Educare come Don Bosco 2012-2103, Meditazione 2 - Mistica dela carisma salesiano

NOVEMBRE 2012


MISTICA DEL CARISMA:

DA MIHI ANIMAS


Il Rettor Maggiore scriveva nella lettera di convocazione del CG26: “È da tempo che ho maturato la convinzione che la Congregazione oggi ha bisogno di risvegliare il cuore di ogni confratello con la passione del ‘Da mihi animas’” (ACG 394, p. 6). Questo sarà il tema della nostra riflessione.


1. “Da mihi animas”: mistica e ascesi salesiane


Un po’ più avanti, nella stessa lettera, D. Pascual ci ricorda un testo rilevante della nostra Tradizione salesiana:

Il motto di Don Bosco é la sintesi della mistica e dell’ascetica salesiana, come viene espressa nel ‘sogno dei dieci diamanti’. Qui si intersecano due prospettive complementari: quella del volto visibile del salesiano, che manifesta la sua audacia, il suo coraggio, la sua fede, la sua speranza, la sua consegna totale alla missione, e quella del suo cuore nascosto di consacrato, la cui nervatura è costituita dalle convinzioni profonde che lo portano a seguire Gesù nel suo stile di vita obbediente, povero e casto” (ACG 394, p. 7); “la ragione del suo instancabile operare per ‘la gloria di Dio e la salvezza delle anime’”( ACG 394, p. 6).


Pur distinguendo le due parti del motto, preso dalla Sacra Scrittura (Gn 14, 21), conviene non separarli: la mistica e l’ascesi non possono non intendersi insieme. Ricordiamo l’immagine che, a questo riguardo, presenta il documento sulla vita fraterna in comunità: “la comunità, senza mistica non ha anima, ma senza ascesi non ha corpo” (n. 23). Riprenderemo questo rapporto tra mistica ed ascesi nella loro unione più piena, che diventa anche il loro autentico punto di partenza, l’amore.


In primo luogo, dal punto di vista formale, questo motto è una preghiera. “Proprio perché preghiera, essa fa comprendere che la missione non coincide con le iniziative e le attività pastorali. La missione é dono di Dio, più che compito apostolico; la sua realizzazione é preghiera in atto” (ACG 394, p. 6). Ricordiamo, inoltre, le espressioni di Gesù nel discorso sul Pane della Vita: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato (...). Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio” (Jn 6, 44.65). In questo senso, é una preghiera di petizione: chiediamo a Dio che ci consegni i giovani per salvarli. Ci rendiamo conto di quello che osiamo chiedere al Signore, dell’enorme responsabilità che implica il nostro motto? Gli domandiamo di affidarci “questa porzione la più delicata e la più preziosa dell’umana società” (Cost. 1), i giovani… Siamo all’altezza di questa domanda?



2. “la Gloria di Dio e la Salvezza delle anime”


Cosa chiediamo a Dio, quando preghiamo: Da mihi animas? Non ci porta questa domanda a una mentalità spiritualista, dicotomica, slegata dalla realtà integrale e storica dei giovani?


Questa obiezione potrebbe aver qualcosa di legittimo, ma nel nostro tempo, soprattutto alla luce del lavoro fatto dalla Congregazione nelle diverse parti del mondo, viene smentita nella pratica, diventa puramente teorica. Chiedere al Signore “le anime” è stato inteso da sempre dalla Congregazione come un’espressione metonimica per designare la persona integrale: ogni giovane, e tutti i giovani, nella loro realtà corporeo-spirituale, sono “in potenza” destinatari della nostra Missione. Perciò, il nostro lavoro è essenzialmente educativo pastorale, concretizza la nostra Missione che “partecipa a quella della Chiesa e realizza il disegno salvifico di Dio, l’avvento del suo Regno, portando agli uomini il messaggio del Vangelo intimamente unito allo sviluppo dell’ordine temporale” (Cost. 31).


Personalmente ritengo che il problema continua ad essere un altro. La domanda sulla specificità della parola “anima” rimane ancora senza risposta soddisfacente.


E non si avrà questa risposta, se dimentichiamo che la promozione integrale, che Don Bosco ha cercato in ogni momento per i suoi giovani, ha come traguardo ultimo e definitivo la loro salvezza. Se non è questa anche la nostra mèta nel lavoro educativo e pastorale, non andremo oltre l’essere un’organizzazione più o meno efficace per lo sviluppo della gioventù. Ma in questo caso non saremo più un movimento carismatico, la cui unica missione è essere “segni e portatori dell’Amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri” (Cost. 2).


Provo ad esprimere con uno schema, molto semplificato, quanto sto dicendo:



Dannazione eterna





espressioni”

della

dannazione


SITUAZIONE

CONCRETA

DEI

GIOVANI


Mediazioni

della

salvezza



Salvezza

eterna


Il centro, come è evidente, rappresenta la realtà giovanile attuale; gli estremi corrispondono a una visione cristiana “tradizionalista” della situazione umana di fronte a Dio, come se tutto si “giocasse” soltanto nella salvezza e dannazione eterna. I testi in corsivo, negli spazi intermedi, esprimono la visione “attuale” di questa situazione, ma, se diventa esclusiva, rischia di diventare anche escludente, e può correre il pericolo di dimenticare le “realtà ultime”, i “novissimi”. L’insieme corrisponde a una visione integrale, quella sola che anima e fa piena giustizia al nostro lavoro salesiano.


Soltanto quando cerchiamo di “operare per la salvezza della gioventù” (cfr. Cost. 12), il nostro lavoro diventa esperienza di Dio. “La gloria di Dio e la salvezza delle anime furono la passione di Don Bosco. Promuovere la gloria di Dio e la salvezza delle anime equivale a conformare la propria volontà a quella di Dio, che comunica Se stesso come Amore, manifestando in questo modo la sua gloria e il suo immenso amore per gli uomini, che vuole siano tutti salvi. In un frammento quasi unico della sua ‘storia dell’anima’ (1854), Don Bosco confesserà il suo segreto circa le finalità della sua azione: ‘Quando mi sono dato a questa parte del sacro ministero intesi consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime, intesi di adoperarmi per fare buoni cittadini in questa terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo. Dio mi aiuti di poter così continuare fino all’ultimo respiro di mia vita. Così sia’” (ACG 394, 37-38).


Conviene ricordare ancora una volta che la “salvezza” non significa, utilizzando un’immagine semplice, “arrivare, appena, in paradiso”. Per Don Bosco, l’ideale dell’educazione salesiana è la santità, la “misura alta” che ci presenta il Santo Padre Giovanni Paolo II in Novo Millennio Ineunte (nn. 30-31) come la mèta e il programma dell’azione intera di tutta la Chiesa.


Anche per i suoi ragazzi, la maggioranza dei quali non proveniva da ambienti “privilegiati” (né dal punto di vista socio-economico, né religioso), Don Bosco ha proposto ai giovani un programma di spiritualità che tutti potessero seguire concretamente nella vita quotidiana. Era convinto che anche i giovani sono chiamati alla santità e possono fare un cammino spirituale analogo a quello dei santi adulti. Questo cammino, orientato dalla guida spirituale, conduce all’assunzione oblativa e gioiosa di sé nel quotidiano; trova i suoi momenti di forza nella preghiera, nei Sacramenti e nella devozione mariana; si esprime nell’attenzione caritativa verso il prossimo, in un vissuto allegro e dinamico: “noi facciamo consistere la santità nel essere sempre lieti”.


Per questo egli ha cercato di rendere accessibile l’insegnamento tradizionale della Chiesa, adattandolo in modo concreto e conveniente all’età giovanile. Domenico Savio, Michele Magone e Francesco Besucco sono testimoni della spiritualità giovanile di Don Bosco. Anche se non tutti sono arrivati ad una santità riconosciuta dalla Chiesa, senza dubbio tutti sono esempi di vita cristiana riuscita in pienezza. Il racconto della loro vita e, soprattutto, della loro morte esemplare mostra come Don Bosco li ritenga già nel Regno di Dio, in Paradiso.


Il ragazzo che poteva sembrare più lontano da questo ideale di santità, Michele Magone, costituisce per Don Bosco un esempio di vita virtuosa e santa che lo porta a scrivere: “Noi avremmo certamente desiderato che quel modello di virtù fosse rimasto nel mondo sino alla più tarda vecchiaia, e sia nello stato sacerdotale, cui mostravasi inclinato, sia nello stato laicale, avrebbe fatto molto bene alla patria ed alla religione”. Don Bosco vede in lui e consegna in questa biografia, con grande chiarezza, l’ideale umano e cristiano del giovane.



3. La passione dell’uomo, di Cristo, di Dio


È molto interessante e significativo, nella presentazione che il Rettor Maggiore fa del motto di Don Bosco, trovare la parola “passione”. Questo termine è entrato in modo progressivo nel linguaggio del nostro tempo: non saprei dire se è così anche nel pensiero. Ancora pochi anni fa aveva un significato positivo soltanto riferito alla “passione di Cristo” e, in questo caso, soltanto perché si considerava equivalente della sua sofferenza e morte in croce. Alla domanda: ‘Quando comincia la passione di Cristo?’ la risposta unanime e immediata era: ‘il giorno prima della sua morte’.


A questo riguardo uno scrittore russo, D. Merezhkovsky, dice: “È molto strano che la Chiesa, che considera ‘le passioni’ come qualcosa di cattivo, e la loro assenza come segno di santità, abbia voluto chiamare ‘passione’ il suo Mistero più grande” 1.


Vorrei approfondire la riflessione sulla passione prendendo in considerazione tre momenti: antropologico, cristologico e teologico.


1.- Nel senso antropologico, la passione (e le passioni) era considerata qualcosa di negativo, legato al peccato o, in ogni caso, all’imperfezione della concupiscenza. Molte volte veniva proposto un modello di uomo che prevedeva l’assenza assoluta delle passioni o, almeno, l’equilibrio ed il controllo di esse; è la ricerca dell’aurea mediocritas, del “giusto mezzo”, anche se la parola che esprimeva questo ideale non è accattivante: la apatia. Di fronte a questa mentalità vale la pena ricordare il pensiero, intenzionalmente provocatorio, di S. Kierkegaard: “Perde meno chi si perde nella sua passione, di chi perde la sua passione”.


Un riferimento particolare va fatto alle tematiche legate all’amore umano e, concretamente, all’eros. Come sottolinea Josef Pieper nel suo straordinario libro Sull’Amore, l’eros è stato oggetto di una campagna di diffamazione e di calunnia.

È indispensabile che, come educatori-pastori, diventiamo capaci di formare persone appassionate, che sappiano amare ed essere amati/e. Ricordiamo che una delle priorità della nostra educazione umana e cristiana, nel discernimento fatto nel Capitolo Generale 23, nel 1990, fu proprio questa: l’educazione all’amore e nell’amore. Penso che questa preoccupazione continui ad essere più che mai attuale.


2.- In prospettiva cristiana, parlare della “passione” di Gesù Cristo, nel linguaggio teologico e spirituale2, significa oggi riferirsi al suo Amore, alla ragione ultima della donazione della sua vita per noi: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per coloro che uno ama” (Gv 15, 13).


Senza cadere in una tautologia possiamo dire che la passione di Gesù porta alla sua passione. Si è fatta molta strada per cercare di togliere a Gesù, Figlio di Dio fatto Uomo, una “apatia” che durante molti secoli impedì una comprensione piena della sua Umanità, e difese un monofisismo larvato. Come dice il Rettor Maggiore, “il programma di Don Bosco riecheggia l’espressione ‘ho sete’, che Gesù pronuncia sulla croce mentre sta consegnando la propria vita per realizzare il disegno del Padre (Gv 19, 28). Chi fa propria questa invocazione di Gesù, impara a condividere la Sua passione apostolica ‘fino alla fine’” (ACG 394, p. 7).


Pur presupponendo tutto questo, non possiamo però fermarci qui: sarebbe rimanere a metà strada, poiché la “passione” di Gesù sarebbe soltanto conseguenza dell’Incarnazione, del suo “amare con cuore di uomo”, come dice in maniera molto bella il Concilio Vaticano II (GS 22). Ma, in fondo, non ci direbbe nulla di come è Dio, in Se stesso. In questo caso, non sarebbe la rivelazione di Dio, ma il suo nascondimento.


3.- Il senso più profondo della “passione” è teo-logico: come dice in maniera sintetica J. Moltmann, “la passione di Cristo ci rivela la passione di un Dio appassionato”.


Dietro l’ideale dell’apatia si poteva cogliere l’anelito dell’uomo di “diventare Dio”, di essere il più possibile simili a Lui. Questo desiderio non è, in assoluto, negativo o peccaminoso: siamo stati creati a Sua immagine e somiglianza! Come dice in maniera straordinaria san Tommaso d’Aquino, “prius intelligitur deiformis quam homo”! Dobbiamo intendere l’essere umano prima come deiforme che come uomo). L’errore fondamentale sta nell’immagine di Dio; si crede che Egli sia “più in là” dei sentimenti e delle passioni, che Egli siaapatico”. La sua Onnipotenza consisterebbe nel suo stare in Cielo e nel godere di felicità piena. L’uomo, di conseguenza, vorrebbe essere già qui sulla terra simile a questo Dio che è in Cielo.


A questo riguardo Moltmann afferma: “L’uomo sviluppa la propria umanità sempre in rapporto alla divinità del suo Dio. Sperimenta il proprio essere in rapporto a ciò che gli appare come l’essere supremo. Indirizza la propria vita verso il Valore ultimo. Si decide, fondamentalmente, per ciò che lo riguarda in modo assoluto (…) La teologia e l’antropologia si trovano in un rapporto di mutuo scambio (…) Il Cristianesimo primitivo non fu assolutamente in grado di opporsi al concetto di apátheia che il mondo antico proponeva come assioma metafisico e ideale etico. In esso si condensavano la venerazione per la divinità di Dio e l’aspirazione alla salvezza dell’uomo” 3.


Il Rettor Maggiore ci sollecita perciò a ravvivare la nostra passione apostolica. Parlando della formazione egli scrive: “Occorre formare persone appassionate. Dio nutre una grande passione per il suo popolo; a questo Dio appassionato la vita consacrata guarda con attenzione. Essa deve quindi formare persone appassionate per Dio e come Dio” (ACG 394, p. 28). Benedetto XVI afferma: “Ezechiele (...) parlando del rapporto di Dio con il popolo di Israele, non teme di utilizzare un linguaggio ardente e appassionato (cf. Ez 16, 1-22). “L’Onnipotente attende il ‘sì’ delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa”.



4. La Passione apostolica di Don Bosco


Cercheremo di concretizzare, nella prospettiva salesiana, questa “nuova immagine di Dio”: sarà un arricchimento straordinario dal punto di vista teologico, ma soprattutto nella prassi concreta della nostra Missione.


È ovvio che non è soltanto questione di parole: corriamo il rischio di versare vino nuovo in otri vecchi. D’altra parte dobbiamo anche dire che i cristiani autentici - in primo luogo i santi e le sante - hanno “intuito” questo, pur non avendo le categorie concettuali e linguistiche adatte per esprimerlo: l’esperienza autentica del Dio di Gesù Cristo non si esaurisce nelle idee o nelle parole!


Possiamo tranquillamente caratterizzare Don Bosco come un uomo appassionato, pieno della passione dell’Amore (in fondo, dal punto di vista cristiano, vuol dire pieno di Dio). Ma per andar oltre questa bella espressione, perché non rimanga puramente retorica, vogliamo domandarci: Quali sono gli elementi che questa nuova visione può offrire per un rinnovamento, anche teologico, della passione di Don Bosco?


* In primo luogo, possiamo dire che il nostro Padre condivide la passione di Dio per la salvezza dell’umanità, più precisamente dei giovani, in particolare i più poveri, abbandonati e pericolanti (cf. Cost. 26). Questo sarebbe il senso più profondo della “compassione con Dio”. Non prendere sul serio questa passione ci porta di nuovo verso l’apatia teologica, o soltanto verso una preoccupazione intramondana per la promozione umana dei giovani. Come dicevamo prima: chiedere a Dio di concederci i giovani, significa prendere molto seriamente il fatto di collaborare con Lui, sentire con Lui, soffrire con Lui per causa loro …


* In secondo luogo, Don Bosco è particolarmente sensibile alla manifestazione dell’Amore di Dio: il “non basta amare …” oltre ad essere un’espressione meravigliosa del suo immenso cuore, e anche un elemento formidabile nell’educazione, possiede una straordinaria densità teologica. Tutto il piano di salvezza di Dio si può sintetizzare in una sola parola: epifania. La salvezza non consiste soltanto nel fatto che Dio ci ami, ma nella manifestazione del suo Amore in Cristo (cfr. Rom 8, 39).


* La passione educativo pastorale di Don Bosco sottolinea, in maniera assoluta, la gratuità del suo amore come espressione della Grazia di Dio, che non è “qualcosa” ma è Dio stesso. Questi si dona pienamente a noi nella sua Realtà trinitaria, senza nessun merito da parte nostra.


* D’altra parte, nella vita e nel sistema educativo di Don Bosco occupa un posto fondamentale la risposta del giovane. Il “non basta amare…” va in questa direzione: “Chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani” (Lettera da Roma, nelle Costituzioni p. 250). Riecheggia nel nostro cuore il detto “studia di farti amare”. Forse qui possiamo porci una domanda: la corrispondenza del giovane non minaccia l’assoluta gratuità del nostro amore e la radicalità della nostra donazione?


Benedetto XVI approfondisce questo tratto fondamentale dell’amore parlando di Dio: “Per riconquistare l’amore della sua creatura, Egli ha accettato di pagare un prezzo altissimo: il sangue del suo Unigenito Figlio (...) Sulla croce è Dio stesso che mendica l’amore della sua creatura: Egli ha sete dell’amore di ognuno di noi (...) In verità, solo l’amore in cui si uniscono il dono gratuito di sé e il desiderio appassionato di reciprocità infonde un’ebbrezza che rende leggeri i sacrifici più pesanti” (Messaggio della Quaresima 2007).


È diffusa l’idea che l’amore è più “puro” se, alla sua totale gratuità, non trova nessuna corrispondenza, perché altrimenti sarebbe un amore “interessato”. Si può rispondere a questa obiezione con la parola di San Paolo: “Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole” (Rom 13, 8); nel vero amore reciproco la gratuità non sparisce, anzi, troviamo, per così dire, “l’incontro di due gratuità”.


È un tema che, nella fenomenologia dell’amore, è veramente affascinante. Da una parte, riprendendo una acuta osservazione di E. Jüngel, dobbiamo distinguere tra l’‘ut’ finale (amo per essere amato) e il raggiante ‘ut’ consecutivum (dove l’essere-amato è conseguenza, e non finalità, del mio amore) 4. San Bernardo lo aveva già detto in maniera magnifica: “Ogni vero amore è senza calcolo e, ciononostante, ha ugualmente la sua ricompensa; esso, addirittura, può ricevere la sua ricompensa solo se è senza calcolo… Colui che nell’amore ricerca come ricompensa solo la gioia dell’amore, riceve la gioia dell’amore. Colui invece che ricerca nell’amore qualcosa di diverso dall’amore, perde l’amore e, al tempo stesso, la gioia dell’amore ” 5. Possiamo applicare all’amore quello che Gesù dice sul Regno di Dio: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33). Invece, chi si aspetta “tutte le altre cose” mentre cerca il Regno, finisce per rimanere senza il Regno, senza la sua giustizia, e anche senza tutte le altre cose…


Dobbiamo andare alla Fonte ultima della teologia, alla riflessione teo-logica per eccellenza, che non è affatto una ‘astrazione di terzo grado’: la contemplazione del Dio Trinitario. La perichoresi ci garantisce che, in Dio, ugualmente “divino” è l’amare e l’essere-amato. A questo Dio siamo simili, siamo stati creati a sua Immagine. Quello che Dio ha unito, l’uomo non deve dividerlo...



* In conclusione: credo che la definizione tradizionale di Don Bosco, Padre e Maestro dei Giovani, ha ancora moltissimo da offrirci. Va sottolineata in modo particolare la paternità, che è una delle espressioni più profonde dell’essere-uomo, perché Don Bosco l’ha vissuta in pienezza. Per non rimanere nella retorica dell’espressione mi limito ad indicare due aspetti tipici della paternità (e anche della maternità, evidentemente, anche se con sfumature diverse):


- l’amore paterno/materno è l’espressione più piena e radicale dell’assenza di condizioni dell’Amore di Dio: ogni altro amore umano, tranne questo, presuppone la conoscenza della persona amata; i genitori amano il/la figlio/a, ancora prima che abbia un volto e un nome, persino un genere…


- l’amore paterno/materno, non è affatto indifferente alla risposta filiale, ma non dipende da questa. Per questo è riflesso dell’Amore divino, che è buono anche con i cattivi e gli ingrati… (cfr. Mt 5, 44-45).


Concludiamo con una citazione delle nostre Costituzioni, fatta preghiera a Maria Immacolata Ausiliatrice:


Maria, insegnaci e aiutaci ad amare come Don Bosco amava! (Cfr. Cost. 84).

1 Citato da J. MOLTMANN, Trinidad y Reino de Dios, Salamanca, Ed. Sígueme, 1983, p. 37.

2 Possiamo ricordare il recente Congresso sulla Vita Consacrata: “Passione per Cristo, passione per l’umanità”.

3 J. MOLTMANN, Il Dio Crocifisso, Brescia, Queriniana, 1977, p. 313-314.

4 Cfr. EBERHARD JÜNGEL, Dio Mistero del Mondo, Brescia, Queriniana, p. 420.

5 Citato da J. PIEPER, Amor, en: Las Virtudes Fundamentales, p. 514.

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