto a riva e segue altri che
si dibattono tra le insidie delle acque limacciose di un pantano. Ha presenti
alcuni suoi amici e una sorella, l'unica rimastagli con alcuni fratellini, la quale
è sui quindici sedici anni. Ha l'impressione che ella mostri i medesimi sintomi
da lui provati. Si ripropone di aiutare gli amici e soprattutto lei. I1 Mentore
raccomanda prude a:
L'innocenza de' costumi è così delicata che non mai la si dee appannare con
discorsi inutili. Meglio è esoriare in generale i compagni ad essere buoni e savi e a
temere e rispettare la presenza di Dio. Se però ti accorgi evidentemente che qualche
compagno ha bisogno di avvertimenti, parla pure con lui in quel modo presso a poco,
come io ho ragionato con te. Assai volte voi, giovani, fate maggior bene cogli ammo-
nimenti, gli uni agli altri, che non i maestri e gli uomini gravi E. . .l D ('n).
Con la sorella:
«Parla in generale del santo timor di Dio e dell'orrore al peccato. Puoi aggiun-
gere, che la tua guarigione e contentezza è provenuta dall'aver parlato con uno che ti
spaventò per le colpe contro la santa modestia; che vi sono dei guai infiniti per chi
non la rispetta; che molte zitelle pure sono andate innanzi tempo alla tomba per non
aver conosciuto qual sia il vero decoro di una figlia di cristiana famiglia. Insisti su
questo, che la persona con cui ragionasti, ha letto negli autori e veduti molti desolanti
avvenimenti per alcune offese di Dio. Esorta poi la sorella ad aggiustare e saldare
i suoi conti col Signore, a frequentare i santi sacramenti; e tu stesso dà buoni esempi
a lei nell'avvenire » (lx).
Ci si avvede che il termine innocuo di modestia » poteva fare da para-
vento a sensi più precisi che il costume di allora sapeva percepire nel contesto
in cui veniva adoperato.
Bisogna aggiungere che La bzrona regola di vita non era un lihro tabù
La buona ~egoladi vita, ed. C,, p. 95.
("1 Ln buona regola d i vita, ed. c., p. 96 s
tra i giovani dell'oratorio, almeno negli anni in cui venne pubblicato (gli
anni in cui i pensionanti erano studenti, chierici e apprendisti). Superstiti liste
di libri dichiarati dai giovani nel 1855-57 ci assicurano che alcuni possedevano
annate delle Letture Cattoliche. Tra questi c'era anche Domenica Savio, che
dichiarava di possedere intera l'annata del 1855 (l"). L'operetta inoltre venne
ripubhlicata a Sampierdarena in seconda edizione nel 1883.
Un altro delicato problema, sul quale ben poco è
cogliere in
Don Bosco, è quello dei primi amori giovanili. C'è presso di lui quasi solo la
generica raccomandazione a non trattenersi insieme uomini e donne, ragazzi e
ragazze:
Fuggite la famigliarità con persone di altro sesso, comunque paiono savie:
non permettete mai verso di loro la minima libertà che offenda per poco la modestia
od il pudore.
Non ~imanermai solo con una donna piincipalmente in luogo che non sia espo-
sto alla vista degli altri
Non intraprendere viaggi con persone di sesso diverso non accompagnaivi con
esse per recarvi alle feste dei villagi vicini, ai balli o ad altre pericolose occa-
sioni » (l3").
Anche in questo caso si tratta di brevi sentenze e di espressioni gene-
riche, nelle quali, al più, affiora come punto di riferimento utile, "l'accenno
aiie feste dei villaggi vicini e ci si rende perciò conto che il lihro di Don
Bosco, nonostante gli anni di vita cittadina, si riferisca ancora all'ambiente
rurale. I1 silenzio di Don Bosco sulle movenze dei giovani ai primi sussulti
dell'amore sembrerebbe in gran contrasto con quanto si conosce di lui ed egli
stesso asserisce di sé: cioè la capacità di scoprire i pensieri e i sentimenti
più reconditi dei suoi coetanei (nella sua infanzia) e dei giovani. Potrebbe
sembrare strano, se non si trovasse una motivazione plausibile nel suo espli-
cito proposito di nulla dire che potesse turbare il cuore o la mente e appan-
nare il terso specchio della bella virtù.
I primi amori potevano presentarsi a lui, come a chiunque altro del SUO
ambiente, nei termini, ad esempio, popolani dei Reali di Francia che narrano
gli amori di Drusiana, quasi bambina, figlia del re Erminione, con Buovo
d'Antona, aitante e avvenente cavaliere nel fiore dei suoi sedici anni; oppure
quelli di Carlo Magno, fuggito in Spagna sotto il mentito nome di Mainetto,
(129) rlS 9.132 Savio; AS 38 Torino-S. Franc. di Sales, 36.
(1%) Bosco, Porta teco crirtiano, Torino 1858, p. 41; ma sono suggerimenti che si
trovano un po' in tutti gli scritti di DB, a cominciare dai Cenni sul Comollo. .?l inutile
citare qui
Frassinetti
.q.u.anto
di
simile
dicono
S.
Filippo
Neri,
Gobinet,
la
Guida
angelica,
Arvisenet,

14.9 Page 139

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
cui palpitava il cuore e s'infiammava il volto pensando a Galerana, la fglia
del re saraceno suo ospite.
Snll'argomento Don Bosco poteva conoscere quanto il Frassioetti aveva
scritto sull'Avuiamento dei giovanetti nella divozione di Maria Santissima,
fonte del Giovane p~ouuedutoe ristampato a Valdocco dopo il '70:
« S e vi sentite nascere in cuore una affezione verso qualche creatura, perché i
vostri occhi trovano in essa un bello e grazioso esteriore, per amor di Maria scacciate
quella affezione dal cuore, perché vi può far male più di quello che non sospettiate.
Forse adesso questo mio avviso vi parrà strano, perché non ne intendete la ragione;
ma si sa bene che la yostra età non è ancora capace d'intendere tutte le ragioni; e appunto
perché i giovinetti non possono ancora intendere tutte le ragioni delle cose, bisogna
che si rimettano ai consigli di chi ha più esperienza del mondo ed t avanzato negli
ami. Io la ragione la intendo, e la vedo chiara come il sole nel mezzogiorno; crescendo
negli anni l'intenderete e la vedrete parimente chiara anche voi; e se farete adesso
quanto io vi dico, crescendo negli anni ringrazierete Dio che vi abbia fatto dare per
mio mezzo corale awiso. Si, ve lo ripeto, non prendete mai affezioni alle creature per
quella bellezza e graziosità che presentano agli occhi vostri, particolarmente poi se
fossero creature dell'altro sesso. Fatelo per amor di Maria; credete pure a quanto vi
dico, che io non v'ingamo » ('3').
Don Bosco non pare abbia avuto questo tipo di reticenze che potrebbero
sembrare alquanto ingenue. Ai moniti, a quanto pare, egli non faceva seguire
motivazioni; non rimandava i giovani con la caparra di conoscenze future che
invece potevano invogliare a procurarsele al presente. Però anch'egli sugge-
risce di far leva con i giovani sulle conoscenze già loro gradualmente concesse
e sui moniti più volte dati. I1 30 giugno 1862 avrebbe detto a un gruppo
di suoi collaboratori a Valdocco:
«Bisogna premunire i giovani per quando avranno 17, o 18 anni: Guarda, verrà
un'età molto pericolosa per te. I1 Demonio ti prepara lacci per farti cadere. In primo
ti dirà che la comunione frequente è una cosa da piccoli e non da grandi, che bisogna
andarvi di raro. E poi terratti lontano dalle prediche e ti farà essere annoiato della
parola di Dio.
Quando si incontrano fatti grandi: Ti ricordi di quel che diceva? Ah è vero!
Questa reminiscenza farà del bene D ('32).
Don Bosco pone avanti la crisi della pratica religiosa. Ma è ovvio che
egli pensa anche al resto, cioè - secondo la sua mentalità - al peccato che
è la vera causa della malinconia dei giovani e dell'ahbandono della pratica
cristiana.
(1%) FRASSINETTAIv, viamento dei giovanetti nella divozione di Maria Santissima,
cp. 7, in Opere ascetiche, 3, Roma 1910, P. 183. Edizioni salesiane: Torino, tip. e libr.
dell'oratorio di S. Franc. di Sales 1873; S. Pier d'Arena 1878.
(l") Cf. AS 110 Rufhno 9, p. 79, edita con ampliamenti in MB 7, p. 192, come
proveniente dalla Cronaca di Don Bonetti.
Nel P o ~ t ateco cvistiano si trova anche qualche breve avvertimento per i
giovani che si preparano immediatamente al matrimonio:
« Se mai vi trovate ad un'età in cui le vostre convenienze vogliano che voi pren-
diate moglie, dovete guardarvi dal lasciarvi indurre o dal libertinaggio o da qualche
disordine. Nella scelta della sposa abbiate di mira piuttosto la virtì~ed il buon co-
stume, che i beni di fortuna ed altri temporali riguardi: raccomandate la buona riu-
scita di questo affare a Dio; confessatevi e comunicatevi a tal fine; consultate persone
virtuose, prudenti e disinteressate; e frattanto conservate il più riservato contegno
istruendovi delle disposizioni che a ricevere il sacramento del matrimonio si ricer-
cano » (l").
Se si vuole, in queste poche linee si potrebbe trovare ristretto quanto
espongono trattazioni sugli amoreggiamenti che non mancavano allora ed erano
talora nutritissimi arsenali d i consigli e d i autorità teologiche (lM). Ma è anche
vero che si rimane iancora abbastanza nel generico e il matrimonio è presentato
come qualcosa di calcolato quasi a tavolino, frutto dell'iniziativa del giovane
che a un certo momento della vita decide di mettersi in relazione con nna
famiglia, con una giovane, mettersi ad amarla, a farsi amare, per poi vinco-
larsi reciprocamente nei diritti e doveri del matrimonio per tutta la vita.
La teologia pastorale e la letteratura moralistica si muovevano, ovviamente.
dal presupposto del matrimonio uno e indissolubile. Anche i1 complesso degli
affetti tra uomo e donna, prima e dopo il giorno delle nozze, dovevano rispec-
chiare in termini analogici questa caratteristica ('ji). Gli amori che potevano
sorgere nell'adolescenza e che presumibilmente erano instabiliti ed "effimeri,
erano disapprovati e dovevano essere compressi e riprovati dai giovani onesti.
Unico germoglio affettivo doveva essere quello che poi si sarebbe coltivato
e cnstodito per tutta la vita. Che anzi, anche questo amore, nella traiettoria
che precedeva il matrimonio, doveva essere custodito i n modo che non portasse
a impeti prematuri e disordinati che poi compromettessero la solidità del
sacramento. Anche dopo il matrimonio la donna era invitata a starsene ritirata,
('33) BUSCO, Porta teco cristiano, Torino 1858, p. 46.
(134) Qui ricordiamo Girolamo DAL PORTICO, C.M.D., Gli amori tra le persone di
sesso diverso disaminati co' principi della morale teologia per istruzione de' novelli con-
fessori, Lucca 1751: oltre 770 pagine con casistica minuta relativa ai giovani e aile gio-
vani che fanno all'amore con intenzione di sposarsi o no. Dirette al popolo sono: ANASTASIO
Fumo DA COSTIGLIOLDE'ASTI, O.F.M., Il pregio della cristiana mondezza contro gli amori
profani ed altre libertà mondane proposto in considerazione a' fedeli, Vercelli 1776; Antonio
BRESCIANI, S. J., Avvixi a chi vuol pigliau moglie, Torino, Marietti 1844 e in Opere, 2,
Roma, Civiltà Cattolica - Torino, Marietti 1865, p. 277-328.
(1%) Lo rileva per la morale giansenista Heinrich I<LOMPSE,hemoral und Jansenirmur.
Ein Beitrag zur Oberwindung des rexualethischen Rigorisrnus, K6ln 1964. Ma la vistiale
deli'autore appare troppo ristretta. Non sono soltanto i giansenisti a diffidare della con-
cupiscenza connessa all'istinto sessuale; né sono soltanto loro a presentare il matrimonio
come dovere (generali0 prolis, remedium concupiscentiae) e perciò come ordinata obhe-
dienza ai divini voleri e alla divina vocazione. Ci sembra che siano da condividere le
osservazioni che muove all'aiitore J. Fums in Gregovianum 46 (1965), p. 658s.

14.10 Page 140

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
in modo da conservarsi per il proprio marito e non esporre se stessa e d altri
ad affetti che potevano minare la stabilità del vincolo matrimoniale di una o
più famiglie
Soprattutto la letteratura catechistica e moralistica per il popolo, sul
tipo del Cristianesimo istruito del Segneri, del Missionario apostolico al pul-
pzto del cappuccino Gaetano da Bergamo o (nel suo piccolo) del Porta teco
cristiano di Don Bosco, ama essere precisa e perentoria: vuole far capire ben
bene ai fedeli che gli affetti leciti sono soltanto secondo tre orbite: dei coniugi
tra di loro, dei genitori verso i figli e dei figli verso i genitori. Altri affetti,
anche tra fratelli e sorelle, dovevano essere molto riguardosi. Anzi i pastori
d'anime si mostravano pii' tranquilli quando tra gli stessi fratelli e sorelle
si operava una certa distanza fisica e affettiva, perché il demonio filosofo
poteva far dimenticare certe distinzioni. Nell'Ottocento questo tipo di lette-
ratura, almeno nell'ambiente di Don Bosco, non sembra che abbia abbandonato
formule e mentalità già espresse nel secolo precedente.
Tra fidanzati la distanza fisica e affettiva era ugualmente da osservare.
come tra fratelli e sorelle. Fatti gli sponsali, erano permessi dai moralisti
popolari, brevi incontri in casa della futura sposa, possibilmente sotto gli
occhi dei genitori; senza baci e con tutto rispetto delle persone. Poi occorreva
accelerare il giorno del matrimonio per impedire che la fiamma accesa diven-
tasse un incendio indomabile ('l7).
Ciò che gli sposi dovevano apprendere sulla vita coniugale era suddiviso
in due parti ben nette. Insegnamenti erano dati da genitori, confessori, diret-
tori spirituali, parroci. Conoscenze più attinenti ai comportamento matrimoniale
secondo le leggi sacrosante di natura dovevano essere date dai genitori nel-
l'imminenza delle nozze ('%). Le raccomandazioni che pastori d'anime e mora-
Ciò che presenta Ph. ARIES,L'enfant et b vie familiale sous L'hcien Regime, Paris
1960, corrisponde alla catechesi italiana (Segneri, Leonardo da P. Mauriro.. .) e in par-
ticolare, piemontese (CECCAL,e veglie dei contadini, Torioo 1806 .. .; Stefano A ~ r s r o ,Istru-
zioni teologiche pratico-morali sulle quattro parti della dottrina cristiana, Torino, G. Cas-
sone e P. Magnaghi 18453, 2 vol.).
('37) DAL PORTICO, Gli amori tra le persone di sesso diverso, cp. 9, 5 6: ed. C,,
p. 711: « Se il contratto degli sponsali dà loro titolo giusto di trattarsi scambievolmente
.con qualche dimostrazione maggiore di amorevolezza e di stima, non però toglie ad essi
. il pericolo di trascorrere in voglie poco oneste. . Molto più poi dovrà vietare [il confessorel
... ad essi i baci »; ALISIO, Istruzioni teologiche, pt. 4, istr. 24, ed. c., vol. 2, p. 534:
. «Egli è un cattivo costume, fare gli sponsali alcuni mesi, ed anni prima di passare alle
nozze.. Appunto perché voi avete già contratti gli sponsali con quella figlia, non la dovete
più visitare, salvo in caso di bisogno, ed in presenza dei genitori, per non esporvi al pericolo di
essere tentato più fortemente dal nemico infernale e di peccare più gtavemente D.
(1%) Degna di rilievo ci sembra un'opera di Robert-Eran~oisDAON (1679-1749) tra-
dotta in italiano e pubblicata anonima da uno dei librai amici di DB: Guida pratica delle
anime nella strada della salute per seruir di supplemento alla Guida pratica de' confessori
secondo le istruzioni di S. Carlo Borromeo, e la dottrina di S. Francesco di Sales, Torino,
G . B. Paravia 1831, spec. cp. 17 e 18. Dei giovani che non hanno ancora fatta l'elezione dello
stato; di quelli che vogliono abbracciare lo stato del matrimonio: «Quando quelli, che
debbono accasarsi sono figliuoli di famiglia, si può parlare ai loro genitori, e dar loro
Listi davano sui cattivi compagni, miravano anche a proteggere quel tipo di
conoscenze che erano d i competenza dei genitori o di chi li suppliva nei diritti
e doveri più stretti verso i figlioli.
Era un costume ideale. Altra documentazione però potrebbe testimo-
niare come la vita mai ebbe un corso ideale. A Torino i registri del Duomo
possono indicare, ad esempio, la quantità di cosiddetti « figli dell'ospedale »
(di cui i registri di battesimo non segnano nemmeno la maternità) ("g). Docu-
menti sulle tradizioni popolari possono mostrare in quale misura giovanotti
e ragazze aderivano o no a prescrizioni catechistiche circa i balli e altri trat-
tenimenti comuni in occasione di feste patronali, carnevale, serate invernali.
Le apostrofi dei predicatori sugli amoreggiamenti non dovevano essere del
tutto cogniiione libresca e pura retorica, ma anche rimprovero a un costume
che si disapprovava.
Un puntello forte al costume ideale era il matrimonio in giovane età.
Ma spostato questo costume, i problemi degli amori adolescenziali e giovanili
ebbero un altro motivo e un altro segnale d'allarme per imporsi a un riesame
di principi e metodi usati nella educazione sessuale.
Non bisogna dimenticare, infine, il movimento femminista, che negli
ultimi decenni dell'Ottocento cominciava a manifestarsi in Italia. Venivano
sviluppati i motivi di dignità umana, posti in rilievo da fatti politici, da aspi-
razioni a libertà e dignità umana. Per la donna cominciava ad essere più viva
l'istanza di maggiore dignità nella ,cultura, nel lavoro, nell'attività civile, nella
casa. I1 movimento femminista prendeva le mosse specialmente da istanze poli-
tico-culturali-sociali; ma ovviamente, si facevano sentire di riflesso. le nuove
movenze dei valori affettivi e si tentavano, conseguentemente, nuovi metodi
educativi rispondenti alle nuove richieste ed esigenze (l4').
Già alla fine del secolo cominciava a prestarsi maggiore attenzione agli
eventuali vantaggi delle scuole miste e di scuole che fossero anche strumento
di iniziazione ai misteri della vita sessuale. Si era ormai lontani dai tempi
in cui si premiava il Giannetto del Parravicini, che offriva ai bambini delle
scuole elementari istruzioni sui cinque sensi, sulle mani, sulla faccia, sui piedi,
sulle facoltà spirituali dell'uomo. Si voleva un ripensamento dei testi anche
d'insegnamento elementare (l4').
Ma si è ormai al di della problematica, che stando ai documenti che
sli avvisi necessari pel bene di essi » (p. 67). Secondo fanti valdesi sembrerebbe che
parroci (per lo meno di quelk zone alpestri) costumavano vigilare sugli sposi novelli. Se
il giorno dopo il matrimonio notavano disagio nelle sposine, si adoperavano per fare owiare
. nossihil~ i -i.n~ c~~ onvenienti. Cf. Tam-ues MARANDATa. bleau du Piémont sozis le regime des
rois.. ., Turin, Impr. Guaita [18031, cp. 8-13.
(1") Questa è stata la nostra impressione esaminando il Liber bnptizatorum.
ilai F. PIERONIBORTOLOTTAIl.le ori-aini del movimento femminile 3n Italia (1848-
1882); Torino 1963.
(14') M. CARNELL,B coeducazione e l'evoluzione storica della pedagogia femminile,
Milano 1937. Come saggio dell'indirizzo pedagogico favorevole all'iniziazione nelle scuole:
Marino VENTURI, L'insegnamento sessuale. Sua pratica attuazione nelle scuole, Firenze 1913.

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
conosciamo, sembra doverci attribuire a Don Bosco. Egli negli ultimi lustri
della sua vita ha specialmente sott'occhio i Salesiani da formare e, dietro loro,
gli adolescenti degli internati, che costituiscono la maggioranza delle categorie
oggetto di educazione da parte dei Salesiani.
Nella pastorale di Don Bosco era certamente fondamentale e ineli-
minabile l'elemento religioso. Esso si esprimeva come ribrezzo per il peccato
e timore dei castighi divini nella vita terrena e nella eterna, come percezione
della santità e sacralità della vita. Ma doveva avere larghissimo posto - si può
pensarlo - anche quella dolcezza e amorevolnza ch'egli collegava volentieri
alla mobilità giovanile. Non sappiamo molto sulla sua prassi in confessionale
con adolescenti' peccatori ('"1. Possiamo immaginare una grande capacità di
scoprire e determinare i peccati, con grande sorpresa, talora, degli stessi peni-
tenti. Possiamo anche immaginare delicatezza di linguaggio: parole adatte,
a seconda delle possibilità concrete dei giovani; parole di sprone e di incorag-
giamento. Come direttore della casa egli dichiara e usa intransigenza quando i
peccati diventano reati. Quelli che egli non tollera sono il furto, la bestemmia
e l'immoralità scandalosa, cioè con ripercussione esterna sull'ambiente (lh3).
Anch'egli ha grande timore che il vizio, se non arginato, possa dilagare
facilmente e fatalmente. Non vuole lupi rapaci in veste di agnello. Quando
li scopre, li elimina con fermezza. La purità dei giovani e dei non giovani
gli sta sommamente a cuore. Le preghiere più fervide che suggerisce di fare
nel momento che la coscienza religiosa sente come il più importante, la con-
sacrazione nel sacrificio della messa, le preghiere più fervide vuole che siano
per la santa purità, la virtù che più di tutte ieride cari al figliolo di Dio, la
virtù per la quale ha i suoi più cari simboli e protettori, fin dalla prima atti-
vità educativa, la Vergine Immacolata (madre potente), S. Luigi Gonzaga
(ideale e protettore), l'Angelo Custode (patrono e stimolo a ricordo di Dio
presente) (l").
(1") N.CAMILLERIC, onfessori educatori. La confessione, il confessore, il penitente,
Catania 1953. Sulla base delle MB raccoglie buoni elementi da cui trapelano gli orientamenti
di DB confessore.
(1") Cf. !e testimonianze di Cagiiero, Rua, h f o s s i , Leonardo Murialdo raccolte in
MB 4, p. 564-570 e quella di Don Berto in Positio super introductione cnusac [ J . Bosco],
Romae 1907, p. 564.
(l") Cf. fatti e insegnamenti posti in rilievo nelt'lndice MB, p. 364 s: voce Puritd.
CAPITOLO XII
PREGHIERA SACRAMENTI E OSSERVANZE RELIGIOSE
1. Devozioni e osservanze nelle campagne torinesi e dell'alto astigiano
nella prima metà dell'Ottocento (prolegomeni)
Tenendo conto degli sviluppi assunti dall'attività di Don Bosco, tenendo
conto delle zone dalle p a l i , stando alle registrazioni di Valdocco, egli pre-
levò con preferenza giovani alunni e salesiani, l'indagine sulla pratica religiosa,
intesa come vita di preghiera, frequenza dei sacramenti e cura di osservanze
religiose, deve avere come oggetto specialmente la regione di Torino e il
Monferrato astigiano e casalese fino alle colline del Po, la bassa ed alta Langa,
senza tuttavia dimenticare l'arco che da Mondovì si estende verso Cuneo,
Saluzzo, Pinerolo, Susa, Lanzo, Ivrea, Biella, Vercelli. Questa' regione,
che per sé comprende raggruppamenti zonali tra loro profondamente distinti
sotto l'aspetto di sustrato socio-economico e di costumi anche religiosi, fornisce
gli elementi ambientali per un'interpretazione della mentalità di Don Bosco
e per sviluppi assunti dalla pratica religiosa a Valdocco, almeno fino ai fatti
del '48 e anche fino a tutto il processo di unificazione dell'Italia e irradiazione
mondiale delle opere salesiane. Ma se si vogliono cogliere gli elementi pri-
mordiali dell'amhiente, assimilati nell'infanzia, a Chieri o al Convitto eccle-
siastico torinese, l'attenzione dev'essere rivolta con preferenza alle campagne
torinesi e dell'alto astigiano.
Bisogna confessare, anzitutto, che non è facile ripresentare una vita, un
ambiente, un costume che non ha mai fatto oggetto di storiografia, anche se
risulta sede di fattori che hanno avuto indubbiamente un'incidenza come tessuto
costitutivo e come sorgente di personalità, quali quelle del Cafasso, di Don
Bosco, di mons. Bertagna, di Maria Enrichetta Dominici, del card. Massaja,
emerse sulla massa e divenute centro focale e propulsore di quella stessa vita
religiosa che li aveva alimentati ('1.
(l) Un elenco di santi e servi di Dio, con indicazioni bibliografiche in E. VALENTINI,
La rantitd in Piensonte nell'Ottocento e nel primo Novecento in Riu. d i pedagogia e scienze
religiose 4 (1966), p. 297-373. Per altri dati cf. il nostro vol. p. 119.
275;

15.2 Page 142

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Nemmeno è facile indicarne i rapporti più vitali con l'ambiente cittadino
(Chieri, Torino, Asti), che a sua volta produceva figure di rispettabile spiri-
tualità, il cui influsso certamente non mancò di rifondersi anche sulle zone
di campagna (2).
Testimonianze come quella su Brigida Savio, sarta in paesi di campa-
gna e moglie di un fabbro, che nel giro di otto-dieci anni mutò quattro volte
residenza, ma sempre nel raggio di una ventina di chilometri, hanno tutta
l'aria di essere il relitto di quella che poteva essere la documentazione circa
un costume abbastanza diffuso e che, in quella regione non è del tutto estinto
mamma Brigida: passando davanti alla chiesa campestre di Morialdo, invitava
il suo piccolo Domenico, sui quattro o cinque anni, a segnarsi e a dire una
preghiera. Domenico in famiglia imparò a dire le preghiere del mattino e
della sera, e quelle prima dei pasti. Apprese a servire messa e aiutava il padre
a sostenere il coro, quando nella chiesetta di Morialdo si impartiva la benedi-
zione eucaristica (9.
Scoprirsi e segnarsi davanti a una chiesa o davanti a una sacra icone,
oltre ad essere una raccomandazione di parroci e catechisti ai fedeli, doveva
essere un costume abbastanza diffuso e radicato. Ma chi andava in città, po.
teva notare ch'esso non era da tutti osservato. Don Francesia ricorda come,
attorno al '54-57, i ragazzi di Don Bosco (quasi tutti di borghi o di campa-
gna) si distinguevano perché, passando davanti a un'icone della Vergine che
stava tra l'oratorio e le scuole di Picco e Bonzanino, si segnavano e si sco-
privano il capo: dietro il perseverare dell'osservanza s'intravede l'influsso
morale di Don Bosco (4).
Presso la famiglia di Giovannino Bosco, di Luigi Comollo, di Domenico
Savio, di Giovanni Massaglia c'era l'uso di recitare in comune le preghiere del
mattino e della sera; alla cascina Moglia si recitava insieme il rosario alla
Vergine. Ma non è possibile stabilire quanto fosse diffuso questo costume.
Nemmeno è possibile determinare quanto fosse comune (e resistesse nell'Otto-
cento) l'uso di interrompere i lavori nei campi o nella bottega, quando i rin-
Basta pensare, a questo proposito, al Convitto ecclesiastico di Torino, alla
stessa Universita e ai Seminari, i cui professori (Peyron, Vailauri, Rayneri, Faà di Bruno,
Guala, Cafasso ebbero un innegabile influsso su ecclesiastici che furono pastori d'anime in
provincia o predicatori di erandi e piccoli pulpiti (Giordano, Nasi, Guglielmo Alasia, Carlo
Perreri . . .).
Sono fatti che affiorano dalla Vita di Domenico Savio scritta da Don Bosco, dalle
deposizioni ai processi di beatificazione e canonizzazione, confermate dagli atti parrocchiali
di nascita e morte di Domenico Savio, degli altri nove suoi fratelli e dei suoi genitori. L'al-
bero genealogico dei Savio è stato ricostruito da Don M. Molineris: ci. S. Giovanni Bosco,
Vita d i San Domenico Savio allievo dell'oratorio d i San Francesco d i Saler, Torino
1963,. .P. 138 S.
(') G. B. FRANCESDIA. G, iovanni Bonetti sac. saleriano. Cenni biografici, S. Benigno
Canavese 1894, p. 25: « E r a per noi consolante il sentirci a dire dietro le spalle: - Quei
là sono i figli di Don Bosco! Essi soli si cavano il berretto davanti a Maria SS. u (quel
soli è forse soltanto friitto della rievocazione di Don Francesia?).
tocchi delle campane annunziavano tre volte al giorno l'Angelus (S). Anche su
altri fatti, allo stato attuale delle conoscenze, non è lecito azzardare valutazioni
complessive circa osservanze religiose, come la recita quotidiana degli esercizi
del buon cristiano (preghiere del mattino e della sera). Questi fatti sfuggivano
al controllo degli stessi pastori, concentrati a sorvegliare l'osservanza del
precetto festivo, di quello pasquale, dell'istruzione ai fanciulli e della qua-
resima.
Da quel che risulta dai documenti si ha l'impressione che nella regione
torinese e monferrina l'elemento religioso era davvero dominante: impregnava
veramente la vita individuale e collettiva ('1). Ma in quale misura l'osservanza
religiosa rispondeva a un'esigenza interiore o era soltanto adesione non ri-
flessa ai costumi vigenti? Fino a che punto era frutto di condizionamenti
esterni o anche esigenza interiore? Non si rischia forse di trasporre problemi
sopravvenuti successivamente, quando si vuole saggiare la sincerità e la soli-
dità della fede che regolava e alimentava il costume?
2. Ossemanze religiose e fatti di aristocrazia spirituale tra il popolo
B certo, anzitutto, che esistevailo anche nel ceto popolare individui o
g-rup.p-i, nella cui vita la religiosità appare come elemento costimtivo e irri-
nunziabile.
Tra i tanti, un documento indicativo è l'autobiografia di suor Maria
Enrichetta Dominici (al secolo: Caterina Dominici), nata nel 1829, vissuta
nella sua infanzia e adolescenza a Carmagnola, presso lo zio materno, parroco
della frazione Borgo Salsasio. A nove anni e mezzo, il 26 marzo 1839 fu am-
messa alla prima comunione ('1. Entrò poi nell'rstituto delle Suore di S. Anna
il 19 novembre 1850. In quel frattempo a Carmagnola ebbe come confessore
(5) Sono usanae raccomandate dalle istruzioni catechistiche o da libriccini ascetici po-
polari. Ta questi sono da ricordare i Ricordi di S. Carlo Borromeo, editi secondo le più
disparate redazioni in Piemonte e altrove. Ad esempio: La famiglia cristiana ovvero am-
maestsamenti e regolc del vjver crUtlnno edita alcune volte in Piemonte (ci. sopra, cp. 11,
nota 77). Si ebbero edizioni salesiane: Ricordi di S. Car!o Borromeo arciv. di Milano per
ogni stato di perrone, S. Pier d'Arena 1 8 Z 3 , dove l'avviso relativo all'Angdus è alla p. 16 S.
( 6 ) Ci riferiamo specialmente alle relazioni sullo Statur ecclesiae compilato, in genere,
in occasione di visite pastorali, conservato nell'Archivio delle rispettive curie diocesane e
talora, in copia o in minuta, presso l'archivio delle singole parrocchie.
(7) Vigilia eroica. . . Pagine autobiografiche di suor M. Enrichetta Dominici delle
Suore di S. Anna e della Provvidenza. Introduzione e note di S. P. Morazzetti, Roma 1951,
p. 75. La suora ricorda un particolare che ci sembra indicativo della eductiiione data ai
fanciulli: «Temevo di non apportarvi l'apparecchio conveniente. Perciò non volli io accet-
tare 1- due comunioni che mi permise di fare quel buon sacerdote che mi faceva la dot-
trina, ma dissi francamente di non volerne fare che una sola in quell'anno, senza però ma-
nifestare quale ne fosse il motivo. Cosa che raccontata da quel buon servo di Dio all'ot-
timo mio zio, allora parroco, lo fece ridere di cuore, stante che il mio modo di operare gli
parve in contraddizione alla brama ardente che io prima mostravo di accostarmi alla santa
mensa » (o. c., p. 75 s).

15.3 Page 143

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Don Boscoenedlilarestttooriraedeslplairrietluigaiolesitàu ncapttoaldicrae. VfouliIpI.pSinteolla, che, sugli undici dodici anni la portò
alla confessione e comunione settimanale; quindi, dalla comunione ebdomadaria
a quella frequente infrasettimanale e anche alla quotidiana. « Coll'aiuto del
Signore - ricorda suor Enrichetta - mi sentivo sempre più animata alla
pratica della mortificazione interna ed esterna in ispecial modo nei giorni
innanzi alla comunione » P). A quanto pare, perb, le esortazioni alla comunione
frequente o quotidiana erano fatte dal coniessore con una certa alternanza e
- non sempre erano in fase con il fervore provato dalla Bomiuici. « Q u a n d o
mi trovavo alquanto fredda - ella ricorda e poco disposta a fare la santa
comunione, egli voleva che la facessi più spesso e fin tutti i giorni, q a n d o poi
io ardevo di desiderio di accostarmici, allora me n e diminuiva il numero od
almeno certo non l'accresceva » f9\\
\\,
Notevole è quanto ella rileva circa la meditazione quotidiana che doveva
fare, secondo il coi~sigliodel confessore, sulla Passione di Gesù Cristo almeno
per mezz'ora,
<( Io, senza chiedergli istruzioni e senza che alcuno mi avesse mai insegnato a me-
ditare, gli dicevo di sì, e credevo di tenere la mia parola. A me pareva di meditare
continuamente e non avevo allora bisogno di molta fatica per tenermi raccolta ed unita
con Dio anche in mezzo aiie più distraenti occupazioni. Un acceso fervore mi accompa.
gnava ovunque, e dovendo talvolta uscire di casa, andavo per via senza badare ad
alcuna cosa, e camminavo mi pare in gran fretta qnasi fossi portata da altri, tanto il
mio corpo prestavasi volentieri alle proprie funzioni. Più tardi non adoperavo nem-
meno il libro a raccogliermi, e benché avessi cura di riempiermene le tasche nell'ciscire
di casa per portarmi alla chiesa, ove mi fermavo alcune volte, massime nei giorni fe-
stivi, anche quattro o cinque ore di seguito, pure accadeva sovente di non aprirne
neppur uno. I1 tempo davanti a Gesù Sacramentato mi passava come un lampo, ed
avrei voluto starvi sempre, se altri doveri non mi avessero chiamata altrove D (10).
Vien fatto, a questo punto, di chiedersi, se il caso di Enrichetta Dominici
non possa prendersi come paradigma di quella che pot6 essere la vita religiosa
di molte altre giovani, come quelle del gruppo di Mornese o appartenenti a nu-
clei di Figlie di Maria, gravitanti attorno a un centro religioso ben guidato, in
parrocchie cittadine o di borgate collinari e di pianura. Per questi nuclei la
vita casalinga, la quiete in chiesa davanti al tabernacolo e le adunanze d i gruppo
potevano essere fucine dove si alimentava la fiamma del fervore religioso: u n
fervore, i cui punti focali erano, con buone probabilità, Dio da adorare e ringra-
Vigilia eroica, p. 93 S. Già di propria iniziativa, sotto la spinta deli'autocritica,
del timore di castighi divini e deli'amore, si era imposta la messa quotidiana (o. C,, p. 81).
La sua
fervore
attenzione stava
- ella confida
tra
-
due poli: rivolta a Dio e
talvolta era momentaneo,
rivolta
tal'altra
al proprio intimo fervore. « I l
durava giorni interi ed allora
dimenticavo i miei consueti divertimenti, e tutta mi abbandonavo a quel po, di dolce che
nelle cose di Dio mi faceva esperimentare il Signore. Mi trattenevo in tal tempo più in
.~. chiesa dopo la santa messa. . . » (o. C,, p. 82).
(9) Vigilia eroica,. n. I l6
('O) vigilia eroica, p. 116.
ziare, Gesù da amare, la propria anima da tornire assiduamente e da pro-
teggere dall'intiepidimento, la carità da usare con chiunque in casa e fuori.
Vien fatto di chiedersi se questi nuclei di aristocrazia spirituale non siano da
considerare, a loro volta, come la fucina della pratica cristiana in famiglie
che continuavano gli antichi costumi, conservavano geloso il senso di Dio, la
venerazione per i divini voleri, l'orrore al peccato e l'osservanza fedele dei
precetti divini ed ecclesiastici ('l).
Ed inoltre, vien fatto di chiedersi se non convenga guardare a questi
nuclei, per ritrovarvi uno degli elementi che produssero l'esplosione del mo-
vimento cattolico nella seconda metà del secolo. Sono nuclei nei quali, in verità,
non è facile misurare tutto il potere d'irradiamento e il ruolo attivizzatore
nella massa in cui i fattori religiosi stanno sottesi, diremmo quasi solo come
elementi folldoristici più o meno radicati, più o meno in grado di resistere
dove il complesso dei costumi tendeva ad evolversi.
3. P r a t i c a religiosa g e n u i n a tra folklore e superstizione
NeUa prima metà dell'Ottocento i moniti dei pastori d i zone rurali non
pare vadano al di di quelli
tutto sul giorno festivo, nel
mossi
quale,
n.oe-vl vsieacmoleontper,ecleadepnrtaet.icEa ssrei livgeirotsoanoavseovparati-l
suo massimo momento comunitario ("f.
Al mattino era celebrata la messa, alle prime luci del giorno o sempre
abbastanza per tempo, nelle chiese parrocchiali e i n quelle campestri. Le
messe mattutine raccoglievano specialmente le donne, che poi accudivano
in casa ai lavori indispensabili. Ma volentieri queste ritornavano ;Ha messa
grande, celebrata dal parroco e che radunava anche la comunità degli uomini.
I1 silenzio era rotto dail'omelia e talora da qualche canto popolare. Non doveva
essere raro l'uso di celebrare la messa e poi far seguire la spiegazione predicata
(ii) Oltre alle biografie di santi e servi di Dio, buone piste di lavoro potrebbero es-
sere centinaia di necrologie di sacerdoti, suore, laici (Suore di S. Giuseppe, Luigine, Suore
di S. Anna, Figlie di Maria Ausiliatrice . . . ), pubblicate o no, che non di rado dànno d!
riflesso informazioni sui congiunti. Per non parlare poi di brevi profili di giovani alunni
e alunne (come i Souvenirr du Sccré-Coeur de Turin, Turin, hilarietti 1845) dove, oltre a
probabili luoghi comuni dell'agiografia, si trovano lettere e fatti di un certo fondamento
(12) La descrizione generica che diamo, comporta ovviamente anche usanze part!
colari discordanti. In linea di massima essa risulta, o l t ~ eche dalle ricordate documenta~ioni
biografiche, dai vari Status ecclesiae. Non si tratta di usanze locali. Usi analo&i o iden-
tici a quelli che abbiamo ricordati sono evocati per la regione di Modena da G. ORLANDI,
Le campagne modenesi fra Rivoluzione e Restaurazione. . . , p. 114.144, che è suUe osser-
vanze e devozioni del popolo, e inoltre, da Ernest SEVRINL,a pratique des sacrements et des
observances nu diochse de Chartres sous 1'épiscoprit de rngr Clausel de Monrals (18244852),
in Rev d'hist. de l'Eglise de France 25 (1939), p. 316.344; ID., Les offices religieux au diochse
de Chartres sors mgr Clausel de Montals (1824-1852) in Rev. d'hist. de I'Eglise de Frani,
28 (1942), p. 196-216; qualche cenno anche in P.
mes soci~uxsotis la monarchie de Juillet chez mgr
Dd'ARs~trOoLs E..R.S,A,cPtiaornis
pastorale
1954, p.
et
83
proble-
s; 89 S.
Su credenze, superstizioni e costumi del Piemonte e della Sardegna nel Settecento cf.
Nicomede BIANO-~SI,toria della monurchia piemontese, 1, Roma 1877, p. 317-434.

15.4 Page 144

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
del Vangelo domenicale (a Valdocco vivente Don Bosco fu in vigore questa
prassi). Nelle maggiori solenniti il popolo, o almeno i cantori, eseguivano le
parti in canto della messa (quella De Angelis). Gli uomini solitamente se ne
stavano in fondo alla chiesa. Si spingevano più avanti, dove esistevano navate
laterali, seminascosti dalle colonne. Non mancavano quelli che s'intrattenevano
fuori della poria con gli amici fino al termine della predica. Entravano al
momento buono per soddisfare al precetto. Altri durante il sermone si appog-
giavano coi gomiti agli altari laterali, vi deponevano sopra il cappello, se ne
stavano più o meno assorti o sonnacchiosi. Altri addirittura sedevano nei
confessionali vuoti. Giovanotti volentieri ammiccavano tra loro, parlottavano,
lanciavano occhiàte significative a ragazze e ad amici. Non mancavano donne
che scambiavano saluti taciti o sussurrati, che chiedevano qualche discreta
informazione, ponevano a tacere bambini gingillandoli con la corona del ro-
sario o dando a rosicchiare pane o frutta. Al centro di questo alone di adem-
pimenti indevoti o dalla devozione fragile, stava la massa più raccolta, nella
quale si nascondevano fiamme di genuina pietà (l3)).
I1 pomeriggio cominciava con la riunione delle compagnie o confra-
ternite (uomini e donne) in qualche angolo della chiesa o in sagrestia. Abba-
stanza diffuse erano quelle del SS. Sacramento, del Rosario, degli Agonizzanti,
dei Disciplinati ("): croce e sostegno del clero locale nell'organizzare feste
religiose tradizionali, provvedere la cera, l'olio della lampada, il pane da
distribuire ai poveri in particolari ricorrenze (il pane della « carità »), cele-
brare suffragi e curare il solenne accompagnamento del Viatico. Periodica-
mente, se non proprio ehdomadariamente, le compagnie si riunivano per
controlli finanziari, distribuzione di incarichi, provvidenze da prendere o
imporre al parroco e alle autorità comunali (l5)+
Seguiva, nel pomeriggio festivo, la dottrina, spiegata da sacerdoti o
donne, in sagrestia o in chiesa, a ragazzi e ragazze, già ammessi, o non ancora
ammessi alla comunione e alla cresima. Dopo la dottrina in chiesa si riuniva
nuovamente la comunità. Cera solitamente la recita in comune del rosario.
Dopo il rosario, si cantavano i vespri: se non proprio da uomini e donne,
almeno dal sacerdote celebrante, da altri sacerdoti e chierici (se v'erano) e
da qualche laico più colto. I ragazzi spesso nelle prime file o anche in sagre-
stia o in presbitero, erano sotto il controllo ecclesiastico. In fondo, i medesimi
del mattino, uomini e giovanotti, in chiesa o fuori, stavano in attesa che dopo
i vespri finisse anche l'istruzione del parroco (predica morale o catechismo
(l3) Sono tutti particolari che pone in evidenza CECCA, Le veglie de' contadini cristia-
n i . . ., Torino 1806, p. 116-120 a proposito del rispetto della Chiesa. Parailclamente 6.
ORLANDIL, e campagne modenesi, p. 124 s.
("1 G. MARTINI, Storia deile confraternite italiane con speciale riguardo al Piemonte. . .,
Torino 1935.
(ls) È raro che archivi parrocchiali o incartamenti di parrocchie presso curie dioce-
sane non abbiano qualche pratica relativa a liti o screzi con confraternite, oltre che con
autorità comunali e con privati circa questioni economiche, di proprietà o di costumanze.
per gli adulti), per stare in rispettoso raccoglimento, almeno quando campane
e campanelli annunziavano la benedizione con il Santissimo.
I pastori d'anime in Piemonte nella prima metà dell'Ottocento manife-
stano le medesime angustie che Ludovico Antonio Muratori divulgava nella
sua opera Della regolata divozion de' cristiani (l6). Anch'essi deplorano che
il giorno festivo di contadini e artigiani tende a diventare giorno di tedio, se
non di malcostume. Contadini e artigiani, stanchi del lavoro settimanale, occu.
pano facilmente la giornata a fare - secondo i parroci - nulla di buono.
Dopo avere partecipato con insofferenza o noncuranza alle pratiche di chiesa.
andavano a sedere in osterie e cantine pubbliche, per trascorrere il resto del
tempo con amici chiacchierando, giocando e bevendo. Chi non andava alla
bettola e chi non otteneva dal parroco il permesso di fare lavori urgenti in
campagna, nella bella stagione se ne stava sulla porta a oziare. Giovanotti e
ragazze faceziavano insieme o s'intrattenevano in interminabili serate di ballo
e di allegria. I ragazzi continuavano il loro lavoro settimanale, cioè andavano
a scorazzare per le campagne in cerca di nidi o di frutta (l7).
Le persone «civili e oneste », scriveva il Muratori, si crucciavano, non
sapendo che cosa fare nel giorno di festa e aspettando l'ora per ricominciare
il lavoro (l8 ).
Parroci, missionari, confessori e catechisti ai moniti contro la dissacra-
zione del giorno festivo facilmente univano rimproveri sulla ignoranza cronica
di quegli uomini che non entravano in chiesa e rinunziavano cosi a istruirsi
nella santa parola di Dio o che se ne stavano annoiati nel luogo santo, senza
nessunissimo desiderio di apprendere. Su costoro parroci, missionari, cate-
chisti e confessori facevano incombere la minaccia di castighi divini nella
vita presente e nella futura (l").
Oltre ai costumi ebdomadari ve n'erano altri stagionali o legati a parti-
colari circostanze.
(16) [MURATORI], Della regolata divorion de' cristiani. .., cp. 21, Delle feste e
della divozione dovuta aile medesime, ed. Trento [ = Napoli] 1748, p. 256-280.
(17) CECCAL, e veglie de' contadini cristiani, ed. C,, p. 151.158 sopra il terzo coman-
damento. Sulia stessa mareria cf. aridir Francesco BKRNAIIDIsIt,mrioni morali sopra le
quattro parti della dottrina cristiana. . . , 3, Torino [1796], p. 385-398; Stefano ALisro,
Istmzioni teologiche pratico-morali sulle quattro parti della dottrina cristiana. . ., Torino, 3,
18242, p. 259-284; ERASMODA VALENZAO,.F.M., Il crirtiano istruito sopra i dieci coman-
. damenti di Dio. Dialoghi. . ., Carmagnola 1833, p. 87-107; Michele PIANO, IsI~tlliOni
dogmatiche parrocchiali . . , 3, Milano 18566, p. 97-116 (il Piano fu vicario generale deUa
diocesi di Alba attorno al 1830 e riformatore delle Regie Scuole in quella città).
('8) [MURATORI], Della regolata divozion de' cristiani, ed. c., p. 267.
(19) I n tal senso si esprimevano già i modelli di fine Seicento, ancora autorevoli nel-
lOttoccnto, come Paolo Segneri, Bossuet, Bourd~loue.Ma c'era chi protestava e invitava
i parioci a puriticare la mente del popolo dalla raffigurazione di Dio « armato di hilmml,
di tuoni, sempre in atto di scatenare i'onniposscnte vendetta. F. non "'ha dunque un amore
più degno del cuore umano, un amor figliale che ci faccia temere di offender Dio, come
un figiio teme di offendere un buon padre? ». Cf. ORSIEREISl, uero curato.. . , Torino 1852,
p. 38, che vorrebbe seguiti piuttosto Francesco di Sales e Fénelon (p. 37 e 42).

15.5 Page 145

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Era costume assicurarsi suffragi dopo morte. I pastori d'anime ammonivano
i contadini di non caricare gli eredi con impegni superiori alle loro possi-
bilità. Ma anche raccomandavano pietà e gratitudine: con i'elemosina e la
celebrazioni di messe suffragassero coloro da cui avevano ereditato i beni P).
C'era l'usanza del presepe a Natale, o, per lo meno, di qualche lume
da accendere davanti a una statua o a un quadro rappresentante la Natività,
mentre in chiesa si celebrava la novena. In giugno, per S Giovanni Battista,
si accendevano fuochi sulle colline. Il Sabato santo ci si bagnava gli occhi
appena le campane annunciavano la Risurrezione. Nel Triduo sacro, dove
era possibile, si cantavano gli Uflici delle tenebre. Dappertutto il Giovedi
santo nelle parr~cchiesi allestiva il Sepolcro (").
S'invocavano S. Rocco e S. Cristoforo, quando s'intraprendevano viaggi;
S. Isidoro contadino per la buona riuscita delle semine; S. Lucia per la buona
conservazione della vista. Quando tuoni scuotevano le case c'era l'usanza di
accendere un lume o una candela e riporlo in un angolo remoto della stanza
fino al cessato pericolo (=).
Non era riprovata l'usanza di badare alla luna per certi lavori campestri,
come il piantare, tagliare alberi, travasare vino. Non si rimproveravano le con-
tadine, se intraprendevano il bucato (avvenimento periodico fatto da più fa-
miglie insieme), quando c'era luna piena o luna calante. Non si rimproveravano
nemmeno se seminavano ortaggi o mettevano alla cova le chiocce badando alla
luna; oppure se conservavano per l'inverno le uova prodotte sotto la luna piena
di aDsto (=).
I1 rimprovero cadeva invece su ciò che appariva patente superstizione,
come i1 credere che, per estinguere all'istante un incendio, bisognava gettarvi
dentro un uovo di gallina fatto il Giovedì santo; o il celebrare segrete pratiche
la sera dell'Epifania per apprendere se una ragazza si sarebbe sposata nel-
l'anno in corso e se avrebbe trovato fortuna(24). Era riprovevole supersti-
zione il credere che portando indosso il prologo del vangelo di S. Giovanni
scritto su carta vergine infallantemente si sarebbe rimasti illesi dai fulmini,
dalla morte subitanea, dai ladroni e dagli assassini. Era superstizione cre-
dere che facendo ogni giorno certe devozioni a S. Orsola, si sarebbe ve-
duta apparire la martire con le undicimila vergini tre giorni prima di morire (=).
(20) CECCAL,e veglie de' contadini cristiani, ed. c., p. 123 s (sopra la santa messa).
(2') Molte di queste tradKioni sono ricordate da G. POLAJZILLETTI-VILLAFALLETTO,
ci. sopra cp. 12, nota 99. Quanto a usanze ndla settimana santa, cf. STELLA, Il triduo
ri~cronella pietà popolare italiana del Sette e Ottocento in Riuista liturgica 55 (1968),
i>. 68-83
("2) Queste usanze, compresa quella del lume durante il temporale, non sono ancora
del tutto estinte nel hilonferrato.
Cf. CECCA, LP veglie de' contadini cristiani, ed. c., p. 137 (sopra la superstizione).
(a)CECCAL,e veglie de' contadini cristiani, ed. c., p. 135; PIANO, Ishuzioni dogme
tiche parrocchiali, ed. c., 3, p. 65 (superstizione).
(25) CECCA, Le veglie de' contadini cristiani, ed. c., p. 136 s dove sono riportati altri
casi di superstizione o vana osservanza.
Era vana osservanza il tornare indietro e rifare alcuni passi, se si inciampava
in qualche sasso, per scongiurare il pericolo d'incorrere quel giorno in
qualche grave caduta. Era vana osservanza lo stare attenti a non coprire ii
fuoco quand'era presente una ragazza futura sposa, per timore che si sa-
rebbe smorzato l'amore e la ragazza sarebbe stata senza marito per l'intero
anno (l6). Era superstizioso badare al canto della civetta e all'abhaiare dei
cani, quasi che preannunciassero l'imminente morte di qualcuno (n).
La vita religiosa delle campagne fino a metà Ottocento pare abbia preoc-
cupato per questa sua complessa anima di fede semplice e di credulità, di
devozione e trascuraggine, rispetto timoroso per il divino e l'ultraterreno, mi-
sto ai piaceri per la bottiglia, per il ballo, per il gioco, per l'amoreggia-
mento. Sarebbe errato sostenere che tutto si riduca a costume facilmente
sradicabile e sostituibile. Certo è che molti fatti in astratto non catalogabili
come religiosi, costituivano una sola massa con fatti religiosi autentici. Pote-
vano essere come una fascia protettiva del genuino costume religioso. Posti
però in crisi offrivano elementi per scuotere, trasformare e dissolvere anche
le strutture portanti della religiosità.
4. Metodi di pratica religiosa proposti ai fedeli
Nel complesso di questi costumi s'inserisce pure una serie di usanze mi-
nute, individuali e collettive, inculcate da operette ascetiche e devozionali.
Si tratta di pratiche da fare ogui anno, ogui mese, ogni settimana e ogni
giorno, suggerite in regolamenti di vita per vescovi e sacerdoti, artigiani e
contadini, monache e dame di mondo, ragazzi e ragazze, studenti e dome-
stiche.
In Piemonte circolavano norme d i vita dovute a S. Carlo Borromeo e
a S. Francesco di Sales, a S. Leonardo da Porto Maurizio e a S. Alfonso
de' Liguori, al B. Sebastiano Valfrei e ai gesuiti Croiset e Nepveu, al barnabita
Quadrupani e agli oblati Burzio e Isnardi ("). Questi regolamenti di vita
1,261 C,EccA~,. Le veg"lie de' contadini cristiani, ed. C,, p. 135; ALISIO, Istruzioni teo-
logiche-morali, ed. c., 3, p. 201.
(27) ALISI*, Istruzioni teologiche-morali, ed. C,, 3, p. 201; Istruzioni semplici che
possono servire di metodo di uita cristiana. . . , Torino 1846, p. 10. Cf. anche la rubrica
«Errori e pregiudizi popolari », in Letture di famiglia, sul canto della civetta: a. 2 (18431,
p. 165 S.
(28) SU S. Carlo cf. sopra cp. 12, nota 77. La Regola di vita che san Francesco dr
Sales si prescrisse quando studiava le leggi in Padova si trova nelle Opere, 1, Venezia 1735,
p. 598-604; S. Leonardo da Porto Maurizio traccia norme di vita per religiose nel
Mungale sacro, in Opere complete, 1, Venezia 1868, p. 235-353. S. Alfonso ha composto
e pubblicato vari regolamenti di vita: d'un cristiano; per un sacerdote secolare; d'una
religiosa che desidera farsi santa, in Opere ascetiche, 1, Torino, Marietti 1844, p. 853-904;
2, l. c., 1847, p. 856-864; 4, 1. c., 1847, p. 362-374. Di Jean Croiset si veda specialmente
l'opera Orazioni cristiane, ovvero tutti gli esercizi ordinari del cristiano . . ., Venezia
1766. I1 regolamento di vita dei P. Nepveu si trova riportato in La giornata del cristiano
283

15.6 Page 146

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
dal Sei all'Ottocento riproducevano uno schema abbastanza uniforme. Ogni
anno si era esortati a un corso di esercizi spirituali; ogni mese, al ritiro men-
sile, che poteva ridursi a una meditazione sulle massime eterne, alla confes-
sione e comunione ben fatta come fosse l'ultima deUa vita; ogni settimana
si era invitati a santificare il giorno festivo ascoltando una o più messe, par-
tecipando a prediche, istmzioni e processioni, ai vespri, alla benedizione eu-
caristica e a qualsiasi altra funzione religiosa. Ogni giorno si era invitati
ad « ascoltare » la messa, se era possibile: sicuri che il Signore avrebbe bene-
detto negli affari spirituali e temporali. Ogni giorno, inoltre, si era invitati a
fare gli esercizi del buon cristiano mattina e sera, a recitare I'Angelus tre
volte al giorno,,a segnarsi e dire un requiem quando suonavano i rintocchi
deli'agonia, a pregare prima dei pasti, a recitare il rosario di Maria Vergine
da soli o con i congiunti. Tutti i regolamenti di vita invitavano ad acquistare
l'abito delle giaculatorie: dire Sia fatta la volontà d i Dio, oppure: Gesd
Giuseppe e Maria vi dono il cuore e l'anima mia.
Molti raccomandano di fare ogni giorno un po' di lettura spirituale.
Dall'inizio del Settecento si diffonde l'esortazione a recitare (la sera) tre
A u e Maria, dopo i'esercizio del huon cristiano, in on.ote della purità di Ma-
ria e per impetrare il materno aiuto della Santa Vergine.
Per gli studenti, daUe classi elementari fino a quelle universitarie, molte
di queste pratiche erano collettive e obbligatorie nell'ambito della scuola:
poste in pratica almeno dal 1822 al 1847. Ma al di fuori di quesco tempo
e di questa categoria non è possibile stabilire quanto i costumi raccomandati
dai metodi di vita siano stati veramente posti in pratica, forse anche sotto
lo stimolo e il controllo di direttori spirituali e di parroci (29).
C'erano comunque costumi che tendevano ad essere generali. Molti di
questi li troviamo impiantati all'Oratorio. Don Bosco, possiamo già supporlo,
ranti%.cata colla preghiera e colla meditazione. . ., Torino, Marietti 1544, p. 319.326, Del
B. Sebastiano Valfrk esistevano Auuisi agli ecclesiastici e secolari.. ., Bieila 1836, pubbli-
cati anche separatamente e inseriti in opuscoli ascetici e devmionali (cf. ad es. sopra, cp. 11,
nota 771; del P. Carlo Giuseppe Quadrupani (1740-18071 vennero pubblicati in Piemonte
. (dal Marietti, tra i'aitro) i Documenti Pratici e morali per vivere crirtianamente . ., Torino
. 1795. Segnala circa una cinquantina di edizioni G. BOFPITO,Scrittoli barnabiti.. , 3,
Firenze 1934, p. 228-231. Di Stelano Alessio Burzio da ricordare il Memoriale cri-
stiano ossia indirizzo pratico di vita cristiana con un breve erercizio per la S. confrsiione,
comunione e messa tratto dal Mauolin di fiori ai fanciulli ed alle lanciulle, Torino, Marietti,
S. d. Dell'Isnardi, il Breve regolamento di vita da tenersi da una figlia, che esce di educazione
ed entra nel mondo, inserito in Voce angelica.. ., Pineiolo 1835, p. 72-77. Esistevano poi
Retole di vita per un giovanetto e Auwisi alle Fgiie cristiane composti dal ve". Vincenzo
Strambi, passionista, vescovo di Macerata e Tolentino. Degli Avviri curò una edizione anche
DB (Torino, Paravia 1856; cf. AS 112 Fatture, Paravia). Le Regole di vita furono stam-
pate nella Collezione di Buoni libri in appendice a L. ABELLY,Inrlnizzo per procurare
utilmente la salute delle anime. Opera dedicata alla Società di San Vincenzo de' Paoii, Torino,
Tip. Eredi Botta 1850, p. 271-277. Sarebbe lungo enumerare altri Regolamenti di vita per
dame e cavalieri, peccatori convertiti, donne penitenti, ecc.
Anche per questo, orientativi sono, oltre a scritti agiografici e necrologici, quelli
autobiografici.
a Valdocco aveva adottato quanto era legge o costume locale: legge che pre-
scriveva determinate pratiche; costume che aveva adottato pratiche suggerite
dal catechismo diocesano (formulari di preghiera per il mattino e per la
sera; per prima e dopo la comunione eucaristica) oppure da manuali di de-
vozione (formulari per la Via Crucir o per ascoltare devotamente la messa).
5. Incidenze socio-economiche sulla pratica religiosa
Su questo complesso di usanze non è possibile dare apprezzamenti pre-
cisi e particolareggiati in base alle conoscenze che per ora si posseggono.
Tuttavia certi fatti possono con una certa tranquillità considerarsi sintoma-
tici e huon fondamento per lo meno per qualche suggestione. Anche in pro-
vincia di Torino e nell'astigiano l'adesione femminile alle pratiche religiose
sembra superiore a quella maschile. Conseguentemente anche per le comuniti
in questione possono essere indicativi i dati risultanti da altri studi su comu-
nità religiose che manifestano tale d i m ~ r f i s m o ( ~P) .er la prima educazione
religiosa e anche per istruzione catechistica da impartire in chiesa i sacerdoti
contano con preferenza piuttosto sulle donne che non sugli uomini. Casi
anche su di loro preferibilmente contano per le osservanze nell'ambito della
famiglia: esercizi quotidiani del buon cristiano, rispetto alle cose sacre, re-
pressione della bestemmia, pratica dei sacramenti almeno a Pasqua, cura dei
moribondi.
La tendenza conservatrice delle tradizioni nelle campagne torinesi e
astigiane è anche favorita dalla condizione di « possidenti ». La tenaenza mi-
gratotia non è rilevante. Spesso è soltanto nell'interno della zona. Prevale
la piccola proprietà o qualche forma di mezzadria che non espone a rischi di
instabilità("). Anche mezzadri (come i Bosco a Moriaido) posseggono in
proprio bestiame o anche cascine. Ancor oggi non è raro trovare contadini
anziani, che non conoscono il nome dei paesi che non sono immediatamente
vicini al proprio. La vita gravitava attorno al nucleo civile e religioso del
comune. Ordinariamente il parroco aveva un ruolo prevalente con la sua auto-
rità morale.
I1 clero era, in genere, sano, abbastanza unito mediante le conferenze
mensili per la soluzione di casi pratici di morale. Ovviamente non manca-
vano viceparroci, cappellani, ecclesiastici liberi (che vivevano di qualche
beneficio) poco vogliosi O POCO capaci (9M.* c'erano anche ecclesiastici degni
, , ,301 Oltre *sii s- nidi citati so-ma. nota 12, cf. G . CANDELORO, Il movimento cattolico in
Italia, p. 226.228 (interpretw'ione marxista).
(31) G. MUTTINICONTI, La popolazione del Piemonte nel secolo X I X , l , Torino
1962, speciaimente pt. 2, cp. 2 e pt. 3, cp. 2, § 10 sull'incremento e sul movimento, sociale
.della popolazione piemontese; Pier Luigi G~IISLENIL,e coltivazioni e la tecnica agrzcola t?
P.i-~....m..n..n t.d~al 1331 al 1361, Torino 1861: l'indagine suila dinamica delle coiture offre dati
interpretativi circa la dinamica della popolazione.
(32) Lamentela che talvolta affiora nelle relazioni dei parroci circa lo Status ecclesiae.
Male comune, come si può vedere in ORLANDL~e, campagne modenesi, p. 188-190.

15.7 Page 147

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
e venerati come santi ("). Nella prima metà del secolo, dopo la Restaura-
zione, l'insegnamento primario e secondatio nella provincia era affidato a
ecclesiastici (e a laici eccezionalmente). Rinomati erano i collegi di Carma-
grida e anche di Chieri. Scandali di preti e frati avvenuti al tempo della Ri-
voluzione non pare abbiano minato in quelle zone il prestigio del clero. Nem-
meno, sembra, dovette essere di gran disturbo nell'ambiente socio-religioso
il nascente nucleo di riserva intellettuale, di critica aperta, di trasgressione
e persino derisione. Questc nucleo ordinariamente era costituito dalla classe
laica borghese (medici, farmacisti, avvocati, notai . . .) (34).
Data la cultura del popolo, quanto mai scarsa, le comunità nel loro
complesso erano. eteroguidate. Erano perciò veramente fondati gli appelli
che, specialmente da metà secolo in avanti, si levarono per l'arruolamento
di giovani allo stato ecclesiastico: un paese senza sacerdote era un corpo sen-
z'anima ed era destinato a divenire cittadella di Satana (9I.1 clero d'altronde,
doveva essere anche un'esigenza dell'animo popolare di allora. Probabilmente
anche nelle campagne torinesi sarebbe avvenuto quanta è registrato per altri
luoghi, dove la pratica religiosa era disertata: gli stessi liberi pensatori, per
la dignità del proprio paese, avrebbero richiesto al vescovo un prete degno,
zelante, caritatevole, colto ("1. D'altronde, molti ecclesiastici furono realmente
all'altezza di quanto da loro era desiderato. Sono pochi i paesi in cui per
loro merito non è stato eretto un asilo d'infanzia, un collegio di scuole ele-
mentari (tenuto da suore), una qualche istituzione assistenziale per i poveri
e gli ammalati, per i convalescenti e i vecchi. Tali istituzioni portavano con-
seguentemente la comunità a gravitare attorno al parroco; perciò anche so-
stenevano in una qualche misura il sentimento di fedeltà alla Chiesa, il senso
di Dio, il rispetto alle cose sacre, la fede nell'aldilà, che si concretava almeno
come desiderio della felicità eterna e timore del purgatorio e dell'inferno.
6. Osservanze religiose in crisi a Torino e in Piemonte nella seconda
metà delllOttocento
Ma nella seconda metà del secolo si ha un quadro del costume religioso
profondamente mutato. Sintomo facilmente percepibile, tra i tanti, è il mu-
tato atteggiamento dei pastori. A Torino, come altrove, non si bada più
("1 Tra molti: Giambattista Rubino, sacerdote alia Morra (Cuneo) 41776-1853),
Stanislao Donaudi, vicario generale di Saluzio (1761-1850), Luigi Craveri, vicario generole
di Fossano (1781-1850), Luigi Balbiano, vicecurato ad Avigliana. Malti altri sono passati
in rassegna dal Onvso, La Chiesa in Pfemonte... , 4, Torino 1892, p. 28-34.
. ("1 Indice, tra l'altro è la catechesi apologetica poriolare. che da auelle cate-eor~ ie .i.~ i.sav-n~. .
estrarre gli avversari da confutare. Cf. in taf senso ancheBosco, Conve~r~ r~ arioni tra uti
avvocato ed un cuYato di campagna sul sacramento della confessione, Torino 1855.
("1 2 una variante della tesi apologetica sviluppata nei Sette Ottocento sul molo del
. clero e della religione nel progresso dei rionoli.
(34) Lo nota SEVAIN~, e s o f f i c ersel&ieux a@diocèse de Chartres. . , a. c., p. 212.215
286
quasi solo a elementi morali: aiia dissacrazione dei giorni festivi in bettole,
festini, giochi e amoreggiamenti. Ormai ci si accorgeva che la dissacrazione
ha alla radice cause ben più pericolose. La Rivoluzione aveva fatto la sua strada.
Ormai si avvertiva che non c'era soltanto crisi politica; non c'era soltanto
crisi di autoriti, hensi crisi profonda di credenza religiosa. Era scosso il trono
e con esso anche la religione. I1 grido d'allarme lanciato da Lamennais al-
l'inizio del secolo si era fatto generale: l'eresia del secolo era l'indifferentirmo
in materia di religione. E con il termine i~zdifferentismoveniva indicata la
disaffezione per la pratica religiosa, indice di disaffezione dalla stessa Chiesa,
dalla religione, dai valori che venivano riconosciiiti come essenziali per l'uomo,
dalle vere sorgenti di felicità, di giustizia e di ordine.
I vescovi subalpini nel 1849 avevano cercato di localizzarne i germi
patogeni. Secondo loro causa precipua di tanto male e preludio di mali fu-
turi era la cattiva stampa. Essa bisognava combattere, essa bisognava togliere
di mano ai fedeli e neutralizzare, dal momento che era stata abolita la cen-
sura ecclesiastica e concessa la libertà di stampa. Ci comprende il perché
di tante operette e lettere pastorali contro i cattivi libri proprio attorno al
1850 (").
Ma dopo quella data l'ondata dell'indifferentismo pareva dilatarsi e
sconfinare dappertutto, fin nei borghi e nelle campagne. Durante l'esilio del-
l'arcivescovo Fransoni e l'amministrazione dei vicari generali, i pastori d'anime
cittadini venivano a trovarsi con nnovi abitanti nella cerchia parrocchiale e
con nuovi quartieri popolati da gente venuta in gran parte dalle province.
Il sentimento che senza religione non era possibile moralità tr9vav.a allora
concordi autorità religiose e civili per promuovere opere assistenziali anche
religiose. Le opere caritative avviate e sostenute, come si diceva, dalla « carità
dei buoni x, indicano come, almeno in chiave caritativa, almeno come istanza
di pubblica moralità ed educazione c'era un interessamento delle classi « pos-
sidenti » ai problemi di quella « povera e abbandonata n.
Ma ciò non risolveva il problema del franamento religioso. Un senso di
inquietudine attraversa quasi ogni lettera e circolare dei vicari di Torino
e dei vari arcivescovi: Fransoni, Riccardi, Gastaldi, Alimonda.
Nel 1868, pochi mesi dopo l'insediamento a Torino del nuovo arcivescovo,
i vescovi del Piemonte si riuniscono per programmare un'azione unitaria. La
lettera pastorale collettiva del 25 febbraio 1868 concentrava la sua attenzione
sull'abbandono della pratica religiosa, causa dell'abbandono mtale della fede.
Sintomo grave appariva la profanazione del giorno festivo ("). Le lamentele
(37)Cf. sopra cp. 5, § 3 c cp. 7, § 1.
,1%,) La lotta ner il I~DOSOfestivo in Francia era in antici~odi un buon ventennio.
~~~~
L'attenzione dei pastori era specialmente sul valore religioso della domenica, come giorno
destinato da Dio stesso al culto. La tradizione ecclesiastica, poi, vi aveva concentrato il
nucleo dell'istruzione religiosa e l'invito a opere di carità. Non erano tuttavia ignorati
i vantaggi,, che, umanamente parlando, derivavano dal riposo festivo alla stessa produt-
tività e al progresso totale della società. Cera attorno al '40 chi si faceva promotore della

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tura e si divideva il campo dell'insegnamento tra uomini e donne. In chi
sapeva leggere, la sete di apprendere si traduceva in lettura di giornali, ro-
manzi, racconti. Con molta probabilità la lettura della Gazzetta del popolo,
dell1Opinione, deUe opere di Bianchi Giovini e di Angelo Brofferio in
molti poteva suscitare gli stessi sentimenti d'interesse dei Reali di F~ancia.
Facilmente un artigiano, un operaio, un piccolo commerciante, uno studente po-
teva vibrare di sentimento religioso leggendovi fervide pagine sui sacri de-
stini dell'Italia, sul sommo nume che ne reggeva le sorti e sui martiri che da-
vano il loro sangue e la loro vita per l'ideale della patria. Facilmente si po-
tevano accettare questi termini, che non erano solo retorica, ma anche vaga
religiosità. E con essi si accettava la protesta contro il clero austriacante e
la carica anticlericale che sospingeva conseguentemente a una maggiore indipen-
denza anche verso i richiami al riposo festivo (").
- Non a torto i vescovi temevano la stampa. «Non v'ha scrittore, anche
in Italia essi scrivevano -, famigerato per irreligione e immoralità, di
cui non si siano stampati in questi giorni le opere più detestabili ». Sui ban-
chetti si mettevano aUa ventura libri e giornali, perché giungessero alle
mani del primo acquirente, per rovinare un giovane o un laborioso arti-
giano » (").
( M ) Non è dei tutto disperato indagare in ral senso oggi, con la speranza di raccm
gliere documentazione. Nell'ambito salesiano si ha il caso dei fratelli Giuseppe e Domenica
Bongiovanni. Il primo morì salesiano, il secondo fu prete secolare, curato di S. Alfonso in
Torino. I1 loro padre era un povero «massaio », quasi nullatenente. La madre, Maria Davite,
era un'immigrata, nativa di S. Salvatore Monferrato. 1 due fratelli rimasero presto orfani
di madre e il padre passb in seconde nozze. Sugli undici-trediu anni frequentarono l e
scuole municipali presso Porta Palazzo, tenute dai Fratelli delle Scuole Cristiane. Giuseppe,
ricordava il fratello, « v i si faceva notare particolarmente per una facile fantasia sopra
i diversi argomenti. Era il frutto della continua lettura di ogni libro che gli fosse capitato
fra le mani. I n generale erano romanzacci che gli imprestavano certi compagni n. Andie Do-
menico, leggendo quei libri, ricordava che si «riempiva di furore e provava un odio
implacabile contro i Religiosi e non capiva perché si lasciassero liberamente viverer:
. in quel tempo si elaboravano le leggi sopptessive d i comunità religiose. Cf. F R ~ C E S I A ,
Memorie biografiche d i salesiani defunti . , S. Benigno Canavese 1903, p. 14 S.
I due assistevano anche alle rappresentazioni popolari: < N o n potendo avere la co-
modità di andare a quelli un poco più puliti, accorrevano con avidità a quelli popolari che
c%ano allora o nei prati della Cittadella, o in altra parte di Torino. I n questi teatri
sovente succedevano grandiose scene di banditi mescolate od alternate da quelle paurose
delI'Inquisizione. Si cercava di far colpo suii'immaginazione del popolo, perché più facil-
mente si potesse spingere come giusta vendetta di quei &ti delitti a togliere i Religiosi
dai loro conventi D. Eppure, commenta Domenico Bongiovanni, riferendosi alle letture: «mio
fratello leggeva e non se ne risentiva per nulla. Come una barchetta che scivola suli'acque
torbide e non si sporca D. Quanto ai teatri Domenico asserisce di se stesso: « C i andava,
.trovava tutta la mia vita, perchb non aveva chi me ne allontanasse » (FRANCESIOA., C,,
n. 1-5s-,).
(") Lettera dell'epascopato piemontese, p. 11. Riferendosi al Fischietto, cosl ricorda il
teologo Domenico Bongiovanni: « A quei tempi correva molto fra il popolo un giornale
con incisioni, dette volgarmente caricature, e che per essere tuttavia il solo fra noi, si
vedeva facilmente in mezzo anche agli operai. Le incisioni, i suoi motteggi, la maldicenza a
buon mercato, certe poesie semplici ina procaci, i suoi raccontini in cui si veniva a toccare
« Questa mala cancrena - soggiungevano - andrà allargandosi e to-
glierà dalla coscienza dei popoli il pensiero di Dio e della eterna ed invio-
labile sua legge, allontanerà dal tempio gli adoratori cristiani, dai sacramenti
i loro frequentatori: andr8 allargandosi e riempieranno di mal costume le
città e i minori paesi, rimarranno deserti gli onesti talami e si popoleranno le
case del vizio » (&l.
E una volta « che la cancrena sia penetrata nel cuore dei popoli chi
può ripromettersi di sradicarla e guarirne poi la ferita? » I vescovi dichiarano
il loro «dolore intenso », che non è per la perdita di terrene sostanze, ma
per quella delle anime, che dalla prosperità spirituele precipitano nella mi-
seria e nella morte (").
Altr;i causa di corruzione erano le rappresentazioni teatrali. Esse, denunzia-
no i vescovi « corrompono il senso popolare, offendono il buon costume,
gettano la negazione di Dio ed il dubbio di tutte cose nel cuore, cercando i
modelli delle virtù nelle macerie della depravazione ». Secondo i vescovi
nelle rappresentazioni che si danno al popolo, i templi, gli altari, i sacri ar-
redi, gli stessi misteri più augusti della Religione «vengono con beffardi motti
svillaneggiati, da oscene labbra ed atti inverecondi parodiati: e si va pex tal
guisa demolendo ogni resto di Religione e di moralita che tuttavia nel po-
polo rimanesse »; nei teatri insomma si completa « la demoralizzaaione del
cuore » ("). I prelati aggiungono una nota di costume: « Giustificano forse
quei padri e quelle madri che vi conducono i Ggli e le figlie loro, e non temono
di averli a ricondurre a casa con allettamenti di vizii per lo innanzi..non pen-
sati, con tali germi di corruzione che produrranno a tempo i loro tristissimi
effetti? ». Agli spettacoli si poteva ben applicare quanto Rousseau scriveva nella
prefazione alla Nouvelle HéloEse: « Niun cuore di donna o di giovane inte-
merata si leverà dalla lettura di questo volume, senza che prima sia rotto il
freno degli onesti costumi, e dentro vi sia penetrato il sottil veleno dell'impu-
dicizia ». « Non usciranno, no - soggiungevano i vescovi -, non usciranno
gli spettatori dal teatro ove entrarono, massimamente quando trattasi di
assistere a certe scandalosissime azioni, senza essere divenuti molto men religiosi,
molto meno fedeli nello adempimento dei loro doveri, molto meno costnmati
di prima » (").
il ministro, il deputato, il senatore, si leggevano dai popolani con voluttà direi quasi
malvarria~(FRANCESIoA. .c., p. 17). I1 quasi-liberale Fischietto favoriva in tal modo il
lievitare del socialismi.
(6)Lettera dell'episcopato piemontese, p. 13.
(97) Lettera dell'episcopato piemontese, p. 14.
(e) Lettera del1'episcopato piemontese, p. 17 s; cf. sopra, nota 44.
(e)Rouss~nu,Otuorer compldtes, 2, Paris 1964, p. 6: a Jamais m e chaste n'a lu
des Romans; et j'ai mis à celui-ci en tete assés décidé pour qu'en I'ouvrant on sait à
quoi s'en tenir. Ce1ie qui maigré ce tltre, ui osera lire une seule page, est une f d e peràue:
mais qu'elle n'impute point sa perte à ce livre; le mal ttoit fait d'avance ». La Lettera del-
l'episcopato piemontese, p. 19 si riferisce genericamente e impropriamente alla «Con-
clusione che il filosofo di Ginevra traeva dalla lettura di un suo libro famoso ».

15.10 Page 150

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
D'altra parte l'accoramento dei vescovi piemontesi rispecchiava quello del
clero di Francia, di moltissime parti d'Italia, di Gregorio XVI e di Pio IX;
rispecchiava autorevolmente quello di cui si facevano portavoci giornali cat-
tolici a Torino, Milano, Genova, Venezia, Roma, Napoli . . . ('O).
A Torino, accanto alla voce dell'Armonia, della Campana, della Buona
settimana, dell'ilpologirta, dell'Ateneo religioso e di vari almanacchi, non
mancò quella a umile livello popolare delle Letture Cattoliche e del Galan-
tuomo Gli accenti dello stesso Don Bosco, ora cauti e pacati, ora vivaci e ri-
sentiti, ora perentori e di sfida, non si spiegano e non assumono il loro pieno
valore, se non alla luce di quanto era l'opinione comune dei clero e dei
cattolici.
Le Letture Cattoliche accolgono opuscoli di Carlo Filippo da Poirino, di
mons. de Ségur, di Isidoro Mullois e dell'Huguet, che trattano espressamente
della santificazione delle feste, dell'osservanza dei precetti ecclesiastici, delle
domeniche, della quaresima, della confessione e comunione ("1. I1 cappuccino
(50) Tm i documenti pontifici sono da ricordare le encicliche Mirari uos di Gregorio
XVI (15 agosto 1832) e la Qui pluribus di Pio IX (9 novembre 1846). Qualche dato sulla
presa di coscienza del problema posto alla pastorale cattolica dall'indifferentismo è suggerito
da P. RICHARD, Indiférence religiense in DTC, t. 7, CI. 1580-1594 e P. A. LIÉGÉ, O. P,,
Indiffé~ence-lndiffé~entismein Catholicisrne, t. 5, CI. 1504-1509.
(51) SUI tipo di «sfide » lanciate da DB cf. sopra, cp. 11, nota 38 S. I n particolare
. si vedano gli ultimi trattenimenti (29.42) del Cattolico irtruito d'indole molto polemica.
Termini di sfida, anche in Severino ossia avventure di un giovane alpigiano.. , Torino
1868.
( 9 [CARLOFILIPPO DA POIRINOO,.F.M. Cap.], Trattenimenti intoino al sacrijizio
della S. messa (LC a. 2, fasc. 11 e 12) Torino 1854; ID., Trattenimenti intorno al 3s. sana-
mento dell!Eucaristia (LC a. 3, fasc. 19-22), Torino 1855; ID., Trattenimenti morali intorno
ai riti e alle cerimonie della S. messa coll'aggiunta di un metodo per udirla con frutto (LC
a. 4, fasc. 8 e 91, Torino 1856; ID., Il cielo aperto mediante la comunione frequente (LC a.
7, fasc. 6), Torino 1859; 18654; ID., i l cielo aperto mediante la confessione sincera (LC
a. 8, fasc. 8), Torino 1860; 19037; L. DE SEGORL,a santissima comunione (LC a. 20,
fasc. 7), Torino 1872; 19081s; ne circolavano altre edizioni: Firenze 1863, seconda ed.
fiorentina; Modena 1870, 21" ed. ital. sulla 4 P di Parigi; ID., Ogni otto giorni (LC a. 26,
fasc. 7), Torino 1878; ID., Venite tutti a me (LC a. 27, fasc. 6), Torino 1879; 18944;
1 9 0 r (sic);Isidoro MULLOILSa, domenica al popolo (LC a. 4, fasc. l ) , Torino 1855; M.-A.
HUGUET, L'esistenza reale di G. Criito nel SS. Sacramento.. ., (LC a. 11, fasc. i ) , To-
rino 1863.
Sono ancora da ricordare: Il lavoro ne' giorni festiui (dialogo), in Bosco, Raccolta di
curiosi avvenimenti contemporanei (LC a. 2, fasc. 3 e 4), Torino 1854, p. 41-45; La
Pasqua cristiana (LC a. 5, fasc. l ) , Torino 1857; [D~QUESNE-RIVBrAev]e, esposirione
delle epistole ed evangeli delle domeniche e feste del Signore con preghiere e riflessioni
ad uso del popolo cristiano (LC a. 5, fasc. 11); Torino 1858; La quaresima cristiana (LC
a. 5, fasc. 12), Torino 1858; Della fedele osservanza dei comandamenti della Chiesa. . .
(LC a. 8, fasc. 51, Torino 1860; V. D. OLIVIERA,stinenza dal lavoro nei giorni festivi
(LC a. 9, fasc. 51, Torino 1861; LEONARDDOA P. MAURIZIO, Il tesoro nascosto ovvero pregi
ed eccellenze della S. messa.. . (LC a. 8, fasc. 121, Torino 1861; 18844; 1930; Gaetano
COSTAMAGLNa Asa,ntificazione delle feste in esempi. . . (LC a. 23, fasc. 2 e 3), Torino
1875; 18834. Più avanti, p. 302, indicheremo opere del Frassinetti. Tralasciamo di elencare
episodi e considerazioni apparse sul Galantuomo che, tra l'altro, come gli almanacchi
consimili, aveva il calendario con I'indicazioiie delle feste religiose.
Carlo
da Poirino e mons. de Ségur pensano ancora al G:'ausenismo come
causa remota dell'illanguidimento della fede (u). Il lungo digiuno del pane
eucaristico ha causato, secondo loro, la crisi generale della fede. I loro libri, a
domande e risposte, di stile popolare limpido, anche se talora disadorno, vor-
rebbero portare l'istruzione al popolo e con essa, l'amore ai tesori divini che so-
stengono la fede. Le istruzioni sulla messa di Filippo da Poirino vorrebbero ve-
nire incontro alla difficoltà della lingua latina, nuvola luminescente che giova
a circondare di rispetto il terribile mistero, strumento necessario per mante-
nere e testimoniare l'unità della Chiesa nei tempi e nello
Egli
deplora come per molti che vanno in chiesa le cerimonie si sono ridotte a « un
linguaggio ignoto, un libro chiuso, una serie di quadri, belli si, ma di cui non
si conosce. né il soggetto né lo scopo ». « E questo - egli aggiunge - è
pur troppo il male, che siam costretti a deplorare in non pochi cristiani, ne'
quali, per altro, non è ancor del tutto estinta la fede. Intervengono essi alle
pubbliche preci della Chiesa ed all'augustissimo Sacrificio per pura abitudine,
non vi provano veruna santa emozione, si vedono anzi starvi con manifesta
noia e sbadataggine; e sovente ancora si lasciano indurre ad abbandonarle:
e tutto ciò con immenso danno delle loro anime » ('9.
Sono « tempi infelici di libertinaggio e di smania ereticale », lamenta
il buon cappuccino (pensando anche al proselitismo protestante) (")). Sono
« tempi calamitosi », fa eco Don Bosco nella sua operetta catechistica e apo-
logetica sulla confessione: tempi calamitosi nei quali la fede viene « accani-
tamente combattuta », tempi difficili che ailliggono profondamente chi si preoc-
cupa della sorte delle anime (57). In questa prospettiva i moniti di Don Bosco
,.
(8') C. F. DA POIRINOIl ,càeb aperto mediante la comunzone frequente, Torino 1859,
p. IV a: « I l Giansenismo colpito dagli anatemi della Chiesa e combattuto dai campioni della
teologia cattolica, cadde dopo breve giro di tempo, non senza lasciare però qualche traccia
del suo funesto passaggio in quel rigorismo, il quale scambiando i precetti coi consigli, e
le disposizioni assolutamente sufficienti colle disposizioni di convenienza, ingenerò nell'animo
di molti il pregiudizio: esser cosa difficilissima il comunicarsi degnamente e schivare il
pericolo del sacrilegio. Così fu dimenticata la savia massima di S. Francesco di Sales, quando
dice che bisogna comunicarsi frequentemente per imparare a ben comunicarsi. Che avvenne
da ciò? avvenne che, cessando molti di accostarsi ai Sacramento che è vita e fortezza
delle anime e generatore della santità, ed altri molti non accostandovisi se non di rado,
mancò l'alimento alla 101 pietà, il sostegno alla lor debolezia, s'illangnidi in essi la fede, e
. le passioni rimaste senza freno produssero il lihertinaggio, che ha per compagno l'incredulità
e l'indifferenza in fatto di religione. Ciò si vide dapprima in Frrancia.. ». G. DE SEGUR,
La santissima comunione, Torino 1872, p. 3: r Non è mio intendimento illuminare gl'in-
.. creduli, ma bene rassodare nella pietà, e far crescere neUa confidenza tutti que' cristiani
che già usano pascersi di quel cibo celestiale . far loro toccar con mano la vanità dei
pregiudizi giansenistici, che ancor durano e di zroppo si allontanano dalla divina Euca-
ristia r.
(M) C. F. DA i'olRlNo, Trattenimenti morali intorno ai riti ed ollc cerimonie della
S. messa. . ., Torino 1856, p. 168.
(s)C. F. DA POIRINO, Trattenimenti morali, p. 4 S.
(55) C, F. DA POIRINOT, rattenimenti morali, p. 5.
(n)Bosco, Conversazioni tra un avvocato ed un curato di campagna rul sacramento
della confessione, Torino 1855, p. V.

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
volentieri fanno eco a quelli sentiti dall'animo popolare. Anch'egli mette in
guardia contro l'inganno di ricavare maggiori utili lavorando in giorni di ri-
poso festivo ( 9 Anch'egli addita ai giovani e ai lettori popolani le benedi-
zioni elargite da Dio a Isidoro contadino, assiduo persino alla messa quotidiana
e presenta la sorte disgraziata di artigiani che, anche di recente, per ragioni
d'interesse materiale avevano l a v o r a t ~d i domenica ( 9 . E poiché ha di mira,
specialmente tra il '50 e il '60, il proselitismo protestante, contro di esso
pone in guardia più volte in rapporto al sacramento della penitenza e alla
sua pratica. Occasione immediata alle sue Conversazioni sulla confessione
pare sia l'opuscolo dell'apostata Luigi De-Sanctis contro la confessione auri-
colare. D o n Bosco reagisce vivacemente, forse anche sotto la spinta della sua
- - esperienza di sacerdote educatore che poggiava molto sulla confessione come
mezzo educativo. « Ecco egli scrive il motivo per cui essi volgono tutte
le loro armi contro a questa pratica salutare. I1 cattolico allontanato dalla
confessione e abbandonato a se medesimo cammina da abisso in abisso, e
qual debole pianta senza riparo, esposta alla gagliardia dei venti, giunge ai
più deplorabili eccessi D. Finché c'è la confessione, egli scrive (ma si badi ai-
l'indole divulgativa e perciò perentoria del suo opuscolo), c'è anche religione
e moralità. Dove la confessione è stata abbandonata. è subentrata l'incredulità
("1 Bosco, Raccolta di curiosi avvenimenti contemporanei, Torino 1854, p. 41.45.
BOSCO, Storia ecclesiastica. . ., Torino 1845, p. 217-220; [Io.], Il giovane prov-
veduto. . ., Torino 1847, p. 86. Un caso di artigiano disgraziato è quello citato nella nota pre-
cedente; un altro, è in La forza della buona educazione..., Torino 1855, p. 52: «La
Provvidenza però venne in soccorso di Pietro, facendo provare col fatto, che il wadagno
dei giorni festivi porta la rovina su tutto il lavoro della settimana. Ecco il caso. Quel padro-
ne andò soggetto ad un incendio; poi fu colpito da un fallimento; gLi morirono due
ragazzi; la moglie fu più di un anno inferma; sicch6 egli fu costretto a rimettere ad altri
la sua fabbrica, e da padrone diventare semplice operaio n. L'interpretazione di disgrazie
come punizione per la festa profanata con lavori servili è comune negli scritti popolari
del tempo, quali sono, ad esempio quelli del Méthivier e del Costamagna già citati (cf. sopra
note 38 e 52). I1 triste caso di un calzolaio è riportato sotto il titolo di « Funeste conse-
@lenzeper la profanazione delle feste su La buona settimana 18 (1873), p. 55 S. Gli esempi
tolti dal Cmpanone, daii'Apo!ogirta, dall'rirmonia, dalla Raccolta di buoni libri si potreb-
bero moltiplicare a centinaia.
I1 tema dei «vantaggi» derivati dalla santiiicazione delle feste t una variante di
quello più generale sui vantaggi della Religione. S. Leonardo da Porto Maurizio a ragion
veduta parlava di fortune o disgrazie di devoti o indevoti della messa. « I l grandioso e
l'onesto - egli scriveva - sono due motivi assai forti per muovere i cuori; ma I'utile non
solo muove, anzi, ad onta di tutte le ripugnanze, riporta quasi sempre la vittoria. Siano
pure di poco rilievo appresso di voi e l'eccellenza e la necessiti della santa messa: ma
come potrete non apprezzare la somma utilità che arreca e a' vivi e ai defunti, e a' giusti
e a' peccatori, e in vita e in morte, ed ancbe dopo la stessa morte? » (I! tesoro nascosto,
cp. 1, § 8, in Opere 2, Venezia 1868, p. 332). S. Giuseppe Cafasso per animare alla
fuga del vizio e alla pratica della virtù, esortava i predicatori a toccare «quelle medesime
[corde] che neiie cose umane sogliono smuovere e scuotere maggiormente I'anho nostro,
cioè l'utile, il guadagno ed il facile n: (Istruzioni per esercizi spirituali al clero, Torino 1893,
p. 211)
e ii malcostume. I fatti provano che quando uomini e giovani « frequentano
spessissimo e con esemplarità la confessione » << per lo più sanno neppure come
si facciano i peccati » (").
7. Fermenti rinnovatori della pratica religiosa
Nonostante gli allarmi dei cattolici, nonostante l'euforia di anticlericdi
pugnaci, la realtà era abbastanza complessa e incerta, con motivi di speranze
per tutti. Sembrava che tutto crollasse, e anche sembrava che tutto risorgesse.
Crollavano usanze connesse al giorno festivo, ma assumevano entusiasmanti
proporzioni altre forme di culto come il mese d i maggio, l'adorazione perpetua,
la visita al SS. Sacramento, la pratica dei primi venerdì in onore del S. Cuore
di Gesù, la celebrazione di giubilei, quella di centenari (come il centenario di
S. Pietro del 1867 e quello della battaglia di Lepanto nei 1871); si celebra-
vano congressi cattolici, congressi eucaristici, congressi mariani; si animava
in mille modi il fervore in larghi strati di fedeli
Nel 1858 il mese di maggio era predicato a Torino almeno in dodici
chiese dalle cinque del mattino fino a tarda sera. I risultati strappavano termini
entusiastici ai giornali cattolici:
a La parola di Dio annunziata da zelanti sacerdoti, dove una, dove due volte il
giorno f n ascoltata con un raccoglimento edificante. I tribunali di peniten? affollati,
la santa mensa, singolarmente siili'ultimo del mese frequentata come e più che nel
tempo pasquale. I1 mese essendo finito, e in tutte le aitre chiese solennemente con-
chiuso, sarebbesi detto che il popolo dovesse esserne sazio. E pure neUa chiusura,
che nella chiesa dei SS. Martiri fu protratta alla passata domenica, le comunioni furono
tante e il concorso della pente dallo spuntar dell'aurora insino a notte fn tale, che si
sarebbe detto non essersi fatto altro mese inariano in Torino » (").
Lo stesso - si diceva - era avvenuto in altre città, come Genova, Mi-
lano, Savona. « Maria Vergine - si commentava -, Madre di Dio e nostra, è
veramente destinata da Dio a vincere, come tutte le altre eresie, così pure
l'orribile indifferenza che a' nostri agghiaccia e chiude i cuori alla grazia
(M) Bosco, Conversazioni tra un auuocato ed un curato di cainpaglia sul sacramento
della confessione,Torino 1855, p. 83 S. Alle p. 112-122: «Appendice sul libro intitolato La
Conferrionc saggio dogmatico storico [dell'apostata Luigi DeSanctis l P.
(61) Un tentativo di sintesi è il nostro saggio L'Eucaristia nella spiritualitù italiana
da
seicento prodromi del mouimento liturgico nel volume di autori vari Efdc~ristia.
Memoriale del Signore e Sacramento permanente, Torino 1967, p. 141-182. Qui cerche,
remo di sviluppare quanto ci sembra neil'ottica di DB.
(62) La buona settimana 3 (1858), p. 189.
(63) La buona settimana 3 (1858), p. 202s.

16.2 Page 152

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
L'anno successivo veniva segnalata la gran quantità di comunioni fatte da fan-
ciulli nella chiesa dei SS. Martiri il giovedì 17 marzo, festa della S. Infanzia:
«Più &e 800 tra fanciulli e fanciulle parteciparono alla SS. Comunione dispen-
sata da monsignor Vescovo di Susa [Antonio Odonel. Predicò il zelante canonico Gal-
letti, il quale, tuttoché grande predicatore seppe farsi piccolo coi piccoli, e sollevare
i suoi piccoli uditori all'altezza dei concetti divini. La musica fu schietta, tenera, aUe-
s a , e cantata, come si conveniva in una tal festa, da fanciulli addestrati dai benemeriti
Fratelli deiie Scuole Cristiane » (M).
Ormai s'ingaggiava la battaglia del fervore eucaristico, connessa a quella
della confessione' frequente, settimanale o mensile. Era d'altronde il tempo dei
fervori patriottici e religiosi, posti in evidenza dagli ultimi riflessi del feno-
meno romantico, in tutta Europa.
La frequenza ai sacramenti, dunque non mancava. Stando a dati stati-
stici editi in appendice al Calendario liturgico torinese del 1876, nel 1874 il
94 % dei cattolici obbligati al precetto, avrebbe assistito alla messa nei
giorni festivi. Cattolici in città erano 210.000; fuori assommavano a 423.000;
in tutta l'archidiocesi erano perciò 633.000. A Torino presenziarono alla
messa nei giorni festivi 110.000; fuori, 300.000; complessivamente 410.000.
Nei giorni feriali si sarebbe avuta l'assistenza alla messa di 22.600 persone a
Torino e di 55..700 fuori. Complessivamente avrebbero ascoltato la messa nei
giorni feriaii 78.300 persone, pari al 18 % dei fedeli obbligati al precetto.
La percentuale computa come obbligati due terzi della totalità dei cat-
tolici.
Nel tempo prescritto avrebbero adempito il precetto pasquale 86.970
persone; fuori Torino, 331.970. Fuori del tempo prescritto adempirono
11.200. Complessivamente soddisfecero al precetto pasquale 343.170 persone,
pari a11'81,3 %
Erano dunque fondati i timori del clero e della pubblicistica cattolica?
(M) La buona settimana 4 (18591, p. 104. Altre relazioni sono date negli anni successivi.
La festa veniva celebrata solitamente attorno all'Epifania. L'attenzione di bambini e addti
veniva attratta con vari espedienti. Tra l'altro, loro presenti, venivano sorteggiati i nomi
da dare ai battezzandi in terra di missione. Non sapremmo indicare in quale misura DB
partecipò alle iniziative dell'opera della S. Infanzia. A Valdocco vennero stampati: Brevi
discorri detti nel triduo fattosi per la festa della Santa Infanzia dal sac. D. Cado Pogliano
nella chiesa dei santi Martiri in Touino seguiti da alcrine notizie intorno all'organizzazione
di detta opera ed ai suoi vantaggi, Torino, tip. dell'orat. di S. Franc. di Sales 1865. Sul
...,-,, verso deUa copertina: «Si vende a favore della nuova chiesa che si sta costruendo in
Torino-Valdocco sotto il titolo di Auxi-li-ii-m..-C-.h.r-i.c-t.i.m-.n.nu.r"m
~
~
I1 palmauerde, almanacco univei.sale per l'anno 187J, Torino, S. d., p. 487: popola-
zione della città: 217.806; del circondario: 505.034; della provincia: 972.986.
. . Calendarium liturgicum archidioecesis taurinensis. servandum anno bissewtili 1876,
Auwstae Taurinomm, Marietti, S. d., p. 84 S. I dati assoluti ivi indicati sulla popolazione
presente a Torino nei 1874 (220.410 abitanti) corrispondono abbastanza a quelli di altre
statistiche: cf. MELANLOa, popolazione di Torino e del Piemonte nel recolo X I X , Torino
1961, p. 165-182(censimenti 1871 e 1881).
Cera poi stato tale franamento del costume religioso da giustificare moniti
estremamente allarmistici?
A parte le motivazioni teologiche, a parte anche il complesso di cause
sentite come fondamentali, i fatti sopravvenuti hanno mostrato come, nono-
stante la resistenza vivacissima, nonostante l'industre, febbrile e solerte opera
per suscitare tiuove risorse alla vita religiosa, il cedimento previsto vi fu e
andò sempre più allargandosi. L'elevata partecipazione alla messa forse non
illudeva i pastori. Loro potevano rendersi ben conto di qualcosa che sfugge
alle statistiche: la disaffezione di molti che tuttavia ancora entravano in chiesa
e si accostavano ai sacramenti. Su questo fatto appunto vertevano i loro ai-
larmi, che possono benissimo mettere in guardia per indagare fino a che
punto poié esserci effettivamente un certo diacronismo tra la disaffezione
(che poteva essere a uno stadio molto avanzato) e gi'indici di osservanza del
precetto (che poteva essere più alto in confronto a quello, che non esiste,
dell'intera adesione totale alla Chiesa). inoltre si estinguevano quelle differenze
(e rivalità) tra borghi cittadini, che un tempo avevano potuto giovare anche
a stringere i fedeli attorno al proprio campanile.
A Torino (che Don Bosco aveva particolarmente sotto gli occhi) non
mancavano preti e laici impegnatissimi nella produzione e diffusione di buoni
libri, periodici, fogli volanti, sussidi di ogni genere alla devozione e istru-
zione del popolo. I n varie parrocchie vennero organizzati laboratori, dove
signore e signorine confezionavano indumenti per poveri o sacri arredamenti.
Per chi interveniva, l'anima del gruppo era l'ora della preghiera e dell'istru-
zione religiosa che, ispirandosi al Gaume, veniva chiamata anche ratechismo d i
perseveuanza. Venivano organizzati o riportati a nuova vita gruppi di Figlie
di Maria, comitati per la santificazione delle feste, per la riparazione delle
bestemmie, per l'adorazione perpetua. Di tratto in tratto riprendevano novello
vigore associazioni già esistenti a metà secolo, come la Società di S. Vincenzo
de' Paoli, l'associazione per la propagazione della fede e quella della S. In-
fanzia. Gli oratori per la gioventù studentesca e artigiana, specialn~eutedella
classe popolare, i collegi e gli ospizi continuavano ad avere la loro attualità
e non mancarono di avere l'appoggio del clero e del laicato ("1.
(a)A titolo di esempio sullo sior20 rinnovatore della vita cattolica a Torino ci-
tiamo qualche caso. L. PAMPIRIEOl,ogio fu~ebledel teol. Maurizio Arpino fondatore e primo
curato della parrocchia dei SS. Apostoli Pietro c Paolo in Torino . . ., Torino 1887: « In
questa sua nuova chiesa parrocchiale vi moltiplicò le istruzioni, vi ordinò i catechismi, vi
dispose la celebrazione delle sacre funzioni, vi istituì divote pratiche, vi procacciò sante
missioni e straordinarie predicaiioni, e vide il suo zelo corrisposto dall'afflueniadel popolo,
dalla ravvivata frequenza ni Sacramenti, dal ravvedimento dei peccatori, e dalla esemplarità
delle fiorenti Società del Suffragioe del SS. Sacramento cotanto deìia parrocchia benemerite.
Di qui por&stendere la sua iduenza benefica nelle famiglie, nelle scuole, negli asili, nelle
Congregazioni di carità e perfino tra gli sventurati abitatori delle carceri e degli ergastoli.
Fondb l'Opera di misericordia per provvedere di servizio e di assistenza gl'infermi poveri
n&e loro case; istituì quella detta della CrJche pel ricetto dei bambini lattanti; promosse
la Conferenza di S. Vincenzo de' Paoii: la Società degli operai e operaie cattolici e quelle
297

16.3 Page 153

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
j
Tra fervore religioso e azione sociale sorgevano sodetà di mutuo soc-
l
corso, società operaie, ricreative, sportive, associazioni di buone letture, società
i
l1
altre istituzioni che Sindole dei tempi e i bisogni dei suoi Parracchiani pareva esigessero. Era
intanto
poveri .
.c.oBn.so-latoLree
efficace ed assiduo degli infermi, padre degli orfani, benefattore
testimonianze su sacerdoti potrebbero essere moltiplicate, attinte
dei
alle
biografie di Francesco Fai di Bruno, canonico Giordano, canonico Bergher, Vola, Nasi, Car-
pano.. . Biografie della Barolo, di suor Clarac, del conte Carlo Cays, del ferroviere Paolo
Pio Perazzo pongono in luce il complesso tessuto che si tendeva e s'inhttiva a Torino
nella seconda metà del secolo
Indicativo è anche il capitolo sulle nuove devozioni nella parrwchia di S. Tornaso:
ci. F. MACCONOO., F. M., La pa~rocchiac il convento francescano in Torino.. ., Casale
Monferrato 1931, n. 297.316.
I
Non ci semb;.a inutile riportare da L'indicatore delle ferte per l'anno 1862 (Torino,
Marietti, a benefizio delSOpera delle feste. s.d.) il calendario e orario di alcune chiese
di Torino:
Parrocchia dei SS. Martiri: Messe giorni feriali opni mezzbra fino alle 11,30. -
Messe giorni festivi dalle 5,30 sino alle 11; più alle 12. - Messa parrocchiale 10,30. -
- Messa ultima giorni feriali 11,30; giorni festivi alle 12. Spiegazione del Vangelo alle 11;
- indi Benedizione, poi messa ultima. Dottrina pei ragazzi e per le ragazze 16 d'inverno,
- e verso le 17,30 d'estate. Istruzione verso sera. - Benedizione nei giorni feriali aUe
ore 9, in occasione di tridui o novene all'altare del Cuor di Maria; alla sera ogni giorno
prima dell'Ave Maria. - Benedizione nei giorni festivi: mattino 11,45; sera dopo la pre-
- dica od istruzione. - Novena di Natale: sera ore 16; rosario, predica, profezie, bene-
dizione. Mese di Maria: sera ore 18: rosario, canto di laudi, predica, litanie, bene.
dizione. -Mese di Maria: sera ore 18: recita di laudi, cominciando nell'uliimo giorno d'aprile
e termina nella prima domenica di giugno (L'indicatore, p. 30 s).
Pavrocchin della Madonna degli Angeli: Messe nei giorni festivi ogni mezz3ora dal-
SAue ~Muriafino alle 10
dalSAve Maria fino aUe
e quindi 10,30
10 e quindi I l
e ll,45. -
. - Messa
pMarersoscechnieailegi1o0rn,3i0f.e-rialSi poi&eg.Iazmioanze'odreal
Vangelo 11. - Messa ultima nei giorni festivi alle 11,45, feriali alie 11. - Quaresimale alle
ore 11. - Catechismo per i ragazzi e per le ragaz2.r: inverno alle 14, estate 14,30. - Ca.
techismo per gli adulti: inverno 14,30, estate 15. - Istruzione: inverno 15,30, estate 16.
- - Benedizione nei dì festivi al mattino alle 11, 30 e nella quaresima prima della predica,
alla sera inverno 16, estate 16,30. Benedizione nei dì feriali verso notte. - 22 fehbrpio:
S. Margherita da Cortona patrona del Terz'ordine ivi eretto. - 19 marzo: S. Giuseppe
- sposo di M. V. - 13 giugno: S. Antonio da Padova. - 2 agosto: festa titolare delk
Madonna degli Angeli con processione verso sera. 16 agosto: S. Rwco patrono del
Terz'ordine ivi eretto. - 4 ottobre: S. Francesco d'Assisi fondatore dei tre ordini. - 19
ottobre: S. Pietro d'Aicantara. - 8 dicenibre: SImmacolata Concezione di M. V. SS. -
16 e seguenti: Novena del SS. Natale: mattina alle ore 530 messa, discorso e benedizione,
alie ore I1 messa e benedizione e messa dopo, ed alla sera alle ore 16 canto delle Profezie
e benedizione. - 31 dicembre ultimo giorno deli'anno: verso sera benedizione col canto del
Te
Deum
(L'indicaiore
-2
. n
r.
A4
,
-"1f .
oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco: Messe nei giorni feriali al levar del sole
ed alle ore 7,45. - Messe nei giorni festivi alle ore 6, 7,9. D'inverno mezz'ora più tardi. - E s p
sizione di Storia ecclesiastica alle 9,30. - Quaresima giorni feriali, settimane 5, catechismo
alle 12,30 sino alle 13,15 pel solo sesso maschile. Ed alle ore 8,30 di sera catechismo paiti-
colare. - Mese di maggio, rosario, lettura, o predica e benedizione alle ore 7 pom. - NovTena
di Natale alle ore 6 mattina. - Le 6 domeniche precedenti la festa di S. Luigi, alle 10 mattina
pratica pietà (L'indicatore, P. 74).
Oratorio di S. artin no a porta d'Italia: Messa nei giorni fesrivi alle 8,3O. - Spiegazione
infra missam. - Dopo, il Catechismo. - Vespro, Predica, Benedizione: sul iar della notte. -
Nell'ultima domenica d'ogni mese alla sera vi ha funzione speciale per la riparazione delle
hiarmoniche ("). Tu tutie non poteva mancare l'istruzione catechistica, il pro-
posito rinnovato di attaccamento alla fede in quel tempo di lotta, di supera-
mento del rispetto umano, di vigilanza per non fare entrare nelle proprie fami-
glie stampe e libri irriverenti o avversi alla Religione. I cattolici, tinserran-
dusi, cercavano di rigenerare le prorie energie.
Per la pratica religiosa accanto alle parrocchie assumevano u n ruolo
importante santuari, come pelle della Consolata e dell'Ansiliatrice, divenuti
polarizzatori del fervore in tempi in cui, come abbiamo più volte notato, la
parrocchia per molti strati d i persone (soprattiitto per molti immigrati sta:
rionali o anche stabilmente trasferiti) non riusciva a essere centro nemmeno di
affezione.
La sorennità del mese di maggio in chiese non parrocchiali, come la Con-
solata, Maria Ausiliatrice, la chiesa deile Suore Adoratrici, offriva a molti
l'attrattiva della buona predicazione, del canto o t a l e , della musica d'organo,
delle luci e dello sfarzo. Richiamavano cosi persone che, altrimenti, si sa-
rebbero distaccate completamente dalla pratica religiosa cittadina e che invece
nei santuari si decidevano anche a confessarsi (ottenendone richiami) e a co-
municarsi.
I1 costume religioso dunque in parte continuava a esprimersi secondo
movenze tradizionali, in parte si rinnovava sotto lo stimolo di nuovi reattivi.
Tra questi, oltre all'industrializzazione in chiave liberale capitalistica e l'inur-
bamento, sono da ricordare il movimento dell'unità nazionale, il desiderio di
lotta per la difesa e per il trionfo della Religione, la volontà di devozione al
Papa e ai pastori, rappresentanti di Dio e depositari dei mezzi, di'..salvezza,
l'intimo desiderio di riparare nei modi possibili le offese fatte a Dio, a Gesù
Cristo amato e venerato nel SS. Sacramenta. Nella seconda metà del secolo,
più che prima, il costume religioso appare legato, oltre che alla parrocchia, a
istituti religiosi vecchi e nuovi, educativi e caritativi, di preghiera e di vita
attiva.
8. Campagna per la comunione frequente
I n questa temperie s'inserisce la vivacissima campagna in favore della
comunione frequente, a cui era naturalmente connessa quella della confessione
e direzione spirituale.
bestemmie. - Mese di Maria, predica e benedizione sui far della notte. - Nella Quaresha vi
ha un catechismo quotidiario alle 12. - Opera degli spazzacamini, dalla metà d'ottobre a tutto
maggio nei giorni festivi alle 10,30 vi ha 1a messa, catechismo ed istruzione speciale per &
spazzacamini (L'indicatore, p. 76).
(67) L'indicatore delle feste per Sanno 1862, p. 99-104, dà un «Elenco delle pie
Societi, Compagnie, Associazioni, Confraternite esistenti in Torino ». Erano cosi dlstribyite:
19 società, 24 compagnie e 5 confraternite. Lungo sarebbe l'elenco di nuove as,sociazioni co-
stituite nella %econdametà del secolo a Torino come la Società promotrice cattolzca (Labuono
settimana, 16, 1871, p. 120), I1 Circolo della gioventù cattolica B. Seb. Valfrè, Unioni Catto-
liche Operaie, Opera del danaro di S. Pietro, ecc. nelle quali ebbe parte il Perazzo: cf.
Mariano MANNIO, .F. M., Il seruo di Dio Paolo Pio Perazzo.. ., Torino 1929, P. 69-93.

16.4 Page 154

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Un opuscolo che accese una grande vampata fu La santissima comunione
di mons. de Ségur. Nel 1861 Pio IX ne distribuì copia ai predicatori quare-
simalisti di Roma. La pubhlicistica cattolica si affrettò a divulgare quanto in
quella circostanza ebbe a dire il pontefice: Questo libriccino, venuto di
Francia, ha già fatto molto bene. Bisognerebbe darlo a tutti i fanciulli quando
fanno la prima comunione » (").
Nella cerchia d'influsso di Don Bosco ne raccolse l'eco con vivissimo
entusiasmo il prevosto Erassinetti a Genova. Le idee sostenute dal de Ségur
e l'approvazione autorevole gli fornivano occasione propizia per riprendere
una battaglia che aveva già da tempo intrapresa e che gli aveva procurato non
pochi contrasti: .quella della comunione frequente infrasettimanale e anche
quotidiana dei semplici fedeli.
Nel 1864 pubblica tra le Letture Cattoliche di Don Bosco un fascicoletto
di 64 pagine diretto ai fedeli, relativo alla verginità e alla comunione euca-
ristica: Due gioie nascoste, per Giuseppe Erassinetti priore a S. Sabina in Ge-
nova P).L'anno seguente in una nuova edizione del suo Compendio di teo-
logia morale aggiunge in appendice un caldo appello indirizzato soprattutto
ai confessori e ai parroci (70).
Che cosa - egli chiede - aveva distolto dal concedere negli ultimi secoli
la comunione frequente e anche quotidiana? Una serie di false persuasioni.
Si era pensato che la comunione eucaristica era da riservare ai perfetti: a co-
loro, cioè, che ormai erano talmente irrohustiti che non sarebbero stati hm-
ciati dai raggi del divin sole, ma invece ne avrebbero ricevuti benefici influssi.
Era, questa, una errata idea del Sacramento. Gesù eucaristico era il divino ali-
mento per gli uomini viatori; era la medicina fatta per ogni fedele bisognoso:
fatta anzi specialmente per i deboli ed i malati. Erano appunto gli imperfetti
quelli che dovevano accostarsi con frequenza e con fiducia al cibo eucaristico,
accogliendo l'appello divino: Venite ad me omnes, qui laboratis et onerati
estis in via.
Che cosa potevano pretendere i sacerdoti dai senipiici fedeli? Una san-
tità superiore a quella che loro stessi avevano tutti i giorni, quando salivano
all'altare di Dio per il Sacrificio e per consumare la vittima divina? Perche
usare due pesi e due misure? Si fosse, dunque, equanimi e si concedesse ai
fedeli il pane eucaristico, perché non venissero meno per via in tempi tanto
calamitosi. Si ascoltasse il richiamo di Gesù, venuto non per i sani, ma per
gli ammalati.
I1 Frassinetti pone sul tavolo le argomentazioni che si volevano basare
sulla tradizione ecclesiastica in favore di una pastorale eucaristica restrittiva.
("j FAASSINETDTueI,gioie nascoste. Proposta agli amanti di Gesd, in Opere ascetiche,
3, Roma 1910, p. 253, nota, che trascrive dalSArchivio dell'ecclesiariico, fasc. 1, Firenze
1864, p. 81.
VY) LC %. 12, fasc. 10. Si ebbero altre edizioni: Torino, Libr. Salesiana Editrice 1909s.
FRASSINETDTisIs,ertazione sulla comunione gaotidiana, in Opere ascetiche, 4, Roma
1912, P. 1-29 e nel Compendio della teologia morale. . ., Genova 18673, p. 404.432.
Egli pensa probabilmente ad Antoine Arnauld, cita comunque espressamente
la critica dell'antigiansenista Giovanni Matchetti alla Stouia ecclesiastic~del
Fleury. I rigoristi solevano affermare che la Chiesa primitiva poteva concedere
il pane eucaristico tutti i giorni ai fedeli, perché quelli erano tempi di santità
e di fervore. È vero, argomenta il Frassinetti, appoggiandosi al Marchetti.
Erano tempi di fervore; ma probabilmente non più dei nostri. Erano tempi
in cui accanto ai santi c'erano anche i deboli. E non soltanto nel terzo e
quarto secolo, al tempo dei libellatici e dei traditori dei sacri libri, ma già al
primo. Bastava leggere i rimproveri che S. Paolo muoveva ai Galati e ai Co-
rinti per rendersene conto.
I1 concilio di Trento esortava a vivere cosi degnameilte, da potersi ac-
costare alli sacra mensa tutte le volte che si assisteva alla messa; dunque si
lasciasse che i fedeli fervorosi si cihassero del pane eucaristico tutte le volte
che ne erano degni. Su questo principio rigoristi e benigni erano d'accordo.
Non lo erano nei criteri per stabilire la dignità spirituale dei fedeli. Su questo
punto si era combattuta a lungo la battaglia. Ormai prevalevano i fautori
della comunione frequente. Ma in questa fase della lotta dottrinale e pastorale
si insiste molto sul giudizio del confessore o direttore spirituale. l3 il tipo di
spiritualità dell'epoca. Anime come Maria Enrichetta Dominici, come Domenico
Savio o Paolo Pio Perazzo trovavano naturale e come una esigenza questo
tipo di eteronomia spirituale. Non mancavano del resto a Torino sacerdoti,
come D. Cafasso, P. Carpignano, Marcantonio Durando, il parroco Genta, che
s'imponevano come r e h a t i conduttori di anime. Cosi, in quest'epoca di
dissoluzione delle strutture parrocchiali, la direzione spirituale, connessa al
richiamo eucaristico, diventava un mezzo di ancoramento sicuro alla Chiesa.
Nella fedeltà alla Chiesa dei comunicanti la riflessione teologica e la diwl-
gazione devozionale metteva in rilievo l'ex opere operato: l'adesione alla fede
e il fervore cristiano, come frutto operato dal sacramento per sua natura. Ma
non sembra infondato asserire, su un piano di psicologia e sociologia, che i'ef-
fetto della fede e del fervore derivava legittimamente da quelle cause che in
parte abbiamo finora descritte.
I1 libro del Frassinetti non era un frutta fuor di stagione; rispondeva
. ,. anzi a istanze che via via si erano liberate nella coscienza religiosa del clero e
del oooolo. ~arzialmenteg-nella prima metà del secolo che reagiva al rigori-
L
smo e ai disastri D della Rivoluzione francese. Clero e popolo erano sempre
attenti al grandissimo rispetto che bisognava usare per l'eucaristia e che d'al-
tronde, in quei tempi si voleva riparare con atti di amore e di fervore dagli
oltraggi che riceveva da << cattivi » di ogni genere. Accostandosi alla sacra
mensa e ricevendo Gesù nel proprio cuore - come si diceva - non soltanto
Maria Enrichetta Dominici, ma moltissimi altri badavano al fervore: al ca-
lore o alla freddezza che sentivano in sé, e alla dignità che poteva risultare
appannata da screzi con i1 prossimo o da mancanze nel compimento dei pro-
pri doveri quotidiani.
Segno che le idee del de Ségur e del Frassinetti rispondevano alle nuove

16.5 Page 155

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
istanze sono le numerose edizioni che si fecero di loro opuscoli, richiesti,
perciò, con tutta probabilità dai nuovi indirizzi pastorali.
I1 secolo dunque, oltre che secolo di Maria, poteva definirsi anche epoca
della confessione e comunione frequente. Forse mai prima di allora il clero si
era trovato talmente sovraccarico di confessioni più volte la settimana in par-
rocchie, santuari, istituti religiosi maschili e femminili per le più disparate
ricorrenze e per una clientela che si manteneva facilmente sulla confessione
settimanale o mensile.
Posto che siano attendibili le statistiche compilate da parroci e rettori
di chiese, nel 1874 si sarebbero avute le seguenti cifre: comunione settimanale,
più frequente o quotidiana a Torino: 38.500 fedeli; nell'archidiocesi: 66.500;
totale: 105.000, .pari al 25 % rispetto a quanti (i due terzi dei cattolici) erano
ritenuti obbligati alla comunione. Si sarebbero accostati una volta al mese alla
mensa eucaristica: 74.000 persone, pari al 18%; due o tre volte l'anno, oltre
al precetto pasquale: 18.500 persone, pari al 4% dei fedeli ~bbligati(~').
Si era in piena epoca del fervore. Nello stesso tempo si moltiplicavano pii
esercizi e associazioni a scopo devozionale, rifiorivano Terzi Ordini e si diffon-
devano abitini. Pastori vigili e attenti, come mons. Gastaldi e mons. Bonomelli
potevano provare una certa ansia nel timore che la devozione si sovracca-
ricasse e si disperdesse; non si concentrasse in Dio e Gesù, si stancasse e
inaridisse come un albero sovraccarico di frondi (n).I1 fervore poteva degene-
rare in sentimentalismo senza radici, alimentato appena da un senso del divino.
Erano ormai sintomi che la religiosità assumeva nuove movenze nell'era che
preludeva al modernismo: un'era che ormai supera l'arco della vita di Don
Bosco. Ma nel tempo di Don Bosco c'erano già le premesse. La comunione
eucaristica (atto pubblico), la comunione di masse era ormai un segno di
presenza cristiana nella società che si rinnovava. Accostandosi ail'eucaristia
. (7') Calendariurn liturgicum. . , seruandam anno bisrertili 1876, p. 85.
(72) Sono espressioni tratte da due pastorali di mons. Bonomelli: Il culto religioso.
Dilettidbusi. Pastorale per la Quaresima 1905; Sentimentalismo e j~rrnali~moin religione.
Pastorale per la Quaresima 1902, che abbiamo citate in L'Eucriristia nella spiritualità italiana
da metri Seicento.. ., p. 177-179. Ripetuti sono gli appelli di mons. Gastaldi in favore del
mito al Cuore di Gesù e ali'Eucaristia. Verso il 1877 cominciano le sue apprensioni nei
riguardi del miracolismo popolare e del sentimentalismo devozionale. A titolo di saggio
trascriviamo da una sua lettera pastorale sulla educazione delle Lanciulle, 1 marzo 1877:
« L a educazione, la quale si limita a coltivare la sensitività religiosa delle ragazze, e a reo-
dere loro amabile quanto è di sentimentale nelle pratiche della fede; che si contenta di
decorazioni deli'Oratorio, immagini che rappresentano Maria Vergine ben messa nei capelli;
luminarie, ornamenti deli'altare, splendore d i funzioni same, melodie, frag~anzadi incensi
e prediche, le quali muovono e dilettano la fantasia e svegliano le simpatie del cuore; ma
non va mai all'atto dei sacrificio, deli'ahnegaiione, dellumiltà, dei perdono per amore di
Gesù non potrà mai dirsi cristiana che in un senso imperfettissimo, perchi non farà mai delle
. fanciiille realmente cristiane, reaimente seguaci, ossia imitatrici di G. Cristo » ( G A S T I I ~ ~ I ,
Lettere pastorali. ., Torino 1883, p. 369). Sui dissapori tra DB e mons. Gastaldi riguardo
ai miracoli di Maria Ausiliatrice cf. MB 14, p. 522-539. Vi si accenna anche ali'atteggia-
mento deii'arcivescovo con l'editore Bineili che aveva ripnbblicata la Mistico città d i Dio,
di Maria d'Agreda.
in congressi cattolici, congressi operai, congressi eucaristici e mariani si aveva
ormai l'animo del confessore della fede, del lottatore che, nella grande bat-
raelia si sentiva anche un eroe, non schiacciato, ma stimolato ed esaltato dalla
massa (73)
9. Pratiche di pietà a Valdocco
Come si svolse la pratica religiosa a Valdocco? secondo quali ritmi? dove
attingeva alimento? in quale misura rispondeva alla cogente pressione delle
urgenze ambientali?
Una dsposta a questi interrogativi non può essere affatto globale. LO
sviluppo delle pratiche, infatti, fu condizionato certamente da quello assunto
in generale dalla pratica di Torino e del Piemonte; ma subi l'influsso anche
di altri elementi specifici, che abbiamo più volte già evocato come la distin-
zione tra internato ed esternato, tra studenti e anigiani! tra chierici e giovani,
tra educatori ed educandi, tra adulti e giovani, tra novellini e anziani della
casa.
L'oratorio esterno portava a Valdocco giovani torinesi e giovani immi-
grati. È difficile, e forse oggi impossibile, stabilire le proporzioni tra giovani
cittadini e provinciali all'Oratorio, tra gruppi di provenienza monferrina,
canavesana, biellese o di altre ragioni. Sotto questo aspetto è piu fortunata
una ricerca sull'internato, per il.quale molti elementi d'indole anagragca e
sociologica possono essere meglio definiti in base alle varie registrazioni. Rela-
tivamente alla vita cittadina l'Oratorio, soprattutto l'internato, . è aa consi-
derare alla stregua dell'Istituto Cottolengo (con i Tommasini) e opere ana-
loghe: come una cittadella protetta e, sotto molti aspetti immunizzata. Radia-
zioni e meteore di vario genere giungevano dopo avere attraversato l'atmosfera
costituita da Don Bosco e dai suoi collaboratori. Fatti cittadini politico-religiosi
a Valdocco erano visti in linea di massima secondo l'ottica di Don Bosco, che
stiamo appunto cercando di porre in luce in tutto il nostro discorso. Certa-
mente vi fu interscamhio di influssi di vario genere con la vita cittadina
(direttive della Curia, presenza all'oratorio di membri del clero diocesano,
partecipazione a feste. . .); ma non bisogna dimenticare quello specialissimo
e fondamentale tla l'Oratorio e la vita di provincia. Molti giovani venivano
prelevati dalla provincia e molti continuarono a gravitarvi stabilmente o perin-
dicamente. Ma quando sarà possibile intraprendere una ricerca su vasta scala
c..ir-c...il la riuscita dei giovani educati alla scuola di Don Bosco? A quali risultati
c~ncretipossiamo sperare oggi di approdare?
Per quanto riguarda la pratica religiosa a Valdocco I'interscambio con la
(73) È lo stato d'ilnimo dei cattolici militanti, quali Paolo Pio Perazzo, promoto? del-
l'Adorazione eucaristica quotidiana, e del conte Paganuizi, presidente dell'opera dei Con-
oressi. Di auest'ultimo, ci. le parole riportate nel saggio L'Eucaristia nella rpiritualitd italiana
da metà ~iiceccnto. . ., P. 16.65, nota 72

16.6 Page 156

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Don Bopsrcoovnienlclaiastosriiagndieflilcaarelcighioesitaàllc'aintttoelircnao. Vodl eIIl.lS'oterlalatorio la vita religiosa era favorita
dal fatto che i giovani trovavano costumi non dissimili da quelli che avevano
lasciato, che avrebbero forse ritrovato e che, secondo il desiderio di Don Bosco,
loro avrebbero dovuto incrementare (").
Codice fondamentale per le pratiche di pietà aIl'Oratorio, sia per gli
esterni che per gl'interni, fu il Giouane prouueduto: sia per i giovani che
per gli adulti, per i laici e per i chierici ("). Ma esistevano anche altri libri
di uso obbligatorio, come il Catechismo e altri testi scolastici, oppure di uso
privato per lettura spirituale e meditazione. Alcuni ci vengono indicati inci-
dentalmente, ad esempio, nella vita di Domenica Savio ( D e imitatione Christi
e Il tesoro nascosto nella santa messa di Leonardo da Porto Maurizio); altri
erano già suggeriti dal Giouane provveduto (la FiZotea di S. Francesco di
Sales, l'Apparecchio alla morte di S. Alfonso e Gesù al cuor del giouane di
Zama-Mellini) (76); altri, infine, sono indicati dalle superstiti liste di libri di-
chiarati dai giovani negli anni 1855-57 e dalle fatture Speirani, Paravia, Ma-
rietti dove troviamo indicati libri acquistati in grande numero e usati, presu-
mibilmente, all'Oratorio, come Gesù al cuore del diuoto di Maria del P.
Alessandro Teppa, la Corona di fiori a Maria santissima di Don Carlo Ferreri
e devoziouari come La giornata del cristiano o Il giardino di diuozione (n).
In linea di massima è possibile già dire che ail'oratorio e nella Casa an-
nessa la vita religiosa promossa da Don Bosco si articolava in un sistema di
pratiche comuni, usanze spontanee di gruppi e di singoli.
A tutti Don Bosco inculcava gli esercizi del buon cristiano mattina e
sera. Quelle che egli presentava nel Giovane prouueduto, sono le pratiche
nella quasi totalità prescritte o suggerite dal Catechismo diocesano di Torino
e di altre diocesi del Piemonte(7s). Nel primo lustro dell'internato al mattino
(74) Questa intenzione t posla in evidenza da Don Lemoyne in rapporto al canto litur-
gico e devozionale: cf. Indice MB p. 53 s, voce Canto grcgoriano. B implicita in pagine
biografiche che pongono in evidenza quanto giovani e chierici facevano durante le vacanze
.. nel paese nativo: cf. vite di Comollo, Savio, Besucco, Mazzarello (di Don Lemoyne), Saccardi
(di Don Bonetti). Sul servizio della messa cf. MB 9, p. 708 S.
(75) I1 che risulta, oltre che per tradizione, dalle liste d i libri dichiarati dai giovani
deli'oratorio (AS 38, Torino - S. Franc. di Sales 51).
(76) Menzionati nelle lettere SaviuMassaglia, inserite nella seconda edizione d i Bosco,
Vita del giovanetto Sauio Donzenico . .., Torino 18602,p. 100-104; [ I D. ] , Il gioviirie provve-
d u t o . . ., Torino 1847, p. 18.
. (77) Cf. sopra, nota 74.
(78) Cf. BOSCO, Il giovane provveduto. . . pt. 2, Esercizi particolari di cristiana pietà.
Preghiere dei mattino e deìia sera, ed. C,, p. 76-84:
a] Un buon figiiuolo appena svegliato deve fare il segno della S. Croce, indi offeriie
il suo cuore a Dio dicendo: Gesù, Giuseppe e Maria vi dono il mio cuore e l'anima mia.
bl Di poi alzarsi da letto e vestirsi colla massima modestia.
C ] S. Luigi Gonzaga voleva nemmeno che gli vedessero nudi i piedi, perché giudicava
la verecondia come un limpido specchio il quale anche ad un so50 solo si appanna.
. d l Mentre vi vestite potete dire: Angelo del Signore, che siete mio custode per ordine
della sua pietosa provvidenza, custoditemi in questo giorno..
le preghiere (Vi adoro, Padre nostro, ecc.) precedevano l'assistenza alla messa.
Questa doveva avvenire come nelle congregazioni degli studenti: in silenzio,
seguendo i momenti più importanti con i'aiuto delle meditazioni proposte dal
Giouane provveduto, forse anche inframezzando qualche canto. Don Francesia
ricorda che in quegli anni (1850.58') avveniva che vari giovani si presentavano
e ] Suhito vestito vi porrete ginocchioni avanti l'immagine d i Gesù cracifisso o delia
B. Vergine, indi reciterete le seguenti preghiere:
e ] Nel nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.
i l Signor mio, Dio mio, io vi dono tutto il mio cuore. - Vi adoro, e vi amo con
. tutto il cuore; vi ringrazio di avermi creato, fatto Cristiano, e conservato in questa notte.. .
g] Padre nostro, che sei ne' cieli. . . Dio ti salvi, o Maria, piena di grazia.. I o credo
in Dio Padre onnipotente . . . Dio ti salvi, o Regina, Madre di misericordia, vita, dolcezza . . .
i ] I Comandamenti di Dio sono dieci: 1. I o sono il Signore Iddio t u o . : . I comanda-
. menti della S. Chiesa sono cinque: - 1. Udire la messa intera tutte le Domeniche.. Atto di
. Fede. - Credo fermamente, che vi è Dio, il quale premia i buoni e castiga i cattivi. . - Atto
. di Speranza. - Mio Dio, perché siete onnipotente, misericordioso e fedele, spero.. . Atto
d i Carità. - Dio mio, vi amo sopra ogni cosa.. Atto di Contrizione. - Misericordia, Signore,
mi pento, mi dolgo con tutto il cuore di avervi offeso.. . Finite le preghiere portatevi da'
vostri genitori per intendere i loro ordini. .
Compendio della dottrina cristiana ad uso della diocesi di Torino. Breve catechismo,
lez. vreliminare. Di cib che debba fare un Ctistiano ogni giorno, Torino, Paravia 118441,
p. 9;
al D. che cosa debbe fare un buon Cristiano la mattina subito svegliato? - R. Il
. . segno della santa Crace dicendo: Nel nome del Padre, ecc.
61 Guida angelica. .., Torino 1767, p. 9: «Esercizio pratico per la mattina. .Subito
svegiiato invocate più volte, ma con divozione, i Nomi Santissimi di Gesù e Maria; indi
alzatevi prontamente da letto, mentre lo starvi così ozioso è uoppo nocivo al corpo, che
s'impigrisce negli umori, e molto più all'Anima, che resta esposta a mille diaboliche illusioni,
e fatto il segno della Croce vestitevi con tutta modestia ».
C ] Guida angelica, l. c.: « S . Luigi Gonzaga nemmeno soffcriva, che gli si vedessero
nude le gambe, essendo la verecondia a guisa d'un tersissimo specchio, che si può appannare
anche con un sol guardo D.
d ] Guida angelica, 1. c.: K Mentre vi vestite dite quakhe divota Orazione, come:
Veni Sancte Spiritus, etc. ».
Compendio della dottrina cristiana. . . , Esercizio del cristiano ogni giorno. - Pel
. mattino, ed. C,, p. 6: «Angelo di Dio, che siete il mio custode per ordine della pietosa sua
provvidenza, custoditemi in questo giorno. . ».
e ] Compendio della dottrina cristiana. . ., Esercizio del cristiano ogni giorno. - Pel
mattino, ed. c., p. 5: «Nel nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Cosl sia n.
. f ] Compendio della dottrina cristiana, p. 5-7: « V i adoro, mio Dio, e vi amo con tutto
il cuore, vi ringrazio d'avermi creato, fatto cristiano. .
. gl Padre nostro che sei ne' Cieli. . . Dio ti salvi, o Maria, piena d i grazia. . . Io credo
in Dio Padre onnipotente . . . Angelo di Dio..
h ] I comandamenti della legge di Dio sono dieci; primo: Io sono il Signore Dio tuo. . .
I comandamenti della S. Madrc Chiesa sono cinque; primo: Udir la messa tutte le dome-
. . . niche. . I sacramenti sono sette: Battesimo. Atto di fede. - Credo fermamente, che vi
. . è Dio . Atto di Speranza. - Mio Dio, perché siete onnipotente, misericordioso e fedele,
. spero. . . Atto di Carità. - Dio mio, vi amo sopra ogni cosa. . Atto di Contrizione. - Miseri-
cordia, Signore, mi pento, mi dolgo con tutto il cuore . . . Nel nome del Padre. .. P.
I1 testo del Giovane provveduto venne ritoccato parallelamente a quello del catechismo
diocesano. Non riportiamo i testi d i altri catechismi. Nell'Ottocento si è in fase progressiva

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
in sagrestia prima della messa per essere confessati da Don Bosco. I n chiesa
si stava a d aspettare in preghiera (o, comunque, i n silenzio), talvolta anche
per un q u a r t o d'ora e mezz'ora. D o n Bosco si presentava all'altare quando aveva
finito di confessare (79). COSIavveniva c h e più d i u n a volta i chierici d i Don
Bosco arrivavano i n ritardo i n Seminario e venivano ammoniti dai professori.
N o n c'era molto controllo stilla partecipazione dei giovani e degli stessi chierici.
Registrazioni di Don Bosco e segnalazioni di giovani e chierici (i decurioni),
ce ne r a d o n o fondatamente persuasi I giovani in quegli anni, come dice-
verso i'unificazione del catechismo in Italia. Nel frattempo il Compendio di mons. Casati,
adottato anche in Lombardia e nel Veneto, si imponeva nelle varie diocesi. Nel 1905.1912
il catechismo del Casati (ormai ritoccato, ampliato, ecc.) diveniva il catechismo di Pio X,
prima per Roma e poi per tutta l'Italia.
Una descrizione particolareggiata delle giornate festive all'Oratorio nei primordi è fatta
da DB nelle M 0 p. 174-176.Importante è la documentazione sulle pratiche di pietà (AS 232).
Tra il 1913-16 salesiani di vecchia data, come Don Cermti e Don Barberis s'impegnarono
a codiricare la genuina tradizione. Ne risultò il manuale Pratiche di pietà in uso nelle case
salesiane, Torino 1916.
(79) Trascriviamo un intero brano che illuminerà anche quanto diremo più avanti sulla
comunione frequente. FRANCESDI.AG,iovanni Bonetti sacerdote salesinno. Cenni biografi,
S. Benigno Canavese 1894, p. 29 s: «Finora [1854-'561 la santa comunione era regolarmente
frequentata ogni domenica e festa, ma lungo la settimana, non si era ancora introdotto l'uso.
Si può e si deve dire che questo hel regalo, che produsse e continuerà a produrre un gran
beneftzio in ogni casa della Congregazione Isalesiana], per mezzo della comunione frequente,
ebbe il suo principio in tal epoca. Cominciarono pochi a far la santa comunione anche a1
giovedì, e poi continuarono col consenso dei confessore a farla ora un giorno ed ora un
altro, e divenne tosto quotidiana. Allora due erano i preti della casa, Don Bosco e Don Alaso-
natti. Questi diceva la santa messa per gli artigiani, che andavano tuttavia quasi tutti a lavorare
in Torino, e Don Bosco per gli studenti. Quando Don Bosco discendeva per la santa messa,
sovente si trovava un numeroso stuolo di giovanetti, che desideravano di confessarsi per fare
la santa comunione. Allora capitava che si cominciavano le orazioni, colla recita del rosario,
si finivano, e Don Bosco aveva ancora da confessare. Unico disturbo a tanto ritardo che in
altri tempi di molta abbondanza di preti e di messe sembrerebbe impossibile, era il pensiero
che si arrivava alla scuola un po' tardi. Che allora le nostre scuole erano tutte in città per
il ginnasio e per la filosofia e teologia. Ed i giovani raccolti e pazienti, perché lieti di fare
la santa comunione ottenevano di comunicarsi prima della messa, poi i'ascoltavano con
tranquillità, ed alla fine uscivano dalla chiesa, col tempo appena di prendersi la pagnotta,
i libri, e shocconceilando per via, andavano a scuola. Alcune volte i professori avevano anche
ragione di querelarsi di quei ritardo, ma non pareva peso a nessuno di noi quel disagio
per frequentare la santa comunione a.
(80) Cf. AS 132 Oratorio, 13, Decuria settimanale presentata dal chierico Stefano
Vacchetta 11853-541: «Osservai che nei giorni di giovedì, vcnerdi, e sahhato (sic) non
tutti si alzarono alla medesima ora per far colazione, e non tutti andarono all'istess'ora a
scuola ». Per quale ragione non si fa nessun cenno alla messa? forse non era obbligatoria?
La decuria, come si comprende, riguarda studenti (o anche chierici?). Sulle decurie e sul
chierico Vacchetta cf. MB 4, p. 494 e 512; 5, p. I l S. A quei tempi non in tutti i collegi cat-
tolici, a quanto pare, c'era la consuetudine della messa quotidiana. Cf. ad esempio Francesco
CACCIARCI,. R. S.P., Vita del giovinetto Agnello Maria Rossi [1841-18571 d i Frutta hfag-
giore alunno dei PP. Barnabiti nel collegio d i S. Giuseppe a Pontecorvo in Napoli. . . ,
Napoli 1858, p. 26: alunno dei Barnahiti dai novembre i850 fino alla morte, dal 1854,
per potere comunicarsi frequentemente dovette ricorrere a un espediente; alzarsi prima dei
vamo, d a poco più d i una dozzina giunsero a superare il centinaio. Aumentando
il numero degli abitanti di Valdocco, e aumentato il n u m e r o dei collaborato^
di Don Bosco, dovette suscitarsi naturalmente .il meccanismo della disciplina.
Il consiglio della messa quotidiana dovette trasformarsi i n norma generale
e le preghiere del mattino con la recita del rosario s'infiltrarono nella messa
comunitaria. Altrettanto, d'altronde, avveniva altrove(SL). Uno dei metodi
suggeriti per assistere devotamente alla messa era la recita del rosario con la
meditazione sui misteri di Cristo e di Maria. Ciò era suggerito, già nel Set-
tecento d a vari Catechismi e, t r a l'altro, d a quello per la diocesi di Torino (O).
D a privata, i n epoca di fervore mariano, la recita diventò pubblica. In Pie-
m o n t e promotore del rosario durante la messa fu il domenicano amico d i D o n
Bosco mons. Gbilardi, vescovo di Mondovi. Dalla Francia veniva l'esempio
del curato d'Ars che aveva introdotto l'usanza nella sua parrocchia (83). Nella
seconda metà de! secolo Giovanni Maria Vianney e r a diventato per il clero
cattolico un simbolo, u n a speranza e una bandiera. Molti umilissimi ecclesia-
stici, come il curato d'Ars in paesi che sembravano u n a terra arida e sterile,
come lui poverissimi, frugali e con pochi mezzi di sostentamento sincerissi-
mamente pregavano e operavano ripromettendosi il rifiorire della religione,
della pratica e del fervore mediante i'aiuto d i Dio, per mezzo del pane euca-
ristico e la devozione a Maria santissima (@). L'attaccamento tenace di D o n
compagni e servire la messa a qualche.padre. D'ordinario «l'intervallo comunemente asse-
gnato » agli alunni per i'uso dei sacramenti era di otto giorni.
Negli Stati Sardi la messa era obbligatoria per gli studenti tutti i gioSniidi scuola.
Ogni studente doveva «avere il suo iibro di divaione e leggerlo mentre si celebraiva] il
santo Sacrifizio, standovi col dovuto raccoglimento in ginocchio ». Cf. Regolemento per le
scuole fuori dell'Università, tit. 4, cp. 1, § l, n. 134 s, in Raccolta degli atti del governo,
vol. 12 (1822), Torino 1845, p. 544.
(8') E cioè, a Torino, presso i Tommasini, nel Collegio degli Artigianelli e in istituti
educativi tenuti da suore.
(82) Compendio della dottrina cristiana ad uso dello diocesi di Torino, Catechismo
degli ammessi alla comunione e degli adulti, pt. 4, lez. 5, § 2, ed. G., p. 113: « D . Qual
è il miglior modo di praticare la divozione del cuore [assistendo alla messa]? - R. Far
queste quattro cose: l. Unire da principio la sua intenzione a quella del sacerdote, ofierendo
a Dio il santo sacririzio per i fini pei quali è stato instituito. 2. Accompagnar il Sacerdote in
ciascuna preghiera e azione del sacrificio. 3. Contemplar la passione e morte di Gesù Cristo,
. . . e detestare di cuore i peccati che ne sono stati la cagione. 4. Fare la comunione spirituale
nel tempo che si comunica il sacerdote D. chi non sapesse far tanto potrebbe nel tempo
della messa recitare la corona o altre orazioni? - R. Lo può fare, perché ciò non impedisce
dali'assistere con attenzione e divoiione a quel tremendo sacrificio D.
(u)Cf. STELLA, L'Eucaristia nella spiritualità italiuna da metà Seicento . . ., p. 156.
(M) In tal senso cf. GASTALDI, Cenni storici srlla vita del sncerdote Giovanni Mnria
Vianney paroco d'Ars. . .,Torino 1879, p. 5 s: «Egli è nostro desiderio di mettere in mostra
le virtù di questo servo di Dio, e di far vedere, ch'esso fu il modello più perfetto che mai
si possa desiderare di un parroco. Gli ecclesiastici, specialmente i parroci, avranno molto da
imparare dalla vita di questo santo Sacerdote, mentre avranno motivo di rallegrarsi che Iddio
a' d i nostri abbia decorato il clero di un ornamento così splendido. . .D. Prima edizione
LC a. 11, 1863, fasc. 3 e 4. Alcune curiosità: l'emporio di Felice Borri in Torino vendeva
anche: a) tabacchiere in corno di hufalo col ritratto di Pio IX, del Curato d'Ars e mn

16.8 Page 158

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Bosco alla recita del rosario è frutto del medesimo stato d'animo e trova
riscontro in altri che, come lui, erano leaders religiosi in Italia, Francia,
Spagna: Lodovico da Casoria; Giovanni Maria Vianney, Federico Ozanam,
Giovanni Maria Claret, la madre Micaela del SS. Sacramento. Per quanto
riguarda Don Bosco non bisogna perdere di vista i dati che gli provenivano
dalla sua esperienza educativa. A questo proposito è indicativa una testimo-
nianza di Don Lemoyne, che per sé si riferisce alle preghiere in comune e
ad alta voce. Qualcuno osservò che sarebbe stato meglio lasciare che si dices-
sero sotto voce ( o in silenzio?) in modo che i giovani si assuefacessero al-
l'orazione mentale. Don Bosco avrebbe risposto:
« I ragazzi sono cosl fatti che se non pregano ad alta voce cogli altri, lasciati a
sé non direbbero più le preghiere né vocalmente, né mentalmente. Quindi posto
anche che le dicessero solo materialmente, anche distratti, mentre sono ocnipati a
pronunziare le parole non possono parlare coi compagni, e le stesse parole che dicono
anche solo materialmente servono a tener lontano da loro il demonio D (85).
A questi apprezzamenti e orientamenti potrebbero accostarsi i punti
di vista che Don Bosco affida alla biografia di Francesco Besucco e si avrebbe
già una garanzia sull'attendibilità di quanto riferisce Don Lemoyne: la volubi-
lità dei « giovanetti » è tale, che « loro fa sembrare nauseante ed anche
enorme peso qualunque cosa richieda seria attenzione di mente. Ed è una
grande ventura per chi da giovanetto è ammaestrato nella preghiera, e ci
prende gusto » (@).La preghiera vocale comunitaria, compresa quella durante
la messa, sembra dunque trarre motivo non da ragioni liturgiche, ma da osser-
vazione psicologica. Don Bosco - almeno riflettendo sulla preghiera - non
pare badi al valore di segno che può avere la preghiera comunitaria. Egli h*
presente la mobilità dei giovani; anzi, dei suoi giovani: adolescenti e popolani.
La loro condizione è perciò anche diversa da quella che poteva essere tenuta
presente dalle costumanze della congregazione per gli studenti del Settecento
o del primo Ottocento. A quei tempi si trattava di una certa aristocrazia tra
gli adolescenti. E inoltre, potremmo aggiungere, allora si era in tempi in cui
il costume e la letteratura devota favorivano l'individualismo: la pietà inte-
riore, fondata sul colloquio intimo con Dio. Invece a metà Ottocento il moto
spirituale è verso le manifestazioni collettive, che allora però continuavano a
servirsi dei mezzi di espressione che aveva avuto la pietà individuale dei tempi
anteriori: si servivano cioè dei pii esercizi, elevandoli a strumenti di espres-
immagini di Madonne e Santi in miniatura, L. 5,50 cad.; b) cannocchiali microscopici coiie
riproduzioni in fotografia deiia Madonna di Spoleto [Auxilium Christianorum], del Sanm
Padre Pio IX e del Curato d ' h : «servono per ciondolo aUa catena dell'orologio, L. 1 cad.
franco posta ». Cf. GASTALDMIe, morie storiche del teologo Giovanni Ignazio Vola Tacer-
dote torinese (LC a. 13, fasc. 4), Torino 1865, p. 213 a.
(85) MB 6. p. 173.
(W) BOSCOI,l pastore110 delle Alpi. . ., Torino 1864, p. 113 S.
308
sione comunitaria, come surrogato di una liturgia veneranda, che traspariva
solo nel suo complesso attraverso la poco comprensibile ( o del tutto incom-
prensibile) lingua latina. La risposta di Don Bosco, riferita da Don Lemoyne,
pare avere come contesto appunto l'esperienza d i Don Bosco con gli adole-
scenti dell'oratorio festivo o dell'internato. Forse anche ha presenti i giovanotti di
provincia e di città, dei quali poteva conoscere la tendenza ad assimilare il
costume virile riluttante a certe forme di atteggiamento devoto e silente.
I1 fatto è che nelle case educative salesiane, certamente in linea con gli orien-
tamenti di Don Bosco, venne preferito il costume della recita comune delle
preghiere vocali, in chiesa e fuori, per adolescenti e giovanotti. L'educazione
alla preghiera mentale venne affidata a momenti e a esercizi scelti liberamente
dal giovane, nelle circostanze previste e anche offerte dai regolamenti e dalle
costumanze ("1.
Don Bosco addita sempre con simpatia pratiche religiose suscitate da
gruppi sorti per una iniziativa, con il suo intervento, sotto il suo controllo e
con il suo incoraggiamento. Approva, ad esempio, che si stabilisca all'Ora-
torio l'usanza della Visita al SS. Sacramento, allorché studenti e artigiani
sospendevano lavoro e studio per un po' di ricreazione nel cortile. Egli stesso
assegna fioretti nelle novene che precedono le feste più importanti, approva
e favorisce che nel mese di maggio si preparino altarini nei dormitori comuni;
descrive gl'intimi fervori eucaristici e mariani di vari giovani, i propositi di
virtù fondati sulla preghiera ~ u p p l i c e ( ~ ~Er)a.no queste linee direttive sulle
quali sperava che si muovesse la pietà individuale e si alimentasse .il'« gusto »
per la preghiera.
( m ) Oltre alle pagine che DB dedica alla preghiera e devozione di Savio, Magone
Besucco, cf. quanto scrive sulle iniziative devozionali dei giovani a Valdocco e sulle loro
industrie per meditare c fare lettura spirituale: FRANCESIAD,. Giovanni Bonctli . . ., p. 16-57;
ID., Memorie b i o g r a w e di salesiani defunti.. ., S. Benigno Canavese 1904, p. 25-33
(«opere di pietà » di Giuseppe Bongiovanni all'Oratorio); ID., Memorie biografiche del
sacerdote Celestino Durando. . ., S. Benigno Canavese 1908, p. 13-16; 27-31.
(88) Tra l'altro DB narra come a Pietro nelI'Oratorio usava interrompere i trastulli
per recarsi in chiesa, «fare senza disturbo una visita al SS. Sacramento, recitare la terza
parte del rosario, e percorrere le stazioni della Via Crucis . . . Alcuni compsgni, dati ancb'essi
alla divozione se ne accorsero, e ne seguirono l'esempio, Da ciò derivò l'uso, che si conserva
ancora oggigiorno, di recitare la terza parte del rosario dopo compartita la benedizione del
SS. Sacramento [nei giorni festivi]; a cui prcnde parte soltanto chi vuole, senza esserci
alcuna obbligazione, mentre il maggior numero dei giovani si dà ai divertimenti nel cortile ».
Cf. Bosco, La forza della buona educazione. . . , Torino 1855, p. 63. In quel medesimo tempo
a Torino si diffondevaI'uso della benedizione eucaristica infrasettimanale e anche quotidiana.
Cf. GASTALDitIfe, morie storiche del teologo Giovanni Ignazio V o l a . . ., p. 36 s: «Non è
a dire il vantaggio incalcolabile che ridonda alla religione ed alla santificazione delle anime
da questa santa pratica, che si è introdotta in Torino di dare la benedizione del SS. Sacra-
mento ogni sera in quasi tutte le chiese. Quanto sarebbe mai da desiderarsi che in tutte
le città ed in tutti i villaggi si introducesse questo santo costume! n. Si ha l'impressione
che la funzione attirasse un numero soddisfacente di devoti.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
La confessione, come notammo, era una colonna della pratica religiosa
ottocentesca. Se ne avvertiva i'importanza per conservare e consolidare la
fede cristiana. Era elemento im?ortantissimo di trasformazione interiore, sia
per il risanamento dal peccato, sia per un maggiore aiuto divino e un maggiore
slancio di fede e carità. Abbiaino anche notato che la campagna per la frequente
comunione aveva avuto come ripercussione anche una maggiore frequenza di
confessione sacramentale, portata al limite massimo di frequenza settimanale,
anche per i semplici fedeli che volevano impegnarsi nelle vie del fervore. La
dottrina non presenta novità. Anche quella espressa da Don Bosco è quella
della catechesi comune sia per quel che si riferisce alle cinque componenti
della confessione (esame di coscienza, dolore e proposita, accusa e soddisfazione),
sia anche per ciò che riguarda le qualità del ministro (tenuto al sigillo sacra-
mentale, giudice, maestro, medico, padre), sia infine per quel che riguarda le
disposizioni del penitente e il comportamento da tenere prima, durante e
dopo la confessione (umiltà, sincerità, brevità, fermezza dei propositi, con-
trolli negli esami d i coscienza quotidiani, preghiera. . .) ("),,
La singolarità della confessioi~ea Valdocco sta specialmente nel fatto
che Don Bosco confessore tendeva a essere il padre, l'amico, il confidente, la
guida, l'ideale dei giovani già nella vita ordinaria di ogni giorno. Molti dove-
vano appressarsi al suo confessionale con la stessa semplicità, confidenza,
affettuosità con la quale gli si avvicinavano in cortile per ascoltarlo o soltanto
per sentirglisi vicini. Con chi si trovava a disagio perché, ad esempio, si tro-
vava da poco nell'internato o ali'oratorio festivo, Don Bosco usava ia tattica
che, come lui stesso riferisce, adoperb con Bartolomeo Garelli nel 1841.
Ai penitenti che non sapevano come cominciare chiedeva: quanti fratelli
hai? hai fatto colazione? . . . Cosi, sfiorando appena i'animo del ragazzo nei
punti sicuramente vulnerabili, apriva la via alla confessione sorretta, quando
era il caso, da domande sobrie, ma calcolate ('O). C'era allora chi ne approfittava
e, sfruttando il momento di confidenza, chiedeva a Don Bosco che continuasse
a fare domande o, magari, sciorinasse lui tutta l'accusa. E Don Bosco talora
P9)Cf. Indice MB p. 89-93: voci Confessionale, confessione, confersore. In sintesi
la catechesi di DB si trova nel Giovane prouveduto.. . , Torino 1847, p. 93-98 (Maniera
. pratica per accostarsi degnamente al sacramento della confessione), rielaborato neli'ed. 1863,
p. 115-128; Il mese di maggio.. . giorno 21 e 22, Torino 1858, p. 124-133(la confessione, il
. confessorc); Conuersazioni tra un avvocato ed un curato di campagna. . . , Torino 1855;
I1 cattolico prouveduto per le pratiche di pietY. . ., Torino 1868, p. 371-436.. Ma le
pagine più vive e più personali sono quelle delle note biograhe: Savio, Magone, Cafasso,
Besucco, da integrare con le testimonianze su DB (cronache di Don R&o, Don Bonetti,
ecc., M 0 . . .). Una buona selezione di testi si ha in Domenico BERTETTOSa,n Giovanni Bosco
maestro e guida del sacerdote, Colle Don Bosco 1954, p. 102-209. Utile è anche la disserta-
zione di laurea di Salvatore STRANO, Don Bosco e la confessione frequente dei giouani,
Acireale 1960.
l
P) MB 3, p. 156 e specialmente MB 7, p. 192-194 che riportano dalla cronaca di Don
Bonetti.
l
i
lo faceva, elencando fatti che qualche volta facevano trasecolare il fanciullo,
che con gli occhi lucidi bisbigliava il suo assenso, riconoscendo di avere offeso
il Signore con le colpe che Don Bosco enumerava.
Don Bosco era u n confessore rapido. Era una caratteristica ch'egli stesso
indica come pregio di Don Cafasso confessore(9i): era la prassi raccomandata
da moralisti e pastori che avevano esperienza di missioni popolari, come Leu-
nardo da Porto Maurizio (92).Essa d'altronde diventava una esigenza in tempi
di confessioni d i massa molto frequenti.
La confidenza paterna e filiale che non distingueva molto tra confessione
e altri momenti senza dubbio poteva dare adito a inconvenienti, ma nel caso
di Don Bosco, a quanto sembra, favoriva una coesione spirituale singolaris-
sima, che' è da considerare come n110 dei fini che Don Bosco desiderava rag-
giungere per conseguire io scopo supremo della educazione cristiana e perciò
la garanzia di condurre i ragazzi sulla strada della salvezza eterna. La confi-
denza totale dentro e fuori confessione ci dà anche motivo per comprendere
la rapidità di Don Bosco confessore all'Oratorio. Ma non deve sfuggire la
funzionalità che Don Bosco vi assegnava in rapporto alle vita cristiana del
giovane. Conviene sentirlo da Don Bosco stesso:
«Qiiando sarete loro entrato in confidenza - raccomanda al confessore in mar-
gine alla vita di Magone -, prudentemente fatevi strada ad indagare se le confes-
sioni della vita passata siano ben fatte. Perocché autori celebri in morale ed in asce-
tica e di lunga esperienza e, specialmente un'autorevole persona che ha tutte le ga-
ranzie della veriti, tutti insieme convengono a dire che per lo più le prime,confessioni
dei giovanetti se non sono nulle, almeno sono difettose per mancanza di istruzione, o
per omissione volontaria d i cose da confessarsi. Si inviti il giovinetto a ponderare bene
lo stato di sua coscienza particolarmente dai sette ai dieci, ai dodici anni. I n tale
età si ha già cognizione di certe cose che sono grave male, ma di cui si fa poco conto,
oppure si ignora i1 modo di confessarle. Il confessore faccia uso di grande prudenza e
di grande riserbatezza, ma non ometta di fare qualche interrogazione intorno alle cose
che riguardano alla santa virtù della modestia »(m).
(91) Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe C a s o. , Torino 1860, p. 77 s:
« Vuolsi qui notare che ie conferenze di D. Caffassonon erano solamente uno studio astratto,
un lavoro di tavolino, ché anzi ogni cosa egli appoggiava sulla pratica. Insegnava il modo
di ascoltare con fmtto le confessioni dei fedeli, ma egli stesso passava più ore al confes-
sionale; osservava se la sua morale riusciva fruttuosa; ne notava gli effetti e le conseguenze,
e ciù faceva con tale destrezza, o dirò meglio, con tale pieta, scienza e prudenza che non
saprebbesi dire se fosse più grande la consolazione ed il frutto in chi i'ascoltava nelle con-
ferenze od in chi aveva la bella sorte di avere in lui una direzione spirituale. Di qui nasceva
quella, direi quasi inndita, speditezza nel confessare. Poche parole e talvolta un solo sospiro
del penitente bastavano per fargli conoscere lo stato dell'animn. Non padava molto al
confessionale, ma quel poco era chiaro, esatto, classico e per modo adattato al bisogno,
che un lungo ragionamento non avrebbe ottenuto migliore effettoD.
(9" )LEONARDO DA PORTO MAURIZIO, Diretto~io della confessione generale in cui si
porge sufficiente lume si o' confessori, come a' penitenti per farla compitamente, e con faci-
li12 e brevità. . ., Torino, Marietti 1840: il titolo promette già tutto.
(93) BOSCO, Cenno biografico sul giouanetto Ategone Michele. . ., Torino 1861, P. 28.
Il testo è rimasto immutato, vivente DB, 6 . ed. 18803, p. 25.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Dunque Don Bosco non discute, ma si dichiara sicuro sulla capacità che
hanno i bambini, già sui sette anni, di conoscere la gravità di colpe(94); sulla
possibilità che possano commetterle e ometterle in confessione. Potrebbe stu-
pire l'espressione: «cose che sono grave male, ma di cui si fa poco conto D.
Don Bosco non la mutò nelle edizioni successive, nonostante potrebbe apparire
contraddittoria o, per lo meno, oscura. Avrà pensato Don Bosco, che il ragazzo
possa farsi della stessa azione simultaneamente un giudizio morale contraddit-
torio, si da ritenerla una colpa grave e tuttavia di poco conto? L'ipotesi
appare troppo in contrasto con il tipo di teologia e di catechesi assimilata
da Don Bosco. O piuttosto avrà pensato al processo psicologico snodatosi
prima, durante e dopo l'atto peccaminoso ('j)? Avrà voluto dire che il ragazzo
al momento della colpa ne avvertiva la gravità, ma poi, ponendosi il problema
della confessione per motivi diversi avrà ritenuto il fatto come di poco conto?
Ponendosi il problema della confessione il ragazzo avrà potuta provare
contrasti interiori, avrà richiamato in tribunale di appello i propri atti e li
avrà assolti come di poco conto? Don Bosco poté temere questi contrasti.
Egli trova saggia la prassi indicata dal Catechismo diocesano: si dica ai ragazzi
che confessino anche i peccati dubbi; non si propongaiio loro nemmeno le
distinzioni e discussioni dei teologi, perché ciò non avrebbe giovato e avrebbe
favorito coscienze erronee o false(%).
(N) Ciò, ali'incirca, si riscontra già in Leonardo da Porto Maurizio. Egli, nella con-
fessione generale vuole che si tralascino altre interrogazioni (sui misteri principali della
fede. . .) e si vada dritto a colpe relative al sesto comandamento: «Confessore. Or ditemi
di grazia, avete lasciato di confessar mai qualche peccato per erubescenza o timore? nwero
. dubitando, che fosse tale, I'avete mai taciuto al confessore? - Padre sì, questa è
la spina, che in ogni confessione mi ha punto sempre il cuore.. - C. O r bene lasciatevi
regolare da me; e per cominciare da capo, quando eravate in quell'età di sei o sette
anni vi ricordate voi di aver commessa qualche insolenza disonesta? - P. Padre sì, più e più
. . volte; e questo per appunto è quel peccato che non ho mai confessato bene; oh quanto
me ne dispiace! .n. Cf. Direttorio della confessione generale. . ., ed. c., p. 62 S.
Sono, queste, ipotesi che si pone Leonardo da Porto Maurizio nella Istruztone
per fare con facilitd e brevità la confessione generale, § 6, in Direttorio della confessione
generale.. ., ed. c., p. 30.35.
(s)Compendio della dottrina cristiana ad uso della diocesi di Torino, Catechismo ad
uso degli ammessi alla comunione e degli adulti, pt. 4, l a . 6, § 6, Torino, Paravia [1844],
p. 123: «D. Che w o l dire [confessione1 sincera? - R. Che bisogna dichiarare i suoi pec-
cati quali sono, senza scusarli o diminuirli, o accrescerli: confessare i peccati certi come
certi, i dubhii come duhhii »; Bosco, Il giovane provveduto.. ., Torino 1863, p. 126:
«Sincerità [nella confessione]. Si manifestino i proprii peccati schiettamente e senza scusa.
Si sfugga la prolissiti nei dire, l'apporre ad altri la cagione dei proprii peccati. Confessiamo
i peccati certi come certi, e i duhbi come dubbi D; ID., Cenno bioguafico sul giovanetto
Magone Michele.. ., Torino 1861, p. 19: «Non voglio per ora entrare in cose di coscienza;
ti darò solamente le norme per aggiustare ogni cosa. Ascolta adunque: se le cose di tua
coscienza sono aggiustate nel passato, preparati soltanto a fare una buona confessione, espu-
nendo quanto ti è accaduto di male dali'ultima volta che ti sei confessato. Che se per timore
o per altro motivo hai ammesso di confessare qualche cosa; oppure conosci qualche tua
confessione mancante di alcuna delle condizioni necessarie, in questo caso ripiglia la
confessione da qual tempo in cui sei certo di averla fatta bene, e confessa qualunque
cosa ti possa dare pena sulla coscienza ».
Egli perciò invita i giovani a manifestare candidamente, con la massima
confidenza al confessore tutto ciò che li inquieta: cosi insegnavano le spiegazioni
catechistiche e i libri di pratica cristiana; nulla si tenesse nascosto al confes.
sore, ch'era il medico al quale con tutta confidenza bisognava manifestare
quanto poteva giovare a prescrivere una buona cura. In chiave psicologica
e di psicanalisi si potrebbe dire che Don Bosco, come gli autorevoli teologi
e pastori ai quali intende appoggiarsi, intuisce il valore terapeutico sia della
confessione generale degli adolescenti, sia quella dei peccati dubhi. Egli però,
come moralisti e pastori d'anime, mostra di avere soprattutto presenti le
condizioni di spirito nell'ottica religiosa: dello stato di grazia da acquistare,
rinsaldare e fecondare. Inoltre non è da escludere che le sue considerazioni
circa i giudizi di valore dei ragazzi siano suggerite dalla rappresentazione
mentale che poté avere mentre scriveva: ragazzi assembrati vicino al con-
fessionale, raccolti o svagati, che il per li - nella loro mobilità giovanile -
pensavano solo alle colpe commesse in collegio, dove venivano ad adeguarsi
a una vita di pietà che prima ignoravano; e non pensano per nulla ai casi
precedenti; oppure istintivamente, per una non consapevole riluttanza, non
rimuovevano la pietra posta su monellerie o immodestie commesse al paese
o al cascinale nativo in circostanze e ambienti, che per loro erano ormai remoti.
Sarebbe, invece, una distorsione interpretativa pensare che Don Bosco, gian-
senisticamente, tendesse all'integrità materiale dell'accusa, prescindendo dalla
consapevolezza soggettiva o ritenendo ugualmente colpa quanto veniva com-
messo per ignoranza invincibile e sotto la spinta delle passioni disordinate.
Ben altra cosa è il chiedere ai ragazzi la confessione dei peccati anche dubhi,
per impedire che - a loro danno - collocassero in tale categoria quelli
certi.
Probabilmente sullo sfondo dell'insegnamento di Don Bosco, oltre alla
dottrina conosciuta in Seminario, al Convitto e altrove e all'esperienza di con-
fessore, è da vedere anche la sua esperienza di penitente. Ancli'egli, adole-
scente, svelò a Don Calosso ogni segreto della propria vita, e asserisce di
averne ricavati vantaggi fondamentali per la sua vita interiore: lo confida
ai Salesiani nelle sue Memorie certamente nella fiducia che ciò servisse di
esempio e di testimonianza. L'iniziativa allora, nel 1829-30, poté benissimo
. . Don Lemoyne ci tramanda, tra le norme date da DB ai Salesiani nel 1870, la seguente:
« N o n distaccarci mai dal catechismo. Non vogliamoci credere più dotti e più prudenti di
quei santi Vescovi che lo compilarono. Per es. il catechismo dice che i peccati dubhi dch-
hono essere confessati come dubbi e i certi come certi. I Teologi sostengono che i peccati
dubhi non siamo obbligati a confessarli, ma i giovani sapranno cosa vuol dire peccato
dubbio? No! Anzi metteranno fra i dubbi certi peccati dei quali hanno più vergogna e
quindi sacrilegi. E così via discorrendo » (MB 14, p. 838 s). Tale prassi era insinuata nelle
Pratiche cristiane ossiano oraxioni quotidiane . . . ad uso degli scolari delle scuole cristiane
della città di Torino, Torino, Marietti 1834, p. 103: « I n ogni pericolo di peccare, ad
ogni sporco e cattivo pensiero si dica subito: Gesù e Maria aiutatemi a vincere questa
tentazione. Similmente quando si sa o si dubita di aver peccato, si dica subito: Gesù e
Maria, aiutatemi a far adesso un atto di contrizione, e quanto prima una buona confes.
sione D.
313

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
essere di D o n Calosso; p o t é benissimo rispondere alle esigenze interiori d i
Giovannino Bosco("). Don Calosso però, accogliendo (come sembra) la con-
fessione generale del ragazzo avrebbe fatto q u a n t o n o n molti anni dopo, in
ambiente religioso contiguo, veniva compiuto dal padre filippino, confessore
d i Maria Enrichetta Dominici (").
Ripercorrendo le conoscenze di Don Bosco in materia teologica e pastorale
potremmo trovare, in linea d i massima, le opinioni d a lui espresse in S. Al-
fonso, nel Lhomond, in Carlo Emanuele Pallavicini, nella Guida angelica
(97) M 0 p. 36. Per sé non ricorre il termine «confessione generale » e nemmeno si
parla del passato. Anche qui, si tratta di ipotesi fondata suUa conoscenza della pastorale
che abbiamo finoia presentata e sulle affermazioni di DB, intento più che altro a porre a
fuoco la confidenza totale con il confessore: «Gli feci conoscere tutto me stesso. Ogni parola,
. ogni pensiero, ogni azione eradi prontamente manifestata. Ciò gli piacque assai. . .D.
("1 La Dominici era sugli undici-dodici anni. Cf. Vigilia eroica . . . p. 95 s: « In
questo tempo decisi pure di fare una confessione generale che fino a quel tempo non
avevo ancor f a t t a . ..
I o mi credevo che quella confessione dovesse durare non so quanto tempo, e rimasi
meravigliata quando vidi che nello spazio di un quarto d'ora circa avevo terminato ogni
cosa [.. .l Questa confessione fu per me sorgente di pace e di tranquillità. Una volta sola
ricordo che mi venne un dubbio su qualche peccato accusato c che temevo di non aver
detto quale era in realtà. Manifestai tale timore al confessore, ed egli mi fece la più rigorosa
proibizione di mai più far ritorno sulle cose passate. Cosa che mi fece assai del bene e
mantenne in me costante la pace e la tranquillità d'animo, così che mai in vita mia provai
disturho od inquietudine vera suile mie confessioni passate. Dico disturbo ed inquietudine
vera, perché de' vani timori momentanei me ne sono venuti e me ne vengono molti, ma
non ne faccio alcun caso. Dio sia benedetto di tutto! D.
(99) Di S. Alfonso sono da ricordare 1'Homo apostolicus, tract, 21, punct. 3, $1: De
interrogationibus faciendis rudibus; punct. 4: Quomodo cum pueris, adolescentibus et
puellis, ed. Torino, Marietti 1844, p. 638-644 e 648-650. Del Lhomond è da vedere tutto il
Metodo da tenersi nell'ascoltare le confessioni dei fanciulli, inserito in Domenico MORO,
Il stardote cattolico tenuto ad ascolture le confessioni. . ., Ivrea 1832, pp. 125-182. Per
fanciulli, si awerte a p. 125 qui si intendono li figliuoli dal primo spuntar della ragione
sino all'uso perfetto della medesima solito aversi dai 16 ai 18 anni ». Degna di nota è la
prassi suggerita, quando si ha da fare con un «fanciullo » recidivo in colpa grave: «Voi ne
troverete di quelli, che [.. .l hanno avuto quest'uso di frequentare li Sacramenti durante
l'abito [gravemente peccaminosol. Egli è necessario in questo caso di rimontare con essi
da comunione in comunione, finché se ne trova una ben fatta, cioè dopo una prova su&-
ciente per fondare sovra un sodo fondamento, e ripigliare da quest'epoca tutta la loro vita
passata con una rivista esatta senza perturbarli, biasimare il confessore, che li ha assolti
troppo facilmente s (o. c., p. 175s). L'opera del Lhomond, citata anonima e in francese
(Méthode pour conferser le8 enfentr) si trova tra quelle consigliate per istruz.ioni ngi
Capitolo generale secondo dei Salesiani (Deliberazioni..., Torino 1882, p. 68). Di C. E.
PaUavicini sono da vedere le Lettere sulla pratica maniera di ~imministrareil santo sacra-
mento della penitenza; specialmente dalla prima i paragrafi Destrezza in iscoprire il male
del penitente (n. 17-23], Uso pratico della dlscrezio~ienel dar sentenza con li giovanetti di
età (n. 671, Avveutenza per la co!tfession generale dei recidivi (n. 93-95): cf. [PALLAVICISI],
. I l sacerdote santificato ncll'attenta recitazione del divino affizio; nella diuota celebrazione
del SI. sacrificio; nella retta amministrazione del sacramento della penitenta. ., Nizza 1844,
p 192-199; 270.272; 313-317. Della Guida angelica. . ., Torino 1867, ci. il breve paragrafo
sulla Confessione generale e stabilimento di uita (p. 32 s).
Carlo Gobinet vuole di regola la confessione generale del giovane all'inizio
dell'impegno nella strada della pietà e ne offre diverse ragioni abbastmza impa-
rentate con quelle che conosciamo in Don Bosco:
« L a confessione - scrive il Gobinet - essendo nn sacramento istituito da
Gesù Cristo per cancellare i peccati de' cristiani, e per rimetterli i n grazie di Dio, non
vi ha dubbio alcuno esser questo un mezzo non solamente utile, ma necessario Der
acquistar la virtù e la sanità la quale dee cominciare dalla purgazione de' peccati.
O r a affinché questo mezzo vi sia proficuo, vi consiglio cominciare per una confessione
generale di tutta la vostra vita e ciò per tre ragioni.
Primo, perché bene spesso accade, che le confessioni precedenti sieno state nulle,
come quando vi si è celato qualche peccato mortale; il che avviene pur troppo ai gio-
vani, o allora che si sono fatte senza sufficiente preparazione, senza dolore de' peccati,
o senza risoluzione di correggersene; e in questi due casi la confessione generale è
necessaria.
Secondo, quando ancora non si veda nn'evidente cullità nelle confessioni prece-
denti, vi è cagione di dubitarne in grazia di più difetti, de' quali sono ordinariamente
piene per la negligenza de' penitenti che si confessano con poca preparazione, quasi
niente dolore, e sovente senza alcuna emenda: la confessione generale supplisce a
questi difetti, e pone la coscienza i n sicurezza, quando essa è ben fatta.
Terzo, se non vi è necessaria, vi sarà sempre proficua, per tre grandi utilità che
ne riceverete. l'una in riguardo di voi medesimo, l'aitra dalla parte del colifessore, e
. la terza di D i o . . n (lm).
Fatta la confessioce in termini rassicuranti, D o n Bosco non vuole più che
i ragazzi rivanghino il passato: pensino ad andare avanti, a farsi buoni e
santi ( ' O ' ) . Dopo il 1860, q u a n d o si faceva sempre piìl vistosa l'ondata delle
(lm) GOBINETI,~ti~zEo11deella gioventl.. ., pt. 2, cp. 6, Torino 1831, p. 103. Questi
consigli si trovano anche in libri delh medesima ispirazione,
[Hubert HUMBERT].
Istruzioni cristiane per la gioventh.. . per ordine di monsignor arciuescouo di Besanzone.
Terza edizione torinese, cp. 21, 5 3, Torino, Paravia 1843, p. 112; Pierre COLLET(1693-17701,
Lo scolaro cristiano . . ., cp. 8, § 1, n. 8, Milano 1844, p. 176-182.
(101) Cf. specialmente Bosco, I1 pastorello delle Alpi. . ., Torino 1864, p. 100-105.
A quanto pare non era molto incline alle confessioni generali reiterate Don Cafasso. DaUe
testimonianze sul suo insegnamento traspare la reazione contro la prassi delle confessioni
senecali, attribuita ai rigoristi. Cf. NICOJ.IS DI ROBILANTV,ita del venerabile Giuseppe
Cafasso.. ., 1, Torino 1912, p. 359-362.
Nella ricerca di mezzi per ravvivare e radicare la vita religiosa nel popolo, la confes-
sione generale in occasioni di missioni e sacri esercizi poteva apparire un mezzo molto
idoneo. Lo notava un prete francese, Joseph Melchior Goirand, rifugiatosi in P i e m ~ t e
durante la Rivoluzione e stabilitosi nella diocesi di Aosta: J'ai observé que voulant faire
approcher de la Table Sainte beaucoup de monde, selon le système des missionnaires de France,
il y a eii de heaux spectacles de ferveur, mais beaucoup plus d'apparence que de rhalité.
Les fruits qu'on recueille avant leur maturité ne sont pas de durée. La méthode, que nous
avons suivie dans la vaUée d'Aoste, en donnant des retraites, me para3t la plus prppre
opérer de véritabies conversions. Nous passions peu de monde, mais nous cherchions a
batir solidement en faisant faire de bonnes confessions généraies qui servent de fondements, au
confessions suivantes. Ah! combien de fois les confessions n'ont pas de bases solides, &ani
appuyées très.souvent sur des confessions nulles! . . . on découvre ces niillités quand on
31 5

17.2 Page 162

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Don BcoosncfoesnseilolansitofrrieaqdueellantrieliDgioosnitàBcoasttcoolicsai. Veorgl IeI. Satemllaoderatore ('O2). Non si esageri; non
si speri erroneamente un miglioramento morale solo per il fatto che ci si
accosta al sacramento frequentissimamente. S. Filippo Neri usava raccoman-
dare la confessione ogni otto giorni (la). Si stia a quella frequenza. Se qual-
cuno è caduto in mancanze gravi e debba accostarsi alla mensa eucaristica.
vada a riconciliarsi. Ma chi cade sempre nei medesimi difetti, faccia piuttosto
fermi propositi: da una confessione ultrafrequente non ne ricaverà maggiori
vantaggi. Don Bosco a questo riguardo sembra quasi perdere la sua consueta
misura. Nel difetto di dolore e di proposito vede il tarlo che rovina le confes-
sioni, il difetto congenito della mobilità giovanile. In materia esce in un ap-
prezzamento senza.duhbio pesante, che fa pensare a Pietre Nicole, a Bourda-
ioue, a Leonardo da Porto Maurizio e a quanti predicavano sul ristretto
numero di coloro che si sarebbero salvati: << È più grande il numero di coloro
che si dannano confessandosi - ebbe a dire nel 1861 -, che di coloro che si
dannano per non confessarsi, perché anche i più cattivi qualche volta si con-
fessano, ma moltissimi non si confessano bene » (lM).
Don Bosco poi sembra ossessionato dal timore che i ragazzi in confessione
siano assaliti dalla vergogna, tacciano o mentiscano quando la coscienza loro
rimprovera impurità e immode~tia('~)A. llora egli avverte qualcosa di de-
rnoniaco: satana che stringe al collo i poveri penitenti, li soffoca, li tiene
legati « da vergogna fatale, la quale invece di condurli a salute li conduce a
perdizione »(lM).È la mostruosità contronatura a cui può essere condotto
il sacramento della pace e riconciliazione. Quando parla così, Don Bosco
pensa ai giovani che ha davanti: essi vuole impressionare e scuotere, perché
sait interroger avec prudence les pénitents sur le mariage, sur les injustices, et surtout les
.. péchés d'impureté. Ah! que de péchés cachés sur ces matières, ou du moins que de pé.
chés oubliés volontairement par défaut d'un examen suffisant! . Le grand bien que font
les retraites ou missions ne consiste pas dans des conversions frappantes, qui souvent ne
sont pas de longue durée, mais dans la révalidation de heancoup d e confessions »: lettera
di J. M. Goirand al superiore del Seminario di Aosta, 8 giugno 1827, in P. E. Duc, Le
clergé d'Aoste da XVIII* sikcle, Turin 1881, p. 81.
. . (l") MB 7, p. 84: parole di DB nel 1864.
('ai) Cf. Bosco, Il mese di maggio . , giorno 24, Torino 1858, p. 142: a S. Filippo
Neri incoragiava i cristiani a confessarsi ogni otto giorni e comunicarsi andie più spesso
secondo l'avviso del confessore n. Cf. anche [ISNARDIV]o, ce angelica. . ., cp. 5, art. 1:
. Varie sentenze di alcuni santi, Pinerolo 1855, p. 68 ss: «Senti, che belli ricordi dà S. Fi-
lippo Neri. . 14. Confessatevi spesso almeno ogni otto, o quindici giorni, e comunicatevi
col consiglio del confessore n. Quasi lo stesso, ma senza il nome d i Filippo Neri, in Pratiche
crirtidne. . . ad u f o degli scolari delle scuole cristiane della cittù di Torino, ed. C,, p. 102.
('9MB 6, p. 903. « P e r confessare i giovani - asserì DB attorno al 1862 - bisogna
frequentarli, awicinarli, conoscedi ben bene, studiarne l'indole e quando vanno a confes-
sarsi far noi prima per loro l'esame, saper mettere insieme: ha la tal lagnanza, questo tal
difetto, questo ha l'altro, perché i giovani tacciono, oh sì, tacciono facilmente » (AS 110
RufKno 9, p. 63).
(1") Ma si ha l'impressione che sia uno stato d'animo comune anche a quegli altri edu.
. . catori, moralisti e scrittori che abbiamo più volte ricordati: Gobhet, Leonardo da Porto Mau-
rizio, S. Alfonso, Segneri .
('M) Dalla narrazione di un « sogno » del 2 maggio 1861: MB 6, p. 903.
316
siano sinceri e facciano tutto bene per ottenere il maggior frutto dalla conies-
sione ben fatta(Im).A questo tende anche l'insistenza sul sigillo sacramentale:
nessuno mai saprà quanto il peccatore ha confidato nel tribunale della peni-
tenza. I1 confessore sarà piuttosto disposto a perdere la vita, che a tradire il
segreto. I1 Signore è anche intervenuto con prodigi, pur di proteggere questa
splendida prerogativa della confessione auricolare (la).
I1 discorso sulla confessione ben fatta, legato o no a quello della con-
fessione settimanale, porta Don Bosco dall'ex opere operato all'ex opere
operantis. Sull'efficacia intrinseca al sacramento egli si sofferma quando di-
scorre della necessità della confessione e della utilità della confessione fre-
quente. Quando però il sacramento non produce frutti, è segno che l'at-
tenzione del penitente e del confessore deve concentrarsi sulle disposi-
zioni soggettive. È il difetto di buone disposizioni a impedire l'efficacia che
il sacramento ha per sua natura!. Don Bosco si mette cosi nella torre di prin-
cipi, dentro cui tenacemente si arroccarono giansenisti e rigoristi, protesi
a ottenere il miglioramento interiore dei penitenti. Sempre, tuttavia è pos-
sibile cogliere alcune diverse accentuazioni. Don Bosco non perde la sua
duttilità e appare meno intransigente. Egli non perde di vista la capacità
purificatrice che il sacramento ha per sua natura: appunto su tale persua-
sione egli fonda la propria insistenza per la confessione settimanale(1a).
Quanto poi a una pratica più frequente, la sua attenzione non si posa sulla
dignità richiesta per ricevere il lavacro del sangue di Cristo. Nemmeno egli
pensa in termini drammatici alla corresponsabilità del confessore che as-
solve indegni e che perciò fa le parti del lupo invece di fare quelle, del buon
pastore. Puttosto sta attento all'utilità che dal sacramento potrà 'venire al
penitente. In funzione di tale utile egli stimola le disposizioni dell'individuo
e tocca in termini impressionanti ora la corda della sincerità e della vergogna
da superare, ora quella del dolore, del proposito e della perseveranza.
Queste considerazioni giovano a dare il giusto peso ad affermazioni
che possono sembrare troppo elementari, perentorie e polemiche("')). L'in.
(lm) E un «luogo comune » della predicazione specialmente post-tridentina. Ciò non
vuoi dire che realmente Segneri, Leonardo da Porto Maurizio, DB non sapessero per espe-
rienza che i giovani si facessero vincere dal rossore specialmente in materia di sesto comanda-
mento. Oltre a quanto abbiamo citato alla nota 97 può vedersi SEGNERI1, cristiano instruito,
pt. i, ragion. 12 Quanto sia gran male tacere maliziosamente il peccato in confessione (in ge-
nere, sulla vergogna e sul tacere in confessione): Torino, Marietti 1855, p. 698-109.
(la) Avvertimenti espliciti di DB ai confessori sono nella vita di Besucco: Il pastorello
delle A l p i . .., Torino 1864, p. 104: « N é manchino mai di ricordare spessissimo il grande
. . segreto della confessione. Dicano esplicitamente che il confessore è stretto da un seyeto
Naturale. Ekclesiastico, Divino e Civile . D. Su tale argomento insiste molto negli anni
.~. ~.
. (?W) MB 7, p. 84.
(]lo) Bosco, Il pastore110 delle A l p i . ., ed. c., p. 100: « Dicasi pure quanto si vuole
intorno ai vari sistemi di educazione, ma io non trovo alcuna base sicura, se non nella fre-
quenza della confessione e comunione; e credo d i non dir troppo asserendo che omessi questi
due elementi la moralità resta bandita ». E nel Sirtema preventivo, § 2, n. 4: a La frequente

17.3 Page 163

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Don Bovsitcoo ndeillaDstoonria dBeollsacroeligailolsaitàccoanttfoeliscsai.oVnoel IIf.rSetqeullaente con la speranza di garantirsi
la salvezza e la santità, presto o tardi è seguito da una serie di richiami alle
disposizioni che il penitente deve portare per fare una buona e fruttuosa
confessione.
Un altro elemento singolarissimo della prassi penitenziale di Valdocco
erano i carismi e le doti straordinarie che Don Bosco proiettava a servizio
di una profonda trasformazione interiore dei giovani. Egli non faceva mi-
stero della ripulsa che provava, quando avvertiva che chi gli parlava era
in peccato ("l). Provava un senso di malessere come Filippo Neri e Carlo
Giacinto di S. Maria("'). Al confessionale questo malessere era forse alla
radice (insieme ad altri fattori) di certe soluzioni impreviste e all'apparenza
drastiche. Quando il penitente, per ritrosia o altra forma di inibizione e
autodifesa, non giungeva all'accusa, specialmente di peccati contro il sesto
comandamento, Don Bosco doveva caricarsi di tensione. In quel momento,
come nei sogni, doveva giungere al massimo anche la sensazione del diabolico.
A un ragazzo che non superava la vergogna, che taceva e non si decideva
all'autoaccusa, improvvisamente indicò uno scimmione che montatogli sulle
spalle con un laccio tentava di serrargli la gola e soffocarlo ('l3). I1 ragazzo
lanciò un urlo e in preda allo sgomento fece integra e completa la sua
accusa.
Era diffusa e tramandata la persuasione che Don Bosco leggesse i se-
greti della loro coscienza. Non mancò chi volle mettere alla prova questa
capacità e, stando a quanto veniva tramandato, si senti sciorinare peccati
confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere
un edi6zio educativo, da cui si vuole tener lontano la minaccia e la sferza D. (Regolamento per
le case.. ., Torino 1877, p. 7 s). Queste espressioni di DB rispecchiano da una parte la po-
lemica antivaldese (in linea con la reazione cattolica tridentina contro le eresie sui sacramen-
ti); dall'altra, la reazione alla mentalità illuminista; a quella, poi, che in quel tempo alimen-
tava la laicizzazione della scuola in Piemonte in chiave liberale (libertà per i genitori di chie-
dere l'insegnamento religioso e di provvedere all'ediicazione reiigiosa in generale). Sulla pole-
mica condotta dalla Civiltà. Cattolica ci. Indice generale della Civiltà Cattolica (aprile 1810.
decembre 19031, Roma 1904, p. 189-192: voce Pedagogia.
. ("1) Cf. Indice MB p. 315: voce Peccato (orrore al).
(li2) BACCI, Vita di S. Filippo Neri.. , 1. 2, cp. 13, § 10, vol. 2, Monza 1851, p. 73;
GIACINTO DI S. MARIA, Memorie dell'umile servo di Dio divoto rli Alaria P. Carlo Giacinto
di santa Maria agostiniano scalzo . . ., Roma 1828, p. 192.
("3) Cf. tra l'altro BONWTAI,nnali 1860-1861, p. 43-47 (AS 110 Bonetti 2). La scim-
mione, l'orso, il fauno che tentano di soffocare sono la tipica rappresentazione simbolica della
vergogna che induce il penitente a tacere e che viene sentita come tentazione diabolica. Cf.
ad esempio VALEKIO BAI.LAI~DDIANVI ENEZIA, O. F. M. Cap., Prato fiorito di varii esempi. . .,
lih. 1, cp. 15, esempio 6, che porta il titolo: Fu veduto il diavolo sopra le spalle d'una don-
na che piangeva un suo peccato, ma non voleva confessarlo », Venezia 1605, p. 116 S. E su di
«una mano nera come di orso che usciva dal muro e &errava per la gola » una penitente che
taceva per rossore, cf. B~AMoNTI, Serie di meditazioni prediche ed isti.wioni od uso delle sa-
cre missioni. . ., Catechismo 16, t. 3, Milano 1844, p. 270 S. Casi del medesimo genere sono
narrati dal Beyerlinck e da altri raccoglitori di materie predicabili come il Lohner, il Mansi,
i1 Mattioli, sui quali cf. G. CACCIATORE, La letteratura degli « Erempla », in S. ALFONSOM.
DE LIGUORI, Opere ascetiche. Introduzione generale, Roma 1960, p. 239.283.
318
che nemmeno ricordava. Non mancò nemmeno chi, con l'ingenuità confi-
dente del figlio, chiese a Don Bosco che assolvesse i peccati che lui cono-
sceva. Anche questi fatti sono da tenere in conto, come componente della
pastorale di Don Bosco confessore.
Come già sappiamo, Don Bosco più volte narrò l'episodio del giovane
Carlo, che aveva chiuso la vita con una confessione sacrilega. Erano già
stati esposti i drappi funebri. La misericordia divina aveva permesso
che il giovane, chiamato dal sacerdote suo amico, si risvegliasse, facesse una
buona confessione e così scampasse la perdizione eterna. Don Bosco si com-
moveva. I giovani sapevano che il taumaturgo cra stato il loro padre. Tutti
sentivano lo stimolo a confessarsi bene; tutti sentivano di vivere in terra
benedetta, avvertivano quanto fosse rischioso fare una cattiva confessione
e quanto fosse importante confessarsi bene.
Don Francesco Dalmazzo al processo informativo diocesano per la heati-
ficazione di Don Bosco ricordò che, alunno a Pinerolo, aveva sentito par-
lare della santità di Don Bosco. Giunto all'Oratorio ebbe narrato da Don
Domenico Ruffino, allora sacerdote, come Don Bosco aveva risuscitato e
confessato un giovane esterno dell'oratorio ("'). A Valdocco tutti, prima o
dopo, venivano a conoscere gli straordinari carismi di Don Bosco, connessi
ai segreti della loro coscienza e alla loro salvezza eterna.
l
11. La comunione frequente
l
La letteratura teologica e devozionale cattolica quando parla di fre-
I
quenza ai sacramenti, ovviamente si riferisce alla pratica della confessione
auricolare e della comunione eucaristica. E questo perciò un hinomio con-
sueto anche a Don Bosco. Come molti ai suoi tempi, egli predica altamente,
che confessione e comunione sono due pilastri, due colonne, due elementi
essenziali della vita cristiana (li5). Solo quando sullo spettro della metafora
dei pilastri e delle colonne si proietta la devozione alla Vergine SS., allora
la confessione passa in secondo ordine (o come presupposto), e i due pi-
lastri diventano l'Eucaristia e la devozione a Maria santissima (Il6). La co-
munione eucaristica sta idealmente sottesa tra confessione e sacrZcio della
messa: tra il sacramento che, ridonando lo stato di grazia, pone nella dispo-
sizione di accostarsi alla mensa eucaristica, e la messa, il cui momento es-
senziale realizza la reale presenza di Cristo sotto le apparenze del pane e
del vino.
Don Bosco vive in tempi, in cui, mentalmente, sembra essersi operato
(114) Deposizioni di Don Francesco Dalmazzo al processo informativo diocesano per la
heatificazione di DB (16 gemaio 1893), ad 32% copia in AS 161.1 A, p. 70-72.
(115) Cf. sopra, nota 108.
(116) Cf. sopra, cp. 7, nota 71.

17.4 Page 164

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Don Boscqouneelllacsetortroia dgerllaadreoligidoisitàdicsaattnoclicoar.aVmoel nII.toStedllaella comunione daUa messa (l7). Nel
Mese di maggio fa trattazioni distinte della messa e della comunione. Nella
prima la sua attenzione va al sacrificio; nella seconda, all'eucaristia come
cibo. Nell'una e nell'altra, la coscienza religiosa ha in comune i1 senso della
presenza reale nel santissimo e divinissimo sacramento
Gli schemi mentali di Don Bosco rispecchiano adeguatamente quelli
dell'ambiente. Anche in questo campo risulta essere portavoce della dottrina
comunemente assimilata dalla corrente religiosa popolare. Anche a proposito del-
l'Eucaristia, perciò, è bene soffermarsi su alcuni elementi più caratteristici.
Giustamente a lui si attribuisce il merito di essere stato un promotore
della comunione frequente dei fanciulli("9). A dite ii vero non si ha, a
tutt'oggi, la conoscenza di documentazione che permetta di stabilire il pre-
ciso rapporto tra la prassi instaurata e promossa da Don Bosco e quella del
suo ambiente: quella, ad esempio, promossa dai FrateUi delle Scuole Cristiane
nelle scuole elementari per bambini e in quelle serali per adulti o giovanotti.
Essi, con i loro cappellani sacerdoti, potevano avere un influsso assai vasto
sul costume cittadino e regionale, molto più che Don Bosco, in tempi
in cui l'istituzione di Don Bosco si restringeva a poche case (fino agli a m i
'70) ed era soprattutto affidata alle Letture Cattoliche e a relazioni personali
("7) Specialmente negli ultimi decenni del secolo devozioni come la comunione ripara-
trice e la pratica dei primi venerdl del mese in onore del Cuore SS. di Gesù favorirono la
comunione eucaristica extra missam. Contro di essa avevano reagito nel Settecento alcuni pa-
stori d'anime e teologi. Ne venne una polemica molto complessa, in cui i giansenisti si
schierarono contro la comunione devozionale, fatta con specie non consacrate nella messa
alla quale si partecipava. Qualcuno sostenne anche la necessità della commione di a l a n i del
popolo per la integrità del sacrificio, appunto per quella parte che riguardava il popolo
. presente e compartecipe all'aiione sacrificale. Cf. STELLA, L'Ezcaristia nella spiritualità ita-
liana da metù Seicento . ., p. 150 e 162 S.
. (1'3) BOSCO, Il mese di m a g i o . . , giorno 23 e 24, Torino 1858, p. 134-144. La consi-
derazione sulla messa attinge parzialmente al Giovane provveduto, cita S. Leonardo da Porto
Maurizio, dei quale (sembra) sfrutta liberamente Il tesoro narcosto nella santa messa. La
,considerarione sulla comunione eìicaristica attinge a S. Aifonso, La vera sposa di Ges&Cristo,
cp. 18, Torino, Marietti 1847, p. 294-300. I1 mese di maggio servi, a sua volta, da falsariga per
considerazioni sulla comunione inserite in opere che portano, o no, il nome di DB, come
Angelina o la buona fanciulla instruita nella uera divozione a Meria santissima (LC a. 8,
. fasc. 3), Torino 1860, p. 62-68; Pratiche divole per l'adorazione del S. Srlcramento, Torino
tip. deli'orat. di S. Franc. di Sales 1866, p. 12-21; Bosco, Il giouane provveduto .., Torino
1873, p. 112-114 (compilato da Don Bonetti e riveduto da DB, c f . AS 133 Giovane prowe-
.duro); Bosco, Nove giorni consacrati all'augusta madre del Salvatore sotto al titolo di Maria
Ausiliairice, Torino 1870, p. 54-61 (compilato su schema di DB da Don Bonetti, ci. AS
133 Nove giorni, e ispirato anche al de Ségur, La SS. Comuniorie, ed. LC, Torino 1869);
. Piccolo Catechismo, ossia compendio della dottrina cristiana ad uso dell'arcidiocesi di Torino
,coll'aggir~ntadelle orazioni. ., Torino, tip. e libr. dell'orat. di S. Franc. di Sales 1874, p.
. 113-115; Compendio della dottrina ad uso dell'urcidioceri di Torilao. . . coll'aggiunta
delle orazioni. . ,Torino, tip. e libr. dell'orat. di S. Franc. di Sales 1875, p. 337.339,
("9) Giacomo BELLIA,La prima comunione dei fanciulli, in Atti del congresso eucari-
stico tenutosi in Torino nei giorni 2 4 settembre 1894, 1, Torino 1895, p. 207 S.
320
con sacerdoti in cura d'anime. Nemmeno conosciamo dati suircienti sulla
prassi degli oratori diretti dal gruppo di Don Cocchi ( e quindi, del Murialdo),
dei barnabiti, i quali ultimi ebbero educatoti benemeriti come il P. Alessandro
Teppa e Francesco Martinengo, entrambi amici e quasi coetanei di Don Bo-
sco, non meno di lui benemeriti divulgatoti di opere devozionali, di lettera-
tura popolare (il Martinengo dirigeva e redigeva La buona settimana e la
Strenna di Don Mentore). Lasciate dunque in sospeso precisazioni sul ruolo
di Don Bosco come anticipatore rispetto al proprio ambiente, nel complesso
della sua attività è certamente da considerare tra gli attivi propulsori della
pratica sacramentale, che si avviava a una maggiore frequenza in tutti gli
strati sociali e in tutta la Chiesa Cattolica.
Nelle sue grandi linee è percepibile anche l'evoluzione della prassi di
Don Bosco, almeno sulla base delle testimonianze alquanto sporadiche e ge-
neralizzanti e su quella di orientamenti che Don Bosco stesso affida ai suoi
scritti in tempi diversi.
Nel Giovane provveduto (1847) egli invita genericamente ad accostarsi
ai sacramenti, senza escludere la comunione q u ~ t i d i a n a ( ' ~ )A. tal fine indi-
ca Luigi Gonzaga come esempio di un giovane, che dalla comunione setti-
manale passò a quella di tutti i giorni. I1 Regolamento dell'Oratorio festivo
(1852 circa) dà come consiglio generale, che non si lasci passare il mese
senza confessarsi e comunicarsi ("l): è quanto era in uso nelle scuole degli
Stati Sardi ed è quanto suggerisce, come linea generale di condotta, Carlo
Gobinet (in). La raccomandazione, della frequenza ebdomadaria e anche più
frequente si trova sul Mese di maggio (1858) e viene testimoniata anche da
cronacbette, che riportano sermoncini serali (dal 1859 in avanti).. Nel 1861
Don Bosco raccomandava ai giovani in vacanza la comunione ogni setti-
mana (lu). Tuttavia la V i t a di Domenico Savio ci avverte che già attorno al
1855-57 Don Bosco incoraggiava qualche giovane alla comunione quoti-
diana, pur mantenendo la confessione settimanale ('"). I1 giudizio sulla ire-
quenza alla mensa eucaristica è affidato sempre al confessore. I n concreto
è la prassi che abbiamo veduto seguita dal filippino confessore e direttore
spirituale di Maria Enrichetta Dominici. È: la stessa che nel frattempo era
(120) [Bosco], Il giovane provveduto.. . , Torino 1847, p. 62.
(121) Regolamento dell'Oratorio di S. F7ancesco di Sales per ali esterni, [Torino 18771,
n. 37: « I o consirlio tutti i Fjovani dell'Oratorio a fare quanto dice il Catechismo della Dio-
cesi, cioè: è beneconfessarsi ogni quindici giorni od una volta al mese S.
(lu) L'uso in Piemonte è attestato da [Cado FERRERI]R, egole di,vita e buone, massime
per 10 gioventh studiosa, Torino, Paravia 1840, p. 33: «L'ultima domenica dei mese in alcune
Congregazioni è fissata per la comunione generale n. Cf. anche GOBINW1, sriz:zione della gio-
venlù nella pietà cristiana, pt. 2, cp. 9, ed. c., p. 112.
... (iu) MB 7, p. 234.
(124) Bosco, Vita del giouanetto Savio Domenico , Torino 1859, p. 69. Per q7anto
ci ir noto, si è soffermato per primo sull'evoluzione d i DB, quanto alla frequente comunione,
Don A. caviglia nello studio annesso a Opere e scritti edzti e inediti di u Don Bosco » . .. ,
4, Torino 1943, p. 347-363.

17.5 Page 165

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
promossa dal Frassinetti e dalla sua scuola pastorale di Genova. Tra i discepoli
del prevosto genovese è da ricordare il sacerdote di Mornese, Domenica
Pestarino.
Don Bosco sembra avere meno timori che il Murialdo nel promuovere
pubblicamente la comunione in determinate circostanze. I ragazzi di Val-
I
docco, come quelli del Collegio degli Artigianelli, usavano andare alla balau-
stra senza alcun ordine, alla rinfusa. Il Murialdo, nondimeno, temeva che
questi inviti generali potessero portare a una certa costrizione interiore ed
essere occasione di comunioni sacrileghe (l"). Alla radice di questi scrupoli
forse sta anche la percezione di particolari caratteristiche ambientali. Il nu-
i
mero degli artigiaelli era più ristretto che non quello dei giovani di Valdocco.
E ciò poteva incidere notevolmente, sia sull'animo dei ragazzi, sia anche sulle
tendenze pastorali diverse.
I1 nucleo dottrinale forse più caratteristico negli scritti di Don Bosco
e nei suoi discorsi è costituito dall'appello amoroso e pressante: Venite ad
me omnes (lx). Gesù stesso chiama; dunque, andare a cibarsi delle sue carni
santissime con fiducia; Gesù dice: questo è il mio corpo che sarà dato per la
salvezza degli uomini: corpus, quod pro vobis tradetur; l'Eucaristia è il pane
vivo, qui de caelo descendit ('l).
Potevano sorgere inquietudini dettate da quella mentalità religiosa ch'era
divenuta caratteristica nell'era della Riforma protestante e Cattolica, ugual-
mente impregnata dal senso del peccato e dall'ansia per il sacro. L'occhio di
Don Bosco si porta a queste movenze interiori, che poterono affiorare in gio-
l
vani come Besucco, abituato probabilmente dal parroco delH'Argentera al
senso della propria indegnità da tenere vivo quando, le volte concesse, si
l
accostava a ricevere sulle proprie labbra quel Dio, che tante volte aveva
offeso (l"). Don Bosco ha presenti tali obiezioni, almeno nelle sue opere di-
(la)A. MARENGO, Leonardo Murialdo educatore.. ., Roma 1964, p. 9 e 195. Nel 1867
gli artigianeili erano 157; nel 1871, circa duecento. Sono di quest'ultimo anno gli inviti
fervidi, ma trepidanti del Murialdo: Si è notato che da molto tempo non si frequentano i sa-
cramenti che da una cinquantina, sempre gli stessi. Una metà e più non si accosta che nelle
principali solennità ». Egli allora rivolge il suo invito a « tutti, tutti ». A Valdocco nel 1867
.. su circa 800 giovani, nel mese di maggio (tempo di grande fervore) facevano la comunione
auotidiana circa settanta IMB 8. D. 823). Dati troooo frammentari oerché si aossa osare
A
qualche induzione.
(126) Già in Esercizio di divozione alla misericordia di Dio, Torino [18471, p. 105 s;
poi nel Mese di maggio, ed. c., p. 140.
(In) Bosco, Il mese di maggio . . ., ed. c., p. 140; ID., Vita del giovanetto Savio Do-
. menico, ed. c., p. 69.
('28) BOSCO, Il pastore110 delle Alpi. ., Torino 1864, p. 106.109. Tale testo pone un
problema di critica documentaria. I1 dialogo tra Besucco e il suo superiore ricalca le obiezioni
e le risposte che in forma impersonale si leggevano già sul Mese di maggio di DB. Si tratta
dunque di una costruzione fittizia dettata da intenti didascalici?
Nel nostro testo abbiamo presentato come probabile una nostra ipotesi. Senza volere
giurare su ogni parola del dialogo presentato dalla biografia, accetteremmo come verisimile il
fatto che Besucco ali'oratorio abbia avuto qualche «apprensione » (il termine è di DB) per
il contrasto che poteva vedere tra la prassi inculcatagli dal parroco, suo padrino, e quella sue
vulgative: sono indegno, non sono preparato, sono fragile. Egli risponde con
il concilio di Trenta alla mano e con l'autorità dei santi: diceva S. Francesco
di Sales che la comunione è fatta appunto per i deboli, perché, cibandosi, di-
ventino forti ('").
Le sue argomentazioni procedono senza grandi impeti, pacatamente, come
spiegazione catechistica a persone che, sentita una risposta in termini som-
mari, se ne dimostrano appagati. Egli per i suoi scritti attinge, a quanto
pare, direttamente a S. Alfonso, anche se le idee del santo circolavano già
in operette a lui ispirate, come quelle del savoiardo Favre e del cappuccino
Filippo da Poirino. S. Alfonso a sua volta si era ispirato a un discepolo di
S. Filippo Neri, Bonsignore Cacciaguerra, che reagiva al costume rinasci-
mentale, ma si riprometteva molto dalla comunione frequente. Sul Caccia-
guerra già si leggono le obiezioni e le rispettive risposte (lM). Alla tradizione
filppina, tramandata in innumerevoli libretti devoti, Don Bosco deve il motto
divenuto a lui familiare: « S. Filippo Neri incoraggiava i cristiani a confes-
sarsi ogni otto giorni e comunicarsi anche più spesso secondo l'avviso del
confessore » (I3'). Bonsignore Cacciaguerra e S. Alfonso avevano presenti
lo scadere dei costumi cattolici e il pericolo della Riforma protestante;
avevano cioè presenti il pericolo dell'apostasia e lo scandalo che i fedeli
tiepidi davano a quanti cercavano sinceramente un arricchimento religioso
nella Riforma.
Don Bosco ha fondamentalmente le medesime preoccupazioni: ha pre-
senti i protestanti, ne conosce il proselitismo (ma I'apostasia per lui è sempre
frutto di deterioramento religioso e morale); più ancora che S. Alfons? ha sotto
gli occhi l'anticlericalismo, la derisione dei « libertini », l'indifferentismo,
l'apostasia, la diserzione dei sacramenti e la «lotta » che si muoveva contro
la Chiesa. Ma ancora una volta occorre tenere presente la sua esperienza
di educatore. Egli porta con sé, assimilata, la persuasione della mobilità gio-
vanile, radice di mancanze e dimenticanze quotidiane. Ha perciò ben motivo
per insistere con fermezza e quasi con rigore, non meno che i giansenisti,
sulle disposizioni necessarie per una fruttuosa recezione del Sacramento.
L'insistenza ad appressarsi alla mensa e il richiamo alle buone disposizioni
geritagli da DD. Sarebbe, questo, un caso-hite circa la tendenza che DB aveva ad appog-
giarsi su formule già assimilate. I l dettato deiia biografia di Besucco, serve, a sua volta, per
alcune pagine di Angelina e l'orfanella degli Apennini, Torino 1869, p. 61 S. Notiamo infine
che il dialogo sulla comunione nella minuta del &succo è tutto autogr. di DB (AS 133 Be-
succo 1, p. 50 s).
8
;
(la)Cf. MB 6, p. 340. La notissima sentenza di S. Francesco di Sales (Introdur. alla
vita devota, cp. 21) è anche riferita da S. Alfonso (La vera sposa di Gesù Cristo, cp. 18, 9 3,
n. 15, Torino, Marietti 1847, p. 302).
(1M) B. CACCIAGUERRTrAa,ttato della ss. comunione.. ., 1. 3, Padova 1734, p. 94-173:
è tutto rivolto a smontare le obiezioni contro la frequente comunione: « Dicono alcuni: Non
ne siamo degni. .. (cp. 1, ed. G., p. 96); «Diranno alcuni altri: Noi ci ritroviamo aridi, e
secchi, e ci asteniamo, perché non ci sentiamo avere nel cuore quella divozione che ricerche-
rebbe un tanto Sacramento* (cp. 2, p. 99), ecc.
("1) Cf. sopra, nota 103.

17.6 Page 166

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
interiori potrebbero apparire in contrasto e invece sono complementari.
L'appello all'Eucaristia risponde alla fede radicale della pietà cattolica nel-
l'efficacia del Sacramento che comunica l'autore stesso della vita. Sono
ugualmente un prodotto della religiosità cattolica sia il senso del sacro,
sia l'occhio alle disposizioni che comportano l'efficacia della grazia. Don
Bosco si esprime con i mezzi del suo linguaggio ascetico e con il sussidio
dei suoi simboli: Luigi Gonzaga, notava sul Giovane provveduto, « fatto più
grandicello si accostava ogni giorno alla santa comunione, ma sempre con
angelico fervore e con massimo raccoglimento » (l3').
Donde può dipendere il poco gusto che si prova nelle cose spirituali?
Quando Don Boscb ha presente la polemica sulla comunione frequente o an-
che la trascuraggine di molti giovani, non esita a rispondere: proviene « dal-
l'accostarci troppo di rado alla SS. Comnnione » ('").
Un altro fatto che accosta Don Bosco al de Ségur e al Frassinetti è
quanto dice e dispone sulla prima comunione eucaristica. Anch'egli si fa
promotore della comunione da concedere ai bambini al più presto possi-
bile. Era nella logica delle cose. L'invito alla comunione si dilatava in
tutte le direzioni: esteso ai deboli, veniva portato anche alla età tenera.
Moralisti come Gousset, Gaume, Frassinetti protestavano altamente con-
tro la pratica abbastanza generale di concedere la prima comunione ai fan-
ciulli sui dodici-tredici anni. Era una norma sancita anche da Sinodi.
Adesso se ne denunziavano aspetti negativi. Così facendo, si privavano
i ragazzi dell'alimento proprio nel tempo in cui ne avevano più bisogno.
Bisognava portare i fanciulli per tempo a Dio; bisognava dunque portarli
per tempo al pane eucaristico, non appena sapevano distinguere - come si
espresse Don Bosco nel 1877 - tra pane e pane (l"). D'altra parte biso-
gnava prevenire per tempo i fanciulli e irrobustirli contro gli assalti del
demonio e delle passioni. Ora il male poteva farsi strada nell'animo dei
bambini assai prima di quanto si poteva sospettare. Già Segneri, Leonardo
da Porto Maurizio, catechisti di ogni regione non si stancavano di ammonire
i genitori che, senza avvedersene con i loro discorsi e tratti poco modesti
l
potevano già farsi assassini dell'anima dei loro bambini.
La campagna in favore di una prima comunione anticipata faceva leva
(l") Bosco, Il giovane provveduto.. . , Torino 1847, p. 62.
('33) Bosco, Il giovane provveduto, ed. c., p. 63.
('3)L. ANDRIEUXL'&, e de la premiere communion pour les enfants ayant atteint
l'&e de la raison, du concile de Trente au X F sidcle in Revue pratique d'apologétique (1911),
p.
do
721-744. Per l'ambiente piemontese cf. Domenico BONGIOANNI, Quando si
si possano ammettere i fanciulli alla prima comunione . . ., Torino, Iibr.
debbano e
Salesiana -
quan-
Libr.
Artigianelli 1894.
(l3? BOSCO, Il sistema preuentivo nella educazione della gioventù, § 2, n. 7, in Regola-
mento pe? le case della Societd di S. Francesco di Sales, Torino 1877, p. 9 S. L'espressione di
DB riecheggia quella del FRASSINETTCIo,mpendio della teologia mo~ale.. ., n. 266, Genova
1867, p. 338: « Si pub dare la Comunione ai fanciulli, purché sappiano discernere il pane ce-
i
leste dal terreno n.
I
s d a capacità che i bambini potevano avere già d i conoscere il Pane eu-
caristico. Gli appelli dei nuovi moralisti in fondo manifestano che ci si
rende conto di qualcosa di nuovo. Ormai, estendendosi l'educazione negli
asili d'infanzia e l'istruzione elementare anche nelle zone rurali, aumentava
il numero dei bambini che, precocemente, rispetto ai loro coetanei di tempi
anteriori, potevano avere un certo di~cernimento("~).Invece, ancora a
metà Ottocento, vigevano norme sinodali stabilite nel secolo precedente.
A Torino bisognò attendere fino al Sinodo Gastaldi (1873) prima che ve-
nissero rinnovate le prescrizioni del sinodo Costa (1788). Ad Asti, ancora
nell'ultimo decennio dell'Ottocento non si avevano norme sinodali più re-
centi di quelle lasciate dal sinodo Caissotti (1785). Ma quanti ancora si
attenevano, strettamente alle norme sinodali antiche? Non potrebbero con-
siderarsi come casi indicativi quello d i Giovannino Bosco, Enrichetta Do-
minici, Domenico Savio, che già nella prima metà dell'Ottocento furono
ammessi alla prima Comunione non ancora undicenni? D'altra parte la li-
nea di condotta generale già nel Settecento non doveva essere intransigente
e sconsiderata, ma adeguata alle circostanze. Giovanni Opstraet, noto come
teologo rigorista e giansenista, ai pastori d'anime suggeriva grande dut-
tilità. In linea di massima nei collegi si potevano ammettere i fanciulli
sugli undici-tredici anni; ma non dovevano escludersi casi straordinari. Quel
che importava era che l'Eucaristia venisse concessa appena i bambini
dimostravano la capacità di conoscere e gustare il pane divino: « Nihil
obstare videtur, quo minus aliqui ex illis anno octavo, aliqui nono, aliqui de-
(1%) La constatazione è di Don Giacomo BELLIAL,a prima comunione. déi fanciulli,
l. c., p. 204: «Se, quando era poca l'istruzione, non esistevano gli Asili d'infanzia e sovrattutto
la corruzione non aveva ailagato i1 mondo, non si era sparsa fra l'infanzia, il ritardarne al-
quanto la comunione sino ad una certa età poteva parere atto di prudenza; ai giorni nostri,
in cui, da un lato tanto è diffusa l'istruzione e tanto si dimostrano precoci i bambini, dal-
l'altro tanta strage mena fra le anime infantili la corruzione, il ritardare ai fanciulli la santa
comunione, per la sola ragione dell'età è un impedire al buon Gesù di prender possesso delle
tenere loro animucce, è un lasciar libero ii campo al demonio ed al mondo di fame orribile
strazio! . . . Quanto sono belli, come sono cari quegli angioletti quando escono dagli Asili
comunemente diretti dalle buone Suore o da maestre che loro somigliano! ». E D. BONGIOANNI,
Quando si debbano e quando si possano ammettme i fanciulli alla prima comi~nione,p. 58:
«Siccome in questi tempi si trovano soventi giovanetti che hanno l'età della discrezione agli
otto anni e anche prima, in questo caso il parroco è tenuto rub gravi a passarli, s'intende sem-
pre cacterir paribus, se hanno cioè gli altri requisiti ». Non si dimentichi che il Bongio[vlanni
e il Bellia erano stati entrambi alunni all'oratorio.
Notiamo, inoltre, come nella pastorale per la prima comunione prevalgono gli stessi prin-
cipi; si bada cioè, al valore deil'Eucaristia come alimento che sostiene e itrohustisce. La con-
tinua pressione esterna dell'anticlericalismo e la coscienaa della diserzione deUe masse operaie
a fine secolo, contribuiva ad accentuare questo aspetto, mentre neli'anho del popolo, per
tradizione, continuava ad agire il sentimento del rispetto. Balza vivo il contrasto tra gli ap-
pelli del Bongiovanni e del Beilia da una parte, e quelli, ad esempio, deil'ahate Regnault,
dail'altra, che è di fine Settecento, inizio Ottocento. Il Regnault aila vigilia deila prima C*
munione tende a impressionare i bambini: non rinnovino il tradimento di Giuda, non pro-
fanino il corpo adorabile di Cristo. « Sembrate angeli - dice ai fanciulli - ma « combien
parmi ces prétendus Anges ne verrions-nous pas de Demons? n. E continua: « Je ne

17.7 Page 167

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DoncBiomscoo, npelrlaimstaomria dceollamrmeliugnioisoitnàecmattoaliccac.ipVioalnIIt. S»(tel"ll)a. L'Opstraet suggerisce inoltre
vari segni che potevano persuadere a concedere o no la prima comunione.
Bisognava badare alle disposizioni interiori: all'innocenza della vita e alle
abitudini buone, cosi come potevano essere note attraverso segni esterni
occulti o manifesti: docilità ai genitori, amore alla preghiera, fuga dei cattivi
compagni, innocenza conservata specialmente in materia di modestia, tendenza
a piccole mortificazioni anche occulte('")). Se si vuole, rispetto all'Opstraet
in Don Bosco, nel de Ségur e nel Frassinetti è percepibile una diversa ac-
centuazione. Anche loro badano alle disposizioni interiori; ma per loro
sembra avere un peso decisivo il fatto che il bambino sappia già distinguere
tra pane e pane. Su questa linea effettivamente si sviluppò la campagna in
favore della prima comunione ai fanciulli, anticipata ai sette e anche ai
cinque anni.
12. Devozioni, pii esercizi, liturgia
Confessione, comunione eucaristica, rosario, devozione all'Angelo Cu-
stode, novena a S. Luigi e a S. Giuseppe, novena a S. Francesco di Sales,
all'Immacolata e al Cuore di Gesù, mese di maggio, novena del Natale, eser.
cizi spirituali di metà anno, riparazioni ai peccati commessi nel carnevale,
interessamento per pii esercizi indulgenziati, suffragi per i defunti, mo-
strano come a Valdocco, come altrove, prosperava una vita di pietà appog-
giata ai pii esercizi (l3'). Del ciclo dell'anno liturgico all'Oratorio, come al-
m'arreterai pas, mes chers enfants, à cette effrayante vbrité; mais j'appfiquerai ces oracles à la
circonstance vous vous trouvez maintenant, et je vous dirai: I1 y a beaucoup de jeunes
gens appeles à faire cette année leur première Communion, à la solennité de Pbques, mais
dans ce grand nombre il y en aura peu d'élus, c'est-à-dire, qui la feront avec tontes les dispo-
sitions nécessaires n. Cf. R e s ~ ~ u rI.n~rt,ructions porrr in première communion . . ., Avignon
1816, p. 10,
Tra le istituzioni promosse dai cattolici nella seconda metà dellDttocento ci fu anche
l'opera per la prima comunione. Cf. La buona settimana 5 (1860), p. 191.
('37) J, OPSTRAEPTas,tor bonus, seu idea, ofiium et pruzls partorum.. ., De parvuiis,
qui innocentiam baptismi conservant, Vicentiae 1769, p. 333.
('38) OPSTRABPTas,tor bonur, l. c., De parvulis qui innocentiam baptismi amittunt per
aperta crimina, ed. c., p. 336 5,
('39) Ne fa un'analisi Don Caviglia in Opere e scritti editi e inediti di «Don Borco D,
vol. 4, p. 310-339. Per i successivi accrescimenti del Giovane provveduto cf. S~TLLAV,aloli
.. spirituali nel «Giovane provveduto », p. 6-17, utile il confronto con manuali dello stesso
genere, come RIVA,hlanuule d i Filotea, Milano 1831 1; 1865 '6; Bergamo 1904. (L'ed.
1904 aggiungeva sulle precedenti: Preghiera per gli agonizzanti a S. Giuseppe, indulgenzinta
da Leone XIII; preghiera a S. Giuseppe da recitarsi dopo il rosario nel mese di ottobre, in-
dulgenziata dallo stesso papa; orazione alla Sacra Famiglia). Una Raccolta d i orazioni e pie
opere alle quali sono annesse le S. Indulgenze ebbe una cinquantina di edizioni a Roma e
altrove, servì di fonte a centinaia di libretti devozionali (compresi Il giovane provveduto,
La chiave del paradiso, Il cattolico provveduto . . .), e di modello a collezioni (tra le alue:
Il tesoro delle sante indulgenze ad uso del popolo (LC, a. 6, fasc. 31, Torino 1858. Quest'avi-
dità per le indulgenze è un indice della religiosità popolare di allora: rispondeva al senso di
326
trove, esistevano i pilastri essenziali, cioè : Natale (con l'Avvento e 1'Epi.
fania), Pasqua (preceduta dalla Quaresima e dalla Settimana Santa), Ascen-
sione e Pentecoste. I misteri del Signore erano certo saldamente fissati
già in questi pilastri, meditati quotidianamente nel rosario, conosciuti at-
traverso libri ascetici, o attraverso la storia sacra ed ecclesiastica spiegata
nelle scuole e nelle istruzioni domenicali (lw).
La liturgia dell'Avvento e quella della Quaresima erano certo cono-
sciute nel loro significato complessivo: lo si spiegava infatti nel catechismo.
Propriamente l'attenzione veniva a concentrarsi sui vangeli domenicali,
che facilmente davano l'avvio a spiegazioni di carattere moralistico ("l).
Giovavano a focalizzare il Natale la novena con i suoi fioretti e i canti po-
polari natalizi. Potremmo dire che il Natale era una di quelle feste, in
cui il rumore dei mondo inquieto e il diluviare dell'irreligione in quei
tempi << calamitosi » era meno presente. I credenti piuttosto si sentivano
raccolti attorno a Dio, fattosi uomo per la salvezza di tutti. Il male che si
presentava al sentimento religioso era quello di tutti i secoli: era la schia-
vitù del peccato, da cui Gesù veniva a liberare.
Il senso peniteuziale della Quaresima era reso presente dalla astinenza
e dal digiuno al venerdi e al sabato. Erano ancora in uso i quaresimali in
chiese di citti e di provincia. In quel periodo si facevano con preferenza
le sacre missioni popolari o gli esercizi spirituali. Giovedi, venerdi e sabato
santo avevano le caratteristiche tradizionali popolari, come il Sepolcro, che
abbiamo già ricordato. Erano ancora in uso i biglietti di Comunione, distri-
buiti ai fedeli in occasione del precetto pasquale (le).
Queste cose in parte avvenivano a Valdocco, in parte costituivano lo
sfondo ambientale, che si ripercuoteva nell'internato o nell'oratorio festivo nei
giorni di mestizia o di gioia religiosa.
Tra le pratiche quaresimali merita di essere posta in luce la Vza Cvucir.
I1 formulario, ospitato da Don Bosco nel Giovane prouueduto e diventato
poi testo base della pia pratica un po' in tutte le case salesiane, era forse
il più diaiso io Piemonte: forse era più diffuso di quelli stessi composti da
S. Leonardo da Porto Maurizio e da S. Alfonso(Ia). Ma nella sostanza esso
indigenza e di ricerca dell'utile, proprio dell'epoca; era anche una reazione alle resistenze
.. dotte frapposte neli'epoca dell'illuminismo e del giansenismo (Muratori, Vincenzo Palmieri,
Sinodo di Pistoia .).
(l*) Solitamente era DB a tenere le istruzioni domenicali sulla storia ecclesiastica:
cf. MB 8...t>. 91. Gli successe poi Don Michele Rua. Quanto all'orario deli'istnizione, 6.sopra,
nota 66.
(141) Era l'indirizzo, di cui è buon modello la Selva di moterie predicabili di S. Alfonso.
L'AS conserva molti quaderni di prediche e istruzioni composte da vari Salesiani. I1 fondo
non è ancora catalogato. L'orientamento moralistico ci è sembrato di gran lunga prevalente
su quello dogmatico, apologetico, polemico.
(142) Su Queste usanze si soffermano talora periodici torinesi come La buona settimana
e L'~teneoreligioso.
(143) Ci azzardiamo a dare un incompletissimo elenco di libri che contenevano tale
formulario: La via del paradiso . . ., Torino 1792, p. 198-214; Offlciicium Beatae Mariae Vir-

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
è del medesimo spirito. Tende a raccogliere attorno a Gesù sofferente i fedeli,
che piangano sui propri peccati e su quelli di quanti sono stati la causa di tanto
patire dell'amabilissimo Gesù. Seguendo la via dolorosa non ci si sente come
i soldati romani, più o meno indifferenti, non come i perfidi giudei; ma come i
discepoli che hanno disertato il divin maestro e che lo hanno abbandonato per
debolezza o addirittura lo hanno tradito. In fondo la Via Crucis tende a muovere
il sentimento dell'amore, che si riconosce responsabile della disgrazia occorsa
all'amato, e di quale Amato!
vi ringrazio di quanto patiste per me, e vi supplico di darmi grazia di
preparare il mio cuore a ricevervi degnamente nella santa comunione e di
fare nell'anima mia la vostra abitazione per sempre »(l*).
La Via Crucis si ferma alla sepoltura: non prosegue oltre, non va alla
- risurrezione, come forse argomenti teologici avrebbero potuto desiderare:
Cristo infatti si potrebbe obiettare - non si ferma al sepolcro, vana
sarebbe la nostra fede se si fermasse all'obbrobrio della croce. Ma la Via
Crucis è un esercizio che scaturisce dall'esperienza di predicatori popolari.
((Considera, anima mia, come Pilato condannò a morte di Croce il nostro inno-
centissimo Gesù, e come egli volentieri si sottomise a quella condanna, acciocché tu
Esso, non meno che le prediche degli esercizi spirituali, non meno che le
sacre missioni era per Leonardo da Porto Maurizio e Alionso de' Liguori, per
fossi liberata dall'eterna dannazione.
passionisti e redentoristi, uno strumento potente per scardinare il cuore
Ah! Gesù! vi ringrazio di tanta carità, e vi supplico di scancellare la sentenza
di eterna morte meritata per le mie colpe, onde io sia fatto degno di godere l'eterna
vita » (l").
dei peccatori, gettarli ai piedi del confessore, imprimere nel loro cuore
e sulle loro labbra non semplicemente il proposito, ma l'atteggiamento umile di
chi si batte il petto e di chi chiede a Dio !che sia lui a operare la trasfor-
Causa del pesantissimo legno della croce sulle spalle di Gesù, causa
delle sue tre cadute sono i nostri peccati, le nostre ricadute, le nostre in-
gratitudini. Ogni atto di Gesù, idealizzato nella Via Crucir, ha un valore
di prefigurazione e di contrappasso. Tante sono state le cadute in pec-
cato: altrettanti sono stati i dolori di Gesù. Sono state commesse immode-
sue e golosità: Gesù viene spogliato e amareggiato di fiele e mirra. Nella
devozione rivive il contrappasso. Dopo aver fatto LI confronto tra i dolori
di Gesù con la propria peccaminosità, si dà corso a quello tra i dolori del
Figlio di Dio e quello che si vorrà fate. O piuttosto, si chiede a Gesù che
- lui stesso operi quanto si desidera. I1 volto santissimo rimane effigiato sul
lino deila Veronica: « Ah Gesù mio! si esclama - datemi grazia di
mondare l'anima mia da ogni lordura e d'imprimere nella mia mente e nel
mio cuore la vostra santissima Passione » ( 9 .
Gesù viene inchiodato sulla croce, presente I'aBlittissima sua madre,
ha le mani e i piedi trapassati dai chiodi: « O h crudeltà de' Giudei! Oh
amore di Gesù verso di noi. Ah Gesù mio! [ . . . 1 inchiodate sulla vostra
croce la mia volontà risoluta di non più offendervi per l'avvenire D.
Gesù è riposto nel sepolcro nuovo per lui preparato: « A h Gesù mio!
mazione.
Per questo motivo, per il fatto che la V i a Crucis non era legata a
fatti contingenti (come particolari momenti della lotta e dei trionfi della
Chiesa) poté resistere, più che altri pii esercizi, e rimanere una pratica ri-
spondente all'intima esigenza di conversione, di riflessione religiosa me-
diante la rappresentazione di fatti, di emozione fondata sul mistero più
grande che poteva avvenire tra gli uomini, cioè la morte dell'uomo-Dio.
È, invece, la coroncina al Cuore di Gesù legata a preoccupazioni più re-
centi. I1 sentimento dei peccati personali e il senso di compunzione sono amal-
gamati al dispiacere per i falli collettivi. Come nella Visita al SS. Sacramento
,
composta da S. Alfonso il senso di colpa ha presenti gli oltraggi che Gesù
riceve dagli eretici, dagli infedeli e dai cattivi cristiani (l"). I1 termine d'avvio
nella coroncina & la considerazione di alcune qualità, considerate nel cuore di
Cristo, simbolo dell'amore illimitato e polivalente: cuore amabilissimo, umi-
lissimo, desiderosissimo di patire, pazientissimo, amantissimo delle nostre ani-
me, sitibondo della salute nostra. Successivan~entesi passa a considerare quanto
siano poco conosciuti o misconosciuti questi requisiti. l'animo si fa attento
agli oltraggi che Gesù riceve da altri. Quasi sbiadisce il senso della propria
colpevolezza e ci si sente dalla parte di Gesù Cristo, solidali con lui. Così,
ad esempio, nel contemplare non corrisposta la dolcissima sua amabilità verso
ginis
180 .
.
.
..,.,
Torino 1794,
p. 222-255; La
p. 481-509; Giardino
giornata del cristiano
di diuozioni ad
santificata colla
uso del crirtiano . . .,
preghiera . . . , Torino
Ivrea
1844,
p. 302-312; Fulgenzio M. RICCARD(Im. 1806), Il cristiano in chiesa.. ., Torino 1845, p
137-160. Esclusa questa ultima, le altre operette sono state ristampate più volte. Quanto
a Leonardo da P. Maurizio, cf. I. SCHMIDOT.,F. M., Bibliografia di S. Leonnudo da Pono
CMEaNtrTrIi,riOo .iFn.AMrc.,hiSuuiupmplefmraennctioscaalnlaumbihbilsiotogrriacfuiamd4i0fr(a19I4ld9e)h,per.t2o0S8c3h7m5,idcto.m. .p,leitnatoStduadBi .frIaNnNceO--
scani 24 (19521, p. 228-239. Su S. Alfonso, M. DE IVIEULEMEESTCE. SRS,. R., Bibliogqhic
générale des écriuains redemptorisies, 1, Louvain 1933. Dati sull'Esercizio della Via Crucis:
p. 115 S.
("i) [BOSCO]I,l giovane provveduto. . ., Torino 1847, p. 127 S.
(l4$)[BOSCO]I,1 gioua#e provveduIo, p. 131.
le anime ancor peccatrici, si esclama: « M i dispiace di vedervi così ingrata-
mente corrisposto, ed intendo risarcirvi di tante offese che ricevete nella SS.
Eucaristia dagli eretici, dagl'infedeli e da' cattivi cristiani »(l"). Nel conten-
plare il cuore di Gesù « sitibondo della salute nostra D, ci si prostra e si ve-
(l*) [BOSCO], Il giovane provveduto, p. 134-136.
(147) [BOSCO], Il giovanc provveduto, p. 104: «Atti da farsi nel visitare il SS. Sacra-
mento [di S. Alfonso] . . .
tendo salutarlo per tre fini:
I.o. .s2a"luPtoerocgogmi pilenvsoasrtvriodaimtuatttisesilme oinegdiuraiemcahnetisrsiicmevoetceuoinre,queesitno-
Sacramento da tutti gl'infedeli, da tutti gli eretici, e da tutti i cattivi crisriani n.
(1") [BOSCO], Il giovane proweduto, p. 106.
328
329

17.9 Page 169

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DonneBroascuomneilllma setnotriea dqeulelallr'ealmigioorseitàcchaettolliocas. pVionl sIIe. Sateollaperare il sacrificio ineffabile sulla
Croce, rinnovandolo ogni giorno sugli altari nella santa messa »; poi si balza
sorpresi da quanto avviene nel mondo: « Possibile che a tanto amore non arda
il cuore umano pieno di gratitudine? Si, purtroppo, o mio Dio; e perciò vi
prometto di fare quanto posso per risarcirvi di tanti oltraggi che ricevete in
questo mistero di amore dagli eretici, dagl'infedeli, e da' cattivi cristiani » ('.").
Le ingratitudini che Gesù aveva lamentato a Paray-le-Monial coincidevano
con quanto Margherita Maria poteva constatare attorno a sé: la tiepidezza di
alcune sue consorelle e la Francia intera, che ormai portava i germi della scri-
stianizzazione, proprio mentre lottava per potenziare gli stimoli della riforma
tridentina e superare la crisi ugonotta. Nell'Ottocento l'indifferenza religiosa
riempiva d'ansia tutti i cattolici impegnati. La coroncina al Cuore di Gesù,
suggerita dal Giovane provveduto e in uso all'oratorio, per quanto composta
di espressioni provenienti da preghiere del Settecento, rispondeva pienamente
al clima di lotta nel quale Don Bosco e la sua opera s'inseriscono.
La messa ci riporta nel nucleo più intimo della spiritualità cattolica (ls0).
Intessuta di pii esercizi (il rosario) e di canti popolari, evocava nei giovani di
Mirabello avrebbero visto durante la Elevazione Gesù Bambino al posto del-
tronde essi provenivano e nel quale poi, in genere, tornavano ad inserirsi
come adulti.
Nel 1863 i ragazzi della scuola elementare nel piccolo seminario di
Mirabello avrehbero visto durante la Elevazione Gesù Bambino a posto del-
l'Ostia. Ne seguirono tramestio e meraviglia ("'). Sarebbe avvenuto quanto
è tramandato da svariate collezioni di miracoli eucaristici: del Beyerlinclc, La-
ghi. Rosignoli, Valerio da Venezia (ls2).È un episodio che potrebbe conside-
rarsi tipico, cosi come le moltiplicazioni di Ostie per soddisfare tutti i gio-
vani desiderosi di comunicarsi con il pane eucaristico. L'attenzione si fissava,
a Valdocco, come altrove, sulla Presenza eucaristica. E si prolungava cosi, da
una parte la reazione contro le eresie eucaristiche, e dall'altra, si reagiva al-
('") [Bosco], Il giovane provveduto, p. 107.
('So) Cf. Indice MB p. 253-255: voce Messa.
(15') MB 8, p. 424.
(ls2) BEYERLINCK, Magnum theatrum vitae humanae . . ., 3, Venetiis 1707, p. 426-429:
voce Euchauistia. Apparitiones.. . quoad veritatem Corporis; Nicola LAGHI,I miracoli del
Santissimo Sacramento.. ., Venezia 1594, p. 134: «Celebrando un sacerdote, parvele Maria
che gli consegnò il suo figliuolo; Celebrando un sacerdote vide la hostia trasformarsi in un
bambino e Maria e l'Angelo Gabriele l'adoravano »; p. 136: «Un fanciullo manifesta baver
veduto Christo nelle mani del Sacerdote »; Carlo Gregorio ROSIGN~SL.IJ,., Marauiglie di
Dio nel divinissimo sacramento e nel santissimo sacrificio. .., Torino 1704, p. 26-28: Appa-
rizione di Cristo rasserena un cuore turbato dagli scrupoli »; VALERIBOALLARDDINAIVENE-
ZIA, Prato fiorito di uarii esempi.. ., 1. 1, cp. 20, esempio 18, Venezia 1605, p. 212 s:
« Guglielmo re di Scoria vede una maravigliosa visione del santissimo sacramento ». DB stesso
sul Giovane provveduto narra un caso del genere:
Gesù sacramentato lo vide in forma di bambino che
«Un venerabile
teneva in mano
servo d'Iddio
una corona di
rvoissieta..nd. o
(ed. 1847, p. 103).
l'incredulità contemporanea ('"). Nel momento della Consacrazione, soprattutto
in quello della Elevazione tutti si prosternavano. La mobilità giovanile per un
momento si quietava e si concentrava in un valore in cui credeva e che pro-
fondamente impressionava. G interessante notare come all'Elevazione dell'ostia
il Giovane provveduto suggerisce solo sentimenti connessi con il fatto che Gesù
si renda presente vivo e vero sull'altare:
«Con tutta umiltà prostrato vi adoro, o Signore, e credo fermamente che esi-
stete in quest'ostia sacra. Oh gran mistero, un Dio viene dal cielo in terra per la
mia salute! Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e divinissimo Sacra-
mento » ('5').
I n quell'istante si rigeneravano quei sentimenti che poi, durante la gior-
nata, avrebbero mosso i ragazzi ad altre osservanze religiose, come la Visita
a Gesù Sacramentato e il togliersi il cappello, in segno di rispetto, passando
davanti a una chiesa, soprattutto quando si sapeva che vi si conservava il
Santissimo.
Ma non si dimenticava il senso sacrificale. Anzi, presentando la messa
Don Bosco vuole che su di esso si concentri l'attenzione dei ragazzi. La messa
è sentita, più che come cena, come rappresentazione e rinnovazione del mistero
del Getsemani e del Calvario. Don Bosco, come in genere gli autori di devo-
zionari, invita a immaginarsi Gesù che s'incammina verso il luogo della cto-
cifissione, versa il suo sangue fino all'ultima stilla, levato in alto sull'albero
della croce:
« Signore mio Gesù Cristo - viene suggerito alla elevazione del Calice -, io
adoro quel sangue che voi spargeste per salvare l'anima mia. Io ve l'offetisco in me-
moria della vostra passione, morte, risurrezione, e ascensione al cielo; ricevetelo in
isconto de' miei peccati e per li bisogni di santa Chiesa » ('3s).
Si pensa allora al gran valore della messa, al gran tesoro che sta nascosto
nel sacrificio eucaristico che si celebra tutti i giorni alla presenza d'innumere-
voli schiere di angeli e d i santi. Si pensa al suo valore come atto di culto, di
adorazione, impetrazione, ringraziamento, espiazione. Vi si contrappone l'indif-
ferenza di molti, il detto che una messa più <p una meno è la stessa cosa ('jb).
(153) E quanto nota DB sotto il titolo: «Pregio dei miracoli », in Notizie intorno al
miracolo del SS. Sacramento avuenuto in Torino il 6 giugno 1453 con un cenno sul qumto
centenario del 1853, Torino 1853, p. 5s.
(1%) [Bosco], Il giouane provueduto . . ., Torino 1847, p. 89.
(15s) [BOSCO], I1 giovane provveduto, p. 90.
(1%) LEONARDOA P. MAURIZIO, Il tesoro nascosto, cp. 1, § 1, in Opere complete, 2,
Venezia 1868, p. 327: «Gran pazienza vi vuole per soffrireil linguaggio pestifero di alcuni
libertini, da' quali di tempo in tempo si gettano all'aria proposizioni sì scandalose, che puzzano
di ateismo e sono il veleno della Pietà. Una messa di più, una messa di meno, poco conta.
Non 2. poco che ascolti la messa ne' giorni di lesta. L messa di quel sacerdote 2. la messa
della settimana santa; quando egli comparisce alloltarc, io me n'esco tuori di chiesa ». Ci si
trova di fronte agli argomenti e allo stato d'animo che favoriscono la partecipazione a più
messe anche nello stesso giorno.

17.10 Page 170

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Don Bosco pensa a tanti ragazzi i quali « con volontà deliberata distratti
vi stanno « irriverentemente senza modestia, senza attenzione, senza rispetto,
rimanendovi in piedi. guardando qua e » « Ah! - esclama anch'egli, in
termini a 6 1 i a quelli di Leonardo da Porto Maurizio - costoro rinnovano
più volte i patimenti del Calvario con grave scandalo de' compagni e diso-
nore della religione » (l"). E citando l'infaticabile apostolo delle campagne
toscaue e romane, anch'egli esclama: « Io credo, . . .che se non fosse la mes-
sa, il mondo a quest'ora sarebbe già sprofondato, per non poter più reggere al
peso di tante iniquità. La messa è quel potente appoggio che lo sostiene in
piedi ».(ls8).
Don Bosco, come molti sacerdoti suoi contemporanei, apprezza, insegna
e fa insegnare il canto gregoriano: è il canto della Chiesa; solo questo fatto,
in tempi di profonda devozione per la Chiesa e per il Papa, lo avrebbe in-
dotto ad estendere questo sentimento alla musica e al canto della liturgia ('").
Nondimeno egli ama e fomenta anche il cauto popolare. Angioletto del
mio Dio sarebbe stata composta da Silvio Pellico dietro suo invito. Luigi
onor dei Vergini, Lodate Maria venivano cantate in chiesa e fuori. Come S. Al-
fonso e come Faà di Bruno, anch'egli pubblica una serie di Laudi sacre, in
appendice al Giovane provveduto e in serie separata (leo); fomenta volentieri
la musica del Cagliero, del maestro De Vecchi, di Don ~osiirnagnae del coa-
diutore Dogliani. P, musica espressionista, suggestionante come la poesia del
('57) [BOSCO]; 11 giouane provueduto . . ., Torino 1847, p. 85. Lo stesso si legge sul
Mese di maggio, giorno 23, Torino 1858, p. 137.
. ('58) LEONARDDAOP. MAURIZIIOl ,tesoro 8BSCOSt0, cp. 1, n. 7, 1. C,, p. 332: « I o per
me credo che se non fosse la santa messa, a quest'ora il mondo. .n. Riportato anche (ma
con il dettato del Mese di moggio), in Bosco, Nove giorni.. ., giorno 7 , Torino 1870,
p. 69 S.
('59) Cf. Indice MB, p. 53 s; 271 s: voci Canto gregoriano e Murica. Ha una serie di
articoli sulla musica sacra La 6uona settimana del 1858. Tra l'altro vi si trova deplorato «il
mal vezzo di tanti e tanti organisti che trasportano sulla tastiera di un organo arie, cavatine
e duetti di opere teatrali! Quanti peccati di più in chiesa! Molti cristiani entrano in certe
chiese, a certe messe e funzioni, unicamente per gustare di nuovo quei pezzi che hanno più
aloprpola..u.dint.o
sulle scene.
C'erano già
Ritti in piedi,
i motivi che
cogli occhi distratti per ogni dove,
portarono alle disposizioni di Pio
cicaleggiano fra
X sulla musica
sacra.
.. <
(1") Scelta di laudi sacre od uso delle missioni e di altre opportunità della chiesa,
Torino 18793(la prefazione è sottoscritta da DB); Arpa cattolica o raccolta di laudi sacre in
onore di Gcsù Cristo, d i Maria Santissima e dei Santi, S. Pier d'Arena 1881; Arpa cattolica . . .
in onore di Gesù Bambino colla nouena del S. Natale e per la Santa Infanzia. S. Pier d'Arena
1881; Arpa cattolica.. . rulla passione, sulle feste puincipali del Signore e sui nouisrimi,
S. Pier d'Arena 1882; Arpa cattolica. . . in onore del S. Cuore di Gcsù e del SS. Sacramento
coi salmi ed inni che si cantano nelia processiose del Coupur Domini, S . Pier d'Arena 1882;
Arpa cattolica. .. in onore di Maria Santissinza, S. Pier d'Arena 1882; Arpa cattolica ...
in onore dei santi e sante protettori della gioventù con gli inni per le feste dei medesimi,
S . Pier d'Arena 1882. L'Arpa nelle varie edizioni ha la stessa premessa sottoscritta da DB e
che i. con lievi ritocchi, quella della Scelta di laudi sacre. Vi si segnalano le fonti da cui le
laudi furono estratte. Tra l'altro & nominata la Lira cattolica (di Francesco Faà di Bruno,
Torino 1869 3).
!
I
Berchet e le rievocazioni pittoriche dei fratelli Induno. Quella del Cagliero e del
Ii
De Vecchi vuol essere musica che accende la fantasia; è musica che introduce
i
1
il tuonare delle bordate a Lepanto, gli squilli di tromba che si levano dai ga-
leoni veneziani o dalle feluche mnssulmane; è musica che vuol portare oltre
alla rievocazione visiva, alla partecipazione di chi canta o ascolta alle batta-
glie che segnarono il trionfo di Maria e che preludono a quelli della Chiesa;
è musica che nella maestà del Tu es Petrus e nel martellare del non praevalebunt
fa scattare in piedi per giurare la propria fedeltà, fino alla morte, a Pietro,
alla sua cattedra, al suo successore: in armi contro i nemici della religione (l6').
I1 santuario di Maria Ausiliatrice, che si riempie di musica e spande il vi-
brare di voci bianche e virili sulla folla che lo gremisce, tra cortine odorose
d'incenso e la caligine delle candele, tende a creare un'atmosfera di sogno;
riisce per stampare impressioni incancellabili nell'animo di molti che tosto
o tardi si troveranno a difendere nell'intimo del proprio spirito o in pubblici
agoni gli ideali assimilati là, sotto l'influsso e alla scuola di Don Bosco, pro-
feta del nuovo secolo.
13. Pullulare d i devozioni all'Oratorio
I
L'Ottocento - viene scritto oggi - è il tempo di massima decadenza
liturgica (almeno, nell'età moderna) e di massima efflorescenza di devozioni
private (l6'). Si tratta di un fenomeno generale, che trovava fautori entusiasti,
ma anche resistenze soprattutto in certi ambienti ecclesiastici e io classi colte.
I n campo di devozioni e pii esercizi il comportamento di Don Bosco è ab-
bastanza complesso, anche se incline ali'indirizzo devozionale. Nel 1860 divenne
corresponsabile del piccolo seminario di Giaveno. L'istituto venne ripopolato
con ragazzi e chierici di Valdocco. I1 nuovo nucleo cercò d'introdurre usanze
assimilate nel ceppo originario (lW)C.i f u allora chi obiettò che Don Bosco iu-
troduceva troppe pratiche religiose. Cera chi temeva la qualifica di semenzaio
gesuitico al seminario diocesano. Don Bosco difese la linea di condotta propria
e dei suoi a Giaveno. Al rettore scrisse che non si lasciasse offuscare gli occhi,
quando gli buttavano in faccia le qualifiche di Gesuiti e di Gesuitismo, « per-
ciocché i buoni ed anche i malevoli sono convinti che tali parole suonano
(161) Al Tu cs Petrus eseguito in S. Pietro a Roma nel 1867 è ispirata i'antifona Sancta
Maria del Cagliero: 6. Bosco, Rimembranza di una solennitd in onore d i Maria Ausiliatrice,
Torino 18@, p. 26.29.
in copertina a Bosco,
I1 Saepe d n m
Nove giorni .
.C.h,rTisotiriensoeg1u8it7o0:il
24 maggio 1870 così viene annunziato
«L'inno fra i Vespri Solenni, produ-
zione del sac. Cagliero a 300 voci (sic!) con Orchestra. L'autore ebbe di mira di rappresen-
tare con note inusicali la famosa battaglia e il trionfo dei cristiani a Lepanto coll'aiuto di
Maria Ausiliatrice ».
(162) Cf. S. MARSILI, O. S. B., Storia del mouimento liturgico italiano dalle origini al-
l'Enciclica « Mediator Dei», in appendice a O. RoussEAu, O. S.B., Storia del movimeilto
liturgico.. ., Roma 1961, p. 263-369.
(163) Cf. MB 6, p. 730; 7, p. 138 S.

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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DongaBroasnczoianelldaistomriaodraellliare»lig(iolM sità).cNatteolllicoa. VstoelsIIs.oStetlleampo vigilava sull'irrompere di
nuovi pii esercizi, appoggiati o no a pie unioni. Raccomanda « che non si la-
scino perdere certe pratiche di pietà per stabilirne delle nuove ». Pare abbia
presente quanto dalla città si rifrangeva nella cittadella di Valdocco; forse
anche aveva in mente le critiche che si facevano contro il suo sistema edu-
cativo. Parla espressamente della Società del S. Cuore di Maria: « Questa
società - egli dice - mi piace, la desidero, ma siccome sarebbe in danno di
quella di S. Luigi che ora a stento si sostiene, lasciamo simili progetti huo-
nissimi in sé e procuriamo solo di eccitare la divozione a Maria Santissima » ('"j).
Nel 1868 di propria mano soppresse alcune parti dalla hiografia del giovane Er-
nesto Saccardi, scritt? da Don Bonetti: « H o giudicato bene - gli scrive -
togliere tutte quelle cose che possono dare pretesto di accusarci che noi spin-
giamo le pratiche di pietà troppo avanti, oppure che il Saccardi sia stato
oppresso per la mancanza di ricreazione. Ho pure tolto la Corona quotidiana.
E cosa ottima, ma con tutte le altre potrebbe far dire che è troppo D('"").
Eppure Don Bonetti non deve aver fatto che ispirarsi alie biografie di Magone e
Besucco, che portano buoni capitoli sulla vita devota di quei giovani e in
appendice, recano rispettivamente una «pratica di pietà che ogni giorno com-
pieva il giovane Magone Michele » e un'appendice sopra il benedetto Cro-
cifisso di Argentera, di cui era devoto Besucco. Ci sarà stata una evoluzione
in Don Bosco? Avrà di volta in volta avvertito che si giungeva a misure
che non bisognava oltrepassare? Avrà voluto soltanto porre a tacere ciò che,
divulgato, avrebbe potuto danneggiare la sua istituzione?
Certo è che, anche dopo il 1868, nellOratorio e nelie case di Don Bosco
pii esercizi, pratiche devote, pie unioni trovano un qualche posto. Artigiani e
studenti introducono speciali pratiche in onore di S. Giuseppe, il cui ruolo
di custode di Gesù e di Maria, gli meritò nel 1870 il titolo di Patrono della
Chiesa universale (lh7). Giovani e chierici potevano ascriversi all'associazione
(l") Lettera di DB a Don Grassino, rettore dei seminario a Giaveno, da Torino 3 set-
tembre 1861: cf. MB 6, p. 989.
('65) Cronaca di Don Ruffino, 6 settembre 1860: cf. NB 6, p. 721.
(lMD)on BOSCO a Don Bonetti, Torino 1" luglio 1868: cf. AS 131.01 Bonetti, MB 9,
p. 307; Epirtolario 670.
('67) I1 santuario di Maria Ausiliatrice già dai suoi inizi aveva un altare dedicato a
S. Giuseppe. La raffigurazione fattane dal pittore Lorenzone segue gli schemi classici delle
immagini religiose popolari (Cf. Alberto VECCHI, Il culto delle immagini nelle rtampe popo-
lari, Firenze 1968): sotto i1 gruppo d d a Vergine col Bambino in braccio e S. Giuseppe a
fianco, sta l'oratorio su cui la triade venerata fa cadere rose, simbolo della benedizione
celeste per i devoti del santuario e per gli abitanti della casa di DB. Una descrizione è fatta
da DB stesso in hfarauiglie della Madre di Dio . .., Torino 1868, p. 125 S. Da ricordare,
inoltre, la Compagnia S. Giuseppe, promossa tra gli artigiani della Casa. Venne costituita
una Biblioteca giuseppina per gli artigiani (attorno al 1883 per iniziativa del coadiutore Pe-
lazza?), incoraggiata da DB con alcune esorrazioni stampate sulle rilegature («Non posso a
. . meno di raccomandarvi di ricrearvi di preferenza in quelle cose, che mentre servono di
ricreazione, possono recarvi qualche utilita . D). Nel 1882 venne iniziata all'oratorio la
stampa di alcune dispense del formato delle Letture Cattoliche L'Accademico Ginseppino ».
dell'adorazione perpetua del SS. Sacramento('@). Don Berto cura un'associa-
zione progettata dal Frassinetti: Il giurdinetto di Maria ('"9). I1 culto al Cuore
di Gesù assume proporzioni più vistose negli ultimi decenni del secolo, al-
l'oratorio come altrove. Accanto a Don Bosco si distingue specialmente Don
Bonetti come propagatore della devozione al Cuore di Gesù (l7').
L'atteggiamento ora cauto ora aperto di Don Bosco, il proliferare di pii
esercizi e pie unioni, ci mostrano, oltre che l'orientamento devozionale, anche
l'attitudine di Don Bosco a non chiudersi, ma piuttosto adeguarsi a quelle
forme di religiosità e pietà, che allora erano una esigenza del ceto nel quale
e per il quale operava.
14. Esercizi spirituali ciascun anno ed esercizio mensile della buona
morte
Esercizi spirituali per i giovani studenti erano prescritti dal Regolamento
organico per le scuole del 1822. Tempi previsti erano quelli di preparazione
al Natale e alla Pasqua (l7'). Anche Don Bosco usò promuoverli in tali pe-
r i ~ d i ( ' ~L) a. pratica, dunque, degli esercizi spirituali nei suoi istituti educativi
risulta fondata su una tradizione e sn una serie di norme che avevano regolato
la sua stessa vita di studente a Chieri. Nei primi lustri deli'oratorio sembra
che per il triduo di preparazione al Natale Don Bosco preferisse qualche chiesa
I1 programma è indirizzato al alettore operaio » dall'anonimo «Accademico giuseppino D
(Pelazza?). Ricordiamo, infine, che dal 1867 coniparvero tra le LC varie operette volte a pro.
muovere il culto del santo (Bosco, Huguet, Gobio, Marcinengo ...).
(l@) UAS 275 (incartamento personale di ciasctn salesiano) conserva qua e qualche
.oa-~ellinad'iscrizione alla Associazione per l'adorazione perpetua del SS. Sacramento del-
l'altare.
(l-) SUI Giardinetto deWOratorio (alla 6ne del secolo curava anche i 6ori esposti sul
balcone delle camerette di DB) cf. AS 38 Torino - S. Francesco di Sales e AS 115 (lettere di
auguri a DB), aila voce Giardinetto.
('70) di Don Bonetti è da ricordare: I l Cuor di Gesti nel recondo centenurio della sua
rivelazione (LC a. 23, fasc. 6 e 7), Torino 1875. E difficile stabilire da quando cominciò ad
avere fortuna anche nelle Case salesiane la Guardia d'onore al Cuore di Gesù. Specialmente
in case di formazione per aspiranti alla congregazione salesiana o per novizi e chierici, è
possibile trovare vecchi quadranti con il nome di quanti si impegnavano a onorare in tal
modo Gesù Cristo. Ricordiamo qui due opuscoli: Viva Gesù! Piccolo manuale della pia
arsociazione della Guardia d'onore al 5BCrO Cuore di Gesù, coll'appendice rulla sacra lega di
riparazione ed i biglietti-zelalori della 4" rerie per il Clero, Torino, deposito presso D. Bosco
nell'orat. di S. Franc. di Sales [1886]; Viua Gerù! Appendice sul modo di rtabilire ed orga-
nizzare la pia asroci&one della Guardia d'onore nelle case d'educazione, S. Benigno Cana-
vese 1885:
(171) Cominciavano la sera del Venerdì di Passione e terminavano il mattino del merco-
ledì santo con la comunione. Cf. Regolamento per le scuole fuori dell'Università, tit. 4, cp. 1,
§ 1, n. 142, 5 2, n. 164, in Raccolta degli atti del governo, vol. 12, p. 345 e 549. Un triduo
con predica al mattino e alla sera e canto della novena di Natale era prescritto dal 22 al 24
dicembre (l. c., § 2, n. 163, p. 548 s).
(172) Cf, Indice MB p. 163 s: voce Esercizi spirifuali.

18.2 Page 172

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DonciBtotasdcoinnaell(asisteorriaa dinellapireenligoioisnitàvecranttool)icae. VpoelrII.gSliteellsaercizi di metà anno, che finivano
con l'adempimento del precetto pasquale, preferiva il piccolo seminario di
Giaveno.
Strutture portanti degli esercizi spirituali, sia che durassero tre giorni,
sia che si prolungassero, anche per i giovani, per sei giorni (dalla sera del
venerdì di Passione al mattino del mercoledì santo), erano le meditazioni, le
istruzioni, le preghiere vocali comuni più prolungate rispetto a quelle in uso
nei giorni consueti, e il silenzio. Le meditazioni, secondo abitudini quasi inve-
terate già del Settecento, avevano come argomento i destini supremi dell'uomo,
il disegno divino di salvezza, l'opera salvifica di Gesù Cristo, i momenti cm-
ciali dell'uomo in ordine alla salute eterna. Era evidentissima la derivazione
ignaziana. Varie raccolte di prediche per esercizi, come quelle del Cattaneo, del
Segneri iuniore, del Biamonti, hanno la meditazione, o almeno qualche cenno
a temi classici nella dinamica degli esercizi di S. Ignazio: il fine per cui si è
stati creati, la caduta degli angeli e dei protoparenti, il peccato attuale, la
morte, il giudizio e l'inferno, Gesù redentore, la passione e la morte dell'Uo-
mo-Dio, lo scontro tra buoni e cattivi che combattono sotto lo stendardo gli
uni di Cristo e gli altri di Satana. Implicita, ma presentissima, è la persuasione
che l'uomo è libero di scegliere. Sta a lui, proponendosi il fine assegnato da
Dio, schierarsi dalla parte dei buoni o dei cattivi, con la prospettiva della
vita o della morte eterna
Gli esercizi classici portano profondamente impressa l'esperienza di Igna-
zio di Loyola convertito: sono a grandi linee quella che il santo immagina
come una via sicura per ricondurre i peccatori a Dio o per fare scattare scelte
che satanno decisive per tutta la vita.
I1 tipo di esercizi che Don Bosco assimila è un adattamento a categorie
di persone che, per ragioni diverse, non erano in grado di concentrarsi nella
meditazione. È quel tipo di esercizi che venne sviluppato soprattutto da pa-
stori d'anime, che avevano esperienza della religiosità del popolo o anche di
sacerdoti e fedeli istruiti, ma non avvezzi o non capaci di meditazione pro-
lungata. Era un tipo di esercizi, dunque, che ben si adattava allo sforzo di
educazione religiosa popolare del Sette e Ottocento (l").
La meditazione è divenuta ormai predicata. La trama essenziale è data
da quelle che sono chiamate verità o massime eterne: sul fine dell'uomo e
sui novissimi. L'esercitando è invitato a riflettere sul peccato, sul potere tre-
mendo che tutti gli uomini hanno, in qualsiasi stato di vita, di dire al Signore:
('73) Gli autori sopra ricordati sono alcuni di quelli che consiglia il Capitolo generale
del 1880 (Dcliberazioni del secondo capitolo generale. . . , p. 67 s). Cf. anche le prediche e
le istruzioni di DB in AS 132 Prediche.
Le caratteristiche deiia predicazione popolare sono poste ben in rilievo da L. A.
MURATORI, Della rego!ata diuozion de' cristiani. . ., cp. 11, Trento [Napoli] 1748, p. 130-
132; e dallo stesso nel prologo a P. SEGNERI IUNIOREO,pere postume, Torino, Marietti 1857,
p. 5 s . Ma ormai, nell'Ottocento, era una insistenza comune. Cf. ad es. Guglielmo ALASIA,
Guida ai veneraridi sacerdoti del clero secolare nel sacro ministero delle missioni e spiritual,
esercizi da dettarsi al popolo nelle parrocchie nirali, Torino, Marietti 1801.
non rervzam, e voltare le spalle al Padre onnipotente e misericordioso, disprez-
zandone tutti i favori, compreso il prezzo del riscatto dalla schiavitù diabolica
pagato da Gesù versando tutto il proprio sangue sul patibolo della croce.
Si penetrava l'animo degli ascoltatori; si faceva leva sull'intima ricerca di benessere
e felicità; si proclamava poi e si dimostrava che il peccato diventava seme di
infelicità nella vita terrena e in quella eterna.
Questo schema di meditazioni non parte semplicemente dal senso di
colpevolezza. Non vuole soltanto portare alla compunzione chi è reo di pec-
cato mortale: vuole scnotere tutti, inducendo il senso del timore per la colpa
e per la morte eterna. Ma chi poteva dirsi senza peccato? Le prediche giocano
sul fatto &e tutti, colui che predicava e coloro che ascoltavano, avevano bi-
sogno di pentirsi e di espiare. Talvolta nella predicazione popolare il senn-
mento veniva tradotto in simbolo. Il predicatore si flagellava o si gettava in
ginocchio davanti al crocifisso, scoppiava in lagrime, sospendeva la predica
I1 sentimento di compunzione ne risultava moltiplicato, portava alla emozione,
alla esclamazione, al canto corale di laudi penitenziali e alla riflessione ('l5).
Il senso del dovere violato, veniva sviluppato dalle istruzioni. In esse.
a seconda dei partecipanti agli esercizi, si passavano in rassegna doveri di
adulti, di contadini e artigiani, di padri e madri di famiglia, di giovani, di
sacerdoti in cura d'anime, di religiosi e religiose.
Meditazioni e istruzioni s'incontravano in temi (come la meditazione
sul figlio1 prodigo o sulla misericordia di Dio e l'istruzione sulla confessione),
- che dovevano poi portare l'esercitando ai piedi del confessore e implorare
perdono dei peccati. C'era allora chi « aggiustava come si diceva - le partite
della propria coscienza » e chi ripresentava al tribunale del perdono le colpe
commesse in tutta la propria vita o in periodi più circoscritti.
Gli esercizi, dunque, nel loro meccanismo essenziale, intendevano por-
tare alla conversione. Elementi che avrebbero potuto smorzare ii senso di
angoscia per la colpa o diminuire il timore di morire in disgrazia di Dio,
venivano sbiaditi (a ragion voluta o no) per non compromettere la dinamica
del timore-amore.
Per questa ragione - ci sembra - gli esercizi spirituali secondo lo
schema assunto da Don Bosco preferiscono il tema della morte del peccatore,
della morte incerta, del giudizio terribile dopo la morte, della eternità dispe-
rata dei dannati e hanno il loro momento culminante nei temi che inducono ai
piedi del confessore e poi, alla mensa eucaristica. Prediche, come quella sul
paradiso, sull'amore misericordioso di Dio, su Maria Santissima, dovevano
potenziare il desiderio di conversione e il proposito di non più peccare. Ac-
(m)Lconardo da P. Maurizio nelle sue prediche indica il punto esatto in cui il predi-
catore deve dar mano alla disciplina. Anche il Segneri ne faceva uso: iine Seicento, tempo,
cioè, di ricerca ansiosa del sommovimento religioso del singolo c deli'individuo nella massa.
È il tempo delle grandi missioni popolari a cui, in campo protestante fa rispondenza il mc-
vimento pietista. Cf. qualche cenno nel nostro saggio, già citato: Il triduo sacro nella pietà
popolare italiana del Sette e Ottocento.

18.3 Page 173

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
cenni alla risurrezione di Cristo in rapporto alla vita o alla morte del cristiano,
bisogna ricercarli piuttosto nella predica dell'inferno e delle pene eterne: come
motivo per una maggiore potenza drammatica protesa a scardinare l'attacca-
mento al peccato e a suscitare conversione e confessione, sotto la prospettiva
dei beni ai quali si rinunzia macchiandosi con il peccato.
Nelle prime esperienze di Don Bosco si trovano gli esercizi spirituali
per giovani collocati in dicembre, negli ultimi giorni dell'anno o poco prima
il Natale (l7')). Nel 1849 si svolsero con tutta probabilità secondo lo schema
indicato nel programma che stampò il Paravia. I giovani che parteciparono
dovevano essere in massima parte artigiani o apprendisti. C'erano due messe:
una di buon mattino alle 5,30 e l'altra alle 12. Le prediche erano soltanto
tre: due istruzioni e una meditazione (ln). La prima istruzione, c'infoma il
('76) MB 3, p. 604.
(In)Il tipo di orario proposto da DB risponde a quello in uso per il popolo e per
esercitandi che si riunivano insieme solo per le prediche e pii esercizi comuni e quindi ritor-
navano per i pasti e per il riposo nelle proprie case. Cf. ad esempio ALASIAG, uida ai vene-
randi sacerdoti, p. 63 s: <Orario delle funzioni. - Mattina. Ore 6,15: Messa. Al
APol stPcoosmtcmoumnmiounVieonLi iCtarneinetodreSllpairBitu.Vr..;--Or1e0,73:0:MPerdeidtaiczaionoed -IstrMuzeisosna.e-. -OrDee10p:roMfunesdsias.,
coll'orazione Fidelium. - Sera. Ore 14,15: Laude. - 14,30: Dialogo o Catechismo. -
Magnifcat. - 15,30: Istruzione o predica. - 16,30: Miserere in tono di missione. Be-
nedizione del Venerabile D.
Orario ridotto per i paesi di collina e dove la popolazione è distante daila chiesa:
Mattina. Ore 9: Messa. Ai Postcommunio Veni Creator.- 9,30: Meditazione. Litanie dclia
B. V. - Ore 10,30: Predica od Istruzione. - De profundis coll'orazione Fidelium. Sera:
come sopra ».
Non molto dissimile è l'orario proposto per studenti in Distribuzione del tempo
solita praticarsi da chi fa gli esercizi spirituali, sotto la direzione de' l'P. Chierici Regolari
di San Paolo, B a r d i t i , Milano 1723. In più (p. 15-24) vi si trova un regolamento di
vita per mantenere il frutto degli esercizi. Vi si leggono le consuete raccomandazioni: «stima
deli'anima D; fuggire il peccato mortale più della morte; fuggire conversazioni lubriche, libri
impuri, cattivi compagni; schivare l'ozio; il rispetto umano; eleggersi un confessore stabile;
confessione ogni quindici giorni e comunione secondo il consiglio del padre spirituale.. .
Come orarietipo proposto in esercizi «chiusi » a laici adulti (nobili e borghesi) può
- essere additato quello tenuto a
con quello lasciato da DB ai
Monte Oliveto (Pinerolo) nel
Salesiani: « Destinaione del
t1e7m6p1,o.m-a chMeathtainoc,oinacdidoenrez:e
3: Levata.
7: Riflessi
Messa. -
- 5,30: In cappella
e scriver i frutti. -
8,30: Ufhio e punti
punti
7,30:
di meditazione. -
Lezione spirituale,
6:
indi
Meditazione in
il Caifè. - 8:
stanza.
La santa
di meditazione. - 9,30: Meditazione in stanza. - 10:
riflessi come sopra. - 10,30: instruzione in cappella. 11,30: Pranzo. - 12: Trattenimento.
Dopo pranzo:
13: Litanie de' Santi in cappella. - Riposo. - 14,30: Lezione di Gersone aperto a
- caso. - 14,45: Vespro e punti di meditazione. - 15,30: Meditazione e riflessi in stanza.
- 16,15: Lezione spirituale. 16,30: Matutino e punti di meditazione. - 17,30. Meditazione
- e rifiessi in stanza. 18,15: Instruzione in cappella. - 19,15: Cena. - 19,45: Tratteni-
mento. - 20,45: Litanie della Vergine in Cappella. - 21: Esame ordinario. - Riposo n.
Cf. Ouverture d'une retraite spirituelle au Mont Olivdte. Directeur le R. P. Saraceno
jésnite. Commencée le 9.ème et 6nie le 17.ème du mois de mars de I'année 1761, p. 3, ms.
-4rchivio Cays, presso il Pont. Atenco Salesiano). Una breve descrizione degli esercizi
spirituali a S. Ignazio sopra Lanzo è data da Maurizio MAROCCOIl, rantuurio di S. Ignazio
di Lojola presso Lanzo, Torino 1870, p. 92-94.
programma, era a dialogo dopo la messa delle 12. 2 una indicazione di u n
certo interesse. La forma dialogata neUa predicazione d i allora era un genere
che incontrava tra il popolo. Non era per le omelie o per meditazioni (che
dovevano portare alla riflessione su verità dogmatiche fondamentali). Era
invece riservata alle istruzioni e anche agli esami di coscienza. C'erano pre-
dicatori specializzati a fare il catechista e altri a fare il catechizzando. Quest'ul.
timo in genere personificava il poco istruito. L'istruzione facilmente rientrava
nel genere delle rappresentazioni semiserie a soggetto. Il catechizzando poteva
essere u n uomo molto più incline a frequentar la bettola che la chiesa, a mal-
menare moglie e figli piuttosto che a guidare le preghiere della famiglia; poteva
essere una massaia maldicente o una dama galante e ambiziosa; un monello
disturbatore e guastatutto o uno studente110 vanesio, libertino e semi-ignorante;
un luterano che dal catechista veniva messo nel sacco in materia d i Chiesa e
sacramenti o u n pasqualino poco amante del confessionale. La predica a dialogo
dunque attirava il popolino. Nemmeno gli uomini la disdegnavano. Giungevano
a prendere posto a sedere, un po' ostentando che ascoltavano per divertirsi
piuttosto che per apprendere. Fu un genere di predicazione che, nonostante per-
plessità di pastori, resistette nelle zone rurali ancora nel nostro secolo
L'esercizio mensile della buona morte è una efflorescenza degli esercizi spi-
rituali di S. Ignazio. I1 P. Croiset, facendosi promotore del ritiro mensile in
Francia, portava la ragione che molti erano i n grado d i trovare un giorno al
mese da trascorrere in quiete spirituale e non trovavano invece parecchi giorni
consecutivi per fare u n corso intero d i esercizi ('l9).
Ali'inizio del Settecento promotore del pio esercizio della buona morte a
Torino fu il gesuita Giuseppe Antonio Bordoni, i cui Discorsi furono miniera
prediletta del Cottolengo per le proprie prediche. Lo stesso Bordoni nel 1719
fondò una Compagnia della buona morte nella chiesa dei SS. Martiri, officiata
dai Gesuiti. I1 pio esercizio si teneva allora settimanalmente e comportava una
predica d'indole catechistica e morale.)'8I( Dagii elenchi della Provincia torinese
della Compagnia di Gesù si ricava che fino alla soppressione dell'ordine vi fu
sempre un padre responsabile della Compagnia della buona morte. Ultimo, nel
Settecento, f u i l P. Giorgio Ruifo, nativo di Mondovi, i cui discorsi sulla
buona morte, tenuti alla nobile Compagnia dell'umiltà, furono stampati a
(178) ALASIAG, uida ui venerandi sacerdoti del clero secolare, p, 23: e Su la conve-
nienza di fare il dialogo non sono fra gli ecclesiastici uniformi le opinioni. Alcuni
dicono essere sconveniente nel luogo santo, perché nella esposizione dei casi pratici talvolta
si eccita il riso nell'uditorio, ciò che credono contrario al rispetto dovuto alla chiesa. Ai
quale ritlesso si può rispondere che, se nel dialogo le facezie si contengono nei dovuti
limiti deUa brevità e rigorosa decenza, quel breve riso che spunta nelì'uditorio, e provocato
dal predicatore, non ha in sé niente d'irriverente, ed è anzi un buon segno, che gli
uditori ascoltano con attenzione, interessamento e piacere, e quella piccola materiale
menomanza di rispetto che vi pub essere viene abbondantemente compensata dal frutto che
se ne ricava dalle persone rozze. . . D.
P. POURRALTa, spiritualité chrétienne, 4, Paris 1930, p. 338 S.
(l") Cf. quanto è detto nelia premessa a G. A. BORDONDIi,scorsi per l'esercizio della
buona morte.. . , 1, Venezia 1764, p. 3.8.

18.4 Page 174

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DonTBoosricnoonenllaelsto1r7ia8d3e-l8la4r.elPigiiùosivocltaettofliucaro. Vnool
II. Stella
anche
stampate
le
prediche
del
gesuita
milanese Car17Ambrogio Cattaneo, intitolate appunto Esercizio della buona
morte ("l).
L'esercizio mensile della buona morte per i giovani, a sua volta, è una
variante del ritiro mensile: è una variante delle pratiche religiose che mensil-
mente erano ordinate dalla legislazione scolastica del Piemonte o suggerite
da costumanze locali inculcate d a libri ascetici (ls2).
Per regolamento i giovani ogni mese dovevano accostarsi al tribunale
della penitenza. I n alcune co*gregazioni (riunioni religiose degli studenti di
una determinata scuola) l'ultima domenica del mese era fissata per la comu-
nione generale (la3).. Tra i libri consigliati per l'assistenza quotidiana alla
messa c'era La giornata del cristiano. I n quest'operetta si !trova anche u n
« Regolamento di vita estratto dalla Condotta cristiana del P. Nepveu ».
Tra l'altro vi si trova suggerito l'esercizio mensile d i preparazione alla morte:
« Scegliete un giorno del mese per disporvi alla morte, e applicatevi seriamente
in tutte le vostre azioni come se in quel giorno doveste morire. Confessatevi e comu-
nicatevi. Esaminate quel che può affliggervi in punto di morte: fate atti di rassegna-
zione, di ringraziamento, di fede viva, di speranza, di confidenza, di contrizione,
d'amor di Dio, ecc. Invocate Gesù crocifisso, la SS. Vergine, il vostro Angelo Cu-
stode, il santo di cui portate il nome, e coricandovi figurate che il letto sia la vostra
tomba » (l*).
Non si ~ a r l adi te dica, appunto perché il regolamento del P. Nepveu
è affidato all'iniziativa personale. Ma lo stesso moto d'animo che portò agli
esercizi spirituali con prediche indusse anche l'esercizio mensile della buona
morte con una predica che conducesse a riflettere su qualche virtù o vizio con
I
la prospettiva degli ultimi momenti decisivi della vita terrena.
Tra le preghiere introdotte nel Giovane provveduto e nella tradizione
dell'oratorio è caratteristica la litania per impetrare una buona morte. 2 in-
dulgenziata da Pio V I I , ma circolava già alla fine del Settecento (la).
(18') I1 «Cattaneo» è genericamente consigliato ai Salesiani come testo di medita-
zione. Cf. Deliberazioni del secondo capitolo generale. . . , p. 67.
("2) [FERRERIR],egole di vita e buone massime per la gioventù studiosa, p. 29-38.
(183) [FEKRERIR],egole di vita, p. 33.
(I*) La giornata del cristiano . . . , p. 324. Tale operetta è suggerita dal Ferreri,
Regola di vita, p. 13.
('85) Cf. O. GREGORIOntr,oduzione a S. ALFONSMO. DE LIGUORIA,pparecchio alla
morte e opuscoli affini, in Opere ascetiche, 9, Roma 1965, p. L;\\XI. Nelle edizioni del
Giovane provveduto anteriori al 1873 si legge la seguente premessa: «Preghiera per la
buona morte. - Composta da una Donzella protestante convertita alla Religione Cattolica
neli'età di
del genere
15, e morta di anni 18 in odore di santità »
ha FULGENZMIO. RIccnml, O. F. M., Il cristiano
(iend.ch1ie8s4a7.,.
p.
.,
140). Qualcosa
Torino, Paravia
1845, p. 165: «Litanie per ottenere una buona morte, composte da una Damigella nata
tra i Protestanti, convertitasi aila Religione Cattolica aU'età di quindici anni, e morta
di diciotto in istima universale di santità D. Sarà stato, nella mente di DB, un implicito
invito alla
orazioni e
spaientiop?er-e.L.'i.n,du~lgoemnzaa18è4d4e. lp1.227m4agS.gio 1802:
cf.
[Telesforo
GALLI],
Raccolta
di
340
Ci si rivolge supplicanti al Signore, ancora una volta con lo stato d'animo
del peccatore. Le colpe non sono rievocate in astratto, come mancanze di
determinate virtù, ma piuttosto come perpetrate mediante l'abuso di quei
doni di Dio che sono i sensi e le potenze dell'anima, ormai sottoposti alla
pena della morte e al contrappasso delle ultime sofferenze. 'E. un tipo di
rappresentazione che si trova preferita in prediche e meditazioni popolari
sulla morte come quelle del Cattaneo, del Rosignoli o di S. Alfonso. È una
visione che, basandosi sulla rappresentazione fantastica, ha una sua efficacia.
Ma nel complesso è afliiggente. In essa l'impetrazione misericordioso Gesù,
abbi pzetà di me, scandita dopo ciascuna anticipata rievocazione delle angosce
dell'agonia, più che un sentimento d i confidenza, induce un senso di tremore:
ci si sente gettati ai piedi del Giudice di tremenda maesti. Non si contempla
il mistero deil'anima cristiana che ripete in sé il mistero della morte e risur-
rezione gloriosa di Cristo. Né si suggerisce lo stato d'animo del figlio che final-
mente raggiunge la casa del Padre, o del peilegrino che 6nalmente avverte
vicina la patria anelata. La morte ha dietro di sé l o spettro di una condanna
tremenda. Anche la litania della buona morte vuole indurre aila conversione
e al timore salutare del peccato.
15. I1 gusto per la preghiera e la sincera devozione
A questo punto è bene soffermarsi su alcune caratteristiche della pre-
ghiera, tale quale è promossa da Don Bosco. Anzitutto non è difficilecogliere
l'accento sulla preghiera come petizione nelle pagine catechistiche e devo-
zionali di Don Bosco. Le opere agiografiche, invece, tendono a fissare I'atten-
zione sul gusto per la preghiera che provarono santi o fanciulli dalla vita
edificante (la6). Lo si legge di Martino di Tours:
«Mattino era di un'indole buona, e fin da quella età [la puerizial sapeva già
affezionarsi ai fanciulli ben educati, e schivar destramente coloro che nelle loro
azioni o discorsi si danno a conoscere scostumaii. Egli provava un gran piacere quando
poteva trattenersi con qualche fervoroso cristiano, e sebbene fosse ancora privo di
battesimo, nulladimeno interveniva molto volentieri agli esercizi di pietà. Si recava
sovente alla chiesa dei cristiani, e in età di dieci anni, contro il volere de' suoi geni-
tori, dimandò con istanza di essere catecumeno ~ ( 1 8 7 ) .
('86) Significativa è la considerazione su S. Luigi modello nella preghiera. Il discorso
oscilla tra il petite et uccipietis e la elevatio mentir in Deum. Quest'ultima serie di
riflessioni prevale quando il testo di DB segue più da vicino il modello Pasquale De Mattei.
(l") Bosco, Vita di san Ma~tino vescovo di Tours.. ., Torino 1855, p. 11. I1
testo di DB si appoggia liberamente a quello del gesuita Giampietro MAFFEI (1536.16031,
Vite di diciassette confessar? di Cristo, Vita di san Martino vescovo, cp. 1, vol. 2,
Torino, Marietti, p. 4: « . . .Essendo ancora di dieci anni, contra il volere de' suoi nasco.
stamente se ne andò alla chiesa, e dimandb con istanza di essere catecumeno ».

18.5 Page 175

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Qualcosa del genere è anche narrato della heata Caterina d e Mattei da
« All'età di soli cinque anni la sua divozione era già ammirabile. Provava il più
grande piacere nel trattenersi a pregare avanti ad una piccola immagine di Maria SS.,
che aveva in sua casa. Cresceva Caterina con queste belle disposizioni ed era la conso-
lazione dei suoi genitori. Ella dilettavasi di vivere ritirata in casa per poter sollevare
più facilmente il suo cuore a Dio. Quando dalla finestra o dali'uscio rimirava il cielo
sereno e coperto di stelle, o la terra adorna di fiori, gli alheri carichi di frutta, tosto
coll'anima s'innalzava a Dio e diceva: Quanto è mai buono il Signore! Avendomi
creata a sua immagine e somiglianza, è segno che egli pensa anche a me » (188).
Luigi Gonzaga, Luigi Comollo, Domenico Savio, Magone, Besucco fin
da piccoli acquistarono un gusto straordinario per la preghiera, che poi in
seguito crebbe, arricchito di nuovi favori da parte del Signore e con segni che
manifestavano l'alto grado di perfezione raggiunta.
Risalendo alle fonti letterarie, si trovano alla radice delle pagine sulla
preghiera di petizione termini che fanno pensare alle trattazioni scolastiche,
moralisriche o anche ascetiche: a quelle, ad esempio, della teologia morale di
S. Alfonso o all'alfonsiana opera Del gran mezzo della preghiera, in cui tta-
spare una reazione, del resto molto equilibrata, all'orazione di quiete, i cui
fautori di fine Seicento erano giunti talora a mettere in cattiva luce la pre-
ghiera supplite, quasi fosse imperfetta e segno di sfiducia nella bontà scon-
finata di Dio. S. Alfonso insiste sul valore del chiedere, come atto da Dio
stesso predisposto, che dispone a confermare la propria volontà a quella di
Dio e inserisce nella catena di grazie che porterà aila salvezza eterna. I n questa
prospettiva egli conserva o ricupera quanto d i buono vedeva nell'orazione
di quiete, e dà gran risalto alla sentenza divenuta celebre: chi prega certa-
mente si salva, chi non prega certamente si danna (la9). L'affermazione alfon-
ni.g.a
('8)Bosco, Cen
.. ., Torino 1862,
ni
p.
storici intorno allo
8. In questo punto
vita della
il testo di
B. Caterina
DB dipende
De-Mattei
da A. M.
da Racco-
BALLA DO^,
Vita della B. Catferina De-Mattei da Racconigi. .., Savigliano 1847, p. 2: Crescendo in
questo studio di pregare, dilettandosi di star solitaria, ogni cosa l'era cagione di voltare
il cuore a Dio, e non era mai che per l'uscio, o pcr la finestra vedesse un ciel rereno o
di notte un bello steilato o la terra coperta di fiori e gli alberi di frutta, che non
- salisse coll'anima su in alto, e spesso considerando la provvidenza del Signore eccitava
se stessa a sopportar la poverfà dicendo: Anche di me Iddio ha pensiero, la quale ha
creata a sua immagine e somigliania D. Alquanto più discosto è il testo di Giovanni Fran-
cesco Pico della Mirandola o l'altro del canonico Piergiacinto Gallizia. Il Balladore, come
Pico, pone in evidenza il diletto di Caterina per la solitudine, chiamata da Pico «nutrice
certamente deli'orationen. I1 Galiizia sottolinea come in ciò la beata era uprevenuta
dalle benedizioni dei Signore ». DB mette in rilievo le iniziative di Caterina, i cui «vari-
taggi » (che potevano suggerire l'imitazione) erano: una divozione « g i à ammirabile », il
« grande piacere » nella preghiera, « la consolazione » dei genitori.
('89) S. ALFONSOD,el gran mezzo della preghiera, pt. 1, cp. 1, in Opere mcetiche,
2, Torino, Marietti 1846, p. 529. Sulla preghiera e le teorie della grazia aifonsiane cf.
J. F. HIDALGDOo,ctrina alfonsiana acerca de la acci6n de La gracia actual eficaz y suficienfe.
Enzayo histdrico-exporitivo, Roma 1954.
siana è accolta anche da Don Bosco. La si trova inserita in una serie di
sentenze del Giovane prouueduto e incastonata in sermoncini o conferenze(IW).
Nella mente d i Don Bosco la preghiera di petizione è strumento efficace per
ottenere grazie spirituali e temporali. La sentenza d i S. Alfonso giova a sotto-
lineare l'importanza della preghiera in ordine alla salvezza. Ma nelle espres-
sioni di Don Bosco non è più rivestita del complesso di motivazioni teologiche
proposte nel Gran mezzo della preghiera.
Potrebbe sembrare che ci si trovi di fronte a due nuclei dottrinali e pra-
tici pienamente autonomi. Quando Don Bosco avverte la necessità, sente
la preghiera come petizione: prega egli stesso, invita a pregare, sicuro che il
Signore interverrà. Promuove la preghiera in chiesa, dove - egli insegna -
omnis qui petit accipit (l9'). Quando vuole chiedere grazie straordinarie, siano
esse conversioni o guarigioni, fa leva sulla preghiera. Persino invita increduli
o tiepidi a supplicare, a pronunziare anche solo meccanicamente. Forse intuisce
che il fuoco della fede e della preghiera nell'animo degl'increduli del suo
tempo non è spento: l'incredulità forse è solo una cenere che basta scuotere.
Egli avverte il senso utilitaristico degli uomini: senso che poteva apparire
meno nobile, ma molto efficace, sottolineato anche da S. Leonardo da Porto
Maurizio quando presenta il tesoro nascosto nella santa messa; senso, però, che
Dio gradisce, e che giova a portare a sentimenti religiosi più puri (l9'). Tutta-
via anche nella preghiera d i petizione c'è qualcosa d i più profondo, al di sotto
della grazia che si desidera ottenere c'è qualcosa che deriva dal colloquio con
Dio, c'è il rapporto con il sacro e il t r a ~ c e n d e n t e ( ' ~ ~S)a.rebbe stato utile
avere di Don Bosco un documento eutobiografico come quello d i Enrichetta
Dominici o di Teresa di Lisieux, per potere comprendere in quale misura la
sensazione del divino penetrò il suo spirito. Egli invece pare sfuggire a ogni
indagine; pare compiacersi anche di Domenico Savio che, interrogato da
Don Bosco stesso si schermi e si scusò dicendo che, in cortile, a studio, per
la strada e stando in chiesa, specialmente dopo la comunione eucaristica, era
(190) Bosco, Il giovane provveduto. . ., Torino 1851, p. 332 (ed ediz. successive);
ID., Avvisi ai Cattolici, Torino 1853, p. 28 (ed. successive dei Fondamenti della Cattolico
Religione); h4B 9, p. 180 (sogno sull'inferno: 1868).
('91) [Bosco], Exercizio dd diuozione alla misericordia di Dio, p. 105; [ID.], Il
giovane provveduto.. . , Torino 1847, p. 16.
('92) LEONARDO DA P. MAURIZIO, Il tesoro nascosto, cp. 1, § 8, l. c., P. 332 (ci.
sopra, nota 59).
DB ha anche presente il «vantaggio» ascetico ed educativo da ricavare. Non ci si
contenti, ad esempio, della meditazione: «Ciascuno la faccia sempre, ma, scendendo alla
pratica, concluda sempre colla risoluzione di ricavarne fmtto, di evitare un difetto, di
praticare qualche virtù» (h4B 9, p. 708). Come la fede, cosi anche la preghiera, a suo
modo, se è
la orazione
autentica,
di quiete,
dev'essere operativa. I
bensì anche - e più
nprocifòonèdepo-ssicboilne
vedere, non solo differenze con
quella del credente protestante,
che non fa propositi di conversione, ma solo implora da Dio che converta, custodisca, tra-
sformi, guidi.
(193) Cib DB lo avverte in linea con la preghiera eleuafio: «Per preghiera s'intende
tutto ciò che soileva i nostri affetti a Dio D (MB 9, p. 708).
343

18.6 Page 176

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
assalito da distrazioni, non si accorgeva che i compagni uscivano di chiesa e che
le ore passavano (lq4).liifugge Don Bosco dal palesare la propria vita inte-
riore? oppure, non avvezzo alla letteratura mistica ( o non attratto da essa)
non ha i mezzi interpretativi, che invece avevano Teresa d'Avila e Giovanni
della Croce? Più avanti, indagando sui « fatti straordinari » nella vita di Don
Bosco cercheremo anche di affrontare questi problemi.
Traspare, comunque, la sua ammirazione per il gusto per la preghiera
che nota nei suoi migliori giovani. Sufficientemente esplicito è il suo appello
a tutti gli altri: a quanti (saranno stati una legione?) egli conosce irrequieti,
disattenti, disturbatoti in chiesa, scomposti, seduti sulle calcagna come ca-
gnolini davanti all'altare con il Sacramento('95). Ha le sue buone ragioni,
quando esclama che è una buona ventura quando i ragazzi sanno pregare: è
una ventura che ordinariamate si acquista nella infanzia e si alimenta con la
fedeltà a Dio (lM). Quando afferma ciò, sembra avere presente il principio che
occorre darsi a Dio per tempo, giacché adolescens iuxta viam suam etiam c u m se-
nuerit non vecedet a b ea. Ma non è da escludere che alla persuasione, che è
ad un tempo teologica e psicologica, si accomunasse anche quella sociologica.
La sua insistenza sulla « tristezza dei tempi » lo fa pensare. Se i giovani, già
per la loro connaturata fragiliti e mobilità avevano bisogno di radicarsi nel
gusto per le cose di religione, a maggior ragione ne avevano bisogno in tempi
cosi calamitosi. In altri termini questa sarebbe la percezione della vulnerabilità
della pratica e dello spirito religioso in questi tempi (e in quell'ambiente) di
rivoluzione (cioè di disancoramento e trasformazione). Ci sono dunque pa-
recchi motivi, perché Don Bosco, per quanto attento alle disponibilità di
ciascuno, non potesse contentarsi dell'abitudine legata quasi solo all'ambiente
e facilmente sradicabile. Non può bastare a lui che i giovani vadano a confes-
sarsi e comunicarsi. Egli vuole che ci vadano « volentieri », provandone e
ricavandone piacere. Sono espressioni che si leggono in una serie di ricordi
che a buon diritto gli si attribuiscono: « Fintantoché non andiate volentieri
a confessarvi ed a comunicarvi e h c h é non vi piacciano i libri divoti e i
divoti compagni, non crediate di avere ancora una sincera divozione » (lP7).
(l") Dosco, Viia del giovanetto Savio Domenico . . . , Torino 1859, p. 97: «L'inno-
cenza deila vita, i'amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti avevano portato la
mente di Domenico a tale stato che si poteva dire abitualmente assorto in Dio. Talvolta
sospendeva la ricreazione, voltava altrove lo sguardo e si metteva a passeggiare da solo.
Interrogato perché lasciasse così i compagni, rispondeva: mi assalgono le solite distrazioni,
e mi pare che il paradiso mi si apra sopra del capo, ed io debbo allontanarmi dai com-
pagni per non dir loro cose che forse essi metterebbero in ridicolo. Tal cosa gli succe-
deva nelio studio, neli'andata e ritorno da scuola, e nella scuola medesima n. E per la
chiesa, più sopra, o. c., p. 94 S.
('95) Regolamento per le case della società di S. Francesco di Salex, p:. 2, cp. 4 Con-
tegno in chiesa, Torino 1877, p. 65. Cf. anche sermoncino serale del giugno 1876: MB
12, p. 446.
('96) Bosco, Il partorello delle Alpi. . ., Torino 1864, p. 114.
(1") Ricordi in appendice a Germono l'ebanistrr o gli effetti di un buon consiglio
(LC a. 10, fpsc. I l ) , Torino 1862, p. 77. La serie dei consigli si chiude con la esortazione
Occorrerebbe sondare a questo proposito il senso di sincera devozione; di
gusto nella
e spirito d i preghiera. Don Bosco non ce ne lascia defini-
zioni. Si comprende che hanno qualcosa di connesso con formule analoghe
già sopra esaminate, circa la vera devozione secondo S . Francesco di Sales
e Luigi Grignion de Montfort, la vera perfezione e la vera santità di S. Alfonso.
di Paolo Segneri juniore e di Don Bosco stesso. C'è anche qualcosa di con-
nesso con l'esprit d e finesse e i'esprit d e justesse di Pascal, nel senso di qualità
o potenzialità dell'anima. I1 gusto a sua volta sembra indicare una qualità
di ordine appetitivo che porta per connaturalità e « spontaneamente » a pro-
vare appagamento e piacere. Più volte Don Bosco manifesta come il gusto
nella preghiera è segno che la grazia divina riempie il cuore o agna lo spirito:
il gusto nella preghiera è segno di virtù e di perfezione. Propriamente la sua
attenzione va molto a fondo e nel gusto spirituale intende trovare la garan-
zia del radicamento del divino nell'animo dei suoi giovani (l9'). Abbiamo anche
detto che dell'autenticità di tale gusto egli cerca garanzie altrove: cioè nel
complesso della vita, nella obbedienza e docilità, nella purezza e nella carità
fraterna. Non si tratta perciò di quello che poi verrà denunziato (ad esempio
dal mons. Bonomelli), come sentimentalismo('"). Insistendo, però, sul gusto
per la preghiera Don Bosco manifesta di essere in linea con la spiritualità del
fervore che, come rilevammo, caratterizzò con le sue movenze apologetiche,
la religiosità cattolica d'Italia nella fìne dell'Ottocento. La preghiera, infatti,
anche per Don Bosco, nel suo contenuto è supplica, oltre che per la propria sal-
vezza, per la Chiesa e per il Papa: perché il Signore li sostenga nella lotta e li faccia
trionfare sul male. La preghiera collettiva per i cattolici di fine secoli> è segno
di forza e simbolo di speranza nel successo. In Don Bosco non pare che ci sia
tale accentuazione con la stessa evidenza. Egli tuttavia è attento anche al va-
lore educativo che può assumere la preghiera collettiva ben fatta: « La pre-
ghiera - egli dice - deve essere manifestazione di fede che inviti gli astanti
a lodare Iddio
La preghiera ben fatta dei giovani vuole che serva di
attrattiva (all'Oratorio e nelle parrocchie), di esempio, di compiacimento, di
encomio al sistema educativo dei Salesiani ("l).
Come fare per condurre i giovani allo spirito di preghiera, al gusto per
i sacramenti e per le pratiche di pietà?
Nell'opnscolo sul Sistema preventivo egli indica come buon mezzo il
parlare ai giovani della bellezza, gandezza e santità della Religione Cattolica,
la quale « propone mezzi facili e utili » alla civile società, alla tranquillità del
alla « verace e costante devozione a Maria Santissima .. . Abbiatela, e spero che direte un
giorno: Venerunt omniu mihi bona perite, cum illa a. B, questa, una sentenza abituale a DB.
(198) Cf. sopra, cp. 10, note 61-61 e testo corrispondente, p. 222 S.
(1s) Sentimentalismo e formalismo in religione. Pastorale per la Quaresima 1902, in
BONOMELLAI,tt~a~ersionostri tempi. Lettere pastorali ritoccate, Milano 1910, p. 281-342.
(2m) MB 9, p. 708.
(201) MB 9, p. 208 S.

18.7 Page 177

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
cuore, alla salvezza dell'anima » ('O2). Vi si sentono risuonare i temi della sal-
vezza personale, della santità facile e dell'appagamento delle istanze umane.
L'astrattezza della formula adoperata da Don Bosco nel Sistema preventivo
potrebbe condurre a interpretazioni errate o inadeguate. Potrebbe sembrare,
cioè, ch'egli suggerisca di fare discorsi astratti sulle bellezze del cristianesimo
o sulle delizie della pietà. Ma abbiamo già visto le preferenze di Don Bosco
in catechesi e nella esposizione storica. La «moralità » non doveva essere
giustapposta ai fatti, ma doveva scaturire dal racconto stesso (201). L'ideale
cristiano, la bellezza e la santità della Religione doveva scaturire, preferibil-
mente, dall'agiografia o dalla storia biblica ed ecclesiastica. L'attrattiva della
pratica religiosa egli.l'afida, in concreto, alla vita di S. Filippo Neri o di S.
Luigi, alle biografie di Comollo, Savio, Magone, Besucco. La mente del gio-
vane doveva poi portarsi all'ideale realizzato: all'inserimento nella civile so-
cietà come membro utile, alla tranquillità del cuore e alla salvezza eterna.
Don Bosco, come Leonardo da P. Maurizio e S. Giuseppe Cafasso, tende a far
scattare le molle del cuore prospettando non solo la bellezza ideale e la san-
tità, ma anche l'utile: facendo un discorso che i giovani popolani del suo
Oratorio potevano ben comprendere.
16. Le associazioni religiose
Il convergere di vari elementi fa sì che le tendenze associazionistiche di
Don Bosco e del suo ambiente giungano a concretizzarsi anche nell'ambito
dell'opera religioso-educativa di Valdocco e della Congregazione Salesiana.
Conosciamo le native prospensioni di Don Bosco. Più volte egli narrò qualcuna
delle sue imprese infantili e giovanili: fu capo di gruppi spontanei a Morialdo,
poi capo ed esponente della Società dell'Al1egria tra studenti a Chieri, fu al
centro di attività nel seminario di Chieri e fulcro di amicizie profonde, poi,
capo dei <( birichini » a Torino.
Nell'ambito dell'attività catechistica torinese e in quello delle iniziative
oratoriane la tendenza associazionistica a Torino si cristallizzò attorno ai due
poli che conosciamo: attorno a Don Cocchi da una parte e attorno a Don Bosco
dall'altra.
Attorno a Don Bosco l'associazionismo si esplica a livello degli educatori e a
livello dei giovani. Abbiamo trovato gli educatoti unirsi nella Congregazione
dell'Angelo Custode prima, poi formare il piccolo nucleo di chierici e giovani
(202)BOSCO, Il sistema preventivo nella educazione della gioventù, § 2, n. 4; in
Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales, p. 8.
(Z'U) È il consiglio che DB a Don Lemoyne: «Pensare che si scrive in prosa
storica, e perciò la morale sia come impastata nel racconto e non come materia separata »
(da Torino, 3 nov. 1869 in AS 131.01 Lemoyne; cf. Epistolario 786). È il critrcio che
DB cerca di mettere in pratica nei suoi scritti storici e agiografici. Possiamo pensare che
lo sia anche stato nelle sue esposizioni domenicali della storia ecclesiastica.
346
che si impegnano a pratiche di pietà, nel 1854 nasce il primo gruppo di « Sale-
siani », i n h e Don Bosco pone le basi della Società di S. Francesco di Sales.
Ma il complesso educativo dell'oratorio festivo ci manifesta un tessuto
polivalente. Funzioni direttive sono condivise da ecclesiastici e laici. I « coope-
ratori » dell'oratorio esplicano mansioni diverse, previste o no dal Regola-
mento. Istituita la Società di S. Francesco di Sales, intervengono nell'opera edu-
cativa Salesiani e non Salesiani.
L'Oratorio, secondo il Regolamento, articolava, tra l'altro, i suoi quadri
dirigenti, in catechisti, maestri, assistenti, patroni. Quest'ultima categoria ci
richiama l'Opera dei Pafionages e le iniziative della Società di S. Vincenzo de'
Paoli (m).I patroni dell'Oratorio di S. Francesco di Sales s'impegnavano an-
ch'essi a firsi protettori di giovani apprendisti che frequentavano l'oratorio (m).
I patroni ne avrebbero seguita la formazione morale-cristiana mentre esercita-
vano l'apprendistato presso artigiani o in officine. Troviamo così che l'asso-
ciazionismo gravitante attorno all'Oratorio allarga il suo influsso anche fuori e
raggiunge gli ambienti di famiglia e di lavoro.
Tra i giovani oratoriani l'associazione offerta da Don Bosco è la Com-
pagnia di S. Luigi Gonzaga. Compagnia cb'era senza molti obblighi; compagnia,
anzi, che per gli obblighi pcoposti ai membri sembra una codificazione dei
principi religiosi inculcati nel Giovane provveduto; sembra perciò frutto della
riflessione personale di Don Bosco (m").
Ai soci è chiesta esatta ossewanza dei doveri di un buon cristiano, ispi-
randosi per questo a S. Luigi, il quale «fin da fanciullo fu così esatto dell'adem-
pimento di ogni suo dovere, così amante degli esercizii di pietà, e così divoro
(204) SUI movimento dei Patronagcs in Francia e sulle opere in favore della gioventù
- operaia e contadina CF. Jean-Baptiste DUROSELLLEes, débuts du catholicisnae rocial en
France (1822-1870), Paris, p. 549-604. A Parigi quel tipo di assistenza dei giovani ap-
prendisti venne iniziato nel 1834 (con tre ragazzi). Nel 1852 gli assistiti erano circa 4.000:
CE. Bulletin d e la Société de Saint-Vincent-De-Paul 4 (1852), p. 21-24. Come diremo,
l'opera veniva diffondendosi anche in Italia, specialmente nel ducato di Genova, a Roma
e lentamente anche in Piemonte.
(205) Regolamento dell'oratorio di S. Francesco di Sales, pt. 1, cp. 13, Torino
1877, p. 26: « 1. I Patroni ed i Protettori hanno l'importantissima carica di collocare a
padrone i più poveri, ed abbandonati, e vegliare che gli apprendisti e gli artigiani che fre-
quentano l'Oratorio non siano con padroni presso di cui sia in pericolo la loro eterna
salute n.
Letture e consigli ad uso dei membri delle associazioni di carità, per un membro della
Societd di S. Vincenzo de' Paoli. Traduz. dal francese, pt. 2, cp. 3 Opere relative al pa-
tronato dei fanciulli, § 2 Patronato degli apprendizzi, Genova 1855, p. 131: «Consiste questo
.. sistema in tre punti fondamentali: 10 Collocare i fanciulli sotto persone che presentino
ogni fiducia dal lato religioso e industriale. 20 Visitarli .30 Radunarli le domeniche e
le feste in appositi locali per istruirli.. .D. Cf. anche avanti, note 232-235.
( m )In AS 133 Compagnie S. Luigi, si conserva il documento autentico di erezione
canonica: il Regolamento (ms. in parte autogr. di DB) e sottoscrizione di mons. Franzoni, in
data 12 aprile 1847 (MB 3, p. 216.219). I1 Regolamento venne pubblicato in Bosco, Le
Sei domeniche e la novena i n onore d i S. Luigi Gonzaga colle regole della Compagnia. . .,
S. Pier d'Arena 1878, p. 48-58 (ma con aggiunte) e nelle edizioni successive.

18.8 Page 178

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
che quando andava in chiesa, la gente correva per osservarne la modestia D
I soci sono invitati ad accostarsi alla confessione e comunione ogni quindici
giorni o anche più spesso, specialmente nelle maggiori solennità, persuasi che
i sacramenti sono « l e larmi con cui si porta compiuta vittoria contro il de-
monio »: « S. Luigi - si inculca - ancor giovinetto si accostava a questi
sacramenti ogni otto giorni, e divenuto alquanto grandicello, con maggior
frequenza » (=). I n terzo luogo i soci dovevano impegnarsi a « fuggire come
la peste i compagni cattivi, e guardarsi bene dal fare discorsi osceni
E
si aggiunge l'esempio di S. Luigi: egli « non solo evitava tali discorsi, ma era
cosi modesto, che niuno ardiva proferire parola per poco sconcia alla sua pre-
senza » (2'0). Si raccoinanda in quarto luogo di « u s a r e somma carità verso i
compagni, perdonando volentieri qualunque offesa. Bastava fare un'ingiuria
a S. Luigi per averselo tosto amico » ('"). « 5. Grande impegno pel buon
ordine della Casa di Dio, animando gli altri alla virtù ed a farsi ascrivere
alla Compagnia. S. Luigi pel bene del prossimo andò a servire gli appestati, i l
che fu cagione della sua morte ('l2). - 6. Mettere grande diligenza nel lavoro
e nell'adempimento dei propri doveri, prestando esatta ubbidienza ai proprii
genitori ed agli altri superiori ("'1. - 7. Quando u n Confratello cadrà in-
fermo, ciascuno si darà premura di pregare per lui, ed anche aiutarlo nelle cose
temporali, nel modo compatibile colle proprie forze ».
Ci si rende conto che, cosi come è fissata dal Regolamento, la Compagnia
s'inserisce, e molto bene, nell'alveo tradizionale di associazioni di questa
natura, anche se la formulazione si rifà a precedenti pagine di Don Bosco.
Le finalità proposte ai giovani della Compagnia sono nella sostanza quelle che
si riscontrano nella Compagnia S. Luigi fondata a Bergamo dall'ex gesuita
[Boscol, Il giovane provveduto, pt. I [sa.I l , art. 5 Del rispetto che devesi
alle Chiese.. ., Torino 1847, p. 16: « Quando S. Luigi andava in Chiesa la gente correva
per osservarlo, e tutti erano edirrcati dalla sua modestia D.
(208) [BOSCO], Il giovane pmvmduto, Sei domeniche, giorno 4, ed. c., p. 62: «Frequenza
de' Sacramenti della confessione e comunione, che sono i due mezzi più efficaci per vin-
cere.. . r; l. c., giorno 6, p. 65: « Impiegava tre giorni a prepararsi alla comunione, tre
giorni appresso per farne il ringraziamento. .. D.
('09) [Bosco], Il giovane provveduto, Sei domeniche, giorno 3, ed. c., p. 61: «Fate,
o S. Luigi, che io fugga qual peste tutti que' compagni i quali co' loro pestiferi discorsi
cercano la rovina deii'anima mia D; cf. anche g. 7, p. 68,
(''0) [Boscol, Il giovane provveduto, Sei domeniche, giorno 3, ed. C,, p. 60: «Qua-
lora in qualche conversazione si facessero discorsi men puri, al sopraggiungere di Luigi
niuno ardiva di proseguirli.. . D.
(2") [Bosco], Il giovane provveduto, Sei domeniche, giorno 5 , ed. c... .D. 63 s: «Non
solo aveva viscere di carità veno del prossimo; ma sapeva mcravigliosarnente sopportarne i
difetti I . . .l chi più lo disprezzava, più da lui era amato D.
c2'" . . (2'2) [BOSCO], Il giovane prouveduto, Sei domeniche, giorno 5, ed. c., p. 64: « In una
pestilenza awenuta in Roma ottenne di servire agli appestati .D.
piovane
è
l['BubObSidCiOenIzI,1a..g.io,uuedn.e
prouveduto,
c., p. 13-16.
pt.
1
[sez. 11,
art.
4.
La
prima
virtù
di
un
Luigi Mozzi e di irradiatasi altrove ('l4). Manifesta coincidenze con la Com-
pagnia dello stesso nome istituita alla fine del secolo decimottavo dal sacer-
dote Giovanni Battista Rubino d l a Morra (Cuneo) e diffusasi in varie città
dei Piemonte (2LS)C. ome in quelle Compagnie, anche in quella d i Don BOSCO
fine generale è l'esercizio della virtù imitando Luigi Gonzaga("'). « V i r t ù
nella mentalità del tempo implica u n senso religioso dei doveri da adempiere:
doveri verso Dio, doveri verso se stessi e verso il prossimo.
Alla tradizione ci richiama già l'appellativo di Compagnia e quello di
Priore dato al dirigente laico("'). Alla tradizione inoltre ci richiamano varie
attività particolari, quali, ad esempio i servizi da prestare ai confratelli in-
fermi ('l8).
Nella dialettica interna delle opere di Don Bosco troviamo 'verificarsi
come un flusso e riflusso. Inizialmente è l'oratorio festivo che offre iniziative
ed energie. Con il suo Regolamento l'oratorio festivo serve di base al do-
cumento analogo che regge la Casa annessa all'Oratorio. Dal Regolamento
della Casa annessa derivano in misura diversa altre codificazioni fino al Rego-
lamento per le Case salesiane. L'Oratorio festivo fornisce al pensionato e
ali'internato la Compagnia di S. Luigi, che inizialmente include la maggior
('14) Su L. Mozzi cf. Silvio CIVILDINMI,., in EC 8, CI.1506. Le Regole e rtatuti della
Compagnia di S. Luigi Gonzaga furono editi la prima volta a Bergamo nel 1795. Per gli
inflrissi sui fratelli Cavanis CF. Francesco Saverio ZANONC,ompendio della vita dei servi di
Dio P. Anton'Angelo e P. Marcantonio conti Cavanis. . ., Venezia 1927, p. 70-86 e sulle
relazioni con il Pavoni a Brescia, iui, p. 233 S.
. . (215) [G. B. R u n ~ ~ oI]l, modello e protettore della gioventu S. Luigi ~ o n z a g acon le
regole della Compagnia sotto l'invocazione del medesimo santo. , Carmagnola 1815, p. 10 s:
«Varie Compagnie sotto l'invocazione di S. Luigi sono erette nel Piemonte, nell'ltalia,
nella Svizzera, nella Baviera, nella Germania, ed in altre parti [. . .] ma quella della Gioventù
stabilita a norma delle Regole qui indicate, ebbe principio nella parrocchiale di Morra del-
l'antica diocesi d'Alba l'anno 1793; in cui parecchi giovani divoti di S. Luigi si unirono a
praticare alcuni esercizi di pietà ad onore del medesimo, ed ai quali diedero principio nella
domenica consecrata al SS.mo Nome di Maria nel giorno 15 settembre del detto anno*.
Altre vennero fondate - si legge - a Fossano, Piano d'Alba, Novello, Monforte (P. 12s).
Per l'accettazione nella Compagnia di Morra erano richiesti undici anni compiuti; in quella
di Fossano, dieci (o.c., p. 162).
Una compagnia di S. Luigi, ma per adulti, uomini e donne, esisteva anche nella chiesa
di S. Filippo, presso il seminario di Chieri.
(216) Regolamento dell'oratorio di S. Francesco di Sales, ed. C,, p. 45: « L o scopo
che si propongono i soci si è da imitare questo Santo nelle virtù compatibili al proprio stato,
ed avere la protezione di Lui in vita, e in punto di morte ». [RUBINO], Il modello e pro-
tettore della gioventù, Regole della Compagnia di San Luigi Gonzaga, cp. 1, ed. c., p. 161:
« Ii fuie di questa Compagnia si è [. . . l far progressi nella strada della virtù, e pietà
cristiana ad esempio e merch il patrocinio dell'iingelico Giovane S. Luigi Gonzaga ».
("7) Anche la Compagnia della Morra è presieduta da un Priore eletto annualmente.
Cf. [RUBINO], o. c., p. 164.
(218) La Compagnia della Morra eleggeva quattro confratelli destinati espressamente
alla visita dei soci infermi, [RUBINO]o,. c., p. 17 s.
349

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DopnaBrtoescdoeniellgaiostvoarinaid,elmlaarelpigoiois, itàqucaatntodlioca.sVoorlgIoI.nSotelalaltre associazioni, viene limitata
ai giovani di minore età ("9.
Dopo il 1855-56 si assiste al riflusso. E l'internato che alimenta di ini-
ziative e di energie l'Oratorio festivo. Nell'ambito dei giovani interni nascono la
Compagnia deU'Immacolata, quella del SS. Sacramento (con il servizio all'al-
tare prestato dal Piccolo Clero), la Compagnia di S. Giuseppe tra gli artigiani.
Quest'ultima Compagnia si ramifica in associazioni distinte per giovani di mezza
età e per giovani più adulti.
L'Oratorio festivo assume queste associazioni e preleva, nella misura
possibile, dalla compagine degli alunni interni, alcuni che si prestano per la
catechesi ai giovani esterni, almeno nei giorni festivi.
Ma come furono' urgenze nuove a far sorgere le nuove associazioni, cosi
sono queste nuove finalità che mantengono le differenziazioni, almeno negli
ambienti che lo consentono, specialmente negli internati.
Le Compagnie dell'Immacolata e del SS. Sacramento sono frutto di istanze
dell'educatore, avvertite da gruppi di giovani più impegnati e più intrapren-
denti. L'importanza data alla frequenza eucaristica attorno al 55-56 non trovò
in qualche momento quella rispondenza che Don Bosco si aspettava. Una
giornata di mensa eucaristica deserta fece si che Domenico Savio, Giuseppe
Bongiovanni e altri dessero inizio alla Compagnia, che in clima di definizione
dell'Immacolata assunse il titolo di Compagnia dell'Immacolata Conce-
zione ("O).
Altra urgenza era quella di infrastrutture educative. Il gruppo di edu-
catori di cui Don Bosco disponeva attorno al '55 era assai sparuto (Don
Alasonatti, Don Rua, mamma Margherita, Buzzetti . . .). I giovani allora scia-
mavano dall'Oratorio carichi di sagge esortazioni e si recavano a scuola e al
lavoro nei luoghi più disparati. Si sentiva il bisogno di prolungare in qualche
(2'9) SU tutta questa materia si vedano le MB: Indice MB voce Compagnie religiose,
p. 82 S.
i ! /?i k:;,
(m)La più vasta elaborazione dei dati sulla Compagnia delU'Immacolata è in CAVIGLIA,
Domenico Sauio.. . Studio, 1. 10, cp. 2, in Opere e scritti editi e inediti di Don Bosco,
4, Torino 1935, p. 441-464. Vi è discusso ampiamente il ruolo d i Domenico Savio nella
fondazione della Compagnia, nella elaborazione del regolamento e neli'attività svolta. Qui
rileviamo alcuni nessi con attività preesistenti all'oratorio. Patrono è chiamato il socio della
Compagnia Immacolata che prende sotto tutela un «cliente» o giovane bisognoso di
speciale assistenza (CAVIGLIoA. ,c., p. 464).
Patrono - come abbiamo test2 notato - è colui che si assume l'assistenza di qualche
giovane oratoriano apprendista.
Il regolamento della Compagnia Immacolata riecheggia quello della Compagnia S. Luigi
in più di un punto. Alla «esatta ubbidienza » della Compagnia S. Luigi, fa riscontro lla
erigorosa obbedienza» della Compagnia Immacolata. Al «grande impegno al lavoro ed
all'adempimento dei proprii doveri » fa riscontro a i'adempimento dei proprii doveri » come
«prima e speciale occupazione » dei soci della Compagnia Immacolata. Alla «somma carità
verso i compagni » corrisponde la «carità reciproca » che «farà amare indistintamente i
nostri fratelli D. Al perdonare « volentieri qualunque offesa D, i'«evitare fra noi qualunque
minimo dispiacere, sopportando con pazienza i compagni ». Cf. Bosco, Vita del giovanetto
Savio Domenica, ed. 1859, p. 77-80 (regolamento della Compagnia Immacolnta).
350
modo la presenza dell'educatore; si sentiva il bisogno di coadiuvare di pii1
Don Bosco. La Compagnia dell'Immacolata nasce anche per questo scopo:
in momenti in cui la Società di S. Francesco di Sales era appena in embrione.
Per alcuni lustri la nuova Compagnia si mantiene segreta, neli'intento di
potenziare il proprio influsso nell'ambiente. I giovani che vi sono iscritti,
sono accuratamente prescelti. I membri della Immacolata seguono giovani che
per qualche motivo hanno bisogno di avere una particolare assistenza (nuovi
venuti, discoli, deboli negli studi. . .). La Compagnia dell'Immacolata, insomma,
ripete alcune esperienze di cui erano stati teatro, ad esempio, i collegi della
Compagnia di Gesù ("l). La segretezza però impediva che la Compagnia potesse
assolvere pienamente le finalità devozionali che si era proposte inizialmente:
provvedere, a turni di Comunione eucaristica e servire di richiamo nell'am-
biente. Sorse cosi, per incoraggiamento di Don Bosco e per l'intraprendenza
del chierico Giuseppe Bongiovanni, la Compagnia del SS. Sacramento, di cui
sono finalità specifiche la frequenza dei Sacramenti, il culto eucaristico in
genere, il servizio nelle funzioni sacre (").
L'anticiericalismo, che ormai aveva impregnato l'ambiente subalpino,
costrinse gli educatori a intervenire per difendere i membri della Compagnia,
chiamati dispregiativamente bongiovannisti (223). Don Bosco ne promosse con
fermezza l'attività e ne dichiarò più volte la funzione educativa. I giovani,
vedendo che i migliori tra loro, come per privilegio, ottenevano di servire
all'altare, vedendo loro coetanei in abito talare e in funzioni quasi sacerdo-
tali, avevano per ciò stesso un antidoto al senso di antipatia per lo stato
ecclesiastico che potevano respirare nel proprio ambiente nativo e ;nel con-
tempo ricevevano un'attrattiva verso uno di quegli ideali che. Don Bosco
sperava suscitare (m).
Le Compagnie assumono perciò un ruolo integratore nel sistema educa-
tivo, supplendo aUe eventuali deficienze di personale, di necessaria assistenza
e di penetrazione capillare. Ma tale valenza non esaurisce la loro funzione.
("1) Sulle alterne fortune della Compagnia Immacolata cf. Mi! e inoltrei sulle
esperienze presso opere educative dirette da Gesuiti: P. KELLERWESSGEeLsc,hichte der
Marianischen K~n~regationenW, ien 1930; E. VILLARELTes, congrégations mariales, Paris
1947. La più nota e più temuta Congregazione matiana ali'inizio dell'Ottocento fu quella
intitolata alla Atrxilizrm Christianorum: la Congregazione per antonomasia, diffamata anche
dai romanzi d i E. Sue. La «Congregazione » si distinse nei dare aiuti n Pio VI1 prigio.
niero a Fontainehleau.
(W AS 133 Comoaenia SS. Sacramento: minuta autogr. di DB del regolamento
[1857'3; cf. M E ~ 5 ,p. 759;.
(m)Cf. MB 9, p. 455: conferenzo del 28 dicembre 1868 ai Salesiani.
~ , C-f.. i ricordi di Don Francesia nella vita di Don Bongiovanni: FRANCESIA,
. Memorie biografiche di Salesiani defunti, S. Benigno Canavese 1903, 48 S; e l'importante
circolare di DB ai Salesiani del 12 gennaio 1876: « .. Io credo che tali Associazioni si
possono chiamare Chiaue della pietà, conservatorio della morale, sostegno delle vocazioni
ecclesiastiche e religiose» (ME 12, p. 26; AS 131.03 Circolari ai Salesiani). Inoltre cf.
l'indice dell'Epistolario voce Compagnie, vol. 4, p. 615.

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DonEBssoescognioevllaanstooriaa dpeollaternezligiaiorseitàacnactthoelicai. VvoallIoI.rSi terlelaligiosi a livello collettivo e nel-
l'intimo personale di quanti vi militano.
Rispetto ad associazioni similari, quali le Congregazioni mariane o la
Compasnia di S. Luigi istituita dal Rubino, il complesso delle associazioni
istituite o promosse da Don Bosco assume un valore specifico dal tipo di am
biente educativo in cui si inseriscono: Oratorio festivo e internati, con il loro
carattere di serenità, di scioltezza e naturalezza derivate dalla personalità di
Don Bosco.
E da notare inoltre la centralizzazione delle Compagnie e la loro chiusura
rispetto a opere che non fanno capo a Don Bosco I loro regolamenti sono
collegati a vicenda con quello dell'Oratorio, della Casa annessa, delle Case Sale-
siane. Esse sono in'senso centripeto. Non si offrono ad altri ambienti, come
invece fanno la Compagnia del Rubino o altre associazioni che esistevano a
Torino e in Piemonte, che Don Bosco conosce e segue in una certa misura,
ma non accoglie, perché connesse ad altri istitutori o anche solo per non
sovraccaricare le ramificazioni sviluppatesi siil ceppo di Valdocco.
Di conseguenza gli addentellati con altre associazioni sono rari. La So-
cietà di Mutuo soccorso, ad esempio, istituita nel 1850 e riportata in vigore
negli ultimi lustri del. secolo in clima di società operaie, ebbe ispirazione, come
si può supporre, dalle Società di mutuo soccorso che si erano via via organiz-
zate dal 1822 in avanti, ma la sua vita è neli'ambito della Compagnia S. Luigi
impiantata nell'Oratorio esterno di Valdocco e di S. Luigi in Porta nuova.
Per statuto infatti, la Società di Mutuo soccorso è riservata ai soci della Com-
pagnia (").
L'osmosi più cospicua si ha con la Società di S. Vincenzo de' Paoli.
L'associazione dell'ozanam dal 1836 aveva posto piede a Roma e dal 1844
negli Stati Sardi (a N i z ~ a ) ( ~A) . Torino la prima Conferenza di S. Vincenzo
de' Paoli era stata istituita nel 1850, aggregata a quella centrale di Parigi nel
(221) Sulla Società di mutuo soccorso cf. AS l34 (scritti editi di DB). In particolare:
. Societd di mutuo soccorso di alcuni individui della Compagnia di San Luigi eretta nel-
l'oratorio di San Francesco di Sales . . , Torino, tip. Speirani e Ferrero 1850. Cf. anche
MB 4, p. 72-81. Quanto alle società già esistenti cf. Emilio R. PAPA, Origini delle società
operaie. Libertà di associazione e organizzazio>ri operaie di mutuo soccorso in Piemonte
(1848-1861), Milano 1967; Gian Maria BRAVO, Torino operaia. Mondo del lavoro e idee
sociali nell'età di Carlo Alberto, Torino 1968; cf. anche sopra, cp. 4, nota 119, p. 96.
Oscure sono le relazioni tra DB e una Pia uaione prouuisoria sotto l'invocazione di
S. Francesco di Sales per impedire i progressi dell'empietà. Don Lcmoyne ne pubblica la
adeliberazione costitutiva » quando descrive i fatti del 1850 (MB 4, p. 172.175). Quanto vi
P progettato rispecchia, e talora ricalca, documenti delle Conferenze di S. Vincenzo de'
Paoli.
(m) Cf. lineamenti storici nel ~Uanualedella Società di S. Vixcenzo de' Paoli, Genova
1854, p. 417-420. Cf. anche Albert FOUCAULLaT,SocGté de Saint-Vincentde-Paul. Histoire
de Cent ans, Paris 1933. Altra hibliografia in DUROSELLLeEs,d4buts du catholicisme social,
p. 756. Qualche breve cenno nel contesto del movimento sociale cattolico di carattere
assistenziale-caritativo,prima della Rerum novarum, in DE ROSA, Storia del movimento
cattolico in Italia, 1, p. 154.
mese di luglio("). Suoi primi membri furono cattolici praticanti che fre-
quentavano il Convitto ecclesiastico, il Guala, il Cafasso e gii esercizi spirituali
di S. Ignazio sopra Lanm P).Idealmente essi appaiono collegati alla ormai
estinta e diffamata Amicizia C a t ~ o l i c a ( ~ )N. .el 1855 esistevano in Piemonte
otto conferenze dipendenti dal Consiglio di Torino. Cinque erano nella stessa
capitale: dell'Annunziazione, di S. Francesco di Saies (presso la chiesa della
Visitazione), dei Santi Martiri, di S. Massimo della Consolata e del SS. Sacra-
mento; una era ad Alessandria e l'altra era la primaria di Nizza (m).I1 ducato
di Genova aveva ventitré conferenze, di cui sei a Genova e due in paesi del
Piemonte (Novi e Ovada). In Sardegna esisteva una conferenza a Sassari.
La Savoia ne aveva tredici. Gli Stati Sardi erano in Italia quelli che avevano
dato migliore accoglienza alla S. Vincenzo, superando gli stessi Stati pontifici,
dove erano impiantate venticinque conferenze, di cui tredici a Roma. Nel-
l'estate del '54 i soci della S. Vincenzo si distinsero a Torino - come al-
trove - nell'assistenza generosa dei colerosi (=').
(9Sulla data di aggregazione: Bulletin de h SociJté de Saint-Vincent.de-Pad 2
(1850), p. 197. Breve commento in Bulletin j (1851), p. 139: « A Turin le Seigneur daigna
b6nir dei efforts perséveranta; et ce qui semblait impossible 3 y a huit ans, se fait comme
de soi-meme par i'entreprise de nos zélés confi-eres de Genes ».
(a)L'episodio della fondazione (ma collocato nel 1852) è descritto in NICOLISDI
ROBILANTV, ita del uen. Giuseppe Cafasso, 2, Torino 1912, p. 293. Un'altra versione sulle
origini (con l'iniziativa del teol. Roberto Muriaido) è data da A. CASTELLAINl Ib,eato
Lonardo Murialdo, 1, Roma 1966, p. 387s.
(m)Come risulta dai Rendiconto generale dal 15 dicembre 1853 a1'31 dicembre
1854, Torino, Speirani e Tortone [1855], p. 7, era aiiora presidente il conte Carlo Cays;
segretario, Ludovico Galleani d'Agliano. Sulla parte attiva dei #Agliano nellilmicizia
Cattolica ci. C. BONA,Le «Amicizie » Società segrete e rinascita religiosa (2770-1830),
Torino 1962, p. 650 (indice).
("3 Tableau des Conféuences. Etat au le' févricr 1855, Paris C18551, p. 21. I1
Consiglio particolare di Torino venne istituito nel novembre 1853: cf. Bulletin 5 (1853).
p. 376; il Consiglio superiore per le conferenze dei Piemonte, nel marzo 1856: cf. Bullni?l
8- 1185-A,1, rn. >OR
(='l Testimonianza impressioniinte è quella del coadiutore salesiano Pietro Enria,
ch'ehbe la famiglia falciata dal colera (AS 110 Enria). Eloquente è anche il Rendiconto ge-
nerale sopra citato. Tra l'altro leggiamo: « L a eccezionale calamità del morbo cholerico diede
occasione alla Società di meglio sperimentare, quanto codeste benedizioni valgano ad in-
fondere animo anche ai deboli, e moltiplichino prodigiosamente le forze [. . .]. Essa difatti
avventurassi ail'impresa con sole lire 200 di fondo, che salito ben tosto a più vistosa
somma per le ricevute elemosine, posero la Commissione speciale in grado di prowedere
ai primi e più urgenti bisogni dei cholerosi della Parrocchia di Borgo Dora: man mano
la carità cittadina portò il suo fondo a L. 2.995,10 e con esso poté estendere più tardi
i soccorsi a varie altre Parrocchie, e visitare dalli 27 agosto alli 30 novembre 430 fami-
glie». Seguono statistiche particolareggiate sul fondo cassa e sulle sovvenzioni in buoni.
pane, huoni-farina, buoniiarne, huoni-legna, soccorsi straordinari; aiuti a famiglie, assistenza
a giovani orfani, apprendisti assistiti mediante patronato, patronati per la comunione,
spazzacamini istruiti, operai ai quali s'è procurato lavoro, ammalati e morenti assistiti,
libri imprestati, libri distribuiti, huoni di lavoro distribuiti, oggetti di vestiario, coperte,

19 Pages 181-190

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19.1 Page 181

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Don BoscLoaneSlloacsiteotràia ddeillaSr.elVigiionsciteànczaottodlicea'. VPoaloIIl.iSètellpaer ispirazione assolutamente in-
dipendente d a Don Bosco. Essa però a Torino promana dallo stesso clima
religioso (piemontese sotto l'influsso francese). Tra le tante iniziative ha quella
della propagazione d i buoni libri, i l catechismo ai fanciulli, l'assistenza ai
poveri, il patronato in favore di giovani apprendisti.
Le conferenze di Torino sono ovviamente in stretto collegamento con le
associazioni sorelle di Francia e d i Belgio. I1 Bullettino della Società, fondato
a Genova nel 1855, integrò il foglio di collegamento francese e allargò la
possibilità di scambio di esperienze.
Fin dali'inizio i soci della S. Vincenzo finiscono per unire la loro opera
a quella di quanti, partendo dall'istanza educativa romantica, promuovono
l'educazione popolare, le scuole agricole, l'assistenza dei carcerati, l'aiuto agli
ex carcerati La loro spiritualità caritativa viene a ispirarsi in particolare
alla figura di Vincenzo de' Paoli. L a carità con tutti, d a loro meditata e
assimilata, si traduce poi in dolcezza paziente specialmente con i fanciulli
poveri e bisognosi dei quartieri diseredati (u3).
C'erano tutti i precedenti, perché si creasse un'osmosi tra la S. Vincenzo
pagliericci, letti, crocifissi, medaglie. Membri vivi nel dicembre 1854: 220. Defunti nel '54:
Silvio Pellico, Giuseppe Provana di Collegno e Maurizio Lucerna di Rorà.
Quanto all'attività ordinaria in pro dei giovani si legge: «Nello scorso anno
[la Società] attivò più regolarmente la sua opera di patronato ai fanciulli delle famiglie
soccorse per procurarne l'assistenza nei giorni festivi al Catechismo o nelle rispettive par-
rocchie od in appositi oratorii: continuò un'opera analoga ai poveri spaiiacamini deUa Valle
d'Aosta, oggetto di speciale attenzione per parte della Società, che in ogni Domenica li
raccoglie nell'oratorio detto di S. Martino a Porta Palazzo, ed ivi procura, che ricevano
adatta istruzione religiosa da
diverse prospettive pongono
degni Sacerdoti ».
in primo piano la
Si
S.
avverte come
Vincenzo, DB,
leDodniveCroseccihnii,ziilatMiveu,rivailsdteo.d.a.
( 2 2 ) Della Società di patronato pei liberati dalle carceri dà qualche cenno il periodico
romano L'educatore 1 (1847), p. 89-91. La Società in quell'anno esisteva anche a Torino
(p. 90); cf. anche [G. VAMMY], Alcune idee sul patronato dei liberati dal carcere. Tradotte
da un francese in Letture di famiglia a. 2 (1843), p. 137-139 (con nota di Ilarione Petitti di
Roreto); C. BIOLLÈ,Patronato pei liberati dal carcere della provincia di Milano in Lett. di
fam. a. 4 (1845), p. 150 S. Come c'informano le rispettive biografie, vi esplicarono la loro
opera Don Cafasso, i cugini Murialdo, il teologo Giacinto Carpano.
(23) Trascriviamo pensieri consueti anche a DB da Letture e consigli ad uso dei
membri delle associuzioni di caritù, pt. 2, cp. 3, § 2, ed. C , p. 134: « Dolcedza vai più
che violenza D; p. 135s: <<Nonv'ha al mondo chi non ami momentaneamente i fan-
ciulli. Ma seguitare ad amarli malgrado i lor difetti, amarli per correggerne l'asprezza
del carattere, per svilupparne i germi nascosti, profondamente nascosti, della virtù;
amarli per farsi ior guida, è questa, una celeste vocazione, una virtù. Chi non è così
disposto non sarà mai utile al Patronato I...I Chi non è così disposto non avrà nemmeno
quella bonarietà che deesi aver co' fanciulli, quella soave famigliarità che senza mai abbassarsi
spira la confidenza, le rivelazioni del cuore. Mancando queste condizioni non si arriverà n
iar germogliare nei fanciulli le belle qualità che in essi s'amano tanto, l'affezione ai su-
periori, la franchezza e l'amor della verità. Al loro vigile sguardo nulla sfugge di quanto
li circonda, e certo essi non ameranno chi non piglia ad amarli ».
e gli Oratori per la gioventù abbandonata esistenti in Torino. Documentazione
superstite ci testimonia come sussidi venivano distribuiti agli Oratori di Doil
Bosco e a quello d i S. Martino ai Molassi (m).Le d u e opere autonome e in
un certo senso antagoniste, avevano casi, come tessuto connettivo, oltre che
Don Cafasso e gli organismi della curia diocesana, anche l'assistenza benevola
della S. Vincenzo, tramite cristiani devoti alla Chiesa, persone di alto rango,
borghesi, modesti artigiani.
Non sembra perciò frutto d i u n caso il fatto che nel febbraio 1855
un fascicolo delle Letture Cattoliche proponga il regolamento di una Società
d i S. Vincenzo de' Paoli pe' giovani di arti, mestieri e negozi, che i n linea
di massima non accetta tra i suoi membri professionisti come avvocati, me-
dici o studenti di U n i v e r ~ i t à ( ~ I) n. quel tempo ( m a non conosciamo la data
precisa) sorsero all'Oratorio di Valdocco e i n quello di S. Luigi a Porta Nuova
due Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli, i cui componenti erano giovanotti,
artigiani, studenti e qualche chierico tra quelli ospitati d a Don Bosco ('"6).
Tassandosi, secondo l'uso della S. Vincenzo, e integrando con i sussidi ricevuti
da Conferenze sorelle più abbienti, l e Conferenze dei due Oratori svolsero
opera caritativa in quartieri poveri di periferia, specialmente al Borgo Dora
e al Moscbino, non senza difficoltà e ostilità.
(m)Rendiconti amministrativi del conte Cays 1862-1864, quaderno ms. in parte del
Cays (Archivio Cays, presso il Pont. Ateneo Salesiano): consiglio del 28 gennaio 1863, ai-
l'oratorio di S. Franc. di Sales, L. 10; all'Oratorio S. Martino, L. 15; Opera spaizacamini
svizzeri, L. 18; 11 febbraio 1863: all'0ratorio dell'hgelo Custode, L. 3; Oratorio della
Concezione, L. 6; 18 febbraio 1863: 100 biglietti-pane per gli spazzacamini :valdostani,
L. 10; 15 febbraio 1863: spazzacamini svizzeri, ,L. 10; Oratorio S. Luigi, L; 10; '4 marzo:
Oratorio S. Franc. di Sales, L. 10; Opera spazzacamini vaidostani, L. 100; spazzacamini sviz-
zeri, L. 30; Opera degli Ospedali, L. 15; 15 aprile 1863: Oratorio di S. Salvario, L. 18;
Opera degli Ospedali, L. 15; 29 aprile 1863: sussidio per il Catechismo ai SS. Martiri, L. 50;
Concezione, L. 50; S. Massimo, L. 50; S. Salvano, L. 5 0 . . .
(m) La buona regola di uita per conseruare la sanità (LC a. 2, fasc. 23 e 24, 10 e 25
febbraio), Torino 1855, p. 240.244: x 1. La società nostra di S. Vincenzo de Paoli pe'
giovani di arti, mestieri e negozi, è opera esclusivamente di carità e buoni costumi. 2. Non
si riceveranno generalmente mai nella nostra società né avvocati, né medici, né smdenti di
Università 1.. .]. 3. La società sia divisa per sezioni. Per far sezione bastano otto; ma ogni
sezione non conti più di trenta membri. Nella stessa città e borgata possono aversi varie se-
zioni divise qua e [...l. 5. I membri però che furono così ascritti possono continuare ad
appartenere alla società fino ai quarant'anni compiti. Dopo la quale età diventano soci ano.
rari, e consiglieri
vengano accettati
nneelilequgirnadviiciocacnonrriednz'eet.àP[o.s.so.ln.o1a0v.eOrsgi ndiegmliemasbpriorarniptiognigoavaunnisssiomldi,ocohedpuoei,
come si deciderà
giovani bisognosi
n[e.l.la.
sezione,
] n.
per
settimana
presso
il
segretario
cassiere,
onde
soccorrere
i
(W6) L'AS 38 Torino - S. Franc. di Sales conserva i verbali dello Conferenia di S. Fran-
cesco di Sales [annessa a quelle di S. Vincenzo de' Paoli] per il 1858. La numerazione sup.
pone verbali anteriori. Don Lemoyne riferisce la testimonianza di Giovanni Villa (che depose
ai processo informativo di DB). Secondo il Villa la Società di Mutuo soccorso istituita nel
1850 esisteva ancora nel 1856. L'anno successivo, aggiunge Don Lemoyne, la societs si tra-
sformò in Conferenza annessa a quelle di S. Vincenzo de' Paoli: cf. A03 4, p. 80.
Sulle vicende della «Conferenza annessa » operante all'oratorio S. Luigi cf. A. CA-
STELLANIlI,beato Leonardo Murialdo, 1, p. 495 S.

19.2 Page 182

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
L'evoluzione dell'oratorio impone a Valdocco anche una certa trasforma-
zione della Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli. Attorno al '70 non è più
tanto ben visto il fatto che interni escano per svolgere attività caritative nel
quartiere. I membri sono perciò specialmente operai esterni e frequentatori
dell'oratorio festivo. Questi ultimi poi finiscono per prevalere.
11 collegio invece favorisce il perdurare (con alterne fortune) delle quattro
compagnie. Queste finiscono per diventare classiche e integranti nel sistema
educativo salesiano in Italia e altrove, negli oratori festivi, nei collegi e in
opere affini. A esse a Valdocco si affianca, come notammo - ma con minore
fortuna - il Giardinetto di Maria secondo gli statuti elaborati da Don Berto
e ispirati a quelli proposti dal prevosto Frassinetti.
Le Compagnie hanno primariamente il valore indicato dall'aggettivo che
le qualifica: compagnie religiose. Don Berto non sbagliava, quando intitolava
un libretto destinato alla Compagnia del SS. Sacramento: Alimento di pietà
Intesa, la pietà, in senso largo: ciok come vita cristiana fattiva, che si esplica
nei « doveri » verso Dio e verso il prossiino e che perciò, nutrendosi dei
Sacramenti, si irrobustisce nella virtù, la quale a sua volta si traduce in « eser-
cizio di carità verso il prossimo.
Le Compagnie religiose che si sviluppano nell'ambito dei collegi, si
mantengono abbastanza simili a quelle tradizionali. Rispetto a quelle settecen-
tesche quelle di Don Bosco presentano l'elemento devozionale portato a ele-
menti essenziali e inquadrato in una vita religiosa che dà peso al « compimento
del dovere » e alla pratica sacramentale. L'elemento « apostolico » (o meglio,
caritativo) trova, rispetto alle associazioni religiose di tempi anteriori (con-
fraternite, compagnie, congregazioni), una accoglienza più esplicita, applicato
I
però concretamente quasi solo nel campo della vita collegiale.
L'essenzialità devozionale e dei mezzi per raggiungere la maturazione
nelle « virtù » dà alle Compagnie di Don Bosco una fisionomia più agile
rispetto, ad esempio, al Giardinetto di Maria proposto dal Frassinetti.
La misura di aderenza ai tempi è data dalla preoccupazione educativa
e apologetica che si manifesta, come notammo, a favore della Compagnia
del SS. Sacramento, a cui si assegna una funzione purificatrice delle rappresen-
tazioni del sacerdote che i giovani potrebbero farsi in ambienti impregnati
di anticlericalismo. Ma soprattutto. quest'aderenza si manifesta nella Com-
pagnia di S. Luigi Gonzaga, nella Società di Mutuo soccorso e nelle Conferenze
annesse alla S. Vincenzo. Queste compagnie si modulano di preoccupazioni
caritative ed assistenziali, si articolano più consapevolmente all'amhiente, diven-
tano un polo energetico che fa sentire il suo influsso nel mondo della famiglia
e del lavoro. E poiché si articolano al complesso di opere che fanno capo a
Don Bosco, attraverso la sua persona ricevono alimentazione e stimoli dai
1
più disparati settori della vita civile e religiosa.
l
(z7)[BERTO],Alimento di pietd. Compagnia del SS. Socramenio eretta nei collegi ed
irtituii salesiani. Mina~aIedioprd conJra/elli, Torino, Libr. salesiana editrice 1909 9.
Nel loro complesso sono da considerare nel quadro delle opere che pre-
cedettero una vera e propria coscienza sociale. Quando sopravviene i'Opera
dei Congressi in Italia le Compagnie e le altre associazioni salesiane risentono
dell'atteggiamento fondamentale di Don Bosco: mantengono la loro autonomia
giuridica e la loro indipendenza di azione. Sono disposte a ricevere ispirazioni
e suggestioni (molto blandamente negli internati), ma sono ben radicate nel
ceppo che li produsse e in funzione di esso esplicano la loro vitalità (2").
( m )Richiamiamo a questo punto il senso e l'importania che si diede all'istruzione
catechistica.
Ne appariva evidente il valore per far maturare i fedeli nella vera religione e nella
vera morale; se ne avvertiva l'importanza per preservare daila scristianizzazione, e'per portare
,> la Chiesa verso gli sperati trionfi. L'istruzione perciò dava ragion d'essere a quelle « osset-
vmze religiose &'erano la dottrina cristiana ai fanciulli, il catechismo d i perseveranza per
gli adulti e i'istniiione domenicale a tutti i fedeli. I1 secolo decimonono, erede in parte del
Settecento razionalista, dava importanza alla ragione e alla fede illuminata. Abbiamo però
rilevato che non si tendeva soltanto a fornire «conoscenze » alla ragione, ma anche al cuore.
Ciò deve porre in guardia dal dare puro valore intellettivo alla «dottrina » impartita nella
istruzione catechistica ottocentesca.
Anche DB a formule come «penetrare i misteri cristiani n, consapevolmente o no,
preferisce altre, che al senso popolare potevano risultare più evidenti, come « istmirsi »
nei misteri divini, apprendere e insegnare le verità della fede. Eppure ci sembrerebbe errato
pensare che in DB e nei suoi coevi si immagini una <conoscenza della verità cristiana D che
non comporti, insieme all'appfendimento chiaro, anche una immedesimazione e una com-
penetrazione della verità fin nell'intimo del cuore e perciò un'adesione e una assimilazione
aiiettuosa e vitalizzante della verità stessa.
Don Giulio Barberis, elaborando per il libro <li DB Maraviglie, scrisse (o trascrisse)
a proposito di S. Gtegorio Taumaturgo: «Pregò IGregorio] adunque Fedimo [arcivescovo
d i Amaseal a dargli qualche spazio di tempo per meglio addentrarsi nei sacri misteri »
(AS 133 Maraviglie a. 2, p. 8). L'espressione « addentrarsi nei sacri misteri r> oggi potrebbe
sembrare felice, rispondente alla consapevolezza che la Verità cristiana è una iealti nella
quale ci si immerge. DB corresse: « Gregorio pertanto pregò Fedimo a dargli qualche
tempo per meglio istruirsi nei sacri misteri D (ms. citato e Marauiglie, ed. 1868, p. 51).
La variante introdotta potrebbe sembrare un impoverimento del testo. Ma non bisogna
dimenticare che, nella mentalità di DB e dei suoi coevi, l'istruzione (si voglia interpretarla
. come pura conoscenza nazionale) è soltanto una fase della «conoscenza R d i Dio, d i Gesù,
della Chiesa, della vera religione, del mondo, della salvezza . .

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
CAPITOLO XIII
1 SALESIANI RELIGIOSI NUOVI PER LA SALVEZZA
DELLA GIOVENTÙ
1. Problemi socioreligiosi del clero
A metà Ottocento la situazione del clero appariva quasi completamente
rovesciata rispetto a quella del secolo precedente. Nel Settecento ci si lamen-
tava che gli ecclesiastici erano troppo numerosi, mal selezionati e male impie-
gati (l). Quando si considerava il d e r o nei suo complesso, quasi svanivano
figure insigni di religiosi e sacerdoti di alto prestigio morale, come Paolo della
Croce, Leonardo da Porto Maurizio, Sehastiano Valfré, Alfonso de' Liguori.
Ci si lamentava di ecclesiastici oziosi che occupavano la giornata in salotti
o accompagnando signore in carrozzat2). Sinodi diocesani di zone iurali bia-
simavano sacerdoti che, dopo aver maneggiato gli attrezzi di lavoro nelle
stalle o nei campi e dopo aver contrattato animali e altercato con contadini
(I) Oltre a manuali di Storia deUa Chiesa relativi al secolo XVIII per quanto riguarda
il Piemonte cf. Guido QUAZZALe, riforme in Piemonte nella prima meta del Settecento, Mo-
dena 1957. Sulla seconda metà del secolo hanno valore documentario retrospettivo opere di
giansenisti, di giacobini o di altri spiriti ribelli. Cf. ad esempio di Gaspare MORARDDOe,l
culto religioso e de' suoi ministri . . ., Torino 1799; ID., La Chiesa subalpina l'anno X I I della
repubblica trancese, Torino 1802. - Ma non viene coperto mito l'arco deile istanie Ehe affie
rano dalla documentazione dell'Archivio di Stato di Torino, s a . I, Mat. eccl,, Vescovadi e la
serie Regolari. -Utile, sebbene riguardante la Francia e la prospettiva culturale è Pierre SAGE,
Le « bon prètre » danr la littérarure francaise d'Ama& de Gaule au Génie du Christianisme,
Genève-LiUe 1951; Paiil BROUTLNL,a piété sacerdotale au début du X I F siPcle in Reo.
uIoscétique et de myrtique 20 (19391, p. 158.180.
Cf. Memoriale senza titolo di Vittorio Amedeo I1 alla S. Sede (1722), ASegreto
Vaticano, Segreteria di Stato, Nunziatura Savoia, mazzo 303, f. 30: In Torino solo si ve-
dono più di cinquecento preti destinati al servizio de' penitenti o Compagnie deUe Confra-
ternite, ove non hanno altro da fare, che celebrarvi ogni mattina la messa e poi tutto il rima-
nente del giorno l'impiegano nelli giochi o in far l'officio di Fattori nelle case particolari.
Vi sono parrocchie nei Piemonte ove questa sorte di preti vagabondi hanno li loro patrimonj
sino aUa somma di 40, 50, 60 e 70 e 86 scudi, de' quali appena tre servono la Chiesa... ».
Altra documentazione riguardante il periodo di Vittorio Amedeo 11in Franco VENTURI, Saggi
sulZ'Europa illuminista. - l . Alberto Radicati di Pnsseruno, Torino 1954, p. 73 S.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Nel 1797 la popolazione era di 90.613 abitanti e la proporzione era di
un sacerdote ogni 72 cittadini. Nel 1879 gli abitanti erano circa 220.500 e
la proporzione era di un sacerdote ogni 314 cittadini (l5).
Più appariva la fede languente, meno rosee erano le speranze per l'avve-
nire. « Quanto è doloroso - si diceva - che questa mancanza numerica del
clero accada appunto in un tempo in cui è maggiore il bisogno dell'opera del
sacerdozio. La eterna lotta che si combatte fra il bene e il male in poche età
fu più gagliarda ed ostinata, che oggi non sia. La società si divide oggimai in
due vasti campi, in due numerosissimi eserciti. L'uno di questi ha per insegna
la Croce, e combatte per la verità, per la giustizia, per la fede, per Iddio. L'altro
porta nella sua bandiera il triangolo del socialismo e la coppa della voluttà, e
combatte per la menzogna, per l'ingiustizia, per la libertà del pensiero, per l'atei-
smo » (l6).
Si ricercavano le cause del fenomeno. Si constatava che ormai la corru-
zione sociale era dilagata nelle famiglie soprattutto della città. « Famiglie
- d'antica stampa e di fede antica - scriveva Almerigo Guerra, un amico di
Don Bosco io non dirò che nelle città sieno ormai cosa favolosa, ma pure è
vero che sono assai rare »("l. Ormai per far fiorire i pochi germogli sacerdo-
tali bisognava prendere « il fancidietto di sulle ginocchia della genitrice » (l8).
I1 caso narrato da Don Bosco, di quel Valentino la cui vocazione venne
avvizzita e annientata per ordine del padre medesimo, non era un caso iso-
lato ("). « Ricordo - scriveva ancora Almerigo Guerra - tra i molti fatti,
di un buon figliuolo, al quale, stando egli in educazione in casa di buona gente,
venne in desiderio di abbracciare lo stato ecclesiastico. Tornato in famiglia,
la quale pure non era cattiva, ma foggiata sullo stile moderno, trovò chi prese
a burlarlo del suo proponimento. Non lo si vide prete, né tampoco vestito
simi fratelli e fedeli? Che cosa rimarrà di Clero da qui a pochi anni, se voi non Ci venite in
aiuto e non Ci fornite tutti i mezzi coi quali provvedere questa arcidiocesi, in cui è un mezzo mi-
lione d'anime, di quanti sacerdoti ( e s'intende di sacerdoti degni di tal nome) le sono ne-
cessarii? », cf. GASTALDLIe,tterc pastorali, commemorazioni funebri c panegirici, Torino
1883...D. 246.
('5) Calendariurn liturgicnm archidioecesis taurinensis. . . seruandurn anno bissextili
1880, Augustae Taurinomm, S.d., p. 90.
('6) GGURAL,e uocazioni, p. 10.
(l7) GUERRA, Le uocazioni, p. 1 8
(15) GUERRA, Le vocazioni, p. 11.
(19) Valentino è anche citato dal GUERRA (Le uocazioni, p. 117) che nella sua opera non
è avaro di lodi per DB « degnissimo D (p. 251, e uomo di Dio » (p. 54), nomo che da molti
anni consuma la sua vita nell'educazione di giovinetti e di cherici » (p. 157), « meritissimo
D. Gio. Bosco » (p. 239).. . Al Guerra Don Bosco scrisse il 6 giugno del '69: « H o ricevuto
il suo libro Le uocazioni allo stato ecclesiastico e la ringrazio ben di cuore. Esso è vera-
mente fatto tutto secondo il mio spirito e desidero vivamente che esso corra tra le mani degli
. educatoci della gioventù. La cosa che mi rincresce si è la galante comparsa che fa fare alla
povera mia persona.. » (Epistolario 756). 11 prete lucchese scrisse vari opuscoli per le LC.
Tra l'altro Cenni storici inlorno al ggiuam Ezio Gherardi di Lucca (ottobre 1863).
a cherico, ma invece il disgraziato, consunto dai vizii, discese giovanissimo
ce1 sepolcro » (").
Causa del diminuito numero delle vocazioni erano considerate le scuole
popolari. In esse i fanciulli non erano più in ristretto numero sotto il controllo
del maestro timorato. Ormai - si diceva - la corruzione poteva dilagare
con facilità e indisturbata. L'insegnamento, affidato a miscredenti, preparava
una generazione guasta e generatrice a sua volta di corruzione ('l).
Si enumeravano altre cause. La Chiesa, quasi dappertutto, era stata spo-
gliata di molti dei suoi beni. Vescovi e seminari non erano più in grado di
sostenere gli studi di chierici poveri("),. Ormai, inoltre, era aumentato il
divario tra ricchi e poveri. Le famiglie di questi ultimi, immiserite dal feno-
meno capitalista, non erano in grado di mandare avanti negli studi in semi-
nario i figli che ne avessero mostrata inclinazione (=). Insomma, « alla domi-
nante irreligione e indifferenza. . ., ai comuni disordini delle famiglie, alle
scuole non buone, o tali almeno pel soverchio agglomerarvisi di fanciulli, alla
crescente povertà nelle medie ed infime classi, vuole attribuirsi, secondo che a
noi sembra, lo scarso numero delle vocazioni allo stato ecclesiastico » (*").
In tale stato di cose bisognava certamente sperare e pregare. Occorreva
anche operare con zelo. Dio ci guardi - scriveva il Frassinetti - da un « asce-
tismo dell'infingardaggine. Negli affari che c'importano, confidiamo si in Dio,
come è dovere, ch'Egli provvederà; ma frattanto non omettiamo di fare tutto ciò
che ci è possibile » P).
Se ne vedevano bene i rimedi generali. Trattandosi di illanguidimento ge-
nerale della fede, nella società e nelle famiglie, bisognava in sostanza promuovere
la ricri~tianizzazionegenerale, promuovere la fede nelle famiglie, l'istruzione mo-
rale e religiosa dei ragazzi e delle ragazze, promuovere scuole, asili, ricreatoti,
collegi. «Promoviamo - esortava il Frassinetti - tutti i buoni novelli Isti-
tuti, ossia Congregazioni di ambo i sessi che sono suscitati in si gran numero
dalla divina Provvidenza per soccorrere agli attuali bisogni; provvediamoli,
per quanto ci è possibile, di mezzi e di braccia » P).Ci si sentiva protetti da
l,a), G-UERRA.
Le
vocaz- ioni,.
o
A
.
20.
(x)GUERRA, Le uocazioni, p. 19 S.
(") Così ad esempio mons. Gastaldi in una pastorale sui seminari, del 12 gennaio 1878.
Cf. Lettere pasforali. . . , p. 409: « I1 seminario di Torino dal 1867 in qua ha perduto oltre
alla metà delle sue rendite; e quantunque i suoi alunni con nobile sforzo ogni mese corri-
spondano il più che possano in danaro: nullameno le strettezze pecuniarie che premono sulla
. grande totalità di questi giovani, loro non permettono di offrire pure la metà di quanto è ne-
cessario pel loro mantenimento
(a)GUERRA, Le vocazioni, p. 21: «Nemmeno sono più quei tempi, ne' quali vi era
assai copia di famiglie sufficientemente agiate che poteano senza troppo aggravi0 mantenere
un figlio cherico alle sciiole. Oggi le rivoluzioni hanno distrutto que' henefizii, hanno impove-
riti i semiuarii; e le stesse proprietà private, aggravate di pubbliche imposizioni e tendenti
a concentrarsi in ooche mani. hanno accresciuto la classe de' ooveti D.
(a)GUERRA, Le ~ocazionip, . 22.
. (=) FRASSINETSTuIl,la deficienza delle vocazioni allo stato ecclesiastico. Lettera
al oro.fessore D. Alrnerico Guerra,. Onee"lia 18702.o. 25.
(x)FRASSINETCoTmI,pendio della teologia morale, p. 683.
363

19.6 Page 186

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DoDn iBoo;scnoenlelplausltlourliaardeelldaireilsigtiiotusiziocnaittolcicaak.r&Volli$IIh. eStseillaavvertiva l'inesauribile ricchezza
del Creatore. In quei frangenti, più c h e ' h @ il clero doveva dimostrarsi unito,
il clero secolare doveva superare le istintive riserve che l o discostavano da quello
regolare, sublimando con motivi trascendenti prdpositi assunti. Gesù Cristo e ii
suo Vicario in terra dovevano essere il centro dell'unionetra gli ecclesiastici. Da
Cristo - auspicava il Frassinetti - « partirà la grazia della chiamata al sacer-
dozio e in Lui si concentrerà la corrispondenza all'appetlo » (n).
L'arruolamento, la formazione e la selezione dei giovani leviti presentava
non pochi problemi. Quando si badava alla origine degli ecclesiastici si notava che
ormai erano straordinariamente diminuite le « vocazioni » provenienti dalla
nobiltà e soprattutto' dal ceto borghese. Nel Settecento era stata una distin-
zione per i nobili avere qualche membro della famiglia nello stato ecclesia-
stico, era un ambito onore e un privilegio anche per l'alta borghesia. Ma
già alla fine del secolo le proporzioni di provenienza sociale mutavano. Nei
seminari prevalevano i figli di piccoli possidenti rurali specialmente delle zone
collinari. Mons. Dupanloup se ne mostrava perplesso e suoi scritti tradotti in
italiano ne portavano la voce in Italia. Egli notava che i figli dei campi e delle
officine non perdevano la loro originaria rozzezza. Temeva un abbassamento
della cultura ecclesiastica e quindi anche una diminuita efficacia dell'evange-
lizzazione negli alti e medi livelli sociali e culturali. Ormai - si diceva -
siamo a da lungo tempo inondati da ministri tolti per la più parte dalle classi
inferiori ed anche infime. Se in ciò v'è colpa, questa di chi fu? quali ne sono
o ne saranno le conseguenze? s (28). La Chiesa ormai era condizionata da tale
fatto, essa doveva prelevare e selezionare i nuovi leviti dalle classi sociali che
ancora ne erogavano. Ci si chiedeva: « S i potranno avere da tali classi le più
spontanee, e disinteressate vocazioni, i più felici ingegni, le persone più digni-
tose, le piìi influenti sopra le alte classi della società? Il sacerdozio ne acqui-
sterà maggior riverenza, maggior autorità e decoro? » (27).
Dupanloup non nascondeva le proprie preferenze per le vocazioni prove-
nienti dal ceto borghese. Tra l'altro riportava alcune affermazioni di Saint-Marc
Girardin. Secondo questi il fatto che i piccoli seminari si alimentavano con
fanciulli delle « classi indigenti e rozze » era per la Chiesa e per la società
causa di novello pericolo. La Chiesa non doveva ricavare i suoi ministri
« né troppo d'alto, né troppo di hasso. Non troppo d'alto, perché i figliuoli
allevati nelle abitudini dell'opulenza malamente s'acconciano alla semplicità
della vita sacerdotale; non troppo di basso, poiché in allora non hanno quel
fare d'uomini ben educati, mentre, anche senza mettere la compitezza al di
sopra della virtù, la Chiesa, onde esercitare sul mondo l'influenza che le com-
(27) FRASSINETCToIm, pendio della teologia morale, p. 684.
Nota del traduttore Don Clemente De Angelis a DUPANLOUL'Ped, wcazione, ed. c.,
l, p. 463.
(") Nota di Don Clemente De Angelis, l. C.
364
pete, ha bisogno che la virtù de' suoi ministri non sia né rozza né sel-
vaggia » (M).
Si dava così maggior rilievo al fatto umano e sociale della educazione
legata a fatti ambientali congeniti, che non alla efficacia della educazione in se
stessa e alla forza soprannaturale della divina chiamata. Le classi sono consi-
derate come condizioni sociali quasi eterne, quasi non passibili di progresso
o trasformazione. Di conseguenza non si dà valore al progresso sociale delle
classi popolari e al conseguente ingentilimento di costumi e d i mentalità.
Altri problemi erano suscitati daUa natura dei piccoli seminari a metà
Ottocento. I n genere non erano riservati soltanto a chi voleva ascendere al
sacerdozio. Di tale ordine di cose se ne vedevano facilmente i vantaggi. I fan-
ciulli potevano maturare la loro scelta senza inibizioni e costrizioni. Alla
Chiesa non dispiaceva di formare nei suoi seminari giovani che poi sarebbero
stati buoni laici, figli fedeli nella società civile("). C'erano però rischi nor.
disprezzabili. Le facilitazioni economiche dei piccoli seminari potevano solle-
citate le ambizioni di famiglie e di giovani che per nulla aspiravano allo stato
ecclesiastico e potevano perciò influire negativamente sulla formazione dei
futuri sacerdoti ('9.
Alcuni di questi problemi affioravano anche a Valdocco. Don Bosco si
mostrò disposto a favorire giovani inclini allo stato ecclesiastico, ma deprecò
e denunziò come furto il calcolo di chi contava d i fare gli studi alle spalle di
Don Bosco e dei suoi benefattori, senza serie intenzioni di abbracciare lo
stato ecclesiastic~.Dopo il '74, quando ormai la Società Salesiana aveva la
sua fisionomia netta di congregazione religiosa non si mostrò nemmeno tenero
con quei chierici che si facevano Salesiani solo per compiere gratuitamente
gli studi, ma già con l'intenzione di tornare nel clero diocesano ("). Ma sulla
provenienza sociale dei chierici Don Bosco ebbe mai a recriminare. Ragioni
ne aveva. Egli era appunto uno di quei figli dei campi ch'era entrato in semi-
nario. iavorito da cappellani e parroci rurali. E adesso egli aveva votata tutta
la sua vita per l'educazione del ceto popolare. Egli poteva apparire per le vie
di Torino dimesso e aUa buona, dal portamento « un po' dondolante, a guisa
di quello dell'atnico del contadino, il bue, di cui sembrò riportarne e la mitezza
di carattere e la forza e Ja costanza nel tiro » ("). C'era chi notava in lui
(M)DUPANLOUDPel,l'educaz~one,1, p. 462.
(31) CI. specialmente DUPANLOUDPel,l'educazione, 1, p. 451.455, che protesta contro
l'espressione destinati al sacerdozio » applicata ai ragazzi dei piccoli seminari.
(32) Enrico Bindi, professore al seminario di Pistoia, poi vescovo deila medesima dio-
cesi, nel 1849 aveva termini severi sul basso livello degli studi semharisti: « ecco perché tutti
gli stufi della vanga si buttano al prete. Si può egli buscare con più facilita, per lo meno, una
liretta al giorno! Ma io non va' fade una storia troppo saputa e comune a tutti i nostri Se-
minari »: cf. BARBAINPrIo, blemi religiosi, p. 223.
(33) Sermoncino serale del settembre 1876 riferito nella Cronaca di Don Barheris: cf.
MB 12, p. 449s. Ma c'è anche il caso dei fratelli Cuffa che abbandonarono la Congrega-
zione: cf. Indice MB p. 535.
(N) Testimonianza di Don Chiapale (anche lui ex salesiano) a Don Lemoyne: cf. MB
6, p. 2.

19.7 Page 187

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DoinlBinoescaomneenlltai sstoormia adteilclai rteilpigiicoisitdàeclatctoolincata. dVionloII.. SAtellblaerto D u Boys osservava che in
Don Bosco il tipo primitivo di contadino piemontese non era del tutto scom-
parso, anche se era modificato « dalle abitudini civili della buona società ita-
liana e da una vera nobiltà di sentire dovuta all'elevatezza dell'animo » (").
Cautela, sobrietà, dedizione al lavoro, sopportazione, ponderatezza da contadino
piemontese spiccavano in Don Bosco. Egli aveva fiducia nel proprio ceto
sociale. I n esso aveva trovato amici e modelli, come Luigi Comollo e Giuseppe
Cafasso, ottimi collaboratori, come Cagliero, Costamagna, Angelo Savio, di-
scepoli d'alta nobilti morale, come Domenico Savio, Magone e Besucco.
Nel 1873 Don Bosco profetava: « È venuto il tempo. . . che i popoli
saranno evangelizzati.dai popoli. I leviti saranno cercati tra la zappa, la vanga
ed il martello, affinché si compiano le parole di Davidde: - Ho sollevato il
povero dalla terra, per collocarlo sul trono dei principi del suo popolo » (36).
Giuseppe Frassinetti era del parere che, nonostante tutto, le vocazioni
ormai erano da prelevare nelle zone rurali, nelle ville, « perché è quivi dove
la religione ha sofferto finora minori danni, e dove perciò la fede ha ancora
maggior influenza » ("). A Valdocco non si teme d i dare a tale fatto ragioni tra
geofisiche e teologiche, ispirate forse soltanto alle reminiscenze virgiliane e
bibliche della cultura umanistica delle scuole. L'aria balsamica della campagna,
s M i e a quella della creazione ossigenava uomini di costumi semplici e d i
fede forte e sincera ("). Ma che cosa sarebbe avvenuto i n seguito, quando
l'aria cittadina avrebbe pervaso pianure e montagne? Questa ipotesi, a quanto
pare esula dalle preoccupazioni pastorali ottocentesche. La mente di Don Bosco
e dei suoi collaboratori si fissa i n un'intuizione sicura. La certezza che la rige-
nerazione del clero poteva venire prelevando i leviti tra la vanga e il martello.
Nell'ultimo scorcio del secolo u n fatto s'impone a chi studia l'incremento
vocazionale del clero e delle congregazioni religiose. Buone speranze arridono
al clero diocesano, che però ancora stenta a raggiungere il pareggio tra decessi
DU BOYSD, on BOSCOe la Societù Salesiana, p. 216.
(39 Profezia inviata (o destinata) a Pio IX, minuta autogr. di DB in AS 132 Sogni 2,
edito in MB 10, p. Di.
(3)FUSSINETTSIu,lla deficienza delle vocazioni, p. 8.
(s)BiograFe dei Salesiani defunti negli anni 1883 c 1884, Torino 1885, p. 58: « L e
vocazioni allo stato ecclesiastico, dove più dovrebbero ahhondare, mancano, perché nelle fa-
miglie agiate manca oggimai quella educazione che vien atta a produrle. Se oggidi il figlio del
cittadino esce a dire: io voglio farmi prete, ne viene amaramente rimbrottato e perfin la
madre s'adopera per spegnere in sul principio quella santa idea. Il piccolo Samuele, Iddio
se no1 può avere nelle città, se lo va cercando alla campagna. Nella campagna i'aria più
sottile e pura, ?atmosfera imbalsamata come nei giorni della creazione. Tu vi trovi nomini
di semplici costumi, di animo retto e di fede forte e sincera. Quivi con più ragione può
Iddio ripetere: deliciue meae esse cum Fliis horninurn. Le sue delizie ve le trova veramente
ed ama perciò spesse.fiate fra i dimentichi campagnuoli scegliere a preferenza i suoi mini-
stri ».
Ma in quale proporzione aspiranti e ascritti provenivano dalla campagna, dai borghi,
dalla città? Uno studio sociologico purtroppo ancora manca.
e nuove ordinazioni(39). Compiono un gran balzo i Gesuiti. Dal 1853 al
al 1884, anno di morte del padre generale Beckx, essi passano nel mondo da
5.209 a 11.480 e il loro peso sulla cultura ecclesiastica diventa sempre mag-
giore In grande espansione erano le Figlie della Carità di S. Vincenzo
de' P a ~ l i ( ~ ' )A. nche la Società Salesiana s'imponeva per il suo rapido svi-
luppo. Nel 1870 i professi erano 61 e gli ascritti 41. Nel 1888 alla morte
di Don Bosco la Società contava 773 professi e 276 ascritti. Le Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice nel 1881, alla morte d i Maria Mazzarello prima superiora ge-
nerale, erano 139 più 5 0 novizie. Alla morte di Don Bosco erano 390 più
9 9 novizie ("). Ma il giro d i persone ch'erano state in prova come aspiranti,
ascritti, professi perpetui e temporanei è molto più vasto. Raggiunge quasi
le tremila unità ("). È u n fatto che s'impone, nella cui dinamica sono da con-
siderare ovviamente anzitutto Don Bosco e la sua capacità di guida, di cre-
dente, di organizzatore intraprendente e tenace. Tuttavia molto è dovuto an-
che alle esigenze che l'ambiente aveva e all'accoglienza data al tipo di religioso
nuovo presentato da Don Bosco e dagli altri divulgatori delle sue istituzioni.
2. I Salesiani per la r i g e n e r a z i o n e e l a salvezza della s o c i e t à
I Cooperatori salesiani - come già notammo - si coflocano per certe
movenze tra quelle forze che tendono a superare il contrasto politico, l a men-
ttalità d i lotta di classe, lo stato d'animo di « lotta e trionfi » (*). Essi pre-
(3)I sacerdoti in Italia nel 1884 erano 76.381. Ordinati nell'ultimo quinquennio:
5.045; defunti nell'ultimo quinquennio: 11.047. Cf. i dati imperfetti ma sufficientemente in-
dicativi di Giuseppe BERTOLOTTSIta, tistica ecclesiastica d'Italia, Savona 1885, p. XCI.
(4)AUBERTIl, pontificato di Pio I X , n. 365, Torino 1964, p. 688 S.
(a)Annibale BUGNINFI,iglie della Carità in EC t. 5, ci. 1261-1264.
(42) Sono i dati risultanti dagli Elenchi dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Nel 1888, quanto ai Salesiani, sui totale dei professi erano con voti perpetui 87,71%; con
- voti temporanei: 12,29%. Siil totale dei professi, gli ascritti rappresentavano il 35,70 %.
L'alta percentuale di professi perpetui si deve - come abbiamo più volte notato al
fayto che dopo il noviziato la maggior parte degli aascitti facevano la professione perpetua.
I1 quoziente più basso di novizi si ebbe nel 1911. I professi erano complessivamente
4091. Sul totale i soci perpetui erano 71,78 % (3065); i soci temporanei: 28,22% (1026);
gli ascritti rispetto al totale dei professi erano 7,58 % (432).
(a)Le registrazioni d'archivio sui novizi e gli aspiranti sono laanose per i tempi ante-
riori al 1870. Dalle origini della Società Salesiana al I888 i novizi nei complesso furono circa
duemila; il calcolo approssimativo è fatto tenendo conto che dal 70 in avanti c'erano da 20 a
40 in media che prolungavano di uno o più anni il noviziato. Sulla cifra complessiva circa
il 50 % professava. Tra i professi, vivente Don Bosco vi fu un tasso di defezioni tra il 10
e il 20 %. Alla cifra dei novizi bisogna aggiungerc circa un migliaio di aspiranti che non
entrarono in noviziato. Ancora minore è il tasso di perseveranza degli aspiranti, il cui nome
è pubblicato sui catalogo della Società Saksiana.
Statistiche ugualmente compiesse sarebhero da farsi riguardo alle Figlie di Maria Ausi-
liatrice.
2 degno di rilievo il fatto che a quei tempi DB c i suoi riuscissero a poiarizzare tanta
quantità di persone.
(4)Cf. il nostro vol. 1, cp. 9.

19.8 Page 188

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Don lBuodsoconon,ellasiastopriaurdeellainreleigmiobsritiàocnaettoelicas.eVnzoal II.uSnteallaesplicita coscienza il cooperare di
forze distinte in una società ideologicamente pluralista. Ne indicammo le
radici nella stessa mentalità di Don Bosco. Egli era pronto, per natura e per
educazione, a cogliere simpatie, interessamenti, possibilità di lavoro e coin-
volgerle nelle proprie iniziative. Tutto ciò ha la sua importanza quando si
vogliano delineare i tratti fisionomici di tutte le istituzioni promananti da
Don Bosco. Infatti il discorso che Don Bosco svolge su cooperatori e ai coope-
ratori non è per nulla indipendente da quello ch'egli rivolge ai Salesiani e per
mezzo di essi. Ai Salesiani Don Bosco faceva balenare progetti che avevano
del grandioso, se non proprio dell'utopico. Presentando nel gennaio del 1877
la cooperazione salesiana, spiegava che in sostanza consisteva in « u n vicen-
devole aiuto spirituale e morale non solo, ma anche materiale ». E proseguiva:
Non andrà molto che si vedranno popolazioni e città intiere unite nel Si-
gnore in un vincolo spirituale colla Congregazione Salesiana. Riguardo al
materiale si sono disposte e si manterranno le cose in modo che non si dovrà
dipendere da alcuna autorità, eccetto da quella spirituale del Sommo Pontefice.
Non in modo però che si venga ad urtare coi Vescovi e colle autorità secolari D.
« Non passeranno molti anni che le città e le popolazioni intiere non si distin-
gueranno dai Salesiani che per le abitazioni. Se ora sono cento Cooperatori,
il loro numero ascenderà a migliaia e a migliaia, e se ora siamo mille, allora
saremo milioni, procurando di accettare ed iscrivere quelli che sono più adat-
tati. Spero che questo sarà il volere del Signore » (9.
Nell'arruolare cooperatori Don Bosco si spingeva in iniziative che, a
ben pensarci secondo la mentalità confessionale del tempo, dovevano appa-
rire paradossali. Lui, figlio della Chiesa e figlio del padre comune il Vicario
di Cristo, proponeva a Pio I X un capovolgimento di funzioni. Pio IX coope-
ratore salesiano (perciò sotto la dipendenza dei rettore maggiore dei Sa-
lesiani).
Ai Salesiani annunziava che « il sindaco di Magliano Sabino, cava-
liere ricchissimo, il più ricco di quei paesi, liberale aperto, volle anch'egli
farsi cooperatore salesiano, dicendo che questa è un'opera divina. Ciò che
fece il sindaco. vollero anche fare molti altri » P). Come già dicemmo,
inviò il diploma di cooperatore all'Imperatrice d'Austria e ad ebrei di Nizza e
di Milano. Costantino Leonori e Alberto Du Boys presentavano le simpatie di
Julio Roca presidente argentino per Don Bosco e i missionari salesiani ( O ) .
Ci si rende conto come si tendesse a presentare un tipo di salesiano che rispon-
desse alle simpatie e agli interessi di persone appartenenti ai ceti sociali più
disparati. Don Bosco e i suoi amici propagandisti superavano lo stretto pro-
blema giuridico dei Salesiani nella compagine politica e in quella ecclesia-
(a)Conferenza del 6 sennaio 1877 riferita nella Cronaca di Don Barberis. Cf. MB
13, p. 81.
(a)Conferenza citata, MB 13, p. 81.
(47) LEONORCI,enni sulla Società d i S. Francesco d i Sales, Roma 1881, p. 58; DIJ BOYS,
Don Bosco e la Società Salesiana, p. 201.
stica (4s). Sappiamo con quale tenacia Don Bosco difese il principio che i
singoli salesiani non rinunziavano ai diritti civili e si sottoponevano, come
qualsiasi cittadino, agli obblighi verso la società. Incombeva su lui il timore
della soppressione tutte le volte che, invitato o costretto dalle autorità ec-
clesiastiche, doveva assumere termini e atteggiamenti tradizionali della vita
religiosa. Ancora nel '74 a Roma, per difendere il tipo di noviziato di
cui parleremo più avanti, addusse timori politici: «Non si può avere una
casa di studio separata dagli altri collegi, perche il governo subito dimande-
rebbe con qiiale autorità si dà quell'insegnamento, e bisognerebbe chiudere
immediatamente o sottoporsi alle leggi della pubblica istruzione che sarebbe
cosa medesima » (49).
Specialmente dopo la spedizione missionaria del '75 Don Bosco non
bada più soltanto al rapporto dei Salesiani con lo Stato italiano, ma a quello
più generale con la società di allora. Ormai infatti l'orizzonte salesiano
non era più soltanto quello d'Italia.
Negli scritti di propaganda è trasparente la cura di fare apparire Don
Bosco come un rinnovatore del fermento evangelico, come un rigeneratore
della figura del frate adattata alle nuove esigenze e tale che possa riconciliarsi
la stima e l'affetto pubblico, il diritto di vita nella società.
La società - si diceva - era in progresso. I1 capitalismo schiacciava
le classi popolari. I1 popolo acquistava sempre maggiore dignità e forza.
Si proclamava la democrazia, se ne vedeva la « vigoria crescente » ( 9 . Per
questo - si diceva - i tempi .esigono una congregazione religiosa nuova,
una congregazione democratica, una congregazione che sia nel p o p l o e del
popolo, che « popolarizzi con esso, vada in ogni andamento di conserva con
lui, che con lui faccia causa comune, aiutandolo a conseguire onestamente
tutti i vantaggi che presenta la civiltà in progresso. S'ingegni e lavori questa
congregazione che si è formata per fare a lui godere i guadagni: sicché
il popolo la guardi come una società di generosi amici che si sacrificano tutti
per lui; direm che si vuole una congregazione che incorporandosi col popolo,
si assimili in una >solvita e versi nel suo gran corpo in tutte le vene per
dir così, del suo sangue apostolico nel sangue di lui che bolle per dar esi-
stenza ad una società, che si vuol rigenerare ad una forma di nuova vita P.
« Questa congregazione - si concludeva - è la Salesiana »('l).
Ci si rende conto in che cosa si tendeva a collocare la novità della So-
cietà Salesiana. Come Don Bosco, figlio del popolo, per nativa simpatia era
(4) Di tale problema ci siamo occupati nel vol. 1, cp. 6.
("1 Postille di DB al riassunto deUe osservazioni fatte dal Consultare, P. Rahondo
Bianchi, e trasmessogli daUa S. C. dei Vesc. e Regolari, minuta autogr. in AS 023. DB espone
le stesse idee in un Promemoria sopra una lettera deii'Arcivescovo di Torino intorno aUa
Congregazione Salesiana: cf. MB 10, p. 793. Cf. sotto, nota 106.
(9Antonio BELASION, on abbiamo paura! abbiamo il miracolo dell'apostolato cattolico
di X V I I I secoli e le sue sempre nuove e più belle speranze, Torino, tip e libr. Salesiana
1879, p. 59.
(51) BELASION, on abbiamo paura, p. 59 S.

19.9 Page 189

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
andato ai fanciulli poveri per dare loro dignità, così la Congregazione Sale-
siana, per la medesima natura e per le medesime istanze, tendeva a inserirsi
nel ceto popolare, e anzi in tutta la società, per contribuire al progresso e
alla giustizia sociale. Alla società, che dei religiosi si era fatta la pittura
di individui inutili e oziosi, Don Bosco presentava i Salesiani al lavoro, a
fianco di qualsiasi cittadino e, soprattutto, a fianco deli'indigente. I Sale-
siani - si presnnunziava - avrebbero operata una compenetrazione totale
della società, così come .avevano fatto i cristiani dei primi secoli.
« G i à Tertulliano diceva a' pagani: Voi non ci volete perché cristiani: e noi
v'ahbiamo già empito il vostro esercito.. . Si, noi v'abbiamo già empito le vostre
curie, traffichiam cÒn voi nei mercati, ci affratelliamo in tutte le cose, lasciamo solo
per voi i tempii dei vostri idoli.
Anche i Salesiani diranno: voi non volete più frati, né religiosi di qualunque
congregazione, e noi verremo a farci laureare nelle vostre università per difendere i1
più caro patrimonio del genere umano, le verità che salvano. Bene, poi saremo
artigiani nelle vostre botteghe, e mostreremo a lavorare come servi fedeli al gran
Padre di tutti: noi saremo chiamati coscritti nei vostri reggimenti, e farem rispettare
le virtù e la religione che non si conoscono che per bestemmiarle: oh si, vogliamo
intrometterci tra voi dapertutto; e lascieremo a' nemici della Religione solo le tane
dei viai » (SI).
« I Salesiani si sono gettati in mezzo ad una società tutta in movimento in pro-
gresso: ed essi devono dire con vivace parola: Fratelli, anche noi corriamo con voi:
e coll'amahile affabilità, fermarli seco, quasi a fare posata, e divertirli con una cert'aria
di novità » (53).
Nella massa deile iperboli, tra termini di sfida e di fratellanza, si av-
verte la consistenza di u n certo nucleo. Nei Salesiani e nei loro simpatizzanti
veniva volutamente lievitata la persuasione che « la società andava trasfor-
mandosi » (ji). Con fiducia venivano considerati dall'opinione pubblica quanti
intervenivano per diminuire le miserie sociali e per cooperare efficacemente
al progresso del popolo. I Salesiani non erano certo democratici per la
struttura della loro società religiosa (molto accentrata e di tipo presidenziale
temperato)(" ), bensi per i l tipo d i attività che intendevano compie1.e e d i
(52) BELASION,on abbiamo paura, p. 90 s.
(") BELASION,on abbiamo paura, p. 102.
(3)LEONORCIe,nni sulla Societd di S. Francesco di Salcs, p. 3.
(55) Gli articoli delle Regole o Costituzioni relativi ai governo della Società subirono
un'evoluzione alqunnto complessa. La formulazione primitiva a noi nota (1857-58) riflette
l'esperienza delfOratorio e le strutture fissate nei primi regolamenti; inoltre manifesta la
ispirazione desunta - come abbiamo notato qua e - da altri istituti: altri Oratori, la
Societd di Caritd a pro dei giovani poveri e abbandonati fondata da Don Chocchi e da
altri a Torino nel 1850, l'lnstitutum Caritatis del Rosmini, le Scholae Charitetir dei Cavanis,
la Congregazione della Missione o Laizaristi, le congregazioni dei Redentoristi e degli
Oblati di Maria Vergine, la Compagnia di Gesù, ecc. DB forse anche tenne presenti i
regolamenti della Società di S. Vincenzo de' Paoli. Sulla prima formulazione (AS 02211)
ebbe una forte incidenza la preoccupazione delle leggi civili e l'inserimento nelle strutture
diocesane. In essa esistono già due capitoli distinti: «Governo interno della congregazione n
- fatto svolgevano per la educazione della gioventù del ceto popolare. Pre-
sentando il salesiano al lavoro a fianco dei giovani, bonariamente e fami-
liarmente - si intendeva presentare un nuovo tipo di religioso e un nuovo
tipo di dignità civile dell'ecclesiastico e del religioso non scostante e non
provocante per la sua inerzia e inutilità.
e «Degli altri superiori» (p. 12-14). Circa il governo della congregazione (congregazione
in qualche parte è mutato in società) si stabilisce: « 1. La congregazione sarà governata
da un Capitolo composto di un Rettore, Prefetto, Economo, Direttore spirituale o Cate-
chista e tre [tre corretto da due] considieri. 2. Il Rettore sarà a vita; a lui appartiene
il proporre l'accettazione de' postulanti o non proporla; assegna a ciascuno le immbenze
sia riguardanti allo spirituale, sia riguardanti al temporale ». Si speci6cano norme circa il
Vicario del Rettore (designato segretamente dal Rettore stesso e che governerà d a sua
morte interinalmente) e circa l'elezione ed entrata in funzione dei singoli membri del
Capitolo. «Gli &i propri degli altri superiori della casa saranno dal Rettore ripartiti
secondo il hisogno [bisogno corretto da piano di regolamento pei giovani ricoverati].
Dureranno in carica tre anni D. (Degli altri superiori, art. 11, ms. C,, p. 14). Il Rettore e gli
altri membri del Capitolo erano eletti a suffragio ristretto: elettori del nuovo Rettore erano
i membri del Capitolo stesso, più il Vicario e più quei direttori delle case che potevano
intervenire all'elezione, fissata l'ottavo giorno dopo la morte del Rettore. Il neo eletto
aveva il potere di eleggersi il Prefetto e il Direttore spirituale; secondo una prima stesura,
anche l'Economo; secondo una revisione del testo, l'Economo e i tre (due) consiglieri erano
designati dal collegio dedi elettori a pluralità di voti; in una tema revisione il potere di
eleggere l'Economo e i tre consiglieri venne affidato ai «professi deUa congregazione che
trovansi nella casa ove abita il rettore cioè casa maestra x (ms. di DB). Le Regole perciò
fissano gli «&ci s dei capitolari, specificano modalità delle elezioni, ma non determinano
in quali casi il Capitolo governa collegialmente con voto deliberativo.
Segue una fase di assestamento (1859-1874). Le varie formulazioni italiane e latine
risentono degli sviluppi e dell'esperienza delta congregazione che si awia a diventare vera
e propria congregazione chiericale di diritto pontiiicio. Viene a chiarirsi il rapporto con la
S. Sede e con le autorità ecclesiastiche locali sia per quanto riguarda l'esercizio di giu-
risdizione, sia per i'apporto pastorale (specialmente educazione dei giovani più poveri).
Quanto al regime propriamente interno si giunge a una distinzione più netta di strutture,
di funzioni e di terminologia. 11 Capitolo superiore viene a distinguersi dai Capitolo della
«casa maestra n; vengono assegnate prerogative e facoltà sia al Rettor Maggiore, sia agii
altri membri del Capitolo superiore funzionanti come collegio o alle dipendenze del Rettor
Maggiore per affari specifici. Vengono anche meglio determinati la natura, le prerogative, la
periodicità e i poteri del Capitolo generale.
Si giunge così alle Costituzioni approvate (AS 022118). Sul governo della Società le
Costituzioni hanno vari paragrafi: « V I Religiosum Societatis regimen (rapporti con il
Papa, che è il supremo superiore, con la S. C. dei Vescovi e Regolari e con i singoli
ordinari); VII. Internum Societatis regimen; VIII. De Rectoris Majoris electione; IX. De
caeteris Superioribus; X. De singulis domibus ». Qui riassumeremo quanto riguarda il
governo supremo. Rimane l'articolo che la Società è governata dal Capitolo superiore
(tota Societas Capituio superiori subijcitur), composto dei Rettore, del Prefetto, del-
l'Economo, del Direttore spirituale o Catechista e di tre consiglieri (VII, art. 1). Subito
si speci6cano a lungo i poteri del Rettor Maggiore: «S. il Superiore (Moderator) di tutta
la Società; egli può eleggere il suo domicilio in qualunque casa della Società. Tutto ciò che
riguarda gli uffici, le persone, i heni mobili ed immohili, le cose spirituali e temporali,
tutto è soggetto a lui. Perciò è &ci0 del Rettore accettare o non accettare i soci nella
Società; assegnare a ciascuno quelle cose che spettano sia allo spirituale, sia a1 temporale;
le quali cose egli potrà fare o per o per delegazione. Ma non avrà nessuna facoltà, per
quanto riguarda a heni immobili, di vendere o di comperare, senza il consenso del

19.10 Page 190

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
In concreto il gettarsi del salesiano i n mezzo alla società in progresso
consisteva i n massima parte nel raccogliere in ambienti adatti (quasi sempre
neli'ambito della casa religiosa) giovani bisognosi di educazione e di assi-
stenza.
Capitolo superiore» (VII, art. 2). Non dura in carica a vita, ma per dodici anni e può
essere rieletto (VII, art. 5). Gli &ci » dei capitolari rimangono fissati dalle Costituzioni.
Al Rettor Maggiore i: lasciato i1 potere d i dare ai vari membri mandati speciali. La designa-
zione agli uRici fissati dalle Costituzioni è tolta totalmente al Rettor Maggiore e demandata
al Capitolo generale. I membri del Capitolo superiore durano in carica un sessennio e possono
essere rieletti (X, art. 2). I1 potere deliherativn collegiale & esteso a vari affari: « I consi-
glieri intervengono a. tutte le deliherazioni, che riguardano l'accettazione o la dimissione o
l'ammissione ai voti di qualche socio; se si tratta dell'apertura di una nuova casa;
dell'eleggere il Direttore di qualche casa; di contratti di compra o vendita di beni immobili;
finalmente di tutte le cose di maggior importanza, che spettano al buon andamento gene-
rale della Società. Se nella ricognizione dei voti segreti, che hanno forza di deliberazione,
la maggioranza non sarà favorevole, il Rettore protrarrà ogni deliberazione (IX, art. 2).
Componendo, dunque, il cp. VII, art. 2 e cp. IX, art. 2, ne risulterebbe che la maggio-
ranza di voti vincola inderogahiimente il Rettor Magdore in quel che concerne beni
immobili, compra vendita; per gli altri affari sopra elencati, il Rettor Maggiore ha il
potere di protrarre la deliberazione fmché non si giunga a una concordia di lui con la
maggioranza.
Le Costituzioni approvate danno al Capitolo generale la natura di assemblea rappre-
sentativa universale di tutti i professi (con specificazioni che qui non ricordiamo) e assegnano
il potere di riformare le Costihizioni stesse, ma non in termini eversivi e con la necessaria
approvazione della S. Sede.
Dali'approvazione delle Costituzioni alla morte di DB (1874-1888) si ha l'applicazione,
la specificazione e l'interpretazione autorevole o risultante dalla prassi della vita saiesiana,
Può interessare, a questo proposito, un momento del Capitolo generale del 1877. Giunti alla
conclusione, i capitolari elaborarono un decreto che intendeva demandare al Capitolo
superiore la formulazione delle deliherazioni e intendeva anche assegnare il potere di ag;
giungere quanto poteva sembrare opportuno. DB volle n che tale potere venisse assegnato
al Rettor Maggiore e ne diede alcune motivazioni: 1) se si dava il potere al Capitolo supe-
riore poteva intendersi che si voleva prescindere dal Rettor Maggiore; 2) dandosi facoltà al
Rettor Maggiore era anche implicito che si dava il potere al Capitolo superiore nei
termini fissati dalle Costituzioni; 3) la prassi della Curia romana era di indirizzare al Rettor
Maggiore documenti che riguardavano l'intera Società Salesiana (MB 13, p. 285; 292, che
attingono ai verbali redatti da Don Barheris: AS 04611877). Emerge la mentalità di DB
e il senso che egli dà (e pensa possa essere dato) al rapporto Rettor Maggiore e Capitolo
superiore: un senso analogo - sembra - a quello che si dava allora al rapporto Romano
Pontefice e Concilio ecumenico. Appellare al Concilio ecumenico aveva un suono gallicano;
indicare il Papa soggetto di potere supremo, implicava anche il potere del corpo dei
vescovi di cui il Papa era capo: si era in dima di concilio Vaticano I; il problema della
collegialità non aveva tanta risonmia, quanto quello delle prerogative del Papa «sulla
Chiesa D e un timore non spento era quello del conciliarismo e del gallicanesimo. Non si
dimentichi che i testi teologici in uso all'oratorio erano quelli del Perrone o di altri della
medesima linea. I1 manuale di diritto canonico al quale si appoggiano memoriali elaborati
da Don Berto sotto l'assistenza anche di DB è quello del Bouut, citato, tra l'altro nel-
. . 1'Elenchus privilegiorum seu facultutum ef gratiarum spiritualium guibus potitur Societas
S. Francisci Salesii.. ., S. Benigni in Salassis, 1888, p. 3, 5, 7 . : il Bouk è noto per il
suo deciso neo-ultramontanismo,
Giova confrontare il governo elaborato da DB con quello di istituzioni a lui note.
La Societd di Carità a pro dei giovani poveri ed abbandonati era formata di ecclesiastici
e laici e presieduta da una direzione superiore (due ecclesiastici e due laici). La Direzione
I1 m o t t o della Congregazione Salesiana, lavoro e temperanza, per i sin-
goli soci era u n richiamo all'impegno ascetico individuale, m a d i fronte al-
i'opinione pubblica assumeva il significato d i testimonianza e dimostrazione
apologetica (%). I1 volere fermamente u n a congregazione c h e si presentasse
operosa manifesta d a u n a p a r t e la sensibilità di Don Bosco a i tempi e d'al-
t r a parte presenta u n elemento che il fondatore vuole sia caratterizzante
della s u a Società Salesiana.
« S e Don Bosco - notò Alberto D u Boys - ad esempio di S. Vincenzo de'
Paoli, ha fondato una società attiva piuttosto che contemplativa, non è già che egli
ed i suoi seguaci non comprendessero le sublimità dei figli di S. Brunone, delle figlie
di Santa Teresa, e di Santa Chiara, ma è perché in questo momento quello che faceva
più di mestieri e che più urgeva era d i creare delle comunità religiose che potessero
consacrarsi al bene dell'umanità e rendere dei servigi visibili e palpabili alla società
umana. - Nonostante la proscrizione momentanea delle suore dagli ospedali e dalle
scuole dei poveri, vi è una certa propensione, anche fra i non Cattolici e gl'indBe-
renti, a rendere giustizia alle associazioni di carità come quelle delle Dame del Calva-
rio, delle Piccole Suore dei Poveri, dei Fratelli d i S. Giovanni d i Dio, ed anche degli
Orfanatrofi religiosi » (S7).
superiore aveva poteri direttivi e consultivi rispetto a una Amministrazione, costituita, a
sua volta, di un Rettore, di un Vicerettore, di un Economo, di un Tesoriere e di un
Segretario. L'Amministrazione aveva la cura diretta e immediata deUa Casa di carità aperta
- dalla Società. I1 Rettore, che per quanto era possibile doveva essere un sacerdote, era il
superiate della Casa. «Egli si legge sui regolamento - vi sarà come i l padre dei
. giovani, che riguarderà quali suoi figliuoli. Ad esso è lasciata l'accettaiionk. e l'ammissione
nella medesima. . ». Le Scholae Charitatis fissavano strutture provinciali governate da
un superiore. Ogni provincia si sviluppava neil'ambito di uno stato sovrano e formava
una congregazione indipendente che adottava come proprie le Regole dei Cavanis. La Con-
gregazione degli Oblati aveva come supremo organo di governo il Rettor Maggiore a vita,
che poteva scegliersi ad arbitrio il domicilio, aveva autorità assoluta sulle case e sui
«soggetti s deiia Congregwzione. La Regola fissava sei consultori, eletti dal Capitolo ge-
nerale e che dovevano essere consultati dal Rettore ciascun mese per gli affari di maggior
peso dell'lstituto, quando specialmente si trattavn di elezioni di Rettori locali, Visitatori,
Maestri dei Novizi, di erezione di nuove case o di lasciarne qualcuna già fondata, di man-
dar via dall'Istituto «soggetti D già ricevuti e cose simili (Costrtuzioni e regole, pt. 2, cp. 1,
§ 1, art. 7). I1 Rettore aveva bisogno di voto «decisivo D dei suoi consultori solo quando
- si trattava di ammettere «soggetti » che non avevano ricevuto il suddiaconato (pt. 2,
?n. 1-, $1-, art. 4). Anche nell'lnsiitztum Caritntis il governo supremo era assegnato a un
superiore (Preposito generale) e non a un capitolo.
Da notare infine che, nonostante il voto deiiherativo paritario in vari affari, i membri
-de-l.Canit-n- lo suoeriore della Società Salesiana ebbero, anch'essi, quell'atteggiamento filiaie
verso DB, che cercheremo di analizzare più avanti; DB a sua volta, pur coltivando il rap-
oorto nadre-fidi. ebbe cura di favorire e stimolare la libera e sincera espressione dei
suoi cklahoratori e corresponsahili.
(M)
«Ricorda
Cf. le voci
s e m ~ r ea
rispettive nell'lndicc MB p.
tutti i nostri salesiani il
228-230; 449;
monogramma
in
da
particolare MB
noi adottato
1«3L, apb..o.3r2-6e-:t
Temperantia ». Sono due armi con cui riusciremo a vincere tutti e tutto » (lettera di UiI
a Don Giuseppe Fagnano, Sampierdarena, 14 novembre 1877, Epistolario 1653) e più sotto,
note 59-64.
(57) D u BOYS,Don BOSCOe la Società Salesiana, p. 223 S.
373

20 Pages 191-200

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20.1 Page 191

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
La popolarità delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli (e la loro
stessa impopolarità in ambienti anticlericali), la popolarità delle Suore della
Carità, divenute il tipo della suora moderna, portavano istintivamente a
confrontare Don Bosco, oltre che con Filippo Neri, anche con Vincenzo de'
Paoli, il santo che era stato onorato, rispettato e gradito persino durante la
Rivoluzione francese ("1. In fondo in quanti contemplavano Don Bosco come
Vincenzo de' Paoli redivivo traspare la fondata speranza che la rivoluzione
sociale di fine Ottocento avrebbe posto le opere salesiane tra quelle da rispet-
tare e appoggiare. Don Bosco stesso fa leva su tale persuasione: « Anche i
cattivi sanno apprezzare, quando si lavora veramente senza interesse e si
lavora molto » ($9:« Siamo in tempi in cui bisogna operare. I1 mondo è
divenuto materiale, perciò bisogna lavorare e far conoscere il bene che si
fa » ("). « I1 mondo attuale vuole vedere le opere, vuole vedere il clero
lavorare a istruire e a educare la gioventù povera e abbandonata con opere
caritatevoli, con ospizi, scuole » ("1. « D a noi non si vogliono danari, ma
fatiche » ("1. « Oggi oltre al pregare, che non deve mancare mai, bisogna
operare, intensamente operare; se no, si corre alla rovina D ("1. « Chi non sa
lavorare non è salesiano (&).
- Nel 1878 poneva in scritto un messaggio soprannaturale per Leone XIII.
Quanti vedono soltanto materia preannunziava - « disprezzano chi prega
e chi medita, ma saranno costretti a credere alle opere di cui sono testimoni
oculari ». « Le famiglie religiose recenti sono chiamate dalla necessità dei
tempi. Colla fermezza nella fede, colle opere loro materiali devono com-
battere le idee di chi nell'uomo vede soltanto materia D (9.
In tempi in cui non ci si risolveva a superare un'ascetica del nascondi-
mento Don Bosco avverte l'importanza della pubblicità, non vuota, ma fon-
data su fatti che tutti possono vedere. In tempi in cui molte opere cat-
(j8) Cf. ad esempio Nino PETTINATI, Torino benefica, in Torino, ivi 1880, p. 855;
Le Figuro 13 agosto 1879 citato da LEONORIC, enni rulla Societd d i S. Francesco d i Sales,
P. 56; Marcelo SPINOLAD, on Bosco Y su obra. . . , Barcelona 1884, p. 54 e 58.
(") MB 11. o. 168.
i. ("2) MB 13; 80.
MB 14, p. 541. <<Nonbasta oggi la preghiera D: è la convinzione proclamata nei
Congressi cattolici italiani dal 1873 in avanti (ci. il nostro vol. 1, p. 211). DB ne fa un
argomento per promuovere la cooperaiione salesiana. Cf. ad esempio la conferenza ai
Cooperatori tenuta a S. Benigno il 4 giugno 1880: a I n altra epoca bastava riunirsi insieme
a sante pratiche di pietà, e la società ancora piena di fede seguiva la voce de' suoi pastori.
Ora i tempi si sono cangiati, e quindi oltre al ferventemente pregare, conviene lavorare ed
indefessamente lavorare, se non vogliamo assistere alla intera rovina della presente gene-
razione » (Bollettino salesiano 4, 1880, luglio, p. 12). E la conferenza tenuta il 1" luglio
a Borgo S. Mattino: «Una volta poteva bastare Punirsi insieme nella preghiera; ma
oggidi che sono tanti i mezzi di pervertimento, soprattutto a danno della gioventù di ambo
i sessi, è mestieri unirsi nel campo dell'azione ed operare D (I. C,, agosto, p. 9).
(") MB 19, p. 157.
(6)AS 132 Sogni 1 (minuta autogr. d i DB).
374
koliche si appagavano di agire sui singoli, assistendo poveri e malati casa per
casa o aprendo senza chiasso istituti educativi, Don Bosco avverte il valore
di incidere profondamente e largamente sull'opinione pubblica Acqui-
sta un senso speciale il monito evangelico ch'egli ama ripetere a preti e chie-
rici: uos estis sal et lux mwndi ("1,.
D'altra parte, come vedremo più avanti, l'esigenza di avere salesiani
lavoratori intraprendenti, sempre pronti alla fatica e disponibili nelle opere
più disparate si ripercuote sia sul tipo di preghiera che Don Bosco difende
per i suoi religiosi, sia anche sul complesso di elementi da cui deve risultare
l'idoneità di chi è in prova nella Società Salesiana.
L'attitudine a intromettersi e trar profitto delle esigenze comuni per
proiettarvi la propria personalità e la propria opera si manifesta anche nei
rapporti con il clero. Come già notammo, gli oratori popolari a Torino e
altrove supplivano all'insufficiente capacità delle parrocchie di assorbire
le masse giovanili. Al di dell'ambito parrocchiale e diocesano volevano
venite incontro alle comuni esigenze ecclesiastiche le Letture Cattoliche, i
Collegi, gli Ospizi, la stampa di testi scolastici e devozionali. Inoltre, come
i Gesuiti, i Lazzaristi, i Sulpiziani e i Maristi, Don Bosco offriva ai seminari
personale qualificato per la educazione del giovane clero. A vescovi e rettori
di seminario presentava il tipo di spiritualità, laboriosità e dignità ecclesia-
stica ch'egli aveva collaudato a Valdocco.
A sua volta però contava di arruolare Salesiani tra i seminaristi e per-
sino tra il personale diocesano'che reggeva i seminari (").
Senza darne una sistematica elaborazione teorica Don Bosco, di fatto
offriva un tipo di coordinazione di forze e persino un tipo di reciproco scam-
bio di energie al di delle strutture civili e religiose esistenti. Quanto egli
faceva e sperava di attuare era ormai molto diverso da quanto aveva vissuto
negli anni della sua formazione, quando esistevano rispettate distanze tra
nobili, borghesi e popolani, tra superiori del Seminario e chierici in for-
mazione.
(@) Cf. AUBERTI,l pontificalo d i Pio I X , n. 363, ed. c., p. 685, che però giustamente
pone in guardia da esagerate critiche al clero di metà Ottocento, quasi che in tanto dispiega.
mento di zelo avesse avuto di mira gli individui dimenticando troppo spesso di esercitare
un'influenza sulle idee e sulle istituzioni».
(67) I sacerdoti sono sale della terra e luce del mondo (MB 5, p. 654); ogni parola
del prete deve essere sale d i vita eterna e ciò in ogni luogo e con quolsivogiia persona (MB
6 , p. 381); i chierici salesiani devono essere sal terrue (MB 10, p. 1109); la Societa
Salesiana abbia membri che siano sale con la pietà e con la scienza per indirizzare le
mime al bene ed alla virtù, e luce col buon esempio (MB 10, p. 1096; 1105).
(68) Prima che le Costituzioni venissero approvate dehitivamente la Società Salesiana
poteva apparire un'associazione di ecclesiastici e di laici, non rutti viventi in vita comune.
Vescovi residenziali potevano anche vedere di buon occhio che propri seminaristi trovassero
sistemazione a Torino presso DB. Tra i casi più caratteristici dopo il '74 6 da segnalare
dei canonico Francesco Rehaudi e del sacerdote Antonio Pagani, rispettivamente di-
rettore e prefetto n1 seminario di Magliano Sabino, ascritti negli anni 1879 e '80.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Riassumendo, Don Bosco propone la novità sociale del Salesiano non in chia-
ve di lotta di classe, ma in quella di progresso civile del popolo. Don Bosco
presenta se stesso e i suoi non come longa nzanus del ceto aristocratico o bor-
ghese, né come strumento della classe capitalista. La sua dimensione è
del tutto diversa, radicalmente religiosa ed etica. Egli vede il rinnovamento,
la salvezza e la rigenerazione della società come opera primariamente edu-
cativa. Non è il solo a sentirlo e ad agire in tal senso. In Francia, contenl.
poraneamente a lui, operavano fervidi promotori di patronages e di altre
istituzioni per la gioventù. Tra questi si distingueva Timon-David con la
medesima convinzione, che senza formazione religiosa ogni opera di edu-
cazione era destitpta al fallimento, o per lo meno, non poteva dirsi «vera »
opera educativa (69)..
Come attorno al '50 Don Bosco cercò di sottrarsi risolutamente alla
lotta politica, cosi negli ultimi suoi anni appare estraneo d a lotta politico-
sociale. Eppure in tale lotta sentiva possibile e necessaria la sua presenza
come educatore cristiano del popolo. « I1 clero - affermò il P. Semeria nel
- 1903 nel secolo XVIII si era separato troppo dal popolo, in modo da
formare una casta superiore, a cui il popolo non poteva facilmente accedere.
Don Bosco, nato dal popolo, volle stare in mezzo alle basse plebi per cono-
scerne i bisogni e soavizzare le loro pene.
La Congregazione che egli fondò, volle si componesse di ecclesiastici
e di laici e questi ultimi non destinati al servizio esclusivo dei primi, ma
loro coadiutori a lavorare, ciò in perfetto accordo, allo scopo comune della
salvezza delle anime. Mentre i primi istruiscono, i secondi preparano il mate-
riale per la vita, poiché nel mondo vi saranno sempre i lavoratori dell'intel-
ligenza e del braccio, non disgiunti però dall'odio, ma uniti dall'amore vi-
cendevole e santo.
Accanto al laboratorio deli'artigiano vuole che si elevi lo studentato.
Poiché Don Bosco non fu esclusivo, ma unisce in perfetta armonia coloro
che un giorno fatti uomini, saranno gli uni dirigenti, gli altri lavoratori,
ma amantisi con amore reciproco, senza invidia né lotta di classe »(m). La
testimonianza del P. Semeria può considerarsi l'eco di una persuasione asso-
data da decenni nella coscienza dei Salesiani e di quanti li conoscevano ed
apprezzavano.
(") Per l'opera di Timon-David nel quadro del movimento francese dei patronqes cf.
Jean-Baptiste DUROSELLLeEs, débun du Catbolicisme socio1 en Prunce (1822-1870), Paris
1951, p. 561-567. Per rapporri personali e coincidenze di mentalità tra DB e Timon-David
cf. Eugenio VALENTINLaI,pedagogia spirituale di Ttmon-David in Orientamenti pedagogici
2 (1955), p. 35-42;ID.L,e compagnie nel pensiero di Timon-Dauid in Compagnie Aristenti
1957.. +D. 17-3.178-.
(m)Conferenza
gresso internazionale
tenuta a Torino
dei Cooperatori
1'8 aprile
salesiani. .
.1,90T3oreinori,astsiupn.taSailnesiAantati
del 111
1903, p.
con-
12,
in parte anche in Giulio BARBERISl ,venerabile D. Giovanni Bosco e le Opere sulesiune,
Torino, S.A.I.D. Buona Stampa 1910, p. 48.
3. I1 senso della famiglia
I1 tessuto connettivo della Società Salesiana, tale quale si presentava
ai suoi membri e agli estranei, era sostanzialmente il risultato della prima
germinazione. Tutti i primi membri convissero a lungo con Don Bosco.
Quasi tutti da adolescenti furono alunni a Valdocco ed ebbero Don Bosco
come confessore e padre spirituale, da lui ebbero suggerimenti decisivi sul-
l'orientamento della propria vita, confidenze speciali. Un po' tutti ebbero
qualche piccolo importante incarico che dava l'impressione di essere amati e
prediletti tra tanti. Don Bosco fu pienamente consapevole della novità di
questo fatto e amò iarlo presente ai suoi figlioli.
« Tnt'te le altre Congregazioni - ebbe a dire ne! 1876 - . . . nel loro comin-
ciare ebbero aiuti di persone dotte e intelligenti, che, facendone parte, aiutavano il
fondatore o piuttosto si associavano a lui. Fra noi, no: sono tutti allievi di Don
Bosco. Questo mi costò un lavoro faticosissimo e continuo di circa trent'anni, con i!
vantaggio però, che, essendo stati tutti educati da Don Bosco, ne hanno i medesimi
metodi e sistemi. Coloro che entravano nelle altre Congregazioni ad aiutare i fonda-
tori, mentre cooperavano, essendo già essi formati a loro modo e non potendosi gli
uomini spogliare in tutto del vecchio Adamo quando sono a una certa età, creavano
una certa eterogeneità di elementi, che finiva con essere esiziale nelsordine. Pra noi
non è ancora entrato uno di famiglia nobile o molto ricco o di grande scienza; tutto
quello che si fece e s'imparò, s'imparò e si fece qui. Non capirà l'importanza di que-
sto punto chi non abbia meditato che cosa siano le Congregazioni o gli Ordini reli-
giosi; ma chi rifiette bene sulle cause d'ingrandimento e di decadenza dei vari Ordini
e suli'origine di varie scissioni, a cui tanti Ordini andarono soggetti, troverà che
questo avveniva per mancanza d'on~ogeneitàfin dal principio della fondazione del-
l'Ordine » (71).
Dalla particolare natura del primo nucleo salesiano era venuto un carat-
teristico tipo di coesione familiare, quasi un patriarcato, non da nobili o da
horghesi ma da figli del popolo dominati dalla superiore figura di Don Bosco
e impregnati un po' tutti dei suoi elementi temperamentali e dei suoi ideali.
Tutti sapevano fare tutto ( o per lo meno erano disposti a farlo): non c'era
lavoro affidato a confratelli laici che preti e chierici non assolvessero agevol-
mente quando era necessario intervenire; e con tutta naturalezza seguivano
gli esempi del padre &e d'occorrenza sapeva fare il sarto, il falegname, il
maestro di musica, il giocoliere, il correttore di bozze, il predicatore, lo
scrittore, il confessore, il sacerdote all'altare per il sacrificio della messa.
Tutti, in genere, tendevano a una disponibilità interiore e a una versatilità
pratica che a indagatoti attenti e affettuosi lasciava scoprire uno spirito di
abnegazione portato all'estremo limite (").
17J1 Dichiarazioni di DB a Don Baiberis riferite da quest'ultimo nella sua Cronaca il
17 màggio 18761 cf. MB 13, p. 221 S.
(n)SPINOLDAo,n BOSCyOSN o b ~p,. 58: « En la Congregaci6n Salesiana, tal coma
D. Bosco la ha constituido, no se conocen las rigidas austeridades a que se entregan 10s

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
L'accento dato alle opere artigianali faceva si che i confratelli laici
trovassero facilmente motivo per inserirsi nella famiglia di Don Bosco con
l'animo e la fierezza di chi portava un contributo valido. Le disposizioni
religiose assimilate nell'ambiente contribuivano a un agevole inserimento
dei laici nella Congregazione salesiana con mansioni generiche o specifiche.
La maggior parte potevano considerarsi individui anime privilegiate sono
detti in una circolare del 1880) che, data occasione, desideravano di abhan-
donare il mondo per assicurare più facilmente la salvezza dell'anima pro-
pria ». Don Bosco vuole individui « disposti ad occuparsi di qualunque
lavoro, per esempio nella campagna, nell'orto, in cucina, in panetteria, tener
refettori, far pulizia della casa >> o anche da segretari in qualche ufficio (").
Come Lodovico Pavoni a Brescia e il Le Prevost a Parigi, egli vuole che i
confratelli laici vadano in borghese (?'). I1 clima non più propizio alle isti-
tuzioni monastiche e l'atmosfera anticiericale di vari ambienti portava alla
considerazione che « in certe occasioni possono fare maggiormente e più li-
beramente il bene i laici, che non i Sacerdoti ». Ai coadiutori si ricordava
che laici « aiutarono potentemente gli Apostoli e gli altri sacri ministri; e
la Chiesa in ogni tempo si è servita di buoni fedeli per il bene del popolo
e per la gloria di Dio n ("). Le preferenze verso l'abito borghese per i coadiu-
tori e per le stesse Figlie di Maria Ausiliatrice (tra il 1872 e il 1877) mo-
strano in Don Bosco la tendenza a superare quei segni tradizionali che
allora potevano piuttosto suscitare ripulsa e antipatia. D'altra parte tali
preferenze portano ad accentuare i valori interiori e sostanziali della consa-
crazione religiosa. Riguardo ai coadiutori veniva deliberato che « i n ogni
luogo e circostanza, in casa e fuori di casa, nelle parole e neUe azioni mostrino
sempre di essere buoni religiosi; poiché non t. già l'abito che fa il religioso, ma
la pratica delle religiose virtù; e presso Dio e presso gli uomini è più sti-
mato un religioso vestito da laico, ma esemplare e fervoroso, che non un
altro adorno di abito distinto, ma tiepido ed inosservante (76).
A ben guardare la novità del Coadiutore salesiano non stava tanto nelle
Capucbimos, 10s hijos de santa Teresa 6 10s Cartujos; ni la descalaez, ni e1 tosco sayal,
ni 10s prolongados ayunos, ni la constante disciplina, ni las diarias vigilias se prescribe a
10s Salesianos; pero e1 esplritu de abnegaciun se lleva hasta e1 Gitimo limite.. . ». E a p. 89:
« E1 Salesiano es e1 hombre de L ahnegaci6n Y d e la humildad, que vive muerto sin
pensar que lo est& que hace e1 bién creyendo que no hace nada, que se sacri6ca sin
acordarse de ello y aun casi ignorandolo ».
(73) Circolare S.d. per trovare coadiutori: cc. ME 14, p. 783 S.
(74) Sui rapporti diretti tra DB e l'Opera di Lodovico Pavoni ci. Pietro BRAIDO,
Il sistema preventivo di Don Bosco, Torino 1955, p. 97-100. Con il Le Prevost e Patronuges
des apprentir di Parigi fu in relazione diretta Leonardo Murialdo: cf. Armando CASTELLANI,
I l beato Leof~ardoMurialdo, 1, Roma 1966, p. 828.831; Charles MAIGNEN, Vie de Jean-
Léon Le Prevost fondateur dc la Congrégation des Frères de Saint-Vincent de Paul,
Brouges-Tournai, 1923, 2 vol.
(75) Deliberazioni dei terzo e quarto Capitolo generale della Pia Societd Salesiana
ienuti in Valsalice nel retiembrz 1883.86, S. Benigno Canavese 1887, p. 17.
('9 Deliberazioni del terzo e quarto Capitolo generale, p. 17.
occupazioni o nell'abito, ma nell'inserimento del laico nella tipica famiglia
istituita, permeata e dominata da Don Bosco. Molti buoni laici, giovani o
adulti potevano ben presto trovarsi a proprio agio nella casa salesiana.
Potevano sentirsi in famiglia, trattati confidenziahnente come fratelli di
tutti, aiutati da chierici e preti nel mestiere di scopatori o di tipografi. In
chiesa e a tavola, in cortile o in camerate potevano trovarsi fianco a fianco con
ecclesiastici e avvertire che potevano trattare con loro con la stessa fami-
liarità che chierici e sacerdoti usavano tra loro. L'affetto, la laboriosità e
giovialità che univa nei momenti comuni della giornata non diminuiva
quando coadiutori e chierici assistevano al sacrificio della messa celebrato
da un loro confratello o quando s'inginocchiavano al confessionale per essere
assolti dai peccati da quel loro padre e fratello ch'era stato a ciò consacrato
con il sacramento deli'Ordine (77).
La vita di tutti i giorni dava un'interpretazione concreta alla disposizione
rivolta ai coadiutori: «Mostreranno in ogni tempo e circostanza rispetto ai
Superiori e ai Sacerdoti, riguardando in essi dei Padri e dei Fratelli, a cui de-
vono vivere uniti in vincolo di fraterna carità, da formare un cuor ed un'anima
sola » (7a).
4. I1 crisma taumaturgico
Tra i fattoti di sviluppo della Società Salesiana non ebbe piccola impor-
tanza il senso di messianismo tipico deli'Ottocento che abbiamo più volte ri-
cordato. Nei patrioti c'era la coscienza che finalmente si compivano i disegni
provvidenziali sull'Italia, il cui fato era che fosse unita e sovrana. Nei catto-
lici c'era il sentimento che Dio interveniva in favore della Chiesa e suscitava
sempre nuove forze contro gl'tmpeti delle potenze infernali.
La coscienza del sogno dei nove anni e la catena dei sogni profetici
successivi, l'esplosione continua di prodigi che avevano come epicentro Don
Bosco, l'Oratorio, llAusiliatrice, radicavano la persuasione che in quei « tempi
calamitosi » Dio a conforto dei buoni e confusione dei cattivi aveva man-
dato un uomo il cui nome era Giovanni Bosco(79).Ciò che egli e i suoi
(n)Aneddoti significativi sono presentati da Eugenio CERIA,P~ofilidi 33 coadiutori
salesiani, Colle Don Bosco 1952. Molto illuminanti sono carteggi di coadiutori salesiani,
ad esempio quelli dei cavaliere Federico Oreglia (AS 215) e di Pietro Enria (AS 112
Malatrie: scambio di lettere relative alle infermità di DB. Enria ne era Sinfermiere).
(78) Deliberazioni del terzo e quarto Capitolo generale, p. 17.
. . (79) Occorrerebbe passare in rassegna il Bollettino salesiano, le già ricordate opere del
Belasio, del Leonori, del d'Espiney, del Du Boys, dello Spinoia . I n più sarebbero da
esaminare le dichiarazioni manoscritte o a stampa, in prosa o in versi, fatte per l'onomastico
di DB (AS 115). Era ovvio che su questa scia si ponesse la ietteratura,di devozione sale-
siana. Cf. ad esempio la meditazione su Don Bosco inviato di Dio (1. Sua missione divina;
2. Credenziali soprannaturali; 3. Pratiche conseguenze) in Domenico BERTETTSOan, Gio-
vanni Bosco. Meditazioni per la novena, le commemorazi~nimensili e la formazione salesiana,
Cbieri.Torino 1955, p. 59-64. E l'argomento sulla «prodigiosa espansione* in Guido
FAVINAI,lle fonti della vita salesiana, Torino 1964, p. 22-25.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
amici e sostenitori esprimono di tempo in tempo manifesta la convinzione
ch'essi hanno applicato all'opera salesiana la criteriologia soprannaturale
comune nella tradizione cattolica. I miracoli, le profezie, lo sviluppo mera-
viglioso delle opere nonostante le difficoltà quotidiane manifestavano che
Dio proteggeva Don Bosco e le sue istituzioni. Maria SS. poteva dirsi la
fondatrice della Congregazione. Garanzia massima erano comunque le finalità
buone che la Società Salesiana si proponeva: la gloria di Dio e la salvezza
delle anime. Ci si muoveva talora con lo stesso moto psicologico che faceva
esclamare non praevalebunt e acclamare fiduciosamente Maria SS., dehella-
trice di tutte le eresie, trionfatrice sul serpente infernale(M). Nonostante
gl'impeti delle potenze avverse Don Bosco e la sua opera trionfavano, i ne-
mici cadevano confusi e sconfitti.
«Miei cari - confidava Don Bosco il 14 maggio 1862 - viviamo in tempi tor-
bidi e pare quasi una presunzione in questi malaugurati momenti cercare di metterci
in una nuova comunità religiosa, mentre il mondo e l'inferno a tutto potere si ado-
perano per schiantare dalla terra quelle che già esistono. Ma non importa; io ho non
solo probabili, ma sicuri argomenti essere volontà di Dio che la nostra Società inco-
minci e prosegua.
Molti già sono gli sforzi che si fecero per impedirla, ma tutti riuscirono vani,
anzi alcuni che più ostinatamente le si vollero opporre, l'ebbero a pagar gara. .. (81).
Uno dei prodigi che torna insistentemente sotto la penna di Don Bosco
o sulle sue labbra è quello dell'incremento quantitativo e qualitativo. Nel
1862 era solo un sogno e un desiderio: « Chi sa che il Signore non voglia
servirsi di questa nostra Società per fare molto bene nella sua Chiesa! Da
qui a venticinque o trent'anni, se il Signore continua ad aiutarci, come fece
finora, la nostra Società sparsa per diverse parti nel mondo potrà anche ascen-
dere al numero di mille soci. Di questi alcuni intenti colle prediche ad istruire
il basso popolo, altri all'educazione dei ragazzi abbandonati, taluni a fare
scuola, tal'aitri a scrivere e diffondere buoni libri. tutti insomma a s~ oste--- ~ .
nere, come generosi cristiani, la dignità del Romano Pontefice e dei ministri
della Chiesa D
Con il passare degli anni il sogno diviene realtà e strappa a Don Bosco
sempre nuovi accenti di entusiasmo religioso:
- « L'ammirabile incremento di questa nostra Società - diceva il 30 gennaio 1871
è un vero miracolo, attesa la malignità dei tempi, i grandi sconvolgimenu e l'acca-
nita guerra che si fa ai buoni.. . Qui si vede che vi è il dito di Dio, che vi è la
protezione deiia Madonna. Le leggi più non tollerano i frati; ebbene, noi cambiamo
(M) Cf. Sopra, CP. 8, § 1-4.
(a1) Cronaca di Don Bonetti riportata il1 MB 7, p. 163 S. Me~mazionefondamentale:
«Ma non sono ancora questi gli argomenti che mi fanno sperar bene di questa Socierà;
altri maggiori ve ne sono fra i quali v'è l'unico scopo che ci siamo proposti, che è la
maggior gloria di Dio e la salute delle anime ».
Cronaca di Don Bonetti, MB 7, p. 163 S.
abito, e vestiti da preti facciamo lo stesso. Non tollereranno più l'abito del prete?
Ebbene, che importa? Vestiremo come gli altri, non cesseremo di far del bene lo
stesso: porteremo la barba, se è necessario, ché questo non è ciò che impedisca di
far del bene. Abbiamo contro di noi tutta la frammassoneria, tutti ci odiano, ci per.
seguitano; e pure noi siamo in pace, noi siamo tranquilli, noi abbiamo l'assistenza di
D'io >> (").
I l « sempre maggior credito presso la gente », il sempre maggior nu-
mero di alunni erano sentiti come fatti umanamente inspiegabili. Gli ele-
menti sociali e psicologici che vi erano in gioco nella rievocazione religiosa
perdevano la loro forza e la mente portava a ridurre ogni cosa a lotta tra
Dio e il maligno. Quasi più che l'impeto dei cattivi impressionava il moltipli-
carsi del bene. « I1 numero [ dei soci ] - diceva Don Bosco il 27 gennaio
1876 - è in tale aumento progressivo, che, se non avessi gran fiducia in
Dio, il quale disporrà che le cose vadano bene, io ne resterei atterrito,
come in parte lo sono, nel vedere che la Congregazione quasi cresce troppo in
fretta » ("). Don Bosco allora pensa a Maria SS., l'umile ancella, per mezzo
della quale il Signore ha fatto grandi cose. E dichiara: « Le meraviglie, a
compiere le quali il Signore vuol servirsi di noi miserabili Salesiani, sono
grandi. Voi stessi vi meraviglierete e sarete stupiti nel vedere come voi
abbiate potuto fare tutto questo innanzi agli occhi dell'universo e pel bene
dell'umana società » (=). Come un veggente che ha coscienza di non apparte-
nere più a se stesso invita a parlare della Congregazione e di Don Bosco
come se fossero la stessa cosa:
a A questo punto non si deve più aver riguardi né a Don Bosco né ad altro.
Vedo che la vita di Don Bosco è tutta confusa nella vita della Congregazione; e per-
ciò parliamone. C'è bisogno per la maggior gloria di Dio, per la salvezza delle anime
e del maggiore incremento della Congregazione, che molte cose siano conosciute.
Perché, diciamolo ora qui tra di noi, le altre Congregazioni ed Ordini religiosi ebheto
nei loro inizii qualche ispirazione, qualche visione, qualche fatto soprannaturale, che
diede la spinta alla fondazione e ne assicurò lo stabilimento; ma per lo più la cosa si
fermò ad uno o a pochi di questi fatti. Invece qui tra noi la cosa procede ben di-
versamente. Si può dire che non vi sia cosa che non sia stata conosciuta prima. Non
diede passo la Congregazione, senza che qualche fatto soprannaturale non lo consi-
gliasse; non mutamento o perfezionamento, o ingrandimento che non sia stato prece-
duto da un ordine del Signore » (a6).
Si ha l'impressione che con il trascorrere degli anni Don Bosco ab-
bandoni ogni circospezione circa la natura soprannaturale della Congrega-
zione salesiana e i segni che l o attestavano. Nel 1882, l'anno dopo il Don
Bosco del d'Espiney, nella premessa agli atti del secondo Capitolo generale
dei Salesiani asserisce che « l o sviluppo della nostra pia Società in Europa
(83) Verbale della conferenza generale dei Salesiani, in MB 10, p. 1058.
(W)Verbale della conferenza generale dei Salesiani, in MB 12, p. 77.
(85) Conferewaa del 27 gennaio 1876, in MB 12, p. 83.
(M)Conferenza ai direttori delle case salesiane, 2 febbraio 1876, in MB 12, p. 69 S.
381

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
ed in America è un sicuro indizio che Iddio la benedice in una maniera
speciale » (").
Innumerevoli testimonianze ci assicurano che i Salesiani condividevano
la medesima convinzione. Essi ne traevano forza quando il loro entusiasmo
era messo a dura prova. Fondatori di case meno che trentenni e con qualche
collaboratore poco capace, con giovani non tutti di buona pasta, con debiti
e in ambienti dove non tutti erano amici e dove non mancavano malevoli,
Don RufEno, Don Bonetti, Don Albera, Don Baratta e molti altri come loro
conobbero giorni di tenebre e di pianto, giorni nei quali scoprirono che
il ~ergolatodi rose fatto percorrere loro da Don Bosco era un insidioso gro-
viglio di spine. Eppure tutti erano stati visti in sogno percorrere il pergolato
fino in fondo e raggiungere il giardino pieno di delizie ("). I Salesiani, come
Don Bosco, si abituarono a proclamare le glorie della Congregazione e di
Don Bosco, i trionfi di Dio e di Maria Ausiliatrice; si abituarono a nascondere
sotto l'anestetico della iede, del lavoro senza tregua e dell'entusiasmo col-
lettivo e fraterno, le spine che spesso profondamente trafiggevano. « Nono-
stante tanta inesperienza e umana impreparazione », nonostante i profeti di
sciagure, la Società salesiana operava, progrediva, entusiasmava. E ciò in
molta parte derivava « dalla tranquilla certezza di avere Dio con sé, cer-
tezza che in Don Bosco nasceva dal sapersi palmite congiunto alla vite Va-
ticana, alla vite divina, e ai figli di Don Bosco veniva dal vedere la pace
e la tranquilla certezza del loro padre » ( m ) .
5. Dottrine e usanze religiose : a) finalità ascetiche e caritative della
Societi Salesiana
Non vi è dubbio che nella mente di Don Bosco sia brillato il convinci-
mento che la Società Salesiana doveva essere una congregazione nuova, di
( m ) Deliberazioni del secondo Capitolo generale della Pia Societd Salesiana, p. V.
(8)Sogno esposto ai Salesiani nel 1864 e riferito in MB 3, p. 32-36.
(89) Paolo LINGUEGLIAD,. BOSCOe il Papa. Commemorazione di D. Rua, Parma 1912,
p. 20 S. Giustamente Don Linbmeglia indica nel cosiddetto «attaccamento a1 Papa » uno
degli elementi di sicurezza di spirito e di azione per DB e per i Salesiani: «Non dirò
certo io, che di Don Bosco sono seguace, che tra questi [tra i Salesiani] siano mancati o
siano per mancare le persone di bella e salda e aurea coltura religiosa e profana; ma sta
il fatto che la vita di questa Pia Società che ha fondato Don Bosco è piuttosto di lavoro
che di contemplazione, ed anche semplicemente di speculazione, e che ie brighe continue
di un fiorente oratorio festivo, di una scolaresca o di un Istituto non sono fatte per favorire
la quiete degli alti studi e delle trattazioni lunghe e serene. Perciò a uomini di questa fatta
dedicati a questo genere di vita occorre soprattutto la certezza intellettuale e morale di la-
vorare sul vero. Troppo li impedirebbero dalla pienezza delle occupazioni che da loro si
richiede, i dubbi, le incertezze, le discussioni dottrinali, se dover seguire più questa che
quella sentenza o opinione; troppo ne satebbe distratta ed allentata la ferma energia ope-
rativa. Non può lavorare l'uomo se non ha la mente serena ed ii cuore tranqiiillo. A questa
serenità di mente, a questa tranquillità di cuore mirava Don Bosco quando stabiliva la
piena adesione sua e dei suoi agli insegnamenti, alle direzioni papali » (o. c., p. 18 s).
vita attiva, di movenze adeguate alle esigenze dei tempi e tale che potesse
essere bene accetta anche a chi combat:eva la Chiesa. Talora Don Bosco ci
si manifesta all'erta nel timore che gli si volesse intaccare l'organismo creato e
curato con affetto, sentito come un capitale affidatogli da Dio a beneficio
della Chiesa e del mondo. Tal'altra ci si discopre a muoversi secondo le
movenze ambientali comuni e a ripetere quietamente dottrine che avevano
assunto un valore quasi assiomatico. Ci sono dunque casi teorici e pratici che
ci mostrano Don Bosco vigile e critico, altri invece che pare non lo tocchino
o noil lo stuzzichino.
Abbastanza attenuati appaiono nella coscienza di Don Bosco i problemi
teoretici sulla natura della vita religiosa. In che cosa si specifica dalla vita dei
semplici fedeli? In base a quali criteri potrebbe dirsi stato di maggior per-
fezione?
Esponendo i vantaggi della vita religiosa Don Bosco si appoggia a un
testo attribuito a S. Bernardo che si trova nella V e r a Sposa di Gesù C ~ i s t o
di S. Alfonso: il religioso uivit puvius, cadit rarius, surgit uelocius, incedit
- cautius, irroratur f~equentius, quiescit securius . . . (*). L'esegesi - come
diremo più avanti parte dal presupposto che la vita dei secolo sia piena
di pericoli e di lacci diabolici molto più che la vita nel chiostro. Su tali
argomentazioni Don Bosco fonda anche la preminenza della vita religiosa
su quella dell'ecclesiastico che nel mondo vive in cura d'anime e che per-
ciò ha bisogno di una virtù molto solida per non lasciarsi invischiare dagli
ailettamenti disordinati della carne. Nella congregazione religiosa, la fragi-
.(90) Cf. Introduzione aUe Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di
Sales . ., Torino 1875, p. XI-XVII: paragrafo sui «Vantaggi spirituali P. Di esso esiste
la minuta tutta autografa e molto tormentata di DB, ci. AS 022 [101). Gli schemi degli
.. Esercizi spirituali predicati a Trofarello nel 1868 si muovono sugli stessi ai.gomenti e con
la medesima trama. Il vivit purius, cadit rarius . » serviva da intelaiatura a due confe-
renze. Cf. AS 132 Prediche E 4 e MB 9, p. 986-988.
Esisteva un opuscolo ricavato quasi letteralmente da pagine alfonsiane: Scntiments
de St. Thomas d'Aquin et de Saint Alpbonse de Liguori sur I'entrée en Religion, Lyon-
Paris 1864. Per interessamento di DB venne tradotto dal conte Prospero Balbo: Sentimenti
di S. Tonzmaso 8Aguino e di S. Alfonso Maria de' Liguori intorno all'entrata in Religione,
S. Benigno Canavese 1886. Ma il dettato di DB, più che al francese, si avvicina ali'originale
alfonsiano de La Vera sposa di Gerù Cristo, cp. 2, De' beni deUo stato religioso, in
Opere ascetiche, 4, 'Torino, Marietti 1847, p. 16-27. DB, come S. Alfonso, cita S.
Bernardo, De bono religionis. Si tratta propriamente della Uomilia in illud Matthaei,
cp. 17, v. 45: Simile est regnum caelorum homini negotiatori qoaerenti bonas margaritas,
n. 1, in ML 184, cl. 1131.1134, Però S. Nfonso avrebbe attinto la sentenza con buona
parte della esegesi e degli esempi a Carlo Gregorio ROSIGNOLLI,a saggia elettione ovvero
avvertimenti peu fare la b u a a elettione, pt. I , cp. 15, Ritratto al vivo deiio stato reiigioso
('forino 1673, p. 174-183). Sul Rosignoli come fonte di S. Alfonso cf. Giuseppe CACCIATORE,
Le fonti e i modi di documentazione in S. ALFONSOO, pere ascetiche. Introduzione generale,
Roma 1960, p. 211. Nel contesto del Rosignoli la sentenza di S. Bernardo giova soprattutto
a dimostrare la superiorità in astrarto e in pratica dello stato religioso su quello secolare,
sia laico che ecclesiastico. I1 Rosignoli quindi si collega alla letteratura che di tempo in
tempo ha difeso e sostenuto la ragion d'essere e anche la preminenza della vita monastica
e conventuale.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
lità dei singoli è corroborata dal complesso virtuoso di quanti vivono in
comunità. I1 religioso sacerdote può avere la certezza morale che il supe-
riore, nel quale ha confidenza, conoscendolo bene, lo applicherà al sacro mi-
nistero commisurato alle sue possibilità.
Di fatto in contesti diversi e senza che tra essi venga svolto un ade-
guato discorso connettivo, troviamo descritti in termini uguali o affini la vita
dei semplici cristiani, quella dei chierici e dei religiosi. I1 cristiano, « ricevuto
in grembo alla Santa Madre Chiesa », ormai non appartiene che a Gesù Sal-
vatore, « a' suoi meriti, alla sua passione, alla sua gloria, alla sua dignità »
In altre parole il cristiano è un consacrato mediante il battesimo. I1 chierico,
abbracciando lo .stato ecclesiastico, si consacra a Dio, diviene sua parte, ab-
braccia - come si legge nei Cenni su Comollo - uno stato di maggior per-
fezione (m). Il religioso, a sua volta, emettendo i voti di povertà, castità, e
obbedienza, consacra a Dio tutto se stesso. I1 14 maggio 1862, quando per la
prima volta formalmente furono emessi i voti dei primi Salesiani, Don Bosco
dichiarò che egli pure li aveva emessi: «Mentre voi facevate a me questi
voti, io li facevo pure a questo Crocifisso per tutta la mia vita, offrendomi
in sacrificio al Signore, pronto ad ogni cosa, affine di procurare la sua mag-
gior gloria e la salute delle anime, specialmente pel bene della gioventù >> (93).
La consacrazione, dunque, a sua volta, è sentita in termini sacrificali, come
oblazione vittimale della propria volontà, dei propri beni, della propria
vita come vittima immacolata a imitazione di Gesù Cristo.
Don Bosco, inoltre, ama presentare la preminenza delio stato religioso
riflettendo e descrivendo le vicende della Chiesa. Asceso Cristo al Cielo, « i
suoi Apostoli, i suoi discepoli, sparsero ovunque i consigli evangelici e così
popolarono di monaci i deserti dell'Egitto e della Palestina e sorsero poi i
seguaci delle Regole di S. Agostino, i Basiliani, i Benedettini, e gli altri or-
dini religiosi che Dio suscitava secondo i bisogni della sua Chiesa. Sorsero
quindi per divino impulso in risposta a bisogni dei tempi particolari istituzioni
con scopi cultuali o di perfezione ascetica individuale e collettiva e, infine, con
finalità caritative. La Congregazione salesiana rispondeva appunto a queste
ultime urgenze. Essa, suscitata da Dio, si adeguava ai tempi che esigevano
specialmente l'educazione della gioventù povera e abbandonata (%).
I1 fine della Società Salesiana, posto in rapporto a Gesù Cristo e alla
(n) Bosco, Il mese di maaio, giorno 9, Torino 1858, p. 61.
. (m) [ibsco], Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo . . ., Torino 1844,
p. Il s: a Vessere il Comollo alieno &atto daile bambolinaggini . . ubbidiente, tutto dato
alla divozione, prontissimo nel presrare quei servigi che in Chiesa gli erano permessi; tutto
questo insieme era bel presagio che il Signore io voleva a stato di maggior perfezione. Su
di che già più volte aveva consultato il suo direttore spirituale, e aliutane risposta per
quanto potevasi conoscere, averlo Iddio chiamato allo stato ecclesiastico ne rimase al
sommo contento D.
(93) Cronaca di Don Bonetti, in MB 7, p. 163.
(s)Esercizi spirituali a Trofarello nel settembre 1868: MB 9, p. 346 S.
perfezione cristiana, veniva conseguentemente definito: « perfezionare se
medesimi imitando le virtù del nostro Divin Salvatore specialmente ud'eser-
cizio della carità verso i giovani poveri » ("), che è quanto precisamente Don
Bosco poteva leggere sulle costituzioni delle Scholae Char~tlitisdei Cavanis:
- - « propriae perfectioni studere, Christum Dominum imitando n.
« Gesù Cristo continua Don Bosco cominciò a fare ed insegnare,
cosi i congregati comincieranno a perfezionare se stessi colla pratica deUe
interne ed esterne virtù, coll'acquisto della scienza, di poi si adopreranno
a benefizio del prossimo n ("). Fondandosi su una interpretazione accomodatizia
del primo versicolo degli Atti degli Apostoli Don Bosco spiega quale dev'es-
sere la cofrelatività tra il tendere alla perfezione individuale e l'esercizio della
carità verso il prossimo. Su tale interpretazione si basano anche le Regole
dei Lazzaristi e le Costituzioni delle Scholae C h a ~ i t a t i s ( ~M) .a la mente
del legislatore non vuole escludere che I'esercizio di carità non possa essere
stsumento di perfezione. In tal senso anzi è chiarificatrice una glossa posteriore
al 1874: « Sanctificatio sui ipsius, salus anìmanun per exercitium caritatis
- (s)13 il dettato della pib antica redazione delle Regole»: cf. AS 022 (1). Da pu;
fezionare a Salvatore è ms. di Don Rua; specialmente poveri 2 aggiunta di DB. 11.
dettato di Don Rua rispecihia più da vicino quello delle Scholae Charitatis. - Non
sfuggano alcuni elementi del modo di pensare e di esprimersi di DB. Egli non coduica
il fuie generale della Società Salesiana in termini di ministero, di apostolato o di missione,
ma in quelio di « esercizio di carità n, cioè in chiave di virtù teologale che si manifesta con pre-
dilezione nella cura degli indigenti. Nondimeno I'idea di apostolato in rappoito al ministero
(O meglio, zelo) sacerdotale, non è estranea al vocabolario di DB. Cf. ad esempio Bosco, Bio-
grafia del sacerdote Giuseppe Caffarso, Torino 1860, p. 81: Ragionamento 2", cp. 4 Sue fatiche
apostoliche. Quanto a caritd come equivalente - spesso - di elemosina e « souci des
pauvres n già nel secolo XVII, cf. Jacques Le BRW, France (17' siècle), in DSp 5, cl. 929.
In questa prospettiva possono leggersi anche i ~aragrafiLe service de Dieu par l'action e
Charité active et pcrjection spiriinelle, in F. DESRAM~DUoTn, BOSCO et la uie spiri2uelle,
Paris 1967, p. 236-244.
Contro il pauperismo e l'accattonaggio e per incrementare l'elevazione «morale » del
popolo dal Seicento in avanti venne a costituirsi una fitta rete di istituzioni caritative. Cf.
Léon LALLEMAHNiDsto,ire des enjants abando~néset délaissés. i2tude sur la protection
de l'enfance azm diuerses é.~o.auesdc 1~ ciuilisation, Paris 1885 (p. 435: accenno a DB, ma-
gnifico'esempio di quanto può realizzare l'iniziativa privata, nonostante le difEcoltà proprie
dell'Italia); ID., Wistoire de la Ch~ritéP, aris 1905.1912, 4 vol.; Louis PRONELL,es Pauures
rt I'Eglire in Dictionn. apologétique de la foi catholique 3, Paris 1921, d.1655-1735 (ac-
cenno a DB: cl. 1731); LIESE,Geschichte der Caritax, Ereiburg 1922; Gustave NEYRON,
Le Christi~nismecn action. Histoire dr la Charité, Paris 1927 (accenno a « les Patronages
de Dom Bosco »: p. 184), Eduard WINTERD, er Jorefinismus, Berlin 1962, p. 176-192.
(96) 13 il secondo articolo delle «Regole »: AS 022 (1).
. (97) Regole ovvero costituzioni comuni della Congregazione della Missione, cp. 1,
S. I., 1658, p. 9 s: «Gesù Cristo [. .I cominciò prima a fare, e poi ad insegnare I:..l.
La piccola Congregazione della Missione desidera [. . .] 1. Lavorare alla propria Perfezione,
facendo il possibile per esercitate le virtù, che questo Sovrano Maestro s'è degnato insegnar
a Noi colle parole, e co' gli esempij D. La più antica redazione delle «Regole » salesiane
porta scritto da Don Rua e cancellato da DB «per quanto è possibile».
Conrtitufiones Congregationis sacerdotum roccalarium Scholarum Charitatis, Venetiis

20.7 Page 197

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Don Bosceonnfeilnlaisstonroiastdreallea rSeoligciioestiatisca»tto(li9ca.. VLoal IIp.rSetoecllacupazione di Don Bosco, come quella
dei Cavauis, è che nessuno venga applicato a opere per le quali non è prepa-
rato. E nel dichiararlo, Don Bosco ha presente il problema della salvezza
dell'anima:
«Prima di mandare qualcuno a predicare, ad insegnare, a dirigere, il superiore
misura le sue forze come fa la madre di un uccello nel nido. Non lo provoca a volare
sino a tanto che non lo vede ben fornito di forti ali, perché teme non possa fuggire
dalle unghie del falco, oppure che cada a terra privo di forze. Così il superiore non
dà missione ad alcuno, se non lo vede fornito di penne abbastanza forti per non per-
dere se stesso e gli altri. Prima infatti di andare a predicare, per esempio, la modestia
degli occhi agli altri, bisogna che ei l'abbia in grado eminente, del resto non solo non
è ascoltato, ma gli si rinfaccerà questo difetto con dirgli: Medice, cura t e ipsum . . .
E' poi anche indispensabile la scienza di quelle cose che si richiedono all'adempimento
del proprio dovere . . . » (W).
Nelle Costituzioni, che pur dovrebbero essere formalmente impeccabili,
potrebbero dispiacere alcune formule. All'orecchio di un giurista meticoloso
potrebbe suonar male la dichiarazione che la Società Salesiana è composta di
« sacerdoti, chierici e laici » (lm). Non era più esatto dire che è composta di
ecclesiastici e laici? I sacerdoti in terminologia giuridica non sono anch'essi
chierici? E perché distinguere tra virtù interne e virtù esterne ('O')? Per esat-
tezza infatti le virtù sono da considerare qualità dell'anima. Ma a quanto pare
queste espressioni non impressionarono nemmeno i censori torinesi e romani,
nemmeno impressionarono la commissione cardinalizia che sulle Costitu-
- zioni presentate da Don Bosco trovò cose ben più rilevanti - ai suoi oc-
chi da censurare.
b) Tirocinio pratico e formazione aiia vita salesiana
Non piacque a Roma che nuUa si dicesse nelle Costituzioni salesiane
sull'anno di noviziato (lm). Don Bosco nel marzo 1874 venne incontro alla
1837, p. 14s: « Congregatio Scholarum Charitatis ad hunc Gnem praecipue instituta est,
ut scilicet erga juvenes, non tam praeceptoris quam patris o5cia exercere suscipiat. Ejus
alumnorum itaque munus erit. 1" Propriae perfectioni studere, Christum Dominum imitando
gqruaitispreiudsuccaoreep.i.t
facere,
.n.
postea
docuit.
2"
Pueros
et
juvenes
paterna
dilenione
complecti,
(") Glossa su una copia de!ie Regulae seu Constitutiones Societatis S. Francirci Sa-
lesii.. .,
(")
Anystae Taurinorum 1874, AS 022(21), D. C31.
Esercizi spirituali di Trofareiio, settembre -1868,-&
edita
MB
in
9,
pM. B3471.0,. AA Dnc. he9~9l4e. .
.
~
postille aile Regulae ricordate neiia nota precedente riflettono lo stesso ordine di idee.
Infatti come glossa al secondo articolo DB scrisse: x2- Itayue si faciunt aliter quam
alios doceant, iliis dicitur: medice, cura te i~suma.
(La) Così, nel primo articolo detie ~ostiiuzionidella Società Salesiana.
('O') Le virtù interne vennero persino dimenticate neli'edizione latina di Torino 1873,
P. 8: « Iesus Christus coepit facere et docere, ita etiam socii incipient externamm virtutum
exercitio, et scientiamm studio se ipsos perficere; deinde aliotum bene6cio strenuam operam
dabunt ».
('m) Voto del consultare Raimondo Bianchi, n. 26: «Manca totalmente la Costitu-
richiesta fattagli e mise in carta una serie di articolci izsecondo i quali la prova
di noviziato doveva consistere precisamente in un tirocinio nelle opere di
carità proprie della Società Salesiana. Gli ascritti (o novizi) « omnes . . .
non leve experimentum facturi sunt de studio, d e scholis diurnis et vesper-
tinis, de catechesi pueris facienda, atque de assistentia in difilcilioribus casibus
praestanda » (lo3). L'articolo proposto non faceva che codificare l'esperienza
più che decennale di Valdocco, dove chiunque aderiva alla Congregazione, o
comunque accettava di aiutare Don Bosco, riceveva qualche incombenza se-
condo la necessità e le possibilità.
Qui avvenne uno dei contrasti più netti tra Don Bosco e i fautori della di-
sciplina ecclesiastica tradizionale elaborata soprattutto dopo il Concilio di
Trenta. Personaggi che avevano l'esperienza della vita religiosa, come il laz-
zarista Marcantonio Durando, si mostrarono molto scettici sull'efficacia di
un noviziato che non isolasse le nuove reclute e non mirasse di proposito
e direttamente al consolidamento interiore di ciascuno. « I1 successo, o, a
meglio dire, l'avvenire di una congregazione - pronosticava il P. Durando -,
qualunque ella siasi, dipende dai suoi principii. Se al presente nel fatto non
si vede una separazione dei giovani chierici dal rimanente, se non vi sono
norme fisse per gli uni e per gli altri, se la stessa congregazione non ha
il suo Noviziato e studio separato dal rimanente e non ha norme e regole spe-
ciali per essere formati nello spinto dell'Istituto, non si può sperare una
durevole esistenza, né un esito felice » (lM). Mons. Gastaldi, che aveva espe-
rimentato la vita religiosa nell'lnstitutam Caritatis del Rosmini, a sua volta
intervenne con critiche vivaci presso la Sacra Congregazione dei Vescovi e
Regolari:
« Su questo punto del Noviziato - scriveva - il Sig. D. Bosco, a mio giudizio,
la sbaglia assai. A me pare, che i soggetti i quali intendono poi fare i voti neiia
Congregazione dehbano essere appositamente esercitati per due anni nell'nmiltà ed
annegazione di sé medesimi, e per riuscire alla totale indi8erenza di se stessi, ch'è il
sostanziale del religioso, debbono essere applicati ad eser i di ascetica speciale, come
si fa negii ordini religiosi, e specialmente neUa Compagnia di Gesù » ('O3).
A sua volta Don Bosco dichiarava non adatta e inopportuna al suo
Istituto una prova di noviziato separata daUa vita dei professi e in cui non
avesse valore determinante l'esercizio di quelle opere che si sarebbero eserci-
tate per tutta la vita. La sua non era una congregazione di aranti o di pe-
zione dei Noviziati . . . », edito in Torinese. Sopra l'ripprouazione delle Costituzioni della
Societù Salesianu.. ., Roma 1874, p. 34 e in MB 10, p. 939.
.('03) Rezulae Societatis S. Francirci Salesii, 5i 14, art. 8, Xomae 1874, p. 35; ci.
.- - ~ ,
('M) MB 6, p. 724 S.
('0%)Lettera riservata al card. Prefetto deiia S. C. Vesc. e Regolari, Torino, 20 aprile
1873. L'originale è a1l'AS.C. dei Religiosi: posii. T. 91. Le MB 10, p. 712 riproducono
da Torinese. Sopra l'approvazione delle Costituzioni, p. 13.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
nitenti, m a di educatoti. E come ci si poteva rendere conto delle capaciti
educative d e i novizi, se non s i mettevano alla prova? D o n Bosco in verità
ha paura che questi suoi futuri educatoti nell'anno di noviziato si abituino
più a u n a vita comoda che a u n a vita di lavoro, diventino piuttosto tendenti
all'ozio, c h e n o n al desiderato esercizio delle v i r t ù interne ed esterne. O l t r e
tutto fino allora egli era andato avanti in quel modo. I novizi lavoravano
come gli altri, pregavano con gli altri, imparavano dagli altri come fare nella
preghiera, nelle virtù, nel comportamento come assistenti e maestri. Per
Don Bosco, c h e partiva dall'esperienza, il noviziato doveva essere un po'
come u n apprendistato('" ). Per colmo d i cose u n o statuto che venisse a sta-
('") Risposta di DB a1 « Riassunto delle precedenti osservazioni trasmesso al Sac.
D. Giovanni Bosco sopra le Costituzioni esibite nell'anno 1873 », di cui il n. 16 tra
l'altro dice: « In maniera singolare interessa la riunione dei Novizi nella Casa di Noviziato,
la loro completa separazione dai professi, la loro unica [il corsivo è dell'originale] occupa-
zione nei soli esercizi spirituali senza che possano essere applicati alle opere dell'lstituto »
[il corsivo è dell'originalel: cf. Torinese. Sopra l'approvazione delle Costituzioni, p. 38 s;
MB 10, p. 942.
DB rispose: « N o n è notato neUe costituzioni, ma [il noviziato] c'è. Trent'anni di
prova ci garantiscono il buon d e t t o [.. .l In quanto al non applicare gli studenti alle
opere dell'istituto non è possibile, perché noi abbiamo per base che gli studenti abhiano sem-
pre la loro prova nei catechismi, nelle assistenze etc.; ma sempre in modo che possano
compiere i loro smdi come finora si è fatto. Si aggiungerà pure un capo in cui si esporrà
il modo con cui si fanno gli studi » (AS 023: minuta autogc. di M)). A mons. Gastaldi
DB aveva scritro il 23 novembre 1872: a Questi [Pio 1x1 una sera mi fecei a lungo
esporre le ragioni per cui, secondo me, giudicava essere volontà di Dio questa novella isti-
tuzione, cui diedi tutte le risposte volute. Di poi mi dimandò se una Congregazione fosse
possibile in tempi, in luoghi, in mezzo a persone che ne vogliono la soppressione. - Come
avere una casa di studio e di noviziato? - soggiiingeva. Risposi a lui quello che alcuni
mesi prima aveva risposto aU'E.V., vale a dire che io non intendo di fondare un Ordine
religioso dove si possano accogliere penitenti o convertiti che abbiano bisoyo di essere
foimati al buon costume ed aila pietà; ma la mia intenzione si è di raccogliere giovanetti
ed anche adulti di' moralità assicurata, moralità provata per più anni, prima di essere ac-
- colti nella nostra Congregazione. - Come ciò ottenere? - interruppe il Santo Pa&,e.
- Ciò finora ho ottenuto soggiunsi - e spero di continuare cosi, per la classe dei
soci che si ricevono a far parte della Società. Noi ci liunitiamo a giovani educati, istruiti nelle
nostre case; giovani già scelti ordinariamente da parroci che, vedendoli risplendere nella
virtù fra la mazza e la zappa, li raccomandano alle nostre case. Due terzi di questi inviati
sono restimiti alle loro case. I ritenuti sono per quattro, cinque od anche sette anni
esercitati nello studio e nella pietà, e di questi, pochi soltanto sono ammasi alla prova,
anche dopo questo lungo timcinio. Per esempio in quest'anno centoventi compierono Retorica
neUe nostre case; di questi centodieci entrarono nel chiericato; ma venti soltanto rimasero
nella Congregazione, gli altri indirizzati ai rispettivi Ordinarii Diocesani. Ammessi cosi
alla prova devono fare due anni qui in Torino dove hanno ogni giorno lettura spirituale,
meditazione, visita al Sacramento, esame di coscienza, ed ogni sera un breve sermoncino
fatto da me, raramente da altri, e cib a tutti in comune per gli aspiranti. Due volte per
settimana si fa una conferenza espressamente per gli aspiranti, una volta per tutti quelli
. . della Socieià. - Quando il Santo Padre ebbe udite queste cose, si mostrò molto soddi-
sfatto. ». Cf. MB 10, p. 686 s; Epistolario 1018. Si veda anche il Promemoria di DB in
risposta alla lettera di mons. Gastaldi al card. Prefetto della S.C. Vesc. e Regolari, M . 10,
=n. 793
Non è facile controllare in quale misura il « direttori0 » esposto da DB corrisponda
bilire decisamente che non bisognava adoperare i novizi come assistenti e
maestri avrebbe posto in grave imbarazzo i collegi salesiani e avrebbe morti-
ficato lo slancio verso u n a maggiore dilatazione della Società, proprio quando
le « esigenze dei tempi » - c o m e voce di %o - imponevano di andare
avanti.
La tradizione fece sentire il s u o peso e con essa, l'esperienza di prelati
d i Curia in affari religiosi. V a r i di essi allora s u l tavolo, o l t r e alle Costituzioni
dei Salesiani, n e avevano diecine di altre('"). La Congregazione Salesiana
venne adeguata alla disciplina vigente: i novizi avrebbero avuto casa separata,
sarebbero stati s o t t o la discipiina di u n maestro, la loro prova sarebbe stata
sostanzialmente circa le virtù religiose.
Il tirocinio nelle o p e r e proprie della Congregazione e r a stabilito come
prova previa, chiamata « p r i m a prova » o prova degli aspiranti (lag). Ai
a esperienza oggettiva. Certo è che stando al1'Elerico stampato della Società Salesiana per
il 1873 gli ascritti erano solamente 92. Due erano sacerdoti (Damiano Gosio e Secondo
Meilonc); 28 sono qualificati studenti, 28 coadiutori e 34 chierici; i nuovi ascritti erano
61; 31 prolungavano dall'anno precedente. Soltanto 16 inoriro~~Soalesiani. Di questi, 11
provengono da paesi di zone collinari (in prevalenza: Monferrato), uno (coad. Giuseppe
Viola, è torinese).
L'età minima di quanti perseverarono è 17 anni (Agostino e Lorenzo Giordano,
entrambi di Ciriè); Peti massima è 48 (Bartoiomeo Mondone, da Roascio); età media: 23
anni.
Degli ascritti studenti ed ecclesiastici 18 avevano frequentato le scuole all'oratorio
(incluso il sac. Secondo Merlone). Di questi, 17 l'anno 1871-72 avevano frequentato quinta
ginnasiale, prima o seconda classe di tiiosofia. Le tre classi comprendevano co,mplewivamente
110 alunni, perciò il 15,9 % entrb in noviziato (in seguito si fece salesiano anche
Michele Fassio, che nel 1871-72 frequentava quinta ginnasiale). Dei 17 dunni di Valdocco
morirono salesiani solo quattro (Gregario Buzzini, Tommaso Calliano, Giacomo Piacentino
e Mosè Veronesi); perseveranza: 23,5 %.
Circa l'importanza assegnata al noviziato merita di essere ricordato quanto DB,
visitatore apostolico dei Concettini a Roma (187677), notò a sua volta: « I1 grave male dei
Concettini si che non ebbero mai un noviziato regolare. Ne han le regole e mi paiono
bellissime, ma non le eseguirono mai. Entrarono ed entrano individui, i quali ab antico
avevano cancrena sulla coscienza, ed essi, purchk abbiano un attestato di buona condotta
d.ei~ oarroci. li accettano »: ci. Eufrasio M. SPREAFICOb,arnabita, P. Luigi M. Monti fon-
datore dei religiosi Concezionisti, Roma 1940, p. 173.
(1") Cf. il nostro vol. 1, p. 142, nota 19.
(la)Constitutiones Societatir S. Francisci Salesii, § 14, art. 1, ms. orig. approvato
AS 022 i18), p. 25: « 1. Socius quicumque tria probationis stadia facturus est, anteqi~am
.. absoiute in Societatem accipiatur. - Primum probationis stadium novitiatum praecedere debet,
P..? aoodlatur asoirantium; secundum est Novitiatus proprie dictus; tertium est tempus vo-
torum triennali-» cf. 6lB 10, p. 986.
Testo edito a Torino nel 1874, p. 41: « 1. Socius quisque tria probationis stadia
facturus est, antequam in societatem recipiatur. Primurn probationis stadium tyrocinii tem-
pus seu nouitiatunz praecedere debet, et appeliatur aspirantium; secundiim est tyrocinium
ipsum, seu Novitiatus proprie dictus, tertium est tempus votorum triennalium ». Si notino
le aggiunte e varianti del testo edito: quisque; tyrocinii tempus seu novitiatum; tyrocinium
ipsum, s e u . . . - L'AS 022 (21a) e 022 (21b) e un esemplare dell'edizione torinese del
'74 presso 1'AS.C. dei Religiosi mediante cancellature e postille ms. restituiscono il testo
stampato alla fedeltà dell'originale ms. approvato (cousetvato a Torino) e della copia ms.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
novizi era permesso fare catechismi ai fanciulli nei giorni festivi, sotto la
direzione del Maestro e nell'ambito della loro casa (lm).
Verso questa disciplina gradatamente si orientb l a Congregazione, giA
vivente D o n Bosco ("O). Col passare degli a n n i diminuirono gli ascritti che
per necessità - come diceva Don Bosco - prestavano assistenza e inse-
gnamento in varie case ("l). Aumentarono i nuclei d i novizi riuniti i n case appro-
priate e canonicamente erette. M a l'insegnamento del Maestro tiene presenti le
istanze fondamentali di D o n Bosco. Documento n e è il Vademecum di D o n
Barberis ("'). G r a n d e rilievo è d a t o alle d o t i d i educatori salesiani. I novizi
autentica (conservata a Roma). Qui vie" fatto di ricordare «gli scrupoli » del card. Biz-
zarri, lo specialista della S. C. dei Vescovi e Regolari in fatto di costituzioni religiose. DB
ringraziava e si dichiarava obbligato per l'approvazione ricevuta. Il cardinale si schermiva:
era stato Pio IX a fare allargar la mano. «Nel parlare era adombrato dagli scrupoli che
lo tormentavano, e Don Bosco n'aveva compassione » (MB 10, p. 800).
('m) Constitutiones Societatir S. Francisci Solesii, § 14, art. 12; cf. MB 10, p. 988.
(Il0) Lo si constata dalle deliherazioni del Capitolo superiore e dei vari Capitoli ge-
nerali. Molto si deve a Don Giulio Barberis. Egli aveva in mano in gran parte la formazione
dei chierici. Attaccatissimo a DB, contribuì a incidere il senso di devozione al Padre comune.
Incline a un ascetismo devoto e metodico influì tangibilmente sulle strutture delle prime case
di formazione salesiana. Cf. Aiessio BARBERISD, on Giulio Barberir direttore spirituale
della Società di San Francesco di Sales. Cenni biografici e memorie, San Benigno Canavese
1932. Meritano di essere esaminati i suoi interventi nei vari Capitoli generali (AS 04), le
relazioni sui sineoli as~c~r~it~ti~~I~ -A S..-2.-7).
("1) Si rileva da una parte la volontà di adeguarsi alla disciplina ecclesiastica vigente
e dall'altra la difficoltà di modificare la disciplina interna della Società Salesiana. Significativ-
sono le parole di DB in un'adunanza del Capitolo superiore il 23 fehbraio 1885. «Don
Bosco, fatti leggere i due decreti di Pio IX [del 1848 circa il noviziato], osservò: - Trat-
tandosi di casa di noviziato, si deve lasciar da parte il rigore nel modo di costituirla.
Così mi dichiararono i Sommi Pontefici Pio IX e Leone XIII. Anzi Pio IX se ne interessò
personalmente in una Commissione di Prelati appositamente convocata. Per formare una
casa di noviziato bastano due o tre novizi ivi radunati, anche se dtri cinquanta novizi
fossero stati sparsi qua e nelle altre case a cagione di necessità. nerche essi allo+* nnn
sono materialmente nella casa di noviziato se non per causa di, &lavoro urgente e non
furono messi definitivamente nei luoghi dove si trovano. A questo modo resta facile mer-
tere case di noviziato anche nelle altre Ispettorie d'Italia »: cf. MB 17, p. 656s. Questa in.
terpretazione molto ampia non poteva essere fondata su giuristi autorevoli e tanto meno sulla
prassi controllata dalla S. C. dei Vescovi e Regolari. DB appella a orientamenti ricevuti da
Pio IX e Leone XIII. I1 suo agire fidente e ardito si constata anche a proposito deila
durata del noviziato: Don Vespignani e Don Carlo Cays furono professi dopo pochi mesi.
La professione del secondo fu impugnata da mons. Gastaldi e per ordine della S. C. dei
Vesc. e Regolari, nonostante gli schiarimenti di DB, dovette essere riemessa dopo che
furono trascorsi i mesi richiesti dalle Costituzioni per il noviziato. Non furono nemmeno
facili le pratiche per la erezione di una casa di noviziato a Marsiglia. L'uno e l'altro caso
sono esposti minutamente sulle MB: cf. Indice MB p. 278 e 526.
("2) Giullo BARBERIS, Vademecum degli ascritti salesiani. .., Torino 1900. Vi si aat-
tano successivamente i vantaggi della vita in religione rispetto a quella nel secolo; quelli della
vita attiva rispetto alla contemplativa; quella che ha come scopo l'educazione della gio-
ventù, su altre; a t ~ a l i t àdi una Congregazione educativa, che intemiene nel produrre la
«trasformazione e rigenerazione della società D (p. 21); prowidenzialità di DB destinato da
Dio apostolo per la salvezza della gioventù. «Che poi questa nostra umile Società sia dav.
sono invitati a essere pronti a qualsiasi attività educativa con studenti e con
artigiani, in ambienti che potevano apparire p i ù dignitosi e i n altre che umana-
m e n t e potevano sembrare più umili e p i ù difficili("?).
A i margini di un interessamento critico rimane anche i l preciso indi-
rizzo filosofico e teologico dei Salesiani. Le loro Costituzioni, sulla scorta
d i quelle degli Oblati di Maria Vergine, stabiliscono c h e il maestro comune
d e i soci sarà S. Tommaso(""). È u n vestigio del tomismo professato nel-
l'insegnamento filosofico e teologico nell'Università di Torino e nelle altre
scuole dipendenti dalle autorità governative
M a la Congregazione Sale-
siana non era l'Ordine domenicano e non era la Compagnia di Gesù. Giova-
nissima, non aveva una scuola e una tradizione d a difendere. Tra i Salesiani
si manifesta lo stesso disimpegno dai sistemi scolastici che abbiamo rilevato
nella formazione di Don Bosco al Convitto ecclesiastico torinese.
Dai testi seminaristici del canonico Rebaudengo e del teologo S e r a h o
e Molinari (in uso nel seminario di T o r i n o frequentato dai primi ~ a l e s i a n i ) ( " ~ )
si passa a quelli del Perrone, dell'Hurter, dello Schouppe e del Sala, si
passa cioé dall'agostinismo al tomismo e al molinismo.
L'orientamento in teologia morale non crea grandi problemi. I Salesiani
seguono l'indirizzo benignista c h e ormai prevaleva nella seconda parte del-
l'Ottocento. I testi scolastici adoperati sono quelli dello Scavini-Del Vecchio,
alfonsiano come il Frassinetti e il Gousset, i cui scritti erano raccomandati
vero l'opera del tempo, cioè atta a supplire ai bisogni dei tempi nostri, lo dimosrrano an-
cora e quella concordia completa nell'Episcopato cattolico nel sostenerla e ,loda$a e quella
propagazione che ha assolutamente del prodigioso in tempi si difficili, e qrielhssere tanto
ricercata da tutte parti e da ogni grado di persone, tanto che se avessimo un numero
cento volte maggiore di soci, si avrebbero domande opportune e posti adatti per collo-
carli, con immensa gloria di Dio e hene delle anime. E tutto questo perché? perché
l'opera 2 di Dio, perché corrisponde ai bisogni dei tempi, perché si vede visibilmente pro-
tetta e sostenuta dalla Madonna, perché è q u d a che ha da salvare la gioventù e la società
ai tempi nostri. Oh tu adunque, che ti senti inclinato ad abbracciare opera tanto
utile e grande, non esitare un momento. . . » (p. 36 5).
BA~BERIVSa,demecum, p. 346; 416.
(1x4) Regole o Costituzioni della Società di S. Francerco di Sales . . ., § 12, art. 3,
Torino 1875, p. 34 s: « I1 nostro Maestro sarà S. Tommaso, e gli altri autori, che nelle
istruzioni catechistiche e nella spiegazione della dottrina cattolica sono stimati più celebri ».
- CV-o-.r..r..i..t..u. rion~~ i .e Repole della Conarenmione defli Oblati di Maria V , , pt. 1, cp. 2, art. 1,
§ 2, n. 8, Torino 1851, p. 20: « 1 ~ 1 m~ae0stro& S. Tommaso. .. n.
(115) Costituzioni di Sua Maestà per 17JniversitÙ di Torino, tit. 3, cp. 1, art. 2 e 3,
Torino 1772, p. 35 s; Tommaso VALLAURSIt,oria delle uniuersità del Piemonte, Torino 1845-
46, 3 vol.
(116) Giuseppe REBAUDENGIOns,titi~tiones theologicae in quinyue parte1 pro rch*
lt1ah8re4toi5cl.oo4g6qi,cua(ideni,qsdpueeennTsnreiioniinttaruitbneu, vtdaoeel.a.)n;.g.Ie,dl.iS,raPelutratdieieslehc1ot8imo4ni0ne-re18t.h4.e3.o,,l1oA0guicvgaouels..t;a.eA. TnEgadueilrtoiinoSoarEluRtmeArF,aI,NexAO,uOgPBuriascteialneeacTtRiaoeungreiiar-
no-,
nes
de
ex typ.
Ordinis
Speirani et
sacramento
qTuoarstoadner,u1o8s5a3u-d5i5to,4revsohla.;bGuiitoJvoaannnxieFsrFarnacnecsicsocuMs MOLoIlNinAarRiI.P,.r.aeinlecvteion-.
metropolitano ta~irinensireminario theologiae dogmatico sacramentariae professar, Augustae
Taurinorum, exc. Julius Speirani et filii 1865-66.

20.10 Page 200

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
rispettivamente per l'esame pratico di confessione e per il compimento
della cultura teologica morale ("?l. La mentalità salesiana, secondo quanto Don
Bosco stesso ha di mira, è piuttosto attratta dal problema fondamentale del
profitto individuale e collettivo mediante quella benevolenza comunicativa
che portava penitenti a impegnarsi nei « doveri » cristiani.
Analogamente a quanto avveniva per i novizi, gradatamente si cercò
di dare migliore assetto agli stiidi fiiosofici e teologici in ambienti adatti,
sotto la guida di professori responsabili. Diminuì il numero di coloro che,
come Don Francesco Bodrato, Don Giambattista Baccino e Don Angelo
Piccono alla qualifica di maestro elementare o di laureato in legge aggiun-
gevano nel giro di un anno o di un triennio la cultura fiiosofica e teologica
necessaria per accedere al sacerdozio. Ma ancora a lungo, vivente Don Bo-
sco, prevalse la figura del chierico che attendeva ai propri studi fiiosofici e
teologici mentre assisteva i giovani in collegio e faceva regolare scuola delle
più disparate discipline, animava i giochi nei cortili e dava a tutto il complesso
educativo un tono di giovanilità e di scioltezza, di immediatezza e di fre-
schezza che agevolmente conglutinava i giovani alla famiglia educativa sa-
lesiana.
3. Vocazione, voti e salvezza eterna
Sottesa fra dottrine di derivazione specialmente alfonsiana è tipica in
Don Bosco la pastorale per orientare i giovani nella vocazione ecclesiastica
e religiosa. Teatro di lavoro pastorale è anzitutto Valdocco, quindi gli altri
istituti salesiani e, occasionalmente, seminari di provincia e altrove. I1
processo educativo ha come momento culminante la scelta dello stato che
i giovani studenti ordinariamente fanno verso il termine delia quinta ginna-
siale in piena adolescenza e gli artigiani all'incirca alla stessa età e più
oltre, da giovani maturi e da uomini fatti (lis).
("7) Deliberazioni del quinto Capitolo generale della Pia Societd Salesiana tenuto in
Valsalice presso Torino nel settembre 1889, S. Benigno Canavese 1890, p. 5: «Riguardo ai
libri di testo per la teologia, si continui per ora a ritenere per la morale il Del-Vecchio e
. per la dogmatica il Perrone. Intanto per la dogmatica, per esperimento, si userà allDratorio il
Sala, a Valsalice l'Hurter, a Marsiglia lo Shouppe.. Per la preparazione ali'esame di con-
fessione ogni sacerdote studierà il Gousset Manuale compendium moralis Theologiae. Si
consiglia poi ciascuno a compiere questi studi di teologia morale col Frassinetti ».
Le opere nominate sono le seguenti: Pietro S C A ~ I N-I Giov. Antonio DEL VECUIIO,
Theologia moralis universa ad mentem S. Alphonsi de Ligorio . . . , Mediolani 188213; Gio-
vanni PERRONS.E,J., Praelectiones theologicae, Romae 1835.1842, 9 vol. (ebbe parecchie
edizioni: cf. S O ~ ~ R V O GBEibLlio,thèque de la Comp. de Jésus, 6, CI. 558-560); Federico
SALA (1842-1903) oblato di Rho, poi vescovo, Institutiones theologiae dogmaticae, Mediolani
1880, 4 vol.; Hugo HURTER,S. J., Medulla theologiae dogmaticae, Oeniponte 1870; 18945;
Fran$ois-Xavier SCHOUPPE,S. J., Elementa theologiae dogmaticae, Bruxellis 1861; 18644;
. Thomas-M.-Joseph G o u s s ~ r ,Manuale compendium moralir theologiae i u t a principia S.
Alphonsi.. , Mediolani 1859% sul Frassinetti cf. sopra, nota 7.
("8) Quanto abbiamo detto dei giovani studenti vale in astratto. In concreto è da
tenere presente la categoria delle vocazioni adulte (i Figli di Maria) che dagli shidi ele-
I1 processo di educazione vocazionale ruota attorno a due poli. I1 primo
è il complesso di elementi psicologici, specialmente dettivi, che legano
il giovane a Don Bosco e alle sue attività. Nei giovani vengono alimentati il
legame affettivo e il sentimento di obbligo verso chi li ha aiutati e accolti
prelevandoli da un ambiente dove erano sprovvisti di mezzi per proseguire
negli studi o nell'apprendimento di un mestiere. Sul sentimento di obbligo
e di riconoscenza è coltivato il desiderio di rimanere per sempre con Don
Bosco all'oratorio, tra i Salesiani, per essere come loro. Don Bosco e il
Salesiano assurgono nella mente dei giovani a ideale di vita e a simbolo di
riuscita e sicurezza
L'altro polo è costituito dagli elementi religiosi e trascendenti. I1
darsi a Dio per tempo nei giovani che si sentono attratti a stare con Don
Bosco gradatamente si traduce in attrattiva verso lo stato ecclesiastico e reli-
gioso; oppure avviene anche che una tendenza al sacerdozio già avvertita
prima di conoscere Don Bosco all'oratorio, si traduce in possibilità e volontà
di farsi salesiano. I1 darsi a Dio per tempo gradatamente assume il valore
di obbligo a scegliere tempestivamente lo stato di vita da abbracciare. Darsi
a Dio e scegliere lo stato di vita si couglutinano e vengono intesi come « corri-
spondere alla divina chiamata » nella consapevolezza che da quella scelta
dipende tutto il resto della propria vita terrena e ultraterrena (lm).
mentari venivano portati rapidamente a quelli filosofici e teologici. La loro vocazione in
genere è già orientata da quando il loro parroco o qualche sacerdote li indirizza a DB. Cf.
ad esempio le necrologie di Michele Unia (m. 1895), Antonio Marra (m. 1940), Antonio
Rebagliati (m. 1927). C'è inoltre la categoria di quelli che conobbero DB mentre erano se-
minaristi, ad esempio Enrico Foschini (m. 1886), Carlo Bonini (m. 1935), Francesco Cottrino
(m. 1939).
(119) E l'elemento costantemente posto in luce nelle necrologie dei Salesiani che
ebbero qualche relazione con DB, da Don Rua ai giovanissimi del 1887-88. DB stesso formulò
i momenti che stabilirono i vincoli religiosi e affettivi tra il chierico Giuseppe Cagliero e la
Congregazione Salesiana in una lettera a mons. Riccardi arcivescovo di Torino in data 6
novembre 1869: «Venni qui da giovanetto e se non avessi avuti qui aiuti morali c
materiali, certamente io non avrei potuto percorrere la carriera degli studi. Quindi affe-
zione grande a quel luogo e a quelle persone da cui ricevei il pane della scienza e della
moralità. Don Bosco mi lasciò sempre libero ed io, sebbene appartenessi di corpo e di
spirito aila mentovata Congregazione, e, tuttavia non mi ero mai dehitivamente pronunciato
come intendo di fare coi presente mio povero scritto » (minuta aotogr. di DB, AS 131.01
Riccardi; MB 9, p. 749; Episiolario 788).
(1") DB riassume la sua pastorale vocazionale nel cosiddetto Testamento spirituale. Ai
giovani che manifestano attitudini alla vita salesiana si facciano conferenze particolari, almeno
due volte al mese: « In tali conferenze si tratti di quanto un giovanetto debba praticare
o fuggire per divenire buon cristiano. I1 Giovane Provvedi<to somministra i principali arg*
menti su tale materia. Non si parli però loro delle nostre regole in particolare né dei voti, né
dell'abbandonare casa o parenti; sono cose che entreranno in cuore senza che se ne faccia
tema di ragionamento. Si tenga fermo il gran principio: Bisogna darsi a Dio o più presto
o più tardi; e Dio chiama beato colui cbe comincia a consacrarsi al Signore in gioventù.
Beatus homo cum portaverit jugum ah adolescentia sua (Cf. Il giovane provveduto, pt. 1,
[sez. 13, art. 3, Torino 1847, p. 12). Il mondo poi, con tutte le sue lusinghe, parenti,
amici, casa, o più presto o più tardi o per amore o per forza bisogna abbandonar tutto e

21 Pages 201-210

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21.1 Page 201

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
I giovani di Valdocco vengono portati a un dilemma: vivere onesta-
mente nel secolo o darsi completamente a Dio abbracciando la vita religiosa
e lo stato ecclesiastico ("l). Nell'alternativa giustamente diviene alta la per-
centuale di giovani che si orientano verso la vocazione religiosa. Don Bosco
pertanto dà già il valore di indizio di vocazione al fatto che ci si trovi all'Ora-
torio o ci si trovi presenti a una conferenza tenuta a tutti gli ascritti, aspi-
ranti e professi (lu). A quanti desiderano criteri per chiarire se sono chiamati
lasciarlo per sempre * (cf. AS 132 Quaderni 6; MB 17, p. 263; 6. anche MB 5, p. 396 s; 12,
p. 87-90; 255 e 329.s.).
(lzL)Si vedano le istruzioni fatte da DB negli eserciii spirituali del 1875 a Lanzo;
MB Il.. .o. 573-580.
~~~~
('9« I o son di parere che solo l'avervi chiamati voi tutti qui, radunati insieme per
questi Esercizi, sia un segno che il Signore vi vuol tirare a sé in questo stesso luogo, in
questa stessa Congregazione. Questo solo esser qui, io lo tengo già per un segno di vostra
vocazione. Non l'unico, ma un vero segno» (Conferenza di DB a professi, ascritti e aspi-
ranti all'inizio dell'anno scolastico, 30 ottobre 1876, MB 12, p. 560).
Sulla percentuale di vocazioni provenienti dalle case salesiane è significativa la dichia-
razione fatta da DB ai membri dei Capitolo superiore sul principio del 1875: «Continuando
a pensare sempre su questo e facendo passare i registri antichi per obbedire al comando di
quella voce misteriosa [udita mentre confessava i giovani ed era assillato dal pensiero delle
vocazionil, osservai che di tanti giovani che intraprendono gli studi nei nostri collegi per
darsi poi alla carriera ecclesiastica, appena 15 su 100, ci& neppure 2 su 10 arrivano a mettere
l'abito ecclesiastico, allontanati dai Santuario da affari di famiglia, dagli esami liceali, dal
mutamento di volontà che sovente accade nepanno di rettorica. Invece di coloro che ven-
gono già adulti, quasi tutti, cioè 8 su 10, mettono l'abito ecciesiastico ed a ciò riescono con
mioor tempo e fatiche » (Mi3 I l , p. 33).
Dunque secondo DB fino al 1874 il 1 5 % dei giovani alunni studenti era giunto
fino alla vestizione chiericale. Statistiche sui giovani di Valdocco mostrano la verità del-
l'affermazione e invitano ad adoperare nel loro valore (che è quello propagandistico) dati
come quelli che segnalammo alla nota 106; quelli riferiti nelle MB 5, p. 408-412 o quelli,
infine,
13, p.
che DB comunica a1 cononico
735; Epirtolario 1801) e che
mCelettmeecnotentGo uriiofelriinre:un«a.
l.e.tQteuraesdt'eanl n3o1
luglio 1878
neUe nostre
(MB
case
abbiamo circa trecento giovani che compiuto il ginnasio entrano nel chiericato. Essi sono ripar-
titi così: Salesiani 80 - Missionari 20 - Ordini Religiosi 15 - Ritornano in diocesi presso
i loro Vescovi 185 - Totale 300 n.
I dati relativi al 1879 sono questi. I soci sacerdoti con voti perpetui erano 109;
con voti triennali: 1; coadiutori professi perpetui: 73; triemali: 26; chierici professi perpe-
tui: 71; triennali: 66; studenti con voti triennali: 1. Totale dei professi: 347. Nel 1878
i novizi erano 142. Professarono 60; 31 emisero subito voti perpetui e 29 triennali.
Gli ascritti nell'anno 1878-79 erano 148, di cui 7 sacerdoti, 59 coadiutori; 81 chierici,
1 studente. Di questi, 46 erano già ascritti l'anno precedente. 86 erano residenti a Valdocco;
11 a Nizaa Mare; gli altri, in varie case della Congregazione. La quinta ginnasiale di Val-
docco nel 1878 contava 38 alunni. Di questi soltanto 3 entrarono in noviziato (il più noto:
Antonio Aime, poi ispettore salesiano in Colombia). Dei 148 ascritti emisero la professione
nell'annata 71 (3 sacerdoti, 23 coadiutori e 45 chierici; 50 professi perpetui e 21 triennali).
Prolungarono il noviziato: 38 (di cui 16 lo prolungavano già dal '78); di questi professarono
successivamente altri 12 (6 coadiutori, 5 chierici, 1 studente). I n complesso dunque sui
148 ascritti professarono 83 (5698 %); morirono salesiani 39 (26,35% sui totale dei
novizi); abbandonarono la Congregazione 44 (53,Ol % sul totale d e a 83 professi).
Nella lettera di DB al canonico Guiol l'espressione « nelle nostre case abbiamo circa
trecento giovani che compiuto il ginnasio.. .D, non è da intendere che tutti i 300 abbiano
o n o alla vita religiosa e allo stato ecclesiastico Don Bosco solitamente pro-
pone i criteri che in poche linee sono riassunti in Valentino o la vocazione
impedita. Segni di vocazione sono prohità di costumi, scienza e spirito ec-
clesiastico. « L a probità dei costumi si conosce specialmente dalla vit-
toria dei vizi contrari al sesto comandamento e di ciò bisogna rimettersi al
parere del confessore ». Per la scienza ci si rimette al giudizio dei superiori
e all'esito degli esami scolastici. Per spirito ecclesiastico si intende « la ten-
denza e d il piacere che si prova nel prendere parte a quelle funzioni di
chiesa che sono compatibili coll'età e colle occupazioni ». Quarto criterio, ma
incluso già nel terzo, è « la propensione a questo stato per cui u n o è desi-
deroso di abbracciarlo a preferenza di qualunque altro stato anche più van-
taggioso e più glorioso » (m). Aiuto alla buona scelta sono: la preghiera, il
raccoglimento, i consigli di persone prudenti e specialmente del confessore.
La scelta è cosa sacra e personalissima. I n tempi i n cui u n po' tutti respiravano
anticlericalismo, antifratismo e utilitarismo acquistano un significato parti-
colare l e diffidenze nei riguardi dei familiari. « Inimici hominis domestici
eius ». Anche Don Bosco invoca S. Tommaso: nell'affare della scelta dello
stato i familiari non sono amici, ma nemici, sono disumani, amano vederci
perire con essi, che salvarci senza di essi: « Ove i genitori o altre persone
autorevoli ti volessero distogliere dal cammino a cui Dio ti invita ricordati
che è quello il caso di mettere in pratica il grande avviso del Vangelo di
ubbidire prima a Dio che agli uomini »(lx).
A questo punto Don Bosco inserisce con forza il complesso dottrinale
propriamente alfonsiano. È u n discorso che egli vuole sia fatto a 'chi ormai
si sente chiaramente chiamato alla vita religiosa o allo stato ecclesiastico.
E perciò un discorso che nell'amhito della famiglia salesiana è fatto agli
aspiranti, agli ascritti e ai professi in occasione di colloqui, di conferenze
o di esercizi spirituali annuali e mensili (l").
frequentato il ginnasio nelle case salesiane. Anche il termine <<giovan»i è da prendere in
senso molto largo. Degli 81 chierici ascritti uno solo (Michele Olivero) prolungava dall'an-
no precedente. « Ritornano in diocesi presso i loro vescovi » potrebbe soltanto significare che
«ritornano a casa loro, in patria». Certamente al can. Guiol DB vuol presentare Ittiuta
di un noviziato salesiano a Marsiglia, utile a tutti, alle diocesi, agli Ordini religiosi, alle
missioni.
(la)Bosco, Valentino o la vocazione impedita. . . , Torino 1866, p. 27-29. La stessa
trama costituisce l'intelaiatura di una istni~ionetenuta nel 1875 a Lanao: cf. MB 11, p. 573 S;
cf. anche MB 11, p. 298; 12,88 e sopra, cp. 11, note 24-26.
(i'") Bosco, Il giovane prouveduto . . . , Torino 1878", p. 77 (l'istruzione sulla
scelta dello stato manca nelle edizioni precedenti); Torino 1885 105, p. 75.
(1") Cf. l'abbondante materia indicata nell'lndicc MB p. 490-494: voce vocazione.
Specifica letteratura sulla vocazione, oltre alle paginette del Giovane provveduto e a Valefl-
tino, erano le biografie di Comollo, Savio, Magone, Besucco e Cafasso . . . , i'introduzione
- alle Costituzioni della Società Salesiana (redatte, per quanto riguarda la vocazione, da qual-
cuno dei collaboratori di DB - Don Aibera? e riveduta da lui personalmente: cf. AS 027
(101/1). Tra i libri che andavano in mano ai ragazzi sono da tenere in considerazione: ZAM.?-
MELLINI, Gesù al mole del giovane, Roma 1833; Torino, Marietti 1834. . . ; L'entrata nel

21.2 Page 202

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Don Bosco neCllahistèoricahdiealmlaarteoli,giopseitrà cciaòttoslitceas.sVoolhIaI. Sutnelola speciale invito divino e ha ricevuto
il dono della divina chiamata('%). Per lui la vita ordinaria nel mondo non
può e non deve avere il valore che ha per qualsiasi altro cristiano. I1 « se-
colo » non deve esercitare sul chiamato nessuna illusoria e pericolosa attrat-
tiva. Non importa che nella vita di semplice fedele si siano avute esperienze
liete o tristi, ma quando ci si sente chiamati o quando si è già seguita la
vocazione il mondo assume il valore di laccio, di pericolo, di insidia.
Le figure che ricorrevano in ecclesiologia e in mariologia ritornano
ora in tema d i distacco del religioso e dell'ecclesiastico dai beni terreni.
Come la Chiesa, così la Congregazione è simboleggiata dall'arca di Noè e d
il mondo è rappjesentato dal diluvio che sommergerà ogni cosa. Il mondo
è come « un mar burrascoso, in cui l'iniquità e la malignità sono da per
tutto portate in trionfo » (ln). Stare in Congregazione è come stare sulla
navicella di Pietro, sicura con Cristo, anche se sballottata dalla tempesta nel
mare di Galilea. La Chiesa era raffigurata dalla cittadeiia d i Sion, Maria SS.
era proclamata Turris eburnea, il mondo per contrasto era rappresentato come
una piana aperta a tutte le scorrerie e distruzioni. Analogamente il religioso
che vive in Congregazione è rappresentato come chi si trova «in fortezza
mondo ovvero consigli ad un giovinetto che lascia la scuola per abbracciare uno stato (LC),
Torino 1869; Francesco WRTINENI1Gg7Oan, passo raccomandato ai giovani e alle gioui-
nette cristiane e anche un poco ai loro genitori.. . (LC), Torino 1877; Torino 1911, sesto
migliaio; S. ALFONSOO,puscoli relativi allo stato religioso e lettere sul medesimo argo-
mento, Torino, tip.
S. Alfonso Maria de'
e lihr.
Liguori
Salesiana 1885; Sentimenti di
imorno all'entrata in religione..
. S, .
Tommaso
S. Benigno
d'Aquino e di
Canavese 1886;
Torino, S.E. I. 1921 (nuova ed. riveduta secondo il Codice di Dir. Can.). Posteriori alla
morte di DB, ma deilo stesso indirizzo sono: Stefano TRIONEF,elicita sconosciute. Lettere
ed esempi sulla vocazione religiosa (LC), Torino 1891; Torino 18963; Carlo M. VIGLIETTI,
Una vocazione tradita. Memorie storiche, Torino 1889.
('26) Conferenza del 30 ottobre 1876, MB 12, p. 560 s: Quanto a tutti voi che siete
qui radunati [professi, ascritti, aspiranti], se mi chiederete se tutti siete destinati a stare
nella Congregazione di S. Francesco di Sales, credo di potervi dire di sì. [. ..l E posso
accertarvi in nome del Signore che tutti quelli che già fecero professione sono assolutamente
chiamati, sia perche piima di accettaili volli conoscerli hene e se li accettai è segno certo
che li credetti adatti 1.. .l E di ascritti che sono solamente ascritti od aspiranti? Io credo
di poter dire anche lo stesso C,. .l l'averci Dio condotti qui, l'essere noi qui venuti, non
indica forse averci egli stesso aperta questa via di salute? L'aver noi inclinazione a questa
vita dei Salesiani non è un segno di vocazione? Chi ce l'ha infuso? Omne datum optimum
et omne donum perfectum desurrum est, descendens a Patre luminum ». L'intera confe-
renza
suppone già l'Introduzione
(ln) Regole o Costituzioni
alle Costituzioni e
della Societù di S.
FilrafnocretescoinfdluisSsoaledsi.S. .. ,ATlfoorninsoo. 1875,
p.
VI-IX: «Entrata in religione. - Il nemico dell'uman genere esercita la sua malignità contro
agli uomini I . ..l Omne yuod est in mundo, dice l'apostolo S. Giovanni, concupiscentia
carnis est, et concupiscentia oculorum, et superbia vitae (Epist. 1 Ioann. 2, 16). Come mai
liberarci da
strascinarci
queste pericolose catene, con
alla pecdizione? Solamente la
cui incessantemente il demonio
religione può somministrarci i
temnetzazidi[.l.eg.alrcCi oei
voto di castità rinuncia ad ogni soddisfazione sensibile; colla povertà si libera dai grandi im-
pacci delle cose temporali; col voto di obbedienza mette freno alla propria volontà, e si
trova perciò fuori del caso di ahusarne. Per questo motivo, chi lascia il mondo per entrare
in religione, viene paragonato a coloro che in tempo del diluvio si snlvatono nell'arca di
custodita dal Signore
L'idolatria e il peccato erano dipinti come tene-
bre del regno di Satana e come catene infernali. I n rapporto alla vita reli-
giosa queste rappresentazioni vengono applicate genericamente alla vita
nel mondo, dove i l « nemico dell'uman genere esercita la sua malignità con-
t r o gli uomini in tre modi, cioè: coi piaceri o soddisfazioni terrene, colle
sostanze temporali e specialmente colle ricchezze, e coll'abuso della libertà ».
« Come mai liberarci da queste pericolose catene, con cui incessantemente
il demonio tenta di legarci e strascinarci alla perdiione? Solamente la re-
ligione può somministrarci i mezzi, con cui combattere questi tre formida-
bili nemici » (ln).
11 genere letterario devozionale e ascetico cerca di allontanare dalla
mente dell'ascnltatore o del lettore quei termini che, attenuando e distin-
guendo, potrebbero togliere al discorso la sua forza suasiva. Lo scopo è ov-
viamente quello di muovere l'animo, radicare il proposito di abbarbicarsi in
quella terra nella quale hanno cominciato a porre le radici. Si tende a muo-
vere, a sollecitare, a fendere d'un colpo la fune della navicella aderente al
lido, anziché slegarla, si tende a fare abbandonare precipitosamente il mondo
o si mira a far superare rapidamente la tentazione di soffermarsi nel 4 secolo »
più di quanto richiedano esigenze di carità verso il prossimn(lw). Ogni
considerazione meno pessimista delle realtà terrene e della vita familiare
che potrebbe affiorare nella mente del lettore o dell'ascnltatnre viene subito
rintuzzata e qualificata come tentazione diabolica tendente a fare indebolire il
Noè L. . .I Consulto Deus graiiam religioni5
omnes, relicto saeculo, ad eam concurrerent
Cf. S. A ~ i o ~ sLon, vern sposa di Gerù
o(Scc.gLltoarveint,zonamGiussitieniiuasnif)e,,l.icita' s.
Cristo, cp. 2, n. 5 e n. 16: e .
co'gnosceretur,
.. Omne quod
est in muisdo concupiscentia carnis est L. . .l. Nella religione per mezzo de' santi voti si
chiudono queste fonti avvelenate; col voto della castità si chiude la porta a' piaceri di
senso; col voto della povertà si toglie il desiderio delle ricchezze; e col voto deli'uhhi-
dienza si estingue l'ambizione de' vani onori [.. .] Consulto Deur . . . D (Opere ascetiche,
4, Torino, Marietti 1847, p. 18 e 23.
(128) Regole o Costituzioni, p. IX.
(129) Regole
(IN)Regole
o
o
CCoossttiittuuzziioonnii,.p...,VTIIo.rino
1877,
p.
9 s:
Seguir
prontamente
la
vocazione
(Questo paragrafo manca nell'edizione del 1875): E perciò S. Girolamo a chi è chiamato
ad uscire dal mondo dà questo consiglio: Festina quaesto te, et haerentis in solo (sic) naui-
culae funem magis praescinde, quam solve. E vuol dire il santo, che siccome chi si trovasse
legato in una harca in procinto di sommergersi, cercherebbe di tagliar la fune più che di
scioglierla; così chi si trova in mezzo al mondo. . .D. Cf. S. ALEONSOO,puscoli relatiwi
ullo stato religioso, opusc. 1, § 1, in Opere ascetiche, 4, p. 399: E perciò consiglia S. Gi-
rolamo, a chi & chiamato ad uscite dal mondo, cosi: Festina, quaeso tc, et haerentis in solo
nouiculae funem magis praescinde, qsam rolue. E vuol dire il santo, che siccome chi si
trovasse ligato in una harca la quale sta per sommergersi, cercherebbe di tagliar la fune più
che di scioglierla; così chi si trova in mezzo al mondo.. . ». Cf. anche ROSIGNOLLIn, saggia
elettione, pt. 2, cp. 5, 5 1, Torino 1673, p. 260: «Anche Girolamo grida al suo Paolino,
che stava su questi indugi. Fertina quaeso, et haerentis in solo (sic) naviculae funem magis
praecide,
cella che
quam
sta in
sohlourera.sAcaff.r.e.tt»a.tiL, t'oi ripgriengaole,
e tronca anzi che sciorre la fune della tua
di S. Girolamo ha: Festina, quaeso t e . . .
navi-
: cf.
ML 22, CI.549.

21.3 Page 203

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
fervore e porre in non cale la grazia della vocazione concessa da Dio. Vice-
versa si dice che « tanta è la pace e la tranquillità, che si gode in questa mi-
stica fortezza, che se Dio la facesse conoscere e gustare da chi vive nel se-
colo, si vedrebbero tutti gli uomini fuggirsene dal mondo e dare la scalata ai
chiostri, a fine di penetrare colà e passare i giorni di loro vita »("l').
In
religione vi sono vantaggi temporali e spirituali. I1 religioso abbandona una
casa e ne acquista cento, abbandona un fratello e ne trova mille; vivit purius,
cadit rarius, surgit velocius, incedit cautius, irroratur fvequentius, quiescit
securius, moritur confidentius, purgatur citius, remuneratur copiositls
E se il Signore permette la tentazione del dubbio, ci si confidi con i supe-
riori, persuasi che « nei consigli dei superiori è impegnata la parola del Sal-
vatore, che ci assicura le loro risposte essere come date da Lui medesimo.
Qui uos audit me audit (lU),.
A questo proposito viene anche chiamata in causa la dottrina suUa pre-
destinazione. Don Bosco l'accetta sostanzialmente nei termini di S. Alfonso.
Dio assegna a ciascuno una via, percorrendo la quale ci si salva più facil-
mente. Fuori di questa via non si ha diritto alle grazie stabiìite da Dio nel
suo disegno ordinario di salvezza (l").
QueUo di Don Bosco non è un predestinazianismo rigido, ma è sempre
un predestinazianismo. Come per S. Alfonso, casi anche per Don Bosco la
libertà non viene coartata e non viene distrutta (9L. 'uomo - nella persua-
sione di Don Bosco - può sempre scegliere liberamente. A tutti viene
. . (l3') Regole o Costztuzioni. , Torino 1875, p. IX.
(9Regole, ed. 1875, p. IX-XVII.
('"3 Regole, ed. 1877, p. 41 s: Dubbio della vocazione (questo paragrafo manca nel-
l'ed~i~z~io-ne del 1875),.
~~~~~
($3) Esiste la minuta del paragrafo Importanza di seguire la vocazione comparso per
la prima volta nella Introduzione aUe Regole, edizione del '77. La scrittura allografa cosi
esordiva: I1 Signore creando l'uomo e mettendolo al mondo stabilisce al medesimo la via
che deve percorrere, afhnché si possa salvare. Per quella via, cioè in quello stato gli sparge
i fiori e le grazie necessarie [sottolineatura nostra] per la sua eterna salute ». DB cancellò
e sostitui: «Iddio misericordioso infinitamente ricco di gtuie nella stessa creazione del-
l'uomo stabilisce a ciascuno una via la quale percorrendo egli può con molta facilità [sotto.
lineama nostral conseguire la sua eterna salvezza ». DB si mostra sempre attento a parlare
di facilità ed evita il termine «necessità ».
Cf. S. ALFONSOO, ~uscolrielativi allo stato religioso, opusc. 1, ed. G., p. 396; « È chiaro
che la nostra eterna salute dipende principalmente dall'eleiione dello stato. I1 padre Granata
chiamava l'elezione dello stato la ruota maestra di tutta la vita [.. .I. Cioè, come spiega
Cornelio a Lapide, Dio a ciascuno dà la sua vocazione, e gli elegge lo stato in cui lo w o l
salvo. Questo è appunto ibrdine della predestinazione descritto dallo stesso apostolo: Quos
praedestinauit, hos et vocauit; et quos uocauit, hos et iustiFcavit.. . illos et glorificavit (1
Cor. 7, 7) D. - ROSIGNOLIL,a saggia elettione, pt. 1, cp. 2, ed. c., p, 9: .Parlò pure da
.. quel savio, e santo homo che era il P. Luigi Granata, quando chiamò l'Elettione dello stato
Regola universale, e Ruota maesua di tutta la vita . ».
(1%) Sii S. Aifonso cf. il già citato .T. E. HIDALGDOoc, trina alfonsianaacerca de la accidn
de la gracia actual eficaz y suficiente Ensayo histdrico-expositivo, Roma 1951. Quanto alla
dottrina di DB è utile h m e n i c o BERTETTO, Il pensiero e l'azione di San Giovanni Bosco
nel problema della uocazione in Salerianum 15 (19531, p. 431.462.
lasciata la speranza che ci si possa salvare almeno con aiuti straordinari del
Signore. Ai Salesiani Don Bosco dice senza amhagi che chi abbandona la
vita religiosa si pone in serio rischio di perdere la propria anima per tutta
l'eternità e di essere causa di rovina per altri: <( L'esperienza ha fatto trista-
mente conoscere che coloro, i quali sono usciti dall'istituto già professato,
per abbracciarne un altro, per lo più restarono ingannati. Alcuni si penti-
rono e non trovarono più pace; altri vennero esposti a gravi pericoli, non
pochi perdettero la vocazione, e taluni divennero perfino ad altri pietra di
scandalo con grande rischio della propria e dell'altrui perdizione (lx). Non
si tratta, secondo lui, di questione di principio, ma di questione di fatto:
«Assolutamente parlando, anche fuori di Congregazione si può vivere da
buon cristiano: e può anche salvarsi uno che esca dalla Congregazione; ma se
voi altri mi vorreste credere, io vi direi schiettamente che questo è più
vero speculativamente parlando che venendo ai casi pratici. I n realtà io san
di parere che molto pochi di quei che escono da una Congregazione a nii
erano affigliati, possono salvarsi »(l").
Nella coscienza dei religiosi facilmente viene favorita l'impressione
che chi abbandoni la congregazione è un transfuga, quasi un predestinato a
una vita infelice in terra e nell'eternità. Vicende come quelle di Camillo
de Lellis che ripetutamente tentò di farsi Cappuccino, potevano confermare
nella persuasione che S. Camillo non era destinato a quel tipo di vita dal
quale il Signore lo allontanava con malattie, in modo che finalmente si po-
nesse a realizzare il proprio mandato. Casi analoghi, come quello d i Don
Luigi Guanella (salesiano per un triennio, direttore e -membro del primo
Capitolo generale, ora Servo di Dio) lasciavano facilmente nell'angustia e
non smuovevano dalla persuasione che abbandonare la Società Salesiana,
nella quale si era inseriti coi voti, era un tradimento e un segno di ripro-
vazione. Alla vita religiosa si applicava quanto nel Vangelo era detto dei
seguaci del Regno: chiunque, che dopo aver messo la mano all'aratro volge
indietro lo sguardo, non è buono per il regno dei Cieli(lu).
In defmitiva ci si trova con un nucleo dogmatico predestinazianista
riflettente la mentalità scolastica del Sei-Settecento. I1 problema deila va-
cazione è sentito come libero inserimento nel disegno divino di salvezza. La
(1%) MB 11, p. 300. L a stessa persuasione si legge nella Introduzione alle Regole,
ed. 1877, p. 7: a Le chiamate divine a vita più perfetta certamente sono grazie speciali e
. molto grandi, che Dio non fa a tutti; onde ha molta ragione di sdegnarsi poi con chi le di-
sprezza [. .] Comincerà il castigo del disobbediente fui da questa vita mortale, in cui starà
sempre inquieto. Quindi scrisse il teologo Habert: Non sine magnir difficultatibus poterit
saluti suae consulere. Molto dficihente costui si salverà restando nel mondo D. I1 brano
. .. proviene da
certamente
S. Alfonso, Opuscoli, 1, l.
sono grw~iespeciali C. .]
C,, p. 397: « L e
Quindi scrisse
chiamate divine
il teologo W r
a
t:
viNtaonpiùsinpeerfe.tt»a.
Da parte sua anche il Rosignoli ha un paragrafo sul «rifiuto della buona Elettione argo-
mento di Riprovazione u (La saggia elettione, pt. 1, cp. 2, § 3, ed. c., p. 17-22).
i
(137) MB 11, p. 300.
(1%) Introduzione alle Regole, ed. 1877, p. 8.
l
399

21.4 Page 204

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Don BosccohniealmlaasttaoriadideDllaiore,ligcioosniosccaiuttotalicaa.ttVroalvIeI.rSstoellavari segni, esige moralmente la libera
adesione.
I1 genere letterario di Don Bosco non è quello delle trattazioni scola-
stiche, ma delle opere ascetiche e devozionali. I1 suo discorso tende d a per-
suasione o ai radicamento neile convinzioni acquisite. Nell'interpretarlo non
bisogna dimenticare il valore che si dava alla retorica nella predicazione mora-
listica e nell'ascetica del Sette-Ottocento. La costruzione secondo i canoni
retorici rispondeva, per intuito o consapevolmente, anche a una sensibilità
semplice e popolare degli uditori o dei lettori. I forti contrasti di termini,
i'attenuare altri clementi che potevano smorzare la forza suasiva non deve
perciò intendersi come tendenziosità o falsità dottrinale.
Tuttavia si ha l'impressione che Don Bosco tenda a dare un valore
reale a quello che poteva essere un contrasto letterario. La vita di chi ah-
bandona la Congregazione ai suoi occhi porta veramente i segni della in-
quietudine, se non anche della disperazione. Pare proprio che per Don
Bosco chi abbandona la Società Salesiana si porta fuori della strada di sal-
vezza assegnatagli dal Signore. Il suo modo di pensare perciò si dimostra
molto rigido, anche se non manifesti in termini scolastici un predestinazia-
nismo rigido, sul tipo di quello del teologo Ilabert. Quasi è possibile tro-
vare in S. Alfonso un discorso sulla grazia e suila libertà non solo più ampio,
ma anche più sfumato, che non nei discorsi e nelle poche paginette di Don
Bosco
In compenso però è possibile trovare in Don Bosco un processo pedago-
gico ricco di sfumature e di gradazioni. A chi vive in Congregazione Don
Bosco tende a dare con tutte le sue forze il complesso di elementi umani e
trascendenti che possano garantire un pieno appagamento della persona-
lità in clima di lavoro, di gioia, di realizzazioni, di affermazioni personali e
collettive. A chi abbandona il noviziato e a chi chiede la dispensa dai voti
Ha cura di dare una esegesi non angustiante del pensiero di DB Don Paolo Al-
bera in una circolare del 15 maggio 1921: « Nel prezioso trattateli0 premesso alle nostre
Costituzioni, egli riassume, è vero, i sentimenti di Sant'Alfonso intorno alla vocazione re-
ligiosa, e quindi a prima vista sembra inculcare la dottrina (prevalente ai tempi del Santo
Dottore) che ciascuno sia assolutamente predestinato ad un certo stato di vita, fuori del
qtialc corre grave pericolo di non aver le gruzie aecessarir per salvarsi [il corsivo t nei.
l'originale]. Ma a ben considerare, quelle pagine non sono per chi deve ancora scegliere la
. propria vocazione, sibbene per chi l'ha già scelta; non sono per indicare la via da per-
correre, ma per mantenere in essa chi già vi cammina [. .] 2 evidente infatti che chi ri-
torna indietro dallo stato di perfezione abbracciato nella piena luce della sua libertà come
la via più certa di salvezza, deve rimaner privo delle maggiori grazie che avrebbe ricevuto
perseverando, e percib incontrare maggior difiicoltà a salvarsi ». I1 discutibilissimo argo-
mento di Don Albera mette per lo meno in evidenza la mentalità cbe si inculcava: chi
abbandonava la Congregazione metteva a repentaglio la propria salvezza eterna ancor più
che se fosse rimasto in religione. ?3 vero, inoltre, che la introduzione alle Regole primaria.
mente è destinata ai professi, ma venivano spiegate già in noviziato e la dottrina che vi si
espone sull'importanza di scegliere lo stato di vita quella che si trova nel Giovnne
provveduto e che t espressa da DB in sermoncini serali a tutti i giovani.
400
egli vuole che si presti il massimo aiuto. Si allontanino al più presto dalla
vita comunitaria e dalla casa salesiana, ma anche si faccia in modo che, in.
serendosi nel mondo, non abbiano a trovarsi privi di una professione e senza
quei mezzi di sostentamento richiesto dal loro grado sociale (lm).
A questo punto è bene ricordare la dottrina sui voti e sulla vita re-
ligiosa intesa come consacrazione a Dio. La dottrina teologica di Don Bosco
sui voti affonda le sue radici, ovviamente, nella Scrittura e nella teologia
scolastica, anche se nei suoi scritti la troviamo in chiave ascetica, attinta al
Rodriyez, a S. Alfonso, al Beyerlinck. La professione religiosa tende per
sua natura ad essere perpetua. E sacrilegio togliere a Dio ciò che gli è
stato dato. L'atto umano che si modula in promessa fatta a Dio, rende
l'agire umano perfetto e simile alla divina immutabilità (l").
Nonostante queste dottrine si constata di fatto nella Congregazione
Salesiana una grande labilità dei voti, sia quando sono triennali, sia anche
quando sono perpetui. Sul tasso di abbandono deila Congregazione come nota-
vamo, non manifesta nessuna incidenza rilevante il fatto che attorno al '77-78
viene incoraggiata la professione perpetua subito dopo il periodo del novi-
ziato (l"). Quando sono in prevalenza i professi perpetui che emettono i
voti subito dopo il noviziato gli usciti di Congregazione sono in media quasi
quanto erano quando in prevalenza erano più numerosi i ~rofessitriennali.
Dunque quale valore aveva la professione perpetua nell'animo dei
Salesiani, quale incidenza avevano le esortazioni ascetiche che abbiamo cercato
di riassumere? Quale valore avevano per Don Bosco stesso? Come notammo,
le prime redazioni delle Regole ponevano che i voti duravano tanto quanto
ciascuno intendeva rimanere in Congregazione. Successivamente, quando per
costituzione furono stabiliti i voti perpetui obbligatori dopo uno o due periodi
di voti triennali, Don Bosco stesso, pur esortando alla professione perpetua
e alla fedeltà per tutta la vita, aggiungeva che i voti temporanei potevano
(lw) Direttive che assommano la esperienza di DB sona quelle del Testamento spi-
rituale: a In ogni caso si usino tutti i riguardi al dimittendo e si faccian anche sacrifici
atiinché il socio parta con buona armonia e amico della Congregazione. Ma in via ordina-
ria non si tengano più con lui se non le relazioni che riguardano il buon cristiano. Né a
lui si offra ospitalità se non in caso di vero e conosciuto bisogno, e momentaneamente.
Uscendo da noi un socio, si aiuti a trovare un impiego o almeno qualche posto dove egli
possa guadagnare onesto sostentamento » (AS 132 Quaderni 6; M '17, p. 263 s).
(141) Introduzione alle Regole, ed. 1875, p. XIX: «Chi non sentesi di osservarli,
egli non deve emetterli, o almeno diKerime la emissione Euiché in cuor suo non sentasi
ferma risoluzione di osservarli. Altrimenti egli fa a Dio una promessa stolta ed infedele,
la quale non pub a meno che dispiacergli. Displicet enim Deo inJKlelis et stulta yromissio
(Ecd. 5, 3)». La minuta di questo paragrafo sui voti è tutta autogr. di DB (AS 022/101,
p. 4s). I concetti e le citazioni di S. Anselmo, di S. Bonaventura e di S. Tommaso si
trovano in A. RoDRIGUEZ,Esercizio di perfaione e di virtù cristiane, pt. 3, tr. 2, cp. 3,
n. 2; cp. 4, n. 1 e 4; cp. 9, n. 3; ToBno, Marietti 1828, p. 135s; 137 e 140; 167s.
(la) Cf. il nostro vol. 1, p. 155 s; 161 e qui, più sopra, nota 122.
401
26

21.5 Page 205

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Don BoscocensesllaarsetorpiaerdeldlaisrepleigniossaitàdcealttoRliceat.tVoorl IIM. Sateglglaiore e su quelli perpetui poteva di-
spensare il Sommo Pontefice (lQ).
In piano teorico i voti religiosi per Don Bosco erano certamente ciò
ch'egli più volte manifestò chiarissimamente: erano una consacrazione a
Dio e un vincolo societario (l*). La duttilità pratica di Don Bosco non deve
far pensare a singolarità teoriche. Essa piuttosto manifesta l'educatore che
bada all'eventuale mutabiiità d'anima, alla mutevolezza di circostanze e
alla opportunità di favorire per i singoli un mutamento di vita senza creare
pericolosi traumi interiori e scompigli alla disciplina religiosa.
Ma ai Salesiani, con termini che non usa con altri, Don Bosco parla
della Società Salesiana da profeta e vaticinatore. Ciò facendo egli tende
ad annodare strettamente il problema singolo a quello collettivo. I1 trovarsi
con Don Bosco rientra in un piano divino. I singoli salesiani sono prescelti
e red destinati a essere, come Don Bosco, strumento deUa gloria di Dio e
della salvezza deUe anime. La famiglia terrena ch'essi lasciano per ciò stesso
è red diletta. Su,di essa scenderà la benedizione celeste fino alla terza e aUa
quarta generazione.
d) Obbedienza, castità e povertà
È naturale che Don Bosco sotto l'urgenza della formazione ascetica da
impartire ai suoi salesiani abbia ricercato scritti a cui ispirarsi. Si poteva
anche prevedere che la sua scelta sarebbe caduta su scritti di Alfonso de'
Liguori e suIl'Erercizio di pevfezione e di virtù cvistia~le di Alfonso Ro-
driguez. Nelle case religiose e nello stesso Convitto ecclesiastico torinese il
Rodriguez era infatti un classico testo di lettura spirituale ("9. Non stupisce
che Don Bosco nei suoi schemi inserisca materialmente sentenze e commenti de-
sunti dai suoi autori preferiti. Ciò è normale nei predicatori, ed è normale
anche in Don Bosco che compila sia per parlare sia per divulgare per mezzo
della stampa.
Ma l'invasione di nuove fonti non è cosi preponderante da soffocare
il patrimonio culturale assimilato in precedenza. Ed è possibile constatarlo
già per l'obbedienza e la purezza-castità cui sono riservati compiti capitali.
L'obbedienza è per i giovani la prima delle virtù; e lo è anche per i Sale-
siani(14). Per i giovani la castità è la più bella e la più preziosa delle virtù
('"1 Vol. 1, p. 144s.
('"1 Cf. la voce Voti religiosi, in Indice M p. 495 S.
. Cf. elenco di testi usati al Convitto come lettura spirituale in Luigi NICOLISDI
ROBILANTV,ita del venerabile Giuseppe Cafasso... 1, Torino 1912, p. 223.
(l4) « L'obbedienza è il compendio della perfezione » (MB 7, p. 694), « è la chiave
di tutte le virtù » (MB 9, P. 861; 15, p. 29); u è la virtù che abbraccia tutte le altre »
(MB 10, p. 1058); « i n una congregazione l'obbedienza è tutto » (MB 10, p. 1059); « è
I'anima della Congregazione ),(MB 12, P. 459); « è la base e il sostegno di ogni virtù »
( M 17, p. 890).
avendo la quale si posseggono tutte le altre; e lo è anche per i Salesiani (I4').
Diceva Don Bosco: datemi un giovane obbediente e questo sarà santo. La
stessissima sentenza vale anche per i Salesiani e per le Figlie di Maria Au-
siliatrice: datemi un religioso o una suora obbedienti e ve li farò santi (lqs).
Le espressioni sono identiche. Cambia solo il soggetto: non giovani,
ma Salesiani. Questo però è suiIiciente per far comprendere che ci si trova
in un momento nuovo. I1 germe è riconoscibile nel suo tessuto eiementare,
ma ormai è in un organismo adulto e differenziato. Potrebbe impressionare
il fatto che Don Bosco rivolga a Rua, Cagliero, Bonetti, Durando uomini
maturi le medesime esortazioni che loro faceva quando erano ragazzi, suoi
alunni e penitenti. Potrebbe sembrare che Don Bosco continui a trattare
adulti da. adolescenti e li alimenti con una spiritualità adolescenziale. In-
durrebbe a pensarlo il fatto che Salesiani e giovani conducevano la stessa
vita nei collegi, avevano le medesime preghiere vocali in comune; il mede-
simo orario per le ricreazioni e per i pasti. Che anzi salesiani maturi erano
chiamati a raccolta insieme a giovanissime reclute di quinta ginnasiale per
udire conferenze di Don Bosco sugli sviluppi della Congregazione.
Ma le più elementari norme di esegesi invitano a sottrarsi alla tenta-
zione di conclusioni pigre e super6ciali.
Don Bosco scrive nel Giovane provvedzrto che l'obbedienza è il fonda-
mento di ogni virtù; lo scrive in termini equivalenti nell'introduzione al!e
Regole e lo asserisce in conferenze. La differenza non sta solo nel fatto che
nell'Introduzione alle Regole Don Bosco dichiari il suo concetto paludandosi
di una sentenza di S. Girolamo che aveva potuto leggere sul Rodriguez:
« In obedientia summa virtutum clausa est » (l"). Nel Giovane pj.ovveduto
( M i ) .La castità è la virtù, secondo me, base di tutte, che devono servir di fonda-
mento pratico di tutto l'edificio religioso, di quella virtù che per la sua preziosità vien
chiamata la virtù angelica. I o non so se dica uno sproposito; ma son di parere che chi
la possiede, è sicuro di avere tutte le altre, e chi no, può ben possederne alcun'aitra, ma
tutte restano o5scate e senza questa ben presto spariranno » , ( M 11, p. 581); è 2
centro su cui si fondano, si basano e si rannodano tutte le altre virtù » (MB 12, p. 15);
«senza la castità un sacerdote, un chierico è nulla; colla castità possiede tutto, è tutto, ed
ogni tesoro ha nelle sue mani » (MB 12, p. 16); « s e vi è questa vi sarà ogni altra virtù;
essa le attira tutte » (MB 12, p. 224); «deve essere il perno di tutte le nostre azioni »
(iui) a è la virtù regina, la virtù che custodisce tutte le altre (MB 12, p. 470); è questa
la virtù più vaga, più splendida ed insieme più delicata di tutte » (MB 12, p. 564); « è la
madre di tutte le virtù » (MB 13, p. 805).
Come notò Don Amadei (MB 10, p. 675s) quanto si legge sulle Regole della
Soc. Salesiana circa la castità, «virtù più di tutte cara al Figliuolo di Dio D, rispecchia
c..che è scritto nelle Regole degli Oblati di M.V. «Virtù assai cara al Figliuol di Dio n.
(14) MB 10, p. 1037; 16, p. 197.
(149) Introduzione alle Regole, ed. 1875, p. XX: «Nei voto della ubbidienza sta
il complesso di tutte le virtù, dice S. Giroiamo, in obedientia summa uirtutum clausu est.
Tutta la perfaione religiosa consiste nella pratica dell'ubbidienza. Sota religionis perjecfio
in uoluntalic nostrae subtractione consistit. Cosi S. Bonaventura. L'uomo ubbidiente, dice
lo Spirito Santo, riporta vittoria su tutti i vizi. Vir obedtens loquetur urctoriam (Prov. 21,
28). S. Gregorio Magno conchiude che l'ubbidienza conduce al possesso di tutte le altre

21.6 Page 206

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Don Bols'coobbneeldlaiesntozraia èdellala prerliignicoispitaàlecadttoellilcea.vViortl ùII. iSntegllraazia a considerazioni teologiche e psi-
cologiche: senza una guida i giovani sono come una tenera pianticella priva di
sostegno e incapace di reggersi dritta. Nell'Introduzione alle Regole e nelle
conferenze ai Salesiani il primato dell'obbedienza è suggerito da riflessioni
su ciò che doveva essere la vita religiosa salesiana. E anzitutto, da riflessioni
sulla vita religiosa in generale.
Don Bosco non doveva faticare molto per selezionare sentenze adatte
al suo modo di vedere, appunto perché egli accettava la natura della vita
religiosa avente come fulcro il rapporto tra superiori e sudditi.
Questa fondamentalissima struttura c'era nella vita religiosa benedettina,
in quella francescana e gesuita, in quella che S. Alfonso proponeva alla mo-
naca desiderosa di santità. Con S. Alfonso Don Bosco poteva inculcare ai
Salesiani la massima di S. Gregorio Magno rispecchiante la vita monacale:
Obedientia caeteras virtutes i n mentem ingerit e t custodit; e poteva sen-
tenziare con il francescano S. Bonaventura: T o t a religionis perfectio in
voluntatis nostrae subtractione consistit. E già per questa ragione le massime
sul primato dell'obbedienza, passate dal discorso rivolto ai ragazzi a quello
indirizzato a religiosi, assumono un altro significato.
L'obbedienza religiosa salesiana assume un suo senso più specifico
per la pressione che fortemente esercitano su Don Bosco le opere che intende
realizzare. L'obbedienza riesce a fare buoni monaci e buoni frati, ma egli
ha bisogno di obbedienti per fondare collegi a Trinità di Mondovi, a Marsiglia,
a Buenos Aires; egli ha bisogno di Salesiani che siano disponibili, educatoti
virttì, e tutte le conserva. Obedientia caeteras virtuter in mentem ingerit et custodit (Moral.
1~. ,.3.51,».~
La minuta, tutta autogr. di DB IAS 022(100), p. 5sI ha qualche curiosa variante:
e L'ubbidienza è il compendio di tutte le virtù, dice S. Filippo N[eri]. Tutta la perfe.
zione [religiosa aggiunto in sopralt~eal consiste nella pratica dell'ubhidienia [...] ».
La sentenia di S. Giroiamo si trova sui Rodriguez, o. c., pt. 3, tr. 5, cp. 1, n. 10, ed. C,,
p. 311: «Così S.Girolamo dice: O felix et abundans gratia; in obedientia summa virtzltum
clausa est: non simplici gressu hominem ducit nd Christum: Oh felice e abbondante grazia
dell'ubhidienza nella quale sta rinchiusa la somma di tutte le virtù 1.. .l (Hier. in reg.
mon. C. 6 ) ~Q.uesta Regula monachorum è un'opera spuria. I1 testo citato è in ML 30,
ci. 411.
Quella di S. Bonaventura è in S. ALFONSOLa, "era sposa di Gerù Cristo, cp. 7, § 2,
n. 1, ed. c., p. 75: « Tota religionis perfectio in voluntatis propriae subtractione conristit D.
Non è citata fonte. Questa propriamente è un opuscolo di Bernardo da Bessa a cui collaborò
anche S. Bonaventura: Speculum disciplinae, pars 1, cp. 4, n. 1: « Tota Religioni9 perfectio
in voluntatis propriae abdicatione consistit ». Edito in Opere ascetiche, 14, t. 1, Roma 1935.
a' ~. .1..74,.
La sentenza di S. Gregorio si trova sia nel Rodriguez che in S. Alfonso (1.C,). I1 primo
cita l. 35 mor. C. 10 e il secondo Mor. lib. 35 C. 22. La citazione di DB (Moral. 1, 35 neUa
minuta era Moral. l. 3J. Esatta è la citazione del Rodriguez: Moralia in Iob, 1. 35, cp. 14
(alias IO), n. 28 in ML 76, cl. 765. Anche negli schemi di prediche per gli esercizi spiri-
tuali a Trofarellola citazione Moral. 1. 35 sulle MB 9, p. 988 è stata trasformata in Moral.
1. 35.
già sperimentati, siano desiderosi di fare altrove ciò che han fatto o hanno
visto fare a Valdocco.
L'obbedienza che vuole Don Bosco dunque mira ad avere il salesiano
negli oratori e nei collegi, alla periferia di Buenos Aires o a cavallo verso
Patagones, nella regolarità del collegio di Lanzo o in quella del seminario
di Magliano Sabino. Le opere determinano il Salesiano che desidera Don
Bosco.
Questo ci spiega la scelta di certi testi dalla V e r a sposa d i G e s ù Cristo
di S. Alfonso. Don Bosco non voleva e non doveva fare dei claustrali consa-
crati alla lode d i Dio, non tendeva a fare monaci la cui spiritualità avesse
come perno il canto e la preghiera in coro. Egli aveva bisogno di religiosi nei
quali il senso di Dio fosse radicato insieme al sincero e intelligente desiderio
di essere membri attivi nell'organismo educativo salesiano. Per questa ra-
gione troviamo derivato dalla V e r a sposa d i Ges& Cristo l'episodio dei buon
Dositeo(lM). Dehole di complessione, Dositeo non poteva adeguarsi in
tutto alla vita di comunità, o meglio - << non poteva stare alla vita co-
mune, né levarsi a recitare a mezzanotte il mattutino cogli altri, né mangiare i
cibi che mangiavano gli altri ». Non essendo in grado di osservare quelle
regole « si risolse di dedicarsi all'obbedienza, e colla massima prontezza e
diligenza agli uffizi più umili del monastero a lui &dati dal Superiore ».
Morì Dositeo e in cielo ebbe un premio uguale a quello di S. Antonio e di
S. Paolo eremita. Una voce celeste diede questo ammonimento: << Voi non
conoscete il merito ed il valore' della vera obbidienza. È per questa virtù
che Dositeo in poco tempo meritò più che altri con lunghi sacrifizii e: fatiche ».
Dunque l'obbedienza era la principale delle virtù non softitnto perché
tale era predicata dall'msegnamento ascetico comune, ma perché così Don
Bosco la sentiva in funzione delle sue istituzioni. I n cpest'ordine di idee
- io facesse consapevolmente o per intuito - era saggio dare nuova riso-
nanza alle medesime convinzioni che aveva fatto vibrare già nel cuore di
Rua, Cagliero, Bonetti adolescenti. Essi non erano più tenere pianticelle e
tuttavia per loro l'obbedienza continuava ad essere la prima delle virtù.
Per loro valeva ancora l'esortazione ad obbedire per fede e non soltanto per
simpatia (l5'). Con questi moniti essi venivano preparati per i momenti in
cui la simpatia non avrebbe forse più tanto sorretto l'adesione ai comandi
di Superiori che non erano Don Bosco. Come davanti ai giovani, cosi da-
vanti a Salesiani e a Figlie di Maria Ausiliatrice Don Bosco estraeva il faz-
zoletto, lo spiegava, lo gettava in aria, lo stringeva in pugno e concludeva:
l~iso,\\ C-~ ronaca di Don Bonetti IAS 110)... ri-~ortatain MB 7, p. 694 S. L'aneddoto si
legge in S. ALFONSLOa, vera sposa di Gesù Cristo, cp. 7, § 2, n. 5, ed. c., p. 77.
(1st) Conferenza del 25 settembre 1875, in MB 11, p. 356: B da notarsi che finora
l'obbedienza fu piuttosto personale che religiosa. Evitiamo questo grande inconveniente. Non
si ohhedisca mai, perche è il tale che comanda, ma per morivi di ordine superiore, perché è
Dio che comanda: comandi poi per mezzo di chi vuole »,

21.7 Page 207

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
ecco come il Superiore deve poter disporre dei suoi figli (lS2).In tal modo rap-
presentava le qualità che, insieme all'obbedienza, egli richiedeva: duttilità,
disponibilità, versatilità, capacità di andare, come i servi del Centurione
evangelico ovunque il superiore manda, per far stupire quanti osservano il
Salesiano costruire il nido allegramente sulla roccia nuda e scabra e non sol-
tanto su di tronco frondoso ('").
Elementi generici tolti dal Rodriguez, da S. Alfonso o da chiunque
altro insieme ad elementi più specifici e propri d i Don Bosco tendono a su-
scitare una disponibilità completa in ordine all'azione caritativa, ma anche
in ordine già alla formazione personale. « Lasciarsi tagliare la testa » (l")
poteva indicare 'metaforicamente l'obbedienza secondo i gradi tradizionali
descritti dal Rodriguez o dallo Scaramelli: giudicare in modo da operare in
conformità alle opere ordinate dai superiori, conformare il proprio modo di
giudicare a quello del superiore, conformare il proprio affetto a quello del su-
periore. L'obbedienza tende a creare una consaguineità spirituale, una e fa-
miglia », in cui è riconoscibile un medesimo tipo, un medesimo timbro nel-
l'attività educativa e nelle altre opere. Sia quando il salesiano agisce nella
vita ordinaria di un collegio, sia quando si trova a lavorare da solo per mis-
sione dei superiori o per situazioni di emergenza, deve agire da Salesiano
e in modo che venga riconosciuto per quel religioso nuovo che Don Bosco
ha lanciato nel mondo. Don Bosco lo dichiarò facendo un alto elogio dei
Gesuiti:
«Se è mio grandissimo desiderio che questa nostra Congregazione cresca e molti-
plichi i figli degli Apostoli, è pure mio grandissimo e maggior desiderio che questi
membri siano zelanti ministri di essa, figli degni di S. Francesco di Sales, come già i
Gesuiti, degni figli del valoroso S. Ignazio di Loyola. I1 mondo intero e più di tutti
i malvagi, che per odio satanico vorrebbero spento questo seme santissimo, stupiscono.
Le persecuzioni, le stragi più orrende non muovono questi magnanimi. Son divisi per
modo che uno non sa più deli'altro: eppure in sl gran distanza dell'uno dall'altro
adempiono perfettamente alle regole dettate dal loro primo Superiore, non altrimenti
che se fossero in comunità. L i dove è un gesuita, là, dico, è un modello di virtù,
un esemplare di santità: si predica, si confessa, si annunzia la parola di Dio.
Che più? Quando i cattivi credono di averli spenti, egli è appunto allora che più
si moltiplicano, è allora che il fnitto delle anime è maggiore D (155).
Si comprende in conseguenza che a farsi tagliar la testa » ed essere
come un fazzoletto non vuol dire rinunziare alla intelligenza. Don Bosco
si spiega con piccoli casi pratici. Obbedienza piena non vuol dire che per
ogni colpo di scopa bisogna ricorrere al superiore: linguaggio cauto, que-
(1") Ci. MB 3, p. 550; 4, p. 424; 6, p. 11 s; 13, p. 210.
('53) 6 i'immagine di MarceUo SPINOLADo, n Bosco y su obra, p. 99.
(l") MB 4, p. 425; G. B. FRANCESIMAe,morie sulla vita di D. Giovnnni Paseri sacer
dote salesiano, Genova-Sampierdarena 1932" p. 32.
($5C)onferenza del 12 gennaio 1873, in MB 10, p. 1062.
sto (ls6). Molto più ardito è ciò che Don Bosco fa, affidando « a ragazzi si
può dire, opere che avrebbero fatto paura a uomini maturi » ('"). Inedita
e quasi del tutto sommersa dall'oblio è la vicenda di Don Giovanni Bonetti,
inviato meno che trentenne direttore di un piccolo seminario. Rimangono
poche lettere del 1869 a Don Bosco che testimoniano l'uomo soccombente
sotto il peso d i una responsabilità superiore e quel che era, fuor di metafora,
il pergolato di rose salesiano(l"). Don Bonetti diventerà promotore del pro-
cesso di beatificazione di Don Bosco. C'è chi ricorda Don Baratta inviato sui
ventisei anni a Parma come direttore. E ne ricorda « i lunghi pianti di scn-
raggiamento e di timore che fece su quei primi tempi e poi quando, fondata
la scuola di religione, si trovava come perduto in mezzo alle difficoltk che
gli apparivano da ogni parte » (ls0). L'obbedienza che Don Bosco richiedeva
davvero non era tale da non mettere alla prova e nelle situazioni più azzardate,
lo spirito d'iniziativa e la solidità interiore.
La castità, la regina delle virtù, lungi dall'essere detronizzata, è pro-
clamata come sommamente necessaria ai Salesiani. Tutti i suoi titoli nobi-
liari vengono confermati: virtù angelica, virtù più di tutte cara al Figliolo
di Dio, virtù avendo la quale si posseggono tutte le altre. Don Bosco anzi
dichiara che la consacrazione a Dio raggiunge il suo compimento mediante
il voto di castità: con essa « il religioso ottiene il suo scopo di essere tutto
consacrato a Dio s; senza di essa « un sacerdote è nulla » (160). ,
La ragione di tanta insistenza non è soltanto da cercare nella ascetica
tradizionale per religiosi appresa sul Rodriguez, su S,. Alfonso o altrove, né
soltanto è da cercare nel patrimonio « aloisiano D coltivato ali'Oratorio con
- l'esempio dell'angelico Luigi, con l'altro del pio giovanetto che non mirava
volto di donna perché voleva - se ne era degno contemplare il volto
di Maria SS. per tutta l'eternità. La ragione non è da ricercare nemmeno sol-
tanto nel clima anticlericale del tempo. Sebbene anche questo poté dare nna
carica emotiva speciale ai moniti e ai desideri di Don Bosco. Siamo in tempi
calamitosi - egli dichiarava: « I1 mondo attuale è come ce lo descrive il
(m) Conferenza del 3 febbraio 1876, in MB 12, p. 81 S.
('n) Paolo LINGUEGLDIA. ,Borco e il Papa. Commemorazione di D. Rua, Parma 1912,
p. 20.
(1%) Per esempio nella lettera del 6 aprile 1869 (AS 126.2): « I o sono un prete
sciagurato! Io avrei bisogno almeno per qualche anno di essere posto in fondo ad una
spaventosa prigione D. Ndl'altra del 23 agosto '69: Ecché? vi sarà nelle nostre case, sP@
ciahnente in cotesta di Torino, balsamo ad ogni piaga, sollievo ad ogni miseria, conforto ad
ogni tribolazione, e a me solo, che da tanto tempo invoco pietà e misericordia, non altro
che dinegazioni e rifiuti? Questo mi è troppo doloroso! Mi si vuol far passare una vita
infelice, si vuole assassinare l'anima mia!!! ».
(159) LINGUEGLDIA. ,BOSCO e il Papa, p. 20.
(l@') Ci. sopra, nota 147. Su castità e consacrazione, MB 13, p. 799.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Salvatore: mundus totur in maligno positus est. Oltre ai giudizi perversi che
fa delle cose di Dio, spesso ingrandisce le cose, spessissimo ne inventa a
danno altrui. Ma se per avventura riesce ad appoggiare il suo giudizio sopra
la realtà, immaginatevi che rumore, che strombazzare » (l6'). Tanto più fon-
dati erano i timori di Don Bosco, in quanto l'Oratorio era una casa aperta, una
casa che poteva dirsi di tutti, le cui vicende potevano essere conosciute e
divulgate da chi la frequentava in grazia ai giovani che vi erano ospitati.
o potevano essere apprese da chi per ragioni di affari entrava nei laboratori
o nella libreria.
La ragione di tanta insistenza è da ricercare soprattutto nel fatto che
Don Bosco dava somma importanza alla educazione religiosa e morale. Se
custodiva gelosamente i valori morali nei giovani, a maggior ragione doveva
desiderarli in chi lo coadiuvava nell'educazione della gioventù.
Don Bosco ne avverte il rapporto necessario e dichiara anche una certa
proporzionalità tra moralità dei soci salesiani e moralità degli allievi: « La
moralità tra gli allievi progredisce in proporzione che essa risplende nei Sa-
lesiani. I giovanetti ricevono quello che loro si dà; e i Salesiani non potranno
mai dare agli altri quello che essi non possedessero » (l"). E per moralità
- come notammo - egli intende, secondo il linguaggio del tempo che ha
assimilato, ora in genere valori etici, ora in specie la modestia, la pudicizia, la
verecondia, la verginità, la castità d'animo e di corpo, di pensieri e di
azioni
11 rapporto educativo esige qualità solide negli educatori. In Congre-
gazione Don Bosco sa trovare un posto a .individui che non hanno prestigio
sui giovani o che non hanno molta pazienza. Tiene presso di sé Don Gioa-
chino Berto quale fedelissimo segretario e instancabile scrivano, ma è ri-
soluto nel non accettare e nel dimettete chi si manifesta debole in fatto di
castità. H a reazioni istintive, quasi violente: « Piuttosto che si commettano
di questi peccati neIl'Oratorio, è meglio chiudere la casa » (lM). Reagisce
quasi come chi si sente personalmente assalito da un assassino: <( Se non fosse
peccato - dice degli scandalosi - li strangolerei con le mie mani » (l6').
Si sveglia di soprassalto, quando avverte in sogno peccati contro la modestia
e ne rimane scosso per giornate intere.
Libero da carica emotiva, ma carico di decisione, egli esprime la sua
volontà nei primi tre articoli delle Costituzioni salesiane sul voto di castità:
« 1. Chi tratta colla gioventù abbandonata deve certamente studiare di arric-
chirsi di ogni virtù. Ma la virtù che deve essere maggiormente coltivata, seinpre da
(l6') Lettera circolare ai Salesiani, 5 febbraio 1874, in MB 10, p. 1005 S.
(1") Capitolo generale della Congregazione salesiana da convocarsi in Lanzo nel pros-
simo settembre 1877, Torino, tip. Salesiana 1877, p. 8 (in AS 133 Capitolo generale: minuta
autogr. di DD). Il testo passò integralmente neUe Deliberazioni del Capitolo generale. . .,
Torino, tip. e lihr. Salesiana 1878, p. 50. Cf. anche MB 13, p. 247.
(1s)Cf. sopra, cp. 11, p. 253 S.
(l*) MB IO, p. 37.
('65) MB 5, p. 64.
aversi imanzi agli occhi, la virtù angelica, la virtù fra tutte cara al Figliuol di Dio,
è la virtù della castità.
2. Chi non ha fondata speranza di poter conservare, col divino aiuto, questa
virtù nelle parole, nelle opere, nei pensieri, non si faccia ascrivere a questa Congrega-
zione, perché ad ogni passo egli sarebbe esposto a grandi pericoli.
3. Le parole, gli sguardi, anche indifferenti, sono talvolta malamente interpre-
tati dai giovani, che sono già stati vittima delle umane passioni. Perciò si dovrà usare
massima cautela discorrendo e trattando di qualunque cosa con giovani di qualsiasi
età e condizione » (l").
Quando trattava della vocazione Don Bosco tesseva il discorso attorno
all'immagine del mare in tempesta e delle acque del diluvio. Nel pelago del
mondo la vita religiosa era iin'arca di s~lvezza.Ma in tema di castità l'im-
magine non ricorre, perché inadeguata. Chi s'imbarca nella Congregazione
Salesiana e non ha la castità a tutta prova si troverà in pericolo; è meglio
che scenda, perché la nave non è fatta per lui.
Non è da dimenticare la dinamica psicologica dei giovani che allora
popolavano le case salesiane. Erano giovani di fondo religioso ed etico tra-
dizionale, ma che allora veniva esposto agli impulsi della decompressione.
Erano giovani della classe popolare in movimento per il flusso migratario,
per l'inurbamento, per la elevazione sociale, per la evoluzione delle stesse
concezioni sessuali, sotto la pressione della propaganda più disparata e più
o meno dissolvente il costume tradizionale. Tale temperie non poteva non
incidere sugli stessi Salesiani, ch'erano ugualmente figli del popolo.
I n tema di castità l'animo di Don Bosco appare in tensione tra prin-
cipi e sentimenti posti in contrasto dalla vita quotidiana. Ciò, appare anzi-
tutto in rapporto ai giovani. Sul Giovane provveduto aveva loro dichiarato
che li amava tutti di cuore. Dal 1847 fino alle ultime edizioni egli mantenne
questi termini ('O). Li adoperò anche in qualche lettera('"). Rappresentava
ai giovani Gesù che accoglieva i fanciulli « l i chiamava a sé, li baciava e
dava loro la sua benedizione (l"). Ma I'idealizzazione nella situazione con-
creta si attenuava. Don Bosco non si permise né mai permise baci e abbracci
ai giovani educandi (l"). A loro dichiara che li ama tutti allo stesso modo,
(1") Gli articoli nella sostanza si trovano già nella più antica redazione delle Regole:
ci. AS 022(1), p. 12. Alcune varianti di qualche rilievo. « 2. Chi non è sicuro di conservare
ouesta virtù .1.. .-l. 3. Perciò massima cautela nel discorrere o trattare con giovani di qual-
siasi eta o condizione P.
(167) [Bosco], I1 giovane provveduto, Torino 1847, p. 171. Nell'edizione 1863 e nelle
successive si legge: «io vi amo di tutto cuore ».
1\\ 169,1 C f a-d. ~esemoio la lettera comolimentosa e affettuosa a Giuseppe Roggeri, da
Torino, 8 ottobre 1856 (Epistolario 146).
(169) [BOSCO], Il giovane provveduto, ed. c., p. 11.
(170) Cf. voce bacio in Indice MB p. 30. E i paragrafi Moralità tra i Soci Salesiani,
Moralità tra gli allievi nel Capitolo genera!c della Congr. Sal. da convocarsi in Lanzo nel
Drossimo settembre 1877, D. 7-9: Deliberazioni, p. 44-47; 50-53. Ivi è rispecchiata la disci-
plina ormai richiesta daila vita comunitaria collegiale.

21.9 Page 209

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Don Bocsocmoenelllea sdtoitraia ddeelllalarelmigiaonsio. cLat'taollticear.nVaorleII.dSitelalallegria scherzosa a discorsi somma-
mente seri; l'alternare ricreazione, lavoro e preghiera, il tessuto stesso delle
« buonenotti » manifestano l'educatore di equilibrio e di grande ascendente.
Ma quando si rivolge ai Salesiani, allora egli teme. Pare che pren-
dano in lui il sopravvento le considerazioni che da seminarista lesse sul
Foresti:
Otia, segnities, somnus, caro, faemina, vinum
Prosperitas, ludus, carmina, forma, puer(l7').
Ai Salesiani dichiara che « la gioventù è un'arma pericolosissima del
demonio contro le' persone consacrate al Signore ».)'7I( Teme di essere frain-
teso e che per amorevolezza si intenda sdolcinatezza e tenerezza morbosa.
Ne1 '75 dichiara che fino allora non aveva immaginato che potesse esistere
un grave pericolo per la castità di chi esercita l'arte di educare e vive con-
sacrato a Dio:
«Non basta fuggir la famigliarità con persone d'altro sesso, i pranzi, le conver-
sazioni, ecc. Io dico che dobbiamo anche fuggire la famigliarità con le persone d'ugual
sesso, e prima di tutto, tra voi medesimi confratelli mai amicizie tenere [.. .l
Io son venuto fino all'età di 50 anni senza conosccre questo pericolo e pur troppo
ho dopo d'allora dovuto convincermi che questo gravissimo pericolo c'è: e non solo
c'è, ma è instante, e tale da metterci molto in guardia D ('73).
Dunque l'insistenza di Don Bosco è motivata soprattutto da esigenze
educative. Queste esigenze ai termini della letteratura «aloisiana» e a
quelli di S. Alfonso e del Rodriguez danno un senso nuovo e specifico. Que-
ste spiegano anche quanto ai Salesiani Don Bosco dichiara sulla castità:
« Cib che deve distinguerci fra gli altri, ciò che deve essere il carettere della no-
stra Congregazione è la virtù della castità » ('7').
« Cib che deve distinguere la nostra Congregazione è la castità, come la povertà
contraddistingue i figli di S. Francesco d'Assisi e l'obbedienza i figli di Sant'Igna-
zio (1").
Riguardo alle donne si constata in Don Bosco una tensione analoga a
quella riscontrata rispetto ai giovani. Nella sua vita il rapporto più con-
sueto, più caro e più sacro era stato quello con la madre. E questo il rap-
porto nel quale appare muoversi agevolmente. Egli sente con delicatezza
d'animo gli obblighi che ha verso donne (siano più anziane o più giovani di
(l7') Cf. il nostro voi. 1, p. 73
(ln) MB 9, p. 922.
P. (174 MB 12; 29.
(l7') Testimonianza di Don Giulio Barberis in Taurinen. beatifcationis et canonizationis
servi Dei loannis Bosco.. . Positio stqer introductiorre causac, Romae 1907, p. 714, cf. anche
MB 12, p. 224 S.
lui) che nel corso della sua vita lo hanno aiutato; ricorda con riconoscenza la
signora Lucia Matta che l'ospitò negli anni della sua adolescenza a Chieri
Ospitò a Valdocco mamme di chierici e di sacerdoti; usò termini sobri di
affetto filiale nelle lettere alla contessa Callori, alla marchesa Fassati, alla
contessa Uguccioni, a Susanna Prato e a varie altre (ln).
Nelle donne apprezzò la dedizione alle opere di carità e la fede. Non
volle che si facesse ironia sulle cosiddette beatelle('78). Trattò come una
sorella - testimonia Don Lemoyne - Anna Moglia, colei che da bimba non
aveva voluto custodire allorché era garzone e che non volle avere a fianco
come madrina quando a Moncucco tenne a battesimo Giovanni Luigi, l'ul-
timo nato di Nicolao e Dorotea Moglia (l"). Al colle nativo non ebbe ac-
canto una sorellina. L'avrebbe avuta, di nome Teresa, nata dal primo matri-
monio di Francesco Bosco il 16 febbraio 1810 e morta due giorni dopo. Se
l'avesse avuta, la sua psicodinamica affettiva certamente ne avrebbe risentito.
Ebbe vicino coetanee, come Rosa Febbraro, che al Sussambrino prese cura
delle mucche mentre lui assorto stava a studiare(lW). Da adolescente visse
sotto l'occhio della mamma timorata e con nel cuore già la vocazione al sa-
cerdozio.
Con le donne il suo contegno fu sereno, adeguato ai costumi del tempo,
per istinto e per educazione attento ad allontanare qualsiasi appiglio a inpres-
sioni maliziose (l8'). Il nucleo temperamentale e la dinamica della sua per-
sonalità sono testimoniati, tra l'altro, da scatti improvvisi e d a gesti calcolati.
Balza in piedi quando una ragazza-barbiere sta per insaponargli il viso invece
del capo-bottega e s'impazientisce con il salesiano che non sa proteggerlo nella
marea della folla, elude l'invito a montare in carrozza a fianco di u i a signora (la).
Con le Figlie di Maria Aosiliatrice e con le oratoriane dimostra delicatezza,
parole serie o di celia dette con quel tono quieto e ponderato che gli era
abituale. Testimoni superstiti ricordano che a Chieri Don Bosco s'intratteneva
con le oratoriane in cortile con motti di spirito e con paroline sulla salvezza
dell'anima per tutte e per qualcuna in particolare, così come usava fare con i
ragazzi d i Valdocco.
(176) M 0 p. 47 s; DPSKAMAULeTs, Memorie I de Giovanni Battista Lemoync . . .,
Lyon 1962, specialmente p. 296 S.
(in) Si vedano l'indice MB e quello dell'Epistolario alle rispettive voci.
(178) MB 2, p. 146 S.
(179) MB 1,p. 208, e il nostro vol. I, p. 34.
(180) MB 1, p. 238.
(181) Per iumeggiare il costume locaie dell'epoca ocmrierebbe percorrere biografie, car-
teggi, diari, memorie. Tra i proai agiografici che si avvicinano a quello di DB merita atten-
zione quello di Don Cafasso in N1cor.1~DI ROBILANVTit,a, 1, p. 148-160. Sul sereno compor-
tamento di DB con le nipoti cf. G. MAINETTMI,adre Etilalia Bosco pronipote del Santo, Colle
Don Bosco 1953, p. 10-39.
(182) MB 5, p. 161s. Vari aneddoti in Taurinen. beatificationis et canonizationis . . .
l
Positio rrrper introductione causae, Roma 1907, p. 674728 e in LEMOYNVEi,ta d i Sun Gio-
1
l
vanni Bosco, 2, Torino 1943, p. 206.209. L'episodio della ragazza barbiera venne riferito da
Don Angelo Savio c riportato in BONETTI, Annali 11, p. 36 s (AS 110 Bonetti 3).
l

21.10 Page 210

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Traspare comunque una certa apprensione che facilmente agendo sul
nucleo religioso suscita la preghiera o il proposito. Su di un segnacolo del
breviario portava scritto il monito: « Longe fac a muliere viam tuam et ne
appropinques foribus eius » (la3). Fu udito bisbigliare: « Pepigi foedus cum
oculis meis » (lw). Ricordava la vecchia sentenza letta sul Foresti: « Abstrahe
ligna foco si vis extinguere flammam » (ls5) e ancora nel 1881 recitava come
ammonimento un sonetto appreso in Seminario: Donne e danno (la6)).
Ancora una volta potrebbe venire il sospetto che in questo campo le
movenze di Don Bosco siano frutto di una spiritualità giansenista. Certamente
non è da escludere l'apporto del giansenismo, ma non bisogna dimenticare
le origini più rem9te di costumi e di mentalità relative alle donne. È fuori
di dubbio che in Don Bosco ebbero risonanza più cosciente appunto elementi
per nulla di derivazione giansenista, ma che con il giansenismo hanno in co-
mune solo il fatto che manifestano lo stesso tipo di reazioni all'umanesimo
« paganeggiante » in clima di Controriforma.
In materia di povertà ci si manifestano sia gli elementi nativi di Don
Bosco, sia l'incidenza sul suo spirito del sentirsi strumento nella realizzazione
dei disegni divini. Persistente affiora anzitutto la tendenza al risparmio e
alla sobrietà. Se da giovane conobbe le strettezze della vita, da sacerdote egli
poté apparire un risparmiatore ali'eccesso nei propri riguardi. Si diceva che
andava vestito come un povero cappeiiano, con abiti lindi ma pertinacemente
rattoppati e calzature portate fino al limite deil'estrema consunsione (l"). Ciò
spiega come mai Don Bosco tendesse ad avere Salesiani che si contentassero
come lui di minestra riscaldata e di campionari di vino miscelati. « Speravo
- ebbe a dire - che nella mia casa tutti si sarebbero contentati solo di mine-
stra e pane, e al più di una pietanza di legumi. Vedo però che mi sono ingan-
nato. I1 mio ideale era una Congregazione modello di frugalità, e che tale
avrei lasciato alla mia morte, quella che pensavo di fondare » (Ia).
I1 senso di sobrietà acquisito nell'educazione familiare dà forza alla
rappresentazione ch'egli si è fatta del sacerdote ricco o attaccato al denaro
e del religioso cui non manca nulla. Egli conosce le dicerie (spesso fondate)
a carico di preti e frati; la sua mente inoltre e il suo discorso vanno ai motivi
(lg3)MB 2, p. 524.
('N) MB 5, p. 165.
MB 7, p. 82.
(I8) Taurinen. beatilicationis et crrnonirationir. . ., p. 708 (testimonianza di
Cerruti).
(ls7) i2 m a delle testimonianze che ritornano frequentemente al processo di beatifi.
cazione. Cf. ad esempio Taurinen. beatifktionis et can~nizationi.~.,. p. 679; 681; 685; 687;
689; 693; 699; 705.. .
(la) MB 4, p. 192.
412
deli'ascetica cristiana sulla povertà evangelica. Non è come Francesco d'Assisi
che ha rinunziato a tutto per sposare madonna Povertà. E tuttavia come
Francesco in fatto di ricchezze vuole libertà di spirito, vuole ciò che la lette-
ratura ascetica del tempo chiama distacco dai beni terreni.
Ed ecco allora operare in lui la tensione tra il senso personale di distacm
e la necessità di mezzi per incrementare le opere provvidenziali di cui si
sente strumento.
Don Bosco non è come il Cottolengo: non butta daiia hnestra le monete
superstiti in modo da provocare la Provvidenza. Egli piuttosto vorrebbe che
la fontana che stava nel cortile dell'oratorio erogasse marenghi d'oro: avrebbe
saputo cosa farne. Però il Cottolengo non gettava tutti i momenti monete
dalla finestra,. Lo fece per insegnare agli astanti la fiducia nella Provvidenza.
Usciva per le vie di Torino, bussava alle porte dei facoltosi e delle autorità
pubbliche. Era normale che facesse cosi ed agisse come se tutto dipendesse
da Dio, ma anche come se tutto dipendesse dalla propria industria (la9). Era
quindi normale che anche Don Bosco si mettesse sulla via di Giuseppe Cot-
tolengo, la cui Piccola Casa della Provvidenza stava a fianco deli'oratorio
come stimolo e motivo di emulazione. Don Bosco quanto al denaro manifesta
la medesima tensione di spirito del Cottolengo: averne il puro necessario
per sé, ma tutto il possibile per allargare l'oratorio, incrementare la Congre-
gazione e le possibilità educative.
. Per il cristiano Don Bosco aveva scritto: «Non sei al mondo solamente
per godere, per farti ricco. . ma il tuo fine si è di amare il tuo Dio e salvar
l'anima tua » (lgo). Ammetteva implicitamente che godimenti e ricchezze pote-
vano essere &i onesti. Al salesiano dice che non ha abbracciato~la'&a reli-
giosa per trovare godimenti e agiataze, ma per imitare Gesù Cristo, nato
in una mangiatoia e morto nudo in croce. Gli elementi per formare la co-
scienza di religioso povero e distaccato dai beni terreni provengono, ancora
una volta da Alfonso de' Liguori e da Alfousa Rodriguez e dalle Regole della
Scholae Chavitatis. Ma in più c'è il senso di strumentalità del danaro e di
qualsiasi altro « bene terreno » in ordine ai fini della Congregazione e per-
ciò, in ultima analisi, in ordine ai fini preordinati da Dio per la sua gloria
e il bene delle anime: « Ricordatevi - e& avverte - che quello che abbiamo
non è nostro, ma dei poveri: guai a noi se non ne faremo buon uso » (I9').
Da tale senso di religiosa funzionalità deriva anche una modulazione specifica
(1s) Sulla « divina Provvidenia n nella spiritualità del Cottolengo cf. Vincenzo DI ME0,
La spiritualitd di S. Giuseppe Benedetto Cottolcngo studiata nei suoi scritti e nei processi
canonici, Pinerolo 1959, p. 147-190.
(1%) [Bosco], I1 giovane provveduto, Torino 1847, p. 32: meditazione sul fine del-
l'uomo. Proviene da S. Alfonso, Mas~imeeterne; ma l'avverbio solamente non si trova sul
testo alfonsiano: «Non sei nato né dei vivere per godere, per farti ricco e potente, Per
mangiare, per bere e dormire come i bruti: ma solo per amare il tuo Dio e salvarti in
eterno », in Opere ascetiche, 2, Torino, Marietti 1846, p. 473.
(191) MB 5, p. 682.
413

22 Pages 211-220

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22.1 Page 211

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
ai termini ascetici tradizionaii di fiducia nella provvidenza, conformità ai divini
voleri, distacco sincero pronto e totale dai beni terreni.
Sembra che nelle mani di Don Bosco il denaro scotta. Non vuole che
ristagni. D'altronde egli non ha bisogno di struggersi per sapere come utiliz-
zarlo, perché ha sempre un numero d i giovani superiore al bilancio amministra-
tivo della casa e della Congregazione, e inoltre ha già iniziato istituti e costm-
zioni che da tempo hanno assorbito quanto aveva previsto di poter ottenere
dalla beneficenza pubblica e privata. Lanciandosi sempre in una xr,aggiore
quantità di opere in parte agisce per temperamento in parte per convinzione
religiosa. Non vuole denari in mano. Gli prudono. Per i Salesiani ne fa un
principio: « La cohservazione di stabili fruttiferi è un'ingiuria che si fa alla
Divina Provvidenza che in modo maraviglioso e dirò prodigioso ci venne costan-
temente in aiuto » (l9'). E poteva ben dirlo in tempi in cui lo stadio sociale
tra capitalismo e socialismo dava larga possibilità, ancora, alla beneficenza
privata: questa non sarebbe mancata. Don Bosco ha il senso dell'opinione pub-
blica, perciò non vuole nulla che possa offendere l'animo dei benefattori.
« Nel permettere costruzioni o riparazioni di case si usi gran rigore nell'im-
pedire il lusso, la magnificenza, l'eleganza » (lg3). Lamenta che la parvenza di
lusso in qualche circostanza ha diminuita la generosità di chi voleva donare.
Anche in materia di povertà le vicende della Chiesa suggeriscono argo-
menti di timore e di suasione. L'ombra di monasteri e conventi caduti In
rovina, perché datisi al lusso e all'ozio si profila anche suile case salesiane e
turba Don Bosco. La stariografia e la religiosità hanno stabilito un nesso tra deca-
denza e trasgressione deila povertà evangelica. Don Bosco con buon fondamento
pronostica: « Finché i Salesiani e le Figlie di Maria Ausilatrice si consacre-
ranno alla preghiera e al lavoro, praticheranno la temperanza e coltiveranno
lo spirito di povertà, le due Congregazioni faranno del gran bene; ma se per
disgrazia rallentano il fervore, e rifuggono dalla fatica, e amano le comodità
della vita, esse avranno fatto il loro tempo, incomincerà per loro la parabola
discendente, sbatteranno a terra, e si sfasceranno » (lg4). « Quando comince-
ranno tra noi le comodità e le agiatezze, la nostra Pia Società ha compiuto il suo
corso » (lg5).Perché allora è segno che i Salesiani hanno strumentalizzato per il
proprio comodo e non per l'esercizio della carità quanto loro inviava la Prov-
videnza.
1
e) I rendiconti
I rendiconti sono uno degli elementi che ci manifestano Don Bosco
all'opera per trasformare in istituzione religiosa quanto era stata sua esperienza
(l9') Testamento spirituale, MB 17, p. 258.
(lg3) MB 17, p. 258.
MB 10, p. 651 S.
('"1 Testamento spirituale, MB 17, p. 272.
("v). vissuta I rendiconti sull'andamento della propria vita religiosa al supe-
riore dovevano essere un frutto naturale e un postuiato della cosiddetta vita
di famiglia. Don Bosco lo enuncia nell'introduzione alle Regole. Lo fa pouen-
dosi neii'ottica del superiore che deve disporre ogni cosa per il bene di indi-
vidui e dell'intera comunità: « La confidenza verso i propri superiori è una
delle cose che maggiormente giovano al buon andamento d'una congregazione
religiosa ed alla pace e felicità dei singoli soci » (l"). Ci si spiega come
mai, nello stesso tempo scrivendo le Meinorie delE'Oratorio ha cura di mettere
in rilievo come nella sua adolescenza si mise « tosto » nelle mani di Don Ca-
losso al quale fece conoscere tutto se stesso: « Ogni parola, ogni pensiero,
ogni azione eragli prontamente manifestata », sicché da queil'epoca Giovanni
Bosco cominciò a gustare che cosa sia vita spirituale » (lgs). Lo stesso egli
avrebbe potuto dichiarare quanto a Don Cafasso che fu per lui padre, direttore,
confessore e consigliere ispirato. Avere giovani che, come Domenica Savio e
Francesco Besucco non tenessero nessun segreto con lui e parlassero anche
della loro coscienza fuori di confessione poteva essere per lui educatore mas-
sima ambizione, suprema prova di fiducia e indice della comunione di vita
raggiunta. Era ovvio che potesse mirare a questo anche con i Salesiani. Nelle
più antiche redazioni delle Regole risulta codificata questa comunione di
pensieri e di affetti nel capo suli'obbedienza e nell'articoio sul rendiconto di
coscienza:
«Ognuno abbia grande confidenza col superiore, niun segreto del cuore si con-
servi verso di lui. Gli tenga sempre la sua coscienza aperta ogni volta ne sia richiesto
ed egli stesso ne conosca il bisogno » ('9.
All'Oratorio, dunque, venne a stabilirsi la seguente prassi. Don Bosco
era confessore abituale di quasi tutti, era il confidente si può dire di tutti e,
come superiore religioso, era colui al quale ciascun salesiano era disposto a
manifestare ogni cosa. La formula delle Regole ripeteva quella deile Scholae
Churitutis dei Cavanis P).I1 patrimonio dottrinale a sostegno del rendiconto
("6) Suli'argomentocf. Pietro B~OCARDDi~Oei,ionespiuitualc e rendiconto, Roma 1966.
(1") Regole, ed. 1877, p. 23. I1 paragrafo sui rendiconti è introdotto in questa edizione.
La minuta, AS 022 (101,1, è allografa, riveduta da Don Barberis, che vi fece aggiunte, e
quindi da DB.
1'95) M 0 o. 36.
jl99j AS 022(1), p. IO.
(m)Constitutiones C~ngre~ntionsioscerdotum roecularium Scholarilm Charitatis, cp. 4,
De voto obedientiae, art. 7, ed. c., p. 29: n Libera quisque sui ipsius, rerumque quibus
Mccloaanucsetuusmsttuo,mnielfcucceaorpinittsoc"litoeenndtdiaiimDdBqisupirodissepimteiocncpheroiapprriiolammcpottroerinseapncodnolda,eetsnoctdecdoderedi eeCa Sasvuaapenpeiresi:otrai«tior1.enlei[mn.q.ur.ae]td,dI1natihD.i.liv.ieDni.
Salvatore ci assicurò che egli non è venuto per fare la sua volontà, ma quella del suo celeste
Padre [...]. 5. Ciascuno adunque abbia il superiore in luogo di padre, a lui obhedisca
interamente, prontamente, con animo ilare e con umiltà. 6. Niuno diasi sollecitudine di do.

22.2 Page 212

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Don sBaolsecsoianneollaesrtoariaridceallvaarteoligidoasilRcaotdtorliicgau.eVzo,l IIc.hSeteltlaratta a lungo del conto di co-
scienza »(*"). Le motivazioni addotte dal Rodriguez per sostenerne la neces-
sità e l'utilità, erano riassunte da Don Bosco in cinque punti. l" I1 rendiconto
non è cosa nuova; 2" è utile all'anima del religioso per emendarsi; 3" è utile
per la purificazione ed emendazione dell'anima; 4" è utile alla stessa salute
fisica: i superiori useranno dei sudditi con avvedutezza affidando loro uffici
adatti alla capacità e anche adeguati alle propensioni. La quinta ragione, pur
derivando dal Rodriguez, rispecchia ancora più specificamente la natura della
Società Salesiana. L'apostolato salesiano fa sì che ci si trovi a camminare
<< super aspidem et hasiliscum ». A una vita di apostolato intenso - avverte
Don Bosco - deve corrispondere una solidità interiore non comune. Egli è
persuaso che a ciò serva quel complesso di risorse che è capace di fornire
una « vita contemplativa ». Conseguentemente egli trova utile e necessario
surrogarvi una massima confidenza tra superiori e sudditi, « p e r il hene della
Congregazione nostra. Specialmente noi che abbiamo poca vita contemplativa »
e che abbiamo da «insegnare, predicare, catechizzare, assistere, fare scuola,
nelle carceri, negli ospedali, nelle case di educazione D
Ma sul tavolo della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari il rendi-
conto di Don Bosco venne vivisezionato e scrutinato. Ormai la prassi romana
era d i non ammettere più nelle nuove congregazioni religiose il rendiconto di
coscienza. Tale orientamento era suggerito soprattutto dalla esperienza di
congregazioni femminili. La vita di clausura poteva comprimere pericolosa-
mente la personalità delle singole religiose. I1 rendiconto di coscienza alla
superiora avrebbe potuto suscitare enormi angustie spirituali in chi, con o
mandare cosa alcuna neppure di ricusarla.. .S. << 1. Dicente Christo Domino Salvatore
Nostro: non ueni facere uoluntatem meam: etc. libenter amnes sinceram ohedientiam pro
ejus amore profiteannir C,. .l. 2. Superiorem itnque, quicumque sit, veluti Patrem revereantur,
eique integre, prompte, hilariter, et cum humilitate debita ohediant D I.. .l. 6. Firma semper
pia consuetudine nihil petendi nihilque recusandi, si forte tamen quis arhitretur aliquid
sibi esse ve1 nocivum ve1 necessarium . . . n.
(M') Autogr. di DB, in AS 132 Prediche G 2. Cf. RODRXGLEIsEe~rc,izio di perfezione,
pt. 3, tratt. 7, cp. 1, 2, 3, ed. C,, p. 462-482.
DB inizia con brani del cp. 2 (Amicur fidelis. . .), quindi passa al cp. 1 (Re in Domino
considerata.. .). Dal cp. 1 provengono le motivazioni: 1. Una tal cosa quanto praticata dagli
antichi Monaci; 2. Quanto raccomandataci da S. Ignazio e quanto necessaria pel nostro
profitto; 3. Essendo massimamente interiore il nostro governo; 4. Senza questo i Superiori
non possono ben disporre di noi; 5. Né provvedere al
cessita che vi è nella Compagnia di questo rendimento
hene della
di conto di
Rceolsigciioennez;a.G...
Speciale
ne-
(m)RODRIGUEEZs,ercizio di perfezione, pt. 3, tratt. 7, cp. 1, n. 6, ed. C,, p. 466:
Se il nostro Istituto fosse di starcene rinchiusi nelle nostre celle, e d'andare ai Coro e al
Refettorio, non vi sarebbe necessaria tanta chiarezza né tanti rendimenti di conto di ca-
scienza; ma nella Compagnia, ove i sudditi s'accomodano e s'hanno ad accomodare, come
suo1 dirsi, a tante foggie di condirne, e tanto si hanno a fidar di essi i Superiori col mandarli
pel mondo, tra' fedeli ed infedeli, e alle volte soli e per lungo tempo, è necessario, che questi
sappiano molto bene che è in ciascuno, per non mettere in pericolo lui e la Compa-
gnia ».
senza fondamento, poteva temere oppressioni dispotiche, più che aiuto spiri-.
tuale, dalla superiora ('O3).
Tanto più che la dottrina comune sulla direzione spirituale insegnava
che al direttore dell'anima bisognava manifestate anche ciò ch'era per sé
peccato e materia di confessione. L'influsso francese portò a Torino un Ma-
nuale di pietà ad uso dei seminaristi frutto della scuola di Saint-Sulpice. Per
comprendere quanto vasta e quanto delicata fosse la materia da sottoporre
al direttore spirituale basta trascrivere qualcuno dei minutissimi suggerimenti
dati al seminarista. Al direttore di spirito anzitutto bisogna far conoscere le
azioni in generale:
a Per le azioni qui s'intendono l. le cattive, cioè i peccati mortali, i peccati ve-
niali e le imperfezioni. 2. le buone, sia ordinarie, che straordinarie. 3. le indifferenti,
come sono pranzo, cena, conversazioni, visite, passeggi ecc.
1. Riguardo al primo articolo [il seminarista] dovrà dire in quali mancanze ei
sia caduto, quali sono le più ordinarie: se si è fatto qualche premura per emendarsene,
di quali mezzi si serve a tal h e .
2. Quali siano le sue cattive inclinazioni, se per I'intemperanza, il giuoco, i'iite-
resse, la vanith, l'impurità, la maldicenza: e ciò ch'egli faccia per vincerle e distrug-
gerle.
3. Quale sia la passione predominante che più sovente lo spinge ad operare. . .
4. Quelle imperfaioni, che in sé riconosce, per esempio, di parlar troppo, di non
curanza de' suoi doveri, di giudicare troppo facilmente. .. D.
I n secondo luogo quanto agli esercizi quotidiani:
« l. Deve dire al suo direttore il seminarista, se sia solito alzarsi prontamente
dal letto, vestirsi modestamente e santamente; come faccia le sue orazioni, come si
prepari alla meditazione.. .
2. Come assista alla santa messa, quale attenzione vi arrechi. . .
3. Come impieghi il tempo delio studio, della scuola o deile conferenze. . .
4. Quale profitto riceva dall'esame particolare di coscienza. . . D (2M).
I l seminarista deve inoltre riferite suil'osservanza delle regole, s d i a pra-
1
tica e sulle disposizioni nell'accostarsi ai sacramenti, sulle varie devozioni, s u k
tentazioni, inclinazioni e opposizioni, sulle disposizioni e sugli impieghi.
l
Speciale materia è suggerita d a e n t r a t a in seminario, dall'epoca delle ordi-
nazioni, dalle vacanze, dagli esercizi spirituali e dai ritiri.
Direttorii dello stesso genere erano elaborati per religiose, per sacerdoti
e laici di svariate condizioni di vita.
La prassi romana ormai era orientata ad ammettere soltanto il rendiconto
(203) BROCARDOire,zione spirituale e rendiconto, p. 140-142, a cui si può aggiungere
Judn Maria LOZANOLa,s Consiituciones escritas por santa Maria Micaela de Santisimo Sacra-
mento oara rur « Adoratrices ». in Esclaua del Sacramento v de la caridnd santa Maria Micaela
~~
~
de S . Sacramento, Madrid 1966, p. 151-213.
( m )Manude di pietà ad uso dei seminarisii. . ., Torino, Marietti 18723, p. 260-264.

22.3 Page 213

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
obbligatorio su ciò che era di foro esterno e che poteva incidere sul governo
disciplinare della comunità religiosa
I1 tradizionale « conto di coscienza
era pensato come sostanzialmente ordinato alla perfezione cristiana individuale.
I n molte comunità, religiose o no, il compito della direzione spirituale (con
il connesso « conto di coscienza ») veniva affidato a una persona distinta dal
superiore disciplinare; l'uso di seminari, di istituti femminili e anche di sin-
goli fedeli laici, era che il direttore spirituale fungesse anche da confessore
ordinario (2ffi)Q. uesto f u appunto l'uso di Don Bosco, ch'ebhe come direttore
spirituale e confessore Don Cafasso, e questo fu anche I'uso di chierici, sa-
cerdoti e laici all'Oratorio prima e dopo che venisse costituita la Società di
S. Francesco d i Sales ('O).
A Roma, dunque, venne distinto il rendiconto di carattere disciplinare
da quello riguardante la direzione spirituale. Nonostante le chiarificazioni e le
resistenze di Don Bosco, l'articolo delle Costituzioni approvate rendeva anzi-
tutto il rendiconto non necessario, ne dichiarava l'utilità e ne indicava come
materia la « vita esteriore », « le infedeltà esteriori » commesse contro l e
Costituziofii, ed anche il «profitto nelle virtù ». Ma l'iniziativa era lasciata
al buor? giudizio del suddito:
« Ognuno - si diceva - abbia somma codidenza nel Superiore; sarà perciò d i
giovamento ai soci il rendere di tratto in tratto conto della vita esteriore, specialmente
ai primari Superiori. Ciascheduno manifesti ai propri Superiori con semplicità e spon-
taneamente le infedeltà esteriori commesse contro le Costituzioni, ed anche il suo pro-
fitto nelle virtù, affinché possa ricevere da loro consigli e conforti, e, se farà d'uopo,
anche le convenienti ammonizioni » (2").
(20s) L'articolo sul conto di coscienza progettato per le Suore Adoratrici nel 1861 a
Roma venne cosi trasformato: «Potranno manifestare alla Superiora il progresso che faranno
nelle virtù e le trasgressioni esteriori delle Costituzioni n: cf. Lozwo, Las Constituciones,
p. 169. I1 Riassunto delle osservazioni fatte dal consultore Bianchi nota: «La manifestazione
di coscienza (p. 13 [delle Regulae, ed. 18731 n. 6)prescritta non si ammette, tutto al più
può ammettersi facoltutiua [corsivi deli'originalel ma ristretta soltanto alla esterna osser-
vanza delle Costituzioni ed al progresso nelle virtù ». Cf. Torinese. Sopra l'approuazione delle
Costituzioni, p. 38, MB 10, p. 941.
(2u) Così nel Manuale di pietà ad uro dei Seminaristi, p. 253 s: « Quest'esercizio
della direzione spirituale consiste nello scoprire con tutta semplicità n quella persona che ci
siamo scelta, perché ci serva di guida nel cammino della salute e della perfezione, tutte le
nostre interne disposizioni, e tutta la nostra condotta, per metterla in istato di darci gli av-
l
visi che ci sono convenuti. Da questo si può hastantemente conoscere in che la direzione
spirituale differiscadalla confessione, sebbene per tutte due possa servire lo stesso sacerdote:
questa propriamente parlando non ha per oggetto
cizio della direzione ha per oggetto tutta la nostra
ccohendIo'attcac.u.s.a
dei
».
peccati,
mentre
I'eser-
(2'") Su Don Cafasso, scelto da DB a «guido nelle cose spirituali e temporali » cf. M 0
p. 120 e Indice MB p. 520.
(208) Regulae cp. 3, art. 4, originale approvato [AS 022 (M), p. 51: K I.. .l Superiorihus
suis unusquisque externas contra constitutiones infidelitates nec non profectum in virtutihus
simpliciter ac sponte aperiet, ut ah iis consilia et consolationes et si opus sit, convenientia
monita accipiat D. Edizione di Torino 1874, p. 11: « Superioribus suis unusquisque in consti-
tutioncs exteriora commissa, atque etiam profectum in virtutibus simpliciter ac sponte apeiiet,
418
Cassato lo statuto sul rendiconto di coscienza obbligatoria, Don Bosco
si studiò di istituzionalizzare quanto ancora gli era lecito e di modificare il
minimo possibile la prassi h o allora vigente tra i Salesiani.
Riguardo alla confessione sacramentale le Costituzioni approvate dispo-
nevano che ciascun socio si accostasse settimanalmente al sacramento della
penitenza « da confessori approvati dall'Ordinario e che esercitano quel mini-
stero verso i soci col permesso del Rettore » ('@). Nelle case salesiane I'uso
era che ci si confessasse dal direttore, idealmente sentito come il rappresen-
tante qualificato di Don Bosco e perciò come colui con il quale bisognava
usare la medesima confidenza che si aveva con il padre comune. A Roma, a
quanto pare, non si era preso i n considerazione tale costume. Ciò permise a
Don Bosco di ridare in qualche modo al direttore delle case quanto non gli era
stato concesso nelle Costituzioni. Con una semplice avvertenza aggiunta al-
l'Elenco dei soci del 1875 ciò che era consuetudine viene trasformato i11
norma:
« Pel buon andamento deiia Congregazione, per conservare i'nnità di spirito e
seguire l'esempio degli altri istituti religiosi è fissato un direttore o confessore stabile
per quelli che appartengono alla Società.
I n Torino: sac. Giovanni Bosco, supplente sac. Michele Rua. Nelle altre case: il
Direttore di ciascuna di esse, supplenti i1 Prefetto ecc. »
Rimaneva cosi in parte fissato ciò che Don Bosco aveva esposto a voce
negli esercizi spirituali del 1871:
« 1. 11 direttore è il confessore nato di quelli che appartengono alla congrega-
zione. Esso ha da Dio l'incarico di aiutarli nella vocazione. Anche per i giovani esso
è il confessore ordinario, per conoscere le vocazioni e per dar loro, se è possibiie, lo
spirito della casa. Si lasci piena libertà nella scelta del confessore, ma a lui si indiriz-
zino tutti coloro nei quali si manifestano indizi di vocazione t . . .l Nessuno tema di
confessarsi al direttore. Esso è un padre, il quale non può che amare e compatire i
suoi figli.
2. 11 Rettor Maggiore è il confessore straordinario. Quando fa visita ad una casa,
prima il direttore e poi gli altri memhri della Pia Società gli espongano lo stato della
propria coscienza: quindi ciò facciano i giovani. Però siano sempre i primi quelli che
appartengono alla Pia Società. Lo spirito della casa deve trasfondersi dal Rettore nei
Direttori e da questi negli altri. I l Rettor Maggiore in queste visite restringa sempre
i vincoli d'unione dei membri della casa col direttore. . . » (2").
eudt.a1h8u7s5,copn.si9liaee1t8c7o7n,sopl.at5io8nseis,peet,rmsieottpounsofuueltreirti,ocroi nlvibeenriteàn:tia«m[.o.n.iJtasaacràcippieartc»i.òLdei
Regole,
grande
giovamento ai soci il rendere di tratto in tratto conto deiia vita esteriore ai primari supe-
riori della Congregazione. Ciascheduno loro manifesti con semplicità e puontezza E = sponte!]
le mancanze esteriori commesse contro le regole, ed anche il suo profitto nelle virtù, affinché
possa riceverne consigli e conforti, o, se farà d'uopo, anche le convenienti ammonizioni ». La
versione che abbiamo dato nel testo è quella edita nel 1907, ed. bilingue, latina italiana, p. 97.
(Zm) Regulae, cp. 13 Pietatis exercitia, art. 2.
(2'0) Elenco generale della Società di S. Francesco di Sulcr, [Torino 18751, p. 14.
(2") MB 10, p. 1094.

22.4 Page 214

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Non tutto dopo l'avvertenza del '75 era mantenuto allo statu quo. La
confessione continuava ad essere in ordine all'assoluzione dei peccati. Probabil-
mente era anche sede e momento di direzione spirituale, secondo la consue-
tudine già invalsa. I1 rendiconto venne stabilito come obbligo mensile (212).
Don Bosco più volte avvertì che non toccava al direttore prendere l'iniziativa
quanto a materia di foro interno (213).I1 superiore poteva indagare su quanto
riguardava l'osservanza delle Costituzioni, ma doveva lasciare al confratello
l'iniziativa di spingersi su quanto riguardava il progresso o regresso neUe
virtù secondo uno schema in nove punti proposto in termini quasi di obbligo
nell'Introduiione alle Costituzioni i punti principali su cui devono versare
i rendiconti sono .'. . ») e poi nelle deliberazioni del primo Capitolo gene.
tale ,("'I. .
I1 fatto è che Don Bosco mirò costantemente a ottenere la massima aper-
tura dei suoi figli e sudditi. Come S. Francesco di Sales alle Suore della Visi-
tazione, cosi ai Salesiani Don Bosco suggerisce i sentimenti del bimbo che alla
madre mostra ((graffiature, livori e punture, che le vespe gli avessero fatto ».
Anch'egli proclama felici « quelli che praticheranna ingenuamente e divota-
mente questo articolo, il quale in sé ha una parte della sacra infanzia spiri-
tuale tanto raccomandata da Nostro Signore, dalla quale proviene ed è con-
servata la vera tranquillità dello spirito » (2'5). Egli si pone con preferenza dal
punto di vista dal superiore e padre. Tende a porre in evidenza i doni di
consiglio che il Signore d i ai superiori e mira a instillare nei sudditi il senso
della docilità e la fede che fa sentire nelle parole del superiore la voce di
Dio. Direzione e confessione vogliono condurre i dipendenti nel cammino
. i2I2) Introduzione alle Regole, ed. 1877, p. 23: « Si è perciò, stabilito che aimeno
una volta al mese ognuno conferisca col suo superiore.. n. Cf. anche Deliberazioni del
primo Capitolo generale, distinzione 3, cp. 2 Pratiche di pietà, art. 3, Torino 1878, p. 49 s.
(213) MB 11, p. 355: «Nei rendiconti pera si badi attentamente a non entrare in
cose di coscienza. Queste devono essere al tutto separate; il rendiconto si aggiri su cose
esterne, perche noi del rendiconto abbiamo bisogno di servirci in ogni caso, mentre, se si
entra in cose di coscienza, ci troveremo poi imhradiati, confondendo rendiconto e con-
fessione~.Cf. anche MB 17, p. 266.
i2") Deliberazioni del primo Capitolo generale, ed. C,, p. 49; Introduzione alle
Regole, ed. 1877, p. 24.
(2'5) Introduzione aUe Regole, ed. c., p. 24s: «Ogni mese ognuno scoprirà il suo
cuore sommariamente e brevemente a1 superiore, e con ogni semplicità e fedele confidenza
gli aprirà tutti i secreti con la medesima sincerità e candore che un fidiuolo mostrerebhe
. a sua madre le sue graffiature, livori e punture, che le vespe gli avessero fatto I . . .l Felici
saranno quelli. . ». - S. FRANCESCO DI SALES, Costituzioni per le Sorelle religiose della
Viritazione, cost. 24 Del conto d'ogni mese, in Opere, 5, Venezia 1769, p. 457 s: «Ogni
mese Ir Sorel!e scopriranno il loro cuore sommariamente, e brevemente alla Superiora,
e con ogni semplicità e fedele conhdenza gli apriranno tutti i segreti, con la medesimo
sincerità, e candore, che un figliuolo mostrerebbe a sua Madre le sue graffiature, livori o
punture, che le Vespe gli avessero fatte E.. .l. Felici saranno quelle, che praticheranno
ingenuamente e divotamente questo articolo, il qual in sé ha una patte della sacra infanzia
spirituale tanto raccomandata da Nostro Signore, dalla quale proviene, ed è conservata
la vera tranquillità dello Spirito D.
della perfezione secondo rapporti di paternità-figliolanza; mirano anche ai fini
societari che esigono unità di spirito e adeguato impiego delle farze di tutti
e di ciascuno.
Assommando nel direttore i compiti di confessore e di superiore reli-
gioso, veniva in pratica salvaguardata l'unirà desiderata. Ma che cosa sarebbe
awenuto quando la S. Sede avrebbe proibito ai superiori religiosi di essere
confessori ordinari dei propri sudditi? Come sarebbe stata salvaguardata l'u-
nità di spirito e di direzione? A chi sarebbe spettata la direzione spirituale?
o, per lo meno, a chi era conveniente che venisse affidata?
Sono problemi per i quali Don Bosco non prospetta soluzioni. Egli appare
preoccupato di salvaguardare la struttura centralizzata della Congregazione
e tende a mantenere quei costumi ch'erano nati dalla sua esperienza di edu-
catore a Valdocco. Il problema della direzione spirituale non risulta nemmeno
posto in termini adeguati. La terminologia è incerta. L'avvertenza del 1875
dichiara il direttore di ciascuna casa «direttore e confessore stabile ». Al
termine « direttore » non è aggiunto l'aggettivo « spirituale », forse perché
nella terminologia non del tutto fissa della Congregazione la qualifica «di-
rettore spirituale » designava ancbe il catechista dell'oratorio festivo, cioè
colui che, alle dipendenze del direttore, regolava gli esercizi di pieti dei gio-
In ordine alla pratica esistevano inviti espliciti e pressanti a confi-
darsi in tutto con il direttore della casa anche in vista del progresso individuale
nelle virtù. Ma non ci sono dichiarazioni suil'utilità oggettiva della direzione
spirituale e conseguentemente sull?utilità di un direttore spirituale, sia pure
non direttore della casa religiosa. I nove punti che dovevano essere oggetto
di rendiconto mensile potevano ben dirsi materia di direzione spirituale. Per-
ciò chi aderiva all'invito di Don Bosco poteva utilizzare ii rendiconto in ordine
al progresso e regresso della virtù, cioè in ordine alla direzione spirituale.
C'era anche possibilità di usare con ruolo complementare rendiconto e
sacramento della penitenza o addirittura c'era la possibilità di riservare la
direzione spirituale in actu confessionis. Senonché, a differenza di quanto
si constata nel già citato Manuale di pietà ad uso de' seminauisti la documenta.
zione della prima generazione salesiaoa non ha lasciato alcun direttori0 meto-
dico per la vita interiore individuale. L'influsso dei Gesuiti o della corrente
sulpiziana non era giunto a tanto.
f) Pratiche di pieth
La persuasione che la Società Salesiana doveva essere una congregazione
di tipo nuovo risalta, come abbiamo potuto constatare, da vari punti pro-
(216) Regolamento dell'Oratorio di S. Froncerco di Sales per gli esterni, pt. 1, cp. 3,
. . Torino 1877, p. 7: «Del Catechista o Direttore Spirituale. - 1. Al Direttore Spirituale
si appartiene l'assistere e dirigere le sacre Funzioni, perciò deve essere Sacerdote. ».
a Direttore Spirituale. era chiamaro anche il membro del Capitolo Superiore, che poi ebbe
il titolo di «Catechista generale P.

22.5 Page 215

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Don Bspoescttoicnie.llaOsrtoariapdoerltlaa realigrioilseitvàacralottolicla.cVoonlfIrI.oSntteollacon gli ordini e le congregazioni
religiose colpiti dalle leggi soppressive, ora il considerare che l'uomo di fine
Ottocento apprezza il lavoro, aspira al progresso delle classi popolari e guarda
con simpatia chi vi collabora. I Salesiani non sono votati alla preghiera in coro,
ma all'educazione soprattutto della gioventù. Come Congregazione che si de-
dica all'educazione dei giovani, la Società Salesiana non è fatta per accogliete
penitenti che intendono ritirarsi dai pericoli del mondo, ma per uomini di
solida virtù, specialmente in fatto di castità. I1 cilicio dei Salesiani sarà il la-
voro, la loro penitenza sarà il sopportare il caldo, il freddo, la fame, la sete,
le incomprensioni, la stanchezza (217).Devono essere disposti a qualsiasi lavoro
richiesto dalle finalità educative. L'apertura d'animo massima dei singoli al
Superiore per la Società Salesiana è un'esigenza fondata su ragioni simili a
quelle della Compagnia di Gesù. I1 Noviziato deve sperimentare nelle virtù,
ma soprattutto deve esercitate come educatoti.
Questa lucida consapevolezza già nelle redazioni più antiche delle Regole
s i traduce nella dichiarazione fondamentale sulle Pratiche di pietà:
«La vita attiva cui tende la nostra congregazione fa che i suoi membri non pos-
sono avere comodità di fare molte pratiche in comune: procureranno di supplire coi
vicendevole buon esempio, e col perfetto adempimento dei doveri generali del cri-
stiano » (2'8).
La compressione del salesiano sotto l'incalzare del lavoro porta per logica
di tatti una decompressione deUe cosiddette «pratiche di pietà » in comune.
Don Bosco aveva potuto conoscere quanto si faceva presso gli Istituti della
Barolo o presso il C~ttolengo; aveva l'esperienza del Seminario di Chieri,
quella del Convitto ecclesiastico torinese e del Clero diocesano locale. Ai
Salesiani egli vuole fissare il «minimo sufficiente » di pratiche in comune.
Anche in questo campo resiste tenacemente a ogni pressione fatta dall'esterno.
I1 P. Marcantonio Durando a Torino e altri censori a Roma non condividevano
tanta sobrietà di pratiche collettive e tanta genericità in quelle lasciate alla
responsabilità di ciascuno(2i9). Si temeva che ne scapitasse lo spirito del-
Regole, cp. 13, art. 13, ed. 1875, p. 39: «Ciascuno sia preparato, quando la
necessità lo richieda, a soffrire caldo, freddo, sete, fame, fatiche, disprazi, qualora questo
ridondi alla maggior gloria di Dio, ad utilità spirituale altrui, e alia salvezza dell'anima
',. n ~ ~ n>, ~ i l
L---C---
(21*) AS 022 (l), p. 15. I1 cp. sulle Pratiche di pietà è tutto agdunto da DB a questo
esemplare delie Regole scritto da Don Rua.
(21g) I1 P. Durando notava che le Regole presentate da DB non avevano un «me-
todo o piano » per formare alla pietà (MB 6, p. 724). I1 consultore P. Savini, carmelitano,
nel 1864 trovava insuiticienti e generici gli articoli 4 e 7 del cp. 14: « 4" Ogni giorno vi sarà
non meno di un'ora di preghiera tra mentale e vocale [...l. 8" Ogni anno ognuno farà
gli esercizi spirituali, che termineranno colla confessione annuale [. . .l. « Un'ora sola al
giorno di orazione tra mentale e vocale sembra poca, e sarebbe pur bene determinare il
numero dei giorni destinati agli Esercizi spirituali, che viene taciuto » (cf. MB 7, p. 626).
La redazione più antica delle Regole è ancora più parca: « 2. Ogni giorno vi sarà non
l'Istituto. I censori si muovevano da un'istanza fondamentale che Don Bosco
stesso d'altronde avvertiva ed esprimeva nell'Introduzione alle Regole: « Sic-
come il cibo alimenta il corpo e lo conserva, così le pratiche di pietà nutri-
scono l'anima e la rendono forte contro alle tentazioni » (?"). Antica convin-
zione che egli aveva in qualche modo manifestata sul Giovane provveduto:
« Siccome poi il nostro corpo senza cibo diviene infermo e muore, lo stesso
a-v. viene- dell'anima nostra se non le diamo il suo cibo. Nutrimento e cibo
dell'anima nostra è la parola d'Iddio . . .
I n concreto quelle stesse pratiche del buon cristiano in uso in Piemonte
e raccolte nel Giovane puouveduto divengono pratiche per i Salesiani. Ai
aoiovani degli oratori che si fermano con lui Don Bosco non fa avvertire in
questo nessuna scossa: il Giovane provveduto, « metodo di vita » e raccolta
di pratiche'di pietà, rimaneva manuale di pietà anche per loro Salesiani. Gio-
vani abituati alle preghiere del mattino e della sera in uso nelle proprie par-
rocchie, venuti in casa di Don Bosco non dovevano impararne altre proprie
delle sue istit ioni.
Nella fase di origine le pratiche di pietà proprie dei Salesiani erano
pertanto quelle stesse che facevano i giovani: l'esercizio del buon cristiano
tutti i giorni (preghiere del mattino e della sera, preghiera prima dei pasti e
del lavoro, rosario, Angelus. . .), confessione e comunione settimanali, eser-
cizio mensile della buona morte, esercizi spirituali annuali.
Si avverte tuttavia come già dai primordi il complesso di pratiche dei
religiosi salesiani subisce l'influsso delle istituzioni educative loro proprie.
I1 collegio porta a fare varie pratiche in comune con i giovani: con loro si fanno
le pratiche del mattino e della sera, con loro si « ascoltano » le ,messe quoti-
diane e domenicali, con loro si compie l'esercizio della buona morte. I1 tempo
degli esercizi spirituali annuali è condizionato dalle vacanze scolastiche di
autunno; tempo degli esercizi è perciò ordinariamente il mese di settembre.
I n seguito, dopo il '70 quando la Congregazione si dilata fuori del Pie-
monte, incide anche la tendenza alla coesione. I1 Capitolo Superiore e i Capitoli
generali si preoccupano di volta in volta di stabilire elementi che determinano
l'unità anche nella preghiera vocale e mentale. Vengono stabiliti testi di medi-
tazione, di esercizi spirituali, di predicazione, di ore di adorazione, di cate-
meno di [non menu di è aggiunto in sopralineal mezz'ora [dopo mezz'oia 2 cancellato
alneno] di preghiera [dopo preghiera è cancellato vocale] mentale o almeno vocale, ad ecce-
zione che unouzsia impedito dali'esercizio del sacro ministero D. E non si aggiungeva altro.
L'esemplare presentato a Roma invece continua: «Nel quale caso supplirà colla mag~iorfre-
quenza di giaculatorie, ed indirizzando a Dio con maggior intensità d'affetto quei lavon che lo
impediscono dagli ordinatii esercizi di pietà». La più antica redazione non aveva norme
sugli esercizi spirituali annuali. I1 consultore Raimondo Bianchi nel 1873 non trovava, op
portune facoltà concesse al Superiore generale circa la durata degli esercizi spirituali cf.
Torinese. Sopra l'approvazione delle Costituzioni, p. 36.
(20) Introduzione alle Regole, ed. 1875, p. 32. La minuta è tutta autog. di DB: cf.
AS 022 (101), p. 10.
(21) [Bosco], Il giovane provveduto, Torino 1847, p. 18: Lettura e parola d'Iddio.

22.6 Page 216

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Don Bocshceosinella stoIr1ia Cdeallpairteolligoiosgienceartatolelicad.eVl o1l I8I.7S7tellea l'Introduzione alle Regole specifi-
cano un direttori0 per
provveduto, tradotto in
l'esercizo
francese e
mensile della buona morte.
spagnolo, viene portato anche
iIn1
AGmioevriacnae.
I Salesiani irradiano, con il proprio sistema educativo anche un proprio com-
plesso di orazioni, di pii esercizi e pie usanze. Sulla preoccupazione primitiva
di adottare gli esercizi comuni del buon cristiano prevale l'altra, divenuta
più consapevole, di mantenere unità di vita spirituale. Siamo nell'epoca in
cui Don Bosco avverte fortemente il problema dell'unità e sotto la spinta di
preoccupazioni anche ambientali crea l'Unione dei Cooperatori con il motto
Vis unita fortior.
Avviene così la differenziazione dei Salesiani da altri istituti in grazia
anche al complesso di pii esercizi e di devozioni adottate e propagate. Essi
divengono apostoli non solo del culto al Cuore di Gesù e a S. Giuseppe, ma
anche in particolare di quello dell'immacolata e Ausiliatrice; non soltanto
stabiliscono la messa quotidiana nei collegi, ma anche il rosario durante la
celebrazione del sacrificio eucaristico; non soltanto sono promotori del ritiro
mensile, ma anche più propriamente dell'esercizio della buona morte.
Avviene in tal modo un movimento inverso nel rapporto tra Salesiani e
pratiche di pietà del buon cristiano. La dove vanno, i Salesiani non apprendono
facilmente, ma facilmente portano «pratiche di pietà », istituiscono compagnie
religiose, associazioni di devoti di Maria Ausiliatrice e promuovono il mese di
maggio, la cui chiusura viene fatta coincidere con la festa di Maria Auxilium
Christianorum. Anche nell'oratorio festivo essi insegnano gli atti prima e
dopo la comunione eucaristica appresi in Piemonte o, comunque, in casa sa-
lesiana Dovunque, in seno alla comunità religiosa salesiana, portano il
medesimo metodo per l'esercizio mensile della buona morte, per la medita-
zione e per gli esercizi spirituali.
Vari fattori che nell'ottocento favorirono il pullulare di devozioni extra-
liturgiche ebbero incidenza anche sulle manifestazioni di preghiera dei figli
di Don Bosco. Sotto questo aspetto i Salesiani sono vicini, più che ai Beue-
dettini, agli Ordini mendicanti e alle Congregazioni religiose post-tridentine.
I Domenicani promossero il rosario alla Vergine, i Mercedari il culto alla
Madonna della Mercede, i Servi di Maria quello alla Vergine Addolorata, i
Redentoristi, alla Madonna del Perpetuo Soccorso. I Gesuiti con gli esercizi
( m )Deliberazioni del secondo Capitolo generale. . ., Torino 1882, p. 67.69.
Così gli Atti prima della Comunione tradotti in francese e spagnolo sono quelli
insegnati dal Catechismo di Torino: «Mori seigneur Jtsus-Chmst je crois dtnefoi très
. . . vive que vous etes réellement présent ao saint Sacrement, avec votre corps, votre sang,
votre ame et votre divinité » (Bosco, La jeunesse instruite, Turin-Paris 1876, p. 144);
. . . «Seiior mio Jesucristo creo con viva fe que est& realmente presente en e1 Santisimo
Sacramento, con vuestro Cuerpo y Sangre, con vuestra Alma y Divinidad » (ID., E1
ioven inrtruido, Turin, Nice, Buenos Ayres, Montevideo 1879, p. 124). Il Capitolo gene-
rale secondo prescrive esplicitamente: «Le preghiere prima e dopo la Comunione si
continuino a fare in comune, come trovansi n d Giovane provveduto » (Dcliberazioni, ed c.,
p. 60).
spirituali promossero l'esercizio della buona morte, devozioni agli Angeli
Custodi, a Luigi Gonzaga, a Giovanni Berchmaus. Gli elementi dogmatici e
socio-religiosi che portarono alla fondazione e dilatazione di culti privati e
devozioni personali o popolari agirono anche sull'impostazione della pietà sa-
lesiana che si sviluppava su base liturgica, ma con larghissimo complemento
devozionale, in tempi di trasformazione sociale, di decadenza della liturgia e
di poca adesione della vita cultuale privata alla parrocchia. In più, sia su
Don Bosco che sui suoi figli, agi il medesimo moto psicologico che caratterizzò
la differenziazione devozionale di Ordini e Congregazioni('"),. Don BOSCO
inviò missionari e missionarie anche con il compito di diffondere il culto al-
12Ausiliatrice(22s). Senti se stesso e i suoi quali strumenti di tale devozione.
Questo culto d'altra parte, con il complesso di quelle « pratiche » che breve-
mente stiamo descrivendo, doveva essere elemento differenziatore dei Sa-
lesiani dagli altri; doveva essere garanzia dell'omogeneità dell'organismo spi-
rituale salesiano nel mondo, segno che Don Bosco e i suoi figli avevano una
funzione propria nella vita spirituale e devozionale della Chiesa.
Tra le pratiche di pietà salesiana, o!tre all'esercizio della buona morte
meritano un'attenzione particolare gli esercizi spirituali.
I n Piemonte a Restaurazione avvenuta si fece sentire forte la presenza
dei Gesuiti. A Torino diede inizio a una restaurazione degli Esercizi ignaziani
tra le file deila Compagnia di Gesù il P. Roothaan, poi Generale dell'ordine ("'h
Però nonostante la presenza dei Gesuiti, a metà Ottocento in Piemonte pre-
valsero anche per gli ecclesiastici esercizi spirituali che davano larga parte alla
riflessione orientata da meditazioni e istruzioni predicate. Appunto come si
usava fare negli esercizi spirituali al popolo. Rinomati predicatori per il clero
erano il teologo Giacinto Compayre, il canonico Giamhattista Giordano, il sacer-
dote Carlo Fetreri, Don Giuseppe Cafasso. Ogni diocesi aveva luoghi designati
agli esercizi spirituali al Clero. La loro pratica non era obbligatoria per ciascun
anno, ma i sacerdoti erano esortati a farli con frequenza ("'1.
(=) Cinsistenza è di DB stesso nel progetta per il primo Capitolo generale: « L e P"-
. . ghiere, il canto delle landi sacre, i libri e k regole di musica vocale o istmmentaie, e del
canto Gregoriano siano uniformi in tutte le case per quanto è possibile. Ogni Direttore
di case ritenga le usanze della casa Madre, ne serbi memoria e le mantenga in vigore nella
,... -" casa a lui ailidata »: Capitolo generale della Congregazione salesiano da convocarsi in Lan20,
- - %
17,
A,"
1,.
". . .,,tn.unn.r..
AS -13--2 Caoitolo v eenerale.). 11 orogetto divenne deliberazione nei 1877
(Deliberaxioni, p. 55) e nel 1880 (Deliberaxioni, p. 60).
i~ =, \\Ri~ c~ o~~ r~ di
ai
orimi
h
missionari
nel
novembre
1875
editi
in
Cesare
CHIALA,Da
Torino alla repubblica Arsentina.. ., Torino 1876, p. 60 e poi nelle MB 11, p. 390.
Ma se ne conserva la minuta in uno dei taccuini di DB (AS 132 Quaderni 5 ) e una copia
con firma di DB (AS 132 Missioni 1).
(m)Joseph DE GUIBERT,La spiritualité de la Compagnie de Jésus. Erfuisse
historiyue, Roma 1953, p. 460-464; 537-539.

22.7 Page 217

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Don BoscoLneellma setdoirtiaazdieollnaireelirgaionsoitàscualtlteolic«a.vVeorlitIIà. Setetellarne » e le istruzioni sui « doveri
ecclesiastici ». Scopo da raggiungere era il rinnovamento sia di vita interiore
sia di propositi sacerdotali. I sacerdoti rivedevano la loro vita come ministri
del sacrificio, dei sacramenti e della carità verso il gregge loro affidato. Scopo,
dunque, era sempre la riforma della vita in funzione individuale e comunitaria.
Tutto il complesso delle prediche, delle riflessioni individuali e delle conver-
sazioni doveva giovare a questo rinnovamento studiato collettivamente e in-
dividualmente.
Tale sistema venne trasferito tra i Salesiani. Gli esercizi si ispiravano
perciò da una parte all'esperienza di Don Bosco e dall'altra alla situazione lo-
cale. Alle istruzioni sui doveri ecclesiastici vennero sostituite quelle sui doveri
religiosi: vocazione, voti, pratiche di pietà, doveri come educatori ("'). Sugge-
rendo temi e casi :attinti anche alla cronaca salesiana, le prediche davano spunti
alla riflessione personale per raggiungere la « riforma >> individuale, religiosa
e specialmente salesiana.
Don Bosco volentieri predicava gli esercizi. Completava per lo meno. la
riflessione collettiva con il « sermoncino serale » (la « huonanotte ») dopo le
preghiere della sera in comune. Suggellava poi i propositi individuali propo-
nendo quelli collettivi nella predica dei « ricordi », derivata appunto dalla pre-
dica conclusiva in uso negli esercizi spirituali al popolo nelle sacre missioni e
nei quaresimali (22q). Come gli esercizi ignaziani, anche quelli salesiani rispec-
chiano un'esperienza. Quelli ignaziani portano quella dell'uomo che si ricono-
sce peccatore e si pone in rapporto diretto con Dio, con la creazione, la caduta,
la redenzione. Quelli salesiani riflettono molte preoccupazioni in ordine alla
vita religiosa e alla vocazione di educatori. Rispetto agli esercizi ignaziani quelli
salesiani mostrano una maggiore presenza di elementi comunitari e religiosi,,
una maggiore aderenza alla situazione concreta dei singoli nella comunità. Sono
("7) Mons. Gastaldi, vescovo di Saluzzo, in una circolare agli ecclesiastici in data 8
giugno 1968 esortava agli esercizi e ne ricordava P tutti l'obbligo di farli ogni quattro
anni. Notizie di un certo interesse si trovano in NICOLIDSI ROBILANT, Vita del venerabile
Giuxeppc Cafasso, 2, p. 273-308 che trattano degli esercizi spirituali a S. Ignazio, per
ecclesiastici e laici, e delle missioni al popolo. Norme particolereggiate composte dal
teologo Guala per la direzione degli esercizi
Giacomo COLOMBERO, Vita del servo di Dio D.
spirituali
Giuseppe
aCaSfa. ssIgon.a.z.i,oTsoorninoo
pubblicate da
1895, p. 367-
379. Orientativi sugli argomenti soliti a trattarsi sono le pubblicazioni postume di Don
Cafasso: Irtruzioni ocr esercizi finirituali al clero. Torino 1893: Meditazioni Dcr esercizi
spirituali al clero, Torino 1923. '
(a)Modello di esercizi predicati a Salesiani sono gli schemi di DB per gli eser-
cizi snirituali fatti a Trofarello nel 1868 (AS 132 Prediche E 4: MB 9. .o. 985-994).
Non erano evidentemente una noviti, quanto allo schema generale seguito. Cf. ad esempio
AGOSTINODA FUSIGNANEOse,rcizi spirituali alle monache, Venezia 1844. Qualche idea
sugli esercizi « ignaziani » predicati in Guglielmo AUDISIOC,ompendio delle lezioni di
eloquenza sacra, Torino, Marietti 18876, p. 242-254.
( M ) Cf. i1 Ceremoniale per la funzione della chiusura (più quello per la messa di
suffragio)in ALASIAG,uida ai venerandi sacerdoti del clero secolare nel sacro ministero
delle misxioni e spirituali esercizi da dettarsi al popolo nelle parrocchie rurali, Torino,
Marietti 1864, p. 57-61.
anche un incontro annuale di confratelli. La tendenza è sempre a fare gli eser-
cizi nell'ambito della comunità ispettoriale.
Certamente molto poggiano sui predicatori. Colui che predica le istrii-
zioni deve essere di esperienza, appunto perché le istruzioni devono ispirarsi
a casi pratici e devono proporre all'esame di coscienza fatti che possono essere
di monito e di stimolo a ripensamenti e propositi per tutti e per ciascuno.
Come gli esercizi ignaziani corrono il rischio di risolversi in sterile tecni-
cismo psicologico, cosi quelli salesiani si espongono al pericolo del retoricismo,
del moralismo, del tecnicismo di pratiche di pietà alternate a prediche. I l
retoricismo può incombere quando tutto minaccia di risolversi in belle e
vacue prediche; il moralismo, quando le istruzioni si riducono a casistica non
aderente al dogma e non in sintonia con le istanze spirituali degli esercitandi.
La forza interna della predicazione può essere sminuita quando meditazione
e istruzione non sono in sintonia e non spingono coordinatamente alle riso-
luzioni individuali e collettive.
Anche la presenza del superiore deve armonizzarsi al complesso di ele-
menti portati dai predicatori e dagli esercitandi. I sermoncini serali, i colloqui,
la predica dei ricordi hanno in fondo il ruolo (sostanziale per Don Bosco) di
stimolare l'unione fattiva dell'organismo salesiano in coesione a Don Bosco
stesso, capo e animatore di tutto.
Nella dinamica degli esercizi ha anche il suo ruolo l'esplosione di gioia
collettiva al termine della predica dei ricordi (2'0). Per Don Bosco e per i primi
Salesiani era inconcepibile un ciclo di esercizi spirituali che terminasse senza
l'allegria comune manifestata anche a mensa. Era come la gioia del popolo
nel giorno di Pasqua, dopo i giorni di lutto e di meditazione sui misteri di
Cristo morto. Affinità psicologica - se si vuole - molto lassa; ma con un
qualche fondamento. Infatti meditazione e istruzioni, portando concordemente
a riflettere sul peccato, sulla morte di Cristo, sulla confessione e comunione,
instauravano in sostanza la riflessione sui misteri che si compivano nella Set-
timana Santa. E dopo l'immersione nel lutto, dopo la conversione sigillata
dalla confessione e dalla rinnovazione dei voti religiosi, l'animo dei Salesiani
(figli del popolo) non poteva non concludere se non con l'esplosione dell'aue-
gria collettiva.
Qualche cenno meritano anche la meditazione e la lettura spirituale.
Come pratiche in comune vennero introdotte attorno al 1870, quando anche
(W) Invece secondo il direttori0 del teologo Guala la mattina della partenza il diret-
tore degli esercizi avrebbe dovuto vigilare «per impedire i primi cicalecci * e avrebbe
dovuto impedire che si passeggiasse nei corridoi. Cf. COLOMBERO, Vita del servo di Dio D.
Giuseppe Cafasso, p. 378.

22.8 Page 218

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
si cercò di dare assetto alla vita religiosa di professi e novizi (23'). La lettura
spirituale in comune durava circa u n quarto d'ora e la meditazione circa
mezz'ora (lu).Ci si rende conto come buona parte della meditazione comunitaria
era occupata dalla lettura pubblica e la meditazione in definitiva consisteva
in una lettura ponderata, che rapidamente doveva muovere l'affetto religioso
e portare a risoluzioni pratiche. Per la meditazione i testi preferiti erano
Ludovico da Ponte, l'Apparecchio alla morte di S. Alfonso, la Pratica d i amare
Gesù Cristo, forse anche il gesuita seicentesco Spinola. Per la lettura spirituale
si adoperavano il Rodriguez e la Vcua sposa rli Gesù Crirto di S. Alfonso (a".
Per i novizi si adottò, oltre che l'Apparecchio alla morte, La scuola di Gesù
appassionato, oper' del passionista Ignazio del Costato di Gesù. L'operetta
si muove su una linea descrittiva dei momenti della Passione e ailettiva. Ri-
corda da vicino S. Alfonso, Riflessioni sulla Passione e i Travagli di Gesù
deli'agostiniano portoghese Tomaso d i Gesù(2"). Le trentuuo meditazioni,
distribuite per ciascun giorno di un mese, passano in rassegna le fasi della
Passione: da quando Cristo prende commiato dalla Madre fino alla morte
in croce. Ogni meditazione è in tre punti, seguiti dal cosiddetto « frutto »
(propositi) e da un esempio. Nel complesso vi si trova immediatezza di espres-
("l) Indicativo è quanto testimonia Don Paolo Aibera: «Da principio si faceva
solo in comune ogni giorno la lettura spirituale con alcune parole di Don Bosco, il quale
ci inculcava la divozione alla SS. Eucaristia, alla Madonna e d a pratica delle virtù proprie
del nostro stato. Più tardi poi si faceva la meditazione in comune, e finalmente nel 1877
iafnaniznzioioò3nena:dTeclofl.eriTnaoacucruuisnneenrfe:ogromBlauearlaetitfeincoacvtoiionzntiraiostolea[tmccaaauniosnan.i.zrae.ta,ilotàRniosimlvaenno1.v9is2ze2ira,utiop.Der3ea0i 3Ja..vDvBioaontsocAod.ia.b.eqraCuaonlnc.fhuae-
None (Torino) il 6 giugno 1845, entrò all'oratorio nel 1858; fu rettor maggiore dei Sale-
siani dal 16 agosto 1910; m. il 29 ott. 1921.
(a2R)egulae, orig. ms. approvato, cp. 13, art. 3, AS 022(18), p. 22: « Sinylis
diebus unusquisque praeter orationes vocales saltem per
vacabit, nisi quisquam impediatur ob exercitium sacri
. dimidium horae
ministerii ..D.
orationi mentali
Le Regole non
stabiliscono nulla sulla lettura soirituale. Un cenno si trova nella Introduzione. ed. 1877.
p. 37.
(a3) Verbali del primo Capitolo generale (AS 046.1877, Quaderno 3, p. 116) riferiti
in MB 13, p. 269 S. Le meditazioni di Ludovico da Ponte vennero elogiate dai gesuita
Secondo Franco, invitato espressamente ai Capitolo. Qualcuno notò che il da Ponte era
«in varii punti arido, non eccitante D. P. Franco sostenne allora l'importanza di assimilarne
l'introduzione, ove s'insegna il metodo per ben meditare. Compilatore del verbale è
Don Giulio Barberis. Quanto agli anni anteriori al '70 sono ricche d'indizi le biografie
di Don Alasonatti, Don Bonetti, Don Durando, ecc. Ricordiamo tra l'altro una testimonianza
di Don Francesia nelle sue Memorie biografiche d i salesiani defunti, S. Benigio 1904, p. 35:
«Una sera, faceva la meditazione sopra una pagina dell'aureo libro di S. Alfonso de'
Liguori: Pratica di amar Gesù. Arrivando ad un certo punto, dove il Santo parla come
il Signore suo1 permettere al demonio di maltrattare ne1 corpo quei semi che Egli chiama
a santità, mi parve che fosse il caso del nostro amico [il ch. Giuseppe Bongiovanni, a t t o
da un fonincolo, morto poi nel 18693. Sospesi la lettura, e con sentimento, non saprei se di
ammirazione o di pietà, rivolto a lui, gli offersi il libro, dicendo sotto voce: - Ecco il caso
NO! . . . ».
q;??!
(234) TOMASO DI GEsÙ, Travagli d i G e s ù . . ., Venaia 1735. L'edizione che citiamo
era posseduta dalla biblioteca di Valdocco, ora presso il Pont. Ateneo Salesiano.
sione, naturalezza nel passaggio dalla rappresentazione di Cristo sofferente
al proposito ascetico. Congeniale alla mentalità di Don Bosco poteva essere
l'esempio, talora di straordinaria attinenza alla vita salesiana. La meditazione
del quinto giorno di chiude con il caso di Filippo Neri, che, anche in mezzo
alle occupazioni e ai divertimenti, sapeva conservare nell'animo il ricordo di
Gesù sofferente:
« S. Filippo Neri conduceva alcuni giovanetti in qualche luogo aperto per farli
ricreare con qualche giuoco innocente, a cui dava egli stesso principio, e quindi ritira-
vasi un poco in disparte a leggere o meditare qualche punto della Passione in alcun
libretto che ne conteneva I'istoria dolorosa, e che voleva sempre portar seco (Vita).
Chi impedisce ancora a voi il ritirarvi almeno nel vostro cuore di quando in quando
per dare uno sguardo di amore e di compassione a Gesù appassionato? »(U5).
Riguardo alla lettura spirituale e alla meditazione comunitaria vale-
vano anche le norme date nelle Costituzioni in generale per le pratiche di
pietà. Chi non poteva compierle con gli altri confratelli nel tempo stabilito
non era obbligato a compiere le medesime pratiche per conto proprio, ma
doveva supplirvi con la maggior frequenza di giaculatorie che gli era possibile
« indirizzando a Dio con più gran fervore di affetto quei lavori D, che impe-
divano di compiere gli esercizi di pietà stabiliti per Costituione e regolamen-
tati dalla consuetudine. I Capitoli generali confermavano questa linea di
condotta
Dunque più che al fatto che le pratiche di comunità siano compiute co-
munitariamente o nelia loro lettera, si dà piuttosto importanza al fatto che
vengano compiute o, comunque, non manchi la preghiera e l'unione con Dio
ogni giorno. Ciò riflette la mentalità di Don Bosco. Come notammo egli
chiama la preghiera alimento dell'anima. Cibo spirituale è anche la medita-
zione, la predicazione, la lettura spirituale. Le pratiche, insomma, sono sen-
tite più che come manifestazione comunitaria della lode di Dio, come alimento,
e perciò come qualcosa che in fondo è sommamente individuale e persona-
lissimo. Ci si spiega come mai Don Bosco accenni appena alle pratiche di
pietà come prova di amore e strumento di onore d i Dio per mezzo della Con-
gregazione. Ci si spiega anhe come mai non si soffermi tanto a rilevare il
valore ecclesiale della preghiera salesiana. Questo valore è visto nella celebra-
zione della messa e nella recita del breviario. Solo implicitamente è possibile
vederlo nelle « pratiche di pietà » salesiane.
Riafftora invece con vigore il tema alfonsiano della preghiera come garan-
zia di salvezza. Ciò che S. Alfonso dice in genere della preghiera Don Bosco lo
afferma in particolare dell'esercizio mensile della buona morte: « Credo che
si possa dire assicurata la salvezza di un religioso, se ogni mese si accosta
ai SS. Sacramenti, e aggiusta le partite di sua coscienza, come dovesse di fatto
(25) IGNAIIODEL COSTATO n1 GEsÙ, La scuola di Gesù appassionato aperta al cri-
stiano con la quotidiana meditazione delle sue pene.. ., Genova 18483, p. 48.
1
429

22.9 Page 219

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Don Bodsaco nqeulelastsatorivaidtaellapraerlitgiiroesitàpcearttoll'iecate. rVnoilII. Sn(t*e%ll)a. Le convinzioni assimilate nella
gioventù e predicate ai giovani, diventano anche perno della spiritualità sem-
plice ch'egli propone ai Salesiani. I1 tema della salvezza dell'anima propria
e-altrui, movente di tutta l'attività di Don Bosco sacerdote, educatore e isti-
tutore intraprendente, fornisce la motivazione ultima alle pratiche di pietà
come alimento dello spirito di pietà:
« Se noi pertanto, o figiiuoli - egli scrive - amiamo la gloria della nostra Con-
gregazione, se desideriamo che si propaghi, e si conservi fiorente a vantaggio delle
anime nostre e dei nostri fratelli, diamoci la massima sollecitudine di non mai trasni-
rare la meditazione, la lettura spirituale, la visita quotidiana al SS. Sacramento, la con-
fessione ebdomadaria, il rosario della S. Vergine, ia piccola astinenza del Venerdì.
Sebbene ciascuna di queste pratiche separatamente non sembri gran cosa, tuttavia
contribuisce efficacemente al grande edifizio della nostra perfezione e della nostra
salvezza D (=I).
g) La vita comune
Il principio che i Salesiani, data la natura della loro Società, non potevano
compiere in comune molte pratiche di pietà pone in evidenza il fatto della vita
in comune o - secondo l'espressione adottata da Don Bosco e nel linguaggio
salesiano - della « vita comun~ e .S.-.. .
Nel capitolo delle Regole relativo alla forma della Società Don Bosco
ci fa conoscere il suo assunto generale: « Tutti i congregati tengono vita
comune, stretti solamente dalla fraterna carità e dai voti semplici che li strin-
gono a formate un cuor solo ed un'anima sola per amare e servire Iddio »
La formula a cui Don Bosco s'ispira è chiaramente quella dei Cavanis.
Le loro Costituzioni nel capitolo de instituto e t forma Conguegationir dichia-
rano:,' « Omnes communem vitam dunint, simplicium votorum vinculo ad-
stricti, et fraternae charitatis nec non uniformis vocationis nexu inter se colli-
gati » P9).Già nelle Costituzioni dei Cavanis si trova preferito il termine
« vita communis », ch'era del resto quello corrente nella letteratura giuridica
e ascetica relativa agli Ordini e alle Congregazioni religiose. Si trova anche
il termine « vincolo dei voti semplici » che stringe i membri della Congregazione.
E infine, il termine «fraterna carità ». È evidente l'assorbimento di termini
tradizionali. È anche chiaro quale specifica risonanza potevano assumere espres-
sioni, come « carità fraterna » nell'ambiente di Valdocco, dove tutti si senti-
(%) Introduzione aUe Regole, ed. 1875, p. XXXIV.
("I) Introduzione aUe Regole, ed. 1877, p. 37. Nell'edizione 1875, p. XXXIV: «Se
a 9 q u e amiam l'onore della nostra Congregazione, se desideriamo la salvema dell'anima,
siamo osservanti delle nostre regole, siamo puntuali anche neUe più ordinarie, perché colui
che teme Dio non deve trascurar niente di quanto può contribuire a sua maggior gloria n.
.. i."), AS O~ 2~ 2 l- ,i-\\,, S n . 7
Constitutiones Congregationis Sacerdotum soecularium Scholarum Charitatis, ed. c.,
p. 16.
vano legati filialmente a Don Bosco e dove molti fin dalla adolescenza avevano
condotto una vita da amici e da fratelli.
E facile infine avvertire il senso che è affidato al termine « vincolo D
assunto per caratterizzare la vita comune. Questo « vincolo » non è pensato
come qualcosa di costrittivo, ma piuttosto come un elemento di coesione e
attivizzante. Ricorrendo ad altra immagine si potrebbe dire che per Don
Bosco la vita comune aveva funzione di tessuto connettivo. Ma egli propria-
mente non ricorre a questa analogia. Mostra piuttosto di pensare a elementi
offertigli dalla tradizione religiosa in cui vive. Desume il valore della vita
comune dalla carità cristiana. Questa dà un senso specifico alla stessa frater-
nità in cui vivono idealmente i suoi figli spirituali.
L'elemento cristiano riaffiora nell'espressione « formare un cuor solo
ed un'anima sola per amare e servire Iddio ». I n essa si nota una remini-
scenza del « cor unum et anima una » che, secondo gli Atti degli Apostoli,
caratterizzò la vita dei primi cristiani
Queste idee di fondo sulla vita comune perdurano nella Introduzione
alle Costituzioni. Don Bosco vi ripete che i voti sono un vincolo e anzi spe-
cifica che sono un « vincolo di coscienza » che lega i singoli religiosi ai supe-
riori ("l). Secondo schemi mentali da tempo assimilati, accanto al senso di
coesione Don Bosco mette in evidenza il rapporto di autorità: «Nelle corpo-
razioni religiose - egli scrive - ogni individuo è membro di una gran famiglia,
che ha per capo Gesù Cristo, rappresentato nella persona del superiore » (242).
L'idea di famiglia è sottolineata in un'aggiunta posta nell'edizione del 1877:
(20) Act. 4, 32. L'inserimento dell'espressione nel vocabolario della Società Sale-
siana ha come precedente immediato anche ciò che DB più volte aveva posto in rilievo nei
suoi libri. Ricordiamo qualche esempio. Stori~ecclesiastica, ed. 1845, p. 34: «D. Quale
vita tenevano i primi cristiani? - R. Tutti que' nuovi fedeli erano tra loro talmente
uniti, che secondo l'espressione della Sacra Scrittura formavano un sol cuore, e un'anima
sola. Non v'erano poveri tra di loro, perciocché coloro che avevano terre o case le vende
vano, e ne portavano il prezzo ai piedi degli apostoli, perché lo distribuissero a ciascheduno
secondo il bisogno». A tale testo è vicino q u e h del LORIQUESTto, ria ecclesiastica, ed.
1844, p. 13 s: «D. Qual era la vita de' primitivi Cristiani? - R. Tutta la moltitudine
de' nuovi credenti aveva, a detta della Scrithlra, un cuore, un'anima sola: niiino appro-
priavasi alcuna cosa di quanto ei ~ossedeva;ma mettevano il tutto in comune. Non vi
erano poveri tra di essi, perché coloro che possedevano case ed averi, 1i vendevano e ne
recavano il prezzo ai pié degli Apostoli, perché fosse compartito fra tutti secondo il
bisogno D.
Cf. anche Vita di San Pietro, ed. 1856, p. 82: «Tra tutti formavano un cuor solo
ed
L.
una anima sola
CUCCAGNViIt,a
per amare e
di S. Pieiro,
servire Iddio Creatore », il coi contesto
2, Roma 1781, p. 31 s («figli d'un solo
Ppaardered.i.p.enudnerceerdtao
Giuseppe, dagli Apostoli
Pietro capo della Chiesa,
chiamato
ragionam.
col soprannome di
sesto, Torino 1851,
Barnaba
p. 106 s
»)
(e
uenadsaolaA.faCmEigSlAiaR..I.S, a»nl.
I-.* vita cristiana i- descritta anche nei medesimi termini nella Vita di S. Paolo, di
S. Pancrazio e dei primi Papi.
(241) Regole, ed 1875, p. XVII (il primo abbozzo è autogr. di DB).
(242) Regole, ed. 1875, p. X (anche di questo paragrafo il primo abbozzo è autogr.
di DB).

22.10 Page 220

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
quando si abbraccia la vita religiosa « si abbandona una casa e se ne acquistano
cento, si abbandona un fratello e se ne avranno mille
Ma quando nel 1875-77 Don Bosco formulava questi punti, la situazione
della Società Salesiana era profondamente mutata. Non era più una istituzione
complessa, con religiosi che vivevano nella medesima casa e altri che potevano
essere soci « esterni »; non c'era più incombente il pericolo di una vessazione
fiscale e di una dispersione di quanti vivevano nella « Casa Bosco ». Come
fatto nuovo, di portata storica, era intervenuta l'approvazione delle Costitu-
zioni nel 1874. Ormai ci si sentiva veri religiosi, ormai veniva a porsi in evi-
denza il senso di confronto con i venerandi Ordini che avevano illustrato la
Chiesa. L'adeguamento alle forme religiose tradizionali veniva a trovare espres-
sione in quanto Don Bosco stesso suggeriva, esponeva o deliberava esplici-
tamente.
I n questa fase, anche nella mente di Don Bosco e nella coscienza religiosa
salesiana il termine « vita comune » si mostra collegato istintivamente con le
conseguenze in materia di economia domestica, oltre che in materia di pra-
tiche di pietà.
Questo passaggio mentale rapido non è d'altronde una singolarità. Lo si
nota, ad esempio, in deliberazioni di Capitoli generali di Ordini e Congregazioni
rispettabili; lo si nota anche in Concili, in Sinodi, in Regole e Costituzioni
specialmente dell'epoca tridentina e post-tridentina.
Ponendosi dunque nel medesimo stato d'animo Don Bosco così scrive nel
suo progetto per il primo Capitolo generale da convocarsi a Lanzo:
« La vita comune è il legame che sostiene le Istituzioni religiose, le conserva nel
fervore e nelì'osservanza delle loro regole. Senza vita comune tutto va a soqquadro.
I1 capo 2" e 4" deUe nostre costituzioni stabiliscono la vita comune riguardo al vitto,
vestito ed abitazione. Quindi si dimanda:
(243) Regole, ed. 1877, p. 15. Il testo è di Don Barberis, corretto da DB. Cf. ed. 1875
interiodiata, p. XI, AS 022 (101, 2).
Così, ad esempio, nelle Regole overo Costituzioni comuni della Congregazione
delle Missioni, cp. 1, art. 11, ed. 1658, p. 26: In onore della vita comune, che Cristo no-
stro Signore volle menare per conformarsi a gli altri, e per questa via guadagiarli più age-
- volmente a Dio suo Padre: Tutti.. .per q.uanto si -potrà.. osserveranno in orni cosa l'unifor-
mità, mirandola come tutrice dei buon ordine, e della santa unione, e fuggiranno parimente
la singolarità, come
vestito, letto, e cose
rsaidmicieli.d. .el»l'.inNviodniaè,
e della divisione: e ciò non solamente nei vitto,
però comune il raggruppamento di norme sotto il
titolo di «vita communis D. Le voci che si devono interrogare sono molteplici: de disciplina
. regularium, de observantia votorum, de paupertate, de religiosae uitae ofliciis, de quoti
dianis exercitationibils.. La vera sposa di Gesi Cristo di S. Alfonso, familiare ai Sale-
siani dellOttocento, tratta della vita comune nel capitolo sulla povertà, ed. Torino, Ma-
l
i
rietti, 1847, p. 132: «Essendosi fatta qui menzione deiia vita comune, mi si permetta di
dire qualche cosa circa questo punto. l2 vero che tutte le sollecitudini, tutti i disturbi deile
religiose, tutti i disgusti che spesso ricevono e tutti gi'impedimenti che le ritardano a cam-
minare alla perfezione, ordinariamente derivano dal possedere in particolare, e dal voler
conservare o accrescere quel che possedono n. Ouesto brano e le considerazioni che venoono
aggiunte nel medesimo Contesto Sono l'unico testo indicato alla voce «vita ~omune»~nel-
i'indice delle cose più notabili, ed. c., p. 884.
1" Si possono conservare come propri i libri, bibite e commestibili, suppellettili
di camera?
2" Quali eccezioni si possono permettere ai superiori, agli ammalati?
3" Un salesiano quando cangia domicilio può portare seco bauli, libri, qualche
suppellettile e simili? » (2"5).
Don Bosco insomma non si sofferma a tracciare grandi linee teologiche
in materia di vita comune, ma enunziatane le finalità propone subito una
casistica spicciola.
Motivazioni storico-teologiche vengono invece abbastanza elaborate sugli
Atti del Capitolo generale. Ivi si trova abbozzata una storia dei Cristianesimo
nella prospettiva della vita comune. I primi cristiani - si afferma - forma-
vano un cuor solo e un'anima sola, vivevano in comunione d i vita e di beni.
Raffreddatasi la carità, la comunione di beni fini per essere mantenuta da
nuclei di particolare fervore: i canonici prima, i religiosi poi. Questi ultimi
ormai nella Chiesa devono mostrarsi impegnati nel distacco dai beni terre-
stri per attuare quanto più perfettamente è possibile l'invito di Cristo a
formare una sola cosa in Lui. La comunione di beni nella vita religiosa facilita
il cammino personale verso la ~erfezionee permette di dedicarsi alla gloria
di Dio e alla salvezza delle anime.
I1 quadro storico è propriamente un'interpretazione dei fatti abbastanza
indigente; ma esso è da prendere come lo strumento che permetteva d'intuire
l'intima connessione della vita religiosa con scaturigini vive e vivscanti del
Cristianesimo. Anzi propriamente il quadro storico potrebbe considerarsi come
il frutto di una letteratura che lungo i secoli aveva difeso la ragion,d2essere
della vita religiosa. I1 testo salesiano, infatti, nella sua materialità'deriva dalla
Prompta bibliotheca del settecentesco frate minore Lucio Ferraris (1687-
1763) (>").
(xs) Capitolo generale della Congregazione salesiana da convocarsi in Lanro nel pros-
simo settembre 1877, Torino 1877, p. 4. Come notammo, di questo documento si conserva
i'nutogr. di DB ali'AS l??.
(m) L. FERRARIPSr, ompto bibliotheca,
Deliberurioni del Cap. gen. della Pia
voce Vita communis, t. 8, Genuae 1769, p. Soc. Salesiana.. ., Distinzione 11, Vitu co-
494 s:
mune, Torino 1878, p. 23 s:
« Vita communis in primitiva Ecclesia
«La cita comune fu tenuta da Gesù
servabatur ab omnibus Fidelibus, quorum Cristo coi suoi Apostoli e dagli Apostoli
erat cor unum, et anima una, et iiiis erant introdotta nella Chiesa.
omnia communia, ut expresse habetur Actor.
Tra i primi fedeli, dei quali era un sol
cap. 4, n. 32, ibi: Multitudinis autem cre- cuore ed un'anima sola, tutte le cose erano
dentium erat Cor unum, et anima una, nec in comune, siccome sta registrato negli Atti
quisquam eorum, quae possidebat, aliquid degli Apostoli (cap. IV, vers. 32). Multitu-
suum esse diccbat, sed erant illis omnia com- dinis autem credentium erat cor unum e!
munia.
mima uno, nec quisquam, eorum quae pos-
sidebat, aliquid suum esse dicebat, sed erant
illis omnia communia.
Primi enim ilti Fideles possessiones, Essi vendevano le loro possessioni e le
et substantias suas vendebant, et dividebant loro sostanze, e poscia ne dividevano il pro-

23 Pages 221-230

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23.1 Page 221

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Don BoscoCnoemllaestolariaPdreollamrpeltiagiobsiitbàlcioattthoeliccaa.,Vcoal sIIi. Satenlclahe gli Atti del Capitolo generale
salesiano passano rapidamente alle applicazioni pratiche onde ottenere « uni-
formità nella direzione ed amministrazione, nell'orario, negli abiti, nella hian-
cheria, nel vitto, nelle abitazioni e suppellettili » ('O).
Ne derivano applicazioni molto concrete. In forza della vita comune
viene ordinato. un « costumiere » che dovrà indicare la foggia di vestire adatta
a ciascuna provincia, vengono emanate norme generali quanto al cibo, all'ora-
rio, al taglio di indumenti. Fa anche ingresso su atti ufficiali il termine « co-
munità D: quando in una casa viene un superiore maggiore, questi venga
inviato a celebrare la messa della comunità.
Qua e là vengono espressi i fini che si intendono conseguire: mantenere
a il buon andamento della Congregazione e « conservare l'unità di spirito » (l4').
Ci si vuole consolidare e contraddistinguere, ma anche ci si vuole qualificare
come religiosi. Per questo si assorbono usanze di Ordini e Congregazioni reli-
giose, come la lettura a mensa o io scrivere annualmente al Superiore
generale in una determinata ricorrenza(a9). Ancora una volta si assiste all'a-
zioue hipolare di due sentimenti: la coscienza di essere religiosi nuovi desti-
nati alle nuove esigenze della Chiesa e della società da una parte e dall'altra la
coscienza di essere religiosi e quindi persone che intendono qualificarsi sempre
più in tal senso. Si guarda alle altre Congregazioni. Così si spiega il valore
dato a certe prescrizioni: « Pel buon andamento della Congregazione - viene
ad esempio prescritto -, per conservare l'unità di spirito e seguire I'esempio
ilia omnibus, prout cuique opus crat, et ut dotto a ciascuno secondo ii bisogno, come
ah Apostolis disponebatur, nihil proprii sibi dagli Apostoli disponevasi, non ritenendo
retinentes, et omnia communia habentes: nuiia di proprio (Actor. C.11, vers. 44, 45).
Actor. C. 11, n. 44. et. 45 ibi: Omncs etiam, Omnes etiam qui credebant erant pariter,
qui credebant, emnt pariter et habebant et habebant omnia communia. Possessioncs
omnia communia. Possessiones, et substaa- et substantias vendrbant et dividebrmt illa
tias ~endebant,et dividebant illa omnibus omnibus, prout cuique opus erat.
prout, cuique opus erat. Et id totum referti~r La vita comune fu anche generalmente
in C. Dileaissimis 2 et C. Scimus 9 caus. 12, osservata in tempi posteriori, come ricavasi
l, ibi: Scimus vos non ignorare, quod da un antichissimo canone ecclesiastico: Sci-
bactenus vita communis inter omnes Chri- mus vos non ignorare, qziod hoctenus vita
stianos viguit.
communis inter omnrs Chrirtianos viguia.
Hoc vitae comunis genus frigescente Tal genere di vita, che prima pratica-
Laicorum fervore in Clericis continuavit, ex vasi da tutti i Cristiani, raffreddandosi il
aquo nomen Canonicorum effluxlt promisnie fervore nei iaici, continuò negli Ecclesiasti-
Clericis usurpatum: Canonici etenim di- ci, i quali furono anche chiamati canonici,
cuntur Clerici in fraternitate, prout certe perché vivevano insieme come frateili sotto
erant omnes Clerici in primitiva illa Eccle- un canone, ossia una regola fissa; e così par
sia, ut erudite more suo observat Eminen- certo vivessero tutti gli Ecclesiastici nella
tissimus Petra tom.
2, Paschalis ! I , n.
I,
3
.Comment.
1. .l >D.
ad
Constit.
primitiva Chiesa (V. Car. Petra tomo I,
Com.) [.. .l D.
(147) Deliberazioni del Capitolo generale, p. 25.43.
(*a)Deliberazwni del Capitolo generale, p. 43.
(m)Deliberazioni del Capitolo generale, p. 28: «Almeno una volta all'anno, in
occasione della Festa di S. Francesco di Sales, tutti i confratelli scrivano al Rettor Maggiore,
ed un'altra volta al proprio Ispettore n. Sulla lettura a mensa, a p. 25.
degli altri istituti religiosi è fissato un confessore stabile per quelli che appar-
tengono alla Società » (m).
Traspare dunque sufficientemente l'atteggiamento di Don Bosco dopo
l'approvazione delle Costituzioni. Egli stesso spinge verso l'adeguarsi della
Società Salesiana alle Congregazioni religiose esistenti. Egli e i suoi diretti
collaboratori si ispirano sia alla letteratura tradizionale sia anche a quanto
trovano in vigore nei loro tempi; radicano gradualmente la Società Salesiana
nel terreno delle Congregazioni religiose post-tridentine, le quali allora erano
attivamente promosse dalla S. Sede e da moltissimi vescovi, sacerdoti e laici.
Nel prodursi tale inserimento svolge una funzione importante il sentire la
vita salesiana come « vita comune », cioè come coesione di molti « i n un cuor
solo e in un'anima sola ». Avvertita come fine da conseguire, la vita comune
porta a ricercare i mezzi che possono giovare a promuoverla. Tra i mezzi
occupano un posto importante quelli che mirano a conformare parzialmente la
disciplina salesiana a quella delle famiglie religiose esistenti.
6. Il Salesiano secondo le biografie e necrologie
Seguendo la pista delle biografie e dei profili agiografici è possibile
cogliere ancora una volta una certa continuità di motivi in questo tipo di
attività letteraria di Don Bosco. Alcuni temi enunziati in chiave di rappresen-
tazione agiografica nei Cenni su Luigi. Comollo e nelle Sei domeniche di S.
Luigi Gonzaga si trovano sviluppati nelle tardive biografie di Salesiani defunti,
composte ormai in gran parte da altri e rivedute da Don Bosco. Già il prologo
di queste biografie avverte ch'esse sono frutto delle medesime istanze che
portarono Don Bosco a scrivere le vite di Como!.lo, di Savio e di Cafasso:
« L'uomo vive d'imitazione; e l'altrui buono o cattivo esempio è in ogni tempo
sorgente inesausta di grandi vizi e d i grandi virtù D. Meditando le gesta di
uomini virtuosi e pii Agostino « sentivasi nascere in cuore ardente desiderio
d'essere migliore. Onde efficacemente provocato e sospinto dal sentimento
d'emulazione, diceva: Se questi e quegli seppero arricchirsi di tante e si belie
virtù, perché non sarò virtuoso io pure? Furono essi forse di natura differente
dalla mia? Si iste et ille, cur non ego? »(251). Le biografie di Salesiani vogliono
essere evidentissimamente un'altra forma di meditazione sugli ideali religiosi
che si potevano raggiungere stando con Don Bosco. Introducendone l'usanza
tra i Salesiani Don Bosco non faceva che sviluppare uno degli strumenti didat-
tici offerti dalla tradizione cristiana e in particolare dalle usanze di Ordini e
Congregazioni religiose. Le biografie perciò obbediscono sempre a presupposti
(m)Deliberazioni del Capitolo generale, p. 26.
("l) Prefazione aile Letture amene ed edificanti ossia biografie salesiane, Torino, tip. e
libr. Salesiana 1880, p. 3. «Si iste cur non ego >.o» anche neiia prefazione alla Vita del giova-
netto Savio Domenica, Torino 1859, p. 9.
435

23.2 Page 222

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
ascetici che determinano la selezione e anche l'elaborazione dei fatti (=l). La
« vocazione », ad esempio, è sempre presentata come appello divino a cui
si aderisce. Si sceglie il Santuario e la Congregazione, perché chiamati. Nelle
fasi dell'appello interviene la conoscenza del mondo. Se ne scopre per tempo
la fallacia (2s3)se ne indovinano i rischi, si preferisce la vita ritirata (m). Si
abbraccia la vocazione religiosa « per essere sicuro della propria salvezza » (255).
Giunti finalmente all'Oratorio ci si sente come i naviganti che toccano la riva
dopo avere superato un pelago pericoloso (m).E una volta al sicuro, tra le
mura della casa religiosa, c'è chi argomenta come Domenica Savio: è meglio
stare in gabbia che uscirne e cadere tra gli artigli del nibbio: è meglio stare
nella casa religiosa.che andare in vacanza presso i familiari ("). C'è chi fa il
confronto tra il sacerdozio nel clero diocesano o nella vita religiosa; fuggendo
« gli aliti pestiferi del secolo » decide di darsi intieramente a Dio nello stato
ecclesiastico non solo, bensì anche nel religioso, perché - rifletteva - da sa-
cerdote secolare si sarebbe perduto (=').
C'è chi sente la professione religiosa quale la descrisse S. Alfonso e
quale la presentò Don Bosco in conferenze e nell'Introduzione alle Regole.
Giuseppe Giulitto, fatta la professione, « si considerò come rinato e ribattez-
zato, e propose di farsi santo »
I commenti del biografo, ma soprattutto il comportamento dei biografati
pongono in luce la dottrina sul sacerdozio e sul religioso d i vita attiva sia eccle-
siastico che laico Nella sua altissima dignità il sacerdozio fa tremare e attrae
nello stesso tempo (2a). I1 sacerdozio fa constatare la propria umana miseria
(252) A titolo di esempio cf. Biografia dei chierici salesiani Pietro Scappini e Carlo
Trivero, Torino, tip. Salesiana 1880, p. 4: « I1 Signore dispose che.. . »; p. 6: «Dopo ma-
iuro esame conobbe che il mondo non era fatto per lui, e si sentì gagliardamente portato a
darsi intieramente a Dio nello stato ecclesiastico non solo, ma nei religioso I.. .l domandò
ed ottenne di vestir l'abito clericale in questa stessa Congregazione Salesiana, nei cui Collegi
era stato educato per molti anni, benché persone autorevoli cercassero in tutti i modi di
distoglierlo da sì fatta risoluzione »; p. 15: «Se grande era stato l'impegno suo per ben
conoscere a quale stato chiamavalo il Signore, e quindi a prepararsi a seguirlo come si con.
veniva; se nell'anno di prova [il noviziato] pose ogni suo studio per conoscere le regole
della Congregazione e praticarle, quale non fu il suo slancio nel bene dopo la professione.
Studiavasi egli allora di confermarsi viemaggiormente in quella vocazione, a cui il Signore
l'aveva chiamato ».
("3) Così il giovane Clemente Benna: ci. Confratelli chiamati da Dio alla vita eterna
ncll'anno 1879. in aooendice aU'Elenco een. della Soc. di S. Franc. di Sales 1880, D. 62.
Ah
( m ) Così Clemente Benna, 1 C,,p. 60.
(m) Così il chierico Giovanni Arata: cf. Biografie dei Salesiani defunti negli anni 1883
e 1884, Torino, tip. Saiesiana 1885, p. 22s.
(m) Confratelli chiamati da Dio alio vita eterna netl'anno 1879, p. 79.
( m )Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico, ed. C,, p. 90 s; chierico Arata, 1.c.,
n. 2- -8 S.
~
(259) Così Pietro Scappini, i. c., p. 6.
(=q) Bo~eTn,Un fiore salesiano o breve biografia di D. Giuseppe Giulitto (LC),
Torino 1878, p. 77.
( m )Traccia di conferenza di DB in MB 9, p. 343 S.
e fa risaltare la necessità di prepararsi con la preghiera, la mortificazione, la
purezza dei costumi, lo studio (26'). I1 sacerdozio è una speciale consacrazione.
« Colui che abbraccia lo stato ecclesiastico - scrive popolarmente Don Bosco
-, si vende al Signore; e di quanto a w i nel mondo, nulla deve più stargli a
cuore se non quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio
delle anime »(la). I1 sacerdote ha una sua dignità: « prete all'altare, prete
in confessionale, prete in mezzo a' suoi giovani; e come è prete in Torino,
così è prete a Firenze: prete nella casa del povero, prete nel palazzo del Re
e dei Ministri »("3). Il «distacco dal mondo », il servizio della gloria d i
Dio e della salvezza delle anime non n e sono che una conseguenza. Il motto
Da mihi animas caetera tolle, non ne è che una delle formulazioni. Salvezza
eterna, gloria di Dio e santità ne sono gli scopi supremi.
Nelle biografie di Salesiani defunti la santità conserva le medesime carat-
teristiche poste in evidenza nella vita d i Savio e di Don Cafasso. Nel 1885
il biografo avverte:
« L a santità, noi diremo con S. Filippo e con S. Francesco di Sales, non è vero
che consista in cose tanto difficili e straordinarie, in modo che pochi possano trovarsi
in circostanze da poter arrivare a questo stato; no: essa consiste nel far bene tutte le
cose che si hanno a fare; ma a chi poi credesse con piccoli sforzi e con momentaneo
proponimento poter pervenire a quella meta, noi lo negheremo affatto D (*M).
I termini santztà e perfezzone sono adoperati da Don Bosco come tra
loro equivalenti. Crescere in santità o perfezione è pensato come innalzarsi
verso Dio. La santità consiste nel possesso della carità. Questa è il compimento
della legge, anzi, « il complesso delle virtù cristiane ». Nel suo aspetto nega-
tivo consiste nella esenzione dalla colpa e in quello positivo consiste appunto
nel possesso della carità. Santità positiva e negativa si manifestano e si accre-
scono nell'esercizio, cioè nell'evitare ogni difetto volontario e nel praticare
tutte le virtù (l6').
Nelle biografie dei Salesiani, come in quelle di Domenica Savio e d i
Don Caiasso, o come nel pro6lo del Cottolengo e nel panegirico d i S. Filippo
Neri o infine come nelle considerazioni in onore di S. Vincenzo de' Paoli,
("1) Sacerdote Giov. Battista Ronchail, in appendice ali'Elenco gen. dei 1879, p. 60
e sac. Vincenzo Reggiori in Biografie dei Salesiani defunti negli anni 1883 e 1884, p. 58.
(262) Bosco, Biografia dei sacerdote Giuseppe Caffassoesposta in due ragionamenti fu-
nebri (LC), Torino 1860, p. 16.
( 2 0 ) Parole che DB avrebbe detto nel '66 a Bettino Ricasoli, presidente del consiglio
dei ministri. Su di esse ha intessuto una conferenza E. CE^, Don Bosco prete, Roma 1928,
rielahorata con il titolo Don Bosco modello del sacerdote cattolico, Milano 1929.
(261) Jjiografie dei Saieriani defunti negli ami 1853 e 1884, p. 29.
(m) Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso, p. 67 e 72. Vi traspare perciò
anche se non esplicitamente formulata, la dottrina che vien fatta risali= alla Pseudo-Dionigi,
ma che nel corso dei secoli ha assunto modulazioni molto lontane. L'anima, procedendo per
vari gradi di santità, si avvicina a Dio. I gradi si raggiungono asceticamente mediante la
cooperazione della umana natura con la grazia.

23.3 Page 223

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
spiccano soprattutto obbedienza, castità, laboriosità, pietà, zelo per la sal-
vezza delle anime (zelo perciò nelle mansioni di educatori) (x6).
Chierici novizi alternavano volenterosamente e con sacrificio lo studio
della filosofia e le pratiche di pietà all'assistenza e alla scuola ai giovani. I l
Santissimo Sacramento esercitava un'attrattiva irresistibile. Come Domenico
Savio anche il chierico Cesare Peloso stava ore e ore in chiesa assorto in
preghiera dopo avere ricevuto Gesù eucaristico (267).Don Giuseppe Giulitto
dinnanzi al Sacramento « passava delle ore intiere, e generalmente dalle cinque
alle sei della sera, e poi ancora prima del riposo D(='). Come da quelle prolun-
gate soste Domenic? Savio traeva motivo di massima felicità anche nel corso
della giornata, così Don Giulitto derivava « quella confidenza illimitata che
aveva in Dio, confidenza figliale, per cui nulla temeva di sinistro, perché
convinto che nessun male può accadere a chi vive abbandonato in seno a Gesù;
di qui ancora [ derivava ] quella giovialità, quella serepità di volto, quel
continuo quasi sorriso che fiorivagli sulle labbra, che lo rendeva a tutti caris-
simo s('~'). Giulitto conosceva a menadito il Rodriguez: « ei ti sapeva dire
per filo e per segno quello che vi si trattasse in questo o in quell'altro capo,
citarti i testi principali, narrarti gli esempi e le similitudini, e addurti le saggie
regole di perfezione » (270).
I chierici Scappini e Delmastro, il sacerdote Don Baccino, il coadiutore
Tonelli si distinsero per zelo e morirono stremati dal lavoro. Tonelli era uno
di quei coadiutori capaci d i far tutto, mai in ozia di giorno e che mai trascu-
rava la meditazione in comune ("l).
Sull'orizzonte di tutti domina la figura di Don Bosco, amico, confidente,
(x6) Brevi cenni sulla vita del canonico Giuseppe Couolengo nell'opuscolo attribuito
a DB: Episodi ameni e contemporanei ricavati da pubblici documenti (LC), Torino 1864,
p. 47-59; qualche cenno anche in [Bosco], Storia ecclesiastica ad u50 delle scuole ...,
Torino 1845, p. 385 S. - I1 panegirico di S. Filippo Neri, tenuto nel 1868, pone in luce lo
zelo sacerdotale di Filippo per la salvezza della gioventù. Ne esiste la minuta autogr. e una
seconda redaz. con postille autogr. di DB (AS 132 Prediche F 4). I1 testo venne pubblicato
con qualche ritocco in ME3 9, p. 214-221. -
guidato alla virtù ed alla civiltà secondo lo
Su Vincenzo de' Paoli:
spirito di san Vincenzo
[Bosco],
de' Paoli
. I. l .
cristiano
, Torino
1848. La prefazione contiene espressioni che DB usb ripetere a preti e chierici: Vincenzo fu
quel che Francesco di Sales disse del vescovo di Saluzzo Giovenale Ancina: sal et lux:
«Quel Dio che suscitb un Vincenzo qual fiaccola luminosa a spargere il sale della virtù, e
a portare la luce della verità alla fede cattolica; quel Dio che volle togliere dalla plebe un
uomo abbietto per eleggerlo ad azioni magnanime onde far cangiare di aspetto la Francia e
l'Europa insieme quel Dio faccia che la stessa carità, io stesso zelo si riaccenda negli eccle.
siastici affinché indefessi adoperinsi per la salute delle anime ».
( N )Elenco gen. della Soc. Sales., 1879, p. 72.
(m)BONETTUI,n fiore salesiano, p. 79 S.
(269) BONETTUI,n fiore salesiano, p. 80.
("1 BONETTI, Un fiore solesiano, p. 78 S.
P7') Elenco gen. della Soc. Sales., 1880, p. 41-47 (sul coad. Carlo Tonelli) e p. 71-86
sul ch. Giacomo Delmastro.
438
consigliere illun~inato, padre e profeta ispirato per tutti
È lui, forse,
insieme all'aneddotica spicciola, che giova a dare una certa singolarità al
complesso dei profili biografici e alle necrologie. È lui che conquista e irradia
simpatia, con sullo sfondo la Congregazione e i giovani che animano laboratori,
scuole, cortili. Attraverso molti luoghi comuni è possibile, comunque distin-
guere elementi che sono messi in rilievo con preferenza ed è possibile cogliere
la rappresentazione del religioso nuovo che Don Bosco proponeva ai suoi
e al inondo: il religioso educatore, voluto da Dio per i nuovi bisogni della
Chiesa e della società.
(m)Occorrerebbe passare in rassegna un po' tutte le biografie e «lettere mortua-
rie » dei Salesiani della prima generazione. In tutte costantemente tra gli elementi della
vocazione risalta l'affetto e la venerazione per DB.

23.4 Page 224

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
l . Preludi al « Sistema preventivo negli scritti di Don Bosco (1844-
1877)
Tra i documenti che ci presentano le idee di Don Bosco sull'educazione
della gioventù occupa un posto importante il Sistema pueuenhuo nella educa-
zione della giouentù ('). Don Bosco stesso dichiara che è « come l'indice » di
quanto aveva in animo di sviluppare più ampiamente ed è come lo schizzo
del sistema educativo in uso nelle case salesiane ('). Il che gii garantisce che
(1) I1 Sistema preventivo venne pubblicato per la prima volta nello scritto celebra-
tivo e pubblicitario Inaugurazione del Patronato di S. Pietro in Nizza Mare.:Scopo del
medesimo esposto dal Sacerdote Giovanni Bosco con appendice sul Sistema Preventivo nella
. educazione della gioventù, Torino, tip. e libr. Salesiana 1877, p. 23-33. Di questo scritto lo
stesso anno uscirono la versione francese (Inauguration du Patronuge . ., Turin 1877) e
una edizione bilingue con a fronte testo italiano c francese. Accennano all'elaborato italiano
e alla traduzione due lettere di DB al direttore di Nizza, Don Giuseppe Ronchail: Varazze,
23 marzo 1877; Torino, aprile 1877: 6 . Epistolario 1569 e 1576. Lo stesso anno il Sistema
preventivo venne ripubblicato con lievi ritocchi nel Regolamento per le case della Società
di S. Francesco di Sales, Torino, tip. Salesiana 1877, p. 3-13. Tra il Sistema preventivo e la
Parte primo del Regol~mentocompaiono alcuni Articoli generali (p. 15-17) che l'Indice
- p. [99] - presenta come un paragrafo (non numerato) del trattateli0 sul sistema pre-
ventivo.
Deli'opuscolo Inaugurazione. .. Con appendice sul sistema pveventivo non esiste ms.
autogr. di DB, ma un allografo (AS 133 Inaugurazione 1); un altro ms., testo italiano e
francese a fronte con correz. di DB (AS 133 Inaugurazione 4); due copie dell'ed. italiana
con postille di DB e 8 f. in parte di Don Berto e in parte di DB (AS 133 Inaugurazione
2 e 3). Un'altra serie di documenti si conserva nella posizione dei Regolamenti (AS 026).
. Sul Sistema preventivo: 026(42): 1) « Regole generali per quelli che hanno la direzio-
n e . . n, ms. autogr. di DB, 2 f.; 2) « 8" Dovendo a costoro dire parole di biasimo.. . »,
ms. autogr. d i DB, 1 f. (cf. Regolamento per le case, Articoli gen., p. 17; 3) « I1 sistema pre-
ventivo nella educazione della Gioventù », ms. allogr. con correz. di DB, 4 f. La migliore
edizione finora esistente è queiia di P. BRAIDO: S. GIOV.BOSCO, Scritti sul sistema preuen-
tivo nell'educaxione della gioventù, Brescia 1965, p. 291-299. Vi si trova il testo del Regola-
.. mento (senza gli Articoli generali) con le principali varianti italiane e francesi dei testo
edito in Inaugu~azionedel Patronato.
(2) BOSCO, Inaugurazione, p. 23: Regolamento per le case, p, 3.

23.5 Page 225

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
neli'animo di Don Bosco l'opuscolo assumeva il valore di punto di arrivo,
decantazione di esperienze e di riflessioni. Effettivamente percorrendo tutto
l'arco della documentazione lasciataci da lui è possibile scoprire una serie
di elementi poi coordinati nella trama dei Sistema preventivo.
I Cenni su Luigi Comollo attirano per la classificazione dei giovani semi-
naristi in tre categorie. Comollo sul letto di morte raccomanda all'amico Bosco
di conservare rapporti cortesi con quelli che non sono né buoni cattivi, fug-
(9. gire i cattivi come la peste, farsi amico dei buoni Don Bosco nota inoltre
come nell'educaiione di Luigi ebbe una incidenza notevole lo zio prevosto di
Cinzano. Questi amava teneramente » il giovane Luigi << ed aveva cosi di
buon'ora saputo seminare nel cuore di lui tante rare, e singolari virtù D (').
I1 tessuto biografico, a quanto sembra, vuol mettere in evidenza come il Comollo,
sulla scia di Luigi Gonzaga << di buon'ora » corrispose ai divini favori. I1 te-
nero amore del prevosto di Cinzano non assurge ancora a formulazione di
principio, non porta cioè a enunziare il fondamentale principio pedagogico
dell'amorevolezza. I Cenni non sono stati scritti certamente con l'intenzione
di fare un romanzo pedagogico sul tipo dell'Érrile. L'autore si rivolge ai col-
leghi seminaristi nell'edizione del 1844 e ai giovani in genere nelle edizioni
successive con l'animo dell'agiografo che pone innanzi ai lettori un modello
da imitare.
Nella Stovia ecclesiastica (1845) e nella Storia sacra (1847) Don Bosco
appare ormai compartecipe ai problemi dell'educazione popolare, con predo-
minanti preoccupazioni etico-religiose, Nella Storia ecclesiastica egli manifesta
la propria indignazione perché certi autori pare che abbiano rossore di parlar
dei Romani Pontefici e dei fatti più luminosi che direttamente alla S. Chiesa
riguardano n ( 9 , lamenta che si dà larga parte alle polemiche (6) e non si bada
alla << capacità di un giovanetto (7), si mira a informare con << fatti del tutto
profani o civili, aridi o meno interessanti ». Propugna che non solo << i'intel-
letto venga istruito, ma il cuore eziandio provi tali affetti da rimanerne non
senza gran giovamento spirituale compreso >> ('1.
L'attenzione con intenti educativi alla capacità del giovane appare più
evidente nella Storia sacra. Fondandosi sul sacerdote pedagogista Agostino
Fecia sostiene che l'illuminazione della mente è nel processo educativo una
fase intermedia ( 9 ) . Compilando la sua Storia sacra dichiara che in ogni pa-
gina ha tenuto sempre fisso il principio: <<Illuminarela mente per rendere
buono il cuore » (l0). H a preferito la forma dialogica come la più idonea << per-
ché un racconto qualunque possa essere dalla mobile mente di un giovane
capito e ritenuto >> ("1.
La mobiliti della mente giovanile nel Gioz~ane provveduto (1847) è
paragonata a quella di <<unatenera pianta »; questa prende una cattiva piega e
fmisce male << se non è coltivata e per dir cosi guidata fino a certa grossezza D (l2.)
L'ubbidienza, il rispetto e la confidenza ai genitori e agli altri superiori traggono
ragion d'essere da taleconstatazione (l3). Al giovane che frequenta qualche Ora-
torio è inculcata una « filiale confidenza col direttore )> (l4).
D'altra parte nel Regolamento dell'Oratorio d i S. Francesco d i Sales (1852)
si prescrive che il direttore deve << mostrarsi costantemente amico, compagno, fra-
tello di tutti D (ls). Egli deve essere come un padre in mezzo ai propri figli (l6),
[Bosco], Cenni storici sulla vite del chierico Luigi Comollo, Torino 1844, p. 63:
I
deve vigilare e correggere. Troviamo insomma riespresso secondo i'ottica del su-
«Avverti finalmente con chi tratti, e chi tu frequenti. Non parlo già delle persone di sesso
diverso od altre persone secolari, che siano per noi d'evidente pericolo, le quali si debbono
affatto fuggire; ma parlo degli stessi compagni chierici, e anche seminaristi; alcuni di essi
sono cattivi, altri non sono cattivi, ma non molto buoni, altri poi sono veramente buoni D.
Questo brano si legge già nell'autogr. di DB « Infermità e morte del giovane chierico Luigi
ComoUo scritta dal suo collega CChiericol Gio. Bosco... » [l8391 (AS 113 Comollo I). La
suddivisione dei giovani in tre categorie si trova nel Giovane provveduto, Torino 1847, p.
21: «Ci sono tre sorta di compagni. Alcuni buoni, altri cattivi; alani poi non sono del
tutto
p. 26
cattivi,
s: C Se
megalinevmedmeveanounbucoonmi »p;agnneollaatVteintatodneelllgaiosvcaunoelatt,odSoacuiiloe.D. .omqueensitcio,diTvoerniinvoa
1859,
tosto
l'amico di Domenico. Eravi un discolo . . . ? Domenico lo fuggiva come la peste. Quelli poi
che erano indolenti ei li salutava.. . ma non contraeva seco loro alcuna famigliarità P. La
classi6caiione compare poi neUe «Regole generali » (Articoli generali) premesse al Regola-
mento per le case: « Si ritenga che i giovanetti sogliono manifestare tre sorta di.[i giovanetti
-sorta di emendato da vi sono tre1 caratteri ovvero indoli diverse [diverse in sopralinea]:
Buona, ordinaria, difficileo cattiva.. . n CAS 046(42) l]; a 4. I giovanetti sogliono manife-
stare uno di questi caratteri diversi. Indole buona, ordinaria, difficile, cattiva >> (Regolamento
per le case, p. 15): com. si vede le tre sorta nell'elaborazione successiva si sono trasfor-
mate in quattro tipi di caratteri. Il ms. di DB si trova sul verso di una lettera a lui indiriz
zata da Domenico Varetti, Genova, 13 apr. 1877.
(4) [Bosco], Cenni storici, p. 16. Da notare che il parroco di Cinzano, Don Giuseppe
ComoUo intememe abbastanza anziano nella educazione del nipote: morl a 75 anni il 1"
gennaio 1843.
( 5 ) [Bosco], Storia ecclesiastica, Torino 1845, p. 9.
(6) [Bosco], Storia ecclesiastica, p. 8.
(7) iBosco1, Storia ecclesiartica, p. 10.
($ iBosc4; Storia ecclesiastica, p. 8.
(9) NeUa Storia sacra, Torino 1847, p. 7, DB cita genericamente: « Sac. Fecia nel-
l'Educatore Primario, Prog. », cioè « Progetto u. Ma il tema della iliuminaiione deUa mente
infantile non si trova affrontatonei testo al quale forse allude DB: A, FECIAI,ntroduzrone
a L'Educatore primario. Giornale d'educaz. ed istruzione elementare, a. 1, fasc. 1 (10 genn.
1845), p. I S. Qualcosa piuttosto traspare dall'altro articolo citato da DB nella prefazione
deUa Storia Sacra: V. Varrelli Educat. Prim. Vol. l", p. 406 », che è certamente: Vin-
cenzo GARELLDI,ell'insegnamento della Storia Sacra col me770 di tavole in L'educatore pri-
mario, 1 (30 ag. 1845) p. 404-407. Nella Storia sacra ed. 1853 le due citazioni vengono
ulteriormente deformate e Fecia diventa Feccia (p. 4) e Varrelli è sostituito con P. ilporti
( P 5).
(10) BOSCO, Storia sacra, p. 7 .
(11) Bosco, Storia sacra, p. 8.
(12) [Bosco], Il giovane provueduto, Torino, 1847, p. 13.
(13) [BOSCO], I1 giovane provueduto, p. 14-16.
(14) [BOSCO], Il giovane provveduto, p. 31.
(1s) Regolamento dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, [Torino 18771, p. 5
(16) Regolamento dell'oratorio, p. 7.

23.6 Page 226

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
periore il rapporto « padre-figli ì> che Don Bosco vuole sia fondamentale nel
rapporto educativo.
Osservanze religiose, attività ricreative intessouo il Regolamento mani-
festando tuttavia la loro natura funzionale. Per mezzo di esse il direttore e
i suoi collaboratori devono adoperarsi per insinuare nei giovani « l'amor di
Dio, il rispetto alle cose sacre, la frequenza ai Sacramenti, figliale divozioue
a Maria Santissima, e tutto ciò che costituisce la vera pietà » (l7). Il ditet-
tore « deve precedere gli altri incaricati nella pietà, nella carità e nella
pazienza » (l8). Carità e pazienza, che nel Regolamento sono giustapposte, ver-
ranno poi coordinate in base al testo paolino: Caritas patiens est. Nel Re-
golamento troviamo. dunque la religione come fine e come strumento edu-
cativo, la carità come qualità fondamentale dell'educatore, la confidenza tra
direttore e giovani secondo le modalità dell'amore paterno e fiiiale, troviamo
infine le cure che deve avere l'educatore per « guadagnare il cuore » degli
alunni.
Su questa linea già nel Cristiano guidato alla virtli e alla civiltd (1848)
- troviamo indicate alcune caratteristiche del sacerdote che esercita il suo
ministero tra il popolo. La dolcezza vi si dice - è necessaria con
ii popolo non meno che con eretici prevenuti e pervicaci: «Francesco di
Sales era una prova palpabile di questa verità, poiché quel prelato, sebbene
abilissimo nella controversia aveva ricondotti più eretici colla sua dolcezza
che per mezzo della scienza; e a questo proposito il cardinale di Perron era
solito dire, che quanto a qui si sentiva bensì di convincere i novatori, ma
soltanto Monsignor di Ginevra sapeva convertirli » (l9) S. Vincenzo de'
Paoli raccomandava ai suoi Lazzaristi di rendersi « affabili nell'assemblea dei
poveri » ed era «persuaso potersi soltanto colla dolcezza ricavar del frutto
dalle missioni di campagna
« Certe persone con aria ridente ed ama-
bile contentano tutti, e dal primo istante sembrano offerirvi il loro cuore
e chiedere il vostro » (2'). La dolcezza dell'uomo forte, che sa signoreggiarsi.
e sa anche resistere alla tentazione della debole indulgenza è paragonabile « a
quei fiumi che scorrono senza fracasso, ma abbondano sempre, né iuaridiscon
mai ». Viceversa «l'umore incostante e brusco del collerico è come i tor-
renti che da principio fanno un fracasso terribile, ma la loro forza passa col
loro straripamento » (*). La dolcezza sacerdotale s'ispira, come quella di
Vincenzo de' Paoli, a quella di Cristo, il maestro che a tutti rivolge l'in-
vito: Imparate da me che sono dolce ed umile di cuore »(").
Nette dichiarazioni sulla religione come elemento educativo inderoga-
(l7) Regolamento dell'Oratorio, p. 6.
('8) Regolamento dell'Oratorio, p. 5.
('9) [Bosco], Il cristiano guidato alla uirtù, Torino 1848, p. 87 S.
(") [Bosco], Il cristiano guidato alla uirtù, p. 88,
(2') [Bosco], Il crioiano guidato alla oirtù, p. 93.
(*l [Bosco], Il cristiano guidato alla virtù, p. 95 s.
(W)[Bosco], Il cristiano guidato alla uirtù, p. 90.
bile si leggono sulle circolari che tendono a promuovere la beneficenza,
nella Storia d'ltalia, in operette tra il 1855 e il '60. Come molti pubbli-
cisti cattolici del suo tempo e come molti pedagogisti Don Bosco proclama
che « la sola religione è capace di cominciare e compiere la grand'opera di
una vera educazione » ("); soltanto se la gioventù sarà rettamente educata
(sulla base della religione), « vi sarà ordine e moralità; al contrario, vizio
e disordine »(25),. Affermazioni categoriche si leggono nella Forza della
buona educaione (1855) (26). I1 racconto di Valentino o la vocazione impe-
dita (1865) ci presenta un padre, galantuomo miscredente, che attraverso
amare disillusioni giunge a persuadersi non esservi vera educazione senza
religione.
Don ,Bosco più volte ribadisce l'importanza della religione, anzi ne di-
chiara l'assoluta necessità come fine e come mezzo perché possa esistere e rima-
- nere in vigore il senso etico (27). « Dicasi pure quanto si vuole - afferma
nella vita di Besucco intorno ai vari sistemi di educazione, ma io non
trovo alcuna base sicura, se non nella frequenza della confessione e comu-
nione; e credo di non dir troppo asserendo che omessi questi due elementi la
moralità resta bandita » (28). Per la prima volta negli scritti di Don Bosco
vengono chiamati in causa i cosiddetti « sistemi di educazione D. Non è da
dimenticare il contesto apologetico e polemico che hanno questi asserti peda-
gogici nella mente di Don Bosco. La vita di Besucco, come qiielle di Do-
menico Savio, di Comollo e di Magone (come d'altronde anche quelle di
S. Martino, S. Pancrazio, S. Pietro) contengono tra l'altro una proclama-
zione della santità unicamente
nella vera Chiesa di Cristo. Le
pagine sulla confessione dei giovanetti dell'Oratorio non s o n e da disgiun-
gere da quelle apologetiche a favore della Confessione, baluardo di fede e
di moralità contro cui vanno le furie infernali e settarie. Il senso della
lotta e delle insidie del male interviene a dare articolari sfumature agli
asserti pedagogici e alla stessa interpretazione delle esperienze educative (29).
(m)Esercizi spirituoli alla Gioventd. Avviso socro, Torino, tip. Paravia 1849; cf. esem-
plare in AS 131.04 ed edizione in MB 3, p. 605.
(u) Esercizi spirituali, 1. C.
(\\26,) R--o-s.c.o, -In ,forza della buona educazione, Torino 1855, p. 48: « Solo la religione
o la grazia di Dio pub render l'uomo contento e felice B.
(n)Ma, come abbiamo rilevato, tende a qualcosa in più. Non si tratta solo di senso
etico, ma anche di salvezza eterna. Questa non c'è, se non nella vera religione. DB tende a
polarizzore ogni valore in quello religioso e, propriamente, in quelli che hanno la Chiesa
cattolica come depositaria. D'altra parte tende a dare un giudizio di valore negativo per
quanto appare consapevolmente fuori e contrario alla Chiesa Cattolica. La formula «ragione,
reiigione, amorevolezza » acquista un significato axiologico specifico, allorché viene accostata
alle preoccupazioni apologetiche di DB e alle sue tendenze che oggi chiameremmo inte-
griste.
(28) BOSCO, Il pastorello delle Alpi, Torino 1864, p. 100. I1 ms. su Besucco all'ora-
torio non è tutto dovuto a DB, ma l'espressione che abbiamo riportato sulla minuta è di
sua mano (Cf. AS 133 Besucco 1). Purtroppo l'edizione Caviglia (Opere e scritti editi e
inediti di Don Bosco, 6, Torino 1964) non ne tiene affatto conto.
(29) Cf. sopra, nota 27.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
I1 documento che propriamente inaugura la rappresentazione di espe-
rienze vive di Don Bosco educatore è La forza della buona educazione.
Vi si trova in scena il direttore dell'oratorio di S. Francesco di Sales come
catechista, consigliere e confidente del giovane Pietro. Vi appare nella pe-
nombra e senza una netta fisionomia. Ma il primo scritto che ci dà suffi-
cientemente a fuoco persone e fatti storici è la Vita di Domenico Savio.
In prima persona Don Bosco narra momenti essenziali come il primo in-
contro sulle colline di Castelnuovo tra lui e Domenico Savio; primo incontro
che mostra in pratica l'educatore che « guadagna il cuore » dell'allievo e
giunge a porsi in perfetta sintonia con lui:
« I l primo lunedì d'ottobre (18541 di buon mattino vedo un fanciullo accompa-
gnato da suo padre che si avvicina per parlarmi. I1 volto suo ilare, l'aria ridente, ma
rispettosa, trassero verso di lui i miei sguardi.
- Chi sei, gli dissi, onde vieni?
- Io sono, rispose, Savio Domenico, di cui le ha parlato D. Cugliero mio mae-
stro, e veniamo da Mondonio.
Allora lo chiamai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di
vita fino allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza egli con me, io con
lui.
Conobbi in lui un animo tutto secondo lo spirito del Signore, e rimasi non poco
stupito considerando i lavori che la Grazia divina aveva già operato in quel tenero
cuore P (l0).
La confidenza giunge a tal punto, che Domenico prende l'iniziativa:
«Dopo un ragionamento alquanto prolungato, prima che io chiamassi il padre,
mi disse queste precise parole: Ebbene che gliene pare? mi condurrà a Torino per
istudiare?
I :?~, 827
-- Eh! mi pare che ci sia buona stoffa.
A che può servire questa stotia?
i/
- A fare un bell'abito da regalare al Signore.
- Dunque io sono la stoffa: ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e
farà un bell'abito pel Signore » (3).
Ripercorrendo il dialogo si avverte come Don Bosco, servendosi di
allegorie, introduce il discorso enunziato sotto forma di esortazione nel
Gtovane provveduto: darsi a Dio da giovani, fare di sé un bell'ahito da rega-
lare al Signore. Tra i fini dell'educazione di Domenico a Valdocco I'ele-
mento religioso desta la più viva attenzione e acquista nella coscienza del-
l'educando il posto di fine principale. Don Bosco certamente si curò di con-
durre il discorso adeguatamente alle istanze di quel giovane che conobbe
gii singolarmente lavorato dalla divina grazia.
(3)Bosco, Vita del giovanetto Sauio Domenico, ed. C,,p. 34 s
(3') BOSCO, Vita del giovanetto Savio Domenico, p. 35.
Confidetiza paterna e filiale implicano anche l'apporto della « ragione »
nel fatto educativo. Quando Dornenico si sente invincibilmente attratto
dalla santità carne ideale e si apparta perché soffre un bene D Don Bosco
è pronto a intervenire e a penetrare il cuore dell'alunno. Non gli distrugge
l'ideale, non glielo sminuisce. Piuttosto approva e incoraggia e ha cura di
condurre il giovane a proporzionare i mezzi al fine. E la stessa biografia,
in quanto induce il giovane lettore a condividere le opinioni di Don Bosco
scrittore, è già per sé applicazione (cosciente o istintiva) del principio che
l'educatore deve dare all'alunno motivazioni valide (l2).
La biografia di Michele Magone rimette a fuoco la tesi dell'inderoga-
bilità della religione. L'allegria non. fondata sulla pratica religiosa si dimo-
stra effimera e un non valore che Don Bosco si preoccupa di far sosntuire
con quelli che ritiene autentici e hasilari (33).
Si avverte come le istanze pedagogiche manifestate sobriamente già
nel 1845 nella prefazione alla Storia ecclesiastica assumono via via forme più
ampie in documenti pubblici editi o no, come i regolainenti e le biografie.
Il maturare poi di istituzioni e il moltiplicarsi dei collaboratori pone Don
Bosco nella necessità o nell'occasione di fissare con l'animo del fondatore
e del padre i suoi ammaestramenti. Tra questa precettistica hanno un valore
quasi di codice e di testamento i Ricordi con6denziaii dati a Don Kua quando
nel 1863 venne inviato direttore a Mirabello Monferrato. Don Bosco vi
rispecchia tutto l'arco delle sue principali preoccupazioni di padre, di educa-
tore e di sacerdote che mira alla salvezza delle anime ("). Lo sviluppo deUa
,
Società Salesiana lo porta in seguito a trasformare quei ricordi ,in Una serie
di precetti ed esortazioni dal titolo Xicoidi confidenziali per i direttori (j5).
Il loro senso è dato da un preambolo con il quale nel 1863 Don Bosco
accompagnava i Ricordi: <( Ti parlo colla voce di un tenero padre che apre il
cuore ad uno de' più cari suoi figliuoli. Ricevili adunque scritti di mia mano
come pegno dell'affetto che io ti porto, e come atto esterno dei mio vivo
desiderio che tu guadagni molte anime al Signore D. Don Bosco ci si mostra
nell'atto di trasmettere affettuosamente i suoi amori supremi: per Dio e
per le anime (36).
(32) BOSCO, Vita del gioviinetto Savio Domenico, p. 50-52.
(33) BOSCO, Cenno biografico sul giovanello Magone Michele, Torino 1861, p. 16-20.
(3)Minuta in AS 131.01 Rua; edizione in MB 7, p. 524-526(con qualche ritocco) e in
Epirtolario 331.
(3)Una redai. autog. di DB è a Valdocco, Museo DB; altre mss. con postille, ag-
giunte ecc. di DB, dal 1864 al 1875, fino agli esemplari litografati, in AS 131.02. Aitra
edizione litograiata è del 1886 (AS 131.02).
(36) Dio (o più esattamente, la sua gloria) appare neUe prime battute del preambolo:
Poiché la divina provvidenza dispose di poter aprire una casa destinata a promuovere il
bene
te la
ddierlelazione... ». in
Mirabello,
ho
pensato
torilare
a
maggior
gloria
di
Dio
il
fidarne
a

23.8 Page 228

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Come S. Teresa e Don Cafasso, anch'egli raccomanda: « Nulla ti
turbi ( che è l'evangelico monito: non turbetur cor vestrum) (37).
Il fondo religioso dei Ricordi appare netto e senza schermi: nulla Don
Rua deliberi, se non dopo avere elevato il cuore a Dio, curi la salute fisica
e << morale », celebri la messa e reciti il breviario, non ometta ogni mattina
la meditazione e lungo il giorno una visita al SS. Sacramento. Carità e amo-
revolezza (cioè amore dimostrato) trovano a loro volta nei Ricordz con-
fidenziali una esplicita formulazione: « La carità e la pazienza ti accompa-
gnino costantemente nel comandare, nel correggere, e fa in modo che
ognuno da' tuoi fatti e dalle tue parole conosca che tu cerchi il bene delle
anime D. Nella reaazione del 1863 Don Bosco scrisse: Studia d i farti amare
piuttosto che farti temere i>. Nel 1876 il testo è ritoccato; amore e timore
non sono più contrapposti: « Studia di farti amare, se vuoi farti temere D.
E infine nel 1886: << Studia di farti amare prima di farti temere ». Don Bosco
scende tra l'altro a insegnare alcune formule per entrare rapidamente in confi-
denza con gli allievi e << guadagnarne il cuore »:
Passa coi giovani tutto il tempo possibile e procura di dire all'orecchio qualche
affettuosa parola, che tu ben sai, di mano in mano che ne scorgerai il bisogno. Que-
sto è il gran segreto che ti renderà padrone del loro cuore [.. .l Dimanderai: quali
sono queste parole? Quelle stesse che un tempo per lo più furono dette a te. P. es.:
- Come stai? - Bene. - E di anima? - Così, così. - Tu dovresti aiutarmi in
una grande impresa; mi aiuterai? - Si, ma in che cosa? - A farti buono; oppure:
A salvarti l'anima; oppure: A farti il più buono dei nostri giovani.
Coi più dissipati: - Quando vuoi cominciare? - Che cosa? - Ad essere la mia
consolazione; oppure; A tenere la condotta di San Luigi.
A quelli che sono un po' restii ai Santi Sacramenti: - Quando vuoi che rom-
piamo le corna al Demonio? ».
Analoga arte Don Bosco raccomanda allorché occorra disporre dei
collaboratori:
«Procura di non mai comandare delle cose superiori alle forze dei subalterni.
mai si diano comandi ripugnanti: anzi abbi massima cura di secondare le indina-
zioni di ciascuno afidando di preferenza le cose che si conoscono di maggior gradi-
mento. . .
- a In caso di dover comandare cose difficili o ripugnanti al subalterno si dica
p. es.: - Potresti fare questa o queli'altra cosa? Oppure: - H ouna cosa impor-
tante, che non vorrei addossarti, perché difficile, ma non ho chi al pari di te possa
compieda. Avresti tempo, sanità; non ti impedisce altra occupazione?
aveva
(37) Cf, BOSCO, Biografia del sacerdote
familiare il detto di S. Teresa: niente
Giuseppe Cafasso, Torino
ti turbi.. . ».Nella prima
1860, p.
minuta
92:
i 1"
NieEngtlei
ti turbi » è un'aggiunta marginale di DB. I Ricordi
P1 A te raccomando di evitare le mortiiicazioni nel
caivbeov.a.n.o».inizio con
« 1" [corr.
poi
in
L'esoerienza ha fatto conoscere che simili modi, usati a tempo, hanno molta ef-
ficacia ».
Come si constata, dei << guadagnarsi il cuore >> nei Rzcordi confidenzial!
sono date applicazioni pratiche relative sia agli alunni che ai collaboratori.
I1 tipo delle << paroline all'orecchio è presentato con valore esemplificativo.
Don Bosco manifesta di basarsi sulla propria esperienza, con i propri giovani,
per i quali un linguaggio religioso e moralistico, la semplice parola << anima »,
ponevano in moto tutto il dinamismo intellettuale, affettivo, emotivo.
Gli elementi correlativi << amore-timore in educazione ritornano nelle
Memorie dell'Oratorio (1873-76). Ai Salesiani Don Bosco propone l'ideale
precettore-educatore nella persona di uno dei suoi antichi insegnanti del Col-
legio di Chieri:
« I1 professore Bailaiidi era un vero modello degli insegnanti. Senza mai inflig-
gameizraeivaalcruuntticqaustaiigofigelria,
riuscito a farsi temere ed amare da
ed essi l'amavano qual tenero padre
tutti i
(38).
suoi
allievi.
Egli
li
Le Memorie dell'Oratorio, cosi come le biografie di Savio, Magone e
Besucco, giovano a rappresentarci Don Bosco in azione per << guadagnare il
cuore D dei giovani con l'uso dei mezzi più semplici e più immediati del
linguaggio popolare. Lo vediamo, ad esempio, in azione con Bartolomeo
Garelli 1'8 dicembre 1841. I1 giovane è impacciato nella sagrestia di S. Fran-
cesco dtAssisi a Torino; è malmenato dal sagrestano, perché non s a servir
messa. Don Bosco libera dalla situazione d'inferiorità e dall'evenfuale ini-
b one: << Come ti chiami? vive tuo padre? . . . E tua madre? ... . Sai leg-
gere e scrivere? Sei stato promosso alla Santa Comunione? D. « S e ti facessi
un catechismo a parte verresti ad ascoltarlo? D. Le Memorie ci fanno sor-
prendere Don Bosco interiormente proteso verso i giovani, ci fanno cogliere
Don Bosco posto sulla soglia della loro personalità offrire il proprio cuore
e chiedere il loro, rispettoso e delicato, tra supplice e confidente, insi-
nuante e allettante; grato se il giovane ne accetterà il sacerdotale servizio,
Don Bosco annota che al giovane orfano parlò << coila amorevolezza D che
gli era possibile (3g).Ci dà così il termine che preferirà nell'opuscolo sul Si-
stema preventivo e che già timidamente, in contesti diversi era apparso nei suoi
scritti (").
, , - - - s~ - - .
(3)M 0 p. 125.
(a)[BOSCO], Erercizio di dioorione alla misericordia di Dio, p. 75: «Quarto giorno.
L'amorevolezza con cui Iddio accoglie il peccatore è il primo motivo per cui dobbiamo rin-
graziarlo »; ID., Cenno biografico rul giovanetto Magone Michele, Torino 1861, p. 27 (racco-
mandav~ioniai confessori): a Accogliete con amorevolezza ogni sorta di penitenti,ma spe-
cialmente i giovanetti n. Ricordiamo anche la conferenza ai membri del Capitolo su~eriore
e ai direttori; del 4 febbraio 1876, Cronaca di Don Barberis e MB 12, p. 88: nBisogna
usare grande amorevolezla coi giovani; trattarli bene. Questa bontà di tratto e questa am@
revolaza sia il carattere di tutti i Superiori, nessuno eccettuato ».
..

23.9 Page 229

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Eondato poi l'Oratorio - continua Don Bosco nelle Memorie - la
« scena del congedo era quasi un rito e un segno dei legami affettivi tra lui
e i giovani:
«Usciti di chiesa, mettevami in mezzo di loro, li accompagnava mentre essi can-
tavano o schiamazzavano. Fatta la salita del Rondò, si cantava ancora qualche strofa
di laude sacra, di poi si invitavano per la seguente domenica D.
*<Unascena singolare era la partenza dali'oratorio. Usciti di chiesa, ciascuno
dava le milie volte la buona sera senza punto staccarsi dail'assemblea dei compagni.
I o aveva un bei dire: - Andate a casa; si fa notte; i parenti vi attendono. - Inutil-
mente. Bisognava che li lasciassi radunare; sei dei più robusti facevano colle loro
braccia una specie di sedia, sopra cui, come sopra di un trono, era giuocoforza che io
mi ponessi a sedere. Messisi quindi in ordine a più file, portando D. Bosco sopra quel
palco di braccia, che superava i più alti di statura, procedevano cantando, ridendo e
schiamazzando fino al circolo detto comunemente il Rondò 1.. .l Fattosi di poi un
profondo silenzio, io poteva aliora a tutti augurare buona sera e buona settimana.
Tutti con quanto avevano di voce rispondevano: - Buona sera! In quel momento
io veniva deposto dal mio trono; ognuno andava in seno delia propria famigIia,
mentre alcuni dei più grandiceiii mi accompagnavano fino a casa mezzo morto per la
stanchezza » (4).
I canti, in quel clima di semplicità e di tenace tradizione religiosa,
erano, secondo il ricordo di Don Bosco, canti sacri. Sul Rondò si finiva con
« il solenne canto del Lodato sempre sia ia» (42).
Le Memorie dell'Oratorio ci portano ormai alle soglie dell'opuscolo
sul Sistema preventivo (succinta presentazione del metodo educativo con-
trapposto al sistema repressivo) fondato sul trinomio ragione, religione, e amo-
revolezza e sull'assirtenza preventiva fukro del metodo.
2. I1 Sistema preventivo nel contesto culturale di Don Bosco e del suo
ambiente
A questo punto è bene ricordare il rapporto esistente sul piano cul-
turale, pastorale e pedagogico tra affermazioni di Don Bosco e persuasioni
del suo ambiente. G i à lo notammo: non è raro nella letteratura ascetica
incontrare dichiarazioni di affetto fatte da scrittori ai loro giovani lettori.
Non è soltanto l'autore del Giovane provueilzlto a proclamare che ama con
tutto il cuore l a gioventù. L e parole di Don Bosco trovano rispondenza nel
manualetto al quale direttamente si ispirò, la Guida angelica (43). Le osser-
.,
(4l) M 0 p . 178.
!
A1 «miei cari » di DB corrisponde nella introduzione alla Guida angelica « o
dilettissimi » (p. 5 e 7). Proteste di affetto si trovano anche in Egidio IAIS, L'amico dei
janciulli ovverro libretto d'istruzione e di preghiera.. ., Torino, ~Marietti1847, p. XIII s:
v«oMi .ie.i.
cari
»
fanciulli,
Io,
dappoiché
vivo,
ho
sempre
portato
grandissimo
amore
a
tutti
vazioni sulla dolcezza da usare con increduli e popolani nel Crirtiano guidato
alla virtù provengono d i peso da Joseph Ansart e mantengono lo stesso
senso nel quadro di u n discorso d i carattere agiografico e pastorale ("). Quanto
Don Bosco scrive sulle qualità che deve avere il direttore dell'oratorio fe-
stivo si legge già nella sostanza sul Regolamento dell'oratorio S. Luigi d i
Milano, al quale egli si ispirò (").
Attraverso tali documenti ci si trova introdotti nel campo vastissimo
di scritti ascetici e pedagogici, nei quali ricorrono le medesime preoccu-
pazioni e Ie medesime dominanti del pensiero e dell'azione d i Don Bosco
educatore. Non rimane che porre l'occhio su alcuni autori che potremmo
dire classici almeno per l'influsso che esercitarono o perché esponenti di
opinioni comuni. E poi ci conviene fissare l'attenzione su alcuni scritti più
prossimi a Don Bosco, prodotti dal medesimo ambiente o circolanti negli
istituti educativi cattolici della seconda metà dell'Ottocento.
Nessun indizio abbiamo per supporre che Don Bosco abbia letto peda-
gogisti di Port-Royal, come Nicole, Lancelot e Coutel. Tuttavia ci sembra
legittimo ricordare alcuni loro temi dominanti, che servirono di ispirazione
a Giovanni Battista d e la Salie, a Lasalliani come frate1 Agatone e a peda-
gogisti in qualche misura autonomi, come Fleury, Fknelon, Bossuet e Rol-
lin, alcuni dei quali risultano come spirito abbastanza vicini a Don Bosco ("1.
I pedagogisti di Port-Royal non hanno presente - come poi i fautori
dell'educazione popolare e di massa - folti gruppi di allievi. La loro teo-
(e)J, ANSART, Lo spirito di S. Vincenzo de' I'aoli, 1, Genova 1840, p. '183s: « S .
Francesco di
abilissimo. . .
Sales
»; p.
era una prova palpabile di
184: «Rendetevi dabili
aqlul'aesssteamvbeleriatà,depioicphoéveqriu.e.l.p»r;elapt.o
abbench4
189: « Si
vedono
istante
delle persone che
sembrano offrirvi il
cloonroacrinaorreid.e.n.t»e;,
ed amabile contentano
p. 191 s: sulla dolcezza
tutti, e che dal primo
dell'uomo forte e sugli
scatti d'ira deil'incostante (ci. sopra, note 19-23 e testo corrispondente).
(4s) Regole dell'Oratorio di S. Luigi eretto in Milano il giorno 19 maggio 1842 in
Codrada di S. Cristina n. 2135, pt. 2, cp. 2, capitolo 1, art. 2, p. 17: « I 1 Prefetto è come
il padre deUa numerosa famiglia dei Confratelli » (nell'Oratorio S. Luigi di Milano il Di-
rettore & il superiore stipremo, ma senza l'obbligo d'intervenire neìl'Oratorio stesso; supe-
riore diretto dei giovani e degli educatori è 2 Prefetto). Le Regole in questione hanno il
termine di « Cwiperatori » adottato anche da DB.
Le finalità generali dei due Oratori sono indicati in termini molto affini: Regole del-
l'Oratorio di S. Luigi, pt. 1, cp. 1, p. 7 s: « Scopo deii'oratorio. - Lo scopo è di trattenervi
raccolti nei giorni festivi e così sottrarli ai pericoli dellbzio e delle cattive compagnie per la
santificcazione deUa festa, per istniirli sui doveri di religione e di società e formare così
degli onesti cittadini e dei probi artigiani n. - Regolam. dell'Oratouio di S. Francesco di
Sales, pt. 1, AS 02611, p. 1: Scopo di questo Oratorio. - Lo scopo di questo Oratorio
festivo è di trattenere la gioventù ne' giorni di festa con piacevole ed onesta ricreazione
dopo di aver assistito aUe sacre funzioni di chiesa [...I la gioventù [.. . I ne' giorni festivi va
soprattutto esposta all'ozio e aUe cattive compagnie n.
(4)Fr. EMILEA, lle sorgenti della dottrina spirituale di San Giov. Batt. de La Sulle,
in Rivista lasalliana 5 (1938), p. 253.
A. PERTE,Rollin, sa vie, ses oeuvres et l'université de son temps, Paris 1902; L. CA-
VALLONE, I maestri c le piccole scuole di Port-Royal, Torino 1942; L. COGNETC,loude Lan-
celot . . ., Paris, 1950 (Cf. sopra, p. 232, nota 23).

23.10 Page 230

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Don Bolsocgoianellliapsotorrtiaa daellcaornesligidioesritaàrecacttholeicail. Vnoul mII.eSrtoelladegli eletti è ristretto; i loro schemi
pedagogici sono nel contesto del costume seicentesco. Essi hanno presente
soprattutto il precettore nel seno della famiglia o in collegi tenuti da Ordini
e Congregazioni religiose, dove l'educazione è riservata a gruppi discretamente
piccoli. In tale situazione per il precettore è facile e anzi talora è di obbligo
il trovarsi sempre a franco dell'allievo. L'educatore è portato a considerarsi
come il solido puntello per la tenera pianticella che, lasciata a se stessa incli-
nerebbe sicuramente al male. I1 dogma del peccato originale e quello della
redenzione salvifica per mezzo della grazia sono al centro della pedagogia
di Port-Royal con modalità proprie dell'agostinismo. La loro, nondimeno, non
è una pedagogia' scontrosa e rude, ma dolce e paziente. L'educatore non
dev'essere un domatore di bestie selvagge, ma deve sentirsi come il buon
pastore, chino verso le sue pecorelle, imbevuto di carità benigna. Paziente-
mente deve saper sopportare i frutti amari che la natura debole e corrotta
produce; deve piuttosto impegnarsi per curare I'irrobustimento dei teneri
germogli immessi nel cuore dalla divina paterna bontà. Nella pedagogia reli-
giosa di Port-Royal dunque si trovano in germe, in contesto proprio, forte-
mente teologico, elementi che sono fondamentali nel sistema d i Don Bosco:
l'assistenza, la carità paziente, paterna e ragionevole, che conduce i fanciulli
a spalancare la mente alla luce divina e il cuore all'irrorare della grazia. Rollin
mole che ai fanciulli si parli « ragionevolmente » e con loro si usi « u n a dol-
cezza che li guadagni » ("); si faccia in modo « di regolare i fanciulli colla
dolcezza e col farsi amare », si da ottenerne «obbedienza e sommessione » (").
Frate1 Agatone ricorda all'educatore « che i'amore s'acquista con l'amore ».
« U n maestro adunque prima d'ogni cosa e soprattutto deve assumere per
essi sentimenti di padre, e mai sempre riguardarsi come facendo le veci
di coloro che ad esso gli hanno affidati: cioè aver per essi quelle viscere d i
bontà e di tenerezza che hanno i padri medesimi » (49).
I1 precettore deve conoscere a fondo i suoi allievi, deve studiarne
la natura e le inclinazioni, deve tenere d'occhio le qualità radicalmente
buone, ma troppo deboli ed esposte all'infutiare delle passioni. La buona
educazione deve prevenire il formarsi degli abiti viziosi, prevenendo già
le mancanze singole. Se gli abiti viziosi diventano dominanti, il cuore è
dominato dalla concupiscenza e conseguentemente la ragione è oscurata, incapace
di conoscere la luce divina e di sentirsene dilettevolmente attratta.
Queste considerazioni servono a ribadire l'importanza dell'assistenza perse-
verante e soprannaturalmente affettuosa del precettore. Lasciati a se stessi
- come dicemmo - gli alunni facilmente rischiano di piegare al male e
(47) C. ROLLIN, Della mamiera d'insegnare e studiare le belle Intere, I. 7, pt. 1, art. 7,
vol. 3, Reggio 1828, p. 125.
(e)ROLLIND,ella maniera d'insegnare, 1. 7, pt. I, art. 4, ed. c., p. 109.
(49) Fr. AGATONE, Le dodici virtù di un buon maestro accennate dall'ab. de La Salle,
Torino, Marietti 1835, p. 35 e 37. Per altri confronti cf. P. BRAIWI,l sistema preventivo
di Don Bosco, Torino 1955, p. 110-115.
perciò corrono pericolo di dovere essere poi puniti medicinalmente, così
come Dio usò fare con il popolo ebreo, d o r c h é abbandonava i retti sentieri.
La parola «prevenire » in rapporto ai castighi si trova in Giovanni Batti-
sta de la Salle: « I maestri debbono prevenire le colpe per non doverle
punire, mediante una grande attenzione su se stessi e una continua vigilanza
sui loro allievi ». L'assistenza ha una sua motivazione teologica, essa è
richiesta - spiega ancora Giovanni Battista de la Salle - dal fatto che
il fanciullo « è debole e incline al male di sua natura D(").
A tali principi vengono date applicazioni più ampie sotto lo stimolo
della cultura illuministica e sotto quello della pedagogia preromantica di
Rousseau. La cultura illuministica poneva davanti all'educatore cristiano il
problema e il fatto della gioventù incredula. Ormai si constatava e si deplo-
rava che molti, giunti a una certa età si dichiaravano « libertini », cioè liberi
pensatoti, avversi al dogmatismo teologico, fautori di una morale secondo
natura, slegata da canoni confessionali e tendente al benessere tale quale
appariva razionalmente appetihile e raggiungibile. Libertini e filosofi proclama-
vano che la ragione, per sua natura, portava a svincolarsi dalle costrizioni
confessionali dogmaticbe e morali. Su tali canoni si sviluppa una pedago-
gia « secondo natura D e « secondo ragione ». Anche i pedagogisti cattolici rac-
comandano di curare la ragione così come le qualità inorali. Invitano a consi-
- derarla, così come gli abiti morali - virtù e passioni come un germe che
si sviluppa e matura, come una potenza dell'anima che si perfeziona e si
acuisce con l'esercizio e accumula cognizioni a cognizioni.
Si scorge un qualche influsso cartesiano nella raccomandazione a non
lasciar entrare nello spirito del fanciullo alcuna idea falsa, oscura e confusa:
«Dategli - raccomanda al precettore l'abate Blanchard in un'opera edita anche
a Torino dai Pomba - un'esatta contezza di quello che è proporzionato alla sua capa-
cità; rettificatene i cattivi giudizj e viziosi raziocini, e sovra tutto non gli dite mai
cosa che non sia ragionevole »
Nonostante la coscienza del peccato originale, la pedagogia dell'era
illuministica ha grande fede nella forza sostanziale della ragione: « Con-
viene - continua il Bianchard - attentamente adoprarsi, acciò le idee de'
(50) J, B. DE LA SALLEM, éditationi, 32.ènie, punct. 3, citata da Carlo VERRII, ira-
telli delle Scuole Cristiane e la storia della scuola in Piemonte, Como, S.d., p. 80.
(51) Ab. BLANCI-IALRaDs,cuola de' costumi.. ., trad. dal francese.. ., Genova 1795,
2 vol.; Milano 1817, 2 vol.; Torino 1825, 3 vol. - La Bibi. di Valdocco possiede un com-
pendio edito a Napoli 1856. I1 brano che abbiamo citato è nelle Riflessioni pucliminari
intorno all'educaxione, ed. Milano, vol. 1, p. 8. Queste riflessioni sono suddivise nei se-
guenti paragrafi: 1) DeU'educazione iisica; 2) dell'educazione morale: a) la ragione; b) la re-
ligione; C) il carattere; d) i costumi; e) i'autorità ed il ~ispetto;f ) i castighi; g) i senti-
menti; h) il tempo ed il modo d'istruire; 3) Del Precettore o dell'ajo. - Vero nome del
Blanchard è Jean-Baptiste Duchesne, n. nel 1731, appartenne alla Compagnia di Gesù,
ma ne usci nel 1762. Cf. SOMMERVOGEL, Bibl. de la Comp. di Jéses, t. I , ci. 1538.

24 Pages 231-240

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24.1 Page 231

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella

24.2 Page 232

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Don Beospceornienldlausrtloiriaaddaemllaarreeliglaiosdiitsàccipatltionlaic,ac.iVooèl iIIl. rSetgelolalamento con cui si tengono, ed affihché
non dimorino nel collegio o seminario meramente per forza, e non facciano quello che
debbono fare mossi dal puro timore, ma per amor di Dio » (a).
E possibile trovare considerazioni analoghe in Ferrante Aporti, ma
nella problematica più vasta dell'insegnamento popolare e specialmente in
quella degli asili infantili. Secondo 1'Aporti l'abilità dell'educatore non sta
tanto nel punire prudentemente gli errori dei fanciulli, quanto piuttosto nel
sapere prevenirli (69).
Dell'ambiente di Don Bosco sono anche i Pensieri ecclesiastici stampati
dal Marietti nel 1849 e propagandati da Don Bosco stesso (70). Tra l'altro vi
si, legge che è dobere del clero opporsi ai « micidiali colpi, che si scagliano
a d a n n o della gioventù ed invigilare sollecitamente alla s u a cristiana edu-
cazione, guardandola attentamente dai pericoli che la sovrastano, procuran-
[MONACI], Raccolta, 3, p. 79.
( W ) I;, APORTI, Scritti pedagogici editi e inediti, 2, Torino 1945, p. 114-116. L'Apoiti
fu a Torino dai 1844. Altre coincidenze sono rilevate da P. BRAIDOIl, sistema preventivo di
Don Bosco, Torino 1955, p. 118-122. L'amorevoleua raccomandata da G. S. Gerdil al Rer-
tore e agii alunni dei convitti ecclesiastici (considerazioni proposte per la formazione di
un Convitto ecclesiastico, in GERDILO, pere, 2, Bologna 1785, p. 309 e 313). Rohhio di
S. Rafiaele dichiarava a felice il Mentore, il quale a forza di maniere cordiali rende paterno
il comando e liliaie la dipendenza: che riesce a farsi dal discepolo dare in mano le chiavi
dei more» (Apparecchio degli educatori, Torino 1787, p. 61); afferma che « l'amorevolezza
del precettore dee stendersi a tutti i bisogni dell'alunno » « e periiio le correzioni » giovino
a guadagnare il more del discepolo (p. 61 s). Guglielmo AUDISIOdichiara che «una parola
henevola di un superiore ha talora una forza onnipossente n (Educazione morale e fisica del
clero conforme ai bisogni religiosi e civili, Torino, Stamperia Reale 1846, p. 76); «atti
cortesi e amorevoli, voce affettuosa e di padre, prendono la signoria dei cuori» ( p . 77);
i direttori assistano ai divertimenti degli alunni «sotto forma d'amici più che di superiori »,
prendano parte ai loro discorsi «allora specialmente che l'anima più aperta e più facile
a lasciar quasi vedere se stessa » (p. 106), promuovano ricreazioni e passeggiate (p. 228-
233). Per la educazione in internati interessa la documentazione relativa al Pio istituto
eretto in Brescia dal canonico Ludovico Pavoni a ricovero ed educazione <de' fi& poveri
ed abbandonati » (Istituto degli ArtigianeUi). La cura era &data alla Congregazione reli.
giosa dei Figli di Maria. Neiia Costituzione deUa Congregazione si raccomanda tra l'altro
al Vice rettore: « L e ricreazioni attireranno specialmente la sua attenzione; non lasceri mai
i figliuoli senza la sua sorveglianza, lo farà per6 in modo di lasciar loro una certa libertà,
nella quale più facilmente si -mostrano quali sono, onde poterne di Leggieri scoprire
il carattere e le indinazioni ed avere facile il modo di piegarli e maneggiarli con simro suc-
cesso » (Costituzione della Congregazione religiosa dei Figli di iMmia, Brescia, 1847, p. Il1 s).
Per altri confronti tra DB e l'Opera di L. Pavoni cf. BRAIDOIl, sistema preuentiuo di
Dori Bosco, Torino 1955, pp. 97.100.
(70) Pensieri ecclesiastici con avuertimenti adattati ati bisogni del tempo raccolti do
un sacerdote. Edizione seconda, Torino, Marietti 1849. Ne scrive DB al rosminiano Giu-
seppe Fradelizio, Torino, 5 giugno 1849 (Epistolario 18). Diversamente da quanto scrive Don
Ceria (Epistolurio, p. 23)
Toussaint Carron (Londres
n1o7n99s,oLnoilleun18e3s5tr.a.tt.o).
dall'opera
A p. 85 i
Pensées ecclésiastiques di Guy
Pensieri elogiano l'oratorio di
DB: «L'Oratorio di S. Francesco di Sales eretto in Torino, nei quale si raccolgono ne'
giorni festivi principalmente i ,9iovani poveri più abbandonati per indirizzadi alla pietà ed
al buon costume, potrebbe servire di modello ad altre simili utilissime istituzioni D.
dole libri buoni, correggendone con amorevolezza l'incostanza, rendendola
sottomessa ed ubbidiente a cui la d e v e governare, e per ultimo facendole
gustare la virtù ed amare la frequenza de' Sacramenti » ("). La vigilanza
preventiva ha dunque come oggetto essenziale i valori religiosi ed ha presenti
i « micidizli colpi » che si scagliano contro la gioventù. La preoccupazione
apologetica e il senso di lotta traspare nell'intero opuscolo e riflette il clima
di battaglia che si viveva ormai anche in Piemonte per le leggi scolastiche
liberali. Sempre nell'area culturale d i Don Bosco a favore dell'insegnamento
religioso è possibile trovare nella Collezione d i buoni libri, sulle colonne del-
l'Armonia e sul Galantuomo pagine battagliere siill'importanza insostituibile
della educazione religiosa e sui mali che fatalmente piomheranno sulla società,
quando non si vorrà più fondare la morale
su una coscienza reli-
giosa (7"). Ormai dunque a metà Ottocento la battaglia in favore della reli-
gione come fondamento della buona e compiuta educazione supera il con-
testo che è possibile constatare ad esempio nel Blanchard o ne1l'Anti-Émile
del Gerdil o nelle Lettere a Sofia del Muozarelli e in tutta la letteratura
apologetico-pedagogica tradizionale contro Rousseau (73).Ormai infatti si hanno
sott'occhio, oltre che «filosofi » esponenti di una cultura in dissidio con la
tradizione ecclesiastica, anche istituzioni pubbliche che si avviano a codificare
la non stat?lità e la libertà dell'insegnamento religioso nelle scuole.
I n contesto di società liberale e di liberalizzazione dell'insegnamento
culturale c'è chi si preoccupa delle conseguenze sociali. Lo Stato, aiIermava
Adolfo Thiers in un rapporto del 13 luglio 1844, non può assolutamente
disinteressarsi della istruzione. Se questa veniva lasciata all'arbitrio privato,
sarebbero sorti disordini, sarebbe stato necessario moltiplicare la sorveglianza
e giungere alla punizione dei colpevoli. Comunque, in condizioni di libertà
lo Stato doveva attrezzarsi per vigilare e per reprimere. Thiers adopera in
antitesi, come farà Don Bosco, il binomio « sistema preventivo e sistema
repressivo D:
« I1 est élementaire qu'en sortant du système préventif, on entre sur le champ
dans le système répressif D (74).
(71) Pensieri ecclesiastici, p. 115.
(n)Ad es. Libertà d'istruzione ed educazione della gioventù (Coll. buoni libri, a. 1,
. disp. 17), Torino 1850; Il clero e Z'educazione della gioventù in Il galantuomo.. pel 1863,
Torino 1864, p. 14-21.
(73) Dà un elenco della produzione relativa al Rousseau, Silvia ROTA GHIBAUDLIu,
fortuna di Ro,wseau in Italia (1750-1815),Torino 1961, p. 317-364.
(74) Rapport de M. Thiers sur la loi d'instruction secondaire fait au nom de la
commission de la Chambre des députés dans la séance du 13 juillet 1844, Paris 1844, p. 38.
Il tema assistenziale. è ripreso nel Rapport ggnéral présenté pav M. Thiers au nom de la
commissioa de l'ussistance et de la prévoyance publiques dans la séance du 26 pnvier 1850,
Bruxelles 1850.

24.3 Page 233

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Don BoscoAnbeiltlauasltoi riasodneolla irenliguions'iopcearattolidcae.lVoDl uIIp. Satnellloaup i termini « disciplina preven-
tiva e disciplina repressiva », associati a quello di « disciplina direttiva » (").
L'esecuzione deile norme regolamentari in una casa di educazione viene tu-
telata, scrive il Dupanloup, « prevenendo la violazione del regolamento collo
zelo della vigilanza » (").
« Va1 meglio senza confronto il prevenire che il reprimere; ma l'esattezza del
mantenere il bene, e la vigilanza nell'impedire il male rendono meno urgente la ne-
cessità di reprimere. Quindi la maggior importanza della disciplina direttiva, che man-
tiene il bene; la secondaria importanza della disciplina preventiva, che impedisce il
male; e l'inferiore importanza, comeché necessaria, della disciplina repressiva, che lo
punisce » (77).
«Ogni professore deve mostrarsi puntualissimo in tutti i doveri disciplinari, sì
pel tempo, come pel luogo, ed essere sempre al posto per primo, ed a rigar di minuto.
I1 benefizio che si ritrae da questa precisa e costante esattezza consiste nel non mai
lasciare in abbandono ed a se stessi gli alunni, nel prevenire per tal maniera le man-
canze, che potrebbero fare in assenza de' maestri, e nello stabilire il regime preventivo
le mille volte preferibile al repressivo.
Siffattaesattezza è d'ogni momento, per lo studio, per la scuola, ricreazione, pa.
sto, esercizi di pietà, e soprattutto per la lettura spirituale, che è il momento più
capitale di tutta la giornata » (78).
« S i dee più agire che parlare, prevenire più che reprimere, e far sentire a tutti
un'autorità paterna, vigilante, severa all'uopo, ma senza offesa dei caratteri diffi-
cili » (79).
Un opuscolo, iniine, del barnabita Alessandro Teppa ci porta ad al-
cuni sentimenti vicinissimi a quelli espressi nel Sistema preventivo. E il
Teppa, è bene ricordarlo, fu in corrispondenza epistolare con Don Bosco
Anche il P. Teppa dà risalto al testo paolino: Caritas benig~aest, pa-
tienr est ('l). Anch'egli insiste sul reciproco amore tra educatore ed educando:
« Chi vuole signoreggiare il cuore dei giovani, procuri soprattutto di farsi
amare. Chi è amato, è sempre volentieri ascoltato e ubbidito. Ma per farsi
amare non vi è altro mezzo che amare » (82). Quanto al castigo da infliggere
( 7 9 F. DUPANLOULP',educazione. . . versione ital. di D. Clemente De Angelis, l. 3.
cp. 3, vol. 1, Parma 1868, p. 177.
(76) DUPANLOUP, L'educazione., l. C,.. .D. 177.
DUPANLOUP, L'educazione, l. c., p. 178.
(78) DUPANLOULP'e,ducuzione, vol. 3, 1. 2, cp. 8, § 1, p. 327 S.
(79) DUPANLOUP, L'educuzione, vol. 3, 1. 2, cp. 8, 4 2, p. 334.
Cf. Epistolario 722. Del P. Teppa DB utilizzò anche la Vita della venerabile Maria
degli Angeli carmelitana scalza, Torino, Marietti 1864 per l'opuscolo dello stesso titolo edito
nelle LC 1865. A Valdocco anche se ne usava l'operetta Gesù al cuore del divoto di Maria:
cf. elenchi di libri dei giovani (AS 38 Torino-S. Franc. di Sales 51; AS 112 Fatture, Ma-
rietti).
P') A. TEPPA, Avvertimenti per gli educatori ecclesiastici della gioventù, Roma.
Torino 1868, p. 61-69.
(a)TEPPA, Avvertimenti, p. 21.
ammonisce: « Sia dato con dignità e insieme con amorevolezza, dimndoché
dalle parole e dagli atti dell'Institutore apparisca per una parte il giusto
rammarico che egli sente della colpa commessa e la necessità che gli viene
imposta dal suo ufficio di non lasciarla impunita, e per altra parte ancora si
scorga il dispiacere che egli prova nel dover punire cosi contro sua volontà
una persona che egli ama » ('7).
L'educatore si studierà di conoscere ogni giorno più per pratica quali
siano le varie inclinazioni d i ciascuno e quali mezzi più efficaci per ben dirig-
gerle » (%). Si guarderà dal deprimere la personalità dell'educando, « perché
anche il fanciullo, anche il giovane vizioso desidera e merita di essere ri-
spettato si per la dignità della sua natura, e si per le buone qualità che in
lui pure si trovano: e il disprezzare, il deridere, e l'avvilire un giovane pei
suoi vizi o difetti, come è contrario all'umiltà ed alla carità cristiana, cosi
non fa che irritare il giovane stesso, e togliere riverenza al superiore che non
sa rispettare i suoi soggetti » (").
Alcune note sui castighi premesse al Regolamento per le Case subito
prima delle pagine sul Sistema preventivo manifestano notevoli coincidenze
con il libretto dei P. Teppa:
Teppa:
<< I1 battere poi in verun modo [ .. .l
il tirar loro le orecchie
e simili atti
sieno assolutamente banditi [ .. . .l »
Regolamento:
« I1 percuotere in qualunque modo. . .
il tirar le orecchie
ed altri castighi simili
debbonsi assolutamente evitare [ .. .l » (m).
3. Valori e limiti deli'opuscolo sul Sistema preventivo
Comunque sia, il tessuto del Sistema pvevenrivo è tale, che ci garanti-
sce u n lavoro compositivo di Don Bosco stesso. Due lettere di Don Bosco
a Don Bologna, direttore della casa salesiana di Nizza, avvertono che il
se
(81)
vuole
fTarEsPiPtAe,mAeureu.erItnimqeunetis,top.ca4s9os.laDBso: ttraLz'ieodnuecadtiorbeentreavoglleinazlalieèviucnerccahsitidgiof.a.r.si[CaFm. asree,
pra, nota 69, quanto citammo dall'Audisio]. Presso ai giovanetti è castigo quello che si fa
servire per castigo. Si & osservato che uno sguardo non amorevole sopra taluni produce ma@
gior effetto che uno schiaffo [esperienza di DB, ma anche già del Cotitel, del Blanchard,
ecc.] n: 6.Inaugurazione del Patronato, p. 32 S.
(M) TEPPA, A~uertimcnti,p. 11.
(6)TEPPA,Auuertimenti, p. 21.
(sa) TEPFA,Auvertimenti, p. 47.
(m)Il sistema preuentiuo, Una parola sui castighi, [n,] IV, nel Regolamento per le
Case, Torino 1877, p. 12. Tale articolo manca nella redazione edita in Inuugurazione, che
al n. IV ha quello che nel Regolamento divenne n. V: I1 Direttore faccia ben conoscere le
regole.. . (p. 33). La minuta dell'art. IV I1 percuotere.. . *) è allografa: AS 026(42) 3,
p. 7. DB fece qualche correzione. Tra l'altro aggiunse in margine la dichiarazione: «sono
proibiti dalle leggi civili n.
459

24.4 Page 234

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Don Bolasvcoornoellansetlorima aderzllao re1li8g7io7sitàecraattoplircoan. tVoo,l IIm. Satelilan italiano. Don Bosco chiedeva di
farne fare la traduzione francese dal signor Ernesto Miche1 o dal barone Hé-
raud. Esistono inoltre alcune trascrizioni allografe, con qualche correzione
e aggiunta di Don Bosco che fanno supporre l'esistenza di un intero archetipo
con tutta probabilità autografo ('*).
Se è nuova negli scritti di Don Bosco la terminologia « sistema pre-
ventivo » e « sistema repressivo » e se appare per la prima volta nell'opu-
scolo sul Patronato di Nizza, non lo sono invece certamente affermazioni
relative alla confessione e alla comunione, definite «colonne » di una buona
educazione. Nella Vita di Besucco, ad esempio, si legge: « I o non trovo al-
cuna base sicura, se non nella frequenza della confessione e comunione » (').
L'esortazione a cohcedere la comunione eucaristica ai fanciulli appena sanno
distinguere tra pane e pane, non si trova propriamente in scritti anteriori di
Don Bosco. La si legge, come già notammo, sul Compendio di teologia mo-
rale del Frassinetti ("1. Don Bosco però, già prima che sul Sistema preventivo
usò più volte invocare in favore della propria tesi S. Filippo Neri che consi-
gliava la comunione ogni otto giorni (") e il Concilio di Trento, secondo il
quale i fedeli dovevano assistere alla messa in modo da potere ricevere
l'Eucaristia non solo spiritualmente, ma sacramentaliter
Il principio pedagogico espresso sul Sistema preventivo: l'educatore
cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere, ricorda quanto Don Bosco scrisse
nei Ricordi confidenziali e relativamente al prof. Banaudi sulle Memorie del-
l'Oratorio. L'altra massima « si dia ampia libertà di saltare, correre e schia-
mazzare a piacimento » ha tutta l'aria di essere una variante della sentenza
di S. Filippo Neri, usitatissima nella letteratura ascetica piemontese di metà
Ottocento: « Figliuoli, state allegramente; non voglio scmpoli, né malin-
conie: mi basta, che non facciate peccati » (93).
I l Sistema preventivo dunque manifesta le medesime caratteristiche
compositive di altri scritti di Don Bosco. I1 Giovane provveduto incorpora
le Sei domeniche in onore di S. Luigi, pur materiandosi abbondantemente di
nuovi testi. Il cattolico istruito incorpora, oltre che brani dell'Aimé o del
("1 Bosco, Il pastorello delle Alpi, Torino 1864, p. 100. Nella minuta (AS 133 Be-
succo 1) I'espressione è autoarafa di DB.
. Cf. so.ora.. co. 12,. noin 1-15- .
('1)
~~~
Regolamento dell'Oratorio
di S. Franc. di Sales
per gli esterni, ed. C,, p.
37; Bosco, IL mese di maggio, giorno 24, Torino 1858, p. 142.
Cf. Bosco, Il mese di maggio, l. c., p. 142; ID., Nove giwni, giorno 5 , Torino
1869, p. 51. Cf. specialmente Bosco, Il paxtorello delle Alpi, ed. c., p. 109: <. I1 Sacrosanto
Concilio desidera sommamente che in tutte le Messe i fedeli che le ascoltano facciano la
comunione non solo spiritualmente, ma eriandio sacramentalmente, affinché in loro sia co-
pioso il frutto
Inaugurazione,
pc.h3e0:pr«ovI1ienCeondcailioquTesritdoenAtuingou.rt.is.sdimesoideSraacrs3ocmioma(Smeesns.te2. .2.,
C. 6) ». Boso,
che ogni fedele
cristiano quando va ad ascoltare la santa Messa faccia eriandio La comunione.. . sacramen-
tale, affinché si ricavi maggiormente frutto da questo augusto e divino sacrieiio (Concilio
Trid., sess. XXII, cap. VI) D.
(93) Cf. sopra, CP. 3, p. 56 S.
460
Gerdil, anche frasi degli Avvisi ai Cattolici. Il mese di maggio attinge alle
considerazioni sui novissimi del Giovane provveduto. A sua volta per la col
munione frequente è modello per pagine della biografia di Besucco e contiene
quella testimonianza di S. Filippo Neri e del Concilio di Trento che abbiamo
notato anche nel Sistema preventivo. Da ciò risulta già il valore letterario che
abbiamo rilevato: I'opuscolo sul Sistema preventivo offre garanzie per es-
sere considerato centro nodale di esperienze letterarie e vive di Don Bosco.
Sul piano delle dottrine pedagogiche il suo valore principale potrebbe
essere il fatto che finalmente con esso Don Bosco giunge a dare una for-
mulazione a elementi costitutivi del suo sistema educativo. Tra questi ele-
menti giustamente i'attenzione viene attratta dall'amorevolezza, vista però
nel suo c?ntesto di religione e ragione Non senza validi motivi all'amo-
revolezza di Don Bosco è da riconoscere quella certa novità che proviene
dal fatto che il termine e il concetto esprimono adeguatamente il suo agire
come educatore. Sul piano letterario l'amorevolezza di Don Bosco si pre.
senta per certi aspetti come quella di Port-Royal e di molte altre esperienze
pedagogiche. Anch'essa è paterna, anch'essa si esprime in spirito di famiglia
e all'allievo chiede una confidenza filiale, secondo schemi mentali famili-
stici, tipici della civilti rurale e artigianale o della mentalità religiosa del-
Pera assolutistica, che nella « famiglia » contempla con preferenza il rap-
porto padre-figli, più che quello di fraternità, contempla il rapporto di auto-
rità e sudditanza come ordine stabilito e che comporta « doveri ». Per ciò
stesso tale amorevolaza s'inserisce nella corrente pedagogica che vuole
l'opera educativa di precettori e di case di educazione quanto più è possi-
bile vicina (nelle sue rappresentazioni e nelle sue molle) all'educaiione fa-
miliare, al rapporto naturale psico-fisico padre-figlio riconosciuto come na-
tivo e originario ali'educazione. Che anzi in una civiltà tradizionaie, ancora
legata vigorosamente con vincoli parentali, il principio che l'educatore do-
veva assumere la fisionomia paterna era un indiscusso assioma.
Ma l'amorevolezza di Don Bosco non è smorzata dal timore rispettoso,
non lo è almeno nella misura che si riscontra presso i pedagogisti di Port-
Royal, presso il Nicole, il Rollin o il gesuita Jean Croisa. I1 rispetto nel
sistema di Don Bosco non deve provenire da elementi collaterali, come dal
timore per i castighi che l'educatore può infliggere, o da una certa ritenu-
tezza dell'educatore, il quale, ad esempio, dopo avere avviato i giochi si
ritira dignitosamente in disparte. Don Bosco non teme che il rispetto venga
meno all'educatore per il fatto che durante i giochi s'intrattiene con gli
alunni; al contrario vuole che l'educatore vi prenda parte attiva, vi si dimo-
stri interessato tanto quanto i ragazzi stessi. Don Bosco, come notammo più
volte, gode che i suoi chierici siano inseguiti in cortile dai giovani alunni
quasi loro coetanei, mentre invece il P. Marcantonio Durando se ne dimostra
costernato. Per Don Bosco il rispetto e la confidenza del giovane verso
(W)Cf BRAIDOI1, sistema preventivo di Don Bosco, Torino 1955, p 175.205
461

24.5 Page 235

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Don lB'eodscuocanteollraestodrieavdoenllao reelisgsioesrietà cfaottnodlicaat.i Veosl sIIe. nSzteilalalmente sul fatto che l'educatore
si presenta come padre e dichiaratamente come amico, con le parole e con i
fatti, in comunione di vita, ma con la funzione e la effettuale capacità di
guida e di aiuto per il giovane nell'acquisto dei valori religiosi, etici, cultu-
rali o professionali.
La paternità amorevole auspicata da Don Bosco si esplica non verso
piccoli gruppi, ma verso masse di ragazzi, verso centinaia d i giovani che con-
vivono nella casa di educazione. L'educatore, coadiuvato dagli assistenti,
segue tutti e ciascuno intelligentemente. Egli deve farsi una classificazione dei
giovani secondo l'indole che ordinariamente dimostrano: buona, ordinaria,
difficile o cattiva. Senza far pesare sui giovani questo suo segreto giudizio
di valore, deve seguire con particolare attenzione i più bisognosi, chiamandoli
con qualche pretesto nel raggio visivo proprio o degli assistenti, ma senza
svelarne la ragione, senza perciò deprimere la dignità del ragazzo e senza ini-
birne la libertà possibile nell'ambito d d a disciplina domestica.
La formula « si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a pia-
cimento » da una parte risulta un adeguato documento di quel che effetti-
vamente Don Bosco aveva cura di attuare all'oratorio, ch'era caotico vagare
di giovani per gli estranei e industre alveare per Don Bosco. Dall'altra è
un germe di educazione attiva, principio embrionale di attivismo pedago-
gico, nel senso per lo meno che questa « ampia libertà » nell'ambito della
casa favoriva la spontaneità e il maturate dei giovani secondo un ~ersonale
modo di essere.
Accanto al valore del Sistema pveventzvo come formulazione di dottrine
pedagogiche è anche da ricordare quello nella storia della prassi educativa.
I1 Sistema preventivo infatti, incorporato al Regolamento della Società Sale-
siana diviene il documento base per la formazione pedagogica delle giovani
scolte, viene commentato e sviluppato già vivente Don Bosco da Don Bar-
beris in appunti di « pedagogia sacra », da Don Francesco Cerruti in brevi
saggi e discorsi, dal sacerdote Domenico Giordano in vari scritti pedago-
gici (9.
Ma è giusto che non si passino sotto silenzio i suoi limiti, tanto più
evidenti, quanto più si fa il confronto delle pagine sul Sirtema pvevenfivo
con la ricchezza di esperienze e di formule pedagogiche che ci viene offerta
dalla documentazione scritta di Don Bosco o da quella relativa alla sua vita.
In realtà il Sistema preventivo per certi aspetti è davvero un indice indi-
(") G. BARBERISA,ppunti di pedagogia esposti agli ascritti della Pia Società di S.
Frat~cescodi Sales, Torino 1903 (litogr.); E. CERRUTI,Le idee di Don Bosco sull'educazione
e snll'insegnamento e la missione attuale della scuola, S. Benigno Canav. 1886; In., Una
trilogia pedagogica: Quinfiliano, Vittorino da Feltre e Don Bosco, Roma 1908; D. GIORDAN~,
La capita nrlZ'ei(ucure ed il Sistema preuentiuo del più grande educatore vivente il vene.
rando D. Giovanni Bosco.. . , S. Benigno Canav. 1886; ID., La Gioventù e Don Bosco di
Torino, S. Benigno Canav. 1886.
gente e per altri uno schema non del tutto armonico di quella che sarebbe
potuto essere un'ampia trattazione sistematica.
Anzitutto appaiono indigenti le formulazioni generali sulla educazione
della gioventù, sia che queste si prendano come affermazioni teoretiche,
sia che si considerino come sintetica storia della pedagogia o della educa-
zione: « Due sono i sistemi in ogni tempo usati nell'educazione della gioventù:
il sistema preventivo e il sistema repressivo ». In realtà è difficile trovare
sistemi educativi adeguatamente catalogabili sotto queste due formule e
in particolare è difficile trovare sistemi catalogalili come repressivi.
In secondo luogo espressioni come sistema preven,tivo, assistenza pre
ventiva, avvisi preventivi sembrano avere di mira primariamente le man-
canze da prevenire e perciò da eliminare per quanto è
L'assistenza
- - afferma Don Bosco tende a mettere i giovani nella morale impossi-
biltà di commettere mancanze. Il sistema dunque sembra che si specifichi
per un elemento negativo quale è la sua capaciti di impedire quel fatto, se-
condario in educazione, che è il castigo.
In terzo luogo l'opuscolo non esprime l'ossatura di uffici esistenti
di fatto nelle case educative di Don Bosco. Troviamo presi in considerazione
il direttore, gli assistenti e il portinaio (un buon portinaio - dichiara Don
Bosco - è un tesoro per una casa di educazione). Manca un cenno a cariche
importanti per l'andamento della casa come quelle del prefetto, come vicario
e come economo, del catechista, del consigliere scolastico e, ovviamente, sono
sottaciute tutte le norme relative a queste diverse funzioni.
Ma più che tutto il Sistema pveventivo risente della « collegializza-
zione » che in quel tempo era in atto nelle istituzioni di Don ~ o s c ie nello
spirito di esse. L'opuscolo sotto questo aspetto è da avvicinare a gran parte
del trattato del Dupanloup sull'educazione o al libretto del Gras sull'istitu-
tore (assistente, o vigilatore) nelle case di educazione stampato appunto dalla
Tipografia e Libreria Salesiana nel 1875 (9S.embrerebbe che Don Bosco nel
compilare il Sistema pveveuitivo abbia presenti «case di educazione » sul
tipo della Casa annessa all'Oratorio, appunto quale era l'oratorio di S.
Pietro per la cui inaugurazione Don Bosco aveva scritto.
Se Don Bosco avesse posto in carta i suoi principi pedagogici quando
aveva soltanto l'oratorio festivo o il pensionato come ai tempi di Domenico
Savio, con tutta probabilità avrebbe dato altre applicazioni ai principi ba-
silari di « ragione, religione, amorevoleiza ». Avrebbe, ad esempio, percepito
i limiti dell'assistenza « visiva » e continua; forse avrebbe messo in maggior
(%) Carlo GRASL,'istitutore nei convitti, Torino, tip. dell'orat. di S. Franc. di Sales
1875 (l'istitutore previene i giovani in cortile: p. 2 6 . . .). Tale scritto è ricavato da DE
DAMASLe, surveillant dans un collhge catholique, Paris 1857. DB stesso mostrò di avere
presenti orizzonti collegiali quando espose lo schema di un manuale pedagogico per i sale-
siani in formazione. L'opera doveva intitolarsi rl nzaeslro e Z'ussistenie iu1e1+ma; in WC?ea-
pitoli doveva trattare dell'assistente di dormitorio, di passeggiata, di chiesa, di scuola, del
maestro, della disciplina, dei premi, dei castighi.. . (MB 12, p. 397; 18, p. 188).

24.6 Page 236

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Don Briossaclotoneqllauesltortiiapdoelldairealisgsioisstiteànczaattoalmicao.rVeovloIIl.eSctehllea egli prestò a Savio e a Magone,
allorché furono spiritualmente in crisi. Di fatto la sua presenza amorevole
e preventiva nella vita e nel cuore dei giovani va al di dell'assistenza vi-
siva e di presenza fisica negli stessi locali dei giovani allievi, tale quale viene
descritta nel Sistema preventivo, tale quale perciò è possibile nell'internato e in
una certa misura nell'ambito deli'oratorio festivo e dei pensionati quando i
giovani vi sono raccolti. Ma certamente essa non può non potenziarsi nella
sua dimensione spirituale, allorché le possibilità di presenza fisica si riducono,
allorché oggetto di educazione sono giovani che si vedono solo saltuaria-
mente e che tuttavia possono gravitare in vero stato presenziale attorno
all'educatore, radicatosi nella loro vita come padre, amico, consigliere illu-
minato, desiderato e ascoltato, compartecipe dei più intimi segreti del cuore.
I1 Sistema preventivo, come buon sommario, dopo avere dato principi
generali snll'educazione avrebbe potuto offrire applicazioni a svariate sitna-
zioni, almeno nell'area educativa dei Salesiani. Quanto alla preferenza data dai
Salesiani agli oratori prima e ai collegi nell'ultimo scorcio del secolo, sarebbe
stato possibile suggerire motivazioni che avrebbero potuto contraddistinyere
il sistema educativo di Don Bosco da quello, ad esempio, dei portorealisti
o dei fautori dell'edncazione pubblica e di Stato. Per i pedagogisti di Port-
Royal il collegio trova motivazioni nella visione pessimistica del mondo,
minato dal peccato originale. Pierre Cotìtel non ha fiducia nell'edncazione
dei genitori. Lamenta la trascuraggiue comune dei padri e le sdolcinataze
delle madri. I1 collegio invece offre educatori scelti, provati e responsabili;
per cui, nonostante tutto, il collegio appare più idoneo all'educazione che
non il focolare domestico. Don Bosco avrebbe potuto addurre in favore dei suoi
internati le ragioni proposte nelle Regole della Società Salesiana: gli internati
sono esigiti per la cura delle vocazioni e per la educazione di giovani poveri
e abbandonati, riguardo ai quali ogni opera educativa sarebbe inutile se
loro non viene dato anche ricovero, vitto e vestito (m). Inoltre avrebbe potuto
addurre i motivi proposti dai sostenitori dei collegi cattolici in tempi in
cui l'insegnamento pubblico era visto come causa di deformazione morale e reli-
giosa.
L'oratorio festivo, definito nelle Regole della Società Salesiana come la
prima opera di carità verso i giovani, nel Sistema preventivo non è nemmeno
nominato. I1 saltare, correre, schiamazzare a piacimento("), la musica, il
teatrino e le passeggiate erano originariamente attività dell'oratorio. I1 trat-
tatello sul Sistema preventivo indica tali attività come elementi da coltivare
(m) Regole o Costituzioni dello Soc. di S. Frunc. d i Sales, 1. Scopo della Società, art. 4,
Torino 1875, p. 4.
(") Ma con I'ovvio senso di moderazione e di ordine fissato ad esempio nel Regola-
mento per gli esterni, ed. C. p. 32: « Generalmente è proibito il giuocare alle carte, ai ta-
rocchi, alla paiia, al pallone, lo sgridare smoderato, disturbare i giuochi altrui; lanciare sassi,
palle di legno o di neve, il danneggiare le piante, le iscrizioni, le pitture; il guastare le
mura, ed i mobili, far segni o figure con carbone. . . a .
nelle « case di educazione n, perciò in uno stadio che è ugualmente di appli-
cazione concret%.
Degli elementi religiosi ritenuti fondamenti del sistema preventivo
Don Bosco non pone in rilievo la formazione nella fede o nell'esercizio della
carità, non si sofferma sull'importanza di formare alla preghiera o all'asso-
ciazionismo, ma unicamente pone a fuoco i sacramenti deiia penitenza e
dell'eucaristia e si schiera a favore della prima comunione' da concedere
al fanciullo appena sa distinguere tra pane e pane. Su alcune valenze reli-
giose essenziali dei sistema educativo di Don Bosco ci soffetmeremo più
avanti. Qui noteremo come nel contesto socio-religioso assumono un valore
pedagogico molto ampio vari principi, quali il guadagnarsi il cuore, l'amo-
revolezza, ,l'ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare.. . . unita alla
pietà sacramentale. Don Bosco in concreto si guadagna l'amicizia e la colla-
borazione delle più svariate persone che possono avere un qualche compito
nell'opera educativa. Ospita in casa mamme di chierici, stringe amicizia con
parroci, con benefattori, con persone (siano di pratica religiosa o no) che
gli presentano giovani. Le gite chiassose sulle colline del Monferrato con
banda e spettacoli pubblici hanno l'effetto di promuovere la generale simpatia
e la collaborazione di molti che si fanno fidnciosi nella bontà del sistema
educativo di Don Bosco. Preti e popolazione erano abituati ad avere canti
solenni e comunioni generali soltanto in feste importanti. Stupivano e s'in-
tenerivano in genere osservando i giovani dell'Oratorio assistere alla messa
e accostarsi alla mensa eucaristica: quegli stessi giovani che avevano visto
organizzare serate allegre. Tra il '55 e il '70 Don Bosco personalmente curò
le passeggiate autunnali dei giovani nel Monferrato. Creò una singolare simbiosi
tra la provincia e l'Oratorio, seminò elementi per un qualche rinnovamento
religioso, fondò quasi una nuova forma di esercizi spirituali al popolo deila
provincia e un modo per alimentare le sue case di educazione con nuovi
alunni.
Bisogna dire, infine, che Don Bosco stesso non si tenne rigidamente
vincolato dalle formule del suo Sistema preventivo. L'espressione che può
sembrare più suggestiva e personale, quella di amorevolezza, in realtà non
sembra sia divenuta dominante nel modo di esprimersi di Don Bosco. Egli
anzi nell'adoperarla dovette riconoscere la necessità di restrizioni e spiega-
zioni. E non sul tipo di quelle proposte dal Cotìtel, da Robbio di S.. Raffaele,
dall'abate Blanchard e dallo stesso P. Teppa. Come dicemmo, Don Bosco non
teme che l'amorevolezza per sé faccia diminuire il rispetto verso l'educatore.
Piuttosto egli teme dal lato della sensualità. Teme che per amorevolezza s'iu-
tenda libertà di fomentare amicizie particolari e morbose tra educatore ed
educando; teme anche tutte le possibili conseguenze affettive e discipli-
nari: gelosie, malignità, trascuratezza nell'assistenza, scandali (99). Sembre-
rebbe perciò che Don Bosco preferisca ad amorevolezza altri termini che gli
(9)Cf Sopra cp 13, notd 173

24.7 Page 237

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Don Boesrcaononelglastofraiamdielillaarrieleigiocshiteà caaltltaolicma.eVnotel II.dSetiellsauoi Salesiani potevano ugualmente
evocare il modo come egli educava. Invita alla dolcezza, alla mansuetudine
nel trattare con i giovani, alla carità, alla pazienza. Invita cioè al complesso
di virtù delle quali la tradizione aveva trovato l'incarnazione nel vescovo di
Ginevra, da cui i Salesiani avevano preso il nome.
Nel 1880 lasciò ai superiori delle case educative come « strenna annuale »:
« La dolcezk di S. Francesco di Sales nel trattare cogli altri » (lMI)1.13
luglio 1882 a un salesiano del collegio di Este raccomandava: « Procura di
esercitare la virtù della carità, della pazienza e della dolcezza di S. Fran-
cesco di Sales. Prendi caldo, freddo, sete, dispiaceri, come altrettanti regali
che ti fa L1 Signo~e» ('O1). Pochi mesi dopo a Don Francesco Dalmazzo scri-
veva: « Lavora sempre colla dolcezza di S. Francesco di Sales e colla pa-
zienza di Giobbe » ('O2), Nel 1883 chiudeva la narrazione di un suo sogno mis-
sionario dichiarando: « Con la dolcezza di S. Francesco di Sales i Salesiani ti-
reranno- a Gesù Cristo le popolazioni dell'America » ('O3).
A distanza di ,anni Don Paolo Alhera, secondo successore di Don Bosco
come Rettor Maggiore della Società Salesiana, aveva buon motivo per af-
fermare che il sistema educativo del Fondatore « non era altro che la carità,
cioè l'amor di Dio che si dilata ad abbracciare tutte le umane creature, spe-
cie le più giovani ed inesperte, per infondere in esse il santo timor di Dio »(l").
Presto vedremo l'importanza di questa interpretazione.
4. Altri documenti sul sistema educativo di Don Bosco
Tra i documenti cronologicamente successivi al Szstema prevenltvo merita
di essere considerata anzitutto una circolare sui « Castighi da infliggersi
nelle case salesiane » composta nel 1883. Di essa esiste una scrittura tutta
di Don Rna (lm). I1 direttori0 dato per i castighi da infiiggersi rispecchia
quello del Rollin, che a sua volta si rifà parte a Fénelon, parte a portorealisti
e al trattato di Locke sull'educazione dei fanciulli (l0").
I1 periodare dell'intero documento induce a pensare che il lavoro reda-
zionale altrui sia prevalente. I1 che del resto è di consuetudine negli u l w i
('m) MB 14, p. 383.
(IO') A Don Nicola Fenoglio, Torino, 13 luglio 1882, AS 131.01; MB 15, p. 669;
Epistolmio 2119. La dolcezza in esplicito rapporto con il sistema preventivo: Epistolario
2556.
('m) Da Torino, AS 131.01; MB 15, p. 680; Epistolario 2372
(103)
(1")
M B 16, D. 394.
P. ALBEIIA, Lettere
circolari.. .
ai
Salesiani,
Torino
1922,
p.
342.
('m) Così scrive Don Ceria nel preambolo aii'edizione fattane nelI'Epistolario 2395.
Presentemente il fondo Rua è in via di riordinamento. Nel fondo DB aUa posizione AS
131.03 si conserva soltanto una copia dattiioscritta.
('a) Sulle coincidenze tra la circolare in questione e intere frasi dei Rollin cf.
E. VALENTINDI,on BOSCOe Rollin in Rivista di Pedagogia e scienze religiose 2 (1901), p.
168-197.
anni di vita di Don Bosco. Tuttavia è possibile riconoscervi termini e preoc-
cupazioni ch'erano anche di Don Bosco proprio in quel periodo. Vi si in-
contrano i termini di sistema preventivo e repressivo e anche l'avvertenza che
i direttori salesiani procurino di correggere non in pubblico, ma in privato
« o come si suo1 dire in camera charitatis ». Questa espressione si legge anche
nel Testamento spirituale, redatto in quegli stessi anni. In esso Don Bosco di
suo pugno raccomanda al direttore che usi grande confidenza con i confratelli
e con i dipendenti, « non faccia mai severi avvisi in presenza altrui. Ma
procuri di ciò far sempre in camera caritatis, ossia dolcemente, strettamente
in privato » (l0').
Del sistema preventivo la circolare sui castighi dà una definizione
alquanto diversa da quella dell'opuscolo sopra descritto, ma sulla medesima
linea. Esso « consiste nel disporre in modo gli animi de' nostri allievi, che
senza alcuna violenza estevna debbano piegarsi a fare il nostro volere ». Il
germinale attivismo pedagogico vi appare minacciato. S'intravvede anche
l'ombra del castigo violento. La violenza esterna è quanto mira a evitare, per
quanto è possibile il sistema educativo salesiano. Nel sistema preventivo
- si ammonisce - i « mezzi coercitivi non sono mai da adoperarsi, ma sempre
e solo quelli della persuasione e carità P. La severit8 è riconosciuta come
necessità - così come è espresso dalla pedagogia cattolica tradizionale -
a motivo della «umana natura ». Questa nella circolare è indicata addirittura
« troppo inclinevole al male ».
I1 documento sui castighi, vivente Don Bosco, non pare sia stato in-
viato alle case salesiane. Non fu stampato, né litografato (come:allora si
usava). Non si conoscono le ragioni. Comunque è sempre da considerare come
un significativo prodotto dell'ambiente collegiale costituitosi ormai solida-
mente in quegli anni a Valdocco e in molte case salesiane.
Come documenti pedagogici meritano molta attenzione per la loro
singolare efficacia sui giovani e per il loro contenuto, i sogni di Don Bosco.
Tra tutti, quello comunicato da Roma all'Oratorio con lettera del 10 mag-
gio 1884 può essere considerato come la più e5icace esegesi dell'assistenza
smotevole e preventiva (l").
L'allievo apparso in sogno a Don Bosco come «guida D, mentore e
monitore, lamenta che l'Oratorio non è più come nei tempi antichi. Tra supe-
riori e alunni non c'è più la confidenza che regnava una volta. I superiori
non sono più nel cortile della ricreazione come fratelli e amici; se ne stanno
in disparte, passeggiando tra loro, non si curano dei giovani. Per questo
(1") Cf. MB 17, p. 266. Ma non si dimentichi che DB talvolta usò punire anche in
pubblico. Valga quanto riportiamo più avanti, p. 565 e si ricordino i rimproveri pubblici
al giovane Zucca e al chierico 4 Marcello n (Luigi Martellino, già amico di Domenico Savio,
poi parroco dei $S. Martiri in Torino).
(103) Cf. P. BRAIDO10, maggio 1884 in Oricntarnenti pedagogici 6 (1959), p. 545-558;
S. Giov. Bosco, Scritti sul sistema preventivo nell'educazione della gioventù.. . a cura di
P. BRAIDBOre,scia 1965, p. 277; 317-327.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
non vengono riamati e conseguentemente non vengono ascoltati. Una volta
invece i giovani << amavano e ohhedivano prontamente D. Nei superiori manca
quell'amore che fa sopportare « l e fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi,
le mancanze, le negligenze dei giovanetti .,1 I superiori quasi solo ci sono
per rimproverare e castigare. Non fanno come Gesù Cristo che «non spazò
la canna già fessa, né spense il lucignolo che fumigava ». L'oracolo celeste
è che le cose ritorneranno come nei tempi d'oro dell'oratorio quando i supe-
riori ameranno i gioveaznzi e andranno con Ioro:
4 Allora non si vedrà più chi lavorerà per fine di vanagloria; chi punirà sola-
mente per vendicare I'amor proprio offeso: chi si ritirerà dal campo deUa sorveglianza
per gelosia di una temuta prepondemza altrui; chi mormorerà degli altri volendo
essere amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri Superiori, guadagnando
null'altro che disprezzo ed ipocrite moine; chi si lasci rubare il cuore da una creatura
e per fare la corte a questa trascuri tutti gli altri giovanetti. . . a (lW).
Chi ha dimestich a con le pagine di Don Bosco trova singolare questo
fraseggiare che procede mediante concatenazioni di pronomi indefiniti e relativi
che portano con un senso d'indeterminatezza. I chi si alternano con altro,
altri, altrui. Dopo la catena dei cinque chi sopra riferiti, altri subito se ne
aggiungono allorché si auspica che l'amore faccia dileguare anche «chi per
amore dei proprii comodi tenga in non cale il dovere strettissimo della sor-
veglianza; chi per un vano rispetto umano si astenga dall'ammonire chi deve
essere ammonito P. E dopo i chi vengono i perché:
«Perché si vuol sostituire alla carità la freddezza di un regolamento? Perché i
Superiori si allontanano dall'osservanza di quelle regole di educazione che Don Bosco
ha loro dettate? Perché al sistema di prevenire colla vigilanaa e amorosamente i di-
sordini, si va sostituendo a poco a poco il sistema, meno pesante e più spiccio per chi
comanda, di bandir leggi che se si sostengono coi castighi, accendono odii e fruttano
dispiaceri; se si trascura di farle osservare, fruttano disprezzo per i Superiori e
causa di disordini gravissimi? » ("0).
Ma in questo sogno le concatenazioni di frasi e le ripetizioni di parole
abbondano singolarmente. L'epilogo ne è una testimonianza. In esso si a=-
spicano i bei gior*i dei tempi che furono:
« Ritornino i giorni felici dell'oratorio primitivo. I giorni dell'affetto e della
confidenza cristiana tra i giovani ed i Superiori; i giorni dello spirito di accondiscen-
denza e sopportazione per amore di Gesù Cristo, degli uni verso degli altri; i giorni
dei cuori aperti con tutta semplicità e candore, i giorni deUa carità e della vera aUe-
grezza per tutti » ('l1).
(1W) Cf. MB 17, p. 111
(1") MB 17, p. Il1 S.
("l) MB 17, p. 114.
Tra l'altro nell'epilogo si trovano tra parentesi le seguenti parole:
a Nota del segretario: A questo punto Don Bosco sospese di dettare; gli occhi
suoi si empirono di lagrime, non per rincrescimento ma per ineffabile tenerezza
che trapelava dal suo sguardo e dal suono della sua voce: dopo qualche istante con-
tinuò. . . » ("2)).
La parentesi viene richiusa. Ma che cosa propriamente dettò Don Bosco?
la lettera o un canovaccio? una serie di ricordi o l'intero documento con
il periodare enfatico e di gran lena e con l'aggettivazione che si riscontra per-
sino nella stessa nota tra parentesi del segretario? Di questa lettera non
si conosce minuta autografa di Don Bosco, ma solo l'originale (in due reda-
zioni) scritto da Don Lemoyne e sottoscritto da Don Bosco. Ciononostante
per il suo contenuto è da considerare come uno dei più efficaci e dei più
ricchi documenti pedagogici di Don Bosco.
5. Elementi religiosi nel sistema edncativo di Don Bosco
L'insistenza di Don Bosco sull'importanza della religione nell'opeta
educativa persuade a fissare meglio il valore &e'ssa ebbe nella coscienza
e nella esperienza di Don Bosco stesso. Conviene rifarsi anzitutto al suo
motto, al Da mjhi animas rivolto al Signore, motto che ci ricorda la verti-
calità e trascendentalità posta al culmine di tutti i suoi aneliti.
Nel suo senso discendente la coscienza di Dio Creatore, ,Signore, Re-
dentore è fede secondo cui tutto proviene da Dio, tutto ha Lui come inizio
e fine ed è fede perciò che nel disegno di Dio provvidente l'educatore s'inse-
risce come strumento. La predestinazione al ministero educativo, provata
e conosciuta da Don Bosco attraverso segni straordinari, è garanzia dell'omnir
potestar a Dea. È anche conferma del rapporto « padre-figli », esemplato su
quello divino, tale quale è nella Trinità, e quale anche è rispetto alle crea-
ture e in particolare rispetto agli uomini chiamati alla divina figliolanza.
E non solo lo spirito di famiglia e il rapporto « padre-figli », bensì
anche I'amorevolezza, la carità, la pazienza, la mansuetudine trovano la Ioro
motivazione principalissimamente in elementi religiosi, cioè nell'atteggia-
mento di Gesù verso i fanciulli, in Gesù che non spezzò la canna fessa e
- non spense il lucignolo fumigante, in Francesco di Sales che la tradizione
venerava come ii più perfetto imitatore deila dolcezza di Cristo. L'amorevoiezza
l'abbiamo veduto - & motivata spesso soltanto dal fatto che l'esperienza ne ha
mostrata YefEcacia. Sembrerebbe che rivolgendosi a persone che non conosce o
che sa che non credono Don Bosco abbia cura a far sbiadire gli elementi reli-
("2) MB 17, p. 114. Effettivamenteil ms. che si conserva attualmente è dovuto a
Don Lemoyne; cf. AS 132 Sogni: è la cosiddetra relazione breve; la lunga è irreperibile.

24.9 Page 239

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Don Bgoiosscio neellaa stpooriarrdeellianrnealingizoisitàsoclatttaoili~cato. qVuoleIsI.tiStedllaati di e ~ p e r i e n z a ( " ~ )M. a quando
egli si rivolge ai Salesiani, allora la messa a fuoco delle motivazioni religiose
è portata al massimo, al d i sopra di ogni altra considerazione; e i dati di
esperienza, sembra, intervengono come conferma e controprova di quell'or-
dine voluto da Dio e che perciò è da considerare come l'unico *<veroP,
l'unico ordine aderendo al quale è possibile una « vera » educazione.
I temi religiosi fondamentali di Don Bosco offrono la possibilità di
fissare gli orizzonti più vasti del termine *< reiigione D. Con esso Don Bosco
non reclama unicamente pratiche religiose da far compiere, non vuole in sé
e per sé la frequenza dei sacramenti per il semplice fatto che ne scopre l'ef-
ficacia in educazione. Egli supera una visione frammentaria della pietà sa-
cramentale o dell'impegno educativo; supera questioni puramente metodo-
logiche. La religione non ha per lui funzione puramente esteriore e stru-
mentale. I sacramenti sono per lui consapevolmente strumenti di grazia atti
a conseguire la salvezza eterna e la santità. I sacramenti preservano dal
male, ma anche alimentano. Essi richiamano l'intera tematica dei novis-
simi, di Cristo divin salvatore, della Chiesa arca di salvezza, della necessità
di inserirsi di « buon'ora » nel piano di salvezza e di seguire la vocazione.
Scopo dell'educazione è dunque « fare un hell'abito al Signore » con
ogni giovane (l1'), ottenere fin nel tempo della gioventù quella consacrn-
zione a Dio che ha portato alla salvezza e alla santità Luigi Gonzaga e Dome-
nica Savio. È irrobustire la vita di grazia prevenendo per tempo le insidie
del male. L'educazione porta educatori e allievi a cooperare, ciascuno secondo
il proprio modo di essere, al disegno salvifico di Dio. L'educatore con le sue
paroline all'orecchio invita il giovane a realizzare il motto-preghiera:
« Da mihi animas caetera tolle ». Insomma, pedagogia e spiritualiti hanno
in Don Bosco come nucleo unico una soteriologia tradotta in convinzione e
risultante dall'eqnilibrio di elementi, tra i quali hanno il loro buon posto
le passeggiate, la musica, il teatrino, l'ampia libertà d i « saltare, correre e
schiamazzare a piacimento ».
Don Bosco interviene nella vita dei giovani lui stesso carico di una
vita spirituale ad alta tensione. La confidenza, il guadagnare il cuore era per
molti (certamente per i migliori) un'osmosi spirituale ad alto livello e incan-
cellabile. A questo riguardo tra le numerose testimonianze che si posseggono
la più viva è forse quella d i Don Paolo Albera, che fu alunno a Valdocco
attorno al 1860, quando Don Bosco era nella pienezza delle sue forze. « Egli
- ricorda Don Albera - educava amando, attirando, conquistando e tra-
sformando » ("5).. Educava cosi la comunità e i singoli:
«Ci avvolgeva tutti e interamente quasi in un'atmosfera di contentezza e di feli-
cità, da cui erano bandite pene, tristezze, malinconie: ci penetrava corpo e anima in
("9 Come quando, ad esempio, scrive a Francesco Crispi, cf. sopra, cp. 11, p. 236.
('l') Cf. sopra, nota 31 e testo corrispondente.
ALBERALe,ttere circoluri, p. 340.
modo tale, che noi non si pensava più né all'uno all'altra: si era sicuri che ci
pensava il buon Padre, e questo pensiero ci rendeva perfettamente felici.
Oh! era l'amore suo che attirava, conquistava e trasformava i nostri cuori!
Quanto è detto a questo proposito nella sua biografia, è ben poca cosa a paragone
della realtà. Tutto in lui aveva per noi una potente attrazione: il suo sguardo pene-
trante e talora più efficaced'una predica; il semplice muover del capo; il sorriso che
gli fioriva perenne suUe labbra, sempre nuovo e variatissimo, e pur sempre calmo; la
flessione della bocca, come quando si viiol parlare senza pronunziar le parole; le pa-
role stesse cadenzate in un modo piuttosto che in un altro; il portamento della per-
sona e la sua andatura snella e spigliata: tutte queste cose operavano sui nostri mori
giovanili a mo' di una calamita a cui non era possibile sottrarsi; e anche se l'avessimo
potuto, non l'avremmo fatto per tutto l'oro del mondo, tanto si era felici di questo
suo singolarissimo ascendente sopra di noi, che in lui era la cosa più naturale, senza
studio né sforzo alcuno » ("6).
«Ancora adesso - ricorda Don Aihera - mi sembra di provare tutta la soavità
di questa sua predilezione verso di me giovinetto: mi sentivo come fatto prigioniero
di una potenza affettiva che mi alimentava i pensieri, le parole e le azioni, ma non
saprei descrivere meglio questo stato d'animo mio, ch'eta pure quello de' miei
compagni d'allora I.. . l , sentivo d'essere amato in un modo non mai provato prima,
che non aveva nulla da fare neppur con l'amore vivissimo che mi portavano i miei
indimenticabili genitori » ('17).
L'amorevolezza, modestissimo termine del linguaggio di moralisti e
pedagogisti dei Sette-Ottocento, a Valdocco poteva significare molto di più
che semplice sentimento e semplice affetto manifestato, molto più che una
semplice qualità umana. L'amorevoleiza quieta e soggiogante di Don BOSCO
- secondo la persuasione di molti - traeva la sua singolarità d a qbalcosa di
sovrumano, portava il timbro di una vita soprannaturale straripante:
« D a ogni sua parola ed atto - continua ancora Don Albera - emanava la
santità dell'unione con Dio, che è carità perfetta. Egli ci attirava a sé per la pienezza
deli'amore soprannaturale che gli divampava in cuore, e colle sue fiamme assorbiva,
unificandole, le piccole scintille dello stesso amore, suscitate dalla mano di Dio nei
nostri cuori.
Eravamo suoi, perche in ciascuno di noi era la certezza esser egli veramente
l'uomo di Dio, homo Dei, nel senso più espressivo e comprensivo della parola.
Da questa singolare attrazione scaturiva l'opera conquistatrice dei nostri cuori.
L'attrattiva si può esercitare talvolta anche con semplici qualità naturali di mente e
di cuore, di tratto e di portamento, le quali rendono simpatico chi le possiede; ma
una simile attrattiva dopo un po' di tempo si affievolisce fino a scomparire affatto, se
pure non lascia il posto a inesplicabili avversioni e contrasti.
Non cosi ci attraeva D. Bosco; in lui i molteplici doni naturali erano resi sopran-
naturali dalla santità della sua vita, e in questa santità era tutto il segreto di quella sua
attrazione che conquistava per sempre e trasformava i cuori » ('l8).
(116) ALBERALe, ttere circolari, p. 341.
(117) ALBEBA, Lettere circolari, p. 341.
(118) ALBERALe,ttere circolari, p. 342.

24.10 Page 240

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Si avverte quale profondità di sentimenti poteva suscitare nei giovani
il sentirsi vicini a Don Bosco, uomo di Dio, santo compenetrato della di-
vina potenza, nell'Oratorio, in un terreno santo come I'Oreb, impregnato
della presenza dell'Altissimo. Don Alhera con la sua presentazione dei fatti
ci porta, ancora per un'altra via, al di della semplice metodologia educativa.
I1 suo modo di sentire la sua personale esperienza ci conduce non solo alla
soglia, ma in pieno nel campo della esperienza mistica; ci porta in un clima
pentecostale, nella collettiva sperimentazione dello Spirito Santo. Siamo cioè
nel campo dei carismi e della straordinaria invasione del divino. Don Bosco
vi assume il ruolo di mediatore, con caratteristiche che manifestano una
paternità spirituale di grande efficacia, una singolare capacità generativa di
esperienze religiose. Lo spirito di famiglia che Don Bosco instaura consan-
guinità spirituale. L'educatore trasmette la vita attinta nell'uninne con Dio,
per mezzo della vita in grazia nella Chiesa. I n quest'ordine di cose l'assi-
stenza amorevole consiste sostanzialmente nel proiettare la propria spinta
energetica spirituale nel giovane, secondo quelle che sono le possibilità
e le necessità di questi, in previsione degli sviluppi che potrà assumere il suo or-
ganismo soprannaturale e prevedendo i condizionatori che incontrerà nell'età ma-
tura.
Suor Maria Domenica Mazzarello diceva alle sue consorelle: « Viviamo
alla presenza di Dio e di Don Bosco » (l1'). Ingenuità o iperhole? oppure è
un modo per esprimere la ricchezza di vita religiosa ch'esse sperimentavano
provenire dalla paternità spirituale di Don Bosco?
Vivere alla presenza di Dio era sentire Dio presente e operante in sé
e attorno a sé. Vivere alla presenza di Don Bosco non poteva indicare que-
sta strumentalità spirituale di Don Bosco, che aveva il carisma di comuni-
care con Dio e penetrare, per dono divino, i pensieri e i desideri dei suoi
figli sia vicini che lontani? Non poteva esprimere una reciproca predilezione
tra quanti erano implicati in un'opera che a volta a volta poteva essere chia-
mata « educativa » o santificatrice o di salvezza?
Perché appunto l'ansia della salvezza stabiliva la continua pressione
affettiva di Don Bosco sui giovani e la dilatazione della sua Opera nel mondo,
la dilatazione cioè di simpatie e di amicizie e di osmosi spirituale con le più
svariate categorie di persone, amici, cooperatori, autorità civili e religiose.
Anche questa è intuizione di Don Alhera, tradotta in esortazione ai Sale-
siani: « Bisogna, o carissimi, che noi amiamo i giovani che la Provvidenza
affida alle nostre cure, come li sapeva amare D. Bosco[. . .]. l3 qui che sta
tutto il segreto della vitalità espansiva della nostra Congregazione » (lz0).
L'espressione di suor Maria Domenica Mazzarello, quelle di Don Alhera,
altre che a centinaia sarebbe possibile evocare ci documentano il modo di
(9E. CERIAS,anta Maria Domenica Mazzarello . . . , Torino 1.952 2, p. 149
(ln) ALBEXA, Lettere circolari, p. 340.
vedere di quanti, avendo l'esperienza di Don Bosco sacerdote educatore,
avevano i migliori titoli per interpretarne gli intenti e la personalità, sia
pure secondo gli schemi di un'epoca ormai alquanto distante da noi.
Per Don Bosco amare i giovani non significava solo suscitarne l'affetto,
ma anche sentirne l'attrattiva, esserne soggiogati, avvertirne il ruolo insostitui-
bile nella propria vita. Don Bosco lo esprime in termini che superano la
convenzionalità dello stile epistolare, allorché scrive ai suoi giovani da S.
Ignazio sopra Lanzo, da Roma o da Firenze (l2').
I h e , amare Dio, avvertirne la presenza, temere di fare quanto poteva
essere minimamente contro di Lui era sentimento che si viveva ad alta ten-
sione allorché si era o ci si sentiva alla presenza di Don Bosco. Giovani a
Valdocco, afferma il Ballesio, non avrebbero commesso il più piccolo peccato
veniale per tutto l'oro del mondo('"). La forza del sistema preventivo,
fatto di ragione, religione e amorevolezza, proveniva pertanto anche dal timore
della rovina eterna delle « anime n, dal sentirsi compartecipi della gelosia
di Dio.
« Salvar le anime - asserisce Don Albera - fu la parola d'ordine di D. Bosco,
fu, si può dire, l'unica sua ragione d'esistere e la ragion d'essere della congregazione
salesiana.
«Aiutarlo a salvar l'anima nostra era il regalo più prezioso che potessimo fargli,
era la grazia, il favore che ci domandava con ineffabili insinuazioni, perché l'unica sua
aspirazione, il fine unico del suo apdstolato in mezzo a noi, era di condurre tutte le
nostre anime in paradiso a veder Dio a faccia a faccia.
Infondeva poi questi tre pensieri con tanta dolcezza e soavità, che non si poteva
non essere pervasi dai suoi medesimi sentimenti; e ne ricevevano salutari impres-
(12') Qualche esempio: DB a Don Rua, [Roma, febbraio 18701, Epistolario 800:
«Sebbene qui in Roma io non mi occupi unicamente deils casa e de' nostri giovani, Ntta-
via il mio pensiero vola sempre dove ho il mio tesoro in Gesù Cristo, i miei cari figli del-
l'oratorio. Più [volte] al giorno vo loro a far visita.. . »; a Don Rua (dopo una grave
malattia), Alassio, 9 febbraio 1872, Epistolario 956: . . .Giovedi prossimo a Dio piacendo
sarò a Torino. M sento un bisogno grave di andarvi. Io vivo qui col corpo, ma il mio
cuore, i miei pensieri e h le mie parole sono sempre allOratorio, in mezzo a voi. E
questa una debolezza, ma non la posso vincere S.
(1") Giacinto BALLESIOVi,ta intima di D. Giovanni Bosco nel suo primo Oratorio
di Torino. Elogio funebre.. ., Torino 1888, p. 12: « Cosi governava Don Bosco il suo,
anzi il nostro caro Oratorio. Col santo timor di Dio, coli'amore, coli'edificazione dei buon
esempio. Qualcuno chiamerà questo governo teocratico. Noi lo chiamiamo governo della
persuasione e dell'amore, il più degno delhomo. E non è a dire quanto fossero mirabili
gli effetti di questo
dore ed esattezza i
regime! Le centinaia
loro doveri. Ed un
bdei l gniouvmaneirost.u. d. ennotinedavorepbebraeirocofmatptoivaunno
con ar-
peccato
veniale volontario per tutto il mondo n. E più sopra, p. 10: «Don Bosco rappresentante
. di Dio comandava in nome di Lui ed il santo timor di Dio bastava per più centinaia di
giovani, studenti ed artigiani, perché schivassero il male ed operassero il bene. La pietà
del buon Direttore si comunicava ai suoi subalterni e da questi a tutti i suoi figli...
473

25 Pages 241-250

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25.1 Page 241

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Don sBioosncioanneclhlaestiorpiaderlleafrrealtigtaiorsii,nceai ttqoulicaali. Vforul ItIr.aSrtoenllao più tardi commoventi resipiscenze,
con sinceri sentimenti e ritorni al bene, come più volte ho potuto toccar con
mano a (m).
In conclusione, il « sistema educativo » di Don Bosco appare essere
qualcosa di più che una teologia o una pedagogia teologica. Tale sistema tende
- come diceva il card. Alimonda - a rlivinizzare il mondo (lz4); è, in altri
termini, nella sua anima più profonda, una spiritualità.
. (lz) ALBER'LI,ettere circ01ari, p. 313 S.
('N) Gaetano ALIMONDGAio,vanni BOXCOe il suo secolo. Ai funerali di trigesima . . .
Torino 1888, p. 7.
474
CAPITOLO XV
I FATTI STRAORDINARI
1. La mistica
Tutta la vita di Don Bosco potrebbe essere considerata un fenomeno
mistico, se per mistica s'intende almeno quel fatto, cui è sentito soggia-
cere l'intervento di intelligenze e di forze sovrumane, divine o angeliche; in
tal senso, anzi, la vita di Don Bosco potrebbe essere considerata come unc
dei più vistosi fenomeni mistici che germinarono nell'Ottocento. Senza per
questo essere un fenomeno anacronistico. Infatti nel tempo stesso che Don
Bosco sognava (vedeva intellettualmente e sentiva) Gesù Cristo, Maria Ver-
gine, personaggi misteriosi o mostri diabolici, anche il curato d'Ars viveva
esperienze simili. Mentre giovanetti nella casa salesiana di MirabSJlo vede-
vano il Bambino Gesù nell'Ostia consacrata, il popolo si commuoveva per
il movimento degli occhi di Maria SS. a Taggia o per le apparizioni a La
Salette, a Lourdes, a Spoleto.
È possibile rilevare una ideale continuità letteraria tra le narrazioni di
miracoli in documenti medievali e quelle presentate da Don Bosco; è pos-
sibile porre in luce nessi o coincidenze tra raccolte di meraviglie edite nel
Cinque o Seicento da Valerio Ballardini da Venezia, da Carlo Gregario
Rosignoli, Carlo Giovenale da S. Antonio e altre edite da Don Bosco stesso
in appendice a scritti agiografici o in collezioni apposite. E anche evidente
una certa affinità tra le guarigioni miracolose e altre grazie speciali divul-
gate da Don Bosco e quelle che si leggono in opere pubblicate dal santuario di
Nostra Signora delle Vittorie di Parigi e dell'iluxilium Ch~istianorum di
Spoleto (l). Non si tratta dunque di fenomeni anacronistici, ma di manife-
(i) Non si dimentichi che, come risulta da quietanze librarie (AS 112 Fatture, Spei-
rani) DB curò i'edizione di DUFRICHDEESGENETTSEtoSri,a dell'arciconfraternite del SS. ed
Immacolato Cuore d i Maria eretta nella parrocchia della Madonna delle Vittorie in Pa-
rigi. . ., Torino, tip. Speirani e Tortone 1857. Cp. 2: conversioni straordinarie; cp. 4
Grazie e conversioni portentose; cp. 5 Lettere diverse (su grazie ricevute). I1 cp. 1 narra la
«storia dell'origine e dei progressi maravigliosi dell'Arciconfrarernita» e i'avveramento di

25.2 Page 242

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Don sBtoaszcioonnei llachsetorsia'idneslelarirsecliognioositàagcaetvtoolilcma.eVnotel II.inSteqlluael medesimo clima religioso, che
iione, Don Bosco ricorre costantemente a quanto propone la teologia sco-
si commuove e si agita per i fatti di La Salette e di Lourdes, ne ascolta i
lastica: la preghiera è petizione, petitio decentium a Deo ('1.
messaggi, se ne fa eco, vi ricollega il proprio modo di vivere, ricorre ai sa-
La coscienza che la preghiera è per sua natura petizione ed è, per di-
cri luoghi per esprimere il proprio culto, la propria invocazione o il ringra-
vino volere, efficace, lo induce a valorizzarla in tal senso. Ai giovani volen-
ziamento per eventi prosperi, che si sentono ottenuti appunto per il rapporto
tieri indica i luoghi e i momenti nei quali pregare. La chiesa è il luogo più
di fede e di preghiera stabilita con la persona e con il luogo consacrato da
propizio, perché luogo sacro, edificio deputato all'incontro con Dio, luogo
qualche evento di origine divina.
destinato al culto divino. I momenti più preziosi per chiedere grazie (la
Ma il termine « mistico » ha nella letteratura spirituale cattolica un
grazia di resistere alle tentazioni o il soccorso divino per muovere a bene-
senso più specifico (l). Con più legittimo titolo, trattandosi di un'esperienza
volenza i benefattori) sono quelli più importanti della messa: la elevazione e
nel cattolicesimo, ci si può chiedere se Don Bosco fu un mistico. Ci si può
la comunione. Preghiere di particolare efficacia sono quelle rivolte a Maria SS.
domandare per lo .meno, se in quanti lo conobbero si sia formata la persua-
(il rosario, la visita, le tre A u e Mavid ai piedi del letto); efficaci sono le pre-
sione che Dio arricchì Don Bosco anche del dono dcll'unione contemplativa.
ghiere a S. Luigi Gonzaga, all'Angelo Custode, all'intercessione di Dome-
Ci si potrebbe ancora chiedere che cosa pensò Don Bosco, ad esempio, dei
nico Savio.
suoi alunni privilegiati, come Domenico Savio, Michele Magone, Francesco
Ma se ben si bada, questa non è l'unico valore che Don Bosco attri-
Besucco, del suo collega di studi Luigi Comollo e di altri, dei quali scrisse un
buisce alla preghiera. Già l'orazione in sé, ma in special modo quella silente
qualche pro!ilo biografico.
che si fa quando si è ricevuto Gesù eucaristico, l'orazione mentale la visita
Nel caso di Don Bosco non si tratta di una inchiesta a proposito di
a Gesù sacramentato e a Maria SS. sono descritte in termini tali che potreb-
fatti marginali. La mistica nella coscienza cattolica, anche ottocentesca, non
bero comportare benissimo la definizione di orazione unitiva, orazione di
è un fatto marginale. In Don Bosco potrebbe esserlo, se ci si ponesse uni-
quiete, orazione di presenza amorosa: almeno per certe loro fasi (').
camente nella visuale del culto dell'Ausiliatrice da fondare e propagandare.
È notevole che Don Bosco, descrivendo il modo come Luigi Comollo
In tale prospettiva facilmente ci si persuade che nella vita di Don Bosco eh-
I
riesce a raggiungere lo stato di preghiera attenta, non bada tanto al fatto
bero un ruolo dominante, più che la eventuale esperienza contemplativa i
che la preghiera sia attenta, ma alla facilità con cui tale stato di « raccogli-
fatti prodigiosi: sogni, apparizioni, guarigioni istantanee n insperate. Quando
l
I
mento » viene raggiunto. Questa facilità per Don Bosco è indice di « di-
però si guarda a Don Bosco come educatore e direttore di spirito, allora si
avverte l'importanza di una inchiesta che giunga a stabilire quale risonanza
I
stacco dalle creature », e, implicitamente, di conformità e unione (con la
volontà, con l'amore divino)('). Presentando S. Luigi Don Bosco, ci offre
poté avere nel suo animo il fatto mistico vissuto nel proprio intimo o intra-
altri apprezzamenti, ma sulla stessa linea di pensiero. La facilità a raccogliersi
visto nell'animo dei suoi giovani. Se mistica ci fu, allora con fondamento non
in preghiera, la carenza di distrazioni, la difficoltà a staccarsi dall'orazione
sarebbe possibile indicare tale esperienza come una radice della sua tenacia
sono indice di spirito di preghiera ». Sono, si, conquista di Luigi, ma sono
nell'operare e della sua assolutezza nel proclamare la necessità della reli-
anche dono, sono perciò frutto di cooperazione, in cui l'intervento di Dio si
gione nell'opera educativa?
porta in misura così abbondante, da poter essere cosiderato un privilegio
Cominceremo la nostra inchiesta ponendoci nel campo della preghiera,
cioè sul terreno che, secondo la plurisecolare riflessione cristiana, era quello
(in Luigi Gonzaga) (").
Ai giovani Don Bosco propone questa preghiera: « Ottenetemi, o glo-
nel quale Dio poneva il dono della unione mistica e della contemplazione.
rioso S. Luigi, una scintilla del vostro fervore, e fate che sempre cresca in
Ma non sembra che la preghiera di Don Bosco sia a tutt'altro ordinata,
me lo spirito di preghiera e di divozione » (7). Non fa chiedere: « fate che
che alla contemplazione, cui predisporsi nell'esercizio dell'oraziune men-
io m'impegni a crescere nello spirito di preghiera », il senso infatti della let-
tale?
i
tura che precede, su « S. Luigi modello nella preghiera » porta a conside-
Quando riflette sulla natura della preghiera, quando ne ofire una no-
un n segnale domandato a Maria dal pio Fondatore, con cui far conoscere che ella voleva e
adottava in sua questa pia Istituzione ». Si confronti questo schema con quello d i Maraviglie
(1868) e di Rimembranza (1868) e di Maria Ausiliatrice col racconto di alcune grazie
(1875).
Ma non univoco. Si veda quanto discutono autorevoli studiosi in DSp 2, CI.'
2058.2193,
(3) Cf. sopra, cp. 12, spec. § 15.
(4) Su Gesù eucaristico nella spiritualità di DB cf. sopra, cp. 5 , § 1.
( 5 ) [BOSCO], Cenni storici, Torino 1844, p. 47 S.
(6) [Bosco], Le sei domeniche e la novena di san Luigi Gonraga. . . , Torino 1846,
p. 34: Giorno 8: e . . .Arrivò ad ottener quel privilegio di non patir più distrazioni neUe
sue preghiere [. . .l. Procuriamo anche noi di acquistare questo spirito di preghiera. . .n.
Come notammo, DB dipende dal gesuita Pasquale De Mattei.
(7) [Bosco], Le sei domeniche, p. 35.

25.3 Page 243

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Don Braorsecoqnueellastsatocrioamdeellafrreulitgtioosidi ccaottoolpicear.aVzoiloInI.eS;tellala preghiera, dunque, che potrebbe
sembrare alquanto generica, in realtà esprime con termini adeguati una conce-
zione teologica e anche una sensibilità religiosa, secondo cui l'agire virtuoso
deve condurre a vedere implicito ma presente il gratuito e grazioso intervento
divino.
Così per questa via giungiamo a superare i timori che potrehbero sorgere,
quando si considera in astratto la preghiera come petizione fatta da un suddito
al sovrano, dall'inferiore al superiore. In questi termini infatti non si ve-
drebbe una logica sohizione della supplica in colloquio familiare, non si ve-
drebbe il passaggio dal confronto tra sovrano e suddito all'amplesso amoroso
e affettuoso della ereatura con il creatore, del figlio tra le braccia del Padre
Celeste.
E forse ancor meno si potrebbe sperare una soluzione unitiva della pre-
ghiera supplice, se si bada al tipo di mezzi che Don Bosco indica usati da
Luigi Comoiio per giungere al raccoglimento e che implicitamente propone
a imitazione dei lettori: «Vuoi che io ti dica, dicevami, come io mi metta
a pregare. . . Chiudo gli occhi, col pensiero mi porto entro una grande sala
adornata nella maniera la più squisita, in fondo alla quale si erge un mae-
stoso trono su cui siede l'onnipotente, dopo di lui tutti i cori dei beati com-
prensori, quivi mi prostro, e con tutto il rispetto a me possibile faccio la
mia preghiera »
La realtà è più complessa. Come abbiamo detto, Don Bosco mostra di
essere attento a quanto palesa un distacco dalle creature, uno stato di perfe-
zione, un assorbimento in Dio. Se pertanto non ci confida sue personali espe-
rienze di « raccoglimento >> e di stato unitivo e presemiale, se anche non ci dà
una teoria sulla orazione unitiva e sulla contemplazione, nondimeno ci si di-
mostra disposto a spiegare come unione e come compresenza amorosa certi
stadi di vita spirituale riscontrati in persone con le quali convisse.
Soprattutto il tema della comunione eucaristica stimola Don Bosco a
considerare l'affinamento spirituale di Comollo, di Savio, di Magone e di Be-
succo. A questo proposito vien fatto di chiedersi, se quanto dai mistici del
Cinque e Seicento è tradotto nei termini di liquefazione e di sposalizio mi-
stico, non venga poi da Don Bosco ricuperato con il linguaggio dell'alimento,
dell'assimilazione, della unione con Cristo nella comunione sacramentale o
spirituale, da cui è sentita derivare la gioia e la pace interiore.
Anche il tema della Eucaristia e dei suoi effetti porta perciò a considerare
i doni di Dio; mai però, suile labbra di Don Bosco e sotto la sua penna, con-
duce - per quanto ci è noto - a introdurre esplicitamente il tema della con-
templazione e della mistica.
Anche al di della tematica eucaristica ci si trova introdotti facilmente
a quello dei doni di Dio, dei doni che sembrerebbero predisponenti alla con-
templazione. E tuttavia questa non viene nominata.
(8) [Boscol, Cenni storici, p. 47,
Di Domenico Savio Don Bosco scrive: « L'innocenza della vita, l'amor
verso Dio, il desiderio delle cose celesti avevano portato la mente di Domenico
a tale stato che si poteva dire abitualmente assorto in Dio » ('). Segno ne
erano, secondo quanto Don Bosco immediatamente soggiunge, la facilità e la
frequenza di quei fenomeni che la letteratura spirituale chiamava rapimenti:
« Interrogato perché lasciasse così i compagni, rispondeva: mi assalgono le
solite distrazioni, e mi pare che il paradiso mi si apra sopra del capo ed io
debbo allontanarmi dai compagni per non dir loro cose che forse essi mette-
rebbero in ridicolo ?>. Da notare: qui Don Bosco non intende presentare fatti
che sono frutto di qualità acquisite per puro esercizio umano, non intende
soltanto una ordinaria cooperazione tra natura e grazia. Egli colloca i fatti
nel capo che ha per titolo « Grazie speciali e fatti straordinari », nel cui pream-
bolo nota espressamente che non intende riferirsi alla condotta ordinaria di
Domenico (che pure - egli dice - già meriterebbe la qualifica di straordina-
ria); non intende dare l'attributivo di « straordinarie » a condizioni abituali
come « la vivezza di sua fede, la ferma sua speranza e l'infiammata sua ca-
rità e la perseveranza nel bene fino all'ultimo respiro ». ,Intende presentare
« alcuni fatti non comuni, che forse andranno soggetti a qualche critica »;
episodi che hanno « piena somiglianza con fatti registrati nella Bibbia e nella
vita dei santi >> ("). Chi vuole, può capire: Don Bosco intende parlare di
fatti che superano il corso ordinario della grazia e sopravvanzano le stesse
capacità della natura.
Ma nel descrivere l'assorbimento di Dornenico in Dio, Don Bosco nul-
l'altro aggiunge che giovi a precisare il significato delle sue osservazioni. Gli
studiosi di mistica potrebbero infatti non contentarsi ancora e chiedeie se nel
caso di Dornenico non ci si trovi soltanto nel campo delle visioni intellettuali,
qualitativamente diverse dalla straordinaria invasione dell'essenza divina.
A Domenico Savio pareva che il paradiso gli si spalancasse sopra il capo:
si esprimeva in termini che potevano far pensare a Stefano il protomartire e d
Paolo, rapito al terzo cielo: potevano far pensare a esperienze del divino nar-
rate dalla Scrittura, interpretate da esegeti accessibili a Don Bosco come vi-
sioni e rapimenti estatici (").
All'innocenza della vita riscontrata da Don Bosco in Domenico Savio, al
suo amore verso Dio, al suo desiderio delle cose celesti potrebbero essere ac-
costati alcuni elementi posti in rilievo alcuni anni dopo nella vita delia beata
Maria degli Angeli. Ancb'ella, dopo quasi tre lustri di prove dolorose, sentì
( 9 ) Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico, Torino 1859, p. 97.
(10) BOSCO, Vita del giovanetto Savio Domenico, p. 93.
(11) A proposito di Act. 7, 55 e 2 Cor. 12, 1 CF. commenti del Maitini, del Tirino, del
Calmet. Fran~ois-ArmandGervaise fonte di DB per la Vita di S. Paolo, ha un capitolo
sulla «continua orazione » e intima unione con Dio » dell'apostolo; V i t i , 1. 5, cp. 8, t. 3,
Napoli 1786, p. 42-48, ma DB non se ne serve. Il discorso del Gervaise non sembra andare
al d i delle virtù acquisite. Per quanto riguarda mistica e contemplazione il problema si
presenta in termini simili a queiii che stiamo affrontando quanto a DB.

25.4 Page 244

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uDnon«Bdoescsoidneerliloa svtoivriiassdiemllaore»ligdioeslilt'àuncaiottnoleicac.oVnol DII.iSot.elFlau per lei uno stadio prepara-
torio, finché giunse per lei « il celeste favore » della << sublime unione, la
quale ancora su questa terra rende le anime simili ai beati in Cielo » ('9.
A questo punto la biografia popolare curata da Don Bosco sente i1 bi-
sogno di chiarire che cosa sia questa « sublime unione ». « Per essa - si
legge - un'anima cammina sempre alla presenza di Dio; a Dio senza alcuno
sforzo tiene di continuo rivolto il suo pensiero, fisso il suo cuore; vede Iddio
in ogni cosa, lo sente, lo gode, e dove prima si sarebbe dovuta sforzare per
volgersi a Lui, ora dovrebbe farsi violenza per allontanare da Lui il suo pen-
siero. Oh! stato invidiabile! » ('9).Non ci si trova qui forse davanti a una
nuova presentazione dello stato di distacco descritto in Comollo, davanti a una
descrizione affine a quella su Luigi Gonzaga, per privilegio arricchito da un
finissimo spirito di preghiera? non c'è qualcosa che fa ripensare alla facilità
con la quale Domenico al pensiero di Dio finiva in estasi?
- Per l'appunto alle « distrazioni P di Domenico Savio fanno riscontro le
estasi di Maria degli Angeli o come scrive un biografo, modello di Don
Bosco - gli <( svagamenti » di questa mistica("). Un giorno - scrive Don
Bosco - durante la ricreazione in cortile si parlò « del gran premio da Dio
preparato in cielo a coloro che conservano la stola dell'innocenza »; si disse
che « gli innocenti sono in cielo i più vicini alla persona del nostro divin Sal-
vatore e gli canteranno inni di gloria in eterno ». Era presente Domenico Savio.
L'udire quelle parole bastò « per sollevare il suo spirito al Signore e restando
immobile, si abbandonò come morto nelie braccia di uno degli astanti »(li).
Qualcosa di analogo accadeva a Maria degli Angeli, da quando ebbe concessa
l'unione con lo Sposo divino. « Bastava che parlasse, o sentisse parlare di
Dio, per venire tosto rapita fuori dei suoi sensi » (l6).
In Domenico dunque ci sarebbero stati gli stessi segni riscontrati nella
suora carmelitana. La causa non poté essere anche la stessa? Quell'essere
abitualnzente assorto in Dio non potrebbe designare uno stato di unione mi-
stica?
Da un confronto tra la vita di Maria degii Angeli curata da Don Bosco
e quella di Elia da S. Teresa, primo biografo della carmelitana, risulta ancora
('2) [Bosco], Vita della beata Maria degli Angeli carmelitana scalza torinere (LC), Tori-
no 1865, p. 56s. Questa vita ha uno stile abbastanza fiacco e fa pensare alla coeva
biografia su Francesco Besucco, compilata, come risulta dai mss., anche per la parte che
riguarda la vita ali'oratorio, con la collaborazione di altri (Giuseppe Bongiovanni). La vita
d i M. degli Angeli ha la prefazione sottoscritta da DB (p. 5). B poi elencata tra le opere
di lui già nel 1866. Cf. BOSCO,Storia d'Italia, Torino 1866, p. [528]. La prefazione dichiara
anche le fonti utilizzate: le biografie compilate da Elia di S. Teresa (Torino 1729), Alessan-
dro Teppa (Torino 1864), Anselmo di S. Luigi Gonzaga (Roma 1865).
('3) [Boscol, Vita della beata Maria degli Angeli, p. 57.
. . . (M) ELIA DI S. TERESA, La diletta del CrociFsso. Vita della venerabile madre siror
Maria degli Angioli , p. 180.
(15) Quest'episodio venne introdotto neUa seconda edizione della Vita, Torino 1860,
P. 110.
('6) [Bosco], Vita della beata Maria degli Angeh, p. 57
480
più evidente che ci si trova davanti a due tipi di linguaggio tra loro differenti
e che inducono a supporre diversi criteri d'interpretazione. Elia di S. Teresa
osserva la carmelitana di Torino alla luce della esperienza spirituale di Teresa
d'Avila e sulla trama delle dottrine di S. Giovanni della Croce. Le continue
prostrazioni fisiche e morali, sofferte da Maria degli Angeli per circa tre lustri
sono presentate come la notte spirituale, nella cui oscurità l'anima, secondo
quel che insegna Giovanni della Croce, « tiene già principj della perfetta unione
d'amore, che aspetta » (l7). La stessa Maria degli Angeli interpreta i propri
stati d'animo con la terminologia che poté assimilare a fine Seicento: scrive
dello stato di « quiete o del senso di « annichilamento » e costantemente in
ordine all'unione amorosa con Dio (ls).
Come Don Bosco e come il curato d'Ars anch'ella per qualche tempo fu
afflitta da incubi notturni: mostri infernali salivano sul suo letto, le si accosta-
vano al viso, la minacciavano (l9). Nella sua vita erano momenti della notte mi-
stica. Don Bosco appare in ben altra prospettiva. Egli avverte questi fenomeni
in dialettica con l'opera apostolica. Secondo quanto espone ai chierici e ai gio-
vani, in quel modo il demonio si mostrava indignato per il bene che si compiva
all'Oratorio. Le infestazioni diaboliche erano, a suo giudizio, connesse al fatto
che giovani decidevano di darsi seriamente al Signore o protestanti venivano
ricondotti per opera di Don Bosco alla Chiesa cattolica (=).
(17) ELIADI S. TERESA, La diletta del Crocifisso, p. 172.
(1" ELIADI S. TERESA, La diletta del Cracifisso, p. 171 S.
('9) Paarticolareggiate e drammatiche sono le descrizioni che fa M. degli Angeli e che
Elia di S. Teresa riporta tra virgolette. Molti di questi incubi sono di ordine sessualer,I
termini degli agio& ottocenteschi sono ovviamente più attenuati e adeguati aiia diversa
sensihilith degli autori e dei lettori. Utile per una ambientazione è Giuseppe C O C ~ A R A ,
Il diavolo nella tradizione popolare italiana. Saggi e ricerche, Palermo 1945.
( W ) Sarebbe interessante riportare la documentazione di Don Bonetti suiie infesta-
zioni diaboliche allDratorio e sullo stato di prostrazione in cui venne a trovarsi DB. Ripor-
tiamo solo qualche sti-alcio: «Erano alcuni giorni che il Signor D. Bosco mostravasi stanco
ed abbattuto più del solito. Gli si dimandò che cosa avesse, se non si sentisse bene; ed
egli ci rispose che erano quattro o cinque notti che non chiudeva più gli occhi. Ma come
va? - e ci raccontb quanto segue: L'altra notte (6 oppure 7 del corrente febbraio [1862])
era appena coricato, e già cominciavami ad assopire quando mi sento a prendere per le
spalle e darmi un crollo tale, che mi spaventò grandemente. Ma chi c'è? mi posi a gridare.
Accesi tosto il lume, mi vestii, guardai sotto al letto, e in tutti gli angoli se avessi veduto
alcuno, che mi avesse fatto qualche scherzo; ma nulla trovai. Esaminai l'uscio di mia ca-
mera, ed era chiuso; esaminai parimenti i'uscio deiia biblioteca, tutto era chiuso e tran-
quillo. Ritornai a coricarmi. Era appena assopito, quando mi sento dare un crollo che tutto
mi sconvolse. Voleva suonare il campanello e chiamare Rossi o Reano; ma no, dissi tra me
non voglio disturbare; e intanto mi posi a dormire, quando mi sento sullo stomaco un peso
enorme che mi opprimeva, e quasi m'impediva il respiro, e non potei tenermi dai gridare,
ma chi c'è? e diedi ad un tempo un forte pugno, ma nulla toccai. Mi posi dali'alua parte,
e si rinnovavano questi urti. I n tal miserando stato passai questa notte. La sera dopo
prima d i coricarmi volli dare la benedizione al letto; ma nulla valse, e continuò quel brutto
giuoco, che da quattro o cinque notti si rinnova continuamente. Questa notte vedrò un
poco (ed era un mercoledì 12 febbraio) a sera, vigilia dell'esercizio della buona morte,
primo, in cui lucrammo i'induigenza plenaria concessa dal Beatissimo Padre Pio IX il 13
Gennaio (quest'auno 1862). Questa sera 13 trovandosi alciini chierici e preti col Sig. Cava-

25.5 Page 245

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Don
BoscoVnieslilaonsitoripaadrealdlaisriealicghioesitàneclaltatolivcait.aVodl iII.
Stella
Maria
degli
Angeli
sono
viste
come
effetto della perfezione raggiunta o sono presentate come frutto dell'amore
divino che si china verso l'anima prediletta per arricchirne o stimolarne la
vita interiore. Don Bosco invece gravita prevalentemente verso gli altri. I suoi
sogni hanno quasi sempre un contesto educativo e pastorale. Don Bosco è
liere Oreglia con lui dopo cena tosto lo si interrogò se era lasciato tranquillo di notte, e
ci raccontò quanto segue. L'altra sera sono andato in camera, e vidi il tavolino da notte a
ballare e battere tak tak tak tak. Oh! questa è hella dissi tra me, e mi avvicinai e lo inter.
rogai, e sicché che cosa vuoi? ed egli continuava tak t& tak tak. Mi poneva a passeg-
giare per la camera ed ei taceva; andavagli vicino, ed egli ballava e batteva. Vi assicuro,
prese a dirci, che se io avessi sentito a raccontare quanto ho veduto e sentito io non ci
avrei certamente creduto. E non pare di vedere i fatti delle streghe che ci raccontava la
nonna? Se io contassi mai il tutto ai giovani, y a i ; morirebbero di paura. Noi lo pregammo
di volerci raccontare qualche cosa di più, ma non voleva saperne per nessun conto, rispon-
dendo: quando si ha da raccontare qualche cosa bisogna vedere se quel racconto sia di
gloria a Dio, e di salute aile anime; ora questo mio racconto sarebbe inutile. Io gli dissi: e
chi sa se non sarà di bene ail'anima nostra? Instando ancora gli altri ci disse: In quegli
istanti essendo in letto vedeva ora le forme di un orso, ora di una tigre, ora di un lupo,
ora di un grosso serpentaccio, ma di un aspetto orribile; e li vedeva arrampicarsi pel letto,
e stavan lì. Io li lasciava fare un poco, e poi esclamava: o bone Jesu, e tosto com'un soffio
~ t t sopariva. In questo modo passai la notte. Notossi che in quel tempo il Signor D. Bosco
aveva in camera un libretto che voleva rivedere per fare stampare nelle Letture Cattoliche
ed era intitolato: La potestà delle tenebre [del P. Carlo Filippo da Poirinol. La storia di
questo libro è un poco curiosa. E terminò: Oh! vedete, il demonio ama di starsene co' suoi
amici» (BONETTAI,nnali I I , AS 110 Bonetti 3, p. 19-21; cf. MB 7, p. 71 s).
« I1 giorno 24 [ = 23 l febbraio domenica, il Sig. D. Bosco trovandosi moltissimo
stanco fu costretto porsi a letto. Non era ancora un quarto d'ora che vi si era messo che
andò il Cavaliere [Oreglial a chiamarlo per andare a vedere un malato che lo chiedeva. Si
sull'istante, l'andò a confessare, e lo confortò: giunto a casa si pose di bel nuovo a
letto. I1 sacerdote D. Rua Midiele alla sera andatolo a trovare lo interrogò che si sentiva.
Mi sento molto stanco; di mattina posso riposare; sono di continuo disturbato; la notte
passata fu un continuo assopirmi e svegliarmi. Non appena cominciava chiudere gli occhi,
che sentiva a battere di martello sotto al capezzale. Mi sedeva sul letto, e tutto cessava; mi
adagiava di nuovo, e di nuovo sentiva a battere. Così passai la notte. - Ma se cosl è,
esorcizi questo spirito. - Oh! domani andrò a passare alcuni giorni col vescovo di Ivrea.
- Al mio ritorno se verrà di nuovo a seccarmi, saprò io che fare; adoprerò un mezzo che non
usai mai ancora. - Quale sarebbe? Lo interpellerò a nome di Gesù Cristo, lo costrin-
gerò a parlare e a dirmi se venga da parte di Dio o del demonio. Di qui non potrà sfug-
gire, dovrà rispondere. Quando io racconto queste cose ai giovani, le racconto ridendo:
ma ti assicuro che non rido di cuore, C mi danno molto a pensare. L'anno scorso è
stato per lOratorio un anno eteroclito, straordinario; ma questo lo è ancora di più.
Lungo questo giorno gli si dimandò pure se non sapeva il motivo di quel disturbo.
Ed ei rispose: il demonio non vuole che si aprano le scuole cattoliche a Porta Nuova, che
stanno per aprirsi &e di contrapporle a quelle dei protestanti. - Ma è forse ella che le
abbia stabilite? - Io le ho consigliate, le ho promosse, mi sono impegnato di cercarne e
provvederne il personale e di pagare le persone che vi saranno destinate [e di - destinate ag-
giunto in margine]. Al lunedì parlando pure con alcuni dei continuo disturbo notturno
- ripeté che avrebbe provocato quello spirito a parlare. Noi gli abbiamo domandato: - Ma
se non volesse parlare? - Oh! non può sfuggirlo, è costretto a parlare. Che cosa gli
dirà ella? [traduzione del piemontese chièl?] - Dirò così: Adiuro te, In nomine Jesu
Christi dic mihi quis sis, et quid uis u (BONETTAI,nnali, l. C,, p. 34-36), e con lievi varianti,
MB 7, p. 73 S.
persuaso che siano doni del Cielo in ordine alla salvezza delle anime che gli
sono affidate.
Già in base a queste considerazioni ci si potrebbe chiedere se sia lecito
concludere che il mondo mistico era abbastanza al di fuori degli interessi di
Don Bosco. O piuttosto ci si potrebbe chiedere se non sia troppo interpellare
su temi mistici un uomo di metà Ottocento, votato all'azione, abituato a un
colloquiare semplice con i giovani e con il popolo. Accanto a Don Bosco, nello
stesso ambiente e nello stesso tempo troviamo persone, come Maria Enrichetta
Dominici, che orientano risolutamente la propria spiritualità verso l'asso-
luto e quieto abbandono in Dio. Eppure anche nelle pagine autobiografiche
della Dominici non ci sembra si possa trovare molto di più che un vigile con-
trailo d i se,stessa e un'attenzione continua per sentire nella quiete dell'animo
la compiacenza di Dio Padre e l'amore per Gesù Cristo e per le anime. Forse
già quest'atteggiamento nella Dominici, al di dell'opacità del linguaggio,
denota un'anima mistica: un'anima che, attraverso la lettura di S. Francesco
di Sales, di S. Alfonso e del Rodriguez, mediante la contemplazione della Vo-
lontà divina e della Provvidenza, cui il Cottolengo aveva dedicato la propria
opera, poté giungere a vivere quanto poi ella scoprì nella lettura di una for-
tunata opera del de Caussade (edita Panno dopo della morte di Don Bosco, dalla
Tipografia salesiana) (21).
Quanto a Don Bosco, ci sembra di trovarci davanti a un'analoga barriera:
davanti alla opacità non molto eloquente del suo liguaggio semplice. I n più
in lui abbiamo, oltre che l'uomo pratico, l'uomo che facilmente parla delle
(21) Menzioniamo il Cottolengo, perché entrava nel raggio di conoscenze e di interessi
di Maria Enrichetta Dominici. Del gesuita Jean-Pierre de Canssade (1675-1751) madre
Dominici possedeva L'abbandono alla proovidenza diuzrza, Torino, tip. Salesiana 1888. L'ope-
retta era stata edita la prima volta nell'originale francese nel 1867 dal padre Henri Ramière
(1821-1884), fondatore dell'Apostolato della Preghiera. Si ebbero edizioni torinesi neil'85
(Tipografia degli Artigianelli) e nell'88 (Libreria Berruti). Tra le tante testimonianze di
« apertura mistica n della Dominici citiamo un brano del suo Diario: « Tutto alla maggior
gloria di Dio e del mio caro S. Ignazio. - 13 gennaio 1866. Trovandomi quest'oggi in molta
oscurità, sentivo gran desiderio di parlare con vostrii Paternità [cioh con il confcssorel,
onde averne consiglio e conforto; ma temendo che questo mio desiderio fosse troppo vivo,
per un po' d'ansietà che mi sentivo, e perciò non conforme alla volontà di Dio, mi volsi d a
SS. Trinità [ . . . l . Quattro ore e mezza le passai perfettamente sveglia, ma sempre con
Dio: mi pareva di contemplare tutte unite le perfezioni di Lui, in un modo sì giocando
e soave, che non sapevo né intendere né spiegare; mi pareva di stare come perduta nel-
l'ammirazione di quel Bene immenso che mai, stante la mia basseiia, potrò arrivare a com-
prendere. Durò questa felice unione col mio buon Dio fino circa le 10 del giorno dopo, che
. fu Domenica, giorno 14 [. .]. Quante volte non mi accade che vorrei fare mille domande
a Dio, ma poi tutte le mie domande terminano in nulla domandare, perché, a mio modo
d'intendere, mi pare di vedermi e sentirmi tutta assorbita, immedesimata, fatta una stessa
cosa colla volontà di Dio di modo che mi trovo quasi sempre nella dolce e felice necessità
di non potere né desiderare, né volere, né cercare cosa alcuna, se non questa santissima,
amabilissima e preziosissima volontà » (cf. Vigilia eroica, Roma 1951, p. 224). Per le rela.
zioni tra DB e la Dominici cf. il nostro vol. 1, p. 296 (indice).

25.6 Page 246

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Don Boopsceorenepllraosdtoigriiaodseellareraelliigziozsaite,camttaoliccha.eVèol sIIc. hSitvelola e cauto, quando si tratta di mani-
festare i propri retroscena mentali e spirituali.
Se si applicasse alla vita di Don Bosco la terminologia ch'egli usava ri-
guardo ad altri, si avrebbe motivo di affermare che, nonostante l'esteriorizza-
zione impostagli da preoccupazioni educative ed organizzative, anzi traendo
stimolo dalle urgenze apostoliche, anch'egli dimostra una felice attitudime
all'abituale unione con Dio; anch'egli infatti dimostra finissima sensibilità ai
valori religiosi, facilità di elevazione della mente in Dio, fervore, carità viva
e solida. Anch'egli negli ultimi anni di vita venne colto in momenti di profondo
raccoglimento, anzi in momenti di vera e propria estasi, che lo coglieva mentre
celebrava la messa mentre si trovava da solo in camera. Chi allora lo trovava
raccolto in se stesso poteva con buon fondamento supporre che Don Bosco, me-
diante « l'innocenza della vita, l'amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti )>
era giunto a tale stato, «che si poteva dire abitualmente assorto in Dio » i U ) .
2. I miracoli
Comunque sia, risulta almeno evidente che le estasi, i rapimenti, i colloqui
prolungati con Dio, la facilità a raccogliersi in preghiera giovarono ad alimentare
la convinzione che il dito di Dio interveniva in modo singolare in Don Bosco e
attorno a lui.
Da ciò ne seguono i più svariati atteggiamenti di cui sia capace l'animo reli-
gioso. Francesco Dalmazzo quindicenne abbandona il collegio vescovile di Pinerolo
per andare a stare con Don Bosco, di cui ha sentito narrare i prodigi di santità
e lo zelo sacerdotale. Giunto all'oratorio, da Don Domenico R u h o ha conferma
della risurrezione di un giovane operata da Don Bosco anni addietro. Rimane,
nonostante la scarsezza del vitto, quando con i propri occhi davanti alla porta
della sagrestia di S. Francesco di Sales assiste a un fatto strardinario: attin-
gendo da un cesto quasi vuoto, Don Bosco distribuisce pagnotte a parecchie
centinaia di ragazzi i2').
("1 Espressioni che DB usa per Domenico Savio: cf. Vita, ed. 1859, p. 97.
(23) Testimonianza di Don Francesco Dalmazzo al processo informativo diocesano,
sess. 119, 16 gennaio 1893, ad 32, copia in AS 161. 12, ms. A, p. 70-72 (moltiplicazione
deile pagnotte). Quanto alle prime conoscenze, cf. sess. 118, 14 genn. 1893, ad 24, ms.
citato, p. 64: «Fin dal 1860, quando entrai alunno neiYOratorio di S. Francesco di Sales,
udii si parlava di D. Bosco come di un Santo, anzi aggiungerò che avendo letto i libri deile
Letture Cattoliche scritte da lui, quando era ancor convittore del Collegio di Pinerolo,
avendo domandato chi fosse D. Bosco mi fu risposto da varie persone che era un Santo
prete, motivo per cui mi risolsi di lasciar il Collegio dove mi trovava per aggregarmi fra
i figli di Lui. Fin d'allora sentii che si parlava neWOratorio di miracoli e d i fatti straordi-
nari. Tra gli altri mi raccontava D. Ruffino, allora solamente chierico, ora defunto, &e
D. Bosco aveva risuscitalo un morto giovane esterno dell'01atorio per confessarlo, che
I miracoli si moltiplicarono ed ebbero maggior risonanza, quando Don
Bosco si fece apostolo dell'Ausiliatrice. Con l'andar degli anni, come abbiamo
ripetuto più volte, tutto è sentito come prodigioso nella vita di Don Bosco:
non soltanto le grazie straordinarie, non soltanto le guarigioni repentine ope-
rate un p3' dovunque, ma il successo delle sue opere, il propagarsi della Con-
gregazione Salesiana, il dilatarsi delle opere missionarie i 2 9 . Al senso di rico-
noscenza a Dio e a Maria Ausiliatrice il popolo unisce istintivamente la vene-
razione per Don Bosco. La virtù divina che egli implora, fa pensare istintiva-
mente che esca da fui. Del resto tale persuasione è corroborata dal contemplare
in Don Bosco il sacerdote zelante, che pensa diritto al bene delle anime, anche
quando si esprime attraverso una battuta allegra.
Istintivamente il senso religioso accosta Don Bosco a Gesù. Lo si con-
stata soprattutto nella documentazione deil'ultimo quindicennio. Don Lemoyne
intitola una grazia ottenuta per intercessione di Maria Ausiliatrice e per inter-
aveva moltiplicate castagne per distribuirle ai giovanetti; poi che i giovani dell'Oratorio,
andando una volta alla Madonna di Campagna, distante pochi chilometri da Torino, accom-
pagnati da D. Bosco, tutte le campane si erano mosse a suonare da sé, etc., il che mi
fece credere sin d'aiiora che D. Bosco era un Santo. Questo concetto andò crescendo in me
ogni giorno più. a misura che io lo avvicinava e che era spettatore delle sue virtù, e delle
cose straordinarie, che Iddio operava per mezzo di Lui.
Io ho girato la Francia, la Svizzera, il Belgio, l'Inghilterra e tutta l'Italia parecchie
volte, e dappertutto ho sempre sentito a parlare di D. Bosco come di un nuovo S. Vincenzo
de' Paoli, di un S. Filippo Neri, etc.; e molte volte, anche negli alberghi, dyxva dietro
insistenze molteplici raccontare cose di D. Bosco, giacche tutti se ne mostravano avi-
dissimi.
Questa idea della santità d i D. Bosco, per quanto P a mia conoscenza, è sempre stata
radicata nel nostro popolo, tanto tra i dotti, quanto fra le persone semplici >r.
Francesco Dalmazio di Giuseppe (era orfano di padre nel 1860) e di Lodovica Od-
done, n. a Cavour il 18 luglio 1845; entrò aWOratorio il 22 ottobre 1860; fu ascritto sale-
siano nel settembre 1867, avendo già fatta la vestizione chiericale a Piobesi (residenza ma-
terna) il 20 ottobre 1861; emise i voti triennali all'Oratorio il 5 aprile 1869 e i perpetui
il 2 giugno 1872; fu ordinato sacerdote a Magliano Sabino il 9 gennaio 1881; nominato
procuratore generale deiia Società Salesiana già il 12 gennaio 1880; fu in tale carica fino
al 1887; venne assassinato a Catanaaro il 10 marzo 1895.
Quanto alla moltiplicazione di castagne, il teste cui si rifà Don Ruffino è il coadiu-
tore Giuseppe Buzzetti («Memorie », AS 110 Ruffino 5, p. 53 s: copia ms. di Don
Lemoyne). Invece per la moltiplicazione deile Ostie il teste è DB stesso: « Un'altra volta
vi era un gran numero d i giovani da communicare e pochissime ostie: D. Bosco si pose a
communicate e coll'ultima ostia communicò l'ultimo giovane. D. Bosco disse che senza
saper come le vedeva multiplicare nella pisside ». Lo stesso fatto venne udito dalle l a b
bra di DB nel 1876 da Don Giuseppe Vespignani. Cf. sopra, cp. 1, nota 57 e testo corri-
spondente.
(24) Una tra le mille testimonianze: Giacomo COLOMBEROI , santua~iidella Vergine
SS. in Piemonte, 'Torino, tip. Salesiana 1898, p. 29: B L i grazie della S. Vergine [Ausilia-
trice] sono certamente in gran numero [. . .]. Osservo solo, che il prodigio più grande di
Maria Ausiliatrice, e che ogni anno aumenta, è l'incremento dell'oratorio Salesiano, che
sorto da umili principi crebbe in un albero così grande, da stendere i suoi rami per tutto
il mondo ».

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
posizione d i Don Bosco: « Alzati e cammina » ( z ) .I1 santuario ali'Ausiliatrice
da lui è chiamato la « novella piscina di Siloe » ("). Carlo « lève-toi » nel
Don Bosco del d'Espiney fa pensare al comando rivolto da Gesù a Lazzaro
o al figlio della vedova di Naim (l7).
Don Bosco implicitamente è presentato come homo missus a Deo, per
tempi tanto calamitosi. Anche Don Bosco transiit benefaciendo per le città
della Francia, cosi come un tempo Gesù per le strade della Palestina:
Oh sia lode a Dio - esclama Don Carlo Viglietti -. Io non avrei creduto se
non avessi visto! Aveva udito raccontare dei viaggi di Francia, ma era ben lungi dal
figurarmi la realtà. T+ gente per le vie si ferma estatica a contemplare D. Bosco, si
accalca sul suo passaggio, lo vuol toccare, altri piange di consolazione d'aver udita una
sua parola, d'aver ottenuto un suo sguardo, altri come il Zaccheo verso Gesù si con-
tenta di vederlo da lungi, stimandosi indegno d'avvicinarlo » (28).
A Nizza il marzo 1885 sembra ripetersi quanto accadde al centurione
o al regolo di Cafarnao:
«Una signora venne venerdì 27 marzo con suo marito [.. .l a raccomandare la
sua madre che stava prossima a morire. D. Bosco imparte loro la benedizione per
i'inferma, e della giornata costoro ricevono telegramma che annunzia la piena guari-
gione deii'inferma; si verifica e si viene a conoscere che la guarigione è appunto inco-
minciata allora che D. Bosco impartiva la benedizione ».
I l 21 aprile dei'85 ossessi vengono liberati:
«Alle 7 e i/2 - scrive sempre Don Viglietti - eravamo in pronto per partire
per andare dalla marchesa Lopez a dire la messa e sulla porta condussero un'indemo-
niata, la quale appena vide D. Bosco si gettò per terra e svenne dimenandosi orribil-
mente. D. Bosco gli dicea che invocasse Maria ed essa gridava: No, no - e poi dicea:
no, non voglio uscire, non voglio partire. D. Bosco la chiamava: Maria prendi questa
medaglia ed essa si dimenava. - D. Bosco gli diede la benedizione di Maria Ausilia-
trice - essa poi si alzò prese la medaglia, la baciò, andò a sentire la messa, pareva
risanata affatto, fece colazione, e tutto in presenza della moltitudine che avea visto il
fatto. Quelli che I'accompagnavano, assicurano che non la vedevano più così tran.
quilla da moltissimo tempo e che erano stupefatti D (21).
(") G. B. LEMOYNLEa, città di refugio ovucro Maria Ausiliatrice . . ., S. Pier D'Arena
1880, p. 22-25. L'edizione è fatta fuori Torino per sottrarsi alla censura non favorevole di
mons. Gastaldi. Gli originali di grazie editi in questo libro sono anche ritoccati da DB
(AS 133 Maria Ausiliatrice).
(26) Propriamente: «Un Paralitico guarito alla novella probatica piscina n, in G. B.
. LEMOYNE, La
temporale.. ,
Madre
S. Her
delle grazie ovvero Marifi Auiiliatrice in o&
d'Arena 1881, p. 42-52. Per questo libro vale
bisogno spi>~ii~,o& r
quanto abbiamo detto
nella nota precedente.
(27) Cf. il nostro vol. 1, p. 283 S.
(9Cf. AS 110 Viglietti (varie redazioni), Cronaca in data Nizza, 26 marzo 1885.
Il fatto avviene a Barcelona (Spagna).
3. La scienza di cose occulte
Don Bosco si manifesta conoscitore di cose occulte e dotato di lungimi-
ranza. Da Lanzo neli'estate del 1862 inviò una lettera molto significativa, il
cui originale ancor oggi si conserva:
« Carissimi Figliuoli [ .. .] Sono già andato più volte a visitare l'Oratorio ed ho
trovato un poco di bene ed un poco di male. Ho veduto quattro lupi che correvano
qua e in mezzo ai giovani, ed alcuni furono morsi dai loro denti. Forse questi lupi
rapaci non si troveranno più tutti nell'oratorio, ma se ci sono ancora voglio strappar
loro di dosso la pelle d'agnello di cui si vogliono vestire.
I n un'altra visita ho veduti alcuni che al tempo della preghiera della sera, sta-
vano chiaccherando sul terrazzo accanto al campanile. Altri su per la scala piccola
della casa nuova. Provera ne snidò alcuni che erano al pian terreno, ma non vide
quelli che erano nei piani superiori. H o pure veduti alcuni uscire al mattino di Do-
menica e perdere una parte delle funzioni religiose. Ma fui non poco sdegnato che
taluni nel tempo delle funzioni della sera siano fuggiti per andare a nuotare! Poveri
giovani! Quanto poco pensano all'anima loro!
H o pure veduti molti giovani che aveano un serpente, il quale attorcigliandosi
alla loro persona, li andava a mordere nella gola. Alcuni di essi piangevano dicendo:
- Inique egimus. - Altri ridevano cantando: - Fecimus hoc: quid accidit nobis?
- Ma intanto gonfiando ad essi la gola loro mancava quasi il respiro. Qoest'oggi poi
vedo il demonio che fa molta strage coll'ozio.
Coraggio, giovani miei, presto sarò con voi e mi unirò con D. Alasonatti e con
tutti gli altri preti e chierici, e per sino colla barba del Cavaliere per cacciare i lupi,
i serpenti e l'ozio dalla nostra casa » (I0).
Qualche giorno dopo Don Bonetti notava sulla sua Cronaca:
4 Alcuni giovani della casa e dei più indisciplinati (Davi, Tinelli, Panico) ("1 sa-
pendo D. Bosco non essere a casa e sperando perciò di farla più facilmente franca, aiia
Domenica mancarono dalle sacre funzioni e andarono a bagnarsi. Malgrado la vigi-
lanza dei Sig. D. Alasonatti e degli assistenti la fecero franca ed erano già passati due
o tre giorni e di niente si sapeva all'Oratorio di questa solenne loro mancanza, ed
essi se ne stavano tranquilli. Ma furono delusi, essi furono veduti ed osservati dal
(n)AS 131.01 Torino-Oratorio; cf. MB 7, p. 226 s; Epirtolario 267: con la data di
S. Ignazio presso Lanzo, 21 luglio 1862. Cf. anche sopra, cap. 11, nota 82 e testo coiri-
spondente.
(31) Davi è sui registri Stefano Davite, figlio di Giovanni e Margherita Carbonier,
n. a Lucerna (Svizzera) il 13 dicembre 1846; entrò all'Oratorio come artigiano il 31 gennaio
1862; usci nel novembre 1863. Giuseppe Vinelli (e non Tinelli) di Giovanni Battista e Te-
resa Bo, n. a Torino nei 1846; entrò ali'Oratorio come artigiano il 21 marzo 1862; usci -
stando al registro anagrafe - nell'aprile 1864. Un Panico si trova in un elenco di giovani
studenti e artigiani del 1862-63, ms. allogr. con annotazioni di DB (AS. 132 Oratorio 7);
non risulta però sui registri anagrafe e contabilità e nemmeno sulla lista dei edeceptores
et illusi » (AS 132 Oratorio 6; MB 7, p. 225 ss).

25.8 Page 248

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DoSnigB.oDsc.oBnoesllcaos,toilriaqudaellea arellimgioasttitiànocadtteoliclau.nVedolì IIs.cSritessllea ai giovani dell'oratorio una bellis-
sima lettera neUa quale dopo aver narrato il suo viaggio, senza fare il nome, svela i
colpevoli e li riempie di timore, minacciandoli di severo castigo al suo ritorno. Questa
manifestazione riempì ognuno di maraviglia non sapendo come avesse fatto D. Bosco
a conoscere di là tale cosa. Si cercò dei colpevoli, e si trovò la verità . . . » (32).
Nel gennaio ( o inizio di febbraio) del 1870 Don Bosco scrisse da Roma
quasi con gli stessi termini:
« I1 mio pensiero vola sempre dove ho il mio tesoro in Gesù Cristo, i miei cari
figli deU'Oratorio. Più Ivoltel al giorno vo loro a far visita. Ora vedo Don Cagliero
attorniato da una schi6ra di giovanetti che si confessano; altri che si accostano alla
santa comunione; altri che pregano con fervore; altri che pensano a Don Bosco, ai
trastulli, ai compagni. Ne vedo poi un bel numero che lungo il giorno vanno a fare la
visita al SS. Sacramento e questa è per me la massima delle coniola~Aio-.n...i
Ma con grande amarezza dell'animo mio ho vedute c~ ose che farebbero orrore a
tutti se mai si potessero affidare alla carta. Dirò soltanto che fra i molti che vidi
buoni, eranvi alcuni che avevano forma di maiale, sulla cui fronte stava scritto: Quo-
rum Deus venter est. I n altri era scritto: Jumentis insipientibus omparatus est. E
iciascunol operava secondo queste iscrizioni.
Ma quello che mi ha in modo particolare occupato furono tanti, sulla cui lingua
stava come innestata una fragrante rosa, oppure un candido giglio e di costoro il nu-
mero era grande. Ma ohimé! I n mezzo a quelle consolanti vedute un giorno osservai
non uno, ma molti tra studenti ed artigiani, che tenevano in bocca un mostnioso ser-
pente, ii quale tramandava bava immonda e veleno mortale. Mi san messo a gridare
contro costoro, ma essi fuggirono e non mi ascoltarono. Dovrò nominarli? Mi limito
a darne alcuni in nota a Don Rua per vedere se può bastare ancora qualche avviso.
Costoro avevano in fronte: Co~rumpuntbonos mores colloquia prava D(").
Più d'una volta Don Bosco apparve assorto nella percezione di ameni.
menti lontani ("1. Fin dai primordi dell'oratorio usò preannunziare la morte
d i giovani che lo frequentavano: cosi Don Rua testimoniò al processo i d o m a -
tivo diocesano. Non faceva nomi in pubblico, ma tendeva espressamente a
ottenere una vita in pace con Dio. Impressionava il fatto che i decessi acca-
devano nel tempo p r e a n n u n ~ i a t o ( ~D~o) .n Giovanni Cagliero ebbe affidato in
segreto qualche giovane con il preciso compito di prepararlo a una buona
("1 Bonetti, Annali 111, p. 37.42 (AS 110 Bonetti 4). I1 fatto è anche narrato da
Pietro Enria (AS 110 Enria, p. 43s; 161.14, ms. A, p. 43s) e da Don Rua (con
qualche inesattezza: AS 161.1, ms. A, p. 290s). Don Lemoyne narra l'episodio sulla
scorta di Don Bonetti in MB 7, p. 224-230. Ne dà un doppione in MB 7, p. 486-488, dove
segue Enria e Don Rua.
AS 131.01 Torino-Oratorio; Epistolario 800.
(") Cf. ad esempio sopra, cp. 3, nota 51 e la voce Lontano neii'lndice MB p. 238.
Testimonianza al processo informativo diocesano, ad 23, AS 161.1, ms. A,
p. 275.
morte ("). Documento singolare è u n promemoria scritto dall'infermiere del-
l'oratorio:
« Pro Memoria - Oratorio di S. Francesco di Sales - I l 30 Gennaio 1864 -
Ecco qui sotto vergate le precise parole dettemi deli'Ill.mo e M. Rev.do Sigr. Don
Bosco, mio padrone, e tutore dell'anima mia la sera delli 29 detto Gennajo mentre si
coricava.
- Caro Mancardi - Nota Bene - Due sono li artigiani che prima del finire della
prossima vegnente quaresima dovranno andare in paradiso - Sono Tarditi e Palo
sta ben attento - Mancardi Ignazio - Infermiere » (").
I1 foglio porta segni di ripiegature e un'altra scritta dovuta al prefetto
dell'oratorio, Don Vittorio Alasonatti: « Predizioni D. Bosco da aprirsi dopo
Pasqua 1864 ». Pasqua quell'anno cadde il 27 marzo. I1 giovane Pietro Palo
mori il 26 febbraio e Vincenzo Tarditi, il 1 2 marzo. Palo, stando ai registri,
già da quattro o cinque mesi era malaticcio; stando a Don Lemoyne, era in-
fermo da tempo anche Tarditi (38).
La documetazione potrebbe moltiplicarsi. Nel complesso la troviamo degna
di grande interesse per le convinzioni che traspira, anche se dall'estremamente
- preciso spesso oscilli al generico o per noi - troppo lacunoso:, dalla testi-
monianza circostanziata di guarigioni straordinarie, alla notizia generica o troppo
scarna o espressa in termini che sembrano zampillare sotto l'impulso di u n forte
stupore. A loro volta predizioni precise s'intrecciano a pronostici generici, vaticini
sommersi da simboli lasciano talvolta d o r a r e indicazioni circostanziate. Volen-
tieri Don Bosco parla in parabole, ma con il suo linguaggio impregnatodi re-
miniscenze bibliche lascia che gli altri pensino di più: pensino che Don Bosco
ha visto in sogno o in visione per divino privilegio (39).
(36) Uno di questi giovani h Secondo Gurgo, m. il 24 dicembre 1855. Cf. AS 110
Cagliero; MB 5, p. 379-385.
(37) Dà una riproduzione fotograficadel documento LEMOYNEV,ita di San Giovanni
Borco, 1, Torino 1943, p. 656. L'originale purtroppo non è reperibile attualmente nell'AS,
ma la scrittura rassicura sulla sua genuinità.
(38) Entrambi morirono all'ospedale Cottolengo. Pietro Palo, fu Giov. Battista e di
Teresa Rocca n. a Lagnasco il 22 apr. 1847. Vincenzo Tarditi, fu Luigi, n. a Saluzzo nel 1847:
ci. AS 276.
Circa il fatto ci. MB 7, p. 614; 638 s e la testimoniania di Don Lemoyne al processo
informativo diocesano, ed. Roma 1907, p. 822: «Si affaccia naturalmente I'obiezione, che i
giovani essendo già infermi, Don Bosco poteva naturalmente conoscere che non avrebbero
durato a lungo. Ma ?importanza che diede il Mancardi, infermiere già di una certa età ed
esperimentato, dimostra, che la catastrofe non la giudicava ancora possibile in sì breve
tempo ».
(39) Unsanalisi di fatti prodigiosi e di testimonianze che ce li tramandano l'abbiamo
d-a.r. .* .in~a~oL-o. endice al nostro vol. 1. In appendice a questo volume daremo un'analisi di
sogni e perciò anche di vaticini e testimonianze che ce li tramandano.
Quanto sia "istosa la d-mentazione può risultare dall'lndice MB alle voci Fatti
straordinari (p 173 s), Grazie della Modonna (p. 205-207), Miracoli (p. 257 s), Morti (P.

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Don B4o.scLoanellelagsgtoerniaddaella religiosità cattolica. Vol II. Stella
Anche l'atteggiamento di quanti attorniano Don Bosco merita di essere
seguito, appunto perché è noto a Don Bosco e ne condiziona il modo di sen-
tire e di esprimersi. Accanto a Don Bosco c'è la calma riflessa di Don Rua,
c'è l'ingenuità del giovane che calca il berretto sulla fronte per non lasciarsi
leggere i peccati, c'è la sorpresa e la commozione di chi si sente bisbigliare
all'orecchio una risposta ai propri nascosti pensieri; c'è l'intraprendenza del
chierico Cagliero che su indicazione di Don Bosco scopre alcuni giovani che
giocano d'azzardo in un luogo recondito (Don Bosco stando in cortile aveva
sentito il tintinnio delle monete); c'è la fiducia fervorosa di molti figli del
popolo che chiedono a Don Bosco la benedizione di Maria Ausiliatrice, e
l'amicizia riverente e fedele del card. Berardi, al quale Don Bosco ha guarito
un carissimo nipote. Molti raccontano le apparizioni di un cane miuterioso, il
« Grigio », venuto in soccorso di Don Bosco, assalito da malandrini, e ap-
parso persino all'oratorio, ad Alassio, sulle colline del Monferrato a distanza
di ami e di lustri. È vaticinio quanto Don Bosco preconizza ora celiando, ora
con aria di mistero individualmente e pubblicamente, nell'amhito della fami-
glia di Valdocco o nella cerchia di amici e benefattori a Roma, a Nizza, a Mar-
siglia, a Parigi, a Barcellona.
C'è anche una certa attitudine a sentire forze sovrumane intervenire in
bene o in male. Tipico potrebbe considerarsi quanto accadde il 9 luglio 1884.
Don Viglietti ce ne ha lasciata una vivace descrizione. Alle sei di sera su
Torino imperversava un violento temporale: uno di quelli che sogliono rom-
pere l'afa canicolare di mezza estate. Pioveva con furia. Quattro fulmini si ah-
batterono sul santiiario deli'Ausiliatrice. All'Oratorio si era in preda alla
costernazione. Ci fu chi abbandonò la propria camera. Un ragazzo, preso dal
panico per il fragore infernale dei tuoni, ruzzolò da una scala. Don Lemoyne
impressionatissimo andò nella stanza di Don Bonetti ch'era infermiccio. Don
Bonetti gli espose quanto in quei momento gli attraversava l'animo. Non era
quella una furia insolita? quei tuoni non erano forse uno sfogo di rabbia dia-
bolica? « Scommetterei - aggiungeva - che in questo istante il cardinale
Ferrieri sottoscrive il decreto della comunione dei privilegi nostri coi Reden-
toristi ». << Magari! - rispose Don Lemoyne - e sarebbe tempo. Sono ormai
quindici anni che Don Bosco fatica ». Don Lemoyne continua il suo percorso.
Si reca da Don Berto per avere chiarimenti su una lettera di risposta da scri-
vere. Il segretario di Don Bosco lo accoglie raggiante. Il decreto dei privi-
legi era davvero arrivato quasi in quei momenti. Don Berto parla concitato:
2671, Predizioni (p. 339-3411, Profezie (p. 351). E inoltre nelle varie sillogi del processo
di beatificazione e canoniiiazione, ad es. nella Positio super introductione causae gli arti-
coli De donis supernaturalibus ei miraculis in vita (Romae 1907, p. 767-833) e De fama
sanctitatis in vita (p. 834-886); nella Positio super virtutibus l'articolo De nobis superna-
turalibus et miraculis in vita (Romae 1923, p. 972-1028).
« Darlo in mano a Don Bosco e scoppiare il primo fulmine fu una cosa sola.
- Don Bosco tentò leggerlo e non poté. Le finestre erano aperte e i primi tre
fulmini strisciarono davanti alla finestra. Io - continua Don Berto - presi
Don Bosco per un braccio e traendolo nell'altra stanza gli dissi: - Venga via,
non vede che qui è in pericolo? Pare che questi fulmini cerchino lei; e mentre
Don Bosco si avviava con me, ecco scoppiare il quarto fulmine e la striscia di
fuoco sembrò si
fino al tavolino quasi cercasse il decreto per in-
cendiarlo » (").
L'Oratorio sembrava in quel momento a quanti l'abitavano al centro delle
lotte tra forze celesti e forze infernali. Ne avevano quasi motivo. Per un de-
cennio, durante l'episcopato di mons. Gastaldi, deceduto l'anno prima, avevano
assaporato ,amari contrasti. Ormai i privilegi, e soprattutto l'esenzione dal-
l'autorità vescovile, avrebbero permesso alla Congregazione di slanciarsi per
il mondo senza timore d'intralci e di umiliazioni. I1 demonio aveva fatto il pos-
sibile, perché dall'oratorio non s'irradiasse l'opera di Dio, ma il bene aveva
trionfato. Al demonio non rimaneva che far sentire la propria rabbia impotente.
La furia temporalesca in realtà non si era scaricata solo su Valdocco.
- Qualche ora più tardi flagellava la Lombardia e il Veneto. Verso le dieci e
un quarto di sera sconvolgeva la regione di Verona. I1 cielo riportava a
Torino l'Unità Cattolica qualche giorno dopo - « era una continua fiamma
per lo spesseggiare dei lampi seguiti da fragorosissimi scoppi di fulmini. Nella
cucina di un'umiie casetta di Cavalo, al riparo dalle intemperie, si erano radu-
nate varie persone ». Tra queste, 'anche un carahiniere in congedo. « Nel men-
tre stavano discorrendo fra loro, un fulmine, ~enetrandodalla finestra, andava
a colpire il povero carahiniere e lo stendeva cadavere a terra » i")T.ra il 9
e il 10 luglio l'osservatore meteorologico di Moncalieri, presso Torino, diretto
dal harnahita Francesco Denza, fondatore della Società Meteorologica Italiana,
segnalava « temporali e pioggerelle in moltissime stazioni del continente; pioggia
abbondante a Genova e Torino; venti del terzo quadrante qua e sensibili;
barometro disceso dovunque, temperatura moderata al nord » ("1.
Ci si persuade insomma che il senso del meraviglioso pervade l'animo di
quanti vivono accanto a Don Bosco. Ci si rende conto che il campo d'azione
di Don Bosco (Valdocco, Piemonte e altrove) in quanto permeato di elementi
popolari e tradizionali è anche incline alla commozione davanti al grandioso,
ail'inatteso, al grande personaggio. In certi casi è possibile seguire quell'incan-
(a) L'episodio è ancora più stupefacente nelle MB. I quattro fulmini non caddero
durante un violento temporale, ma a ciel sereno (MB17, p. 140). Ci si immagini la coster-
nazione che in loria di ciò viene imprestata a Don Bonetti e agli altri. Notiamo F l t ch~e
la relazione Viglietti venne accolta da Don Lemoyne nei Documenti per la vita di DB.
(41) L'Unità cattolica, domenica, 13 luglio 1884.
(42) L'Unità cattolica, martedì, 15 luglio. Altro incidente mortale avvenne il 10 sera:
una donna venne colpita da un fulmine a Dosso del Liro (Como): cf. L'Unitd caltolica,
sabato, 12 luglio

25.10 Page 250

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Don tBeovsocloenfeellnaosmtoreianodecllaherelèigioilsitgàecramttoinlicaar.eVoel IlIo. Ssteblloacciare della leggenda, ed è anche
seguirne l'affermazione o il tramonto ("7.
Tanto più possono interessare tali fenomeni, quanto più si avverte che
sono frutto inconsapevole di fraiutendimenti, di entusiasmo, di poca vigilanza
critica o anche di tranquilla fede religiosa sottesa sull'autorevolezza di testi
non sempre validi.
Quest'ultimo caso si constata anche in Don Bosco. Tra il 1855 e il '70
il Santo Ufficio prese di mira divulgazioni ascetiche e agiografiche intessute
con visioni o con materia leggendaria ("7. Si voleva fede e non credulità.
Tanto più ciò appariva necessario in tempi nei quali la fede doveva essere più
avvertita, per resistere agli attacchi di miscredenti che accusavano la Chiesa
di oscurantismo ("). Venne incriminata, come è noto, la vita di S. Pietro
scritta da Don Bosco. Corse lo stesso rischio anche la vita di S. Giuseppe.
Don Bosco se ne rammaricò in una lettera al benevolo card. De Angelis, arci-
vescovo di Fermo: « Io non so darmi ragione - egli scrive-, che mentre si
stampano milioni di libri nefandi e niun se ne cura per farli mettere all'in-
dice, ed io non risparmio né spesa né fatica per tenermi ai fonti, agli autori
sommi con romane approvazioni, si usi ciò non ostante tanto rigore » ("). Egli
. insiste: a Roma «non si badò alle fonti da cui fu tratta la materia del libro
[su S. Pietro], altrimenti si sarebbe andati un po' più a rilento [ . . 7 Si do-
vrebbe prima esaminare i libri da cui io ricavo le notizie; e noti che l'operetta
di S. Giuseppe non è mia, io l'ho solamente raccolta dai libri pubblicamente
(") Qui accenniamo appena a certe circostanze della risurrezione del giovane Carlo e
ali'avveramento di predizioni, sulle quali ci soffermeremo nella appendice sui sogni. Utile
sarebbe a questo punto esaminare il meccanismo psicologico del popolo in It&a durante il Ri-
sorgimento; è un meccanismo che ha creato alone leggendario a sfondo religioso anche at-
torno a Garihaldi (protetto in battaglia dali'arcangelo Michele): ci. Francesco L ~ O N I ,
Generi, svolgimento e tramonto delle leggende stwiche, Roma 1925, p. 221.
Incidentalmente s'interessa della leggenda nella vita di DB già Don Alberto CAVIGLIA,
« D o n Bosco ». Profilo storico, Torino 19342, p. 157: « Ne1 1856 Don Bosco fece un so.
@o, uno dei tanti. Un uomo misterioso faceva girare una ruota simile a quella della for-
tuna I . . .l. Mi rifaccio da questa leggenda (qual è nella storia l'uomo straordinario il cui
nome non sia circonfuso di leggende?) per ricordare ancora una volta il fatto che, nello
svolgersi della vita di lui, le idee prima si sognano, poi [. ..l dirompono e si espandono
nella vita B.
("1 Qualche dato in Franz Heinrich REUSCHD,er Index der verbotenen Bicher, 2,
Bonn 1883, p. 1193. Tra i colpiti, vicini a DB come tempo e come luogo, c'è il sacerdote
di Savigliano Felice Cuniberti (1810-18651, la cui opera Vita d i N. S. Gesù C&o. Opera
postuma, Savigliano 1865, venne condannata donec corrigatur con decreto dell'll giugno
1866.
(") Cf. lettera del P. Angelo Vincenzo Modena, segretario dell'Indice, a mons. Ric-
cardi, arciv. di Torino, Roma, 29 aprile 1867, in MB 8, p. 775, e tutto l'incartamento rela-
tivo au'opuscolo incriminato di DB Il Centenario di S. Pietro Apostolo, in AS 133 Papi,
S. Pietro.
(") Da Torino, 18 giugno 1867; Epistolerio 562.
conosciuti, divulgati, approvati dall'autorità ecclesiastica e specialmente dal
maestro del Sacro Palazzo » ("7).
Nella vita di S. Giuseppe presenta molte graziose leggende. Narra quella
del giglio fiorito sulla verga del santo, entrato in gara con altri figli di Davide
ner ottenere come sposa la vergine Maria; descrive la cerimonia dello sposa-
A
lizio: Giuseppe offerse a Maria un anello d'oro ornato con un'ametista; riporta
i prodigi leggendari di cui fu teatro il deserto durante la fuga in Egitto; « al
dire di Sozomeno, dal momento che la santa Famiglia ebbe toccato questa terra
antica, gli alberi abbassarono i loro rami per adorare il Figlio di Dio; le bestie
feroci vi accorsero dimenticando il loro istinto; e gli uccelli cantarono in coro
- le lodi del Messia. Anzi se crediamo a quanto ci narrano autori degni di fede,
tutti eli idoli deiia provincia, riconoscendo il vincitore del Paganesimo, cad-
dero frantumati in mille pezzi » ("9.
Per la vita di S. Pancrazio Don Bosco attinge ai Bollandisti e alla leg-
gendaria biografia compilata dall'agostiniano Carlo Giovenale da S. Antonio.
I Bollandisti avrebbero potuto metterlo in guardia a proposito di episodi del
tutto inverosimili, ma Don Bosco poggiando sull'agostiniano e sulla sua bio-
grafia barocca narra minutamente del catecumenato che Pancrazio e suo zio
Dionigi fecero alla scuola di papa Caio in persona ed espone un drammatico
dialogo tra il giovane confessore della fede e l'imperatore crudelissimo Dio-
cleziano.
Don Bosco si fa forte sul principio che i fatti sono attinti ad accredi-
tati autori. Cosi anch'egli dimostra d'inserirsi più che nella agiografia critica, in
quella popolare, delicata e affascinante per chi la sa comprendere: in quella
letteratura popolare che ama distillare in episodi le proprie convinzioni, che
. . (47) [BOSCO], Vita di S. Giuseppe Sposo di Maria SS. e Padre putatiuo di G . Cristo,
raccolta dai più accreditati autori ., Torino 1867, p. 54. Qualcosa del genere si trova in
un'anonima Vita d i San Giuseppe glorioso patriarca e vergine rporo della Santissima Ver-
gine Maria, Monza 1866, p. 260: « E r a giocoodo spettacolo, dice il p. Afiaitati [Anton
Maria (1660.1721), cappuccino] sulla fede di Sozomeno, vedere gli alberi non solamente
inchinarsi coi rami e colle cime a' santi passaggicri, ma piegare tutta la robustezza dei
tronchi ed abbassarsi sino a terra per fare riverenza a Gesù. Le fiere de' boschi.. .n.
Prosegue il racconto sulla caduta di idoli al passaggio della S. Famiglia (sulla fede d! Euse:
bio d i Cesarea, S. Atanasio, Origene e Caterina Emmerich). Con altre parole & stessi
fatti sono narrati in Vincenzo Gregorio BERCFIIALLAS., Giuseppe. Manuale di letture e
contemplazioni, Nizza 1860, p. 127-133; Roma-Torino, Marietti 1867l, p. 112-121. Sulla
caduta degli idoli: M.-A. HWGUELT'i,nteriore di San Giuseppe. L e t t ~ r ee meditazioni . . .,
Torino, Marietti 1862, p. 92.
(e)[BOSCO], Vita d i S. Pancrazio martire. Con appendice sul santuario a lui dedi-
cato vicino a Pianezza, Torino 1856, p. 3 s: «Per compilare questo libretto lessi e attenta-
mente considerai quanto i più accreditati leggendari dei santi riferiscono intorno ! S. Pan-
crazio martire. H o pure lette le opere dei Surio e dei Bollandisti nel giorno 12 di maggio
ed appendice pag. 680 [ = Acta Sanctorum maii, t. 3, Venetiis 1738, p. 17-22; 680-6821;
del Tillernont: Memorie sopra la Storia Ecclesiastica, tom. V [ = 111. Il P. [Carlo] GIO-
venale agostiniano scalzo nel libro Delle marauiglie d i S. Pancrazio, libri tre, stampato [a
Carmagnola] nel 1655 n. Per bihliografia recente su S. Pancrazio cf. Antonio RIMOLUI,
Pdncrazio, in Bibliotheca Sanctorum, 10, Roma 1968, CI.82-85.

26 Pages 251-260

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26.1 Page 251

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Don Btorascdounceellalastofrioartdeezllzaareldigeiolsitmà acartttiorleicai.nVoluInI. Scteollnafronto vittorioso con la massima
autorità dell'impero ed esprime la superiorità del bene sul male mediante
leggendari atti di ossequio che la natura vegetale presta al Figlio di Dio per.
seguitato dalla natura umana corrotta e maligna.
L'opera agiografica di Don Bosco trova la sua sede idonea non solo nel-
l'ambiente popolare subalpino, ma persino in larghi strati del ceto ecclesia-
stico colto (4y).
I1 canonico Lorenzo Gastaldi (poi arcivescovo di Torino) dà credito alla
leggenda dei torinesi martiri tebei (%). Difende la tesi secondo cui i tre martiri,
onorati a Torino già dal vescovo S. Massimo, appartenevano alla famosa le-
gione decimata nel. Vallese e immortalata dalla Passio Acaunensimm martyuum
di Eucberio di Lione ('l). I1 senso popolare nel corso dei secoli incorporò alla
legione tebea vari santi, il cui culto risultava di origine oscura(52).Il dotto
canonico Gastaldi dà credito persino a reliquie problematiche dei martiri sol-
- dati sulla fede di autori del secolo decimosesto, dà peso all'etimo Vallis o
uallum occisorum da cui deriverebbe Va1 d'occo (9I.1 terreno di Valdocco
egli afferma - « si mostra evidentemente benedetto da Dio per li varii istituti
di carità e pietà che vi sono sorti. Basta dire che quivi si ammirano la Piccola
Casa della Provvidenia e l'oratorio di S. Francesco di Sales. Locché è un indi-
zio, questo essere il terreno inaffiato dal sangue dei nostri Santi » ("). Anche
("1 Per non dire che in tale alveo si colloca la produzione agiografica delle Letture
il canonico Gastaldi tende dunque a rilevare la nobiltà di un luogo per il
nesso che ha con personaggi cui si assegna importanza: le zolle consacrate dal
sangue di confessori di Cristo per ciò stesso è soprannaturalmente fertile per
le istituzioni religiose che vi si radicano.
Don Bosco più volte esprime la convinzione che l'oratorio sorga sul
preciso luogo che ricevette il sangue dei martiri tebei Avventore e Ottavio.
Lo stampò su Marauiglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria
i usi li atri ce ("iA,i suoi Salesiani narrò più d'una volta un sogno avuto nel
1844. Allora dovendo abbandonare l'ospedaletto di S. Filomena, cercava un
luogo dove trasferire l'oratorio. Sognò i prati di Valdocco. Gli apparve Maria
SS. << In questo luogo - gli disse la Vergine -, dove i gloriosi Martiri di
Torino soffrirono il loro martirio, su queste zolle che furono bagnate e santifi-
cate dal loro sangue, io voglio che Dio sia onorato in modo specialissimo >> (56).
«Intanto - confida Don Bosco - io mi vidi circondato da un numero im-
menso e sempre crescente di giovani [ . . . ] vidi poi una grandissima chiesa
precisamente nel luogo dove mi aveva fatto vedere che avvenne il martirio
dei Santi della legione tebea, con edifizi tutto all'intorno e con un bel monu-
mento in mezzo » ("1.
Don Bosco dunque sogna, materiando il sogno di fatti nei quali ha una
- fede tranquilla (9.I1 sogno attraverso quel linguaggio, gli confida una cer-
tezza: eclli è in un luog-o benedetto; da quel luogo si dilaterà la gloria di Dio.
Cattoliche: M.-A. I-higuer, Pietro Lamenti, Giovanni Bonetti, G. B. Lemoyne, Giulio
Barberis . . .
[L. GASTALDMI]e,morie storiche del martirio e del culto dci $S. martiri Solu-
tore, Avventore ed Ottavio Protettori della Città di Torino (LC), Torino 1866, edite poi
1
I1 fatto che l'oratorio prosperava e si dilatava poteva essere una conferma
sulla forza divina che fecondava quelle zolle.
Egli certamente non aveva il gusto di << miracolare » scritti agiografici e
con il nome dell'autore dal tipografo Spcirani, Torino 1880.
biografici (5Y)m, a aveva in sé e attorno a sé l'attitudine a supporre l'intervento
(5') Cf. D. VAN BERCNEMLe, martyre de la légion thébaine. Essai sur la formation
d'une légende, Bale 1956; L. DUPRAZL,es passions de S. Maurice d'Agawne. Essai sur
I'hirtoricité de la tradition, Pribourg 1961. I martiri celebrati da S. Massimo furono pro.
babilmente semplici cittadini torinesi.
soprannaturale dove era possibile constatare eventi singolari, come guarigioni
istantanee o impreviste. Aveva l'attitudine a contemplare commosso quanto gli
appariva tangibile prova di un intervento divino. Non moltiplicava a piaci-
(s)Cf. Felice ALESSIOI, martzrt tebei in Piemonte. Appunti critici, Pinerolo 1902,
estratto dalla Bibl. della Soc. storica subalpina, vol. 17. L'A. prende di mira anche mons.
Gasraldi. La leggenda popolare usa collegare volentieri i personaggi che conosce: Romolo
(5s) Bosco, Maraviglie, p. 106 s, nota; lo., Maria Awsiliatrice col racconto di alcune
fondatore di Roma è in colloquio con il re Davide, Costantino è nipote di Nerone, suocero
grazie, Torino 1875, p. 28.
di Rutari re dei Longobardi, il quale è padre di Pipino e Carlo Magno. Una leggenda ha
(56) MB 2, p. 298s, che deriva dalla Cronaca di Don Barberis, 2 febbraio 1875. La
dato per spose o sorelle dei 10.000 (o 11.000) soldati della legione tebea le 11.000 martiri
narrazione data più avanti, MB 2, p. 343, dipende da Don Bonetti, Annali 111, p. 66
compagne di S. Orsola: 6. LAMONI, Genesi, svolgimento e tramonto delle leggende, p. 208.
(AS 110 Bonetti 4). Ma non si tratta di un doppione?
(53) Insomma, un'etimologia come quella fantasiosa o semiseria di ca. da. ver., cioè
(57) MB 2, p. 299.
caro data vermibus. Le etimologie suggerite da studiosi di toponomastica come Pietro
(59) Qualcosa di simile si ha nella devozione del curato aila a martire » Filomena.
Massia e Dante Olivieri sono: Wald (donde Vald) o Vallis. Sul secondo membro esistono
Questo culro esplose nelSOttocento sulla base di fragili indizi archeologici e di visioni di
maggiori incertezze. Secondo il Massia Valledoc sarebbe una cormzione di Valle d'Otto.
una suora in fama di santità. 11 culto è stato soppresso dal Calendario liturgico nel 1961.
Don Giovanni Battista. Barino suggeriva un altro erimo. La desinenza oc potrebbe
Cf. Dante BALBONI, F. in Biblioteca Sanctorum 5, Roma 1964, cl. 796-800.
essere il derivato del sostantivo acgua (Valle d'acqua) o soltanto un diminutivo, per verità
molto raro (Valletta).Cf. Dante OLIVIEKDI,izionario di toponomastica piemontese, Brescia
1965 alla voce Valdocco. Quanto a ca. da. uer. cf. BEYERLINCK, Magnum theatnrm uitae
humanae, ed. c., t. 2, p. 1, che presenta i'etimo senza discuterlo; Vossros, Ethimologicon
l
Dare al sogno di Don Bosco il valore di prova storica in favore della qualità d i tebei
e dei preciso luogo del martirio è (o rischia di essere) come il dar valore alla Genisalemme
ricostmita in base aUe visioni di Maria d'Agreda o Caterina Emmerich. Dalle visioni del-
i'una e dell'altra risultano topografie contrastanti tra loro e con la realtà, magnifiche per
linguae latinae, ed. c., p. 86, che scrive: « Suaviter nugantur, qui cadaver conflanim aiunr
gli studiosi di folklore, ma disastrose per gli archeologi.
ex tribus vocibus, caro data vermibus ».
(9)[GASTALDMI]e,morie storiche, p. 42 s, nota.
(59) L'espressione è di A. CAVIGLIA a proposito della vita di Domenica Savio scritta
da DB: 6.Opere e scritti editi e inediti di Don Bosco, 4 , Torino 1943, p. 389.
l
495

26.2 Page 252

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
mento le narrazioni di miracoli, ma ci si dimostra profondamente rispettoso per
quanto trovava esposto da testimoni a suo giudizio degni di fede.
Andie quest'attitudine è da tenere in conto alla radice della sua tenacia
nelle opere; anch'essa è una componente importante della sua religiosità. Essa
per nulla è in contrasto con la ben nota cautela di Don Bosco, con l'abilità
pratica, il senso critico e l'occhio scrutatore ch'egli dimostra, allorché tratta
di cose che impegnano il suo genio di educatore, di organizzatore e di realiz-
zatore.
Talvolta però non ci si trova davanti all'ingenuo o inconsapevole pro-
cesso creativo di leggende: talvolta entra in moto la cura cosciente di nresen-
tare i fatti in modo che suscitino la meraviglia e la simpatia, la commAo---z--i-o- ne
e la cooperazione.
Non è Don Bosco stesso che sostituisce cifre iperholiche a quelle reali,
allorché presenta i giovanetti che sono sotto le sue cure o il numero cre-
scente dei salesiani? ("1 .. .Don Bosco - stando a tradizioni orali non ancora
spente - ne dava la ragione: - Se io dicessi che ricovero 500 ragazzi, cre-
deranno che ne ricovero soltanto 400; se dico 400, crederanno soltanto 300
o 250 ("). Egli giustifica l'iperbole propagandistica quasi con l'animo del pri-
vato che trova esorbitanti le tasse e dichiara una cifra ridotta al pubblico fun-
zionario, perché prevede che in tal modo avrà accollate imposte secondo la
reale consistenza delle sue finanze. Don Bosco sembra pensare che i suoi be-
nefattori privati e gli enti di beneficenza faranno nei suoi riguardi una
restrizione mentale analoga e contribuiranno alla sussistenza dei giovani se-
condo le reali necessità. Non è Don Bosco che incoraggia Don Barheris a usare
l'iperbole, quando questi scrive aiia contessa Callori, indefettihile sostenitrice
delle opere salesiane? - Scriva pure alla contessa che i Salesiani faticano negli
oratori festivi fino allo stremo. Usi l'iperbole dunque. Don Bosco ne dà la ra-
gione: Non si studia l'iperbole a scuola tra le figure retoriche? La si insegna;
dunque non è illecito usarla t6').
Nell'amplificazione relativa a istituzioni e a numero di giovani Don Bosco
tende a portare l'attenzione sulla realtà oggettiva, cioè sul fatto di un'opera
caritativa nata, ancora viva, anzi in progresso e che conviene o è urgente so-
stenere; nella presentazione di fatti straordinari, come guarigioni repentine
o insperate, Don Bosco mostra il medesimo moto psicologico, tende cioè a
condurre l'attenzione sulla oggettività e singolarità di fatti denotanti perciò
-- i. *. )Cf.
il
nostr.o~
v~01. - 1..,
n.
16s.
?
Espressioni
(9Cronaca per
segnalateci
il 3 aprile
da anziani salesiani di
- ~
1877, AS 110 Barheris 1,
T1-1o-,r-inp."..n,.62
S.
Testualmente:
«D.
Bosco mi lasaò che scrivessi alla signora contessa Callori dandole un rendiconto di quanto
si era fatto nell'oratorio estero (sic) durante la quaresima e gli esercizi spirituali che loro
si diedero. Tra le aitre cose mi disse che usassi pure la figura rettorica che si chiama iperhole
nel narrarle d d e cose nostre affinché compaia tutto l'affaticarsi che si fa per questi giovani.
Se è una figura rettorica, vuoi dire che non è condannato il farne uso, anzi, si insegna gene.
raimente nelle scuole ».
un intervento speciale di Dio. I1 constatare l'opera di Dio e il proclamarlo è
fatto in termini tali, da promuovere il divampare della fede e suscitare la ca-
rità secondo una gamma di linee vettori che non è facile riassumere.
Nella cerchia di Valdocco il più ardito amplificatore di fatti è forse Don
Carlo Viglietti, il giovane entusiasta chierico che accompagnò Don Bosco in
Francia e in Spagna nell'85 e nell'86. Sotto la penna di Don Viglietti le folle
che si accalcavano attorno a Don Bosco erano sterminate (63). La chiesetta di
Belén (che a stento può contenere 4000 persone in piedi e pigiatissime) quando
celebrava messa Don Bosco ospitò quindicimila fedeli e secondo un altro calcolo,
ventimila (M). I1 10 aprile dell'86 venne incontro a Don Bosco il fattore di un
ricchissimo signore, Gioacchino Jevert, marchese di Gélida. Questi, secondo la
relazione di Don Viglietti, possedeva settanta navi,. Secondo la figlia, interpel-
lata espressamente in tempi più vicini a noi, il marchese era ricco, ma possedeva
soltanto tre navi (6').
Andando alla volta di Sarrià, si fece tappa in un convento di suore.
Ne venne portata una presso Don Bosco. Ella non poteva muoversi: « Al porsi
della medaglia di Maria Ausiliatrice sulle gambe, guarì improvvisamente.
Ci fece vedere da noi a correre, a saltare con grande meraviglia di tutta la
comunità che da lungo tempo la vedeva inferma
Effettivamente la
(63) Cronaca per il giorno 5 maggio 1886, a Barcellona: « D . Bosco diede la bene-
dizione all'immensa moltitudine di ben 15 mila persone. Poi uscendo non si potea in alcun
modo arrivare alle vetture che ci aspettavano. Le vie attigue tutte eran zeppe d i gente!
zeppe, zeppe. Si grida, si urla, si piange. La gente sta alla notte fuori di casa aspettando
l'arrivo di D. Bosco, va in chiesa e prega, prega, dicono il rosario.. . ». , , ~,
Qui riferiamo appena alcuni fatti, a titolo di esempio, per il riflesso che sembfa
ebbero nel loro complesso sull'atteggiamento di DD. Nel terzo volume presenteremo (m
nuanio fenomeno di in0usso e risonanza) la formazione, il rigoglio e il superamento di
elementi leggendari sorti attorno alla personalità di DB.
(M) Cronaca per il giorno 30 aprile 1886.
("5) Interuellata da Don Salvador Rosés in data che non conosciamo. L'AS 110
~iglieitic' onseiva una copia dattiioscritta e rilegata della Cronaca con postille a penna
di Don Rosés. Esse furono utilizzate da Don Ceria per le MB. Oggi Don Ramdn Alberdi
ha ripreso il controllo attento della Cronaca di Don Viglietti per i fatti svoltisi in Spagna.
(66) Cronaca per il 20.21 aprile 1886. - Un ultimo rilievo suila Cronaca di Don
Vigliciti. Per il 13 novembre 1884 notò: «Don Bosco disse a mons. Cagliero. Tu assisterai
alla chiusa del Concilio Vaticano n. Il Caglicro mori nel 1926, senza che sul Concilio
fosse sceso nessun documento pontiticio né di ripresa, né d i chiusura. Se ne volle trarre
motivo per accusare DB di false profezie e mandare a monte il processo di beatificazione.
Don Filippo Rinaldi dovette mandnre una lettera chiarificatrice al card. Prefetto della
Congregazione dei Riti con termini molto forti contro Don Viglietti: «Sono più di
quarant'anni, che frequentando e vivendo io con i più anziani seppi che, quando fu nomi-
nato Vescovo Mons. Cagliero, il Venerabile disse che Monsignore sarebbe visrrtto molti
anni, e da noi si riteneva che avrebbe passato gli 85 e superò difatti gli 88, e che avrebbe
assistito ed idn gande avvenimento in Vaticano. 'Don Bosco non specificò quale sarebbe
setto il grande avvenimento; ma fu Don Viglietti, allora chierico, che interpretando di sua
testa, e con molta leggerezza, le parole di Don Bosco, disse e scrisse che Don Bosco aveva
detto a Mons. Cagliero, che avrebbe assistito olia chiusa del Concilio Vaticano. Ma è pur
vero che da più di quarant'anni io e molti altri abbiamo giudicato prettamente arbitraria

26.3 Page 253

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DonsBuoosrcao nseullla mstoormia ednetlloa resliigisoesnitàcagtutoalirciat.aVoel IcI.aSmtemllainò da sola con meraviglia deile
consorelle; ma poco tempo dopo ricadde nel medesimo male ed era ancora
inchiodata al letto quando molti decenni dopo venne visitata espressamente
del salesiano Don Salvador Rosés.
5. Don Bosco e i fatti straordinari
Ma nonostante l'alone di leggenda - quell'alone che non manca attorno
a eventi e personaggi che commuovono il popolo - ci si trova troppe volte
davanti ad avvenimenti che hanno un nucleo che invita a riflettere. Ci si trova
davanti a fatti che non possono essere vanificati e che ben a ragione potevano
indurre Don Bosco stesso a meditare ora con inquietudine ora con un senso
di rispetto quanto accadeva in lui o attorno a lui, fin dal noto sogno dei nove
anni.
Forse Don Bosco era più tranquillo davanti a fatti singolari sul tipo di
guarigioni prodigiose. In queste egli doveva sentirsi come in secondo piano,
come chi aveva soltanto incitato ad avere una fede viva e aveva indotto alla
preghiera fervente (67).
Diverso invece appare il suo comportamento davanti ai sogni, che sotto
forma ailegotica gli fanno percepire fatti occulti o avvenimenti futuri ora in
termini generici ora in termini precisi, ora con il sentimento di cogliere il
significato dei simboli con sicurezza ora invece con una certa sospensione d'a-
nimo sulle proprie capacità percettive. Don Bosco allora rimane a constatare
come vanno i fatti: anch'egli si pone tra quanti attendono l'accertamento di
quel che gli è sembrata una profezia, ma che per prudenza ha presentato solo
come una parabola ("S.
A chi gli chiede come fa a sapere cose nascoste, Don Bosco usa dare una
risposta giocosa. Confida che adopera una formula magica, l'otir botis pia
tutir: le tue botte préndile tutte (69).I n pratica egli elude la domanda. Implici-
tamente invita i curiosi a fermarsi sulla soglia del mistero. Dà loro soltanto
in termini di celia un motto che gli era abituale e che fuor di metafora era il
nulla ti turbi ("): cioè, pazienza e dolcezza con tutti, specialmente con i gio-
vani, fortezza d'animo quando, dovendo chiedere la beneficenza, si va incontro
a umiliazioni; nulla di tuvbi: cioè tranquillità e fortezza nelle difficoltà della
e falsa !'interpretazione di Don Viglietti, come anche in sepuito io ho sempre dichiarato
a chi me ne parlava. I1 medesimo Card. Cagliero, interrogato da me e da altri in proposito,
ripeté ogni volta che Don Bosco non gli fece mai tal profezia n (da Torino, 29 settembre
1926; MB 18, p. 400 s).
( 0 )Difatti ne fa propaganda sui noti fascicoli delle LC.
("1 Cf. più avanti, appendice sui sogni.
i
(69) Cf. avanti, appendice sui sogni, nota 108.
('C) Che è il primo ricordo confidenziale ai direttori salesiani; cf. sopra, cp. 14,
noia 37 e testo corrispondente.
vita, giacché ciò facendo ci si santifica e si compie la volontà di Dio. Ma chi
ascoltava l'otis botis poteva avere la sensazione che si trovava davanti al so-
prannaturale.
Anche Don Bosco confessò d'aver fatta la stessa domanda indiscreta a
Domenico Savio. - Come poté sapere Domenico che in una casa del tutto
ignota esisteva un infermo bisognoso di assistenza spirituale? « Egli - scrive
Don Bosco - mi guardò con aria di dolore, di poi si mise a piangere. Io non
gli ho più fatto ulteriore domanda » (71).
Nell'intimo della famiglia di Valdocco o nella cerchia degli amici fedeli
di Roma, di Firenze, di Torino Don Bosco appare meno a disagio o addirittura
desideroso di narrare le « cose antiche dell'Oratorio >>, nonostante << alcune volte
sono cose che riguardano anche Don Bosco ». «Non con vanagloria, no; gra-
zie a Dio - asserì Don Bosco - questa non c'entra, ma proprio per cantare
le magnificenze e la potenza di Dio. Far vedere che quando Dio vuole una cosa
si serve de' mezzi qualunque, fa superare qualunque ostacolo »(n).
Ci sono momenti in cui egli si commuove per coincidenze nelle quali poco
o nulla entra la sua persona. A Pinerolo nella quiete del giardino vescovile
fu visto piangere. Aveva aperta una lettera: gli si urgeva la restituzione di
trentamila lire. Ne aveva aperta un'altra: una signora belga offriva la medesima
somma. I1 meccanismo religioso di Don Bosco si muove rapido; commosso
bisbiglia: « La Madonna ci vuol bene »
Talvolta l'assale un senso di sgomento: quasi come Mosé vicino al roveto
ardente trepida nel sentirsi vicino al soprannaturale. Al salesiano Don Stefano
Trione, giovane sacerdote, disse una volta scherzosamente: « Ti voglio otte-
nere da Dio il dono dei miracoli D. « Niente di meglio - rihatté Don Trione -
così potrò più facilmente convertire i peccatori! ». Don Bosco si fece serio e
concluse: « S e tu avessi questo dono, ben presto, piangendo, pregheresti Iddio
perché te lo togliesse » (").
Quando pensa che a motivo del taumaturgico che lo circonda possano far-
glisi meriti, allora pone in guardia:
Io raccomando caldamente - scrive nel Testamento spirituale - a tutti i miei
figli di vegliare sia nel parlare sia nello scrivere di non mai né raccontare né asserire,
che Don Bosco abbia ottenuto grazie da Dio od abbia in qualsiasi maniera operato
miracoli. Egli commetterebbe un dannoso errore. Sebbene la bontà di Dio sia stata in
misura generosa verso di me, tuttavia io non ho mai preteso di conoscere od operare
cose soprannaturali. Io non ho fatto altro che pregare e far dimandare delle grazie
(71) Bosco, Vita del giouanetto Savio Domenico, Torino 1859, p. 97.
(n) Cronaca di Don Barberis, AS 110 Barberis 1, 10, p. 1.
(73) Così almeno riferisce l'incriminato teste Don Viglierri; ma in questo caso la sua
testimonianza concorda con ciò c h e altri testimoni riferiscono per circostanze analoghe:
cf. LEMOYNVEit,a di San Giovanni Bosco, 2, p. 405. Sull'episodio si 5 soffematoanche
uno studioso attento come Don G. B. BOPJNOD,on BOSCO. Sei scritti, p. 94 S.
(14) LEMOYNVEi,ta di San Giovanni Bosco, 2, p. 443. Testimonianza che ci pare da
accettare nella sostanza, anche se nella forma Don Trione, oratore popolare, tende a una
certa drammatizzazione retoricista.

26.4 Page 254

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
al Signore da anime buone. Ho poi sempre esperimentato efficaci le preghiere e le co.
munioni dei nostri giovani. Dio pietoso e la sua Madre SS. ci vennero in aiuto nei
nostri bisogni.. . (75).
Don Bosco insomma, dando disposizioni ai suoi figli per i tempi in cui
dovranno agire senza la sua assistenza, sembra voglia far prevalere il senso di
cautela. E comunque un fatto: lo straordinario ha impregnato la religiosità di
Don Bosco e del suo ambiente ed è stato stimolo a un tipo di ascetica e di
azione apostolica. I fatti straordinari nel loro complesso sono come un nucleo
circondato da un meraviglioso alone d i leggenda. La loro analisi più di una volta
conduce l'indagatore sulla soglia dell'insondabile.
(75) Riportato in MB 17, p. 261. Sui sogni DB scrive a mons. Cagliero, da Torino
il 10 febbraio 1885: «Mi raccomando ancora che non si dia gran retta ai sogni etc. Se
questi aiutano all'inteliigenza di cose morali, oppure deile nostre regole, va bene; si riten-
gano. Altrimenti non se ne faccia alcun pregio n (Epirtolario 2532). Ma c'è chi ricorda che
questo non è l'unico valore attribuibile ai sogni. Don Giacomo Costamagna lo fa presente,
a nome di tutti in una lettera a Don Lemope: «Dica pure a Don Bosco che non ubbi-
diremo a
tutto cib
quelle sue
che dicono
parole
i miei
ssocgrintite-.nelCl'ihilétimnaoi
lettera a
contenti
Monsignore: - Non credere a
di far la professione di fede di
- Urbano VIII, ce ne stiamo alle visioni del nostro Padre, il quale, non dimenticherb giam-
mai, ebbe a dirmi un giorno: Fra tutte le Congregazioni ed Ordini religiosi, forse la
nostra fu quella che ebbe più parola di Dio - s: cf. MB 17, p. 305.
500
CONCLUSIONE
Bilancio di una mentalità religiosa e di una spiritualità
I1 mondo invisibile e quello visibile interessano ugualmente e assorbono
Don Bosco, cosi come avveniva ad altri suoi contemporanei illustri e oscuri.
Dio, la Vergine, i Santi affollano la sua vita, così come quella di Newman,
come quella del curato d'Ars, di Pio I X o di Bernadette Soubirous (l). È logico
per Don Bosco che Dio si renda presente nelle vicende umane. È naturale
ed è necessario che egli, avendo una missione straordinaria in favore della
gioventù in tempi straordinariamente difficili, sia dal Signore assistito in maniera
specialissima.
Per Don Bosco sono realtà constatabili nei loro effetti il peccato e l'insor-
gere delle potenze infernali contro gli uomini. È un fatto che la Chiesa venga
perseguitata, secondo gli avvertimenti di Cristo. Egli nondimeno. vive nella
fede inconcussa che la Chiesa è l'unica arca di salvezza proposta da Dio agli
uomini, è la famiglia dei figli di Dio, governata da Cristo capo invisibile e
dal vicario di Cristo, capo visibile, padre cui si deve devota obbedienza.
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o
è
temoo
di
lotta.
ma
il
trionfo
è
nell'animo
di
Don
Bosco
come in quello di ~ r e g o r i oXVI di Pio IX, dell'Ozanam o dei fondatori
della Gioventù Cattolica Italiana. Il bene farà certamente il suo cammino,
il bene progredirà, il bene promana unicamente da Dio, perciò il « vero » bene
esiste solo nella vera religione, perciò soltanto nella vera religione & possibile
trovate la vera felicità. Fuori della religione non c'è salvezza, non c'è vera
moralità, non può esserci vera e compiuta educazione.
La persuasione di Pasca1 e di Newman, che il male diventi sempre di più
grandi proporzioni, così come il bene, è persuasione di molti. Don BOSCO
è comunque persuaso che mai la Chiesa ebbe tempi tanto difficili cosi come nel-
l'ottocento. Eppure nonostante l'avvenire per la Chiesa si prospetti osciiro, il
bene trionferà, la Chiesa, anche nel suo viaggio terreno, vedrà un'aurora radiosa,
avrà tempi di pace e di gloria.
(l) Sono parole e immagini di Henri Bremond nella premessa a NEWMAN, Médita-
cions et prierer . . ., Paris 1906, p. VI.

26.5 Page 255

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Don BoscoGnieàllansetlolr'Oiardteolclaernetloig,iospier cDattoonlicaB. oVsocloII,. - Stellacome per il gesuita Giovanni Per-
rone o per la Jaricot e per i promotori della Propagazione della fede presso
gli infedeli - segno di progresso era l'espansione missionaria; segno di suc-
cesso erano awenimenti che apparivano come un rovinoso crollo di rivolu-
zioni. Don Bosco è tra i moltissimi che nelle apparizioni di La Salette, di Lourdes
e di Spoleto o nelle profezie della monaca di Taggia trova argomento di cer-
t a per la propria fede e risolutezza per il proprio agire: il Signore è vi-
cino, i cattivi saranno confusi, i buoni vedranno coronata la loro costanza,
per il Papa risplenderà l'iride di pace, per la Congregazione salesiana risplen-
derà un'aurora gloriosa.
Come Grignion de Montfort e come Dnfriche-Desgenettes, come Pio i::
e come n~oltissimifigli del popolo Don Bosco è persuaso che si vive in tempi
nei quali l'aiuto divino alla Chiesa è affidato alle industrie di Maria Vergine;
è l'ora perciò in cui Maria deve essere onorata e invocata: è l'ora di Maria
Ausiliatrice, « siate devoti di Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i mi-
raeczzoli ».
Le vicende del genere umano che interessano Don Bosco non sono tanto
quelle politiche o le scoperte scientifiche. La sua attenzione va agli avveni-
menti umani in quanto interessano la religione, bada agli eventi che ne condi-
zionano o ne producono il progresso nelle anime e nei popoli. La storiografia
che per Don Bosco ha un significato è quella che mostra l'attuarsi di un di-
segno di Dio, il trionfo del bene e la confusione del male.
I nuovi dogmi dell'lmmacolata e dell'Infallihilità pontificia hanno una
forza evocatrice potente e complessa. Sono proclamazione di verità fatta
con speciale assistenza divina, sono simbolo di quanto è creduto e sperato:
l'immacolata sempre schiaccerà il capo alle potenze infernali, siano esse operanti
in scismi, siano operanti in eresie, nel peccato personale o nelle rivoluzioni.
Pietro è lo scoglio contro cui s'infrangono i Autti del male; aderire a Pietro,
come il polipo allo scoglio, è garantirsi la salvezza per il tempo e per l'eternità.
Altri simboli occupano il mondo religioso di Don Bosco: S. Francesco
di Sales, S. Alionso de Liguori, S. Filippo Neri, S. Luigi Gonzaga, S. Vin-
cenzo de' Paoli.
Come per mons. de Ségur e come per i fautori dell'Associazione di S.
Francesco di Sales per la difesa della fede, come per la Barolo e come per
istitutori di associazioni caritative connesse o no alla Società di S. Vincenzo
de' Paoli, anche per Don Bosco S. Francesco di Sales ha il valore di una
bandiera e di una speranza. I1 S. Francesco di Sales che i cattolici militanti
dell'ottocento si rappresentano non è tanto quello del Teotimo, ma quello
della Filotea, che propone la santità a tutti; ma soprattutto è l'apostolo dello
Chahlais, che ha riconquistato alla Chiesa settantamila eretici; è il Fran-
cesco di Sales infuocato di carità, acceso di zelo e di amore conquidente, rein-
carnazione del dolce Cristo in terra. I1 S. Francesco di Sales di Don Bosco è
il santo modello della dolcezza da usare con i giovani e con quanti occorre
ricondurre in seno alla Chiesa.
11 S. Alfonso che ispira Don Cafasso o il Gousset, il Frassinetti e tanti
sacerdoti dediti alla cura delle anime non è semplicemente il S. Alfonso proba-
bilista o equiprohabilista, ma è quegli che con una dottrina morale evange-
licamente sana, ma mite ha arginato l'eresia giansenista, ha protetto le anime
da una morale gelida e scoraggiante, ha salvato alla Chiesa fedeli semplici e
buoni, che altrimenti per sottrarsi ai rimproveri di pastori rigidi e intempe-
ranti, si sarebbero allontanati da lei.
Il S. Filippo Neri che ispira Don Bosco è quegli che ripete nella pro-
pria vita l'affetto di Gesù per i fanciulli: lasciate che vengano a me; è il
Filippo Neri che per le vie di Roma si assimila in tutto ai fanciulli fuorché
nel peccato, che ne comprende l'irresistibile tendenza al gioco, ne approva
la serenità interiore esplodente anche nell'allegria più chiassosa, oltre che nella
preghiera e nella purezza arcangelica. I1 Filippo Neri di Don Bosco è anche
auello del Faber, il cui cuore si dilata di calore e di affetto accanto a Gesù
Eucaristico.
Di S. Francesco di Sales e di S. Filippo Neri gli scritti di Don Bosco hanno
molto meno che non gli scritti di S. Alfonso. Ma di entrambi Don Bosco ha
l'essenziale evangelico, cioè la rappresentazione del santo mite, dalla carità
sconfinata e contagiosa. Di entrambi c'è in Don Bosco - come in molti del
suo tempo - una ipostatizzazione, una rappresentazione eterna ma calata
nelle cogenti necessità del tempo.
In tempi nei quali la disaffezione dalla Chiesa sembrava irrefrenabile,
Don Bosco, come molti suoi coevi, riattingeva nel Vangelo e nelle incarna-
zioni più felici e più vicine, le energie per rilievitare il mondo.
La vocazione di Don Bosco, quella avvertita già alle soglie dell'adole-
scenza nell'indimenticabile « sogno dei nove anni », trova la sua espressione
di germe ben formato e turgido nel catechismo a Bartolomeo Garelli 1'8
dicembre 1841. Lo zelo sacerdotale vi scopre la dimensione agognata; trova,
con l'anelito alla salvezza propria e altrui, anche il modo per attuarla: la ca-
rità che si fa amorevolezza industre e rispettosa.
Quel primo contatto stabilito con Bartolomeo Gerelli ha un valore em-
blematico già per Don Bosco stesso: è il catechismo fatto sotto il segno dei-
I'Immacolata all'umile garzone muratore venuto dall'asugiano a Tonno: al
giovane che non aveva nulla conuo la Chiesa, ma che, incompreso e allonta-
nato in malo modo, rischiava di diventare avverso alla religione e un pericolo
per la società.
Quanto avviene dopo, può essere considerato come la reduplicazione di
questo episodio, come un rinnovarsi dell'agganciamento affettivo e vitale
all'arca di salvezza di quanti, sradicati dagli ambienti tradizionali, rischiavano
di diventare un nuovo elemento nel processo di apostasia dalla fede.
L'episodio dell'8 dicembre 1811 si moltiplica e diviene oratori, col-
legi, congregazione, trasformazione progressiva di animali sbandati in gregge
docile attorno al supremo pastore, trasformazione di pecore in collaboratori
nella cura del gregge; di quel gregge che Don Bosco trova sempre più vasto

26.6 Page 256

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
attorno a sé, a Torino e nel mondo. E tutto avviene sotto la spinta della carità
benigna e paziente, nella gioia chiassosa che dissimula le fitte dolorose prova
cate dalle immancabili spine.
In tempi di disaffezione e disancoramento e anche di contrasti violenti
tutto appare urgente. Gli appelii di Don Bosco portano la tensione dei mali
imminenti: occorre salvare la società, se non si vogliono tempi peggiori di
quelli che si vivono. La salvezza della società potrà venire educando bene
le nuove generazioni. Rimandare sarà troppo tardi.
I1 da mzhi anzmas diventa esercizio di carità nelle Regole della Società
Salesiana, si solidifica in proposito di fare secondo quella virtù che è sentita
la prima delle teologali e perciò dono di Dio: la virtù che nell'ottocento
trova la sua espressione concreta nelle Scholae Chavitatir dei Cavanis, nei-
l'lnstitutum Cauitatis del Rosmini, nell'espansione prodigiosa delle Figlie
della Carità fondate da Vincenzo de' Paoli, nel Chauitar Christi urget nos
del Cottolengo, nell'attività sacrificata delle Conferenze di S. Vincenzo de'
Paoli.
L'urgenza sempre pressante spinge al lavoro senza tregua e spinge al-
l'essenziale, porta ad avvertire quali sono le reali possibilità del momento,
quali siano le nuove condizioni ambientali e psicologiche. Perciò Don Bosco
ai giovani, che ancora sono capaci di vibrare per ideali religiosi e che ricercano
la felicità, propone l'ideale della santità facile, allegra, laboriosa che nulla
esige di più che il realizzare se stessi ( o come allora era sentito, nulla esige
di più, che il compimento del proprio ordinario dovere).
Ai collaboratoti che sono stati ammaliati dalla sua personalità e che sono
disposti a dare tutta la vita a pro dei giovani, egli propone una vita reli-
giosa che non vuole essere secondo le rappresentazioni tradizionali ormai
impregnate di antipatia dall'anticlericalismo: saranno religiosi in maniche di
camicia, laboriosi, allegri; staranno con Don Bosco come in una famiglia,
si vorranno hene come fratelli, cosi come si son voluti hene da adolescenti
- molti di loro - all'oratorio.
i voti - si direbbe -, né l'abito uniforme, né le pratiche di pietà
in comune, né le case di formazione hanno quel valore evocatorio per i
collaboratori di Don Bosco, che invece hanno il vocabolario loro proprio
e le realtà corrispondenti: stare con Don Bosco, lavorare per i giovani, vivere
in spirito di famiglia. .. Niente sembra spingerli tanto, quanto la convin-
zione, comprovata da fatti, ch'essi sono il tipo del religioso nuovo predi-
sposto per la salvezza delle anime nei tempi nuovi. I semplicissimi mezzi
di santificazione adoperati dal buon cristiano del loro tempo e del loro am-
biente, come il rosario e la comunione frequente, ricevono anche I'auto-
revolezza profetica di Don Bosco e per molti Salesiani sono inizio di con-
templazione e comunicazione fervorosa con Dio.
Più che le piccole soluzioni teoriche è la vita tutta di Don Bosco che
dà un senso nuovo e singolare a espressioni e pagine che in paiono pura
manifestazione di una mentalità comune. La vita ci dà la vera misura degli
504
scritti e detti di Don Bosco; la vita giova a integrare quanto le sue pagine
non ci danno (per esempio, un discorso ben articolato sulla spiritualità del
sacerdote diocesano e religioso); la vita ci dà la testimonianza di quanto
Don Bosco faceva per inserire senza traumi i giovani nel mondo degli adulti
(anche se quasi nulla egli ci ha lasciato sul cosiddetto tema della «entrata
dei giovani nel mondo >> mediante uno specifico orientamento professionale
e la formazione di una. propria famiglia),. La vita di Don Bosco si intende,
quando anche si avverte quel linguaggio che fu ~ressionecogente dei tempi
su lui e sul suo intimo. I suoi stessi sogni nella loro costruzione allegorica
oggettivizzano il modo come egli vede l'ambiente che lo circonda e come
sente di dovere agire per venire incontro ai « bisogni dei tempi D. L'alle-
goria dei sogni profetici oggettivizza. le sue aspirazioni. La realtà che segue
- l'operato di Don Bosco e di altri - valore profetico e oggettivo
al sogno.
Assume anche dall'ambiente il suo significato l'essenzialità e l'ele.
mentarità di tutte le pagine di Don Bosco; cosi come dall'amhiente la deri-
vano le pagine spirituali di moltissimi altri dell'Ottocento, come quelle del
Claret, del Ségur, del Mullois.
L'Ottocento non ha una voce come quella di Teresa d'Avila, né come
quella di Giovanni della Croce. L'Ottocento religioso in Piemonte non può
appoggiarsi ad esperienze mistiche contemporanee e nemmeno riesce a radi-
carsi in una teologia dogmatica rinnovata, come quella di Moehler, di
Scheehen o di Newman. I1 retroterra teologico e spirituale dell'Ottocento
subalpino è ancora la letteratura dei secoli anteriori. La spiritualità si pro-
tende ancora nel passato per alimentarsi nel Granata, nel Rodriguez, in Lu-
dovico da Ponte, in Bossuet, in Francesco di Sales, in S. Alfonso, nella
Bibbia tradotta e commentata dal Mattini, nel Catechismo di mons. Casati
e in quanto di più recente viene importato dalla vicina Francia. La produ-
zione spirituale piemontese nell'Ottocento è abbastanza povera, se la si
considera a sé e prescindendo dai tempi.
Ma i tempi sono nuovi e hanno una loro originalità. L'Ottocento è il
secolo che oltre al peccato contro i costumi deplora i peccati contro la fede;
è il secolo che guarda sgomento alla violazione del riposo festivo come segno
di allontanamento dalla Chiesa, mentre in mano agli operai contempla perio-
dici e libri anticlericali, antireligiosi, blasfemi; mentre i ceti umili sradi-
candosi dalle loro zone tradizionali rischiano di sradicarsi anche dalla Chiesa.
La tensione dell'Ottocento è dunque nuova; volta alla conservazione, alla
conquista, alla preservazione delle masse in via di elevazione culturale e
sociale.
Così è anche in Don Bosco. In lui la tematica religiosa, alimentandosi
dovunque trova qualcosa che possa essere rinnovato e reso alla portata del
popolo e del fanciullo, è consapevolmente divulgativa, rivolta alle classi
umili per produrre l'essenziale adesione a Dio, nella Chiesa unica arca di
salvezza. L'apologetica di Don Bosco - come quella di molti coevi - non

26.7 Page 257

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
è più tanto quella della ragione o queUa del cuore, non si limita solo alla
controversia antiprotestantica a livello catechistico; essa diventa inten-
zionalmente i'apologetica del lavoro educativo e delle opere assistenziali, di
cui molti, credenti e non credenti, sono portati a riconoscere l'utilità.
Il valore di questo sforzo si comprende meglio seguendo lo sviluppo
dei fatti. Questi indicano, come fenomeno caratteristico dell'ottocento e
di inizio Novecento, l'irradiarsi della spiritualità italianizzante nel mondo
cattolico. Vari elementi vi intervengono. Molti di questi entrano anche nel
successo di Don Bosco. La sua mentalità e la sua spiritualità, per le risonanze
che ebbero e per l'influsso che esercitarono, meritano di essere considerate
tra le più caratteristiche, più popolari e più feconde espressioni dell'Otto-
cento italiano e trovano nel passato forse il parallelo più prossimo nella
capacità di assimilazione, nella sintonia tempestiva con i tempi e con la
capacità realizzatrice di Vincenzo de' Paoli.
APPENDICE
NOTE PER UNO STUDIO SUI SOGNI DI DON BOSCO
1. Classificazione e problematica dei sogni
I sogni, come abbiamo più volte notato, fondarono convinzioni e so.
stennero imprese. Senza di essi non si spiegherebbero alcuni lineamenti carat-
teristici della religiosità di Don Bosco e dei Salesiani. Per questo essi me-
ritano di essere studiati attentamente non soltanto per il loro contenuto
pedagogico e motalistico, ma già per quello che furono in sé e per il modo
come furono intesi da Don Bosco, dai suoi giovani, dai suoi ammiratori ed
eredi spirituali (l).
Se si bada ai tempi e al contenuto dei sogni è possibile farne una clas-
sificazione secondo gruppi distinti. Ci sono sogni che toccano Don Bosm
stesso, la sua vita e la sua missione. Questa serie comincia da quello dei
nove anni. Sono sogni che si ripetono oppure contengono sviluppi dello
stesso messaggio Generalmente sono a conferma l'uno dell'altro e inter-
vengono in momenti di speranze o di contrasti. Gruppi di questa serie pos-
sono considerarsi i sogni relativi ai giovani e alla Società Salesiana. Sotto-
gruppi sono i sogni che annunziano morti o che riguardano la moralità
individuale e collettiva, gli sviluppi della Società Salesiana in terra civile
o di missione.
Una seconda serie riguarda avvenimenti politico-religiosi locali o ge-
nerali. Il primo sogno di questo genere a noi noto è il preannunzio dei
« grandi funerali in Corte », fatto sul finire del 1854.
Se si bada alle immagini che dominano la trama, potrebbero distinguersi
i sogni intessuti su motivi della vita rurale da quelli che si rifanno alla vita
domestica e cittadina. Di tipo rurale sono molti sogni anteriori al '70. Essi
presentano vigneti, colline, prati, pastoreile, animali. L'altra classe ha come
scenario preferito l'Oratorio e i suoi ambienti. Protagonista o principale at-
tore è sempre Don Bosco. Con lui si avvicendano personaggi reali o alle-
gorici.
(1) Cf. Indice MB, p. 426-429: alla voce Sogni

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Se si bada alla documentazione giunta Gno a noi, è possibile distin-
guere due serie. C'è la grande serie di redazioni scritte da quanti ascoltarono
disiaco una moltitudine di persone. Tutti ascoltavano una musica delizia
Don Bosco riconobbe tra gli altri alcuni salesiani: Don Alasonatti, Don
Don Bosco e c'è il piccolo gruppo di autografi o apografi controllati da
Don Bosco stesso. Da queste due sorgenti si dipartono una gran quantità di
Cesare
Chiala
e
Don
G
i
u
s*
e
>
~
~Geiulitto.
Con
loro
vide
Domenico
Savio.
Finita
la
musica molti si volsero verso Don Bosco. Fra tutti spiccava il giovane Savio
rivoli: trascrizioni, adattamenti, riepiloghi inediti o editi che alimentarono
la curiosità e la devozione di molti, soprattutto neli'alveo dei Salesiani. Molti
di questi rivoli ristagnarono quando le sorgenti principali Gnirono per erogare
le loro ricchezze al grande fiume delle Memorie biogvaRhe (2).
per lo splendore del volto e delle vesti. Don Bosco gli rivolse parecchie do-
mande e Domenico diede spiegazioni sulla felicità che godono i santi in
cielo, indicò il giardino riservato in quel luogo di delizie ai Salesiani e ai
loro giovani, consegnò a Don Bosco un mazzetto di fiori simboleggianti varie
Sarebbero possibili altre classificazioni. Se, ad esempio, si tiene conto
degli avvenimenti che i sogni tendono a manifestare, si potrebbero di-
stinguere sogni clie vogliono rivelare fatti occulti passati o presenti e altri
virtù e svelò alcune cose occulte future e presenti. Quanto al futuro rivelò
che nel 1877 sarebbero morti « sei più due » tra coloro ch'erano più cari a
Don Bosco, la Congregazione salesiana avrebbe avuto un'aurora di gloria
che preannunziano eventi futuri. Tenuto conto delle condizioni psicbiche
di Don Bosco sarebbe possibile distinguere sogni elaborati in stato di quiete
o di euforia, di depressione, di ansia o di ricerca.
Ci si persuade già facilmente come alla base di qualsiasi possibile in-
il cui splendore si sarebbe visto nelle quattro parti del mondo, Pio IX avreb-
be avuto ancora poche battaglie da combattere. Quanto al presente Dome-
nico on'rì a Don Bosco tre liste sulle quali erano segnati distintamente i gio-
vani a lui affidati come figli spirituali dalla Provvidenza. La prima lista
dagine sui sogni di Don Bosco sottostà come lavoro preliminare l'analisi
dei documenti. Si può infatti già prevedere che non sempre la narrazione
tramandataci corrisponde a quella fissata da Don Bosco, ad esempio, in
promemoria e poi sviluppata oralmente e infine ritoccata in ordine a una
pubblicazione per iscritto. Lo studioso già comprende come è pericoloso
avventurarsi a valutazioni fondate su documenti di cui manca una precisa
situazione.
Perché meglio risulti il valore di queste nostre asserzioni, vogliamo
presentare l'analisi storico-documentaria di un campionario di sogni inten-
zionalmente selezionati, atti a porre in luce elementi complementari, utili
a un'analisi complessiva dei sogni.
recava l'elenco degli in,vnlnereti. Don Bosco vi riconobbe molti giovani
dell'oratorio. La seconda conteneva l'elenco dei vulnevati, cioè dei feriti
dal peccato, ma guariti mediante il pentimento e l'assoluzione. Consegnando
la terza lista Domenico avvertì che vi si trovavano i lussati in via iniqui-
tatis. Don Bosco l'aprì. Non vide alcun nome, ma come al bagliore di un
lampo, vide coloro cb'erano scritti sul foglio. Riconobbe la maggior parte:
erano alunni deU'Oratorio e di altri collegi salesiani. Un gran fetore si sparse
per la stanza. Don Bosco si senti attanagliato da un forte mal di testa, vide
il guizzo di un lampo, sentì il rimbombo di un tuono, si svegliò di soprassalto
con la sensazione del fetore, in preda a brividi e a conati di vomito. "
Preso in sé il racconto presenta una certa architettura. Vita celeste e
Ì
vita terrena vi si amalgamano. Ai beati fanno riscontro i giovani dell'orato-
2. I1 sogno di Lanzo (6 dicembre 1876)
~j
l
rio che ascoltano il sermoncino serale. Mediatori tra i due gruppi sono per-
sone ben note: Don Alasonatti, primo prefetto dell'otatorio (morto il 7 ot-
tobre del '65), Don Chiala e Don Giulitto, motti entrambi pochi mesi prima
1"Trama del sogno.
del sermoncino serale (28 giugno e 18 luglio del '76). Don Bosco e Domenico
I
Tra i sogni che si riferiscono ai giovani deU'Oratorio attira l'attenzione
Savio sono i due attori principali. Il loro dialogo volge su argomenti reli-
quello narrato a Valdocco il 22 dicembre 1876. La tradizione lo chiamò
il sogno del giardmo salesiano o anche il sogno di Lanzo, perché Don Bo-
I
I
giosi e morali. L1 tema etico introdotto in astratto nel simbolico mazzolino di
fiori, viene tradotto in termini concreti nella rivelazione h a l e sullo stato di
sco asserì di averlo avuto colà nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 1876 e
perché - come presto diremo - egli fissò l'attenzione su un particolare
grazia o di peccato di giovani che Don Bosco conosceva. Gli ascoltatori ven-
gono portati dalla deliziosa contemplazione del paradiso alla riflessione sui
- del racconto.
Non sapeva bene
narrò Don Bosco - se leggeva o girava per la
mezzi per conseguirla e infine alla costernazione generata dalla coscie a del
peccato che infestava l'Oratorio.
stanza o se era a letto. D'un tratto gli parve di vedere in un giardino para-
(2) Gli scritti autografi o postiiiati da DB sono neli'AS 132 Sogni. Molti sogni sono
riportati neiie cronachette: AS 110 Barberis, Berto, Bonetti, Rubo, ecc. Documentazione
specifica sui sogni, zibaldoni, brevi promemoria sono ali'AS 111. Bisognerà non dimenticare
quelli che DB descrisse nelle M 0 (AS 132 Oratorio) e quelli descritti al processo per la
beatificazione di DB (AS 160).
2" Tradizione del sogno dall'autograjo di Don Bosco alle Memorie biograjicbe.
Tra tutte le redazioni che conosciamo quella di Don Bosco offre le garan-
zie di essere la più antica. Essa infatti tra tutte si distingue per elementi che
inducono a ritenerla un promemoria previo alla esposizione orale. Le nidzee vi

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
sono appena fissate, le parole non appaiono studiate, i termini talora sono ri-
petuti a breve distanza, non vi sono molte correzioni (3). Confrontata con i pro-
memoria che Don Bosco si faceva per le udienze pontificie, la redazione del
sogno di Lanzo manifesta le medesime caratteristiche. Presenta anche la stessa
sicurezza di tratti che si scorge in lettere a persone con le quali Don Bosco
usava comportarsi familiarmente e senza impacci.
L'autografo è senza data. Nondimeno, come abbiamo detto, dà l'idea d i
uno schema anteriore alla narrazione orale. Questa impressione è fondata sulle
coincidenze sostanziali che presentano tra loro le redazioni allografe che esami-
neremo (dipendenti dalla narrazione orale) e le divergenze di ordinamento e di
termini rispetto all'autografo di Don Bosco. Dopo un'esposizione orale la reda-
zione di Don Bosco poteva presentare i medesimi caratteri di sicurezza di u n
promemoria personale, ma a noi sembrerebbe un'incongnienza che altri ah-
hiano potuto ricordare meglio di Don Bosco o che questi abbia potuto avere
motivi speciali per manipolare il testo con termini e schemi diversi.
Quanto scriveremo sarà basato sulla supposizione che l'autografo di Don
Bosco sia anteriore alle redazioni allografe. I n ogni caso, i rilievi più impor-
tanti che faremo confrontando il testo di Don Bosco con gli altri, saranno
validi anche se si considera l'autografo posteriore ai testi d'altra mano.
Dopo il testo di Don Bosco meritano una menzione speciale le relazioni
di Don Giulio Barberis e di Don Lemoyne. Don Barberis asserisce di essere
stato teste auricolare. La sua relazione è da porre tra il 23 e il 31 dicembre,
giacché parla di corrente mese. Talvolta è lacunoso. Tra parentesi scrive an-
(3) Ecco l'elenco delle redazioni che esamineremo:
A. AS 13213 Sogni, autogr. di DB, inchiostro blu, i2 p. (3 ff. doppi), 135 x 210 m.
B. AS 110(1)Barberis (1/10), p. 43-50, ms. di Don Barheris, inchiostro seppia, 145 x 202
m.. le
vireolette
al
mar-eine
di
ogni
v
rieo
con
inchiostro
nero
indicano
che
Don
Lemoyne si servì di questo documento.
C. AS 111 Lemoyne 1876, ms. di Don Lemoyne, inchiostro azzurro, 16 p. (8 E.), di cui
p. 1416 bianche, 135x215 mm.
D. AS 111 Lemoyne 1876, ms. di Don Lemoyne, inchiostro azzurro con postille in azznrro
e in nero, 8 p. (2 ff. doppi), 220x315 m.
E. AS 110 Lemoyne, Documenti, vol. 17, p. 605. Porta inserito (staccato dalla rilegama)
il fascicolo che ha per frontespizio: Riservato per le Case Salesiane. - In quanta
stima fosse tenuto Savio Domenico dal venerabile servo di Dio Giovanni Bosco
[Torino 19071, 125x195 mm., 14 p.
Con lievi ritocchi tale testo si trova anche in G. Bosco, Il seruo di Dio Domenico
Savio. Edizione con illustrazioni originali di G. Carpaneto, Torino 1908, p. 236-252.
F. AS 110 Lemoyne, Documenti, vol. 17, p. 605-614. Testo stampato su liste incollate sulle
pagine dei noti registri dal dorso nero. Cf. il nostro vol. 1, p. 260.
G. G. VESPIGNANUIn, anno ella scuola del beato Don Bosco (1876-1877), Torino 1930,
p. 32 S.
13. MB 12 (Torino 19311, p. 585-596.
I1 carattere schematico del testo A appare a su5cienza dalle prime battute dell'esordio,
dove più volte sono eliminati articoli e
perfetta calma ma formato di brillante
vcreirsbtai:llo«U[.n.a.lp. iaMnuorltaitusidminilee
al
di
mare quando
piante, erbe,
è in
fiori,
vignetti (sic),boschetti, fiori di ogni qualità cuoprivano quella superficie [.. .l. Musica istm-
mentale che pareva composta di migliaia di vari istrumenti ».
che le ragioni: « non ho capito. . . non ricordo il filo. . . ho gran premura D,
« so che altri ne hanno preso nota: D. Berto, D. Lemoyne » (+).
Della redazione Berto non abbiamo altre notizie. Di Don Lemoyne pos-
sediamo due redazioni manoscritte. Una che chiameremo breve e una lunga.
La redazione breve è autonoma dalla redazione di Don Barberis. Le varie se-
quenze del sogno si trovano in ambedue nello stesso ordine, ma differiscono
in non pochi termini, nel periodare e nella punteggiatura. La redazione lunga
dipende dalla breve, giacché ne accetta postille e correzioni. A sua volta venne
corretta o postillata dallo stesso Don Lemoyne con inchiostro blu e inchiostro
nero. Alcune di queste modifiche sono lezioni ricavate dalla redazione Barbe-
ris. Nessuna delle tre redazioni suddette, e diciamolo subito, nessuna delle re-
dazioni che,da esse dipendono fino alle Memorie biografiche, portano termini
che inducono a ritenere un influsso dell'autografo di Don Bosco. Questo, con
tutta probabiliti fu estraneo alla tradizione scritta che portò alle Memorie
biografiche. I1 che non deve stupire. Infatti molti manoscritti di Don Bosco
sono giunti all'Archivio Centrale Salesiano alla morte di qualche confratello
che ne era geloso possessore.
Tra l'abbozzo autografo di Don Bosco e l'esposizione tramandata da Don
Barberis e Don Lemoyne si notano anzitutto alcuni mutamenti di ordine. Se-
condo l'autografo la conversazione ebbe subito come oggetto le bellezze del
paradiso e, in particolare, le luci paradisiache e le parvenze corporali.
<< Questa, disse Savio, è ancor luce tutta naturale, cioè formata da sos[tlanze ma-
teriali, ed è cento milioni di volte meno risplendente del più piccolo raggio anzi di
un'ombra separata daUa materia. L'uomo finché vive su questa terra non può vedere
alcun raggio di luce divina senza morire. La ragione è questa: la creatura materiale
[materiale aggiunto in sopralineal non può reggere in confronto del Creatore i&-
nito che è purissimo spirito. L'anima soltanto, come principio spirituale, separata dal
corpo, vola a contemplare la luce inaccessibile deila Divinità e vedrà Iddio come è in
se stesso.
Queilo che vedo in te è corpo o spirito? Ciò dicendo misi la mia mano sopra
la sua. Ma ho toccato niente [ho niente corretto da la mia mano toccò niente]
e fu di me come di chi tocca un'ombra D.
Le redazioni Barberis e Lemoyne concordemente pongono le spiegazioni
sulle luci celesti, come l'autografo di Don Bosco, all'inizio della conversazione;
quelle invece sulle apparenze del corpo sono collocate, insieme al tentativo
di toccare Domenico, dopo le predizioni su avvenimenti del '77 e prima che
il giovane consegni a Don Bosco le tre liste.
A loro volta le redazioni Barberis e Lemoyne presentano qualche sem-
plificazione rispetto al testo di Don Bosco. Tra i fiori simbolici presentati a
(4) Alla p, 47: «N.B. Non ricordo il filo - ho gran premura - vi sono varii (D.
Lemoyne, D. Berto, ecc.) che lo scrissero subito e a lungo - ho dato io stesso commissione
a varii cherici che lo scrivessero - posso dunque io metter qui solo come viene viene,
alcuni punti più importanti - pel resto prenderò poi da loro D.

26.10 Page 260

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DoDnoBnosBcoonsceolla cs'teorriaandoe,llaserecliogniodsoitàlc'aautttoolicgar.aVfoo,l IIl.aStgelelanziana e l'edera. Questa simbo-
leggiava la mortificazione e quella la penitenza. Nelle redazioni Barberis e
Lemoyne le due virtù vengono affidate unicamente alla genziana. L'edera, C&$
che non era un fiore, scompare, sebbene avrebbe potuto figurare tra le spighe
di grano simboleggianti la Comunione eucaristica.
C'è qualche trascurabile variante di termini. Don Barberis parla di giglio,
simbolo della modestia; Don Lemoyne, come l'autografo di Don Bosco, scrive
castità.
Nell'epilogo si constata una differenza di un certo rilievo a proposito dei
lussati in via iniquitatis:
«Voltai il foglio 2 scrisse Don Bosco - e in un istante vidi non i nomi ma ,gli
individui, in atto il più abbominevole. Si udì una voce a &lisa di un tuono [a - tuono
aggiunto in sopralinea] che mi assordò l'udito: Execrabiles uiae eorum [viae eorum
aggiunto in sopralineal coram Deo et coram omnibus uiuentibus. In quel momento
a quel rumore mi svegliai, alzo lo sguardo, ma tutto era divenuto oscuro, né più vidi
alcuno, e fu soltanto allora che mi accorsi di essere in letto, ma talmente abbattuto,
e talmente travagliato da quel sogno, che non potei né riposare, né pensare ad altro
se non a quel sogno che giorno e notte mi travaglia tuttora la mente mia D.
Le relazioni Barberis e Lemoyne nulla dicono sugli individui « in atto il
più abbominevole », né riportano la sentenza pronunziata dalla voce ignota.
Esse hanno soltanto il tuono e i particolari sul risveglio. Forse Don Bosco
ritenne inopportuno chiudere il racconto orale lasciando fissare la fantasia dei
giovani su chissà quali immagini.
Perché appaiano più evidenti i rapporti tra le quattro redazioni già no-
minate e le successive fino alle Memorie biografiche, fissiamo l'attenzione sulle
spiegazioni date da Domenico relativamente ai fantasmi di spiriti gloriosi che
appaiono agli uomini ancora mortali. Riporteremo i testi seguenti: 1) auto-
grafo di Don Bosco; 2 ) redazione Barberis; 3) Lemoyne redazione breve; 4)
Lemoyne redazione lunga; 5) redazione edita nel 1907; 6) Lemoyne, reda-
zione composta a stampa su liste di carta e incollata nei già noti Documenti
per la storia di Don Bosco e dell'Oratorio; 7) Memorie biogvafiche, vol. 12 a
cura di Don Eugenio Ceria.
1) Autografo di Don Bosco:
« Ciò che vedi non è altro clie la forma ovvero l'ombra del mio corpo e Dio
conserva questa apparenza agli spiriti fino al giorno dell'universale risorgimento,
quando ciascuno vestirà la materia immortale ripigliando il corpo che si aveva prima
di morire ».
2) Don Barberis:
« Ecco, quando un'anima è separata dal corpo ed il Signore permette che si renda
visibile altrui prende le stesse fattezze di prima sebbene grandemente abbellite, ma
senza divario nei contorni. Questa poi è semplice apparenza.
- Come va questo?
- Diede una spiegazione che io non ho capito. Facciamo presto perché c'è più
poco tempo ».
3) Lemoyne, redazione breve:
«Vedi: Quando l'anima è separata dal corpo conserva la sua forma esterna ben-
ché più iicorpo non abbia e così lo conserva h c b é a lui non si sia riunito ».
4) Lemoyne, redazione lunga:
« Vedi quando l'anima è separata dal corpo conserva la sua forma esterna benché
non abbia piìi il corpo e così lo conserva h c h é a lui non sia riunita ».
I1 testo, corretto e postiliato, assume questa nuova fisionomia:
«Vedi quando l'anima è separata dal corpo e con permissione di Dio si fa vedere
altrui l e con - almi P aggiunto in sopralinea con inchiostro nerol conserva la sua
forma esterna ed apparenza del corpo stesso colle bellezze come quando viveva sulla
terra [ed apparenza - terra è stato emendato con inchiostro blu da benché non abbia
più il corpo] e così le conserva sebbene grandemente abbellite [sebbene - abbellite
è aggiunto in sopralinea con inchiostro nero] finché a lui non sia riunita nel giorno
del giudizio universale [nel - universale 2 aggiunto in nerol v.
Delle aggiunte in nero richiama l'attenzione l'inciso: sebbene grande-
mente abbellito. Esso già si trova nel manoscritto Barberis ed è uno dei tanti
piccoli casi che ci denunziano come le postille alla redazione lunga derivano
in parte dal testo Barberis.
,
,
5 ) Stadio importante nella successione delle redazioni è il testo stampato
nel 1907 in edizione estracommerciale. In quell'anno non soltanto si comme-
morava il cinquantenario della morte del giovane Savio, ma se ne iniziava an-
che il processo informativo per la beatificazione. La causa di Domenico si
muoveva sulla scia di quella di Don Bosco. Come i Gesuiti avevano Luigi Gon-
zaga, Stanislao Kostka, Giovanni Berchmans, cosi i Salesiani avrebbero avuto
all'onore degli altari Domenico Savio. Sarebbe stato l'ambito sigillo alla san-
tità di Don Bosco; sarebbe stata l'ambita garanzia ai Salesiani, che la loro
opera era benedetta dal Signore. I1 sogno di Lanzo presentava in gran risalto
il giovane alunno glorioso in Cielo.
Animatore del Comitato per i festeggiamenti e promotore della beati&
cazione era Don Stefano Trione. Il testo edito avverte che la redazione venne
riveduta da Don Lemoyne « il quale ebbe la bontà non solo di rendersi ga-
tante della veracità della esposta narrazione, ma di ridurla in molti punti a
perfetta identità col testo originale del sogno, da lui scritto mentre Don Bosco
lo raccontava » (ancora una prova che l'autografo di Don Bosco non doveva
essere conosciuto da Don Lemoyne),.
Come si può notare, nel testo del 1907 non si legge come nel testo di
Don Bosco e in quelli di Don Lemoyne, che l'anima dopo morte conserva la

27 Pages 261-270

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27.1 Page 261

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
forma esterna (le apparenze) del corpo e piuttosto s'introduce il concetto di
Una serie di varianti che potrà sembrare più interessante riguarda la
anima forma del corpo:
presentazione di Domenico Savio e degli altri che si avvicinarono a Don
<< Vedi, quando a voi appare per divino volere uu'anima separata dal corpo, essa
presenta ai vostri occhi la forma esteriore del corpo che f u già da lei informato, per-
Bosco, allorché cessò la musica che deliziava la moltitudime dei beati.
« Ad un certo punto - scrisse Don Bosco - cessò ogni musica, ed allora molti
ciò a te pare ch'io ahbia mani e piedi e capo, ma non potrai mai fermarmi essendo ora
uditori si volsero verso di me, che non era sopra quelia maravigliosa superficie, ma
un puro spirito. Ma è questa forma esteriore che mi ti fa conoscere D.
colà vicino sopra di un rialzo di terra.
Ne conobbi molti, ma quelli che mi vennero più vicino furono Savio Domenico,
6 ) I Documenti alla spiegazione sull'anima forma del corpo preferi-
D. Alasonatti, D. Chiala, D. Gioiitto (sic) di cui aveva pensato molto nella passata
scono quanto già si leggeva nella redazione lunga Lemoyne; non rinunziano
però del tutto al testo del '707, da cui trascrivono i particolari sulle mani,
l
giornata. Erano alla distanza da poterci toccare la mano D.
sui piedi e sul capo:
La relazione Barberis non differisce molto:
«Vedi, ei diceva, quando l'anima è separata dal corpo e con perinissione di Dio
si fa vedere a qualche mortale, conserva la sua forma ed apparenza esterna, con tutte
le fattezze del corpo stesso, come quando viveva sulla terra, e così, sebbene grande-
mente abbellite, le conserva finché a lui non sia riunita nel giorno del giudizio uni-
versale. Mora lo terrà seco in paradiso. Perciò ora ti sembra, che io abbia mani,
piedi, capo, ma tu non potresti fermarmi essendo io puro spirito. T. questa forma
esterna che mi ti fa conoscere D.
« O h maraviglia; tra gli altri mi si accostò un giovane che aveva tutto l'aspetto
di Savio Domenico ma cosi bello che io non avrei creduto un angelo avere tanto de-
coro. La sua faccia era risplendentissima tanto, che sebbene vi fosse il sole la luce
che da lui usciva era molto più sfolgorante [ .. .l Guardai coloro che erano con lui
ed eran molti e tra gli altri conobbi D. Alasonatti, D. Giolito (sic), D. Chiala i quali
tutti dali'aria del volto, daiio splendore che mandavano, e dalla heiiezza delle loro
vesti si vedeva essere pienamente felici D.
7) I1 testo delle Memorie biograjkhe attinge ai Documenti. La spiega-
zione sull'anima forma del corpo che prima si leggeva nel testo del '907, sulle
l
Secondo la redazione breve del Lemoyne a musica iinita « u n a folla »
si volse verso Don Bosco e si avvicinò:
Memorie è riportata in nota, come glossa dell'editore:
« M a loro testa si awanzava Savio Domenico e dietro lui D. Alasonatti, D.
«Vedi, ei diceva, quando l'anima è separata dal corpo e con permissione di
Chiala e D. Giulitto ».
Dio si fa vedere a qualche mortale, conserva la sua forma ed apparenza esterna, con
tutte le fattezze del corpo stesso, come quando viveva sulla terra, e così, sebbene gran-
La redazione lunga specifica: una folla sterminata si volse verso Don
demente abbellite, le conserva finché a lui non sia riunita nel giorno del giudizio uni-
versale. Aiiora lo terri seco in paradiso. Perciò ora ti sembra che io abbia mani, piedi,
capo, ma N non potresti fermarmi essendo io puro spirito. È questa forma esterna che
mi ti fa conoscere » (9.
Bosco e si avvicinò:
«Alla loro testa si avvanzava Savio Domenico. Subito dietro a lui venivano
D. Alasonatti. D. Chiala e D. Giulitto ».
E in nota:
« In altri termini mio1 dire: - Quando a voi appare per divino volere un'anima
separata dal corpo, essa presenta ai vostri occhi la forma esteriore del corpo che fu
già da lei informato, e perciò a te pare che io ahbia mani e piedi e capo ecc. D p).
l
( 5 ) MB 12, p. 593-594140.2.
(6) MB 12, p. 594142.45, Adoperando per le redazioni le sigle date alla nota 3, si
potrebbero così segnalare le principali varianti:
Vedi CDEFH
ei diceva FH
quando i'anima [quando un'anima B1 è separata dal corpo BCDEFH
e con pennissioi~edi Dio si fa vedere (B)DFH
conserva la sua forma CDFH
ed apparenza (A)DFII
esterna CDFH
Dopo D. Giulitto u n segno richiama un'aggiunta scritta in margine: e
molti altri ciascuno alla testa di una squadra di giovani. I1 termine jolla, che
poteva destare l'immagine di una moltitudine confusa, risulta cosi precisato
dalla postilla marginale: verso Don Bosco avanzavano squadre, come in un
grandioso corteo. Su tutti risalta il primo drappello. Sui primi spicca Dome-
iiico. Egli non è più tra la moltitudine; non è più tra i tanti che si volsero
verso Don Bosco, ma in primissimo piano, prescelto tra gli altri che prove-
fattezze BFH
pseebrcbieòneEFeHrandemente abbellite BDFH
ti sembra EFH
abbia mani. . . EFH
Come si può vedere, B è stato tenuto presente nell'claborazione successiva di D ed F.

27.2 Page 262

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
nivano dall'oratorio, perché fungesse da ambasciatore e mediatore tra Cielo e
terra.
Nelle redazioni successive permane lo schema della prima schiera. Dietro
invece vengono aggiunte ulteriori specificazioni sulle squadre e sui loro con-
dottieri.
Secondo l'edizione del 1907:
« Alla loro testa si avanzava Savio Domenico, e subito dietro a Lui D. Alasonatti,
D. Chiala, D. Giulitto, e molti e molti altri preti e chierici, ciascuno guidando una
squadra di giovani ». ,
Secondo i Documenti:
« Alla loro testa si avanzava Savio Domenico, e subito dopo di lui procedevano
D. Alasonatti, D. Cbiala, D. Giulitto e molti, e molti altri chierici e preti, ciascuno
guidando una squadra di giovani ».
I1 senso primario di folla appare ormai abbastanza lontano. Dopo Dome-
nica, si legge, procedevano squadre. L'immagine che viene suggerita è quella
di un solenne corteo.
Secondo le Memorie biografiche:
«Alla loro testa si avanzava Savio Domenico, e subito dopo di lui procedevano
D. Alasonatti, D. Chiala, D. Giulitto e molti, e molti altri chierici e preti, ciascuno
guidando una squadra di giovani » (').
Nel complesso ne risulta una graduale amplificazione del testo che, par-
tendo dalla redazione breve di Don I,emoyne, si arricchisce di elementi
elargiti dalla redazione Barheris o suggeriti da considerazioni successive di cui
non è facile congetturare i moventi. Oseremmo dire soltanto che avvicinami
e venire vicino dell'autografo di Don Bosco o della redazione Barberis difii-
cilmente avrebbero suggerito l'idea di schiere o addirittura di squadre. Evo-
cate le squadre, la mente richiama i capisquadra: chierici e preti, ciascuno
alla testa di una schiera. Ci si accorge che le redazioni Lemoyne ci hanno
portato un po' discosto dall'autografo di Don Bosco. Certi elementi accettati
dalle Memorie biogvafiche sono di molto posteriori alla morte di Don Bosco e
si stenta a ritenerli frutto di una tradizione che risalga alla esposizione orale
del 22 dicembre 1876.
Più che la cura di fedeltà alla esposizione orale sembra sia talora pre-
valsa quella di comporre un testo da presentare alla pubblica lettura.
Anzitutto è bene notare che Don Lemoyne, meglio di altri, poteva ren-
dersi conto delle libertà che poteva concedersi nella compilazione. Già altre
volte avvenne che da Don Bosco egli ebbe l'incarico di redigere sogni sulla
base di una semplice esposizione orale.
Un criterio di elaborazione sembra essere stato quello dichiarato a pro-
posito di un sogno del 1868:
«Noi -scrisse Don Lemoyne - abbiam qui fedelmente notato quanto udimmo
per disteso dal Venerabile e quanto ci riferirono a voce o per iscritto numerosi testi-
moni sacerdoti, coordinando Il tutto in un'unica narrazione. Fu un lavoro arduo, per-
ché volevamo riprodurre con matematica esattezza ogni parola, ogni congiunzione o
legame tra una scena e l'altra, e l'ordine dei vari fatti, avvisi, rimproveri e di tutte le
idee esposte e non spiegate, tra cui qualcuna forse fraintesa » P).
Don Lemoyne continuava assicurando che aveva cercato una sola cosa:
presentare più fedelmente che gli era possibile quanto aveva esposto a viva
voce Don Bosco. Effettivamente i tasselli della redazione hreve manifestano
la cura di riesprimere i termini uditi. La redazione lunga e le successive ma-
nifestano talora il desiderio di coordinare in un'unica narrazione, parole e
frasi desunte da testimonianze diverse e che a noi qualche volta lasciano il
dubbio che non siano derivate in ogni particolare dalla viva voce di Don
Bosco.
3" Esperienza e cuitura di Don Bosco: coincidenze con il sogno di Lanzo.
Don Bosco stesso ci segnala alcuni possibili legami tra il sogno e lo stato
di veglia. Ci avverte, ad esempio, che di Don Giulitto << aveva pensaJo mol-
to » nella giornata che precedette ii sogno.
Anche Domenico Savio aveva occupato a lungo la sua mente in quei
giorni. La Cronaca di Don Barheris ci riporta alcuni sermancini serali che
Don Bosco fece nella novena dell'Immacolata. Fin dalla prima sera, il 28 no-
vembre, parlò del suo carissimo discepolo ai giovani studenti:
<( Io mi ricordo ancora, come se fosse adesso, quel volto ilare, angelico di Savio
Domenico, tanto docile, tanto buono! Egli mi venne innanzi il giorno prima della
novena dell'Immacolata Concezione e tenne con me un dialogo che 5 scritto nella
sua vita, ma più breve, che molti avran già letto e che gli altri hanno comodità di
leggere . . . »
I1 3 dicembre, parlando ai giovani artigiani, ripresentò il medesimo epi-
sodio (l0). I l 6 è la sera del sogno. All'Oratorio si parlava in quei giorni
di fioietti in onore di Maria. Don Bosco stesso nei sermoncini serali ne aveva
incoraggiata la pratica. Intanto la casa risuonava di musica vocale e stmmen-
tale. Cori di voci bianche, forse del Cagliero o del Dogliani (entrambi ri-

27.3 Page 263

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DoncoBrodsactoi nnelelallsatoerisapdoeslilaziroenligeioosiralcea)ttogliicuan. gVeovl aII.nSoteflilano alle camerette d i Don Bosco.
Tutti questi elementi saranno stati transustanziati nell'architettura del so-
gno?
Ma soffermiamoci alle redazioni. Una serie di coincidenze emerge allor-
ché si confrontano le sentenze, le immagini e i simboli del sogno con quanto
Don Bosco scrisse o poté conoscere in quel tempo a Valdocco.
Notiamo, ad esempio, il gruppo di sentenze riguardanti i beati del pa-
radiso:
Videbunt Deum sicut est (l1).
Ipsi habuerunt lumbos praecinctos et dealbaverunt stolas suas in sanguine
Agni ( ' 2 ) .
Virgines enim sunt et sequuntur Agnum quocumque ierit (n)
H i siint sicut Angeli Dei in coelo (14).
Attorno a queste sentenze Don Bosco usava far gravitare le sue descri-
zioni del paradiso e della purezza (lS).
L'espressione Lussati ( s u m u s ) in via iniquitatis sarebbe stata detta da
Don Bosco nella udienza pontificia del 1858 a commento della difficile si-
tuazione politico-religiosa di allora. I n quella circostanza Don Bosco avrebbe
parlato al papa anche della visione di Domenico Savio sulla conversione del-
l'Inghilterra (l6)).Domenico Savio, P i o IX e la sentenza desunta dal libro della
Sapienza, capo 5, 7, si ritrovano nel sogno di Lanzo. Nell'udienza del '58
essa aveva ricevuto u n significato accomodatizio. Nel sogno ha u n senso molto
più vicino a quello biblico. Nel libro della Sapienza Lussati sumus i n via ini-
quitatis è l'amaro sospiro degli empi nel constatare la propria rovina e la glo-
ria dei giusti ch'essi avevano deriso in vita. Nel sogno la sentenza assume u n
signi6cato attributivo: essa qualifica giovani che sono in peccato mortale,
sembra portare in sé il sinistro monito della rovina eterna a quei giovani che
si sono abbandonati al peccato.
La visione heatificante di Dio, la musica deliziosa, i rapimenti esta-
sianti, la gioia dell'anima nell'incontrare parenti e amici, le schiere di an-
P. . .
(M)ME 12; 59171~;592122.
("1 Cf. Bosco, Il mese di maggio, giorno 26, Torino 1858, p. 150-152: «Quanto
fa orrore il parlare del peccato della disonestà, altrettanto consola il parlare della virtù
della purità. Questa sola virtù basta per far santo chi la possiede.. . emnt sicut angeli
Dei in caelo . . . seguono il divino Agnello ovunque Egli vada. Virgines enim sunt, hi
sequuntur agnum quocumgue ierit. . . Lo Spirito Santo ci dice: che colla virtù della
purità ci vengono tutti i beni: uenerunt omnia bona pariter cum illn. . . ». Cf. anche l'istni-
zione sulla castità fatta da DB a Trofardio: MB 9, p. 991 e l'Introduzione alle Regole o
Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales. . ., Torino 1875, p. XXVII.
Cf. G. Bosco, Il servo di Dio Domenico Savio.. ., Torino 1908, p. 213 s, che
attinge a MB 5, p. 882. E la « seconda » udienza pontificia, su cui cf. il nostro vol. 1,
p. 143 S.
geli e d i santi che a milioni lodano e benedicono il Creatore, la moltitudine
di giovani che in paradiso cantano u n inno che nessun altro può imparare,
sono elementi con i quali Don Bosco ha descritto il paradiso nel Giovane
provveduto e nel Mese di maggio ("). Sue fonti principali, come già sap-
piamo, sono l a Filotea di S. Francesco di Sales e il Mese d i maggio di Alfonso
Muzzarelli (l8).
Si hanno coincidenze anche a riguardo dei fiori simbolici offerti da Do-
menico a Don Bosco. Alcuni fiori presentati dal giovane Savio coincidono con
quelli d i u n opuscolo di Giuseppe Frassinetti, stampato più volte all'Ora-
torio prima e dopo il sogno del '76: 11 giardinetto di Maria(''). I1 Frassi-
netti si indirizza a collegi, scuole e parrocchie, e suggerisce di costituire una
associazione intitolata appunto Il giardinetto d i Maria. A Valdocco ai tempi
del sogno essa esisteva, diretta (e forse anche fondata) dal segretario di Don
Bosco, Don Gioachino Berto (m). Ciascun membro del Giardinetto si sarebbe
impegnato a praticare una virtù simboleggiata da un fiore. Nel mazzolino di
Domenico Savio e nel Giardinetto del Frassinetti troviamo con lo stesso or-
dine la rosa, la viola, i l giglio e il girasole ("). Nelle due enumerazioni que-
(17) [Bosco], Il giovane provveduto, Torino 1847, p. 49s: «Considera poi la
egiodjeagclihaempircoiv.e.r.à
l'anima tua nell'entrare in Paradiso.
Havvi poi una grande moltitudine di
L'accoglienia e l'incontro de' parenti
giovani, i quali perche conservarono
la virtù della purità cantano a Dio un inno che niun altro può imparare. Oh quanto godono
in quel regno de' beati!. .. [Dio] consola i beati col suo amorevole sguardo, e sparge nel
loro cuore
Iddio colla
un mare di delizie. Siccome
sua presenza illumina mito
il
il
soPlaeraidlluismo.in. a.
ed
»;
abbelisce tutto
ID. Il mese di
il mondo, così
magio, ed. c.,
p. 159-162.
(18) STELLA, I tempi e gli scritti che prepararono « I l mese di maggio » di Don
Bosco in Salerianum 20 (1958), p. 648694.
ligi G. FRASSINETTIlI.niardinetto di Maria. . . , Torino, Tip. dell'orat. di S. Franc.
di ~aìès'1872; 18785. ~ e 1i8 3 venne stampato anonimo con il titolo di Rimembranza del
Mese di Maggio (Torino, Tip. e Libr. deil'Orat. di S. Franc. di Sales).
(a)Documentazione del Giardinetto, scrittura di Don Berto i: aVAS 321.36 (fondo
Compagnie). Letterine collettive per l'onomastico di DB: AS 115 Giardinetto. A propo-
sito di giardino salesiano notiamo l'esordio della nccrologia sul coadiutore Giacomo Para
deceduto il 25 febbraio 1875: «Uno dei bei fiori che nel giardino della Saksiana Congre-
gazione
nato in
cogliesse la
Sampepe
dmioacneosideSlaSluizgznooreallniel16corsseottedmellb'arenn1o815087.5.
fu
. ».
il giovane Giacomo Para,
Cf. Confratelli chiamati
da Dio alla uita eterna nell'anno 1875 in appendice al catalogo della Società di S. Franc.
di Sales per il 1876, Torino [18751, p. 20 e Brevi biografie dei confratelli Salesiani chiamati
da Dio alla gita eterna, Torino 1876, p. 21. La biografia di Don Giulitto ritorna sulla stessa
figura. Cf. BONETTI, Ultimi giorni ed ore di Pio I X . - Un fiore salesiano ossia D. Giuseppe
Giulitto (LC a. 26, fasc. 1),Torino 1878.
(21) Per essere esatti, nella prima descrizione che si legge sulf'autografo di DB precede
il gidio. Nella spiegazione del simbolismo precede la rosa: « [Domenico Savio] da
una mano teneva un mazzo di fiori come per regalare. Ho notato il gilio [sicl, la rosa,
la violetta, il girasole, la perpetua, la spiga di grano, fiore genziana [la spiga - genziana
aggiunto
« ... Pel
nel margine inferiore] ed altri
presente avvi qui un bocchetto
ma con
di fiori
intreccio e
e prendilo,
di una
e fanne
bellezza indescrivibile S.
un regalo a tutti i tuoi
fioli di oani età e condizione, e assicurerai loro il regno de' cieli.
L Ma io-non ne comprendo il senso.
51 9

27.4 Page 264

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
sti quattro fiori cominciano la serie. Dei primi tre coincide anche il simboli-
smo. La rosa è la carità, la viola è l'umiltà, il giglio è la purezza. I1 gira-
sole per Don Bosco simboleggia l'ubbidienza e per il Frassinetti la presenza
di Dio.
L'enumerazione di Don Bosco continua con la perpetua (perseveranza),
l'edera (mortificazione), la spiga (comunione) e la genziana (penitenza). Al
girasole il Frassinetti fa seguire il gelsomino (buon esempio), I'amaranto
(zelo), il fior di passione (pensiero della passione di Cristo), l'erba sensitiva
(il timor di Dio), il giacinto (l'ubbidienza), Pulivo (la devozione), la vigna
(carità fraterna), l'incenso (l'orazione), la mirra (la mortificazione), il balsamo
(la pazienza) e la alm ma, simbolo della fortezza. In comune perciò troviamo
ancora l'ubbidienza e la mortificazione.
Si pone cosi il problema del preciso rapporto tra sogno ed esperienza di
Don Bosco. Precisamente ci si può chiedere in quale misura questa sia en-
trata nella genesi del fenomeno onirico e in quale sia intervenuta nella eiabo-
razione fatta poi in stato di veglia. Questo secondo stadio della elaborazione
onirica è oggetto di analisi degli psicologi. Ci sembra perciò il limite a cui
volevamo giungere nella nostra indagine sulla genesi dei testi che ci traman-
dano il sogno.
4" 11 sogno nella valutazione di Don Bosco.
Un fatto, successivo al sogno, su cui è bene fissare l'attenzione, è il com-
portamento di Don Bosco.
Dal modo come egli si esprime ci si persuade che sogno veramente ci fu.
Narrandolo, chiamò in causa Don Lemoyne, ch'era tra i presenti e che nella
notte del 6-7 dicembre dormiva nella stanza attigua a quella di Don Bosco.
Don Lemoyne lo udi gridare e il giorno dopo, spaventato, domandò che cosa
fosse accaduto (>').
E ancora Don Lemoyne, allora direttore del collegio di Lanzo, a infor-
marci su quel che dopo avvenne. Don Bosco sulle prime pensava che iisogno
fosse una illusione (un sogno comune? un inganno diabolico?). Motivo per
dubitare era il fatto che tra i lussati in via iniquitatis aveva visto giovani che
nel collegio di Lanzo « secondo il parere di tutti » erano tra i migliori. Nondi-
meno - aggiunge Don Lemoyne - Don Bosco «chiamò uno e poi tre
altri ». « Tre furono cacciati »
- Te ne darò un cenno. La rosa è la carità, la violetta l'umiltà, il gilio la castità, il
girasole
grano la
l'suabnbtiadiecnozmau, nilaonep,erlapetgueanzilaanapelarsepveenraitmena,zal.'e.d.eur.a
la
La
mortificazione,
rosa precede le
la spiga di
due descri-
zioni
nei
(=)
testi di Don Barberis
MB 12, p. 59013.6.
e
di
Don
Lem-ov-n-e,. ~
Così Lemoyne, nella redazione breve. I1 testo sostanzialmente rimase nelle
MB 12, p. 595130.32,
5" Le predizioni e il louo avveramcnto.
Cera un'altra possibilità per controllare la natura del sogno. Domenico
Savio aveva annunziato vari avvenimenti che sarebbero accaduti nel 1877.
Pio IX non avrebbe avuto più che poche battaglie da combattere. Di
fatto alla fine del '76 il pontefice, più che ottantenne, appariva molto stanco,
oppresso dagli sconvolgimenti politico-religiosi che lo avevano toccato. Sa-
rebbe morto a 86 anni il 7 febbraio 1878. La predizione rispondeva ai pre-
sentimenti comuni dell'opinione pubblica.
Nel '77 la Società Salesiana avrebbe avuto un'aurora di gloria il cui
splendore avrebbe illuminato i quattro angoli del mondo. Effettivamente in
queli'anno per la Congregazione vi furono una serie di eventi che potevano
considerarsi un'aurora di gloria. Venne tenuto a Lanzo Torinese il primo
Capitolo generale, si fece la seconda spedizione missionaria, venne data forma
definitiva all'opera dei Cooperatori (già divulgata nel 1874), venne dato im-
pulso all'opera dei figli di Maria Ausiliatrice per le vocazioni adulte allo stato ec-
clesiastico (promossa già nel 1875), venne stampato il Regolamento peu le
case, cui è premesso il noto opuscolo sul Sistema preventivo nelle case di
educazione.
A proposito dell'aurora di gloria l'edizione del 1907 annota con tutta
sicurezza:
«Evidentemente qui si preannunziò la pubblicazione del Bollettino sulesiano,
sorto appunto nel secondo semestre del 1877, che oggi esce in 9 lingue, in 270.000
esemplari mensili » ( x ) .
I Documenti non ospitano questa esegesi. Essa invece ricompare nelle
Memorie biografiche.
«La seconda predizione annunciava per la Società Salesiana nel '77 un'aurora
cosi splendida, che avrebbe illuminato i quattro angoli del mondo; infatti si levò in
quell'anno sull'orizzonte della Chiesa l'associazione dei Cooperatori Salesiani e spuntò
il Bollettino sulesiano, due istituzioni che dovevano portare da un capo all'altro della
terrala conoscenza e la pratica deiio spirito di Don Bosco » (25).
Oggi purtroppo non abbiamo argomenti per spiegarci donde sia derivata
tanta evidenza e avremmo amato che gli editori del 1907 avessero fatto a p
pello alle parole o al comportamento di Don Bosco.
Questi nella conferenza generale ai Salesiani del 6 gennaio 1877 ebbe
un cenno generico a predizioni fatte l'anno precedente:
« L'amo scorso - egli asserì - se vi ricordate, Don Bosco disse che passato
Panno, sarebbe awenuto qualche cosa di straordinario. Si sarebbero gettau i primi
germi di qualche opera che avrebbe prodotto gran bene » (%).
(24) Riservato per le Cose Sulesiane. . . , p. 10.
("I MB 12. D. 59612-9

27.5 Page 265

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Don Bosco QneullaessttooriaridceollradroelidgiaosiDocnattoBliocsac. oVosl tIIe.sSstoellanon viene collegato al sermoncino
serale del 22 dicembre 1876, ma alla conferenza salesiana generale tenuta
nel gennaio. Egli specifica che i fatti straordinari che sarebbero accaduti nel
'77 erano due. I1 primo era l'apertura di case salesiane a Roma. Tale prean-
nunzio si sarebbe avverato con la presenza del salesiano Don Scappini a Roma
quale responsabile a nome di Don Bosco dei Concettini. La seconda opera
sarebbe stata quella dei Cooperatori Salesiani. « Essa - dichiara Don Bosco
sempre nella conferenza del 6 gennaio '77 - è appena incominciata e già
molti vi sono ascritti. Lo scopo è un vicendevole aiuto spirituale e morale
non solo, ma anche materiale. Se ne vedrà il grande sviluppo. Non andrà
molto che si vedranno popolazioni e città intiere unite nel Signore in vin-
colo spirituale colla Congregazione Salesiana D.
Dunque secondo Don Bosco l'aurora di gloria preannunziata nel sogno di
Lanzo era forse non tanto la fondazione del Bollettino saleriano, quanto i
due fatti sottolineati il 6 gennaio del '77 e da lui vivamente desiderati: l'in-
sediamento dei Salesiani a Roma e l'incremento dell'opera dei Cooperatori.
A quest'ultimo fatto e, in genere, all'incremento della Congregazione
Salesiana potrebbe far pensare quanto Don Bosco scrisse a Don Lemoyne
dalla Francia (probabilmente da Marsiglia) nel gennaio 1879: « I o sono qui
con molti e gravi affari alla mano. Quando li saprai, rimarrai stordito e ve-
drai il sogno di Lanzo realizzato » (n). E cioè (sembra dire Don Bosco) all'aurora
gloriosa, preannunziata per il 1877, ormai vedrai succedere nel 1879 il pieno
meriggio, constaterai il felice espandcrsi della Congregazione Salesiana.
Ne1 '77 era inoltre preannunziata la morte di « sei più due » tra coloro
ch'erano molto cari a Don Bosco. Don Lemoyne e Don Barberis non frainte-
sero. Già sull'autografo di Don Bosco si legge il preannunzio profetico di Do-
menico Savio:
u Non parlo più io, ma è Dio misericordioso che solo il sa e si esprime così:
Nell'anno prossimo sarai privato di sei e più ancora di due altre persone assai care;
ma che devono dalla terra essere trapiantati nel luogo di delizie ossia nel paradiso
deli'increato D.
I Documenti e le Memorie biografiche narrando di volta in volta i fatti
del 1877 non si preoccupano di segnalare tutti i decessi avvenuti all'Oratorio
e nemmeno si soffermano a rilevare di volta in volta i sentimenti che tali
morti suscitarono. Che ci sia stata una certa attesa lo apprendiamo da Don
Giuseppe Vespignani. Questi era arrivato a Valdocco da Faenza il 7 novembre
1876, attirato dalla fama di Don Bosco; fece la professione nel Natale di
quello stesso anno e partì missionario per l'Argentina nel novembre 1877.
Don Vespignani ricorda che una sera passeggiava con Don Bosco insieme
n un altro sacerdote. Familiarmente chiese chi sarebbero stati quei due « cari
al cuore di lui che sarebbero morti nell'anno in corso. La risposta fu: « Chi
- hanno da essere, se non loro due? ». I1 che soggiunge Don Vespignani -
« Don Bosco disse sorridente per eludere la domanda » (?.
Tra gli altri che seguirono l'avverarsi deUe predizioni ci sarebbe stato,
secondo Don Vespignani, il trentenne Angelo Piccono:
a Dopo il sogno il Commissario di pubblica sicurezza a Borgo Dora, Angelo Picco-
no, sentito l'annunzio profetico di Don Bosco sulla morte degli otto individui, volle es-
sere avvertito del come sarebbero andate le cose. Venne appagato, Al verificarsi del-
l'ultimo caso abbandonò la carriera, si rese salesiano e fu poi nostro compagno di
Missione, lasciando gratissimo ricordo nelle case di Buenos Aires, Montevideo, San
Nicolas e Patagonia (sic)» (=).
Ma i fatti si svolsero diversamente. Angelo Piccono, rimasto orfano in
giovane età, studiò hiosofia al seminario d'Ivrea. Fu poi istitutore in un con-
vitto di Novara. Nel 1875 passò a Torino, dove ottenne un posto in Que-
stura. Nel frattempo frequentò l'Università. Quell'anno stesso si fidanzò e
invitò Don Bosco a benedirne le nozze. Questi non poté accettare l'invito e
se ne scusò con una letterina del 4 settembre 1875 (9
Il Piccono rimase vedovo dopo un anno. Quanto successe ci è descritto
dalle necrologia in questi termini: « Addoloratissimo della perdita fatta, si ri-
volse a Don Bosco, che già aveva imparato a conoscere e a venerare, e a lui
confidava il proposito di ritirarsi dal mondo e di farsi sacerdote nella fami-
glia Salesiana. Don Bosco, col suo intuito sovrannarurale, avendo scoperto nel
postulante l'anima di un apostolo, lo riceveva nell'oratorio di Torino il 20
iehbraio 1877 » (31)
Angelo Piccono risulta ascritto a Valsalice il 24 maggio 1877; ricevette
gli ordini sacri nel '78, il suddiaconato in giugno, il diaconato in agosto e il
presbiterato il 22 novembre. Nel 1881 fece parte della terza spedizione mis-
sionaria. Tornato in patria, fu direttore della casa salesiana a Napoli (Vomero)
negli anni 1901-1905 e a Castellammare negli anni 1905-1910 Mori a Ca-
seLta il l b e n n a i o 1913.
Stando all'edizione del 1907 la serie dei decessi preannunziati il 20 feb-
braio del '77 non era ancora compiuta.
«La predizione - si legge - si avverò con tutta precisione. Risulta infatti dai
registri della Prefettura Esterna dell'Oratorio che i morti dell'oratorio nel 1877 fu-
- rono precisamente sei più due: cioè 1" il giovane Briatore Giovanni di 1" ginnasiale
segnato nel registro al n. 93 2) il giovane Vittorio Strolengo artigiano legatore, n.
152 - 3) il giovane Mazzoglio Stefano di quarta ginnasiale, n. 187 - 4) il giovane
(a)VESPIGNAUNnI,anno alla scuola del beato Don Bosco, p. 31.
( W ) VESPIGNAUNnI,anno alla scuola del beato Don Bosco, p. 33.
(m)AS 131.01 Piccono: Epistolurio 1349.
(") Lettera mortuaria di Don A. Piccono, stampata, sottoscritta dal sac. Federico
Emanuel, Caserta., 4 a.prile 1913, p. I . Se ne stampò anche la traduzione spagnola. Cf. AS
275 piccino.
523

27.6 Page 266

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Garola Natale anch'esso di quarta ginnasiale, n. 388 - 5) il giovane Bagnati Antonio
di quinta ginnasiale, n. 206 - 6) il famiglio Boggiatto Luigi, scopatore, n. 805 - e
finalmente due salesiani: 1)il ch. Michele Giovannetti, ved. registro n. 553 - 2) il
cli. Becchio Carlo, morto in famiglia il 31 dicembre 1877 . . . ma nel 1876-1877 pre-
sente ali'Oratorio » (a2).
Il registro chiamato in causa è quello della contabilità per l'anno sco-
lastico 1876-1877. I nomi trascritti sono quelli indicati con una croce a
penna: segno che si usava porre accanto ai defunti nelle registrazioni di
Valdocco.
Un confronto del registro suindicato con quello di anni precedenti e con
le registrazioni di anagrafe, di voti scolastici e di condotta e con il necrolo-
gio della casa ci porta a rilevare alcune aporie (9.Anzitutto sul registro di
contabilità dell'anno non sono riportati tutti coloro ch'ebhero domicilio o
lavoro all'oratorio per l'intero anno o per qualche mese. Altri nomi emer-
gono dall'anagrafe e dalle registrazioni di voti scolastici e di condotta. In se-
condo luogo, stando al complesso delle registrazioni, in casa all'oratorio sa-
rebhero morte soltanto tre persone: Mazzoglio, Giovannetti e Briatore. Nel
'77, stando a una nota di Don Lemoyne, sarebbe morto un tipografo che la-
vorava all'Oratorio, Lorenzo Gastaldi, già interno ai tempi di Domenico Savio
e amico di quel Giovanni Zucca ch'ebbe a recriminare sulla vita di Domenico
scritta da Don Bosco.
Ci si trova ancora una volta nella difficoltà di stabilire con certezza i
fatti. Se è vero che Angelo Piccono si fece salesiano appena avvenuto l'ottavo
decesso preannunziato, non è esatto l'elenco edito nel 1907. Inoltre questo
elenco, così come si presenta, induce nell'erronea persuasione che i « sei
più due » siano morti tutti all'oratorio a eccezione del chierico Beccbio.
Presentiamo i pochi elementi che siamo riusciti a raccogliere sulle persone
dell'oratorio che sarebbero decedute nel '77, appurando i dati dell'Archivio
Centrale Salesiano con quelli dello Stato Civile del Comune di Torino.
1) 10 febbraio Stefano Mazzoglio, di Pietro (contadino) e di Angela Bisegiio, n.
a Lu Monferrato il 14 maggio 1862, entrato alì'Oratoriu il 14 ottobre 1874 (reg.
anagr.), studente di 4" ginnasiale (reg. voti e contabilità), m. come sopra (Torino,
Stato civile, Morti, a. 1877, atto 226, uffizio 2; necrologio deU'Oratorio; MB 13, p.
86-88).
2) 17 febbraio Vittorio Strolengo fu Domenico e di Anna Canaveri, n. a Viola
(Cuneo)1'11 marzo 1865; entrò ali'Oratorio il 18 ottobre 1875 (reg. anagrafe); sarto
(reg. voti mensili, ms. di Don Lazzero, 1876-'77); «ad sedem volavit » (reg. voti ci-
tato). Non risulta tra i morti in Torino.
. (32) Riservato per le Care Salesiane .. , p, 10.
P3) Questi registri sono tutti all'AS in serie non catalogata, a eccezione del necro-
logio dell'orntorio. Questo è ali'AS 276. In parte è ms. di Don Rua. Un promemoria sui
defunti deli'oratorio scritto in parte da Don Alasonatti e in parte da Don Rua è all'AS
9.132 Rua. Quanto ai Salesiani esistono incartamenti personali (AS 27.51, schede anagiafiche
e registrazioni presso la Segreteria generale del Consiglio Superiore Salesiano.
3) 6 marzo Michele Giovannetti, fu Luigi e di Paola Calamar, n. a Vinovo (So-
rino) il 9 giugno 1857; entrò aU'Oratorioil 2 novembre 1875; vestì i'abito chiericale
il 20 delio stesso mese; m. come sopra (Torino, Stato civ., Morti, a. 1877, atto 379,
uff. 1; necrologio Oratorio; Confratelli chiamati da Dio alla vita eterna nell'anno
1877, Torino, tip. Salesiana 1878, p. 25-34; MB 13, p. 104).
4) 28 marzo Giovanni (Giacomo) Briatore di Antonio (contadino) e di Maria
Saivatico, n. a Deversi di Garessio (Cuneo), studente di la ginnasiale inferiore (reg.
voti e necrol. Oratorio); m. come sopra a 14 anni (Torino, Stato civ., Morti, a. 1877,
atto 497, uff. 1); cf. anche MB 13, p. 445.
5) 2 luglio Antonio Bogiatto (Stato civ.; ma Luigi Boggiatto nelle registrazioni
deli'oratorio), fu Giuseppe e fu Lnigia Balma; n. a Collegno e residente a Givoletto
(Stato civ.), ma n. ad Argentera di Rivarolo secondo il reg. contabilità n. 762 e 805);
entrò aLlOraforio il l 8 maggio 1875; m. all'Ospedaie (reg. contabilità) Cottolengn
a 14 anni (Stato civ., a. 1877, atto 829, uff. l , pt. 5).
6) 29 settembre Lore o Gastaldi, di Matteo e di Domenica Bosco, n. a Somma-
riva Bosco nel 1842 (reg. anagrafe e Stato c i ~ . )m; arito a Luigia Sasso, di professione
tipografo (Stato civ.) era entrato aU'Oratorio come legatore il 30 ottobre 1854 (reg.
anagrafe); m. d'anni 36 in casa posta a via Dovana 85 (Stato civ., a. 1877, atto 1336,
nff. 2, pt. 5).
7 ) 31 dicembre Carlo Becchio, n. a Murialdo di Mondovì il 19 settembre 1844;
entrò ad Alassio il 24 novembre 1871; emise i voti perpetui il 27 settembre 1876.
Nel '77 si trovava a Torino per compiere gli studi di fuosofia e teologia. Ammalatosi,
fu mandato al paese nativo, dove morl a 28 anni (cf. Confratelli chiamati da Dio alla
vita eterna nell'anno 1878, Torino, tip. Salesiana 1879, p. 35-40),
8) ? Antonio Bagnati di Prospero e di Santina Temggi, n. a Cressa (Novara)
il 31 marzo 1861; entrò all'oratorio il 15 ottobre 1873 (reg. anagrafe); studente
di 5" ginnasiale. I1 10 luglio « partì per malattia » (reg. contabilità 1877-78); « obiit
(reg. voti scolastici). Non risulta tra i morti in Torino.
9) ? Natale Garola di Michele e fu Angela Scarafia, n. a Venasca (Cuneo)
il 24 dicembre 1860; entrò all'Oratorio il 16 ottobre 1873 (reg. anagrafe); di
4" ginnasiale. Ha voti scolastici solo per un semestre.
Anche per la sorte dei « sei più due » avremmo amato sapere dagli edi-
tori del 1907 se i loro dati siano stati fondati su indicazioni di Don Bosco.
Essi ci fanno sapere soltanto che la notizia è desunta dal registro suindicato
dalla Prefettura esterna, ora riposto nell'ilrchivio Centrale.
Posto che i sei più due erano da ricercare iuori delle mura dell'oratorio,
si avrebbero altre persone che potrebbero considerarsi come assai care a
Don Bosco. Nel 1877 il 13 giugno morì a Buenos Aires Don Giovanni Batti-
sta Baccino, primo ispettore salesiano in Argentina. Era nato a GiusvaUa
(Genova, diocesi di Acqui) il 24 aprile 1843, era stato membro della prima
spedizione salesiana nel 1875 e si era distinto come uomo di equilibrio, laho-
rioso e animato da zelo sacerdotale.
Tra i cooperatori e benefattori insigni potrebbero annoverarsi mons.
Lorenzo Biale, vescovo di Ventimiglia, che agevolò le opere di Don Bosco in
Liguria, e mons. Giovanni Battista Fratejacci, che aiutò Don Bosco con esu-

27.7 Page 267

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
berante devozione specialmente nel 1874. Entrambi sono commemorati tra i
cooperatori defunti sul Bollettino salesiano (").
A conti fatti le predizioni di morti non ci offrono elementi perentori.
Nondimeno nel complesso, le vicende del sogno di Lanzo aiutano a cogliere
la storia segreta del testo in diverse fasi. È possibile anche seguire I'atteg-
giamento di Don Bosco e quello di Salesiani in momenti importanti per la
Congregazione. Come tutti gli altri sogni, quello di Lanzo è giovato ad ali-
mentare la devozione verso Don Bosco e la fede nel messaggio educativo sa-
lesiano. Ancora di recente è stato ricordato nel centenario del collegio sale-
siano di Lanzo Torinese (=).
3. I1 sogno di S. Benigno Canavese (10 settembre 1881)
1" Il racconto.
Al sogno di Lanzo sotto molti aspetti può essere accostato quello di S.
Benigno, cosi intitolato perché Don Bosco scrisse di averlo avuto nella notte
tra il 10 e 1'11 settembre, mentre « i Salesiani raccolti in S. Benigno Cavanese
facevano gli esercizi spirituali n.
Questo sogno ha tre parti. La prima è ottimistica, la seconda angosciante,
la terza è di speranze e di incoraggiamenti. La trama è semplice. Mentre Don
Bosco si trovava in una splendida sala attorniato da alcuni direttori di case
salesiane (ma c'erano anche non direttori), apparve un uomo di maestoso aspetto
e rivestito di un manto. Questo aveva un orlo attorno al collo, come una fascia
su cui era scritto: Pia Salesianouum Societas anno 1881. Una fettuccia che pen-
deva sul petto recava la didascalia: Qualis erse debet. Cinque diamanti ador-
navano la parte anteriore del manto e cinque erano incastonati sul dorso. Ciascun
diamante simboleggiava una virtù. Don Bosco e gli altri astanti ammiravano
estasiati lo splendore delle dieci gemme. Improwisamente la scena cambiò. Si
fecero tenebre. Poi riapparve il personaggio malinconico e quasi piangente.
I1 suo manto era scolorito e logoro. Al posto dei diamanti c'erano tarli che vora-
cemente rodevano e strappavano la stoffa. Ciascun tarlo o strappo rappresentava
un vizio. Su un cartello si leggeva: Pia Salesianorum Societas qualis erse peri-
clitatur anno salztis 1900. Si fecero nuovamente tenebre. Apparve un giova-
netto. Indossava una talare orlata di luminosi diamanti. Innanzi ai presenti
proclamò parole di speranza. I1 suo dire si trasformò in canto melodioso a cui
si uni una moltitudine di altre voci. Finito il canto scomparve la luce. Don Bosco
allora si svegliò e si accorse che spuntava il giorno.
(3) Bollettino salesiano, 2 (1878), n. 2, p. 8.
(35) C, DE AMBROGIOD, on Bosco e i ragazzi. Ccnt'anni fa Don Borco fondaua un
collegio per adolescenti a Lanzo Torinese, Torino [1964], p. 87.1W.
Anche il sogno di S. Benigno ha una sua storia redazionale. Esso parte da
una minuta molto tormentata di Don Bosco, passa a una copia scritta da Don
Berto e riveduta da Don Bosco ("). Successivamente esso venne trascritto a
mano e anche edito in italiano e in altre lingue. Fu divulgato autorevolmente
da rettori maggiori della Società Salesiana, come Don Filippo Rnnaldi e Don
Renato Ziggiotti ("1.
Anche per questo sogno il primo autografo ebbe la ventura di non essere
stato tenuto in considerazione per i testi a stampa (9Questi si rifanno (di-
rettamente o no) alla copia Berto postillata da Don Bosco; copia che, a buon
conto, ci è Nmasta con i requisiti di redazione riveduta da Don Bosco stesso.
Diversamente che per il sogno di Lanzo, questo di S. Benigno non venne per
nuUa ritoccato e amplificato nelle redazioni a stampa, nelle quali è soltanto
reperibile qualche lieve imprecisione.
Più che la copia Berto e le redazioni successive a noi interessa la mi-
nuta di Don Bosco. E non senza ragione. Il sogno di Lanzo, come dicemmo,
sembra sia stato scritto di getto, come promemoria personale. La minuta del
sogno di S. Benigno reca una gran quantità di cancellature, pentimenti, nuovi
tentativi. Essa manifesta le angustie che Don Bosco suole provare quando redige
pagine destinate alla divulgazione scritta. Ci offre cosi la possibilità d'indagare
con più disponibilità di mezzi sul comportamento di lui neUa fase compositiva.
Come dicevamo, ogni diarnantevisto in sogno portava scritto il nome della
virtù che simboleggiava. Don Bosco aveva cominciato a scrivere le didascalie
in italiano: fede, speranza, carità, lavoro, temperanza, obbedienza, pòdertà, gran
premio, castità. . . Dopo castità per il diamante successivo scrisse: jejunium.
i
A questo punto deve aver sospeso il lavoro. Rileggendo o ripassando mental-
mente avrà avvertito l'anomalia. Allora si pose a correggere. Le prime sei dida-
scalie diventano tutte latine: fides, spes, charitas, labor, tempevantia, obedien-
I
(36) AS 13215, autogr. di DB, inchiostro blu, 20 p. (5 ff. doppi), 110x180,
125x210 mm.
AS 13215, ms. di Don Berto, correz. di DB, inchiostro blu, 8 p. (2 ff. doppi),
i
220x310 mm.
(n)A queste trascrizioni (varie sono alS'AS 111) accennano le MB 15, p. 182. L'edi-
zione più antica, senza data, ma con i caratteri tipografici del Bolle~tino salesiano del
1880.1910 circa è su un foglio doppio (p. 4: bianca), 172x260 mm. e ha come titolo:
«Futura Salesianorum Societatem respicientia a Patre Nostro in Christo amantissimo D.
Joanne Bosco dle 21 Novemhris hisce verbis exposita~.Tra le edizioni in altre lingue
segnaliamo Les songes de Saint Jean Bosco, S.S., s.d., p. 165-173; Triiume Don Boscos,
Bendoif 1958, p. 175.192; Los ruetios de Don Bosco.. ., Madrid 1958, p. 427439.
Don Rinaldi ne scrisse in Atti del Capitolo Superiore 5 (1924), p. 197; 11 (19301,
p. 923 S. Don Ziggiotti lasciò come strenna annuale ai Salesiani Pia Salesianorum Societas
qualis esse debet. Cf. Atti del Capitolo Superiore 45 (1964), n. 234, p. 6 s; 45 (1964),
n. 235, p. 3-9.
(a)Lo dichiara Don Ceria: « L'originale oggi è smarrito; ce ne sono per altro
pervenute numerose copie, che tutte concordano a meraviglia». Cf. ME3 15, p. 182; ID.,
Annali della Società Salesiana . . ., 1, p. 402.
527

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
tia. Gran premio diventa praemium. Povertà e castità diventano votum pauper-
tatis e votum castitatis.
Che cosa avrà indotto Don Bosco a scrivere jejunium e a emendare tutte le
didascalie precedenti? avrà forse ricordato meglio? oppure la sua fu soltanto
una intuizione generica che poi, in fase di redazione scritta, venne a tradursi
prima in termini italiani e poi in quel jejunium che comandò la trasformazione
persino di povertà e castità in virtù consacrate con voto?
Più pressanti si fanno gli interrogativi dorché si notano mutamenti rela-
tivi al posto di due diamanti. Nel gruppo di quelli collocati sulla parte anteriore
del manto Don Bosco aveva posto la temperanza sulla spalla destra. Poi cor-
resse e la collocò sulla spalla sinistra. Sarà stata solo incertezza nello stabilire
la destra o la sinistra rispetto a chi guardava?
L'interrogativo non ha ragion d'essere a proposito del diamante che do-
veva stare al centro del manto sulla parte posteriore. Don Bosco aveva scritto
di getto: castità. Subito se ne pentì, ricompose il periodo e continuando il rigo
scrisse in luogo di castità: obbedienza(").
Anche per questo caso si potrebbe supporre che Don Bosco nel sonno abbia
avuto una percezione globale dell'uomo con il manto ornato di diamanti sim-
bolici. Postosi poi a farne la descrizione analitica, si trovò nell'incertezza allor-
ché bisognava assegnare un posto preciso a virtù come la castità e l'obbedienza.
Della prima più volte aveva asserito ch'era la più bella delle virtù, aveva ap-
plicato ad essa la sentenza: Et venerunt mihi omnia bona parite~cum illa(").
Ma dell'obbedienza aveva scritto ch'era la prima delle virtù, il fondamento di
tutte le altre, anche nella vita religiosa (41). Don Bosco, spinto dal primo im-
pulso, avrà scritto castità; ma riflettendo sulla preminenza dell'obbedienza
nella vita religiosa, avrà detronizzato la più bella in favore della più basilare. . .
È solo un'ipotesi, fragile tanto quanto il supporre, ad esempio, che il ripensa-
mento sia stato suggerito da una successiva concentrazione di memoria.
Notiamo infine che la minuta autografa di Don Bosco è senza data. Essa
fu certamente composta entro il dicembre, perché parla di « anno corrente
1881 ». Con buon fondamento anzi era già stata composta il 21 novembre,
giorno in cui - secondo un antico testo stampato (anch'esso senza data) -
Don Bosco rese noto il sogno.
(W)Prima stesura: « U n o [dopo Uno cancellato in mezzo nello] più folgoreggiante
formava come il centro di un quadtiiatero e portava scritto: Castità. Sul primo a destra
era scritto povertà. Sul secondo era scritto ~[bbedienza]r. Redazione definitiva nella mi-
nuta di DB: « Uno più grosso e più folgoreggiante stava in mezzo come al centro di un
quadrilatero e portava scritto: Obedientia. Sul primo a destra leggevasi Votum paupertatis.
Sul secondo più abbasso praemium ».
(a)Bosco, Il mese di maggio, giorno 26, ed. c., p. 152; ID., Il giovane prouuedulo,
Torino 1877, p. 29; sermoncino serak del 18 maggio 1875, MB 11, p. 241.
(a)[Bosco], Il giouane provveduto, Torino 1847, p. 13; MB 4, p. 749; 6, p. 933;
7, p. 694; 9, p. 861.. .
Sogno di S. Bcnigwo ( l 0 settembre 18811, minuta autografa di Don Bosco.
Il mutare di didascalie dall'italiano in latino e la trasposizione di elementi visivi
da un luogo all'altro pongono fondamentali problemi nella valutazione dei sogni di
Don Bosco. Occorre vagliare la tradizione documentaria dei sogni, piima di accin-
gersi ii farne l'analisi psicologica, teologica o pedagogica.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
3" Esperzenza e cultura dz Don Bosco: coznczdenze con zl sogno dz S. Benzgno
Come per il sogno di Lanzo, anche per quello di S. Benigno è possibile
passare in rassegna un buon numero di fatti che possono essere soltanto coin-
cidenze con il materiale onirico, ma che forse furono elementi mnesici intervenuti
nella elaborazione.
Nessuna delle virtù indicate nei diamanti risulta peregrina al patrimonio
dottrinale e alle preoccupazioni di Don Bosco. Tutt'e dieci (compreso il «gran
premio D ) hanno come nucleo fondamentale la serie delle virtù teologaii e quella
deile virtù religiose consacrate con voto. I1 posto preminente è assegnato alle
virtù teologali, fondamento della vita cristiana: fede, speranza e carità spiccano
sulla parte anteriore del manto; obbedienza, povertà e castità al centro della
parte posteriore. Ben note erano a Don Bosco le realtà simboleggiate dagli al-
tri quattro diamanti: lavoro e temperanza, digiuno e gran premio. 11 binomio
lavoro e temperanza aveva attirato l'attenzione di Don Bosco già da qualche
anno. Due anni prima un altro sogno glielo aveva suggerito come stemma della
Congregazi~ne(~S~u)l. digiuno Don Bosco aveva avuto interessanti variazioni
nella quaresima del 1876 ("). Ai giovani aveva raccomandato di far digiunare
gli occhi, l'udito, la lingua, la gola. Questo digiuno aveva nelle preoccupazioni
di Don Bosco un evidente rapporto con la vita cristiana, con il gusto per la
preghiera e soprattutto con la purezza. Nel sogno di S. Benigno esso conserva
tale polivalenza. Le sentenze, che, come fiammellc si dipartono dal diamante
del digiuno, ce ne persuadono: Arma potentissima advevsns insidias inimici.
- Omnium virtutum custos. - Omne genus daemoniorum per ipsum ei{cietur.
Anche le didascalie della temperanza predicano valenze analoghe: Si lignum
tollis ignis extinguitur; Pactum constitue cum oculis tuis, cum gula, cum somno,
ne huiusmodi inimici depraedentur animas uestras; Intemperantia et castitas
non possunt simul cohabitare.
I1 gran premio preparato in Cielo per coloro che si danno a Dio è un
tema che abbiamo incontrato a proposito della santità come ideale proposto
ai giovani e perseguito da Domenico Savio. Nel linguaggio di Don Bosco il pen-
siero del gran pren.iu si traduce in sentenze come: « Coraggio, un pezzo di
paradiso aggiusta tutto »; «Pane, lavoro e paradiso: ecco ciò che Don Bosco
promette ai Salesiani » (").
Notiamo appena come anche in questo sogno le sentenze riecheggiano espres-
sioni scritturistiche &'erano abituali o, per lo meno, non ignote a Don Bosco.
A questo proposito è sufficiente qualche esemplificazione. La prima sentenza
relativa alla temperanza: Si lignum tollis ignis extinguitur è una variante del-
l'abstrahe ligna f o o si vir extingilere flammam che Don Bosco asseri d'aver
(4Ij MB 12, p. 467.
("1 MB 12, p. 143 s. Sullo stesso tema aveva già parlato ai chierici ali'inizio deii'anno:
MB 12, p. 20-22.
("j MB 8, p. 444; 12, p. 600.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
letto sul Foresti da chierico(+'). La seconda: Pactum constitue cum oculis
tuis . . . è una reminiscenza dal libro di Giobbe: Pepigi pacturn cum oculis meis
ut ne cogitarem quidem de virgine (Ioh. 31, 1). Essa si trova negli appunti per
l'istruzione sulla castità fatta da Don Bosco a Trofarello (9Q.ueste note a loro
volta, ricalcano un capitolo dell'opera &nsiana La vera sposa di Gesù Cri-
sto (").
Ne huiusmodi inimici depraedentur animas vestras ricdca Oculus meus
depraedatus est animam meam (Thren. 3, 51) citato poco dopoil testo di Giohbe
negli schemi di Trofarello. Il motto: Intemperantia et castitas non possunt si-
mul cohabitare è la versione dell'altro: Vino e castità non possono stare in-
sieme (").
I tarli che divorano il manto potrebbero avere una qualche parentela con
u i cinque tarli dell'osservanza religiosa », di cui fa menzione YIntroduiione
alle Regole della Società Salesiana I cinque tarli della Introduzione sono:
p e r i t o di riforma, egoismo individuale, mormorare dei superiori e disappro-
varne le disposizioni, trascurare la propria parte neil'organismo della Congrega-
zione, dimenticare la consacrazione a Dio e il premio celeste. I tarli del sogno
sono: somnus, accidia, risus, scurrilitas, negligentia in divinis perficiendis, gala,
furtum, otiositas, concupiscentia oculorum et superbia vitae, lectzrs, habitus,
potus et pecunia, gran vuoto e strappo al posto deli'obbedienza e del digiuno;
al posto poi del premio: pars nostra erunt quae sunt super terram. I tarli del
manto potrebbero considerarsi una proliferazione di queiii dell'Introduzione.
La specificazione sarebbe stata suggerita per contrasto dai diamanti soppian-
tati.
I1 complesso didascalico del sogno ci porta in quel clima di esercizi ricor-
dato da Don Bosco stesso nel prologo della sua redazione. E più precisamente,
ci porta al complesso di virtù e idee che Don Bosco da tempo usava inculcare
in queii'occasione ai suoi Salesiani. Oseremmo dire che persino la gran sala
dove sarebbe awenuta l'apparizione del personaggio ha una qualche lassa rela-
zione con l'esperienza immediata di Don Bosco. La gran sala poté essere il ri-
cordo elaborato della magnifica sagrestia settecentesca o della stessa chiesa aba-
ziale di S. Benigno, costruita su disegno che s'ispirava d a grandiosità di S.
Pietro in Roma. L'augusto personaggio del sogno, a sua volta, potrebbe avere
avuto come stimolo mnesico la figura solenne del card. Delle Lauze, il più illu-
stre prelato deii'insigne abbazia. La tomba marmorea in chiesa e un quadro a
olio in sagrestia ne ritraevano i lineamenti e i paludamenti cardinalizi.
..
MB 9; ;>. 706; 991; 10, p. 1089.
("1 S. ALFONSO, La vera sposa di GesA Cristo, cp. 8, § 1, in Opere ascetiche, 4,
Torino, Marietti 1847, p. 109. Neiia stessa pagina è la sentenza seguente: Thren. 3, 51.
(")
(49ì
MB 4,
Refole
p. 184; 12, p. 21; 13, p. 398.
o Costituzioni della Società di
S.
Francesco
di
Sales. . . .
Torino
1875,
4" Le predbioni.
Nel sogno di Lanzo le predizioni annunziate alla fme del '76 si riferivano
al 1877. Quelle del sogno di S. Benigno scandiscono tre lustri abbastanza lon.
tani dal 1881: 1890, 1895, 1900. Gran timore nel '90, gran trionfo nel '95,
Pia Salesianorum Societas qualis esse periclitatur anno 1900.
La documentazione purtroppo non ci aiuta a sapere se nel 1890 fu tenuto
presente dai Salesiani il sogno di S. Benigno. Certo è che attrasse l'attenzione
nel 1895, anno del primo congresso internazionale dei Cooperatori tenuto a
Bologna. Fu un evento eccezionale, nella Bologna roccaforte del socialismo e
dell'anticlericalismo; fu uno dei tanti convegni grandiosi che seppe produrre
l'atmosfera ,surriscaldata di fine secolo. Onorarono il congresso con la loro pre-
senza 4 cardinali, 4 arcivescovi, 24 vescovi. Intervennero più di duemila per-
sone. Si ottennero echi e consensi in tutte le parti d'Italia (n).
Infaticabile organizzatore fu Don Stefano Trione, che vi dispiegò anche le
sue doti di oratore popolare. A Bologna Don Trione rievocò il sogno di S. Be-
nigno:
«Quattordici anni f a D. Bosco prediceva, tra altre importanti cose di famiglia
nostra, che avremmo avuto circa il 1890 grandi timori, circa il 1895 gran trionfo.
Signori, se il trionfo del 1895 non sia questo che ora voi contemplate, giudica-
tene voi. Io so che circa il 1890 i grandi timori ci furono. Nel 1888 moriva D. Bosco,
e dopo un così grave lutto, il Papa stesso pareva preso da gravi timori e diceva al n o
stro superiore Don Rua di sospendere per qualche tempo ogni accettazione di nuove
case, onde poter consolidare quelle ereditate da D. Bosco.
Ma, grazie a Dio, furono timori che presto svanirono, ed il Papa stessoikpingeva
di poi i Salesiani ad impiantare nuovi collegi e missioni P P).
Don Trione avrebbe potuto aggiungere altri particolari sulle ansie che
solcarono l'animo di Don Rua negli anni che succedettero la morte di Don
Bosco. Consolidare case, significò allora anche riorganizzare le finanze, estinguere
i debiti che gravavano per la costruzione della chiesa del S. Cuore a Roma,
continuare il processo di stabilizzazione di strutture, già da tempo avviato per
mezzo di regolamenti e deliberazioni di Capitoli generali.
Nel 1895 anche Don Rua è affascinato dal successo di Bologna. Ai Coope-
ratori scrive che « la data di quel congresso sarà scritta a caratteri d'oro
nelia storia della nostra Pia Società ("l. Ai Salesiani offre un quadro più
completo suii'annata: « I1 1895 - scrisse - fu una continua alternativa di
avvenimenti or lieti or tristi per la nostra Società. Mai infatti non s'erano aperte
tante case; mai non s'era fatta così numerosa spedizione di missionari; mai non
si era veduto sì splendido trionfo per le opere di Don Bosco, quale s'ebbe a
. (m) Cf. CERIAA, nnali della Società Saleriana . . . 2, p. 409-444.
(31) Atti del primo congresso internazionale dei Cooperatori salesiani tenutosi ai
23, 24 e 25 aprile 1895, Torino 1895, p. 127 S.
('2) Bollettino salesiano 20 (18961, p. 4.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
ma può essere stata composta prima che Don Bosco si presentasse in udienza
a Pio IX, cioè tra il 6 gennaio e il 12 febbraio 1870 (").
Anteriori alla copia Berto sono alcuni estratti pubblicati dal gesuita Raf-
faele Ballerini sulla Civiltà Cattolica nel 1872 (*). I1 padre gesuita in una ras-
segna di vaticini presenta, senza indicarne l'autore, le parti relative ai castighi
del Signore sulla Francia e quella suli'avvenire glorioso della Chiesa. I1 testo
del Ballerini ha alcune caratteristiche (frequenti maiuscole) che ricordano le
trascrizioni di Don Berto. Rispetto alla copia del '74 presenta due lacune im-
portanti. Nulla dice sul Panteon che sarebbe stato incenerito e nell'ultima parte
nulla dice sulla fine del peccato che sarebbe avvenuta in connessione con il
mese di maggio o, piu' precisamente, in connessione con due pleniluni del mese
dei fiori.
La presenza di Pio IX nella profezia e l'accenno alla « grande conferenza
ci avvertono che la profezia è già materiata di ricordi recenti e preoccupazioni
che compenetravano la vita di Don Bosco in stato di veglia. I1 20 gennaio del
'70 egli partiva in treno per Roma ("). Probabilmente già da qualche settimana
pensava a quel viaggio. I1 suo animo, come quello di molti, era rivolto alla
città eterna, dove si svolgevano le prime fasi del concilio ecumenico: il decimot-
tavo; il primo a oltre trecento anni dalla grande assise di Trento. Si vivevano
(57) AS 132 Sogni 1, ms. di Don k s c o , 1 f., 137x215 mm., comincia con un
. segno di rimando a un ms. anteriore: « O r a la voce del cielo. . ». E finisce: «Ma tu,
Italia etc. ». Inchiostro seppia. Sul retto del foglio a sinistra in alto con inchiostro viola
Don Berto scrisse: «12 Febbraio 1879 » (data di composizione oppure di manifestazione
della profezia a Pio IX?). I1 frammento è incollato su una busta azzurra che reca scritto
d i mano di Don Berto: «Originale di D . Bosco. Brano di Profezia a complemento di
quella del 12 Febbraio 1870 mandata al S. Padre Pio IX dove lasciavasi sottointendere.. .
il suddetto, il quale venne poi espresso in altre copie a fine di appagare il desiderio di
qualche Pia Persona. L'originale qui mancante avendolo restituito dopo la copia a D. Bosco,
egli lo distrusse raccomandandomi un assoluto segreto che io lui vivo non ho mai violato
malgado le sollecitazioni e indiscrezioni di qualche Superiore (D. Rua) ». I1 dettato delia
busta è dunque posteriore alla morte di DB. Non sapremmo dire su quali elementi Don
Berto fondi la sua protesta circa il segreto da tenere. Forse non avrebbe dovuto
svelare che il veggente era DB. Certo è ch'egli scrisse della profezia da Roma a Don Rua,
ch'era a Torino, invitandolo a parlarne. Cf. più avanti, nota 107.
Rileviamo come la terminologia del frammento differisce alquanto da quella del rima-
nente testo della profezia. I l frammento è rivolto al Pastore dei pastori. I1 ms. Berto nel
rimanente chiama il Papa Venerando Vecchio del Lazio, Sovrano di Roma, il Padre, il
gran Ministro. Senza Ibracolo al Pastore dei Pastori la profezia presentava tre parti tra
loro equilibrate: Francia (visitata quattro volte); Vecchio del Lazio (visitato dal Guer-
riero del Nord); Italia e Roma (visitata quattro volte); epilogo (trionfo della Regina del
Gelo).
(%) [R. BALLERINI], I uaticinii e i nostri tempi in La Ciuiltà cattolica 23 (1872) sez,
8, vol. 6, p. 299 s; 303 S.
MB 9, p. 790 S.
momenti d'incertezia; si temeva una resistenza gallicana al movimento che vo-
leva proclamata l'infallibilità pontificia; si avvertiva nell'aria il rischio di una
frattura. L'Unità Cattolica e la Civiltà Cattolica, ch'erano i giornali letti a Val-
docco, ponevano in evidenza le manovre della Setta contro la navicella di Pietro.
L'episcopato subalpino si era riunito ne1 '69 per decidere l'orientamento da
prendere a Roma. Ma si era mosso dal Piemonte diviso. C'erano fervidi opponu-
nisti come mons. Ghilardi, decisi antiopportunisti come mons. Losana e c'etano
indecisi ma desiderosi di conoscere meglio i termini della situazione ( m ) .
Si viveva tutti sotto la pressione morale dei « nemici della Chiesa ». Ci si
chiedeva che cosa avrebbero fatto durante il Concilio, prima e dopo i pronunzia-
menti dell'episcopato della Chiesa universale. La Setta avrebbe fatto pressioni
perché la Francia ritirasse da Roma le truppe? avrebbe premuto sul governo ita-
liano perché ormai rompesse ogni indugio e desse Roma all'Italia
Anche l'almanacco di Don Bosco, Il Galantuomo per il 1870, aveva concen-
trato l'attenzione dei lettori sul Papa e sui vescovi radunati a Roma, così come
gli apostoli un tempo a Gerusalemme. Nel « gran consiglio » radunato dal Papa
a Roma si sarebbero studiati i rimedi adatti ai « mali gravissimi, onde è d i t t a
la misera umanità ». Lo Spirito Santo avrebbe ispirato. I1 Galantuomo prega e
invita a pregare « perché il nitto succeda a maggior gloria di Dio, al trionfo della
sua Chiesa, e alla salute delle anime (62).
Sotto lo stimolo di questi fatti Don Bosco poté percepire « come in un
lampo » l'intreccio di motivi riguardanti coppie correlative: Dio e l e nazioni
colpevoli, la Chiesa con il suo Capo visibile e i persecutori, l'Italia e la Francia,
Roma e Parigi, il Guerriero del Nord e il Vegliardo, il peccato e la Regina del
Cielo che avrebbe trionfato ancora una volta su di esso.
Così come venne redatta, la profezia si presenta come un fitto tessuto di
reminiscenze bibliche provenienti dalla letteratura profetica del Vecchio Testa-
mento, dal discorso di Gesù sulla rovina di Genisalemme e sull'ultima venuta
e infine dall'ilpocalisse.
Le « visite del Signore » ricordano quelle minacciate da Dio per bocca di
Amos, di Isaia o Geremia a Israele e a Gerusalemme, al popolo infedele e alle
nazioni. Castighi e visite richiamano le visite e i sigilli dell'Apocalisse. La Ba-
bylon magna, la meretrice apocalittica traspare dagli appellativi di minaccia contro
Parigi. Visitare i n uirga ferrea, visitare in lurore, dissolvere et covruere muros,
abbattere la superbia, mettere in angustie la citti, renderla abbominio delle
nazioni, abbattere difese e difensori sono espressioni che si ritrovano a cetiti-
naia in testi biblici (9.
Carestia, pestilenza, fame, morte in terra nemica erano state minacciate
più volte dal Galantuomo nelle sue profezie, specialmente dal '55 in avanti.
(a)N. MENNA, I uescoui italiani anti-infallibilisti al Concilio Vaticano, Napoli 1958.
(6') R. AUBERTI,l pontificato di Pio I X , § 241-251, Torino 1964, p. 477-499.
(62) I1 Galantuomo. Almanacco per Panno 1870, [Torino 18691, p. 4-6.
(63) Molti d i questi termini sono posti in evidenza dalle concordanze bibliche allora
comuni (dei card. Ugone o del De Raze).

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
E già nel '54 Don Bosco aveva divulgato il messaggio della Vergine a La
Salette e alcune interprctazioni poste in giro anche in Piemonte. Filossera,
colera, disagi del mondo agricolo e sconvolgimenti del mondo politico appa-
rivano come aweramento dei castighi divini preannunziati
Un altro segnale d'allarme ben noto a Don Bosco erano le predizioni di
suor Rosa Colomba Asdente, domenicana di Taggia. A Gregorio XVI sarebbe
successo un pontefice Pio di nome e di fatto; applaudito prima, ma poi co-
perto di vituperi. Sarebbe stato spogliato del governo temporale; sarebbe stato
perseguitato e costretto ad abbandonare la sua Sede. In Italia si sarebbe
sollevata una fierissima persecuzione contro la Chiesa a opera degli stessi
suoi figli. Molti bponi sarebbero stati ingannati. Vi sarebbero stati molti
martiri. Alcuni vescovi avrebbero defezionato, ma molti altri avrebbero sof-
ferto assai per la Chiesa. L'Inghilterra sarebbe tornata all'unità cattolica. 11
Turco avrebbe offerto doni di ossequio al Papa e alla fine si sarebbe conver-
tito. In Francia sarebbe tornata la pace quando il fiore bianco dei discen-
denti di S. Luigi sarebbe ritornato sul trono. Russi e prussiani avrebbero
portato la guerra in Italia e avrebbero ridotto la chiesa del monastero di
Taggia in scuderia. Secondo la monaca di Taggia alcune delle sue consorelle
sarebbero state perseguitate e crocifisse. . . Salita su una grande scala tra
due fiumi, uno di fuoco e l'altro di acqua fangosa, si trovò in una grande
pianura e vide sulla sinistra molti religiosi, monache e laici martiriiati e
crocifissi . . .
Con una lettera del 12 giugno 1859 Don Bosco mandò al conte Edoardo
Crotti di Costigliole « la famosa profezia della Monaca di Taggia nel suo
originale ». E avvertiva: « L e cose ivi notate si vanno di giorno in giorno
compiendo; che se tutte si adempiranno avremo un tristo avvenire x ("). 11
Galantuomo per il 1861 ne pubblicava un estratto, notando che i fatti rnera-
vigliosamente si compivano (").
11 Galantuomo per il 1862 riportava da una raccolta di vaticini (sii
cui presto ritorneremo) la predizione di un « villanello di Fiandra » fatta nel
1792. I1 Galantuomo avverte che la predizione « n o n si riferisce soltanto alla
rivoluzione francese del secolo XVIII, ma si estende sin verso la fine del XIX ».
Tra l'altro, il villanello fiammingo preannunziava:
«Gli stranieri entreranno in Francia.. . Gli Austriaci verranno fino alle porte di
Parigi; il loro imperatore morrà all'armata . . . Parigi sarà occupata, poi evacuata e
bruciata. Il disordine e lo sterminio avranno fine prima del cader dell'anno in cui
Gnse(p*el nzBeosscto~,.aRoardccinoaltraieddeil cfuartitoosidiauLvaenSimalcentttie. contempoi.anei, Torino 1.854, p. 79.83:
("Il Epistolario 176.
("i 11 Galantuomo. Almanacco Piemonteselombardo per l'anno 1861 [Torino 18601,
P. 6.. Il testo è riportato daile MB 6, p. 808-811.
tutti questi avvenimenti avranno luogo. Il primo gennaio dell'anno seguente la pace e
la felicità rinasceranuo P7).
La predizione era desunta da un'antologia fortunatissima, edita anonima
da un sacerdote con il quale Don Bosco f u in corrispondenza e di cui anche
sfruttò opere polemiche: mons. Domenico Cerri. Questi nel 1854 pubblicò
la raccolta intitolata I futuri destini degli stati e delle nazioni(@). Nel-
l'agosto del '60 era già alla quarta edizione; nel '61 alla quinta; nel '70 uscì
l'ottava e nel '71 la nona. Nel frattempo il Cerri pubblicò sempre anonime
altre antologie: L'Oracolo (1856) e Il vaticinatore (1862) (69). La tipografia
del Cerri era quella medesima che nel 1860 e nel '61 stampò la seconda e
terza edizione della Vita di Domenico Savio: Tipografia italiana di Francesco
Martinengo e compagnia. I futuri destini del 1859 contengono anche la vi-
sione di Domenico Savio sull'Inghilterra ("). L'Oracolo, come I futuri de-
stini, sono citati dal Galantuomo ("l),. Delle tre raccolte conservava più copie
la Biblioteca di Valdocco.
Le antologie del Cerri hanno inizio con una dissertazione sui carisma
delle profezie, sui criteri per discernerlo dai semplici pronostici o da illu-
sioni di varia natura e sulla possibilità che le predizioni non si avverino, per-
ché condizionate a fattori che possono sfupnire alla stessa percezione del vate
o profeta. Seguono poi predizioni senza alcun ordine, ma con postille che vo-
gliono indurre a ritenerne l'attendibilità, la soprannaturaiità, il compimento
parziale o completo, l'imminenza.
Scorrendo questi volumi, ci si avvede che contengono un po' tutte le fi-
gure e le reminiscenze bibliche che abbiamo notato in Don Bosco. Addirit-
tura sarebbe possibile costruire un testo simile a quello di Don Bosco spigo-
lando qua e là, e strappando dal preciso contesto letterario.
La cognizione deiie cose future, e di quelle che sono rimote è un carattere
tutt'afratto proprio dello spirito di Dio,. . . e così, allorché un uomo con sicurezza
predice le cose venture, oppure scopre quelle che sono lontane, non hassi da porre
nemmeno in dubbio che la mente di lui non sia da lume divino beneficamente rischia-
rata. . .
(67) Il Galantuomo e le sue profezie. Alma~zacco piemontese-lombardo pel 1562
[Torino 18611, p. 75-78.
- . (@l[D. CERRI]I, futuri destini degli stati e delle nazioni, ovucro profezie e predi-
zioni riguardanti i rivolgimenti di t u f f i i regni dell'universo sino alla del mondo. .,
Torino.. Tio. Ital. di Martinen-eo e Bocca 1854. Alle n. 115-119 ~ubblicale predizioni della
monaca di Taggia.
(W) L'Oracolo, ossia nuova raccolta di uaticinii e predizioni. . ., Torino 1856;
11 wticinatore. Nuova racco6ta di ~roferiee ~rcdizioniin continuazione a quella intitolata
I futuri destini degli stati e delli n>zio?zi. .-., Torino 1862.
(m) [CERRI]I, futuri destini.. ., Torino 18593, p. 231s; Torino 18615, p. 281 s;
Torino(?l1)8I7118G, apl.a3n7tu2o-3m7o4.. Almanacco narionale per l'anno comune ed embolismale 1858
[Torino 18571, p. 95; 11 Galantuomo.. . pel 1862, p. 78.
(72) 11 va~icinato~ep,. 8 s (presso la Biblioteca di Valdocca: H. IX. 29).

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
I l dono della profezia non è una grazia, che diasi 'una volta per sempre. .. è un
lume che rischiara la mente e se ne passa; lume che discuopre al profeta qualche cosa
di ciò che ancora non è avvenuto, ma che dappoi il lascia nella sua naturale oscurità
in ordine all'awenire (73).
E un argomento dell'infinita misericordia di Dio. . . (74).
La Santa Madre, la quale fin al presente fu la protettrice della Francia, l'abba-
donerà ben tosto (75).
O cecità! sembra che vada a finire il mondo, e non finiscono per questo i nostri
peccati; I'inclita città, la reina del GaUico Impero, si vede dall'incendio dei suoi
cittadini consunta. . . Fra lo strepito e la paura deli'armi si vive sempre in dubbio di
dover morire di lì a pochi giorni, e pur si pensa a fabbricare case di piaceri e di deli-
zie, come se ciò nulla fosse, e dovessero sempre vivere su questa terra (76).
Francia! Francia! Francia . . . la tila ora si approssima, tu sarai confusa e scon-
volta (n)!
Orribile istante! cadono i buoni ed i cattivi. Babilonia è ridotta in cenere.
Sventura a te, città maledetta (79!
Vidi allora comparire le chiavi rilucenti verso il norte. Un Santo alza le mani al
Cielo e placa I'ira di Dio. - Egli ascende sul trono di S. Pietro (79).
L'uomo del Nord venuto dal poco sarà grandissimo un giorno. L'aquila che spo-
glierà getterà le fondamenta della sua potenza. I n prima si unirà col gallo per dimi-
nuire la fierezza del leone alleato naturale dell'uccello a due teste. Sarà burlato, cen-
surato e deriso, ma presto i derisori saranno per lui. Li suoi soldati batteranno Par.
mata degli aquilotti.
I1 gallo stanco di una guerra ruinosa col leone, farà con lui la pace, e l'aquila
pronta a battere le ali, dimanderà quartiere all'uomo del Nordo, da cui le sarà
accordato, a condizione che, lasciando le armi, custodirà quello che ha (m).
Le lune sono passate, il veglio di Sion (il Sommo Pontefice) grida a Dio di suo
cuore assai addolorato
O Italia, o Roma, Dio ti darà nelle mani di genti che ti dissiperanno sino dai
fondamenti. Manderà in Roma tanti uomini bestiali e crudeli e affamati come leoni
ed orsi, e morrà tanta gente da far stupire chi resterà. Non vi sarà gente che seppel-
lisca i morti, ma si porteranno via sui carri e se ne faran cataste da ardere(=).
O Roma, tu piangerai più che alcun'altra città e sarai fatta stalla di cavalli.
Quando sarà stato sparso il sangue dei figli di Babilonia, gli angioli chiuderanno
i diavoli neli'inferno, e non avranno più potestà di fare come pel passato, e sarà
allora lo spirito buono sopra la terra, poiché, rinnovata la Chiesa, gli nomini si ri-
durranno a ben vivere, e Dio sarà placato (83).
Sulla grande torre splendevano allora i tre stemmi principali, quello della croce
(73) Il vaticinalore, p. 18.
(74) Il vaticinatore, p. 5.
(73) Il vaticinalore, p. 127.
(76) Il vaticinotore, p. 130.
(77)Il vaticinatore, p. 131.
( B ) Il uaticinatore, p. 289.
(79) Il vaticinatore, p. 289.
(m) I futuri dertini.. ., Torino 1854, p. 68 S.
(81) I futuri dertini, p. 84.
(82) Il vaticinntore, p. 243.
(@) Il vaticinatore, p. 244.
bianca con li due leoni fregiava due lati, quello del Pontefice un lato nobile assai,
il quarto fianco teneva un duplice stemma.
Un'iride vaghissima l'incoronava, nel centro della quale appariva l'augustissimo
nome della Regina del Cielo, del colore di ardente rubino, più fiammante del sole
stesso (W).
Grazie al padre della misericordia, la santa Sionne ricanta nei templi un solo Dio
grande. Molte pecorelle traviate se ne verranno a bere al ruscello vivo. . . Iddio è
ancor benedetto per quattordici volte dieci lune, e sei volte tredici lune. Iddio E
il solo padrone delle misericordie, ed egli perciò mole pe' suoi buoni prolungare
la pace ancora durante dieci volte dodici . . lune. » (85).
Come si vede, si tratta di somiglianze abbastanza vaghe, sulle quali cer-
tamente non bisogna insistere. Comunque, avevamo un qualche titolo, debole
quanto si vuole, per evocarle.
Come per i sogni d i Lanzo e d i S. Benigno, anche per la profezia del '70
si pone il problema della esperienza e delle reminiscenze di D o n Bosco, che
poterono entrare alla formazione di quelle « apparenze sensibili » che lui
stesso trovava ancora difficile da « comunicare ad altri con segni esterni ».
d ) LIAVVERAMENTDOELLE PREDIZIONI.
La guerra franco-prnssiana e la breccia di Porta Pia portarono a con-
frontare lo scritto di Don Bosco con i fatti. « Possiamo certificare - scrisse
il P. Ballerini sulla Civdtd Cattolica - che lo abbiam avuto nelle mani prima
che Parigi fosse bombardata dagli Alemanni ed incendiata dai comunisti.
E diremo che ci diè meraviglia il vedervi prenunziata la caduta pure di
Roma, ailorché davvero non si giudicava prossima, né probabile » (=). Tutta-
via soggiungeva:
11 doppio assedio di Parigi, negli anni 1870-71 che sparse la desolazione in
tutti i suoi amenissimi dintorni, alberghi in gran parte di vizii e di corruttele, e l'in-
cendio appiccato ad una porzione della città dai comunisti ribelli, potrebbero far
credere che i vaticinii prenunziatori della sua distruzione si sieno awerati. Ma vi è
chi ne dubita: ed a ragione. I due assedii hanno forte danneggiato quello emporio
d i voluttà; ma non l'hanno distrutto. Parigi esiste ancora ed è sempre, non meno
materialmente che moralmente, la Parigi di prima. Ha qualche edificio di meno e
pur troppo molti peccati di più, che innanzi gli assedii. Sarebbe dolce il confidare
che l'ira di Dio si sia contentata del fuoco del petrolio, acceso dentro le sue mura
l'amo trascorso P (87).
I1 Ballerini dunque propende a credere che il vaticinio non si era com-
piuto. Don Bosco invece manifesta la propria certezza. Componendo la predi-
("i I futuri destini, p. 118. Il vaticinatore, p. 99.
I futuri destini, p. 88.
(8)[R. BALLERINI], I uaticinii e i nortri tempi, p. 299.
(") [BALLERINI], I uaticinii e i nortri tempi, p. 300 S.

28.6 Page 276

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
zione del 1873 destinata a Pio IX dichiara: « La persona che ha comunicate
queste notizie è quella stessa che predisse gli avvenimenti di Francia un anno
prima, e che si avverarono letteralmente. Tra noi si leggevano quelle predi-
zioni che si avveravano giorno per giorno come se fossero scritte in un gior-
nale dopo i fatti » (=).
Le parole che abbiamo riportato meritano di essere considerate. A Val-
docco, per dichiarazione di Don Bosco, c'era chi seguiva gli avvenimenti e
trovava che coincidevano con le predizioni del gennaio 1870. Lo stesso Don
Bosco pare condividere il parere di questi suoi figli. Anch'egli per lo meno
mostra che le sue predizioni si riferivano a fatti il cui compimento era co-
minciato. Inoltre nel. '73 ribadisce la propria convinzione sulla profezia:
senza incertezze egli la presenta come autentica, come frutto di carisma di-
vino.
I1 fatto che il Panteon era stato soltanto danneggiato e non distrutto
con buone probabilità non doveva incrinare la persuasione comune a Valdocco
di quanti conoscevano la profezia. Infatti la glossa scritta da Don Berto nel
1874 dice in proposito: « Gli awenimenti di Francia non sono ancora inte-
ramente compiuti »
2" Messaggi pvofetici a Pio I X e a Fvrincesco Giuseppe (24 maggio - 24
giugno 1873).
a) REDAZIONI E CONTENUTO DEI DUE MESSAGGI.
Del primo di questi messaggi datati 24 maggio - 24 giugno 1873 abhiamo
un autografo di Don Bosco. Per le correzioni che porta, è da considerare come
la minuta per scritti destinati alle stampe, ma in questo caso il messaggio do-
veva soltanto giungere alle mani (o giungere a conoscenza orale) di Pio IX (90).
Intermediario dovette essere il card. Domenica Bartoliii (9').
In termini simbolici è preannunziato un esilio a Pio IX. Egli, alla testa
di un corteo di religiosi, sacerdoti e fedeli, sarebbe uscito da Roma. Non si
dice per quale ragione. I1 corteo si sarebbe mosso nel buio. Le file si sareb-
bero assottigliate lungo il cammino. I1 Papa ne sarebbe rimasto afflitto. Ma
dopo duecento lune avrebbe potuto far ritorno nella città eterna.
Tra l'altro seguono alcune postille illuminanti sul valore della predi-
zione:
«Secondo la medesima persona [che manda il messaggio a nome di Dio] la
Francia, la Spagna, l'Austria ed una Potenza della Germania sarebbero scelte dalla
(88) Cf. MB 10, P. 64.
(89) Cf. MB 10, p. 62.
(90) AS 13212 Sogni, ms. auto@. di DB, inchiostro seppia, 4 p. (un f. doppio),
di cui I'ultima
Era una notte
pagina è
oscura..
.b,>ia.nca,
198x280
mm.
comincia:
« 24
Maggio
-
24
Giugno
1873.
(a)MB 10, p. 57.
Divina Provvidenza ad impedire lo sfasciamento sociale, e darebbero pace alla Chie-
sa da tanto tempo e in tanti modi combattuta.
Gli awenimenti comincierebbero nella primavera del 1874 e si compierebbero
nelio spazio di un anno e qualche mese, purché nuove iniquità non vengano ad op-
porsi ai divini voleri » (92).
In questa profezia il senso dell'imminenza è espressamente fissato da
Don Bosco. La predizione tuttavia è condizionata dal sopravvenire di nuove
iniquità.
Anche del messaggio a Francesco Giuseppe possediamo una minuta di
Don Bosco oltre alla copia Berto del '74. In una glossa non datata Don Berto
avverte che la « profezia conveniva alla posizione politica d'Europa di quei-
l'anno. In seguito le cose mutarono aspetto sia riguardo alla Francia che alla
Prussia P.
La voce del Signore - diceva l'oracolo - invita l'Imperatore d'Austria
a farsi strumento degli arcani voleri divini, divenire «verga della sua po-
tenza » e « il benefattore del mondo ». « Appòggiati - gli dice - sulle po-
tenze del Nord, ma non sulla Prussia. Stringi relazioni colla Russia, ma
niuna alleanza. Associati colla Francia, dopo la Francia avrai la Spagna.
Fate un solo spirito ed una sola azione. Somma segretezza coi nemici del
mio santo nome . . . ».
Don Berto annotò che la lettera fu inviata ali'Imperatore nel luglio
del '73 tramite la contessa Lutzow (93).
Sappiamo intanto che la potenza del Nord destinata a venire in aiuto
della Chiesa era, con tutta probabilità, una potenza deila Germania. Su di
essa il profeta è reticente. Nemmeno dice alcunché sull'Italia; ma si ha il
sospetto che tra i nemici della Chiesa si intendano quanti in quel momento,
secondo la coscienza cattolica intransigente, influivano sinistramente sulle
sorti politiche italiane.
I messaggi del 1873 non si presentano come un fatto isolato, né mostrano
soltanto nessi con la profezia del '70.
I1 Galantuomo per il 1873 ripresenta ai lettori i disastri che avevano
sconvolto gli anni precedenti: « Vi è già stata la guerra, abbiamo veduta la
Babilonia dei nostri tempi, la città più corrotta, ove per fare dispetto a Gesù
1
f.
(q2) AS 13212
scritto solo sul
Sogni,
retto.
Cmoms.inacuiato:gr«. FdaittiDaBn,iminoc.h.io.nst.roDosneppBiaertosu
foglio a quadretti,
con inchiostro viola
vi premise: « 24 Maggio 1873 - 24 Giugno 1873 - Dice il Signore ali'Imperatore d'Au-
stria: -n.
(93) Postilla di Don Berto a sinistra in margine alla copia del '74, alle parole «per-
sona fida»: «cont.sa Lutzow moglie del C.te Lutzow, ambasciatore d'Austria a Roma?
[ambasciatore - Roma? aggiunto nel margine inferiore]z. Lettere di Carolina Lutzow a
DB da Krawska, 4 juin 1868 e novembre 1869, in AS 126.1 e 126.2.

28.7 Page 277

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DoCnrBisotsocosniemllaasntogriiaò dceallranreeligiliosviteànceartdtoìlicsaa.nVtool,II.cSirtceollandata da nemici, priva di pane,
in preda alle fiamme. Fummo spaventati da numerosi e terribili incendi » (%).
Poi passa ai pronostici: a Ai nostri tempi - scrive - Iddio vuol far un
gran miracolo, preghiamo, e quando meno ce lo penseremo udiremo un gran
fracasso, e sarà la torre di Babele che cadrà a terra, come un di al suono delle
trombe caddero le mura di Gerico D (").
Don Bosco dunque appare tra quelli che aspettavano una soluzione so-
prannatnrale ai mali della Chiesa (%). Segno del castigo divino sarebbe il crollo
di una non meglio indicata torre d i Babele (la Rivoluzione? Parigi?). An-
cora una volta gli uomini sarebbero stati toccati dall'onnipotente. Ci si
spiega pertanto come in questo tempo siano frequenti all'Oratorio le pub-
biicazioni di fatti straordinari connessi agli avvenimenti del tempo.
Nel 1871 Don Bosco ripubblica l'Apparizione della Beata Vergine sulla
montagna di La Salette. I n appendice aggiunge un altro prodigio. Una statua
di S. Domenico, a Soriano in Calabria, nel 1870 fu vista da circa trenta
persone poco prima di mezzogiorno « muoversi all'innanzi, quindi retroce-
dere, alzare e poi deporre il braccio destro e corrugando la fronte accompa-
gnare questi moti con isguardi or severi e minacciosi verso gli astanti, ora
mesti ed ora dolci e riverenti quando verso la Vergine del SS. Rosario volge-
vali a quella guisa, come ci vien riferito, che gli evangelisti banditori ado-
prano dal sacro pergamo » (").
« Questi segni sensibili della Onnipotenza Divina - avverte Don Bo-
sco - sono sempre presagio di gravi avvenimenti che manifestano la mise-
ricordia e la bontà del Signore, oppure la sua giustizia e il suo sdegno, ma
in modo che se ne tragga la sua maggiore gloria e il maggior vantaggio delle
anime » (").
Lo stesso anno in appendice a un fascicolo delle Letture Cattoliche
venne pubblicata l'apparizione della Vergine a una figlia di Maria. La Ver-
gine avvertiva che le minacce e i castighi del suo Figlio erano per cadere
sopra gli uomini per il tanto odio che avevano contro il Sommo Pontefice,
contro la Chiesa ed i suoi ministri, per le tante bestemmie, dissolutezze e
violazione dei giorni festivi ». Palesava che non poteva « più trattenere la
mano del suo amato Figlio ». Si moltiplicassero perciò le preghiere, onde
placare lo sdegno divino (%).
Nel 1873 ancora tra le Letture Cattoliche venne pubblicato un Saggio d i
rivelazioni dettate da suor della Natività (Giovanna le Royer). Vi si leggono
. (N) Il Galaatuomo. Almanacco per l'anno 1873.. [Torino 18721, p. 8.
(E)Il Galantuomo.. ., p. 11.
(96) Abbiamo accennato a questo senso di attesa nel nostro vol. 1, p. 210 S.
(m) Bosco, Apparizione della Beata Vergine sulla montagna di La Salette con altri
fatti prodigiosi raccolti da pubblici documenti, Torino 1871, p. 80.
(98) Bosco, Apparizione della Beata Vergine. . ., p. 7.
(99) Conversione di Daniele Martin già ministro calvinista nel Bearn avvenuta nel
sec. decimosettimo e da lui medesimo narrata, Torino 1872, p. 1891.
preannunziate lotte e trionfi di Cristo nei suoi vari misteri: Incarnazione, Pas-
sione, Risurrezione, Presenza eucaristica, vicende della Chiesa in tutti i
tempi.
!
Nel '74 la llpografia dell'Oratorio stampava l'opera del Muzzareiii più
volte ricordata: Delle cause dei mali presenti e del timore de' mali futuri e
suoi rimedi.
l
Questo tipo di profetismo, pur incontrando riserve e resistenze, attra-
i
versava allora larghi strati del Cattolicesimo, proprio mentre fioriva il messia-
nismo alla rovescia degli anticlericali che aspettavano l'imminente croìlo del
Papato e di tutta la Chiesa Romana ('M).
Rimanendo nell'alveo cattolico è possibile seguire il sentimento di at-
tesa sui fogli autorevoli e diffusi che giungevano anche a Valdocco.
Dopo Porta Pia la Civiltà Cattolica non perde le occasioni propizie per
pronosticare la rovina del nuovo Stato italiano. Tutta l'Italia - vi si legge -
I
era in subbuglio. L'Europa non avrebbe sopportato che il Pontefice romano
fosse suddito, non solo nominale, ma reale, del Governo italiano. Nel '71
il re e il governo si erano trasferiti da Firenze a Roma. La Città eterna era
stata per loro un'esca. Come belve erano cadute in trappola. Roma era il
«capestro » che li avrebbe ~trozzati('~').
Sul primo fa'scicolo del 1873 la Civiltà Cattolica faceva il suo oroscopo:
«Non mancano gli eruditi nei vaticinii, i quali annunziano che dentro il 1873
deve terminare, colla cattività del Vicario di Cristo, la oppressione della Città santa,
essendo profetato che deve durare pocb più di tre anni; dopo i quali il braccio deU'On-
nipotente sterminerà i moderni Eliodori ed Erodi coi loro seguaci, e la Vergine im-
macolata ridonerà pace d a Chiesa. Checché sia di tutto ciò, egii è indubiiato che,
universalmente parlando, si entra neii'anno nuovo con una certa cotale trepidazione.
I mali straordinarii che ha recati i'antecessor suo, le cui conseguenze esso eredita suc-
cedendogli, si convertono per esso in auspici di pessimo augurio D.
«La Francia è un campo di battaglia, circondato di fuori dai Prussiani e dentro
messo in iscompiglio dai socialisti.
La Germania, retta da uno stromento deila massoneria, insaziabile di conquiste
e piena di livore contro la Francia vinta, ma non disfatta, anela ad un altro duello con
lei, e duello a morte; e intanto tesse occulte insidie all'Austria, alla Svizzera, al Bel-
gio ed aU'Olanda, di cui agogna i migliori possessi. Ed Austria e Svizzera e Belgio
ed Olanda lo sanno: e allestiscono armi e moltiplicano gli armati e volgon l'occhio
trepido alla potentissima Russia, che simula e dissimula meravigliosatnente i suoi
pensieri, né lascia indovinare di chi ali'occasione sia per iscoprirsi alleata e di chi
nemica D.
«La Spagna è in dissoluzione: ha il collo sotto i piedi di un Re di ventura, che
essa rinnega: ha il corpo straziato da un Governo senza vergogna, a cui vive ribelle.
Cinque o sei fazioni tutte a un tempo vi si contendono il predominio.
L'Italia, unificata dal ferro straniero nel fascio siibalpino, geme in un profondo
('M) Cf. CHABODS,toria della politica estera italiana, Bari 196Z2, p. 234 S.
(101) Cf. B. MALIN~ERRNisoI,rgimento e unità d'Italia ne « La Civiltà Cattolica
(1870.1898) in La Scuola Cattolica 89 (1961) p. 449461.

28.8 Page 278

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Ddoni Bguosaciomnaelllaagsetvoorilae daelldaerfeilnigiirossi.itàI1caGttoolivcear.nVoolcIIh.eStleallapreme, consuma l'agonizzante sua
vita nel servire a quello degli stranieri potenti, che gli promettono un'agonia più
lunga. ..
Nessuno, che abbia una faviila di buon senso cristiano, può eziandio non rico-
noscere in tante scia,gure la destra divina che percuote; e conseguentemente non am-
mettere, che l'amo 1873 comincia fra i colpi tremendi di una Provvidenza flagella-
trice.
Tutto ci muove a ciedere che siamo vicini a quel momento, che, neilo stile dei
santi, si chiama I'ora dt Dzo, ma ora che vien dietro a quella dei trionfi di Sa-
tana » ('O2).
Non senza fondamento l'attenzione dei vati si fissava sul 1873. Potevano
essere applicate a Roma profezie riguardanti l'Anticristo. Egli si sarebbe
impossessato della città di Sion e il suo regno sarebbe durato tre anni e
mezzo (lo3).
3" Gli schiarimenti alla profezia del 1870.
a) ANALISI DI ALCUNE. VARIANTI.
La copia Berto della profezia del '70 subito dopo il testo porta la serie
degli schiarimenti su sedici espressioni: 1 ) Dal sud viene la guerra; 2 ) Dal
nord viene la pace; 3 ) I1 Panteon sarà incenerito; 4) Ma ecco un Gran Guer-
riero; 5 ) Dal nord porta una stendardo; 6 ) Una fiaccola ardentissima; 7) Al-
lora lo stendardo di nero che era divenne bianco come la neve; 8 ) Nel mezzo
dello stendardo in caratteri d'oro stava scritto il nome di chi tutto può; 9 ) Ma
ovunque t u vada; 10) Le Madri dovranno piangere il sangue dei figli e dei
mariti morti in terra nemica; 11) Farò la 4.a visita; 12) Succederà ancor
un violento uragano; 13) E prima che trascorrano due Plenilunii del Mese
dei Fiori; 14) L'iride di pace; 15) I n tutto il mondo apparirà un Sole cosi
luminoso; 16) Sulla destra che lo regge sta scritto: « Irresistibile mano del
Signore ». La data « oggidi 1" marzo 1874 » che si legge a schiarimento del-
l'iride di pace indica - come abbiamo detto - il giorno in cui il documento
venne scritto o portato a termine (lM) .
Alcune varianti in questi schiarimenti ci documentano la perplessità
interpretativa di Don Bosco, di Don Berto e di altri nel confrontare la pro-
fezia con i fatti che venivano accadendo.
I1 testo profetico nella copia Berto diceva, ad esempio, che l'iride di
pace sarebbe apparsa «prima che trascorrano due mesi dei fiori ». La stessa
(1") L'oroscopo dell'anno 1873 in La Civiltà Cattolica 24(1873) ser. 8, vol. 9,
p, 446s.
(103)
servante,
Cf. ad esempio Il vaticinatore,
Esposizione genuina e letterale
pd.el2l'7a4m-2m8i4r,abeilAlinbgreolo dVelilt'AtoproiocaRlisOseS.A.,m. ,inSoraeluzozso-
1839, p. 99 (commento ad Ap. 17, 9s). Aveva copia di questo libro la biblioteca di
Valdocco.
(m) Cf. sopra nota 56.
lezione si trova negli schiarimenti. Ma sia nel testo che negli schiarimenti
Don Berto corresse. L'iride sarebbe apparsa «prima che trascorrano due
plenilunii del mese dei fiori ». I l senso veniva notevolmente cambiato.
La profezia non si riferiva più a due mesi di maggio (cioè, al mese dei Sori
consacrato a Maria, come si diceva nella letteratura popolare mariana del
tempo) (le). I1 termine risulta più determinato. Sarà dipeso ciò da un ripen-
samento sulla primitiva percezione o d a altre circostanze? Sarà dipeso dal-
l'aver constatato che nel '74 maggio aveva appunto due pleniluni?
Lo schiarimento, cosi come suona, porta l'attenzione su tale circostanza:
<< I n quest'anno 1874 il mese di maggio ha due plenilunii. Uno il l", l'altro il
3 1 dei mese medesimo ». La postilla dunque tiene già conto della correzione
introdotta nel testo relativo al '70 e negli schiarimenti, dove i due mesi dei
fiori sono trasformati in due plenilunii del mese dei fiori.
Il Galantuomo per il 1874 (annunziato dalla Civiltà Cattolica già nel
gennaio) invitava a fare attenzione alle lune. L'almanacco - vi si legge -
« è utile, perché indica le fasi della Luna per ricordarci sempre di Maria pulchra
ut Luna >> (l"). Don Berto, a sua volta, scrivendo da Roma a Don Rua 1'8
marzo del '74 teneva desta l'attenzione sulla profezia:
«Credo che terrà ancora presso di sé la profezia ecc. Osservi nn po' dove dice:
Non passeranno due plenilunii del Mese dei Fiori prima che i'iride di pace ecc. Sin-
golarità! In quest'anno il Mese dei Fiori ha appunto 2 plenilunii l'uno al 1" l'altro
al 31 del detto mese.
~
~
Appoggiati sopra questo molti cominciano [ad] aprire il cuore aiia speranza.
Fiat » (1").
Su u n taccuino notava:
« Alla sera del giovedì 5 marzo uscimmo a passeggiare per la via del Pincio.
D. Bosco parlò di Profezie. Tra le cose che si dissero furono queste: Quella lettera
spedita aii'lmperatore d'Austria l'ebbe proprio nelle sue mani; secretamente la
lesse e poi lasciò a ringraziare quella persona che gliel'aveva mandata dicendo: che
se ne sarebbe servito. Fu mandata nel mese di Liigiio del 1873 [del 1873 aggiunto
con inchiostro viola da Don Bertol.
Diffatti i giornali dissero che l'imperatore d'Austria andò agli 11 Febbraio 1874
11874 aggiunto in sopralinea da Don Berto con inchiostro viola] a trovare YImpe-
ratore delle Russie. I giornali liberali dicevano che andava per affari di commercio.
Ma i Cattolici dicevano che era per qualche cosa di più.
Io dimandai a D. Bosco come faceva a saper queste cose ed egli: Coll'otis
botis pia tutis, ridendo. Ma io insisteva me lo dicesse. Egli allora preso un aspetto
serio: Ah no! in queste cose non conviene insistere. Non si può, ecco e non si
deve . . . [ , ecco e non si deve aggiunto da Don Berto con inchiostro viola] 1, ('m).
('a)Ad esempio: Il mese dei fiori consacrato a Maria Santissima. Libricciuolo pel
popolo, Monza 1856; 11 mese dei fiori sacro alla Reina degli Angeli. .., Torino 1863.
(1")
Il Galantuomo. Almanacco oer l'anno 1874
ITorino
18731-.,
D.
L
13.
('Q') AS 9.126 Rua-Berto.
(lm) AS 110.13 Berto, p. 73 S.

28.9 Page 279

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Colpisce la spiegazione data al misterioso Gran Guerriero. Lo schiari-
mento che si legge, mano di Don Berto, suona: D. Carlos (una profezia dei
Futuri destini annunziava che il Gran Monarca restauratore della Chiesa,
contemporaneo al Santo successore di Pietro, si sarebbe chiamato Carlo) (lm).
Successivamente « D . Carlos. » con punto fermo, viene cambiato con
- punto interrogativo, nonostante gli schiarimenti dati a proposito della pace,
che doveva venire dal Nord. «Dal nord della Spagna » aveva scritto
Don Berto. E Don Bosco di suo pugno aveva modificato: « Da1 nord della
Spagna, ove cominciò la guerra attuale. Inoltre D. Carlos dimorava a Vienna,
che è al Nord dell'Italia n.
- Più tardi anche L'interrogativo venne risolutamente superato, « N o - scris-
se Don Berto con inchiostro nero L'Imp. [ l'apostrofo è con inchiostro
uiola ] Guglielmo di Prussia D.
In altri punti il testo ci discopre il tormento e le incertezze degli inter-
preti man mano che le circostanze mutano. Ultima variante pare sia la glossa
ai figli d'Italia che sarebbero morti in terra nemica. Una mano tardiva aggiunse
a matita: Dogali; Massacri Dogali in Afvica alludendo alio scacco subito dal
tenente colonnello De Cristoforis in Eritrea il 26 gennaio 1887.
Ma più che le varianti tardive di mano ignota c'interessano gli schiari-
menti in sé, per le loro dichiarazioni relative al pretendente di Spagna Don
Carlos di Borbone-Este e poi relative a Guglielmo I.
Don Bosco e Don Berto poterono rimanere colpiti dalle coincidenze
tra il Gran Guerriero che portava la pace dal nord e quanto con palese sim-
patia l'Unità Cattolica scriveva sulle imprese carliste nel nord della Spagna.
Quasi ogni giorno il periodico torinese metteva in evidenza i successi dei
carlisti. I1 giovedì 5 marzo '74 portava in prima pagina un articolo su Carlo
Alberto e i carlisti. Come Cado Alberto aveva sostenuto Cado VI, così i
cattolici dovevano essere solidali con Carlo VI1 e plaudire alle sue vittorie.
Quando la sorte di Don Carlos non fu più prospera, l'Unità Cattolica
smorzò i propri entusiasmi. Le speranze in seguito potevano puntare timi-
damente proprio al nord della Germania. Speranze non peregrine, già venti-
late nel '73 da qualche cenacolo cattolico di Firenze ("O).
Le profezie del '70-71 con gli schiarimenti del '74 ci danno un buon
termine orientativo per misurare il valore dei passi fatti da Don Bosco come
intermediario tra S. Sede e governo italiano circa la temporalità dei vescovi
o la nomina di prelati per le sedi vacanti. I1 suo è un atteggiamento simile a
quello dei profeti del Vecchio Testamento. Egii non pone in evidenza il
valore politico di personaggi o di alleanze; ma piuttosto il bene etico-religioso
(1") I futuri destini.. . A Torino 1871, p. 190. Cf. anche p. 121; 141-143 e Il
valicinatore, p. 94 S.
(110) MALINVEANI, Risorgimento e i~nitd d'ltalio. . ., p. 447 S.
che potrà derivarne: il bene della Chiesa Cattolica, come religione personale
e come società.
Le sue attenzioni vanno ai Borboni. Nel '74 sono per Don Carlos;
più tardi andranno al conte di Chambord. Elemento sintonizzante è la comu-
nione di fede cattolica praticata e fatta praticare. I1 ragionamento che sembra
starvi al di sotto è: chi è un buon cattolico è benedetto da Dio, illuminato
da Lui. Un buon cattolico è un buon politico, è rispettoso verso la Chiesa.
Don Bosco insomma, pur nella duttilità pratica, dimostra la tipica attitu-
dine di molti cattolici dell'Ottocento i quali per nulla erano disposti a tran-
sigere su principi e su fatti che noi oggi giudicheremmo abbastanza scindibili
dai valori religiosi, ma che a loro apparivano come vitalmente connessi; cat-
tolici perciò i quali per nulla erano disposti a simpatizzare con persone che
apparivano positivamente avverse alla religione (alla fede cattolica e alla
società gerarchica).
5. Il « sogno » delle due colonne (fine maggio 1862)
1" La trama.
Alle visioni e ai messaggi profetici del 1870-74 si accosta per il suo
argomento il « sogno » delle due colonne. Don Bosco non se ne servì per
messaggi a persone illustri, ma lo narrò semplicemente ai suoi giovani, più
di cinquecento, nel sermoncino serale del 30 maggio 1862 ("l).
La trama è Ijneare. La nave comandata dal papa attraverso un '-pare in
tempesta si dirige verso due colonne dalle quali pendono ancore' e ormeggi.
Una delle colonne è sormontata da una statua della Vergine Immacolata,
ai cui piedi pende un cartello con la scritta: Auxiliunz Christianorum e I'al-
tra, più alta, è sormontata da una grande Ostia con sotto la scritta: Salus
cuedentium. Navi più piccole ne contrastano il percorso lanciando libri e
scritti incendiari, danneggiandola con colpi di cannone o speronandola con
i rostri delle loro prore. Tutto riesce invano. Si alza sempre una brezza che
risana le falle. I1 papa viene coipito una volta, ma aiutato dai suoi, si rialza.
E colpito una seconda volta e muore. La notizia della morte si diffonde in-
sieme a quella del nuovo capitano eletto. Questi riesce a ormeggiare la nave
tra le due colonne. Avviene allora un grande scompiglio tra le navi nemiche.
Molte dondano e cercano di rovinare le altre. 'lcune, che avevano combattuto
per la nave del papa o che si erano tenute a prudente distanza, a loro volta
si accostano alle due colonne e vi si ancorano vicino alla nave del pontefice.
2" Le redazioni.
Non ci è pervenuta nessuna redazione dovuta alla mano di Don Bosco.
Le più antiche che conosciamo sulla traiettoria delle Memorie biografiche
(lLL) Cf. MB 7 , p. 169-173 e più avanti, gli allegati relativi a questo sogno

28.10 Page 280

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DosnonBooscdouneelllaestttoerriae deinllaviraetliegioaslitàccaavttaolliiceare. VoFleIdI.eSrtieclloa Oreglia di S. Stefano da due
giovani dell'Oratorio. Una venne scritta il mattino dopo il sermoncino dal
chierico Giovanni Boggero e l'altra, il cinque giugno, da Cesare Chiala ('l2).
Presentiamo anzitutto la relazione Chiala. È una lettera scritta di getto
e l',autore stesso se ne scusa con il destinatario. Invano dunque se ne cer-
cherebbe la minuta. È importante l'esordio per le divergenze che manifesta
-rispetto al testo edito sulle Memorie biografiche. Le preghiere della sera
narra il Chiala - erano state recitate sotto i portici, così come si usava
nella heila stagione. Quando furono concluse sul cattedrino per il sermone
di buona notte salì Don Alasonatti. Questi dunque non era informato che Don
Bosco desiderava parlare o piuttosto s'era portato innanzi perché credeva Don
Bosco assente.
Don Bosco venne accolto con vivissima simpatia. Esordi scusandosi se
doveva annunziare alcuni castighi a carico di giovani che avevano commesse
gravi mancanze. Poi s'introdusse suscitando l'interessamento dei giovani:
« Vi aveva promesso di raccontarvi qualche cosa [.. .l Ma I'ora è un po'
tarda . . . ». I giovani si dimostrarono desiderosi di sentire. Don Bosco pro-
seguì annunziando che avrebbe raccontato « un apologo, una similitudine »
e invitò tutti a stare attenti per comprenderne il senso. Si fece silenzio pro-
fondo. Chiala asserì ch'ebbe allora il presentimento che Don Bosco stesse
per fare qualche profezia.
Don Bosco, dunque, secondo Cesare Chiala non esordì annunziando un
sogno e avvertendo che i sogni sono sogni. Egli avrebbe dichiarato soltanto
che esponeva un apologo. Tale asserzione collimerebbe con la serie di schia-
rimenti che egli diede insieme a Don Rua: « I1 mare significa il mondo, le
navi piccole e la nave su cui siede il Papa, è (sic) le potenze del mondo e
la Chiesa ». « La morale poi è che due soli mezzi abbiamo per tenerci saldi
in questo scompiglio, la divozione a M. V. e la frequenza ai Sacramenti D.
Le spiegazioni date non solo tendono a descrivere una situazione della Chiesa
di cui si è compartecipi, ma anche vogliono condurre a prendere buone riso-
luzioni in quel giorno di chiusura del « mese di maggio ». Quelle che Don
Bosco propone non sono desunte dall'immagine della nave o del combatti-
mento, ma da quella delle due colonne, che appunto neli'apologo hanno
(Il2) Cf. avanti, all. 1 e 2. Cesare Chiaia n. a Ivrea il 17 maggio 1837. Trasferitosi a
Torino, frequentò I'Oratorio. Vi entrò dehltivamente il 29 sett. 1872, fece la vestizione
chiericale il 14 febbr. 1874, emise i voti triennali a Lanzo il 26 sett. 1873 e q u a per-
petui il 7 luglio 1874. Ricevette la tonsura a Casale il 23 agosto 1874. Due mesi dopo era
gih ordinato sacerdote, il 4 ottobre 1874. Mori a Torino il 28 giugno 1876.
Giovanni Boggero n. a Cambiano nel 1842, entrò ali'Oratorio come studente il
26 ott. 1855. Nel 1859 aderì alla Societa Saiesiana, ma poi passò al clero secolare. Mori
improvvisamente, come DI3 aveva predetto, nel 1869. Su di lui 6 . Indice MB e l'indice
deli'Epistolario.
Anche sul cav. Federico Oreglia di S. Stefano, prima salesiano, poi gesuita, cf. le
MB e I'Episrolario. Di lui si conserva aVAS 275 un nutrito carteggio.
un valore risolutivo in ordine al fatto sostanzialmente simboleggiato della
lotta e del trionfo della Chiesa.
La testimonianza del chierico Boggero (forse preceduta da una minuta) è
alquanto meno ricca di particolari. Nulla dice sull'esordio relativo ai castighi.
Dopo convenevoli all'Oreglia passa senz'altro a riportare Ie parole di Don
Bosco sul combattimento navale, senza nulla premettere sulla natura del
racconto, senza nulla dire, cioè, se si tratti di un apologo. o di una profezia.
Nella chiusura della lettera però fa l'ipotesi che si tratti di « uno de' soliti
sogni » di Don Bosco, riguardante il futuro, ma espresso in termini tali da
lasciare aperta la strada a molte congetture.
Rispetto alla relazione Boggero quella posteriore del Chiala manifesta
fondatameilte indipendenza nella forma. Ma la sostanziale coincidenza nei
fatti e nelle spiegazioni ci garantisce I'attendibilità che hanno le due testi-
monianze. Un solo esempio:
Boggero:
« Supponete di trovarvi con me sulla
spiaggia del mare [.. .l quivi vedete
tutta quella vasta superficie del mare co-
perta di tante navi armate ciascheduna
ali'estremittl d'avanti di un acuto ponzone
a mo' di strale [.. .l D.
Chiala:
« Figuratevi, ci disse, di essere sulla
riva del mare e di non vedere altro spa-
zio di terra se non quella che vi sta sotto
de' piedi. Su tutta la superficie del mare
si vede u n ' i h i t à di navi, tutte terminate
da un rostro di ferro acuto che fora dap-
pertutto dove si caccia ».
L'identica serie di immagini è espressa con termini affini. E d trovano
il punto di congiunzione nella superficie del mare e la massima trasparenza
di piemontesismi nell'acuto ponzone che si legge nella relazione Boggero.
In linea con le Memorie biografiche sono da segnalare altre due rela-
zioni: quella che si legge in un quaderno della Cronaca di Don R d n o e la
redazione di Don Lemoyne sul volume dei Documenti relativo al 1862 ('l3).
Quanto alla prima occorre notare che il quaderno in questione non è
scrittura di Don Rufìino, ma di Don Lemoyne. Morto nel 1865 il Ruffino,
Don Lemoyne gli succedette come direttore del collegio di Lanzo. Ne ereditò
anche le carte e trascrisse di proprio pugno la Cronaca.
Non inquieta il fatto che non si trovi l'autografo di Don Ruffino. Que-
sto poté andare disperso e distrutto. Don Lemoyne da parte sua garantisce sui
Documenti e sulle Memorie biografiche cb'ebbe sottomano tale relazione.
E importante constatare che questa a noi nota non è altro che la rela-
zione Chiala. Basta a persuadersene il confronto con l'esordio:
«La sera del 30 Maggio 1862 (venerdi) D. Bosco raccontò questo apologo o
similitudine come egli l'appellò. Figuratevi di essere sulla riva del mare e di non
vedere altro spazio di terra se non quella che vi sta sotto i piedi. In tutta la superfi-
013) Cf. ali. 3 e 4

29 Pages 281-290

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29.1 Page 281

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
cie delle acque si vede una infinità di navi le quali son tutte terminate da iiu rostro
di ferro che ove si caccia fece [fora?] e trapassa n.
Sembrerebbe che Don R&o abbia trovata soddisfacente la lettera
del Chiala, l'abbia avuta sottomano e l'abbia trascritta accettandone anche
correzioni ed emendamenti:
Chiala:
« Finché, dileguati nei gorghi del ma-
re i rimasugli di tutta Csicl le [le
emendato da quella flottiglial navicelle
disfatte s.
Rufhno:
« Finché dileguati nei gorghi del ma-
re tutti i rimasugli di tutte le navicelle
disfatte ».
La redazione dei Documenii consta di due colonne stampate e postille
autografe di Don Lemoyne. Risulta amitutto evidente la dipendenza del
testo a stampa dalla Cronaca di Don RutGuio:
Documenti:
« D. Bosco raccontò ai giovani il seguente apologo o similitudine come egli
voìle appellarlo: - Figuratevi di essere con me sulla riva dei mare e di non vedere
altro spazio di terra se non quello che vi sta sotto ai piedi. In tutta qiiella vasta su-
perficie delle acque si vede una moltitudine inn~vnerevoledi navi, le quali sono
armate e terminate a prora da un rostro di ferro acuto a mo' di strale, che ove si
caccia ferisce o trapassa ogni cosa D.
I1 termine appellare non c'è suUa relazione Chiala, ma solo nella Cro-
naca Ruffino. Chiala inoltre scrive: su tutta la superficie. Ruffino e i Docu-
menti portano: in tutta la superficie.
I Documenti già annunziano le Memorie biografiche. L'espressione:
moltitudine innumerevole di mvi si legge nelle Memorie e nei Documenti;
Chiala e R u h o scrivono: una infilaità di navi.
A mo' di rtuale si trova in Boggero, Documenti e Memorie biografiche;
manca in Chiala e in Ruffino.
Con buon fondamento il testo a stampa dei Documenti dichiara: « I
Chierici Boggero, RuiTno e il giovane Chiala che poi fu prete, scrissero
questo sogno, lasciando cosf tre documenti preziosissimi D.
Le varianti più vistose dei Documenti rispetto alle fonti si trovano
nelle postille marginali a mano. Colpisce anzitutto che Don Lemoyne non
dica una parola sulle punizioni annunziate da Don Bosco e piuttosto si decida
a preporre a mano un esordio del tutto diverso, che poi dai Documenti passa
alle Memorie biografiche:
«Vi voglio raccontare un sogno. È vero che chi sogna non ragiona, tuttavia, so
che a voi racconterei persino i miei peccati, se non avessi paura di farvi scappar tutti
e far cadere la casa, tuttavia ve lo racconto per vostra utilità spirituale. L'ho fatto
sono alcuni giorni P.
l
Un'altra aggiunta marginale tocca la stessa sostanza della narrazione
simbolica. La nave comandata dal papa nei testi Chiala, Boggero, e R u h o
era descritta semplicemente come più alta delle altre che l'assalirono o che
dopo la lotta le si strinsero attorno. Le addizioni maiginali la presentano
come una « maestosa nave ammiraglia »:
«Intorno a questa come maestosa nave ammiraglia manovrano altre moltissime
navi che da lei ricevevano il comando difendendosi dalle flotte avverse. Il mare era
in burrasca e questa sembrava favorire i nemici. Ma il comandante generale, il Pon-
tefice, vedendo il mal partito in cui si rrovano pensa di radunare intorno a sé i pi-
loti delle navi secondarie per far consiglio e decidere sul da farsi. Tutti i piloti si
radunano attorno al Capitano tengono consesso, ma infuriando sempre più la tem-
pesta sono mandati a governare le proprie navi perché non affondino.
Fattasi nuovamente un po' di bonaccia il capitano raduna per la seconda volta
intorno a s&i piloti, mentre la nave ammiraglia segue il suo corso D.
La situazione cambia notevolmente. La battaglia non è più tra una nave
contro molte, ma tra due flotte. Nell'adunanza tenuta sul ponte della nave
ammiraglia sembrerebbe si possa intravvedere un'allusione al Concilio Va-
ticano, le cui fasi erano ormai ben note a Don Lemoyne. Non sappiamo
comunque donde provengano questi particolari. È certo che non si leggono su
quei « tre documenti preziosissimi >> dei quali unicamente fanno menzione
i Documenti del Lemoyne. I consessi tenuti sulla nave ammiraglia lasciano
alquanto perplessi. Stando alle testimonianze più antiche la nave su cui
stava il papa non era simbolo della S. Sede, ma della Chiesa. Il simbolismo
ben rispondeva alla mentalità di Don Bosco e a quanto la pnbblicistica catto-
lica allora scriveva a proposito delle lotte e dei trionfi della Chiesa e del
papa. E anzi la spiegazione esplicita che danno Chiala e Boggero e che la
Cronaca Ruffino accetta è che la grande nave su cui sta il Papa è simbolo
della Chiesa, le navicelle sono simbolo degli uomini e delle persecuzioni. Le navi
che al termine della lotta raggiungono le due colonne secondo la congettura di
Cesare Chiala sarebbero « le nazioni infedeli che s'accosteranno alle fede )).
: Sembrerebbe insomma che il sermoncino serale del 30 maggio 1862 non abbia
voluto evocare una flotta contro l'altra. Piuttosto la flotta fedele al papa,
come simbolo delle chiese particolari in comunione con quella di Roma, poté
essere stata suggerita a Don Lemoyne dal dettato della relazione Boggero:
«Comparve sulla grossa nave un nuovo Pontefice che tutti sbaraglia le già va-
cillanti navi, e siciiro colla sua nave s'incammina verso le due colonne. Giunto che
fu in mezzo ad esse attaccò la punta d'avanti ad un'ancora [.. .l AUora si videro
molte delle piccole navi, alcune cbe avevano comhattiitto per essa, altre in lunghis-
sima lontananza [.. .l correre alle colonne D.
Ma quanto si legge sulla relazione Boggero ci persuade che l'attenzione
venne concentrata sulla nave del Papa, simboleggiante la Chiesa. Le altre
navi simboleggiano gli uomini (le nazioni, i buoni e i cattivi) e non sembra

29.2 Page 282

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
che Don Bosco abbia badato a sottolineare la dilirazione del simbolismo affidato
all'immagine della nave.
[Don Bosco] interrogò D. Rua che cosa pensasse di questo racconto. Egli disse.
Mi pare che la nave del Papa sia la Chiesa E . . .l Ora quei che difendevano la Chiesa
siano i buoni, affezionati alla S. Sede, gli altri i suoi nemici ».
L'interpretazione di Don Rua viene confermata da quanto Don Bosco
suggerisce allargando maggiormente l'area del simbolismo:
«Dicesti bene, bisogna soltanto correggere un'espressione; cioè, le navi dei
nemici sono le persecuzioni che si preparano (sic) alla Chiesa. QueUo che finora f u
è quasi nulla 2 .
Don Bosco, comunque, ricondusse l'attenzione, più che sugli uomini, sulle
navi e le sue spiegazioni si portarono sulle navi che assalivano quella delfa
Chiesa.
I1 testo delle Memorie biografiche dipende a sua volta da quella dei
Documenti. Non ha l'annunzio di castighi, ma il preludio che abbiamo rile-
vato più sopra. Un confronto minuto metterebbe in rilievo piccole aggiunte
tendenti a rendere più drammatica la descrizione della battaglia. Le novità più
importanti sono due. Don Lemoyne chiama in causa oltre alle relazioni
Chiala, Boggero e Ruftino, una quarta testimonianza dovuta al chierico Se-
condo Merlone ("'). Questa però oggi è irreperibile. Sarebbe stata una delle
due che, secondo quanto scrive Don Lemoyne senza maggiormente precisare,
riferirono il sermoncino serale del 30 maggio 1862 a una certa distanza di
tempo. Forse ci avrebbe aiutati a chiarire le petplessita fatte nascere daile
postille marginali di Don Lemoyne alla redazione dei Documenti.
La seconda novità è rappresentata dalla testimonianza del canonico
Giovanni Battista Bourlot ("'). Questi rievocò il « sogno » delle due colonne
nel 1886 presenti Don Bosco e Don Lemoyne. Nel '62 era stato a Valdocco
tra gli uditori. Basandosi su tale fatto sostenne vivacemente che i pontefici
caduti e morti erano stati due. Don Bosco lasciò che il canonico narrasse e si
limitò a richiamare l'attenzione di Don Lemoyne su quanto l'antico allievo
diceva. Ancora nel 1907 il canonico sostenne la propria tesi, ma giustamente
Don Lemoyne sulle Memorie biografiche avanza i propri dubbi. Aggiungiamo
soltanto che anche la testimonianza (con tutta probabilità solo orale) del ca-
nonico Bourlot potrebbe essere all'origine delle aggiunte manoscritte ai
Documenti.
("4) Secondo Merlone da S. Damiano d'Asti nel 1845 venne accolto ttedicenne al-
I'Oistorio ne1 2 novembre 1859. Era odano di padre (reg. anagrafe e contabilità); aveva già
compiuta la terza classe di latinità. Venne ordinato sacerdote nel 1868: cf. lettera di DB
al cav. Oregiia, Torino, 25 mano 1868, AS 131.01 Oreglia; Epistola*io 650.
('1') Giov. Battista Bourlot n. a Fenestrelle il 5 apr. 1844, entrò già chierico all'ora-
torio il 1 dicembre 1861 (reg. contabilità) e ne USCnIellaagosto1863 (reg. anagrafe).
552
7" Coincidenze culturali e natuua del « sogno » delle due colonne.
Comunque sia la situazione documentaria, appartengano o no alla nar-
razione orale del 30 maggio 1862 tutti i particolari che si leggono sui Do-
cumenti o sulle Memorie biografiche, nel suo complesso il « sogno » risulta
materiato di elementi comuni al modo di vedere di Don Bosco e della cultura
religiosa del suo ambiente.
I1 fatto risulta sutficientemente da quanto abbiamo già esposto sulla
Chiesa, sulla società del secolo decimonono e sui motivi del sentimento
religioso mariano. A metà Ottocento erano comuni le varie immagini ricor-
renti nel sogno: la Chiesa simboleggiata dalla navicella di Pietro, la Chiesa
novella arca di Noè, la Chiesa tra i flutti bnrrascosi del mondo, assalita
da una gran quantità di nemici e nondimeno trionfatrice. La battaglia di
Lepanto poteva essere sentita in chiave ora ecclesiale ora mariana. I1 ti-
tolo Auxilium Chuistianorum, introdotto secondo quanto comunemente si
credeva, dopo la vittoria dei Cristiani sui Turchi, poteva ricordare che Maria
assisteva prodigiosamente la Chiesa nelle sue battaglie. A Lepanto un veuto
provvidenziale aveva favorito la flotta cristiana. Tra i flutti in tempesta il
credente era invitato a guardare la stella del mare: respice stellam, voca
Mariam. Nell'imperversare delle forze maligne i sacramenti erano visti come
le colonne di sostegno per la vita cristiana, così come il culto mariano. Maria
Immacolata, inoltre, proprio a poche centinaia di metri da Valdocco, domi-
nava nella piazzuola della Consolata su una colonna votiva eretta dopo lo
scampato colera del 1835. L'Auxiliuni Christianorum era stata festeggiata
pochi giorni prima del sermoncino serale e il 27 L'Armonia aveva, pubblicata
la prima relazione di mons. Arnaldi sulle apparizioni di Spoleto. In quei
tempi ormai più stretto si stringeva il cerchio degli « italiani » attorno alla
sede del Pontefice e più angosciante appariva il dilagare delle persecuzioni
contro la Chiesa, contro i vescovi e contro lo stesso Oratorio, preso di mira
dalle perquisizioni.
Non è possibile insistere su specifici nessi tra le rappresentazioni reli-
giose ottocentesche e quelle alle quali è affidato il pronostico o la ~rofeziadel
30 maggio 1862: la documentazione non offre in tal senso addentellati
validi. Le profezie di Don Bosco, tutto sommato, si presentano secondo
l'orientamento della sua sensibilita religiosa e secondo la coscienza catto-
lica di cui era compartecipe ed esponente: i futuri destini della Chiesa sa-
rebbero stati inizialmente tristi, ma sarebbero stati seguiti da eventi gloriosi.
La Chiesa dopo il tempo di persecuzione avrebbe avuto quello del trionfo.
Rimane l'interrogativo sulla natura del « sogno ». E legittimo chie-
dersi come del resto fecero Cesare Chiala, Boggero e Don Lemoyne, che cosa
t
in concreto precedette l'esposizione orale. Chiala è persuaso che l'apologo
in realtà è una profezia; Boggero esprime il parere che sia « u n o dei soliti
sogni » di Don Bosco e che trasmetta qualcosa che dovrà avvenire. Don
Lemoyne accoglie le due interpretazioni. Non fu né il primo né i'ultimo caso
in cui Don Bosco diede adito a questo tipo di congetture: presto io vedremo a

29.3 Page 283

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DpornoBpoossciotonedllai
storia
una
della religiosità cattolica. Vol II. Stella
predizione di morte fatta proprio
in
quello
stesso
anno
e
verificatasi un mese prima che Don Bosco narrasse il suo « apologo » delle
due colonne. Sebbene questo apologo esprimesse una predizione molto ge-
nerica e comune alla pubblicistica cattolica contemporanea, gli ascoltatori
avevano ben motivo per considerarlo appunto « u n o dei soliti sogni » di Don
Bosco, un sogno di origine soprannaturale, cui era affidato un messaggio
divino, svelato al cenacolo prediletto di Valdocco.
I l comportamento di Don Bosco, la natura reticente della documenta-
zione e la genericità dei fatti non permettono di spingerci oltre. N d a abbiamo
oggi di nuovo per stabilire con maggiore sicurezza se il racconto sia stato
effettivamente preceduto da un vero e proprio sogno. Nulla abbiamo di
più perentorio, rispetto a Don Lemoyne, che ci induca a identificare qual-
cuna di quelle predizioni con fatti cccaduti.
6. Le predizioni di morte (il decesso del giovane Vittorio Maestro)
Connesse ai sogni sano le numerosissime pre zioni di morte fatte da
Don Bosco per lo più in occasione dell'esercizio mensile della buona morte
a Valdocco. Talora Don Bosco annunziava che uno dei suoi ascoltatori non
sarebbe giunto a fare l'esercizio del mese siiccessivo, perché la morte lo
avrebbe rapito. Nel linguaggio allegorico e allusivo che adoperava spesso
giungeva a manifestare circostanze sul decesso e sulla sepoltura.
Riguardo a questo tipo d i annunzi non conosciamo autografi di Don
Bosco; abbondano tuttavia le testimonianze coeve. Queste permettono di
scandagliare in una qualche misura il processo genetico della predizione e il
succedersi dei fatti.
1" La predizione
A titolo di esempio analizziamo il caso del giovane Vittorio Maestro,
morto il 25 aprile 1862. I1 preanuunzio di Don Bosco è del 20 marzo.
Costretti a fare una selezione delle testimonianze, riferiremo in sinossi la
Cronaca di Don Bonetti e una relazione del chierico Secondo Merlone ("6).
L'uno e l'altro furono testimoni immediati. La Cronaca riporta i fatti man
mano che accadono. Merlone invece li rievocò qualche tempo dopo, ma prima
della sua ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1868 ('l7). Accenna a una porta
d i accesso alla falegnameria non adoperata prima del tempo in cui redasse la
propria testimonianza. Questa sembra perciò posteriore all'estate 1864. I n
tal tempo infatti vennero compiuti traslochi e sistemazioni nell'interno del-
l'oratorio ('").
di
(116) BONETTIA, nnali 1861-62, p. 57-59 (AS 110 Bonetti 2); AS 111 Merlone.
(117) Cf, sopra, nota 114.
("8) MB 7, p. 123-125. I1 modo come Don Lemoyne adopera le fonti in questo caso
ci awerte del valore non sempre assoluto che hanno sotto la sua penna le virgolette.
Riportiamo a titolo di saggio il prologo: « 11 21 marzo d a sera, scrive D. Bonetti, saliva la
I due racconti, amalgamati da Don Lemoyne, costituirono la trama delle
Memone b~ogvufiche
Don Bonetti:
4 Ieri sera 21 Marzo D. Bosco ci disse
quanto segue:
Figuratevi di vedere i giovani della
casa in ricreazione, chi a saltare e a cor-
rere, chi andare e venire.
Esce intanto un personaggio il quale
alcuni giri nel cortile, poscia viene
sotto al porticato, e s'avvicina ad un gio-
vane che se ne sta in un angolo, e
gli presenta un biglietto.
Ch. Merlone:
« I n principio del mese di Maggio del-
l'anno 1862 D. Bosco raccontava ai suoi
giovani il seguente sogno.
Mi sembrava essere appoggiato alla fi-
nestra della mia camera e stare osservan-
do i miei giovani che nel cortile si diver-
tivano allegramente giuocando correndo
e saltellando, quando udii un gran stre-
pito alla porta della Casa, e rivolti colà i
miei sguardi, vidi entrar nel cortile uno
spettro alto di statiira, colla fronte spa-
ziosa cogli occhi incavati tanto che nep-
pure si vedeano, con lunga barba bianca,
e con pochi capelli color delia neve che
ondeggianti gli pendevano sugli omeri.
Parea avvolto in un lenzuolo funereo,
cui la mano sinistra teneva ben stretta
al corpo; nella mano destra aveva una
fiaccola a fiamma fusco azzurro - cam-
minava a passi lenti e gravi; talor si
fermava e chino il capo e la persona an-
dava mirando attorno, come chi cerca
con diligenza qualche cosa perduta. Tra-
scorse il cortile passando in mezzo ai
giovani che continuavano la loro ricrea-
zione; ed io stupefatto non sapendo chi
mai fosse non lo perdeva di vista. Ar-
rivato li, ove presentemente si entra nel
laboratorio dei falegnami, si ferma avan-
ti ad un giovane, che era in atto di av-
ventarsi contro uno deiia parte avversa
giuocando barva rotta.
Lo spettro steso il suo lungo braccio
avvicina la fiaccola alla faccia del gio-
piccola cattedra per dare la buona notte ai giovani. Rimasto qualche istante in silenzio, quasi
per prendere un po' di respiro, incominciò:
Debbo raccontarvi un sogno. Figuratevi l'ora della ricreazione nellDratorio, che
risuona di grida animatissime e liete. Mi sembrava di essere appoggiato alla finestra della
mia camera e di stare osservando i miei giovani, che nel cortile andavano, venivano, si
divertivano allegramente giuocando. Quando udii un gran strepito alla soglia della porteria
e rivolti colà i miei sguardi, vidi entrare nel cortile un personaggio, alto di statura, colla
fronte spaziosa, cogli occhi stranamente infossati.. . ».
Quanto all'assetto
GIRAUDLI'O, ratorio di
dell'oratorio
Don Bosco..
.
tra il 1856 e
, Torino 1935,
il
p.
'64 cf. qualche
149-155.
indicazione
in
F.

29.4 Page 284

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
vane; è proprio costui, disse fra sé, e
chinò e sollevò per due o tre volte il
capo, per contentezza e sdegno, quindi
con voce sepolcrale disse al giovane:
Quegli lo prende, lo apre, lo legge; e «Vieni, l'ora per te è suonata ». Impal-
intanto cangia colore, vien pallido, e di- lidi il giovane, tremò; voleva parlare,
manda: « E quando? presto o tardi? » scusarsi, ma non poteva. M o r a lo spet-
L'altro volgendosi da una parte gli ri- tro lasciando cadere un lembo della sua
sponde:
veste indicò coila sinistra mano il por-
«Vedi la tua cassa . . .
ticato. vedi? disse al giovane, quella
hara che sta sotto è per te. Presto
vieni n.
«Non sono preparato, sono ancor
troppo giovane andava gridando (il gio-
Ciò detto se ne parte.
vane). Lo spettro senza più profferire pa-
rola più in fretta di quel che era entrato
se ne usci daii'Oratorio.
Uscito lo spettro mentre che io an-
dava ripensando chi mai fosse mi sono
svegliato.
Da quanto voi già potete arguire che Io che fui spettatore di tanta scena,
uno di voi deve prepararsi perché il Si- e che conosceva quel giovane non ho
gnore lo chiamerà presto all'eternità. Io tralasciato nulla di ciò che poteva pre-
so chi sia costui, perché ho veduto quan- pararlo a ben morire P.
do gli f u da quello sconosciuto presenta-
to il biglietto; ma non lo dirò a nessuno,
finché egli sia morto. Ora ciascuno ci
pensi, perché mentre egli dice: Chi sa
chi sia quel tale » può essere egli stesso.
Io vi ho detto la cosa come sta, perché
se ciò non avessi fatto, il Signore mi
avrebbe poi dimandato conto dicendomi:
« E cane, perché quando è tempo non ah-
haji D.
Ognuno ci pensi a mettersi in buono
stato, e specialmente in questi tre giorni,
che restano ancora nella novena della SS.
Annunziata. Si facciano preghiere quin-
di per questo fine, e ciascuno in questi
tre giorni dica almeno una Salve, a Ma-
ria SS. per quel tale. Così egli all'uscir di
questa vita troverà poi parecchie centi-
naia di Salve, che gli saranno di grande
aiuto ».
Secondo quanto Don Bosco suggeri ai suoi ascoltatori di figurarsi, il
giovane avvertito dalla morte imminente durante la ricreazione nel cortile
deli'oratorio, non si comportò come Luigi Gonzaga. Tutti potevano imma-
ginarlo ripensando a quanto era scritto sul Giovane provveduto: « Interrogato
una volta S. Luigi, mentre trattenevasi con altri suoi pari allegramente giuo-
cando, che cosa fatto avrebbe se in quel punto fosse stato avvertito da u n An-
gelo, che un quarto d'ora dopo il Signore lo avrebbe chiamato al tremendo
suo giudicio, egli prontamente rispose che avrebbe seguitato il suo giuoco, per-
ché so di certo, soggiimse, che questi divertimenti piacciono al Signore >> ("').
Noi a nostra volta potremmo chiederci, se questa lontana analogia di rappre-
sentazioni non sia sufficiente per sospettare un qualche rapporto causale. Ma
ancora una volta ci si ritrova al limite estremo della documentazione.
2" Avveramento della predizione.
I n compenso però nella Cronaca di Don Bonetti abbiamo largamente de-
scritti i fatti che seguirono il sermoncino serale di Don Bosco. Riportiamo dunque
da Don Bonetti i brani che interessano la predizione di morte e tralasciamo
anche il confronto con il testo del chierico Merlone, paghi di conoscerlo
fonte delle Memorie biografiche (lm).
«Dopo [il sermoncino serale] alcuni gli dimandarono in privato che ci dicesse
almeno giacché non voleva dire chi egli fosse, se presto o tardi egli dovesse morire;
e rispose che non avrebbe sicuramente passato due solennità che cominciassem per
la lettera P. Potrebbe darsi, soggiunse, che egli non ne passasse neanche più una;
e morisse di qui a due o tre settimane ». Queste parole di D. Bosco produssero
nell'Oratorio, come già altre volte, un grandissimo bene.
21 aprile.
Questa quaresima per essere stati molto occupati chi da una parte chi daii'altra
nel fare i catechismi ed in altre occupazioni non abbiamo più potuto nè scrivere,
nè radunarci in Commissione. Ora intraprendiamo di bel nuovo, per la gloria di Dio,
l'opera nostra, rubando ogni ritaglio di tempo per iscrivere quelle cose che ci paiono
più rimarchevoli nella vita di D. Bosco. E incominciamo subito dal notare I'awera-
mento della precedente predizione di D. Bosco.
Ai 16 di aprile moriva Fornasio Luigi di [lacuna nell'originalel (iU). Dopo la
morte di costui alcuni avendo subito domandato a D. Bosco se egli fosse che avesse
ricevuto il biglietto, lasciò travedere, non esser lui. Nondimeno alcuni tenevano da
prima in quel giorno che la profezia si fosse in Fornasio adempiuta. Sonvi alcune
(119) [BOSCO], Il giovane provveduto, Torino 1847, p. 21. Fonte è la Guida ange-
lica.. . , p. 62: « I1 Santo giovane Luigi Gonzaga, interrogato una volta da un Cardinale
suo parente, mentre trattenevasi in giardino con altri suoi pari allegramente, che cosa
fatto avrebbe, se in quel punto fosse stato avvisato da un Angelo, che di ad un quarto
d'ora il grande Iddio chiamato lo avrebbe per mezzo deUa morte ai suo tremendo giudicio;
egli prontamente rispose, che nulladimeno seguitato avrebbe ancora il suo giuoco, perche
so di certo. soeeiunse. non volere altro da me Iddio in ouest'ora. che il divertirmi n.
(120) BO&&I,
inali 1861-62, p. 59-63; 65-76.
. ('2') Luigi Fornasio di Domenica, n. a Borgaro Torinese nel 1670, entrò aLl'Ora-
torio il 18 ottobre 1860. uscì nei rimi deii'a~rile1862 (,re"e. anaerafei. m. a casa sua ii
16 deUo stesso mese (nerzrologio dek~ratorio):

29.5 Page 285

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DcoonseBodsaconnoetallarestaorisaudoelrlaigruealigrdioos.itàQcuaatntodlioca.DV.oBl IoI.sScotelldaisse che uno doveva morire, que-
sto giovane, sebbene non cattivo prese a condurre una vita veramente esemplare.
Nei primi giorni domandava a D. Bosco che gli lasciasse fare la confessione generale.
D. Bosco non voleva pel motivo che l'aveva già fatta una volta, ma egli glielo di-
mandò per grazia speciale e gli f u concesso [.. .l.
Moriva, dando a tutti un esempio, che chi ha tempo non aspetti, e non ci la-
sciamo ingannare dal demonio colla speranza di aggiustare le cose nostre al punto
di morte.
La sera stessa D. Bosco annunzia la sua morte, e domandato se fosse quel li
che doveva morire rispose che non voleva per allora dir niente. Solo ci disse essere
costume nell'oratorio, che i giovani muoiono due a due, che uno chiami l'altro, e
perciò stessimo ancora in guardia; e mettessimo bene in pratica l'avviso del Signore
di stare preparati, estote parati, quia qua hora non putatis filius hominis veniet.
I n privato disse chiaramente che non era quegli che aveva ricevuto il biglietto,
e disse che quegli che aveva ricevuto q u d biglietto cominciava nel nome per le
stesse iniziali dei nome Maria ('22).
Avevamo in questo tempo un ammalato chiamato Marchisio, del quale molto
si dubitava, ed alcuni dicevano: saprei anch'io indovinar che uno deve morire e che
il suo nome principia colle iniziali del nome Maria. Questa nota stimai bene di farla
ora, che vediamo chiaro le cose 27 aprile Dom. in Aibis [.. .l ('n).
Venerdì 25 aprile verso le dieci e mezzo del mattino moriva, colpito d'accidente,
il giovane Maestro Vittorio. La sua [morte] ci riempi il cuore di rincrescimento
specialmente che egli partiva da questo mondo('") senza avere nè anco un amico
accanto al suo letto. Era da alcune settimane (Izs)che aveva un poco male agli occhi,
ed alla sera non più vedeva. Inoltre da due o tre giorni si sentiva anche un poco ma-
le allo stomaco. I l medico gli ordinò che al mattino stesse un poco più a riposo.
11 mattino del venerdi diceva coi suoi compagni che avrebbe quasi desiderato
di andare alcuni giorni a casa per ristabilirsi. Fu ciò notificato al Signor D. Bosco,
che subito diede incarico che si scrivesse ai suoi parenti, che fossero venuto [sicl
a prenderlo. Diceva pure burlando come Bmsa (1") altro compagno di camerata fa-
ceva le vacanze lunghe, non essendo ancor venuto al venerdì, mentre il giorno fisso
era stato il martedì. Verso le dieci passò l'infermiere dicendogli che fra breve sa-
rebbe venum ii medico, e perciò si fosse poi levato per venirgli a parlare nell'infer-
meria. Verso le dieci e tre quarti, un giovane della camera attigua, levossi egli pure
per andare a padare ai medico, e messosi siill'iiscio della camerata di Maestro lo
chiamò dicendogli che era tempo di andare alla visita. Chiama una volta, chiama due,
e Maestro non risponde 1.. .l
Alla sera D. Bosco fece una si commovente parlata, che ci traeva le lagrime. Ci
fece notare come Iddio ci aveva tolto due compagni, nello spazio di nove o dieci
giorni, e senza che né l'uno né l'altro avessero potuto ricevere i conforti di nostra
(1") Aggiunto in margine quegli - Maria.
(la)Avevamo - in Afbis aggiunto in margine.
(124) Nell'originale: aluni.
(1") Settimane emendato da giorni. -Per una interpretazione del preannunzio di morte
in chiave di parapsicologia questa circostanza potrebbe sembrare decisiva.
(1") Delfino Brusa di Giovanni Battista, n. a Valgiolitti presso Gabiano (Casale)
nel 1847 (reg. anagrafe), entrò all'Oratorio il 16 gennaio 1860 (reg. contabilità), usci nel-
l'ottobre 1862 (reg. anagrafe). Era studente di quinta ginnasiale.
l
I
S. Religione. Quanto sono mai ingannati coloro, che dicono voler aspettare ad ag-
I
giustare le cose della loro coscienza alla fine della vita! i . . .l Ci disse poi, franca-
mente, Maestro quegli che aveva ricevuto quel biglietto, di cui sopra.
Ieri (27 apriie) sera ci parlò ancora una volta del defunto Maestro, stato portato
via dall'Oratorio al mattino del giorno stesso. Ci notò una circostanza, per cui a
puntino s'awerò la profezia della sua morte. La circostanza fu questa. Quando io
vidi, disse, quella persona a presentare a Maestro un biglietto, egli era sotto al por-
tone in faccia alla porta di dietro. Da questo posto mostrogli la cassa, che si trovava
sotto al medesimo portone pochi passi da lui distante. Questa mane vennero i bec-
chini a prenderlo; era più comodo passare per l'altra scala attigua alla chiesa, essendo
la camera uve era stato deposto il cadavere vicino a quella scala. Ma no, il caso
volle che passassero pel corridoio di mezzo e venissero calare per la scala parimente
di mezzo, che mette sotto al portone. Quivi domandarono delle sedie, e posero la
cassa col cadavere, affine di aspettare il prete ed i giovani che lo accompagnarono,
I
nello stesso sito, dove si trovava la cassa, stata indicata a Maestro da quei tale che
gli aveva portato l'annunzio di morte. Tutte queste circostanze dimostrano come la
!
Divina Prov[vlidenza aveva disposto di toglierci quel compagno solamente('27) per
1
dargli il premio eterno del paradiso D.
7. Considerazioni per uno studio psicologico, teologico e pedagogico
Giunti a questo punto non osiamo addentrarci nel terreno di scienze
specifiche come la psicologia e l a teologia dei carismi. Ambedue le abbiamo
invocate sussidiariamente nella ricostruzione genetica di fatti. A entrambi
ora vorremmo solo.additare..alcuni. elementi...&e-.sono. &ora ti...dall'adisi dei
documenti e dal loro contesto storico.
Risulta chiaro, in primo luogo, che lo psicologo non può appoggiarsi
tranquillamente sulle Memorie biografiche per una analisi dei sogni di Don
Bosco. Può avvenire - come per il sogno di S. Benigno - che le Memorie
presentino un testo tale quale volle divulgarlo D o n Bosco; ma ci si può
trovare davanti a redazioni elaborate da mani successive, come avvenne per il
sogno di Lanzo.
I documenti riflettono preoccupazioni diverse di Don Bosco. Lo stato
d'animo d i chi racconta a una comunità d i giovani e lo stato d'animo d i chi
scrive perché il proprio testo venga letto.
L'elaborazione fatta in stato di veglia non risponde semplicemente allo
stato d'animo di chi si sforza di ricordare quanto ha sognato. Don Bosco
non elabora un sogno senza significato; ma un sogno a cui attribuisce u n valore
allegorico e didascalico. Egli non elabora per raccontare a uno psicologo, m a
per educare, ammonire e incoraggiare.
Perciò lo psicologo deve tenere presente che la normale elaborazione
fatta in stato d i veglia è condizionata da preoccupazioni che potremmo dire
terziarie (in ordine a una esposizione didascalica).
l
(127) Solamente P aggircnto in sopralinea

29.6 Page 286

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Riguardo ai sogni di Lanzo e di S. Benigno abbiamo elementi espliciti
circa la loro natura onirica: Don Bosco, comunque, dichiarò di averli avuti a letto,
durante il sonno. Non si hanno dichiarazioni quanto alle profezie del '70-73,
quanto al « sogno » delle due colonne e all'annunzio della morte di Vittorio
Maestro. Quest'ultimo fatto secondo la dichiarazione di Don Merlone fu un
sogno. Secondo Don Bonetti, invece, Don Bosco avrebbe raccontato a forma
di parabola.
Riguardo al complesso dei sogni lo studioso potrà tenere presente alcune
affermazioni di quell'affettuoso e acuto indagatore dell'animo di Don Bosco
che fu Don Alberto Caviglia: « Quante sentenze, persino giocose, quante
parabole (che chiamò sogni) inventate per lì, gli vennero così, che ricordate
ci fanno stupire D. « Quante furono credute divinazioni da parte di Don
Bosco che non erano se non percezioni (certamente acute e geniali) avute
osservando! » (lz8).
Pur restringendoci ai cinque fatti da noi analizzati, si avverte la diffi-
coltà di stabilire i precisi contorni dell'effettivo nucleo onirico. I documenti
infatti mostrano in qualche caso una certa libertà di elaborazione, sia nel
disporre i momenti del sogno, sia anche nella cesellatura di particolari. I
diamanti che passano da un luogo a un altro, la soppressione di un fiore
dal mazzetto offerto da Domenico Savio, il mutare di due mesi dei fiori in
due pleniluni nel mese dei fiori sono fatti che inducono alla cautela.
Accettata, comunque, la natura onirica globale di qualche sogno ed ac-
cettata ipoteticamente quella dei singoli particolari, lo psicologo potrebbe
tentare una qualche analisi e valutazione. Don Bosco stesso incoraggerebbe.
I1 fatto, cioè, ch'egli si dichiarò incerto sulla natura di alcuni sogni, legitti-
merebbe un'analisi psicologica. Inizialmente, ad esempio, pensò che quello
di Lanzo fosse un sogno comune. Ciò da una parte potrebbe rassicurare sulla
natura veramente onirica di quel « sogno »; dall'altra denunzierebbe operante in
Don Bosco il complesso di elementi « terziari » che abbiamo sopra ricordati.
La natura onirica potrebbe essere confermata da alcune caratteristiche
di questi racconti. L'io di Don Bosco è sempre presente come protagonista.
Alcuni elementi o anche interi sogni risultano ricorrenti con quelle moda-
lità analogiche che gli psicologi riconoscono a sogni di questo tipo. I1 gioco
dell'elemento religioso ed etico nei sogni di Don Bosco potrebbe manife-
starsi quello tipico dei fenomeni onirici che si svolgono in uomini dalle pro-
fonde e operanti convinzioni cristiane. Ben si attagliano alla coscienza di
('28) A. CAVIGLIA, Il « Magone Michele n. Una ckzssica esperienza educativa in
Salesianum 11 (1949), p. 592, I1 numero successivo del Salesianum avverte che l'inciso
«che chiamò sogni » è uno degli errata da sopprimere. Non compare infatti nella riediiione
del testo del Caviglia in Opere e scritti editi e inediti di Don Bosco, vol. 5, pt. 2, Torino
1965, p. 174. I1 ms. dei Caviglia (m. nel 1943) elaborato per la stampa si conserva all'AS
275 Caviglia 3. L'inciso si legge ancora (alla p. 51) nonostante volutamente sia stato can-
cellato a matita (come ci consta) nel 1950 e più recentemente con un leggero tratto di
penna.
Don Bosco sacerdote zelante e di fede radicata, lo svegliarsi di soprassalto
all'immagine dei lassati in via iniquitatis (sogno di Lanzo) o il risvegliarsi con
nell'orecchio musica paradisiaca (simbolo onirico) all'epilogo del sogno di
S. Benigno e la mente attenta alla luce del mattino che penetrava nella
stanza.
La percezione di cose occulte presenti o future potrebbe interessare
il cultore di parapsicologia. Questi potrebbe riconoscere in Don Bosco qua-
lità parapsichiche che trovavano terreno fertile e condizioni particolarmente
propizie durante la libera esplicazione onirica.
Al cultore di parapsicologia potrebbe interessare sapere che Don Bosco
amò esercitare doti straordinarie e sorprendenti. Da rag o - egli scrive -
« fissando taluno in faccia, per lo più ne scorgeva i progetti che quello aveva
in cuore » (l"). Da prete talora diceva con tono di celia tra l'ammirazione di
tutti: « Datemi un giovane che io non abbia mai conosciuto in modo ve-
mno ed io, guardatolo in fronte, gli rivelo i suoi peccati, incominciando ad
enunciare quelli della sua prima età » (l3'). « Fin dal 1848 - asserisce Don
Lemoyne -, era voce comune nell'oratorio che egli, confessando, scoprisse
ai penitenti i peccati che avevano dimenticati, o che non avevano osato confes-
sare D. Per molti anni usò anche le sue capacità illusionistiche: « Se si trovava
tra persone che avessero del denaro chiedeva uno scudo in imprestito. Avu-
tolo, diceva al possessore: - Ma guardate che ve lo restituirò solo in pezzi! -
Faccia pure - gli era risposto. Viva era la curiosità di chi gli stava intorno,
ed egli presa la moneta fra quattro dita, la spezzava di un colpo. Da questi
esercizi e da quelli di prestigio cessò nel 1860, e l'ultima volta dopo aver
esilarati inolto i giovani, li atterri facendoli comparire senza testa » (l3').
Molti ricordano il suo sguardo sommamente dolce, ma trafiggente ( l 3 Nel
1860, un chierico malaticcio e depresso chiedeva soccorso a Don Bosco:
- « Fu già una volta gli scrisse -; or saranno due mesi, che io dissi a Lei:
- D. Bosco sogni di me! - Ed Ella mi ha risposto: «Sta notte vengo in
ispirito a troiiarti ». Durante quella notte io mi svegliai, e, se ben mi ri-
cordo, pregai il Signore affinché desse a D. Bosco il sogno da me desiderato
t.. .l I o non dico più altro. D. Bosco conosce quanto debbasi desiderare
da me e quanto a me è necessario nel Signore. Perciò io La prego che con
quel metodo che Le è proprio mi magnetizzi, s'intrometta per me e trovi
modo di consolarmi »
Al teologo dei carismi, così come allo psicologo, non ci rimane che
presentare la situazione documentaria.
Risulta evidente che Don Bosco si ritenne favorito da illustrazioni so-
prannaturali. La sua certezza globale fu accompagnata talora da un qualche
(lzg) M 0 p, 27.
.. ('30) LEMOYNVEit,a di San Giovanni Bosco, 2, Torino 1943, p. 428s.
.(13'). MB 3,. D. 139 S.
~
(l") Cf. la voce Sguardo, in Indice hlB p. 416.
Edoardo Donato a DB, 3 giugno 118601, in MB 6, p, 591 s

29.7 Page 287

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
alone di insicnrezza che venne poi dissipato (o mantenuto) da successivi
avvenimenti. Così Don Bosco si manifestò inizialmente incerto sulla natura
soprannaturale del sogno di Lanzo. Controllati certi fatti occulti egli si
acquietò e narrò quanto aveva percepito. Annunziando la morte di Vittorio
Maestro tacque alcuni particolari. Solo dopo i fatti, disse che questi erano
accaduti proprio come li aveva visti nel momento della illustrazione premo-
nitrice. A proposito della profezia del '70 egli dichiarò la difficoltà di tra-
durre in linguaggio umano illustrazioni soprannaturali. Nei manoscritti ma-
nifesta ulteriormente momenti di dubbio. Si mostra incerto nel collocare al-
cuni elementi (l'ubbidienza o la castità al centro dei manto, nel sogno di S.
Benigno) e nell'interpretare simboli (il Guerriero del Nord nella profezia
del '70).
Abbiamo più volte indicati i criteri seguiti da Don Bosco per stabilire
la natura soprannaturale dei suoi sogni. Egli controlla la verità delle cose
occulte e bada albene morale che sogni e predizioni producono in lui stesso,
negli ascoltatori e nei lettori.
Alla luce della teologia dei carismi questi criteri risultano validi e col-
laudati dalla tradizione cristiana. I1 teologo potrà chiedere alla critica docu-
mentaria un controllo quanto più possibile preciso di tutti i sogni di Don
Bosco. Potrà avvenire che si giunga davanti a casi veramente inspiegabili.
Ad ogni modo è da tenere presente che la nostra conoscenza oggi è limitata
a una documentazione meno vasta e meno ~articolareggiata di quanto si
potrebbe desiderare. Nondimeno - stando alla criteriologia dei teologi -
per il fatto che la documentazione fa capo a un uomo di profondo senso
cristiano canonizzato dalla Chiesa, essa dovrebbe risultare valida per uno
studio teologico sui doni straordinari che ne arricchirono la vita. Essi infatti,
in ogni caso, attingono a un ordine di cose che è qualitativamente diverso da
quello della psicologia, esse attingono all'ordine della vita divina comunicata
ali'uomo.
Per una valutazione pedagogica i sogni di Don Bosco sono da seguire
precipuamente nei documenti che ne tramandano l'esposizione orale ( o
scritta e destinata al pubblico). Dal confronto con altri stadi redazionali
affiorano differenze di u n certo rilievo. Ci conteilteremo di qualche osserva-
zione sui sogni narrati ai giovani. Nell'esposizione ai giovani Don Bosco dà
al racconto un movimento popolaresco di notevole efficacia. Difficilmente
nella sua esposizione c'è solo il sublime o solo il tragico; c'è piuttosto il lieve
poggiarsi su qualche particolare comico e I'attardarsi sul celestiale o sul
demoniaco. Ne deriva da ciò una spinta ritmica che porta i giovani a una
piena partecipazione drammatica. Nel sogno di Lanzo, ad esempio, nel com-
plesso di elementi paradisiaci c'è l'ironia di Dornenico Savio sulla ignoranza di
Don Bosco su questioni teologiche che in stato di veglia Don Bosco cono-
sceva con tutta chiarezza e che i giovani; udendo narrare l'imbarazzo di
Don Bosco, potevano controllare mentalmente nel proprio patrimonio di co-
noscenze catechistiche.
Tanto più i ragazzi giungevano a sentirsi implicati nel sogiio, in quanto
già sapevano che sotto il velo dell'allegoria era rappresentata la loro vita.
Il loro stato di ascolto sprigionava perciò contemporaneamente una ritra-
dirzione delle rappresentazioni allegoriche in termini di realtà, secondo le
movenze orientate da Don Bosco: ora era il senso di ripulsa per il mostro
che serrava la gola in confessione, non in astratto, ma davvero di qualcuno di
loro (che poteva anche essere denunziato pubblicamente); ora è il desiderio
di essere tra quelli che tengono in alto il giglio o che accettano da Dome-
nica Savio il mazzetta di fiori indicante le virtù da praticare.
Tanto più, insomma, appare l'importanza di molti sogni di Don Bosco,
quanto più assiduamente se ne coglie il valore nel concreto rapporto edu-
cativo con la gioventù semplice, in gran parte provinciale, che ne ascoltava il
racconto.
APPENDICE DI DOCUMENTI
1. Il chierico Giovanni Boggero al Cav. Oreglia('")
Aff.mo Cav.re e in Cristo
Fratello Amatissimo
Torino, dalla scuola ore 10 112 - 31, Maggio
Mentre il professore ci spiega l'articolo di fede C~edoResurrectionem Mortuo-
rum, per questa mattina mi tratterrò più volentieri a chiacchierare con lei. Per non
incorrere, come l'ultima volta, nelle sue burle perché non le scrissi nonostante la
buona volontà, mi era deciso di mandarle un semplice saluto; tuttavia perché D.
Bosco mi diede occasione, voglio raccontarle il come, nella speranza che non disde-
gnerà la mia cicalata.
Ieri sera, dopo le orazioni, D. Bosco così si fece a parlare a tutti i giovani:
« . . . Supponete di trovarvi con me sulla spiaggia del mare; (senza accorgersi cambia
modo di parlare) quivi vedete tutta quella vasta supetficie del mare coperta di tante
navi armata ciascheduna all'estremità d'avanti di un acuto ponzone a mo' di strale,
armi d'ogni genere, fucili, cannoni e anca de' libri. In mezzo a tutte queste navi
havvene una più grossa di tutte e più alta, con sopravi il Papa. Poco distante da
queste barche sorgevano (sic) due alte e robuste colonne poco distanti l'una dal-
l'altra: una aveva collocata alla sommità la statua della B. Vergine, a' cui piedi
pendeva un grosso cartello con quest'iscrizione: Auxilium Christianorum; sopra
l'altra colonna eravi una grande ostia, sotto cui pendeva un altro cartello coli'iscri-
zione: salus credentium. Di più dalla sommità di queste due colonne pendevano
tanti uncini, tante ancore. Ciò posto. Si attacca accanito combattimento, e tutte le
navi si spingono e urtano contro la nave su cui sta il Papa. Combattono, ma inutili
('"1 Orig., ms. autogr. del ch. Boggero; AS 275 Boggero.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
riescono tutti gli sforzi di quella moltitudine di piccole navi; anzi, spezzano le armi,
gli schioppi e cannoni sprofondando in mare. Allora i nemici prendono a combattere
la grossa nave colle mani, coi pugni, coi libri, colle bestemmie e maledizioni. Egli è
vero, disse, che qualche volta venne colpita da gravi colpi, che venne anche ferita
gravemente e ne riportò qualche momentaneo danno, ma un benefico vento che ve-
niva dalle due colonne subitamente la ristorava. Un colpo venne a ferire grave-
mente il Papa, che cade a terra. Subitamente quei che gli stavano insieme lo aiutano
a rialzarsi, ma colpito da un secondo colpo, cade di nuovo e muore. Un grido di
gioja risuonò tra i superstiti nemici: ma subito comparve sulla grossa nave un nuovo
Pontefice che tutte sbaraglia le già vacillanti navi, e sicuro colla sua nave s'incam-
mina verso le due colon$e. Giunto che fu in mezzo ad esse attaccò la punta d'avanti
ad un'ancora che pendeva dalla colonna dell'ostia; l'altra estremità a quella delia
B. Vergine. M o r a si videro molte delle piccole navi, alcune che avevano combat-
tuto per essa, altre in lunghissima lontananza che per timore della battaglia si erano
ritirate, correre alle colonne e attaccarsi a quegli uncini, e quivi rimanersi tutte
tranquille e sicure D. Così D. Bosco. Interrogò quindi D. Rua che cosa pensasse
di questo racconto. Egli disse. Mi pare che la nave del Papa sia la Chiesa, di cui
esso è il capo; le altre navi siano gli uomini, e il mare sia il mondo, questa terra.
Ora quei che difendevano la Chiesa siano i buoni, affezionati alla S. Sede, gli altri
i suoi nemici, che con ogni sorta di armi tentano di annientarla; e Ic due colonne
di salute sia la divozione a Maria SS. ed al SS. Sacramento dell'Eucaristia.
Del Papa che mori si dimenticò di parlarne, e D. Bosco pure tscque su ciò:
solo soggiunse: Dicesti bene, bisogna soltanto correggere un'espressione; cioè, le
navi dei nemici sono le persecuzioni che si preparano (sic) aUa Chiesa, quello che
finora fn è quasi nulla. E ci diede la buona notte. Pensi adesso quante congetture
si possono fare. Non le dirò le mie per non espormi forse al pericolo di farmi
canzonare. Ella ne tiri quante ne vuole. Quello che io credo, si è che sia uno de'
suoi soliti sogni.
Ora perché la scuola è verso il termine e le undici ore sono presso a suonare,
io pure terminerò, augurandogli ogni assistenza dal Cielo ed ogni ben di Dio; possa
sbrigare felicemente i suoi affari e torni presto e di buon umore fra noi, e non si
dimentichi di pregare pel suo povero
Aff.mo Boggero
2. Cesare Chiala al Cav. Oreglia('")
Carissimo Signore ed Amico
Torino 5 Giugno 62
Avido com'Ella è di notizie, specialmente se deii'oratorio, son sicuro che gra-
dirà questa che io sto per esporle. L'ho tenuta in corpo fino ad oggi nella persua-
sione che da un giorno all'altro sarebbe ritornato a Torino, ma poiché la sua lonta-
nanza si va sempre più prolungando, non potei più trattenermi dallo scriverle. Ed
ecco di che si tratta:
Venerdì sera, penultimo di maggio scorso (mi son notata la data per non dimen-
(lx) Orig., ms. autogr.; AS 110 Chiala
ticarmela) dopo le orazioni D. Nasonatti era asceso sulla cattedra del parlatorio,
quend'ecco si fa inna i D. Bosco. D. Alasonatti gli cede il posto, e tutti i giovani
ad esclamare e a mandar grida di gioja. Peccato, disse D. Bosco, quando f u sopra al
pergamo, che in mezzo a si liete accoglienze debba aprir bocca per punire alcuni che
jeri (giorno dell'Ascensione) senza permesso scapparono daii'Oratorio, scavalcando
i muri. E lì ne lesse i nomi e dopo alcune pafole fini per applicare ai più colpevoli
la punizione di mangiar sotto al porticato mentre gli altri se ne stavano a mensa,
ai meno colpevoli, di mangiare inginocchiati alla tavola di punizione, e ad altri un
po' meno colpevoli ancora, di mangiare alla tavola di punizione, invece di essere
come voglion le regole, mandati tutti alle case loro. Passato quest'incidente disse:
Vi aveva promesso di raccontarvi qualche cosa. - Si Si - tutti sclamarono. Ma
i'ora è un po' tarda - e allora tutti a far un uhm di scontento - Oh bene, poiché
volete che vi racconti qualche cosa sentite. Io voglio vedere se siete tutti di buon
cervello, vi racconterò un apologo, una similitudine, voi state attenti se la sapete
capire.
E un assoluto silenzio si fe', in quella riunione di più di 500 teste che poco
prima assordavano le stelle coi loro schiamazzi.
Non so quel che passasse per le loro menti; quanto a me posi in resta tutta la
mia attenzione, ché aveva il presentimento che D. Bosco stesse per far qualche
profezia.
Figuratevi, ci disse, di essere sulla riva del mare e di non vedere altro spazio
di terra se non quella che vi sta sotto de' piedi. Su tutta la supeificie del mare si
vede un'infinità di navi, tutte terminate da un rostro di ferro acuto che fora dapper-
tutto dove si caccia. Di queste navi le une'son d'armi, di cannoni, fucili, le altre di
libri e di materie incendiarie, tutte poi s'affolbno contro una nave assai pjù grande
tentando di urtarla incendiarla e farle ogni guasto possibile. Nel mezzo ilel mare
imaginatevi di vedere inoltre due altissime colonne suli'una v'è la statua della SS. Ver-
gine Immacolata, con sotto l'iscrizione: Auxiliunz Christianoium. Sull'altra, che è ancor
più alta e grossa sta un'Ostia di grandezza proporzionata alle colonne e sottovi le
parole: Salus credentium. Dalle basi di ciascuna coloniia poi pendono da ogni parte
tante catene con dell'ancore cui possono attaccarsi le navi. La nave più grossa è gui-
data dal Papa e tutti i suoi sforzi sono di1etti.a portarla in mezzo a quelle due
colonne. Ma come dissi le altre barche tentano ogni modo d'inciamparla e di gua-
starla, l'una colle armi, coi becchi delle prore, coli'incendio per mezzo di libri, gior-
nali; ma invano esse sciupano ogni lor fatica; ogni arma e sostanza, si spezza e
sommerge. Avviene talvolta che i cannoni fanno un buco profondo di quà o di
nei fianchi della nave, ma basta un soffio che spiri da quelle due colonne perché ogni
guasto si rimargini, i buchi si rinchiudano, e la nave cammini nuovamente. Per via
il Papa cade una volta, poi si rialza, cade un'altra volta e muore. Appena morto
un'aitro gli sottentra sull'istante, questi guida la nave fino a quelle due colonne:
colà giunto la lega con un'ancora alla colonna dell'ostia consacrata, dali'altra la
lega alla colonna su cui sta 1'Immacolata Concezione. - Niora un gran rivolgi-
mento si fa su tutta la superficie del mare. Tutte le navi che fino allora avevano
combattuto quella del Papa, si disperdono, fuggono, s'urtano a vicenda, le une si
affondano e cercano di sommergere le altre. Quelle che stanno in lontananza si
tengono prudentemente indietro, finché, dileguati nei gorghi del mare i rimasugli
di tuta (sic) le [le emendato da quella flottigiial navicelle disfatte, a gran lena vo-

29.9 Page 289

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
gano alla volta della maggior nave: là giunte s'attaccano anch'esse alle ancore pen-
denti dalle due colonne ed ivi rimangono in perfetta calma.
Ciò detto, D. Bosco chiese se fra i giovani fosse presente D. Rua, ed essendovi
gli fe' spiegare I'apologo. Dalle parole di D. Rua e da quelle suggerite da D. Bosco,
tutti i giovani capirono che il mare significava il mondo, le navi piccole e la nave
su cui siede il Papa, le potenze del mondo e la Chiesa. Questa prova di quando in
quando de' guasti, raffigurati nei buchi fatti dalle armi alla nave maggiore, ma basta
un soffio dell'onnipotente e della B. V. perché quei guasti, quelle perdite di qualche
anima vengan tosto rimarginate. La morale poi, è che due soli meizi abbiamo per
tenerci saldi in questo scompiglio, la Divozione a M. V. e la frequenza ai Sacra-
menti procurando in ogni guisa di venerarli e di diffonderne [prima di diffonderne
cancellato sparge] la venerazione. Non spiego che cosa significasse la doppia caduta
del Papa, disse però a Provera dopo sceso dalla cattedra [dopo - cattedra agg. in
sopralineal che, interrogato su di ciò un'altra sera, avrebbe risposto appuntino
[appuntino emendato i n supralin. da indu(bbiamente)l. Pare a me abbia voluto in-
dicare che il vivente Pontefice non vedrà la fine di queste afflizioni cadrà una volta
dal suo seggio, ma vi ritornerà, e solo si ristabilirà la pace della cristianità sotto un
altro Papa, che morto appena Pio IX, gli succederà. Le navi poi in lontananza sa-
ranno, io credo, le nazioni infedeli che s'accosteranno alla fede. Non vado più in-
nanzi, perchi come vede mi manca la carta. Aggiungerò soltanto che se vorrà una
più genuina esposizione delle parole dette da D. Bosco bisognerà che faccia parlare
D. Rua, oppure che faccia trascrivere quanto le narrai di sopra, e poi interroghi
D. Bosco se ha detto veramente così. Chi sa che un giorno non avvenga veramente
quel che disse D. Bosco. Là addio, addio
Suo aff.
Cesare Chiala
[P. 5.1
Anfossi mi ha detto che I'han visto dal vagone della ferrovia, che Ella è corso
per salutare D. Bosco ma non gli riuscì. Torni presto neh?
Scusi se troverà la lettera così scompigliata e scarabocchiata. È mia usanza co-
gli amici scrivere alla buona, procedendo impavido fra le correzioni, le sgrammati-
cature ecc. ecc.
timbri postali:
Fossano 6-7 giugno
Torino 9 giugno 62
3. Cronaca di Don Ruffi~zo('%l
La sera del 30 Maggio 1862 (venerdì) D. Bosco raccontò questo apolngn o si-
militudine come egli i'appellò. Figuratevi di essere sulla riva del mare e di non ve-
dere altro spazio di terra se non quella che vi sta sotto i piedi. I n tutta la superficie
('36) « 1862-1863Memorie., copia ms. di Don Lemoyne; AS 110 Ruffino 9, p. 74-76
delle acque si vede una iniinità di navi le quali son tutte terminate da un rostro di
ferro che ove si caccia fere e trapassa ogni cosa. Queste navi san tutte cariche o di
cannoni e fncili o di lihri, e tutte si affollano contro una nave molto più grande,
tentando di urtarla, incendiarla e farle ogni guasto possibile.
Nel mezzo del mare poi si rizzano due colonne altissime sull'una si è la statua
della Vergine Immacolata con sotto l'iscrizione Auxilium Christianorum. Sull'altra
colonna che è molto più alta e grossa sta un'ostia di grandezza proporzionata alla
colonna, e sottovi le parole salus credentium. La nave più grossa è guidata dal Papa
e tutti i suoi sforzi son diretti a portare la nave in mezzo a quelle due colonne. Da
ambe le quali pendono in ogni senso molte ancore. Ma come dissi le altre navicelle
tentano ogni modo d'inciamparla, e di guastarla, le une cogli scritti e coi lihri di cui
sono ripiene, e che cercano di gettare sulla gran nave, le altre coi cannoni coi fu-
cili coi becchi delle prore ma invano esse sciupano ogni loro fatica e sostanza, molte
si spezzano e si sommergono. Awiene talvolta che un buco profondo si fa di qui e
di nella nave guidata dal Papa. Ma non appena è fatto il guasto, spira un soffio
dalle due colonne altissime poste nel mezzo del mare e i becchi della nave si rin-
chiudono, i guasti si rimarginano e la nave prende franco il suo cammino. Per via
il Papa cade una volta, poi si rialza cade un'altta volta e muore. Appena morto un
altro gli sottentra. Questi guida la nave sino alle due colonne e colà giunto la lega
con una catenella alla colonna su cui sta l'ostia; e con un'altra catenella la lega dalla
parte opposta alla colonna su ali è collocata la Vergine Immacolata. Allora un gran
rivolgimento succede. Tutte le navi che fino allora avevano combattuto quella su
cui sedeva il Papa si disperdono fuggono, s'urtano a vicenda: le une s'affondano
e cercano di affondare le altre. Quelle che si trovano in lontananza si stanno pm-
dentemente indietro, finché dileguati nei gorghi del mare tutti i rimasugli di tutte
le navicelle disfatte, a gran lena vengono molte navi a quelle due colon,ne, ed ivi
arrivate si attaccano alle ancore pendenti dalle medesime ed ivi rimangano insieme
alla nave principale su cui sta il Papa.
Morale - Prepararsi gravissimi travagli per la Chiesa i suoi nemici con raffi-
gurati nelle navi che tentano di affondare se lor riuscisse la nave principale. Due
soli mezzi per salvarsi fra tanto scompiglio Divozione a Maria SS., Frequenza alla
Communione: facendo ogni modo di venerarla, farla venerare da tutti e daper-
tutto.
4. Lemoyne, «Documenti » per la storia di Don Bosco (l3')
CAPOXIII. I futuri avvenimenti nella Chiesa. Sogno: Le due colonne in mezzo
al mare. 30 maggio.
D. Bosco raccontò ai giovani il seguente apologo o similitudine come egli
volle appellarlo: - (A) Figuratevi di essere con me sulla riva del mare e di non
vedere altro spazio di terra se non quella che vi sta sotto ai piedi. I n tutta quella
('37) AS 110 Lemoyne, Documenti, vol. 8, p. 56 S. Il testo dei Documenti è stampato.
In nota diamo le postille ma. di Don Lemoyne, poi introdotte nelle MB.
(A) Vi voglio raccontare un sogno. È "eco che chi sogna non ragiona, tuttavia,
so che a voi racconterei persino i miei peccati, se non avessi paura di farvi scappar tutti
e far cadere la casa, tuttavia ve lo racconto per vostra utilità spirituale. L'ho fatto sono
alcuni giorni.

29.10 Page 290

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
vasta superficie delle acque si vede una moltitudine innumerevole di navi, le quali
sono armate e terminate a prora da un rostro di ferro acuto a mo' di strale, che ove
si caccia ferisce o trapassa ogni cosa. Queste navi sono tutte cariche di cannoni, di
fucili, di altre armi di ogni genere e anche di libri, e tutte si affollano e si spingono
contro una nave molto più grossa e più alta di tutte, tentando di urtarla, di incen-
diarla e di farle ogni guasto possibile.
Nel mezzo del mare poi si rizzano due robuste colonne, altissime, poco distanti
una dall'altra. Sopra di una vi è la statua della Vergine Immacolata, ai cui piedi
pende un grosso cartello con questa iscrizione: - Auxiliurn Christianorum; sul-
i'altra che è molto più alta e grossa sta un2Ostia di grandezza proporzionata alla co-
lonna e sotto un altro cartello colle parole - Sulus credentiurn.
La nave più grossa è guidata dal Papa e tutti i suoi sforzi sono diretti a por-
tare la nave in mezzo a quelle due colonne, da amhe le quali pendono in ogni senso
molte ancore attaccate a grosse catene(B).
Ma come dissi le altre navi tentano ogni modo per inciamparla nel suo corso,
di guastarla, di farla sommergere; le une cogli scritti e coi libri di cui sono ripiene
e che cercano di gettare nella gran nave; le altre coi cannoni, coi fucili, coi becchi
delle prore. Si attacca un accanito combattimento; tutte le navi muovono all'as-
salto(C). Urtano violentemente nei fianchi, ma inutili riescono i loro conati. In-
vano esse sciupano ogni loro fatica e sostanza. Avviene talvolta che la nave guidata
dal Papa, percossa dai grandi colpi, riporta nei suoi fianchi una profonda fessura,
ma non appena è fatto il guasto, spira un soffio delle due colonne altissime poste
nel mezzo del mare e i buchi della gran nave si rinchiudono, i guasti si rimarginano
ed essa procede franca nel suo cammino. Si spezzano i cannoni, i fucili, i rostri e le
altre armi degli avversarii, e si sprofondano in mare come pure si sommergono al-
cune di quelle navi. Allora i nemici prendono a combattere colle mani, coi pugni,
coi libri, colle bestemmie, coile maledizioni.
Per via il Papa cade colpito gravemente una volta. Subito coloro che stanno in-
sieme con lui corrono ad aiutarlo. Si rialza, ma colpito una seconda volta cade di
nuovo e muore. Un gtido di gioia risuona tra i nemici (D). Senonché appena morto
il Pontefice, un altro Papa snttentra al suo posto(E).
Questi superando ogni ostacolo che già vacilla, guida la nave sino alle due co-
lonne e giunto colà in mezzo ad esse, la lega con una catenella che pendeva dalla
prora ad un'ancora della colonna su cui stava l'Ostia; e con un'altra catenella che
(B) Intorno a questa come maestosa nave ammiraglia manovrano altre moltissime
navi che da lei ricevevano il comando difendendosi dalle flotte avverse. Il mare era in
burrasca e questa sembrava favorire i nemici.
Ma il comandante generale, il Pontefice, vedendo il mal partito in cui si trovano
pensa di radunare intorno a se i piloti delle navi secondarie per far consiglio e decidere
sul da farsi. Tutti i piloti si radunano attorno al Capitano tengono consesso, ma infuriando
sempre più la tempesta sono mandati a governare le proprie navi perché non aiiondino.
Fattasi nuvamente un po' di bonaccia il capitano raduna per la seconda volta
intorno ii sé i piloti, mentre la nave ammiraglia segue il suo corso.
(C) La burrasca si fa spaventosa e sconquassa talmente le navi del Papa chei i
nemici gridano vittoria.
(D) Dalle loro navi si vide un indicibile tripudio.
(E) I piloti radunati hanno eletto cosi subitamerite un altra capitano che la notizia
della morte del precedente giunge colla notizia dell'elezione del successore. I nemici si
perdono di coraggio.
pendeva a poppa la lega dalla parte opposta alla colonna su cui è collocata la Vergine
Immacolata.
M o r a succede un gran rivolgimento. Tutte le navi che fino a quel punto ave-
vano combattuto quella su cui sedeva il Papa, fuggono, si disperdono, si urtano e
si fracassano a vicenda. Le une si affondano e cercano di affondare le altre. Alcune
navicelle che hanno combattuto valorosamente col Papa vengono per le prime a le-
garsi a quelle colonne.
Molte altre navi che ritiratesi per timore della battaglia si trovano in gran
lontananza, stanno prudentemente osservando, finché dileguati nei gorghi del mare
i rimasugli di tutte le navi disfatte, a gran lena vengono alla volta di quelle due co-
lonne, ove arrivate si attaccano agli uncini pendenti dalle medesime, ed ivi riman-
gono tranquille e sicure, insieme colla nave principale su cui sta il Papa. -
D. Bosco a questo punto interrogò D. Rua: - Che cosa pensi tu di questo
- racconto?
D. Rua rispose:
Mi pare che la nave del Papa sia la Chiesa, di cui esso è
il Capo: le navi gli uomini, il mare questo mondo. Quei che difendono la grossa
nave sono i buoni affezionati alla santa Sede, gli altri i suoi nemici che con ogni
sorta di armi tentano di annientarla. Le due colonne di salute mi sembra che siano
la divozione a Maria SS. ed al SS. Sacramento deU'Eucaristia.
D. Rua non parlò del Papa caduto e morto e D. Bosco tacque pure su di ciò.
Solo aggiunse: - Dicesti bene. Bisogna soltanto correggere un'espressione. Le navi.
dei nemici sono le persecuzioni. Si preparano gravissimi travagli per la Chiesa.
Quello che finora fu è quasi nulla a petto di ciò che deve accadere. I suoi nemici
sono raffigurati nelle navi che tentano di affondare, se loro riuscisse, la nave princi-
pale. Due soli mezzi restano per salvarsi fra tanto scompiglio. - Devozione a Ma-
ria SS. - Frequenza alla Comunione, adoperando ogni modo e facendo del nostro
meglio per venerarla e farla venerare da tutti e dapertutto. Buona notte!
Le congetture che fecero i giovani intorno a questo sogno furono moltissime.
I Chierici Boggero, Ruffino e il giovane Chiala che poi fu prete, scrissero questo
sogno, lasciando così tre preziosi documenti.

30 Pages 291-300

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30.1 Page 291

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
INDICE DEI NOMI E DELLE MATERIE *
Aheily, Louis,, vesc.: 37, 284.
Maitati, Anton Maria, cappuccino: 493.
Asatone, fratello delle Sc. Cristiane: 452
Agliano, Ludovico Galleani di: 353.
Agliano, Pio Galleani di: 85.
Agostinianismo: 28, 112, 452.
Agostino, santo: 14, 21, 38 s, 55, 60, 62,
126, 134 s, 140, 198, 200, 384.
Agostino da Fusignano, francescano: 426.
Aimt: 20-23, 116, 132, 141 s, 215, 460.
Alacoque, Marguerite-Marie, santa: 330.
Alasia, Giuseppe Antonio, sac.: 255.
Alasia, Gugiielmo, sac.: 276, 336, 339 s, 426.
Alasonatti Vittorio, salesiano: 173, 252, 306,
350, 428, 487. 489. 509. 515s. 569.
Alhera, Paolo, salesiano: 167, 382; 395, 400,
428, 466, 470-471.
Alessio, Felice: 494.
Affieri, Vittorio: 188.
Alfonso de' Liguri, santo: 15s, 26, 34,
38-43, 47 s, 50-55, 102-104, 108, 112, 115,
148,-152, 157, 178, 1825, 192, 196-198,
201 s, 214, 219, 222, 229, 235, 247, 253,
255, 257, 268, 283, 304, 314, 318, 320,
323, 327, 329, 332, 340-345, 359, 383,
391 s, 396402, 404-407, 410, 413, 428,
432, 483, 502 s, 505, 530.
Alionda, Gaetano, arciv.: 287, 474.
Alisio, Stefano. sac.: 272. 283.
Allegria: 56, '189.194, 208, 210, 238; cf.
Filipw Neri.
mad dei, Angelo, salesiano: 11, 240; cf. Me-
morie biografiche.
Amedeo di Savoia: 92, 169 s, 260.
Amicizia Cattolica: 23, 352.
Amorevolezza (dolcezza): 235 s, 356, 442 s,
448 5, 454 s, 459, 461 s, 464-474; ci. Fran.
.cesco di Sales.
Anastasio Furno da Costigliole, francescano:
L,,.
Andrieux, L,: 324.
Anfossi, Giov. Battista, sac.: 274, 566.
Angelo Custode: 112, 274, 304, 332, 340:
425.
Anglesio, Luigi, sac.: 97.
Anima umana: 21, 33-35, 109, 185, 215,
449, 473, 512-514; ci. Salvezza.
Annaler Catholigues: 84.
Ansart, Joseph, trinitario: 150, 451.
Antonelli, Giacomo, card.: 90, 93.
Antonucci, Benedetto Antonio, nunzio a To-
rino: 75 S.
Apologetica: 130 s, 374, 445, 457.
Apologista (L'): 292, 294.
Aporti, Ferrante, sac., educatoie: 60, 260,
443, 456.
Aposfasia: 46-49, 53, 56, 63, 66, 90, 124,
129, 141 S. 325.
Apparizioni (Lourdes, Salette, Soriano, Spo-
leto, Taggia): 71, 142, 147, 157 s, 475 s,
502, 536, 542.
Appendini, Giov. Battista, sac.: 78, 218.
Arata, Giovanni, salesiano: 436.
Aries, Philippe: 249, 272.
Avmonia (L'): 78, 83, 89, 124, 164s, 166,
292, 294.
Arnaldi, Giov. Battista, arciv.: 164-168.
Arnauld, Antoine: 245, 301.
Arneudo, Giuseppe Isidoro: 155.
Arpino, Maurizio, sac.: 92, 297 S.
Arvisenet, Claude, sac.: 254 s, 269.
Asdente, Rosa Colomba, domenicana ( = Mo-
naca di Taggia): 502, 536.
* I nomi di persona sono dati in tondo; quelli di materia e i nomi di luoghi, in corsivo
I numeri indicano le pagine.

30.2 Page 292

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DAonssBisotesnczoan: el5la3-s5t5o,ria45d2e1ll1a5r8e,li4g6io3sist,à c4a6t7toSl.ica. Vol BII.erSntaerldlao, santo: 38, 44, 151.
Associazioni religiose: 260, 280, 298 s, 334, Bert, Amedeo: 48, 124.
339, 346-357; cf. Compagnie, Fidi d i M., Bertagna, Giov. Battista, vesc.: 275.
Società di S. Vinc. de' Paoli.
Bertetto, Dornenico, salesiano: 310, 379,
Ateismo: 46, 49, 189; cf. Incredulità, Indif- 398.
ferentismo, Scristianiizazione.
Berto, Gioachino, salesiano: 53, 89 s, 246,
Atcneo (L') religioso: 292, 327.
262, 356, 441, 508, 511, 519, 527, 533 s,
Auhert, Roger: 93, 367, 375.
541, 544 S.
Auhry, Joseph, salesiano: 206.
Bertoiotti, Giuseppe, sac.: 367.
Audisio, Guglielmo, sac.: 361, 426, 456, 459. Bériille. Pierre de. card.: 15. 38. 117. 195.
Austria, imperatore di: cf. Francesco Giii-
seppe.
Austria, Marianna, imperatrice di: 369.
,.,
Avogadro della Morta, Emiliano: 96.
322 s; 334, 342, 346, 366, 395, 415; 445;
Azeglio, Massimo di: 79, 188.
449, 460 s, 476, 478, 480.
Azzi, Azzo: 264.
Beverlinck. Lorenzo: 181. 231. 318. 330.
..-, .. ..
Bacci, Pietro Giovanni., fili.~.oino: 318
Biale, Lorenzo, vesc.: 525.
Baccino, Giamhattista, salesiano: 392, 525. Biamonti, Francesco Antonio, sac.: 108.. 185..
Bailly, Louis: 126.
Balhiano. Luiei. sac.. servo di Dio: 286.
Balho, Cesare: 60, 79, 262, 289.
Balho, Prospero: 383.
Balladore, Antonio M., sac.: 342.
Ballesio, Giacinto, sac.: 473.
Ballerini, Raffaele, gesuita: 534, 539 s
Banaudi, Pietro, sac.: 205, 449, 460.
Baratta, Cario, salesiano: 382, 407.
Barhaini, Piero: 361, 365.
Barhera, Mario, gesuita: 59.
Barheris. Alessio. salesiano: 390.
Barheris, Giulio, salesiano: 90, 154, 224,
3% 357. 365, 368, 372. 376s. 390, 410.
318, 3i6.
Bianchi, Nicomede: 279, 386.
Bianchi, Raimondo, domenicano: 369, 386 s,
418, 423.
Bigex, Fran$ois.Marie, vesc.: 43, 45, 114.
Bindi, Enrico, vesc.: 365.
Bisogno dei tempi: ci. Urgenza.
Bizzarri, Pietro, card.: 389.
Blanchard ( = Duchesne), Jean-Baptiste: 257,
453-455, 457, 459, 465.
Boccaiandro, Pietro, sac.: 87.
Bodrato, Francesco, salesiano: 392.
Boffito, Giuseppe, harnahita: 284.
Boggero, Giovanni, sac.: 548-553, 563 s, 569.
Bollettino salesiano: 74, 96, 175, 240, 374,
379, 521 s, 526 s, 531.
Baricco. Pietro. sac.: 60. 91
~arnabiti:306; 321. '
Barolo, Giulia Falietti di: 173., 298., 422
Bona, Candido, I.M.C.: 353.
Bona, Giovanni, card.: 246 S.
Bonetti. Giovanni. salesiano: 50. 87. 134.
Barone, P. E.: 193.
Battesimo: 235, 249.
Battista, A. M.: 29, 130.
Bayle, Pierre: 19.
Beckx, Pierre-Jean, gesuita: 367.
Belasio, Antonio, sac.: 369 s, 379.
Bellarmino, Roberto, santo: 134, 201, 204.
Bellia, Giacomo, sac.: 320, 325.
Bellingeri, Carlo Francesco: 268.
Beorchia, Paolo, gesuita: 71, 132.
Bercastel, Antoine-I-Ienri Béranlt: 64, 70.
Berchialla, Vincenzo Gregorio, arciv., ohla-
...
4 8 1 ' ~4~88, 508, 554560.
Bongiovanni, Domenico, sac.: 290, 324 S.
Bongiovanni, Giuseppe, salesiano: 171, 290,
309, 351, 428, 480.
Bonghi, Ruggero: 93.
Bonomelli, Geremia, vesc.: 74, 302, 345.
Bonzanino, Cario Giuseppe, sac.: 276.
Bordoni, Antonio Giuseppe, gesuita: 339.
Boria-lioni. Giandomenico: 115.
Borino, Giov. Battista, salesiano: 494, 499.
to di M. V,: 156s; 493.
Borst, A. J.: 234.
Bergher, Paolo, sac.: 298.
Botzi. Italo: 241.
Bergier, Nicolas-Sylvestre: 20, 26.
~ o s c i A, ntonio: 241, 249.
Bernatdi, Francesco, sac.: 281.
Bosco, Francesco: 177.
Bosco, Giuseppe: 249.
Bosco, Henri: 175, 179.
Bosco, Margherita: cf. Occhiena.
Bosco, Teresa: 411.
Bosio, Antonio, sac.: 155.
Bossuet, Jacques-BCnigne, vesc.: 29, 48, 60,
62, 66.68, 70, 126, 134% 140, 182, 195,
281, 451, 505.
Bougeant, Guillaume I-Iyacinthe, gesuita:
-1-7,. 5
Bouix, Marcel, gesuita: 372.
Bourdaloue, Louis, gesuita: 195, 281, 316.
h u r l o t , Giov. Battista, sac.: 552.
Braido. Pietro. salesiano: 230, 244, 378, 441,
452,'456, 461, 466 S.
Braja, Paolo: 177.
Bravo. Gian Maria: 352
~ r e m o n d ,Henri: 501.
Bresciani, Antonio, gesuita: 271.
Brignole Sale, Antonio: 160.
Brocardo, Pietro, salesiano: 112, 163, 169,
415, 417.
Brofferio, Angelo: 78 s, 80, 290.
Broutin, Paul, gesuita: 359.
Bmnacci, A,: 241.
Brusa, Delfino: 558.
Bugnini, Annibale: 367.
Bulferetti, Luigi: 59.
Bultmann. Rudolf: 203.
Buona ( L > ) settimana: 292, 295s, 299, 321,
326 s, 332.
Bunio, Giuseppe, chierico: 111, 155.
Burzio, Stefano, ohlato di M. V,: 36, 111,
155, 189, 206, 211, 233, 384.
Busson. H.: 29.
Bustico, G.: 78.
Butler, Samuel: 23.
Buzzetti, Giuseppe, salesiano: 53, 56, 350,
485.
Cacciaguerra, Bonsignore, filippino: 323.
Cacciari, Francesco, harnahita: 306.
Cacciatore, Giuseppe, redentorista: 108 s,
151. 318. 383.
~ a f a s s i~, f u s e ~ psean, to: 60, 101, 138, 182s,
190, 195, 223, 229, 275, 294, 301, 310s:
315. 346. 352. 354s. 366. 385, 395, 402.
411; 415; 418; 425 s; 427; 435; 437; 448:
Cagliero, Giovanni, card., salesiano: 167.
179, 273, 332 s, 366, 403, 405, 488% 497:
51111
Cagliero, Giuseppe, salesiano: 393.
Caissotti, Paolo Maurizio, vesc.: 327, 362
Calahiana, Luigi, arciv.: 91, 97.
Calasanzio, Giuseppe, santo: 15.
Caliori, Carlotta: 170, 496.
Caimet, Augustin, benedettino: 14, 62, 70,
112, 479.
Calosso, Giovanni, sac.: 177, 205, 313.
Calvino, Giovanni: 48.
Camilleri, Nazareno, salesiano: 274.
Candeioro, Giorgio: 285.
Campana (La): 83, 124, 292.
Campono~e(Il): 100, 294.
Cantù. Cesare: 60.
Capecelatro, Alfonso, card.: 131.
Capitoli generali: 250, 372 s, 390, 423, 429,
531: 1877: 81. 90. 408. 420. 424s. 432-
4351 1880: 30; 219, 23'1, 314, 336,
381 s; 1883: 378 S.
Cappellari, Mauro: cf. Gregorio XVI.
Capponi, Gino: 361.
Carini, Francesco, gesuita: 159 S.
Carità verso il prossimo: 96, 129, 131,
430, 444, 448, 452, 459, 520, 527; C.
ratiua: 131, 356 s, 372, 376 s, 387 s,
...,
.
~
,
Carlo Alberto di Savoia: 75, 80, 352, 546.
Carlo Borromeo, santo: 250 s, 272, 277, 283.
Carlo Emanuele 111: 228.
Carlo Felice: 13.
Carlo FiliDD0 da Poirino, ca-p-puccino: 292 s,
323, 48i.
Carlo Giacinto di S. Maria, agostiniano, ser-
vo di Dio: 246 s, 318.
Cario Giovenale (Barberis) da S. Antonio,
agostiniano: 174, 475, 492.
Carlos di Borhone-Este: 546 S.
Carnel, M.: 273.
Caipano, Giacinto, sac.: 92, 298, 354.
Carpignano, Felice, filippino: 301.
Carré, I.: 234.
Carron, Guy-Toussaint: 456.
Casati, Michele, vesc.: 306, 360, 505.
Casteilani, Armando, giuseppino: 204, 353,
.cc
>>l.
Castighi: 449, 454 s, 459, 461, 466 5, 548;
CF. Assistenza.
Castità: cf. Purezza.
Catechismo: cf. Istruzione religiosa.
Caterina de Mattei da Racconigi: 184, 248,
342.
Cattaneo, Carlo Amhrogio, gesuita: 185, 336,
340 S.
Cattaneo, Enrico: 289.
Caussade, Jean-Pierre de, gesuita: 483.
Cavanis, fratelli e Istituto: 15, 349, 370,
373, 385 s, 413, 415 s, 430, 445, 504.
Caviglia, Alberto, salesiano: 18, 64-66, 77,
87, 262, 321, 326, 350, 492, 495, 560.

30.3 Page 293

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DoCnaBvoosucro, nCeallmaislltooriBa edneslola, rceolingtioesidi:ca8t0to,lic9a1. sV,ol IIC. Soltoemllaiatti, Emanuele, sac.: 158.
99 s, 188, 289.
Colosio, Innocenzo, domenicano: 245.
Cays, Carlo, saiesiano: 93, 353, 355, 390. Colpeuolezza (senso di): 51 S.
. Cecca. Mice. sac.: 241,. 272 280 S. 282 s. Comollo, Giuseppe, sac.: 442.
Cepari, Virginio, gesuita; 184, 245.
Comollo, Luigi, chierico: 25, 101-103, 111,
Ceria, Eugenio, salesiano: 11, 25, 78, 379, 119 s, 138, 148, 151, 177 s, 183, 189s.
437, 456, 472, 512, 527, 531.
202, 205, 212, 223, 229, 243, 246, 258,
Cerri, Domenico, sac.: 89, 537-539.
276, 304, 342, 346, 366, 384, 435, 442,
Cermti, Francesco, salesiano: 179, 306, 412, 445, 476-478, 480.
462.
Compagnia del2'Immacolata: 162, 350 S.
Cesari, Antonio, filippho: 184,245,255,431. Compagnia S. Giuseppe: 352.
Chabod, Federico: 163, 543.
Compagnia S. Luigi: 96, 347-349, 352, 356.
Chadwick, 0.: 24.
Compagnia SS. Sacramento: 350 s, 356.
Chambord, Enrico di Borbone, conte di: Compayre, Giacinto, sac.: 425.
.54.7..
Conrunione eucarirtica: 25.32. 101-106. 190.
Charron, Pierre: 29, 130.
Charvaz. Andrea. arciv.: 84. 91
Chiala, 'Cesare, salesiano: 425, 509, 515 s,
548-553, 564366, 569.
Chia-eaie. Luie"i., sac.: 365.
Chiaveroti, Colombano, arciv.: 81.
218, 257, 271, 278, 292'5, '296, 309; 316;
327, 329, 478 s; C. frequente: 237, 299-
. 303. 319-326. 348. 350. 460,: orima c.:
194; 257, 2j7, 324.326:
Concettini: 389, 522.
Concina, Daniello, domenicano: 130.
Chiesa: 13, 17, 30, 119-145, 334; apostolica: Confalonieri, Giuseppe: 147.
134: arca di salaezza: 125.: conereeazione: Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli: cf. So-
115; 132; famiglia: 131-133;corpo misti. cietà di S. Vinc. de' Paoli.
co: 140; gerarchica: 133; madre: 120, Confessione sacramentale: 52, 101, 256, 271,
126, 305, 384; nave: 136, 501; regno:
131-133; santa: 116, 120s, 1385, 217;
società: 132; una: 132, 293; assalito: 168,
. . - 172,. 383:, o.ersefiuitota: 160,: orefiuurata:
274, 292-294, 306, 310-319, 348, 418-421,
460: c. eenerale: 237 S.,~ 311-318,: C. nulle:
~
311; 31.?s, 445.
Congar, Y. M., domenicano: 132.
62; in loua: 62 s, 70 s, 82 s, 122, 145, Conoscere: 202 s, 357, 436; cf. Dio; Cuore;
157-159, 162, 174, 396, 533-535, 540 s, Servizio di Dio.
547-554; trionfatrice: 62 s, 89, 144 s, 289 s,
380.
Chiuso, Tommaso, sac.: 286.
Chossat, M.:19.
Cibrario, Luigi: 93.
Cionchi, Righetto: 163.
Ctttadino (11): 99.
Civiltà (La) Cattolica: 875, 89, 93, 318,
534 s, 539 s, 543-545.
Clarac, Marie-Louise A,, suora, serva di Dio:
298.
Claret, Juan Maria, santo: 15, 308, 505.
Coadiutori salesiani: 377-379, 519.
Cecchi, Giovanni, sac.: 91, 321, 346, 354,
177
Contenson, Vincent, domenicano: 38.
Conversione: 51 s, 108, 188, 192-195, 199 s,
202-204, 337, 426s; ci. Cuore.
Cooperuto~i salesiani: 96, 347, 367 s, 374,
. . 376.. 451 472,. 521 531.
Corpo umano: 21, 33, 35.
Costa della Torre, Ignazio: 160.
Costama"ena. Gaetano. sac.: 292. 294
Costamagna, Giacomo, vesc., salesiano: 332,
366, 500.
Cotta, Giuseppe Antonio: 174.
Cottolengo, Giuseppe, santo: 206, 218, 339,
413,483,504; opera C,: 97,303,422,437 S.
Cofitel, Pierre: 54, 234-236, 245, 255, 257,
260, 451, 459, 464 S.
Cocchiara, Giuseppe: 481.
Craveri, Luigi, sac.: 286.
Coco, F.: 241.
Crispi, Francesco: 93, 131, 236, 470.
Codignola, Ernesto: 59.
Croce, Benedetto: 59.
Cognet, Louis: 130, 232, 451.
Croiset, Jean, gesuita: 54 s, 139, 184, 219,
Collegio (educazione, uita di): 53 s, 250, 222, 232-236, 245, 255, 283, 339, 461.
259, 286, 351, 388, 423, 455% 463 s, 531. Cuccagni, Luigi, sac.: 431.
Coilet, Pierre, laziarista: 126, 315.
Cugiiero, Giuseppe, sac.: 113, 446.
Collot, Pierre: 43, 45, 114 s, 222.
Cuniberti, Felice, sac.: 492.
Coiombero, Giacomo, sac.: 426 s, 485.
Cuore umano: 21, 33, 37-40, 104, 189,
196, 199s, 211, 223, 232-235. 258, 261,
270, 304, 342, 346, 442s; cornnzione
del c.: 46-50, 234, 458; guadagnare il
C,: 137, 233, 354, 444, 446, 449, 465,
470.
Cuore di Gesù: 38, 205, 295, 320, 330,
335, 424.
Cuore di Maria: 38, 155 s, 163, 168 s, 334.
Dalmazzo, Francesco, salesiano: 319, 466,
484 S.
Dal Portico, Girolamo: 271.
Dammig, Enrico, M. I.: 245.
Daniélou, Jean, card., gesuita: 126.
Dson, Robert-Frangois: 273.
De Ambroiio, Carlo, salesiano: 513.
De Aogelis, Clemente, sac.: 364, 458.
Dc Angelis, Filippo, card.: 492.
Deletiaye, Hippolyte, gesuita: 40.
Delicati, Pio, sac.: 127.
Delie Lenze, Carlo Vitt. A., card.: 530-
Dei Mastro, Giacomo, salesiano: 438.
Del Vecchio, Giov. Antonio, sac.: 389 S.
De Mnttei, Pasquale, gesuita: 37 s, 52,
184, 201, 204, 211, 233, 255, 341, 477.
Demonio: 45, 50, 68, 94, 180, 188, 238,
244, 270, '308; 336, 381, 3965, 475,
481 s, 487; ci. Tentazione.
osa, Denza. Francesco, barnabita: 491.
De
Gabriele: 352.
Desauctis, Luigi: 124, 128 s, 192, 195, 295.
Descartes, René: 23.
Desgenettes, Charles-Eléonore Dufrichc: 168%
475, 502.
Desramaut, Francis, salesiano: 182, 385,
411.
De Vecclii, Giovanni: 170, 332 S.
Di Meo, Vincenzo, saiesiano: 413.
Dio creatore: 19-21, 34, 43 s; ente supre.
mo: 21, 23; giudice: 52s, 153; maestà:
24 s, 219; misericordioso: 26, 108; orini-
potente 72, 478; padre: 25 s, 52, 110,
337, 452, 477, 500; provvidente: 27, 64 s,
87, 203; punitore: 94, 100; signore: 24,
231, 384, 416 s; trino: 116 s, 483; co-
nmccnza di D,: 19, 27, 32, 454; con-
versione a D.: 26 s; unione con D.: 15,
32, 204, 478-481; Oratorio, opera di D.:
85, 491; Soc. Salesiuna, opera di D,: 485,
500; cf. Tradizionalismo.
Direzioce spirituale: cf. Rendiconto.
Disciplina: 56; ci. Assistenza.
Distacco dalle creature (dal mondo): 15 s,
38.40, 184, 2025, 338, 393, 395, 397,
413, 436 S.
Dogliani, Giuseppe, salesiano: 170, 332.
Dolcezza: cf. Amorevolezza; Francesco di
Sales.
Dolore: 181, 195-197.
Domenico della Madre di Dio, passionista,
beato: 241.
Dominici, Maria Enrichetta, suora, serva di
Dio: 275, 277 s, 301, 314, 325, 343, 483.
Donaudi, Stanislao, sac.: 288.
~~~~~i del
7.10. 227.229, 275.341,
350, 392, 461; ci. carità; Osservanze.
Droulers, Paul, gesuita: 279, 288.
Du Boys, Albert: 366, 368, 373, 379.
Duc, Pierre-E.: 316.
Duchesne: 6. Blanchard.
Dufriche-Desgenettes: ci. Dcsgenettes.
Duguet, Jacques.Joseph: 29.
Dupanloup, F@lix, vesc.: 361, 364 s, 458,
463.
Durandi: 68 S.
Durando, Celestino, salesinno: 309, 403, 428.
Durando. Giacomo: 78,. 134.
Durando, Maicantoilio, lazzarista, servo di
Dio: 78. 91, 260, 389, 422, 461.
Ebrei: 48.
Educatore (L') primario: 354, 443
Elrm~ ori.n~ n: ~9.7:. c~i. Carità.
~
~
~
~
Elia di S. Teresa, carmelitano: 480 S.,
Emiliani, Gerolamo, santo: 15.
Emmerich ( = Emmerick), Caterina: 493, 495.
Empietà: 191 S.
Enria, Pietro, saiesiano: 179 s, 251, 353,
-1.7.9, 488.
Enxico TV: 127 S.
Enrico VIII: 48.
Erasmo da Valenza, francescano: 281.
Erasmo di Rotterdam: 143.
Eresie: 47-49, 62 s, 162, 293, 295: cf. Pro-
testanti; Scristianizzazione; Valdesi.
Esempio (esemplarità): 199, 243, 342, 346,
349.
Esercizi spii.itiiali: 110, 112, 119, 185, 244,
335-341, 353, 384, 394, 404, 422, 425-427,
445, 526.
Esptaisnie:y 4(7d9'),S. Charles: 379, 381, 486.
Eucaristia: 25, 101-107, 222 s, 478 s, 564-
569; attrattiva dell'E.: 105; ci. Coniunio-
ne; Sacramenti.
Fai di Bruno, Francesco, sac., servo di Dio:
276, 298, 332.
Fagnano, Giuseppe, salesiano: 373.

30.4 Page 294

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
Famiglia: 137; cf. Chiesa, Dio, Gesù Cristo, Frassinetti, Giuseppe, sac., servo d i Dio:
Papa, Paternità, Pedagogia.
232, 239, 245 s, 255, 257, 269 s, 292,
Fantini, Luigi, vesc.: 91.
300 s, 322, 324, 326, 356, 363 s, 366,
Farini, Luigi Carlo 72, 94, 97, 99.
391 s, 460, 519 S.
Fassati, Maria, marchesa: 169 S.
Fratejacci, Giov. Battista, sac.: 525.
Fatti straordinari: cf. Grazia; Miracoli.
Fratelli delle Scidole Cristiane: 290, 296,
Favini, Guido, salesiano: 230, 379.
320, 451, 453.
Favre, Antoine, sac.: 323.
Frayssinous, Denys, vesc.: 26-28, 48, 215.
Febhraro, Rosa: 411.
Fuchs, J., gesuita: 271,
Feeia. Aeostino. sac.: 60. 443
Fumagalli: 98.
1nc;eduli;à; ~ ~ r i s t i a n i z ~ z i o n e .
Federico dell'Addolorata, passionista: 241.
Felicità: 187; cf. Allegria.
Ftnelon, Fransois de Salignac de la Mothe:
20, 195, 281, 451, 466.
Fenoglio, Nicola, salesiano: 466.
. Ferrari Aeostino: 111. 150.
Ferraris, Lucio, francescano: 433 S.
Ferreri, Carlo, sac.: 36, 255, 259, 276, 304,
321,' 340, 425.
Ferry, Paul: 128.
Fert4, A.: 451.
Figli di Maria: 392, 521.
Figlie d i M. Ausiliatrice: 17, 137, 171, 174,
279, 367, 378, 403, 405, 411, 414.
Filippo Neri, santo: 36s, 5 6 % 103, 111,
189.191, 194, 207, 237, 239, 245 s, 250,
269, 316, 318, 323, 374, 404, 429, 4375,
460 s, 485, 505 S.
Fioretti: 329, 519 S.
Fischietto (Il): 79, 290.
Fieury, Claude: 69s, 115, 128, 451.
Fogliano, Carlo, sac.: 296.
Foe-lio. Emesto. salesiano: Il.
Fontana, A,, sac.: 158 S.
Fonzi, Fausto: 76.
Foresti, Antonio, gesuita: 245.
Fornasio. Luiei: 557 S.
~o'oucault;~ l b e r t :352.
Fradelizio, Giuseppe, rosminiano: 456.
Francesco d'Assisi. santo: 183. 410. 413
Francesco di ~ales;santo: 14s; 38, '104, 183,
196, 218s, 222, 272, 281, 283, 293, 304,
323, 326, 345, 406, 420, 434, 437s, 444,
451, 466, 469, 483, 502 s, 505.
Francesco Giuseppe, imperatore d'Austria:
75., 89.. 94,. 532.. 540 S.
Francesia, Giov. Battista, salesiano, 185, 276,
290 s, 305, 308, 351, 406, 428.
Franco. Secondo., e"esuita: 94. 428.
Fransoni, Luigi, arciv.: 75, 81-84, 91-93,
97, 122, 137, 158, 173, 287.
Gaetano Migliorini da Betgamo, cappuccino:
777
Galantuomo ( I l ) : 71 s, 85, 8 9 % 94, 169,
249, 292, 457, 535-537, 541 s, 545.
Gallego Yriarte, Saturnino E., fratello Sc.
CI.: 232.
Galli. Telesforo. sac.: 340.
Gallizia, Piergiacinto: 342.
Garelli, Bartolomeo: 289, 310, 449, 503 S.
Garelli Vincenzo: 60. 443.
~aribaidi,Giuseppe: '74, 86, 492.
Garrone, Evasio, salesiano: 107.
Gastaldi. Lorenzo. arciv.: 91 S. 287 S. 302.
307s; 309, 325, 361 s, 363; 387 s, 390,
426, 486, 491, 494.
Gastaldi. Pietro Paolo. oblato di M. V.: 206
Gatti, Giuseppe, sac.: 165.
Gatti, Stefano: 98.
Gaume. Iean-Toseoh. sac.: 297. 324
Gavio, 'éamiiio: i10.
Gazelli di Rossana, Stanislao: 91
Gazzaniga, Pietro, domenicano: 126.
Gazzetta (La) del popolo: 189, 250, 290.
Gazzetta ( L a ) piemontese: 79.
Gelabert. Melchiorre. sac.: 14.
Gemelli, Agostino, francescano: 108.
Genta, Giov. Antonio, sac.: 301.
Gerdil, Giacinto Sigismondo, card.: 43, 64,
67, 126, 130, 132, 134, 215, 456% 461.
Gerini, Giov. Battista: 263.
Germain. Elisabeth. suora: 15. 198.
Genraise, Frangois-Armand: 479.
Gesù Cristo: 94, 101s, 278, 328 s, 468;
capo della Chiesa: l , 2 125, 133,
501; crocifisso: 113; esempio d i G.: 110,
387; Figlio di Dio: 409; giudice: 107-110;
i, liberatore: 114: maestro: 113 S. 125; mes-
sia: 61 s, 114 123; ~astore:'125; pre-
figurato: 61 s; re: 67, 137; redentore:
115; salvatore: 15-17, 23, 73, 111, 113-
117, 123, 132, 136, 181 s, 237; sorgente
di vita e santith: 125, 140, 215, 300; 6.
Comunione; Eucaristia; Sacramenti; cor-
po mistico d i C,: 111.
Gesuiti: 55, 75, 97, 122, 236, 245, 260, Guerra, Almcrigo, sac.: 361 s, 363.
333, 339, 351, 367, 370, 375, 389, 410, Guglielmo I, impwatore di Prussia: 546
416, 421, 422, 4245, 513; elogio: 406. Guibert, Joseph de, gesuita: 425.
Gherardi, Ezio: 362.
Guillaumont, A,: 38.
Ghilardi, Tommaso, vesc.: 88, 91-93, 173,
307
~ h i oM; ichelnngelo: 64.
Ghiringhello, Giuseppe, sac.: 91.
Ghisleni, Pier Luigi: 285.
Guillois, Ambroise, sac.: 30.
Guioi, Cltment, sac.: 394 s.
Cuizot, Francois: 361.
Gurgo, Secondo: 180, 489.
Giacomelii, Giovanni, sac.: 162.
Giaculatorie: 284. 341.
Gianrenisma ( ~ o ; t - ~ o y a l )2:6, 28, 38, 54,
130, 168, 232, 236, 244s, 260, 293., 317..
412, 451 s, 455, 461, 464.
Gioberti, Vincenzo: 78-80.
Giordano, Dornenico, sac.: 462.
Giordano, Felice, oblato di M. V.: 111, 155.
Giordano, Giov. Battista, sac.: 276, 299, 425.
Giovannetti, Michele, salesiano: 524s.
Giovanni della Croce, santo: 344, 481, 505.
Giovannini, Enrico, sac.: 30.
Giraudi, Fedele, salesiano: 555.
Habert, Louis: 397 S.
Harphius ( = Herp), Hendrilc: 15.
Helvétius, Claude-Adrien: 26.
Hidalgo, J. F., redentorista: 342, 398.
Hobbes, Thomas: 66.
Hoceda, Emile, gesuita: 19.
HoIier. Paul: 151.
orte tela no, A,: 38.
Huet, Pierre-Daniel, vesc.: 130.
Huguet, Marc-André, marista: 292, 335, 493.
1-lumbert, Hubert, sec.: 44, 255, 315.
Hurrer, Hugo, gesuita: 391 S.
Giudizio particolare: 51, 180, 188; cf. No- Iais, Egidio, benedettino: 450.
vissimi.
~
~
Ignazio del Costato di Gesù, passionista:
Giulitto, Giuseppe, salesiano: 436, 438.. 509., 428 S.
515s, 519.
Ignazio di Loyola, santo: 14, 196, 235, 336,
Giuseppe, santo: 237, 304, 326, 334, 493 S. 339, 406, 410, 483.
Gloria di Dio: 14, 139, 182, 391, 402, 447,
483.
Imitzione
di G . Cristo:
~ 3~ 9,.
111
---?
-304.,.
~
33R
Impurità: 46 s, 61; cf. Purezza. .
Gotti, Vincenzo, card., domenicano: 47.
Incredulità (miscredenza): 29, 46, 61, 124,
Gobinet, Charies: 111, 198.200, 208, 211, 144, 155, 157, 171, 197, 255, 294s, 327,
214, 233-235, 255, 260, 269, 317, 323.
330, 363; ci. Ateismo; Fede; Protestanti.
Goirand, Joseph-Melchior, sac.: 315 S.
Indifferentismoreligioso: 116, 144, 155, 157,
Gort, Jeanne Lydie: 235.
159, 287, 293, 295, 323, 330, 363, 373.
Gosio, Damiano, sac.: 389.
Gousset, Thomas, card.: 324, 391 S.
-indulornip. -3-76- F".
Infallibilità: 6.Chiesa; Papa.
Granada, Lufs de, domenicano: 183, 505.
Inferno: 50 S, 62, 180 S, 185, 188, 215, 380;
Gras, Carlo: 463.
ci. Novissimi.
Grasstlli, Antonio: 98.
Innocenti, Benedetto, francescano: 149, 328.
Grassino, Giovanni, sac.: 334.
I?itransi.gcnti (intransigentismo): 78, 81-89.
Grazia divina: 55, 116, 121, 1-51> 196, 198, Isnardi, Giov. Battista, oblato di M. V,: 36,
200, 204. 235, 324. 343.. 396. 442,. 44.6.~ ,
7--,n, i
., ?ad
L"
,2.-.
%
~
452, 470; 479; grazie straordinarie: 174, Istruttore (L')del popolo: 78, 80.
256, 343, 475; ci. Miracoli.
Istruzione religiosa: 289 s, 297 s, 299, 304,
Gregario XVI: 63, 71, 132, 159, 292, 501, 306, 312, 338 s, 354 s, 357, 387, 391, 454,
536.
Gregorio Magno, santo: 38, 62, 231, 403 S.
+m J", A a.
Gregorio, Oreste, redentorista: 50, 54, 340.
Grignion de Montfort, Louis, santo: 159 s,
167, 191, 218, 345, 502.
Griseri, Giuseppe: 82, 90, 173.
Grozio, Ugo: 191.
Guala, Luigi, sac.: 353.
Jacini, Stefano: 86.
Jamin, Nicolas: 22 S.
jericot, PauIineMarie, serva di Dio: 502.
José de S. Miguei y Barco, domenicano: 150.
Jurieu, Pierre: 128.
Guanella, Luigi, sac., servo di Dio: 397.
Kant, Emanuele: 20.
Godvert, Jacqiies, sac.: 124.
Kellerwessel, P,: 351.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella
419, 447, 466, 473, 488, 524, 531, 534, Scavini, Pietro, sac.: 391 S.
548, 564, 566, 569.
Scheeben, Mattia Giuseppe: 117, 505.
Rubino, Giambattista, sac., servo di Dio: Schefimacher, Giov. Giacomo, gesuita: 132
288, 349, 352.
141.
Ruffino, Domenico, salesiano: 161, 166, 270, Schlegel, Federico: 60.
310, 334, 382, 484% 508, 549-551, 466% Schmid, Cristoforo: 68, 70, 112
569.
Schmidt, Ildeherto, francescano: 328.
Rulfo, Giorgio, gesuita: 339.
Schouppe, Francois-Xavier, gesuita: 391 S.
Saccardi, Ernesto: 304, 334.
Sacerdozio (sacerdote): 74, 119, 132, 212 s,
361 s, 372, 378 s, 392, 403, 437.
Sacramenti: 74. 192, 260, 296 S. 300 S.. 324.,
457, 470, 547 s; cf. ~attesim;; Comunio-
ne; Confessione; Eucaristia; Matrimonio.
Scristianizzazione: 46 s, 56, 63 s, 82 s, 90,
105, 116, 124, 130%158s, 175, 190, 197,
259, 286.297, 318, 327, 357, 363, 374,
.5..0.3:s; cf. Ateismo; Incredulità; Indi&-
icllllbl,,",
scritti di DB:
Sacramento (visita al SS.): 102, 309, 329 s,
430, 4 3 ~ ~ ;
del ~,:.34~, 430,
Amico (2)della gi0~entÙ (1848-49): 78-80.
Sacrificio: 181, 231, 293, 300, 302, 307, Angeiina
323.
331, 384, 405; cf. Messa.
Apparizione (1871): 72, 142, 147, 542.
Sacy ( = Saci), Antoine-Isaac Silvestre de:
h7
~.~~ Sage, I'icrre: 359.
Salamo. Simon: 14.
~~
~~~
Saint-Simon, Claude-Henri de: 76.
Salesiani: 44. 95. 100. 112. 120. 137. 153 S.
228, 244, '274; 275, 306, 347, 351, 359:
Arpa
(1881.82): 3j4.
Avvisi ai Cattolici (1850.53): 121 s, 135,
139, 142, 215 s, 343, 461.
Biografia Caffasso (1860): 184, 223, 229,
385, 437, 448.
Biografie SaleS. defunti (1885): 436s.
Brevi biograk d. confratelli (1875): 519.
439, 464, 504 s, 513, 526.
Cattolico istruito (1853; istrutto: 1850):
Salette ( L )1:47, 157, 536; cf. Apparizioni. 19 s, 22-24, 29 s, 39, 43, 46-48, 61-63,
Salle, Jean-Baptiste de la, santo: 15, 54, 232, 67-69, 79, 84, 86, 115 s, 132 s, 135.137,
451, 453.
139, 141-143, 193, 215, 460.
Salvezza dell'anima: 13 s, 3 4 % 149; 448; Cattolico nel secolo (1883): 19, 30, 133, 137.
S. eterna: 55, 124-128, 136, 142, 149-154,
178-181, 197-202, 227, 293, 318, 346, 386,
398. 429 S.. 445.. 448.. 472.. 504.
Saint-Jurc, Jean-Baptiste, gesuita: 203.
Santarosa, Santorre di: 188.
Santità cristiana: 126, 138-144, 205-225, 318,
385, 437, 472.
Saracineiii, Acacio, gesuita: 71.
Savart, Claude: 169.
Savini, Angelo, carmelitano: 422.
Savio, Angelo, salesiano: 185, 366, 411.
Savio. Ascanio. sac.: 25.
savio; rigida: 276.
Savio, Domenico: 13, 36, 99, 101, 105, 112 s,
138, 143, 161, 183, 193, 195, 204, 206-
210, 212, 217, 222-224, 230s, 235, 238.
240, 244, 249, 253, 256, 258s, 269, 276,
301. 304. 308,. 310. 325. 342s. 346. 350.
366; 395, 415, 435-438, 445-447, 449; 470;
476, 478-480, 499, 509-514, 524, 529, 560.
Scalabrini, Giov. Battista, vesc.: 131.
Scappini, Giiiseppe, salesiano: 522.
Cattolico provveduto (1868): 19, 136, 326.
Cenni Caterinn da Racconigi (1862): 248,
,?A?
Cenni Comollo (1844-54): 25, 101-103, 105,
119s, 139, 148, 177-179, 183, 202, 205-
215, 223, 229, 243, 384, 442, 477
Cenno Magone (1861-83): 36, 105, 183, 190,
194, 210, 238, 261, 311 s, 447, 449.
Centenario S. Pietro (1867): 88, 127, 144,
175, 492.
Chiave del paradiso (1856): 19, 33, 124,
5LO.
Chiesa Cattolica (1869): 88, 116.
Concili generali (1869): 134.
Confratelli chiamati da Dio (1879): 436.
Conversazioni avvocato e curato (1855): 71,
124, 293 s, 295, 310.
Conversione Valdese (1854): 193 s, 203.
Cooperatori salesiani (1874-77): 14, 77.
Cristiano guidato (1848): 150, 444, 451.
Diuoto Angelo Custode (1845): 112.
Scappini, Pietro, Salesiano: 436, 438.
Dramma. Uno disputa (1853): 192.
Scaramelli, Giov. Battista, gesuita: 231, 406. Due conferenze (1857): 192.
Epistolario: 14, 21, 73, 78, 85, 116, 179,
236, 259, 261, 334, 346, 351, 373, 388,
393 s, 411, 441, 456, 466, 473, 488, 492,
500, 522, 548.
Esercizi spirituali (1849): 445.
Esercizio misericordia d i Dio (1847): 21, 24-
26, 115, 151, 181, 322, 353, 449.
Fondamenti (1850-53): 116, 121, 126, 128,
227, 343.
Forza btrona educazione .(1855.): 104. 191S.
194 s, 294, 445 S.
Giovane provveduto (1847.85): 14. 16. 19 S.
409; 423%442 s, 446, 450, 460, 519; 528:
Giubileo (1854): 51, 161.
Inaugurazione patronato Nizza (1877): 37,
56, 179, 236, 441, 459 S.
Maniera facile (1855): 15. 33. 35. 43. 45 S.
~~,. ~~,~-
~
~~
Maraviglie (1868): 27, 150, 152, 160, 168 s,
171, 334, 357, 476, 495.
Maria Ausiliatrice (1875): 175, 476, 495.
Massirnino (1874): 70. 192.
Memorie d . 'oratorio (1946): 77 s, 147 s, 154,
177 s, 205,238, 306, 310, 313 S, 415,449 s,
460. 508.
Mese d i maggio (1958): 14, 16, 22, 25, 27,
33 s, 40 S. 43. 45. 47. 50 S. 79. 95. 107 S.
... ..
~ o t i r i emiracolo SS. Samam. (1853): 331.
Nove aiorni (18701: 152. 332. 460.
NovelG amena (1862): 192.
Nuvoletta (1877): 175.
Pastorello d. Alpi (1864): 32, 107, 184, 19 s,
195, 210s, 221, 259, 317, 344, 445, 460.
Perquisizioni: 85, 97-100, 113.
Porta teco (1858): 56, 250, 257 s, 269, 271.
Prediche: 33, 45, 112.
Raccolta avvenimenti 118541: 147. 192. 294.
Regolamento Casa annessa i1854;): 230.
Regolamento Case (1877): 230, 318,324,344,
346, 441, 459, 521.
Regolamento Oratorio (1852-77): 251, 258,
321, 347, 421, 443 S.
Regole o Costituzioni Soc. Salesiana (1858?-
85): 50, 74, 112s, 115, 126, 138, 182,
204, 225, 370 s, 383-388, 391, 396% 398-
530.
Ricordi confidenziali (1863-86): 447-449.
Rimembranza (1865): 169.
Rimembranza (1868): 152, 476.
Scelta laudi sacre (1879): 334.
Scuole d i beneficenza (1879): 77.
Sei domeniche (1846-54): 23. 37. 52. 103.
106, 139, 184, 201, 229, 243, 347s, 435,
460, 477.
Seuerino (1868): 129 S.
Sistema preventivo (1877): 56s, 137, 179,
236, 317, 324, 345 s, 441, 449 s, 458 s,
462 S.. 464. 521.
Società mutuo soccorso (1850): 96.
Sogni: 131, 508-569.
Storia d'Italia (1855): 59, 61, 64-67, 73, 87,
145, 262, 445.
Storia ecclesiostica (1845-71): 16, 19, 61.65,
70, 84, 86, 90, 94, 112, 122, 128, 132,
139, 145, 184, 215s, 245, 294, 431, 442 s,
A.4,7, .
Storia sacra (1847.63): 16, 19, 33, 43, 60s,
64, 68s, 111 s, 114, 145, 258, 261, 442s.
Testamento spirituale: 119 s, 401, 414, 467,
499 S.
Valeiatino (1866): 212-214, 254s, 393, 445.
Vita Maria d. Angeli (1865): 201, 225, 480.
Vita Savio (1859): 13, 24, 36,_104 s, 113,
161 s, 183, 190, 206, 208.210, 222, 227,
231, 244, 251, 256, 276. 304. 321.. 344.
350; 435; 442,444 si 479; 499.'
Vita S. Giuseppe (1867): 493 S.
Vita S. Martino (1855): 139, 143, 215, 341.
Vita S. Pancrazio (1856): 139, 215, 227, 493.
Vita S. Paolo (1857): 479.
Vita S. Pietro (1856): 88. 127. 139s. 215.
Vite Papi: 112,'115,139, i75, 245.
Cf. anche: Capitoli generali; Galantuomo
(Il); Sogni.
Scrittura Sacra:
Gen. 3. 15: 156s: 6. 12: 262: 14. 21: 13 S.
19 s,'24 s, 116, 469 s, 504.
Lev. 20,7: 206.
1 Reg. 2,8: 366.
3 Reg. 19,11: 260.
Iudith 15,10: 158.
Ioh 31.1: 410. 530.
PS. 8 , i : 20; i1,zo: 160; 3,s: 22; 1 6 , ~ :
41; 48,13: 44 s, 488; 68,4: 115; 90,13:
416; 94,8: 203; 99,l: 189, 210.
Prov. 5,8: 412; 8,31: 366; 21,28: 403;
22,6: 197 s, 200, 211, 344.
Eccl. 5,13: 401; 24,31: 149 s.

30.8 Page 298

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DCoanntB. o1sc,4o:n1e4lla0;st1or,i7a:de1l4la1;re6lig,3io:si162c.attolica.
Vol II. Stella
Solutore,
santo:
ci.
Tebea
(legione).
Sap. 5,4-6: 201, 488; 5,7: 509, 512, 518, Sommervogel, Catlos, gesuita: 71, 84, 232s,
520, 561; 7,11: 254, 347, 518, 528; 13.3- 455.
1s. 53,12: 113; 57,21: 189, 191 s, 194, 214.
Ier. 2,20: 337.
Thren. 3,27: 211, 393; 3,51: 530.
Mt. 5,13: 377; 7,8: 343; 11,25: 203;
Soprannaturale: ci. Dio; Grazia; Miracoli
Sordi, Seraho, gesuita: 83 S.
Sorveglianza: ci. Assistenza.
Soiìbirous, Bernadette, santa: 157 S.
Spadolini, Giovanni: 144.
11,28: 302, 324; 11,29: 444; 12,27: Speirani, Giulio: 78 s, 96, 155, 169, 304.
140; 3 l : 39; 16,16.18: 62, 88, 122,
160, 333; 19,17: 225; 22,30: 254.
Lc. 1,49: 171; 4,23: 386; 11,41: 96; 13,
25-27: 109.
Spinola, Fabio Ambrogio, gesuita: 428.
Spinola, Marcelo, card.: 374, 377.379, 406.
Spirito Santo: 140, 159 s, 211, 235, 254,
472; cf. Dio.
Io. 4,lO: 203; 6,38: 416j 21,15: 133; 41,
1: 448, 498.
Act. 1, 1: 385; 4, 32: 429, 431.
Rom. 12,l: 88; 13,l: 469.
1 Cor. 11,24: 322; 13,4: 444, 458; 15,32:
258. 488.
2 COI: 5,lO: 108.
Eph. 5,3: 266; 5,6: 229.
Phil. 2,8: 182.
1 Thess. 4,3: 207; 5,3: 215
Heh. 13,14: 41.
Spreafico, Eufrasio, barnahita: 389.
Stella, Pietro, salesiano: 29, 39, 63, 102,
154, 187, 245, 282, 295, 302 s, 307, 320,
326, 519.
Strambi, Viocenio, santo: 286.
Strano, Salvatore, sac.: 310.
Stricber, Joseph, redentorista: 154.
Struman, R.: 128.
Suipiziani: 417, 421.
Suore di S. Anna: 277, 279.
Iac. 1.17: 396.
l Pt. 2, 18: 81, 90,
1 Io. 2,16: 396; 5,19: 408
Apoc. 14,4: 244, 518.
Scuola (LC)attolfza: 89.
Scupoli, hrenzo, teatino: 104 s, 218 S.
Secco, Luciano, gesuita: 70.
Segneri Paolo (senior e junior) gesuiti: 44,
47, 49, 108, 130, 185, 192, 219-222, 251,
268, 273, 283, 318 s, 326, 336.
Ségur, Gaston de, vesc.: 192, 257, 292, 300 s,
320, 324 s, 326, 505.
Semeria, Giovanni, barnsbita: 376.
Seminario: 360, 366, 375, 391 s, 412, 417 S.
Serafino, Angelo, sac.: 391.
Seruizio di Dio: 188 s, 192; cf. Carità; Do-
veri; Gloria di Dio.
Sevrin. Ernest: 279. 286.
Siccardi, Giuseppe: ' 93.
Sistema preventivo: cf. Pedagogia; Snitti di
DB.
Soave, Francesco, somasco: 43, 68, 70, 112.
Socialismo: 157; cf. Progresso; Rivoluzione.
Società di Mutuo Soccorso: 96, 352, 355 S.
Taggia (monaca di): ci. Asdente.
Tassoni, Alessandro, sac.: 27 S. 48.
Tebea (legione): 171, 174, 494s.
Temperanza: 373.
Tempestività (darsi, operare per tempo):
202-205, 346, 389, 505, èf. Urgenza.
Tempi « calamitori»: 121, 155, 173, 293,
374, 379 s, 536 S.
Tentazioni: 50, 188, 198, 255-262, 396, 423;
cf. Demonio.
Teppa, Alessandro, barnahita: 304, 321,
458 s, 465, 480.
Teresa d'Avila, santa: 38, 344, 373, 378,
448., 481.. 505.
Teresa di Lisieux, santa: 211, 343.
Thiers, Adolpbe: 457.
Thiers, Jean8aptiste: 361.
Thils, Gustave: 131.
Thomassin, Louis: 117.
Tillemont, Sébastien Le Nain de: '$93.
Timon-David, Joseph, sac.: 376.
Tirinus, Jacques, gesuita: 14, 479.
Tissot, Simon André: 261, 264, 266.
Titone, Renzo, salesiano: 204.
Tommaseo, Niccolò: 93.
Società di S. Vincenzo de' Paoli: 93, 131,
284, 297, 347, 352-356. 370. 374.
Sogni di DB: 17, 147, 153, 161, 253 s, 316,
366, 476, 498, 505, 507-569.
Solari, Giov. Pietro, vesc.: 360.
Solaro della Margarita, Clemente: 76.
Tommaso d'Aquino, santo: 104, 231, 390,
395 s, 401.
Tonelli, Carlo, salesiano: 438.
Tonello, Michelangelo: 90.
Toniolo, Giuseppe: 95.
Tornielli, Girolamo, gesuita: 44.
Tortone, Gaetano, sac.: 90, 260.
Toscani, Xenio: 361.
Tournély, Honoré: 126.
Tradizionalismo: 19, 27-31, 37, 130.
Trinità: ci. Dio.
Trione, Stefano, salesiano: 396, 499, 531
Trivier: 124.
Trono e altare: 75 S.
Tronson, Louis, sulpiziano: 14.
Turchi, Adeodato, vcsc., cappuccino: 130.
Ubbidienza: cf. Obbedienza.
Unia, Michele, salesiano: 393, 532.
Umiltà: 114,
Unione con .Dio: cf. Dio; Presenza di Dio.
Unitd (L')Cattolica: 88, 1655, 491, 535;
.546.
~
Uomo: 33-41.
Urgenza (bisogno) dei tempi: 73, 121, 136,
188, 205, 361 s, 505.
Utilitarismo: ci. Vantaggi.
Vacanze: 259
Valdocco: 55-57. 98. l05 S. 124 179
Valentini, Eugenio, salesiano: 77, 79, 275,
-3.76., 4.h-h.
Valerio Ballardini da Venezia, cappuccino:
178, 318, 330, 475.
Valerio, Lorenzo: 60.
Valfré, Sebastiano, beato: 284, 299, 359.
Vallauri, Tommaso, sac.: 276, 391.
Valsecchi, Antonino, domenicano: 29, 48,
126, 130.
vantaggi spirituali c temporali: 139, 197,
288, 294, 326, 343, 3455, 360, 365, 383,
416, 430.
Vecchi, Alberto: 334.
Ventura, Gioachino, teatino: 27.
Venturi, Franco: 359.
Venturi, Marino: 273.
Vera allegria: 238; v. devozione: 218 s, 345;
v. educazione: 470; v. fede: 127; v. feli-
cità: 191, 193, 198 s, 212; v. religione:
12~ 3.,127, .44,5-:: v. santità: 126.
Verneaux, R.: 22.
Veronesi, Mosé, salesiano: 389.
Verri, Carlo, fratello delle Sc. Cristiane: e?.
Vescovi: 133, 136, 313, 419.
Ves~innani. Giuseppe, salesiano: 30, 390,
5i0; 5 2 ~ ' ~ .
Via Crucis: 285, 327 S, 329.
Vianney, Giov. Maria, santo: 288, 307 s,
475, 481.
Vigliani, Paolo Onorato: 93.
Viglietti, Carlo, saiesiano: 154, 396, 486,
497 s, 499.
Villa, Giovanni: 355.
Villaret. Emile. sesuira: 353.
Vinay, vaido: 83,
. Vincenzo de' Paoli, santo: 74, 131, 150,
373 S, 437 s, 444, 485, 502, 506; cf So-
cietà di S. Vinc. de' Paoli.
Virtù e vizi: 65.67, 94, 197-200, 205, 227,
274, 349, 386, 388, 519s, 526-531.
Visconti Venosta, Emilio: 93.
Vittorio Amedeo 11: 359.
Vittorio Emanuele IL: 76, 91 s, 95, 156, 169.
Vocazione (religiosa, sacerdotale): 120, 126,
202 S, 212-214, 259, 360-369, 387 s, 392-
402, 436.
Vola, Giov. Ignazio, sac.: 298, 308 s
Volentieri, Angela, sac.: 60.
Voltaire: 10s, 131.
Vossius, G.J.: 44, 494.
voti religiosi: 360, 401-414.
Walenburch, fratelli: 126, 134.
Werner, Kad: 126, 128.
Widenfeld, Adam de: 109, 151
Winter, Eduard: 385.
Zama Mellini, Giuseppe, sac.: 108, 304, 395.
Zanon,. Fra-nr-.e....;r.o Saverio: 349.
Zappata, Giov. Battista, sac.: 92, 173.
Zelo: 14, 438; cf. Carità.
Ziggiotti, Renato, salesiano: 527.
Zini, Luigi: 64.
Zita, santa: 216.218,
Zucca, Giovanni: 240, 467, 524.
Zucconi, Ferdinando, gesuita: 14.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol II. Stella