Don Bosco nella storia della cultura popolare. Trainello. SEI 1987


Don Bosco nella storia della cultura popolare. Trainello. SEI 1987

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La personalità di don Giovanni Bosco segna indelebilmente un
periodo storico e intrama l'ambiente culturale e sociale di una città
e di un'epoca determinanti per le trasformazioni che rivoluzioneranno
la vita italiana del secondo '800.
Le molte pagine ispirate dal santo piemontese lasciano campo ancora
ad approfondimenti necessari, ad indagini puntuali su territori finora
poco esplorati: in particolare una ricerca nuova sulla dimensione
culturale della sua attività e delle istituzioni da lui promosse e uno
studio critico sul significato di cultura <cpopolare»e delle sue
espressioni, sul piano educativo, assistenziale, sociale.
La ricorrenza del centenario della morte di don Bosco offre spunti
per la riflessione, per un dialogo tra esperti, libero dalle esasperazioni
e dai pregiudizi di certa critica contemporanea, come dalle
banalizzazioni agiografiche o meramente cronachistiche di molti
lavori del passato.
L'intento è rievocare e disvelare il volto reale di un uomo così
incisivo nella nostra storia, una delle figure più discusse ed amate
della Chiesa moderna, eccezionale per la grandezza dell'operare e per
il carisma umano e religioso.
DON BOSCO
nella storia
della cultura popolare
a cura di FrancescoTraniello
ISBN 88-05-03999-3

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Contributi di:
Piero Bairati
Luciano Pazzaglia
Stefano Pivato
Germano Proverbio
Gianfausto Rosoli
Pietro Stella
Francesco Traniello
Maria Teresa Trebiliani
Giuseppe Tuninetti
Paolo Zoiii
In copertina:
Torino, piazza Castello, nel 1884.
(Foto archivio Chiambaretta, Torino

1.3 Page 3

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Collana IL POPOLO CRISTIANO
DON BOSCO
l
nella storia
della cultura popolare
a curadi FrancescoTraniello
SOCIETAEDITRICE INTERNAZIONALE - TORINO

1.4 Page 4

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l'edizione, ottobre 1987
2' edizione. gennaio 1988
Indice
Q by SEI Soaet& Edililce iniernarionaie
Torino 1987
Stampa MARIOGROS Industrie Grafohe Torino
1
l
l
ISBN 88 05 03999 3
Introduzione (Francesco Traniello) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
- A(LpupcrieanndoisPtaatzozaegilsitar)u.z.io.ne. d.e.g.li.ar.ti.g.ia.ni.a. V. a.ld.o.cc.o.(1.8.46.-.18.8.6). . 13
1. Per una pastorale della gioventù abbandonata, 13 2. La fondazione dei
- - primi laboratori, 20 - 3. Fra apprendistatoe lavoro, 29 - 4. Nel contesto di
una Congregazione di "preti, chierici, laici", 39 5. Linee per un ns roeetto
d'ismione professionale, 46.
Don Bosco
(Francesco
Te rla'endiueclaloz)io.n.e
.g.io.v.an.il.e:.l.a
". S.t.or.ia.
d.'I.ta.li.an.
.
.
.
.
.
.
.
81
- 1. I destinataridella "Storia d'Italia", 81 2. Fonti e modelli della "Stona
- d'Italia3', 83 - 3. L'ispirazione generale della"Stona d'Italia7', 84 4. L'og-
- - getto della "Storia d'Italia", 87 - 5. Papato e Stato pontificio neUa "Storia
d'Italia", 89 6. Età moderna ed ordine cristiano, 92 7. I1,trionfo della
Chiesa sull'idra rivoluzionaria, 95 - 8. I profili degli italiani illustri con-
temporanei, 100- 9. Guelfismoe diwlgazione storica, 102.
San Giovanui Bosco e la lingua italiana (Paolo Zolli) . . . . . . . . 113
(LGaesrcmuaonlaodPirdoovenrbBioo)sc.o.e.l'.in.se.g.n.am. e.n.to. d.e.l .la.ti.no. (.1.85.0.-1.9.00.). . 143
1. ia scelta di don Bosco per la scuola, 143 - 2. Gli insegnanti dell'orato-
- no e il mondo accademico torinese, 150 - 3. Le "proposte" della scuoladi
Valdocco, 156 4. Iniziative editoriali per la scuola e la cultura, 173.
- MBoosdcoell(oMmarairaiaTneoreesiamTmraegbiinlieadnei)l.ta.
d.o.n.na.
n.e.ll'.es.p.er.ie.nz.a.
e.d.uc.a.tiv.a.di
don
187
1. ia figura della madre, 187 2. Devozione mariana e la doma-madre,
- 188 - 3. L a trattatistica cattolica dell'ottocento, 192 - 4. Associazionismo
femminile, 197 5. Maria come modello astratto e come esempio concre-
to, 199.

1.5 Page 5

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(LG'imiumseapgpieneTudniidnoenttiB)o.sc.o.n.el.la.s.ta.m.pa. .to.rin.e.se. (.e.it.al.ia.n.a).d.el.s.uo. .tem20p9o
I. Le origini. Primo interessamento da parte della stampa: 1848-1849, 210
- 11. Ultimo ventennio: 1869-1888. DaIl'approvazione definitiva della
- congregazione salesiana alla morte del fondatore, 212 111. L'eco della
- morte di don Bosco nella stampa torinese e italiana. 232 IV. Riflessioni
conclusive, 242.
Don Bosco e la "cultura popolare"(Stefano Pi~ato}. . . . . . . . . 253
1. I "nipotini di don Bosco", 253 - 2. Mondo cattolica e "cultura popola-
re": una ipotesi interpretativa, 255 - 3. Iniziative di "cultnra popolare"
- nella seconda metà de11'800, 258 4. Don Bosco, i salesiani e la "cultura
- popolare", 268 5. Fortuna delle iniziative editoriali salesiane, 272 - 6. I1
teatrino, 276 - 7. L'attività sportiva, 280.
Impegno missionario e assistenza religiosa agli emigranti nella visione e
n(Gelila'onpfeoruastdoiRdoosnolBi)os.c.o .e.de.i.S.a.le.si.an.i. . . . . . . . . . . . . . . . . 289
1. L'emigrazione italiana al tempo di don Bosco, 289 - 2. La meta argen-
- tina, 293 - 3. L'impegno missionariodi don Bosco a favore degli emigran-
ti, 295 4. L a situazione degli italiani in Argentina, 301 - 5. Gli inizi
dell'azione pastorale salesiana tra gli italiani in Argentina, 303 - 6. I1
modello della penetrazione, 308 - 7. ia diffusione della scuola cattolica tra
gli italiani in Argentina, 310 - 8. Stampa e associazionismocattolico tra gli
emigrati italiani in Argentina, 313 - 9. L'impegno salesiano a favore degli
emigranti negli altri paesi, 317.
- Cultura salesianae società industriale (Piero Bairati) . . . . . . . . 331
l. Continuità e modernità del modellosalesiano, 331 2. Autonomia eco-
nomica e spirito imprenditoriale, 332 - 3. L'etica del lavoro produttivo,
337 - 4. L'immagine della Società Salesiana, 341 - 5. Dai laboratori alle
scuole professionali, 343 - 6. Industria e salesiani: due esempi, 344 - 7. I1
tema della modernità di don Bosw, 351.
- - (LPaiectaronoSnteizlzlaa)zio.n.e.di.d.o.n.B.os.co. .h.a .fa.sc.is.m.o.e.n.n.iv.er.sa.li.sm. .o . . . . 359
1. Nel quadro della Conciliazione, 359 2. Lo sfondo universalistico, 367
3. Una strateea della canonizzazione, 371 - 4. Le fasi di un trapasso. 376 -
5. Un intrecc10 complicato, 379.
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 383
Introduzione
Francesco Tranamello
I contributi riuniti in questo volume hanno l'ambizione di offri-
re, nel loro insieme, un apporto consistente allo studio della figura
e dell'eredità di don Giovanni Bosco. Pur vedendo la luce nel
centenario della sua morte, e affiancandosi alle molteplici e dise-
guaii opere occasionate da questa ricorrenza, il volume non ha
intenti celebrativi. Esso non raccoglie scritti d'occasione; ma na-
sce, come progetto, dalla constatazione che, a distanza di un seco-
lo, risulta un territorio relativamente poco esplorato, con rigore di
metodo e solidità di risultati, quello riguardante la dimensione
culturale dell'opera e dell'eredità di don Bosco. In argomento, il
volume intende suggerire alcuni spunti di riflessione e di indagine,
e lanciare in diverse direzioni talune sonde esplorative.
Come sempre accade, l'insieme dei contributi qui riuniti pre-
suppongono il lavoro intenso già fatto nel passato. Non nascono
certamente dal nulla. Più in particolare, essi riflettono il notevole
livello di maturità cui sono infine pervenuti, dopo una stagione in
prevalenza orientata ad indirizzi apologetici, cronachistici o di-
vulgativi, gli studi su don Bosco. A questa maturazione ha contri-
buito la Congregazione salesiana, nel cui ambito è stato avviato
un meritorio lavoro di scavo e un impegno prezioso rivolto a
mettere ordine nel mare magno delle fonti e degli scritti di don
Bosco e dei suoi collaboratori. Le documentate ricerche di don
Pietro Stella, i contributi della rivista "di storia religiosa e civile"
Ricerche storiche salesiane (che ha preso avvio nel 1982 per inizia-
tiva dell'Istituto storico salesiano fondato nello stesso anno), cosi
come altri molteplici studi italiani e stranieri di storiografia sale-
siana, sono la prova migliore di questa particolare vitalità. Ricor-

1.6 Page 6

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dando questi ultimi risultati, non si vuol ceno calare un velo di
dimenticanza su tutto quanto in precedenza è stato fatto; ma sol-
tanto rimarcare i segni, riscontrabili anche in altre direzioni, che
la stonografia su don Bosco ha ultimamente compiuto quello che,
con espressione un po' trita, possiamo tranquillamente definire un
salto di qualità.
Ma i contributi qui riuniti presuppongono anche altre condizio-
ni, che in una certa misura ne determinano il taglio e la sfera
d'interesse. Ne indicherò una, di natura generale. Essa riguarda
l'acquisita consapevolezza della fecondità di approcci che, utiliz-
zando fonti, metodi e punti di vista differenziati, sottopongono a
varie lenti d'indagine i fenomeni storici complessi, in prospettive
specialistiche ma coordinate. Voglio in particolare riferirmi a
quell'indirizzo che il grande storico francese Lucien Febvre ha
denominato, con espressione felice e intraducibile, unX'histoire à
part entière": dove il senso della "particolarità" e tutt'insieme
dell"'interezzan è contenuto in un ideale punto di sintesi. Da qui,
in un certo modo, nasce questo tentativo di indagine orientato
sulla dimensione culturale di don Bosco e della sua eredità.
Aeontando il tema sotto questa particolare angolatura si devo-
no evitare due pericoli contrapposti. I1 primo è quello di lasciarsi
guidare nell'indagine da un'idea di cultura che ne limiti i confini e
i significati alla sfera della produzione intellettuale, ad un'accezio-
ne esclusiva ed esclusivistica di "cultura dotta". Non sembra que-
sto il punto di vista più efficace per leggere criticamente il signifi-
cato storico di un uomo come don Bosco, certamente non indotto,
ma considerevolmente lontano, per interessi e direbbesi per voca-
zione, dal territorio della cultura dei dotti, dai campi raffinati e
impervi dell'innovazione e della scoperta intellettuale. Misurare
don Bosco e la sua eredità con questo metro esclusivo equivarreb-
be ad una preventiva liquidazione del problema: un criterio di
giudizio così orientato potrebbe semmai essere applicato alla sto-
ria della sua congregazione, e, in specie, a quella degli istituti di
alta cultura da essa costituiti.
Un secondo pericolo, non minore del primo, è però quello di
ritenere che la dimensione culturale di don Bosco s'identifichi
senza residui con la sua "santità" e con le opere che la convalida-
no: onde l'unico rilievo culturale attribuibile al prete piemontese
consisterebbe nel suo porsi come modello di un operare mosso
dalla fede, a riscatto degli umili e per la miglior gloria di Dio.
Anche in questo modo il problema sarebbe preventivamente
liquidato, mediante l'assunzione di un punto di vista che neghe-
rebbe, nel fondo, l'interesse di un'indagine storica volta ad accer-
tare le componenti e gli esiti "culturali" di una vicenda umana cui
la Chiesa ha riconosciuto il carisma della santità, ma che pur gra-
vita intorno a un ben determinato nocciolo di idee, di convinzio-
ni, di progetti, di sensibilità, capace a sua volta di produrre altret-
tanto determinati effetti e riscontri. Tali aspetti possono e debbo-
no essere letti con gli strumenti che l'indagine storica mette a
disposizione e continuamente raffina. In caso contrario si amve-
rebbe alla conclusione che, in presenza dei santi e dei modelli di
santità, l'indagine storica non potrebbe far altro che fornire ali-
mento all'agiografia. Nessuno dei collaboratori di questo volume
si è situato su tale terreno: tutti invece, pur con diverse sensibilità,
han tenuto ben salda l'esigenza primaria dell'accertamento docu-
mentario e dell'indagine storico-critica.
I1 punto è dunque, ancora una volta, quello dell'apprestamento
e dell'applicazione degli strumenti meglio adeguati alla.rilevazio-
ne e all'analisi della dimensione culturale di un "fenomeno stori-
co", che, nel caso in questione (don Bosco e la sua eredità) esor-
bita, per natura e dimensione, dalla sfera della cultura dei dotti.
L'apprestamento di strumenti analitici non può prescindere
dall'aspetto che, nel modo più diretto e percepibile, contraddistin-
gue la personalità di don Bosco: il suo essere stato, prima e più di
ogni altra cosa, una figura di educatore, cioè un uomo che ha
dedicato la parte più rilevante della sua esistenza alla formazione
di giovani appartenenti ai ceti popolari. Questo fatto assegna alla
dimensione culturale di don Bosco un'impronta delimitabile e
una possibilità di verifica, nel senso ovvio, ma decisivo, che
un'opera orientata in prevalenza all'educazione e alle istituzioni
formative richiede di essere studiata avendo l'occhio puntato non
soltanto alla sua specifica qualità, cioè in riferimento ai contenuti
culturali da essa veicolati, ma anche all'estensione e alla penetra-

1.7 Page 7

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zione dei suoi effetti, cioè alta sua capacità di influenza e, alla fine,
di efficacia.
Sotto questo riguardo, la figura di don Bosco costituisce un capi-
tolo, altamente significativo, di un fenomeno, o di un insieme di
fenomeni storici che trascendono e superano e contomano la vicen-
da biografica del prete piemontese, a misura che la sua opera si situa
a pieno titolo nel processo di diffusione a largo raggio della promo-
zione educativa, fatta di conoscenze e di abilità non meno che di
valori e di convinzioni, richiesta dalla transizione verso forme di
società sviluppate. Si può allora legittimamente ipotizzare che una
considerazione storica deii'opera di don Bosco trovi adeguata colio-
cazione ne1 quadro più generale del passaggio tra diversi modelli
socio-culturali, e che il suo significato culturale più autentico sia per
l'appunto da cogliersi in relazione alla somma di interrogativi e di
problemi che quella fase cruciale di passaggio ha costantemente pro-
posto. I particolari connotati, che costituiscono il proprium deli'ope-
ra educativa di don Bosco, non ne risulteranno per questo sminuiti o
ridotti, ma viceversa meglio illuminati ed evidenziati. In particolare
i contenuti e i metodi deii'influenza educativa di don Bosco, che per
loro natura non sono riducibili aiia pur decisiva dimensione scolasti-
ca, appariranno percorsi da un progetto implicito, in continuo dive-
nue e forse non del tutto consapevole, che trova il suo asse di riferi-
mento nel tentativo di mediazione tra un retroterra culturale marca-
tamente tradizionalistico ed esigenze vivamente percepite di innova-
zione. In questo gioco di rapporti, altamente problematico, trova un
suo posto specifico, ed esercita un ruolo dominante di sutura e di
connessione, il momento religioso come riserva di valori in grado di
assicurare la tenuta complessiva dell'intero modello educativo, oltre
che di garantire ad esso la necessaria spinta di moventi ideali.
Parlare dunque della dimensione culturale di don Bosco signifi-
ca inevitabilmente affrontare, in primo luogo, il tema assai vasto e
ancora per largo tratto inesplorato dei grandi fenomeni di diffu-
sione della cultura presso larghi strati popolari, che attraversano
l'età contemporanea, e che sono strettamente correlati alla nascita
delle società complesse, su scala nazionale o sovranazionale.
Significa anche toccare il delicato e difficile nodo della connessio-
ne tra obiettivi polivalenti (quali sono, per esempio, la scolarizza-
zione di massa e insieme la evangelizzazione o la ri-evangelizza-
zione popolare) e i metodi utilizzati per raggiungerli (che riguarda-
no, per esempio, la sfera linguistica, espressiva, comunicativa e
cosi via). In definitiva, lo studio della dimensione culturale di don
Bosco e della sua eredità incontra necessariamente sul suo cammi-
no il territorio, ancora mal definito ma non per questo impenetra-
bile, della mentalità e dell'ethos collettivo, e il campo multiforme
della cultura popolare.
Le coordinate che ho cercato sommariamente di tracciare ren-
dono ragione delle direzioni lungo le quali si muovono le sonde di
ricerca che compongono questo volume. Andando oltre la misura
biografica del santo piemontese, i contributi qui riuniti prendono
in esame, in termini qualitativi e quantitativi, alcuni aspetti, con-
siderati rilevanti dal punto di vista culturale, deli"'universo edu-
cativo" incentrato sul santo piemontese, prima e dopo la sua mor-
te, sia in riferimento diretto con la sua personale attività, sia in
riferimento alle istituzioni da lui promosse, sia in riferimento al
contraddittorio contesto di significati in cui la sua opera risultò
collocata fin dalle origini.
Gli autori dei contributi, partendo da diversi ambiti di compe-
tenza, sono stati mossi da una comune intenzione preliminare,
che può essere identificata nella volontà di situare il tema affron-
tato sullo sfondo di più ampi fenomeni socio-culturali.
I1 volume, va detto preliminarmente, non ha pretese di esausti-
vità, né in relazione ai singoli temi affrontati, e neppure nella
scelta dello spettro tematico. È, come ho detto, un avvio e in un
certo modo una proposta. Potrà sorprendere che vi trovino un
posto complessivamente limitato temi attinenti in modo più spe-
cifico alle cosiddette"scienze religiose": ciò risponde ad un'opzio-
ne dettata dalla considerazioneche in argomento già si dispone di
un buon lavoro di base, fatto in Italia e fuori d'Italia, mentre altre
ricerche si annunciano in materia. Talune angolature tematiche
(per esempio, il teatro, la letteratura, l'arte di matrice salesiana)
sono state affrontate in modo non sistematico o non affrontate
affatto, anche per difficoltà insorte lungo il cammino: potranno
essere oggetto di successivi lavori.
Nell'insieme, riconoscendo un certo grado di arbitrarietà nelle

1.8 Page 8

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scelte operate, il volume possiede, mi sento di poter dire, una sua
compattezza; per coglierla è necessario rinunciare ai moduli forse
un po' stantii, con i quali i soggetti qui trattati sono stati in genere
considerati.
Ai collaboratori del volume va il vivo ringraziamento dell'Edi-
tore e mio personale.
Apprendistato e istruzione
(d1e8g4li6a-rt1ig8i8a6n)i a Valdocco
Luciano Pazzaglia
l
Fra i titoli dell'ampia bibliografia che si è andata costituendo su
don Bosco e sulle sue iniziative, quelli dedicati ai laboratori e
all'istruzione degli artigiani, che il fondatore della Congregazione
salesiana promosse nell'oratorio di Valdocco, si possono contare
sulle dita di una mano'. Gli stessi studi di Pietro Stella, il più
informato biografo di don Bosco, riservano all'argomento solo
poche pagine, sia pure corredate di non poche notizie e interessan-
ti spunti interpretativiz. Questa carenza risulta tanto più sorpren-
dente in quanto, come è noto, i laboratori divennero ben presto
una delle linee portanti deli'intiera opera di don Bosco e dei suoi
continuatori. Negli ambienti salesiani la cosa è in gran parte spie-
gata con la penuria della documentazione. In effetti le carte di don
Bosco, depositate presso l'Archivio Salesiano Centrale a Roma,
sembrano fornire sui laboratori scarse indicazioni, salvo che per
gli anni 1880, quando - come era già stato rilevato dal Ceria - i
Capitoli generali della Congregazione preso0 appunto a discutere
delle scuole professionali3.. A scanso di equivoci sarà bene dir
subito che le pagine seguenti non pretendono di coprire la lacuna
denunciata, ma vogliono, più modestamente, richiamare l'atten-
zione su un aspetto meritevole di ulteriori approfondimenti4.
1. Per una pastorale della gioventù abbandonata.
I
In questa sede non è, certo, il caso che indugiamo sulle prime

1.9 Page 9

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esperienze educative di don Bosco, a partire dall'attività catechi-
stico-assistenziale che dal dicembre del '41 egli svolse presso il
Convitto ecclesiastico diretto dal Guala dove, su consiglio del
Cafasso, era appena entrato per completare la sua formazione
sacerdotale. Gli studi hanno ormai mostrato che l'iniziativa del
prete astigiano d'illustrare ai giovani bisognosi un po' di catechi-
smo e di trascorrere qualche ora distensiva con loro siinscriveva
in un contesto socio-religiosoabbastanza preciso ed era stata, pro-
prio al Convitto, preceduta da esperienze analoghe. Converrà for-
se ricordare che, durante gli anni della Restaurazione, i1 Piemonte
e Torino in particolare avevano visto rifiorire o nascere non
poche opere a servizio dell'elevazione materiale e morale del
popolo, anche se - come è stato osservato - si trattava di opere che
muovevano da preoccupazioni di tipo più religioso e caritativo
che non pedagogico, nel quadro di quello sforzo con cui la Chiesa
cercava di «riconvertire»a Dio la società dopo gli sbandamenti in
essa provocati dalla RivoIuziones. Tenuto conto di tale clima non
stupisce che al Convitto, già prima deli'amvo di don Bosco, vi
fossero stati dei sacerdoti che, dopo aver illustrato il catechismo
in chiesa, avevano preso l'abitudine di condurre i ragazzi nel cor-
tile della casa per accoglierli e dare loro qualcosa da mangiares.
Ma a don Bosco il Convitto doveva offrire qualcosa di più che
le suggestioni di un'azione caritativo-educativa nei confronti dei
carcerati, dei derelitti o dei giovani scesi a Tonno in cerca di
lavoro. In quegli anni il Guala e il Cafasso, rilevata l'artificiosità
delle vecchie dispute che avevano diviso gli ambienti ecclesiastici
a seguito della diffusione delle dottrine gianseniste, tendevano ad
affinare il profilo sacerdotale dei loro ospiti impegnandoli non
solo in seri studi e meditazioni, ma anche nell'esercizio del mini-
stero della predicazione e della confessione e sollecitandoli a con-
siderare la bontà dei sistemi teologici in rapporto alla capacità
che, in concreto, avevano di promuovere la crescita religiosa delle
singole persone7. Alla scuola del Convitto don Bosco andò dun-
que approfondendo l'arte della «cura delle anime* e consolidan-
dosi nella persuasione che quel che il ministero sacerdotale gli
chiedeva era di favorire, in primo luogo, la salvezza soprannatu-
rale della gente. Una prospettiva che sarà bene non perdere più di
vista poiché, se nella sua attività di educatore egli avrebbe cercato
di formare i ragazzi valorizzando ogni dimensione umana e terre-
na e utilizzando gli stmmenti pedagogici più opportuni, don
Bosco restò fondamentalmente un prete cui premeva, in via prin-
cipale, aiutare le persone a conquistarsi la «vita eterna>s.
Ultimato il suo soggiorno al Convitto, a riprova che la sua attività
catechistico-assistenziale non era stata un semplice h t t o dell'am-
biente ma rispondeva a F a sua inciinazione profonda, il sacerdote
astigianodecideva di dedicarsi totalmente al sostegno deiia cosiddet-
ta «gioventù abbandonata». Cominciava così per lui l'itinerario che,
attraverso varie tappe e non poche difficoltà, lo avrebbe condono a
dar vita, nel '46, all'Oratorio di Valdocco. Anche a questo riguardo
la stonografia ha chiarito che non si trattava di una novità in asso-
luto. In effetti di Oratorio, nel senso che avrebbe poi avuto con don
Bosco, a Torino si parlava h dal '40 quando don Cocchi, un altro
della «nuova classe di sacerdoti [...l affratellati dal comune lavoro di
educazione popolare~9a, veva fondato al Meschino, nella parrocchia
dell'Annunziata, un luogo di accoglienza per ragazzi e giovani intito-
lato all'Angelo Custodelo.
Per capire un po' più a fondo le ragioni in nome delle quali
questa nuova leva di preti operanti a Torino si volgeva in partico-
lare al recupero della gioventù abbandonata occorre considerare
che, in quegli anni, la capitale del regno sabaudo, anche se non
poteva ancora dirsi una città industriale neli'accezione rigorosa
del termine, era ormai entrata in una fase espansiva, diventando
la meta di considerevoli flussi migratori dalle province e persino
dalle regioni limitrofe. Le statistiche sottolineano che tra il 1838 e
il 1848 i suoi abitanti erano cresciuti di 19.777 unità, pari al
16,89%, senza contare la popolazione mobile fatta di militari,
operai avventizi e carceratili. Come è facile immaginare, questi
rapidi cambiamenti erano caratterizzati da pesanti contraddizio-
ni: in effetti, se i ceti della intraprendente borghesia approfittava-
no del nuovo sviluppo per accrescere il loro potere economico e
affiancare l'aristocrazia fondiaria e burocratica, le fasce meno pro-
tette pagavano la loro debolezza in termini di ulteriori emargina-
zioni. Memorie dell'epoca e diversi studi condotti al riguardo per-
mettono di rilevare come, nella Tonno di quegli anni, esistessero

1.10 Page 10

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consistenti aliquote di persone sprovviste di lavoro e costrette
all'accattonaggio; d'altra parte anche chi riusciva a trovare un'oc-
cupazione non è che godesse di migliori condizioni di vita, perché
le paghe degli operai erano insufficienti e molto spesso non garan-
tivano neppure la sussistenzaI2.
Particolarmente difficile era la situazione dei giovani, e soprat-
tutto di quelli che, scesi dalle valli a Torino per i mestieri stagio-
nali e privi di un qualche punto di appoggio, finivano poi con il
girovagare per le strade e le piazze, specialmente nei dintorni della
città, esponendosi a ogni genere di rischio. La pagina con cui, nel
ricordare gli esordi dell'attività di don Bosco, il Lemoyne ha
descritto quella che era allora la periferia torinese può risultare
forse un po' eccessiva, ma è comunque illuminante per aiutare a
- farsi un quadro dell'esistenza di molti ragazzi che - stabili o solo
di passaggio, occupati o disoccupati che fossero gremivano il
suburbio in cerca di espedientil'. Nessuna meraviglia dunque se
fra il clero, dopo la Rivoluzione reso più sensibile a declinare la
propria vocazione sacerdotale nel senso di un maggiore impegno
nelle opere di carità, ci fosse chi scegliesse di consacrarsi a questi
giovani poveri e abbandonati utilizzando strutture già esistenti -
come, ad esempio, l'Opera pia della mendicità istruita fondata fin
dal 1771 e particolarmente nota agli ospiti del Convitto ecclesia-
- sticol4 o le istituzioni della marchesa Barolo, di epoca recente ma
non meno conosciute e frequentate15 o creandone di nuove. La
comune sensibilità cantativa consente di spiegare come questi
sacerdoti fossero portati non solo a condividere taluni orienta-
menti pastorali di fondo, ma ad aiutarsi reciprocamente, almeno
fino a quando divergenze politiche, oltre che qualche problema di
leadership del gruppo, non introdussero alcune tensioni e incom-
prensioni.
Tra le iniziative che presero piede a Torino, quelle più affini
furono senza dubbio gli Oratori di don Cocchi e di don Bosco. I
due sacerdoti, nella persuasione che la pastorale del prete in attesa
dei ragazzi in sacrestia producesse fmtti alquanto modesti, aveva-
no intuito la necessità di un aapostolato ambulante» fra le piazze
e le botteghe. Fu questa intuizione che indusse don Cocchi e poi
don Bosco a uscire dagli schemi parrocchiali tradizionali e a pian-
tare i loro centri di accoglienza dove i giovani della periferia
trascorrevano il loro tempo tra la miseria e l'ozio. Tuttavia non si
deve credere che i due Oratori fossero per cosi dire l'uno ricalcato
sull'altrol6. Don Cocchi volle che nel suo ritrovo i ragazzi venis-
sero avviati non solo al catechismo ma, con una scelta che fra i
benpensanti non mancò di provocare qualche sconcerto, anche
alla ginnastica, in base all'idea che, canalizzate le loro energie fisi-
che in una sana attività corporale, quei giovani sarebbero stati
meno attratti dalle forme di hmtalità e violenza cosi comuni nella
vita dei quartieri periferici. Fin dagli inizi don Bosco si mosse,
invece, verso una prospettiva pedagogica più articolata, nel senso
che, accentuata intanto la centralità dell'ispirazione religiosa, egli
modellò il suo Oratorio su uno schema che, pur mettendo a profitto
le potenzialità educative del gioco e delle libere attività all'aria aper-
ta, tendeva a coltivare nei suoi ragazzi dimensioni come l'istruzione
e il lavoro. Ma nell'acceso clima politico del momento i due Oratori
si distinsero anche per un'altra non secondaria differenza. Fervente
patriota, don Cocchi vedeva con piacere che i suoi giovani parteci-
passero alle idee e agli avvenimenti in favore della causa nazionale,
al punto da guidare, nella primavera del '49, una sfortunata spedizio-
ne di un gnippo di allievi in appoggio alle forze piemontesi impegna-
te nella guerra con gli austriacil'. A Valdocco, invece, la politica era
bandita. Don Bosco, che se ebbe un qualche entusiasmo neoguelfo,
dovette però abbandonarlo abbastanza presto, si faceva un merito di
tenere il suo Oratorio estraneo alle fazioni politiche, convinto per
altro che, nelio strappare dalla strada i ragazzi abbandonati e nell'in-
stillare in loro i principi della religione, e& contribuiva altresì alla
formazione di buoni cittadini e al sicuro progresso della civiltàlg.
Agli inizi degli anni '50 l'opera del sacerdote astigiano non solo
era cresciuta - all'oratorio di Valdocco si erano aggiunti nel
dicembre '47 l'oratorio di San Luigi a Porta Nuova e nell'ottobre
del '49 quello dell'Angelo Custode che, chiuso per qualche tempo
dopo la spedizione patriottica di don Cocchi, era stato riaperto e
affidato a don Bosco19 - ma aveva anche assunto alcuni dei suoi
tratti specifici. Negli ultimi mesi del '44, fin da quando era stato
ospite della marchesa Barolo, don Bosco aveva intanto affiancato
all'oratorio festivo i primi tentativi di scuole serali cui, dopo il

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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trasferimento a Valdocco, dette struttura stabile impegnandosi,
tra l'altro, a scrivere libri di storia e persino un manuale di siste-
ma metrico che avrebbero potuto essere di aiuto ai suoi alunni.
Ma una svolta particolarmente significativa si era avuta nella pri-
mavera del '47 quando, accolto presso di sé un ragazzo fradicio di
pioggia e affamato, don Bosco si era deciso ad annettere all'Ora-
tono per esterni un ospizio dove i ragazzi avrebbero potuto dor-
mire e mangiare.
Pietro Braido sottolinea che l'adozione della formula dell'ospi-
zio, destinato per altro a trasformarsi in vero e proprio internato,
è da collegare all'ispirazione fondamentale della strategia pedago-
gica che don Bosco andava elaborando e in virtù della quale pen-
sava che si sarebbe dovuto cominciare con il creare attorno ai
ragazzi una rete «protettiva» dalle cattive influenze, se si voleva
che l'azione positiva di una sana educazione mettesse solide radi-
cizo. Molto interessante risulta al riguardo un passaggio delle sue
Memorie. Infatti, nello spiegare le ragioni che lo avevano indotto
ad accogliere dei giovani sotto il suo tetto, don Bosco avrebbe
lasciato chiaramente capire che si era trattato non tanto di offrire
un sito che servisse semplicemente da alloggio, quanto piuttosto
di creare un «ricovero» che ponesse i suoi ospiti al riparo dai
pericoli del mondo esterno che rischiava di disfare quanto essi
apprendevano all'Oratorio: «Accorgendomi che per molti fanciul-
li tornerebbe inutile ogni fatica se loro non si dà ricovero, mi sono
dato premura di prendere altre e poi altre camere a pigione, seb-
bene a prezzo esorbitante»zi.A riprova di questa preoccupazione
protettiva con cui don Bosco seguiva la formazione dei suoi ragaz-
zi sarà bene ricordare che egli non solo cercò di procurare loro
padroni di suo gradimento, con cui sottoscrisse contratti di ap-
prendistato figurando come mallevadore al posto dei genitori
secondo quanto era già in uso presso la Mendicità istruita22, ma
nel 1850, all'interno della Compagnia di San Luigi Gonzaga da lui
introdotta all'oratorio come strumento di edificazione religiosa,
procedette alla creazione di una Società di mutuo soccorso. Tra gli
scopi della Società, a fianco del perseguimento delle regole della
Compagnia di San Luigi, c'era bensì l'aiuto ai giovani soci caduti
malati o momentaneamente privi di lavoro, ma nell'ottica di don
Bosco tale Società doveva altresì servire - come avrebbe precisato
nelle sue Memorie - «per impedire che i nostri giovani andassero
ad ascriversi colla Società detta degli operai$,.
La dichiarazione di don Bosco, il cui contenuto trova per altro
conferma in una delle testimonianze più antiche della tradizione
salesiana24, consente di situare meglio l'iniziativa. Lo Stella ricor-
da che proprio in quello stesso 1850 approdarono a Torino le
Conferenze di San Vincenzo de' Paoli le quali, promosse nel 1833
dall'ozanam in Francia, stavano da qualche tempo riscuotendo
un certo successo anche in Italia25. Non ci sarebbe nulla di strano
se all'origine dell'associazione avviata nell'oratorio di Valdocco
si dovesse rinvenire la diretta suggestione dell'esperienza associa-
tiva e caritativa francese. Tuttavia l'accenno riservato da don
Bosco alle concorrenti società degli operai fa capire che il contesto
in cui egli pensò alla sua Società di mutuo soccorso fu chiaramen-
te quello dei contrasti che, nel Piemonte degli anni '50, intercor-
sero fra le associazioni operaie e la Chiesa26.
A dire il vero queste prime forme di solidarismo operaio, diffu-
sesi nel regno di Sardegna dopo i1'48 in sostituzione delle disciol-
te corporazioni, non erano nate con intenti programmaticamente
antireligiosi,anche se il fatto che gli operai puntassero ad autorga-
nizzarsi urtava, certo, contro lo schema della beneficenza dall'alto
con cui, tradizionalmente, il clero aveva pensato di alleviare i
mali delle plebi. Non è senza significato che, agli inizi, le società
operaie di mutuo soccorso si rivolgessero alla Chiesa per chiedere
appoggi quando non la consacrazione della loro attività27. Ma
abbastanza presto si verificò che le nuove organizzazioni fossero
per così dire prese sotto tutela dagli ambienti della borghesia
intellettuale e professionista, i quali, al di del loro pur sincero
desiderio di andare incontro ad alcuni bisogni dei ceti operai, le
spinsero su posizioni tendenzialmente anticlericali, anche con
l'intento di annettere quei ceti alla causa liberale patriottica che,
soprattutto dopo la caduta delle illusioni neoguelfe, sembrava
sempre più inclinare nel senso di uno scontro fra Stato e Chiesa.
Era pertanto naturale che, di fronte a società operaie proclamanti
la lotta al potere temporale del papato o l'abolizione dei conventi,
vescovi e clero le considerassero strumenti di sovversione e, in

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alternativa ad esse, auspicassero la creazione, da parte cattolica, di
pacifiche società di mutuo soccorso aventi per scopo, in via pre-
minente, la formazione religiosa dei soci28.
Considerato tale contesto, sarei cauto nel seguire le conclusioni
di chi, enfatizzando certi gesti di don Bosco come appunto la sot-
toscrizione dei contratti di apprendistato o l'avvio della Società di
mutuo soccorso, tende a fame un uomo che, pienamente consape-
vole della questione sociale, avrebbe puntato a introdurre nuovi
assetti istituzionali29. In realtà non pare si possa affermare che egli
si fosse posto il problema delle classi in trasformazione. Don
Bosco, certo, si rendeva conto che l'educazione della gioventù
povera e abbandonata aveva importanti esiti sul piano della cre-
scita non solo personale ma anche collettiva nel senso che, a suo
avviso, laddove si fosse attuato un coerente progetto educativo ci
si sarebbe incamminati verso una sicura rigenerazione sociale;
così come, nel chiedere l'aiuto dei ricchi a sostegno della sua ope-
ra, egli avrebbe sempre più sostenuto che l'elemosina costituiva
un obbligo morale alludendo a prospettive implicanti quasi una
ridistribuzione delle ricchezze. Con tutto ciò bisogna, però, anche
riconoscereche, diversamente da un Ozanam, egli non giunse mai
a mettere in discussione l'ordine stabilito e a invocare riforme che
introducessero una qualche garanzia per il lavoro e riparassero ai
disordini sociali provocati dall'assoluta libertà economica di cui
godevano le classi detentrici del reddito30.
2. La fondazione dei primi laboratori.
La vecchia casa annessa all'oratorio che aveva accolto don
Bosco e i suoi ospiti era stata nel frattempo comprata e, grazie ai
proventi delle beneficenze e delle prime lotterie, notevolmente
risistemata e ampliata3i. Nell'autunno del '53, al termine di ulte-
riori lavori, l'edificio poteva ormai aicoverare)) più di cento gio-
vani e disporre di locali sia per le scuole diurne sia per le serali
aperte agli esterni. La disponibilità di maggiore spazio fece pren-
dere a don Bosco una decisione che forse già coltivava ma che, a
motivo delle difficoltà logistiche, aveva rinviata. In quell'autunno
'53 egli apriva infatti due laboratori - uno per calzolai e uno per
sarti - in virtù dei quali una parte degli artigiani che andavano a
bottega in città avrebbe ormai trovato da lavorare nella casa dove
risiedeva.
Per la verità la formula dell'istituto che offriva ai giovani biso-
gnosi ospitalità educazione e lavoro era già stata tentata: bastereb-
be pensare a quello che fin dagli anni '20 aveva compiuto il Pavo-
ni a Brescia con la sua «Scuola d'artis32. Allo stato della docu-
mentazione non è possibile stabilire se don Bosco conoscesse l'ini-
ziativa del sacerdote bresciano. Secondo il resoconto del Lemoy-
ne, alla fine del '49 don Bosco avrebbe affidato a don Ponte, allora
direttore dell'oratorio San Luigi a Porta Nuova, di visitare alcune
-
città fra le quali appunto Brescia, per prendere «cognizioni sull'or-
dinamento e le costumanze religiose, professionali, disciplinari ed
economiche di certi ricoveri pei figli del popolo e anche di qual-
che collegio dei più reputati per la buona riuscita dei giovani
appartenenti a famiglie signorili o di medio stato93. Probabil-
mente il viaggio cui si fa qui allusione ebbe luogo, ma le cose
dovettero svolgersi in modo un po' diverso dalla versione che
tende ad accreditare il Lemoyne. In effetti pare difficile che nel
'49, in uno dei momenti di maggiore tensione fra i preti degli
Oratori torinesi, don Bosco fosse nelle condizioni di incaricare
della suddetta inchiesta don Ponte il quale, ancorché direttore del
San Luigi, era vicino alle posizioni di don Cocchi34. È più verosi-
mile che don Ponte decidesse il viaggio per conto suo - o, semmai,
d'intesa con don Cocchi allora impegnato nello studio di nuovi
progetti -, anche se non è assolutamente documentato che egli
visitasse la Scuola d'arti del Pavoni e ne riferisse a don Bosco.
D'altra parte, non è che a Torino mancassero istituti di carità che
accoglievano giovani privi di mezzi fornendo loro del lavoro. Al
Reale albergo della virtù - tanto per citare quello che sicuramente
don Bosco conosceva per avervi svolto un po' di ministero - i
ragazzi ospiti disponevano di laboratori ed officine dove era dato
loro d'imparare un mestiere: dalla fabbricazione delle stoffe e dei
nastri di seta alla costruzione di mobili, dalla manifattura di
oggetti in zinco ai lavori di sartoriaiS.
Crediamo tuttavia di non essere lontani dal vero nel ritenere

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che, al di di qualsiasi ispirazione che egli può aver desunta da
istituzioni già esistenti, don Bosco si risolse ad aprire i laboratori
per ragioni che attenevano al logico sviluppo della sua visione
educativa. Del resto i cenni delle sue Memorie e le testimonianze
della tradizione salesiana sembrano non lasciare adito a dubbi. A
giudizio del Lemoyne, fu soprattutto il desiderio di proteggere in
maniera completa e definitiva i suoi giovani dai pericoli della cit-
che spinse don Bosco a rompere gli indugi e a tentare, con i due
laboratori, le prime forme d'internato:
«Quel mandare ogni giorno i giovanetti nelle officine della città, per quan-
to scelte, sorvegliate, mutate con ogni impegno, erano un pericolo se non
un danno per la disciplina e per il profitto dei ricoverati. I1 malcostume e
I'irreligione purtroppo facevano progresso fra gli operai e D. Bosco si
avvedeva che i motteggi a cui erano fatti segno i suoi allievi, miravano a
distruggere in gran parte il frutto dell'educazione morale e religiosa che si
studiava di loro impartire~s.
Le apprensioni di don Bosco per i pericoli che minacciavano i
suoi giovani erano tutt'altro che infondate. Alcune indagini del
Valerio, del Petitti e di altri sulle condizioni del lavoro nello Stato
sardo venivano proprio allora dal sottolineare come nelle mani-
fatture si stesse verificando una rilassatezzadella moralità, dovuta
certo alla durezza della vita di fabbrica, ma anche a fenomeni
nuovi come la utilizzazione di manodopera femminile che, al pari
di quella dei ragazzi, aveva per i padroni il vantaggio di costare
decisamente meno rispetto alle prestazioni degli uomini37. Secon-
do tali indagini, chi avesse varcato la soglia di una manifattura si
sarebbe facilmente trovato di fronte a ragazzi che, oltre ai segni
della fatica, si portavano addosso quelli di un certo abbrutimento
morale, mostrando d'essere usi non solo alla bestemmia e ai
discorsi licenziosi, ma anche ai raggiri e alla violenza. Di quello
che era il clima di fabbrica dal punto di vista dei costumi trovia-
mo ampia eco in una testimonianza resa qualche anno più tardi
da P. Enria che, artigiano verso la metà degli anni '50 a Valdocco,
aveva appunto frequentato,,come apprendista fabbro ferraio, un
opificio di Torino38. Ricordate le raccomandazioni del sermone
della sera che don Bosco a scopo preventivo svolgeva ai suoi gio-
vani, cosi egli avrebbe lasciato scritto in un testo di cui P. Stella ha
corretto gli errori
«In quei laboratori di Torino se ne sentiva[no]di tutti i colori,se non era
della forza che si prendecva] dalle parole e dagli av[v]isi che tutte le sere
ricevevamo: certo non si poteva resistere a tanti as[s]salti. Mi ricordo io
stesso quante volte [h10 dovuto fug[glire dal laboratorio per non sentire
dei discorsi os[c]eni. Io aveva solo 14 anni e garzoni erano già uomini
fatti. Due poi erano veramente perfidi. Non avevano nessun pudore nel
parlar male della religione e costumi. Erano poi due bestie99.
Non c'è dunque da stupirsi se di fronte a riscontri di questo
genere don Bosco, sempre più persuaso della validità della sua
pedagogia della preservazione, creasse le condizioni per dare agli
artigiani un lavoro sotto il suo stesso tetto e di li a poco, rilevato
per altro che immoralità e malcostume non erano privilegio esclu-
sivo della fabbrica, decidesse di costituire a Valdocco un internato
anche per gli studenti fino ad allora costretti a frequentare le lezio-
ni private di alcuni professori della città, introducendo, nel no-
vembre del '55, una terza ginnasio e poi, via via, le restanti classi
dell'intero ciclo ginnasiale fino alla quintado. Dobbiamo però
subito aggiungere che, se all'origine della trasformazione dell'ospi-
zio in internato c'erano principalmente ragioni di tipo pedagogico,
l'idea di attivare dei laboratori fu favorita da altre considerazioni.
il biografo della Congregazione salesiana ce le lascia chiaramente
intravedere allorché accenna ai vantaggi anche materiali che
dall'avvio dei due laboratori trassero non solo gli artigiani in essi
direttamente coinvolti, ma pure i restanti ragazzi della casa41.
Evidentemente don Bosco dovette calcolare che, mettendo in pie-
di un laboratorio per calzolai e un altro per sarti, avrebbe anche
provveduto a fornire calzature e vestiario a tutti i suoi giovani
ospiti, iquali non sarebbero stati a guardare se le scarpe erano un
po' grossolane e le giacche pendevano da una parte. I due labora-
tori avrebbero inoltre comportato l'impiego di materiali - de-
schetti e martelli; aghi e filo - a buon mercato e abbastanza facili
da maneggiare: prerogative di non poco conto per un'istituzione
che, appena agli inizi, non poteva permettersi il lusso di partire
con officine troppo costose e complesse. Non è un caso che,

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durante i primi mesi, il ruolo del maestro dei sarti fosse coperto
dallo stesso don Bosco che, per quanto avesse esercitato quell'arte
da studente, non poteva certo dirsi un sarto compiuto.
L'avvio al risparmio non impedì a don Bosco di stendere fin dal
'53 un Regolamento per i maestri d'arte che fece stampare e
appendere nei luoghi di lavoro con la precisa disposizione che,
ogni quindici giorni, esso fosse letto «a chiara voce» dal capo o da
chi per 1ui42. Sarà bene dir subito che le norme qui contenute
concernevano più il contegno morale delle persone che non il fun-
zionamento dei laboratori. I1 Regolamento precisava che i capi
d'arte avevano come compito primario quello di ammaestrare i
giovani e, in tale prospettiva, sanciva che essi avrebbero dovuto
evitare di stringere un qualche contratto con taluni di essi o, addi-
rittura, di assumere per conto loro lavori particolari. Era altresì
prescritto che il maestro non poteva inviare i giovani fuori di casa
per commissioni a meno che non fosse costretto da necessità, nel
qual caso doveva comunque chiedere e avere l'autorizzazione del
prefetto. Per impedire che a Valdocco potessero prendere piede
certe abitudini, il Regolamento vietava esplicitamente i cattivi
discorsi, nonché l'uso del fumo e dell'alcool e, per imprimere al
contrario una chiara impronta religiosa, prescriveva che l'apertura
e l'intenzione dei lavori fossero scandite dalla recita delle pre-
ghiere. Quanto agli apprendisti, veniva raccomandato che essi fos-
sero «docili e sottomessi» ai loro maestri e cercassero di compia-
cerli e di metterne a profitto gli insegnamenti.
Nel corso del '54 don Bosco decideva di dar vita a un terzo
laboratorio: quello dei legatori. La tradizione salesiana tenderebbe
ad accreditare la versione di un laboratorio nato casualmente,
quasi per il divertimento di don Bosco di mostrare ai suoi ragazzi
come si rilegasse un libro". Pensiamo però che, non diversamente
dai primi due, anche il laboratorio dei legatori sorgesse, oltre che
per sottrarre i giovani ai pericoli del lavoro in città, per fronteg-
giare una esigenza concreta. A tale proposito converrà ricordare
che con i1 '53, a fianco dei suoi libri e opuscoli, don Bosco, ine-
sauribile e fantasioso poligrafo, aveva preso a far uscire le Letture
cattolrche, una pubblicazione periodica popolare con la quale si
riprometteva, tra l'altro, di contrastare le dottrine protestanti"". I
primi fascicoli della collana erano apparsi presso De Agostini, ma
non è da escludere che, coltivando ormai così ampi disegni, don
Bosco avesse pensato di provvedere lui stesso alla stampa e alla
rilegatura dei suoi scritti. Di sicuro c'è che sul finire del '53, quan-
do il Rosmini gli suggeri di aggiungere a Valdocco un'attività ana-
loga a quella dei giovani del Pavoni dediti all'arte tipografica45,
don Bosco si mostrava tutt'altro che impreparato: «Comincio col
dirle - egli rispondeva al roveretano in una lettera del 29 dicembre
1853 - che tale idea forma un oggetto principale de' miei pensieri
da più anni, e la sola mancanza di mezzi e di locale me ne ha fatto
sospendere I'esecuzione»46. Il progetto della tipografia rimase al
momento nel cassetto; ma è abbastanza sintomatico che nel '54
don Bosco ,adottasse la decisione di procedere alla creazione di
una legatoria. In mancanza di meglio, a Valdocco si sarebbe,
intanto, cominciato a piegare e cucire le «Letture cattoliche» non-
ché i testi scolastici-che il prete astigiano avrebbe dato da stampa-
re all'esterno.
La preoccupazione di ritirare un altro gmppo di ragazzi dalle
officine della città e l'urgenza di far fronte ai bisogni della casa
furono, ancora una volta, le ragioni che condussero don Bosco a
dar vita, nell'autunno del '56, al laboratorio per i falegnami47.
L'apertura della falegnamena dovette essergli consigliata dalla
considerazioneche, di fronte ai continui lavori di ristrutturazione
e ampliamento dell'edificio, poteva essere utile disporre di artigia-
ni che, oltre a preparare porte e infissi di cui abbisognavano le
nuove costmzioni, sapessero fabbricare banchi di scuola, armadi e
suppellettili varie. Rispetto ai primi tre, si trattava forse di un
laboratorio un po' più complesso, ma non tale da esigere l'acqui-
sto di arnesi e strumenti sofisticati e il cui uso avrebbe comporta-
to un lungo tirocinio. Anche il laboratorio per i falegnami nacque,
cioè, all'insegna di quelle caratteristiche di modestia e di rispar-
mio che abbiamo rilevato per i primi.
Con tutto ciò non si deve credere che don Bosco avesse in men-
te un'utilizzazione dei laboratori a soli fini interni, poiché una
scelta di questo genere non l'avrebbe portato molto lontano. Fin
dall'autunno del '54 egli faceva comparire su «L'armonia» un
annuncio con cui si sollecitavano i lettori a dar lavoro alla legato-

2.5 Page 15

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ria dell'oratorio da poco istituitad*. I clienti - si diceva nell'an-
nuncio - sarebbero stati agevolati nel prezzo e avrebbero per altro
concorso a sostenere un'Opera che, a seguito della tembile emer-
genza del colera scoppiato per l'appunto quell'anno, aveva ricove-
rato altri ragazzi bisognosi. Di questo tipo di annunci volti a sol-
lecitare i benefattori don Bosco si sarebbe avvalso abbastanza
spesso. Naturalmente, quando si dice che egli non si chiuse in un
regime di tipo autarchico ma puntò a cercare lavoro all'esterno,
occorre intendersi. Don Bosco sapeva bene che non gli era possi-
bile lanciarsi in una concorrenza di mercato. Questo gli era innan-
zi tutto impedito dal fatto che, nati come erano, i suoi laboratori
non avrebbero potuto produrre manufatti in grado di concorrere
con quelli delle aziende che cominciavano ad organizzarsi indu-
strialmente. La crisi che in quegli anni prese a colpire altre istitu-
zioni impegnate, come l'oratorio, in attività di arti e mestieri era
molto istmttiva49. C è poi da aggiungere che, quand'anche per
un'ipotesi del tutto astratta fosse partito con l'idea di una produ-
zione più redditizia, don Bosco avrebbe rischiato di sollevare
gelosie e ritorsioni. Nessuno stupore quindi se, almeno in questa
prima fase, i laboratori di Valdocco, pur senza ripiegarsi su se
stessi, non si costituirono in vere e proprie aziende artigianaliso.
Purtroppo non siamo in grado di stabilire quanti fossero gli arti-
giani impegnati nei vari laboratori. Dai registri di don Bosco risul-
terebbe che per l'anno 1857-58 l'Oratorio avesse accolto 121 stu-
denti e 78 artigiani, ma non è detto come questi ultimi fossero
distribuitisi. Potrebbe essere che il numero comprendesse anche
chi, non essendo ancora riuscito a trovare lavoro in casa, continua-
va a frequentare le botteghe o le officine della città. Sfortunatamen-
te non ci è possibile fornire precise indicazioni neppure sulla vita
interna da cui i laboratori furono caratterizzati. I1 Lemoyne, infor-
mato direttamente dallo stesso don Bosco, ricorda che, dal punto di
vista direttiva e organizzativo, i primi laboratori conobbero quat-
tro fasis2. La fase iniziale fu quella in cui don Bosco trattò i maestri
d'arte come salariati giornalieris3. Tale soluzione si scontrò, però,
subito con il fatto che, intenti a compiere il lavoro loro affidato,
quei maestri trascuravano di ammaestrare i giovani nel mestiere.
Don Bosco pensò allora di assumere i capi d'arte come veri e pro-
pri padroni di bottega che si dovevano cercare le commissioni di
lavoro trattenendosi il guadagno, con l'obbligo di dare ai giovani
apprendisti un piccolo salario proporzionato alle prestazioni. Ma
gli inconvenienti di questo secondo tentativo risultarono maggiori
di quelli del primo. Si verificò infatti che i giovani artigiani. ridot-
ti a semplici ragazzi di bottega, non obbedivano che al capo
d'arte, con grave scapito dell'autontà del supenore, e, costretti a
seguire il programma di lavoro predisposto dal capo, non rispet-
tavano più nemmeno gli orari della casa. A questo punto don
Bosco si orientò verso una soluzione per così dire intermedia,
dividendo con i capi d'arte spese e guadagni; ma si accorse che
quelli miravano ai propri interessi, poiché, quando avevano occa-
sione di stipulare un contratto, cercavano d'accordarsi, sotto ban-
co, con il contraente in modo da ricavarne qualche beneficio. La
costatazione di tale esito spinse don Bosco a farsi lui carico della
responsabilità e della direzione dell'intero settore%.
Il Lemoyne non precisa quali fossero stati i tempi delle prime
tre fasi, salvo a dire che esse furono sperimentate e accantonate
abbastanza in fretta. È dunque possibile che, già prima dell'avvio
della falegnamena, don Bosco avesse adottato la nuova soluzione
in virtù della quale ai capi d'arte non rimaneva altro incarico che
quello di ammaestrare i giovani. D'altro canto anche questa quar-
ta fase ebbe i suoi inconvenienti poiché, come il biografo annota,
qualche capo d'arte cercò di ostacolare la crescita professionale
per l'appunto dei giovani più valenti, nel timore che essi potessero
prendere il suo posto?. Le cose andarono decisamente meglio
quando, fondata la Congregazione salesiana nell'ambito della qua-
le erano previsti i cosiddetti coadiutori, don Bosco poté comincia-
re a sostituire i capi d'arte esterni con personale laico che aveva
abbracciato i suoi disegni religi,osi.
Sulla scorta di talune testimonianze, si è ricostruita quella che,
agli inizi dei laboratori, poteva essere la giornata dell'artigiano
interno56. Dopo la levata e l'eventuale partecipazione alla messa
celebrata da don Bosco, egli faceva colazione per recarsi subito al
lavoro fino a mezzogiorno, quando tutti, anche quelli che andava-
no in citta, si ritrovavano attorno alla mensa; presasi un po' di
ricreazione, il giovane tornava di nuovo nel laboratorio dove

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restava fin verso le sette, allorché staccava per seguire la scuola
serale; dopo la cena e un momento di respiro, alle nove recitava le
preghiere e, ascoltata la «buona notte» di don Bosco, si ritirava a
dormire. Una giornata per lo più dedita, dunque, al laboratorio,
secondo lo schema che da sempre aveva ispirato la formazione
dell'apprendista nella bottega pre-industriale, dove l'avviamento
al lavoro dei ragazzi si consumava nell'osservazione e nella ripe-
tizione del gesto dell'operaio rifinito sotto l'occhio vigile del mae-
stro d'arte. I1 fatto che a Valdocco fosse prevista la scuola serale
non deve trarre in inganno: essa era concepita non già per integra-
re l'apprendistato sul lavoro con un'istruzione specifica, ma sem-
plicemente per esercitare i ragazzi nel leggere e nello scrivere, tan-
to più che, data la provenienza sociale degli artigiani, molti di loro
non avevano mai frequentato alcuna scuola.
Don Bosco non solo seguiva lo sviluppo dei laboratori con sim-
patia, ma andava sempre più convincendosi della bontà delta for-
mula poiché capiva che, nella misura in cui avviava i suoi ragazzi
a confrontarsi con il lavoro, li aiutava a crescere anche sul piano
umano57. Non sarebbe difficile far vedere come in questo convin-
cimento, prima che le riflessioni nate dalla sua non lunga eppure
intensa vita di prete ed educatore, avessero un ruolo non da poco
le sue ascendenze contadine da cui, fin da piccolo, era stato indot-
to ad apprezzare il senso della laboriosità. Ancorché persuaso del-
la forza rigeneratnce ed educativa del lavoro, don Bosco riteneva
tuttavia che i giovani avevano bisogno di un'esperienza più com-
pleta e, soprattutto, di un forte richiamo ai valori religiosi. Secon-
- do lui perciò gli artigiani, oltre a frequentare nei momenti liberi in
particolare i gmppi della musica58 e a dare la domenica - una
mano nell'animare la giornata degli esterni che accorrevano a Val-
docco, erano tenuti, non meno degli studenti, ad avere un'intensa
vita di pietà cristiana. Non è senza significato che nel '59 il chie-
rico Bonetti, assistente degli artigiani, decidesse, su suggestione di
don Bosco, di creare esclusivamente per loro la Compagnia di San
Giuseppes9. Essa, secondo quanto si legge nel Regolamento steso
dallo stesso Bonetti e corretto da don Bosco, impegnava i soci a
«prestare un'esatta ubbidienza ai Superioriw, a essere di edifica-
zione per i compagni, a fare di tutto perché venissero evitati le
risse e i cattivi discorsi, ad «avere in abhominazione l'ozio» e, in
particolare, a frequentare i sacramenti una volta alla settimana o
almeno ogni quindici giorni e a compiere qualche pratica di pietà
nel mese di san Giuseppeso.
3. Fra apprendistato e lavoro.
Tra la fine degli anni '50 e i primi '60 l'Opera di don Bosco
andò precisandosi in quelle che sarebbero poi rimaste le sue linee
fondamentali. Abbiamo già ricordato che ne1 '55 il sacerdote asti-
giano aveva aperto un internato anche per gli studenti i quali, con
il '59-'60 potevano disporre a Valdocco dell'intero corso ginnasia-
le. Nella strategia di don Bosco il ginnasio era destinato a costitui-
re il vivaio delle vocazioni religiose tanto è vero rhe, fin dalle
prime stesure dei regolamenti per la casa, egli pose tra le condizio-
ni per l'ammissione ai corsi ginnasiali la «volontà di abbracciare
lo stato ecclesiastico>~6F~in. dal '55 egli aveva altresì cominciato a
pensare alla fondazione di una congregazione religiosa, anche se il
disegno prese forme più precise solo qualche anno più tardi: nel
'58 don Bosco si recò a Roma per informare dell'idea Pio IX e,
ottenutone un incoraggiamento, nel '59 chiese ai giovani scelti che
aveva già attratto attorno a sé se fossero disposti a dare la loro
adesione formale62. Non è possibile in questa sede seguire le varie
tappe attraverso cui don Bosco andò elaborando le Costituzioni
della sua Società, così come non rientra nei nostri compiti appro-
fondire se la figura del coadiutore laico facesse parte del primissi-
mo progetto di associazione o se ad essa don Bosco sia amvato
per gradi63. Resta comunque il fatto che, nella seduta del Capitolo
della Società salesiana del 2 febbraio 1860, veniva deciso di
annettere alla pratica delle regole della Congregazione il giovane
G. Rossi: si trattava appunto del primo coadiutore laico che,
emessa nel '64 la professione tnennale e nel '68 quella perpetua,
avrebbe ricoperto vari incarichi fino a quello di provveditore
generale delta Società per le cose materiali64. Sarebbe sicuramente
riduttivo affermare che don Bosco pervenisse alla ideazione della
figura del coadiutore spinto solo da problemi organizzativi e a

2.7 Page 17

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prescindere del tutto da altre considerazioni di natura più squisi-
tamente spirituale65; se teniamo però conto degli inconvenienti
che incontrò nei suoi rapporti con i primi maestri d'arte, ci pare
che la necessità di trovare uomini qualificati e sicuri per affidare
loro compiti delicati, quali appunto la direzione dei laboratori o il
disbrigo di altri affari, dovette costituire per lui motivo di rifles-
sione non secondario66.
Con l'occhio ormai volto verso più ampi orizzonti, sul finire del
'61 don Bosco poteva intanto aprire a Valdocco quella tipografia
che da tempo sognava. Le operazioni di a w i o del nuovo labora-
torio furono contrassegnate da alcune difficoltà burocratiche. Già
nell'ottobre don Bosco aveva rivolto al Governatore della provin-
cia, conte Pasolini, domanda di apertura della tipografia e chiesto
che, in considerazione dello scopo «esclusivamente benefico))
dell'impresa e della ((tenuità dei mezzi e dei lavo+ previsti, ne
fosse consentita l'attivazione nella casa del direttore dell'orato-
ri067. Da parte dell'ufficio del Governatore si rispose che, in base
alla Legge del 13 novembre 185968, potevano essere accordati per-
messi per stabilimenti di tipografia e litografia solo a persone che,
compiuto un tirocinio di tre anni presso un tipografo olitografo
approvato dal Governo, avessero ottenuto un certificato di ido-
neità nell'arte e a condizione che lo stabilimento fosse sito in luo-
go aperto al pubblico69. Il direttore dell'oratorio cercò di farsi
almeno concedere l'apertura della tipografia in capo al proprio
nome, sia pure con l'impegno di presentare al più presto un «in-
dividuo pratico e approvato in quest3arte»;ma di fronte alle resi-
stenze del Governatore, il cui titolo era stato nel frattempo tra-
sformato in quello di Prefetto, don Bosco era costretto a cedere e,
con nuova lettera, assicurava che, situata in locale aperto al pub-
blico e intitolata al nome dell'oratorio di San Francesco di Sales,
la tipografia sarebbe stata diretta dal tipografo A. Giardino, anche
se di proprietà del direttore dell'Oratorio. A questo punto la pre-
fettura prendeva atto della domanda e dei documenti presentati e,
in data 31 dicembre 1861, concedeva la licenza.
Nel richiamare queste trattative lo Stella introduce un'annota-
zione sulla quale vale forse la pena di spendere una parola: «No-
nostante la Legge Casati - osserva lo studioso - Don Bosco non si
rivolse al provveditore degli studi per avere autorizzata una scuo-
la tecnica che prevedesse l'insegnamento dell'arte tipografica, ma
al governatore della provincia, il conte Pasolini, per aprire in casa
all'oratorio una tipografiw'o. A mio modesto avviso la legge
Casati, varata il 13 novembre 1859 con il n. 3725 per il riordino
del sistema degli studi, non aveva niente a che vedere con l'inizia-
tiva di don Bosco. In effetti, come risulta chiaramente dalla
domanda al Governatore e come lo stesso Stella riconosce, il prete
astigiano aveva in mente una tipografia e non una scuola tecnica.
Ma allora non c'è da stupirsi che, senza curarsi della Casati, egli si
rivolgesse al Capo della provincia che, in virtù delle disposizioni
sulla pubblica sicurezza, era il solo in grado di concedere l'auto-
rizzazione per lo svolgimento di una attività di quel genere. Pres-
sato dall'urgenza di assicurare ai suoi ragazzi un lavoro e di pre-
disporre strutture di produzione utili quanto meno alla casa,
anche durante gli anni '60 don Bosco continuò a muoversi sul
modello dei primi laboratori, tanto più in quanto persisteva nel
ritenere che il miglior apprendistato fosse la pratica della bottega
o dell'officina. D'altronde anche quando avesse pensato a un
- diverso avviamento al lavoro, il tipo di istruzione che avrebbe
potuto fare al caso dei suoi ragazzi era non già la tecnica che la
legge del '59 aveva introdotto per formare i giovani alle carriere
del pubblico servizio, delle industrie e dei commerci71 - ma
l'istruzione professionale. Un settore di cui la Casati, a riprova del
ritardo del legislatore rispetto alle trasformazioni socio-economi-
che del paese, non si era neanche occup-ata e che, tutto da inven-
tare, stava faticosamente facendosi strada sulla base di iniziative
locali e di tentativi sorti per così dire dal basso72.
Qualche mese dopo la fondazione della tipografia, nel '62 don
Bosco istituiva il sesto dei suoi laboratori: quello dei fabbri-fer-
rai73. Nella Torino degli anni '50, percorsa dal fervore della cre-
scita economica, la categoria dei lavoratori in ferro aveva avuto
un consistente incremento, ed era plausibile supporre che l'occu-
pazione nel settore non sarebbe mancata. Ma la introduzione a
Valdocco dei fabbri-ferrai fu sollecitata, come al solito, anche da
ragioni interne. In quel periodo, oltre ad altri considerevoli lavori
di ampliamento della casa, don Bosco stava infatti progettando la

2.8 Page 18

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edificazione di un'imponente chiesa in onore di Maria Ausiliatri-
ce. Alla sua mentalità di uomo molto concreto dovette perciò
apparire opportuno creare sul posto un laboratorio che preparasse
le ferramenta necessarie per l'edificio. La chiesa, cominciata nel
'63, comportò più di quattro anni di lavori e, nonostante che la
sua realizzazione fosse alla fine inferiore rispetto al disegno colti-
vato da don Bosco, la costruzione parve in quel momento uun'im-
presa temerarim74.
L'impiantazione dei laboratori a Valdocco era conclusa: non c'è
dubbio che delle varie iniziative quella più impegnativa era
l'apertura della tipografia. A tale proposito converrà non trascura-
re che a Torino, soprattutto dopo gli anni '40, il settore tipografico
- si era andato rinnovando sia per le proposte sia per gli impianti.
Basterrebbe citare le iniziative del Pomba, noto oltre che per la
stampa della «Collezione dei classici latini* e per la ((Biblioteca
popolare» - per l'edizione del «Mondo illustrato»: un imponente
atlante geografico uscito nel '47-'48, per la cui pubblicazione era-
no stati appositamente acquistati una «grandissima macchina a
stampa* e un torchio a vapore's. Ma, a fianco di quella del Pom-
ba, andrebbero ricordate altre tipografie, come la Fontana o la
Favale, anch'esse munite di torchi meccanici a cilindro, per non
parlare di numerose case minori76. In tale contesto don Bosco non
poteva permettersi di sbagliare, poiché altrimenti avrebbe rischia-
to di compromettere la felice impresa delle «Letture cattoliche*
che con la De Agostini avevano indubbiamente raggiunto un con-
sistente successo. La tradizione salesiana rileva che anche questa
volta gli inizi furono alquanto dimessi, poiché, per partire, si com-
prarono due vecchie macchine a mota e un torchio77. Sappiamo
però che negli anni successivi don Bosco non avrebbe esitato a
investire nel laboratorio tipografico notevoli capitali, a ulteriore
conferma della speciale importanza che egli annetteva alla presen-
za dei cattolici nei mondo della stampa.
Vale forse la pena di sottolineare come le strutture di avvia-
mento al lavoro promosse a Valdocco fossero tutte collegate
all'attività manifatturiera. La cosa si spiega se appena si considera
che esse erano nate, come si è via via rilevato, per sottrarre i
ragazzi dalle officine della città e per provvedere ad alcuni concre-
ti bisogni dell'Oratorio. Don Bosco doveva però mostrare che la
sua scelta non era determinata solo da opportunità contingenti
poiché, pur provenendo da ambiente contadino, egli guardò sem-
pre con riluttanza verso ipotesi che Io avrebbero condotto a impe-
gnarsi, ad esempio, in colonie agricole e preferì, anche nelle case
di nuova fondazione, attivare laboratori connessi appunto con il
mondo dell'artigianato e della piccola fabbrica. La realtà è che,
avendo cominciato a soccorrere i ragazzi abbandonati dei suburbi
torinesi, egli fini con il perseguire un progetto di aiuto materiaIe,
oltre che spirituale, a favore dei giovani delle periferie urbane.
Appena ebbe introdotti i tipografi e i fahbri-ferrai, don Bosco
credette opportuno stendere per tutti i laboratori un regolamento
più ampio e completo di quello che ne1'53 aveva predisposto con
il pensiero rivolto pressochè esclusivamente ai maestri d'arte78. I1
Regolamento del '62 alludeva a un nuovo tipo di organizzazione
che, in parte almeno, era forse già operante. La novità più signifi-
cativa era rappresentata dal fatto che, al di sopra del maestro
d'arte, si prevedeva un assistente laico il quale aveva, tra l'altro, il
compito di vigilare sulla condotta morale degli allievi e di prov-
vedere, sia pure d'intesa con l'economo della casa, all'acquisto
degli oggetti e dei materiali occorrenti. Evidentemente l'introdu-
zione di questa nuova figura, che consentiva a don Bosco di
lasciare l'incombenza dei laboratori per dedicarsi interamente al
consolidamento della Società salesiana e alla ricerca di finanzia-
menti per la sua Opera, fu possibile perché egli cominciava ormai
a disporre di fidati coadiutori laici. Tra i primi assistenti impiega-
ti, oltre al già ricordato G. Rossi, gioverà citare G. Buzzetti, che
seguì per il primo anno di attività la tipografia79, e il cav. Oreglia
che, già incaricato della supervisione della legatoria, subentrò al
Buzzetti pur continuando a conservare il precedente impegnogo.
Bisogna però aggiungere che l'organizzazione prevista dalle dispo-
sizioni del '62 avrebbe, sul punto, subito un'ulteriore modifica
poichè in forza di un nuovo regolamento - di cui non è rimasto il
testo ma che secondo il Lemoyne sarebbe stato, sostanzialmente,
quello entrato poi nel Regolamento ufficiale stampato nel '7781 -,
la competenza per la parte morale e disciplinare e il titolo di assi-
stente sarebbero stati assunti dai chierici, mentre gli ex-assistenti

2.9 Page 19

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avrebbero conservato la cura della parte materiale ed economica
assolvendo cosi alla funzione di veri e propri capilaboratorio.
Abbiamo già detto che, per quanto attiene alle attività degli
artigiani, i laboratori continuarono a procedere secondo lo sche-
ma iniziale. I1 giovane artigiano che entrava a Valdocco - e che,
- secondo il criterio generale, avrebbe potuto accedervi solo a 12
anni compiuti faceva il suo apprendistato direttamente sul lavo-
ro e a fianco del maestro d'arte che ne valutava i progressi. A
scanso di equivoci sarà bene avvertire che, se fino ad allora con il
termine artigiani si indicavano solo gli allievi in senso stretto, con
gli anni '60 il termine servì a designare anche gli operai che colla-
boravano nei laborato* non c'è pertanto da stupirsi che dopo il
'61 l'età media degli artigiani globalmente presi, in precedenza
attestata sui 14 - 15 anni (più o meno la stessa degli studenti),
salisse fino ai 18-19 anniaz. È difficile dire se l'addestramento
degli apprendisti prevedesse un periodo di tempo determinato
scandito, magari, dqalcune prove finali uguali per tutti. Se si con-
sidera che, ferma rektaudo l'età minima di accesso, le entrate e le
uscite degli a r t i g i a ~avvenivano senza regole precise - alcuni si
fermavano poche settimane, altri addirittura qualche anno -, vie-
ne da suppone che i ritmi di tirocinio variassero da caso a caso e
che il singolo artigiano fosse responsabilizzatodell'esecuzione dei
lavori in proprio a mano a mano che mostrava d'aver acquisito le
necessarie abilità tecniche. Un apprendistato che, senza nulla per-
dere in rigore, si svolgeva insomma con molta semplicità. Ovvia-
mente accadeva anche che, imparato il mestiere, diversi apprendi-
sti restassero tali solo di nome e che, in realtà, compissero le stesse
attività degli operai. Nell'illustrare i primi passi della tipografia, il
Lemoyne lascia intendere che alcuni giovani, avviati li per lì
all'esercizio di quell'arte, furono nel giro di poco tempo in condi-
zione di destreggiarsi come abili compositori e stampatoria3.
Il discorso conduce a prendere in considerazione un aspetto del
quale non abbiamo ancora avuto occasione di occuparci. Fin dagli
inizi don Bosco aveva introdotto come regola che chi, fra i giova-
ni di Valdocco, fosse stato in possesso di qualche bene, era tenuto
a versare una pensionea4. Ma, com'è facile immaginare, molti era-
no quelli che non disponevano di nulla e per i quali le spese di
spitalità dovevano necessariamente essere a carico dell'oratorio
per meglio dire, della beneficenza. Nel caso degli artigiani don
osco aveva adottato anche un altro sistema. Dallo studio dei
gistri contabili di Valdocco risulta infatti che a copertura della
tta degli artigiani veniva, talvolta, indicato il compenso che essi
rebbero potuto ricevere a fronte delle loro prestazioni di lavo-
5. Purtroppo, in mancanza di documentazione, è impossibile
'lire quali fossero i criteri seguiti da don Bosco nell'attribuzio-
i questa specie di paga. I1 sistema fu impiegato fino ai primi
nni '60, ma da quel momento i registri non recano più alcuna
nota relativamente alla refusione della retta degli apprendisti con
la voce salario. Secondo lo Stella ciò starebbe a indicare la tenden-
za di don Bosco a considerare ormai la categoria degli artigiani
alla stregua di quella degli studenti, ovvero come ((giovani allievi,
non capaci di un guadagno in proprio, ma meramente alunni in
labo<atoridi apprendimento nelle arti e nei mestieri96. La scom-
parsa' della voce retribuzione pone certo più di un interrogativo,
ma non so se essa possa far concludere che don Bosco avesse
ealmente maturato una visione di apprendistato cosi rigorosa,
no a rasentare l'idea di una formazione sostanzialmente non dis-
mile da quella degli studenti.
Non possiamo dire che l'itinerario di don Bosco fosse caratte-
rizzato da mancanza di problemi. Tra il '62 e il '63 ebbe intanto
una vertenza con le autorità scolastiche per il fatto che gli inse-
gnanti del ginnasio di Valdocco non erano provvisti di quei titoli
accademici dei quali la legge Casati faceva obbligo anche ai
docenti di scuole secondarie private87. Questi ostacoli non impe-
iiirono però a don Bosco di cominciare a diffondere la sua Opera
al di fuori di Torino con la creazione, ne1 '64, di un collegio a
Lanzo e, successivamente, di altri istituti non solo in Piemonte
ma anche in Lignriaaa. Nei secondi anni '60, già alle prese con i
gravi problemi finanziari causatigli dalla costruzione della chiesa
di Maria Ausiliatrice, dovette per altro affrontare alcune compli-
- cazioni sortegli proprio sul versante dei laboratori. Fino ad allora
l'iniziativa non aveva dato segui di cedimento, ma nel '67 '68
alcuni dei laboratori denunciavano un momento di difficoltà di
cui abbiamo un riscontro nella lettera inviata il 21 gennaio 1868

2.10 Page 20

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tipografi sono senza lavor0»~9.Questo scarno annuncio di don
Bosco al responsabile della tipografia e legatoria merita qualche
commento.
È intanto da precisare che il lavoro di cui si accusava la carenza
era, molto verosimilmente, non quello che la tipografia eseguiva
per le necessità di don Bosco - «Letture cattoliche», avvisi, circo-
lari, inviti concernenti l'oratorio - sibbene il lavoro che, per allar-
gare il giro degli affari, I'Oreglia aveva attivato con commesse
esterne. Risulta con sicurezza che la tipografia di San Francesco di
Saies aveva già pubblicato opere del latinista T. Vallauri, di mons.
Ghilardi e altriso; ma non escluderei che essa avesse stampato per
conto di clienti esterni anche opuscoli, biglietti, carte da visita,
ovvero tutta quella produzione minuta di cui è difficile trovare
traccia ma che, al momento, dovette essere fonte di introiti non
irrilevanti. I1 fatto che ultimamente le ordinazioni della clientela
fossero calate è da inserire nel quadro di una certa stasi economica
da cui la città di Torino fu colpita dopo che ne1'64 venne deciso il
trasferimentodella capitalea Firenze. Non c'è dubbio che l'evento
giocò negativamente non solo sugli opifici che avevano vissuto
grazie all'approvvigionamento dell'esercito sardo, ma anche su
altri settori - quali l'abbigliamento, l'alimentazione di lusso, l'ore-
ficeria - che avevano prosperato in virtù della presenza della cor-
te, dei dignitari e dei politici9i. Pare che ripercussioni sf&orevoli
- si avvertissero pure nel campo tipografico, tanto che - ad eccezio-
ne delle ditte Pomba, Favale e altre molti esercizi videro calare i
loro affari e alcuni furono costretti a chiudere92. In questa situa-
zione si comprende che la tipografia di San Francesco di Sales
perdesse qualche colpo.
Fu, sicuramente, anche la preoccupazione di uscire al più presto
da quel momento di incertezza che, nel '69, spinse don Bosco a
cercare nuove strade e a mettere in cantiere due nuove collane: la
«Biblioteca della gioventùw, volta a presentare i testi più significa-
tivi della lingua italiana, e i uSelecta ex latinis scnptoribus», desti-
nati a pubblicare in edizione purgata i classici latini93. Con la pro-
grammazione di queste due raccolte si puntava, evidentemente, a
entrare nel mondo della scuola. Le difficoltà parvero attenuarsi e,
sullo sfondo di una ripresa da cui - all'affacciarsi degli anni '70 -
tutta la vita socio-economica torinese fu animata, la tipografia e i
laboratori di don Bosco recuperarono i loro ritmi di lavoro. Dalle
statistiche degli ospiti di Valdocco per 19anno1870-71 risulta che,
a fronte di 425 studenti, gli artigiani raggiungevanola ragguarde-
vole cifra di 228 unità, così distribuite: 36 tipografi, 73 legatori, 33
sarti, 39 calzolai, 22 falegnami, 14 fabbri-ferrai, 6 fonditori e 5
cappellai94. I1quadro consente di ribadire che l'opera degli artigia-
i non avrebbe potuto essere intieramente assorbita dai bisogni
ei soli studenti, neanche nel caso in cui, oltre a quelli di Valdoc-
co, si fossero fatti rientrare nel circuito gli studenti degli altri col-
legi salesiani in via di fondazione. Don Bosco doveva ormai rivol-
ersi a un mercato più vasto, naturalmente in misura diversa a
seconda della produzione dei van laboratori. La seconda osserva-
zione che viene da affacciareriguarda la proporzione tra tipografi
ori da una parte e i restanti artigiani dall'altra: insieme le
due categorie arrivavano quasi a pareggiare tutte le altre.
che questo dato mostra che, a Valdocco, stamperia e legatoria
stituivano il fulcro dell'attività dei laboratori e il loro andamen-
non poteva non influenzare l'intero settore. Sulla base della
congiuntura economica più propizia e sulla spinta del ritrovato
ancio, nel '72 don Bosco decideva di rinnovare la veste tipogra-
ca delle ((Letture cattoliche» e di portare la loro tiratura mensile
ben 12.000 copie.
he la tipografia dell'oratorio si fosse ripresa è, del resto, confer-
o da un episodio. Nel corso di una riunione di tipografi e librai
nesi svoltasi per l'appunto ne1 '72, taluni avevano proposto di
pnmere tutte le tipografie appartenenti a istituti pubblici e pri-
. e, sia pure senza fare alcun nome, avevano lasciato capire di
nsare, in special modo, alle attività degli Artigianelli e dell'ora-
. Si vede che le intraprese delle due istituzioni cominciavano
ombra e si sarebbe fatto volentieri a meno della loro presen-
nutosi chiamato in causa, don Bosco scrisse allora ai comi-
o dei tipografi torinesi una lettera di precisazioni sottolineando,
particolare, che l'oratorio era solo una casa privata e che la sua
ografia differiva dalle altre, poiché mentre in quelle (u guadagni
ono ordinariamente a vantaggio dei padroni, I..] qui tornerebbero

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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a bene dei poveri artigiani medesimi36.
Nel ricostruire le vicende dell'Oratorio di quei primi anni '70,
la tradizione salesiana tende a rimarcare una più avvertita preoc-
cupazione di don Bosco e dei suoi collaboratori per una migliore
qualificazione degli artigiani anche dal punto di vista della loro
istruzione. I1 Lemoyne e l'Amadei ricordano, ad esempio, la deci-
sione presa 1'8 settembre 1871, per la festa della natività di Maria
durante la quale si era soliti distribuire i premi agli studenti del
ginnasio97. Per la circostanza venne disposto che, a partire da
quell'anno, si sarebbero premiati non solo gli studenti, ma anche
gli artigiani che frequentavano il corso di francese e le elementari.
La testimonianza, certo, mette in luce, quanto meno, l'intento di
dare all'impegno scolastico degli artigiani un maggiore riconosci-
mento; ma essa, per altro verso, fa toccare con mano la relativa
portata dell'istruzione che loro si dava. In effetti, se i corsi seguiti
dagli artigiani erano quelli per i quali si pensava di distribuire i
premi - per la verità, secondo il Baricco, ci sarebbe stato anche un
corso di disegno98 -,bisogna rilevare che, all'oratono, la scuola
affiancata ai laboratori continuava a limitarsi all'istnizione ele-
mentare con l'aggiunta di un po' di francese, non diversamente da
quello che offrivano le scuole serali municipali funzionanti a Tori-
no99. Il Cena, dal canto suo, accenna a un altro fatto che, secondo
lui, mostrerebbe come ci si stesse incamminando verso la trasfor-
mazione dei laboratori in «vere scuole professionali»: nel '75 si
stabiliva che gli artigiani di Valdocco sarebbero andati a scuola
anche dopo la chiusura dell'anno scolastico degli studenti e avreb-
bero avuto, oltre ai corsi serali, lezioni pure al mattino, subito
dopo la messaIoo. Sarebbe stato interessante se il biografo ci aves-
se fornito anche l'elenco delle discipline impartite. Abbiamo però
l'impressione che il progetto del '75 di intensificare gli studi degli
artigiani restasse, in gran parte, al livello delle buone intenzioni,
poiché, come vedremo, nell'80 la istituzione dei corsi al mattino
era cosa di cui ancora si discuteva.
Per evitare la tentazione di trarre da qui conclusioni affrettate,
sarà bene precisare che i limiti dell'opera svolta in proposito dai
laboratori di Valdocco si inscrivevano nella generale trascuratezza
in cui il settore dell'istruzione professionale era tenuto. Non si
dimentichi che la Casati non l'aveva neppure menzionato e che, a
seguito della legge 5 giugno 1860 n. 4130, esso era passato sotto la
giurisdizione del nuovo Ministero di agricoltura, industria e com-
mercio, i cui interventi su questo specifico versante erano fino ad
allora consistiti nell'ordinare e nel riconoscere le iniziative via via
sorte soprattutto nel mondo dell'agicoltura~oU~.ltimamente certo
qualcosa stava cambiando, non solo per l'azione dispiegata da
società operaie, imprenditori,\\uomini di cultura, ma anche per la
maggiore attenzione che al problema dell'istruzione professionale
sembravano prestare altre forze sociali. Per esempio, fin dalla pri-
ma assemblea del '74 e poi in termini sempre più precisi nelle suc-
cessive, l'Opera dei congressi sollecitò i cattolici a creare scuole
serali e festive per i figli del popolo dove, accanto all'istruzione
elementare. si dessero le nozioni basilari del disegno e delle scien-
4. Nel contesto di una Congregazione di «preti, chierici,
laici».
ei primi mesi del '74, trovandosi a Roma, don Bosco inviava
n Lazzero, che si occupava degli artigiani103, una lettera dove,
nel parlare di questi ultimi, li chiamava «pupilla dell'occhio
mio»lo4. L'espressione non era una semplice concessione retorica,
ma rivelava una particolare sollecitudine che si sarebbe, anzi,
ulteriormente rafforzata. Alla base di questo sentimento, c'era,
intanto, l'apprensione del cuore sacerdotale di don Bosco deside-
- roso di vedere i propri giovani perseverare nel bene: «Dunque la
mia affezione egli scriveva nella stessa lettera - è fondata sul
desiderio che ho di salvare le vostre anime»lo5. Ma l'affettuosa
premura di don Bosco per i suoi artigiani si stava caricando anche
di altre motivazioni. L'esame della genesi organizzativa dei labo-
ratori ci ha permesso di rilevare come proprio in vista di una
migliore formazione degli apprendisti egli avesse sentito il biso-
gno di mettere alla direzione dei loro luoghi di lavoro coadiutori
laici che, attendendo al proprio perfezionamento spirituale, colla-
borassero con lui nelle attività educative e organizzative della

3.2 Page 22

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casa. Evidentemente, nel quadro degli sviluppi dell'opera, il ruolo
di questi membri laici della Congregazione era destinato a conso-
lidarsi, poiché sarebbe stato difficile prescindere dall'aiuto che
essi potevano dare nelle varie attività - dalle più umili alle più
elevate - che, per motivi di costume non meno che per ragioni di
diritto canonico, erano allora impedite ai sacerdotilo6. Don Bosco
dovette per altro persuadersi che l'ambiente naturale per il reclu-
tamento dei coadiutori era quello dei laboratori, anche se ovvia-
mente si trattava di individuare soggetti che, al di delle loro
capacità professionali, manifestassero prima di tutto spiccate di-
sposizioni interiori verso una scelta religiosa. L'acquisizione di
tali persone, oltre a garantire il progressivo ricambio dei capilabo-
ratorio e maestri d'arte a Valdocco, sarebbe stata di grande aiuto
nella soluzionedei vari problemi organizzativi cui, nella fase della
loro rapida espansione, i salesiani stavano andando incontro.
A tale riguardo si tenga presente che, ottenuta nel '74 l'approva-
zione definitiva, la Società salesiana non solo era in procinto di
mettere radici in diverse regioni europee, ma - sotto la spinta di
- un progetto missionario cui non erano estranee le suggestioni di
una certa epopea del martirio fra i selvaggi si accingeva a portare
la sua azione anche nei paesi dell'America latinato'. Non desta,
dunque, alcuna meraviglia che, più libero dopo il conseguimento
dell'approvazione, don Bosco fosse indotto a parlare della Società
in mezzo ai suoi artigiani e a sollecitare nuove vocazioni di sale-
siani laici. I1 bisogno di questi ultimi divenne più urgente in quan-
to, messo piede a Buenos Aires, i salesiani furono immediatamen-
te assorbiti dai bisogni della città che sembrò loro chiedere quelle
stesse opere cui, tra il '40 e il '50, don Bosco aveva dato vita a
Torino a sostegno della gioventù abbandonata: e cioè oratori,
ospizi, collegi, laboratoriio*. Significativo è il discorso che il fon-
datore dell'oratorio tenne agli artigiani di Valdocco il 31 marzo
del '76109. Posto che quella salesiana era, secondo le Costituzioni,
- una congregazione volta a riunire preti, chierici e laici - ((special-
mente», si preoccupava di sottolineare, «artigiani» e ricordato
che la comunità offriva non indifferenti vantaggi spirituali e mate-
riali, don Bosco invitava i giovani che l'ascoltavano a prendere in
considerazione la possibilitàdi diventarne soci e, magari, di deci-
rsi a partire per l'America raggiungendo quei compagni che
'anno scorso erano tra noi semplici artigiani ed ora sono là cam-
ioni stimati ed onoratbllo.
Naturalmente, a mano a mano che cresceva, la Società abbiso-
ava anche di regolamenti e strutture che, sia pure senza morti-
are lo slancio della fase nascente, precisassero principi e criteri
i sarebbe stato opportuno attenersi, tanto più ora che si operava
diversi continenti. I1'77 fu un anno particolarmente importan-
per la stona della Congregazione in ordine ai suoi orientamenti
pedagogici e al suo assetto legislativo-istituzionale. Don Bosco, tra
, inaugurò il patronato di San Pietro in Nizza pronunciando
iscorso da cui sarebbe nato l'opuscolo-manifesto del suo siste-
a preventivo, riunì il primo Capitolo generale e fece pubblicare,
e, il Regolamento ufficiale per le case dell'Oratonoil1. Non
'amo soffermarci su nessuno di questi momenti.
i può al più dire che, per quanto riguarda in modo specifico gli
rtigiani, il primo Capitolo generale ebbe a occuparsene diretta-
mente affrontando il problema di coloro che da apprendisti rnani-
festavano il desiderio di passare agli studi per diventare chierici e
acerdotill2. Don Bosco, che aveva e continuò a manifestare serie
- perplessità per il caso inverso di studenti che - rivelatisi privi di
vocazione sacerdotale avessero inteso entrare nei laboratori,
espresse l'opinione che, in presenza di giovani operai dotati di
moralità e attitudine», sarebbe stato opportuno facilitare la via
e1sacerdozio. Molto più ricco di richiami agli artigiani è, come si
intuire, il testo del Regolamento per le case dell'Oratorio,
che se per la verità esso raccoglieva, in sostanza, quanto in pro-
sito era già stato disposto ordinandolo nel quadro d'insiemeli3.
a struttura organizzativa dei laboratori, che il Regolamento del
rmalizzava, comprendeva tre figure: il maestro d'arte cui era
andato di ammaestrare nell'arte prevista gli apprendisti a lui
dati, l'assistente che aveva il compito di «vegliare sulla mora-
à, sull'impiego del tempo, e su tutto quello che può tornare van-
ggioso allo Stabilimento», e, infine, il catechista al quale risaliva
responsabilità dell'istruzione religiosa dei singoli oltre che la
cura del comportamento del gruppo ncl contesto della \\ iia comu-
nitaria. Il Regolamento del '77 non conteiir'va alcun rapitolo spe-

3.3 Page 23

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cificatamente dedicato alla figura del responsabile di laboratorio,
ma dalla lettura delle disposizioni riguardanti l'assistente si argui-
sce che essa era ancora pienamente prevista, poichè si precisava
che, dovendosi provvedere all'acquisto di nuovi materiali, «l'assi-
stente ne avviserà il Prefetto od il Capo d'uffizio dei laborato-
ri»ll4. D'altronde le testimonianze della tradizione salesiana non
lasciano adito a dubbi: all'Oratono i direttori dei laboratori
avrebbero continuato a costituire uno dei punti di forza.
Sul finire degli anni '70, mentre a Valdocco si andava applican-
do il nuovo Regolamento, a livello più generale il settore
dell'i~tmzioneprofessionale sembrava finalmente uscire dallo sta-
to di incertezza e abbandono in cui da lungo tempo era rimasto
confinato. Particolarmente interessante era a questo riguardo la
circolare 7 ottobre 1879 con la quale il Cairoli, Ministro dell'agri-
coltura, industria e commercio sollecitava Prefetti, Deputazioni
provinciali, Camere di Commercio, Comuni e Consigli provincia-
li scolastici a favorire la costituzione di scuole di arti e mestieri
puntando, anzichè sulle scuole diurne funzionali alla formazione
di ((operai eletti» e sottodiretton di fabbrica, sulle domenicali e
serali che avevano, per di più, il vantaggio di orari estremamente
c ~ m o d iI1~M~in~is.tro non si limitava a un richiamo generico ma,
a riprova del nuovo impegno con cui ci si riprometteva di seguire
il settore, annunciava la disponibilità del Governo nel contribuire
all'accensione e al mantenimento delle scuole di arti e mestieri
domenicali e serali, naturalmente con l'intesa che esse avrebbero
accettato tutti i suggerimenti che il Ministero si riservava via via
di dare. Degno di nota è il punto della circolare dove, nel disegna-
re il profilo delle suddette scuole, il Cairoli lasciava intendere che,
per quanto chiamate a formare gli operai delle industrie minori -
fabbri-ferrai, legnaiuoli, vasai ed altre consimili categorie - esse
non potevano più limitarsi a dare l'istruzione elementare di base,
ma dovevano fornire ((insegnamentidi scienza e d'arte con appli-
cazioni industriali>>1i6.
In mancanza di testimonianze dirette è difficile dire se don
Bosco leggesse la circolare. In quanto parlava di scuole serali e
domenicali per operai, prospettando l'eventualità di aiuti dell'era-
no, essa poteva pure riguardarlo; ma la condizione che, per acce-
dere a detti aiuti, le scuole avrebbero dovuto sottoporsi a inter-
venti e controlli pubblici era troppo vincolante perché don Bosco
se ne interessasse più di tanto. Forse il punto della circolare che
più poteva richiamare la sua attenzione era quello in cui si allude-
va al profilo preferenziale delle scuole serali per operai.
Da più di un indizio abbiamo l'impressione che, in quel mo-
mento, a Valdocco il problema dell'istmione degli artigiani fosse
divenuto oggetto di nuova considerazione. Per l'appunto ai primi
dell'80, nel tracciare le direttive a un salesiano in Francia dove si
stavano addensando nubi minacciose sulle congregazioni religio-
se, don Bosco raccomandava di mettere, all'occorrenza, in chiaro
che «se si fa a qualche nostro allievo scuola professionale ed anche
di latino si è per formare dei sorveglianti, maestri di scuola, capi
d'arte e specialmente tipografi, calcografi e fonditori di caratte-
117. Era, forse, la prima volta che in un testo scritto don Bosco
ava l'espressione «scuola professionale». Può darsi che l'avesse
piegata casualmente; ma non è del tutto privo di significato
he, per indicare i laboratori, tendesse ora a servirsi di questo
ermine. Del resto, che all'Oratono l'istmzione degli artigiani
cominciasse a essere sentito come un problema è provato dai
discorsi emersi in vista del secondo Capitolo generale, indetto nel
tembre '80 a Lanzollg. Sfortunatamente di questo Capitolo
no andati perduti i verbali ed è perciò impossibile stabilire, sul-
base delle sole Deliberazioni, le materie all'ordine del giorno e
svolgimento delle discussioni. Durante lo spoglio delle carte
nservate presso l'Archivio Salesiano Centrale, mi è tuttavia
capitato di rinvenire tre documenti da cui sembrerebbe che, in
'sta della preparazione del Capitolo, don Bosco avesse invitato a
andargli proposte concernenti il campo dei laboratorill9. Si trat-
di documenti di rilevanza, tutto sommato, abbastanza circo-
tta; essi contengono però alcune indicazioni che mette conto
primo documento, redatto verosimilmente negli ambienti dei
ttori di laboratorio~2o,avanzava due proposte: la istituzione
na scuola per artigiani e il cambiamento d'orario per le lezio-
Converrà forse avvertire che la redazione del testo è un po'
ticosa e che non tutti i particolari sono di immediata compren-

3.4 Page 24

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sione. La prima delle due richieste veniva giustificata con un non
meglio precisato «bisogno d'una scuola per gli artigiani senza
distinzione di età condizione e capacità». Per tentare di dare una
spiegazione, sarei portato a pensare che fino a quel momento gli
apprendisti di Valdocco seguissero le comuni scuole serali aperte
dalla casa, sia pure con l'integrazione di qualche corso speciale. La
richiesta contenuta nel documento potrebbe allora spiegarsi col
fatto che i direttori dei laboratori avessero ravvisato l'opportunità
di una scuola esclusivamente frequentata da artigiani. Secondo gli
estensori del documento, detta scuola doveva comprendere i corsi
delle elementari, in conformità con le disposizioni in vigoreizl;
ma si aggiungeva che occorreva altresì prevedere la presenza di
maestri «per una scuola di francese; per una di Disegno; per una
professionale e commerciale». Dal punto di vista dei contenuti la
proposta, ricalcando lo schema di un'istruzione elementare inte-
grata da due o tre corsi speciali, non introduceva nulla di nuovo
rispetto a quello che a Valdocco già si faceva; è però interessante
che, secondo quanto ci è parso di poter supporre, i direttori di
laboratorio avvertissero l'esigenza di costituire una scuola apposi-
tamente per gli artigiani. Quanto alla questione dell'orario, gli
estensori del documento, «considerando che i giovani dopo una
giornata intera di lavoro [sono] spossati dalla fatica e preoccupati
nella mente*, domandavano che le lezioni, anzichè la sera avesse-
ro luogo al mattino «da subito dopo la messa (7 incirca) alle 7
3/4»122. La richiesta fornisce la prova che il progetto con cui,
secondo il Ceria, fin dal '75 si sarebbe provveduto a un'intensifi-
cazione degli studi degli artigiani con lezioni anche mattutine era
ancora da attuare.
Gli altri due documenti, redatti probabilmente per mano di
alcuni collaboratori sacerdoti, intendevano sottoporre all'atten-
zione di don Bosco e del Capitolo generale alcune possibili rifor-
me nel campo più propriamente amministrativo. I1 primo dei
due, rilevato che il numero degli artigiani era in continua ascesa
fino al punto da non distanziarsi più di molto da quello degli
studenti123, osservava tuttavia che q u e s t o numero di allievi non-
chè bastare trovasi in deficienza all'uopo e alle esigenze*. Secondo
l'estensore - o gli estensori - del testo tale situazione comporta-
va che i responsabili dei laboratori, posti innanzi all'urgenza dei
lavori, si industriassero per avere il personale premendo sui supe-
non i quali a loro volta, nel tentativo di soddisfare le richieste,
spostavano all'impronta gli artigiani da un laboratorio all'altro
con ripercussioni negative sulle persone oltre che sull'andamento
della contabilità. Il documento puntava, insomma, a mettere in
risalto la mancanza di una strategia d'insieme. Come chiaro segno
di questa situazione poco organica, l'autore del testo rilevava la
tendenza di ciascun laboratorio a costituire cassa a con la con-
seguenza di porre in crisi il principio con cui da sempre don Bosco
affermava la necessità di «un sol centro» chiamato a gestire pro-
oncepito evidentemente in stretta correlazionecon il precedente,
rzo documento raccomandava che don Bosco riprendesse in
mano l'amministrazione dell'intiero Oratorio, sia pure con a fianco
due economi incaricati di seguire l'uno la sezione amministrativa
degli studenti e l'altro quella degli artigianii25. L'economo di questi
ultimi, oltre ad assumere la responsabilità «di tutto il materiale, di
tutto il personale e di tutti i singoli lavori ad eseguirsi in qualsiasi
ramo di industria o mestiere*, avrebbe dovuto richiamare a le
attività di cassa di ogni comparto, sia per le entrate sia per le uscite.
I1 documento sottolineava, infine, la necessità di introdurre qualche
correzione rispetto alle modalità che avevano fmo ad allora caratte-
rizzato il movimento degli artigiani. In particolare si suggeriva che
accettazione e trasferimento da un laboratorio all'altro fossero nmes-
si alla decisione dell'economo, mentre per quel che concerneva le
uscite si raccomandava di ovviare all'inconveniente che vedeva l'ar-
tigiano lasciare i laboratori proprio quando, ultimato il tirocinio,
ancomincia a dare un qualche compenso delle spese sostenute nel
suo apprendisaggio»l26.
Non saprei dire in che misura don Bosco si awalse di queste
icazioni e, soprattutto, se tenne conto della richiesta dei re-
nsabili dei laboratori circa la costituzione di una scuola a
er artigiani; difficilmente, però, egli avrebbe potuto rinviare una
fiessione sull'intiero settore che diversi elementi andavano con-
gliando. A tale riguardo, prima ancora che sulle suggestioni del
nuovo indirizzo del Ministero dell'agricoltura in tema di istruzio-

3.5 Page 25

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ne professionale~27,tenderei a richiamare l'attenzione sulle esi-
genze poste dai mutati sistemi di produzione. Di fronte ai cambia-
menti che, a motivo dell'evoluzione tecnologica, egli stesso era
indotto a introdurre nei suoi laboratori, in particolare in quello
tipografico, don Bosco si rendeva conto che anche un'industria
minore, se voleva sopravvivere, aveva bisogno di adeguati mac-
chinari e, conseguentemente, di manodopera sempre più istruita e
qualificata. Converrà per altro non dimenticarsi delle continue
- sollecitazioni che pervenivano all'Oratorio di Torino dai missio-
nari in America Latina. Le lettere di don Bodrato e altri che don
Bosco, a fini promozionali dell'opera, rendeva non di rado pub-
bliche sul «Bollettino salesiano» - mandavano a dire che le mis-
sioni avevano bensì urgenza di sacerdoti e catechisti, ma anche di
maestri e capi d'artei28. In tale contesto non sorprende che,
nell'indire il terzo Capitolo generale per l'autunno dell'83, don
Bosco decidesse di inserire fra le materie da discutere l'indirizzo
da dare ai laboratori e - a riprova dello stretto legame con cui
vedeva la questione degli apprendisti connessa con quella dei coa-
diutori - i mezzi da utilizzare per lo sviluppo della vocazione dei
giovani artigianii29.
5. Linee per un progetto d'istruzione professionale.
Il terzo Capitolo generale si svolse a Valsalice dal 2 al 7 settem-
bre 1883i3°, ma fin dal luglio precedente don Bonetti, nominato
regolatore del Capitolo stesso, aveva inviato ai direttori delle case
un'apposita scheda con l'indicazione delle materie all'ordine del
giorno affinché per ciascuna di esse gli interessati, sentiti i Capito-
li locali, facessero le proprie osservazioni e restituissero il tutto in
tempo utile per consentire di prenderne visione prima dell'assem-
blea. La scheda era stata mandata anche ad alcuni coadiutori -
come G. Buzzetti, G. Rossi, A. Pelazzai31 - i quali sarebbero stati
anche invitati ai lavori del Capitolo, sia pure con voto solo con-
sultivo. I1 numero delle schede debitamente compilate e restituite
è piuttosto elevato132: naturalmente sarebbe interessante esami-
narle in modo analitico; ma non possiamo compiere qui un'inda-
ne di tal genere, nemmeno limitandoci alle sole risposte fornite
- unto V concernente la questione degli artigiani. Di fronte al
proposto che, come si è visto, metteva insieme l'indirizzo
- da darsi ai laboratori e i mezzi per la promozione delle vocazioni
laiche la maggior parte fu indotta a intervenire più sul secondo
aspetto che non sul primo. Agli occhi di molti la maturazione
della scelta d'entrare come laici nella Congregazione veniva a
ndere soprattutto dalla persona e dalle idee dei maestri d'arte
cui gli apprendisti avevano a che farei33. In questa ottica,
umerose risposte rilevavano la necessità di introdurre nei labora-
tori maestri d'arte che appartenessero alla Società salesiana: ciò
sta a dire che l'opera di sostituzione dei capi d'arte con coadiutori
alesiani, che pure a Valdocco si era cercato di perseguire, risulta-
va per lo meno non ancora ultimata. Taluno, come don Fumagal-
li, si spingeva fino a chiedere la istituzione di un «educandato
artistico», una specie di scuola d'arti e mestieri superiore dove i
migliori artigiani professi potessero perfezionare il loro mestiere e
acquisire le adeguate conoscenze per diventare maestri di labora-
torioi34. Diversi si soffermavano sull'opportunita di curare me-
glio l'anno di noviziato che da qualche tempo era stato introdotto
per gli artigiani i quali intendevano appunto abbracciare la via del
salesiano laico; a giudizio di certuni sarebbe stato importante riu-
nire tutti i novizi in una sola casa in modo da predisporre per loro
un preciso programma di formazionel35.
Abbiamo già detto che la maggioranza degli interpellati non
entrò nel merito dell'orientamento da dare ai laboratori. Più
d'uno conveniva, comunque, sulla richiesta d'introdurre all'inter-
no del Capitolo superiore la figura di un Consigliere artistico che,
sulla falsariga di quello che nel suo comparto faceva il Consigliere
per gli studenti, seguisse dappresso il settore degli artigianii36.
C'erano anche raccomandazioni più puntuali, come - ad esempio
- quella di don Febraro che suggeriva di stringere relazioni con i
pidroni:&gli opifici cattolici cui avviare gli apprendisti al mo-
mento d'ell'uscita; o quella del coadiutore G. Rossi che, per incen-
tivare gli àrtigiani a restare presso la casa, proponeva la istituzione
di premi, da consegnare, tuttavia, solo al termine del periodo di
permanenza stabilitol37. Se dovessimo indicare la visione che,
47

3.6 Page 26

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almeno sulla base di questa consultazione, i responsabili delle case
salesiane mostravano di avere degli artigiani, diremmo che,
nell'insieme, si trattava di una prospettiva sostanzialmente inter-
na alle preoccupazioni della Congregazione e dei suoi sviluppi.
Può essere che le risposte degli interpellati fossero effettivamente
condiionate dalla formulazionedel tema che induceva a conside-
rare i giovani dei laboratori più come possibili futuri coadiutori
che non come apprendisti con problemi di formazione specifica;
resta però il fatto che questo secondo risvolto era decisamente
relegato sullo sfondo. La cosa merita d'essere segnalata tanto più
in quanto, come vedremo, il documento alla fine elaborato avreb-
be avuto maggiore respiro.
Come i precedenti Capitoli, anche il terzo svolse i suoi lavori
sulla base degli studi preparati dalle apposite commissioni. La
Commissione che al terzo Capitolo fu incaricata di seguire il pun-
to V dedicato al tema degli artigiani era costituita da sei membri
ordinari - tra i quali don Lazzero, don Perrot, don Sala138 - e da
cinque membri invitati a titolo consultivo - tra i quali G. Buzzetti,
A. Pelazza, G. Rossii39. È molto probabile che la Commissione
avesse cominciato con il fornire una prima traccia per la discus-
sione. Tra le carte del Capitolo dell'83 ci sono due documenti,
- tutti e due dedicati appunto agli artigiani: il primo - recante fra
parentesi quadra la data del 1883 è un testo che, pur avvicinan-
- dosi nella struttura al documento definitivo, è ancora percorso da
molti ripensamenti; il secondo senza data, redatto in bella copia
e con chiare correzioni a margine - è invece il testo che venne poi
assunto dalle Deliberazioni ufficiali, anche se, per ragioni che
subito diremo, tali decisioni sarebbero state approvate e pubblica-
te solo con il quarto Capitolo svoltosi neIl'86i40. La data del pri-
mo dei due documenti e la collocazione dell'uno e dell'altro fra le
carte dell'83 mi avevano, in un primo tempo, indotto a pensare
che, in effetti, essi appartenessero al Capitolo di quell'anno; ma,
strada facendo, mi sono invece persuaso che i due testi, comprèso
quello che reca la data del 1883, sono molto verosimilmente da
collocare nell'ambito dei lavori del Capitolo dell'86 e che l'assise
dell'83, pur avendo dibattuto il problema, non sia andata avanti
più di tanto. Purtroppo ai fini della ricostruzione del dibattito
voltosi nel Capitolo de11'83 i verbali delle sedute servono a poco:
elle prime due giornate, anzi, essi non esistono neppure, mentre
uelli delle altre sono, come aveva già notato il Cena, «piuttosto
magri»'41. Riguardo all'argomento che ci interessa, troviamo al-
cuni cenni nel verbale della seduta pomeridiana del 6 settembre,
nel corso della quale, per impedire che l'artigiano lasciasse troppo
presto il laboratorio, ci si orientava nell'assegnare a ciascuno una
mercede», corrispondente al lavoro svolto - detratte le spese di
- spitalità e concepita in termini tali per cui un terzo della paga
sarebbe stato consegnato subito, si da consentire all'artigiano di
far fronte ai suoi bisogni, e gli altri due terzi sarebbero andati a
formare un fondo che l'interessato avrebbe riscosso al momento
dell'uscita secondo gli accordi pattuitil42.
Dal verbale dell'ultima adunanza emerge che, non essendo riusciti
a elaborare le deliberazioni fin al'^, i partecipanti al Capitolo generale
davano mandato al Rettore don Bosco di proseguire, con la coilabo-
razione dei membri del Capitolo superiore, l'opera intrapresa e di
«condurla a perfezione aggiungendo e togliendo quanto e come giu-
dicherà meglio»l4-'. Ma questo lavoro di sistemazione e rifuiitura
non venne più compiuto, per cui le questioni affrontate nel Capitolo
deU'83 sarebbero state rimesse al quarto Capitolo generale indetto
neU'86. I1 fatto che l'assise dell'83 si chiudesse senza risoluzioni non
vuol dire che tutto restasse come prima. Intanto, in attuazione di un
prowedimento preso appunto nel corso del terzo Capitolo, a partire
davanno 1883-1884 venne istituito il noviziato artigiano a San
Benigno Canavese, dove era già il noviziato dei chiericil44. Con la
creazione del noviziato degli artigiani, la formazione dei coadiutori
usciva dallo stato di precarietà. Non è casuale che, recandosi il 19
ottobre deU'83 a San Benigno per la vestizione dei chierici, don
Bosco volesse incontrarsi con i ventidue novizi artigiani radunati e
tenesse loro il discorso - divenuto poi classico - suila sostanziale
parità tra coadiutori e sacerdoti, in ideale risposta a certe lagnanze
serpeggianti tra i primi ed emerse anche al Capitolo di qualche setti-
L'introduzione del Consigliere artistico passò invece attraverso
una gestazione più sofferia, tanto è vero che venne varata solo

3.7 Page 27

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l'anno dopo: la persona chiamata a coprire quel delicato incarico
sarebbe stata don Lazzerol46.
Per la tipografia e, indirettamente, per i laboratori di Valdocco
il 1884 segnò una data molto importante. Ammesso a partecipare
alla grande Esposizione nazionale dell'iniiustria, della scienza e
- della tecnica che si tenne nella primavera di quell'anno a Torino,
don Bosco - da abile promotore della sua Opera quale egli era
decise di allestire una galleria che presentasse, con l'impiego dei
macchinari e degli artigiani, l'intero procedimento con cui, a par-
tire dalla fabbricazione della carta, era possibile giungere alla pro-
duzione del lihro'47. L'allestimento predisposto dai responsabili
della tipografia di Valdocco costituì la vera attrattiva dell'Esposi-
zione dell'84 e riscosse un considerevole successol@. Lieto di
vedere una delle sue istituzioni predilette raggiunta dai consensi e
dalle lodi dell'opinione pubblica, don Bosco avrebbe desiderato
che fossero al più presto definite le conclusioni del Capitolo
dell'83 in modo che, sulla base del previsto documento in mate-
ria, i laboratori potessero finalmente muoversi in un quadro di
riferimento sicuro. Di questo desiderio si coglie un chiaro segno
nel verbale della seduta del 22 ottobre 1884 del Capitolo superio-
re, dove don Bosco lamentava che il lavoro di ridefinizione delle
deliberazioni dell'83 era «troppo trasandato perché le troppe
occupazioni siano scusa sufficiente»l49. Ma come si è già riferito,
tutto fu rinviato all'esame del quarto Capitolo.
Come il precedente, il Capitolo dell'86 si svolse a Valsalice negli
- stessi giorni dal 2 al 7 settemhre150. Anche questa volta il regolatore -
nella persona di don Cerrutilsl inviò ai direttori delle case la solita
scheda con l'indice de&~argomenti da trattare: alcuni erano esatta-
mente gli stessi dell'83 e tra questi si trovava il tema degli artigiani
indicato al punto 11; altri invece erano nuovi. Le risposte depositate
negli atti risultano relativamente poche; ma fra i documenti prepara-
ti dalla Commissione preposta alla questione degli artigiani - e
rispetto alla precedente notevolmente rimovata fuorché nelle perso-
ne di don Lazzero, don Perrot e G. Rossil52-, ci sono alcuni fogli che
contengono,copiati dalla stessa mano, i suggerimenti di diversi sale-
sianils3. Dovrebbe appunto trattarsi di una specie di sintesi delle
risposte che qualcuno aveva ritenuto di appuntare spogliando le
ede, anche se della maggior parte degli originali di queste ulti-
non è poi rimasta traccia. La sintesi consente di rilevare che
modo con cui favorire la vocazione degli artigiani gli interpel-
- i, con notazioni spesso simili a quelle della consultazione
11'83, sottolineavano l'esigenza di disporre di bravi capi d'arte
ma qualcuno aggiungeva anche di buoni assistenti154--, di control-
e la serietà delle domande dei postulanti all'iscrizione fra i soci
ci, di curare bene il noviziato, di costituire presso ogni casa
ppi di artigiani scelti seguiti appositamente da un sacerdote, di
ndere la Compagnia di San Giuseppeljs.
Più ricche di suggerimenti rispetto a quelle dell'83 erano le
risposte dell'86 sui temi specifici dell'attività professionale degli
i e sulle condizioni dei laboraton. Tra gli altri suggerimen-
orrei, intanto, richiamare quelli più particolari di don F. Dal-
zzo che raccomandava di studiare a fondo l'indole dei giovani
i non contrariarli nelle loro tendenze quando fossero risultate
neste ed utili»; o di don Ghione che, mosso dalla solita preoc-
pazione di legare gli artigiani alla casa, proponeva di dar loro
a percentuale sui lavori eseguitiIs6. Ma gli interventi sui quali
vale forse la pena d'insistere sono quelli di don Belmonte - che era
tra l'altro uno dei membri della Commissione preposta al punto I1
di un non meglio identificato «Socio»; non è casuale che anche
ntore dello spoglio delle schede accordasse loro maggiore spazio
e non agli altrils'. Affermata la responsabilità che la casa aveva
favorire nei giovani una seria abilitazione nell'arte prescelta in
do da evitare che, per guadagnarsi da vivere, essi fossero poi
tretti a cercarsi un altro mestiere, don Belmonte riteneva indi-
ensabile che i laboratori si dotassero di ottimi capi d'arte «an-
e col sacrificiodi passar loro una giornata molto alta». Secondo
sarebbe stato opportuno invitare cooperatori e cooperatrici
esiani a non far mancare il lavoro ai laboraton, ma questi
ano, a loro volta, impegnarsi a rispettare due condizioni:
e opere ineccepibili ed entrare nella logica della conconen-
cercando di rilasciare i lavori compiuti «ad un prezzo alquanto
feriore agli altri, fosse pure di pochi centesimi»ljs. Don Bel-
onte, infine, riteneva utile che gli apprendisti di ogni laboratorio
ssero divisi in «sezioni progressive», si da stimolare il giovane a

3.8 Page 28

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migliorarsi per passare da una sezione all'altra «sino alla meta
prefissa di riuscire un artista formatonl59.
Non meno stimolanti erano le note dell'interpellato che la
Commissione indicava con il titolo di Socio. Anche questi espri-
meva la convinzione che per dare sviluppo e vigore alle arti e
mestieri occorreva disporre di capi d'arte di valore «iquali mirino
più che al lavoro materiale, all'avanzamento intellettuale del gio-
vane»160. In tale prospettiva gli sembrava urgente rafforzare,
innanzi tutto, la dimensione professionale del noviziato artigiano
con speciale riguardo al disegno, in maniera che gli ascritti fossero
via via condotti non solo a eseguire lavori sulla base di modelli
predisposti dai maestri, ma a elaborare essi stessi i progetti da
attuare161. Con una riflessione diretta evidentemente all'orienta-
mento prevalso nelle scuole serali degli apprendisti dell'Oratorio,
e non soltanto in quelle dei novizi di San Benigno, l'autore di
queste osservazioni rilevava che ci si era troppo preoccupati degli
insegnamenti culturali a danno di quelli speciali: «Finora s'ebbe
smania d'introdurre nella scuola serale troppo italiano e perfino
lingue straniere. Sappia pure di francese il Fabbro, ma a qual pro
se non sa per l'arte sua disegnare un semplice cancello? un'infer-
riata?»l62. Secondo il Socio c'era inoltre bisogno che almeno gli
artigiani del noviziato avessero un'ora e mezza di lezioni tutti i
giorni e per l'intiero arco dell'anno. Egli concludeva accennando
all'opportunità che i più progrediti nel disegno fossero avviati
all'arte dell'incisione e della litografia, la cui importanza era - a
suo avviso - destinata a crescere.
Cautore dello spoglio delle schede aveva ragione di mettere in
risalto gli interventi di don Belmonte e del Socio. In realtà, affron-
tato con decisione il tema dell'indirizzo professionale degli ap-
prendisti, essi mostravano che occorreva ormai puntare su lahora-
tori volti non solo a disimpegnare con precisione il lavoro dei
clienti ma a fornire i ragazzi di un mestiere, su maestri d'arte
apprezzabili per la competenza non meno che per la virtù e,
secondo quanto indicato specialmente dal Socio, su un noviziato
che, coltivando l'ambizione di preparare i futuri maestri d'arte, si
aprisse di più all'apporto delle discipline tecniche. Questa esigen-
za di un maggiore impegno sul piano della qualità professionale
- trovava, del resto, conferma anche in altri interventi: «Procurare
che i laboratori salesiani - sottolineava don Branda siano elevati
alla preparazione e progressi che ostentano le officine e laboratori
dei profani mediante maestri idonei, siano o no Salesiani, pei
tempo necessario»l63. Verrebbe quasi da dire che, sollecitati dalla
nuova consultazione, i direttori delle case salesiane, o almeno
diversi di loro, si fossero sforzati di rappresentarsi i problemi
degli apprendisti non solo dal punto di vista degli interessi della
Congregazione, ma anche sotto il profilo di quello che ai giovani
serviva quali futuri operai o capi di operai chiamati ad attendere
con serietà al loro mestiere.
Le varie raccomandazioni che abbiamo qui ricordate erano
destinate ad essere prese in seria considerazione e alcune di esse
sarebbero entrate nello stesso testo del documento finale. Tra le
carte della Commissione dell'86 preposta alla questione degli arti-
giani c'è un documento che fu chiaramente redatto tenuto conto
anche delle indicazioni emerse dalle risposte dei direttori delle
case e che dovette probabilmente essere composto per fornire alla
Commissione stessa un testo su cui lavorarei64. È difficile indivi-
duare con certezza chi ne fosse l'autore. Se si calcola che il docu-
mento contiene alcune annotazioni pedagogiche e diversi suggeri-
menti sul modo di programmare lo studio degli artigiani, verrebbe
naturale pensare a don Cermti che, come abbiamo ricordato, si
interessava dell'organizzazione delle scuole salesiane. La supposi-
zione potrebbe essere avvalorata da un altro elemento. In quella
circostanza don Cemti era anche il regolatore del Capitolo: tale
ruolo non solo gli consentiva di ricevere e conoscere per tempo le
risposte della consultazione preliminare dei Capitoli locali, ma lo
metteva anche nella responsabilità di favorire lo svolgimento dei
lavori del Capitolo generale con l'approntamento di tutto ci6 -
schemi, testi, progetti - che potesse in qualche modo facilitare
l'esame delle vane materie su cui deliberare. I1 documento richia-
mato, chiunque ne fosse l'autore, risulta in ogni caso piuttosto
importante. Secondo me, esso è anzi da ritenere il testo capostipi-
te da cui deriverebbero i due documenti che ci è capitato di incon-
trare fra le carte dell'83 e cioè il documento n. I che ne costitui-
rebbe la prima rielaborazione e quindi il documento che abbiamo

3.9 Page 29

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detto finale e che rappresenterebbe la terza e ultima tappa dell'in-
tiero discorsol6s.
Ragioni di completezza vorrebbero forse che esaminassimo ad
uno ad uno i tre documenti ponendo via via in risalto le differenze
e la progressiva evoluzione; ma ci limiteremo alle osservazioni
- essenziali. I1 documento che ci è parso di poter attribuire al Cer-
ruti - e che abbiamo stabilito di indicare ormai con la lettera A
consta di una sezione sui laboratori e di un'altra sullo sviluppo e
sulla cultura delle vocazioni. Noi però lasceremo cadere questa
seconda sezione per concentrarci sul progetto di formazione degli
artigiani. Su tale punto il documento A, riconosciuta in via preii-
minare la crescente rilevanza della «parte operai* nella società
del tempo e la urgenza di istruirla nel rispetto di tutte le sue esi-
genze, distingueva tre momenti dei quali l'istruzione degli artigia-
ni avrebbe dovuto farsi carico: il morale, l'intellettuale e il profes-
sionale. Erano i tre indirizzi che sarebbero rimasti anche nei docu-
menti successivi, nonostante che il primo si precisasse e diventas-
se l'indirizzo morate-religiosoi66.
Per l'indirizzo morale il documento A chiariva che si trattava di
instillare negli apprendisti i doveri del buon cittadino non meno
che quelli del buon cristiano e, in quest'ottica, prevedeva: l'ism-
zione sui punti della religione maggiormente presi di mira dalle
sette e dalla stampa anticlericale; la conferenza settimanale del
direttore ai vari educatori per indicar loro il modo con cui trattare
i ragazzi; il ricorso al principio dell'emulazione nello studio del
- catechismo; l'addestramento nel canto gregorianoI67. Tutte cose
certo utili e persino necessarie, ma che da sole - rimanevano
piuttosto al di sotto di quelle prospettive di educazione morale
fondata sulla paternità e sulla bontà di Dio di cui la pedagogia di
don Bosco era intrisal68. I1 documento suggeriva, è vero, di non
- essere troppo severi con gli artigiani, poiché «per mancanza
d'istruzione si Legge al n. IV - le loro colpe sono il più delle volte
solamente materiali»i69. Si ha però l'impressione che, nell'insie-
me, questa parte del testo non riuscisse a sfuggire a una certa
intonazione precettistica. Quanto all'istmzione intellettuale, il do-
cumento A, sottolineata la necessità di un maggiore sforzo e l'op-
portunità di un programma scolastico particolareggiato per gli
artigiani di tutte le case analogo a quello già introdotto per gli
studenti, dava come indicazione generale che l'apprendista non
sarebbe passato alte scuole speciali di disegno, francese e altro se
n fosse stato «sufficientemente istruito nelle cose spettanti alle
entari*. I1numero di queste classi non doveva essere né
aggiore né minore di tre, e a parte si indicava il loro program-
a, facendo vedere che, per la lingua, occorreva condurre a saper
ggere, a scrivere correttamente e in bella calligrafia, a compren-
ere il libro di lettura e a redigere lettere e scritture commerciali,
entre, per l'aritmetica, bisognava portare i ragazzi a imparare,
a via, le quattro operazioni, a usare il sistema metrico decimale,
a conoscere frazioni pesi e misure e a calcolare lo sconto e I'inte-
resse semplicei70. Come si può notare, era un programma non
molto diverso da quello in uso nelle elementari secondo quanto
disposto dalle Istruzioni e programmi ministeriali del '67171. I1
documento assegnava, fra le discipline, un posto «e non l'ultimo»
al galateo, affinché anche il contegno esteriore fosse educato e
posto <unbell'armonia coll'educazione della mente e del cuore*.
Si disponeva infine che ogni anno scolastico, della durata di alme-
no otto-nove mesi, fosse contrassegnatoda due prove: una all'ini-
zio per verificare il livello degli studenti e predisporre convenien-
temente la distinzione delle classi e una alla fine per valutare il
profitto di ciascuno.
I1 documento preparato per la Commissione passava, quindi, a
illustrare l'indirizzo professionale cui era assegnato il compito di
aiutare gli apprendisti a conoscere il loro mestiere e a saper ese-
guire i lavori «con disinvoltura e prestezza~172I.n vista del conse-
'mento del primo dei due obiettivi venivano individuate sei
orme», nella trascrizione delle quali l'estensore del documento
ostrava chiaramente di utilizzare diverse delle sollecitazioni
1corso delta consultazionedei Capitoli locali. Come pri-
si stabiliva, innanzi tutto, di lasciare liberi i giovani di
iersi ciascuno il mestiere cui per natura si sentiva inclinato,
ve sembra di ritrovare la traccia della raccomandazione di don
lmazzo a non contrariare i ragazzi nelle loro tendenze, purché
este e utilh. Al punto due veniva posto il principio, per la
condiviso da molti, di avvalersi di maestri d'arte salesiani

3.10 Page 30

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ma al tempo stesso esperti del loro lavoro. I1 maestro d'arte veni-
- va sollecitato dalla terza norma a dividere, secondo quanto sugge-
rito come si ricorderà - da don Belmonte, «la serie progressiva
dei lavori che costituiscono il complesso dell'arte in tanti corsi e
gradi» attraverso cui l'apprendista sarebbe dovuto via via passare
se voleva entrare in possesso delle conoscenze indispensabili
all'esercizio del mestiere scelto. Dopo aver indicato con il quarto
punto l'opportunità che ogni laboratorio eseguisse tutta la gamma
dei lavori di sua spettanza, l'autore del documento si chiedeva al
quinto, lasciando per altro la Commissione arbitra di decidere, se
non fosse il caso che, per introdurre un po' di emulazione fra i
laboratori delle varie case, il Consigliere artistico non assegnasse
ogni anno un lavoro da compiere. La sesta norma, redatta eviden-
temente sotto la suggestione dei consigli contenuti nell'intervento
del Socio, sottolineava l'importanza della scuola di disegno con
frequenti pratiche applicazioni e disponeva che, possibilmente,
essa fosse introdotta in tutti gli istituti salesianil73.
Si potrebbe osservare come in questa parte del documento A
non ci fosse, alla resa dei conti, nulla di nuovo rispetto a quello
che era stato indicato dai direttori delle case. All'autore del testo
bisogna, comunque, riconoscere il merito di aver saputo scremare
il meglio delle proposte, predisporre in un'eficace sequenza alcu-
ni nodi significativi e obbligare la Commissione a confrontarsi
con una traccia che alludeva a un progetto di laboratorio profes-
sionalmente più esigente di quanto non fosse in precedenza. I1
documento sottolineava per altro che per gli artigiani si trattava
non solo di conoscere la struttura interna di un mestiere ma anche
di praticarlo con padronanza e sveltezza. A tale proposito veniva-
no introdotti alcuni rilievi di natura pedagogica dove la mano del
Cerruti sembra più evidente. Il documento annotava, infatti, che
l'indole dei ragazzi era molto varia, poiché, a fianco di chi si pre-
sentava intelligente e pronto, c'erano elementi più riflessivi ma
lenti o altri addirittura pigri; l'abilità pedagogica del maestro
d'arte si sarebbe misurata dalla capacità di «ordinare e contempe-
rare questa diversità di carattere»l"+.Nell'ultima parte si alludeva
ai benefici economici destinati agli artigiani. Essi avrebbero, in-
tanto, potuto godere di una mancia purché, portandosi «bene in
tutto», si fossero impegnati a restare in collegio per l'intero perio-
do del tirocinio, fissato in un quinquennio; inoltre, dopo i primi
due anni di apprendistato e in rapporto alla condotta oltre che -
ovviamente - alla resa lavorativa, essi avrebbero riscosso una
ricompensa «sulla base del 5% del profitto netto che dal loro lavo-
ro si potrà percepire)),della quale però sarebbero entrati in posses-
so solo all'uscita dopo il tirociniol75. Per coloro che si fossero
fermati anche dopo l'apprendistato erano previsti due anni di
scuola di perfezionamento consistente «nell'insegnamento del Di-
segno, Scultura, Indoratura, Lingua francese, ecc.».
La Commissione del quarto Capitolo incaricata della questione
degli artigiani non poteva non apprezzare l'opera di colui che, nel
metterle a disposizione il documento A, le consentiva di partire su
un prezioso punto di appoggio. Non disponiamo di elementi che
ci consentano di stabilire con sicurezza la fase in cui si procedette
alla stesura del successivo testo che, tanto per intenderci, abbiamo
convenuto di indicare con la lettera B. Può darsi che fin dalla
prima riunione la Commissione, avuto in mano il documento A,
decidesse di rivederlo in modo da presentarne al Capitolo una
versione più stringata. A scanso di equivoci converrà, però, far
subito rilevare che il documento B, pur apportando al precedente
considerevoli taglil76, non solo continuava a muoversi sulla sua
falsariga, ma ne assumeva la struttura, i principi e le stesse formu-
lazioni. È dunque probabile che il relatore della Commissione don
Nai, quando la mattina del 4 settembre cominciò ad esporre di
fronte al Capitolo generale «la parte degli artigiani», avesse di
fronte agli occhi il testo B nella redazione che a noi è possibile
scorgere nell'originale al di sotto delle correzioni che su di esso
sarebbero state successivamente aggiuntein.
Anche questa volta i resoconti del Capitolo ci sono di aiuto
elativoi'a. Per la seduta in cui venne avviato il discorso sono da
egistrare gli interventi di don Lazzero, che chiedeva un regola-
to per un Consigliere professionale, e di don Albera, cui sem-
a non potersi ammettere che i chierici assistenti degli artigia-
ssero «i meno atti ed istmiti come comunemente accade~179.
po' più ricco è il verbale della seduta del pomeriggio dello
so 4 settembre, durante la quale, proseguendo la discussione

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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sul tema degli artigiani, il coadiutore G. Rossi richiamava la
necessità di munirsi di capi d'arte qualificati. Si vede che si era già
giunti alla lettura della parte del documento concernente l'indiriz-
zo professionale dove si parlava appunto dei maestri d'arte. Nel
sostenere la sua tesi, il Rossi asseriva che «un capo abile e ben
pagato insegna bene il mestiere, fa rendere il triplo di ciò che rice-
ve, contenta i giovani che si fanno valenti nel mestiere»i80. È
molto verosimile che sia stata la discussione sviluppatasi al
riguardo a consigliare l'integrazione, apportata sul testo B e poi
recepita nel documento finale, secondo cui occorreva ricorrere a
maestri abili e onesti «anche con sacrifizio pecuniarioni8i. Nel
corso della medesima seduta interveniva pure don Lasagna il qua-
le, appoggiando la richiesta di un maggior riconoscimentoda darsi
al disegno, affermava che in America esso si insegnava fin dalla
prima elementare e osservava che occorreva per altro impartirlo
come se si trattasse non di un premio, ma di un'istruzione neces-
saria1g2. In ordine al nostro argomento dai verbali delle sedute
non è dato sapere più nulla.
È però improbabile che la discussione si fosse accesa solo attor-
no ai punti cui il resoconto espressamente allude. Il testo del
documento B fu invero fatto oggetto di ampie modifiche. Nulla
esclude, certo, che tale revisione fosse introdotta per iniziativa di
don Bosco dopo la conclusione del Capitolo, tanto più che, anche
questa volta, i partecipanti all'assemblea davano mandato al loro
Rettore di «sviluppare maggiormente quello che non fosse stato
abbastanza trattato e aggiungere o modificare tutto quello che fos-
se da aggiungere o modificare~183È. difficile però che, nel corso
del dibattito capitolare, non ci si fosse per lo meno intesi sui punti
che avrebbero avuto bisogno di un ripensamento. Fossero le cor-
rezioni al testo addotte prima o dopo il Capitolo, resta comunque
che esse non furono solo formali. L'esame del documento B
- mostra che i maggiori rimaneggiamenti ai quali esso fu sottoposto
toccavano l'indirizzo morale, che divenne come abbiamo già
detto - religioso-morale, e quello professionale. Per quel che
riguarda il primo, la novità più significativa consisteva nell'intro-
duzione di due articoli: uno, con cui si sollecitava a richiamare di
fronte agli allievi il pensiero di Dio e del dovere, persuadendoli
he la bontà dei costumi e la pratica delta religione è necessaria
ogni condizione di persone)); e un altro, che raccomandava ai
periori di usare ogni cura perché gli artigiani si sentissero «ama-
e stimatin184. Ritorneremo brevemente sul significato di questi
ue articoli. Quanto all'indirizzo professionale veniva deciso di
pprimere ogni accenno sia all'insegnamento del disegno sia alla
uola di perfezionamentodestinata a chi si fosse fermato dopo il
ocinio. Anche su questo converrà che in conclusione diciamo
er completezza d'informazione è da precisare che, a questo
nto, il testo venne ripulito e trascritto nella versione del terzo
umento, quello che abbiamo chiamato C. Tuttavia il lavoro di
sione non era ancora finito, poiché anche la nuova stesura
rebbe stata sottoposta a ulteriori correzioni. Va però subito det-
che l'aggiunta più rilevante concerneva la ritrascrizione della
emessa. I1 documento B, fedele al testo iniziale, si era limitato a
evare che obiettivo dell'istruzione degli artigiani nelle case sale-
era di mettere loro in mano un mestiere, formarti nella reli-
e dar loro le cognizioni culturali («scientifiche») di cui abbi-
navano; l'aggiunta, tendente a porre in evidenza l'intima corre-
ione fra i laboratori e l'Opera, affermava che, fra le finalità
Ila Società salesiana, c'era appunto quella di soccorrere i giova-
abbandonati nella persuasione che sarebbe stato vano cercare
struirli nella fede se non li si fosse avviati seziandio a qualche
e o mestiere)).Ma se si prescinde da questa non imlevante pre-
azione, tutti gli altri rimaneggiamentipaiono, per lo più, volti a
re maggiore scorrevolezza al dettato redazionale. Rivisto e cor-
to, il testo del documento C era destinato a entrare nelle deci-
ni finali: il confronto tra la sua versione e quella ufficiale185
stra che le varianti erano impercettibili.
nalmente la lunga e faticosa gestazione del documento si con-
eva e i laboratori della Congregazione salesiana potevano
ai disporre di quello statuto che don Bosco, negli ultimi anni
re più preoccupato di dare unità e stabilità alle sue istituzio-
esiderava da tempo vedere redatto. Rispetto alla prima for-
lazione, il documento definitivo si era liberato di una certa
ntezza e, in virtù di alcune integrazioni, aveva preso respiro.

4.2 Page 32

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Non ci sarebbe da meravigliarsi se, nelle ultime fasi della redazio-
ne del testo, il ruolo di don Bosco fosse divenuto più attivo. La
riformulazione della premessa attestava intanto una verità storica.
I laboratori facevano parte integrante dell'Opera salesiana e costi-
tuivano uno dei momenti forti con cui essa riteneva di poter veni-
re in aiuto dei giovani abbandonati. Ma la nuova introduzione del
documento tendeva altresì a dare rilievo all'importante principio
di cui don Bosco e i suoi collaboratori avevano imparato a cono-
scere la verità attraverso l'esperienza di tutti i giorni: il recupero
dei ragazzi di strada non era pensabile separatamente dal loro
inserimento in una seria vita di lavoro. Così come degni di nota
paiono i due articoli con i quali, già sul testo B, si era provveduto
a rafforzare l'indirizzo morale. Abbiamo visto che la prima delle
due integrazioni sollecitava gli educatori a richiamare presso i
ragazzi il pensiero di Dio e del dovere. Chi ha un po' di dimesti-
chezza con l'opera di don Bosco sa che il motivo dell'amore nei
confronti di Dio Padre e il senso religioso della vita spesa nell'as-
solvimento dei propri impegni - dal lavoro alla preghiera - costi-
tuivano le coordinate della sua visione pedagogica. Ma non meno
intrinseco al pensiero di don Bosco era il contenuto dell'altro arti-
colo introdotto per spingere gli educatori a circondare i loro arti-
giani di quel clima di famiglia che li facesse sentire accettati e
amati. Era il grande tema dell'amorevolezza, su cui non è il caso
di insistere.
A un discorso più articolato si presta l'esito cui si era approdati
con il documento dell'86 circa l'indirizzo intellettuale e professiona-
le. Don Bosco e i suoi collaboratori sembravano accettare in via
definitiva l'idea che l'avviamento al lavoro non poteva più prescin-
dere da un quadro orientativo di cultura generale. Per la verità don
Bosco aveva cercato d'istruire i suoi ragazzi fin dai primi anni
dell'Oratorio, aUorché aveva capito che in vista dello studio del cate-
chismo il solo ammaestramento verbale risultava scarsamente effi-
cace. Abbiamo però l'impressione che per diverso tempo le stesse
scuole dei laboratori non fossero andate più in del semplice awia-
mento al leggere e allo scrivere. Se non temessimo di cadere in una
rappresentazione un po' troppo schematica, saremmo tentati di dire
che a lungo don Bosco continuò a ritenere di poter affidare la forma-
zione umana dei suoi apprendisti in via principale al lavoro e alla
religione. I1 fatto che ora si sentisse l'esigenza di prevedere per il
loro tirocinio professionale un indirizzo intellettuale è rivelatore
di un allargamento di orizzonti che va sottolineato. All'Oratorio
ci si rendeva conto che la formazione umana completa degli stessi
operai comportava che li si fornisse di quello che, nel documento
dell'86, era definito «un corredo di cognizioni letterarie, artistiche
e scientifiche, che loro sono necessarie)).
Le ragioni che stavano alla base di quest'ampliamento di pro-
spettive erano varie e su diverse di esse le pagine precedenti ci
hanno consentito di richiamare l'attenzione. Sullo sfondo c'era,
indubbiamente, il generale innalzamento dei ceti popolari che,
almeno nelle punte più avanzate, chiedevano non solo lavoro ma
anche più cultura; così come giocavano un peso non da poco le
pressioni della realtà socio-economica che, con la crescita delle
attività manifatturiere e con l'applicazione al mondo produttivo
delle prime innovazioni tecnologiche, spingeva nel senso di un'ul-
teriore domanda d'istruzione. Ma abbiamo rilevato che don Bo-
sco fu indotto a ripensare le strutture di formazione dei suoi arti-
giani anche da sollecitazioni che gli giungevano dalla sua Congre-
gazione, poiché, essendo il reclutamento dei coadiutori assicurato
in buona parte dai giovani artisti, ciò costituì un ulteriore motivo
perché ci si preoccupasse di migliorare il profilo intellettuale
dell'intera categoria. Don Bosco e i suoi collaboratori capivano,
cioè, che la formazione dello stesso calzolaio non poteva più limi-
tarsi all'apprendimento stentato del leggere e dello scrivere se si
voleva che egli fosse in grado di diventare, a sua volta, maestro
d'arte di altri apprendisti o dirigere, con compiti amministrativi,
un'attività della casa. Bisogna ovviamente guardarsi dalle facili
illazioni, tanto più che l'esame dell'ultimo dibattito sui laboratori
ci ha consentito di vedere come, alla resa dei conti, non si riuscis-
se ancora a pensare quel «corredo di cognizioni letterarie, artisti-
che e scientifiche>>se non nell'ambito di uno schema d'istruzione
elementare. Ma non c'è dubbio che si stesse ormai scoprendo
l'importanza che in vista di un'educazione globale dell'apprendi-
sta poteva. avere un momento di formazione culturale propria-

4.3 Page 33

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I1 punto più delicato del progetto approvato dal Capitolo dell'86
riguarda, forse, il cosiddetto indirizzo professionale. Abbiamo
visto che tra il primo e l'ultimo documento c'erano al riguardo
alcune differenze: nel senso che 1;ultimaredazione aveva rinuncia-
to al riferimento che la prima conteneva relativamente all'inse-
gnamento del disegno e alla scuola di specializzazione per chi si
fosse fermato in casa dopo il tirocinio. Può essere che la soppres-
sione di questi richiami fosse dovuta a ragioni formali per le quali
si considerava non opportuno che un documento di carattere
generale facesse allusione ad alcuni insegnamenti specifici. Certo è
che il discorso finiva cosi con il privarsi di un'apertura verso quel-
la cultura tecnica di cui pure, nel corso delle discussioni prepara-
torie, taluno aveva messo in mostra il bisogno. A questo punto
viene allora da domandarsi se il silenzio sull'insegnamento del
disegno o sulla scuola di specializzazione non avesse ragioni più
profonde. Sicuramente negli ultimi tempi la prospettiva di don
Bosco non era più quella, un po' riduttiva, con la quale egli aveva
per un certo tempo pensato che la vera conoscenza del mestiere
non si acquistasse in altro luogo che nell'officina. A contatto quo-
- - tidiano con i suoi ragazzi egli si era in realtà dovuto accorgere
come certe discipline quali appunto il disegno potevano fornire
l'operaio di conoscenze per la realizzazione di manufatti più rifi-
niti e dotati di maggiore funzionalità. Eppure si ha l'impressione
che, limitatamente almeno alla propria Opera e in vista delle fina-
lità pedagogico-emendative che essa si riprometteva di realizzare,
egli guardasse con serie perplessità verso ipotesi d'istruzione pro-
fessionale dove l'insegnamento delle nozioni teoriche potesse al-
largarsi a scapito del lavoro in atto. Ovviamente don Bosco non
avrebbe mai negato che occorreva condurre gli artigiani a «cono-
scere» il mestiere; ma quel che soprattutto gli premeva era che essi
facessero d'abitudine)) ai diversi lavori e li compissero «con pre-
stezza».
Alla base di questa visione c'era senza dubbio il fatto che i
laboratori di Valdocco, alle prese con le richieste dei committenti
oltre che con le necessità della casa, avevano urgenze cui era
impossibile sottrarsi. Secondo il mio modesto avviso la preoccu-
pazione di don Bosco per una dilatazione degli insegnamenti teo-
uadaguarsi onoratamente il pane della vita», poiché solo così
i avrebbero riacquistato fiducia in se stessi e, guardando con
-a o a qualche scuola speciale secondo le esigenze del
stiere; ma durante il giorno egli sarebbe rimasto in laboratorio
ore di una volta, il maestro d'arte gli avrebbe tracciato. Dalla
a tradizione salesiana, ma per la verità anche da parte di
si studiosi dell'opera di don Bosco, il progetto dell'86 sareb-
stato presentato come l'abbozzo di una vera e propria scuola
fessionale. I1 più marcato interesse per la cultura generale,
tte le case, il disegno di ripartire lo stesso tirocinio in tanti corsi
radi comspondenti alle varie fasi dell'arte o del mestiereh;
do da verificare meglio la crescita professionale dell'allievo
ultimo dei pochi studi usciti al riguardo è quello, per altro apparso più di una

4.4 Page 34

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diecina di anni fa, di L. PANFILO, Dalla scuola di arti e mestieri di don Bosco oliht-
tivitù di formazioneprofessionale (1860-1915). Milano 1976.
2 Cfr. P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosilà cattolica, 2 voll., Zurich
1968-1969 (per quel che a noi qui interessa vol. I: Vita e opere, pp. 113 ss.) e soprat-
tutto P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870). Roma
1980, pp. 243-249.
3 E. CERTAA,nnali della Società salesinna, vol. I: Dalle origini alla morte di S.
Giovanni Bosco 11841-18881.Torino 1941, pp. 649-659.
%i sia consentito di esprimere qui a don Pietro Braido e don Pietro Stella la mia
gratitudine per i suggerimenti e i consigli con i quali hanno voluto facilitarmi nella
ricerca.
5 A tale proposito cfr. P. STELLA, Problemi realizzazioni e fipire sacerdotali
nell'800 piemontese, in AA. VV., Problemi dei seminari, Torino 1970, pp. 91-111 e
ora i rilievi contenwi nel contributo di G. CHIOSSO, L'oratorio di don Bosco e il
rinnovamento educntivo ne1 Piemonte Carloalberiino,al volume su don Bosco predi-
sposto dall'Istituto storico salesiano, in corso di pubblicazione.
W. STELLA, Don Bosco, cit., vol. I, pp. 95-96.
7 Sul Convitto ecclesiastico negli anni in cui vi arrivò don Bosco cfr., oltre alla
biografia dedicata al Cafasso da L. NICOLIS DI ROBILANT, Vita del Venerabile Giu-
seppe Cafarso, 2 voll., Torino 1912, la ricostruzione che dell'ambiente del Convitto ha
fatto P. STELLA, Don Bosco, cit., vol. I, pp. 85-102. Ricchi di interesse sono, natural-
mente, anche i ricordi che sul Convitto (come su tutta la prima parte della propria
vita) ha lasciato lo stesso don Bosco nelle sue Memorie, per quanto, redatte molti anni
più tardi e forse con intenti edificatori per i preti della Congregazione salesiana, esse
non possano essere prese come rigorosa fonte storica: SAN GIOVANNI BOSCO, Memo-
rie dell'Oralorio di San Francesco di Sales do1 1815 al 1855 a cura del sac. Eugenio
Ceria, Torino 1946 (per la parte che a noi qui interessn. pp. 120 ss.). Avverliamo che
dbra in poi le Memorie di don Bosco saranno citate con la sigla MO.
8 La preponderanza nell'opera di don Bosco della sollecitudinesacerdotale e pasto-
rale è stata particolarmentesottolineata da P. B~aidonegli scritti che a don Bosco egli
ha via via dedicato e tra i quali mi limito qui a ricordare: P. BRAIDO, Il sislema
preventivo di don Bosco, Zurich 1964 ( I r ediz.: Torino 19551, l'introduzione a G.
Bosco, Scrittisulsistema preventivonell'educazionedella gioventù, Brescia 1965, pp.
VII-LVII e più recentemente P. BRAIDO, L'esperienza pedagogica preventiva nel sec.
X I X - Don Bosco, in AA.VV., Esperienze dipedagogia cristiana nella storia, 2 voll.,
vol. 11: sec. XVII-XIX, Roma 1981, pp. 271-401.
9 P. STELLA, Don Bosco cit., vol. I, p. 107.
$0Anche don Cocchi, più anziano di don Bosco di due anni, era giunto a Tonno
dalla Provincia: infatti, era nato a Druent nel 1813. Certamente per tutti gli anni '40
il suo rimase l'oratorio più rinomato. Nel dar vita alla propria iniziativa, don Cocchi
aveva raccolto una tradizione le cui ascendenze potevano esser fatte risalire lontano,
fino all'opera inaugurata nel '500 da San Filippo a Roma. È anzi probabile che l'in-
Busso di quest'opera sull'Oratorio di don Cocchi sia stato non so10 ideale, poich
pare che, durante un suo soggiorno romano, egli avesse appunto avuto modo
accostare gli Oratori filippini. Ma alla radice dell'Oratorio di don Cocchi c'erano,
molto verosimilmente, suggestioni provenienti anche da altri filoni o esperienze,
quali gli Oratori milanesi, l'iniziativa di don Pavoni a Brescia e, forse, I'Oeuvre de la
jeunesse promossa dall'Allemand in Francia: su don Cocchi e sulla sua opera, in
attesa di un documentato e completo studio d'assieme, cfr. il profilodi E. REFFO,
'ovanniCocchi e i suoi artigianelli,Torino 1896 e i cenni in P. STELLA, Don Bosco,
cit., vol. I, pp. 103-104.
ragli studi più significativisulla situazione socio-economica della Torino di
anni cfr. G. M. BRAVO, Torino operaia Mondo del lavoro e ideesociali nell'etù
lo Alberto, Torino 1968; CL. BERMOND, Torino da capitale politica o centro
-
tturiero. Ricerche
870. Tonno 1983;
di
F.
storia economica sociale e urbanistica nel trentennio
TRANELLO, Torino: le metamorfsi di una capitale, in
itali pre-unitarie, Atti del LI11 Congresso di Storia del Risorgimento, Roma
'3 «La Parte vicina a Porta Palazzo brulicava di merciai ambulanti, di venditori di
fanelli, di lustrascarpe, di spazzacamini, di mozzi di stalla, di spacciatori di
ietti, di fasservizi ai negozianti sul mercato, tutti goveri fanciulli che vivacchia-
o alla giornata sul loro magro negozio» (G. B. LEMOYNE, Memoriebiogmjjche di
Giovanni Bosco [poi del Venerabile Servo diDio Don GiovanniBosco],voll. I-IX,
- no 1898-1917, vol. 111, p. 44. Come è noto questa prima pane delle Memorie
afiche è stata poi completata da G. B. LEMOYNE A. AMADEI, Memorie bio-
che di San Giovanni Bosco, vol. X, Torino 1939 e, successivamente, da E.
A, Memorie biografiche del Beato Giovanni Bosco. voli. XI-XV, Torino 1930-
e dallo stesso E. CERIA, Memorie biografiche di San Giovanni Bosco, voll.
I-XIX, Torino 1935-1939. D'ora in poi la raccolta delle Memorie biografiche sarà
ta con la sigla MB.
Alla Mendiciti istruita il Convitto ecclesiastico inviava infatti i suoi sacerdoti
ar loro compiere sul posto esperienza pastorale. L'Opera pia della mendicità
ita era dedita all'istnizione religiosa e al sostegno materiale dei poveri, all'aper-
al mantenimento di scuole per ragazzi di ambo i sessi privi di mezzi, all'avvio
ovani indigenti alla vita di lavoro. Alla fine degli anni '20 le scuole maschili
state aEidate alle cure dei Fratelli delle scuole cristiane
positamenle chiamati dalla Francia: sull'Opera cfr. C. CARRERA, Brevi cenni sulla
Opera della mendicitù istruita in Torino dalla sua origine sino nll'anno 1878,
orino 1878 e, specialmente per i rapporti tra Mendicità istruita e Fratelli delle
uolc cristiane, C. VERRI, I Fratelli delle scuole cristiane e la storia deiln scuola in
emonte (1829-1859), Coma 1959.
Sulla marchesa G. Falletti di Barolo e sulle opere assistenziali e caritative da lei
mosse cfr., tra gli altri, G. LANZA, La marchesa Giulia Falletti di Barolo nata
bert, Torino 1892, R.M. BORSARELLI, La Marchesa G. di Barolo e le opere assi-
enziali in Piemonte nelRisorgimento, Torino 1933 e ora G. RATTI, Colbert Giulia,
uDizionario biografico degli italianb, t. XXIII, pp. 708-711 (con bibliografia).
me è noto, dell'appoggio della Barolo si avvalse anche don Bosco che, lasciato nel
4 il Convitto, si era stabilito come cappellanoaggiunto pressa il Rifugio per ragazze
dn istituito nel '22 dalla marchesa. Inizialmente questa consenti che egli potesse
ntinuare il suo apostolato fra i ragazzi raccolti al Convitto utilizzando l'edificio del
fugio;ma, stancatasi della turbolenzadi quei discoli e desiderosa forse di annettere
vamente il sacerdote astigiano alla propria apera, di li a qualche mese essa
don Bosco a cercare per i giovani un altro luogo di ritrovo: sull'esperienia fatta
on Bosco presso la maiihesa Baro10 cfr. anche MO, pp. 131 ss.
Un confronto fra le due esperienze è stato compiuto da G. CHIOSSO,L'oratorio
I circa duecento giovani guidati &don Cocchi non riuscirono ad andare oltre

4.5 Page 35

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Vercelli, poiché nel frattempo l'esercito piemontese subì la sconfitta di Novara (23
mano 1849); a quel punto essi fecero ritorno alla rinfusa patendo ogni sorta di disagi:
E. REFFO, Don Cocchi e i suoi, cit, p. 9.
$8Sintetizzarequale fosse I'attegiamento di don Bosco di fronte alla politica non è
impresa facile anche perché i suoi orientamenti politici non furono del tutto unifor-
mi. Se nutri viva antipatia per le correnti liberali e democratiche e serie riserve per il
processo attraverso cui l'Italia si costitui in Stato unitario e nazionale a scapito del
potere temporale della Chiesa, era dell'avviso che i reggitori delle cose pubbliche
meritassero rispetto, perché erano investiti di un'autorità che veniva da Dio. La sua
fu la posizione di chi valutava gli accadimenti politici alla luce di principi religiosi.
Per semplificare possiamo dire che don Bosco fu tributario di una prospettiva «inte-
gralism, se con essa vogliamo sottolineare la sua tendenza a giudicare appunto la
realtà politica in vista degli interessi della Chiesa. Occorre però far subito una preci-
sazione aggiuntiva. In effettinel caso di don Bosco, la rigorosa coscienza religiosa fu,
al contempo, motivo di un disinteressato impegno civile, non solo perché lo portò a
rispettare e a predicare il rispetto dell'autorità costituita e delle le@, ma anche, e
soprattutto, perché lo spinse in quella attività caritativo-educativa la quale, ancorché
nata in sede religiosa, aveva un forte riscontro di tipo sociale: su questo cfr. P. STEL-
LA, Don Bosco, cit., vol. II: Mentalità religiosa espirilualità, pp. 81 ss. e P. BRAIDO,
L'esperienza pedagogica preventiva, cit. pp. 344 ss.
Don Cocchi, però, non sarebbe rimasto inattivo: nell'ottobre del '49 lanciava
l'idea di una Società anonima della carità (che avrebbe ottenuto l'autorizzazione
governativa nel marzo del '50 con il nome Associazione di Carità a pro dei poveri
giovani orfani ed abbandonati), nel dicembre dello stesso '49 dava avvio al Collegio
degli Artigianelli (che, dopo alterne vicende, sul finire degli anni '60 sarebbe passato
sotto la guida di don L. Murialdo) e nel corso del '51 apriva l'Oratorio di San Mar-
tino in Borgo Dora. A seguito delle vicissitudini del biennio '48'49 i rapporti fra i
sacerdoti operanti negli Oratori torinesi conobbero, certamente, momenti di viva
tensione; pare tuttavia di poter escludere che essi si trasformassero in clamorose e
definitiverotture. Nel '52 il vescovo di Torino mons. Fransoni, costretto nel frattem-
po a riparare a Lione, emanava un decreto che nominava don Bosco Direttore Capo
spirituale dell'Oratorio di San Francesco di Sales e Superiore di quelli di San Luigi
Gonzaga e dell'Angelo Custode. Il documento vescovile costituiva un indiscutibile
riconoscimentodella leadership di don Bosco nel campo degli Oraton; ma, evitando
di portare sotto la supervisione del prete astigiano le opere cui ultimamente don
Cocchi aveva dato vita, esso lasciava altresì capire che mons. Fransoni considerava
opportuno riservare a don Cocchi una certa autonomia di movimento: P. STELLA,
Don Bosco, cit., vol. I, p. I I I. Sulle vicende degli Oratori torinesi cfr. anche le notizie
contenute in A. CASTELLANI, Il beato Leonardo Murialdo. 2 voll., Roma 1966-1968,
in particolare vol. I: Tappe della/ormaiione. Prime attività apostoliche (1828-1866).
passim.
20 P. BRAIDO, Il sistema preventivo, cit., pp. 330 ss.
21 MO, p. 201.
22 P. STELLA, Don Bosco nella storia economica, cit., p. 178.
23 MO, pp. 233-234.
24 Cfr. quello che G. Bonetti (uno dei'primi allievi e collaboratori di don Bosco)
scriveva, ancora vivente il fondatore delYOratorio, sul «Bollettino salesianon
dell'agosto 1881: «Ora per impedire che i giovani esterni dell'Oratorio s'invogliasse-
ro d'inscriversi a Società pericolose, Don Bosco venne in pensiero di stabilirne una
66
sta comunque il fatto che don Bosco continuava, ancora neIl'81, a confermare la
ersione delle Memorie e che don Bonetti non esitava a farla sua.
5 P. STELLA, Don Bosco, cit., vol. 11, pp. 352-353.
G. VERUCCI, Anticleiicnlismo cit., pp. 178-179.
altezza morale e di notevole efficacia come stimolo ed esempio» (R.
a delle ristrutturazioni e degli ampliamenti dell'Oratorio a Valdocco
, L'Oratorio di don Bosco. Inizio e progressivo sviluppo edilizio della
salesiani in Torino, Torino 1935.
to del Pavoni nei quadro di quella che era la situazione sono-econo-
B, 111, p. 574. Su don Ponte (1821-1892), passato dal Convitto ecclesiastico e
lui pure all'assistenzadei ragazzi bisognosi (in particolaredegli spazzacamini),
un profilobiografico. Egli riuscì a ottenere la fiduciadella marchesa Barolo, di
i fu il confessore, pur continuando a far parte del gnippo dei preti patrioti: su
67

4.6 Page 36

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di lui cfr. le notizie sparse in G. LANZA, La marchesa Giulia Falletti,cit., P. STELLA,
Don Bosco, cit., vol. I; A. CASTELLANI, Il bearo Leonardo Murialdo, cit., vol. I.
1' P STELL 8 , Doti U ~ . $ L; LLI . . \\"l. I , p. 112. S e ~ d n rile~ne notizie. di li a qualchr
mese. tn i l '5d c i l '51, don I'ontc si s2rr.bb: inri posto alla le>ta di coloro chc'
p~ntavanoa rcndrrc I'Ontoiio i~diprndcntcdn don Hosco Uzl '52 cpli lasciò
comunqLc I'Orstuno di Snn Luigi per andare a diriger? qurllo di Szn Xlanino. appr-
na iondxo d3 don Cocchi. rir A . C\\SILLLA\\Il..Dtuiu LI,i,n~rdii.Ift,rialdo,ci!,
vol. I, p. 402.
35 Don Bosco aveva avuto modo di conoscere I'Albereo di Virtù fin dal '44 auan-
do, concluso il suo soggiorno al Convitto, era andato <lvolta a predicarvi: MO, p.
131. Su tale istituzione cfr. G. PONZO, Stato epauperismo in Italia: l'Albergo di Virtù
di Iòrino (1580-18361, Roma 1974.
36 MB, IV, p. 659
37 Cfr., ad esempio, L. VALERIO, Igiene e moralità degli operai di seterie, Torino
1840: o, in una prospettiva d'impianto moderato ma non per questo meno critica,
C.I. PETITTIDI RORETO,Sul lavoro de'fanciulli nelle man~atture,Torino 1841.
Non c'è dubbio che, immediatamente, la promiscuità delle donne con gli operai ebbe
sull'andamento dei costumi ripercussioni in negativo poiché abbastanza frequente-
mente, prive di esperienza e di istruzione, le operaie non solo caddero vittime di
sopmsi, ma finirono, esse stesse, con l'accantonare ogni ritegno morale. Sulle indagi-
ni del Valeria e del Petitti e sulle discussioni cui esse dettero luogo cfr. l'ampia
disamina in G.M. BRAVO, Torino operaia, cit., pp. 60 ss.
3s P. Enria (1841-1898) era stato raccolto da don Bosco in Borgo D o n nel 1854,
l'anno del terribile colera; avviato al mestieredi fabbro, sarebbe poi stato impiegata
all'oratorio come magauiniere; entrato fra i coadiutori salesiani, dal 1871 prestò la
sua opera come infermieredi don Bosco: E CERIA, Prqfilidi 33 coadiuiori solesiani,
Asti 1952, pp. 79-95.
39 P. STELLA, Don Bosco nella storia economica,cit., p. 250; il testo fa parte di un
promemoria di P. Enria del quale si può leggere la versione originale e integrale in
appendice allo stesso volume: ibidem, pp. 494-506.
40 MB, V, pp. 360-361, 548-549. Sui problemi cui andò incontro don Bosco con
l'istituzione, all'oratoria, del ginnasio nel contesto dell'allora vigente legislazione
scolastica cfr. P. STELLA, Don Bosco nella storia economica, cil., pp. 232 ss.
41 MB, IV, p. 660.
42 MB, IV, pp. 661-662. Secondo la presentazione che del Regolamentodà il Pan-
filo, sembrerebbe che don Bosco ne avesse fatto stampare una copia in forma di
OPUSCOIO da Paravia: L. PANFILO, Dalla scuola di urli e mestieri, cit., pp. 70-71.
NelPArchivio Salesiano Centrale (depositato presso la Casa Generalizia a Roma e
d'ora in poi citato ASCJ non ho trovato traccia dell'opuscolo né, per la verità, di
alcun Regolamento per maestri d'arte del '53. Sarei comunque propenso a credere
che dovette trattarsi non tanto di un opuscolo, quanto piuttosto di un manifesto da
appendere al muro in modo che potesse essere sotto gli occhi di tutti.
43 MB, V, pp. 34-35.
44 Sulla genesi delle «Letture cattoliche» e sugli scopi cui esse avrebbero dovut
servire cfr. P. STELLA, Don Bosco nella storia economica, cit., pp. 351-357.
4s La lettera del Rormini è riprodotta anche in L. PANFILO, Dnlln scuola di arti
mestieri,cit., p. 103. A dire il vero il Rosmini parlava non proprio del Pavoni, ma d
< a nzelante Canonico che conobbi, e che mi pare si chiamasse Bellati*. Si trattava
e\\.idcntrmzntr di una inciaticlza, che testimonia come I'ificontio del Rosrnini ;un I I
Pavoni fossc Si310 P L L I I O ~ I Ofugace.
Per la risposta di don Bosco al Rosmini cfr. Epistolario di S. Giovanni Bosco, a
di E. Ceria, 4 voll., Torino 1955-1959,vol. I: Dal 1835 al 1868, pp. 81-82.
MB, V, pp. 34-36.
Lo Stella richiama l'attenzione sulle difficoltà che, in quel periodo, andarono
ntrando l'Albergo di Virtù, di cui abbiamo già avuto modo di parlare, e la cosid-
tta Generala, il carcere correzionaleche - fondato nel 1845 -aveva appunto adot-
to la formula di alcuni laboratori interni: I'Albergo di Virtù, per far quadrare i conti
e costretto a diminuire il numero dei convittori apprendisti; la Generala chiuse
ci dei laboratori in rosso (P. STELLA, Don Bosco nella storia economica, cit., p.
Agli inizi i laboratori, oltre a fronteggiare i bisogni interni dell'oratorio, cerca-
o di soddisfare le modeste esigenze della gente che abitava i quartieri periferici di
Idocco e Borgo Dora: P. STELLA, Don Bosco nella storia economica, cit., p. 246.
a con il passare del tempo la loro clientela dovette, molto verosimilmente, allar-
si, soprattutto dopo che don Bosco apri, come vedremo, la tipografia e il labora-
o dei fabbri-ferrai.
2 MB, V, pp. 756-757. Sull'arganizzazione dei primi laboratori si sarebbe intrat-
uto lo stesso don Bosco il 14 dicembre 1885 in occasione della riunione del Capi-
Superiore della Congregazione salesiana: cfr. ASCJ, 0592: Verbali delle riunioni
itolari,vol. I(14 dicembre 1883-23dicembre 1904),Seduta del 14 dicembre 1885
cui verbale fu per l'appunto steso dal Lemoyne nella sua qualità di segretario).
tervento svolto da don Bosco per la circostanza è la fonte di cui si è servito il
a nel tentativo d'illustrare, lui pure, la stmttura organizzativa dei primi labora-
:cfr. E. CERIA, Annali, cit., vol. I, pp. 650-651. Dobbiamo però dire che, rispetto
presentazione dei Cena, quella più antica del Lemoyne risulta decisamente più
3 A questa prima fase è forse da far risalire la stesura di quel Regolamento per
aestri d'arte del '53 di cui abbiamo parlato più sopra.
MB, V, p. 757. I1 biografo precisa altresì che fra don Bosco e i capi d'arte sorsero
contrasti relativamente anche alla fornitura e all'uso degli attrezzi impiegati: ibi-
. Su questo cfr. anche E. CERIA, Annali, cit., vol. I, pp. 650-651.
M. WIRTH, Don Bosco e i salesiani, Torino 1969, pp. 49-50.
Ovviamenteil valore educativo del lavoro era, a suo avviso, prerogativa non della
attività manuale, ma anche dello studio. Ricca d i interesse è la pagina che in
orto al lavoro generalmente considerato don Bosco inseriva nei primi Regolamen-
la casa, secondo il iemoyne redatti tra il '52 e i1 '54. Dopo aver ricordato che
O era stato posto nel Paradiso terrestre perché lo coltivasse, egli così ammoniva i
udenti e artigiani: «Ricordateviche la vostra età è la primavera della vita. Chi
s'abitua al lavoro in tempo di gioventù, per lo più sarà sempre un poltrone sino
cchiaia, con disonore della patria e dei parenti, e forse con danno irreparabile
ima propria, perché l'ozio mena seco tutti i vizi>(MB, IV, p. 748).
n Bosco attribuiva molta importanza alla musica poiché riteneva che, oltre a
e la monotonia della vita d'internato, aveva la capacità d'ingentilire l'animo

4.7 Page 37

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4.8 Page 38

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degli uomini di fiducia di don Bosco che gli affidò il disbrigo di varie faccende,
comprese alcune delicate questioni d'interessi: E. CERTAP, rofili, cit., pp. 17-24.
80 Di nobili natali, F.Oreglia(1830-1912) entrò in contatto con don Bosco quando
aveva già trent'anni: ammesso alla pratica delle regole della Congregazione nel mag-
gio '62, emise i voti nel dicembre '65. Di lui don Bosw si avvalse per affidargli,oltre
alla direzione della tipografia e legataria, la cura dei rapporti con le aristocrazie di
Torino, Firenze e, soprattutto, Roma dove, grazie anche a un fratello cardinale,
I'Oreglia aveva facili entrature. In cerca di una vita più raccolta e austera, alla fine il
coadiutore di don Bosco decise di farsi sacerdote e di entrare nella Compagnia di
Ges" cfr. E. CERIA, Profiii, cit., pp. 7-16.
si MB, VII, pp. 117-118; per i Regolamenti del '77, più avanti.
S2 P. STELLA, Don BOSCO nella storia economica, cit., p. 183.
83 MB, VII, p. 62.
- - 84 Di questo principio, nei Regolamenti del '52.74, don Bosco aYem fatto una
delle condizioni per l'accettazione.dell'ospite:&e il postulante egli aveva scritto
possiede qualche cosa, la porterà nella Casa, e sarà impiegata a suo favore, perché
non è conveniente che viva di carità, chi non è in assoluto bisogno» (MB, IV, p.
736).
85 Cfr. l'indagine compiuta da P. STELLA, Don Bosco nella storia economica, cit.,
pp. 374-375.
s6 p. STELLA, Don Bosco nella storia economica, cit., p. 375.
87 Gli insegnantiche a Valdocco possedevano titoli legali risultavano soltanto tre: i
restanti erano chierici e diversi di loro non frequentavano neppure l'università. Il
provveditore agli studi di Torino cercò di barcamenarsi e in data 4 dicembre '62
del '63 l'oratorio ricevette un'ispezione ministenale molto meticolosa. Don Bo
il ginnasio dell'oratorio riceveva un nuovo decreto di approvazione: per tutto questo
cfr. i riferimenti in MB, m I , pp. 319-328, 394-401, 444-455; le osservazioni inviate
da don Bosco al Pemzi, Ministro dell'Intemo, e all'Amari, Ministro della P.I. in
Epistolario di S. Giovanni Bosco, cit., vol. I, pp. 269 ss.
88 per la progressiva diffusionedell'Oratorio fuori di Torino, dapprima in Piemon-
te e Liguria e poi anche in altre regioni italiane cfr. E. CERIA, Annali. cit., vol. I,
passim.
89 Episfolario di S. Giovanni Bosco, cit., vol. I , p. 534.
91 CL. BERMOND, Torino da capitale politica, cit., p. 140.
92 CL.BERMONDT,orino da capitaiepolitica, cit., p. 240.
93 E,CERIA, Annali, cit., vol. I, p. 686. Nel '72 la tipografia di don Bosco avreb
cominciato anche la pubblicazione di testi greci e ne1 '75 avrebbe dato a w i o a
collana degli scrittori cristiani: ibidem, pp. 686-687.
72
MB, X, p. VI; ricordo che, mentre i primi 9 volumi delle Memorie biografiche
ono tutti opera del Lemoyne, il vol. X, ancorché preparato e cronologicamente
istolario di S. Giovanni Bosco, cit., vol. 11, p. 339.
questo punto cfr. le annotazioni di P. STELLA, Cattolicesimo in Italia e
le spedizioni missionarie dei salesiani in America latina cfr. Ceria, Annali,
I, pp. 245 ss.; per il loro inquadramento nel clima missionario dopo il '70
TELLA, Don Bosco, cit., vol. I, pp. 167 ss.
73

4.9 Page 39

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10s Sugli adattamenti che il progetto missionario di don Bosco in America latina
andò assumendo cfr. P. STELLA, Don Bosco, cit., vol. I, pp. 181 ss.
'09 MB, XII, pp. 149-153.
'10 MB, XII, p. 152.
l i i Su Ilsistemo preventivodi don Bosco, oltre alle già citate ricerche che da tempo
P. Braido gli ha dedicato, si veda ora la ricostmione critica che dell'opuscolo lo
stesso studioso ha compiuto in G. BOSCO, Il sistema preventivo nella educazione
della gioventù, Introduzione e testi critici a cura di P. Braido, Roma 1985; per il
primo Capitolo generale vedasi E. CERIA, Annali, cit., vol. I, pp. 308-323 e M. VER-
HULSTN, ote storiche sul Capitolo Generale I della Società Salesiana (18771, Quader-
ni di «Salesianum»,fasc. V, Roma 1972; quanto al Regolamento rinvio all'edizione
ufficiale che lo pubblicava insieme con l'opuscolo sul sistema preventivo e che ora
può essere consultata nella ristampa anastatica: G. BOSCO, Regolamento per le case
della Società di S. Francesco di Sales, Torino 1877, in G. BOSCO, Opere edite, vol.
XXIX, Roma 1977, pp. 97-196.
1" MB, XIII, P. 257.
113 Per le pani concernenti gli artigiani vedasi G. BOSCO, Regolamento per le case
della Società, cit., Parte prima, cap. IV: Catechista degli artigiani. pp. 125-126; cap.
VII: Del maestro d'arte, pp. 131-132; cap. IX: Dell'assistente dei laboratori, pp. 134-
135 e Parte seconda, cap. V: Del lavoro, pp. 164-165 e cap. VII: Contegno nei Iubo-
ratori, pp. 169-171.
65
114 G. BOSCO, Regolamento per le case della Società, cit., p. 135.
iis Stralci della circolare sono riprodotti in G. CANESTRI-G. RICUPERATI, La
scuola in Italia dalla legge Casati a oggi, Torino 1976, pp. 97-98; sul contenuto e sul
significato di tale circolare vedasi anche L. PANFILO, Dalla scuola di arti e mestieri.
cit., pp. 40-41.
i '6 G. CANESTRI-G. RICUPERATI, La scuola in Italia dalla legge Casati, cit., p. 97.
T..1 C-.~...i.r.olic.o..n.c.l.i-id..ev-a l.a c.ir~ col~ are s.ollecita.ndo le a~ utorità a~ dare al d~ ocumento~il ~
~~~
~
~
~~
~
~
massimo di diffusione uaffincbé ne abbiano conoscenza eziandio gl'industriali più
intelligenti e filantropi, gli amministratori delle Società di mutuo soccorso, delle
Opere pie, e delle Associazioni economiche, e quanti hanno a cuore il progresso delle
nostre industrie, e le condizioni delle nosui classi operaie» (ibidem, p. 99).
i 17 Cfr. al riguardo la lettera inviata a don Giuseppe Ronchail in Episiolurio di S.
Giovanni Bosco, cit., vol. 111, pp. 554-555.
118 Per un inquadramento del secondo Capitolo generale vedasi E. CERIA, Annali.
cit., vol. I. DD. 464-468.
~
~
, I'ASC, Capitolo Geni.rile II- 188C. 0.12: il pnnio docnmr.ntopom il t~toloIdtb-
iiuizr - icudla - nrrigio,,!:il recando .5c~:ims .4rligia>irDor><,>,o,Iio'.l>n~ni~,,ilra-
icone pr~ger~oiail .ieno Bcmmozto ? I ' r ~ p o<~1<!i~1~1 I.C0,10»10 CJPU</I I U ~ I L I1it)n-
minisirazione materiale.
.? Il 3 T comlnrii, ,niatti, :on m a dichiararione che mi sembra coglier? ogni
- dubbio. «Da tdtti gli appI1~3131~18 dirzrionc digli anigiani. si pir.?a collo più aila
isian,a il Cap. Sup. Gcn» iASC. Capitolo Geniralc I1 1880, 11.12. Isrru2ionz. ci1.J.
1
121 Nel tratteggiare il profilo della scuola richiesta, il documento parlava della
necessità di assicurare «la provvista di maestri per le due Classi elem. inferiori; per
- una 1' superiore; per una Za Elem; per una 3' e 4a mista Elem.» (ASC, Capitolo
Generale I1 1880, 042: Istruzione, cit.). Quanto qui richiesto è da leggersi alla luce
dell'assetto di scuola elementare previsto dalle Istmzioni e programmi emanati con
O ottobre 1867 e destinati a restare in vigore fino alla promulgazione dei
mmi del 1888. Secondo tali Istnizioni, la scuola elementare comprendeva un
'nferiore, costituito dalla prima (distinta a sua volta in la inferiore e 1' supe-
e) e dalla seconda, e un grado superiore, composto da terza e quarta. L'accenno
documento a «una 3=e 4# mista» è probabilmente da intendere nel senso che si
sava di dar vita a una terra e quam riunite insieme.
22 Quanto ali'eventuale obiezione che, in tale maniera, maestri d'arte e operai
mi avrebbero perduto un'ora circa di lavoro, il documento proponeva di recupe-
re il tempo sottratto, la mattina, all'attività dei vari laboratori parte a colazione,
itando cioè che a mezzogiorno maestri d'arte e operai uscissero, e parte alla sera,
ilizzando il tempo dapprima dedicato alla scuola serale: ASC, Capitolo Generale
1880, 042: Istruzione, cit.
::l 11 dorumi.ntu nlevava che, nella rcranda mcta dcl luglio '811, gli anigiani rag-
giungevano lc. 317 unità: S C , Capitolo Gcnrrali II- 1880, 012. Seziotiz arligioni
I>o<.u»ienloI : ci!. La ciira si discosta considerc\\~ulmcnti.Ja quclln che in data 7
~.~~~~ luglio 1880 don Bosco dava in una 1rttcr;t iiificiale al Prcfctro Carilis che gli avivd
. - nvn.lrn~alc~ uni
~~
~~~~~~~
.aurstri:
recando ~~~~
-~
Ic
~
indica~ioniaui
~
~
~
~
sonrenute
di
aniu"ani
erdnu addi-
riiturn 510 C gli rrudinti d:l &inn3,iu «circa i00u (MB, XI\\', pp. 206.210J. E p i r v
m~olto
nr~ rohah~ tl~ c c~~ h~e~.1i~
d~ i a -~~
~
\\.i,~ n~tie~r~ a
.si~ a~ no~
i
317 ~del
nastr~o
dacum~cnto
r.
n~on
i
5111
della Irticra uRcialc al Prefitto, di fronte 31 qualc don Horio avc\\ a. iorsc, interiisc 3
gonfiar?il numzru degli a r t i ~ a nii. a Jiminuire qucllo degli studenti.
124 ASC. C a ~ ~ t oGl oenerale II- 1880, 042 Sezione nrtraioni Documento I: cit
ASC, Capitolo Generale II- 1880, 042: Documento 2'Proposta, cit.
ASC, Capitolo Generale II- 1880, 042: Documento 2'Proposta, cit.
La circolare del Ministro Cairoti era stata seguita, di li a qualche mese, dalla
lare del 24 gennaio 1880 del nuovo Ministro dell'agncoltura L.Miceii, il quale riba-
quanto predisposto dai predgessore: anche per questa seconda circolare cfr. G.
ESTRI-GR. ICUPERATI, La scrrola in Italia dalla legge Carati, cit., pp. 99-100.
~Cfr. ad e~ sempio la~lettera d~ i don Bodrato del 4 aprile 1878 a don Bosco: per
ografo vedasi ASC, Lettere a don Bosco con note autografe di don Bosco, 126. 1;
l'utilizzazione fattane da don Bosco vedasi «Bollettino salesiano», a. I1 (ISSO),
Neli'elenco delle materie da trattarsi al Capitolo, la questione concernente gli
ni era indicata al punto V: cfr. ASC, Capitolo Generale 111- 1883, 041: Convo-
azrone, circolari, materie da trattarsi.
.30 Per un inquadramento del teno Capitolo generale cfr. E. CERIA, Annali, cit.,
I, pp. 468-473.
11. Dopo aver ncopmo iltre iniombrnri, ncl '70 4 . Pelarn i 1813-1905)ariunsr
la dire~ioncdella iipograha, in sostituriani. dcll'Ortglia appena uscito per iarsi gesui-
ta. r nel '78 ill'inrarico della tipogriha sommò la direzioni della caniera che, I'anno
prima, don Bosco 3 v i v 3 cumpiaio, nelle vicinanr* dl l'anno. per il nf0rnimrnro
della cam di chi il laboratona tipuprdlicu abbisognava cfr E. C t ~ l , \\ P. roJi11c, it.. pp.
69-78
.~ 132 AS~C~,C~ an~toloGenerale III- 1883. 041-042 Convocazrone Proooste Delle
~
- risposte pirvcnute esistono due burle: una pnma buru che ;hism<remo A - nella
quale si traudno Propuilp !>oi ru'i>rcallabe~irodi autore e, 2/10 litte. prupoite s<,?lrriil
nome del miootre, c unn seconda busta - chc ;hianicrcmo U - nella qualc sono Prw
porle 1251C>>~?zu»,einzionzarifiiizdle la 25' ;u>i miio1a:ionz d, doti Bosco.

4.10 Page 40

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'I3 In questo senso si esprimevano, ad esempio, G. Buzzetti, don Belmonte, P.
Barale, don Branda, don Fumagalli, don Ghione, don Lemoyne: ASC, Capitolo
Generale 111-1883, 041-042: Convocazione Proposte, cit., (busta A e busta B); sui
prohli dei vari salesiani qui ricordati cfr. le voci del «Dizionario biografico dei sale-
sianh. Cera, però, anche chi, come il coadiutore A. Pelana, riteneva di non poter
condividere questa opinione e indicava invece, tra le ragioni che a suo avviso osta-
colavano le vocazioni laiche, la prospettiva dello stalo di minorità in cui il coadiu-
tore sarebbe venuto a trovarsi rispetto al socio sacerdote: cfr., nello stesso luogo, la
'"scheda di A. Pelaua in busta A.
ASC, Capitolo Generale III- 1883,041-042: ConvocnzioioneProposie, cit., scheda
di don Fumagalli (busta A).
'35 Su questo insistevano, in particolare, don Fumagalli e A. Pelazza: cfr. le rispet-
tive risposte in ASC, Capitolo Generale 111-1883, 041-042: Convocazione Proposte,
cit., busta A). Naturalmente le schede degli interpellati contenevano anche altri sug-
gerimenti come, ad esempio, la promozione di buone letture, un migliore coordina-
mento fra catechista. assistente e maestro d'arte, i! divieto deli'impiego di operai
esterni, la limitazione delle uscite degli artigiani fuori della casa, sia pure per ragioni
l>6 Cfr. quanto osservavano, ad esempio, P. Barale e don Febraro: ASC, Capitolo
Generale III- 1883, 041-042: Co>~vocazionPeroposte, cit., (busta A).
Il7 Secondo il Rossi, il premio avrebbe dovuto essere dato in base alla buona
condotta, la quale era da computare tenuto conto non solo dei progressi nel lavoro,
ma anche delle pratichedi pietà: ASC, Capitolo Generale 111- 1883, 041.042: Convo-
cazione Proposte, cit., (busta A).
'38 Don P. P e m t (1853-1928) era direttore della casa che i salesiani avevano a La
Navarre (Erancia),cui era annessa un'azienda per apprendisti agricoltori: don A. Sala
(1836-1895), già membro del Consiglio superiore della Congregazione, occupava in
quel momento la carica di Economo generale: su di loro si vedano le rispettive voci
in «Dizionario biografico dei salesiani».
'l9ASC, Capitolo Generale III- 1883, 045: Membri delle Commissioni particolnri
140 ASC, Capitolo Generale 111- 1883, 046: Lavoro delle Commissioni: V; per il
primo dei due documenti, vedasi Indirizzo da darsi alla Classe Operaja delle Case
saiesiane e mezzi di svilupparne e collivarne ie vocazioni. n. i; per il secondo, cfr.
Indirizzo da darsi alla parte operaja nelle Case salesiane, e mezzi onde sviiupparne e
coltivarne le vocazioni, n. Il.
14' ASC, Capitolo Generale 111- 1883, 046: VerbalS per il giudizio del Ceria cfr. i
suoi Annali, cit., vol. I, p. 469.
I1 peculio accumulato sarebbe andato perduto se Partidano avesse deciso di
uscire prima della data convenuta: ASC, Capitolo Generale 111-1883, 046: Verbali,
cit., Seduta del 6 settembre sera. In quella stessa seduta don Bosco interveniva per
raccomandare che le accettazioni dei nuovi allievi nei laboratori fossero fatte in rela-
zione al bisogno del personale nei vari reparti.
'43 ASC, Capitolo Generale III- 1883, 046: Verbali, Verbale deli'ultima seduta (7
settembre 1883).
14* Sulla casa di San Benigno Canavese cfr. E. CERIA, Annali, cit., vol. I, pp.
333-336; suli'avvio del noviziato per artigiani cfr. anche MB, XVI, pp. 413-414.
j4* 11discorso è consultabileanche in P. BRAIDO, Religiosi nuovi. cit., pp. 62-63.
Sul significato del discorso, oltre alle osservazioni del Braido nello stesso volume alle
6 SS.,cfr. P. STELLA, Cailo/icesimoe laicafo in Italia, cit., pp. 424 ss. Per le
nze sollevate da alcuni coadiutori, si ricordi quanto aveva rilevato il Pelazza,
Per le discussioni che l'introduzione di questa nuova figura provocò in seno al
olo superiore cfr. i verbali delle sedute dello stesso Capitolo, a partire da quella
settembre 1884: ASC, 0592 Verbali delle riunioni capitolari, vol. I, cit.
Per la partecipazione dell'oratorio all'esposizione torinese cfr. il parlicolareg-
o resoconto in MB, XVII, pp. 243-255.
148 L8 Giuria riconobbe l'opera tipografica di don Bosco meritevole del premio
Ila medaglia d'argento; ma don Basco, convinto di poter ambire ai primo premio e
'aver pertanto subito un'ingiustizia, scrisse al Comitato esecutivo dell'Esposizione
recisando che, qualora il verdetto fosse rimasto inalterato, egli avrebbe rinunciato a
ualsiasi premio o attestato: MB, XVII, pp. 252 ss.
9 ASC, 0592: Verbali delle riunioni capicolari, vol. I, cit., Seduta del 24 ottobre
4. Come si vede, a quella data don Bosco non aveva ancora perso la speranza che
messa a punto delle Deliberazioni del Capitolo dell'83 potesse effettuarsi. Nella
seduta venne anzi stabilito che di quel lavoro di riordino si sarebbero occupati
arberis e don Bonetti; ma, per quel che si sa, la decisione non produsse risultati
di rilievo. A questo punto c'è da chiedersi se, al di della trascuratezza
- nciata da don Bosco, non vi fossero alcune difficoltà oggettive, come ad esem-
- lo stato alquanto approssimativo dei testi delle relazioni e delle conclusioni
usse nell'ambito del Capitolo generale.
0 Anche per l'inquadramento di questo quano Capitolo vedasi E. CERIA, Annali,
vol. I, pp. 560 ss. Il Capitolo generale di quell'anno rivestiva una particolare
rtanza poiché, scadendo il Capitolo superiore, si sarebbe dovuto prowedere
e al suo rinnovo.
Dei collaboratori di don Bosco, don F. Cenuti (1844-1917) era certo uno di
Ili più versati per gli studi. Non per nulla don Bosco aveva voluto che, ancora
erico, si iscrivesse all'università, dove ne1 '66 conseguì la laurea in lettere. Già
ttore del collegio di Alassio e poi responsabile dell'ispettoria ligure, don Cemti
nteressava, tra l'altro, di pedagogia e in particolaredi problemi educativo-didattici.
uesta sua propensionegli doveva valere, neIl'85, la nomina a Consigliere scolastico
Ila Congregazione: su di lui vedasi la voce curata da A. Rodinò nel «Dizionario
iografico dei salesiani% pp. 82-83.
152 Rispetto a quella deIl'83, che constava di ben undici membri, questa era ridotta
sei componenti: oltre ai tre già ricordati, ne facevano parte don Belmonte, don
randa e don Nai.
53 ASC, Capitolo Generale IV- 1886, 046: Lavoro delle Commissioni: la sintesi
le risposte si trova riportata in un documento che riprendeva il titolo assegnato al
nto I1 nell'indice delle materie da discutere N 2. Il N V. Indirizzo da darsi alla
rte operaia nelle case Salesiane e mezzi di sviluppare la vocazione dei giovani arti-
- - "«Gli assistenti osservava don Laureri non siano i più inetti fra i chierich
C, Capitolo Generale IV- 1886, 046: !V. 2. Il N. V. Indirizzo da darsi, cit.).
5 Per certuni occorreva aluesì che i superiori manifestassero una maggioreatten-
- one per le persone e per i loro problemi: «Un mezzo efficacissimo -annotava don
'a per promuovere e mantenere la vocazione nei giovani ed anche adulti ope-
i è il vedere che i superiori si occupano di loro» (ASC, Capitolo Generale IV-
6, 046: )V. 2. Il N. V Indirizzo da darsi, cit.). Nell'ambito delle risposte sulla
77

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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questionedelle vocazioni vedasi anche il pro-memoria a parte di un socio il quale si
soffemava,in particolare, sull'esigenza di porre fine allo stato di inferiorità in cui, a
suo avviso, i coadiutori si trovavano rispetto ai sacerdoti: ASC, Capitolo Generale
IV- 1886,046: Lavoro delle Commissioni: Materie da lrallorsi nel Generale Capitolo
di settembre 1886.
$56Per i suggerimenti dei due cfr. ASC, Capitolo Generale IV- 1886, 046: N. 2. Il
N. V . Indirizzo da darsi, cit.; relativamente a don F. Dalmazzo si tenga prqente che,
essendoci in Congregazione due salesiani con lo stesso nome, il compilatore della
sintesi precisava che trattavasi di «D. Francesco Dalmazzo 28.
157 Cfr, al riguardo il posto che nella sintesi veniva riservato agli interventi di don
Belmonte e di quello che veniva semplicementechiamato «Unsocio»: ASC, Capito-
lo Generale IV- 1886, 046: N. 2. Il N. V . Indirizzo da darsi, cit. Alla passione per la
musica don Belmonte (1843-1901) aggiungeva l'interesse per gli studi scientifici; nel
'75, conseguita la laurea in scienze all'Università di Torino, era stato nominato pro-
fessare di fisica e scienze presso il collegio di Alassio; dopo avere per qualche anno
assicurato la direzione dell'ospizio di Sanpierdarena, nel 1884, essendo la chiesa di
San Gaetano annessa all'ospizio dichiarata parrocchia, ne era divenuto parroco: cfr.
la voce di E. Valentini in «Dizionario biografico dei salesiani».
15s Don Belmonte aggiungeva di non condividere l'idea che, a motivo della pover-
tà dell'istituto, i clienti fossero costretti a pagare di pi" se volevano fare della bene-
ficenza,questo era afar loro; ma la fattura doveva rispondere al prezzo calcolato in
rapporto al lavoro eseguito (ASC, Capitolo Generale IV- 1886, 046 N. 2. Il N. V .
Indirizzo da darsi, cit.).
159 ASC, Capitolo Generale IV- 1886, 046: N. 2. 11 N. V . Indirizzo da darsi, cit.
160 ASC, Capitolo Generale IV- 1886, 046: N. 2. Il N. V . Indirizzo da darsi, cit.
161 t E per venire al panicolare,dico non richiedersi abbastanzada un giovane asnitto
che debba divenir capo, che sappia alla meglio interpretare un disegno datogli (se pur si
viene a tal punto) e condurre un mobile a buon termine; ènecessario bensì che il capo gli
insegni in certo qual modo razionale come comprendere il disegno, farlo egli stesso e
variarlo figurando lo steso mobile a modificato o in altra posizione» (ASC, Capitolo
Generale N-1886, 046: N 2. Il N V . Indirizzo da darsi, cit.).
162 E concludeva: «Ad un artista quando sappia esternare i propri pensieri per
lettera, tenere il registro di laboratorio, il resto gli è superfluo e vi si potrà applicare a
piacer suo quando siasi abilitato in ciò che concerne l'arte sua» (ASC, Capitolo
Generale IV- 1886, 046: N. 2. Il N. V . Indirizzo da darsi, cit.).
i63 ASC, Capitolo Generale IV- 1886, 046: N. 2. Il N. V . Indirizzo da darsi, cit.
$64 ASC, Capitolo Generale IV- 1886, 046: Lavoro deile Commissioni: Proposte
sull'indirizzoda darsi agli Artigiani,e mezzi onde svilupparne e coltivarne le vocazio-
ni. Che il documento fosse stato scritto per la Commissione mi pare evincersi dal
fatto che in più punti esso chiamava direttamente in causa la Commissione affidan-
do ad essa di scegliere la soluzione più convenientedel problema: cfr. in particolare
quanto si osservava al n. 5 dell'lndirizzo professionalee al n. 2 del paragrafo concer-
nente il modo di coltivare le vocazioni.
165 Questa genealogia risulta abbastanza chiara allorché si proceda a un confronto
- fra i testi. Dalla comparazione risulta intanto che il testo dell'86 (ASC, Capitolo
Generale IV-1886, 046: Proposte sulfindirizzo. cit.) cui, per brevità, daremo nome
- di Documento A -continua a persistere, nonostante le riduzioni, nel documento n. I
dell'83 (ASC, Capitolo Generale 111- 1883, 046: Indirizzo da darsi alla Classe, cit.)
che, d'ora in poi, chiameremo Documento B. L a persistenza è documentabile con il
enimento non solo della medesima stmttura ma, per larga parte, della stessa
azione letteraria. Le correzioni che si rinvengonoin B fanno, per altro, vedere che
n o finale (ASC, Capitolo Generale 111- 1883, 046: Indirizzo da darsi alla parte,
- -cui assegneremo il titolo di Documento C ha cominciato a prenderecorpo per
punto attraverso i rimaneggiamenti, talvolta marcati talvolta solo formali, che il
sponsabile della revisione andò via via introducendo nel secondo documento.
166 A riprova della derivazione del Documento B dal Documento A ricorderò, di
ta, che sul B l'indirizzo continuava a chiamarsi morale, fino a quando, con
ione aggiuntiva, non venne integrato dall'aggettivo religioso.
67 Documento A: cfr. il capitolo riservato all'lndirizzo morale.
8 Eppure, ammesso che l'autore del Documento A fosse davvero il Cemti, non
uò certo dire che egli non avesse riflettuto sulla visione pedagogica del suo Ret-
: per l'appunto quell'anno, il Cemti pubblicò un breve volumetto Le idee di don
sco sull'educazione e sull'insegnnmento e la missione attuale di don Bosco, San
nigno 1886. Sulle prospettive pedagogiche di don Bosco egli sarebbe tornato diver-
anni dopo con un opuscolo in cui metteva a confronto tre profiliF. CERRUTI, Una
'logia pedagogica: Quintiliano, Vitiorino da Felire e Don Bosco, Roma 1908.
9 Documento A: cfr. Indirizzo morale, n. IV.
o Documento A: Indirizzo intellertuale, foglio recante i programmi specifici di
- - scuna delle tre classi. L'insistenza posta dal programma sugli esercizi di bella cal-
rafia dalla retta impugnatura della penna alla conveniente posizione del corpo
ò oggi farci sorridere; ma non si dimentichi che, in mancanza delle macchine da
rivere, il possesso della bella scrittura costituiva la condizione minima per entrare
un ufficio.Nessuna meraviglia, dunque, se anche l'autore di questi programmi per
scuole degli artigiani dell'Oratorio tanto insistesse sull'uguaglianza dei pieni o sulla
sta pendenza delle lettere.
Su tali Istmzioni e programmi cfr. I. ZAMBALDI, Storia della scuola elementire
lia. Roma 1975, pp. 248-250 e pp. 611-615. Forse l'unica differenza di un certo
era data dall'assenza, nei programmi per gli artigiani delroratorio, di riferi-
allo studio della grammatica.
Documento A, Indirizzo professionnle.
73 Veniva ribadito che, se si voleva per altro mantenere questa scuola a un certo
110, occorreva evitare che ad essa avessero accesso «coloro che non furono ancor
miati almeno da 3* CI. elementare, o che fossero ancor troppo indietro nel
stierea (Documento A, Indirizzo profssionale, n. 6).
4 L'ertensore del documento riteneva che in questa delicata opera di contempe-
ento il maestro d'arte avrebbe potuto trovare un prezioso punto di riferimento
le previste conferenze settimanali rivolte dal direttore degli artigiani al personale
egnato nell'educazione e nell'ammaestramento dei ragazzi (Documento A: Indi-
a Riguardo alla mancia si prescriveva che essa fosse da impiegare non solo per
disfare i piaceri della gola, ma anche per l'acquisto di <«>$?gettui tili, come libri,
"atte, ecc.»; per la retribuzione del 5% era inteso che essa sarebbe stata accanto-
e consegnata ali'artigiano al momento della sua uscita dopo la conclusione del
cinio, a meno che egli non se ne andasse prima (o fosse cacciato) nel quale caso
avrebbe avuto diritto a rivendicare alcun peculio: Documento A: Indirizzo pro-
ionale, ultima parte dedicata a mancia e retribuzione.
6 Le più consistenti riduzioni concernevano le disgressioni introduttive ai vari
79

5.2 Page 42

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"7 Don L. Nai (1855-1932) ricopriva allora la carica di prefetto della casa di San
Benigno Canavese: su di lui vedasi la voce del «Dizionario b i o d ~ c odei salesiani».
ASC, Capitolo Generale IV- 1886, 046-048: Verbali. Relazione del 4' Capitolo
generale della Pia Società Salesiana. tenutosi nel Collegio Valsalice do1 l' Seti. al
sate del medesimo anno 1886.
" 9 ASC, Capitolo Generale IV- 1886, 046-048: Relazione del 4' Cnpitolo,cit. Don
P. Albera (1845-1921) era allora ispettore delle case salesiane di Francia; come è
noto, con il Capitolo del 1910, egli sarebbe stato chiamato ad assumere la guida della
Congregazione,in sostituzionedi don Rua: su di lui cfr. le notizie riportate nella voce
a lui dedicata da E. Valentini nel «Dizionario biografico dei salesiani».
'ao ASC, Capitolo Generale IV- 1886, 046-048: Relanione del 4' Cnpitolo, cit.,
Seduta del 4 settembre sera.
la' ASC, Capitolo Generale IV- 1886,046-048:Relazione del 4' Capitolo, cit.; tale
correzione andava incontro a quella che, come si ricorderà, era stato raccomandato
anche da don Belmonte.
ASC, Capitolo Generale IV- 1886,046-048: Relazione del 4' Capitolo, cit.; don
L. Lasagna (1850-1895) ricopriva allora la carica d'ispettore delle missioni salesiane
in U ~ g u a ya: nche Per lui cfr. la voce del «Dizionario biografico dei salesianin.
Ia3 ASC, Capitolo Generale IV- 1886, 046-048: Verbali:[Relazione conclusiva] Ad
majorem Dei gloriam et Salesianae Societatis incrementurn.
Ia4 Documento B: cfr. le aggiunte inserite nell'ultima pagina della parte concernen-
te l'indirizzo degli artigiani.
IR concIusioni furono pubblicate I'anno dopo con il titolo Deliberazioni del
Terza e Quarto Capitolo Generale della Pia Società Salesiana tenuti in Valsalice nel
settembre 1883-1886,San Benigno Canavese 1887: esse possono oggi essere consul-
tate nella ristampa anastatica G. BOSCO, Opere edite, cit., vol. XXXVI (1885-1887),
Roma 1977: per la parte che a noi qui interessa pp. 18-22.
I destinatari della «Storia d'Italia».
o di persone", pubblicata nel 1 8 4 5 , e la Storia sacra, "per uso
o condotta a termine nel 18562. A differenza delle altre due,
aro e l'annoverò tra i libri da distribuire in premio nelle
pubbliche"L'autore, da p a r t e sua, si preoccupò di renderla
erente ai programmi scolastici post-elementari, che per il
81

5.3 Page 43

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settore della storia venivano in quegli anni, tra il 1852 e il 1861,
minuziosamente decretati, quanto frequentemente modificatis.
La volontà di fame, a pieno titolo, un testo scolastico richiese
una serie di aggiustamenti e di aggiunte, che non giovarono all'in-
sieme per almeno due ragioni. Prima di tutto perché tali ritocchi
furono affidati in buona parte ad altre mani, e, in particolare, a
quelle di Michele Rua, cui don Bosco aveva interamente dettato
lavoro originales. Secondariamente, perché la preoccupazione
rispettare i programmi ministeriali fini per aggravare la relati
disorganicità del racconto, con mende e sistemazioni alquant
posticce.
Ciò non impedi alla Storia d'Italia di avere, anche come testo
scolastico, una considerevole e immediata fortuna editoriale, tan-
to da conoscere sei edizioni tra il 1856 e il 1873; delle quali, l'edi-
zione del 1859 e l'edizione del 1873-74 presentano le più consi-
stenti variazioni rispetto alla prima Esse riguardano sia l'inseri-
mento di nuovi capitoli7, sia un parziale aggiornamento ai fatti
coevi, sia l'aggiunta di profili di italiani illustri sette nell'edizione
del 1859 e altri quattro in quella del 1873-74s.
Va notato come l'aggiornamento dell'opera (che nella prima
edizione si concludeva con la guerra di Crimea e il Congresso di
Parigi) non andasse oltre la seconda guerra d'indipendenza fino
alla pace di Zurigo, tramite un capitolo introdotto nell'edizione
del 1861. I1 capitolo aggiunto terminava con questa chiusa:
"In questo frattempo altri avvenimenti compievansi in Toscana, a Mode-
na, nelle Romagne, di poi a Napoli ed in Sicilia, i quali per la loro gravità e
perché troppo recenti, si devono rimettere ad altro tempo, prima di poter-
ne ~arlareim~arzialmente con verità"9..
~
~
~
Nelle edizioni successive il termine cronologico del 1859 non fu
più superato: sicché la narrazione si arrestò alla fase precedente la
proclamazione del Regno d'Italia, pur continuando l'opera ad
essere ristampata con inusitata frequenzalo. Per essere esatti, un
ragguaglio cronologico dei "principali avvenimenti" fu aggiunto
in appendice all'edizione del 1873-74: vi erano ricordate, tra le
altre, le date del 17 marzo 1861 ("Il Re Vittorio Emanuele 11
assume il titolo di Re d'Italian), e del 20 settembre 1870 ("Entrata
ma del generale Cadorna per la breccia di Porta Pia"). Ma,
detto, il racconto vero e proprio non contemplava questi
e modelli della «Storia d'Italia».
me ha osservato il miglior biografo di don Bosco, Pietro Stella,
tile e fuorviante andare d a ricerca, per la Storia d'Italia, di
denti o modelli più illustri, prossimi cronologicamente a don
come, per fare degli esempi, le Rivoluzioni d'Italia di Carlo
a, la Storia d'Italia continuata da quella del Guicciardini di
lo Botta, o la Storia ditalia di Cesare Balbo o la Storia Univer-
Cesare Cantù. Sebbene non manchino indizi che don Bosco
se a conoscenza (e, forse più di altre, avesse presente la voce
biana dell"'Encic1opedia popolare" edita dal Pomba da cui fu
o il Sommario della storia d'ItaliaIl), altri erano i suoi intenti.
non pensava di rivolgersiad un pubblico colto, nemmeno inteso
senso più generico e ampio della parola.
nque i suoi modelli, se vogliamo cosi chiamarli, consisteva-
opere destinate alla gioventù. Tra queste, due egli dovette
re specialmente sott'occhio: il manuale di lettura per le scuole
di Luigi Alessandro Parravicini intitolato Il Giannetto,
eneva tra l'altro dei "racconti morali tratti dalla storia
lia"l2; e il Corso di storia raccontato ai fanciulli dell'ex-uffi-
'mista francese Jules Raymond Lamé-Reury, tradotto
a più riprese e in molti volumiI3, che offriva a don
co un tipo di racconto storico condotto per medaglioni, molto
entaneo ai suoi obiettivi.
questi testi di riferimento, che fornirono parecchio materiale
compilazione della Storia d'Italia, vanno affiancati altri libri
ici in uso nel Regno Sardo, come la Breve Storia d'Europa e
mente d'Italia di Ettore Ricotti, il Compendio di storia
ana e quello di storia greca di Oliver Goldsmith pubblicati
'trice Marietti con integrazioni di Luigi Schiaparelli, altri
li di storia tradotti in genere dal francese e variamente
ipolati, appartenenti alla serie scolastica dello stesso edito-

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rei4, la Storia elementare d'Italia di Pietro Pelazza'5, il Sunto
storia antica, ebraica, greca, romana e moderna di Leone Tetto
edito da Paravia16.
Ciò non toglie che per singoli aspetti o parti o episodi della
Storia d'Italia, l'autore non utilizzasse anche opere e fonti più
autorevoli e più specifichei7.
Come modello polemico, e per dir così negativo, stanno
sullo sfondo della Storia d'Italia gli esempi di divulgazionesto
di movenze neo-ghibellinc, come la Storia d'Italia narrata
popolo italiano di Giuseppe La Farina's, autore, a sua volta, ne
stessi anni, di una Storia d'Italia narrata ai giovanetti'9.
3. L'ispirazione generale della ((Storia d'Italia».
L'intenzione programmatica, alla quale don Bosco ispirò la sua
fatica, era, prima di ogni altra e francamente confessata, un'intenzio-
ne parenetica ed esemplare sul piano morale. La storia come "grande
e tembile maestra deiì'uomo" in senso immediatamente percepibile
e prontamente applicabile. La storia dunque quale giudice delle cat-
tive e delle buone azioni, ma pure, e non secondariamente, prova di
come "in ogni tempo sia stata amata la virtù e sieno sempre stati
venerati quelli che l'hanno praticata; e come al contrario fu sempre
biasimato il vizio e furono disprezzati i viziosi"2o.
Inoltre, la stona secondo don Bosco serve a dimostrare che la
religione"fu in ogni tempo riputata il sostegno deli'umana società
e delle famiglie"; e che laddove "non vi è religione non vi è che
immoralità e disordine"21. Poiché soltanto la Chiesa conserva e
insegna la vera religione, l'universo etico entro il quale operano 1
categorie di giudizio applicabili alla storia coincide in maniera
perfetta e totale con l'universo della Chiesa cattolica: la discrimi-
nante tra vizio e virtù è esattamente la stessa che passa tra l'esser
nella Chiesa e con la Chiesa e l'esserne fuori.
Se questi sono gli assi generali intorno ai quali ruota la narra
zione della Storia d'Italia, essi si articolano poi in una particola
visione della stona, che tenta di offrirne un senso univoco e un
regola costante.
senso che don Bosco tende a individuare e a mettere in luce
insieme degli accadimenti storici è il nesso che collega la pro-
rità e il benessere degli individui e delle società con il rispetto
l'universo etico-religioso determinato dalla Chiesa; e, ancor
recisamente, sul versante opposto, gli esiti catastrofici di ogni
ttura o ribellione a quell'universo. Ciò comsponde ad una par-
lare curvatura apologetica che cerca nella stona, cioè nella
mensione degli eventi terreni, la manifestazionee la realizzazio-
del giudizio divino. Come limite estremo, il giudizio e la puni-
ne delle colpe si esprimono nel momento e nel "modo" della
rte, per gli individui; nell'anarchia e nelle catastrofi belliche
le società. I1 giudizio della stona come il giudizio di Dio non
ziona nei termini di un giudizio postumo, ma di un giudizio
ualmente efficace. Come è scritto nella Storia d'Italia, "i mal-
i sono ordinariamente puniti del male che fanno, e tanto più
mente quanto più sono ricchi e potenti"22. O nella Storia
astica: "Noi dobbiamo imparare primieramente che tutti
i che si sono ribellati contro la Chiesa, per lo più hanno pro-
i castighi divini anche nella vita presente con fine funesta e
rilievo dato alla terrena punizione delle colpe, individuali e
tive, riflette un provvidenzialismo che rappresenta l'azione
a nella storia con i tratti di una giustizia facilmente verifica-
La presenza di Dio vi appare come un potere superiore che
a in maniera visibile, di regola servendosi di stmmenti natu-
ma pure mediante interventi soprannaturali, a difesa di un
ne prestabilito che investe direttamente la dimensione tempo-
terrena. I1 quadro etico garantito dalla Chiesa circoscrive e
sce tale ordine.
lettura prowidenzialistica della storia proposta da don BO-
va alle sue spalle una sua tradizione culturale, che in par-
nell'età della Restaurazione si era imposta con i tratti di
rappresentazione collettiva sufficientemente compatta e ca-
rmente diffusa. La Storia d'Italia costituiva, sotto questo
tto, l'applicazione di quell'argomentare apologetico, messo a
o da una consistente tradizione di pensiero cattolico, che
ava nell'utilità della religione ai fini di un'ordinata vita terre-
85

5.5 Page 45

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na e nella funzione della Chiesa e delle sue norme come fulcro di
ogni ordine sociale, i motivi più efficaci di opposizione alla critica
"eversiva" della cultura moderna, Uno dei principali motivi d'in-
teresse della Storia d'Italia consiste nel suo contenere una versio-
ne pedagogicamenteelementare ed essenzializzata di tale tradizio-
ne apologetica. Questo aspetto assicura all'opera di don Bosco un
posto particolare nel vasto panorama della storiografia ultramon-
tana dell'Ottocento.
In proposito mi limiterò per ora ad osservare che, sul piano
pedagogico, la Storia d'Italia rivela due tratti caratteristici.
In primo luogo, il messaggio che la percorre ha'una tonalità
largamente rassicurante, per non dire ottimistica, sia in ordine alla
vita degli individui e delle collettività, per la connessione tra
morale e benessere, sia e soprattutto in relazione alle sorti della
Chiesa e dei suoi poteri nella yicenda storica. Viceversa, l'unifica-
zione nazionale italiana per opera dello Stato e delle forze liberali,
e a prezzo dell'abbattimento del potere temporale, veniva a costi-
tuire un fatto oggettivamente dirompente e difficilmente giustifi-
cabile alla luce dell'ispirazione generale dell'opera. Un esito che
non rientrava nella sua logica.
In secondo luogo, la particolare natura del provvidenzialismo
storico, che don Bosco applicava alla Storia d'Italia, finiva per
lasciare ai margini in modo marcato la dimensione escatologica
del cristianesimo, fino ad un potenziale, quanto involontario, esi-
to che potrebbe dirsi "secolarizzante". In altri termini, l'insistenza
sui benefici storici conseguenti al rispetto della vera religione e
all'appartenenza all'unica Chiesa, contenevano un messaggio che
sembrava giustificare e sostenere la fede in Cristo e la devozione
alla sua Chiesa con argomenti tratti soprattutto da considerazioni
di natura pratica, di presa immediata, riportando la fede cristiana
alla dimensione del senso comune, alla misura di una dottrina in
primo luogo necessaria per il buon vivere, all'idea di una giustizia
immanente sebbene prodotta dall'intervento divino. I1 rapporto
con la storia forniva le prove dell'efficacia terrena del cristianesi-
mo, in una linea di continuità priva di cesure tra vita storica e
naturale e vita soprannaturale. Che era poi l'altro volto di una
religiosa che trovava nella prassi caritativa e sociale la sua
entica proiezione.
'oggetto della «Storia d'Italia».
stona d'Italia è assunta da don Bosco come il campo pnvi-
o al quale applicare la sua visione della funzione pedagogica
e interrogativo, per cosi dire, preliminare. Ciò produce un
ente ondeggiamento della narrazione tra una storia definita
ograficamente dalla Penisola italica (l'opera si apre, per l'appun-
ei popoli circostanti, cui vengono senz'altro attribuite ascen-
ze bibliche24. Roma opera come forza unificatrice nei riguardi
e preesistenti"nazioni", ed offre loro una prima struttura poli-
ire ai soli Romani", bensì al contributo di coloro che "era-
corsi a Roma dalle vane parti d'Italia3', "laonde Roma si
87

5.6 Page 46

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I1 capitolo dell'opera dedicato ai "primi Martiri" contiene sotto
questo aspetto un passo cruciale:
"Se io volessi raccontarvi ad una ad una le nefandità di questi impera-
tori o meglio di questi oppressori del genere umano [il riferimento è a
Caligola, Claudio e Nerone] dovrei ripetervi quanto di più empio e di più
cmdele si trova nella storia delle altre nazioni. Era pertanto di somma
necessità che venisse un Maestro, il quale colla santità della dottrina inse-
gnasse ai regnanti il modo di comandare, ed ai sudditi quello di ubbidire.
Questo fece la religione di Gesu Cristo. Richiamatevi qui a memoria la
visione di Nabucodonosor, con cui Dio rivelava a quel principe quattro
grandi monarchie, delle quali l'ultima doveva superare tutte le altre in
grandezza e munificenza: questa era il Romano impero. Ma una piccola
monarchia, raffiguratain un sassolino, doveva atterrare questa grande
potenza, e sola estendere le sue conquiste in tutto il mondo per durare in
eterno. Questa monarchia etema da fondarsi sopra le rovine delle quattro
antecedenti, era la religione Cattolica, la quale doveva dilatarsi per tutto il
mondo, in modo che la città di Roma, già capitale del Romano impero,
diventasse gloriosa sede del Vicario di Gesu Cristo, del Sommo Pontefice.
Primo a portare questa santa religione in Italia fu San Pietro Principe degli
Apostoli, stabilito Capo della Chiesa dallo stesso nostro Salvatorenz7.
È facile individuare analiticamente le componenti che fanno di
questo brano la chiave delsopera, il passaggio che consente I'inse-
rimento a pieno titolo della storia d'Italia nella storia sacra: l'ac-
cento posto sulla dottrina cristiana come ordinatrice del rapporto
tra regnanti e sudditi; la interpretazione storica della visione esca-
tologico-messianica relativa alle "quattro monarchie"28; la rap-
presentazione della Chiesa come "monarchia etema" trionfante
sulle precedenti29; il primato di Pietro confermato e convalidato
storicamente dalla sua opera di primo portatore del cristianesimo
netra naturalmente con la valutazione dell'ossequio ovve
dell'ostilità dei diversi protagonisti verso la Chiesa di Roma e
suoi pontefici. Nello stesso tempo, il papato diventa il centro uni-
ficatore della vicenda storica italiana.
Ciò accade in modo definitivo a partire da Costantino. La cu
a, tutta guidata da un disegno provvidenziale (il suo editto, le
azioni, l'istituzione di tribunali privilegiati per gli ecclesiastici,
ontributo alla condanna delfarianesimo) culmina nel trasferi-
nto della capitale imperiale, che "lasciò libero il primato di
ma al Sommo Ponteficen30. Tocca poi alle incursioni barbari-
il compito di distruggere le ultime vestigia della Roma pagana
autorità cristiane i barbari si arrestano. Alarico rispetta le
ncivilimento e l'assimilazione dei barbari alla civiltà italo-
ana, è il filo che lega la trattazione dell'Alto Medioevo. 1
ungo questa linea assumono particolare risalto nella Storia
izionario storico del Moroni e i frequenti interventi della
Storia d'Italia "Dei beni temporali della Chiesa e del domi-
e1 Sommo Pontefice".
ti sviluppi delle tesi temporaliste.
89

5.7 Page 47

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Don BOSCOutilizza ed accosta due principali argomentazioni: 1
necessità per la Chiesa di disporre di beni materiali per la pro
sussistenza, e la piena indipendenza dal potere imperiale C
condizione di un'effettiva libertà pontificia36. L'allontanam
da Roma della sede imperiale, per quanto non configuri ancora n
autentico "dominio temporale" dei papi, separa tuttavia un'epoca
di libertà precaria della Chiesa (di solito pagata dai primi pontefi-
ci a prezzo della vita) da un'epoca di libertà garantita37. L'origine
del vero e proprio dominio temporale non va tuttavia ricercato,
secondo la Storia d'Italia, nelle donazioni o nelle concessioqi dei
potenti, ma nella libera scelta di Roma di "darsi" al pontefice in
risposta alle ingiunzioni di Leone l'Isaurico e alla lotta iconoclasta
scatenata da Bisanzio:
"Finalmente il Senato e il popolo di Roma si dichiararono indipendenti
da un tiranno eretico e persecutore. Cosi Roma fu liberata dal trono impe-
ride per dare luogo al trono pontificale; Roma divenne indipendente
dall'impero e propria dei Pontefici, senza che questi la conquistassero coi
raggiri e colle armi. Cosi i Pontefici acquistarono una città ed un temtorio
abbastanza grande per essere liberi ed indipendenti a casa loro, ma abba-
stanza piccolo da non divenire mai potentati tremendi come quelli della
terra3'38.
11modo dell'acqnisto e l'entità limitata del temtorio configura-
no, dunque, la natura particolare dello Stato papale; esso "si può
chiamare proprietà di tutti i cattolici i quali come figli affezionati
in ogni tempo concorsero, e devono tuttora concorrere per conser-
vare la libertà e le sostanze del capo del cristianesimo"39. può
valere la critica condotta alla congiunzione tra potere spirituale e
potere temporale: la memoria degli antichi patriarchi, capi spiri-
tnali e temporali insieme, e l'unica origine divina delle due auto-
rità, vanificano obiezioni di questa fatta".
L'indipendenza della Chiesa assicurata dal dominio temporale
dei pontefici coincide, nell'ottica di don Bosco, con l'indipenden-
za italiana. Gli oppressori della Chiesa e del papato sono anche gli
oppressori dell'Italia. Chi soccorre i1 pontefice non può essere
considerato straniero:
"Credo bene di farvi qui notare come i Papi nel ricorrere ai Franchi per
, non chiamarono stranieri o nemici in Italia, come taluni vorrebbero
edere, ma essendo i Re di quella nazione (i Franchi) conosciuti per
attolici, i quali si gloriavano appunto del titolo di difensori della
a, furono invitati a venire in aiuto del Capo dei cristiani e di tutti gli
'. di venire cioè a liberare l'Italia delle mani dei Longobardi, che
arbari, forestieried oppressoridei Papi e dell'Italia. Per questi fatti
si devono piuttostoappellare benefattoridella religione e di tutti gli
di Carlomagno domina questa parte della Storia d'lta-
o Costantino e Teodosio, ma più di essi, egli incarna il
di imperatore cristiano:
i fu ammirabile in tutto: rimunerava la virtù, puniva il vizio qualo-
fosse mestieri. Era intrepido in guerra, ed amava la religione. Nelle
'e più pericolose faceva fare grandi preghiere, e spesso awenivacbe
lani dell'esercito passassero l'intera notte per udire le confessioni
ati, che il seguente giorno dovevano venire alle mani coi nemici.
semplice di costumi, sobrio, instancabile; dormiva poco; in tempo di
nsa facevasi leggere le storie antiche, oppure un libro di S. Agostino,
itolato la Città di Dio. Egli pose ogni cura per ravvivare fra noi le arti, le
ze, la civiltà, le
tro grande protagonista della storia medievale è Gregorio
n lui si esalta la saldatura tra la libertà del papato dalle
mmettenze imperiali e l'indipendenza dell'Italia dallo stra-
. In proposito don Bosco.raccoglievae divulgava l'immagine
regorio vindice della libertà nazionale già presente nel Fosco-
e1 De Maistre, nel Gioberti, nella biografia gregoriana del
seguito, le lotte e le contese tra guelfi e ghibellini altro non
che la continuazione dello scontro tra regni e città italiche e
ani di re e imperatori stranieri, i quali accampano inesisten-
ti sulla Penisola. Pertanto, proprio in quest'epoca si assesta
azione, con la cessazione de1l"'influenza degli stranieri nei
ri paesi" e con la formazione e il consolidamento di "parecchi
diversi"44. La sanzione della raggiunta unità civile della
sola è fornita dall'uso della lingua volgare: sorta dalla c o m -
e del latino provocata dagli usi barbarici, essa trovò le sue
le come lingua nazione nell'opera letteraria di San Francesco

5.8 Page 48

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Infine la cattività avignonese venne a confermare che l'Italia,
privata della sede papale, doveva subire molti guasti, economici,
culturali e politici. "La storia ci fa perfettamente conoscere che
l'Italia senza Pontefice diventa un paese esposto alle più tristi
vicende"46; "quando i disordini e le discordie costringono il
romano Pontefice ad allontanarsi da Roma, sono a temersi gravi
mali per l'Italia e per la religione3'47.
6. Età moderna ed ordine cristiano.
Mentre l''epoca terza" della Storia d'Italia, dedicata al medioe-
vo, ha il suo principale asse di riferimento nel collegamento tra
libertà del pontefice (e della Chiesa di Roma) e sviluppo della
libertà e della civiltà italiana, l'"epoca quarta", l'età moderna,
s'impernia sul tema delle condizioni fondamentali per la vita
ordinata della società e degli Stati. Il filo logico che l'attraversa è il
conflitto tra ordine e rivoluzione, visto come proiezione del con-
flitto tra rispetto della vera religione e ribellione alle sue norme e
alla sua autorità.
Merita osservare che don Bosco non mostra alcuna propensione
verso il mito medievalistico. La sua trattazione dell'età moderna
si apre con uno squarcio che sembrerebbe uscito dalla penna di un
illuminista:
"La sene degli avvenimenti, che io intraprendo a raccontarvi, dicesi
Stona Moderna, sia perch6 abbraccia i tempi a noi più vicini, sia perché i
fatti che ad essi nfensconsi, non hanno più quell'aspetto feroce e brutale
siccome quelli del Medio Evo. Qui è quasi tutto progresso, tutto scienza ed
incivilimento"48.
Nella Storia d'Italia non affiora una deprecazione della "mo-
dernità" come tale; ma la volontà di tracciare i confini tra un suo
volto autenticamente progressivo e un suo volto negativo e disgre-
gatore. In questa luce la storia italiana assume un rinnovato carat-
tere esem-ulare. se-guendo alcune costanti di riferimento.
La prima è la contrapposizione tra la natura intrinsecamente
ifica e ben ordinata della civiltà italo-cattolica e gli attentati
enti che le vengono normalmente portati dall'esterno. Per
pio: mentre i pontefici rinascimentali tenevano alto il segna-
della cultura, e "le arti e le scienze in Italia facevano meravi-
si progressi, molte sciagure si apparecchiavano dagli stranieri,
e a guisa di torrente dovevano versarsi sopra questi nostri pae-
"49. Gli impulsi distruttivi provenienti dall'esterno non hanno
alenti ragioni di ordine politico o militare, bensi di ordine
o-religioso. La principale scaturigine dei mali d'Italia e dei fat-
n di turbamento della sua vita civile, è da ricercarsi negli atten-
condotti contro la Chiesa sotto la specie di una sua "riforma".
particolare, il flagello della guerra e delle sedizioni che lacerano
uropa in seguito alla Riforma protestante, giungono a riversarsi
e nella Penisola. Da Savonarola a Lutero a Sarpi (che "invece
aticare e sostenere quella religione cui erasi con voto speciale
sacrato, si adoperò per introdurre l'eresia in Italia"s0) ai valde-
l Piemonte corre un unico filo, quello che cuce l'eresia al
ropugnatori e illustratori della civiltà italica sono invece le
di letterati, scienziati e artisti pronti a riconoscere la supe-
autorità della Chiesa. Tra questi un'attenzione particolare
e riservata a Galileo.
caso Galileo a don Bosco preme mettere in luce quattro
i preminenti: la eccezionalità del suo ingegno che "formerà
empre la gloria d'Italian; il legame tra le sue scoperte e il
so mecenatismo dei principi che le resero possibili"; la
azione dell'autorità ecclesiastica pur di fronte alle "pretese"
o scienziato; infine il suo esempio di sottomissione e di obbe-
punto cruciale della questione galileiana, don Bosco seguiva
ppresso tesi originariamente formulate dal Bellarmino e riprese
ca più vicina dal Bergiersi, dall'ex-gesuita Bérault-Bercastel
primaria della Storia ecclesiasticas2), da Cesare Balbo nel
mmario, per non parlare delle analoghe opinioni manifesta-
a un autore non cattolico come Mallet du Pans3. In sintesi,
ore di GaliIei, e la ragione della sua condanna, sarebbe consi-
nell'aver egli tramutato una questione astronomica in una
93

5.9 Page 49

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questione teologica, cioè nell'aver cambiato "in verità di fede una
semplice opinione". In ciò la differenza tra Galileo e Copernico, il
quale aveva insegnato l'eliocentrismo come "ipote
posizioni sue proprie senza mischiarvi la religione".
l'Inquisizione impose a Galileo di non mescolare "le
dei libri santi colle sue private opinioni: lasciandolo i
fare altrimenti tutte le congetture che egli desiderava3'54.
Un analogo esempio di grandezza e di filiale sottomissione
all'autorità della Chiesa si ritrova nel profilo di Muratori, traccia-
to in significativo controluce con quello, parallelo, di Tanucci.
Questi colpevole di aver messo in atto "leggi contrarie alla Cbie-
sa" e lesive delle sue tradizionali immunità "quasi che non debba
essere proprio di ogni legge civile comandare un
lare ai luoghi e alle cose sacre"s5; e morto, per q
dito e nella miseria. Muratori, invece, modello di grande erudito,
di uomo caritatevole e giusto, pronto ad ass
pontificio "sapendo che alcuni tacciavano di eresia alcune su
proposizioni"56.
Altro filo che lega la storia moderna come motivo di fondo
quello che si riassume nell'aforisma "le rivoluzioni non fanno m
la felicità dei popoli"57. Già nella parte dedi
i giudizi sui Gracchi o su Bruto non pote
proposito. In epoca moderna, il caso di Masaniello, fattosi "odi
so ai suoi patrioti" nel momento in cui "divenne avverso al su
re"58 è forse il più esplicito. Ma non è solo questione di elementi
movimenti di sedizione. Sono in genere i regimi "popolari",
differenza di quelli monarchici od oligarchici, che contengono
germe dei conflitti intestini. "Venezia era
repubblica d'Italia, perché era sempre stata governata dagli otti
mati, e non era mai caduta nelle mani della plebe, come avven
nelle repubbliche di Firenze e di Genova"59. Firenze, cacciat
Medici, precipita in "nuove guerre e nuovi mali"60. Per convers
i principi cristiani assicurano di norma pace e prosperità ai lo
Stati. In proposito don Bosco non esita ad attenua
polemici del tradizionalismo cattolico nei riguardi de
settecentesco. L'ondata di riforme in cam
data con la volontà di "parecchi principi" di "immi
cose di religione"61. La figura di Clemente XIV, il papa
a sciolto la Compagnia di Gesù, è ricordata con lo stesso
vinto riservato agli altri pontefici, per essersi riamicato
rani dimostratisi ostili alla Santa Sede6z. Salvo che per gli
ti di politica ecclesiastica, il giudizio sulle riforme principe-
è positivo: la valutazione dell'opera di Leopoldo di Toscana
rlo Emanuele di Savoia ne fornisce un esempio63. Prima
pone come protagonista della storia italiana Vittorio
vicende del suo regno sono come il segno del favo-
videnzialeconcesso alla monarchia sabauda; "la vittoria di
, dovuta piuttosto alla protezione del Cielo che al valore
armi, portò la pace al Piemonte e, possiam dire, a tutta l'Ita-
patema e protezione celeste comspondono alla
dia tra clero e popolo, al fiorire della devozione religiosa.
u tardi che Vittorio Amedeo
mischiarsi in cose di religione, cui un principe deve solo attendere
irsi e mai per amministrare. E se il favore accordato ai protestanti
uccessiva umiliazione patita nel vano tentativo di ritornare
no appare il triste suggello dei suoi errori in materia eccle-
resentazione a tinte complessivamente positive
Italia dei principi serve da sfondo contrappuntistico per in-
ale dell'opera, che prende avvio dalla catastro-
luzionaria di Francia.
ionfo della Chiesa sull'idra rivoluzionaria.
linea narrativa adottata da don Bosco diventa, nei riguardi
venti a lui contemporanei, via via più tenue, lacunosa e
iva. Restano alcuni punti fermi; ma questi gli offrono un
o complessivamente più precario.

5.10 Page 50

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Viene in primo piano il tema della rivoluzione come prodot
di un vasto complotto di forze occulte anti-cristiane, raccolte nel
società segrete:
"Queste società segrete. sono generalmente conosciute sotto il nome
Carbonari, Franchi Muratori (Francs-ma$onsl,di Giacobini e Illumina
e presero queste varie denominazioni nei vari tempi, ma tutte concor
nel fine. Mirano cioè+ rovesciare la società presente, della quale
malcontenti, perché non vi trovano un nosto convenie-n-.te- niia .I-n-ro- a m .
none, né la libertà per secondare le loro passioni. Per rovinare la società
essi lavorano a schiantare la religione ed ogni idea morale dal cuore de
uomini e abbattere ogni autorità religiosa e civile, cioè il pontifi
Romano ed i troni"66.
Era il riecheggiamento della tesi diffusa negli ambienti contro
rivoluzionari dall'opera del 1.798 di A. Bamel67. D'altronde, 1
dinamica rivoluzionaria, innescata dalla borghesia miscred
conduce in modo conseguente alYanarchia della plebaglia".
portò "sul patibolo a centinaia quegli stessi borghesi, che avev
condannato a morte i preti e i nobili. Per questa rivoluzione
che stava sopra la società andò sotto, e ciò che stava al disott
venne sopra"68. L'arrivo poi degli eserciti francesi rivoluzionari i
Italia riprodusse gli orrori e le calamità delle invasioni barba
che69.
Molto più sfumato è il giudizio su Napoleone. Don Bosco no
nasconde moti di ammirazione per l'eccezionalità del person
gio. Distingue tra le sue personali intenzioni e i cedimenti a
forze malefiche che lo circondano:
vero che Napoleone non era uno di que' perfidi che volessero la dist
zione del popolo e della religione; ma per appagare i suoi soldati avidi
rapina e di vendetta, ed anche per incutere terrore nei popoli soggioga
non volte o non poté impedire che i ladronecci, il sangue, la strage, l
profanazione delle chiese e mille sacrilegi accompagnassero quasi semp
le sue conquiste"70.
La parabola napoleonica è collocata nell'ambiguo spazio deli
to dalia volontà di restaurazione dell'ordine e della religione, '
al "governo repubblicano", e un'amhizione sfrenata a "farsi p
assoluto della Francia e dei regni conquistati"7~P. resentandosi com
o Carlomagno, spinto a un "dominio universale", egli otten-
da Pio VI1l'incoronazione imperiale, ma il suo successivo con-
to con il ~ a v a t ofu la causa profonda della sua rovina. Egli, che
irriso aila scomunica fidando nella forza del suo esercito,
ato costretto al momento della fine, avvenuta con i conforti
religione, a riconoscere "il principio della sua caduta nell'op-
ione fatta al Romano Pontefice: perciò spesso andava ripe-
do ai suoi amici: «Temete sempre il Papa, come se avesse
dugentomila uomini armati accanto a
- al penodo della Restaurazione, la trama della Storia d'Italia si
a lungo l'accidentato sentiero della conciliazione tra moveii-.
,. ittimiste ( ~ ecrui "si ~ u aòa~*~ e l l alraetroneccio lo s.-oo-diare
dal suo Stato73) e sfondo "nazionale". Le. insurrezioni del
e 1821, come quelle del 1831, segnano il punto d i massimo
itto tra "lo spirito rivoluzionario e irreligioso" delle sette, che
ucono per la nazione effetti disa~trosi'e~le forze dell'ordine
lla pace. Da allora il disegno dell'eversione segue costante-
te lo stesso piano "di fare una repubblica sola di tutta l'Italia,
erciò di allontanare il Papa da Roma, e togliere dal trono tutti i
'Italia"75. La medesima logica si riproduce nel 1848:
'... che riteniate che Pio IX, Ferdinando 11, granduca di Toscana e
berto egualmente che tutti gli alui principi italiani avevano buona
onta di far del bene all'Italia Mazzini e i suoi seguaci, per odio de' troni-e
eligione, impedirono ad essi di proseguire nella loro impresa, swnvol-
i loro progetti wn danno immenso dei principi e de'
simpatie dell'autore si incanalano verso un moderato e
o riformismo dei principi. Su questo sfondo.la figurad i Pio
cupa il centro del quadro. Le vicende della Roma pontificia,
gono il fulcro su cui mota, ancora una volta, la storia italia-
anto che la restaurazione papale del 1849 costituisce, per
ssione dell'autore, la conclusione ideale, se non quella mate-
dell'intera opera: "I1 ritorno di Pio IX a Roma si può dire
o avvenimento compiuto delle cose d'Italia"77.
narrazione della dinamica del '4878 segue all'incirca questo
a. Le prove di umanità e di clemenza date dal nuovo:pon-
e con i suoi primi atti suscitano in tutta la nazione "un entu-

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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siasmo di novità... che parve avere perduto il senno". Di ques
approfittarono "gli amatori della rivoluzione". La ribellione
Milano e della Lombardia contro gli austriaci avrebbe condotto
alle "più deplorevoli calamità" se non ci fosse stato l'intement
Carlo Alberto. Questi agisce quale deuteragonista nel dram
come Pio IX, egli è principe paterno e promotore di riforme,
cui fanno parte lo Statuto e la tolleranza,dei culti ammessi79. La
sua entrata in guerra con l'Austria ha una motivazione spiccata-
mente contro-rivoluzionaria.
La crisi romana, narrata seguendo passo passo la cronaca filo-
papale fattane da Alphonse Balleydiergo, è attribuita alle agitazio-
ni di coloro ("per lo più forestieri") che erano accorsi "a Roma
per eccitare lo spirito di ribellione e approfittare di quei medesi
favori. che il P a ~ aconcedeva. D* er valersene a danno di lui'
Questi stessi vorrebbero spingere il papa alla guerra contro l'Au-
stria: azione ripugnante alla paternità universale e alla natura
pacifica del potere pontificio. I1 ricorso a Pellegrino Rossi è
l'&tremo tentativo fatto da Pio IX di opporsi validamente
ribelli, che allignavano nel Parlamento e persino tra i suoi minist
(ma l'autore non fa mai cenno deliesistenza di uno Statuto a
- Roma). L'assassinio di Rossi, il dilagare delle violenze, l'abbando-
no di Roma da arte di Pio IX ~ o r t a n olo Stato ad un "aoverno
senza legge e senza religionen82. La fase della repubblica romana
impegna don Bosco in un racconto dalle tinte raccapriccianti.
La "liberazione di Roma" e l'abbattimento della repubblic
vengono dunque a significare la rivincita dell'Europa cattolica,
sotto la guida dei suoi principi cristiani, contro le forze oscure
malefiche della rivoluzione. I1 ritorno trionfale di Pio IX ha i trat
t i d i un momento epocale. È
"una delle scene più grandiose, che offrala storia delle nazioni, uno d
fatti più ragguardevoli che presenterà il secolo decimonono ad ammaestra
mento della posterità. La religione cattolica personificatain Pio IX torna
va in Roma, e tornava potente offerendo la misericordia all'ingratitudin
ed il perdono ai pentiti. Finalmente l'opera della ristaurazione compita
dalle potenze cattoliche rimetteva al suo posto la pietra angolare, il cap
della cristianità"83.
a l a restaurazione religiosa e papale si presenta anche, in un
modo, come restaurazione "nazionale", poiché la sconfitta
rivoluzione romana è propriamente la sconfitta di un nucleo
restieri "per lo più già rei di vari delitti"84.
immancabile sanzione provvidenziale a quell'atto di supre-
giustizia non si fa attendere a lungo. Mentre Carlo Alberto,
asto ~assivodi fronte alla situazione romana. è costretto a
nciare al trono in seguito alla sconfitta di Novara, Francia ed
ria escono dalle vicende del biennio rivoluzionario dotate di
nnovato prestigio europeo. Napoleone I11 potrà accedere
impero e "continuando a proteggere la religione fa sperare un
n bene a quella nazione". Austria e Francia insieme assumono
sti di protagoniste in occasione del Congresso di Parigi del
e l'Austria fu dalla Provvidenza rimunerata. Molte discordie, che
iavano la rovina di questo impero, si acquetarono; e questo impe-
che si chiamava Francesco Ginsen.o.e. riconoscendo che il favorire
. ne è il mezzo più sicuro per conservare.d i Statie che il disprezzo
a rovina, cominciò a stabilire molte cose favorevoli ad essa. Volendo
abolire molte leggi promulgate da un suo antecessore, di nome Giusep-
I, contro alla Chiesa, fece un concordato con la Santa Sede, con cui
odo piena libertà all'esercizio del culto religioso, concesse alla Chiesa
quei favori e quella protezione che si possono desiderare da un sovra-
amente cattolico. Di più in questa guerra d'oriente @aguerra di
a , sebbene i suoi domini siano stati circondati da campi di hatta-
i non ebbe a fare uno sparo di fucile, non un colpo di spada per
li. Anzi oossiam dire essere esso divenuto l'arbitro della pace
sima; perciocché egli ne pose le basi, la raccomandò e la condusse ad
vole conclusione"85.
onfronto tra le fortune toccate all'Austria e gli "infortuni"
dire la lunga serie di eventi luttuosi) toccati alla casa di
6 , benché lasciato implicito dall'autore, non richiedeva un
e sforzo di immaginazione.
99

6.2 Page 52

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8. I profili degli italiani illustri contemporanei.
li eventi successivi al '48 trovavano dunque nella Storia d'lta-
lia una collocazione precaria. L'idea di nazione che la percorre
non si configura in termini politico-temtoriali, neppure in senso
federale. Si situa piuttosto negli ambiti e lungo le direttrici profi-
late da padre Taparelli d'keglio, che non lungo quelle delineate
da Gioberti nel suo saggio sulla nazionalitàs7. Ha un riferimento
etico-religioso, linguistico e culturale. Ciò che segna la nazionalità
italiana, come oggetto di storia, è la sua relazione con il papato e
con la Chiesa. L'italianità dei principi, dei popoli e degli ingegni è
determinata dalle loro relazioni con il cattolicesimo e con il centro
d'irradiamento della civiltà cattolica.
Come già per le epoche precedenti, ma in misura più accentuata
per l'ottocento, quando il tessuto nazional-cattolico della storia
italiana diventa per l'autore molto più difficile da dominare in un
disegno unitario, la stona d'Italia trova un suo terreno di verifica
nella presentazione di una serie di profili di ingegni italici in
ottemperanza, del resto, al dettato dei programmi ministerialiss
La scelta dei dodici personaggi era in parte imposta da tali pro-
grammi, in parte originale.
Vi prevalgono i piemontesi di origine o esponenti della cult
operanti negli Stati sabaudi: Carlo Denina, Giuseppe De Mais
Silvio Pellico, Carlo Boucheron, Pier Alessandro Paravia, Ame
deo Peyron, Antonio Rosmini. Tra loro doveva esserci anche V'
torio Alfieri, ma la relativa biografia era stata scartatass. Numer
si gli ecclesiastici: Denina, Antonio Cesan, Giuseppe Mezzofan
Rosmini, Peyron. Nessun personaggio apparteneva alla cultu
centro-meridionale d'Italia.
I1
fil.o
dei
~~~~
b- o~ zzetti
è
costituito
dall'e~em~laritmà orale.
che
s
realizza nella fedeltà alla Chiesa, o, per meglio dire, nella salda
ra tra meriti culturali e vita religiosa. Questo aspetto è inteso in
senso abbastanza comprensivo: esula dall'ottica di don Bosco
considerazione dei conflitti endo-ecclesiastici, come quello C
aveva opposto Rosmini ad esponenti della Compagnia di
Nel caso di Rosmini. o- reme all'autore mettere in luce ch'egli av
va ricevuto l'approvazione dei pontefici e che, alla condanna d
di "alcune" sue opere, si era umilmente sottomesso. Al con-
, non v'è traccia nella Storia d'Italia di Vincenzo Gioberti,
ui né altrove. Appare tra i profili anche quello di Alessandro
ni, di cui si ricorda la conversione, la Morale cattolica, gli
cri ("abbiamo in essi compiuta la immagine del perfetto
ta cristiano"90), il Cinque Maggio, le tragedie e il romanzo. I1
O sui Promessi Sposi si colora di un appunto negativo perla
razione di don Abbondio e della "sgraziata" Geltrude.
cupa don Bosco che la figura di don Abbondio possa ingene-
nei giovani un senso di minore stima e venerazione verso i
parroci. I1 problema dell'adesione di Manzoni al movimento
rio è risolto in modo reticente, ma senza intaccare il giudizio
sua opera letteraria:
ro alcuni che Alessandro Manzoni negli ultimi suoi anni ritomas-
imenti meno cristiani; ma noi dovendo giudicare uno scrittore
opere pubblicate e non dal suo privato modo d i sentire, il quale non
di conoscere, diciamo che in tutti i libri del Manzoni non una
ontrasi. che non si accordi oienamente colla dottrina cattoli-
~
~
~~~
~
dello più incontaminato di letterato cristiano è, per don
1 Silvio Pellico delle Mie prigioni e dei Doveri dell'uomo.
tti politici anti-austriaci delle Mie prigioni non sono rimar-
tratto di De Maistre è incondizionatamente positivo, sia
politico sia come scrittore e "filosofo":
ava la patria e la religione; e mentre le sue fatiche tendevano a
are altrui. co' suoi scritti faceva una costante o=n-n.o-siz--i.o.n..e ni""n-
~
~
~
~
~~~~~~~~~~
~
~
Ila moderna falsa filosofia, ovvero deli'incredulità"92.
u pupe, opera "sommamente pregiata", è citato il celebre
Ila equivalenza tra l'infallibilità del pontefice e la sovrani-
a neli'ordine temporale, con la sola differenza che "nelle
à temporali l'infallibilità è umanamente supposta, e nella
e del Papa è divinamente promessa"93. Taciute sono
e opinioni del De Maistre sulla "monarchia cattolica"
ode110 .di regime storicamente creato dal papato, e sui

6.3 Page 53

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pontefici come difensori e promotori della libertà italiana. Ma si
trattava di tesi ch'erano come incorporate nell'ispirazione guelfa
della Storia d'Italia.
9. Guelfismo e divulgazione storica.
Introducendo ilsuo lavoro, don Bosco aveva annotato, tra l'
tro, di aver escluso dall'opera "le troppe elevate discussioni po
tiche, le quali ... tornano inutili e talvolta dannose alla gioven-
tu"94. Niccolò Tommaseo, apprezzatore della Storia d'Italia pur
con qualche riserva, ne aveva indicato il tratto più positivo nel
fatto di "riguardare le cose pubbliche dal lato della morale priva-
ta, più accessibile a tutti e più direttamente proficua"9s. La "Ci-
viltà Cattolica" nel 1863 diede della Storia d'Italia un giudizio più
impegnativo:
"Sotto la penna dell'ottimo don Bosco, la Storia non si tramuta in pr
testo di bandire idee di una politica subdola o principii di una ipocri
libertà, come pur troppo avviene di certi altri compilatori di epitom
sommarii, compendii, che corrono l'Italia e bmlicano ancora per molt
scuole godenti riputazione di buoni. Alla veracità dei fatti, alla copia del1
materia, alla nitidezza dello stile, alla simmetria dell'ordine l'auto
accoppia una sanità perfetta di dottrine e di massime vuoi morali, vu
religiose, vuoi politiche"96.
Tra gli avversari coevi di don Bosco, la torinese "Gazzetta del
Popolo", rimarcando l'intenzione dell'autore di promuovere la
diffusione del libro nelle scuole, aveva paragonato il prete pi
montese ad un redivivo padre Loriquets' e si era soffermata co
punte polemiche assai aspre sugli spunti finali della Storia d'lta
che suonavano esaltazione dell'Austna; aveva anche rilevato
forzature e le inesattezze in cui l'autore era caduto narrando i fat
del '48 e la guerra di Cnmea:
"Don Bosco, abusando del nome della Provvidenza per sciogliere
cantico in prosa a Cecco Beppo, era un assai cattivo profeta della camp
gna del 1859.
Ma col sistema storico che egli ha abbracciato gli sarti facile descrivere
ie di Palestro e di S. Martino come solenni trionfi dell'ilustna
'emontesi, e ciò sempre in premio del Concordato!
tona di D. Bosco finisce con quell'inno di lode dell'Austria
e del resto da capo a fondo un panegirico quasi continuo in
si che questo grottesco libretto serva di testo e venga distribu
uole di, fanciulli in Torino.
i abbiamo posto in avvertenza il Ministro dell'istmione, e cred
ra che non occorra altro.
farebbe troppo oltraggio aUa patria, alla verità e al senso morale
menomamente circolar nelle scuole inveremnde turpitudini del
a Storia ditalia raccontata alla gioventù del Loriquet redivivo'98.
cuno dei citati giudizi coglieva soltanto una faccia dell
il suo senso complessivo. In essa, l'uso della narra
a fini esortativi di "morale quotidiana" si sovrappon
enza ingenuo artificio retorico, su un impianto che con
n realtà, un disegno semplice e lineare. La Storia d'Ita
cosa diversa da un seguito di esortazioni morali appoggia
ozzettistica storica, anche se in superficie può dare q
ssione. Per il suo disegno, il libro di don Bosco presen
cco piuttosto netto dai suoi modelli più prossimi, come
Giannetto. Le sue ambizioni, forse in parte incon
no un diverso respiro.
oria d'Italia segnava un punto di passaggio rilevante
- Igazione popolare di una letteratura rigorosamente aue
e della stona nazionale. Si trattava di un guelfismoche
come dato, e non come problema, l'intreccio tra dimens
e" e dimensione "religiosa" così come essa veniva de
ione ecclesiastica; e che respingeva l'idea che la C
subire dinamiche ditrasformazione riformistica.
matrice ideale dell'opera era il tradizionalismo della Re
la compenetrazione diretta tra società e religione, re
iesa, Chiesa e papato99. L'ecclesiologia che la sotten
a impemiata sulla chiesa come paradigma di società org
mata dalla gerarchia: "La Chiesa è la società dei cre
ta dai propri pastori, sotto la direzione del Sommo
; "La Chiesa cattolica è fondata sull'autorità del Som
fice, e si conserva e propaga solo in virtù della fede e

6.4 Page 54

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renza che si conserva a questa autorità e... perciò è cosa della
massima importanza il propagare ed accrescere la fede e riverenza
verso l'autorità del Papa"10'
I criteri di individuazione della reale ed efficace appartenenza al
corpo ecclesiastico, e dunque al
nale, erano determinati a prefe
degli individui, umili o potenti
La Storia d'Italia comspondeva all'acuta percezio
cessità di orientare l'educazione giovanile popolare ve
bile soglia di identificazione tra causa nazimkle e-c
utilizzando l'insegnamentostonco come, veicrilodi-ac
ne, in grado di elevare il "se~nsocomuneh.deila~niOrAaIe
ne generale della stona dotata di una sua logica.:Nel
storia, e delle nazionalità,.don Bosco si.era.accorlo'
tica cattolica popolare doveva scendere' direttame
reno, e contrapporre un proprio modello storie
plice e fmibiie. È significativo che, secondo un
delle Memorie biografiche, don Bosco Gungesse
zione di scrivere la Storia d'Italia in alternativa a
di un Metodo per confessare la gioventùio2. . .
I1 provvidenzialismp che sorregge e guida la
altra natura rispetto, per esempio, a l senso
misteriosa presenza di Dio i cui fini resta
Storia di don Bosco l'azione di Dio è leggib
sua presenza verificabile passo passo; i suoi fini
Il Dio "che atterra e suscita, che affanna e che
maniera scoperta; i suoi interventisono-trasparenti e non.
dar luogo a dubbi che non siano dettati dalla cattiv.Gosci
storia per don BOSCO non è, come aveva scnttoii Tomma
"una grande parabola agli uomini p;oposta daDion103-ene
una metafora: è veramente il campo aperto in cuiDio agi
prima persona. Per questo lastoria d'ftalia:.è. a suo modo un
"Storia sacra"; ma, .a ben guardare, è sololimitatamente un'
di "stona religiosa", almeno nel senso di una storia che
largo spazio a fatti e fenomeni propri della stona del cnsti
mo. Si nota a prima vista lo Scarto che .esistq,Wa Fattenzio
stata alle religioni dei popoli italici primaslell'av~ento.del
religiosi pre- e post-tndentini, neppure per rimarca
o verso, i silenzi comspondono ad un'inespressa convinz
ia, tra fedeli e ribelli. L'immutabifità e la saldezza
e della sua dottrina, fondate sul Cristo e sul suo Vicar
ono esente, in un certo modo, da una propria dinamica s
Chiesa resta nel tempo sempre uguale a se stessa e c
rizza. Ha veduto "i regni, le repubbliche e gli imperi
esto senso, l'intima partecipazionedella stona d'Italia
è soltanto fattore costitutivo della civiltà italica, ma
massimo fattore di stabilità della vita nazionale, in q
roietta in una sfera di immutabile legittimità sacrale.
lizziamoil testo ristampalo in DON BOSCO, Opere e scritti editi ed jne
A. Caviglia,1,Torino 1929. La Storia sacra, scritta per "popolarizzareq
la scienza della S. Bibbia'' si spingeva fino alla distruzione di Genisal
ie sulla stesura e sulle edizioni della Storia d'ltalia si trovano nel Di
vo di A. Caviglia in DON BOSCO,Opere e scritti cit., 111,Torino 1935
a prima edizione fu tirata in 2500 esemplari, messi in vendita a L. 2
produce il testo dell'edizione del 1873-74,che anche noi seguiremo
S.I.). Si veda anche P. STELLA, Don Bosco nella storia della reli
I Yita e opere), Roma-Zuriga 1968, pp. 279 ss.
nia" parlò deli'opera nel n. del 21 ottobre 1856; "La Civiltà Catt
volta nel 1857 (a. VIII, vol. V, p. 482).
ia è riferita nella lettera di don Bosco del m a d a 1863 al mi

6.5 Page 55

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dclI'lntirna Pcrurri rcntta in difcra dclls ,cuule dclI'Ontono: cti. Ep~>lolandol .San
(;iui.<i>,>iiBosro a cura di li. CEKI*, Tonno 1955. I, pp. 269-71: "t. .) Quicta Stona
d'Iu113non libro di scuola U'altrondc io I'ho rcritu invitato dal rninirrru di I'ub-
blica Istnizione (allora G. Lanza), si è stampata sotto i suoi occhi e mi diede un
regalo di fr. 300 alla prima copia che gli ho ponata. Si ristampò già quatuo volte, ma
sempre sotto gli occhi del Ministero, che, non è molto, con decreto speciale la rico-
nosceva, o meglio, la annoverava tra i libri di premio"; analoga affermazione nella
simultanea lettera al ministro della Pubblica Istruzione, M. Amari, riprodotta in
G.B. LEMOYNE, Memorie biografiche del ven. seno di Dio Giovanni Bosco, V, S.
Benigno Canavese 1905, p. 503 (d'ora in avanti Memorie biogrnfiche).
5 Cenni sull'argomento in A. CAVIGLIA, Discorso introduttivocit., pp. LXXII Ss.
Per il periodo successivo all'unità, I. PORCIANII,l libro di testo come oggetto di
ricerca: i manuali scolastici nell'Italia post-unitaria, in AA.VV., Storia della scuola e
s.to~ ria.d'Italia
~~~
~~
~
~~
~
dall'unità
ad
o"s"si.. Bari
1982.
.D.D.
237-71.
6 A. CAVIGLIA, Disco~sointrodutti~ocit., p. LXIII. È noto peraltro che in molte
opere pubblicate con il nome di don Bosco sono presenti mani diverse; il che rende
assai difficileil problema delle esatte attribuzioni.
7 Le ragioni di talune delle varianti e aggiunte sono indicate nella citata lettera ai
Penizzi:"E vero che nelle edizioni anteriori vi erano espressioni da variarsi dopo gli
avvenimenti del 1860, 1861, 1862 e queste espressioni furono modificate come ognu-
no può vedere nella quarta edizione che si è in quest'anno (1863) pubblicata" (Epi-
stolario cit., I, p. 270).
8 Sulle varianti intervenute nelle varie edizioni cfr. A. CAVIGLIA, Discorso intro-
duttivo cit., pp. LXXIV ss. e tavole comparative, pp. CVII-CXII. L'autore tenta
anche di mettere ordine nella numerazionedelle prime edizioni. Ma ora cfr. P. STEL-
LA, Gli scritti n stampa di S. Giovanni Bosco, Roma 1977.
9 S.I. p. 431.
10 Le Memorie biogrofrche, V, p. 503, fanno ammontare a un totale di 70.000 gli
esemplari stampati nel corso dei primi trent'anni. A. Caviglia (Discorso introduttivo
cit., p. LXXXIX) indica in 32 (per un totale di 80.000 copie) le edizioni e ristampe
precedenti la sua, che è del 1935. Va ricordato che l'opera fu anche parzialmente
tradotta in inglese (tip. Longman e Green, Londra 1881), con l'esclusione della parte
relativa alla storia antica e con una singolare avvertenza del traduttore: "Devo anche
dichiarare che siccome l'autore è un prete della Chiesa Cattolica molto zelante, si
trovano sparsi nelle sue pagine molti sentimenti e opinioni che non si accorderebbe-
ro colle nostre idee inglesi e soprattutto protestanti. Io mi tenni giustificato in modi-
ficarle od ometterle secondo il caso" (notizia in Memorie biografiche,V, p. 505).
11 Delle Rivoluzioni d'Italia del Denina si parla con approvazione nel profilo dedi-
cato ali'autore in S.I.. p. 432. Spunti tratti dal Sommario di Cesare Balbo si trovano
specialmente nella parte della trattazione dedicata al Settecento: cfr. A. CAVIGLIA,
Discorso introduttivo cit., pp. XLVI ss.. Le indicazioni del Caviglia sono da corregge-
re e integrare con le osservazioni di P. STELLA, Don Bosco cit., I, pp. 231-32. Sulla
fortuna delle opere storiche di Balbo cfr. ora M. FUBINI LEUZZI, Introduzionea C.
BALBO, Storia d'Italia e altri scritti editi ed inediti, Torino 1984.
12 Cfr. P. STELLA, Don Bosco cit., I, p. 231.
13 Ivi, p. 230. Lo Stella ha rilevato la dipendenza di don Bosco dalla traduzione
curata da G. A. Piucco ed edita a Venezia, 1839 ss., del Coirrs complet d'histoire
raconfdea w enfnnfset a w petrts enfnnts di I . R. LAME FLEURY.
(4 Ivi, con piecisaziani sulla varia paternità (di solito autori della Compamia di
delle opere raccolte dal Caviglia sotto un'unica denominazione di "anonimi
"neo 1832, in 3 voli.
orino 1852 C'Compilatosecondo il programma di Magistero").
I esempio, don Bosco utilizzò per la pane contemporanea gli Annali d'Italia,
inuazione al Muratori, di A. COPPI, Roma 1848; per la storia dei Savoia, L.
R10, Storia della Monarchia di Savoia, Torino 1840.
Firenze-Torino 1848-1853,in 7 voll. Cfr. W. MATURI, Interpretazionidel Risor-
ento, Torino 1962, pp. 255 ss.
Torino 1857 (usci dunque l'anno successivo alla Storia d'Italia di don Bosco).
SL, p. 472.
23 Storia ecclesiasticn, in Opere e scritti cit., 1/11, p. 155
I., pp. 16-17. Già in quest'epoca è riscontrabile, secondo don Bosco, una par-
are "forma =ligiosa" italica: "Conviene tuttavia notare che l'idolatria degli Ita-
' fu sempre meno mostruosa di quel che fosse presso alle altre nazioni; e parec-
almeno nella loro origine, parvero assai ragionevoli. Persuasi che
avesse avere principio da un Essere Supremo, consideravano Giano come il
re di tutti e Reggitore del mondo; e lo rappresentavano con due facce per
re che egli vedeva il passato e l'avvenire" (p. 18). Era il primo tratto che assu-
in don Bosco il "mito" romantico del primato italiano, risalente ad epoca
omana, diffuso dal Platone in Italia di V. Cuoco e poi dal Primato morale e
di V. Gioberti, e sul quale cfr. ora G. BOLLATI, LYtaliano. Il carattere naia-
e come invenzioione, Torino 1983, pp. 62 es.
L, p. 95 (il corsivo è nostro).
tratta della cosiddetta "teologia degli impen", ricavata dalla Bibbia (Daniele,
largamente sviluppata da don Bosco nella Storia ecclesiastica, in linea con
esi e le applicazioni messe in circolazione dal Discorso sulla storia universaledi
suet e largamente riprese nella cultura della Restaurazione (cfr. P. STELLA, Don
co cit., I1 (Mentalità religiosa e spiritualità), pp. 67 ss.).
Ivi, Il, pp. 133 ss.
L, p. 136.
I., o. 139.
3'Altrc fonil riscontrai? da 1'. S i t L L * (Il. pp. 86-67] Tono i ' u p t r ~rcttciintr,ca di
A. M U Z Z . A K ~1L.1I,. Il h,<o>zU > Od<,110l c g i i ~ »zutrriil dt rel~g~otit<d,.el s a v ~ ~ i r d ~
A. hlani ] \\ t I , L'aro,c d,<pr,<l>lrp,dr Plurdti-Polir~hinell~P~m,gi 1851.
fr. in particolare Il cattolico istruito. 1850, parte 11, tratt. 11-13, contro il "gran
ore" fatto dai protestanti e dai "moderni increduli", a proposito del potere tem-
ulla "necessità relativa", cioè "avuto riguardo alle condizioni dei tempi", del
temporale come garanzia di libertà per il ponteficecfr. anche La Chiesa cat-
107

6.6 Page 56

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tolica e la s u gerarchia, Torino 1869.
37 SI., p. 185.
38 S.I., p. 184.
39 S.I., p. 185.
40 Per un inquadramento delle opinioni di don Bosco nel più vasto modo di con-
cepire il potere temporale cfr. P.G. CAMAIANI, Il diavolo, Roma e ia rivoluzione,
"Rivista di storia e letteratura religiosa", 1977, pp. 484-516.
4V.I.. p. 192.
43 L'opera di J. Voigt, "un autore tedesco, e quel che è più, protestante", è ricor-
data nel testo (p.21 1). Ne era uscita una traduzione italiana a Milano, 1840, e un'al-
v a a Torino, 1856.
45 S.I., p@. 247 ss.
46 S.I., p. 253.
47 S.I., p. 261.
4s S.I., p. 290.
49 S.I., p. 307.
50 S I , p. 336.
51 Don Bosco sembra dipendere in panicolare dalle voci Monde e Sciences huma
nes del Dictionnoire de thdologie dogmafique, liturgique, canonique, disciplinai
deli'apologista francese N.S. Bergier, nella traduzione italiana di Milano, 1844-
52 Della Storia del Crisfionesimodi A.E. Bérault-Bercasteldon Bosco ebbe presen-
luglio 1784. Cfr. N. MATTEUCCI, J. Mallet dir Pan, Napoli 1957.
Galileo "in modo tale da fare arrossire il viso d'un cristiano veramente amante de
verità". In difesa di don Bosco, A. CAVIGLIA, pp. 582 ss.
55 SI., p. 371.
$6 S L , p. 373.
~7.s.1.,p. 353.
La Cui Storia delgiacobinismo era stata ristampata in traduzione italiana a Car-
S L , p. 396 (sugli effetti dei moti del 1820-21).
L'esperienza del '48 dovette segnare anche per don Bosco un momento di ripen-
nto, ma è difficiledire esattamente in quale direzione.Secondo una tarda testi-
ianza del vescovo G. Bonomelli, don Bosco gli avrebbe detto: "Nel 1848 io mi
si che se voIea fare un po' di bene, dovea mettere da banda ogni politica. Me ne
sempre guardato e così ho potuto fare qualche cosa, e non ho trovato ostacoli,
dalle posizioni assunte nel '48 dall"'1stmttore del popolo" che si fuse il 2
1849 con "L'Amico della gioventu" di cui il prete piemontese fu gerente
bile (P. STELLA, Don Bosco cit., 11, pp. 78-80). Certamente don Bosco non fu
allo Statuto, soprattutto in quanto esso era rispettoso del principio del
"rifomiaica".
109

6.7 Page 57

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81 S.I., p. 401.
82 S.O., p. 409
83 S.I.. p. 418.
84 S.I., p. 412.
8s S.I., p. 424.
8s S.I.. p. 421. L'immagine delle morti improvvise o violente, come segno della
punizione divina, era, come si è visto, un Leit-motiv della Storia d'Italia; fu un argo-
mento molto usato dalla polemistica cattolica contro le leggi di laicizzazione e contro
gli attacchi al potere temporale, fatto proprio dalla "Civiltà Cattolica" e dalla stampa
intransigente. Lo stesso don Bosco vi fece ricorso, in altre occasioni, intrecciandolo
" . . con la rivelazionedi soeni orofetici: ma su ouesti asoetti cfr. P. STELLA. Don Bo.cco
~
~~~~
cit., I, pp. 138 ss., 11, pp. 90 ss. e tutta l'ultima parte. Un inquadramento puntuale
dell'atteggiamento di don Bosco in un ampio filone di mentalità religiosa si trova in
P.G. CAMAIANI, Castighi di Dio e trionfo della Chiesa: mentalità e polemiche dei
cattolici temporalisti nell'età di Pio IX, "Rivista storica italiana", 1976, pp. 708-744:
dove, a p. 727, si rileva appropriatamente il particolare nnimus con cui don Bosco si
accostava oenonalmente al delicato tema del castieo dei nemici della Chiesa. Va
infine notaio che nella Storia d'Italia i lutti di Casa ~ i v o i anon vengono collegati, per
esempio, all'approvazione della legge sugli ordini religiosi, ma inseriti in una medi-
tazione morale sulla morte eeuaeliatrice: "Terribile esemoio ouesto. che ci ammae-
stra come la morte non badi'n& dignità né a ricchezze; né ad e& la più tenera o
fiorente" (p. 421).
87 Cfr. F. TRANIELLO, La polemica Gioberti-Tnpnreflisull'idea di nnzione e sul
rapportotra religione e nazionalità, in AA.VV., Popolo, nazione e storia nella cultura
italiana e ungherese dal 1789 al 1850, a cura di V. Branca e S. Graciotti, Firenze
1985, pp. 295-315.
8s I programmi di storia prevedevanodi regola biografie di italiani illust" cfr. per
es. il decreto del Ministero Pubblica Istruzione del 9 novembre 1861 cit. da A. Cavi-
glia, p. LXXXIV.
89 Pare su consiglio di A. Peyron che giudicava l'Alfieri uno scrittore "sì guasto di
costumi, di idee cosi perniciose e che ha fatto tanto male co' suoi scritti e colle sue
tragedie": Memorie Biografiche, V, p. 496.
90 S.I.. p. 470. P. STELLA ha individuato una fonte significativadei bozzetti bio-
grafici di Manzonie di Pellico nella Serie a? biografiecontemporanee, per L.C., Tori-
no 1853.
91 S.I., p. 471.
92 S.I., p. 434.
93 S.I..,p. 435.
9' S.I.. o. 11.
,>S.I. p. 10. La rcccnrionr. d! Toniniisco era apparsa suli"'l,titutorr" ifaglia
cbdomadano d'irirurionc C dcgli atti uficiali di csqa) stampato a l'anno, ncl n. del
26 novembre 1859: era rtaia noreja dill'".\\rmonia" ('n. 219 del 1859.1e a.uindi orc-
messa alle successive edizioni della Storia d'Italia.
96 "Civiltà Cattolica", 1862, vol. 111, p. 474, articolo premesso alle successive edi-
zioni della Storin d'Italia e citato anche nelle Memorie biografiche,V, pp. 498-99.
97 Il riferimento era pertinente, poiché don Bosco aveva largamente utilizzato per
la Storia sacra e per la Storia ecclesiastica i manualetti di J.N. Loriquet, tradotti in
no ed editi da Marietti, portanti anch'essi i sottotitoli "ad uso della gioventù?
r. P. STELLA, Don Bosco cit., I, p. 230, 11, pp. 70 ss.
98"Gazzetta del Popolo", 18 ottobre 1859, riprodotto in Memorie biografiche, VI,
G. VERUCCI, La Restaurazione, in Storia delle idee politiche. economiche e
iali, a cura di L. Firpo, IV, Torino 1975, pp. 873 ss.
00 S.I., p. 182. P. STELLA, Don Bosco cit., 11, p. 132, ha notato il parallelismo tra
ta definizionedella Chiesa e quella del Catechismo diocesono torinese del 1844,
ndo cui la Chiesa la congregazione di tutti i fedeli che professano la fede e la
di Gesù Cristo sotto il governo dei legittimi pastori". Ma sicuramente più cen-
è nelle definizionidi don Bosco (di cui si può vedere una silloge non completa
.STELLA, 11, pp. 132 5s.) il molo del pontefice,come Capo Supremo della Chiesa.
eda anche Il caftolico nel secolo, Torino 1883, pp. 163 ss.: "Siccome nei regni
ella terra vi ha un ordine, per cui Si parte da1 sovrano e si discende grado a grado
all'ultimo dei sudditi, così nella Chiesa cattolica esiste un ordine, detto gerarchia
lesiastica, per cui secondo questa gerarchia noi partiamo da Dio, che della Chiesa
p0 invisibile, veniamo al Romano Pontefice, di Lui Vicario e Capo visibile in
a, indi passiamo ai Vescovi ed agli altri sacri ministri, da cui i divini yoleri sono
unicati a tutti i rimanenti fedeli sparsi nelle varie parti del mondo". E d a osser-
e peraltro come in don Bosco sia sempre presente la immagine della Chiesa come
ngregazione dei fedeli" o "dei veri credenti" ecc.
1 Storia ecclesiasficacit., p 504.
2 Memorie biografiche, V. p. 454, secondo cui sarebbe toccato a G. Cafasso
ntare don Bosco alla compilazionedella Storia d'Italia.
Storin ecclesiastica cit., p. 155. I1 passo riproduce pari pari un brano della Storia
esiastica del Loriquet, Torino 1844, p. 129.

6.8 Page 58

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ius est reprehendant nos grammatici quam non intelligant
" è una frase di Sant'Agostino (In Psalm. 138,20) nota a
i studiosi che hanno affrontato il problema di quel latino
are che si stava evolvendo nelle lingue romanze. Ma la mas-
nota anche a San Giovanni Bosco che la ricordava in una
ai salesiani sulla diffusione dei buoni libri
a conclusione di questa lettera deducetela voi col procurare che i
vani attingano i morali e cristiani principii specialmente dalle nostre
ni evitando il disprezzare i libri degli altri. Debbo però diM che
pena al cuore, quando seppi che in alcune nostre Case le opere
ate, appositamente per la gioventù, fossero talvolta sconosciute
e m nessun conto. Non amate e non fate amare dagli altri quella
, che al dire deli'Apostolo inf~at', e rammentatex4 che S. Agostino
scovo, benché esimio maestro di belle lettere ed oratore eloquen-
e improprietà di lingua e la niuna eleganza di stile, al rischio di
teso dal popolo" (Ep. IV, p. 321).
a questo brano, quasi testamentario (reca la data del 19
), che si possono ricavare i principii fondamentali a
don Bosco per quanto poteva riguardare l'uso e l'in-
della lingua italiana2.
mo principio era quello della subordinazione dei valori
ai valori religiosi e morali, e quindi della finalità educativa
'vere e del leggere, il secondo, strettamente tecnico,
to al primo e ad esso più strettamente connesso di quan-
trebbe immaginare, era quello della ricerca sistematica,
a, di una lingua semplice, chiara, precisa, che potesse tra-
113

6.9 Page 59

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smettere con immediatezza il pensiero. A questi due principii don
Bosco fu fedele costantemente e senza il minimo tentennamento
lungo il corso della sua vita, talché il discorso sul problema della
lingua in don Bosco potrebbe qui subito concludersi, se esso non
meritasse di essere approfondito, analizzato nei particolari e visto
nel quadro più generale dell'attività del Santo, che tutti sappiamo
essere stata eccezionale per le energie profuse e per i risultati con-
seguiti.
Sulle finalità educative della lettura don Bosco ritorna più volte:
basterà qui ricordare la testé citata circolare sulla diffusione dei
buoni libri (Ep. IV, pp. 318-321), quanto si legge nelle MB XVII
196-2003 e soprattutto l'iniziativa della "Biblioteca della Gioven-
tu Italiana"4. Ma il problema delle finalità educative della lettura
esula dal nostro assunto. Più interessanti sono invece, nella nostra
prospettiva, le ripercussioni "lessicografiche" delle preoccupazio-
ni morali di don Bosco. Purtroppo gli studiosi italiani di lessico-
grafia hanno sempre trascurato lo studio sia dei dizionari italiani
di tipo scolastico e corrente, sia, ancor più, dei dizionari scolastici
delle lingue classiche, ed è questa una grave lacuna dei nostri stu-
di, giacché questo tipo di repertori per la loro enorme diffusione
- il numero di persone che hanno avuto per le mani lo Zingarelli
o il Campanini-Carboni è incomparabilmente più elevato rispetto
a quella ristretta cerchia di studiosi che utilizzano il Vocabolario
degli Accademici della Crusca o il Thesaurus linguae latinae - ha
avuto un'incidenza sul modo di tradurre dalle lingue classiche in
italiano e sul modo di scrivere in italiano, d i cui non ci si è ancora
resi conto; e nell'ambito di questa lessicografia, che per comodità
chiameremo "minore", don Bosco si ritaglia uno spazio non i m -
levante quale promotore di tre opere di larga diffusione, e precisa-
mente i vocabolari latino, greco e italiano rispettivamente
Durandos, del Pechenino6 e del Cemiti', della cui importanza
era ben consciog. La redazione di questi tre dizionari nasce fon
mentalmente da un'esigenza morale:
"Torniamo alla scuola - si legge nelle MB XI 433-434 -, dove un'altra
categoria di libri vi era da epurare, per renderli inoffensivi alla wstumata
gioventu i Lessici. Vesperienza aveva insegnato a Don Bosco che certe
parole, certe frasi, certi esempi, cadendo anche senza cercarli sotto gli
i dei giovani, ne feriscono le anime e sono incentivi al peccatog. Dal
ento che aveva una tipografiaa sua disposizione,stimò essere giunta
i liberare le scuole da tale sconcio. Don Durando ebbe da lui il
to di preparare i vocabolari della lingua latina, uno piccolo in un
me e uno grande in due; Don Pechenino quel della lingua greca; Don
ti l'italiano. Egli vagheggiava ancora un .&ionano geografico a cura
on Barberis, e un dizionario storico, che assegnò a un alt10 suo colla-
ore; ma questi non furono recati a termine. I tre precedenti invece
o edizioni su edizionilo, né finora si può asserire che abbiano fatto il
empo. Don Cenuti vi faticò fino a1 '79. Don Durando e Don Peche-
che già da lunga data venivano accumulando materiale, regalarono
esto alle scuole il fmtto delle loro fatiche; poichb nel '76 i due volu-
andi del primo e il dizionario greco del secondo correvano già per le
e ginnasiali e liceali. Le tre pubblicazioni incontrarono il plauso cor-
di quanti amavano davvero la cristiana educazione della gioventù.
Cenuti precedette i lessicografi italiani nel dare ospitalità a moltissi-
'ni tecnici, facendo giustizia sommaria degli scmpoli accampati
ti; ma sotto l'aspetto morale, che più di tutto Don Bosco aveva a
Civiltà Caltolica disse quel Vocabolario «una mannanli.
eremo alla fine su questo discorso dei termini tecnici, che
per vani aspetti neli'ottica di don Bosco. Qui vogliamo
come le finalità morali che avevano mosso don Bosco a
e la preparazione di queste tre opere vengano ribadite chia-
ente dal C e m t i nella prefazione al suo Dizionario:
mieramente non è ignoto ad alcuno che se molti ed anche pregevoli
larii furono sinora compilati della lingua italiana, rarissimi però
uelli che dai lato della moralità possano darsi sicuramente nelle
'un giovane costumato, sicché possa questi scorrerli inoffenso pede.
i presentare al lettore una copiosa e vaga scelta di parole e locuzio-
gli conoscere ed apprezzare le dovizie e le grazie dell'
til, sonante e puro,
de' vocabolaristi non pensò punto a levarne quelle che offen-
mente il pudore, o per lo meno lo pongono a tremendo peri-
ppure chi per poco riflette a quel doloroso nitimur in vetitum e
soprattutto l'indole ardente, l'animo appassionato della gioventù
a lasciarsi tradire dalle apparenze esteriori, sa che su questo punto
'oni non sono mai troppe. Ogni scrittore nell'atto di impugnare
ovrebbe seriamente meditare il maxima debetur puero reveren-

6.10 Page 60

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tia di Giovenale, e quel severo, ma salutarissimo precetto che fa poc
dopo nella medesima satira XIV lo stesso poeta:
Nil dictu foedum visuque... limina tangat
Intra quae puer est...
deve stare ancora più a cuore, ed è l'onestà ed il pudore, messi trop
spesso a repentaglio da certe parole o frasi, la cui cognizione è sove
volte il primo passo alla lubrica via di quell'immoralità, che cotanto
deplora nella gioventù. Chi s'intende per poco d'educazione, chi trovasi
ai suoi contemporanei che non pongano giammai fra le mani de' giov
autori pericolosi, ma ne rimandino, per lo meno, la lettura all'età prove
sua gloria, mentre se ne sarebbe avvantaggiata assai nell'onor suo e nel1
moralità de' suoi figli.
pilato in modo particolare per la gioventù, qualunque vocabolo o locu
che fu D. Bosco di sempre cara e venerata mem~ria"'~.
Ma veniamo ora alla concezione che don Bosco aveva del1
la festa di San Benigno: "scrissi il mio discorso in lingua p0
m a pulita" (Memorie dell'Oratorio, cit., p. 117). Per "lingua
don Bosco intendeva una lingua con la quale si potess
O per inciso, troppo spesso rimangono, o rimanevano, incan
nel sentire prediche d i tono alto anche se scarsamente com
, non si capiva niente". E che frasi del genere possano esse
a che lo determinò, quando era ancora giovane chierico,
se scelte stilistiche e linguistiche:
edicai sopra il SS. Rosario nel paese di Alfiano, nelle vacanze d
sua predica fu sopra le povere anime del Purgatorio.
Pelato Giuseppe, e lo pregai a dirmi il suo parere intorno aUa mi
. Avranno capito il mio fratello prete, io e pochissimi altri.
me mai non furono intese cose tanto facili?
, sono tutte cose che il popolo non capisce.
adunque mi consiglia di fare?

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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mente. Invece poi di ragionamenti,teneteviagii esempi, alle similitudimi,ad
apologi semplici e pratici. Ma ritenete sempre che il popolo capisce poco, e
che le verità deila fede non gli sono mai abbastanza spiegate.
Questo paterno consiglio mi servi di norma in tutta la vita. Conservo
ancora a mio disdoro que' discorsi, in cui presentemente non iscorgo più
altro che vanagloria e ricercatezza. Dio misericordioso ha disposto che
avessi quella lezione, lezione fmttuosa nelle prediche, nei catechismi, nelle
istruzioni e nello scrivere, cui mi era fin da quel tempo applicato" (pp.
96-98).
In questa dimensione della "lingua popolare", di una lingua con
la quale fosse possibile comunicare con immediatezza, si inserisce
il problema dell'uso del dialetto e di espressioni dialettali da parte
di don Bosco. Su questo aspetto dello stile e delle concezioni lin-
guistiche del Santo ci informa con dovizia di particolari il libro di
Natale Cenato, Car ij mèfieuj - miei carijiglioli. Il dialetto pie-
montese nella vita e negli scritti di don Bosco, Roma, Libreria
Ateneo Salesiano, 1982. Ma, secondo me, per comprendere il sen-
so dell'uso del dialetto in don Bosco uno degli aneddoti più signi-
ficativi è quello riportato nelle MB V 891, ove si narra che,
"trovandosi una sera in conversazione, non sappiamo bene se presso i
Card. Gande o il Card. Altieri, ed essendo presenti vari prelati, 1'Emiuen
tissimo gli disse: - D. Bosco, ci faccia un po' la predica come è solito a
farla a' suoi ragazzi (...). E D. Bosco tutto tranquillo incominciò: Me car
jieui, e continuò per un po' di tempo a narrare in piemontese un tratto
storia ecclesiastica, intromettendo dialoghi pieni di brio, proverbi e fr
lepide, avvisi, rimproveri, promesse, interrogazioni ed esortazioni a' s
uditori e via via. Quei signori, e per ciò che intendevano e per ciò che no
capivano, incominciarono a ridere di cuore, finché il Cardinale non poten-
done più lo interruppe dicendogli a stento: - Basta! basta cosi"l3.
L'uso del dialetto e, come diremo subito, di espressioni dialet-
tali o di italiano regionale all'interno degli scritti e presumibil-
mente ancor più nella lingua parlata, rispondeva senza forzature
all'uso corrente tra i piemontest - e non solo tra i piemontesi -
nell'Ottocentol4. Dialetto ed italiano regionale, o, come preferisco
dire io, di uso locale, sono due realtà linguistiche vicine ma d
te. Naturalmente la prima è identificabile con maggior imm
tezza e il Cerrato (aiutato anche dagli eccellenti indici delle
Ila voce Dialetto permettono di rintracciare agevolmente
erosissime, spesso argute, notizie su espressioni dialettali usa-
al Santo), ci fornisce ampia documentazione in materia. Più
e ancora aperto rimane, secondo me, il discorso sulla
negli scritti di don Bosco di elementi di italiano regiona-
ei5,cioè di quelle voci non strettamente dialettali ma quasi sem-
, anche se non necessariamente, rispecchianti un modello dia-
ale per quanto riguarda la forma o il significato, che sono pre-
nti nell'italiano parlato e scritto delle diverse areel6.
1Cenato ha esaminato un buon numero sia di voci dialettali
di voci di italiano regionale presenti nell'Epistolario del Santo,
hiarando esplicitamente:
n presumiamo di aver trascritto tutti i piemontesismi reperibili nel-
tolano di San Giovanni Bosco. Ma la nostra raccolta non è solo esempti-
4 perchb include i partiwlari più vistosi ed interessanti" (p. 81).
'esame incentrato sui "particolari più vistosi ed interessanti" è
ttamente coerente alle finalità del libro che, come abbiamo
o, reca il sottotitolo Il dialettopiemontese nella vita e negli scrit-
don BOSCO, ma se si vuole tener presente l'altra, anche se non
tutto Opposta, faccia del problema, cioè quella dell'italiano col-
del Santo, le voci più interessanti sono proprio quelle
'stose~ , au.elle che emerg-ono dal sottofondo oiemontese ma
hanno un aspetto assolutamente italiano e rivelano il toro
dialettate solo ad un esame linguistico molto attento. L'ap-
'mento di questo aspetto della lingua di don Bosco rischie-
portarci lontano e quindi lo rimandiamo ad altra occasio-
uttavia riteniamo utile segnalare alcuni di questi "regionali-
più o meno mimetizzati, che emerg-ono da una schedatura
atica dell'Epistolario e che proprio per la loro apparente ita-
non sono stati registrati dal Cenato, mentre rimane aperto
il discorso sulla lingua delle altre opere del Santo:
ttamento: "Avrei però bisogno che coll'acquisto si potesse
ere l'affittamento o almeno che questo non fosse di molto
durata" (1873, Ep. Il, p. 287)17.
iuntare 'aggiungere': "Ad ogni modo si aggiuntino le cifre
ortate dalla legge Casati" (1870, Ep. Il, p. 92)18.

7.2 Page 62

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annullato 'ridotto a zero': "giunse in tempo che in nostra sa
disputava fin l'ultimo centesimo, essendo annullap le p0
nostre finanze" (1874, Ep. 11; p. 388)'9:
bianchino 'imbianchino': "Le accludo la somma di fr. 311,70
che uniti alle spese, come da nota, fatte pelvetraio, bianchino,
capomastro fanno l'ammontare. di fr. 475, fitto del semestre"
(1854, Ep. I, p. 87120.
bocca (a -)'a voce': "Poi molte altre cose che saprai a bocca la
prima domenica di Quaresima, quando faremo la festa di S. Fran-
cesco di Sales" (1870, Ep. 11, p. 80)2i.
diligentato:"La sua altezza deve essere di quattro metri, quin
con rame di spessore sentito e con lavoro molto diligentato"
(1866, Ep. I, p. 385122.
fardello 'corredo': "Ambidue però non sono in posizione
provvedersi altro che il fardello" (1849, Ep. I, p. 29)23.
funzionare 'officiare': "D'altro canto avvi la chiesa del SS.
Sudano posta nel sito più centrale di Roma, la quale chiusa da
parecchi anni non è funzionata, e va perdendo deil'antico e
mentale suo splendore" (1869, Ep. 11, p. 291, "si obbliga e
di tenere aperta la chiesa e funzionarla" (1870, Ep. 11, p. 8
giugno 1881 tutta la chiesa potrà essere funzionata" (1880, Ep. I1
p. 616)24.
movimento (dar -)'darsi da fare': "Da' movimento: 1' Per
colare a quanto ascenderà ii macinato per tutte le nostre case
suntivamente" (1871, Ep. 11, p. 180)25.
risposta far la -1: "Nasi, Chicco, Cerruti, Belmonte
duno altro mi scrissero lettere che ho letto con vero
tengo sul tavolino per far loro la risposta" (1868, Ep. I,
"Prova mettere ciò in pratica, e poi fammi la risposta" (1
11, p. 471)26.
somministranza: "mi occorrono spese pei maestri, pei lavo
costmzione, per le provviste di scuole e somministranze de
oggetti scolastici"(1856, Ep. I, p. 137),"venne a dirmi
gli fo una notabile somministranza di danaro scaduto
costretto di sospendere i lavori" (1878, Ep. 111, p. 38512'.
taschetto: "Per preparare un taschetto di marenghin
inane no1
"perciò dopo alcuni schiamazzi do
ere berta in sacco" (1864, Ep. I, p. 312)32.
e p o i vu via: ':Lo stato di mia salute continua a migl
alcuni giorni sono travagliato da mal di dente: ma q
"va via" (1846, Ep. I, p. 19)33.
-era largamente usato neil'oratorio da don Bosco
34 ma i tempi andavano maturan
di un movimento politico-cultura
monte neli'Ottmnto. Claudio M
infoka su questo aspetto della storia linguistica pie
che era stato accolto.comeartigiano nell'oratorio s
e~delministrodell'Intemo Luigi Carlo Farini "trov
re.:dell?talia.@iaiunni parlavano italiano".

7.3 Page 63

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"Infatti - continuano le MB - il 13febbraio una deputazionedi artisti
della casa, indotti da chi conosceva le intenzioni di D. Bosco, presentav
a lui che in tempo di ricreazione, dopo pranzo, stava intrattenendosi
chierici e studenti e gli domandò che volesse introdurre neli'Oratono l'uso
della lingua italiana nel parlar famigliare. D. Bosco aded alla proposta
prevedendo che presto si sarebbero introdotti in Valdocco i dialetti di o
regione d'Italia; anzi per gli studenti ne fece un obbligo e all'indomani
n..o-n..-d--i.nr-n.r..l.a.t.o f-~ra~~i eiovani il dialetto ~iemonteseL. a deputazione
composta di Fassino, Roda, Giani, Biletta, Cora e Variolato. Gli artigiani
però smisero ben presto, perché la maggior parte di essi avevan timore
farsi burlare per i frequenti spropositi, e poi loro sembrava darsi i'aria
signoIi"35.
Quest'ultima fase ci fa capire che il passaggio d d sistema ling
stico dialettale a quello italiano fra i giovani dell'oratono no
costituì un fatto definitivo e netto, e ce ne viene conferma dal1
notizia che le MB VI 852 registrano per l'anno successivo:
"il 18 febbraio incominciavano negli oratorii festivi i catechismi del1
quaresima, e il 22 ei dava per fioretto alla Comunità di parlare italian
finoa Pasqua, lamentandosi che più non si parlasse la nostra bella lingu
come egli credeva".
Ancora più avanti la stessa fonte (MB VI1 566) ci informa che
nel 1863,
"D. Bosco ogni sera propose ai giovani un fiorettoda praticare (...). Nel
secondo giorno propose loro di parlare in lingua italiana".
Dal che'deduciamo che si continuava a parlare in didett
anche se non è dato di sapere inquale misura, tuttavia l'opzio
in favore della lingua italiana restava un fatto di alto rilievo n
storia culturale dell'Oratorio, che deve aver avuto consegue
tutt'altro che in~ignificanti~~.
Se in quegli anni don Bosco aveva optato - sia pure con u
opzione che non poteva nei fatti essere piena e assoluta - per
lingua asfavore del dialetto, la sua opzione in favore di una ling
"pulita" e semplice contro la lingua ampollosa di una certa
denza predicatona, risaliva, come abbiamo visto, ad anni m
più remoti, e questa si era stata un'opzione sicura, senza d u
za tentennamenti O ripensamenti, senza incertezze. La preoc-
azione che le persone a cui era indirizzata la parola di Dio non
ro in grado di capire (n'on intelligant populi") quanto veniva
pr0p0St0, fu in san Giovanni Bosco Costante e fu questa
eoccupazione, insieme ad altre di ordine più strettamente dot-
nale, che lo spinse a scrivere la Storia sacra ad uso delle scuole,
me dichiara esplicitamente nelle citate Memorie dell'Oratorio:
na difficoltàgrande si presentava nei libri, percioccbé, terminato il
lo catechismo, non aveva più alcun libro di testo. Ho esaminato tutte
ccole Storie Sacre, che tra noi solevansi usare nelle scuole; ma non ne
' trovare alcuna che soddisfacesse al mio bisogno. Mancanza di popo-
, fatti inopportuni, questioni lunghe o fuori di tempo, erano comuni
i (...). A fine di provvedere a questa parte di educazione che i,tempi
avano assolutamente, mi sono di proposito applicato a compilare
oria Sacra che oltre alla facilitàdella diciturae.oooolarità dello stile
scevra dei mentovati difetti. È questa la ragione che mi mosse a
e e stampare la cosi detta Storia Sacra ad uso delle scuole. Non
garantire un lavoro elegante, ma ho lavorato con tutto il buon
e di giovare alla gioventù" (pp. 184-185)37.
ci informano in più di un passo che il Santo, per assicu-
a comprensibilità dei propri scritti, prima di darli alle
pe li sottoponeva a persone di modesta cultura. le cui reazio-
terminavano correzioni, revisioni, sostituzioni di parole dif-
con parole più accessibili.
studio, diceva D. Bosco - citiamo dalle MB IV 649-650 -, nel
re e nello scrivere fu sempre ed unicamente rivolto a farmi inten-
tutti, sia nella esposizione come nell'uso dei vocaboli più semplici
sciuti. - Egli parlava come scriveva e scriveva come parlava, sem-
migliannente. Per assicurarsidi essere ben compreso da tutti, conti-
area leggere i suoi manoscritti a semplici operai poco istmiti per-
gliene riferissero il contenuto. Un giorno leggendo egli a sua madre
rico di S. Pietro, indicava il santo Apostolo col titolo di gran
. Sua madre lo interruppe e gli chiese: - Clavigero!Dove è questo
D. Bosco avverti subito che quella era parola troppo difficile per
i dalle persone del popolo e la cancellò".

7.4 Page 64

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PmgoNsta di un aneddoto simile è il portinaio Pietro Malan:
"Ei finiva di comporre al Rifugio questo suo caro libretto ce
soprattutto, nello scrivere, la tanto da lui amata semplicità e chi
mento (...). Questo Malan adunque, essendo poco istruito, pure prestava
tutta la sua attenzione alla lettura di D. Bosco, ma talvolta non l'intende-
va. Per esempio ascoltando il racconto di quel giovane muratore graziato
- dall'Angelo, mentre precipitava dai ponti di costruzione, intese che fosse
caduto mentre pronunciava una bestemmia ed esclamò Ben ti sta, con
Dio non si scherza! - D. Bosco rimase sorpreso di questo e di altri equi-
voci del suo portinaio e vedendo che ne era colpa il suo stile piuttosto
elevato, rifece con gran pazienza il lavoro, lo lesse di bel nuovo al Malan,
il quale questa volta capi" (MB 11 270-271)3S.
Pur richiamandosi esplicitamente al "melius est reprehendant
nos grammatici" di sant'Agostino, don Bosco non intendeva però
farsi banditore di una lingua sciatta, o ancor peggio, sgrammatica
ta: la frase agostiniana doveva intendersi soltanto come un rich
mo alla subordinazione dell'eleganza formale del linguaggio
confronti della trasmissibilità del messaggio, m a il rispetto d
aspetto della concezione retorica e linguistica del Santo le
nianze sono ampie ed inequivoche, a cominciare da quella
riguarda il consiglio datogli d a Silvio Pellico:
"Un giorno Silvio Pellico avevalo interrogato se, come scrittore, facess
molto uso del vocabolario. D. Bosco gli rispose, sembrargli di possede
sufficientementela lingua italiana e in mezzo a tante faccende non a
tempo a ricercare i vocaboli. - No, mio caro D. Bosco, continuò Sil
Pellico; non si fidi troppo ed abbia pazienza. Io, veda, non posso scrive
un foglio senza adoperarejl vocabolario, e se lasciassi di consultarlo, no
di rado cadrei in errori. E cosa troppo necessaria per conoscere tutta
cadere in francesismi, in locuzioni latine o anche del dialetto. Segua il m
parere; tenga sempre il vocabolario sopra.il suo scrittoio. Adoperando1
sto poi l'avviso che spesse volte egli dava ai chierici e ai preti della
ngregazione: Usi il vocabolario?- Lo tieni sul tavolino? - Più di
ico me lo ha detto; io l'ho provato: per iscrivere senza errori bisogna
alle mani sempre un vocabolario di pregio" (MB I11 314-315)39.
scaturì una lingua netta, pulita, che meritò
a parte di persone che, per varie ragioni,
erano necessariamente a lui favorevoli:
o,Opere e scritti editi e inediti, Torino, Società Editrice Internaziona-
or merito, in quanto le scuole da lui fatte erano state poche e man-
i, e il mondo Subalpino d'italiano ne sapeva ben poco. E n'ebbe
on solo dai Piemontesi, pei quali fu quasi una rivelazione e ceno un
io; ma anche dai forestieri, come il ministro Amari e il provveditore
cuole. Qui appunto l'autorevole prof. Francesco Pera, insigne edn-
per il quale la lingua era «dopo la religione, l'eredità più cospicua e
di schietto e semplice italiano... Per coloro che a questo studio
della lingua) non attendono, è cosa più spiccia imparare un modo
ure nella sua grande umiltà, che nasceva dalla fede ma
ntà precisa di migliorarsi continuamente, don
timore di rivolgersi per consiglio a persone.più
di lui e a tener conto delle osservazioni altrni. Anche in
o caso le MB TV 652-653 sono fonte preziosa:
esiedeval'assemblea l'Abate AmedeolPeyron, uomo stimatissimo in

7.5 Page 65

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città per la sua scienza e professore di lingue orientali nella Regia Unive
sità di Torino. A suo lato sedeva D. Bosco. Dopo che furono discuss
varie questioni, da taluno venne proposto che si dovessero moltiplicare 1
pubblicazioni di scritti educativi popolari. L'Abate Peyron convenne su
questa necessità, e D. Bosco chiesta la parola si raccomandò a que' sacer-
doti perché volessero aiutarlo nella propagazione delle «Letture Cattoli-
c.h~ ,.~ dim~ostrando come aueste fossero un mezzo dei più efficaciper
opporsi alla corrente di false idee divulgate dai valdesi.
- - - ~ Come D. Bosco ebbe f i ~ t ol',Abate Peyron: - Sta bene, gli disse: io ho
voluto ieeeere attentamente oue' fascicoli: ma se volete che producano un
~
~
buon effetto, procurate che siano scritti con maggio
con meno sgrammaticature, minori inesattezze nei t
pregare le Signorie Vostre, perché vogliano ai
sta impresa. Mi raccomando a loro. Mi dic
correggere, ed io volentieri correggerò. Anzi sarei ben fortunato se t
che fosse più perito di me nella lingua italiana, volesse rivedere gli
suscettibili alle critiche che vengono fatte, in argomenti d'ingegno, sov
tutto quando si è autore, non potrà non riconoscere eroico l'atto di
Bosco nell'accettare quella rimostranza!
E in parte era esagerata e in parte vera, perché alcuni fascicoli o anoni
.o tradotti dal francese de' suoi collaboratori non potevano avere tutti I
~~~
correttezza richiesta da un gusto classico; e per quanto D. Bosco vi aves
lavorato attorno, non poteva purgarli dalle mende quanto avrebbe desid
rato. Ma egli non si difese, non addusse ragioni e continuò le sue Stam
senza disanimarsi"4'.
E questa preoccupazione di essere sempre più preciso e netto
proiettava fin dopo la sua morte, come possiamo vedere dal
disposizioni ultime riguardo alta ristampa dei suoi lavori:
une mie operette furono pubblicate senza la mia assistenza ed altre
la mia volontà, perciò:
ccomando al mio successore che faccia o faccia fare un catalogo di
le mie operette, ma dell'ultima edizione di ciascuna.
qualora sia mestieri di fame una ristampa, ove si scorgesse errore di
grafia, di cronologia, di lingua o di senso si corregga pel bene della
nza e della religione" (MB XVII 265).
me correggeva continuamente sé stesso, così non cessava di
ggere i suoi discepoli e collaboratori, in una costante &cerca
brio tra semplicità, chiarezza e proprietà. Tra le sue istru-
acanze dei chierici del 1875 leggiamo:
citarli a leggere bene. Non sembra vero come tomi difficile il leg-
pubblico wn senso e a tono: per molti riesce malagevolissimo
unziar le doppie, per altri la zeta. L'o poi si pronuncia come fosse u.
fatto progresso in seri studi, saranno già preti o medici o avvo-
hanno da scrivere una letterina a modo, si trovano imbrogliati:
a necessità di evitare errori di grammatica e di scrivere in
chiaro il Santo ritornerà più volte soprattutto nelle lettere ai
mentre da altre lettere o dalle MB ricaviamo alcune
indicazioni sulla sua didattica, oltre a quelle che si possono
re dai brani che siamo andati citando. Anzitutto, conforme-
etodi tradizionali, infelicemente spazzati dalle riforme
ecento, si insisteva ancora sulla recitazione e sull'appren-
emoria, naturalmente, come si può intuire da quanto
vamo all'inizio, di brani di argomento edificante:
to - si legge in MB 111 26 - le scuole dell'oratorio prosperava-
rcizio della declamazione, e poi il canto e la musica entravano nel
gramma, e D. Bosco intendeva che contribuissero alla educazione
sa e morale dei giovani. Quindi allorché per utile sollievo procurava
ccasione di recitare, o alla presenza di insigni personaggi che visi-
l'Oratorio, ovvero in saggi scolastici per dar prova della loro istni-
oteva che vi esponessero i principii e le massime di nostra santa

7.6 Page 66

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fede, o poesie che riguarda
legi e le glorie della SS. Vergine, o alcuni fatti della Santa Scrittura. Ass
gnava egli stesso ai giovani più istruiti ciò che dovevano imparare
memoria, loro insegnava il modo di recitare, e per animarli prometteva
regalo".
La scuola di don Bos
"Interrogarli molto sovent
leggere, adespone!' scriveva il 9 aprile 187
tello (Ep. II,.:p. 4'1),;mentre il cqncetto defla necessitàdi legge
&olt6..:rit&ain un:&nsiglio che egli dava ai suoi ,allievi ne
-187743: ' :',
* .. - . .
- ~
.
~ n u f t i & o & ~ p e t t o . ' d e i l ~ lei nde~lulaavi
B-c;.~ +&$o":delia .,te$minoiogiatecnica, aspetto tutt'altro
~cona&o,d&tal'importatizdiell'opera del Santo e dei suoi
cessan' nel seitgre detl'istmzione professi
che::+ungo.tutto il corso
ultimi decenni; si,presta a q
almenoun:paio di volte, nell'i
mia Bibliograftadei dizi-ari specia
Firenze, Olschlti; '1973 e nel capitolbda me curato sull'Ott
( ~ ' ~ t t o c ~ t o ' $ n o aeI pf u~b~bl~icai t~oa~llje pp. 2
mé Una' [ingu&per tutti: .L!italiano, a cura di
Tonno, ERI, 198Q.:I1ì.quest'ultimo
come &-nel :1;842.Ilfacchinodi
in ..mancanzadi scuole-tecnichecome potranno
~i nelle'relative .m'&erie o .aimeno-come.si
occupare per-iniziarsi allestesse, per appro
toro tem.$.e famigliarizzarsi collinguaggio s
mo ricordato l'importanza che ebbero per la diffusione delle
ininologie tecniche i ':Manuali Hoepli", la cui pubblicazione e
- inizio nel ,1875.
:In san Giovanni Bosco il problema non appare
mi risulta differenza di quanto ci si potre
re; tuttavia va ricordato che almeno in un
unità di misura,' san Gio
~uovi.:sistemi e -le nuove jte
v o l m e f t o Il sistema metrico decimale ridott
i28
O dalle quattro prime operazioni dell'aritmetica a d uso degli
iani e della gente di campagna, edizione seconda, Torino,
Paravia e Comp., 1849, che è un esempio tangibile della
capacita divulgative del Santo e del suo senso pra-
roblema viene invece affrontato, almeno programmatica-
uo allievo, il Cemti, che nella prefazione al Nuovo
'O della lingua italiana - cito anche questa volta dall'edi-
io abbia potuto consultare
richiamato l'importanza dei "vocaboli riguardanti
so ogni di più necessa-
ia con le straniere nazioni,
o incremento delle conoscenze umane e da quella
sità che tutta omai invade la vita pubblica" (p.
aver inserito nella propria opera oltre ai "nuovi
a parlata, bollando però debitamente quelli
hanno una legittima approvazione", "quei vocaboli
ti le arti ed i mestieri, che l'uso di autorevoli scrittori ha
necessaria da una consue-
poter valutare appieno Yapertura" del Cemti verso un
non strettamente letterario sarebbe indispensabile operare
onto non solo fra le diverse edizioni del Nuovo dizionario
tespizio dell'edizione 1910 leggiamo ad esempio "Edizio-
vissima aumentata di parecchie migliaia di voci e di modi
lingua viva") ma anche e soprattutto fra il Nuovo dizionario
altri aliora correnti45;tuttavia un controllo a campione di
del Dizionario del C e m t i (edizione 1910) nel Nòvo
niversale della lingua italiana del Petrocchi (Milano,
s, 1884-18911, cioè nell'opera che conclude la grande tradi-
a, ci ha permesso di
nti voci mancanti nel
uramente esemplificativo:
'(V. deli'uso) termine burocratico per Somma neces-
Danaro occorrente per tutto un anno ad un'amministrazio-
due milioni" (la voce era
puristi dell'Ottocento).
129 .'

7.7 Page 67

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legittimismo "dottrina della legittimità, quella in ispecie che
sostiene il diritto ereditario al trono escludendo qualunque pnnci-
pe eletto in diversa maniera (v. d'uso moderno)".
marmitta o pentola papiniana "pentola di bronzo o di ferro con
ma sarebbe stata attestata solo dal 1932).
mollette "arnese per (...) cavare e ripiegare nelle pagine i cara
teri da stampa" (significativa la presenza di questo termine tecn
co della tipografia nell'opera d'un salesiano).
municipalismo"(voce deli'uso) soverchio attaccamento ai pnv
legi municipali con iscapito dell'interesse nazionale".
lo Zingarelli, del quale ho pur avuto occasione di dire che "
nuto) nascevano più che da un compromesso fra diverse esig
dall'equilihrio tra l'opportunità di una lingua propria e corret
le necessità di una lingua che fosse anzitutto strumento di co
di concretezza46.
ove strade alle soluzioni novecenteschedell'annoso e non anco-
iarsi un suo non trascurabile spazio.
enco delle sigle più comunemente usate:
=Memorie biografichedi don Giovanni Bosco, raccolte dal sac. salesiano Gio-
Battista Lemoyne. Ediz. extra-commerciale, voll. venti, S. Benigno Canavese,
=Centro Nazionale per il Catalogo unico delle biblioteche italiane e per le
zioni bibliografiche. Cutnlogo cumuiativo 1886.1957 delBoIIettino deilepub-
ni italiane ricevuteperdirittodi stampa dalla Biblioteca Nazionale Centrale di
e, Nendeln (Liechtenstein), Kraus Reprint, 1968-1969.
=S. Giovanni Bosco, Epistolario, per cura di D. Eugenio Ceria, Torino, Società
e Internazionale, 1955.1959,
iaini = ATTILIO PAGLIAINI, Calalogogenerale della librerra italiana, Nendeln
enstein), Kraus Reprint, 1964-1967.
'Albino = VITTORIO di SANT'ALBINO, Gran dizionario piemontese-italiano,
, Unione tipogmfico-editrice, 1859.
.entia inflat, caritas vero aedificat" (1 Cor. 8,l).
n Bosco stesso aveva insegnato la lingua italiana a due suore che conoscevano
o la francese (cfr. nota del Ceria in Ep. I, p. 372) e insegnava a leggere e a
e ai ragazzi delle scuole'domenicali, che si dovevano preparare alla confessio-
comunione, come leggiamo in MB I1 556: "Per ritrarre un pronto e più sentito
eva il piccolo Catechismo della Diocesie sopra di esso li faceva esercitaresino
o che fossero capaci di leggere una o due delle prime domande e risposte, e
assegnava poscia per lezione da studiarsi lungo la settimana. ia domenica
ssiva si ripeteva la stessa materia, aggiungendoaltre dimande e risposte, e cosi
ento, perché altrimenti i più adulti ed ignoranti avrebbero dovuto passare dei
prima di essere abbastanza istrniti per fare la Confessione e la Comunione".
'insegnamento del lmere e scrivere, utiie in sé ma subordinato all'educzuione

7.8 Page 68

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prove delle scuole domenicali riuscivano vantaggiose a molti, ma non bastavano
perciocchénon pochi, perché di tardissimo ingegno, dimenticavano affattoquanto la
domenica prima avevano imparato. Furono allora introdotte le scuole serali che,
cominciate al Rifugio, si fecero con maggior regolarità in casa Moretta, e meglio
ancora appena si poté avere abitazione stabile in Valdocco. Le scuole serali produce-
vano due buoni effetti: animavano i giovanetti ad intervenire per istruirsi nel1
teratura, di cui sentivano grave bisogno; nel tempo stesso davano grande opport
per istruirli nella religione, che formava lo scopo delle nostre sollecitu
3 In particolare: "Si cerchi, disse [don Bosco], di allontanare dai nostri allievi ogn
libro proibito, quand'anche fosse prescritto per la scuola. Molto meno tali libri
pongano in vendita. Quando Don Bosco scriveva la Storia d'Italia aveva fatto un p
di biografia dell'Alfieri e citato qualche tratto di autori proibiti. Ma il celebre profes-
sore Amedeo Peyron, che aveva esaminato il manoscritto, mi rimproverò dicend
mi: Non nomini mai autori proibiti, perché se li nomina mette ai giovani la voglia
leggerli; li lasci nell'oblio. Casi noi dobbiamo fare: non introdurre, non citare, n
nominare autori proibiti. Si farà un'eccezione, ma solamente per coloro che debbon
presentarsi ai pubblici esami; ma anche in questi casi si faccia uso di edizioni purga-
te. Ma gli autori proibiti anche purgati non si mettano in mano ai giovani che sono in
altre classi inferiori.È un destare in loro la fatale curiosità di verificare e confrontare
le correzioni con l'originale. Così pure si vada adagio a parlarne; per esempio, volen-
do esporre qualche tratto di storia letteraria, si eviti di farlo senza che ve ne sia
necessità. I direttori e i professori che dovessero per caso averne qualcuno, lo teng
no sotto chiave. lo non pensava che ci potesse essere tanta smania di leggere lib
proibiti come c'è adesso; come pure la smania di perdere il tempo e rovinami l
con i romanzi. Si leggano e si diano a leggere preferibilmentele vite dei nostri
come pure tutti i libri delle Letture Cattolichee quelli della Biblioteca della gioven
usino in questa circostanza libri allettevoli, ma d'argomento piuttosto sacro od
tico. Incominciereidalle biografie dei nastri giovanetti Comollo, Savio, Besucco.
continuerei con quei libretti delle Letture Cattolicheche trattano di religione; fini
colle vite di santi, ma scegliendo le più attraenti ed opportune" <ME XVII 199)
- 4 " 3 settembre [l867]. martedl. D. Bosco, addolorato alla vista dell'imme
male che si va facendo specialmente fra la gioventù studiosa per mezzo della le
dei cattivi libri, formò il progetto di fare un'associazione di libri buoni e cla
,
stampandone uno per mese e purgandone alcuni e di altri dandone solamente squar-
ci; e nel giorno d'oggi andò &l Prof. D. Picco Matreo, personaggio pio e mal
pratico di gioventù e di libri, per maturare con lui tale progetto" (ME VI11 927).
Nel programma della "Biblioteca della Gioventù Italiana", pubblicato in MB I
429, troviamo ribadite le finalità morali del programma ("Noi giudichiamo bene
omettere in parte ed anche affattoquegli autori comunque accreditati,i quali conten-
gono materie offensivealla religione o alla moralità"), ma anche spunti interessati
per comprendere il problema della lingua in don Bosco:
"Per riuscire in questa impresa fu instituita una società di benemeriti celebri pro-
fessoti e dottori in lettere, i quali si propongono
i raccogliere e pubblicare i migliori classici della nostra lingua italiana ridotti
ografiamoderna, affinchési possano meglio leggere e comprendere dal giovane
ascegliere quelli che per amenità di materia e purezza di lingua gioveranno
- Lexicon latiiio-italicuma Coelestino Durando in usum scholanim concinna-
. Augustae Taurinomm, ex officina Asceterii salesiani, 1872 ("È un nuovo Les-
o latino ital. che ci vien da Torino; donde non ha molto ci venne pure il famoso
del Vallauri. E scolare del Vallauri è pure il compilatore di questo che ora
iamo, e dal Vallauri stesso animato a intraprendere questa fatica. Essa fu
almente diretta a fornire ai giovani che studiano nei Ginnasii e nei Licei tal
ssico latino, che bastasse largamente a ogni loro bisogno, e mettesse in loro mano
nsieme i frutti più scelti degli studii dei moderni filologi. E questo intendi-
o è raggiunto. I1 Lessico del Durando è ricco, quanto i migliori, senza essere
sso, infarcito di tante cose inutili, e non appartenenti all'aurea latinità. Vi è
giunta un'Appendice, disposta per ordine alfabetico, delle principali sigle epigra-
he, che aiuta molto i giovani a leggere e comprendere le iscrizioni latine": "La
viltà cattolica", anno XXIV, serie VIII, vol. IX, 1872, p. 581). - DURANDO pro[
ELESTINO. Vocabolario italiano-latino, compilato ad uso delle scuole. Torino,
ell'Oratori0 di S. Francesco di Sales, 1876 ("Lo scopo che si propose il ch.
fessore sac. Celestino Durando, dell'Oratorio Salesiano di Torino, nell'ordinare
nuovo Dizionario per le scuole secondarie, fu di offrire alla gioventù studiosa
pera la quale, evitando le pecche dei lessici finora adoperati, e non eccedendo in
le, potesse ad un tempo accontentare e gli scolari ed i maestri. Questo scopo ci
re abbia egli raggiunto e nel Lexicon latino-itnlicumda noi e da molti giornali nel
72 encomiata, e più ancora in questa seconda parte del suo lavoro, che contiene il
abolario italiano-latino. Chi ha una qualche pratica di cosiffatti libri di leggieri si
ede essersi il compilatore pnidentementegiovato delle fatichedi chi lo precedette
difficilecompito, ma avere insieme riempiute le lacune che negli anteriori lessici,
cendo dalle due lingue, lamentavano i discenti. Ogni uomo assennato poi vorrà
do particolare render merito al valente e modesto filologo dell'Oratorio Sale-
, di avere, coll'accortezza propria di un savio educatore, cassato onninamente
suo Vocabolario quelle dizioni e voci, le quali, inserite nel corpo di un Lessico,
lo amcchirebbero che a spese del decoro e della morale. Il Durando, a rifaci-
t0 delle tolte lordure, ci diede una copiosissimaappendice di nomi geogiafici; ed
osto intercalò bei fiori di lingua e tutte quelle peculiari maniere di dire che
i addicono a significare le cerimonie, i riti religiosi, le cariche civili e militari
scoperte dell'età moderna. In questo egli fece suo pro degli scritti immortali di A.
ano Morcelli, del Boucheron e segnatamentedel suo venerato maestro Tommaso
ann, al quale, com'ei si esprime nella prefazione, «nessuna negherà il vanto di
e più avanti che ogni altro in significare colla lingua di Livio e Cicerone i tra-
enti delle arti e della odierna coltura»" ("La civiltà cattolica",anno XXVII,serie
01. IX, 1876, pp. 599-600).
ndosi, come si diceva, di opere scolastiche, il Vocabolario del Durando e
el Pechenino e del Cemti non sono stati conservati se non eccezionalmente
e biblioteche e sono mal documentati nei repertori bibliografici, e non è quindi
e ricostruirne nei particolari la fortuna editoriale. Tuttavia, riservandoci di tor-
in altra occasione sul problema specifico della lessicografia salesiana, ci pemet-
di segnalare, provvisoriamente, le altre edizioni e ristampe del Durando (e

7.9 Page 69

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-nelle note succesrive degli alt" due dizionari), di cui siamo a conoscenza:
ediz. quinta "accresciuta ed emendata", 1887-1888 (CUBI 210807; un esemplare
nella mia biblioteca privata).
- ediz. undicesima, 1896 (Pagliaini).
- 1897 (CUBI 210808).
- ediz. ventunesima, 1906-1907 (Pagliaini).
- 1934 (Pagliaini).
Del compendio, uscito col titolo di Nuovo vocabolario Ialino-italiano e itnlia
latino..., conosciamo un'edizione settima, 1892 (CUBI 210792), trentesima, 19
(Pagliaini), 1924 (Pagliaini) e 1933 (CUBI 210791).
6 Vocabolario ilaliano-grecopel sacerdote teologo Marco Pechenino professore ne
R. Ginnasio Cavour. Torino, tipografia e libreria Salesiana, via Cottolengo n. 52
In una lettera del 25 ottobre 1884 al Comitato Esecutivo delPEsposizione Nazio-
di Torino, ricordava, tra le più rilevanti attività della Tipografia salesiana "La
ensuale pubblicazione dei Classici Italiani purgati ad uso della gioventù e scienti-
- l891 (CUBI 143756).
- 1902 (CUBI 143757).
- 7 4 migliaio, 1909 (Pagliaini).
- 86' migliaio, 1910 (biblioteca privata di P. Zolli).
- 91' migliaio, 1913 (biblioteca privata di P. Zolli).
- 1920 (CUBI 143762).
- 1921 (CUBI 143763).
- 1923 (CUBI 143764).
134

7.10 Page 70

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cristiani, e dalla ripetizione di questi atti quegli abiti di vinù soda, profonda, vi
rosa, in una parola cristiano-cattolica davvero e non solo alla superficie. Chi op
diversamente, non educa, ma guasta; non edifica, ma distrugge; non esercita,
tradisce la sua missione" (PP. 7-81,
risposta; poi risero, si congratularono e applaudirono ad una lingua nuova in
omazia". E del resto risaputo come il piemontese o espressioni piemontesi fosse-
ava con napolitana familiarità, chiamandoli per nome, parlando in dialetto,
gsiandoli e riprendendoli all'occorrenza" (I, pp. 107-108), "Non parlava bene
il dialetto napoletano e il siciliano e la lingua francese, e il suo pensiero non
ava più fedele manifestazioneche nel linguaggio dialettale,e il suo italiano era la
uzione di quello, e però non spontaneo, né arguto, né vivace e assai meno imma-
so" (I,P. 196),"Parlavano tutti, Re, figliuolie cortigiani,il più puro e accentuato
tto; il Re imitava i siciliani nel gergo e nelle movenze e la regina non aveva
arato I'italiano, ma parlava il dialetto, storpiandolo curiosamente con la pronun-
edesca, e con la mancanza assoluta delperre" (I, p. 199) ecc.
arda i piemontesismi negli scritti di Don Bosco, il secondo le voci e gli
ttali dei suoi primi discepoli. Di questi due argomenti, che richiederebbe-
no tutte le lingue, eccettuata l'italiana. D. Bosco sedeva in faccia al Conte, il quale I
interrogò in buon piemontese se avesse in quel mattino udita la musica della cappell
pontificia, quale giudizio si dovesse dare sull'abilità dei cantori romani: se fos
lui piaciuti gli strilli di qualche soprano, e certe voci squarciate di alcuni bas
Bosco, disinvolto ad alta voce, gli rispondeva nel linguaggio di Gianduja con
proverbi, frizzi, paragoni in proposito. E ambedue proseguirono alquanto di qu
piede snocciolando le parole più strane, e le meno intellibili per gli stranieri,
proprio dialetto. I convitati stavano attenti con occhi sbarrati e orecchie tese, e
- - come nessunoconosceva questa lingua, domandarono al Conte da qual nazione
parlata. I1 Sanscrito! risposesolennemente.Tutti sulle prime rimasero Stu
stacoli alla comunicazione e alla comprensione.
ent "Locazione, allogazione, appigionamento, affitto" (Sant'Albino). Già
l'italiano dei piemontese Giuseppe Baretti (cit. in S. BATTAGLIA,Gronde
ontè nel Sant'Albino. Attestato, se pur raramente, anche nell'itaiiano d i altri
fr. BATTAGLIA, op. cil.).
ulà "Anullato, annichilato, annientato, ridotto al niente; estinto, distrutto"
no, Libreria d'Educazione e d'Istruzione di Paolo Carrara, 1877).
"Dio Ciamè a boca. Dire o richiedere a bocca, a viva voce, cioè di presenza,
nzialmente" (Sant'Albino). L'espressione è usata anche in italiano antico.

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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(Sant'Albino).
21 ~ ~ ~ d ~ dl on' or~a. Q~uegoli a~rne~si, adbiti~o a,ltro, che oltre la dote si danno
alla sposa, quand'ella se ne va a casa del marito" (Sant'Albino).
24 ~o,,ssionè"Adempiere qualche funzione pubblica o religiosa; e per 10 più ce1
brare (assoi~tam.);cioè dire o cantare la messa o il divino uficio" (Sant'Alblno).
~ ~ t t a g l i ~c,it, ne riporta esempi da autori settentrionali quali Nievo e De Mar-
chi.
2s D~~~~o desse d' moviment "Darsi o non darsi briga di checcbessia'
(Sant'Albino).
26 Fe la resposta "Dare o fare la risposta, rispondere" (Sant'Albino).
27 soministranssa "Somministramenta, somministrazione. L'atto di somministra-
re" (Sant'Albino).
2s raschet, tarcheta '<Taschetto,tascbetta. Sacchetto, saccbettino" (Sant'Albino
29 ~~t~ la luna o aveje la luna "Montare la luna, far la luna, sonare a ma
averei ~acchionoi i bachi, aver le patumie, porre o piantare una vigna. Si
sia alquanto alterato, sopra pensiero o di mal umore" (Sant'Albino s.v. b
IO ~ ~com ptilat an~t e1suqscipiat~"Esservi come i1 finocchionella salsiccia;
per ripieno; o come disse uno scrittore fiorentino: averne tanta parte quanta ha
~ ~ ~in par~adiso,~dalfelsseml i in iun lu~ogo s~enza autorità alcuna" (Sant'Albi
pil~t).Dev'essere nata da questa la meno perspicua espressione lasciare
pilato
il s~scipint,che troviamo in un'altra lettera di san Giovanni 80s
ricevuto la lettera che il conte Borromeo mi ha scritto sull'ex-sindaco
vign&: lasciamo che Pilato reciti il Suscipiat" (1868, EP. I, P. 531).
11 fam a fa surtifina e1 /uv dant la tana "La fame caccia il lupo dal bosc ,
bisogno fa trottar la vecchia" (Sant'Albino S.V. /uv).
12 ~ ~berla è ~ ~ "cChihudersi o cucirsi la bocca, far silenzio, ammutolir
(Sant3AlbinoS.". berfa).
13 A ('2 roba secn e peui o va via "Si dice schea. e vale, è cosa naturale, C
passa .,ia tosto" (Sant,Albino S.". sechè). Risente dell'uso dialettale anche la tenni
zione in
che troviamo in chiedcottoe seminariotto: "Dimani pel vapore d
10 sono da lei con un chiericotto segretario per doppio scopo" (1853. EP., 1, P.
c'speriamo c~ll'andaredel tempo di fame un chiericolto ed un Prete +e guada
anime al signore" (1868, Ep. I, p. %O), "tenterò la via di un seminanotto, ove
qualche ingerenza" (1856, Ep. I, PP. 126-1271.
16 Cfr. Cerrato, op. cit., pp. 19-22 e bibliografia ivi riportata.
3s ~ 1da1ta d~el 27 novembre dello stesso anno le MB VI 787 registrano: "D.Bos
consigliò a tutti i giovani, anche artisti, di usare parlando, la lingua italiana".
16 Cfr. anche: "Nei primi tre anni [a partire dal 1862, don Giovanni Caglier
seguendo la consuetudine generale in Piemonte, predicò in dialetto; ma poi usò I
lingua italiana,
D. BOSCO prescrisse che nell'Oratorio fosse escluso il dialetto
(MB V11 309).
17 '*rnquesto volume di circa duecento pagine, editodalla Tipografia Speiran
pemero,egli esponeva i fatti più importanti della Bibbia, con 1nia. Pu%ata, !n fo
ma piana, con chiaro, come fu poi sempre la caratteristica in tutti 1 suo1 I
sicché i fanciulli non penassero guari ad intenderne la narrazione e a ntenerl
memoria" (MB 11 393).
18 cfr. anche: '..A.un tempo stesso, nella sua umiltà, anziché aspirare ad acquis
di valente e forbito scrittore, fornito come era di buoni studii, attese in modo
ciale ad usare sempre grande semplicità di stile nello scrivere i suoi libri. Gli
meva anzitutto di far bene comprendere, anche ai più rozzi operai e alle donnic-
ole del volgo, le verità di nostra santa Religione, muovendo i loro cuori verso Dio.
raggiungere questo fine, scritte alcune pagine, prima di darle alle stampe, usava
erle a persone poco istruite, facendosi poi dire se le avessero intese. Se risponde-
negativamente per questa o per queil'aitra frase o parola, o concetti troppo
ssici O difficili,egli ritoccava, correggeva, modificava, rifaceva gli intieri periodi
più volte, fino a che fosse persuaso che capivano tutto. Casi poté conoscere la
a tenersi per farsi comprenderedalle penone idiote, eziandio predicando (...). Il
revisore de' suoi libri, narrava D. Angela Savio, fu il portinaio del Convitto
iastico" (MB I1 193-194) e "L'umiltà guidava sempre i suoi passi, e andando al
Ecclesiastico per istudiare e scrivere, consegnava i fogli della Storia Sacra al
perché li leggesse; e ritornando si faceva dire se ne aveva capito il senso. In
rari0, rimaneggiava il lavoro, rendendosi ancor più semplice e popolare"
. anche: "Sovente li [=gli allievi] addestrava a scriver lettere ritenendo che il
le convenientemente non è cosa delle più facili. Nello stesso tempo esortavali
e nei loro scritti la semplicità di stile, ma li avvertiva che questa semplicità
re fmtto di lunghi studii sui classici; e loro ne proponeva alcuni perché
e Ii meditassero. Ripeteva loro l'avviso datogli da Silvio Pellico di tener
a il tavolino i1 vocabolario e di non stancarsi, usandolo continuamente
nello scrivere una chiaremainvidiabile e che, qualora il Signore li chia-
Stato ecclesiastico, le loro prediche da tutti sarebbero state intese e perciò
e al popola" (MB IV 634).
ellato dal Santo: "Intorno alla lingua e allo stile [della biografia di Dome-
vi ha ella trovato qualche difetto a correggere?", il provveditore France-
spandeva:"Di questo no: anzi vi ho scorto purezza e proprietà di lingua,
facile e popolare" (BM VI1 324).
anche: "Malgrado le sue cognizioni storiche, geografiche, letterarie, allor-
aveva mandare alla stampa qualche opera, e anche qualche scritto di minor
ali sempre a rivedere a persone dottein letteraiuta e scienza, cornea Silvio
professore Amedeo Peyron, al Pro6 Matteo Picco, dicendo loro che gliene
giudizio e che li correggessero come credevano meglio. Riceveva quindi
ai allievi con viva gratitudine. «Alle volte, dice Mons. Cagliero,si abbas-
ar esaminare da alcuni di noi i suoi opuscoli e le lettere da pubblicarsi e
i ai benefattoridelle sue opere». Quando poi ebbe de' suoi figli laureati in
dava a loro l'incarico di correggere i suoi scritti, ed accettava con tutta
riconoscenza le loro correzioni, persino quando non fossero state troppo
o non sempre ragionate e conformi alle opinioni dei migliori auton; e
lora non chieste. E se talvolta non si facevano correzioni se ne lagnava,
he, per rispetto verso di lui, si fossero omesse" (MB N 650-651). Si ha
iò in una lettera del Santo a don Giovanni Bonetti del 15 gemaio 1875:
onetti, ho bisogno che col tuo occhio di lince, e col tuo sagace ingegno
a occhiata a questi scritti [probabilmente il fascicolo delle Letture cattoliche
t0 Maria Ausiliatrice col racconto di alcune grazie, ecc.] prima di stamparli.
i lascio alla tua responsabilità. Procura che la pietra pomice non solo lisci il

8.2 Page 72

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legno, ma lo digiossi e poi IO pulisca. Capisci?" (EP. 11, P. 442). Metterebbe cont
esaminare con attenzione in che misura i “revisori" di don Bosco siano intemenut
,,,, sui testi che il santo sottoponeva loro. Per quanto riguarda La storia d'ftolia ci offre
intenssanti e ad tempo sconcertanti indicazioni Alberto Caviglia nella prefazione
alla sua &=ione dell'opera (in G. BOSCO, Opere e scritti editi e inediti, Torino,
società ~ d i t r i i eInternazionale, 111, 1935, PP. LXXXIV-LXXXIX).

8.3 Page 73

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8.4 Page 74

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dalle amministrazioni comunali o gestite da enti morali diversi o
da singoli professori legalmente abilitati. Le classi appartenenti a
tale indirizzo erano cinque: la Grammatica, che durava tre anni,
l'Umanità di un anno, e la Retorica, pure di un solo anno; a que-
sta classe seguivano i due anni di Filosofia.
Oltre all'indirizzo classico, propedeutico agli studi universit
erano previste scuole speciali o tecniche, che dopo il corso e1
mentare preparassero alle professioni.
Questa legge organica sull'ordinamento scolastico piemonte
rispondeva a un disegno assai più ampio, presente anche in alt
interventi legislativi, che tendeva a ristrutturare l'intera società s
fondamenti "laici", sebbene non irreligiosi.
Su questa linea il Governo piemontese prosegui la sua azione
con interventi destinati a limitare l'intervento della Chiesa
campo scolastico. I1 metodo che il Governo usò fu quello dei "
ti compiuti", risolvendo di autorità e unilateralmente quest
che in forza di principi giuridici e del Concordato, la Santa Sede
riteneva avrebbero richiesto una trattativa bilaterale.
Cosi nel dicembre 1848 si dichiarava cessata nell'Università
Torino e nella stessa Facoltà di Teologia ogni ingerenza dell'A
vescovo con la conseguente reazione di alcuni Vescovi, che in
dirono a chierici e laici la frequenza della Università. Nel 1
Giovanni Lanza con la circolare del 29 giugno scriveva che d'o
innanzi anche l'istruzione impartita da associazioni religiose d
veva uniformarsi in tutto, e in tutte le scuole, alle prescrizio
delle leggi vigenti.
Una maniera per uscire da questa situazione era quella di p
cedere seguendo lo stesso metodo del Governo: la politica
"fatti compiuti", pur nel rispetto della legislazione. Ed è quel1
che fece don Bosco, che "si muoveva dalla convinzione radica
che non bisognava né rinunziare ai diritti civili, né muoversi fuo
dell'ordine legale"2 e che si trovava allora quasi solo a sostenere
sua opera appena avviata. Per poterla continuare l'unica soluzio
possibile gli parve quella di educare e di instradare alcuni giova
che ne avessero le attitudini, alla vita ecclesiastica, per poter re
lizzare i suoi progetti.
I regolamenti del Seminano di Torino (come di altri Semina
ettevano che singoli studenti o gruppi di studenti abitassero
rove, pur frequentandone i corsi: vi erano studenti presso l'ope-
del Cottolengo(i Tommasini) e presso l'oratorio di San Filippo
n. Cosi anche don Bosco nel convitto creato per favorire gio-
' particolarmente bisognosi di una formazione professionale,
olse chierici o ragazzi intenzionati ad intraprendere gli studi
siastici. A questi ultimi fece scuola lo stesso don Bosco fin
gli anni successiviegli chiese la collaborazione di due profes-
che già tenevano in Torino una scuola di Grammatica, Uma-
e Retorica, perché accogliessero nelle loro classi gli studenti
tati nel suo convitto: il professor Carlo Bonzanino e il profes-
r don Matteo Picco.
n l'immissione di studenti nel convitto destinato a giovani
atori ha inizio la formazione e la preparazione di coloro che
ebbero dovuto aiutare don Bosco a realizzare il progetto di
sociazione destinata all'educazione dei giovani, che chiame-
cietà di San Francesco di Sales.
a l'aumento numerico degli studenti ospitati nel convitto e la
estrazione sociale, ben diversa dall'estrazione sociale di quelli
frequentavano le scuole dei menzionati professori C. Bonzani-
e M. Picco, non consentiva che essi continuassero a seguire le
ni dei detti professori.
questo nell'anno 1855-1856 venne aperta nei locali
ratorio di Valdocco una I11 Grammatica tenuta da G.B.
esia, in accordo forse con Bonzanino e Picco. L'esperimento
e riuscire, se negli anni successivi "don Bosco inverti la
a fino allora adottata. Alla cura degli artigiani da collocare
o maestri d'arte, antepose quella dei giovani da formare negli
ciassici"3, sia in vista della preparazione dei suoi collabora-
sia in vista del conseguimento di altre professioni. Lo stesso
politico, dopo le elezioni del 1857, in cui i liberali si trova-
in difficoltà, si fece più disteso nei confronti dei cattolici. La
e di Giovanni Lanza del 22 giugno 1857, se da una parte sta-
a che tutti gli istituti di istruzione e di educazione, eccettuati i
legi militari, ma compresi i Seminari e Collegi vescovili, do-
ero dipendere dal Ministero della Pubblica Istruzione, dall'al-

8.5 Page 75

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tra rispettava l'istanza, richiamata dagli ambienti cattolici, di
ammettere il principio della libertà d'insegnamento intesa come
diritto riconosciuto ai privati di aprire scuole.
Così fu possibile dopo il 1856 aggiungere a quella prima classe
accudita da G.B. Francesia, altre classi, grazie all'aiuto portato da
professori che si stabilirono per qualche tempo a Valdocco: don
Giuseppe Rame110 di Bra e Francesco Blanch di Foglizzo. Ma
l'ideale di don Bosco era quello di istituire un intero corso secon-
dario con personale da lui preparato e diretto.
Un nuovo e decisivo impulso all'organizzazione delle scuole
Valdocco fu dato dalla legge Casati (13 novembre 1859), entrata
in vigore il primo gennaio 1860 e destinata a reggere l'insegna-
mento secondario fino alla riforma Gentile.
Essa, sulla scia della legge Boncompagni, separava nettamente
la scuola umanistica (Ginnasio-Liceo) da quella tecnica (Scu
tecnica e Istituto tecnico). L'indirizzo umanistico, al quale fu n
nosciuto come fine quello di ammaestrare "i giovani in
studi mediante i quali si acquista una cultura letteraria e fil
che apre l'adito agli studi speciali, che menano al consegu
dei gradi accademici delle Università di Stato" (Art. 188), venne
suddiviso in Ginnasio, di cinque classi, a cui si accedeva dopo
esame di ammissione, e in Liceo, di tre classi al quale pure
accedeva dopo l'esame di licenza ginnasiale.
Con questa legge lo Stato assumeva direttamente la gestion
delle istituzioni scolastiche secondarie. Lo scopo della legge er
quello di unificare, in un sistema scolastico statale, tutte le istitu-
zioni preunitarie, caratterizzate dal particolarismo regionale.
L'ordinamento scolastico definito dalla legge Casati era strutt
rato con un forte centralismo amministrativo, pedagogico e pr
grammatico. A lungo andare la scuola classica sarebbe divent
una macchina destinata a formare quadri dirigenti e burocrat
riservata alle classi elevate.
La legge Casati era tuttavia un documento del liberalismo m
rato in campo scolastico. Essa concedeva, fra l'altro, il diritto a
vati cittadini, forniti di requisiti morali e di un adeguato titolo
studio, di aprire istituti d'istruzione secondaria (Art. 246). Tali
le erano però in evidente svantapgio rispetto a quelle statali, po
nto preparare gli alunni agli esami, da superarsi presso istituti
lici. Per giunta le scuole private erano sottoposte all'ispezio-
i Provveditori agli studi, al cui beneplacito era condizionata
oro apertura e chiusura (Artt. 244-254).
volontà di statalizzare l'istruzione e soprattutto l'interferen-
ella conduzione dei Seminari e dei Collegi vescovili, fini per
itare varie reazioni dei Vescovi e della stampa clericale.
on Bosco, come altri ecclesiastici e laici, si mosse nella situa-
e di fatto, evitando ogni difesa polemica dei diritti della Chie-
sull'educazione scolastica: puntò invece sull'organizzazione di
scuola cattolica non statale destinata alle classi popolari4.
roprio in quegli anni, seguendo l'orientamento generale che
riva gli studi classici rispetto a quelli tecnici, don Bosco diede
spazio nel suo convitto agli studenti:
alcuni anni in qua venendo le officineristrette, ed essendo frequen-
le domande di giovani da ricoverarsi, ho destinato un maggior
di giovani allo studio. Ora ne ho un buon numero che si guada-
altrove il pane della vita, chi in qualità di maestro approvato, chi
usica, ed altri avendo percorso la camera ecclesiastica lavorano in
rsi oaesi nel Sacro Ministero"$.
~~~
~
vandosi quindi con un elevato numero di giovani e deside-
O "promuovere l'istruzione secondaria nella classe meno
del popolo", don Bosco istitui nell'interno dei locali
ratorio l'intero corso ginnasiale"per li poveri giovani", allo
o "di provvedere a chi colle arti o mestieri, a chi collo studio,
zzo di guadagnarsi onestamente il pane della vita"6.
una petizione del 4 dicembre 1862 (in cui si trovano le
ioni sopra riportate) don Bosco chiedeva al Provveditore
sco Selmi l'approvazione delle scuole secondarie di Val-
In ottemperanza al dispositivo della legge, il Provveditore
l'amministrazione comunale perché effettuasse una visita
Dinanzi alla relazione favorevole di Giuseppe Vigna,
e1 Provveditorato, i1 21 dicembre Selmi emise il decre-
approvazione temporanea. Chiese intanto a don Bosco alcu-
ui professori: don Matteo Picco (1812- ISSO), professore di
rettore del ginnasio; don Vittorio Alasonatti (18 12-

8.6 Page 76

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della matematica. Altri professori erano giovani chierici che fre
Francesia. Quanto ai testi di insegnamento si dichiarava che n
si usavano libri di testo speciali, "se non quelli indicati dai p
grammi governativi".
Nel giugno 1863 le scuole di Valdocco subirono un'ispezio
ministeriale particolarmente cavillosa e capziosa, segno della C
ed anche alle sue pubblicazioni, in particolare alla Storia d'ltal'
alle "Letture cattoliche". Don Bosco esprimeva con fermezz
scritti (...), né in alcun altro modo" aveva mai voluto mischi
politica e insistendo perché si lasciassero continuare le sue
finché gli attuali "maestri reggenti", ossia non titolari, aves
ultimato i loro esami'.
Dopo un'ulteriore richiesta di don Bosco, il 2 novembre
gnamento secondario partecipando agli esami di concorso P
mossi dal Ministero della Pubblica Istmzione.
Forniti dei requisiti richiesti dal bando di concorso si presenta
no agli esami abilitanti del 1863 Michele Rua, Bartolomeo Fuse
Domenico Ruffino, Giovanni Bonetti e Giacinto Baliesio.
ormai aveva trasferito l'amministrazione centrale a Firenze
almeno fino alla caduta della Destra storica.
È questo il decennio (1860-1870) che segna il massimo impu
allo sviluppo della scuola secondaria a livello nazionale e in
inizia anche l'espansione delle scuole dirette da don Bosc08, ins
148
on l'attività editoriale della Tipografia dell'oratorio.
avviano le prime pubblicazioni di testi scolastici composti o
ti dai suoi collaboratori: la grammatica greca e il vocabolario
latina di Celestino Durando; la collana di autori latini
u italiana", che raccoglieva opere di letteratura italiana com-
buoni cattolici' "10, che in maniera autonoma organizzavano
ole paterne", svincolate dal controllo statale, sfidando anche
to del riconoscimento disposto dal Ministro della Pubblica
Bosco prendendone le difese ricordava al Provveditore, ai
n e allo stesso Re che:
eri fanciulli e non mai Ginnasio privato. Gran numero di essi (gli
ono avviati alle arti e mestieri, mentre altri, o perché di svegliato
o perché appartenenti a civili famiglie decadute, fanno il corso
pagni nel 1848 e la legge Casati nel 1859 favorironoqueste scuole,
hanno cooperato al bene di questo Ospizio, considerandolo

8.7 Page 77

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La vicenda si chiuse nel 1881, con la riapertura delle scuole
dell'oratorio in qualità di ginnasio privato.
Ma don Bosco e tutti i suoi collaboratori, dopo il riconoscimen-
to definitivo delle opere create a favore dei giovani con l'appro-
priazione pontificia delle Costituzioni (1874), avevano ormai rag-
giunto la coscienza di essere in possesso di una prassi originale
nelt'istruzione e nell'educazione. I documenti di questa maturata
esperienza in campo educativo e scolastico sono particolarm
le Deliberazioni del primo Capitolo Generale della Società di
Francesco di Sales, tenutosi a Lanzo nel 1877; il Regolamento p
le case della Società di San Francesco di Sales (1877) e il Sistema
Preventivo neli'educazione della gioventù (1878).
2. Gli insegnanti dell'oratorio e il mondo accademico tor
nese.
Si è accennato come don Bosco di fronte alle esigenze impos
dalla legge Boncompagni e dalla legge Casati non esitò ad iscriver
all'Universita i suoi più validi collaboratori, per poter continuar
la sua azione educativa e per renderla più qualificata ed efficac
nell'amhito della scuola.
Questi studenti universitari ebbero cosi modo di entrare in C
tatto con le persone più influenti che si interessavano al latino e
suoi metodi di insegnamento e ne trassero notevoli vantaggi, C
non mancarono di trasferire nella loro pratica didattica e nel1
loro produzione bibliografica.
Le prime presenze nelle aule universitarie risalgono agli
1855-1856: Giovanni Anfossi, Giovanni Battista Francesia, Ce
stino Durando, Francesco Cerruti. Le prime lauree vennero C
seguite nel 1865-1866 da G.B. Francesia e da F. Cerruti.
Dopo di loro altri si avvicendarono nella Facoltà di Lettere e
Filosofia di Torino, alcuni con esiti brillanti: Paolo Ubaldi, c
consegui la laurea in Lettere nel 1898, e Sisto Colombo, laureato
nel 1912, divennero professori universitari e promotori degli stu
di Letteratura cristiana, greca e latina.
Tra questi estremi, rappresentati appunto da Francesia e
150
lombo, si inserirono altri giovani studenti provenienti
l'oratorio, che conseguirono la laurea in Lettere a Torino o
trove. Tra essi corre una linea di demarcazione, segnata dai
. orientamenti della équipe accademica torinese a cavallo
mi collaboratori di don Bosco - Cerruti, Francesia, Du-
Anfossi - pur non potendo frequentare con assiduità i
niversitari per gli impegni di insegnamento che li trattene-
nel ginnasio dell'oratorio di Valdocco, tuttavia attraverso
ami, spesso superati con risultati lusinghieri, e gli incontri
onali, entrarono in contatto con Tommaso Vallauri, Carlo
hialoni, Amedeo Peyron, Vincenzo Lanfranchi'z e altri pro-
ri universitari, e così vennero lentamente e naturalmente
ell'area "umanistica", favoriti anche dalla loro preceden-
mazione scolastica.
eale del "colto latinista alla Vallaun" dovette affascinare
rimi collaboratori di don Bosco che, date le loro doti intel-
e la loro sensibilità letteraria, potevano accedere agli studi
pia e caratteristica produzione di Francesia costituisce
uente testimonianza della simpatia che essi sentivano ver-
ondo e la lingua latina, anche per quel che riguarda il suo
retorico-formale. Sul piano poi della produzione scolasti-
si mossero all'interno della tradizione didattica incarnata
allauri, non senza però una certa originalità e indipendenza,
mostreranno le opere di Celestino Durando; e infine sul
ulturale, essi guardarono al mondo classico romano e cri-
con un animo assai vicino allo spinto "umanistico" di cer-
ura ottocentesca, ben documentata da alcune pagine di
sco Cerruti. La stessa amicizia e i rapporti editoriali tra gli
anti di Valdocco e il professor Vallauri stanno a dimostrare
i "sodalizio" di una frangia del mondo universitario
uazione cambiò per coloro che si laurearono dopo il 1870.
ior disponibilità del personale insegnante, sia a Valdocco
Ile altre opere di don Bosco, diede la possibilità alle suc-
generazioni di frequentare con più assiduità le lezioni e di

8.8 Page 78

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entrare più vivamente all'interno del dibattito che interessava 1
lingue classiche, approfondendone i presupposti teorici e le meto
dologie. L'apertura infatti alla letteratura cristiana antica, ostaco
lata dal "purismo linguistico"di Vallaun, studiata invece da Gio-
vanni Tamietti e da Giovanni Nespoli; l'interesse crescente per 1
lingua greca, con la conseguente apertura alla linguistica storica e
alla filologia, testimoniata dalle pubblicazioni di Giovanni Ga
no; i criteri con cui venivano pubblicati i testi e compilati i com
menti per le "Selecta" - collane di autori latini editi dalla Tip
grafia Salesiana -, negli ultimi anni del secolo; il sorgere d
personalità di Paolo Uhaldi e di Sisto Colombo, cresciuti all'int
no di una "tradizione didattica salesiana", sono tutti elementi
rivelano che a livello scientifico e di ricerca storico-linguistica
laureati dopo il 1870 raccolsero la lezione della storia e si ade
rono ai metodi e alle sensibilità che si erano imposte in Euro
andavano spodestando il dominio vallauriano dall'università t
nnese.
L'incontro tra coloro che si laurearono prima e dopo il 18
non dovette essere sempre facile e pacifico neppure a Valdocco
Giovanni Nespoli, laureato a Genova nel 1886, in una autobiogra
fia che ricorda la sua permanenza all'Oratorio per gli studi ginna
siali, rimprovera ai suoi professori un insegnamento piuttost
retorico e "verbalistico".
Alla diversa preparazione culturale, infatti, che caratterizzò
prima e la seconda generazione degli studenti universitari di Va
docco, non comspose una adeguata evoluzione della didattica
latino, che traducesse in termini "scolastici" i progressi della
guistica storica.
Lungo tutto il secolo a Valdocco, ma non solo li, la didatti
latino si orientò verso metodi e schemi piuttosto tradizionali,
rendosi in quel filone a cui si riallacciava lo stesso Vailauri. Le ra
ni della scelta superano i protagonisti stessi di questa vicenda:
infatti vanno ricercate sul più ampio terreno dove si contrappo
le due scuole, l'umanistica e la filologica pura, proprio nel cam
della scuola secondaria, con i suoi libri e i suoi professori.
I filologitorinesi della "Rivista di Filologia e di Istmzione C1
sica" (fondata da G. Muller e D. Pezzi nel 1872)'4, erano gener
accusati di "germanofilia"e di assumere un atteggiamento
subalterno, di indiscriminata accettazione della filologia
esca nel suo complesso e di tradimento verso le tradizioni cul-
li italiane. Il Vallaun e i suoi seguaci reagivano da difensori
a tradizione nazionale contro la filologia tedesca e la "cricca
teriale d'intedescati italiani". Egli soleva autodefinirsi "ma-
mo difensore della gloria italiana", vantandosi di aver salva-
auto, dalle conaetture del Ritschlls.
si aggiunga che la critica rivolta ai vecchi sistemi si
pagnava sempre alla critica rivolta alla scuola privata.
sizione al Valfauri, quindi, assumeva un senso che andava
delle polemiche per l'insegnamento del latino e manifesta-
generale diffidenza verso l'istruzione privata: non c'era
are che quelle scuole, in mano generalmente al clero, potes-
e volessero rompere con la tradizione umanistica.
questo contesto la discussione tra studio "umanistico" e stu-
~
~~~
lologico" proprio in Torino si acutizzò per la presenza dei
andiera delle due scuole.
- menico Pezzi - uno di questi nella prima annata della
ista di Filologia e d'Istruzione Classica" dedicava quasi un
aio di pagine a una serie di considerazioni sulla scuota ita-
secondaria, soprattutto classica. Le allusioni a certi "barbas-
sono rivolte al Vallauri. Questi oltre ad "un nazionalismo
e antiliberalismo codino" avrebbe ostentato un altrettanto
oco amore per l'arte, per la bellezza pura", intesa secondo
assicistici. Mentre "Il Baretti", giornale scolastico torine-
. Perosino - avversario del Vallauri per beghe editoriali,
corde con lui per i principi educativi - polemizzando con
ista" scriveva nel numero dell'8 luglio 1874: "Arte, arte,
nostro grido di guerra".
ue posizioni estremistiche e antitetiche: per l'una il valore del
tava nella forma, nella strnttura compositiva, nel bel perio-
assico, modello di ogni eloquenza; per l'altra lo studio del
consisteva nello studio storico-linguisticodel testo, per sco-
n esso la storia della lingua e delle sue trasformazioni, tra-
ndo spesso i contenuti, la forma e talora lo stesso studio

8.9 Page 79

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strettamente filologico, in "una sorta di sopraffazione della glotto
logia sulla filologia".
Dall'esasperata contrapposizione fra le due correnti difficilm
te si potevano trarre vantaggi per la pratica didattica.
si poteva peraltro ritornare tout court ai vecchi sistem
almeno per la paura di essere accusati come retrogradi. Così
professori della scuola secondaria reagirono attenendosi ai
grammi governativi e alle istruzioni ministeriali per gli
unica fonte di appello di fronte a qualsiasi commissione es
trice o ispezione governativa, pur essendo naturalmente propen
a ripetere metodi e sistemi con i quali essi stessi erano stati ed
cati e istruiti. Si cadde pertanto
"in uno strano coacervo dove la vecchia retorica empirica era il fonda
SU cui circolmi e regolamenti volevano innestare la filologia tedesca, lo
del greco, gli ultimi ritrovati della linguistica. Pasquale Vilari bene descnve
va il risultato di questa confusione: 'il guazzabuglio che s'è formato per que
sto istantaneo innesto del Blair, del Padre Soave, della Regia Parnassi co
Max Muller, con W u s , col Madvig è cosa da non si desaivere. La tes
dell'autore (di testi scolastici) somiglia qualche volta ad un sacco in cui
sieno chiusi un gallo, una scimmia e una serpe' "'6.
D'altra parte per i professori di latino ben disposti verso le nuo
proposte filologiche, mancava un testo che potesse servire com
strumento per l'insegnamento. Da più parti si richiedeva una
matica latina come il Curtiusl7, ma nulla di simile si era
riusciti a produrre. Una tale carenza poteva indurre a diver
didattiche: una facile e improduttiva sperimentaione, che sotto
neva ragazzi ancora decenni allo studio di radici indoeuropee, gre
e sanscrite, di affissi e di suiìissi delle parole latine, incappando
ciò che Pezzi chiamava, nel succitato articolo, "la spiegazio
dell'ignoto con l'ignoto"; o l'uso di una grammatica "tradizional
per il latino, nell'impossibilità di avere di meglio, e il Curtius per
greco, con l'owio svantago di una duplicità di metodi e una con
seguente difficoltà di apprendimento.
Per superare lo scoglio, una via pratica sarebbe stata forse l'a
plicazione allo studio delle lingue classiche del metodo attivo
pratico, che si cominciava allora a introdurre nello studio de
lingue vive. Ma la quasi totalità degli studiosi di lingue antic
prevedeva allora la benché minima possibilità di una scelta a
e di una simile metodologia.
lo all'inizio del secolo XX, volendo seriamente superare la
anza di aderenza alla realtà di buona parte dell'insegnamen-
guistico, si elaborò il "Metodo diretto", applicato anche
egnamento del latinoig.
si di fronte alle proteste contro il metodo tedesco, naufragato
scarse realizzazioni didattiche, e di fronte al "riflusso" di
scuola di stampo retorico, unica soluzione, al riparo da gros-
rprese, sembrava quella della mediazione. Si partiva cioè da
ica implicita o esplicita agli eccessi in cui incorreva il tra-
e modo di insegnare il latino e il greco - grammaticali-
esasperato, scarsa lettura degli autori, esercitazioni farragino-
- demotivate, esagerata ammirazione formate e culturale del
do classico per rimanere nell'alveo della didattica tradizio-
e, di cui si evitavano gli abusi menzionati, e a cui si apporta-
o quei miglioramenti e quegli accorgimenti pratici, sorti dalla
suetudine didattica, dallo studio e dal confronto con le propo-
provenienti dalla pedagogia e dal Metodo. Anche gli insegnanti
Idocco, pur ritenendosi nella impossibilità di mutare sostan-
ente i metodi consolidati, si impegnarono a rinnovare
interno la pratica didattica, proponendo una maggior sempli-
e concisione nell'insegnamento dei precetti grammaticali a
re della lettura di autori, rendendo vive il più possibile le ore
tino con esercitazioni, semplificazioni, interrogazioni e npeti-
quanti poi disponevano di una preparazione filologica e glot-
gica, pur nella omogeneità didattica di fondo, non veniva
etto l'uso di una grammatica comparativa.
si l'incontro fra le due correnti, umanistica e filologica, si
proprio nel contesto didattico ed educativo, chiamato a
ondere alle esigenze della scuola e soprattutto alle esigenze
allievi che frequentavano quelle classi. E nel metodo di edu-
ne che caratterizzava il pensiero e l'azione pedagogica di don
, trovarono un terreno fecondo le proposte sorte in seno alla
ogia ealla "Scuola di Metodo"i9 di Torino, suscitando nelle
di Valdocco alcune scelte per l'insegnamento del latino e del

8.10 Page 80

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greco, che se non ebbero il pregio della travolgente novità an
patrice, rivelarono tuttavia una volontà di rinnovamento.
3. Le "proposte" della scuola di Valdocco.
3.1. La lettura degli autori
facili, mentre "il libro della grammatica non si apriva quasi m
iscuola, ma vi era solo per sciogliere un dubbio allorché era nece
sano riandare qualche punto sfuggit~"~o.
- che tentava di riammodernare l'insegnamento del latino e
in generale delle lingue - e che cercava di riportare entro gi
confini l'insegnamento grammaticale allo scopo di ampliare la
questi consigli la proposta di un apprendimento induttivo dei p
cetti di grammatica attraverso la lettura diretta degli autori lat
trovava molti sostenitori.
Anche Vallauri richiamava continuamente nei suoi di
mento della lingua e della cultura latina.
ta sulla regola presentata, lasciava tuttavia ampio spazio, in
niera e con scopi diversi nelle varie classi, alla lettura e al C
mento degli autori.
Nel primo decennio della scuola di Valdocco (1856-
del Regno, pubblicati dal medesimo Ministero. Si tratta
itome historiae sacrae di Lhomond, Epitome historiae
e anche l'Epitome historiae romanae di Vallauri), Vitae di
ius sive de amicitia), e la Nova anthoIogia latina. A questi
ai programmi suddetti: OPationes selectue di Cicerone,
'con et Aeneidos libri di Virgilio, Carmina selecta et arspoe-
per i poeti elegiaci e per gli storici.
quaderno di Costanzo Rinaudo (1847-1937) del 1861, stu-
di V ginnasio sotto la guida di G.B. Francesia e poi divenu-
ssore universitario, riporta indicazioni relative ad alcuni
ori proposti alla lettura in quell'anno: Sallustio, alcuni
uardanti la presa di Zama del De bello Jugurtino; l'Ora-
un quaderno di Giuseppe Allamano23(allievodella 111 gin-
5 luglio, data dell'esame finale.
prosatori è indicato Cesare (De bello Gallico), Cicerone
unghi tratti, e Tito Livio. Tra i poeti Ovidio aveva la
, cui segui.vano Tibullo e Virgilio.
il Ministro Coppino mutò i programmi scolastici di
rdini di scuola; soprattutto per il Ginnasio e per il Liceo,
se "a pochi gli autori latini da spiegare", per far si che "i

9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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pochi che dalla fugace osservazione di molti".
Anche in quell'anno scolastico, che vide la riforma del cano
degli autori, i Registri scolastici di Valdocco ci ripo
mano di G.B. Francesia, l'elenco dei libri di testo adottati d
allievi. 11dettagliato confronto tra i due programmi rivela, olt
una fondamentale concordanza, che la lettura degli autori era P
ticata fin dalla prima classe (Epitome historiae sacrae e Lib
di Fedro) e che nella seconda classe erano aggiunte le
dall'Epitome historiaepatriae di Vaiiauri ai testi canonici di
e di CornelioZ4.
L'elenco del Francesia intendeva mostrare il dovuto adegu
mento ai programmi ministeriali e sottolineare insieme l'auton
mia e l'originalità della scuola dell'Oratorio, dove
una selezione di autori latini avendo presenti i te
tipografia interna, che aveva avviato la pubblicazione della "S
letta ex latinis scriptoribus in usum scholamm", di cui il Franc
sia stesso fu il responsabile e il redattore dei primi volumi.
Conclusioni identiche si possono trarre anche dalla osse
sinottica dei programmi composti.dd Consigliere Scolasti
scuole salesianeF. Cenuti dopo il 1887 e dei programmi m
del 1884e modificati nel 1888. Anche qui, infatti, hdal primo
si propongono i testi che abbiamo già menzionato e che non e
prescrit,ti Ministero: le tre Epitomi di storia sacra, greca e ro
na. Ma l'aggiunta originale è costituita daUe opere degli autori
stiani: il libro I del De imitatione Christi di Gersone, il De
stribm di Gerolamo, il De mortibm persecutorum di i a t
rispettivamente adottati nella 11, 111e IV-V ginnasio.
vanalisi fin qui condotta consente di rilevare come il
10, nella compilazione dei programmi ginnasiali, ave
un criterio linguistico schiettamente purista, limitando le
"periodo aureo" della letteratura latina, mentre l'inseri
gli autori cristiani a Valdocco intendeva lentamente superare
sto indirizzo. La presenza inoltre di autori del Settecento (
mond) e contemporanei (Vallaun) sembra richiamarsi anche
criterio della gradualità.
Rimane singolare infatti l'insistenza, nei program
all'oratorio, per la lettura continua, fin dalle prime cla
tore, come l'Epitome historiae sacrae e il De viris illustribus
I'Epitome historiae pa-
ento della grammatica
nuali in uso nelle classi della scuola secondaria
se la situazione didatti-
oprattutto in refazione
partiamo dal Nuovo Metodo di CI. Lancelotzs che, entrato
esi nel l737 in traduzione italiana, presenta-
a sotto forma di precetto composto in rima
allo SCOPO di aiutare la memoria; faceva seguire una frase-
, in cui si vedeva applicata la regola medesima e si con-
enti e osservazioni che rilevavano particola-
ezioni e usi linguistici propri del latino.
0 testo, che fu di gran lunga il più usato nelle scuole
fino al 1860, venne sottoposto, durante i
enni dell'Ottocento, a molte critiche, da parte degli
scuola, con intenti prevalentemente didattici.
volta al Nuovo Metodo riguardava la sua
sta Prolissità, che da una parte favoriva il grammaticalismo
rimproverato alla scuola dell'Ottocento e dall'altra non
Contare SU un numero di lezioni uguale alla precedente
ione, poiché erano state ridotte dai programmi enciclope-
1848. Si cercò di rispondere a questa situazione ricorrendo
Metodoz6, sempre di Lancelot, che elimi-
rispetto al Nuovo Metodo - tutte le parti ritenute super-
attenendosi alla fondamentale struttura e alla disposizio-
verti più tardi la necessità di una grammatica apposita per
ipianti, che svolgesse esaurientemente la parte morfologica
la parte dedicata alla sin-
da Poter avviare alla lettura e alle traduzioni anche le
olari ancor fanciulli a
e1 1824 alla pubblicazio-

9.2 Page 82

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ne, da parte del Magistrato della Riforma prima, e poi dal Min
stro della Pubblica Istruzione del Regno Sardo, di un testo e1
mentare per principianti, che venne chiamato DonatoZ7. Ques
prese il posto del Nuovo Metodo e del suo Compendio nelle prim
classi di Grammatica, mentre per le classi successive si rima
fedeli ai manuali precedenti.
Il successivo Donato del 1852 assunse l'aspetto di un prontua
per apprendere la morfologia, con una presentazione schemat
della materia. In complesso il testo si presentava semplice, bre
pratico ed essenziale, doti che lo resero gradito al corpo docen
della secondaria inferiore ancora dopo il 1860.
Qualche autore avvenendo una soluzione di continuità tra
testi destinati alla Grammatica (Donato) e quelli destinati al1
classi superiori (Nuovo Metodo e Compendio), si cimentò nel1
composizione di un'opera organica in più volumi, rispondenti al1
diverse classi.
Così Cipnano Rattazzi nel 1843 uscì, presso Paravia, con du
volumi tra loro strettamente legati: il primo, l'Esercizio ragiona
sulle declinazioni e coniugazioni latine, ripropone fondamenta
mente il Donato, privilegiando nelle parti flessive il metodo del1
"concordanza"; il secondo, Istradamento alla lingua latina, d
nuncia anche nel titolo il suo obiettivo, abilitare cioè lo studen
alla composizione latina.
G.F. Muratori, con l'opera Della grammatica latina. Libri
del 1849 (Stamperia Reale), riprende dalle grammatiche eleme
tari della lingua italiana le definizioni e la nomenclatura delle
ti del discorso e di alcuni elementi di sintassi (i complementi),
facilitare in tal modo l'apprendimento del latino.
Infine, nel 1850 appariva a Firenze la traduzione del Metodo
studiare la lingua latina adottato nell'Università di Francia, d'
Bumouf (1775-1844), filologo e autore anche di una gramm
- g,o G- b- ',. -
I pregi di questa grammatica - che caratterizzano il "met
- Bumouf' sono soprattutto pratici: l'uso di tavole e schemi
le parti flessive, che separando la terminazione desinenziale
tema della parola rendono immediata la comprensione e "fac
l'apprendimento; la netta distinzione tra forma regolare e for
olare; e, infine, pregio non indifferente, la divisione e l'orga-
zione della materia e la nomenclatura grammaticale corrono
ssoché parallele alla grammatica greca, semplificando così lo
dio delle due lingue.
pullulare di pubblicazioni anche la Tipografia deli'Oratorio,
nel 1861-1862 da don Bosco, stampò nel 1866 due manuali,
del lavoro di C. Durando, per l'insegnamento della lingua lati-
ginnasio: il Nuovo Donato e il Compendio di sintassr28, che si
gavano al Donato e al Compendio del Nuovo Metodo.
uali motivi spinsero alla pubblicazione di questi libri, che a
a vista erano in netto contrasto con le indicazioni più recenti
studi grammaticali? Forse il consiglio di Vallauri, che sem-
apprezzò il vecchio Donato e lodò poi il Nuovo Donato di
rando come il miglior testo grammaticale per le classi inferiori
ginnasio? O forse il fatto che gli insegnanti che allora a Val-
o erano in cattedra avevano studiato sul Donato e sul Com-
Oppure l'insistenza da parte del corpo magistrale torinese
e nuovamente testi, come quelli accennati, ormai introva-
1 mercato editoriale? Oppure ancora l'interesse a qualificare
'tona latina della Tipografia dell'Oratorio, che incominciava
a le sue pubblicazioni?
NUOVODonato, a detta dell'autore, voleva servire da introdu-
alla lettura e allo studio della lingua latina per una categoria
azzi e di giovani che si presentavano all'Oratorio con una
arazione elementare quanto mai eterogenea. Accanto a chi
.va da scuole cittadine o di località che potevano garantire
gnamento primario regolare e continuato, vi erano giovani
nienti da scuole di campagna, dove con strutture precarie ci
ontentava di insegnare a "leggere, scrivere, e far di conto".
pera è divisa in due parti o sezioni:
ella prima parte - afferma Durando - si contengono le cose ele-
tari, le declinazioni dei nomi, degli aggettivi e dei pronomi e le coniu-
i dei verbi regolari ed irregolari (...). La seconda parte è un compen-
assi in cui gli allievi della prima e della seconda classe ginnasiale
o quanto per loro è necessario",
ella terza ginnasiale al Nuovo Donato veniva sostituito il

9.3 Page 83

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Compendio di sintassi semplice e figurata estratto dal Nuov
Metodo: dopo un ripasso della sintassi semplice @p. 7-44), in ess
viene presentata una trattazione della sintassi figurata (pp. 46-52
e della quantità sillabica (pp. 54-88), per una maggior conoscen
del verso poetico latino, oggetto di studio nelle classi ginnasia
superiori.
Dei due testi di grammatica latina, perciò, il Nuovo Donato, p
descrittivo e meno formalizzato, almeno nella sintassi, trova in
ceno senso la sua esplicitazionee formalizzazione nel Compen
disintassi, che oltre ad ampliare il materiale segna un approfon
mento nello studio delle categorie grammaticali.
Ma ciò che più interessa è la concisione di questi due manua
la semplicità delle formulazioni, la compendiosità delle
soprattutto di sintassi. Essi sembrano essere una implicita
al grammaticalismo, presente in alcune scuole come retaggio
una certa tradizione scolastica non del tutto morta, ed oggetto
sempre più aspre critiche che giungevano alla scuola. In oppo
zione a una congerie di precetti grammaticali l'alternativa offe
dalla scuola dell'oratorio si orientava verso una grammatica '
senziale", dove la "brevità e la chiarezza" caratterizzavano l'es
sizione di quei pochi generalissimi precetti di sintassi indispens
bili alla traduzione, dopo un intenso studio delle flessioni n
nali e verbali. La grammatica così semplificata diventava
mento in funzione di prime e facili traduzioni di testi latini e
passi di autori fra i più elementari.
Essenzialità e stmmentalità della grammatica, due conquiste
non poco valore di fronte alla tradizione grammaticale, ma anc
di fronte al grammaticalismo fiIologico, che, sostituendo quello
vecchio stampo retorico, invadeva sempre più l'ora di latino
tutto svantaggio di un accostamento più immediato agli auto
di un più proficuo apprendimento della lingua.
Ma anche all'Oratorio, dove insegnavano ormai i professori
aperti alle sollecitazioni che provenivano dal mondo universit
e culturale, si ritenne insufficiente il Compendio di sintassi d
Durando, e, pur continuando ad usare il Nuovo Donato per
classi inferiori del ginnasio, per la terza e per le classi successive
prefen adottare, come in molte scuole di Torino, la Nuova gru
tica razionale della lingua latina29 di Eusebio Garizio, preside
iceo Alfieri e docente di grammatica e letteratura latina
tento dell'autore fu di applicare, sul modello del Curtius gre-
' risultati della scienza glottologica all'insegnamento del latino,
ando gli abusi di quanti "si spinsero oltre, accogliendo nozioni
eriori all'intelligenza dei giovani".
sintassi si presentava in forma completa e assai ricca di
riale, fornita di numerosi esempi attestati, anche se l'eccessi-
lternanza di caratteri tipografici e le fitte pagine la rendevano
sempre di facile lettura e consultazione.
uesto testo, sebbene mettesse tutti i professori deIl'Oratorio in
izione di "allargare" i'orizzonte e di accogliere nella scuola le
e scientifiche, non durò a lungo. Infatti nel 1910 Giuseppe
stampò una Grammatica della lingua latina, che ripropo-
morfologia e sintassi in maniera rinnovata e che sostituì il
to all'insegnamento del greco, alcuni anni dopo che era
to nella scuola secondaria (1848), la grammatica del Curtius
saputo ridurre a uso scolastico i migliori risultati della
scelta nella scuola dell'Oratorio cadde tuttavia sulla gram-
ca greca del Burnouf, fondamentalmente regolata su quella
n presto però questo testo dovette sembrare inadatto; nel
infatti don Bosco invitò il Teologo Marco Pechenino (1820-
1, professore del Regio Ginnasio del Carmine (poi Cavour) a
orre un manuale scolastico di greco "che fosse per lo studio
lingua greca, ciò che il Donato è per quello della lingua lati-
grammatica, uscita nel 1854 presso l'editore Marietti con il
O Elementi di Grammatica greca con breve antologia e appo-
ocabolario, risultava composta sulla scorta del Burnouf, ma
i più economica e semplificata nella spiegazione delle regole.
alasciava, a differenza del Burnouf, quanto poteva conside-
appreso dall'italiano oppure dal latino (definizioni di pani
orazione; funzioni dei casi, ecc.); si concentrava sulla pane

9.4 Page 84

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elementare della morfologia (pp. 1-85), riportando molti paradi
mi di declinazionie coniugazioni. Alla sintassi dedicava una de
na di pagine (pp. 85-91), seguendo, per la semplicità e l'essenz
lità della disposizione della materia, il modello della grammatic
latina e delle grammatiche italiane adottate nelle scuole.
Gli Elementi di grammatica greca vennero più volte ristampa
nella Tipografia dell'Oratorio non appena vi furono composito
in lingua greca.
Con altri testi dello stesso Pechenino, la grammatica increme
tò l'insegnamento del greco a Valdocco e nelle altre scuole di do
Bosco fino al 1884, quando per opera di Giovanni Garino, p
sore al Liceo di Valsalice, venne pubblicata dalla Tipogra
Valdocco, una grammatica greca, "dettata scrupolosamente s
condo gli ultimi principi delle scienze filologiche e linguistiche
colla scorta dei migliori testi, (per) rendere lo studio scientific
della lingua greca di chiaro e facile apprendimento":si tratta de
Grammatica greca ad uso dei Ginnasi e dei Licei.
L'impegno di adattare il rigore scientifico dello studio gramm
ticale alla situazione scolastica, che può dirsi il pregio maggi
della grammatica della lingua greca di G. Garino, lo indusse
occuparsi particolarmente dell'aspetto didattico, dedicandosi a
composizione di un manuale destinato esclusivamentealle scuo
ginnasiali. A tale esigenza il Garino fu richiamato dallo stesso
Bosco (come riportano le Memorie biografiche), che andava r
dendo la necessità di un'opera più semplice31. Nacque cosi
Nuova grammatica greca ad uso dei Ginnasi. In essa "si omise
le spiegazioni scientifiche e le troppo minute particolarità e sot
osservazioni (...) che riescono inopportune e di molesto ingomb
a chi dà i primi passi nello studio del greco" (p. 111); si adattò
materia alle classi ginnasiali, ridistribuendo diversamente il ma
riale (p. IV), usando metodo, ordine, ed espressioni linguistic
che, pur essendo precise e conformi ai principi della scienza gra
maticale, fossero chiari e facili alla comprensione (p. VI).
La Nuova grammatica greca, casi ridotta e adattata alle clas
ginnasiali, ebbe una notevole fortuna; nuovamente ritoccata
Paolo Ubaldi e poi da Ottavio Tempini venne ristampata an
oltre la metà del nuovo secolo.
L'introduzione dei dizionari nella scuola.
tradizione raccolta dalle Memorie biografiche testimonia
rticolare attenzione rivolta da don Bosco ai lessici italiani,
e greci, diffusi nelle scuole secondarie piemontesi. Essa sem-
ottolineare un atteggiamento critico nei confronti dei voca-
i scolastici esistenti, che faceva capo a principi di indole
gogica o genericamente morale: decenni di esperienza educa-
l settore scolastico avevano di fatto reso attento don Bosco
te a certe opere lessicografiche, sia per il loro discusso valo-
tifico, sia per l'uso che ne potevano fare i giovani allievi.
da questa preoccupazione educativa i collaboratori di don
co pubblicarono lungo il secolo vocabolari di lingua latina,
o lessico che venne pubblicato dalla Tipografia de1l'Ora-
quello latino curato da C. Durando nel 1872.
abolario di gran lunga più diffuso nelle scuole secondarie
tesi era da molto tempo il cosiddetto "vocabolario delle
". Si trattava del lessico in due volumi, uno per la parte
italiana e uno per la parte italiano-latina, di G. Pasini, in
izione rivista, corretta e adattata da T. Vallauri nel 1851-
vocabolario vallauriano conquistò tutto il mercato
'tona scolastica in fatto di lessici, e rimase praticamente
o fino al 1870, suscitando però una serie di polemiche
innescate dallo stesso revisore. Si partiva dal notare la
e abbondanza di errori e di refusi tipografici difficilmente
ili in un lessico, e si giungeva a contestare interpretazio-
aboli, di frasi, rese in italiano in forma un po' troppo
unto di vista poi strettamente didattico il vocabolario val-
era incompleto: non segnava infatti la quantità sillabica
role latine, né offriva l'intera "scheda lessicale" dei vari
imitandosi all'indicazione dell'infinito.
dopo il 1860 che il "vocabolario delle scuole" parve dav-
rato. Infatti lo sviluppo della lessicografia, sotto l'impul-
todo comparativo e della nuova filologia, provocò da
165

9.5 Page 85

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più parti una valutazione negativa attorno al lessico di Vallau
giudicato "troppo empirico e del tutto prelinguistico". In Germ
nia, in Francia e in Inghilterra si stava assistendo a una ritioritu
della scienza lessicologicae della lessicografia latina e greca
ta sia alla ristampa e alla revisione delle colossali opere rin
mentali di Roberto Estienne (Thesauruslinguae latinae,del 1
e di Enrico Estienne (Thesaurus linguae graecae, del 1572),
composizione di nuovi lessici (onomastici, toponomastici, spe
li, tecnici, poetici, etimologici)e soprattutto alla composizione
Thesaurus linguae latinae, stampato a Lipsia dal 1900 in poi,
ideato e avviato negli ultimi decenni del secolo XIX con i lav
di E. Wolfflin.
Un simile sviluppo lessicografico ebbe chiaramente scopi s
tifici, mentre, soprattutto per i lessici latini, si curò assai meno
compilazione di vocabolari scolastici. Uno dei primi lavori
questo genere per la lingua latina, che mettesse a frutto gli u
risultati della scienza lessicologica,fu il vocabolario di K.E. G
ges, tradotto in italiano da F. Calonghi nel 1891 (Torino, Ro
berg & Sellier).
Anche in Italia i grandi lessicografi del secolo XIX erano i
gnati nella revisione e nell'ampliamento del Lexicon di E. For
lini: G. Furlanetto (che vi lavorò dal 1827 al 1831), V. De-
(1858-1879) e F. Corradini e G. Perin (1864-1898).
In maniera parallela la lessicografia latina per la scuola ten
un lavoro di revisione e di ammodernarnento dei vecchi less
scolastici.
In Piemonte la casa editrice Roux e Favale aveva pubblic
con non troppa fortuna, un vocabolano modellato sul ve
Pasini, mentre gli editori Pomba avevano editato un Vocab
Universale della lingua latina composto da A. Bazzarini e B.
lini, in due volumi, a modo di compendio del Lexicon torius
nitntfs del Forcellini.
Ma ancora nel 1870 nulla era sorto che potesse va1
sostituire nelle scuole secondarie del Piemonte il "vo
delle scuole" di Vallauri.
La necessità di colmare tale vuoto indusse don Bosco a pub
care un lessico per le classi secondarie sul modello di quel
. Durando, che si assunse l'impe-
izio alla compilazione di un vocabo-
in due volumi, uno per la parte latino-italiana, l'altro per la
italiano-latina.
a Stamperia Reale npubblicava ne1 1970 una nuova edizione
'vocabolario delle scuole" di Vallaun, apportandovi, per
O di Vallauri stesso, le medesime aggiunte e correzioni per cui
rava Durando: segnare la quantità sillabica, offrire la "scheda
cale dei verbi", correggere errori, ammodernare il linguaggio,
riedizione del vocabolario di Vallauri, Du-
il suo lavoro. Anzi, con l'autonomia richie-
suo piano originario, si servì abbondantemente di questa
zione fatta dalla Stamperia Reale per la compilazione del suo
inarla criticamente per correggere
o per variare le interpretazioni non del tutto
conformi ai testi originali. Per questo lavo-
o Durando fece uso delle osservazioni che G.S. Perosino
i nel 1872 venne pubblicato il Lexicon latino-italicum cura-
1 Durando, e nel 1876 il Vocabolario italiano-latino. Essi
della scuola e soprattutto degli
ali, allorquando si era notata l'insufficienza
salente al 1852 e la parziale inadeguatezza
a nedizione del 1870.
ria riguardante i vocabolari latini, tuttavia, non termina
ubblicazionedi questo lessico; infatti, dietro suggerimento
Bosco, nel 1882 venne pubblicato in un unico volume
cato il doppio vocabolario latino del 1872-187633.
'ultima opera, chiamata nelle scuole salesiane "il Mandosio
rando3'34, si colloca all'interno dell'impegno assunto
ona scolastica salesiana di fornire un lessico aggiornato
il greco l'opera più nota in questo campo è senza dubbio il

9.6 Page 86

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Vocabolario italiano-zreco
~
~
di
M.
Pechenino
(1876.)..
cui
si
agniuns
dieci anni più tardi il vocabolario greco-italianosempre dello stes
so autore.
Pochi anni prima erano apparsi i vocabolari di G. Muller, di
Schenkl e F. Ambrosoli e di O. Bemni, i quali però mancav
della parte italiano-greca: lacuna non indifferente per le scuole
allora, i cui programmi imponevano la versione dall'italia
come prova d'esame per le classi superiori del ginnasio.
Lo scopo che si prefisse Pechenino fu proprio quello di
agli alunni delle scuole secondarie e superiori un vocabolan
liano-greco il più possibile completo ed esauriente.
E cosi dopo lungo lavoro, e sotto l'insistenza di don Bosco,
1876 venne pubblicato dalla Tipografia dell'oratorio il Vocabo
rio italiano-greco, accolto da alcune recensioni giomalist'
come "il primo lessico italiano-greco compiuto, il quale si sta
nel nostro Paese"35.
I1dizionario di Pechenino infatti per la quantità dei vocaboli,
completezza dell'opera e il metodo di lavoro non aveva precede
ti, neppure tra i lessici stranieri.
Messo a confronto con i vocabolari italiano-greci, pubblic
non molti anni dopo da F. Brunetti e da T. Sanesi, balza suhi
agli occhi l'enorme differenza che contraddistingue il lessico d
Pechenino: in esso troviamo sovrabbondanza di nomenclatur
con scarso interesse tuttavia per le sfumature connotative, pe
usi storici propri di qualche verbo greco, per i rapporti sinta
instaurati dal vocabolo analizzato e per ogni riferimento
caratteristiche morfologiche, cui è soggetto il verbo nelle s
variazioni temporali e modali.
Al di comunque del risultato, si può affermare che anche
questa opera è presente l'obiettivo e l'impegno di servire al mo
do della scuola e allo studio delle lingue classiche, attraverso
compilazione di strumenti che risultassero utili e adeguati,
con gli inevitabili limiti derivanti dal tipo di formazione prop
dell'autore.
. Le attività parascolastiche (accademie e commedie).
altro aspetto, che ci sembra caratteristico della scuola di
occo e di tutte le altre scuole dirette da don Bosco, si rintrac-
una serie di attività parascolastiche, che direttamente o
ttamente integravano l'insegnamento linguistico, impartito
riguardavano soprattutto le cosiddette "accademie" e le
accademie" subirono una certa evoluzione all'intemo
orio. Inizialmente ebbero il carattere di saggio pubblico del-
serali tenute nei locali dell'oratorio; poi con l'apertura del
sio si moltiplicarono, pur mantenendo sempre la caratteristica
o; infatti, allestite per onorare un personaggioo per celebrare
vite, costituivano una rassegna di brani classicidi letteratura
osa e in poesia, di musica vocale e strumentale, o di esercitazio-
ole, impegnando i ragazzi in prestazionidi servizioalla comu-
'n una scuola di dizione e di recitazione.
adizionali divennero ben presto le "accademie" per la pre-
ne di fine d'anno; quelle della celebrazione della "ricono-
', nella festa del direttore della scuola, e quelle di alcune
à particolarmente significative nella vita dell'oratorio.
vavano posto in queste "accademie" composizioni in versi
eseguite dai ragazzi dei corsi superiori, che venivano scelte
sere declamate pubblicamente, insieme ai ben più numerosi
di "buoni autori classici, poesie, prosa, favole, storia". Le
demie" risultavano pertanto essere occasioni per stimolare
unni alla composizione e alla recitazione, ed anche una pre-
palestra in cui si rivelavano e si esercitavano attitudini e
ità, si affinava la sensibilità estetica e il gusto letterario, otte-
o insieme un apprendimento "naturale" della lingua.
"didattico", poi, era implicito nello stesso appellativo di
",che riprendeva il modello deile accademie previste dalla
Omm36 dei Gesuiti, dove si trovavano le "declamazioni di
esi da oratori e poeti", la "recitazione di epistole, descrizioni,
oni, orazioni o poesie composte di proprio pugno".
a traccia ancora della Ratio dei Gesuiti iniziò anche all'Ora-

9.7 Page 87

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tono, poco oltre il 1870, la rappresentazione di una serie di co
medie di imitazioneplautina.
L'organizzatore di queste commedie, su proposta di don Bos
e interessamento di T. Vallaun; fu G.B. Francesia che allestì la s
prima rappresentazione quando ancora era studente univer
nell'anno 1861, l'l 1 aprile, alcune settimane dopo la procla
ne di Vittorio Emanuele Re d'Italia e di Roma capitale del Regn
I1 titolo della commedia - ci informa il biografo G.B. Lem
- era Minerval37, opera del gesuita Luigi Palumbo, il quale 1
va già rappresentata qualche anno prima a Napoli. Per l'occasio
era stato redatto un biglietto d'invito in lingua latina e mandato
molte delle più ragguardevoli personalità del mondo della cultu
della politica e della Chiesa. I ragazzi erano tra gli spettatori pr
senti e forse seguivano la recita col testo alla mano. Lo spettaco
piacque - come dimostra il biglietto d'invito per la replica38 -
venne ripetuto un mese dopo, il 23 maggio, la vigilia di una gr
de festa per l'oratorio, la festa di Maria Ausiliatrice, ment
politici preparavano per la prima volta la.festa dell'unità d'lta
stabilita per il pnmo giugno. Minerval venne ripresa anche l'ann
successivo, il 12 maggio 1862, ma la pioggia caduta ininterrot
mente per tutta la giornata compromise l'esito della rapprese
zione, allestita fortunosamente nel teatrino sottostante la chies
diminuì il concorso del pubblico alla commedia. La rivalsa ven
presa il 22 giugno dello stesso anno, allorché molti "esimi letter
ti" poterono intervenire. A costoro don Bosco aveva mand
l'invito perché partecipassero alla rappresentazione, con lo sco
di suscitare il favore della pubblica opinione attorno all'incipie
scuola di Valdocco39.
L'anno successivo venne rappresentata una nuova comme
che portava un titolo greco e correva sempre su schemi plau
Phasmatonices o Vincitore degli spettri. esecuzione della
media avvenne il 14 maggio 1864, suscitando un giudizio po
da parte de1l"'Unità cattolica", quotidiano torinese, che lodav
"Signor don Bosco", il quale "in tanto deperimento degli st
classici (...) con tanto zelo li promuove"40.
Lo stesso don Bosco dovette prediligere questa commedia, p
ché parlò sempre con molta simpatia del testo, della rappresen
e dell'autore. Quest'ultimo era stato Mons. C.M. Rosini, già
vo di Pozzuoli e valido latinista, morto nel 1836; ma Palum-
aveva ritoccato lo stile. Patrocinatore della messa in scena
'oratorio era stato Vallauri, che troviamo sempre fra gli spet-
ri più assidui del primo teatro di Valdocco e che questa volta
venuto in compagnia di Cesare Cantù, che si aggiunse ad altri
picui personaggi", che "restarono meravigliati nell'udire lim-
e schietta la parola dalle labbra di quegli intelligenti giova-
ti. Pareva che parlassero nella loro natia favella (...)"41.
commedia venne riproposta il 18 maggio detl'anno successi-
tto il titolo latinizzato in Larvarum victor. In quella occasio-
igi Palumho fece giungere a don.Bosco le sue congratulazio-
er saper Ella don Bosco cosi bene informare la gioventù alla
ed alla classica letteratura (...). Tanto più che Ella ha voluto
n pure produrre la Commedia nella scena, ma sì nella stampa,
fosse materiale di studio, e sì la utilità ne divenisse ai gio-
più durevole (...). Sarebbe un'altra bella prova pel laicato, che
hiesa non fu mai guastatrice, ma la salvatrice del bello e dei
parve una nuova commedia l'anno successivo, il 27 giugno
: Mlearia,.cui don Bosco volle presenziare "non solo per
ntare i suoi alunni, ma per rendere onore ai numerosi invi-
. L'intreccio della commedia era fondamentalmente simile
cedenti: si concludeva con un perdono concesso a tutti i
onisti e la riprovazione dell'amico impostore.
maggio del 1867, w n una scadenza annuale che diventava
un appuntamento per gli invitati a queste rappresentazioni,
e messo in scena un altro testo di C.M. Rosini, Deceptores decep-
ta di questa recita fu ancora una volta G.B. Francesia.
uesta rappresentazione, oltre all'assiduo T. Vallauri, furono
V. Lanfranchi, numerosi vescovi tra cui Mons. L. Gastal-
nno, Mons. Galletti, Mons Formica e Mons. Calahiano,
ri di teologia in Seminario e molti professori di Universi-
ei e ginnasi. L'intreccio di questa commedia ricalcava la
dei testi precedenti, ma l'esito positivo che ne ebbe -
1 cronista - mostrò pubblicamente "come fossero colti-
studi classici nell'oratorio, ed è perciò che a quando a

9.8 Page 88

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quando si faceva preghiera a don Bosco perché accettasse la dire
zione di qualche Collegio Municipale"44.
Nel 1868 con la replica, in occasione della consacrazione
Tempio di Maria Ausiliatrice, della commedia di Rosini Phas
tonices, si chiude questo periodo "aureo" delle rappresentazi
latine all'Oratono, per riaprirsi nel giugno 1876, quando la re
della medesima commedia raccolse un eccezionale successo.
parata con estrema cura fu applaudita in modo superiore ad
aspettativa, ottenne consensi e lodi da giornali e periodici com
"Il Baretti", l'"Emporio popolare", oltre che dalla più favore
e ben disposta "Unità cattolica", la quale chiamò l'esecuz
"accademia plautina": accademia, perché forse si vide più
altro un saggio dei progressi fatti da quei giovani negli studi
sici, e plautina, perché realmente i versi "arieggiavano alla m
ra propria del poeta di Sàrsina".
Le insistenze per la replica furono tali che il sipario si ria
l'otto giugno: vi accorsero molti torinesi, tra cui il professor
Allievo, docente di pedagogia alla Università di Torino, il qua
"andava per la sala del teatro a trame innanzi persone raggua
voli", mentre negli intervalli venivano eseguite le romanze
diane di G. Cagliero4s.
I destini di Phasmatonices non terminarono qui: venne ripr
nel luglio del 1880 a Borgo San Martino (Al) e nello stesso ann
Valsalice; nel 1882 nel ginnasio di Randazzo in Sicilia e forse
altri istituti.
Sul finire del secolo l'interesse e il gusto del più ampio ambie
culturale italiano fecero mutare lentamente la commedia in dra
ma, e in dramma di ispirazione religiosa. In questo clima trova
no modo di affermarsi nuovi testi, di drammi e non più di co
medie, che lo stesso G.B. Francesia, ormai divenuto professore
una certa fama, andrà componendo per le varie scene degli istit
ti, assccondando i desideri di don Bosco.
Nell'anno 1885 compose il De sancto Aurelio Augustino, e,
seguito, altri drammi: Leo I, Ponlifex Maximus; Leo 111,Pon
Maximus; Ephisim; Ad Golgotam; Tarcisius;Saturio; tutti rac
neli'opera Actiones dramaticae latinae plautinis versibus cons
tue. Infine compone il dramma Ad Romam, per il sedicesimo ce
io della pace costantiniana. Negli anni che seguirono vennero
resentati drammi storici con testo italiano, spesso in poesia,
e all'erudizione latina subentrava quella storica, un po' più
tacolare, ma non meno classica e sempre abbastanza coraggio-
er quei tempi e per quegli ambienti"46.
ra questi vogliamo ricordare, per l'argomento in qualche
o legato alla cultura latina, Le Pistrine, o l'ultima ora del
nesimo in Roma, di G.B. Lemoyne, che si richiamava
anza di rivalutare la letteratura cristiana47.
iziative editoriali per la scuola e la cultura.
La collana dei classici latini.
no agli anni Sessanta in Piemonte i testi d'autore latini letti in
se erano selezionati e raccolti in un'apposita Anthologia latina
mpata presso la Tipografia Regia), che aveva visto nel 1855 la
Itima edizione.
nuova scuola e i nuovi programmi nati dall'unità d'Italia
ber0 imposto una nedizione di quest'opera scolastica, se le
e che si erano raccolte attorno ad essa non avessero finito
raggiare qualunque editore. Si rimproverava infatti a que-
o della scuola piemontese di aver selezionato le pagine
crittori latini con criteri non omogenei; di aver trascurato
la poesia in nome del primato dell'eloquenza; d'imporre
co accetti agli insegnanti e privi di interesse per gli allievi;
riuscire a provare il valore stilistico di ciascun autore per
'va frammentarietà dei testi; da ultimo, di seguire nella
zione dei materiale il criterio retorico dei generi letterari
e quello monografico o dello sviluppo storico della lettera-
'imponevano quindi iniziative che rispondessero alla man-
a di un testo adeguato.
Tipografia dell'oratorio, impegnata, come si è visto, a cura-
anuali e dizionari, rispose intraprendendo la pubblicazionedi
lana di autori classici, la "Selecta ex latinis scriptoribus".
esta prima collana fecero seguito altre due: una per la let-
ura italiana, la "Biblioteca della Gioventù Italiana", e una per

9.9 Page 89

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la letteratura latina cristiana, la "Selecta ex latinis christiani
scriptoribus".
L'editoria latina ebbe il suo responsabile e fecondo pro
in G.B. Francesia, il quale proprio nell'anno in cui sostenne la tes
di laurea all'Università di Torino (1865), avviòla pubblicazione
di opere latine.
Vallauri, in precedenza (dal 1850 al 1858), aveva dato vita
con un certo successo - a d una "Collezione economica degl
scrittori classici latini", pubblicati a Torino dalla Stamperia Rea-
le, riproducendo testi di Cicerone, Livio, Sallustio, Svetonio
cito, Floro, Quinto Curzio, Eutropio, Ammiano Martellino,
zio, Persio, iov vena le, Claudiano, Giustino, Plinio C. Secon
Fedro e Minucio Felice.
Si scelse allora di continuare sulla scia dell'iniziativa vallauri
na e si decise per una raccolta di opere latine che fossero destinat
alla scuola, soprattutto liceale e ginnasiale, per sostituire la ma
cata nedizione della Anthologia latina.
Così nel 1866 si avviò la "Selecta ex latinis scriptoribus in
scholarum" con i seguenti titoli: T. Livii, Historiarum liber
m w C.J. Caesaris, Commentariorum de bello Gallico liberpri
et secundus; C. Cr. Sallustii, De coniuratione Catilinae;C. Cr.
lustii, De bello Jugurtino; Phaedri, Fabularum liber primus
secundus; Phaedri, Fabularum liber tertius, quartus et qu
M.T. Ciceronis, De senectute et somnio Scipionis; M.T. Cicero
- Epistolae selectae omnium brevissimae et faciles - liber pri
M.T. Ciceronis, Epistolae selectae liber secundus; M.T. Cic
nis, Philippica tertia in Marcum Antonium et Oratio pro
poeta; C. Cornelii Taciti, Vita C.J. Agricolae; Cornelii Nepo
Vitae Imperatorum; Lhomond, Epitome historiae sacrae, acced
lexicon latino-italicum.
Per illustrare la portata della scelta operata a Valdocco
essere utile un confronto con quanto facevano altre editrici to
si. Assai diverso, infatti, era l'intento dell'editore Ermanno
scher.nella pubblicazione della sua collana, con cui si propone
di dare all'Italia qualcosa che somigliasse alle collezioni pubblica
te dalla Teubner a Lipsia e dal Weidmann a Berlino, pur senz
trascurare l'impiego nella scuola. Di qui un certo squilibrio all'in
o dei singoli volumi, che risultavano troppo abbondanti da un
e insufficienti dall'altro, troppo ricchi per le scuole e troppo
rienza dell'editrice Loescher, qualche anno
tardi anche l'editrice Paravia inaugurò una "Biblioteca scola-
", ad un livello superiore rispetto a
per la qualità dei lavori e per la cerchia dei
'Oratorio, l'anno seguente all'inaugu-
si arricchì dei segunti titoli: E x operibus P.
um scholarum; C. Plinii, Epistolae
Horatii Flacci, Satyrae et epistolae
tue: Ex epistolisC. Plinii CeciliiSecundi;P. Virgilii M., Buco-
et Georgica; P. Virgilii M., Aeneis.
ne data una sistemazione defi-
i titoli due commedie di Plau-
inummus e SAulularia, commentate da Vallaun e già pre-
mente pubblicate, e la commedia Phasmatonices seu Lar-
sini, rappresentata all'oratorio in quegli
come si è detto.
collana raggiunse cosi i ventiquattro volumi.
ratore di tutti i volumi, sotto la guida di don Bosco e di
re G.B. Francesia, il quale, fatta la scelta
il testo latino, senza commento,
. Essi contenevano in prima pagi-
autore in esame, tratta dalla storia della
atura di Vallauri, mentre l'edizione testuale era in genere
tinorum scriptorum cum notis" di G.
prattutto per i testi dedicati alle classi inferiori sembra preva-
questa formula, che escludeva le annotazioni, obbligando
gli allievi ad una maggior attenzione alle osservazioni di
tere grammaticale, che il professore andava rilevando duran-
gli autori invece destinati alle classi superiori, soprattutto per i
ella stesura di un commento raccolto in
lingua latina. La scelta delle note in

9.10 Page 90

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latino rispondeva ad un'esigenza, allora ancora sentita, di confer'
re valore scientificoall'opera accreditando presso gli studiosi I'
tore e l'editore di tali commenti, che, se fondameotalmente er
destinati agli insegnanti, per la loro chiarezza e semplicità non
dovevano apparire troppo oscuri agli allievi stessi.
Il tipo di osservazioni proposte in queste note era generalmente
di carattere storico, ambientale, talora letterario, da cui nasceva
confronti con poeti italiani (Dante, Petrarca soprattutto, e
Tasso, Poliziano e Manzoni), e latini (Virgilio, Ovidio e Oraz
Né Francesia evitava di proporre alcune interpretazioni dei pas
più difficili, atte più ad offrire il senso che non la traduzione.
Dopo il 1869, che vide impegnato don Bosco e Francesia nella
pubblicazione della "Biblioteca della Gioventù italiana", la "Se-
lecta" riprese le sue pubblicazioni raccogliendo altre opere des '-
nate anche al liceo (alcuni dei primi collaboratori di don Bos
insegnavano ormai negli istituti liceali di Aiassio e di Valsalic
La maggior parte dei volumi pubblicati in questi anni era dov
ta a Giovanni Bacci, professore di Retorica nel Seminano di P
to, amico di Tommaso Vallauri. Egli annotò con commento lati
le opere di Cicerone (I1 Filippica, I e I1 libro delle Tusculan
Lucrezio, Livio, Sallustio e Virgilio.
I1 1884 segnò un anno di passaggio e di trasformazione per
"Selecta". Varie possono essere le cause. La Tipografia Salesia
aveva partecipato proprio in quell'anno alla grande Esposizion
Nazionale dell'lndustria Scienza e Arte tenutasi a Torino48, pre
sentando nella galleria di Didattica tutta la sua produzione libra
ria: il confronto con le altre case editrici di impronta scolastic
dovette influire sulla produzione dell'Oratorio. Inoltre altri sale
siani, professori di ginnasio e di liceo, quali G. Garino, E. Cena
C.M. Baratta, di diversa formazione e ormai giunti a maturità,
erano affiancati a Francesia nella direzione della collana.
Si passò cosi alla revisione della "Selecta". Vennero sostitui
alcune opere che risultavano inadeguate o per il testo critico, o p
il tipo di commento, o perché non appartenenti al mondo classi
romano. Si optò per un commento in lingua italiana, ormai p
richiesto e universalmente diffuso. Anche Francesia riprese tra
mani i suoi primi commenti e, pur mantenendo lo stesso meto
avoro, ripubblicò, questa volta in lingua italiana, le note a
azio, a Tibullo e a Ovidio. Si cercò di superare gli stretti confini
Ila vecchia "Selecta", trasformatasi ormai in una collana "ad
O interno" delle scuole salesiane. Era necessario, per rimanere
i allo scopo di realizzare una collana al servizio della scuola,
entare il numero dei collaboratori, scegliendoli tra persone
ificate, che tuttavia non avessero smesso il contatto e I'eserci-
ell'insegnamento; era necessario presentare testi che si rifa-
o alle migliori edizioni critiche, superando il pregiudizio
ermanico; era necessario infine presentare opere che potesse-
etere con quelle di altre editrici, tra cui, come si è detto,
e Paravia nella stessa Torino.
pri questo nuovo corso Giovanni Garino, insegnante a Valsa-
con un commento di un certo valore, per le note di carattere
tico e storico, al X libro delle Institutiones oratoriae di Quin-
no, seguito più tardi da due commenti a Tacito.
opo questi commenti se ne aggiunsero altri di diverso impe-
e alcuni sostituirono quelli della vecchia "Selecta". Parte di
ti furono composti da salesiani insegnanti nei ginnasi e licei
C.M. Baratta, G. Puppo, E. Ceria, A. Brunacci; altri da inse-
i e professori di licei statali, come C. Vignali, L. Brunelli, G.
rdi, M. Cerrati, P. Giardelli, ecc. Si annoverarono così in que-
della collana opere di diverso carattere: dai testi privi di
nto (ristampe delle prime edizioni del 1866-1867) a riedi-
I testi critici, che intendevano correggere alcune precedenti
re proposte da altre case editrici torinesi (come le opere di
anchi). Tuttavia, nota caratteristica anche di questo nuovo
, che sarà poi tipica della collana nata dopo la prima guerra
diale presso la Società Editrice Internazionale, è la chiara e
a impostazione scolastica, rispondente alla preparazione de-
udenti cui era destinata la lettura dell'autore.
' ristmtturata, ma sempre con intenti scolastici, la "Selecta"
n notevole sviluppo nei primi anni del nuovo secolo, legato
ad un rinnovato interesse per gli studi classici, con prospet-
Ù estetiche e storiche, trasmesse dagli ambienti universitari
listici alla scuola secondaria.
enendo lo stesso titolo di "Selecta ex latinis scriptoribus in

10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

▲back to top
usum scholamm", raggiunse nel 1910 presso la Libreria Editrice
- Internazionale SAID Buona Stampa - nuova insegna della Tipo-
grafia e Libreria salesiana un massimo di 75 volumi, coprendo
praticamente le richieste dei programmi governativi per la lettura
degli autori classici nelle scuole secondarie.
4.2. La collana degli scrittori cristiani.
"Si studi il modo di introdurre nelie nostre case i classici Cristiani in tutte
le classi ginnasiali e liceali; siavi almeno una lezione per settimana Sopra
un testo di questi autori e questo formi materia d'esameX49.
Cosi si pronunciava la massima assemblea deliberativa del1
Congregazione salesiana nel 1877, ponendosi al termine di un
lunga maturazione sia personale dello stesso don Bosco, sia P'
generale dell'area culturale cattolica, in cui egli e i suoi collabor
tori si inserivano.
I1 problema della classicità cristiana che rivendicava una POS
zione all'interno della scuola nei confronti della dominante class
cità pagana, era scoppiato negli anni Cinquanta attorno alle figur
assai discusse del padre Bresciani, del padre Ventura e detl'abb
Gaume.
L'abbé Jean-Joseph Gaume (1802-18791, teologo, vicario del1
diocesi di Nevers e prelato romano, sostenne, con l'appoggio
Montalembert in una serie di scritti, il più celebre dei quali è
volume Le ver rongeur, la tesi estremistica della ''~agania
dell'educazione classica; e la necessità di eliminare dalle scuol
secondarie francesi non solo i classici greco-latini anteriori all'er
cristiana, ma anche i classici della Rinascenza e del classicism
secentesco, inficiati di pagania, in quanto emuli e imitatori de
antichiso.
La tesi incontrò consensi anche in Italia, dove per essa, dirett
mente o indirettamente, parteggiarono il padre Ventura, che rit
neva i classici forniti di "ragion filosofica" e sprovvisti di "ra
cattolica"; il conte Tullio Dandolo, che "all'illustre G. Gau
dedicava nel 1885 il proprio volume sul Pensiero pagano a i gZ
dell'lmpero, "perché alzò per primo la voce contro la soverch'
importanza attribuita ai tipi pagani nell'insegnamento lettera
prattutto il padre Bresciani, che volle l'esclusione in radice del
ggio classico dalle scuole italiane, come "peccaminosa paga-
n Bosco, che si era formato sulla lettura dei classici e per i
- come egli stesso lasciò intendere - era caduto in una
di "infatuazioneletteraloide",superata solo durante gli anni
Seminario (1835-1841) allorché "si costrinse a vedere le bel-
e e la supenorità"5i della letteratura religiosa su quella profa-
non ebbe difficoltà ad ammettere la possibile coesistenza della
' entrambe le fonti, classiche e cristiane: le prime per la
ella loro forma, da cui egli stesso era rimasto affascinato;
per i loro contenuti di "dottrina e moralità". Per questo
stesso negli anni Cinquanta, quando aveva avviato la scuola
'Oratorio, si era impegnato ad integrare le letture scolastiche
suoi convittori proponendo i testi delle lettere di Girolamo;
attutto rimase famosa, nei ricordi dei suoi collaboratori,
, di fronte a Vallauri, fatta da don Bosco sullo stile e sul
li scrittori latini cristiani52.
uesta scelta non poco dovette confortare don Bosco l'encictica
IX Inter multiplices, indirizzata ai vescovi francesi il 21 marzo
, in cui si sosteneva la complementarietà e la necessità della
a di autori cristiani e di classici pagani, e s i richiedeva che que-
'mi non fossero estranei alla prospettiva cristiana.
ita per qualche anno la polemica scoppiò nuovamente negli
a volta però in termini diversi, più radicali. Ad essere in
ne non era solo la priorità degli autori classici su quelli
ani, ma lo studio del latino tout court, ritenuto un residuo di
ocietà ormai scomparsa di fronte all'awento della società
ata la sorte del latino nella scuola secondaria, il dibattito
o a questa lingua si articolò vanamente: con quale animo
narsi al mondo latino? Con l'animo "positivista"di chi stu-
meni concreti e fatti positivi, come sono appunto i fatti
tici, senz'altro interesse se non la pura ricerca scientifica, o
interesse pedagogico, che vuole trovare nella letteratura
e virtù che confortino il vivere civile? Schematizzando,

10.2 Page 92

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erano questi i termini di confronto che interessavano lo studio
delle lingue classiche attorno al Settanta.
Mentre i filologi puri della "Rivista di Filologia e d'IstI'uZione
Classica" optavano per la prima soluzione, il mondo cattolico
propendeva per la seconda.
Esso reclamava una propria originalità di fronte alle istituzio
della società liberale e al positivismo della cultura. Così se i catto-
lici non rinunciavano alla lettura dei classici greco-romani, disp
sti a raccogliere esempi e modelli di virtù umane e di civismo,
mostravano naturalmente più aperti e condiscendenti verso la let
tura.degliautori cristiani, da cui gli allievi avrebbero potuto t
una notevole quantità d'insegnamenti. Una sola riserva si PO
a questa parte della letteratura latina, ed era la riserva forma e
stilistica, sostenuta a Torino dal Vallauri.
Don Bosco, che aveva ormai aperto più di una scuola dopo
1870, sentì e condivise i problemi e le inquietudini che preo
pavano i cattolici impegnati nel mondo della scuola. La lettu
un opuscolo di A. Belasio, del quale egli stesso curò una r i ~ t
pa53, lo inserì nel vivo della questione, incoraggiandolo nel s
‘spensiero @'introdurre gli autori classici cristiani nella scuo
così come dovettero incoraggiarlo le rinnovate prese di posizi
del Papa stesso, favorevole alla lettura dei classici romani e cr
stiani.
A partire da queste premesse si diede avvio alla collana "Sele
ex christianis latinis scriptoribus", i cui volumi preparati
"cura e diligenza speciale", corredati di "note (...) per oper
persone specchiate per scienza e morale", venduti "a pr
modicissimo", erano destinati "a quella parte della società
deve essere il fondamento di un lieto o triste avvenire religios
civile".
La "Selecta"di scrittori cristiani risultava un progetto destin
ai giovani della scuola a carattere prevalentemente popolare.
questo settore e in questo genere di pubblicazioni don Bosco
era tuttavia il primo, anzi s'inseriva in un movimento editon
cattolico teso ad avvicinare le fonti del pensiero cristiano al va
mondo ecclesiale. Altre esperienze editoriali di questo gener
erano tentate o si stavano tentando in Italia; una a Napoli, d
1862 si erano stampati tre volumi di una collana dal titolo
ini scriptores christiani ex ampliori collectione clarissimi J.
me"; a Torino l'editrice Marietti nel 1877 avviò la pubblica-
ne della collana "Carmina de poetis christianis excerpta adno-
onibus illustrata ad usum studiorum". L'impulso maggiore per
n BOSCOdovette venire dalla Francia, anch'essa segnata dalla
lemica sugli studi latini cristiani, e dove i programmi scolastici
evano imposto lo studio dei classici cristiani, suscitando nume-
se pubblicazioni di testi per le scuole. Sorse in quegli anni una
electa Patrnm opuscula", seguita dai "Carmina poetarum chri-
anorum" di F. Clement e dai "Morceaux choisis" dei Padri del-
Chiesa latina, editi dalla Lega delle Case di educazione cristia-
, mentre nel "Thesaurus poeticus linguae latinae" di Quicherat
nelle collezioni di opere latine venivano accolti anche autori
ella letteratura cristiana.
on Bosco, nell'avviare la sua "Selecta" di scrittori cristiani,
ava ad una raccolta parallela alla già esistente "Selecta ex
inis scriptoribus".
ncaricato della compilazione e pubblicazione della collana fu
'etti, da poco laureatosi (1872); dopo reiterate insistenze
OSCo, nel 1875 pubblicò il primo volumetto della "Selec-
edicato a Girolamos4, cui si aggiunsero altre pubblicazioni
raggiungere dodici volumi alla fine del secolo.
ettura degli scrittori cristiani latini, accanto a quelli voluti
0grammi ministeriali, venne prescritta per le scuole salesia-
dal 1877, interpretando un desiderio dello stesso don Bosco.
he anno più tardi F. Cenuti, che dal primo Capitolo Gene-
della Società di San Francesco di Sales era stato incaricato di
etizzare il progetto, pubblicava un libro in cui "riscopriva
radizione" che aveva tentato di unificare lo studio dei classi-
gani e cristiani, e nella quale don Bosco si era inseritoss.
n presto tra gli insegnanti delle scuole salesiane alcuni si
ssionarono a questo mondo letterario e furono indotti a stu-
on notevole interesse e competenza: G. Nespoli, che lasciò
zione delle lettere di Agostino; G. Garino, che pubblicò
' ai Padri greci; e soprattutto P. Ubaldi e S. Colombo.
i programmi Gentile del 1923 introdussero fra gli auto-

10.3 Page 93

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anche gli scrittori cristiani antichi, fu r i c o n ~ ~ ~Uina~ t a
prassi più che decennale della scuola salesiana, espressasi poi,
quando il contesto storico riconobbe piena cittadinanza allo Stu-
dio delpantichità cristiana, con una rivista specializzata in lettera-
tura cristiana antica, il "Didaskaleion", e in una raccolta di testi
criticicon interpretazione e commento, la "Corona Patnim Sale-
mentre la ''Collana di autori latini commentati per le
scuole" - collana dell'editrice S.E.L, nata d a l l a fusione della "Se-
letta ex latinis script~ribus"e della "Selecta ex christianis latinis
sc,.iptoribus" - annoverava i testi di Girolamo, di Agostino, di
~ ~ f i ~ l leicc~., ~acoca,nto a testi di Cicerone, di Virgilio, di Ora
zio, di Tacito e di altri classici latini.
i cfr.F. TRANIELLO, prima legge sull'ordinamentn dell'istrunione pubblica
piemonte, in: université des sciences sociales de Grenoble, "Piemont @tAlpesfra
F ~au m~ilieu~du X~IXsièscle': Grenoble 1977, PP. 81-93.
2 p. STELLA, DO^ BOSCO nella storia economica e sociale, LAS, Roma 19
p. 233.
3 p, STELLA,DO^ BOSCO nella storia economica e sociale, PP. 180-181.
T. Vallaun e V. ianfranchi aiutarono Don Bosco nella stesura dei testi latini
e Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales, A. Peyron per un anno intero
Prestò a dare lezioni di grecoa Michele Rua. C. Bacchialoni,negli ultimi anni della
a vita, fece scuola nel liceo di Valsalice.
ROYERBIO, Lingue classiche alla prova Pitagora, Bologna 1871, pp. 39.44.
Porti (1791-1858), fondatore delle "Scuole infantili", fu chiamato a v orino
r o Alberto nel 1844a dirigere la prima scuola pratica di metodo per i maestri.
945, suscitando un certo risveglio pedagogico, creò a Torino e in provincia le
cuole di Metodo", destinate alla formazione dei professori.
Memorie biografiche 3, p. 573.
r L~~~~~~ al ~ i ~ i s tdreolla Pubblica Istmione Terenzio Mamiani, in d
12giugno 1860(Memorie biografiche 6, PP. 637-639).
6 Memorie biografiche 7, pp. 327-328.
7 htteraal provveditore agli Studi di Torino Francesco Selmi, in data 13 lu
1863(Memorie biografiche 7, pp. 475-4761,
s F~~i Più impomnti istituti aperti da Don Bosco
bnzToorinese (1864), Borgo San Martino (1870), Alassio (1870), Varazze (18
Valsalice (1872).
9 cfr.M. BENDISCIOLLIo, Sinistra storica e la scuolcl, "Studium", 1977, PP.
SS.
io p. STELLA, Don BOSCO nella storia economica e sociale, P. 156.
l l httera al direttore della Gazzetta del Popolo, spedita in data 2 agosto
(Memorie biografiche 14, pp. 185-186).
12 T. vallaun (1805.1897) fu professore di eloquenza latina e italiana all'univ
di ~ ~ fneil p~erioodo di transizione dalla etudizione umanistica alla filolog'
L. LANCELOT, Compendio del Nuovo Metodo per apprendere agevolmente (a
latina, Torino, Stamperia Reale, 1815.
ra in due volumi deli'editoie F. Casanova di Torino: il primo i: del 1892, il

10.4 Page 94

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30 Cfr. "Bollettino Salesiano", XXIV (1900), 2, p. 56.
11 Memorie biogi~fich1e6, p. 319.
32 TH. VALLAURiI,,exicon latini-italique sermonis in m u m scholarum, novum
ordinem digesum atque emendatum, Aug. Taur., ex Officina Regia, 1851; T. VA
LAURI,Vocabolario itnliano-latino ad uso delle scuole, riordinatoe corretto, Torin ,
Stamperia Reale, 1852.
33 C. DURANDO, Nuovo vocabolario latino-italiano e italiano-latino ad uso degl
alunni delle scuole ginnasiali e specialmente dei principianti, Tonno, Tipografia
Libreria Salesiana, 1882.
34 I1Nuovo vocabolarioitaliano-latino e latino-italiano di C. Mandosio (pubblica1
a Modena nel 1851 e poi a Torino in successive numerose edizioni) era diventat
sinonimo di "vocabolario elementare per le prime classi ginnasiali".
15 "Unità cattolica", 18 giugno 1876.
36 ~a Rntio Studiorum è il codice scolastico e pedagogico della Compagnia di Ges
composto nel sec. XVI, per guidare l'attività dell'ordine nel settore deli'insegnamen
to, dalle facoltà superiori di teologia e filosofia alle prime classi umanistiche.
17 Memorie biografiche 6, p. 884.
Nel biglietto di invito è detto brevemente anche il contenuto:
(...) Minerval dicitur: nam ut possit
Magistrodiscipulus Minerval (E mercedem) solvere,
Quod obliguriit, cum a parre aiceperil,
Furtum facere cum sociis induci1animum.
38 Ibidem 6, p. 958.
19 Ibidem 7, p. 187.
40 Zbidem 7, p. 666.
Ibidem.
42 Zbidem 8, p. 121.
43 Zbidem 8, p. 419.
44 Zbidem 8, pp. 781-783.
45 Zbidem 12, pp. 324-325.
46 M. BONGIOANNI, Settanthnni di teatro educarivo,"Teatro dei giovani", 19
6-8, p. 9.
47 Memorie biografiche,17, p. 503.
48 Cfr. ASSOCIAZIONE TIPOGRAFICA LIBRARIA ITALIANA, Catalogo CO//&'~
della libreria italiana, Milano, 1881; ID., Supplemento al catalogo collettivo de
libreria italinnn del 1881, Milano, 1884.
49 Deliberraiioni del Capitolo generale della Pia Società Salesiana tenuto
Torinese nelsettembre del 1877, Torino, Tipogafia e Libreria Salesiana, 1878
50 J.J. GAUMEL, e ver rongeur des sociétés modernes, ou Iepaganisme da
cation, Paris, 1851.
51 P. STELLA, Don Bosco nella storia delln religiosità cattolica, v. I , PAS- V
Zqrich, 1968, p. 67.
52 Memorie biografiche 4, pp. 634-636; 5, p. 326; 10, PP. 1347-1348.
a A. BELASIO, Della vera scuola per ravvivare la società, Tonno, Tipova
Libreria Salesiana, 1875.
. Hieronymi, De viris illustribus liber
vitne pauli
nis eremita@.Malchi monaci et epjsto/ae selectae cum adnotorjo~bUS1,
ietti, Aug. Taurinomm, ex Officina Asceteni salesiani, 1875,
CERRUTI, Le idee di Don Bosco sulla educazione e su~[.jnsegnnmento
e la
sione attuale della scuola. S. Benigno Canavese, Tipografia e ~ i b ~sal~esiar,,=i, ~

10.5 Page 95

▲back to top
odello mariano e immagine
lla donna nell'esperienza
ucativa di don Bosco
Marra Lursa Trebrlzanr
figura della madre.
1 1846 don Bosco chiedeva a sua madre di andare con lui a
o per affidarle la responsabilità e il peso dell'organizzazio-
vita pratica, quotidiana, del suo Oratorio. Mamma Mar-
diventava una presenza indispensabile perché l'opera del
sacerdote potesse decollare, funzionare, espandersil.
figura di Margherita Bosco resta nella storia come il simbolo
donna madre che si occupa di tutte le piccole cose materiali,
li, delle quali non si può fare a meno, senza le quali non si
colei che risolve con semplicità e umiltà i problemi base-
sistenza anche quando sembrano imsolvibili: mangiare,
vestirsi, coprirsi."Pensava e provvedeva a tutto", dice il suo
afo? e quel "pensava" sottintende' un lavoro che, prima di
etarsi in un bene materiale da dare ai ragazzi, è ricerca di
oni difficili e pesanti. Mamma Margherita ha un momento
nchezza: il figlio le addita la Croce e lei riprende il suo carn-
in casa3. Se per un attimo lo ha sentito faticoso, quasi al di
le proprie forze fisiche, mai lo considera umiliante e tanto
o alienante. La povertà non è un limite: c'è la gioia di fare con
e di dare quel poco; c'è la consapevolezza istintiva di che
significhi consumare insieme anche un povero pasto, quanto
e spartire un tozzo di pane. Margherita vive il Vangelo, si
la Madonna senza esibizione o vanto. Svolge il suo molo
donne del Vangelo. Cristo umanizzandosi ha accettato e
to tutti i limiti della natura: il motivo del nutrimento, del-

10.6 Page 96

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la mensa, è ricorrente nel Nuovo Testamento; la presenza de
donna è determinante. Mamma Margherita, "sempre alleg
sempre amorevole e generosa"... "vegliava continuamente
ogni cosa andasse bene..."4 e che ci fosse il cibo sufficientePer
ragazziL. 'ora del pranzo, anche nella povertà delle vivande, è Pe
lei e per tutti momento di gioia, di allegria, di amore; quando no
esiste ancora un refettorio, ci si raccoglie in cucina, qui si Cementa
punione della famiglia per la capacità che ha la madre di sa
elevare ]e necessità naturali umane, rendendo loro il volto
tuale.
Mamma Margherita può essere presa come l'esempio class'
delle
casalinghe, tanto esaltate nel sec. XIX. È figlia del s
s e ed ~è pres~entat~a dai~hiografi con tutte le doti che il secol
voleva avessero le buone madri. Ma ad un esame più attento ci
accorge che ella riflette la mentalità del tempo in modo del tut
11confronto con la trattatistica ottocentesca relativa a
madre permette di rilevare come su uno sfondo comune si P0
no vivere certi principi in forma diversa.
L'immagine che don Bosco ha avuto della donna5 direi
vada riportata direttamente a sua madre, che diventa sempre
mine di raffronto e di giudizio. Non la idealizza, ma, avend
amata e apprezzata per quanto aveva fatto, nei suoi scritti ha
presente quando descrive una madre. Per e~empion, el v ~ l u m e t
forza della buona educazione, curioso episodio Contemporane
la figura centrale è la madre: don Bosco narra l'episodio Per
tere in risalto che sono le mogli, non i mariti ad allevare i
sono le mamme che li fanno diventare persone per bene 0 P
se, le mamme che hanno fiducia nella Vergine Maria, "nost
buona madre3'6.Anche questo scritto riflette la mentalità del t
po. Ma don BOSCO è soprattutto un uomo di vita attiva: la
spiritualità va letta su questa linea di operosità pratica7.
2. Devozione mariana e la donna-madre.
devozione mariana è una delle caratteristiche espres
della religiosità ottocentesca. Quando, come reazione al rigons
nistic0 e al10 scetticismo settecentesco, si diffonde una far-
pietà basata sul sentimento, sulla credulità, sul "gusto del
igli~so"~si, ha un vasto sviluppo della devozione alfa
nna sia con pratiche e manifestazioni religiose, processioni, pel-
naggi ecc., sia con un'ampia fioritura di letteratura spirituale,
mese di maggio, sul Rosario, sulle doti e i privilegi di Maria,
ttoCent0 è il secolo del dogma della Immacolata Concezio-
Ile apparizioni di Lourdes e di Fatima, di fenomeni che
no le coscienze, che spingono a volgere gli occhi al cielo,
adonna mentre calpesta il demonio.
magine di Maria che schiaccia la testa del serpente, ricor-
anche nella letteratura dei secoli passati, nell'0ttocento
nta sempre più simbolo fulgidissimodel bene, e in particolare
rionfo della Chiesa. Per quanto riguarda la donna, questa
ine diventa simbolo di riabilitazione, perché la Vergine con
aternità ha cancellato la macchia di Eva. Mentre si mal-
le pubblicazioni di libri di preghiere e di meditazione,
mporaneamente vedono la luce numerosi trattati sulla ma-
famiglia. Intensa devozione mariana e recupero della idea'
dre sono caratteristiche ottocentesche9. Maria è il modello
a madre cristiana.
OncettO di "madre" e ilsignificato eil valore di "amore mater-
sono oggetti di discussione, di trattati e di pubblicistica a livel-
t0 e anche a livello quasi popolare; di ispirazione
e diverse Correnti, intransigente e liberale; come pure di ispi-
"laica", a volte anche anticlericale. I motivi centrali sono
uahUIque sia I'ispirazione di fondo: il moralismo ottocente-
in tutti gli scritti sia "laici" sia cattolici, nonostante che
overino a quelli di essere irnmora~i.
lce ruolo di figlia, sposa e madre, che la donna è destinata a
nel mondo, è spesso preso in esame in modo complessivo,
difficile isolarne uno dali'altro. Non esiste invece una trat-
degna di considerazione sulla doma non sposata, su -lei
nel mondo senza marito e senza consacrarsi a Dio. Nean-
religiosa c'è Una produzione di questo tipo, a meno che non
lano considerare tali le regole, i direttori, le istmioni per

10.7 Page 97

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momenti e situazioni particolari. È un genere di pubblicazio
non a larga diffusione, perché per lo più è diretto a precisi nucl
di consacrateii. Comunque mentre la "zitella" è placidame
ignorata, alla moglie e madre sono imposte molteplici norme
comportamento, che qui esaminiamo brevemente, anche se so
in massima parte note e monotonamente ripetuteiz.
Alla sposa, per essere "buona sposa", è chiesto non sol0 di ess
re amorevole verso il marito, fedele, solerte nell'adempimento
propri doveri, ma soprattutto di essere animata da spirito di ab
gazionee di sottomissionei3. Anche se con termini e forma dive
sa si insiste costantemente su questi motivi, che culminano ne
spinto di sacrificio. L'idea della sposa che deve essere PrOnt
sacrificarsi per il marito e poi per i figli è al centro di ogni bu
trattato di ispirazione cattolica, come di ogni libro di devozio
di meditazione, che contenga pagine espressamente dirette
donna. 11modello da tener presente è la Mater dolorosa, Mari
piedi della Croce, ed 6 a lei che ci si deve umilmente rivolgere n
per chiederle di allontanare il dolore, ma per renderlo fm
Normalmente non cisi ferma a parlare della sposa non
il termine sposa ha il significato di stadio di passaggio Per giuri
re alla madre. Quindi, affermato il principio di sottomissio
obbediensa, fedeltà, l'argomento sembra esaurito. 11 proble
dell'amore coniugale, con i suoi molteplici aspetti affettivi, fisl
sessuali non è affrontato nella pudica letteratura ott
Solo raramente e in poche righe si accenna ai "doveri
niali" per sostenere che la sposa deve compiere questi doveri
pre e non astenersene nemmeno "per praticare viitu", deve ess
disponibile per il marito anche se ciò Costasse la rinuncia alla P
pna volontà; deve essere "buona" con lui anche quando è un
lento, un ubriacone, un dissoluto. 11 marito, Comunque s'
considerato un dono di Dio che porta la donna, attraverso il
ficio, alla santificazione. Perché "una maritata come sposa"
essere consapevole che "il matrimonio ha poche gioie e m
affanni" 14.
Forse solo il pregiudizio sociale dello stato di inferiorità
nubile - della quale era bene tacere - poteva invogliare 1
ciulla cattolica che leggeva questi libri a convolare serenam
nozze! Ma forse, anche le giovinette dell'età romantica,
ndo a tutti i controlli, leggevano romanzi e giungevano ai
moni0 non prive di sogni profani, rimandando all'età matu-
Ontatto con la realtà che in fondo poteva non essere tanto
da quanto risultava dalle descrizioni della pubblicistica
ente moralistica, opera prevalentemente maschile.
doveri verso il marito fanno seguito quelli verso i figli: la
- a è moglie, ma è soprattutto madre. L'Ottocento come si è
-0 riscopre l'amore mterno. Studi recentils, soprattutto fran-
hanno analizzato il fenomeno seguendone l'evoluzione attra-
O i secoli e hanno messo in risalto come tra la fine del '700 e
Zio dell'800 si verifichi il passaggio da una forma di indire-
za alla riscoperta delf'amore materno come valore nuovo.
nseguenza ne è una esaltazione e idealizzazione del molo di
dre e un rinnovato interesse per l'infanzia e per il rapporto che
dello ideale è sempre la Vergine. La divina maternità di
sublima la donna comune, sollevandola dalla sua condizio-
inferiorità, rendendola 'oggetto di riverenza e di more"16.
'ssione di madre non cessa mai: ella deve essere vicina ai
al giorno della nascita fino alla maturità e oltre. Si insiste
]t0 suflaquestione delf'allattamentoe si polemizza con l'uso di
i figli a balia, tipico dei secoli precedenti. La mamma che
a il bambino è un'immagine comune a cattolici e a liben
tori, nella letteratura colta e popolare, nell'arte, nella icono-
devozionale. Importanza capitale è data al fatto che la
e segua i figli nella educazione, nella formazione, e anche
tni~iones,oprattutto religiosa. Quindi in primo piano è con-
il molo di educatricei7. Però non risulta chiaro in che
x'mxnte consista questo compito, presentato di solito in
enerica e POCO concreta, per cui concetto di educazione e
one si confondono e si sovrappongono. Qualche volta si
che la madre debba essere apostola e maestra, insegnan-
li catechismo e principi religiosi, insieme ai primi etemen-
ura e Scrittura. Nel complesso la funzione della madre,
e educatrice, è enunciata come molto impegnativa, fati-
na di rinunce e di sofferenze. Si torna, come per la sposa,

10.8 Page 98

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alla Mater Dolorosa. Nella pubblicistica cattolica il mondo è un
valle di lacrime per tutti, ma in particolar modo per la donna1*.
una linea interpretativa della realtà quotidiana femminile che
prolunga oltre la fine dell'Ottocento e si ritrova ancora nelle med
tazioni, nei manuali di devozioni, nelle vite di sante dei pri
decenni del sec. XX19.
u n interesse particolare suscita il rapporto madre-figlia, perch
è soprattutto a questa che la madre deve dedicare le sue forze e 1
sua attenzione per esserle di esempio, per perpetuarsi in lei. Qui
due ruoli si legano e si fondono: la figlia è destinata a divent
madre, che a sua volta avrà figlie. Ma il compito matemo no
considera esaurito nel tempo e capita di trovare anche nonne
si danno alla composizione e pubblicazione di trattati pieni
buoni consigli per madri, figlie e nipotiz0.
3. La trattatistica cattolica dell'Ottocento.
Motivo comune alla trattatistica è la inferiorità fisica della do
na, che è però "debole" anche intellettualmente; quando s'
della sua formazione culturale ci si rifugia immancabifme
questa rappresentazione. Per tutto l'ottocento scrittori e scritt
guardano alla donna essenzialmente come madre: è la Sua sPe
citi, la sua forza, ma anche la sua debolezza. Verso la fine
secolo, quando si avviano i movimenti di rivendicazione d
eguaglianza dei sessi, la pubblicistica cattolica, Pur qua
dichiara aperta a idee nuove, persiste nel considerare la
soio legata ai suoi doveri di madre e vede come un pericolo 0
tipo di lavoro, anche intellettuale, come lo studioz1.
~a giovinetta cattolica che legge questi trattati deve affi
alla Vergine Immacolata, chiedendole di custodire in lei le
della purezza, della innocenza, della modestiaz2. Con questo
si sviluppano pratiche di pietà particolari coroncine, fiori
soprattutto i giardinetti di Maria, che costituiscono i primi nu
di vita associativa di fanciulle, delle quali poi alcune prender
il velo, altre entreranno nel "mondo"23. Anche il culto del
mariano è particolarmente consigliato alla giovane: le pub
ne inquadrano storicamente l'origine, ne mettono in risalto
cacia e i benefici che ne possono derivare.
traverso il Rosario è affermato il valore della preghiera
unitaria. Ma la "ricchissima umile letteratura mariana"z4 del
lo scorso è diretta a tutti i credenti; lo specifico del mondo
minile vi trova uno spazio limitato. Anche quando alla medi-
e giornaliera si fa seguire un esempio di vita da imitare o da
e e si citano sante o donne perdute, se ne parla come sim-
i virtù o di vizi validi per ogni essere umanozs. Tuttavia in
cia si è verificata una maggiore attenzione ai problemi fem-
li da parte sia ecclesiastica sia laica26. La letteratura dev?zi?-
e comportamentale francese è indubbiamente più ampia
t0 a quella italiana; ma è difficile distinguerle nettamente, In
t0 questa molte volte attinge a quella e viceversa, e si trova-
aduzioni nell'una o nell'altra lingua nelle quali di solito non è
e citato I'autore originarioZ7. In Italia ad un certo livello
hanno larga diffusione anche le pubblicazioni in lingua
ale: per esempio negli educandati femminili, e non solo in
i religiosi, si fanno adottare libri francesi per seguire la Mes-
fficio della Madonna, il mese di maggio ecc.28. Molto diffu-
bitudine di donare "in premio" volumetti di guida per la
etta che si avvia ad affrontare la vita nel mondoz9. Si può
ffermare che c'è un reciproco influsso, francese in Italia e
o in Francia, ancora da studiare nella sua concreta portata.
nificatico che si seguano linee molto simili.
la letteratura devozionale mariana si risale, sia al di qua sia
delle Alpi, a S. Alfonso de' Liguori, ai gesuiti Lalomia,
arelii30, non ripubblicati in versione integrale, ma libera-
maneggiati. Per cui a metà Ottocento ancora circolano
i che riportano esempi tipici dell'epoca ancien-régime de-
alle vecchie storie della famiglia reale francese o di ambien-
vicini. La monarchia assoluta regna ancora nella devozione
nile, simbolo di una religiosità legata ad un sistema politi-
e la Restaurazione ribadisce sostanzialmente.
le pubblicazioni di devozione mariana la Francia è in gran
bitrice all'Italia fino a metà secolo circa, per i libri d i educa-
di comportamento dedicati a madri e figlie la Francia è con-

10.9 Page 99

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siderata maestra e si continua anche in Italia a far riferimento
Fénelon, Bossuet, M.me de Maintenon, M.me de Genlis e sopra
tutto M.me Campan31, ma non manca nemmeno Rousseau.
~~~h~ quando non sono espressamente citati, il riferimento a
questi scrittori è costante nella letteratura "laica" come in quella
cattolica, la quale non riesce a staccarsi da certi modelli trama
dati come validi attraverso i secolPz. L'eiemento panialmen
nuovo consiste in una accentuazione dell'aspetto sentimenta
dell'educazione.
I "buoni lib* cattolici si distinguono per lo stile: debbo
essere scritti con "calore di affetto e soavità di devozione"; e
semplicità di stile deve corrispondere "pari unzione" affinché
no Utilia ognigenere di personesi. Possono essere definiti tali SO
quelli che si richiamano esplicitamente al Vangelo: non bas
affermaredeterminati principi morali, esaltare le virtù, condann
re i in un ordine puramente naturale: non si aiuta la madre
essere una buona madre se non si fa riferimento al Vangelo,
non le si propone Maria come modelloi4.
Nel penodo in cui si sviluppano nuove teorie pedagogiche, in
in tutta Europa si fa un gran discutere di metodi educativi, la P
blicistica e la trattatistia cattolica cercano di inserirsi con una
p& dimensione tra taij dispute, affermando di non voler dare '
rie3,come fanno i "dotti trattati non sempre bastevolmente
ma fo-e consigli pratici perché i genitori rasgiungano e t
smettano la consapevolezza dei doveri che impone la religione35
Ancora sul finire del secolo si traducono autori francesi ProP
"scarseggiano da noi questi pratici insegnamenti di educ
zione cristiana" e si riprendono i temi già trattati nei decenni
cedenti come quello dell'amore materno, dei doveri e delle
neiriguardi dei figli, cure che vanno dafl'allattamento all'ism
ne, con tutti i particolari controlli delle letture, degli spettacoli e
s i torna sempre ancora a Fénelon, ma ora si cita soprattu
~ ~ ~ ~ ldiovenutatpo o, rmai il punto di riferimento princip
sull'argomento educazione36.
di Orléans è su una l ' i "liberale", favorevole
una buona i s w i o n e della donna di classe sociaie elevata e an
borghese, ma sempre nei limiti precisi di quello che è il Posto
sa deve occupare col matrimonio e con la matemità37,
e si osserva attentamente quanto viene pubblicato lungo il
010 sulla donna e per la donna, si nota che è impossibile isolare
&vi religiosi dalla realtà della situazione politica italiana,
Il'invito rivolto ai fedeli a distinguere tra buona e "falsa" lette-
tra è implicito anche un aspetto politico: sono tutti figlidi
secutori della Chiesa, i liberali, gli antipapalini, gli antitempo-
i, gli usurpatori dei beni temporali, coloro che emanano leggi
ive e soppfimono le corporazioni religiose. Indifferenti~m~,
dulità, nuove eresie si insinuano in ogni ambiente, in ogni
uomini e donne. Da qui la necessità di richiamasi a
Per combattere Eva, il male che dilaga anche attraverso
opuscoli e 0 ~ ~ ~ ~ 0 l eCt itòi p~ogrt.a non di rado ad una con-
e tra piano temporale e piano spirituale che non aiuta a
e idee e sentimenti, ed è forse tra le cause del progfessivo
me di dubbi, di diffidenzee de1I'alIontanamento negli ultimi
del secolo da una fede vissuta nella pratica quotidiana,
este anche il mondo femminile.
poca confusione reca poi la polemica tra cattolici liberali e
sigenti. Questi non accettano che si consideri la donna par-
della mutata situazione politica dopo l'unità, e che la sua
ne di madre sia contemporaneamente vista come missione
di "libera cittadina"; e meno ancora che tra i suoi
noverato l'amar di patria. Chi tratta questi argomenti
nsiderato blasfemo dalla corrente che ha come propria guida
'viltà Cattolica"39.
0 gli anni in cui sulla sponda liberale-risorgimentale si svi-
il modello della madre di eroi, alla quale si richiede di esse-
sta delle stesse virtù morali che sono proprie della donna
ca; anche lei deve essere soprattutto animata da spinto di
azione e di sacrificio, che, pur indirizzato a finalità diverse,
appresentare una norma etica comune a Stato e Chiesa.
a illustre si sacrifica offrendo i propri figli sull'altare della
umile nascosta donna cristiana si sacrifica per la salvezza
ei suoi cari. La prima entra nei "cataloghi", nei "Phtarchi
'li"", la seconda diventa protagonista di libretti agiogfafi-
miti sullo schema delle vite delle sante. Ne sono autori

10.10 Page 100

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teologi come Ventura e Frassinetti, santi come don BOSCO, scritto-
noti come ~ i t v i oPellico, oppure scrittori ignoti O addirittura
anonimi41. Sono lavori che spesso vedono la luce in periodici 0
tra gli opuscoli delle collezioni di buoni libri che durante i l secolo
diventano sempre più numerose, come le «Letture cattoliche)),
nella Torino di don
fi una letteratura molto semplice, lontana dalla raffinatezza
quella francese anche nella veste tipografica. Si tratta di opere
di piccola mole e di contenuto facile. Quelle dedicate alla gio
netta sono spesso a forma di dialogo tra fanciulle, con uno sfo
che mole essere educativo e formativo e con uno sviluppo C 0
nutistico, già vicino al romanzo edificante, il quale si svilu
verso la fine del secolo per controbattere quello "immorale"
ha ormai ampia diffusionetra i1 pubblico femminile di ogni et
A metà secolo la maniera dialogica di presentare in modo pi
argomenti gravi è comune alla pubblicistica di ogni tendenza, no
$010 a quella cattolica, ma anche a quella "laica" liberale: Per
se Virginia ed Elisa44 si scambiano pensieri aitamente nIOra
gianti sulla base di una profonda fede religiosa, Adele ed E
discutendo sull'uso del tempo da parte della giovinetta, intro
cono i motivi di amor di patria e di Italia una e indipendente4
con grande scandalo della "Civiltà Cattolica" che vede l'Italia "a
lagata da un diluvio di stampe d'ogni forma e colore, fogli
n opuscoli, giornali, strenne, romanzi, lunari, storiette piene a
co di oscenità e di mortifere dottrine"46.
~a volontà di non rimanere a livello colto, ma di raggiunge
larghi strati di lettori si ritrova nelle pubblicazioni di tutte le C0
renti politiche e religiose, cattoliche e anche evangeliche e angl'
ne47; in particolar modo naturalmente quando ci si riferisce
donna, perché la cultura, per lei, è ancora una conquista di là
venire e per ora legge solo cose facili che (si pensa) rechino $od
$fazione al suo cuore e la consolino dei suoi sacrifici. Tra 'l
questo tipo di letteratura, come quella devozionale, in ma
parte non è destinata solo a chi sa leggere: la finalità Spesso e
ciata è di rivolgersi sia a lettrici che a semplici ascoltatrici, il1
rate e analfabete: c'è l'esigenza di allargare il raggio di influen
larghi di quelli ai quali è diretta la stampa. La devozio-
ria, incentrata sulla preghiera in comune e sul reciproco
a migliorarsi e santificarsi (il che significava anche leggere a
on sapeva leggere), era già con queste forme semplici un
e di associazionismo.
ssociazionismo femminile.
Associazioni femminili, come le Congregazioni mariane,
n0 da questa esigenza comunitaria, che è valida anche per la
che fa vita domestica, per la fanciulla che vive ancora in
l'Ott0~ent0non sono pochi i gruppi di donne che spantane-
te si riuniscono e danno vita ad associazioni; sono donne di
ceti sociali, aristocratiche, borghesi, popolane, che a volte
cono insieme nello stesso raggruppamento, a volte ne far-
cuni distinti Per categorie, età, ceti. Storicamente non è un
0 nuovo; anche nei secoli passati non erano mancate con-
e, COngregaZioni, ecc., per io più dedite ad opere d i carità.
clima Imriano del secolo, le nuove associazionidi madri e
, sono uno dei sintomi non trascurabili di un impegno ad
vegli0 religioso4*. Se umanamente riunirsi in gruppo può
e aiutarsi reciprocamente tra donne, il ritrovarsi in nome
donna per chiederle protezione e consiglio, rappresenta
ta ad elevarsi a1 di sopra delle cose terrene, non per indi-
' a vita mistica, ma Per svolgere vita attiva nel mondo. Tale
, per esempio, la Pia Unione che si forma nella chiesa di
tino a Roma, richiamandosi alla "Madonna del Parto
- a t o m b a 3 S. Monica"; nel 1856 diventa Arciconfratemi-
sempio viene dalla Francia: le spose e madri romane
he, almeno ai vertici del sodalizio - seguono le
erigono da Parigi, da mons. Sibour, dal Ratisbonne, il
sulle madri cristiane verrà poi tradotto in italiano50,
t0 n~merosesono le associazioni di adolescenti e gio-
re hanno impulso le antiche congregazioni delle Figlie

11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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di Maria, si formano in varie città d'Italia associazioni dedica
alla Vergine Immacolatas'.
È stato messo in risalto che nell'Ottocent0, nonostante le le
esvoenrsoiivseti,tuti,
stata una fioritura di nuove fondazioni religios
che avranno poi un rapido e largo sviluppo, e
risalgono proprio ad associazioni laiche di giovani e giovanisst
donne, umili, senza cultura, ma animate da grande fede
da una
sensibilità a cogliere le esigenze della
che le circonda. così sorgono oratori per le fanciulle povere
abbandonate, pie opere per l'insegnamento del catechismo, ass
,-iazioni che propongono e diffondono la devozione mari
ecc,53 questi nuclei nascono piccole comunità religiose ch
pochi anni si allargano e si espandono e da una attività a liv
giungono a lavorare a livello mondiale. Basta Pe
re a paola Frassinetti, a l ~ ~ p eSr. aDoroted, agli istituti di istm
ne poi sorti in tutti i continentiS4. Come la sua, altre inizia
simili danno la misura della rivoiuzione spirituale e sociale in
me che si opera silenziosamentetra le mura di una nuova con
gazione e della quale poco il secolo si rende conto, teso a W
con entusiasmo o con spavento altri tipi di rivoluzioni ~ o l i t
sociali.
clstituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, fondato da
nel 1872, ha un'origine simile. Nasce a hfomese com
Unione delle Figlie di Maria ImmacoIata, un cenacolo di gi
unite nella preghiera, nell'amicizia, nelle opere, che
trasforma in congregazione religiosa sotto la direzione di
Domenica Mazzarello55.
fondatrice diventa "la madre". Ella stessa si considera
questa dizione precede il suo nome nella firma delle lettere.
madre guida ed educa le figlie, che mole siano una fa
della vita domestica che aveva conosciuto
nascita in un paese che era già come un'unica famiglia, la p
cementare e a difendere una fusione Umana e spirituale
figrlieas6.momarteemo, motivo dominante nell'ottocento, si
qui esaltato in forma di maternità spirituale. Non esiste u
tatistica che dia di questa maternità un modello codificato,
come avviene Per quella naturale. Ci saranno poi le
esso agiografiche,di fondatrici e di superiore quando inizia
inizia - il processo di canonizzazione. Per ora, durante il
vivono la ioro vita attiva e realizzatnce,
- *a Domenica Mazzarello - come altre figure femminili del-
tempra realizza opere nel mondo, anzi in tutto il mondo,
do quasi ignorata ai suoi contemporanei. C'&in lei, persona
ice, Ia capacità di cogliere e di rispondere a determinate esi-
della società del suo tempo, forse meglio e più di tante ideo-
che sicuramente non conosce. Dietro la guida di don B~~~~
compito che ha un peso non indifferente ne] rinnova-
religioso e sociale del sec. XIX. Anche questo tipo di
ità richiede sacrifici, rinunce, dolo* ma soprattutto lavo-
sere lieti di morire sul lavoro"57, insegna don B ~il tut~to ~ ~
n tanta allegria. 11 tema dell'allegria è ricorrente nelle lette-
Mazzarello58: risuona come un invito alla vita costmttiva
indulgere a dubbi, angosce, depressioni: un insegnamento
0 nel secolo del romanticismo, del ripiegamento su se ges-
autoCommi~eraZi0neÈ. un'altra immagine di donna otto-
sta, che, in contrasto con quella della trattatistica, si caratte-
r Y*legria". Qui non è in primo piano la Mater dolorosa,
ia Ausiliatrice. La scelta è di don Bosco, perché ~ ~ ~ i l i ~ t r i -
lei che ha aiutato la Chiesa nelle difficoltà e nei pericoli,
imostrano concreti esempi storici, a cui il santo si riferisce
i scrittis9. Ed è Maria Ausiliatrice a dare serenità e forza
lie affinchéla loro opera si allarghi e si estenda,
aria come modello astratto e come esempio concreto.
atistica cattolica a larga diffusione è indubbiamente a
desto come contenuto, Soprattuttoquella che ha pretese
ualistiche; la comspondenza tra il modello manano pro-
la vita reale risulta poco o per nulla esplorata e resta in
ensione astratta. Mentre la devozione alla Madonna con-
a sua genuinità, il modello mariano sembra
aflificiaht~entep, iù predicato che interiofizzato.

11.2 Page 102

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In tutt'altra direzione e con diversa efficacia sembra invece OP
rare, quando opera, il richiamo a Maria come ad un esempio
vita vissuta.
Mamma Margherita svolge con don Bosco un compito di ed
catrice e nello stesso tempo fa la "casalinga". È una donn
ta che sa ciò che va fatto e quando va fatto, che sa guid
ragazzi anche e in particolar modo attraverso le quotidiane
materiali. Come Maria alle nozze di Cana, anche Ma
gherita attenta al momento umano dell'esistenza, è attenta a
situazioni, alle persone e alle cose"60.
Di lei si potrebbe dire che ha solo agito "in funzione di...",
ristretti confini dello sfmttamento della donna da parte di
ambiente "maschile". Ma se si vuole comprendere
dell'oratorio occorre andare oltre questa definizione. Ma
Margherita svolge il suo ruolo umano e affettivo di donna,
certo, non entra nel mondo pubblico, politico, legale, ma viv
proprio mondo reale, quotidiano, esistenziale, che p
solida base del primo, senza la quale quello non potrebbe regge
- svilupparsi, progredire6l.
È la riscoperta storicamente ancora da studiare
re diverso" delle donne: non si può negare che Mamma
&a abbia inciso anche sulla realtà pubblica e sociale delf
t0 dando la sua attiva collaborazione all'opera del figlio.
In lei madre, donna di casa, vi sono aspetti che si ritroveran
nelle Figlie di Maria Ausialiatrice, madri e educatrici..
Guida e maestro è don Bosco, guida anche a sua madre,
quale è stato inizialmente guidato. La mamma rimane
nello spirito che anima l'oratorio e sarà seguita da altre
è stato scritto che la presenza femminile vi conti
diverse, attraverso gli anni. Forse però bisognerebbe capire
fondo (non solo nei dati biografici) le figure di certe don
diverse categorie sociali che si riuniscono Per "ratt
"rappezzare". Semplici, umili contadine scese in città, come 1
Mananna; o nobildonne, come la contessa BOSCO-Riccardis2,
bildonne che non si limitano ad intervenire Con larghi aiut'
nomici, ma lavorano, non a raffinati ricami, C 0
insegnato in collegio, ma a rammendi per far resistere il
un sistema di vita in cui il lavoro femminile ha un valore
onsabilità di direzione delle fondazioni, costmzioni, stampa.
a che 10 distingue e lo fa santo. Condivide la convinzione
contemporanei che pubblicare sia utile. Scrive molto: nel-
010ri e sacrifici. Attraverso la stampa, egli si preoccupa di far
lare concetti semplici, che invitano a seguirlo in un'azione
retae una vita di fede attiva.
ci danno", scrive SteUa65.
fePiStolari0, spontaneo e immediato, permette di cogliere
ndo determinati atteggiamenti: è sicuramente la fonte più
e della sua considerazione, stima, affetto verso il mondo
e e della sua capacità di renderlo partecipe. Nel discorso
è profonda consapevolezza del valore della vita: egli
il mistero della sofferenza che si tramuta in gioia.

11.3 Page 103

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mettono in risalto ciò che ella ha significato per il figlio e per la fondazione dell'O
tori0 di S. Francesco di Sales. In particolare cfr. G.B. LEMOYNE, Scene morali
famiglia esposte nella vita di Margherita Borco Torino, Libreria Salesiana, 1893,
ed. (pubblicata nella collezione delle "Letture Cattoliche"; la la ed. è del 1886).
STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. I, Vita e opere, Ro
1979 28 ed.; vol. 11, Mentolilà religiosa e spiritualità, Roma 1981, 2' ed.; Don Bos
nella storia economica e sociale (1815-18701,Roma 1980.3. AUBRY, L'apporto del
donna oli'esperienza carismatica di don Boscofondatore, in Ln donna nel carism
solesiano, Torino 1981, pp. 17-54.
2 G.B. LEMOYNE, Op. Cif., p. 125.
3 Ibidem, p. 143.
4 Ibidem, p. 127.
5 Cfr. La donna nel carisma salesiano, cit.
6 G. Bosco, La forza della buona educazione, curioso episodio contemporan
Torino 1855.
7 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità, cit., 11, pp. 15, 162, ma tu
l'opera è impostata su questa interpretazione.
8 R. AUBERT, Il Pontificatodi Pio IX(l846-1878). trad. G. Martina, Torino 19
2s ed., pp. 704 e sgg.
9 L'accostamento non è arbitrario: i due motivi sono spesso fusi nella menta1
comune, anche se L'ideadi madre, lungo il secolo, ha un processo non di rado au
nomo rispetto al riferimento religioso.
10 E. BADINTER, L'amore in più. Storie dellhmore materno, Milano 1981.
Genova 1859. Forse più numerosi i lavori come quello di S. FRANCO, Istriuio
le religiose in tempo di esercizi, Modena 1898.
12 Numerose e utili indicazioni riguardo a letture devote, letture edificanti,ma
li di comportamento reca il ricco catalogo della mostra di Siena (febbraio-a
1987) Le donne a scuola. L'educazionefemminile nell'Italia dell'Ortocento, a cu
I. Porciani, Firenze 1987.
$ 4G.B. DEPEDERO, P. cit., pp. 49, 98, 102.
8s F. BADINTERO,P. ci!.: M.F. LEVY, De mare.?enfillesles. L'education des franca
1850-1880, Parigi 1984.
' 6 G. BELLUOMINI, OP. cif., p. 76.
87 Nell'ampia pubblicisitca sull'argomento, oltre ai citati manuali di Belluo
Genova 1839:S. FRANCO, Istmzioni aipadri ealle modridi famiglia intorno al
allevare cristianamente la prole, Roma 1853; G.B. FENOGLIO, La vera madre
glia, Milano 1858; k BOCCI, Ln missione sociale della donna, Milano 1885.
8s Insiste su questo aspetto C.M. CIAMPI, La consigliera del cristiano, Bol
1865.
BONIFETTIM, nnuale di pietà per la pia sposa e madre cristiana sul modello
un fenomeno più tipico della trattatistica liberalee anche cattolico-liberaleche
TELLA, Don Bosco nella loria della religiosità, cit., 11, p. 152.
tissimi sono i voiumetti di devozione mariana usciti anonimi: se ne citano
nei quali è messa in risalto l'efficacia della preghiera in comune in casa, quasi
ler esaltare il senso della famiglia e quindi implicitamente anche il molo della
in essa: Annuo tributo di trenta giorni alla tesoriera di tutte le grazie Maria,
1835; I quindici misteri del Santo Rosario esposti secondo il modo insegnato
ova guida al culto della Madre di Dio in un manuale compilato per uso dei
ama 1860. Numerosi sono i libri che invitano al culto di Maria sotto un
trattatistica sulla madre: F. PETRI, Pietosi esercizi di devozione sui

11.4 Page 104

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26 F. LEVY,De mares enfilles. cit.
27 Per esempio: L. SPERONI, La vergine cristiana, ossia avvisi ed esempi per
giovani che vivono nelsecolo. Trad. dal francese del sac. L. S., Milano 1861, in
senza citare l'autore francese, si fa riferimento alla "Biblioteca per una donna cris
na" che in Francia pubblica opere di "dotti e religiosi scrittori".
28 Sono deliziosi libretti con stampa raffinatissima e ogni pagina incorniciata
fregi, come per esempio il Nouveau Mois de Marie, Paris, s.d. (ma intorno agli a
'30-'40), che quasi sicuramente apparteneva ad una giovinetta frequentante a Ro
l'educandato del Sacro Cuore a Trinilà dei Monti.
29 La jeunefille chrérienne dans le monde, par M. l'abbé JUILES, Paris, s.d. (
1861).
30 F. LALOMIAI,l mese di maggio consacrato alle glorie della gran Madre di
coll'esercizio di varifiori di virtù, Palermo 1758; A. MUZZARELLI, Il mese diMa
sia di Maggio, F e m a 1785 (con il titolo 11 mese di Maggio consacrato a Mari ,
avuto numerose edizioni nell'ottocento, fino ancora nel 1936).
31 L'opera della Campan ha avuto ampia diffusione negli anni della Restaurazio
quando è sta? pubblicata la traduzione italiana M.me CAMPAN, Dell'educazio
Milano 1827. E rimasta attuale se non altro nella rimeditazione dei suoi insegname
ti da pane di BASSANVILLE, Le primizie della vita, ossia piaceri, gioie e dolori de
gioventù, della contessa di B., allieva della sig. Campan, trad. G. Birago, Torino 1861
pubblicato nella "Collezione di buoni libri a favore della Religione Cattolica" n
tipografia de1l"'Armonia".
3". BELLUOMINI, Manuale delle spose e madri cristiane, Roma 1884, è la sa
zione del Manualedclle madri cristiane, cit.; nella prefazione l'autore seive: "Il prese
manuale dicesi compilato come quella che, non curandosi di cose nuove e peregrìne,
raccolto quanto di meglio ha creduto da altri libri divoti, e sta pago di offrirsialle s
lettrici con una veste umile bensì, ma sempre antica e sempre nuova".
33 Sono espressioni che la "Civiltà Cattolica" usa ripetutamente; in questa form
recensita ad esempio Popera di G. MOMO,La vita di Maria Santissima, Verc
1869 (Serie VII, n. 6, p. 328).
34 Si veda la recensione della "Civiltà Cattolica" (Serie IV, n. 5, pp. 590-593)
BAUSSANOU, n regalo alle madri di famiglia. Operetta morale, Genova 18
significativo come viene presentato un anonimo Dei doveri della donna M
ordinate secondo il programma del 1859 ad uso delle scuole magistrali femmi
delle madri di famiglia), Torino 1860, che è elogiato, perché pur essendo pubb
secondo il programma del "governo libertino'' il catechismodella Chiesa non è s
tuito con quello della libertà (Serie IV, n. 6, p. 720).
33 S. FRANCO, Istruzioni ai padri e alle madri difumigiia, cit. p. 4.
36 J.B. BERTHIER,La Madre secondo il cuore di Dio, ossia doveri della madre CI
na,Torino 1890(stampato nella tip. Sdesiana). C è una nuova edizione di questo lav
ancora nel 1921, segno che non mutano atteggiamenti e modelli offerti.
37 F. MAYEURI, cattolici liberali e l'istruzione delle donne, in I cattolici liber
nell'Ottocento, Torino 1976.
38 Il motivo politico col richiamo a Eva e Maria è oggetto di una lunga recen
della "Civiltà Cattolica" (Serie IV, n. 10 pp. 481-487) a Monumento alla gl
iwariarin, Litanie della Santissima Vergine illustrate ed accompagnate da medit
versione italiana per cura del conte Tullio Dandolo, precedute da un trattato sul cii
di Maria, scritto espressamente per questa edizione dal P. Giov. Ventura di Rau
nova 1860. Nella recensione si insiste più sulle litanie scritte dall'abate Edoardo
Banh (i1cui nome non risulta sul frontespizio), che non sull'opera di G. VENTURA,
e deliziedello pietà. Trattato delculto di Maria Santissimo, Roma 1861, sulla quale
ò si torna successivamentecon due segnalazioni nella bibliografia(Serie IV, n. 10,
36; n. 12, p. 606). I1 P. Ventura si è spesso occupato dei problema della donna
lica e della sua formazione, specialmente negli anni in cui è stato a Parigi, e ha
ta diversi lavori su Maria, Immacolata Concezione e Madre, tra cui La madre di
madre degli uomini, Roma 1845, La femme catholique, Parigi 1855. Ventura si
stingue nell'insieme della letteratura sull'argomento perché più aperto e razionale,
a anche perché nei suoi scritti risalta un motivo che di rado compare nella pubbli-
tica, quello della gioia: "gioia pubblica, costante, universale", perché "la gioia è il
sesso di un bene, che è Dio, ... è il dono dell'amore" e il dolore non è tristezza (Le
irie della pietà, pp. 141-144).
Si vedano le recensioni e la bibliografia della "Civiltà Cattolica", che nel 1876
nala la messa all'indice di A. COSTA, Dei doveri della donna, pensieri di Adalgisa
la di Milano, Roma 1875. Tra i lavori che cercano di conciliare motivi religiosi e
otivi civili L.M. AIMÉ,L'educazione delle madri difamiglia o dell'incivilimentodei
ere umanoper mezzo delle donne, Firenze 1862; S.C. TRYSE, La madre cittadina,
ero i doveri della donna nella vita pratico spiegati in XXXlVconversazioni, Napoli
1878; M. DI CARDO, Madre. Pensieri e consigli, cit.
a P. FANFANII,l Pl~toicojémminile, Milano 1872; E. COMBAD, onne illustri
iane proposte ad esempio alle giovinette, Torino 1875; F.BERLANL, e fanciulle
bri e l'infanzia delle donne illustri antiche e moderne, Milano 1878. All'inizio del
. XX vedono la luce G. GIOVAKNINIMAGONIO, Italiane benemerite deIRisorgi-
nto italiano, Milano 1907; R. BARBIERA, Italiane gloriose, Milano 1923; ID.,
demi. Donne e madonne deIl'Ottocento, Milano 1927. Sull'argomento cfr. F.
ICONE-B. PISA, Operaie. borghesi, contadine nel3ec. XIX, Roma 1985.
l G. VENTURA, La donna cristiana o biografia di VirginiaBruni, vedova romana,
nm 1854; G. FRASSINETTI, Il modello della povera fanciulla Rosina Pedemonte
rta in Genova in età di 20 anni i1 di 30 gennaio 1860, Torino 1860; G. BOSCO,
gelino o l'o$anella degli Appennini, Torino 1869; S. PELLICO, Notizie iiuorno alla
aia Panasia pastoreila vnlsesiana, Torino 1861; P. BAROLAN, otizie intorno alla
di Giulia Napoleoni, Roma 1860; L. STELLA, Moria Vetturi, storia popolare,
dena 1860; F. MARTINENGO, Ginetta, ossia delle virtù e della inorte d'una santa
ciulla,Torino 1861; P. BAZETTI, Valentinn,ossia una degnafiglia di Maria, Tori-
1869. Anonimo è stato pubblicato Galleria di giovanette illustri italiane che nel
11'0 secolo XIXfiorirono in ogni genere di virtù, Fuligno 1841. Non sempre le
tagoniste di queste operette appartengono al secolo XIX, ma il modello di perfe-
ne cristiana nel sacrificio è sernme simile.
molte città d'Italia fioriscono iniziative del genere; ricordiamo a Modena la
ne di "Opuscoli religiosi, letterari e morali': a Firenze le "Veglie delle oneste
e"; Bologna ne è particolarmente ricca: accanto alle "Piccole letture cattoliche"
oni, ci sono le "Letture amene e oneste", le "Letturedella Domenid, "l'Angelo
e", e la "Bibliotm amena del Messaggere", che pubblica buoni romanzi per la
Ù. Queste collezioni tendono a diffondere la buona stampa edificante, ma non
olti i lavori sulle donne o speciiicamente diretti alle donne.
I veda il catalogo della mostra Le donne B scuola, cit., in particolare p. 45, in
I accenna al filone del romanzo edificante a sfondo cattolico da Wiseman alla
La forza d k n libretto. Dialogo tra Virginiaed Eliso, Firenze 1860.

11.5 Page 105

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45 I1 suffragio universale e la donna italiana, Firenze 1860
46 "Civiltà Cattolica", Serie IV, n. 8, p. 725.
47 Penso al gmppo che si è riunito intomo al periodico"l' Esaminatore", in cui c'è
chiaramente la volontà di rivolgersi anche a lettori non colti; non molta attenzione
uerò vi è dedicata alle donne. M.L. TREBILIANI. La nascita de1l"'Esaminatore" nel
1864: proposta per una riforma della Chiesa, in "Rivista di storia della Chiesa in
Italia". 1983.. I.. .D.D. 53-71.
48 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità, cit. I, p. 192.
49 G. BELLUOMINI, Manuale delle madri cristiane, cit.
50 T. RATISBONNE, Le madri cristiane, Santamaria 1897.
5' P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità, cit. I, p. 192, soprattutto per
l'ambiente torinese e piemontese.
s2 G. MARTINA, La situnzione degli istituti religiosi in Italia intorno al 1780.
Chiesa e religiosità in Italia, cit., Rel. I, pp. 194-335;G. ROCCA, Le nuovefondazio
religiosefemminili in Italia dal 1800 al 1860, in Problemi di storia della Chiesa dal
restaurazione nllùnità d'Italia, Napoli 1985, pp. 107-192.
53 Per le opere femminili torinesi cfr. P. BARICCO, Torino descritta, Torino 1869,
"011. 2.
sa Cfr. la più recente biografia uscita in occasione della canonizzazioneR. ROSSE
10, Paola Frassinetti in punta di piedi, Padova 1984.
I5 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiositd, cit., I, pp. 187 sg.; Leti
S. Maria Domenicn Mnzzareiio, a cura di M.E. Posada, Roma 1980; C. C
Vocazione carismatica di Maria Domenica Mazzarello e i suoi rapporti co
Pestarino e con don Bosco, in La donna nel carisma salesinno, cit. pp. 61-101;
POSADA, Maria Maznarello: il sign$cato storlco-spiritualedella suafigura,
104-177; M. MADERNIM, aria Domenica Mazzarello interpella la donna d'oggi,
pp. 122-144; M.E. POSADA, Giuseppe Frassinetti e Maria D. Mazzarello. Rnppo
storico-spirituale,Roma 1986.
"Io mi trovo in Momese, diocesi d'Acqui, dove sono testimonio di un paese C
per pietà, carità e zelo sembra un vero chiostro di persone consacrate a Dio. Que
mattina ho fatto la comunione e nella sola mia messa ho comunicato un mille fed
li". Cosi scrive don Bosco il 9 ottobre 1864 alla marchesa Maria Fassati. Da quest
prime impressioni sorgerà l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (Epistolnriod
S. Giovanni Bosco, a cura di E. CERIA, Torino 1955, vol. I. p. 323).
S7 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità, cit., I, pp. 202-203.
58 Lettere di S. Maria Domenica Mazzarello, cit.; si veda ad esempio la lettera
23 maggio 1878 alla bambina Maria Bosco, pronipote del santo, che per motivi
salute era lontana dali'Istituto: "Ancora una raccomandazioneti voglio fare, ed è C
tu stia allegra; se sarai allegra guarirai anche più presto", questo dopo averle assicu
rata che le sorelline "sono allegre" e dopo averle dato vari buoni consigli.
59 G. BOSCO, Maria Ausiliatrice, col racconto di alcune grazie ottenute..., To
1875.
60 C.M. MARTINIL, a Donna della riconciliozione. Milano 1983, p. 10. Cfr.
GARUTTI BELLENZIER-SM.ORRA-G.P. D1 NICOLA-P. VANZAN, La donna n
Chiesa e nella società. Per un bilancio inrerdisciplinare. Roma 1986.
61 G.P. DI NICOLA, Sfide epossibilità del fonminismo socioculturale, in La do
nella Chiesa e nella società, cit. pp. 41-87.
Epistolariodi S. Giovanni Bosco, cit., p. 389.
63 Cfr. sull'argomento i volumi più volte citati di P. STELLA, anche
Ila storia economica, cit., p. 177.
G. BOSCO, Lafiplia cristiana provveduta, Torino 1878.
P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità, cit., 11, p. 505.
Bosco

11.6 Page 106

▲back to top
'immagine di don Bosco
lla stampa torinese (e
aliana) del suo tempo
Gzuseppe Tunznettz
i albori della libera stampa torinese (ed italiana) coincisero
ologicarnente con l'emergere della personalità e deli'opera di
-Bosco - sacerdote poco più che trentenne, essendo nato nel
sulla scena della vita sociale torinese, con l'affermarsi
sua autonomia e poi della sua leadership nel campo degli
ri. Essa gli fu riconosciuta ufficialmente dali'arcivescovo,
Fransoni, con decreto del 31 marzo del 1852'. L'arcivescovo
minò infatti "Direttore capo spirituale" deli'Oratorio di S.
di Sales e superiore di quello di S. Luigi Gonzaga, a
- va, e dell'Angelo Custode, in Vanchiglia.
animatori degli Oratori torinesi don Cocchi e don
- la scelta cadde sul secondo.
Bosco aveva fondato l'oratorio di S. Francesco di Sales
egione di Valdocco nel 1844, con i'aiuto del teologo Gio-
' Battista Borel, seguendo l'esempio dell'iniziatore degli ora-
rinesi, il sacerdote di Dment don Giovanni Cocchi, che
aperto, nel 1840, l'oratorio dell'Angelo Custode, nella zona
schino, in Borgo Vanchiglia.
1846, abbandonato i'ufficio di cappellano dell'Ospedaletto
ta Filomena della marchesa Giulia di Barolo, don Bosco si
definitivamente ali'oratorio: furono gli anni pionieristici di
e di Valdocco, dove già neli'anno 1846-47 i giovani
il numero di circa 800.
onno esistevano dunque due gruppi di sacerdoti che si
vano di Oratori, con linee di conduzione diverse: da un
n Cocchi e don Ponte, dali'altro don Bosco e don Borel.
ancarono i contrasti. Gli anni 1848-1849 produssero un
209

11.7 Page 107

▲back to top
atteggiamento del vescovo a favore di don Bosco: mentre e
prendeva le distanze dalle manifestazioni politiche e nazi0
don Cocchi ne fu coinvolto a tal punto da condurre un WJPP
giovani dell'oratorio di Vanchiglia alla battaglia di Novara.
gesto che 10 compromise agli occhi dell'arcivescovo, di tutta
sentimenti politici, il quale gli impose la chiusura dell'oratorio
fronte all'arcivescovo, al contrario, don Bosco acquistò in sti
anche perché gli offriva maggiori garanzie che non rirrequet
prete di Druent2.
I. Le origini. Primo interessamento da parte della stamP
1848-1849
Fatto
il primo giornale torinese ad interessarsi di d
BOSCO - o meglio del suo oratorio - fu la "Gazzetta del PopoI
di Felice Govean3; cioè proprio quel giornale, campione delsan
clericalismo, che per quarant'anni condurrà una lotta seri
tiere contro don Bosco, travisandone l'attività e poi igno
ostentatamente la morte nel 1888. Si sarebbe tentati di consi
re l'omaggio tributato all'oratorio di don Bosco nel lontan
agosto 1848 un incidente giornalistico. In realtà la "Gazzetta"
quel periodo era ancora benevola verso la Chiesa e i preti.
Ma ecco quanto scrisse:
s'~ergiii aievi della scuoladomenicale deil'Oratorio di S. Francesco di S
sito sul viale di Valdocco, diedero un pubblico saggio dei loro studi
gran lungal'aspettazione di tutti quelli che intervennero. Le
tissime difficoltàper una scuola domenicale paiono ormai s u ~ e m ' ' ~ .
Non un accenno a don Bosco. Si apprezzava insomma l'a$
culturale-popolare dell'oratorio ed infine si elogiavano i g'
che avevano rinunciato ai premi per destinare il C O ~ ~ S P ~
due famiglie di soldati. Bene avevano fatto - scriveva il g i ~
- perché avevano aiutato i poveri e la patria.
invece Y h o n i a " il primo giornale cattolico ad OSUP
mavera del 1849, quando scrisse dell'oratorio, non era ancor
""transigente", quale divenne a partire dalla fine del 1850
tutto con la direzione assunta da don Giacomo Margotti;
fedele al titolo della testata, era ancora un giornale moderato,
oste ad un certo dialogo con le nuove realtà politiche.
occasione dell'articolo6 era stata la visita a Valdocco di due
bri del "Comitato dell'opera del Danaro di S. Pietro", invita-
don Bosco, Per Consegnare loro i trentacinque franchi raccol-
i ragazzi dell'oratorio.
si iniziava il servizio giornalistico:
più Povero dei sobborghi di questa metropoli, abitato quasi esclusi-
ente da operai che campano col prodotto delle loro giornaliere fatiche
trovansi spesso ridotti a vera miseria (...), un zelante sacerdote ansia-
1 bene delle anime si è consacrato interamente al pietoso ufficiodi
are dal vizio, all'ozio e all'ignoranza quel gran numero di fanciulli
abitanti in quei contorni, per le strettene o l'incuria dei genitori, tre-
PUr troppo sprovvisti di religiosa e civile cultura".
vanti delineava l'atteggiamento pastorale di don
nei
ti dei ragazzi de1l'Oratorio:
ad essi trovasi ognora D. Bosco, il quale è costantemente ad essi
4 compagno esemplare e amiw (...). Infatti il loro zelante premnore
C 0 cerca Per essi wn tutto i'impegno qualche onesto mestiere".
eriodic0 cattdico ritornò sull'argomento il 4 maggio7, ma in
1'0 contesto. Ormai infatti l'onda anticlericale era più incal-
er contrastarla e confutarne le accuse, il giornale contrap-
l'opera educativa svolta con abnegazione, tra i ragazzi
ndonati 0 sbandati, da molti sacerdoti, tra cui ricordava don
0 a Valdocco, ed i teologi Vola, Bonelli, Carpano e don pori-
118 zona del Valentino. Si riteneva che il richiamo alla fun-
sociale del clero - in un settore di particolare emergenza e a
- era sensibili anche da parte della opinione pubblica fosse
asta più appropriata e convincente alle accuse rivolte al cle-
sere inutile e dannosos.
via l'intervento più encomiastico verso don
com-

11.8 Page 108

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parve su un altro giornale cattolico, "Il Conciliatore Torine~e"~,
7 aprile 1849:
-salve o nuovo Filippo, salve o sacerdote egregio: il tuo esemP
dehtrovi moltiimitatoriin ogni ci& sorgano per ogni parte de' sacerdo
a premere le tue orme: aprano ai giovani de' sacri recinti, dove la pietà
circondidi onestisollazzi; ché solo in tal modo si potrà guarire una de
piaghepiù profondedella società civile e della Chiesa, che è la cornizio
della gioventu".
c h i teneva un simile panegirico era il canonico Lorenzo Gas
di, direttore del giornale, saltuario collaboratore di don Bo
all'~ratorio,e futuro arcivescovo di Torino.
11. Ultimo ventennio: 1869-1888. Dall'approvazione
definitiva della congregazione salesiana
alla morte del fondatore
Dalla fondazione dell'Oratorio di S. Francesco di Sdes
approvazione definitiva della congregazione salesiana da P
della S. Sede, nel 1869, passarono venticinque anni. Fu il perio
dell'assestamento: don BOSCO chiari a se stesso le carattenstic
della sua opera rivolta alla gioventù, stabili chiari obbiettivi a
congregazione religiosa che doveva continuare il Suo cafisma
~~~~o di assestamento, ma anche di crescita: si moltiplicar
oratori, collegi e scuole per l'educazione popolare: Mirabello,
zo Torinese, Cherasco, Varazze, Vallecrosia e Sampierdaren
Notevole impegno esplicava don Bosco anche nel Campo d
stampa popojare, con intenti catechistici ed apologetici: dal
vane provveduto alla collana delle "Letture Cattoliche".
Contemporaneamente aumentava il prestigio religioso e so
di don BOSCOa,nche a livello nazionale; senza contare la st
incondizionata che godeva presso Pio IX, che tra l'altro 10 i
pel)ò sulla nomina di vescovi nel 1867 e nel 187 1. I n s 0 ~ ~ a
piano ecclesiastico don Bosco contava molto. Per questo il 80
no italiano individuò nel prete di Valdocco un buon media
la spinosa questione dell'exequatur, vale a dire nel riconosci-
nto civile delle nomine dei vescovi fatte dal papa, in particola-
e1 frattempo la sua fama e le sue opere valicarono i confini
m a l i : Francia, Spagna, Belgio, Inghilterra, fino alla Patagonia
la Terra del Fuoco, dove inviò i suoi missionari salesiani.
ra quindi inevitabile che l'opinione pubblica italiana ed curo-
s'interessassero di don Bosco e della sua congregazione. Si
ndeva'inoltre la fama della sua santità e uscivano le prime
rafie. Don BOSCO costituiva, volente o nolente, un emblema
a Chiesa cattolica; un segno di contraddizione: oggetto di gran-
more e di grande avversione.
stampa non poteva ignorare un tale personaggio. Attorno
nni '70, don BOSCO, la sua congregazione e la sua opera ave-
o ormai acquistato una fisionomia definita. Per questo gli ulti-
t'anni della vita di don Bosco costituiscono il tempo privi-
, Per indagare sull'impatto che egli ebbe sulla opinione pub-
almeno quella rappresentata dai giornali.
'osservatorio privilegiato era indubbiamente Torino, città del-
resenza di don Bosco, della nascita e del maggior sviluppo
la sua opera. Che immagine la stampa cattolica e quella non
lica trasmisero di don Bosco e delle sue attività1l?
STAMPA CATTOLICA TORINESE
norama della stampa cattolica torinese, negli anni '70 e '80,
uniforme. La testata più autorevole era indubbiamente il
no intransigente "L'Unità cattolica", creata e diretta da
o Margotti, in rapporti abbastanza tesi con l'arcive-
astaldi, a motivo della sua linea aiitirosminiana. Per que-
ivescovo gli contrappose, sul finire del 1873, con l'aiuto
e gesuita Enrico Vasco, un quotidiano più moderato e a
ocile, "L'Emporio popolare", che tuttavia passò attraver-
ne vicende. Quasi paralleli ai due quotidiani erano i perio-
polari, "La Buona Settimana" - di carattere prevalente-
eligi0~0e liturgico - ed il bollettino "Unioni Operaie cat-
e" @oi nel 1883 "La Voce dell'operaio") organo della asso-

11.9 Page 109

▲back to top
ciazione operaia omonima, con obbiettivi di natura sociale ed
operaia.
Anche l'informazione e la valutazione sul Conto di don Bosco
non potevano non risentire di questa diversità degli organi della
stampa cattolica.
1. " ~ ' ~ f i iCtaàttolica": la voce della intransigenza catto
CUI*
Nell'atteggiamento del quotidiano intransigentei3 di don
- gatti verso don Bosco ed i salesiani si notano tre period'
distinti. Nel primo il decennio 1863-1873 - le informazio
furono relativamente poche: intere annate senza particolari no
ziel4. inoltre, quando si scriveva di don Bosco, non si arida
al di jà di espressioni adatte ad ogni zelante sacerdote. Durante
secondo periodo, comspondente grosso modo all'episcopato
~ ~ ~ t ~mal ad piar,tire dal 1874, le notizie furono invece abbo
danti, A causa del conflitto tra l'arcivescovo e don Bosco, d
Margotti venne a trovarsi tra l'incutine ed ii martello: la simpa
per don BOSCO e l'obbedienza all'arcivescovo. Del conflitto
trapelò assolutamente nulla sulle pagine del quotidiano. Esso
condizionò notevolmente la quantità e Soprattutto la qualità d
informazione su don Bosco. I1giornale indubbiamente inform
sulle iniziative dei salesiani, specialmente sulle missioni in Pa
genia, cui riservava grande spazio. Alcune volte però era costret
all'autocensura dalle pressioni dell'arcivescovoi5.
Tuttavia il condizionamento più forte riguardava if comm
delle notizie stesse: gli elogi dovevano essere attentamente do
Ne è una conferma la svolta nel tono del quotidiano già nel
naia del 1884, poche settimane dopo l'ingresso del nuovo ar
SCOVOil, cardinale Gaetano Alimonda, che da tempo guard
- - con simpatia ai salesiani.
Per questo, l'ultimo periodo il quinquennio 1884-1888
più significativoper l'immagine di don BOSCO offertadalla "U
Cattolica" ai suoi lettori.
Ormai in questi anni si paragonava apertamente don Bosc
oli e addirittura S. Giovanni Battistali:
ungamente questo Padre dei poveri, questa gloria del piemontee
:viva e stenda la sua beneficainfluenzada un confine&l'altrodella
veva il cronista del giornale, in occasione dell'onomasticoi8,
il 30 gennaio 1885, informando sulla nuova spedizione di mis-
nari salesiani in Patagonia, invitava i lettori ad aiutare don
SCO, con questo elogio:
è di tale tempra che dalle avversità e disdette prende maggioarnimo,
n Bosco nelle sue imprese spera, per cosi dire, contro la speranza':19,
occasione della visita del duca di Norfolk a v&docco:
ella sua venerazione verso uomo di Dio è impossibile;pareva
o esse più allontanarsene (...). Gradì tutto ciò che don B~~~~ ed i
@icercarono di fare per rendere lieta la suavisita3*z0.
esaltazione di don Bosco registrò un ulteriore crescendo negli
anni della sua vita:
ostolo di Tonno, il sacerdote Giovanni Bosco. ~~~~t~~~~~ instan-
, dopo di aver seminato I'italia di collegi per i figli del popolo (,,,>,
uomo prodigioso si sta ora preparando per fare altrettanto in quella
della America del Sud"2i.
ante l'ultima malattia, un mese prima della
10 Em.mo Cardinal Arcivescovo, che lo ama e 10 venera come un
fu a visitarlo, e 10 benedisse commosso sino al pianto, pregando
enon voglia privare IArchidiocesitorinese, o meglio y1talia,anzila
Cattolica,di un uomo che, quantunque logoro già delle fatiche(...),
a sua Prudenza, e col suo consiglio vale ancora più che un esercito
pire meglio la sintonia in cui la "Unità Cattolica,3si tra-
don Bosco (il quale però non approvava le intemperanze
mPa intransigente, dal cui spirito era per certi aspetti lon-
eriga presente che il quotidiano, in questi anni, ignorò del
tra grande ap0st010 della gioventù, don Leonardo ~ ~ , . j ~ l -

11.10 Page 110

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do, che apertamente prendeva le distanze dall'intransigentismo in
genere ed era in piena armonia con l ' a l ~ i v e ~ ~ ~ v o .
2. La "Buona Settimana" e la "Voce dell'operaio'? due v0
popolari
Altro taglio e soprattutto un tono più misurato sul settiman
religioso popolare, "La Buona Settimana"z3. Era un periodico
carattere prevalentemente liturgico e catechetico, con un
di informazione religiosa, riportata in ultima pagina, nella ~b
religiose. Non aveva il cnsma della ufficialità O della U
ciositi, ma conduceva una sua vita abbastanza autonoma dal 10
ano1856, pur inserito nella vita religiosa della diocesi, specie
Tonno, ed espressione fedele delle nuove devozioni emergen
Non era i] portavoce dell'arcivescovo Gastaldi, come 10 era '
qualche modo l'''Emporio popolare", ma non si trovava neppu
in collisione con lui, come il quotidiano di Margotti.
~i fronte alfa figura di don Bosco non sembra abbia subit
condizionamento frenante delfArcivescovo. Infatti, Contra
mente a quanto accaduto alla "Unità Cattolica", dopo la morte
Gastaldi, non mutò linea. Inoltre durante il SUO episcop
con tempestività ed elogi anche su iniziative, come 1'0
di Maria Ausiliatrice per le vocazioni adulte, che Gastaldi
approvava.
Stupisce poi il tono molto misurato nello scrivere del
dei salesiani: da un settimanale religioso popolare ci si poteva
se aspettare maggiore entusiasmo nei riguardi di don
pellativo più ricorrente, tanto da poter essere conside
di don Bosco, era "instancabile": a voler indicare
la sua attività molto intensa, ma anche le motivazioni
"instancabile carità e sollecitudine"z4. Altri appellativ
vano questo aspetto: "benemerito consolatore della classe dis
data3,25 e "apostolo della carità"26. L'espressione più roboa
"quel miracolo di D. BOSCO"^^.
Silenzio totale invece da parte del mensile "Unioni operaie
mai tale silenzio? Frutto di una scelta? O semplicemente
ntrava nell'orbita degli inte-
attoliche", di cui il penodi-
ra don Leonardo Munaldo, che aveva lavora-
che con don BOSCO^^; altra grande personalità di sacerdote,
azione, con altro stile di impegno sociale:
meno ''personaggio" del prete di Valdocco, le cui iniziative
otizia nella opinione pubblica cattolica e
robabilmente l'organo delle Unioni Operaie risentiva di
t0 e meno appariscente.
"Corriere di Torino" e il "Corriere Naziona(e'. ovvero
voce torinese del giornalismo cattolico era, come s'è det-
Emporio ~ o ~ o l a l eq"u,otidiano fondato alla fine del 187329,
olontà dell'arcivescovo Gastaldi, come alternativa alla in-
igente "Unità cattolica", nella quale, per varie ragioni, l'arti-
bbe indubbiamente interessante
, anche a proposito di don
ssibile, data la irreperibilità del-
". Soltanto a partire dal 1881
disponibili le annate del "Comere di Torino"30, come ormai
amava la vecchia testata, della quale continuava a conserva-
nuovo giornale non mancava
odica informazione su don Bosco, anche con accenni di
rattutto tesi a sottoline-
e del suo fondatore. Ad
ane in Patagonia,scrive-
radi quell'illustre uomo che tutta i'ltalia onora, il reverendo don
cuore generoso e tenerissimo"3~.

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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Qualche anno dopo, informando sui festeggiamenti per l'ono-
mastico di don Bosco, commentava:
"Ci rallegriamo perciò ben di cuore cogli iniziatori di questa
strazione, la quale palesa sentimenti squisiti di pietà e di grat
un tanto benefattore dell'umanità qual l: don Bo~co"3~.
Altre volte si esaltava la dinamicità di don Bosco, capace
creare in breve tempo opere eccezionali e funzionali, come
seminario delle missioni a Valsalice. Lo rilevava, nel 1887, il qu
tidiano che si presentava con la nuova testata:
"Visto non visto D. Bosco improvvisa in pochi giorni ci6 che altri n
eseguirebbero in mezzo secolo (...). I1 provvidenziale D. Bosco, motore
tutto, è da un po' di tempo assai incomodato"33.
E quando ormai le condizioni di salute di don Bosco si prese
tavano gravi, scriveva:
"In Torino, anzi da per tutto, è grande il cordoglio per la gravissima
pericolosa malattia di D. Bosco (...), giacché D. Bosco colle opere e col1
virtù seppe guadagnarsi la stima e l'affetto di tuni, e gode ora di fam
mondiale"34.
Alla vigilia della morte:
"Scriviamo queste parole collo strazio nel cuore e col presagio di un
catastrofe. L a scienza si è ritirata impotente a recar conforto a quel cow
sfatto da mezzo secolo di lotte e di tante fatiche"3s.
b) LA STAMPA NON CATTOLICA TORINESE
Più variegato ancora si presentava in Torino il mond
stampa non cattolica. Il giornate più prestigioso, più popol
più diffuso continuava ad essere la "Gazzetta del popolo'
diretto da Giovanni Bottero e portavoce della sinistra democr
ca.Vopinione liberale moderata si riconosceva invece ~ 0 p r a t
nella "Gazzetta piemontese", fondata nel 1867 da Vittorio B
zio e portabandiera del "piemontesismo". Ai campo m0
apparteneva pure il "Conte Cavour", fondato da Felice Gove
1865, ed erede della politica cavouriana, "libera Chiesa in
cui era pure fautrice la "Gazzetta di Torino",
utto nel ceto medio.
comune era la politica ecclesiastica, almeno in
senso: pur diversi per rappresentanza di interessi e per la
ione della politica governativa, era loro comune e pregiu-
favore dello Stato liberale
pposto, per la stampa cattp-
ssagliana degli anni '60, che
tro aspetto comune - pur con una gamma di accenti molto
'a - era f'anticlericatismo, che era però particolarmente
ce nei numerosi fogli satirici che fiorirono in Torino in quel
a "Gazzetta del popolo'? don Bosco alla lente dell'anti-
calismo della sinistra democratica
torinesi ed italiani, il quotidiano di Giovan-
stampa non satirica, un altro primato: san-
i preferiti e costanti ci fu don Bosco, per
O attorno agli anni '80, cioè nel perio-
iù critico del confitto di Gastaldi con don Bosco, che si trova-
così accomunati, loro maigrado, nel dileggio.
r don Bosco e Gastaldi mai una parola di apprezzamento, ma
e soltanto imsione ed insulti.
'ficato sprezzantemente "Fransoni secondo", il nuovo ar-
vo di Torino, Gastaldi, era dipinto succube di don Bosco e
mpom niente che I'arcivescovo di Torino si chiami don Bosco
carpe abbia il nome di Gastaldi (...).
a Don Bosco perché gli procacci di Quellegno di cui si
no preti automatici. I seminaristi ed allievi tonsurati di Don
o un bel passeggiare per Torino a squadre di otto e di dieci,con
' quaresima e di tartuffi(sicg guasti che fa ridere il colto pnb-
i della vecchia e buona scuola del Riccardi ammirano quelle
er dire, sotto i baW36.

12.2 Page 112

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Il periodo in cui la "Gazzetta del popolo" più si sbizzarrì s
conto di don Bosco furono gli anni 1877-1883. Per due ragi
soprattutto: il conflitto con l'arcivescovo e.l'esasperazione de
ticlericalismo su scala nazionale. Gli articoli più velenosi usciva-
no dalla penna di un ex-prete, Bertetti.
Nel gennaio 1877, in mezzo alle ricorrenti voci di dimissioni
Gastaldi, scrivendo che la causa principale del suo viaggio
Roma era il dissidio con don Bosco, annotava:
"Sono due santi, egregi squattnnatori entrambi per la maggior gloria di
oer la stessa ma-g-aor g-loria l'uno, cioè Gastaldi,vorrebbe comandare
chetta, anzi da pastore inteso a maneggiare a proprio talento il suo baston
l'altro è dilettante per proprio conto di mgiadosa indipendenza"3'.
Allorché giunsero all'arcivescovo indirizzi di felicitazioni pe
rientro, senza dimissioni, da Roma, il giornale non mancò
rimarcare l'assenza significativa di don Bosco e dei salesiani:
"E siccome il signor don Bosco, tra i preti che portano il nicchio, ci se
hra il solo che possa dire alla comica eccellenza dell'attuale arcivesco
Noli me tangere, colla fermezza di chi non è oca, né ha necessità di r
dersi coniglio; così finché non vedremo dal Don Bosco più o meno sm
tite le voci corse, riterremo puramente lepidi gli altri indirizzi"38.
Grande rilievo venne dato alla pubblicazione del primo libell
anonimo contro l'arcivescovo Gastaldi: Un antico allie
dell'Oratorio. onorato di ~otersdi ire Cooperatore salesiano39:
"Pervenne anche a me una lettera stampata, che si va diffondendo,suli'
civescovo di Torino e sulla Congregazione di san Francesco di Sales, che
quanto dire sulla sedicente eccellenza Gastaldi ed il notissimo Don Bos
ritenuto fabbricantedi vescovi, tra i quali il Gastaldi stesso, creatura p
sentemente in lotta con il suo
I1 quotidiano del Bottero si occupò di don Bosco anche in al
circostanze. Tra queste, la chiusura del ginnasio annesso all'o
rio di Valdocco. Lamentò il ritardo del provvedimento, in
alla legge Casati del 1859, la quale prescriveva la patente di a
tazione per gli insegnanti. La "Gazzetta" stigmatizzò il comp
mento "ostinato" di don Bosco, condannò la reazione della "
attolica" e rimproverò il provveditore41. La lettera della legge
i poteva giustificare il provvedimento, ma non lo spirito,
veva permesso di tenere presenti situazioni di emergenza,
era appunto il ginnasio di Valdocco destinato per lo più a
zi abbandonati. Era quanto si faceva rilevare in una lettera al
aie da parte di don Bosco, che tra l'altro osservava:
eggi scolastiche e civili d'Italia e dell'estero concedono all'imputato
e le sue rigioni; ciò a me non fu concesso, e non fu concesso a danno
ei figlidel popolo, che tutti gli uomini onesti dovrebbero proteggere
cuparsi sexiamente per migliorarne la condizione"".
che i viaggi di don Bosco all'estero erano controllati ed a
e sospettati di complotti politici. Il 15 aprile 1882 un servizio
erno ha dato ordine ai prefetti di Nimes, Tolosa e Marsiglia di
iare il sacerdote Bosco, di Torino, il quale, col pretesto di raccoplie-
ancia sottoscrizioni per un monumento a Pio IX, si è abboccato coi
e1 partito reazionario per scopi politici"43.
gli ultimi anni di vita di don Bosco prevalse da parte del
aie la politica del silenzio; forse come reazione alla crescente
tia popolare attorno al sacerdote di Valdocco. Andare con-
rrente poteva essere negativo anche per un giornale così
ato come la "Gazzetta del popolo".
Gazzetta piemontese": don Bosco il "Garzbaldi dei
rsa l'attenzione a don Bosco da parte del quotidiano fondato
tori0 Bersezio e considerato l'erede del "piemontesismo",
oprio della "Gazzetta del popolo''45.
corso cadeva su don BOS& quasi esclusivamente quando era-
oco i rapporti Stato-Chiesa, anche nel campo della politica
a. Fu ad esempio il caso della già ricordata chiusura del
di Valdocco, approvata dal giornale, ma con toni pacati.
dai toni polemici, riconosceva il bene compiuto da don
(pur esprimendo alcune riserve), ma neUo stesso tempo affer-

12.3 Page 113

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mava che era dovere sottoporsi alla legge in fatto di istmzione:
"Noi di buon grado riconosciamo il bene che fa Don Bosco a pare
centinaia di famiglie, dando ricovero a poveri fanciulli, facendoli is
ed avviandoli all'apprendimentodi arti e mestieri adatti alle loro in
zioni. È ben vero che egli fa il bene a modo suo, educando la gioventù
principi che non sono né possono essere i nostri ed ispirando nell'an
dei teneri fanciulli sentimenti religiosi che sanno di un misticismo mo
esasperato non solo agli occhi nostri, ma a quelli eziandio di molti otti
preti, i quali vogliono un'educazione soda ed aliena da ogni eccesso
finisce per nuocere alla stessa 1eligione"~6.
Fautore della separazione tra Stato e Chiesa, il giornale si is
rava ad un liberalismo moderato. Rifuggiva dalla denigrazio
sistematica e dal pettegolezzo scandalistico, che erano le bandiere
della "Gazzetta del popolo" e della stampa satirica.
Usò parole dure a proposito del conflitto tra l'arcivescovo e
Bosco:
"In vero queste cose sono dolorose e deplorevoli da tutti i buoni cri
ni"47.
E sui protagonisti della incresciosa vicenda scriveva:
"Monsignor Gastaldi non fa bisogno di dire quanto sia rigido, se
tenace all'antorità sua e di ciò che rappresenta. Don Bosco, forte dei
ventimila o più proseliti, di cinquanta stabilimenti, di dieci tipografie
parecchi cappelli e mantelli che vende a listelle e cencietti a peso d'
come reliquie (vedi i recenti processi in proposito), è una potenza e
giunta, irrequieta; molto opportunamente l'abbiamo udito chiamare
po fa il Garibaldi dei preti, tanto a lui piace, dentro al suo elemento, fa
sua posta, improvviso, audace, ribelle".
Infine, sulla soluzione della annosa vertenza diede la ver
che tanto spiacque a don Bosco e ai salesiani: vale a dire
papa aveva obbligato don Bosco "a fare atto si sottomiss'
monsignore". Il che era solo parzialmente vero, in quanto
l'arcivescovo fu costretto ad alcune concessioni.
li altri giornali
ridotto ancora l'interesse per don Bosco, negli altri quoti-
nt torinesi. Nel cavounano "I1 Conte Cavour"48, nel quinquen-
1871-1876, si riscontra un solo riferimento a don Bosco, che
ardava la notizia, data con riserva, sulla intenzione di don
O di acquistare il tempio israelitico (la futura Mole Antonel-
di via Montebello, per trasformarlo in chiesa.
ele alla politica cavouriana di una rigida separazione tra
e Stato, intransigente nella politica ecclesiastica; non anti-
per principio, e neppure scandalistico (la direzione si
va credente e cattolica), tendeva però ad ignorare quanto
ava la vita interna della Chiesa. Questa linea può forse
spiegare, almeno in parte, il silenzio quasi totale suf conto di don
i0 anticlericale invece da parte della "Nuova Torino"49,
ale degli industriali. Pochi gli interventi su don Bosco ed i
ani, ma pungenti; come quello di un comspondente che in
visita al collegio di don Bosco aveva trovato "gli allievi laceri,
puliti e con quelle faccie compunte, scolorite, di cui terremo
a
verso
don
Bosco
era
la
"Cronaca
dei
Tribunali"51.
~
~~
~
~
c--h-e-
di speculare sulle presunte grazie ottenute per sua inter-
ne, ma in realtà secondo il giornale, vere e proprie ciarlata-
di sfruttare persone ricche e credulonesz. Non meno astio-
occasione della consacrazione della chiesa di S. Giovanni
"Gazzetta di Torino" invece fece dell'ironia54 sulle accuse di
smo e di liberaiismoche l'intransigente"Voce della Verità"
aveva rivolto a don Bosco a motivo della sua mediazione
- tro richiesta nella questione deli'exequatur dopo la nomi-
nel 1871. In tale b g e n t e , l'intransigentismo cattoli-
entismo anticlericalesi stracciarono le vesti, inveendo
on Bosco, perché vollero vedere nella sua mediazione un
conciliazione, che, per mgioni opposte, secondo le due
- veva assolutamente da essere.
suo livore antigesuitico perché gesuiti erano ritenuti i "me-

12.4 Page 114

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contro don BOSCOn,on mancava di sferrargli una stoccata:
"sacerdote, che dal
di vista della santa bottega è tutt'altro ch
dis.Dr.egievole, anziè noto come uno dei più laboriosi nella vigna d
Signore".
combeen si
quali su don
ricaf ismo.
notare, si tratta di interventi occasionali,
si riversano molto luoghi comuni delyanti
C) LASTAMPA SATIRICA TORINESE
1. 11 "Fischietto": una satira impietosa55
tutta la stampa torinese, dal 1848 al 1888;la P
trastata della polemica contro don Bosco spetta P
satirico "11 Fischietto", che, da solo, per numero
interventi superò di gran lunga tutti @l altri, messi insie
una vivace antologia di tutto l'armamenta
le e anti-don BOSCO. Anche negli articoli e nelle
periodic0 si verificò la già ricordata pena del contrapPaSs0
don
e l'arcivescovo: costretti ad una difficileconvivenz
Torino, furono sovente abbinati nella satira.
ricchezza lessicale e immaginificadella satira poti così s
zamrsi:nel repertorio riservato a don BOSCO,
pale era il "Taumaturgo". Ma sfogliamo insieme l'antologi
"Fischietto".
da suo, il "benvenuto" ai nuovo arcivescovo, o
subito lo stesso servizio a don Bosco:
-ci
pure don Bosco, il santo, il taumaturgo D0minu.s
mettere sulla rosa... Ma! ma quel seraficofaccendiereha già fin
sudarenei fabbricarevescovi ed arcivescovi ad usum Lo~olae,
&osissimo che ci ha già fatto con quella perla di Mons
di - sua padcolarefanura - non ci dà più alcun diritto di
lui mapgiori ~acr&?'~~.
n Bosco, in questi anni, a motivo delle numerose opere
te 0 in cantiere, aveva a che fare con molto denaro, che
eva, a quanto Pare, amministrare. Per questo, tra l'altro, il
dico non riteneva fondata la voce sull'acquisto del tempio
itico da parte salesiana:
inus L i g n ~dispone di fondifavolosi,è vero, ma è troppo positivo,
buon calcolatore, per abbandonarsi a questo genere di speculazioni.
non franca nemmeno la spesa di parlame"~7.
n perdonava a don Bosco il trasferimento da
a Torino del vescovo Gastaldi, soprannominato, per la- .
erità, il "Torquemada":
esco, ilfamoso santone, conobbe che Gastaldi era robapropriodi
a, e che poteva piegarsi alle sue mire, io propose al non ancora
bile Pio I X Vicario di Dio, per vescovo della Chiesa di Saluzzo, e
0 (...l. E Don Bosco nell'ultimo rimpasto di vescovi, 10 traslocò
a di Sduzzo,ove non lasciò nessuna eredità d'affetti,aila chiesa
O ed i salesiani erano una rovina per s ori^^,
era sfata "la prima a scuotere il capo dal giogo pretino ed
la bandiera del progresso"s9.
Comune largamente utilizzato dalla stampa anticle-
- a l'accusa rivolta al clero di essere un ingordo cacciatore
0. In questo - stando al giornale primeggiava don
un bel Punto! Per sostenere la Santa Baracca e per nem-
borse, i preti si danno allegramente alla questua la più
Bosco. invidiando la fortuna che don Malcotto" ritrae
'album, ha tirato anch'esso una stoccata degna dei gonzi e
che già lo hannofatto santo. Mi cade s ~ t t ' ~ ~ucnha i ~
a stampa di questo sanctus lignus, colla quale si dà a questuare
azioni da franchi10 caduna! Capite?(...)Bravo, caro sacerdote,
un ben mezzo di diventar ricco ancora, come voi e
iva a spese dei gonzi! Ritornello ricorrente

12.5 Page 115

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sul ‘ ‘ ~ i ~ ~ h i i tet os"u tutta la stampa satirica an
Tornando saargomento, nei maggio successivo,il gi
pesantemente la mano, e sollecitava le autorità ad
"N~,, basta ancora il numero stragrande di giovani che Sono cretini
nefl'~ratonodi S. Francesco? Può la libertà impedi
~ ~ o~ la poi pola~zionei facc~iano ciessar~e quei col
figli nemici del paese e della loro famiglia? E poi mi si parla sul 3
dell,aboyizionedi quelle tali corporazioni (...) Con molti Don Bosco,
morremo imbecilli"62.
prendendo lo spunto dalla riedizione della Sto
Storiu Sacra di don Bosco, scriveva:
"Reverendo,
per essere un prete, vi trovo discretamente ingenuo, caro Do
Lignus!
O per chi mi pigliatevoi dunque?Forse per uno di quei cretiniai qual
pretestodi spacciar miracoli, voi andate graziosamentedecimando l'i
letto mingherlino ed il grasso ~atrimonio?"~~.
Chiudendo l'anno 1873, offriva ai lettori Un SUO profilo d
protagonisti della vita cattolica torinese:
"1 caporioni della Santa Baracca, in Tonno, Sono tre:
-1-
Revalenta, soprannominato l'Uomo del BOSCO, che raPPrese
,.inghiando continuamente, e fa di tutto per tener viva la religione
Santi Torquemada e Pietro A1b.u~.
2. -
sive Dominus Lignus, soprannominato il Taumat
per la sua prodigiosa abilità a corbellare i tordi, che rappresenta il
utilitarismo religioso.
j.- Margati, ilfamigerato teologo quanrinaio del toch flfrmS0,
rappresenta i Ges~iti"6~.
con do nel 1874 si gridò allo scandalo di fronte a'
compromesso suli'exequatur, il periodico non solo
~ ~ ~mca aonc,he il governo italiano, reo di
uomo:
. = ~griandetaumaturgo è ritornato. Don Bosco, sive Dominus
ha teminato la sua missione. La quale missione consisteva nel tr
ientemeno che la conciliazione fra il Gover-
one #un conciliatore sono andati a sce-
ai noto Iippis e1 tonsoribus che Don Bosco
a, di essere un grande operatore di mira-
noi tutti Pure sappiamo di qual genere siano i miracoli operati dal
Infatti la sua più miracolosa abilità consiste nel conoscere il
t0 di spillar quattrini ai minchioni Egli conosce tutte le vie, tutti i
i Od indiretti, tutti gli espedienti, tutti gli arcaniperfar denaro
(...h Ma i nostn Machiavelli, che pure dovrebbero conoscere,
apevano proprio trovar di meglio per trattaredi quella certa
zione, se dawero la credevano necessaria?"65.
rospo che il "Fischietto" non riusciva a trangugiare era la
anana, che conosceva in quegli anni un grande incre-
che, in verità, a volte non evitava eccessi, offrendo il
critiche e a parodie. Nella devozione mariana il giornale
ava una indegna strnmentalizzazione della donna, e ne
uardia i mariti, non mancando di aggiungemi una
donne e Madonne Don Bosco fa
, Don Margotto fa su i fusi, Don Bardassone
Madonna in cielo ed in terra. Ecco il
che tutto, è la moralità, la pace, l'amo1
e regnano nelle famiglie in grazie di questo
nne e Madonne. Ma via gli scherzi!
insensata! Non vedi l'arte diabolica dei Gesuiti per dominare il
amoci poi se si poteva approvare la proposta di un consi-
munale di concedere aiuto finanziario a don BOSCO:
Ponete che si concedano sussidi a Don Bosco. ~d io, invece, oserò
ancamente. Volete la vera educazione del popolo? Abolite la mise-
tti sappiamo quale sia l'educazione che Don Bosco impme ai
. Ne fa tanti chienchetti. Bella prospettiva per una popolazione
fa ogni sorta di sacrificio, per innalzarsi al miglior grado di

12.6 Page 116

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spedizione di missionari salesiani in America non Poteva
essere, a detta del giomaie, che una accorta operazione comme
dell'abilissimo industriale don BOSCOc,he era dotato di u
formidabile fiuto per gli affki:
-
~ ~ i ~ ~~voulgsarm, e~nte detto iD. Bosco~il Tauma~turgo, s
intraprendere una nuova speculazione commerciale su vasta scala.
sanno che
fortunatissimo industriale cattolico, apostolico e 10
ha saputo trovare il mezzo di far dei milioni - e non pochi - col a s
celebreFabrica privilegiata a vaporedi preti e diaconi d'ogni quali
e grado per esclusivo uso e consumo della Santa Baracca (...l.
~,,i~di,da industriale abilissimo, ultimamente deliberava di espofia
anche nel ~~~~o Mondo i prodotti della sua Fabbrica privilegiata (
~~~t~
anche l'America potrà sapere per prova qual gusto abbian
i preti italiani fabbricati dal nostro Taumaturgo (...)68.
Abbondante e ghiotto materiaie fu offerto alla satira del giom
le dal lungo contrasto tra don Bosco e l'arcivescovo G a ~ t a l d i ~ ~
-voci di guerra circolano per le sacrestie (...). Due formidabili campi0
di tutto punto armati, stanno per entrare in lizza. Il primo risponde
nome di ~ ~ ~ e~ si lrep~uta~gagtliaradiss,imo nei colpi di testa.
secondo si spaccia per gran taumaturgo, e si chiama volgarmente D
Bosco (...l.
rantagonismo fra questi due giganti è oltremodo serio. Don Bos
forte dell'appoggio diretto del Vaticano, non vuol riconoscere né tampo
piegarsiall'autoritàdi DO^ Revalenta, wol fare da sé, come malia
~ ~ p~er co~ntro, lprete~nde so~ttomet ttere~l'indi,sciplinato
turgo alla propria autorità, ed ha giurato di spuntarla ad ogni C
conflitto è imminente.
Vedrelmoosocnhoi seanrtàraiml pbrii.m.. oneal
cadere.
beccar testamenti
al
letto
dei
monbo
quindi ogni giudizio anticipato sarebbe avventato.
Aspettiamo gli eventi"7o.
~ lvoltte i fe~nden~ti che menava il periodico satirico colpiv
la stessa retta intenzione di don Bosco:
2 c ~ o n invece è un prete furbo come sette volpi. (...) Fa 1''
lo gno,.&va
mighino, la durlindana la nasconde sotto la s
ride dei dueRodomonti[=l'arcivescovo e don Magottil, come il rospo
eva del cavallo furioso (...l. In sostanza Don BOSCO è
moRa
e scava senza rumore; è una gatta morta, che sa dove sta il lardo (...l.
n Bosco è il vero prete-volpe, è il tipo dei veri p ~ e t i - ~ ~pelr~chié:?
ché altro è il bene ed altro i'indirizzo ed il fine del bene. rindirizzo, il
ne di Don Bosco è quello stesso della bandiera papale comune. solamen-
che sa mettere le rose ed i fiori sulla bandiera sua e fa per benonegli
essi del Vaticano, e quelli della sua bottega"71.
ltn' periodici satirici e unticlericali
ccanto a1"Fischietto", sovrano incontrastato dei giornali sati-
torinesi, condussero a Torino una vita più o meno lunga, a
Ite stentata, ma sempre con un momento di gloria, sia pure
mera, altri periodici satirici, che pure si occuparono saltuaria-
nte di don Bosco.
1 settimanaie "11 Diavolo"72, il 7 senembre 1871, gratificava don
di "santo imbroglione", a causa di un presunto inganno com-
in m a lotteria da lui organizzata su scala nazionaie73.
''Pasquino," altro settimanale satirico, usava soprattutto
della vignetta, nella quale incappò anche don Bosco74, sia
10 saltuariamente. I1 18 maggio 1873 gliene furono riserva-
dirittura tre. Nella prima d.on Bosco era rappresentato in
e collare, fascia, con una croce nella mano destra e la sin&
fianco sinistro; pipa in bocca, copricapo da generale (con
mbianze di Napoleone), sovrastato da una croce sulla sommi-
una cup9la. La didascalia recitava: "E intanto a Torino don
0 non sol0 6 generale, ma è più che maresciallo..."75.
seconda vignetta: una pianta, con fiori costituiti da volti
da un cappello da piete. La didascaiia: "Sulla collina di vai
i gesuiti fioriscono che è una bellezza". Infine nella terza
ta: una selva di pali con copricapi delle suore di carità o cap
Prete. La didascalia: "Ed in città, da S. Salvano aUa Madon-
ilone, se si pianta un paio per un nuovo edificio potete essere
e si tr- di suore di &tà o d'ignorantellp.
dai toni violentemente anticlericali nel "Ficcanaso"76:
- oschi è un prete in tutta l'estensione del termine quindinon è
- no sa navigarsela ottimamente anche in questi tempi di procella

12.7 Page 117

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e... di carestia.Tiene aperte botteghe dipubblica carità (...l.È molto furbo;
ottimamente l'arte stupenda di pelare i bipedi plumi ed implumi;
sa stendere la rete a luogo e a tempo, ed i merlotti vi caggiano (...)77.
Mano pesante anche sul contrasto con l'ar~ivescovo:
"11
uficjale della sua sospensione è questo: perché da vero bncc
ne, valendosi del confessionale,spaventa, atterriscei ga9iioffiche 10 chiam
no a confessare. vecchi imbecilli e beghine stupidissime, allo scopo di
lasciare o in tutto o in parte la loro eredità (...). Ma il vero motivo è qu
che B O S a~ Tonno è potente, quasi più di monsignor Gastaldi.
Gelosia e nulla più.
~ ~ ' ~cirlcotstarnz~a: Don Bosco è accanito cacciatore di eredità: DO
Revalenta non lo è meno di lui.
Concorrenza... ira di qua, invidia, gelosia di là.
Unicuique suum (...l.
B~~ BOSCO va1 Gastaldi. Monsignor Gastaldi Don Bosco: ipocrita
yuno, impostoreè l'altro: l'anima hanno entrambi volpina e fella! se l'ag
giustino tra g oro..."^*.
Concludeva con l'augurio che si sbranassero a vicenda, come i d
orsi famosi; e che dei due contendenti non restasse più traccia.
Era comparso pure sulla scena giornalistica torinese un se
n&, dalla testata provocatoria (e blasfemaf, che la ''Gazze
popolo" salutò e lanciò con una pubblicità martellante, C 0
l'unico vero giornale anticlericale: "Gesù Cri~to"'~.
Ogni suo articolo era di contenuto anticlericale. Nei pri
nume* dell'ottobre 1882 incentrb il suo interesse su monsi
Gastaldi, don Margotti ed evidentemente su don BOSCOI.n
colare il settimanale contrappose al don Bosco prima mani
quello delle origini dell'oratono - al quale andava la simpat
del giornale - un don Bosco seconda maniera, meritevole inve
di biasimo:
"11 BOSCO primitivo però non ha più nulla di comune col Don Bo
della seconda fattura. I1 primo è la riproduzione fedele di S. Vincenzo
paoli, il secondo è la riproduzione vera dell'agitatore cattolico. L'i
sublime della fratellanza ha ceduto a quella del grande affare.La polit'
la banca si confusero col vangelo.
Don Bosco e i fondi tnrchi. Don Bosco e i testamenti fatti a svan
'. Don Bosco e Pio IX nella politica contro l'Italia. Don Bosco e
e clericale. Don Bosco e la propagandaantiitaliana.Don Bosco e
Subalpina negli affari Anglesio. Don Bosco e i vescovi: ecco
capitoli d'una storia, che è il rovescio della medaglia. La prima
gina è uno stupendo poema dettato dalla carità di Cristo. Le altre pagine
no scritte dalla Dea della politica, dal genio dell'affare, dal segretario
Ila gran Ditta Papa-Preti, e Compagnia"8o.
11nuovo don Bosco aveva tradito la sua primitiva e ammirevo-
missione, per impegolarsi nella finanza e nella politica, lascian-
il vangelo di Cristo per altri vangeli, soprattutto quello del
a, il cui vangelo è il Sillabo, nemico deli'indipendenza e
'unità d'Italia. Strumento della politica del papa, antirivolu-
- aria ed antiitaliana, don Bosco, in tutta la sua intensa attività
Ila istruzione della gioventù h o ai suoi presunti miracoli
"nemico d'Italiax, che va combattuto.
articolo era un attacco frontale a don Bosco e alla sua opera;
'ntesi di tutte le accuse mosse a don Bosco visto come
m a dell'intransigentismo cattolico:
è più l'amore del prossimo l'anima dell'istituzione, ma il progetto
at0 di innescare nella gioventù l'odio contro una rivoluzione che ha
a noi la patria una, libera e grande, all'umanità il libero esame e
ndenza dal giogo del Giove vaticano. Non è più l'evangelo l'ispira-
Santodi Valdocco, è il Sillabodi Roma. Di la parola d'ordine di
'one dell'unità d'Italia, di guerra alla rivoluzione".
bbene, ogni iniziativa di don Bosco sarebbe funzionale a tale
questo si mettono in piedi conventi di monache, seminari di chic-
stabiliscono collegi a Lanzo, ad Aiassio, a Borgo S. Martirio, a
e, a Sampierdarena, a Nizza, a Marsiglia, a Buenos-Ayres, in tutto
anche mezzi meno nobili sarebbero stati impiegati da don
uesto si fanno fuggire in Vaticano banchieri ladri, si carpiscono
si inventano ritrattazioni, si spogliano famiglie, si fanno preti, si
chiese, si ammucchia denaro, si sforzano ebree a farsi monachenl,

12.8 Page 118

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si fanno fuggire giovanisoggetti alla leva, si fanno continui viaggi, sospetti
allapolizia dei governi liberali".
11 peggio però era ancora altro:
*'per
si apre la gran bottega dei miracoli; si fa di Don ~oscoun
santoe se ne vendono le vesti a tanto il Pezzetto come un talismano
contro i mali di questo mondo (...l.
per questos3inventanole istorie di giovani divenuti santi, come quella
~~~~~i~~savio;di giovinette divenute beate come le sorelle Rigolotti.
parlerò altra volta di questi miracoli, di questa associazione salesiana con-
tra è tempoche si premunisca colla legge il governo".
simili bordate, ecco la conclusione: Don Bosco il nemi-
co da battere:
d c ~ abandieraè sempre la stessa, la bandiera della beneficenza;ma il si
fiato non è più
di prima. Attenti adunque da questo nemico 81
lia che tanto e che tanto male vuole alla libertà del nostro Pa
pensateche egliesercita molto fascinosulla gioventù e che alla gioven
affidatoredifizionazionale,che costò tanto sangue e tanti madri''.
111. L'eco della morte di don Bosco nella stampa t~dnese
italiana
BOSCO mori il 31 gennaio 1888. Non fu una morte i m ~ r
"isa. Da tempo infatti il suo fisico era ormai logoro e stan
sua attività intensissima l'aveva per così dire consumato e
ultimi mesi del 1887 si era andato spegnendo, tanto che nel
di dicembre si era temuto il peggio. Dopo una ripresa inspera
illusoria, verso la fine del gennaio 1888 la malattia riprese de
- - tivamente il sopraVVent0.
due mesi la stampa soprattutto cattolica in
mava sullo stato di salute di don BOSCO.
Come reagi di fronte alla sua morte? L'eco della stampa i
na, ma anche straniera, fu notevole. Evidentemente ci si dom
da, quale tipo di informazione sia stata offerta ai lettori, qu
zione della persona e della attività di don BOSCO sia stata
sa.
prima impressione è questa: don Bosco, segno di coneaddi-
e in vita, lo fu anche in morte.
STAMPA NON CATTOLICA
La stampa non cattolica, torinese ed italiana, espresse una gam-
di sentimenti e di valutazioni più sfumate, più ricca e più
di quanto non avesse fatto durante la vita di don
non altro il rispetto reverenziale di fronte alla morte e rop-
rtunità di una valutazione globale della vita di una persona che
n era più, suggerivano una maggior riflessione ed anche il fico-
scimento dei meriti dell'avversario,
osi in parte avvenne di fronte ai tanto discusso sacerdote di
1 furono anche ostentati silenzi. Il più clamoroso fu quello
"Gazzetta del popolo", che si limitò a riportare nome,
me ed età.nell'e1enco dei defunti82,
1 invece non rinunciò a parlare fu il ''Fischietto":
orto Dominus Lié'nus. La sua fabbrica di preti forse diffonderàin
ia i suoi prodotti oltremonte ed oltre mare... Ma al capezzaledei
nbondi non mancherà chi procurerà di surrogarlo nelroperadi
-loro il viaggio Per il paradiso sollevandoli dal peso grave dei beni
s'intende per volgerlo al finedi bene"83,
valutazione dal tono equilibrato, ma duro nella sostanza,
uci ed ombre, fu formulata dalla moderata "Gazzetta pie-
se", a cui, nella circostanza, altri giornali liberali italiani
ro, per informare i propri lettori. virtù e difetti, meriti e
enti, riconoscimenti cordiali e critiche pesanti: un difficile
quasi ad esprimere tangibilmente la difficoltà ed il disa-
ti nello stendere il bilancio di una personafitacomplessa
a vita intensissima, con parametri in ultima analisi inade-
ogni buon Conto, un bilancio che altri giornali non ebbero il

12.9 Page 119

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coraggio e l'onestà di
Gli fu dedicato l'articolo redazionale:
"11 nome di BOSCO è quello di un uomo superiore che lascia e susci
dietro di sé un contrasto di apprezzamenti e opposti giudizi e, qua
due opposte fame: quello di benefattore insigne, geniale, e quello di Prete
avveduto e procacciante".
Insomma don BOSCO era apparso come un Giano bifron
Secondo il giornale, il dimorfismo aveva te sue radici, nella vita
don ~ ~ s ccoioè, nello sdoppiamento tra fine e mezzi:
- a lui va opportunamente applicata La machiavellica sentenza:
fine giustificai mezzi -. ~d iI fine, bisogna confessarlo, era nobile e ca
atevole (...). vita di Don BOSCO è stata una vita di lotta tenace, e gli v
perdonato se per lottare non sempre poté lottare con armi leali, se no
la vittoria poté essere da lui conseguita in aperto campo invece che
per nascoste vie, se qualche volta quella Divina Provvidenza, che al
volle venisse sempre in aiuto al suo buon volere, fu da lui, più che imP
rata, costretta a servirlo. Alla mente di Don Bosco, mente di uomo suP
nore, non soccorseroscarsi i mezii, e la Divina Provvidenza, si sa, è s
pre con quelli che per un verso o per l'altro sanno essere potenti. E pot
lo era tanto da far ombra alla stessa Sede di Roma (...)".
Questa valutazione espressa con sincerità brutale dal gio
torinese è riscontrabile, con toni più sfumati, in parecchi a
giornali di ispirazione liberale o democratica, tanto da far Pens
che corrispondesse al giudizio corrente nella opinione pubblic
tale tendenza sul conto di don Bosco:
Ma il quotidiano torinese, un po' incoerente, formulava u
prima sentenza, tutto sommato, assolutoria:
a'possiamoquindi chiudere questi ricchi apprezzamenti col detto de
~ ~ dpenidtente:~- Glli sar~à mo~lto pe~rdonato, perché ha molto be
ficato".
Infine, tracciato il profilo biografico, in cui venivano
ati l'attività indefessa ed il coraggioso impegno a vari
giovani, il giornale rivolgeva a don BOSCOun omaggio slncer
doveroso quindi, sotto questo rapporto, un vivo rimpianto
erdita d'un uomo che ha lavorato, che ha lottato, che ha beneficato
Fante tutta la sua vita. h sua tomba, che sarà per quelli che ha ben&-
i un'ara, dev'essere Per tutti gli onesti e per tutti quelli che sentono la
igione del lavoro sacra e rispettata".
uello del quotidiano torinese già di Bersezio, può essere con-
sto il giudizio emblematico espresso dalla stampa liberale
erata su don Bosco, in occasione della sua morte: riconosci-
ente delle sue eccezionali doti umane e delle sue buone interi-
Di; apprezzamento per la marcata riievanza sociale della sua
ra tra i giovani e per l'instancabile e disinteressata attività, ma
Una critica senza riserve sui metodi da lui usati85.
denzialmente più benevola la stampa milanese.
"‘Italia", diretta da Dario Papa86, presentò don BOSCO soprat-
t0 come l'oracolo, cui una moltitudine di persone si era rivolta
er averne lumi ed incoraggiamento: "Egli era l'oracolo infallibi-
sua scuola filantropica non è la nostra, il suo sistema a base di asceti-
on è accettato dallo spirito dei tempi nuovi. Ma bisopnerebbe essere
per non vedere credi è stato un uomo supenore, una volontà di ferro,
energia di primo ordine ed una mente vasta e profonda".
oi un richiamo alla sua santità:
chiesa cattolica ne farà probabilmente un santo. Ma non
anità non lo rispetterà meno fra i legittimi campioni di
carità
iva che - prescindendo da qualsiasi idea religiosa - ha cancellato
oi registri la parola miracolo".
izio largamente positivo anche da parte del "Corriere della
che dedicò all'avvenimento un lungo articolo, ficco di
biografiche, intercalate da valutazioni come queste:
opo lunga malattia, sopportata con quella rassegnazione che è pro-
i animi forti e buoni, è morto a Torino don Giovanni
la
fu tutta spesa in opere di religione e di carità".
.. Discordi, lontani anzi, da lui in fatto d'opinioni politiche, non
m0 non ammirare l'opera sua. Casi nel campo liberale si potessero

12.10 Page 120

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contare tanti uomini, i quali di don Bosco avessero la mente organizzatn-
ce davvero superiore e sorretta da quella forza di volontà, da quella per-
severanza, che conduce a compiere le più meravigliose imprese (...).
Don Bosco ebbe fautori anche tra i liberali, perché egli si asteneva dal1
polemiche politiche, dalle lotte di partito e Rattazzi gli prestò sempre vali
do appoggio".
Il quotidiano, che stava diventando sotto la direzione di
Torelli-Viollier il portavoce più autorevole della opinione p0lit'
moderata milanese, pur prendendo le distanze dalle idee politic
di don Bosco (non dice quaii fossero), contrariamente alle opinio-
ni espresse dai giornali torinesi affermava che don Bosco si era
astenuto dalle "lotte di partito e dalle polemiche politiche".
Anche l'organo del patriziato agrario e dei conservatori mi1
si, "La Perseveranzan88, si espresse con accenti sostanzialme
elogiativi:
stato detto di lui, forse non sempre con ragione (...l che esso pose se
pre in pratica la nota massima dei Gesuiti: - I1 line giustificai meai.
Certo è che egli sostenne un'intera vita laboriosamente (...) per ottene
quanto si proponeva mezzo secolo fa (...). Lottò col Papa, lottò col Gove
no, lottò col popolo (...) acquistandosi simpatie e gratitudine immens
come pure odi e rancori indelebili".
Più contenuto nell'informazione e più critico il "Secolo XI
di Genova, fondato nel 1886 dall'industriale F. Maria Peno
collegato al gruppo sidemrgico dell'Ansaldo89:
"Tutti i giornali - senza contare quelli del partito nero - recano d
lunghe necrologie (...). [Don Bosco] fondò collegi in tutte le padi del mo
do facendo del gran bene e del gran male. Possessore d'una imm
sostanza, sotto l'aspetto della carità la impiegò a favorireil partito. È
ciò che la di lui perdita sarà sentita molto dai clericali".
Alla fama mondiale, di.cui godeva don Bosco, si richiamò
altro giornale genovese, "I1 Caffaro", già organo della sinis
costituzionale genovese ed ora su posizioni più moderateso:
"Comunque vogliasi giudicare I'opera sua, quali possano essere
prezzamenti intorno a quest'uomo veramente singolare, dotato di una
ità straordinaria, non c'è dubbio che la vita di don Giovanni Bosco si
one a quanti sanno elevarsi al di sopra dei pregiudizi e delle idee pre-
Dal canto suo, la moderata "Nazione"91 di Firenze, agli altri
etti, già rilevati dal "Caffaro", accomunava pure la fama di
uasi santità" che don Bosco godeva presso la gente, riecheggian-
nell'insieme la "Gazzetta piemontese" e, in sintonia con la
mpa liberale moderata, scriveva:
"Noi non vogliamo qui giudicare lo spinto che domina nei suoi Istituti;
mmeno vogliamo approvare interamente i metodi suoi e dei suoi Sale-
nell'educare la gioventù, né possiamo affermare che i mezzi da lui
erati per conseguire il suo fine, che era nobile e santo, fossero tutti
pr0vaziOne (...); potremmo dissentire da lui nei metodi educa-
, ma non potremmo negargli la nostra ammirazione, e siamo costretti
esclamare che Don Bosco (...l ha dimostrato quanto possa, anche nel
stro secolo, la ferma volontà di un prete cattolico congiunta a virtù ed
vera carità evangelica".
attutiti e meno partecipati gli echi della morte di don Bosco
pagine del "Resto del Carlino" di Bologna, già di ispirazione
aie e filosocialista ed ora in linea con la politica di Crispi:
uratevi che chiasso farà nel mondo cattolico questa morte! Don
era amato, ma anche temuto da tutta i'aristocrazia nera. Persino il
ra obbligato ad ascoltarne i consigli92.
Roma il totale silenzio da parte della "Riforma", portavoce
ancesco Crispi, fu compensato dalla "Capitale", organo della
tra democratica, su posizioni di "democrazia radicale garibal-
a e cavallottiana"93. Questo era il settore politico più anticferi-
e meno disposto ad una valutazione serena dell'opera di don
CO. Quello del quotidiano romano fu tutto sommato un giudi-
sprezzante, implicito nelle notizie fornite e nel tono usato:
Torino l'avvenimento del giorno è la morte del celebre taumaturgo.
t0 il resto, politica, finanza, arte è passato in seconda linea (...). Tutta

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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- l'aristocrazia bigotta, tutto il popolino in gran nIaggi0ranza le donne
sono stati nella cappella,ardentea rendere omaggio al profeta ridiventat
mate1ia"9~.
b) STAMPA CATTOLICA
Grande spazio dato all'awenimento e toni marcatamente enco
miastici nei confronti di don Bosco e della sua opera caratterizza
rono la stampa cattolica, in particolare i grandi organi dell'intra
sigentismo.
1. Stampa torinese
Y U n i t à Cattolica", ormai priva anch'essa del suo direttor
don Giacomo Margotti, morto dieci mesi avanti, riservò al lutt
so evento numerosi articoli, per parecchi giorni. L'annuncio d
morte, che fu anche celebrazione della vita di don Bosco, venn
dato così:
"L'alba di ieri, 31 gennaio, spuntò funestissima per la diocesi di
per le Case salesiane e per la Chiesa tutta, ponendo fine ai giorni
sissimi del venerando Don Bosco! (...) Fu infatti la sua esistenza fra e
provvidenziali, ed ebbe molti punti di contatto colle vite più illust
m...a-s.s.im.-e--c.on auelle di S. Francesco di Sales ( . . .Id. dio.avleva formato
~~
questo suo s e i o l'apostolo dei nostri tempi. (...) E voce che Don BO
avesse il dono dei miracoli, e molti se ne raccontano di sodamente pro
ti, ma noi non vogliamo né asserire, né negare; giudicherà, se Dio vonà
Chiesa. Ma è certo che miracolo grande e insigne fu ch'egli compisse
bene con mezzi apparentemente deboli; che riuscisse, in un tempo di
egoismo, a scuotere la pubblica carità (...l".
I1giornale continuava ad elencare le innumerevoli e d i 6
ziative avviate e portate in porto, nonostante te enormi difficol
Attività eccezionale, che scaturiva da una personalità eccezion
di cui si misero in rilievo doti morali e spirituali. In parole p0
re, dalle pagine del quotidiano cattolico intransigente si staglia
l a figura di un santo:
"Singolarissima poi fu in lui, e tutta sua propria, quella condizione, Pe
passò nel mondo come estraneo alla gloria che gli si rendeva dai suoi
che lo amavano svisceratamente, dai popoli, dai grandi, dagli stessi
cipi; come fu estraneo ai morsi della calunnia, alle violenze dell'invi-
ed alle persecuzioni che non giunsero mai a turbare menomamente la
ce del suo cuore. Non si spiega ciò altrimenti che colla continua unione
Dio e profondissima umiltà"95.
on meno commosso ed elogiativo l'intervento dell'altro quo-
iano cattolico torinese, "I1 Corriere Nazionale":
'L'illustre D. Bosco nel giro di pochi anni ha fatto ed ha operato quanto
rdinariamente poteva farsi da un uomo fornito a larga mano da viva
e ferma fiducia nella Provvidenza (...). Questo sacerdote italiano è il
erno esempio per tutto il clero e il laicato cattolico per dire e per fare
vantaggio della società intera coll'educazione della gioventù"96.
particolare si registrava con compiacimento la voce della
te che passando accanto alla salma esclamava: un santo!".
commentava:
'he bell'elogio, questo, sulla bocca del popolo! Don Bosco e il Cotto-
due nomi che racchiudono una storia di beneficenzeincomparabili
enefici eroici. Il ritratto di Don Bosco sarà affissoin tutte le case
0 ari Come l'immagine benefica del genio della carità (...); sulla tomba
lui andranno tutti i credenti, perché quella tomba diverrà un'ara"97.
Sintesi dunque, tre profili intrecciati di don Bosco: uomo di
e fede nella Provvidenza (questa la sorgente della sua instanca-
attività); modello di apostolato tra i giovani, per clero e laicato;
t0, come ormai la devozione popolare lo celebrava.
tesso tono sulle pagine del settimanale .oo.oolare. "La Buona
ma":
Bosco non tpiù! (...) Mille lagrime si versarono di verace compianto
salma venerata dell'illustre e santo'sacerdote! Privo di mezzi mate-
ma ricco di quella fede, alla quale nulla è impossibile, con piena
ia nella Divina Provvidenza, perseverò nella sua missione sostenen-
te d'ogni genere contro i nemici suoi, che si valsero dell'insulto, della
ogna, della calunnia per combatterlo, attentando eziandio per ben
olte alla sua vita medesima3'98.

13.2 Page 122

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Don Bosco, "dolce, mansueto, tutto carità" ebbe però la vitt
ria.
Ed ora "l'Europa e l'America, popoli civili e popoli selvaggi si pros
innanzi alla sua tomba, e Lui acclamano Padre, Benefattore, Amico,
stolo, Rigeneratore".
Ed infine la conclusione, vero inno al sacerdote di Valdocco:
"Don Bosco non èpiu! E noi genuflessi a' piè della sua bara preghiam
Sia'pace all'anima sua bella e ricca di meriti! Sia gloria a Dio che nella
bontà mostrasi ammirabile nei suoi eletti! Sia a noi continua dal ciel
protezione dell'Amico e del Padre, della gloria del Clero e della nos
città, del grande ed immortale Don Bosco!"
La "Voce dell'operaio", settimanale delle "Unioni operaie ca
tolicbe", che non si era mai occupato d i don Bosco, ora, in mort
gli dedicò un trafiletto, in cui faceva risaltare il suo apostolato
favore del mondo operaio:
"A Torino, nessun uomo fu più popolare di Don Bosco, e specialmen
il ceto operaio aveva per l'ammirabile sacerdote una vera venerazione.
con ragione, imperocché Don Bosco, per un periodo di oltre cinquan
anni, consacrò al bene della classe operaia la sua grande anima, '
tenerissimo cuore di padre e di apostolo (...). Oh che il santo suo s
aleggi sempre tra noi"99.
Se il tono è più misurato, la sostanza dell'elogio di don B
non si discosta da quelli espressi dagli altri organi di stampa
tolica.
2. Stamoa italiana
In sintonia con la stamoa cattolica torinese, anche auella ital
na celebrò la grandezza, anzi, la santità di don Bosco.
Su tutti prevalse, senza dubbio, l'intransigente quotidiano
nese "Osservatore Cattolico":
"Don Bosco: In questo semplice cognome si compendia tutto un
lato, forse il più grande e meraviglioso del secolo XIX. Tutti sann
gigante di carità sia designato da quelle due brevissime parole".
'(...j La sua morte è più che un dolore italiano ed europeo: essa è una
. . entura mondiale, e formerà uno dei più fatali avvenimentidel 1888 (...j.
I nome di D. Bosco riassume una vera eoooea cristiana ,(...,l
i è una vera potenza, sebbene umilissimo ed &abilissimo; egli è un
e delia carità e di zelo, ed ogni encomio è inferiore al suo merito"1~.
escrivendo la corale partecipazione della città di Torino al
o ed ai funerali. anch'esso riferiva con erande comoiacimento
ce popolare: un santo!"loI.
a Roma, la "Voce della Verità", anch'essa giornale intransi-
te, facendosi eco della "Unità Cattolica", presentava la vita del
datore dei salesiani come un vero ed autentico miracolo:
uesti sono veri ed incontrastati ponenti, per il che, si magna licei com-
ereparvis, si potrebbe quasi ripetere riguardo a Don Bosco l'argomen-
che S. Agostino adoperava per provare che la Chiesa doveva essersi
opagata coi miracoli"l02.
ulla stessa lunghezza d'onda si posero gli altri fogli cattolici
"Cittadino" di Genova:
oi ci uniamo al sincero rimpianto che in tutto il mondo si alzerà per la
e di un Uomo che f u a giusto titolo chiamato angelo della Carità"lo3.
I "Diritto Cattolico" di Modena:
Don Bosco è morto un vero eroe cristiano, un atleta della fede,
italiano che ha speso la lunga sua camera in opere di virtù e di
a, facendo coll'aiuto di Dio dei prodigi, dei veri miracoli"lo4.
'Berico" di Vicenza:
na delle più splendide figure che la religione cattolica ha reso gigan-
'Pensiero Cattolico" di Genova:
- errà tem-po (....). ch'e-~lisarà innalzato su-di altari a somielianza di
ltri eroi di carità, ed in specie di S. Vincenzo de' Pao1i"X
'Cittadino" di Brescia:

13.3 Page 123

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"Deh tratteniamo le lacrime sulla tomba di don Bosco: sulle tombe d
santi non si piange, si invoca e si prega3*'07.
Ed infine l'"Eco di Bergamo", giornale moderato, unico (o tra
pochi) a richiamare la grande devozione di don Bosco al papa:
"Don Bosco si tenne sempre e perfettamente fedele ai suoi doveri
prete cattolico, sempre e perfettamente devoto ali'antorità ecclesiastica
principalmente al Papa3'108.
Riferendo sulla sepoltura, lo stesso giornale bergamasco osse
vava:
"E tutta quella moltitudine immensa concordava mirabilmente in n
sentimento, che veniva espresso colle parole: Don Bosco è un santo! (.
Mai si vide a Torino un concorso di gente cosi numeroso e spontane
Don Bosco, figlio del popolo, benefattore del popolo, ebbe dal popolo
più grande ed imponente dimostrazione di riverenza e d'affetto che
possa immaginare"'09.
IV. Riflessioni conclusive.
Don Bosco costituiva dunque, secondo la stampa, un segno
contraddizione, oggetto di grande amore e di odio tenace. Ne
temperie storica italiana del secondo Ottocento non poteva fo
essere altrimenti.
Emblema - a volte a ragione, a volte a torto - dell'intrans
genza e della riscossa cattolica, egli sembrava costringere ad
scelta netta, senza sfumature. In realtà, guardando più adde
alle varie voci giornalistiche, i due fronti contrapposti - que
cattolico e quello non cattolico - appaiono meno omogenei,
mossi ed articolati, specchio di una più complessa articolazi
della società e della Chiesa, che smentisce o rende più problema
ticbe facili e semplicistiche contrapposizioni.
Per questo, il don Bosco presentatoci dalla stampa può costit
re anche una chiave di lettura del mondo ecclesiale e politico
tempo, forse a volte troppo livellati da una storiografia tentata
schemi di lettura che fanno violenza ai fatti.
me non vedere, ad esempio, nell'atteggiarsi della stampa cat-
torinese di fronte a don Bosco, la proiezione di un mondo
attolicoed ecclesiale non omogeneo e non all'unisono, anche nel-
questioni politiche, ecclesiastiche e pastorali? Prima della morte
I fondatore dei salesiani, si va infatti, nei suoi confronti. dal
enzio della "Voce dell'operaio" all'esaltazione della "unità
attolica", passando attraverso il tono misurato ed informativo
Ila "Buona Settimana" e del "Comere di Torino". Non è
ventato, anzi sembrerebbe lapalissiano, pensare che alle loro
alle stavano sensibilità ecclesiali diverse.
Se poi si tiene presente che direttori e redattori principali di
ti giornali erano sacerdoti, vien fatto di domandarsi quale
e l'atteggiarneto del clero torinese di fronte a don Bosco.
più vicini collaboratori dell'arcivescovo Gastaldi non gli furo-
Certo favorevoli; altrettanto si può affermare di quanto restava
1clero passagiiano. E gli altri?
La moderata "Gazzetta Piemontese" il 3 agosto 1874 scrisse
"molti ottimi preti" non approvavano l'opera educativa di
Bosco, perché animata da "un misticismo molto esagerato".
volendo ridimensionare questa valutazione, è certo che il cle-
rinese non era tutto con don Bosco. Ma in quale percentuale?
r quali ragioni gii era favorevole o contrario? L'argomento
rebbe una verifica più precisa, che non è ancora stata com-
uniforme appare dalla stampa il comportamento del popo-
nfatti tutta la stampa, cattolica e non, di opinione e satirica,
ese e italiana, testimonia, volente e nolente, con valutazioni
genti, l'eccezionale seguito popolare ottenuto dal prete di
OCCOn,on solo a Torino e in Piemonte, ma anche in Italia e
iversamente, sarebbe difficile spiegare l'interesse notevole
ifestat0 dalla stampa non cattolica italiana in occasione della
Tuttavia tale interesse non era motivato unicamente
arità del personaggio, ma anche dal suo prestigio in
siastico e, in forma diversa, in quello politico: come
ordare la sua mediazione richiesta dal governo italiano nel-
tione dell'exequatur?

13.4 Page 124

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Popolare, ma anche molto potente, era perianto don BOSCO
secondo la stessa stampa non cattolica.
A proposito di questa stampa, mette conto sottolineare an
come le maggiori critiche e riserve furono espresse da quella t
nese: ~orinoe.rastata la culla del risorgimento oltre che il labo
tono dei nuovi rapporti tra Stato e Chiesa, ma anche la cu
dell'opera salesiana, nonché il primo e più prestigioso palcosceni
co del protagonismo di don Bosco.
Alla stampa moderata non cattolica va infine riconosciuto
merito di aver tentato. in occasione della morte. una valutazion
d.e~ lla.n-e- r~-so-~ n-a~ l~ ità~~ e dell'ooera di don Bosco: ooinabile. ma non da
scartare pregiudizialmente. Da parte sua, la stampa cattolica p
ferì celebrare la grandezza e la santità di don Bosco, come ordin
riamente capita di fronte alla scomparsa di grandi e popolari
sonalità, lasciando in sospeso un bilancio complessivo, sto
mente ineludibile110.
1 Cfr. P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosifà cartolica. vol. I:
opere, Zurigo, 1968, pp. 108 ss. Di queste vicende ci informa lo stesso don Bos
nelle Memorie dell'Oratorio da1 1815 ai 1855. scritte da don Bosco, su invito di P
IX, nel 1873. Cito l'edizione: San GIOVANNI BOSCO, Memorie. trascrizione in ling
corrente di Teresio Bosco, Leumann (Torino), 1986, pp. 104 ss.
2 Cfr. P. STELLA, Don Bosco..., I, p. 110.
3 Sul primo biennio della "Gazzetta del popolo", fondata in Torino il 16 gi
1848, sulla bibliografia concernente il quotidiano diretto fino al 1861 (con la
boraiiane di G.B. Bottero) da Felice Govean, poi da Giovanni Battista Bottero,
veda il saggio di B. GARIGLIOL,a "Gazzetta del popolo" nel biennio rivoluziona
in AA.VV., Giornali e giornalisti a Torino, Torino 1984, pp. 11-65.
4 "La Gauetta del popolo", 17 agosto 1848, n. 54.
5 "L'Armonia della religione colla civiltà". Prima bisettimanale (40 numeri),
trismimanale, divenne quotidiano nel 1855. Fondatori furono: il teologo Gugliel
Audisio, preside della Accademia di Superga (e primo direttore), Luigi Moreno
scovo di Ivrea), che ne era di fatto il proprietario; il marchese Gustavo Bens
Cavour, fratello di Camillo, ed il marchese Biraga di Vische. Ne era gerente (diret
responsabile) il teologo avvocato G. Cemtti. Legò però la sua fortuna al nome
sacerdote sanremese, allievo della Accademia di Superga, il teologo Giacomo
gatti (1823-1887). Prima collaboratore, poi redattore, ne divenne, a partire dai 1
direttore e protagonista incontrastato fino al 1863, quando fondò, sempre a Torin
nuovo quotidiano intransigente,"L'Unità Cattolica". YArmonia", diretta quin
da don Domenica Tinetti, passò nel 1866, come tanta altra stampa a Firenze, d
cessò le pubblicazioni il 15 luglio 1878, dopo la moRe del vescovo di Iwea, L
oreno. ~ r o ~ r i e t a rdieol eiornale. Per la biblioesafia mi limito a ricordare: B. MON-
LE ~iieamentgienerali per la storia deII'~r?ionia dal 1848 a1 1857 in "Rassegna
orica del Risorgimento", XLVI (1856). pp. 475 ss.; G. FARRELVINAY, Nuovi
cumenti sulla storia delrArmoniain Cattolici in Piemonte: lineamenti("Quaderni
el Centro Studi Carla Trabucco", 2), Torino 1982, pp. 71-90; importante perché
risce, sulla base di una nuova documentazione, i problemi concernenti la pro-
del giornale e le ultime vicende del giornale stesso, sulle quali c'era molta
mprecisione negli studi precedenti. Altro studio utile, perché illumina meglio circa i
poni tra il giornale e don Margotti, nel primo biennio: M. MACCHI, Giacomo
rgotti e i1 dramma del Risorgimento italiano, Pinerolo 1982. Per un profilo bio-
afico del grande giornalista cattolico, si veda la voce curata da Maria Franca Mel-
nel Dizionario Storico delMovimento Cattolico in Italia, diretto da F. Traniello
, Campanini, 11: I Protagonisti, Casale Monferrato 1982.
L'Orntorro dr S Francesco dr Sales rn "L'Armonia", 2 apnle 1849
Rivoluzione e clero. Oratorio di S. Francesco di Snles, ivi, 4 maggio 1849.
li'anticlericalismoa Torino ed in Piemonte si veda G. VERUCCI, L'ltnlia laica
e dopo i*nità, Bari 1981, in panicolare le pp. 22 ss.: Aspetti della propaganda
/la sinistra anticlericale nel Piemonte costiruzionale; B. GARIGLIO, La "Gazzetru
1popolo"e I'anticlericalismo risorgimentale in AA.VV.,Anticlericalismo, pacifismo
ulturn cattolica tra i due secoli "(Quaderni del Centro studi Carlo Trabucco", 4),
o 1984, pp. 7-24.
rntorio di S. Francesco di Sales in Torino in "Il Conciliatore Toinese", 7
49, n. 42. I1giornale era uscito il 15luglio 1848, per iniziativa dei canonici di
renzo, Lorenzo Gastaldi e Lorenza Renaidi (poi vescovo di Pinerolo). Prima
ttimanale, poi tisettimanale, usci fino al 28 settembre 1849. Era il frutto della
Ilaborazione di sacerdoti di formazione rosminiana con sacerdoti di formazione
niana, che furono poi figure di prestigio della cultura passagliana e rosminiana
anni '60 e '70. Mi permetto di rinviare al saggio: G. TUNINETTI, Il '%oncilia-
Torinese" (1848-1849): Un caro significativo di stampa conciliatorista in
V,, Giornalismoe cultura cattolica n Torino ("Quaderni del Centro Studi Carlo
cco", l), Torino 1982, pp. 11-36. L'articolo di Gastaldi sull'Oratorio di don
cogli sarà rinfacciato da arcivescovo dai libelli anonimi, durante il conflitto con
r. P. STELLA, Don Bosco..., I, pp. 229 ss.
i autori delle Memorie biogrnfiche del beato Giovanni Bosco riferiscono, non
o sistematico, ma occasionale, quanto certi giornali scrivevano su don Bosco
alesiani. In particolare nei volumi: XI, Torino 1930, pp. 490 ss.; XIV, Torino
3, pp. 87 ss. e parsim; XVI, Torino 1935, pp. 103 ss. e passim: XVII, Torino
6, parsim; XVIII, Torino 1937, pnssim.
La "Unità Cnttolica" fu fondata nel 1863 a Torino da don Giacomo Margotti
gnippa di ex-redattori della "Armonia", che essi lasciarono per divergenze
exovo di I v m sulla linea del giornale. Il titolo della nuova testata rispetto a
Ila abbandonata ne indicava chiaramente l'orientamento intransigente. Dopo il
ettembre 1870 usci costantemente listato a lutto, in segno di protesta contro la
di Roma. Diretto fino al 1887 - anno della mone - da don Margotti, restò a
no fino al 1892, per passare a Firenze, dove cessò le pubblicazioni nel 1929. Per
n10 so, manca ancora uno studio monografico sul giornale; se ne parla però in
e le storie del giornalismo italiano e negli studi dedicati a don Margatti.
Sono state esaminate sistematicamente le annate 1865-1888.

13.5 Page 125

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$ 4 11 30 agosto l865 aveva difeso don Bosco dagli attacchi della "Gazzetta d
popolo" a proposito della igiene a Valdocco. Nel 1868 (6 e 21 giugno) scrisse diff
samente sulla consacrazione della basilica di Maria Ausiliatrice.
15 Lo sappiamo da alcune lettere dell'Epislolario di don Bosco e da conisponden
pure delle Memorie biografiche, XI, Torino 1930, pp. 62-64.
16 Il cardinal Alimonda a Vnlsnlice in "L'Unità Cattolica", 26 gennaio 1884, n. 2
17 Era stato lo stesso cardinal Alimonda a paragonarloal Battista durante la f
dell'onomastico: "L'Unità Cattolica", 26 giugno 1864.
18 Ivi.
$9 Sacra spedizione di missionari salesiani allSncivilimento della Patagonia,
"L'Unità Cattolica", 30 genn., 1885, n. 25.
20 Il duca di Noflolk in Torino, ivi, 27 maggio 1885, n. 125.
21 Don Bosco e i Salesiani nella Repubblica deIl'Eguafore, ivi, 12 agosto 188
n. 187.
22 Notizie sulla grave malattia di D. Giovanni Bosco, ivi, 25 dic. 1887, n. 29
23 Nata nel 1856 dal seno della S. Vincenzo, la "Buona Settimana" ebbe
principali collaboratori Francesco Faà di Bmno. Nel 1880 fu scelta come o
ufficialedel Comitato regionale piemontese dell'opera dei Congressi, asrum
una diffusione regionale. Conservò però sempre la sua fisionomia originale, cb
del settimanale una fonte preziosa della spiritualità e della religiosità popolare s
cialmente in Torino. Ebbe vita lunga, fino al 1926. Infatti nel 1927 si fuse con '
Domenica", assumendo il nome di "La Settimana religiosa". Nel 1920, con la d
zione di don Adolfo Barberis, segretario dell'arcivescovo Agostino Richelmy, ave
assunto la funzione di periodico ufficiale della diocesi.
24 Ivi, 27 mano 1881, n. 13.
25 Ivi, 23 genn. 1881, n. 4.
26 Ivi, I5 nov. 1879, n. 46.
e 1887, come continuato= della antica testata:"Emporio Popolare-Coniere di
a Malattia di Don Bosco, ivi, 27 dic. 1887, n. 85.
Don Bosco agonizzante, ivi, 31 genn. 1888, n. 29.
dellarcivescovo Gartnldi in "La Gazzetta del popolo", 4 febb. 1877, n. 35,
ccusa ricorrente sulle pagine della "Gazzetta" e della stampa anticlericale
nti di Gastaldi e di don Bosco (ma anche nei confronti del clero in genere)
Ua di essere cacciatori di eredità.
chiusura delle scuole clericali e la legge, ivi, 31 luglio 1879, n. 21 1, p. 3: Sacco
Ila situazione delle scuole salesiane,prima e dopo la legge Casati del 1859, si
STELLA, Don BOSCO nella storia economica e sociole (1815-18701, Roma
tera del 2 agosto 1879 al Direttore della "Gazzetta del popolo": Episfolariodi
30 Padre Vasca era un ottimo organizzatore, ma non giornalista;
dovette dirigere i1giornale. Solo nel 1877 trovò la collaborazionedi u
proprietà del giornale. I1 nuovo direttore non fu fortunato, tanto che si vide cost
nel 1880 a cedere ad un gmppo di azionisti torinesi la proprietà del giornale,
assunse una nuova testata: "Coniere di Torino". Ma le peripezie non finirono.
31 Ivi, I l dic. 1881, n. 287.
32 Dimo~lrazionifiglialii,vi, 24 giugno 1884, n. 171.
33 "I1 Coniere Nazionale", 18dic. 1887, n. 177. Aveva iniziato le pubblicazio
. V. CASTRONOVO, La slampa italiana daIlUnilà n1fkscismo, Bari 1972, pp.
a questione nera, ivi, 26 luglio 1882, n. 204.
"Conte Cavour", fondato nel 1865, usci finoal 1876. Cfr. L. TAMBURINI-G.
BALBI, La slampa periodica a Torino e Genova da1 I861 al 1870, Torino
74. Espressione delle forre indusuiali.
i, in un articolo del luglio 1875.

13.6 Page 126

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f L3 "Cronica del 'lnbunali~e' ra 13 nvista giudizlana tonnebc, tondata nel 1878.
Comc nsulla dalle Memorir biugrofiche,non era pregiudizialmente cantrana a don
BOSCO.
52 Citato dalle Memorie biografiche.XV, p. 557.
5WvL p. 390.
54 La "Gazzetta di Torino"apparteneva all'area del liberalismomoderato; usc'
1860al 1919. Come campione sono state compulsate le annate 1871, 1873-74; 18
1883. L'articolo in questione è citato dalle Memorie biografiche, X, Torino 1939,
531-532. Anche 1"'Osservatore Cattolico" di Milano era stato critico con don Bo
in materia. Cfr. L. TAMBURINL-G. P m i BALBI, La stampa periodica a Torin
pp. 51-54.
55 "Il Fischietto" (1848-1908). Principale periodico satirico torinese nel seco
Ottocento. Iniziò le pubblicazioni, come trisettimanaie, il 2 novembre 1848. Fin
1863 principalecaricaturista fu C. Teja; dal 1870 al 1891, ne fu proprietario, dire
e caricaturista Camilla Marietti. Cfr. L. TAMBURINI-G. P m I BALBI, La sta
periodica a Torino..., pp. 41-42. Le annate prese in esame, per il presente sa
sono: 1871-1888 (oltre al 1848 e al 1849).
$6 Sbadigli in "Il Fischietto", 7 dic. 1871, n. 146, p. 2.
57 Ii tempio isineiitico,ivi, 4 aprile 1872, n. 41, p. 1. Sulle capacità amministrat
di don Bosco e sui capitali da lui amministrati per le sue opere, si veda P. STEL
Don Bosco neiia storia economica e sociale, passim.
5s Biografiadi monsignor Gastaldi in "Il Fischietto", 14 sett. 1872, n. 111.
59 Cianciafruscoie.. ivi. 28 sett. 1872. n. 117...o. 2.
60 Soprannome abituale dato a don Margotti, uno dei grandi fautoridel~obol
S. Pietro". Il sacerdote sanremese era il bersaglio più frequente della satira del "
schietto".
65 Ivi, 29 aprile 1873, n. 51.
62 Preti o rignttieri?,ivi, 8 maggio 1873, n. 55.
63 Rirposta dei Ministro Ricotio al Taumaiurgo Don Bosco, iivi, 19 ag. 1873, n. 9
Ivi, 25 nov. 1873, n. 141.
65 Domintu. Lignu, ivi, 10 aprile 1874, n. 45, p. I.
66 Predicotto ai mariti: occhio alle donne, ivi, 23 maggio 1874, n. 62. Più pes
ancora contro don Bosco tre caricature del 25 luelio. n. 89. Nella orima l'oratorio
Valdocco è qualificato "Collegio degli ~gnoran~elli;'N. ella te& è raffigurata
donna inginocchiata davanti a don Bosco, dalla cui talare esce un serpente che a
ghia la donna. La didascaiiacommenta: "Non mancherà anche questa volta di
dare ai reverendi la prole, e se non basta anche le rispettive mamme tra le gam
quei serpenti nen". Si veda anche: Gazzettino. La Madonna di Vaidocco. 5 giu
1875, n. 65, dove si ironizza,anchecon gravi allusioni alla moralità di don Bosco
miracoli pubblicati da don Bosco.
67 Istruzione ed educazione: Lettera d'un plebeo, ivi, 19 dic. 1874, n. 152, p.
68 Grande spedizione di chierici in America, ivi, 30 marzo 1875, n. 38.
69 Il conflitto ebbe come punti di partenza la formazione dei salesiani: noviz
studi teologici, sui quali i due protagonistidivergevano notevolmente. Ma in realt
contenzioso riguardava due modi diversi di concepire I'autorità episcopale e, n
specifico, i rapporti tra arcivescovo di Torino e la nuova congregazionesalesiana
non possedeva ancora una definita fisionomia giuridica. Un molo determinant
-~ ~- svolta dalla uande fiducia che Pio 1X nuinvs in don Barca, che nusriva ad ottenere
ocr p~~
vi-a~~d~~ i
roncerrionc
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~
m~rsonaleonvileei
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rotrraevano alla
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~
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autorità
del
vi.rco.
~
~
1punto più critico fu raggiunto con la pubblicazione di libelli anonimi contro
vescovo, che, nel merito, dubitava di don Bosco e dei salesiani. I1 conflitto fu
e un caso emblematico di contrasto tra autorità vescovile e autorità del papa,
rio ali'indomani delle definizioni del Vaticano I concernenti il primato e i'infal-
papale.
o Cose dei giorno in "I1 Fischietto", 14 o t t 1875, n. 123, p. I. Ma anche: Una
dita irreparabile. 23 ma-&-o 1876: La diocesi in oericolo, 3 febb. 1877, n. 15.
a triade nera di Torino, ivi, 24 luglio 1877, n. 88. Era costituita dall'arcivesco-
staldi, da don Margotti e da don Bosco. I primi due erano da considerarsi dei
ssoni", degli "Orlandi Furiosi", ma tutto sommato abbastanza innocui, in ogni
vedibili. DonBorco era invece una volpe, quindi più pericoloso. Altro attac-
Eminenza Ermolao Scarafaggi'oal revereado Don Legnoquazio a Torino, 11
maleserio-umoristico". Fondato nel 1863, usciva ancora nel
5. Nel 1871 fu successivamentetrisettimanale, quotidiano, bisettimanaleed infi-
ettimanale. Dal 1giugno 1872 di nuovo quotidiano. Altretestate, a Torino, negli
' '60 e '70, portavano un nome simile: si era sull'onda del satanismo, che era, a
suo, una risposta al continuo riferimento al demonio nella predicazione e nei
menti del magistero. Cfr. L. TAMBURINIG. PETTI BALBI,.La.stampaperiodi-
Un santo imbroglione in "Il Diavolo", 7 sett. 1871, n. 83.
"I1 Pasquino" (1856-1916): settimanale umorisiico, anticlericale. Nato come
male umoristico non politico", in realtà ben presto si occupò di politica, in par-
are della questione romana; ebbe simpatie per Garibaldi. Fondato il 27 gennaio
.6, ebbe tra i più apprezzati redattori C. Teja, già caricaturista del "Fischietto".
L. TAMBURINI-G. PETTI BALBI, La stampa periodica..., pp. 80-81.
5 Abolizioni. Corporazioni e dimostrazioni dimostrate da Teja in "Il Pasquino",
ma-eeio 1873. n. 20.
"n 6 Ficcanaso". Iniziò le pubblicazioni il 16 giugno 1868 sotto la direzione del
aldino DomenicoNanatore. Per I'arditezza delie sue saiire fu più volte sequestrato.
1 1869 usciva 4 volte la settimana; dal 1870 al 1874 (e forse oltre), quotidiano.
&'ottobre 1876. tisettimanale con nuova tesuta: "La lanterna del ficcanaso".
Don Brioschi, ivi, 12 giugno 1872, n. 135.
Don Bosco e Monsignore in "Ia lanterna del ficcanaso", 9-10 ott. 1876, n. 3.
"Gesù Cristo. Grido popolare a?ticlericale". Settimanale domenicale. Usci la
a settimana di ottobre del 1882. E una testata irreperibile: è stato possibile con-
. i primi quattro numeri, perché depositati nell'Archivio Salesiano Centrale di
Dalle Memorie biograficherisulta che usciva ancora nel giugno 1883. L'elogio
male di Bottero era ben meritato, in quanto ogni articolo aveva un contenuto
ericale in piena fedeltà al programma enunciato nel numero-saggiodi ottobre,
: "Non abbiamo che questa pretesa, di valer combattere Lealmente ed onesta-
il prete nel campo religioso e nel campo politico". "Noi non insultiamo a
na religione, ma ne combattiamo i ministri, che ogni giorno dal pulpito, dal
ssionale, dall'altare congiurano contro i'unità, contro i'indipendenza della pa-
contro il progresso della scienza, contro i diritti dell'umanità". Redattore
nsabile: Federico Sticca.

13.7 Page 127

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SO Don Giovanni Bosco, ivi, 22-29 ott. 1882, n. 3, pp. 1-2. Cfi. Memorie biografie
XV, Torino 1934, pp. 390-393; XVI, Torino 1935, pp. 25 ss., 280, 456-459.
81 I casi del banchiere Anglesio e deli'ebrea Bedarida furono i casi più ec
Cfr. Memorie biograjche, XIV, Torino 1933, pp. 254 ss., 296 ss. Ebbero una
risonanza sui giornali.
82 La stampa cattolica torinese rilevò tale silenzio: stato notato assai il sile
assoluto serbato dalla 'Gazzetfa del popolo' sulla morte di D. Bosco. Non vol
parlarne bene, per sistematico odio ai preti e non osando dirne male per timo
suscitare l'indignazione del popolo, ha preferito tacere. Fra i tanti elogi fatti
Bosco è questo uno dei più belli ed eloquenti: aver ridotto al silenzio la petu
"Gazzetta". ("Comem Nazionale", 5 febb. 1888, n. 34). Simile critica fu mossa
"Unità Cattolica".
83 "I1 Fischietto", 4 febb. 1888, n. 19. La vignetta riproduceva un vecchio sacer
te con naso adunco e mento sporgente, mentre strappava dalle mani di un morib
do l'eredità, contenuta in due sacchetti.
84 Don Bosco in "La Gazzetta piemontese", 31 gerin.-l febb. 1888, n. 31, p.
articolo redazionale di due colonne.
8s Anche la "Gazzetta di Torino" espresse il suo giudizio: positivo con rise
(Citato dalla "Unità Cattolica", 2 febb. 1888, n. 27). Però i giudizi della "stam
liberale"riportati dalla"Unità Cattolica" sono incompleti: riportano il giudizio POS
tivo ed omettono le parti critiche.
86 Particolari sulla vifa di Don Bosco in "L'Italia", 1-2 febb. 1888, n. 32. Sul
caratteristiche del giornale, cfr. V. CASTRONOVO, La stampa iialiana dall'unità
fnseismo, Bari 1973, pp. 110-113.
87 Don GiovnnniBosco e le istituzioni salesianein "IL Comere della sera", 1-2 fe
1888, n. 32: articolo di tre colonne.
SS Nostre corrispondenzein "La Perseveranza", 2 fehb. 1888. Cfr. V. CASTRO
vo, La stampa iraliano dali'Unità.... pp. 11-12.
89 "11 Secolo xIX", I febb. 1888, n. 32. Dedicò un trafiletto in tema pagina. Cf
CASTRONOVO, La stampa italiana dall'Unifb.., p. 113.
90 Notizie italiane.La morte di Don Bosco, in "Il CaKaro", 1febb. 1888, n. 32,
e Don Bosco (due colonne e mezzo) nel "Supplemento del Caffaro". Cfr. V. CAST
NOVO, La stampa italiana daIl'Unità..., pp. 77-78 p. 113.
91 Don Bosco in "La Nazione", 2 febb. 1888. Fondata nel 1859 da RicasoS
Bmproverataanche in seguito di eccessiva tolleranza verso i cosiddetti clericali.
V. CASTRONOVOL, a stampa italiana dail'uniiù..., pp. 21-24. Silenzio invece
parte del "Telegrafo"di Livorno, su posizioni di sinistra.
92 "I1 Resto del Carlino", 2 febb. 1888: breve trafiletto in seconda pagina, in
servizio da Torino. Cfr. V. CASTRONOVO, La stampa italiana dall'Unifà..., p. 1
93 Cfr. V. CASTRONOVO, La stampa ifaliona deIl'Unilà ..., pp. 30-31.
94Ancorn diDon Bosco in "hCapitale", 5-6 febb. 1888, n. 6297, p. 1: articolo
spalla, con fotografia.
9s Don Bosco in "L'Unità Cattolica", 1 febb. 1888, n. 23, p. 1.
96 Prodigi della carità in "I1 Camere nazionale", 1 febb. 1888, n. 31.
97 Don Bosco e il Popolo, ivi, 2 febb. 1888, n. 32.
98 Don Bosco in "La Buona Settimana", 5 febb. 1888, n. 6.
Don Bosco in "La Voce dell'operaio", 5 febb. 1888, n. 3 p. 2.
Bosco in "L'Osservatore Cattolico", 31 genn.-l febb. 1888, n.
ato a Milano nel 1864, dopo il '70 si aKermò come giornale tra i più intransi-
grazie in particolare ai direttore, don Davide Albermio, Per questo fu in forte
trasto con l'arcivescovo di Milano, Luigi Nazari di Calabiana, antifallibilista al
icano I. Aspri attacchi sferrò pure contro vescovi: Geremia Bonomelli, G. Batti-
Scalabrini e Lorenzo Gastaldi. Cfr. . MAIO, La stampa cattolica italiana, Milano
984, pp. 82-85; la voce Davide Albermio curata da A. CANAVEROin, Dizionario
rito del movimento cattolico in Italia, 11: Iprotagonisti, Casale Monf. 1982.
01 I funerali di Don Bosco, ivi, 4-5 febb., n. 28.
Don Bosco in "La Voce della Verità", 3 febb. 1888, n. 28, p. 2. Nato all'indo-
i della presa di Roma, fu il capofiladei giornali intransigenti romani. Durante la
- rione dell'exequatur era stato con YOsservatore Cattolico" di Milano -
ito critico verso I'opera di mediazione di don Bosco. Cfr. A. MAIO, La stampa
3 Cito dal "Comere Nazionale"di Tonno del 2 febb. 1888. Fondato a Genova
1873, assunse un'impostazione più decisamente intransigente a panire dal 1885,
a direzione di
O, La stampa
cEarrnteoslitconC...a.lplipg.a8ri8,-c8u9i.subentrò
nei
1917
Filippo
Crispolti.
Cfr.
A.
Dal "Comere Nazionale" del 2 febb. Sorto a Modena nel 1867, fu diretto dal
8 al 1873 dal noto giornalista storico, don Pietro Balan. Anch'esso voce dell'in-
sigentismo cattolico. Cfr. A. MAIO, La stampa cattolica.... pp. 85-86.
Dal "Comere Nazionale"...
lvi. "11 Cittadino di Brescia" (1878-1926) fu la voce del vivace movimento
tolico bresciano. Fedele ad una linea moderata, si attirò i fulmini dei quotidiano
I'Albertario. Cfr. A. MAIO, La stampa entlolica..., p. 89.
0s Don Bosco in "L'Eco di Bergamo", 2 febb. 1888, n. 27, p. I. Sorto nel 1880,
tra i fondatori Medolago Albani e Nicolò Rezzara. Per la sua linea moderata,
etto anch'esso di attacchi da parte dell"'0sservatore Cattolico". Cfr. A. MAIO,
tampn cattolica..., p. 90.
O9 La sepo11ura di Don Bosco in "L'Eco di Bergamo", 4 febb. 1888, n. 228.
(0 La quantità, la varietà e la dispersionedelle testate giornalistichehanno impo-
delle scelte per la stesura del presente saggio. Innanzi tutto si è privilegiata la
- pa torinese. In secondo luogo dato il lungo arco di tempo preso in esame,
- 8-1888 si è ritenuto opportuno focalizzare tre periodi significativi della vita di
Bosco, per coglierne l'eco nella stampa: le origini dell'Oratorio coincidente con
ascita della stampa libera; il periodo dello sviluppo e della maturità che segui
ovazione definitiva della congregazione salesiana da parte della S. Sede, nel
d infine la morte, sulla quale si è presa in esame la stampa non solo torinese,
- liana. Le assenze di certe testate sia in campo cattolico che in quello non
- ico (manca la stampa maziniana, garibaldina, anarchica e socialista) e la
alenza nell'uno e nelI'altro rispettivamente della stampa intransigentee di quella
derata (ma anche della sinistra democratica), sono da attribuire da un lato al loro
ggior numero e alla loro maggiore diffusione, dall'altro alle oggettive difficoltà di
rire le testate giornalistiche. Ho consultato le emeroteche delle biblioteche tori-
e delle biblioteche nazionali di Milano, Firenze e Roma.

13.8 Page 128

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una storia letteraria che per anni ha assunto i "generi" e gli
' come criteri prevalenti di catalogazione, è stato luogo
une riferirsi ad Antonio Bresciani' come teorizzatore e capo-
te della "letteratura popolare cattolica". La penna brillante
esuita trentino, l'entusiastico consenso che Alessandro Man-
espresse nei confronti de L'ebreo di Verona e l'autorevole
una, "La Civiltà Cattolica" sulla quale spesso pubblicava a
e i suoi romanzi, ne hanno fatto un termine di confronto
ato. Per la cultura laica, poi, padre Bresciani è divenuto un
mico punto di riferimento in seguito alle pagine che gli ha
cato Antonio Gramsci. Nei Quaderni del carcere egli veniva
indicato come il caposcuola di un genere e I'archetipo let-
di uno stile che nei decenni avrebbe generato schiere di
qui imitaton i "nipotini di padre Bresciani" appunto2.
ttavia occorre sottolineare che, se è corretto considerare
Besciani come un caposcuola allorché si assume come uni-
metro di analisi letteraria quello dello stile, tale giudizio
re limitante quando, consequenzialmentealle più recenti sol-
',si assumono criteri di comparazione più ampi ed esau-
decina di anni fa, un acuto recensore, riferendosi al VI
urne della einaudiana Storia d'Italia, compilato da Asor Rosa,
andava se non fosse il caso di promuovere, accanto alle
onali storie letterarie, "un altro tipo di indagine di carattere
pertamente sociologico, o se si vuole, di porre idealmente

13.9 Page 129

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accanto a questo volume dedicato a La cultura, il progetto di
altro volume, che (...) potremmo intitolare L'altra cultura".
trattava - proseguiva quella recensione, - di "tenere conto,
l'altro, di infinite mediazioni (ad opera della stampa di gran
diffusione,dei testi scolastici e divulgativi,di certi spettacoli, de
varie istituzioni culturali, delle tradizioni e condizioni loca
oppure degli insegnanti, del clero, dei tecnici, dei sindacalisti
tempi più recenti dei mass-media, della pubblicità, ecc.) cerc
di individuare e decifrare quali messaggi (o parti di messaggi)
vino al più vasto pubblico o a singole categorie, quali interess
instaurino e prevalgano, quali meccanismi si mettano in mot
con quali conseguenze"3.
Ecco dunque che se l'accettazione di simili criteri appare orm
pienamente legittimata per una più ampia valutazione della sto
della cultura italiana e in particolare di quella cattolica, una p
- sunta urimopenitura di padre Bresciani sulla letteratura popola
cattolica appare non del tutto legittima. 0 , quantomeno, se è
tima quando è riferita a scrittori come Ojetti, Beltramelli o P
ni, ossia a personaggi che occupano un posto nella letteratura it
liana, non lo è più quando si indaga la storia della lettera
popolare "ad un gradino più basso". 0 , ancora, quando si pen
quella schiera di anonimi o sconosciuticompilatori che concors
ro a dilatare a dismisura il fenomeno della cosiddetta "b
stampa" e che piuttosto che rifarsi ad un "bello stile" bresc
sco, assunsero come criterio quello, certamente più divulgativo,
una scrittura "semplice" e di una "dicitura popolare".
In questa direzione don Bosco, come scrittore ma soprattut
come editore, può vantate una serie di "nipotini" certament
numerosa di quella attribuita, a torto o a ragione, a padre Bre
ni. Si consideri solo per restringere il campo alla sua più
iniziativa editoriale di carattere popolare, le "Letture cattolic
il numero delle iniziative sorte con lo stesso titolo e che prese
modello l'impresa donboschiana: a Roma (1858), a Napoli (186
a Bologna (1862), a Genova (18651, a Padova (1866). Né andre
ber0 trascurate, ai fini di una compiuta analisi, le enormi tirat
di alcune opere di carattere popolare scritte da don Bosco: le
edizioni, fino al 1888, del Giovane provveduto, o le 18, né1 18
la fortunata Storia d'Italia raccontata alla gioventù, o, ancora,
19 edizioni, sempre nel 1888, della Storia sacra ad uso delle
a enorme mole di scritti dunque che, nel complesso, alcuni
afi hanno fatto ascendere a pow meno di duecento titoli4.
uttavia per valutare appieno l'apostolato letterario ed edito-
e donboschiano occorre correttamente inserirlo in un contesto
da qualche anno ha iniziato ad essere sistematicamente inda-
to non solo sul versante della cultura cattolica5 ma anche su
lo delle iniziative laiche: quello appunto della cosiddetta "cul-
onda cattolico e "cultura popolare": una ipotesi inter-
termine, quantomai controverso e al centro di un dibattito a
ti non privo di alcuni eccessi di gratuito accademismo6, verrà
ontesto di questo saggio usato nella univoca accezione in
e ne1 secolo scorso quando stava ad indicare l'insieme di
rventi di carattere culturale rivolti agli strati popolari.
sieme di interventi che andava dal tentativo di estendere
zione, a certe forme di editoria minima come i foglietti
i, gli almanacchi, le bibliotechine 'per il popolo' o a certe
di divulgazioneteatrale come quelle delle filodrammatiche.
quelle forme in definitiva che molto efficacemente Franco
Peruta ha collocato in un'wea fra "il populistico e il filan-
om7,e che connotano l'azione di intellettuali, di movimenti
i ed ideali alla fine de11'800, allo scopo di portare la "luce
telletto" a vasti strati popolari.
erto, contributi sulla "cultura popolare" cattolica non mancano.
però in gran parte di interventi viziati da una lettura troppo
"8 O tesa esclusivamente, talvolta, a rivendicare a posteriori
ogeniture o anticipazioni rispetto alla cultura "laica"9.
- ntrambe queste chiavi di lettura occorre sottolinearlo - se
no avuto il mento di rivalutare esperienze a torto considerate

13.10 Page 130

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- secondo i metri della critica stilistica
nomeni" o prodotti "sottoculturali"~o,non hanno però posto
luce il rilievo che ebbero nel contesto più comples
- italiana e, più specificatamente, nella storia
da11'800 ai nostri giorni. Come a dire che sotto il profilo met
dologico - anche per la cultura "popolare" cattolica occorre rip
tere l'operazione che in anni recenti ha caratterizzato le ricerche
movimento cattolico inserendolo nel più generale sviluppo d
storia d'Italia. La storia della cultura pop
per rivendicare una maggiore attenzione del- m
ai problemi delle masse popolari o, peggio, per attardarsi in va
esercizi su fenomeni "curiosi" e "bizzarri", ma per tracciare
storia più complessiva nel tentativo di orientare la mentalità pop
lare, il costume educativo, il senso comune, in definitiva.
E proprio su questo terreno può anzi aprirsi un interessan
dibattito. In anni recenti uno degli aspetti più controversi del nio
lo del mondo cattolico italiano, considerato
che abbraccia l'intera storia unitaria fino a
riguardato le influenze che i cattolici hanno esercitato nel cam
economico, politico, culfurale~~.
In ombra è rimasto invece il ruolo che i cattolici han
nel settore educativo. Certo, non mancano contributi s
versistica cattolica nei confronti della "scuol
cative polemiche come quella sulla "libertà d'inseg
Ma si tratta di interventi che restringono la loro ind
confini delle discipline pedagogiche o nell'ambito de
le idee. Tali limiti rischiano non solo di perpetuare i pregiudiz
chi, ancora pochi anni fa, dichiarava una presunta assenza
cattolici nel campo della "cultura popolare"l3, ma di non c0gl
quel fitto reticolo di iniziative che il movimento cattolico esp
sce fin dalle origini in quell'ambito della cosiddetta "storia
costume educativon14.E fare oggi una storia del costume educa
vo significa comprendere come, anche attraverso strumenti all'a
parenza banali, i1 mondo cattolico abbia influenzato i modi
pensare di vasti strati popolari o, quanto
ulteriore elemento di riflessione critica su quel co
ia cattolica" che tanto, in tempi recenti e meno, ha interessa-
storia del.movimento cattolicois.
on si spiega la storia della cultura popolare
lica, di cui don Bosco va considerato come un significativo
it, se non la si inserisce nel più generale contesto dei modi
presenza cattolica in Italia nei primi anni di formazione del-
un dato ormai incontrovertibile, oltretutto suffragato anche
statistica, che nei primi anni seguenti l'unità si assiste ad una
essiva "declericalizzazione" dei processi educativi. Dietro
Izare della polemica laica viene progressivamente erodendo-
ttolici avevano detenuto nel campo della
azioneI6. Si pensi del resto che, nell'arco di poco più di un
ennio, dal 1862 al 1897, il numero degli insegnanti religiosi
scuole pubbliche passò dal 33.5% al 5.39%17. È questo uno
i più significativi della perdita di quel monopolio che la
e il mondo cattolico aveva in genere esercitato negli stati
po dell'istruzione.
pitoio, quello relativo all'insegnamento
istico, che, per certi versi, è ancora più istruttivo per com-
del sistema educativo italiano alla fine
a in effetti osservato che, sia pure attra-
O non poche indecisioni e incertezze legislative, a partire
unità d'Italia si assiste ad una graduale espulsione dell'inse-
co dalla scuola primariaI8.
c'è dubbio dunque che se all'ongine della cultura popolare
ivo di modemizzare la pastolare cattolica di
segnali della rivoluzione industriale, non gli
mente estranea una motivazione meno scontata. Ossia il
, attraverso "moderni strumenti" di educa-
un rapporto di "educazione" con le masse
questo senso dunque don Bosco va considerato come il pro-
e di un sistema educativo che, dal punto di vista dei modi
zativi, diverrà prevalente nel periodo postunitario quando,
e soprattutto dal 1876, avverrà quella progressiva "decleri-
azione" del sistema educativo italiano.

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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E per comprendere lo sviluppo di un apparato che don Bos
teorizzava già nella prima metà dell'800 converrà sia pure Sintet
camente, soffermarsisui contorni che la cultura popolare cattolic
assume nei decenni di fine Ottocentoi9.
3. Iniziative di "cultura popolare" nella seconda me
de11'800
'.che poi 10 scopo di questo congresso cattolico sia quello di raccoglier
e coordinare le fotze del partito e spingerlo sopra Un campo ~i
deciso di operosità e di attività pratica, valendosi dei meni Potent
pergamo e della stampa, insinuandosi nelle scuole, nelle officine,n
stabilimenti e nelle pubbliche amministrazioni, con maggiore energia
con più determinati propositi di quel che si è fatto finora, lo si rile
chiaramente dai discorsi pronunziati in queste prime assemblee gener
dalle proposte e deliberazioni che vi ebbero
così il prefetto di Venezia rilevava preoccupato quelle deliber
zioni che il primo Congresso cattolico italiano, riunitosi a
nel 1874,aveva espresso in direzione dello sviluppo dell'ap
to di massa.
Gli appelli ed i moniti di quel congresso venivano tuttavi
cadere su un terreno che già precedentemente era Stato Sperime
tato e nel quale i pionieri del 'movimento cattolico' avevano in
viduato uno dei mezzi per la conquista delle masse popolari.
Non erano mancate già nel periodo risorgimentale, Significati
esperienze legate alla diffusione della propaganda cattolica
mezzo della stampa. Anzi, Marino Berengo ha scritto che, Pe
meno in Lombardia, già nella prima metà dell'800 "coi libri dev
ti siamo (...) di fronte all'unico vero caso di specializzazione e
toriale"21. Fin dal 1822 iniziarono ad uscire a Modena, i fascico
delle Memorie di religione, morale e letteratura; addirittura
1780 risale l'idea ispiratrice delle Amicizie c r i ~ t i a n eS~i~tr.atta
tuttavia di esperienza ancora isolate e senza quello spessore
massa che la stampa avrebbe assunto all'indomani della Unità
nascita di una stampa cattolica organizzata e a larga diffusi
datarsi infatti con sicurezza agli anni immediatamente se-
nti la caduta dello Stato pontificio. È infatti in quegli anni che
bisogno (...) di difesa venne suggerendo ai cattolici il mezzo
edesimo della stampa popolare periodica"23.
I1 mezzo al quale la Chiesa sembra affidare le maggiori qualità
psodiche e che diviene il principale strumento di affiancamento
omiletica orale è dunque quello della propaganda scritta.
ttini religiosi, fogli volanti, almanacchi, strenne, stampati di
ati diocesani, opuscoletti e collane 'per il popolo', numeri
ed altre simili forme di microgiornalismo costituivano
l'insieme di vasto materiale che il lessico cattolico definiva
uona stampa' e le cui capacità di penetrazione nelle masse popo-
come veicoli di trasmissione di modelli non solo religiosi ma
he socio-politici non è sfuggita all'attenta analisi gramsciana
1mondo cattolico24.
'adozione di tale materiale è relativamente tarda in Italia
etto ad analoghe iniziative d'oltralpe come la letteratura di
ortage, la Bibliothèque bleu di Troyes o la Triviallitteratur
ra stato proprio Giovanni Acquaderni, il futuro fondatore del-
della Gioventù Cattolica italiana che, fin dal 1861, ini-
l0gtIa una intensa attività sul piano editoriale attraverso
ganizzazione della stampa.
Piccole letture cattoliche, fondate nel gennaio del 1861, veni-
appunto a costituire il primo nucleo di un'intensa attività
quale, negli anni seguenti si sarebbero affiancate numerose
te di carattere religioso come La madre di famiglia, La Gio-
e tu, Letture religiose ed amene, Il giovinetto, Il giardinetto di
ria. Tutte pubblicazioni che la questura bolognese seguiva
ntamente preoccupata del 'pericolo clericale'26.
alla promozione della prima stampa cattolica tenevano poi
i primi sistemi di diffusione capillare come le biblioteche
riti attraverso le quali, come sollecitava lo stesso Acquader-
1872 in occasione di una adunanza presso il Circolo San
.o di Bologna, si sarebbe dovuto ottenere lo scopo di "al-
re (...) il POPO~Odal mortifero veleno che l'empia stampa

14.2 Page 132

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tuttodi gli appresta, e di munirlo di un salutare antidoto colle s
e morali letture"z7.
Da cui poi discendeva il rigido fiscalismo che i vari regolam
delle biblioteche circolanti instauravano sulla scelta delle lett
Come non aveva mancato di sottolineare lo stesso Pio IX al c
dinale Patrizi, vicario di Roma, era infatti proibita "la lettura
certi giornali sotto pena di colpa"28. Sanzioni che i regolam
delle biblioteche circolanti cercavano di prevenire attravers
controllo che il consigliere ecclesiastico esercitava su "ogni li
prima di esser posto in circolazione" e raccomandandosi "
prudenza ed allo zelo illuminato dei genitori, educato
maestri"29.
E a questa opera svolta dai comitati diocesani e dai circoli del
Gioventù cattolica veniva ad affiancarsi quella delle cong-a
ni religiose. È infatti di quegli ultimi anni del secolo la nascit
alcune congregazioni religiose che fanno dei mezzi di informaz
ne il compito specifico del loro apostolato e della loro m
evangelizzatrice. Tale è, solo per soffermarsi su due dei m
ordini religiosi, lo scopo dei Missionari del Verbo divino, che
gono nel 1875, e del Sodalizio di San Pietro Claver che viene
dato nel 1894 ed al quale si affianca più tardi la Pia Opera
stampa indigena afiicana sotto il patrocinio di Santa Carerina
Alessandria per la stampa e la diffusione della stampa missiona
FU, fra l'altro proprio questo sodalizio ad editare uno dei pri
bollettini missionari L'eco dellilfrica30.
Tuttavia a questi primi tentativi, che si diffondevano sopra
to nei circoli della Società della Gioventù Cattolica, doveva
maggiore impulso la fondazione dell'opera dei Congressi. Que
come è stato giustamente sottolineato, veniva a rappresentar
"superamento del regionalismo e la nascita di un cattolicesi
nazionale e di apostolato di massa". E sotto il profilo delle ini
tive volte alla diffusione di una "cultura popolare religiosa"
c'è dubbio che l'Opera dei Congressi profuse notevoli energie.
testimoniano i numerosi interventi e gli appelli che vengono
vari congressi a partire dal primo nel quale si facevano voti
ché "a cura dei Comitati (Diocesani e parrocchiali), dei Rev.
roci, delle Associazioni cattoliche e dei singoli individui si
ndate, nei centri più popolosi, Biblioteche a prestanza gratuita,
libri di educazione e diletto, scritti in forma popolare". E, al
p0 stesso, si invitavano "tutti a cooperare a questo scopo con
i di libri e di mezzi per procacciarli, senza trascurare le oppor-
e guarentigie perché la direzione delle Biblioteche stesse ri-
a, in ogni caso possibile, nelle mani dei cattolici"31.
documentazione conservata nell'Archivio venenano dell'Ope-
ei Congressi relativa alla quarta sezione (stampa) ci restituisce,
se in maniera incompleta, il quadro delle inkiative che veni-
sviluppandosi durante gli ultimi anni del secolo.
unzione di rilievo era quella assolta dalle varie Società ed
ssociazioni che favorivano la diffusione della 'Buona Stampa'.
1 1875 risale la fondazione della Società San Paolo per la d ~ f u -
ne della stampa cattolica di Milano, al 1883 quella della fonda-
ne della Associazione per la dzjfiiione della buona stampa sotto
rotezione di S. Carlo Borromeo promossa dal comitato regio-
piemontese dell'opera dei Congressi32.
COPO principale di queste associazioni era quello della diffusio-
'di libri, giornali e visite, opuscoli scritti con spirito cattolico"
aspetto assai importante sotto il profilo difisivo, quello della
eazione delle biblioteche circolanti. Bottaro segnalava ad esem-
che in pochi anni di vita l'Associazione per la dzjfiusionedella
uona stampa sotto la protezione di San Carlo Borromeo arrivò a
sei biblioteche a Torino ed una sessantina nelle varie par-
delle diocesi piemontesi.
chiaro tuttavia che, a parte alcune biblioteche di considerevo-
ole situate nei principali centri cittadini, si trattava in genere
iccole biblioteche la cui consistenza non andava oltre le poche
'ne di volumi. Attraverso alcuni cataloghi reperiti è poi possi-
stabilire una suddivisione dei generi più presenti negli staffa-
1 che ci permette di ricostruire, se non che cosa leggessero i
uentatori delle biblioteche cattoliche, almeno che cosa si
ndeva far loro leggere.
impressionegenerale che se ne trae è quella di una prevalenza
e letture "piacevoli e amene". Rilievo che è doveroso sottoli-

14.3 Page 133

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neare perché costituirà la nota dominante di tutta la cultura pOp0-
lare cattolica33.
Indicativi sono in proposito due prospetti che si riferiscono alla
Biblioteca circolante della Gioventù cattolica di Brescia e a quello
più dettagliato della Biblioteca circolante S. Pietro in Roma (Tab.
1 e 2).
Tab. 1
,o,iure
amene
1826
letteratura
381
storia e
geografia
440
Fonte L. BOTTAROc, if.. p. 34.
francesi
383
morale miscellanea TOTALE
1704 247 4.981
Tab. 2
della fine del 1864 l'attività dei cattolici si celava anche di
sigle che non richiamavano ascendenze cattoliche. Era ii caso
Gabinetto di Letture che apriva i battenti alla fine del 1864 in
S. Stefano a Bologna, promosso da una Società Anonima dietr
quale il questore non aveva dubbi ad individuare
ricettacolo di retrogradi e clericali, tali essendo i suoi iniziatori.
onvenzione - proseguiva il rapporto - viene corroboratadal fatto di
ere affidatola rappresentanza della Società al (...) Signor Cesare Brasa
impiegato politico sotto il caduto Governo dell'ex-Duca di Modena
in stretta relazione con molti clericali e (...) appartenente alla Congre-
ione dei Paolotti"34.
L'interesse nei confronti dei mezzi di informazione negli ultimi
' del secolo è confermata anche dalla diversa attenzione che
e loro dedicata nei vari documenti pontifici. Dopo il giudizio
sivamente negativo espresso in vari interventi da Pio IX e
ito nel Sillabo, giudizio mitigato solo da rari inviti "agli
ni eminenti per ingegno e sana dottrina a pubblicare scritti
i"35,durante il pontificato di Leone XIII si viene pro-
sivamente prendendo coscienza dell'importanza dei mezzi di
e come fattori sociali di opinione. Pur perdurando
do f a costante polemica contro la 'stampa cattiva', i
erosi interventi di Leone XIII esortano a "convertire in
'cina della società e in difesa della Chiesa"36 l'attività pubbli-
tutto la stampa oggetto dell'attenzione di Leone XIII:
equenti i suoi inviti a "contrapporre scritto a scritto, affinché lo
esso mezzo che tanto può a rovina, sia rivolto a salute e benefi-
o dei mortali, e di vengano provvidi rimedi, donde si traggo-
micidiali veleni. Perciò è desiderabile che almeno in ogni pro-
ia si stabiliscano giornali o periodici e, per quanto è possibile,
idiani"37. Invito al quale faceva seguito nella stessa enciclica
lo di fondare gli uffici diocesani della stampa.
Contemporaneamente il pontefice ribadiva le norme della cen-
ra previa alle quali - secondo il diritto canonico - dovevano
membri del clero che scrivevano in materia di religio-
Questo crescente interesse veniva ad inserirsi nel clima delle
ovazioni scientifiche che investivano anche il campo dei mezzi
formazione. In quello scorcio di fine secolo Hertz e Marconi
i primi esperimenti radio e Lumière effettuava le pri-
se cinematografiche.
quali proporzioni giungesse l'attività dell'apostolato di massa

14.4 Page 134

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in seguito alle varie sollecitazioni, cui si è accennato, ci è dato di
cogliere attraverso alcuni censimenti fatti condnrre dalsopera dei
Congressi.
Il quadro più dettagliato ed ampio è il censimento condotto da
Luigi Bottaro alla metà degli anni '80 su commissione della qu
sezione dell'opera dei Congressi38. Il censimento del Bottaro
benché incompleto, costituisce senz'altro un documento notevole
per ricostruire la complessa "industria" dell'apostolato di massa
giacché, a differenza dei successivi censimenti condotti dalsopera
dei Congressi, contiene non solo i rilievi sulla stampa periodica,
ma anche la segnalazione degli stabilimenti tipografici, delle bi-
blioteche circolanti e delle varie associazioni che favorivano la
diffusione della buona stampa.
L'editoria cattolica (1887)
Accattoncelli (Tipografiadegli), Napoli.
Accademia delle scienze (Tipografiadella), Napoli.
Agnelli Giacomo, Milano.
Albizzata Paolo, Milano.
Annoni L. e C,. Monza.
Antoniana (Tipografia Poliglotta), Padova.
rcivescovile (Tipografia),Bologna.
rcivescovile (Tipografia),Genova.
rtigianeili (Tipografiadegli), Chiavari.
attaggia, Venezia.
ella Stefano, Prato.
erretti G., Torino.
oniardi Pogliana, Milano.
osco D. Giovanni. Torino.
uffetti, Lendinara.
uon Pastore (Tipografia),Ancona.
anonica B. e figli, Torino.
appa e C., Saluzzo.
eretti Gaetano, Corno.
aietto Eugenio, Torino.
hiari e C., Alessandria.
ini Egisto, Firenze.
ogliati L.F., Milano.
olombari Ferdinando, Verona.
OnCezi0ne (Tipografiadella S.), Firenze.
ongregazione di Propaganda (Tipografiadella S.), Roma.
e Bonis Giovanni, Napoli.
e Bonis Luigi, Napoli.
el Giudice, Napoli.
ella Torre, Corno.
ue Edoardo, Aosta.

14.5 Page 135

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Economica (Tipografia e Libreria), Ferrara.
Ecclesiastica (Tipografia e Libreria), Livorno.
Emporio Cattolico, Torino.
Fassi-Conio Giovanni, Genova.
Festa Salvatore, Napoli.
Fiaccadori, Parma.
Galia Giovanni. Vicenza.
Germa Giovanni, Milano.
Ghiotti Edoardo, Mondovi.
Gioventù (Tipografia della), Genova.
Giuliani Alfonso, Napoli.
Greppi Pietro. Bergamo.
laffer Giosuè, Loreto.
Immacolata (Libreria della), Siena.
Immacolata (Tipografia della), Napoli.
Immacolata (Libreria dellar, Venezia.
Immacolata Concezione (Tipografia della), Modena
Istituto deil'lmmacolata (Tipografia dello), Bologna.
Lanata Adamo. Genova.
Lapegna, Napoli.
Letture Cattoliche (Tipografia delle), Genova.
Libertà Cattolica (Tiaoarafia della), Napoli.
Ligure ( ~ i ~ o ~ r a f Gi ae)n,ova.
Lobetti - Bodoni (Fratelli), Saluzzo.
Longinotti Francesco, Bergamo.
Maiocchi Serafino, Milano.
Mander (Pio Istituto), Treviso.
Manuelli Luigi, Firenze.
Mareggiani, Bologna.
Marietti Giaciyto, Torino.
Marietti Pietro, Torino.
Majer Vigilio, Corno.
Matteuzzi, Bologna.
Merlo Antonio, Verona.
Michelerio (Opera pia), Asti.
Musica sacra, Milano.
Oggero Pietro, Cuneo.
Olivari Pietro, Genova.
Osservatore Cattolico (Casa Editrice), Milano
Pace (Tipografia e Libreria della), Lodi.
Palma Giuseppe, Milano.
Pane Giovanni, Casale
isanzio, Napoli.
rota Fratelli, Napoli.
eina, Novara.
icci Andrea, Savona.
ornano Lorenzo, Torino.
uggini Giovanni, Firenze.
abato Pulvirenti, Catania.
Alessandro (Tipografia), Bergamo.
Apollinare (Tipografia), Ravenna.
an Bernardino (Tipografia), Siena.
Giuseppe (Libreria), Catania.
. Giuseppe (Tipografia di), Milano.
Giuseppe (Società Litoleografica), Modena
. Giuseppe (Tipografia), Torino.
. Paolino (Tiaoarafia,).. Lucca.
antucci, P'ekg&.
. Vincenzo (Tipografia e Libreria), S. Pier d'Arena.
eminario (Tiaoarafia del). Padova.
ordo-muti (Istituto), verona.
peirani Giulio e figli, Torino.
peirani Fratelli, Torino.
tellino Giacomo, Cuneo.
acchi e Gibertini, Bergamo.
addei Domenico e figli, Ferrara.
ami. Torino.
G a t i s , Torino.
ngher e C., Pisa.
igliardi succes. Mensio, Aosta.
ucca Lodigiani Emilio, Bergamo
BOTTARO, Censimento delle istituzioni..., cit.

14.6 Page 136

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4. Don Bosco, i salesiani e la "cultura popolare"
Ed è proprio alla luce di questa ampia diffusione della cultura
popolare cattolica verso la fine del XIX secolo che acquista rilievo
l'opera anticipatrice che don Bosco iniziava artigianalmente a
Torino verso la fine degli anni '40 attraverso le Letture cattoli-
che39.
Fondate nel 1853, editavano opuscoli mensili "di stile sempli
e dicitura popolare" suddivisi secondo tre generi istruzioni mo
li, ameni racconti, storie edificanti riguardanti "esclusivamente
cattolica religione"40.
Con una tiratura media per opuscolo calcolata attorno al
quindicimila copie ed un prezzo di vendita modesto,
presto la collana più presente negli scaffali delle bibliotec
lari41. Si trattava di una tiratura comune ad analoghe
editoriali cattoliche e che qualche anno più tardi av
scrivere a Gramsci sulle pagine torinesi dell"'Avanti!":
"Mi fermo anche dinnanzi alle librerie cosidette religiose e ogni v01
che ciò m'accade provo sempre un nuovo stupore. Sicuro:
volumi, di ogni specie, su tutti gli argomenti, e su molte C
sa la dicitura: 208, 30a e persino 50a edizione (...). Non possono credere c
le tirature denunciate siano un bluffeditoriale,e perciò sento ammira2
ne ed invidia per i preti che riescono ad ottenere effetticosì palpabili ne
loro propaganda ~ulturale"~~.
la loro diffusione si arrestava entro i confini nazionali, gi
ché verso gli ultimi anni del secolo la collana iniziava ad ess
stampata in varie lingue straniere attraverso l'organizzazione
temazionale dei salesiani. Dal 1883 in Argentina; dal 1890 in B
sile; dal 1893 in Spagna; e, da1 1896, in Francia e Colombia43
Si trattava soprattutto di una letteratura apologetica, volta
"edificare"il parrocchiano, ad invitarlo ad esempi
ne quotidiana sul modello di don Bosco, i1 personaggio che
più frequenza è protagonista degli intrecci narrativi dei Santi,
Beati o dei benefattori.
Giova però a questo punto introdurre un elemento che è comu
ne ai generi letterari di larga divulgazione fra le masse cattolich
ssia la funzione assolta dal protagonista, dall"'eroemdel romanzo
della storia edificante che, secondo la pedagogia in uso, "ti
in buona parte sul recupero di certi modelli del romanzo
radici nel positivismo filosofico, nel socialismo, nell'anarchi-
tasse veicolo di propaganda anticlericale,
carsi nel fatto che interpretasse "i bisogni, le apirazioni, i sen-
nti diffusi" delle masse46 come se il lettore si immedesimasse
Ila figura del protagonista che non di rado esprimeva (come nel
o della letteratura sui briganti o in quella di ispirazione demo-
o alla Eugenio Sue) la rivolta degli emar-
ostituita o la disubbidienza dei poveri
gesuiti de La Civiltà cattolica non man-
o di sottolineare, attribuendone l'ispirazione alla Massone-
accusandole di "perdonare al ladro, all'omicida, al lenone e
attiere" e di "convertire gli avventurieri in eroi e i bestem-
ori in illustrazioni"47.
omanzo popolare, fmtto della "foga democratica" innescato
rivoluzione francese, altro non era che una "servile riprodu-
(...) con tutti i suoi difetti ed eziandio le
~ncezze"~*A. questo bisognava opporre "il bello ideale (...)
scernere nella natura, il bello dal brutto, il bello solo appa-
raccogliere il meglio C,.) in una risplen-
tissima sintesi, la quale colpisca di meraviglia, ecciti l'amore,
a le menti, riempia di giubilo i cuori, pasca la fantasia..."49.
tale è una delle connotazioni più tipiche dell'eroe del roman-
trasposizione operata da p. Bresciani e la adozione
"nipotini" mirava a capovolgerne il significato. I
la letteratura popolare cattolica sono personaggi

14.7 Page 137

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che non suscitano forti passioni terrene ma, semmai, le Sopiscon
non sono ovviamente assertori della rivolta contro ricchi e pote
ti, ma fautori dell'ordine costituito. I1 santo, il beato, l'uomo
eccelse virtù cristiane è colui che sublima le ingiustizie subite
perdono e nella preghiera e considera Ia povertà dignitosa e la
riosa condizione meritoria per lo stato di grazia. Ha notato
Bedeschi che p. Bresciani "si impossessava del modello dell'em-
piofeuilleton per romanzi edificatori nei quali la tecnica dell'ordi-
to restava immutata, solo che alla consueta ideologia ispirata alle
'idee rivoluzionarie' del secolo venivano sostituite Ie posizio
teocratiche e restauratrici"s0.
Ad analoghi moduli stilistici e contenutistici si rifacevano a
che gli opuscoli delle Letture cattoliche. Storie edificanti sulle vit
dei santi e dei beati, oppure.esempi di sopportazione esemplare
del dolore o della rassegnazione allo scopo dichiarato di "far
lare alla mente dei lettori la vivida luce che emanadai b
esempi, che in tutti i tempi ed in tutti i luoghi nfulsero a decor
della patria in cui nacquero e della religione che .profess
rono1'5 1.
Anche nei racconti e nei romanzi della collana l'intreccio ricalc
quello già descritto delle storie edificanti e dei racconti mo
Romanzi missionari, intrecci che ripropongono fantasticamen
personaggi della tradizione biblica e delle persecuzioni cristiane
I1 giudizio più severo su tali trasposizioni letterarie fu quel1
espresso da De Sanctis, il quale affermava il carattere "antiedu
tivo" degli "eroi" della letteratura popolare cattolica:
"Se presentate ora come modelli San Luigi Gonzaga, San Carlo Borro
Sant'Alessio, e quelle virtù son rimedio a tutto, e insegnate a non sent
offese, i bisogni, la fame stessa, formate tale ideale che quando i gio
entreranno nella vita reale, meno quelli predestinati aila santità ed aU'er
smo, che sono piccolissimo numero, si awezzeranno al peggiore dei mali
possa soffnieun popolo, a distinguere la scuola dalla vita, quelio che hann
imparato in astratto da quel che si fa realmente, si faranno ipocriti"s2.
Un accenno particolare meritano i volumetti delle "Lettur
cattoliche" come luogo di produzione del senso comune religio
O. Ossia il modo attraverso il quale aspetti della dogmatica,
l'ascetica e dell'apologetica venivano volgarizzati, piegati ad un
guaggiod'uso comune per risultare comprensibili ad un pubbli-
o "popolare". È ovvio che la constatazione riguarda gran parte
i testi a carattere religioso delta cultura popolare cattolica e che
altra sede e con altre competenze andrebbe più ampiamente
volta attraverso il ricorso a strumenti di accurata indagine
In don Bosco "scrittore popolare" la preoccupazione prevalen-
come è stato osservato, è quella di suscitare "meraviglia" ed
mulazione" attraverso "rappresentazioni sceniche, le affabula-
ni, dialoghi eroici"%. Senza alcun dubbio, tale espediente tette-
rio risultava efficace dal punto di vista della volgarizzazione,.
a era alquanto carente per ciò che atteneva una fedele aderenza
testi sacri. Già i contemporanei di don Bosco non avevano
cato di sollevare dubbi e perplessità a proposito di una forse
po disinvolta manipolazione di testi e riferimenti sacri. Aspre
lemicheaveva ad esempio suscitato il fascicolettoCentenario di
Pietro, per il quale il segretario della Sacra Congregazione
1l'Indice non aveva mancato di protestare presso mons. Ales-
dro Riccardi, arcivescovo di Torino. Secondo quegli appunti,
1 volumetto si incontravano in effetti "se non errori manifesti,
r lo meno, tali parole o storielle da eccitare, anziché la pubblica
cazione, le risa e le beffe"S4. Ancora più severo il giudizio che,
nni più tardi, avrebbe espresso il benedettino H. Quantin in
untigliosa analisi della produzione popolare donboschiana
sione della canonizzazione del salesiano di Valdocco55.
e un brano significativo:
B. Don Bosco compose la Vita di Domenico Savio servendosi di
rdi personali, di note ch'egli aveva prese vivente ancora il giovanetto e
notizie scritte ch'egli aveva domandato tanto ai maestri quanto ai con-
cepoli che avevano conosciuto il Servo di Dio. Sembrerebbe quindi
ssa dovrebbe essere di un valore storico incontestabile. L'impressione
che essa lascia, lo stesso del resto che le Vite di Luigi Comollo, di
esco Besucco e di Michele Magone scritte ugualmente da lui, è quella
racconto ove la preoccupazione dell'edificazione e deli'insegnamen-

14.8 Page 138

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to morale da dare ai giovani lettori, occupa un posto preponderante. Ma
è di piu il confrontodel testo di Don Bosco con quello dei documenti
quali egli stesso dichiara di appoggiarsi, fa apparire più volte un'esage
zione evidente, sempre nell'intento dell'edi6cazione".
A questi contenuti qualche decennio più tardi si sarebbe co
trapposta la "cultura popolare" democratico-cristiana, che
solo sul terreno religioso, ma anche su quello politico e so
avrebbe rifiutato i modelli letterari della rassegnazione propn
gran parte della cultura popolare cattolica della seconda metà
dell'SOO56.
5. Fortuna delle iniziative editoriali salesiane
È ovvio che, perlomeno alle origini, le «Letture cattolich
ebbero una diffusione limitata, ristretta in gran parte a R e g n o
Sardegna, come ci dimostra la distribuzione dei "benemeriti ra
coglitori" le cui liste vennero per qualche tempo pubbli
appendice ai volumetti delle «Letture Cattoliche» (Carta 1)
possibile, attraverso i dati disponibili, ricostruire u
esaustiva anche per i decenni postunitari. Non pare tutta
luogo ipotizzare che le «Letture cattoliche» segnarono un
mercato editoriale e in particolare alcuni settori come quello sco
lastico, esce dai ristretti confini regionalistici per iniziare ad assu
mere vaste proponioni57. La legge sufl'istruzione obbligatoria, e il
immediate di tale fenomeno. E a trarre vantaggio da tale si
ne è soprattutto l'industria tipografica dell'ex Re
va, almeno fino al trasferimento della capitale a Firenze, non
delta vicinanza ai centri direzionali in materia di istruzione
blica, ma anche dell'impiego di mezzi tecnici e strumenti tip
fici d'avanguardia. Non a caso a Torino si concentrarono,
negli anni preunitari, alcune fra le case editrici destin
futuri a divenire fra i marchi più prestigiosi dell'editori
m
ribuzione geografica dei ((benemeriti raccoglitori)>
e ((Letture cattoliche)>(1855)

14.9 Page 139

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Si pensi, ad esempio, a Paravia, Vaccarini, l'Unione tipografica
editrice, Loescher ecc.58.
Si tratta di un aspetto che non va sottovaIutato se si vuole cor-
rettamente inserire la diffusione dell'editoria salesiana nell'alveo
più generale dell'editoria italiana.
Non a caso se in Italia nel 1881 circolavano ben 3997 manu
scolastici, non pochi erano quelli usciti dalle tipografie sale
ne59.
Le Memorie Biografiche e l'epistolario donboschiano contengo
no più di un accenno ai vari tentativi, alcuni coronati da successo,
operati dallo stesso don Bosco per inserire le «Letture cattoliche»
fra i libri di testo della scuola elementare. Significativa a1 p
sito la difesa che don Bosco sostenne nel 1863 contro l'accusa
antipatriottismo presso il Ministro della P.I. Peruzzi60.
Vari ispettori scolastici dichiaravano poi esplicitamente di a
re raccomandato ai maestri elementari l'adozione di opere co
Domenico Savio, Luigi Comollo, Michele Magone per far impara-
re agli allievi "un poco di schietto e semplice ita1ianon61.
Ma non è ovviamente solo l'ampliamento del mercato scolast
co a favorire l'espansione della editoria salesiana. Occorre in effet
ti tenere conto anche della espansione delle biblioteche popolari e
in particolare, delle biblioteche popolari cattoliche a cui si è in
precedenza accennato. Tuttavia il mercato scolastico, a partire
soprattutto dall'unità, l'ampia rete dei "diffusori" e lo sv'
delle biblioteche popolari cattoliche non spiegano compiuta
la fortuna editonale delle «Letture cattoliche». Ciò che stupisce,
effetti, è l'elevata tiratura di gran parte dei fascicoli della iniziativ
editoriale salesiana. Chi ha indagato la fortuna editoriale del1
«Letture cattoliche* ha fatto ascendere a ben due milioni la tira
tura complessiva dei fascicoli per i primi otto anni. Altri accenna
no, attorno al 1865, a ben 14.000 abbonamenti mensili. Alcun
fascicoli ebbero infine tirature incredibili come la Chiave del para
diso, stampata in 44 edizioni per un complesso di 800.000 copie6
Tali cifre possono suscitare vari interrogativi quando si pensi al1
ristretta potenziale "area dei leggenti".
Si tenga del resto presente che nel 1871, in Piemonte, l'area
maggiore diffusione delle «Letture cattoliche», l'analfabetis
riguardava ancora il 58% della popolazione63. Ma tale percentua-
le, di per sé già elevata, non deve fare automaticamente pensare al
rimanente della popolazione come ad una potenziale area dei leg-
genti. In realtà, come è stato acutamente osservato, «tra l'analfa-
beta e l'alfabeta c'è la schiera grigia e numerosa dei semi-analfa-
beti. Ci sono f...) coloro i quali sanno leggere ma non sanno scri-
vere (...). Ci sono quelli che sanno leggere e scrivere, ma che diffi-
ilmente capiscono ciò che leggono e che a mala pena sanno scri-
ere qualcosa che vada al di della loro firmm64.
Secondo i calcoli prodotti dal De Mauro, nel 1861 gli "italofo-
', ossia coloro che erano in grado di parlare e di capire la lingua
aliana, ammontavano appena al 2.5% sul totale della popolazio-
italianass. Si tratta di percentuali di recente ritenute stimate per
tto ed elevate ad una cifra oscillante fra il 9 e il 12%66. Ma
nche così stimata si tratta di una porzione assai ridotta e che ci fa
apire come per la fine '800 il mercato dell'editoria popolare
otesse contare su un pubblico assai ristretto in grado non solo di
ere ma di "capire". Assai indicativo, infine, è quanto scriveva
ensore della monografia per l'inchiesta Jacini relativa al Pie-
onte a proposito della istmzione impartita nelle scuole elemen-
L'istmione consiste nel saper leggere qualche po' e scrivere scorretta-
nte. Tenuissimo ne riesce il profittotantoché dopo pochi anni molti di
esti allievi non sono più in grado di capire una scrittura e di scrivere
elligibilmente forse neanche il proprio nome!"67.
ali considerazioni devono dunque far supporre che le elevate
a ure denunciate dagli editori delle «Letture cattoliche» non
ssero veritiere? Non necessariamente. Occorre in effetti riflette-
ul fatto che nella società di fine '800 l'acquisto o comunque i1
sesso di un libro non è sempre conseguente all'alfabetizzazione
casi, addirittura precedente. Per ciò che riguarda, in
olare, il mondo cattolico occorre pensare al significato che
le buone letture". Non già o non solo per essere lette,
perché l'acquisto del libretto devozionale, del foglietto parroc-
ale costituivano la conferma di quella coscienza "bonastampi-
" inscindibile dall'etica del "buon cattolico". Comperare la

14.10 Page 140

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stampa cattolica o regalarla in occasione delle cresime, delle
comunioni diviene, già a partire dalla seconda metà dell'800, un
atto di fede, una pratica doverosa come il precetto festivo o la
preghiera, a volte imposta anche in confessionale come suggeriva-
no al sacerdote i manuali per il clero68.
6 . Ii teatrino
,Tuttavia se è lecito supporre che sotto il profilo della diffusi0
le «Letture cattoliche* scontassero, almeno negli anni di fi
Ottocento, la scarsa alfabetizzazionedel pubblico popolare a cu'
rivolgevano, è lecito considerare che una ben più ampia funzio
educativa l'avrebbe assolta un altro originale strumento di cui don
Bosco va considerato, per lo meno in tempi più recenti, com
teorizzatore: il teatrino. In altra sede è stata sottolineata l'amp
za che il fenomeno assunse, soprattutto a partire dali'inizio
'900, in coincidenza con l'espansione del movimento cattoli
Si pensi del resto che negli anni '30 del nostro secolo, gli an
cui le filodrammatiche raggiunsero il loro massimo sviluppo p
ma di essere sopraffatte dal cinematografo, uscirono contempo
neamente ben nove riviste specializzate per il teatrino dell'orat
no. Inoltre, nel corso degli anni '30 ben 5 case editrici stampa
no esclusivamente testi per il teatro educativo. Non c'era
editrice cattolica, grande o piccola, che non avesse la propria
lana teatrale. Una produzione complessiva che nella prima
degli anni '30 veniva calcolata attorno a una ottantina di nuo
libri editi annualmente con un lancio sul mercato librario di "du
centomila volumetti di commedie per il piccolo teatro delle nost
associazioni"7o. Notevole inoltre anche il numero dei teatrini C
alcune statistiche facevano ammontare alla cifra di diecimila a
inizi degli anni '30. Cifra sicuramente attendibile anche se n
statisticamente controllabile, data la labilità con cui i diritti e
riali potevano essere elusi da quelle sale che non avevano
carattere propriamente industriale o nei collegi ove "il palcosce
co", come ha annotato don Bosco nelle sue memorie71,si prep
rava nel refettorio volta per volta.
campo degli autori del teatrino don Bosco può vantare una
a di "nipotini" forse più ampia di quella degli autori della
uona stampa". A cominciare da Angelo Pietro Berton che, nel
scrisse forse il "classico" di maggior successo delle filo-
matiche cattoliche: Il piccolo parigino72.
a e dunque la pena soffermarsi sull'idea ispiratrice della ini-
tiva unanimemente attribuita a don Giovanni Bosco, alla metà
1 secolo scorso e successivamente coltivata da altri salesiani. Il
~
~
~~
~~
iu attivo fra questi fu il Lemoyne che nel 1885, con Le Pisfrlne,
testo sul paganesimo romano, inaugurava presso la Tipografia
lesiana di San Benigno Canavese una coll~ ana~d.~i~ n~u-h-h.li.ca-/ioni
~
~
~~~
riodiche, Letture drammatiche, che può considerarsi come la
ma iniziativa editoriale di largo respiro nel campo del teatro
"ntroduzione con la quale Lemoyne presentava Le Pistrine
rma che il teatrino veniva configurandosi con scopi non dis-
ili da quelli della buona stampa: "Si è osservato che special-
e i libri di commedie, quando non siano rigorosamente
li, producano nel cuore dei giovani impressioni talmente
este che più non si tolgono neppure nella più provetta vec-
'a. Ad ovviare a questo inconveniente si è ideata una raccolta
efturedrammatiche, le quali, nello stesso tempo che attraenti
amene, riescano pure educative e severamente morali"74. Con-
ti che quasi quarant'anni prima erano stati canonizzati dallo
sso don Bosco che aveva tracciato la funzione pedagogica del
iografi del salesiano di Valdocco hanno sottolineato che la
gogia teatrale donboschiana era aliena da qualsiasi pretesa
ica in senso tradizionale, ma si affidava piuttosto ad uno
taneismo creativo sorretto da una costante preoccupazionedi
re morale. Ma su questo punto conviene far parlare lo stes-
anifesto" del teatro educativo che don Bosco redasse nel
allo scopo di disciplinare una attività che egli stesso non solo
raggiava ma promuoveva organizzando rappresentazioni nel
tori0 dell'oratorio di Valdocco:
Scopo del teatrino è di rallegrare, educare, istruire i giovani più che
ò moralmente.

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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2. È stabilito un capo del teatrino che deve tener informato volta p
volta il Direttore della Casa di ciò, che si vnol rappresentare, del giorno
stabilirsi e convenir col medesimo, sia nella scelta delle recite, sia dei gio
vani, che devono andare in scena.
3. Tra i giovani da destinarsi a recitare si preferiscano i più buoni
condotta, che, per comune incoraggiamento, di quando in quando sarann
surrogati da altri compagni.
4. Quelli che sono già occupati nel canto o nel suono, procurino
tenersi estranei alla recitazione; potranno però declamare qualche brano
poesia, o d'altro negli intervalli.
5. Per quanto è possibile siano lasciati liberi dalla recita i Capi d'a
6. Si procuri che le composizioni siano amene ed atte a ricreare e d'
tire, ma sempre istmttive, morali e brevi. La troppa lunghezza, olt
. -maggior disturbo nelle prove, generalmente stanca gli uditori e fa perdere
~reeiodella ra.n.oresentazione e cagiona noia anche nelle cose stimabili.
7. Si eviti quelle composizioni che rappresentano fatti atroci. Qu
scena un po' seria è tollerata, siano però tolte di mezzo le espressioni
cristiane, e quei vocaboli che detti altrove, sarebbero giudicati incivi
troppo plateali.
8. I1 capo si trovi sempre presente alle prove, e quando si fanno di se
non sieno protratte oltre alle ore 10. Finite le prove, invigili che, in si1
zio, ciascuno vada immediatamente a riposo senza trattenersi in ch'
chiere, che sono per lo più dannose, e cagionano disturbo a quelli che
fossero in riposo.
9. I1 capo abbia cura di far preparare il palco nel giorno prima de
recita, in modo che non abbiasi a lavorare nel giorno festivo.
10. Sia rigoroso nel provvedere vestiari decenti e di poco costo.
l I. Ad ogni trattenimento vada inteso coi capi del suono e del can
intorno ai pezzi da eseguirsi in musica.
12. Senza giusto motivo non permetta a chicchessia l'entrata sul pa
meno ancora nel camerino degli atto& e su questo invigili, che durant
recita non si trattengano qua e in colloqui particolari. Invigili pure
sia osservata la maggior decenza possibile.
13. Disponga in modo che il teairo non disturbi l'orario solito; oc
rendo la necessità di cambiare, ne parli prima col Superiore della Ca
14. Nessuno vada a cena a parte; non si diano p-mi o segni di sti
lode a coloro che fossero da Dio forniti di attitudine speciale nel rec'
cantare o suonare. Essi sono già premiati dal tempo che loro si la
libero, e dalle lezioni che si compartono a loro favore.
15. Nell'apparecchiare e sparecchiare il parco impedisca per qnan
ssibile rotture, i guasti nei vestiarii e negli attrezzi del teatrino.
6 . Conservi diligentemente nella piccola biblioteca i drammi e le rap-
sentazioni ridotte ed adattate ad uso dei nostri collegi.
7. Non potendo il capo disimpegnare da se solo quanto prescrive que-
regolamento, gli sarà stabilito un aiutante, che è il cosi detto sugge-
accomandi agli attori un portamento di voce non affettato, pro-
a chiara, gesto disinvolto, deciso; ciò si otterrà facilmente se studie-
. Si ritenga che il bello e la specialità dei nostri teatrini consiste
abbreviare gli intervalli tra un atto e l'altro e nella declamazione di
osizioni preparate e ricavate 'da buoni autori.
Sac. Bosco Giovanni
Rettore
In caso di bisogno il capo potrebbe affidare ad un maestro fra gli
i, ad un assistente fra gli artigiani, che esercitassero i loro allievi a
re e declamare qualche farsa o piccolo dramma75.
delle intuizioni più originali d i don Bosco in merito al
o fu la sottolineatura del carattere didascalico che questi
vere. I1 teatro come scuola, come mezzo d i insegnamento
ipi cattolici attraverso la recita di dialoghi e contraddit-
stesso don Bosco si cimentò nella stesura d i alcuni testi
la Disputa coi pastore protestante o i Dialoghi popolari su
.errori direligione, divenendo il caposcuola d i uno d i generi
ior successo del teatrino: i'affermazione della supremazia
licesimo sui "nemici della Chiesa".
indi dietro i'insegnamento teatrale e pedagogico d i don
che i cattolici si avviavano a sperimentare verso la fine del
, uno dei mezzi di ricreazione più originali per sottrarne le
popolari a quel teatro che, come denunciava La Civiltà
lica,"s'impernia in una sporcizia e nella sporcizia si svolge";
nte al quale l'organo dei gesuiti consigliava d i "coprirsi il
la vergogna di vivere tra gente che non trova più svago e
fuorché nella immondezza"76.

15.2 Page 142

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7. L'attività sportiva
Occorre infine accennare, sia pure brevemente, ad un altro st
mento educativo che nella pedagogia donboschiana ebbe notev
importanza: l'attività sportiva. Anche in questo caso, come per
buona stampa e il teatrino, l'importanza del fenomeno non
considerata tanto per le applicazioni pratiche che ricevette ne
oratori salesiani don Bosco vivente. Ma, soprattutto, per gli s
luppi che l'attività sportiva dei cattolici avrà nei primi decenni d
Novecento e anche oltre77.
È evidente che con don Bosco siamo alle origini dello spo
cattolico e nulla lascia intravvedere, secondo quanto ci ha tes
moniato il iemoyne nelle Memorie biografiche, una concezio
dello sport inteso in senso agonistico e competitivo. Lo spo
l'attività fisica rientravano piuttosto in quel metodo prev
che era alla' base della concezione pedagogica donbosch
Anzi; proprio l'attività fisico-sportiva nelle sue innumen es
sioni costituisce un principio essenziale di quel metodo
prete piemontese si fece assertore. Secondo il parere di al
diosi del metodo educativo salesiano, proprio nella p
donboschiana, l'attività ludico-sportiva è "posta così in
valutata a tal punto che da essa si fa dipendere non pure i
andamento della scuola, ma persino la vita religiosa del fanciu
lo"79. Durante le vacanze80 o nelle pause della ricreazione da
studio, le varie forme di attività fisico-sportiva venivano da
stesso don Bosco enumerate come mezzi "per ottenere la disc
na, giovare alla moralità ed alla sanità"8i. L'attenzione di
Bosco al problema dello sport, che andrebbe in altra sede più 1
mente svolto, consente non solo di precisare l'attenzione con C
mondo cattolico già nella seconda metà del secolo scorso gua
- alle attività ricreative - e a quelle sportive in particolare
soprattutto di cogliere le differenze che accompagnanola nasci
l'affermazione dello sport "cattolico" da quello nel contem
incoraggiato dalle classi liberali.
Se è stato notato, e giustamente, che l'elemento che distingue
presenza cattolica rispetto alle oligarchie laiche e mode
dell'Italia liberale è il suo carattere di massa, ciò deve intend
che per ciò che riguarda l'attività sportiva. Essa, attraverso la
e degli oratori, dei circoli cattolici, degli educandati, diviene
tività diffusae si propaga agli strati popolari. Di contro, l'attivi-
sportiva promossa dalle élites liberali è rivolta a ristretti gruppi
e frequentano i vari club alpini, o i circoli del tiro a segno82.
Ma non è solo una differenza per così dire quantitativa a segna-
le diversità fra lo sport dei liberali e quello dei cattolici. C'è
che una profonda differenziazionedi carattere ideologico o, per
eglio dire, pedagogico. In effetti se le attività sportive promosse
i circoli e dai sodalizi liberali erano per così dire finalizzate a
ndere uno spirito patriottico, militaresco ed unitario, quelle
oraggiate dal circolismo cattolico avevano finalità essenzial-
nte morali e religiose. Come a dire che, nella pedagogia sporti-
cattolica, la formazione del cittadino è suborduiata a quella
catholicw: Tale intento educativo non traspare tanto
- ui e spiritosi esercizi ginnici che don Bosco faceva ese-
ai suoi allievi per esaltare anche attraverso l'esercizio fisi-
nel bel mezzo della polemica temporalista - la figura di Pio
;ma, soprattutto, dalle finalità che vescovi ed educatori attri-
ono nei loro vari scritti all'esercizio fisico e sportivo.
sport è infatti consigliato come sussidio alla formaione reli-
e come strumento formativo di una più intensa vita di pietà.
a siffatta impostazione derivava anche la scelta degli esercin e
attività sportive raccomandate ai circoli cattolici; e la con-
a, da parte di vescovi ed educatori, di certi sport che per la
carica agonistica e l'impegno richiesto distoglievano eccessi-
dalle pratiche di pietà. Si tenga al proposito presente che,
tempo, certi sport considerati "acrobatici" saranno ban-
alle associazioni cattoiiche mentre l'attività prevalente sarà
tica, considerata non solo come la più adatta per "lo svi-
i muscoli", ma pure come la più rispondente per far "ali-
un soffio di spiritualismo cristiano anche nelle manifestazioni
fisica". E ciò anche perché, mentre la ginnastica "svi-
irito dell'obbedienza" essendo svolta con "movimenti
ritmici agli ordini di un comandante", gli altn sports
"lasciati alla libera iniziativa dell'individuo3'84. Era dunque
rt come disciplina di gruppo piuttosto che lo sport come

15.3 Page 143

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esasperato agonismo individuale ad attirare l'attenzione
educatori cattolici formatisi alla scuola donboschiana, l a pn
Italia ad avere intuito come l'attività sportiva fosse, a suo modo
un formidabile veicolo di "valori" e persino, entro certi limiti, d
"ideologie".
l Vasta è la bibliografia su padre Bresciani. Per un primo profilo biografic
bibliograficocfr. A. FERRAR[,Bresciani Antonio, in Dizionario storico del movim
to cattolico in Italia, vol. 111, t. l, Le figure rappresentative, Casale Monferra
Marietti, 1984, pp. 130-131. Per un approccio critico all'opera si veda L. BEDESCH
Letteralurapopolare e murrismo, in "Humanitas", XXVII, 1972, n. 10, pp. 846-86
e A. DI RICCO, Padre Bresciani; populismo e reazione, in "Studi Storici*', XXI
1981, pp. 833-860.
2 Antonio Gramsci aveva polemicamente definito il "brescianismo" come "u
parte cospicua della letteratura narrativa italiana" denunciandone il "carattere
tecnicamente sacrestano" nonché "tendenzioso e propagandistico". A. GRAMS
Letteratura e vifa.nnzioionole,Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 185.
3 A. BALDUINOL,a cultura dell'Italia moderna e le responsabilità degli Nifeiiett
li, in "Corriere del Ticino", 8 maggio 1976, ora in A. BALDUINO, Messaggi eprob
m i della letteratura contemporanea, Venezia, Marsilio, 1976.
4 Non concorde è il giudizio sulla bibliografiadonboschiana. Il Fieno attribuis
don Bosco 153 opere e, per altre 16, pubblicate anonime, avanza fondati sospet
attribuzione: R. FIERRO, Biografia y escritos de San Juan Bosco. Memoria del
torio. Vida de Domingo Savio y Miguel Magone, Epistolario, Madrid, 1955.
Favini attribuisce invece a don Bosco 148 opere: G. FAVINI,Bosco Giovan
Dizionario biografico dei snlesiani. Sulla produzione' donboschiana cfr. anche
STELLA, Gli scritti a stampa di San Giovanni Bosco, Roma, Las, 1977. Riferi
particolare alla più fortunata iniziativa editoriale di don Bosco è il recente L.
VANNINIL,e "Letture cattoliche" di don Bosco esempio di "stampa cattolica
secolo XIX, Napoli, Liguon, 1984.
5 Assai vasta è, ormai, la bibliografia sull'argomento. Per una definizione del ca
po mi permetto di rinviare a S. PIVATO, Letteratura popolare e teatro educativo,
Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, vol. I, t. 1, Casale Monfe
Marietti, 1981, pp. 296-299.
6 Per una definizionedei termini e dei rispettivi campi di indaginecfr A. POR
LI, Culturepopolari e culture di massa, in Gli strumenti della ricerca. -2. Questio
metodo, acura di G. De Luna, P. Ortoleva, M. Revelli, N. Tranfaglia, Firenze
nuova Italia, 1983, pp. 1470-1490.
7 F. DELLA PERUTA, Il '>opolo"in Lombardia nell'800, in 1815-1898... Quan
popolo cominciò n leggere. Mostra dellblfabetismo e della cultura in Lomba
Milano, 1979, p. 6.
8 M. BONGIOANNI, Giochiamo al teatro. Dall'invenzione drammatica al
espressivo, Torino, Elle Di Ci, 1977.
9 A. ROBBIATI, Iniziative di istruzione professsionale dei cattolici lombardi (
141, in "Bollettino dell'Archivio per la storia dei movimento sociale cattolico in
lia", XVIII, 1983, n. 2, pp. 200-267.
Per una corretta definizione meiodologica di tali materiali e sulla relativa que-
cfr. L. BEOESCHIL, etteratura popolare e murrismo, cit.
Per una analisi del dibattito rinvio a M. BELARDINELLI, Per una gorin della
nizione di movimento cattolico, in Dizionnrio storico del movimento cattolico in
io, vol. I, t. 1, Casale Monfemto, Marietti, 1981, pp. 2-13.
Per un primo approccio al rapporto movimento cattolico/scuola alla fine del
Colo scorso cfr. L. PAZZAGLIA, Movimento cattolico e questione scolastica, in
nario storico del movimento cattolico in Italia. vol. I, t. 2, Casale Monferrato,
etti, 1981, pp. 72-84.
Cfr. in proposito M.G. ROSADA, Biblioteche popolari e politica culturale del
,.fra Ottocento e Novecento, in "Movimento operaio e socialista", XXIII, 1977,
Per una storia del costume educativo: seminario alla fondazione Feltrinelli, in
ria in Lombardia", I, 1982, n. 1, pp. 40-41.
Cfr. in proposito M. BELARDINELLI, Per una sforia della dqh'nizione di movi-
G. VERUCCI, L'Italia IQ~CUprima e dopo l'Unità 1848-1876.Anticlericalismo,
o pensiero e ateismo nella società italiana, Bari, Lateaa, 1981.
G. BONETTA, L'insegnamento religioso nelle scuole elementari pubbliche (1859-
7). in "La cultura", XVIII, 1980, n. 4, pp. 366-387.
. VERUCCI, Litalia laica prima e dopo l'Unità. cit., p. 176.
r una ricostruzione più sistematica di tale quadro, oltre alle brevi consideia-
he seguono, mi permetto di rinviare a S. PIVATO, Letteratura popolare e teatro
ivo, cit., PP. 296-302. Una elencazione ancor più esaustiva delle varie iniziati-
oliche nel campo della letteratura popolare è quella di L. GIOVANNINLI,e
re catto1iche"di don Bosco, cit., pp. 73-86.
rchivio di Stato di Venezia, Regno d'Italia, Gabinetto di Prefettura r. 19, 111
1876), b. 46, rapporto semestraledel prefetto ai Ministero dell'lntemo in data
. BERENGO, Intellettuali e librai nella Milano dello Restaurazione, Torino,
ulle amicizie cristiane si veda: C. BGNA, Le 'Xmicizie'; Società segrete e rina-
eligiosa (1770-1830). Torino, 1962: S. FONTANA, La controrivoluzionecnttoli-
n talin (1820-1830). Brescia, 1860; T. PIAYT1, Un precursore dellilzione cottoli-
v0 di Dio Pio Brunone Lanteri apostolo di Torino, fondatore degli Oblnti di
rgine, Torino 1926.
. CASOLI, La stampa cattolica periodica in Italia nel secolo XIX, "Epheme-
nnuario della stampa cattolica italiana", I, 1904, pp. 9-11.
A. GRAMSCI, La nuona stampa, "Avanti!" ed. torinese, 16 febbraio 1916, ora
FERRATA-N. GALLO (a Cura di), 2.000 pagine di Gramsci, 2 voll., Milano, I1
ore, vol. 1, pp. 193-94.
BibIiothPque bleu: la litt4raturepopulnire en Frnnce du XVI* nu XIXe sikcle,
1971; R. MANDROU, De la culturepopulaire au I7e au 18e siècle: la BibliothP-
de Troyes, Parigi, 1964: R. SCHENDA, Volk ohne Buch. Studien zur Sozial-
te der popularen Lesestoffe (1770-1910),Frankfurt am Main, 1970.

15.4 Page 144

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maggio 1872.
28 Citato da L. BEDESCHI, Le origini.... cit., p. 158.
29 Idem.
Brevi informnzioni su di un'opera di Propaganda missionaria a pro dei poveri
d e l l ' A f n ad esempio del loro grande apostolo, San Pietro Claver, Roma, Sod
di San Pietro Claver, 1921; Pia opera della stampa indigena sotto il patrocini
Caterina djllessandrla, Roma, Sodalizio di San Pietro Claver, 1920: Che cos
sodalizio di Son Pietro Claver, "Annuario Cattolico italiano", 1923, pp. 397-9
31 ~ t teidocumenti del V1Congresso Cattolico Italiano tenutosi in Napoli dal IO
14 ottobre 1883, Bologna, Tipografia e Libreria Arcivescovile, 1885, p. 101.
32 Società cattolica per la diffusione della buona stampa (Osimo, 1901); Pia Ass
ciazione per In buona stampa (Asti, 1893); Piccola Opera per la gratuita diffusio
della Buona stampa afiglintn alla Società universale 'Sedes Sapientiae' (Ver
1891); Associazionepopolare per la stampa cattolica (Vicenza, 1885); Opera in a
della buona stampa (Genova, 1888); Associazione popolare per la stampa cafro
(Venezia, 1886).
33 Si vedano alcune ricostruzioni locali delle Biblioteche circolanti. AA.
Biblioteca popolare a prestanza "Carlo Zucchini". Centenariodifondazione, Fa
Società Cooperativa di cultura popolare, 1977, e G.C. MENGOZZI, Il gabin
lettura, uno strumento culturale nella Rimini di fine '800, in "Rivista dioc
Rimini", 1972, fase. 71-72, pp., 37-41.
36 Archivio di Stato di Bologna, Gabinetto di Prefettura 1864, Busta 26,
Gabinetto di Letture istituito dal partito clericale. Rapporto del questo~edi Bol
alla prefettura in data 7 dicembre 1864. Al fascicolo, oltre alla varia comspond
è anche allegato il Regolamento del Gabinetto di Letture.
35 Inter multiplices angustias, in Pii IX Pontificis Maximi Acta, Pars Prima,
del Vaticano, 1901, pp. 444-445.
LETTURE CATTOLICHE, Elenco generaledei fascicoli pubblicati eprogramma di
G. VETTORI, Gli eroi dei romanzi buoni, "Il Conferenziere",I, 1899, n. 9, 10,11,
L. BEDESCHI, Letteratura popolare e murrkmo, cit., p. 138.
si Il Galantuomo, 1888, p. 111.
F.DE SANCTIS,Cesare Cantù e la letteratura popolare, in La letternturn italiana
I secolo XIX, v01 Il, La scuola liberale e la scuola democratica, Bari, I954 pp.
Memorie biografichedi don Giovanni Bosco raccolte dal sac. salesiano Giovanni
Lemoyne. vol. VIII, San Benigno Canavese, 1912, p. 775.
me noto le Memorie biografichefurono edite in 19 volumi dal 1898 al 1948. Nel
che non può essersi in dose, benché minima senza che riesca micidiale". Ilgior
smo liberalescogiudicato da Papa Pio IX, "La C.C.", 1871, quad. 508, p. 402.
1887.
39 Sulle origini dell'iniziativa cfr. L. GIOVANNINI, Le "'Letture cattoliche
passim.
O Cfr. in proposito L. GLOVANNINI, Le ',Letturecattoliche", cit., p. 44.

15.5 Page 145

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termini, più diligenza nelle correzioni": Memorie biografiche. VI, PP. 651-653.
62 per
dati cfr. L. GIOVANNINLI,e "Letture cattoliche" di don BOSCO, ci
pp. 198-201.
6%~ ~ ~ y ~inP~iem~onte~allaffine~deli'&800 tC?. iG. V~IGO~, Ist~ruzione e 2
1uppo economico in Italia allafine del secolo XIX. Tonno, Ilte, 1971.
64 C.M. c I P o L L ~~,
~e ~ ~ i l u ptpIol.decli~no dell'ana~ifabaismoi nel mon~d
occidentale, Torino, Ilte, 1971, p. 7.
65 T. DE MAUROs,toria Iinguistica dell'ltalin unita, vol. I, Bari, Latena, 1979,
43.
66 A. CASTELLANI, erano gli itnlofoni nel 1861? in "Studi linguistici i
ni",1982, vol. VIII, ns., fasc. 1, PP. 3-26.
67 ~ t tdiella
per (.Inchiesta Agraria, province del Piemonte; citato da C.
CIPOLLA, Istruzione e sviluppo, cit.
6s suquesti temi mi permetto di rinviare a S. PIVATO,Quanto legge la
operaia? ~ d j tpo~po~larje ~e lettori in Italia alla fine dell'Ortocentos in "Societa
storia", 1985, n. 30, pp. 823-850.
69 S. PIVATO, 11 teatro di
Mondo cattolica e Organizzazionedel conse
so durante il fascismo, Roma, Fiap, 1979.
io C. REPOSSI, ~~~t~~cattolico. I1 teatro delle nostre associazionis"11 wwagIi0'
VIII, 1973, pp. 97-103.
71 Memorie biografiche, cit., vol. VII, PP. 105-106.
72 S. PIVATO, I1 teatro di parrocchia, cit., p. 46.
73 vanno ricordate almeno altre due collane del teatro educativa attive ancor
ma di
~
salesiane: il piccolo Teatro delle case d'educazione. della Tipografiadel
~concerione~di Modena~e la Nuoviss~ima co1Iana~di rappreselntazioniin ~
dite della Libreria Ed. Serafino Majocchi di Milano.
74 -collana di ktture drammatiche", Programma in G.B. LEMOYNE, Lepisfrine
li<[tima ora del pnganesimo, S. Benigno Canavese, Tipografia e Libreria Mesian
1885.
1s Regole pel teatrino, in Memorie biografzche.vol. VI, PP. 106-108.
BOSCO applicò il carattere didascalico anche ad alcune commedie non
carattere religioso come Il sistema metrico decimale, nella quale gli attori aitrave
scenetge in cui facevano recitare il compratore e il venditore, spiegavano l'uso
sistema
decimale. S. GIOVANNI BOSCO, Il metodo preventivo, Brescia,
Scuola, 1961, pp. 215-26.
,a ~~l teatro in ~ t a ~ai 'agiorni nostri, in "La Civiltà Cattolica", XXXIII, 18
quad. 762, pp. 662-74.
77 cfr.in proposito S. PIVATO,Sia lodato Bartali. Ideologia, c~lturae miti del
sport cnttoIico, Roma, Edizioni Lavoro, 1985.
7s S. GIOVANNI BOSCO. 11sistema preventivo nella educazione della giovenf
Torino, 1877, p. 39.
Per ciò che riguarda Vattivi& sportiva occorrerebbe indagare fino a che punto d
Bosco è debitore dei metodi pedagogici della Congregazione Lasalliana (Fratelli del
Scuole cristiane).
Di certo don Bosco studiò il metodo e le istituzioni educative dei Fratelli del
uole cristiane che a Torino avevano una dei centri italiani più rigogjiosi. E, in
Ricolare, sono note le numerose visite che don Bosco compi nelle scuole di
one professionale dei religiosi torinesi.
Non documentati e quindi non certi appaiono invece i rapporti personali fra don
OSCO e colui che è stato unanimemente considerato come il "pionieren dello sport
attolico: Frate1 Biagio delle Scuole Cristiane, al secolo Stefano Sonaglia.
~ S. G~IOVANNI BOSCO, n metodo preventivo, cit., P. 16.
79 S. GIOVANNI BOSCO, Il metodo preventivo, p. 64,
"Vi raccomando C)., che vi divertiate molto: giocate pure alle bocce, alla
1pallone (...) soprattutto vi raccomandoe molto di fare delle belle passeggiate molto
unghe". Memorie biografzche, vol. XIII, p. 431.
Memorie biografiche, vol. XIII, p. 456.
82 SUIcarattere elitario dello sport liberale ne11'800 cfr. F. FABRIZIO, storia dello
Ort in Italia. Dalle società ginnastiche nll'associazionismo di massa, i?irenze, G ~ ~ -
di, 1977, pp. 19-27.
, Cpsi nelle Memorie biografiche di don Bosco viene raccontato un curioso eser-
- o tissime volte, e in specie nel 1859-'60 D. Bosco schierava centinaia di giovani
220 21. Cortile in una sola fila, che egli precedeva, dopo aver detto: venitemi
re dietro; e ciascuno metta il piede sull'orma di chi lo precede -. ~ g ibiatteva le
a cadenza, imitato da coloro che lo seguivano; ed aia volgeva a destra, ed ora a
- 1%O i a camminava diritto, ed ora seguiva una linea obliqua, e nel nvolgeni ora
ava un angolo acuto, o un angolo retto o anche un circolo. A un tratto diceva:
. I giovani che lo avevano seguito in tutti quei giri capricciosi restavano dispo.
uno Presso Yaltro, in yuppi bizzam dei quali un osservatore non avrebbe potuto
ime il perché. Ma altri giovani che, da questi movimenti capivano già ~ ~ i ~ t ~ ~
i D. Bosco, correvano sul poggiolo, assemavano come ogni gnippo formasse una
tttera cubita~le e vi leggevano chiaramente distinte le parole: Viva pio N O ~ O .NO,,
ndo prudenza in quegli anni emettere quel &do, menxre i1 pontefice era ,,,inac.
0 ed assalito, ei lo scriveva coi capi de' suoi figlioli". Memorie biozrafiche,
L. CIVARDI, Manuale di Azione Coltolicn, II, La pratica, Pavia, ~ n i ~ i ~ ~ ~ l l i ,

15.6 Page 146

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mpegno missionario e assistenza
ligiosa agli emigranti nella
sione e nell'opera di don Bosco
dei Salesiani
'emigrazione italiana al tempo di don Bosco
'emigrazione italiana, che ha seguito da vicino fenomeni ana-
i che avevano interessato i paesi dell'Europa nord-occidentale
la prima metà del XIX secolo, ha rappresentato uno dei pro-
sociali più sconvolgenti dell'Italia postunitaria (14 milioni di
triati dal 1876 al 1914), opportunamente indicato da molti
e la manifestazione principale e più evidente della "questione
ciale". Non si trattava soltanto di un imponente fenomeno di
obilità imposta dalla incipiente trasformazione economico-in-
ustriale dell'Italia con la conseguente liberazione di manodopera
cola per un mercato di lavoro internazionale, ma di un più
o processo di interscambio di popolazioni tra continenti: e il
ificato umano e religioso di simile processo non poteva sfug-
un credente e a un acuto osservatore dei fenomeni sociali
mi quale era don Bosco.
norme portata del fenomeno migratono, che incomincia a
e statisticamente documentato, e non dovunque, solo dopo i
i decenni del XIX secolo, si può comprendere pensando che,
corso di un secolo, le correnti migratorie, in partenza preva-
ntemente dai paesi europei (ben 60 milioni tra 1830 e 1930)
no popolato interi continenti, quali le due Americhe, l'Ocea-
e alcune zone deli'Africa1.
Dal punto di vista religioso, il fenomeno migratono poteva assu-
e aspetti sconvolgenti, sia in ordine al distacco dalle originane
ci degli emigrati, sia in ordine alla loro potenziale assimilazione
parte delle confessioni dominanti nelle aree di anivoz.

15.7 Page 147

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Le nilevazioni ufficiali del movimento migratono italiano
minciano a partire dal 1876 - con oltre 100 mila emigranti pe
l'estero. Don Bosco aveva già inviato l'anno prima in
suoi primi dieci missionh guidati da don Giovaniii Cagliero, e si
apprestava ad organizzare la seconda spedizione, forte di una venti-
na di salesiani capeggiatida don Luigi Lasagna, per la scuola di arti e
mestieri a Buenos AUes e la presenza nel quartiere
italiani a La Boca. Il fenomeno migratono itaiiano ha a m t
re di massa con un andamentoere
diale, per poi ridursi in conseguenza anche dell'
nismo dei grandi paesi di immigrazione durante gli anni '20. I1 qua
rantennio compreso tra S'mizio deiie ril
guerra mondiale ha registrato l'espatrio
italiani, in progressione costante e con
fmcremento naturale della popolazione. Infatti, nel primo decen
1876-1885 si hanno 1.300 mila emigranti, quasi raddoppiati n
decennio seguente (2.400 mila), seguiti da 4.300 mila espatri n
decennio a cavallo del secolo e infine da 6 milioni di emigranti n
periodo 1906-19153.
In f o m a singolare, l'Italia, in questa sua vitalità demografic
aveva costituito all'estero una pluralità di mete migratone n
principali paesi dell'Europa e dell'America che, alimentate d
successivi amvi, hanno dato origine a consistenti "colonie"
"piccole Italie" caratterizzate da forti legami interni. Nel prim
periodo sono stati i paesi latin
tina, ad avvantaggiarsi dell'em
secolo è la destinazione statuni
per quanto riguarda le regioni di o
mento; nei primi decenni sono le regioni settentrionali
maggior contingente agli espatri, soprattutto Piemonte
mentre verso la fine del secolo l'esodo si meridionalizza seme
più e dilaga in tutti i comuni interni del Mezzogiorno.
Si comprende allora come, dedicandosi all'assistenza degli
granti che costituivano una categoria allora ahbandonam,
- BOSCO non potesse non considerare l'Argentina oltre
- sollecitazioni di Pio IX (che molti anni prima aveva visi
le regioni)4 per la consistente C
favore della scelta argentina militavano (con la prospettiva di
'azione missionaria tra i "selvaggi"), valide ragioni d'ordine
pratico (la conoscenza con don Pietro Ceccarelli, parroco a San
Nicolàs, e le condizioni favorevoli da lui offerte, nonché le insi-
stenze del console argentino Giovanni Battista Gazzolo) e ragioni
'ordine culturale ed ecclesiale.
Per quanto riguarda queste ultime, era evidente che un esodo
te alluvionale, che spopolava alcune parrocchie e accentua-
l0 squilibrio tra le categorie produttive, allargando la hase delle
one in attesa di espatrio, poneva non solo problemi di carat-
economico, ma anche di natura morale e religiosa. Basti pen-
re alla minacciata stabilità dei vincoli familiari, al contatto con
Opolazioni diverse Per cultura e tradizioni religiose, alla difisio-
e di nuove ideologie di stampo irreiigioso, aile questioni morali
onnesse (quali, ad esempio, le frequenti unioni libere o la costi-
ione di una doppia famiglia). Usciti da un ambiente rurale, in
di regola la leadership del parroco era indiscussa, gli emigranti
cadevano facilmente sotto l'egemonia di élites anticlerica-
che per le contese politiche legate
coli dell'emigrazione erano tali e tanti che ben presto era
nella Chiesa una letteratura di tipo allarmistico, prodotta
tutto sulla base delle denunce alla S. Sede dei vescovi ope-
lle aree di amvo - non aliene da esagerazioni e da un
'rizzo moralistico imperante (basti pensare agli ammonimenti
on Guanella per sconsigliare ad emigrare)5 -. La tesi di fondo
che in America "si perde la fede" e si incontrano pericoli di
a; ma l'argomentazione principale consisteva nell'assenza
ese e soprattutto di clero, adeguato per numero, qualità e
one: infatti i sacerdoti che e m i k a n o spontaneamente
da Propaganda Fide o dagli ordini religiosi) suscitava-
genere, le preoccupazioni maggiori e avevano grandemente
nbuito, con la loro condotta non esemplare o aperta "aposta-
are il quadro miserando dell'emigrazione6.
essimismo sul clero italiano emigrante era universalmente
i50 dalla gerarchia locale americana; nelle sue lettere di
o rivolte a don Bosco perché mandasse i suoi missionari in

15.8 Page 148

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istanze missionarie di tipo generale, il caso argentino presentava
esigenze specifiche da parte di una comunità italiana ormai consi-
stente (dal 1857 al 1875, anno di arrivo dei salesiani, l'Argentina
aveva già ricevuto 210.000 italiani; nella città di Buenos Aires essi
erano calcolati in oltre 30.000), influente e organizzata, ma abban-
donata dal punto di vista religioso. I liguri e piemontesi godevino
di un certo monopolio nelle attività marinaresche del porto di
Buenos Aires e avevano popolato un quartiere allora periferico,
La Boca, alla foce del Riachuelo, dandone una connotazione non
solo di suburbio industrioso, ma di una sorta di repubblica quasi
indipendente e irreligiosa.
I1 Piemonte è stato la seconda regione in Italia (dopo il Veneto)
nel flusso emigratono totale, nel periodo 1876-1900, con 710.000
emigrati. Ma soprattutto, per quanto riguarda specificamente l'ap-
porto all'Argentina, il Piemonte è stato il maggior contribuente,
con 321.822 unità dal 1876 al 1914. L'intensità dell'esodo dei pie-
montesi è stata maggiore nel secondo decennio (1886-1895) con
92.000 emigranti verso l'Argentina (contro i 39.000 nel decenni
1876-85),seguiti dagli 81.000 piemontesi diretti in Argentina nel
decennio 1896-1905 e dagli oltre 108.000 nel decennio de1l"'allu-
vione" emigratona 1906-14. L'esodo ha interessato soprattutto le
alte valli e le zone montane depressel3. La dimensione "sabaud
dell'emigrazione italiana in Argentina è importante per spiegar
caratteri dell'azione dei primi salesiani in rapporto alle condizio
culturali e sociali degli emigrantii4.
I1 particolare rapporto di vicinanza affettiva tra Argentina e It
lia, Piemonte in particolare, è avvertito da don Bosco in va
occasioni. Sorprende soprattutto la sua conoscenza del mo
associativo e mutualistico italiano in Argentina, al quale
intende manifestare solidarietà.
I1 12 marzo 1865 egli diventava socio effettivo "ne' doveri s
za poter godere di diritto alcuno" della società di mutuo socco
Unione e Benevolenza di Rosario; "dippiù ci rimetteva c
Testamento suo, dove nominò la Società come esecutrice d
ultime disposizioni", annotava il presidente Caffarena15.
ancora dell'approvazione definitiva della sua società religi
come congregazione di voti semplici (1 marzo 1869), don Bos
spnmeva questo singolare legame con gli emigranti, rotto solo
e1 febbraio 1870, quando egli veniva cancellato per non aver più
la quota. È probabile tuttavia che sulla decisione del Con-
@io abbia influito anche l'acuirsi della questione romana. Del
t0 don Bosco veniva a conoscere in quegli anni (1871) il ligure
zzolo, da POCO console argentino a Savona, e principale orga-
ZatOre pratico dell'andata dei salesiani in Argentina, il quale 10
etteva in collegamento con la confraternita "Mater Misericor-
iae" di Buenos Aires, come si vedrà più avanti. 11 particolare
ame tra Argentina e salesiani si è poi rafforzato attraverso Ie
enni visite del vescovo di Buenos Aires e del suo segretano a
nno, che assumono un'importanza singolare nei resoconti sale-
0n BOSCOsi è occupato degli emigranti ancor prima che f'eso-
sumesse le caratteristiche di massa di fine del secolo e (come
etto) perfino prima che iniziassero le rilevazioni annuali ita-
ne sul fenomeno migratono. Ma egli era sufficientemente infor-
sto def fenomeno attraverso le sue frequenti visite di comunità
e1 territorio ligure e piemontese che alimentavano l'emigrazione
rso la conoscenza delle famiglie dei primi salesiani che
vari parenti in Argentina, dove si erano recati anche ex
unni dell'oratorio (don Tomatis vi ritrovò il padre credito
orto; don Fagnano aveva due fratelli in Argentina; don Bodratto
cognato; don Baccino i fratelli a Montevideo, tanto per accen-
ai primi religiosi inviati in quella repubblica)l7. Anche il pri-
ensimento degli italiani all'estero, realizzato nel 1871, su una
istenza di circa mezzo milione di emigrati italiani, accertava
senza di circa 50 mila italiani a Buenos Aires (in prevalenza
, quasi la metà, e per circa il 78% dall'Alta 1talia)Is.
impegno missionario di don Bosco a favore degli emi-
parole di don BOSCO al commosso e volutamente solenne

15.9 Page 149

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addio ai partenti, l'l 1 dicembre 1875, risuonavano (e sono sempre
state interpretate così) come programma vincolante per i salesiani
diretti in Argentina:
"Vi raccomando con insistenza particolare la posizione dolorosa di molte
famiglie italiane, che numerose vivono in quelle città e in quei paesi e in
mezzo alle stesse campagne. I genitori, la loro figliuolanza poco istmita
della lingua e dei costumi dei luoghi, lontani dalle scuole e dalle chiese, o
non vanno alle pratiche religiose o se ci vanno nulla capiscono. Perciò mi
scrivono, che voi troverete rui numero grandissimo di fanciulli e anche di
adulti che vivono nella più deplorevole ignoranza del leggere, dello scrive-
re e di ogni principio religioso. Andate, cercate questi nostri fratelli, cui la
miseria o sventura uortò in terra straniera, e adoperatevi per far loro
~~~
~
~
~
quantosia grande la misericordia di quel Dio, che ad essi vi
manda pel bene delle loro animenig.
h motivazioni ideali che spinsero don Bosco a scegliere l'Ar-
gentina furono di carattere indubbiamente apostoiico e missiona-
no, tosi come le circostanze concrete furono d'ordine pratico e
strategico, Come osserva opportunamente Pietro Stella, l'andata
dei salesiani fuori dal Piemonte era nella logica dei fatti, ad aPPro-
vazione pontificia ottenuta, dato l'enorme carisma personale di
don
su persone di ogni condizione sociale ed ambiente, in
ltalia e all'estero20. La spinta missionaria, che pervadeva la Chie-
sa cattolica dopo il Concilio Vaticano I, era una sorta di abito
mentale che accompagnava tutte le nuove istituzioni religiose e
che non sfuggiva ai luoghi comuni del "selvaggio" da evangelizza-
re. corizzonte missionario, pur illuminato da sogni e presagi, si
presentava assai indifferenziato: vi si potevano confondere 0
sovrappome India, Cina, Australia o America, ma vi dovevano
brillare, in ogni caso, le virtù evangeliche, bagaglio indispensabile
del missionario per rendere feconda la sua opera in mezzo al1
immancabili difficoltà.
Don BOSCO aveva ricevuto numerose sollecitazioni per inviare
suoi
in India, Cina, Stati Uniti (dal vescovo domenicano
S. Francis~d, a p. ~ o h nBertazzi di Savamah; a Pio IX parlava
una prossima casa per fanciulli poveri a Hong K ~ n g ) ~M' .a
doveva compiere una scelta oculata che coniugasse lo sbocco mis
nano finalecon garanzie di stabilità e di azione più immediata. E l
proposte che venivano dalle colonie argentine (la possibilità di una
scuola a S. Nicolas) sembravano andare in quella direzione.
Questo stretto collegamento tra istanze diverse, quella missio-
naria classica, più remota nel tempo, e quella più immediata, con-
centrata nella scuola, è avvalorata anche dai primi biografi di don
Bosco: questi, secondo don Lemoyne, "invece che andare difilata-
mente in mezzo alle tribù selvagge... giudicava miglior consiglio
stabilire collegi e ospizi in paesi limitrofi, ricevervi anche figli
della foresta per conoscere lingua, usi e costumi degli Indi"22.
L'opzione per l'assistenza agli emigranti rispetto alle altre mete
proposte (Indie, Australia, Patagonia) è spiegata esplicitamente da
don Tnone, nel 1906, come scelta preferenziale:
'11 venire a conoscere i gravi bisogni di molti Italiani emigrati alp~rgen-
astò Per preferire questa ospitale repubblica, ove i suoi figlifecero
amente le prime armi, prima di muovere alle conquiste della pa@-
3.
Lo stesso don BOSCO, informando i giovani nel maggio 1875 dei
tatti presi e delle possibilità che si aprivano in Argentina,
ava l'iniziativa in prospettiva più ampia di contributo
e alla società locale:
Ci vogliono predicatori, perché si hanno chiese pubbliche da funzionare;
vogliono professori per le scuole; ci vogliono cantanti e suonatori,per-
é si ama tanto la musica... E quel che è più, miei cari figliuoli,si è
nesto. Poco hngi da S. Nicolas cominciano le stazioni delle hbù selvag-
, le quali però sono d'indole molto buona e molti di essi dimostranogià
uona intenzione di abbracciare il Cristianesimon24.
è vero, come osserva lo Stella, che don Bosco pensava e
ava le missioni "nel senso più stretto, in partibus infide[iun?e,
e1 senso più romantico di allora: tra popoli crudeli e selvaggi, che
]tino quasi il
l'emigrazione
desiderio del martirio"25, fu
il tramite naturale per giungere
in
alle
missiolnai.,,ciai
anno alcuni anni, dopo tentativi di contatto, per amivare ai
agoni, finalmente identificati attraverso i presagi come i desti-
tari dell'evangelizzazione salesiana; ma dopo che i salesiani
vevano Ottenuto Una solenne sanzione del loro apostolato nella

15.10 Page 150

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difficile città bonaerense e il loro stile missionari0 moderno era
stato universalmente apprezzato, anche da parte delle autorità
civili che avrebbero dovuto accompagnare la loro penetrazione
missionaria nella Patagoniaz6.
11 banco di prova necessario dell'azione missionaria verso l'in-
temo fu dunque l'emigrazione italiana, la più bisognosa, abbando-
nata e difficile,ma anche la più culturalmente vicina. Questo dato
antropologico merita di essere sottolineato per la sua valenza mis-
siologica, perché colloca l'assistenza agli emigranti nell'ottica
dell'impegno missionario. Del resto, avrebbe Potuto apparire
come una controtestimonianza da parte dei salesiani non rivolger-
si ai "toro" correiigionari,minacciati di perdere la fede, per arida-
re presso popolazioni primitive dove l'inculturazione religiosa
poneva a loro e ai destinataci problemi ancora più rilevanti. Come
affermerà, dopo pochi mesi, l'interprete più lucido delle volontà
di don BOSCOd,on Cagliero, "urge più la missione tra gli italiani
che tra gli indios"Z7.
una interpretazione ufficialedel pensiero di don BOSCO,
pochi mesi prima della sua morte, il n. di ottobre 1887 del "Bel-
lettino salesiano" presentava l'assistenza agli italiani all'estero
come un dovere per don Bosco, un mandato particolare e imnun-
ciabile:
"Non come uno il quale creda solamente di compiere un'opera buona e di
esercitare un atto di carità dettato dal cuore, ma come uno che è persuaso
essere questo uno stretto suo obbligo, essere questa la sua missione affidatagli
dal Supremo Pastore deUa Chiesa, missione che esso deve immancabilmente
compiere, e della quale il Signore gli chiederà ragione. Ma ciò non è che il
principio di un'impresa che a noi Italiani deve essere carissima. Sono sangue
nostro, fratelli nostri coloro che noi vediamo tutti i giorni avviarsi a quelle
terre lontane, vittime sovente di indegni speculatori...".
L'estendersi delle missioni, per le quali si chiedeva aiuto ai coo-
peratori, era visto anche come un modo di precedere gli immigra-
ti, cosi che ad accoglierli ci fosse già un missionario italiano con
strutture adatte: le missioni, già awiate per gli indigeni, potevano
diventare strumento per la salvezza degli emigrati.
"Perciò il Missionario deve precederli per aspettarli dove ancora non sono, o
raggiungerli dove essi hanno incominciato a bagnare COI loro sudore e
colle lagrime una terra che fa loro desiderare la patria abbandonata3,E, il
medesimo affiatomissionario abbracciava confini ampi e indifferenziati
in cui "sorgono nuove tribù seivaggie,nuove moltitudini di italiani e spe-
cialmente di fanciulli abbandonati che invocano il nostro soccorsoVz8.
La continuità culturale e ambientale nella scelta di don B~~~ è
Stata sottolineata nella stonografia salesiana.
"Se egli (don Bosco) si risolse a mandare i salesiani in Argentina e non
altrove, fu probabilmente perché vari elementi gli davano motivo di ape-
rare e di agire; per esempio, il fatto che i suoi non si sarebbero trovati
isolati, ma tra amici, tra connazionali, presso i quali si sarebbe potuto
ostituire un clima analogo a quello della patria lasciata, allorché le circo-
tanze lo avessero richiesto, cioè quando si sarebbe fatta sentire la stan-
hezza per il troppo lavoro e la nostaIgiam29.
Ma a questi fattori di vicinanza paesana e di sostegno affettivo
aggiungono ragioni più intime di evangelizzazione del "prassi-
0" per vicinanza cultura1e.e per doveri di solidarietà.
I frutti non tardarono a venire proprio nella comunità italiana,
mprowisamente ridestata alla vita religiosa. Lo stesso fiorire del-
le vocazioni religiose, che ha accompagnato il sorprendente svi-
-- luppo della società salesiana nel nuovo mond~ o-,. e.-r.a. -in-- r-ealt; In
risposta dei figli degli emigrati italiani e spagnoli. Ancora dopo
vari anni di lavoro tra i patagones, don Tomatis poteva scrivere a
riguardo delle attese vocazioni indigene: "Stiamo peggio che in
terra d'infedeli"30. I frutti vocazionali di don Baccino a Buenos
Aires venivano dai discendenti di genovesi e già nel 1876 a S.
Nicolas, come informava don Tomatis, "i nostri cooperatori sale-
siani di S. Nicolàs sono già più di venti; la maggior parte sono
ieneisi de Jena (Genova)"31. A don Baccino, direttore spirituale
della "Mater Misericordiae", tutto parlava di Genova e della sua
avona: anche i confratelli più zelanti erano genovesi, cosi come i
attivi nel contribuire al sostentamento dei collegi appena
vviati erano gli italiani32.
Questa potenzialità missionaria verso i gruppi etnici europei
non è passata inavvertita all'interno della società salesiana~. s,-e- -il-
neo-salesiano Patrizio O'Grady, in una comspondenza sulla festa

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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di S. Patrizio in una colonia irlandese presso S. Nicolas, poteva
proporre a don Bosco di fondare colà un Collegio irlandese-argen-
tino per l'assistenza agli irlandesi in quella repubblica33.
In sostanza, anche ammesso che il progetto missionario di don
Bosco l'orientasse a scegliere S. Nicolas e Buenos Aires solo come
basi strategiche per la penetrazione dell'interno, di fatto quelle
prime posizioni si rivelarono pienamente adatte per un'azione
missionaria stabile e di ampia portata per la società salesiana; ad
essa si ripresentavano molti degli orizzonti che si erano apeni,
qualche decennio prima, a Torino, di fronte ai fenomeni di espan-
sione urbano-industriale della città.
Per quanto riguarda lo slancio missionario che ha accompagna-
to le prime spedizioni di salesiani in Argentina, non c'è bisogno di
illustrarlo tanto è stato profondamente avvertito in tutti i suoi
membri e collaboratori, al punto da propagarsi come febbre tra i
giovani a Torino ("In questo momento, se dessi libertà, tutti i
salesiani volerebbero presso Buenos Aires", scriveva don Bosco a
Cagliero nel febbraio 1876)34. Le comspondenze dei missionari
pubblicate sul "Bollettino Salesiano" e pubblicizzate in svariate
maniere erano destinate a suscitare grande entusiasmo35. Quanto
don Bosco tenesse in considerazione l'inizio missionario lo si
arguisce dal fatto che egli si sia privato di alcuni dei suoi più
validi elementi, tanto da dar l'impressione che senza di loro il
normale funzionamento a Torino sarebbe stato compromesso.
L'impostazione missionaria è rigorosamente inquadrata da don
Bosco nel mandato apostolico del Signore: "Andate per tutto il
mondo e predicate" e del suo vicario ("appena si cominciò a par-
lare di questa Missione, subito si interrogò la mente del Capo
della Chiesa e tutte le cose si fecero con piena intelligenza di Sua
Santità; i nostri Missionari, prima di partire per la loro Missione,
si recarono ad ossequiare il Vicario di Gesù Cristo per prendere la
sua Apostolica benedizione"); l'invio da parte del -Papa doveva
essere chiaro in modo da garantire una costruttiva impostazione
pastorale d'intesa con la gerarchia locale36.
4. La situazione degli italiani in Argentina
Gli italiani in Argentina, nonostante alcune fasce di povertà,
soprattutto nelle zone interne, e gli insuccessi che hanno sempre
accompagnato la vicenda migratona, hanno presto costituito una
comunità ben integrata dal punto di vista economico (non sor-
prende che il primo libro di successo dedicato all'emigrazione
riguardi l'Argentina)37, meno dal punto di vista politico e soprat-
tutto religioso.
È importante conoscere la fisionomia della comunità italiana in
Argentina con la quale si sono confrontati i primi salesiani nel
1875. Durante il periodo risorgimentale si erano rifugiati in Ar-
gentina, insieme all'emigrazione di lavoro, numerosi esuli politici
coinvolti nelle lotte per l'unità italiana. Soprattutto dopo la fine
della Repubblica romana (1849),gli esuli mazziniani erano aauiti
più numerosi ed erano divenuti i Ieaders della comunità italia-
na38. I1 loro orientamento era decisamente anticlericale, spesso in
forme viscerali e aggressive, come avveniva allora nella lotta poli-
tico-religiosa in Italia (l'anno prima dell'arrivo dei salesiani un
gruppo di faziosi proveniente da La Boca aveva appiccato il fuoco
al Collegio del Salvador dei gesuiti e aveva preso a sassate l'epi-
L'egemonia mazziniana nella comunità italiana è durata a lun-
o incontrastata; ma già con il compimento dell'unità d'Italia si
ncominciavano a notare le prime spaccature. Le istituzioni mu-
istiche italiane, allora molto numerose (oltre un centinaio),
ivano indotte, spesso su iniziativa dei consoli italiani, a pro-
e un troncone monarchico staccato dall'originario nucleo re-
pubblicano (per esempio, dall'influente società di mutuo soccorso
Unione e Benevolenza, nata nel 1858, si staccava nel 1861 La
NazionaleItaliana, di matrice monarchica)39. I1 duraturo successo
dell'ideologia mazziniana non dipendeva soltanto dal peso, indi-
usso, che avevano gli esuli repubblicani nella comunità italiana
Argentina, quanto piuttosto - come osservano G. Dore e F.
voto - dalla notevole funzionalità del credo mazziniano ri-
tto alle stesse aspirazioni delle correnti politiche argentine,

16.2 Page 152

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nonché agli interessi sociali ed economici della piccola borghesia
urbana40.
Ma con la presa di Roma e, poco dopo, con la morte di Mazzini
(1872),incominciavano a manifestarsii segni del declino del grup-
po mazziniano, che tuttavia controllava ancora tutte le più impor-
tanti istituzioni italiane a Buenos Aires41.
La bandiera attorno a cui l'élite italiana riusciva a mobilitare la
comunità era l'anticlericalismo, la data simbolo il XX settembre e
i nomi sacri Mazzini e Garibaldi. L'ideologia mazziniana si faccva
portatrice, nonostante un certo universalismo, anche del vessillo
della "italianità", soprattutto attraverso i giornali "coloniali" del-
la borghesia urbana rappresentati da "La Patria degli Italiani",
fondata nel 1876, come "La Patria". Quelle istanze implicavano
in sostanza, nella loro accezione corrente, una certa superiorità
della civiltà europea rispetto a quella locale e favorivano un
distacco dalla politica argentina e alcuni atteggiamentidi separati-
smo culturale e politico42, che confluiranno più tardi nel naziona-
lismo italiano all'estero.
Uno dei fattori che indubbiamente influì sul ridimensionamen-
to della élite mazziniana fu l'amvo dei salesiani e il loro imme-
diato inserimento nel vivo dei problemi della comunità italiana:
sacerdoti zelanti, tutti giovani e dinamici, intellettualmente pre-
parati, in grado di controbattere le offensive anticlericali,sapeva-
no farsi apprezzare soprattutto per la loro azione a favore dei
meno abbienti e della gioventù, che risultava un campo del tutto
aperto e ricco di promettenti sviluppi. Lo scontro tra l'élite laica e
i salesianisi verificòsu vari fronti: quello delle istituzioni di carat-
tere mutualistico e assistenziale, della stampa, ma soprattutto del-
- la scuola che, pur non rivolta esclusivamente secondo l'impo-
- stazione dei salesiani ai figli degli italiani, era destinata di fatto
ad accogliere soprattutto loro.
I salesiani erano gli unici a contrastare l'influenza mazziniana
sulla comunità italiana, anche perché potevano godere - oltre che
delle stime e dell'appoggio del governo argentino per l'azione civi-
lizzatrice in Patagonia - anche dell'appoggio del governo italia-
no, seppur non sempre consistente: l'amicizia di don Bosco con il
marchese Spinola,ambasciatore d'Italia in Argentina, consider
estimatore della causa salesiana, favori certamente la loro esp
sione in Argentina e il successo in seno alla comunità italiana
I salesiani avevano, quindi, le carte in regola per impostare u
incisiva azione a livello religioso, dal momento che questo
l'aspetto più trascurato per le ragioni indicate: carenza di clero e
luoghi di culto, scarsa preparazione religiosa di base di buona p
te degli emigranti, grandi distanze e condizioni particolari di
ambiente che in ogni caso, tende "a inselvatichire chi viene
li inizi dell'azione pastorale salesiana tra gli italiani
'avvio della presenza pastorale tra gli emigrati italiani
gentina è il risultato di forze concomitanti, nelle quali occu
uno spazio particolare, e non solo nella memorialistica sales
, i primi collaboratori dei salesiani: tra questi figurano eccles
stici, don Pietro Ceccarelli, oltre mons. F. Aneiros (venerato d
esimi come secondo "padre" in Argentina), laici, come
nitez di S. Nicolas e Giovanni Battista Gazzolo, genovese div
t0 poi console argentino a Savona, e istituzioni, come la conf
'ta italiana della "Mater Misericordiae" con l'annessa "Ca
degli italiani", che risulterà essere in effetti la "cull
azione salesiana in Argentina45.
o centrale va attribuito a don Pietro Ceccarelli, atti
o modenese, rappresentante di quella non esigua sch
ti preti italiani, parroco di San Nicolas. Egli ave
nosciuto don Bosco nel 1867 o 6846, era rimasto ammirato de
a personalità e delle sue iniziative e si era poi adoperato p
endere possibile la venuta dei salesiani in Argentina: con i co
ti e le sollecitazioni nei riguardi del vescovo Aneiros, con
disposizione di una istituzione scolastica adatta ("tutto por
pratica, per dilatare questa benedetta Congregazione utilissim
tutte le parti, però necessarissima in America, che muore
me, per la educazione soda, cattolica romana3')47,con il pag

16.3 Page 153

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mento di cinque viaggi di altrettanti missionari e con l'ospitalità
data a S. Nicolas ai primi salesiani, nonostante alcune carenze
logistiche.
Del console Gazzolo appare indiscussa la devozione e l'affetto
verso don Bosco, cosi come l'appoggio dato alla nascente missio-
ne (accompagnò personalmente i primi 10 partenti); ma alcuni
aspetti della sua personalità rimangono ambigui, come l'eccessivo
zelo nel procacciare emigranti per l'Argentina a Savona48, l'intrec-
cio dei suoi interessi con l'espansione dei salesiani a Buenos Aires
e con la "Mater Misericordiae"49.
Le istanze dell'emigrazione italiana ebbero il sopravvento
quando i salesiani stavano per giungere a Buenos Aires: l'abban-
dono religioso in cui si trovavano gli italiani della capitale e la
necessità di risolvere alcuni inconvenienti sorti con la confraterni-
ta "Mater Misericordiae" indussero l'arcivescovo a trattenere
metà dei salesiani a Buenos Aires ("i Missionari si pensavano che
li aspettasse soltanto un pied-à-terre a Buenos Aues, per ripartire
tosto alla volta di S. Nicolas; ma l'arcivescovo aveva disposto che
stabilissero anche una residenza nella città, assumendosi il servi-
zio della chiesa di Mater Misericordiae,detta Iglesia de 10s Itaiia-
aos")*O.
La fermata dei salesiani a Buenos Aires fu provvidenziale; con
una sede stabile fu possibile, nel giro di pochi mesi di permanen-
za, gettare le basi della loro attività anche per l'assistenza agli ita-
Iiani. Già nel 1876 veniva aperto l'oratorio per i ragazzi e poteva
essere avviata una scuola di arti e mestieri per fanciulli poveri e
orfani (per l'epidemia dell'anno precedente). L'istituzione, su ini-
ziativa congiunta con le conferenze di S. Vincenzo (attraverso una
"Convenzionelacunosa"tra Cagliero e il presidente Eduardo Car-
ranza) trovò sede in una casa presa in affitto non lontano dalla
- "Mater Misericordiae" - non a fianco per le divergenze con Gaz-
zolo e poteva accogliere i primi 50 ragazzi51. Ma già dal con-
tatto con la comunità italiana della capitale, sorgeva l'esigenza d
un apostolato nel quartiere abitato quasi esclusivamente da loro,
La Boca, e che si era guadagnato una triste nomea (da li erano
partiti nel 1874 gli incendiari del collegio dei gesuiti: renitenti,
repubblicani e anarchici avevano accentuato il carattere di indi-
pendenza del barrio, che nel 1871 aveva perfino rifiutato il censi-
mento promosso dal console ita1iano)sz.
Sfidando il divieto del vescovo, don Cagliero aveva visitato il
quartiere di La Boca ("Io non ci sono mai andato e non permetto
a nessuno dei miei preti di andar colà perché sarebbe un esporsi a
gravi pericoli, fino a essere presi a sassate" - gli dirà il vesco-
vo)53; ed era così riuscito ad ottenere l'incarico pastorale di quella
zona difficile ("Giacché lei è così pertinace a voler andare a La
Boca, io le darò quella parrocchia, dove fino ad oggi non fu pos-
sibile stabilire l'esercizio del culto e del sacro ministero"). L'accet-
tazione di Cagliero, a nome di don Bosco, si richiama al mandato
originario: proprio per questi nostri Italiani e figli d'Italiani
che don Bosco ci ha mandati. In nome del nostro Fondatore e
Padre io rendo grazie a Vostra Eccellenza e comunicherò a Torino
il bel regalo che ci vuol fare"54. In realtà, don Cagtiero aveva poco
prima espresso a don Bosco l'opinione che era indispensabile a
Buenos Aires una congregazione che si occupasse degli italianiss;
egli, che pur sarà pochi anni dopo vicario apostolico in Patagonia,
riteneva allora la missione tra i compatrioti tanto utile quanto
quella tra gli indios della Patagonia56. In effetti, si può affermare
che, in meno di un ventennio, verrà portata a termine l'opera di
ricattolicizzazione de La Boca e nell'altra parrocchia di San
I1 primo problema che si poneva ai salesiani era di censire,
almeno con una certa approssimazione, la consistenza e distrihu-
zione degli italiani nella zona di Buenos Aires, per poter program-
mare meglio la propria azione pastorale. I risultati dell'indagine
esplorativa portarono alla conclusione che gli italiani erano gran-
demente dispersi suun vasto temtono, per cui era comprensibile
l'abbandono delle pratiche religiose per la lontananza dalle chiese.
Anche i problemi della comunicazione non erano marginali e si
ravavano nelle campagne. La stessa conoscenza del castellano
parte degli emigrati si limitava a poche frasi convenzionali e
mpediva una regolare frequenza ai sacramenti57. I1 tono delle pri-
elazioni appare demoralizzato per quanto riguarda la situa-
i imponeva quindi l'esigenza di condurre missioni popolari

16.4 Page 154

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volanti nelle zone rurali interne attraverso visite periodiche alle
colonie; questa azione a largo raggio permetteva un recupero reli-
gioso assai efficace e concentrato nel tempo (amministrazione di
battesimi, matrimoni, confessioni, istruzioni religiose) e permette-
va alla Chiesa, in un ambiente dove il suo molo era indiscusso, di
valorizzare la sua centralità nell'ambito delle relazioni sociali,
lasciando un'impronta e orientamenti più incisivi nei modelli di
vita58. Per i salesiani si verificava un'altra piacevole sorpresa nella
penetrazione della pampa; era possibile, cioè, avvicinare con buo-
ni risultati gli indios in occasione delle visite alle colonie rurali
degli immigrati. Dopo alcuni mesi di queste missioni volanti, don
Cagliero aveva una conferma della bontà della strategia adottata:
a don Bosco confidava che "sarebbe stato un vero sumere panem
filiorum et mittere canibus il non averci occupato degli italiani.
Finora mi hanno commosso più gli indianizzati che gli in-
dios"59.
La storia dell'assistenza religiosa agli italiani della capitale è
strettamente legata alle vicende della confraternita "Mater Miseri-
cordiae" e deiia sua chiesa, inaugurata da pochi anni (1871). La
confraternita, fondata nel 1855, era nata secondo il classico m0
dello del trasferimento di una sacra immagine ad opera degli
granti: la venerata effigie della Madonna della Misericordia
Savona. Eretta canonicamente nel 1867, con l'approvazione d
vescovo, aveva subito avviato la costruzione di una vasta cappe1
la, ben presto denominata Chiesa degli italiani. Ma le vicend
interne della confraternita ritraevano bene la condizione di co
flittualità di molte istituzioni italiane all'estero; le lotte interne tr
confratelli non avevano tardato a manifestarsi perfino con accus
di affiliazionemassonica, e il rapporto con i due cappellani fin
ad allora avuti, di cui uno destituito dal vescovo, era stato tutt'
tro che soddisfacente.
Affidata provvisoriamente la cappellania a don Cagliero 1
confraternita troverà in don Baccino, nominato direttore spiri
le, il sacerdote zelante che saprà imprimere la svolta decisiva
sua rinascita religiosa. Sono rimaste memorabili nella letteratur
salesiana le giornate di questo sacerdote (rapito presto all'affet
dei suoi italiani, dopo meno di due anni di apostolato) passate t
il confessionale, te sacre funzioni e la dedizione alla gioventù60. I
risultati erano inaspettati e commoventi: fedeli che venivano da
oltre 30 leghe viaggiando a cavallo o su carretti per potersi acco-
Stare ai sacramenti e tutta la vita liturgica rinata a nuova vitalità
("I1 giorno di Pasqua la nostra chiesa italiana era stipata di uomini
e di donne per compiere il precetto pasquale, e quattro confessori
ebbero da lavorare tutto il mattino"f61.
Ma rimaneva da risolvere il problema di fondo nei riguardi della
confraternita: cioè la natura e le clausole deli'affidamento della Chie-
sa, che i salesiani volevano in uso dali'wcivescovo senza condiziona-
menti, per non apparire stipendiati o vincolati neiia loro azione.
L'accordo fu laboriosoe non eliminò del tutto attriti ed equivoci; nel
testo redatto da Baccino nel mano 1876, visto e approvato da don
Bosco, si garantiva l'impegno dei salesiani verso "gli italiani residen-
ti in Buenos Aires [che] saranno cura ed oggetto speciale dei P.P.
Salesiani, i quali perciò ai loro fratelli nazionali prodigheranno le
prime sollecitudini del loro ministero sacerdotale"(art. 8); e all'art. 9
si affermava che "essendo scopo principale di loro, la educazione
civile, morale e religiosa dei fanciulli, eglino si prenderanno cura
particolare dei fanciulli Itaiiani"62.
Una volta sanata la questione dell'accordo (ma quello definiti-
vo sarà siglato solo nel 1936),rimaneva da portare all'interno del-
la confraternita quel clima di rinnovamento religioso che stava
vivendo la comunità italiana. Di fronte alla diserzione del precet-
t0 pasquale da parte di numerosi membri, don Cagliero pensò.di
eliminare gli indesiderabili, filomassoni o ritenuti tali (che aveva-
creato noie anche all'arcivescovo), con mano ferma e un po'
rigativa. Fatto approvare dall'arcivescovo un nuovo regolamen-
, in cui si obbligava alla comprova dell'adempimento del pre-
tto pasquale, egli compiva nell'agosto-settembre la "purga" di
en 500 confratelli (su circa 600). Don Bosco rimase un po' allar-
dalla cosa, ricevendo allora notizia di disordini che ncollegò
eamente alla vicenda: "I1 fatto della espulsione dei 500 è
rave; in ciò va adagio e tienti a parte quanto è possibili"63.
gliero lo assicurava di non aver fatto lui, ma di aver fatto

16.5 Page 155

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Divenuti così padroni del campo, i salesiani potevano Ottener
l'amministrazione della chiesa e garantirsi una linea di rinnov
mento solidale con l'elezione del nuovo priore Romolo Finocchi
cattolico "tutto d'un pezzo, che non aveva nessunissima paura d
massoni", e la rielezione dell'intero Consigli06~.
6. I1 modello della penetrazione
Molti confratelli della "Mater Misericordiae", venivano sollec
tati a farsi cooperatori salesiani. Così quando, alla fine del 1877,
don Costamagna giungeva a Buenos Aires, poteva scrivere a don
Bosco:
"avvi qui una scelta di Confratelli della Misericordia, quasi tutti Cooper
tori Salesiani, i quali ogni mattina assai per tempo vengono alla 1. Mes
dicono forte le loro orazioni ed il S. Rosario e fan la loro Comunione, al
sera poi intervengono di nuovo e cantan lodi alla "Mater Misericordiae"
le ripetono di nuovo il S. Rosario. Ma le loro preghiere son fatte cosi
riinri. m ..=.-i.l .I.n-r.ovesteriore i-. s-ì- d--evoto"6s'.
Si comprende allora come da questo nucleo della "Mater Mise
ricordiae" - e da quelli coltivati nelle parrocchie della capitale -
così selezionati, religiosamente ben preparati e vicini alle posizio
ni dei salesiani, siano partite negli anni successivi numerosissi
iniziative religiose, assistenziali,culturali e politiche a favore de
italiani in Argentina. Tanto per accennare ad alcune, da li part
l'istituzione del "Secretariato del popolo per gli immigrati" ne
1906, l'organizzazione dei pellegrinaggi degli italiani alla Mado
na di Lujàn (promossi dal confratello Domenico Repetto, pre
dente anche della Società Cattolica Popolare Italiana di mut
soccorso) e perfino il tentativo di impiantare in Argentina l'esp
rimento politico del Partito Popolare Italiano attraverso il Segre
tariato Italo-Argentino, nel 192066.
Importante è stato il contributo dato dal gruppo di laici anima
dai salesiani al movimento operaio di ispirazione cristiana e ali
elaborazione di una legislazione operaia, soprattutto a partire da
la divulgazione della Rerum Novarum, attraverso il moviment
dei Circoli Cattolici Operai (1895), costituiti prevalentemente da
italiani. Gli obiettivi di questi circoli cattolici erano più ampi; si
riproponevano anche scopi di mutualità, di istruzione e di svago
con l'intento di allontanare i cattolici dai pericoli delle società di
resistenza laiche. Nello stessoambito va collocata l'istituzione
della Secretaria del Trabajo ad opera del I1 Congresso Cattolico
Argentino (1906) con l'intento di sottrarre i conflitti di lavoro al
"monopolio delle società sovversive dell'ordine morale, religioso
e pubblico". I1 problema dell'informazione dei nuovi arrivati
diventava prioritario al fine di realizzare un collocamento a con-
dizioni eque e vantaggiose67.
Alla morte di don Bosco, i salesiani si erano ormai affermati in
- Argentina e avevano saputo avvalersi, anche per l'assistenza agli
emigranti, degli strumenti più adatti ad un apostolato moderno:
unitamente a chiese e parrocchie (avevano due parrocchie nella
capitale, S. Carlos e S. Juan Evangelista, popolate prevalentemen-
te da italiani, oltre alla Cappella "Mater Misericordiae"), scuole e
istituti professionali (4 scuole, di cui la prima a S. Nicolis de 10s
Arroyos, due a Buenos Aires e una a La Plata), giornali, patronati,
ssociazioni di vario genere (di mutuo soccorsoe cooperative)e si
rano impegnati anche in p- ro-getti di colonizzazione aericola
Il'interno a-favore degli italiani68.
All'inizio del Novecento, la vita religiosa della comunità italia-
a di Buenos Aires appariva intensa e vivace, come risulta da un
apporto del successore di Aneiros, mons. Antonio M. Espinoza
uando la diocesi contava 265 mila italiani - più di molte dio-
si italiane -, oltre 122 mila spagnoli, circa 30 mila francesi e
oche migliaia appartenenti ad altre comunità etniche)@.I sale-
i (con 43 sacerdoti) svolgevano l'assistenza religiosa specifica
gli italiani, che sentivano come i propri fedeli, in 11 chiese
bliche e semipubbliche. La predicazione in italiano avveniva
le chiese di San Carlos, di San Juan Evangelista e "Mater Mise-
ordiae". Le missioni annuali erano compiute nelle stesse ed in
e chiese, anche non frequentate da soli italiani, come nella par-
hia di S. Lucia, Balvanera, N.S. de Guadalupe, San Telmo,
Cristobal e la Capilla del Carmen. Anche il catechismo veni-
insegnato dai salesiani ai figli degli italiani, usando il testo ita-

16.6 Page 156

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liano del catechismo di Pio X, e venivano organizzate le "gare
catechistiche". Gli oratori festivi dei salesiani e delle suore sale-
siane riunivano ogni domenica circa 2.500 ragazzi di famiglie ita-
liane, alternando i giochi all'istruzione re1igiosa7O.
Per quanto riguarda l'aspetto devozionale e le manifestazion
tipiche della religiosità popolare, quali le processioni, le più im-
portanti avvenivano in occasione del Corpus Domini nella pamoc-
chia di San Carlos e a La Boca e alla prima domenica di ottobre
alla "Mater Misericordiae".
"Quelle manifestazioni sono davvero splendide, poichè é allora che i Sal
siani organizzano le attività delle centinaia di bambini e di bambine
loro colle-ei,. vestendone moltissimi da angeli o da cardinali, dando alla
cenrnonia un tocco spettacolare. Poichè nessun collegio salesiano é pnvo
di una banda musicale, i loro atti pubblici, oltre che espressione di devo-
zione, sono veramente arti~tici"'~.
Le feste religiose costituivano senz'altro l'aspetto più appari-
scente, ma anche socialmente dinamico per la preparazione e par-
tecipazione popolare. Quelle più importanti, per la comunità ita-
liana della capitale, erano la festa di S. Antonio, preceduta da una
novena in italiano, Il Bambino, cioè la novena di Natale, le feste
di N.S. del Carmen, del Cristo di Sestn, della Madonna di Corsi-
gnano, della Valle, N.S. del Rosario, N.S. di Pompei, della Guar-
dia in Polc-e.vere, S. Costanzo, S. Lucia, S. Michele, S. Rocco e
varie altre'.'.
7. La diffusione della scuola cattolica tra gli italiani i
Argentina
Un campo in cui l'opera dei salesiani è risultata più efficace
partire dalla prima scuola di arti e mestieri del 1876, fu indubbi
mente il settore scolastico e formativo.
Anche in Argentina l'iniziativa privata, soprattutto delle C 0
nità immigrate più organizzate, ha preceduto lo stato. Nel 1881
italiani, che già avevano avviato dal 1866 diverse scuole ne
capitale e fuori - e dal 1876 anche le prime scuole femminili -
ad opera soprattutto delle società di mutuo soccorso, erano riusci-
ti a celebrare il primo Congresso Pedagogico Italiano, promosso
dai consigli d'istruzione delle cinque società della capitale con il
atrocinio di due giornali italiani, La Patria Italiana e L'Operaio
aliano. L'anno precedente si erano levate critiche contro la dif-
sione e i metodi delle scuole italiane; Faustino Sarmiento giunse
opome di chiuderle per la loro educazione antinazionale, per-
"con metodos ingratos quisieran extraviar la nifiez de la
acionalidad"73.
11C O ~ ~ ~PeSdaSgoOgico Italiano, oltre che rispondere alle criti-
e, favori un rilancio d'interesse per la scuola italiana, aiutò a
efinire una linea pedagogica che sanzionava l'educazione "mi-
sta", cioè bilingue, con priorità dell'italiano, e misure di carattere
e c ~ n ~ m i ~ ~ - a m m i n i ~ tÈr aitnitver~es.sante notare che, da parte
loro, le scuole salesiane avevano fin dall'inizio impostato la scola-
zzazione utilizzando la lingua del posto, per non suscitare le per-
essità delle autorità locali e le accuse di separatismo; del resto
ò non sarebbe stato accettato dalla chiesa locale.
h autorità argentine, anche sollecitate dal dinamismo degli ita-
, organizzarono nel 1882 il primo Congresso Pedagogico Ar-
ino e, dopo un aspro dibattito sulla laicità dell'istruzione,
provarono con la legge 8 luglio 1884 l'obbligatorietà dell'inse-
amento. Al di della contesa sull'uso della lingua e sul caratte-
"nazionale" delle scuole italiane, gli artefici dell'istruzione pub-
blica argentina avevano più di un punto in comune con l'élite
lettuale della colonia italiana: la laicità dell'insegnamento
e cardine indiscusso (nel 1884 venne soppresso nelle scuole
bliche l'insegnamento della religione)74.
scuole italiane in Argentina, promosse e sostenute prevalen-
nte dalle società di mutuo soccorso (che così avevano am-
t0 le loro finalità a uno dei bisogni più elementari della comu-
à), ebbero una fioritura particolare tra il 1880-90 e il loro ruolo
pubblicamente riconosciuto da parte argentina ("furono le pri-
e, conviene dirlo in loro onore, nel riconoscere la necessità di un
cio ad uso di scuola, e ne eressero vari prima che il Diparti-
to Nazionale o i nostri governi ne facessero alcuno")7s.
uando arrivarono i salesiani in Argentina, le scuole della

16.7 Page 157

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Unione e Benevolenza e della Nazionale Italiana di Buenos Aires
contavano già circa 1.200 alunni italiani; nel 1881 questi assom-
mavano, nelle 4 scuole della capitale, a circa 2.800; nel 1897 con
11 scuole a Buenos Aires il numero degli alunni aumentava di
poco (3.200) e nel 1904 ritornava ai valori di quasi vent'anni pri-
ma, nonostante il numero delle scuole si fosse triplicato e proprio
quando la comunità italiana si espandeva maggiormente. Con la
diffusione delle scuole pubbliche, con la crescita dell'onere del
mantenimento delle proprie scuole per le società italiane, con l'in-
vecchiamento dei soci (che pur erano 50 mila nella capitale,
all'inizio del secolo, e circa 118 mila in tutta l'Argentina) le scuole
italiane registravano un decadimento76.
A fronte di una situazione stazionaria o di decremento delle
scuole "laiche", le scuole salesiane (non esclusivamente destinate
ai figli degli italiani, ma i loro alunni per 1'80% erano tali, e molti
ricevevano istruzione gratuita) registravano una costante ascesa.
Inoltre, a partire dal 1906, le scuole salesiane (con 2.100 alunni)
incominciarono ad essere incluse nell'Annuario delle Scuole Ita-
liane all'Estero, edito dal Ministero degli esteri italiano, in funzio-
ne dell'invio di libri di testo, ma anche come riconoscimento della
loro opera di diffusione della lingua e cultura italiana. Infatti l'in-
segnamento dell'italiano non veniva mai trascurato, anzi seguito
con particolare cura. In un rapporto al console italiano di Buenos
Aires, don Luigi Pedemonte, responsabile dei collegi salesiani in
Argentina, nel 1910 poteva dichiarare che gli alunni che avevano
frequentato la scuola di italiano l'anno precedente erano stati
3.510 e aggiungeva:
"Oltre all'insegnamento dell'italiano nelle n. scuole, nei Collegi si suole
promuovere ed organizzare frequentemente letture, declamazioni, canti e
saeei accademici in linnua italiana, che fra i Salesiani è considerata come
la loro lingua ufficia1e.Eci valiamo dei suddetti mezzi non solo acciò g
alunni acquistino la vera pronuncia, imparino bene e gustino la prima fra
le lingue neo-latine,ma anche per far conoscereed apprezzarealtamente le
bellezze, le grandezze e le più splendide glorie d'Italia"77.
Verso il 1911 si avrà una situazione di quasi parità tra scuole
salesiane e scuole laiche italiane; in particolare, quelle salesiane
risultavano più che triplicate in numero (da 10 a 36) e in acco-
glienza di alunni italiani (da 1.400 a 4.200 secondo il MAE)7*.
L'ascesa dei salesiani era del resto parallela al forte recupero del
mondo cattolico in Argentina. Il loro dinamismo in campo educa-
tivo scolastico, in cui avevano acquisito notevole esperienza -
basti pensare all'importanza delle scuole di arti e mestieri nel con-
testo di forte sviluppo argentino - ma anche la loro scelta dell'in-
tegrazione, garantivano risultati qualitativamente apprezzabili e
riconosciuti anche da esponenti della cultura laica, come avverrà
in occasione del I1 Congresso degli italiani all'estero del 191 179.
I1 contributo dato dai salesiani alla lingua e cultura italiana in
Argentina è stato rilevante; basti pensare che per vari decenni
'uso della lingua italiana è stato mantenuto nella predicazione in
arie località, urbane e soprattutto mrali, e nell'azione pastorale,
su richiesta dei fedeli. Se la cultura argentina è stata permeata da
una certa italofilia, questa è indubbiamente dovuta non tanto alle
istituzioni ufficiali italiane, ma soprattutto alla costante e capillare
azione culturale dei salesiani e di altre congregazioni di origine
italiana che hanno esercitato un notevole influsso sulle giovani
generazioni argentine. In alcuni momenti, i toni della valorizza-
zione del patrimonio linguistico culturale italiano possono aver
assunto accenti etnocentrici, per non dire nazionalistici, provo-
cando reazioni comprensibili da parte argentina.
.Stampa e associazionismocattolico tra gli emigrati italia-
i in Argentina
L'affermazione della cultura cattolica in Argentina si è avvalsa
egli strumenti dell'apostolato moderno, trovando un validissimo
uto nell'azione dei salesiani. L'apostolato della buona
era stata una delle grandi intuizioni di don Bosco che vi
edeva un efficace mezzo per raggiungere le masse popolari etra-
ettere un messag.g.io reli.gioso in forme più adatte e rispondenti
Ben presto i salesiani in Argentina, oltre che gestire delle libre-
e religiose, pubblicarono opuscoli e riviste rivolte al pubblico

16.8 Page 158

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locale (così l'edizione in castellano di «Letture Cattoliche» e
riviste quali <<Familiay Escuelm e «La Verdab); ma non tr
rarono il particolare pubblico italiano alla cui assistenza si eran
dedicati. Le vicende del più importante giornale salesiano per gli
emigrati, «Il Cristoforo Colombo» (fondato nel novembre del
1892) e unico giornale cattolico della capitale (più tardi a C6rdoba
i salesiani pubblicheranno «Vita Coloniale»), meritano qualche
cenno, perché illuminano le particolari condizioni della penetra-
zione religiosa nella vita del quartiere.
I1 settimanale, che raggiunse ben presto una relativa diffusione
(fino a circa 5.000 abbonati con una buona distribuzione anche
all'interno), nasceva per iniziativa del parroco di StGiovanni Bat-
tista de La Boca, don Stefano Bourlot, arrivatovi nel 1879 (prece-
duto dallo zelante Francesco Bodratto)*' e artefice di istituzioni
sociali e religiose per la comunità italiana in funzione anti-masso-
nica: la Società Cattolica di Mutuo Soccorso (1884), la Società del-
la gioventù cattolica, e soprattutto il Circolo Cattolico Operaio
(1895). Sotto la direzione di don Bourlot il periodico attraversò il
suo momento migliore. Nel 1896 il direttore fu colpito da un
attacco di apoplessia; il giornale passò nelle mani di don Taddeo
Remotti, ma scadde di tono, e nel 1898 fu trasferito a Rosario, a
quanto pare, a seguito di alcune osservazioni della Segreteria di
Stato riferite al vescovo di Buenos Aires82.
I1 giornale segue la penetrazione delle istituzioni cattoliche nel
quartiere La Boca e soprattutto le polemiche con i massoni e anti-
clericali, ed è il testimone delle grandi manifestazioni pubbliche
dei cattolici che culminano con l'imponente processione del Cor-
pus Domini de La Boca del 1893 e della Vuelta de Rocha del 1895
(cui partecipano più di 4.000 persone secondo la stampa locale) e
che suggellano il processo di ricattolicizzazione del quartieres'.
Nonostante l'informazione religiosa occupasse oltre la metà
delle pagine (con notizie religiose dall'Italia e dal mondo, com-
menti al Vangelo, informazioni sulle funzioni sacre), il giornale
mostrava particolare sensibilità per i problemi sociali e attenzione
alle rivendicazioni operaie (con notizie sugli scioperis4, ma distac-
candosi dall'estremismo dei gruppi più radicali). I1 cattolicesimo
sociale è presentato dal periodico di Bourlot come una alternativa
al socialismo e all'anarchismo85.
La funzione della stampa cattolica è concepita da Bourlot in
inea con l'insegnamento di Leone XIII; essendo "la parola la
otenza suprema delle società umane", la stampa può diventare
il più grande benefizio per i popoli o il più grande dei flagelli. Se la
tampa rimane in mano dell'onestà, della sapienza e della virtù si compie
più felice rivoluzione del mondo; si dissipa l'ignoranza, i pregiudizi
cadono, la ragione pubblica si illumina, fioriscono i costumi, si propaga la
religione che ha saluta? fin dal principio la stampa come una istituzione
fondata per la gloria di Dio".
I1 «Cristoforo Colombo» "viene a prendere posto nella stampa
tolica, a vantaggio degli Italiani, che partendo dalla loro terra,
ni di fede pratica, corrono rischio di perderla colla lettura dei
ornali ostili alla Chiesa"86.
I1giornaleabbonda di note polemiche verso socialisti e anarchi-
ci (si parla anche di un "socialismo cristiano" nell'opera di don
Bosco)*"; ma il suo tono diventa violento contro i massoni.
All'awicinarsi di ogni XX settembre, vista dal «Cristoforo Co-
lombo* più come festa anticlericale che come ricorrenza italiana,
nonostante molti italiani vi partecipassero, il giornale si scagliava
contro la "gazzarra settembnna" e i giornali coloniali che se ne
facevano paladini, «La Patria Italiana» e «L'Operaio Italiano*.
Soprattutto in occasione del 25.mo di Porta Pia (18951, Bourlot fa
propri alcuni dei motivi della stampa "intransigente": "L'Italia è
in mano dei ladri che l'hanno dissanguata come vampiri e
alla miseria... mandano De Felice in galera, fucilano in
icilia e nella Garfagnana il popolo che domanda un poco di pane
er isfamarsi"88.
In politica ecclesiastica il giornale era improntato a un intransi-
ntismo analogo a quello dell'sunità Cattolica», che appare
me il canale privilegiato delle informazioni dall'Italia. Nei con-
onti di «La Patria Italiana», che aveva attaccato i salesiani di
ahia Blanca per aver esposto la bandiera papale insieme a quella
aliana, ironicamente invocava una spedizione navale. "In nome
ella libertà di pensiero, di coscienza ecc. si costringono i Salesia-

16.9 Page 159

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ni a togliere la bandiera del loro collegio, cogli stessi mezzi morali
con cui si è fatta la famosa breccian*9.
I1 settimanale tuttavia non si limitava a polemiche violente, ma
tentava di elaborare un programma positivo, ispirato agli insegna-
menti della Chiesa e proposto agli italiani, come il piano di rifor-
me da attuare nel campo dei rapporti di lavoro e per un più facile
accesso alla proprietà della terra.
Si tentava anche di elaborare una simbologia alternativa ai miti
imperanti nella comunità di Mazzini e Garibaldi, sostituendovi la
figura di Cristoforo Colombogo, esploratore e credente (sembra
con poco successo). Ma si avanzava perfino la necessità per i cat-
tolici di costituirsi in partito politico91: e questa proposta costitui-
va indubbiamente una novità per il mondo cattolico argentino. In
questo orizzonte più ampio si collocava anche un articolato me-
moriate dei circoli operai cattolici sulla legislazione operaia92 e un
progetto del Segretariato Italo-Argentino nel 1920.
«Il Cristoforo Colombo» insisteva sull'opportunità di costituire
società cattoliche di mutuo soccorso per contrastare la diffusa e
"subdola" azione di quelle anticlericali (sotto il pretesto di pa-
triottismo e pur dichiarando per statuto di non occuparsi di reli-
gione e di politica, esse erano divenute "un'anticamera di
massonica"). Bourlot era disposto a inviare, su richiesta,
dello statuto della sua società approvata da mons. Aneiros,
servisse come modello: bastavano pochi uomini di buona v01
per stabilire
"nelle numerose colonie di italiani molte società cattoliche di mutuo soc-
corso e noi facciamo una chiamata a quanti deplorano i mali della irreli
gione, affinchési accingano a quell'opera,che è una delle più sante e meri
torie"93.
Infatti uno dei capisaldi dell'affermazione dei salesiani in Ar
gentina è stato l'associazionismo, comprendente non solo quel1
confraternale e delle associazioni religiose, attive un po' dovunqu
nelle parrocchie (piccolo clero, esploratori don Bosco, figlie
Maria, madri cristiane, unione padri di famiglia, ecc.), ma anc
quello operaio (circoli operai cattolici - in prevalenza costitui
da italiani -, unione dei coloni) e quello mutualistico.
Una delle associazioni di sostegno all'opera dei salesiani, sia
contribuendo al reperimento di fondi che costituendo una rete di
conoscenze utili e di disponibilità pratiche, era l'associazione dei
cooperatori salesiani e degli ex alunni. Già nel I Congresso inter-
nazionale dei cooperatori, tenuto a Bologna nel 1895, veniva mes-
so sul tappeto il problema dell'assistenza agli emigrati. Ma in par-
ticolare il I1 Congresso internazionale, tenuto proprio .a Buenos
Aires nel novembre 1900, nell'invemento dello statista Gabriele
Carrasco definiva le linee di azione a favore degli immigrati. Nel
111 Congresso dei cooperatori salesiani di Torino, nel maggio
1903, verrà incluso il programma della Società di patronato San
Rafaele, istituita da mons. G.B. Scalabrini e operante ai porti di
Genova e nordamericani con lo scopo di promuovere una miglio-
re assistenza e il collocamento degli emigranti. L'impegno dei
salesiani era, in qualche modo, ufficializzatocon l'inserimento nel
ro organo "Il Bollettino Salesiano", pubblicato in nove lingue e
150 mila copie, di una rubrica "Socconiamo i nostri
9. L'impegno salesiano a favore degli emigranti negli altri
Lo spazio dedicato all'analisi del caso argentino trova giustifica-
zione non solo per la sua esemplarità di intervento ed ampiezza
azione (i salesiani affermavano di assistervi 150 mila italiani
l'inizio del Novecento)95, ma particolarmente per il fatto che è
nico (includendovi il vicino Uruguay e gli inizi in Brasile)
guito personalmente da don Bosco fino alla sua morte. Lo scam-
o intenso di lettere con i missionari (e l'insistenza perché gli
rivessero frequentemente) fa capire come tutte le scelte di fondo
ei missionari siano state concertate con lui, o il suo fiduciario
on Cagliero, e abbiano avuto la sua sanzione. Del resto, come già
sservato, l'impostazione non si allontanava dalle classiche indi-
i di don Bosco e mostrava i caratteri di continuità con le
've avviate in Piemonte.
modello argentino, con la gamma delle iniziative per gli emi-

16.10 Page 160

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ganti (chiesa, scuola, stampa, associazioni, oratori Per la giov
tu) ha finito, quindi, per,prevalere anche altrove, dove i miSsi0
salesiani sono stati richiesti dalla Chiesa locale di occupar
degli emigranti. Questa dipendenza dalle offerte Concrete del1
gerarchia delle zone di arrivo non va dimenticata perché di fatt
non si è trattato di una ricerca a tavolino delle mete, ma di Un
risposta a impellenti richieste provenienti da paesi molto dive
"Muovono al pianto le lettere che ad ogni istante
BOSCO dai più esimi Prelati di ogni parte dell'America
del Nord, colle quali descrivendo specialmente i bisogni, le
ne, i pericoli, la straziante condizione spirituale dei nostri It
vanno ripetendo: - Venite, venite, non fosse altro, Per s
almeno i vostri connazionali", affermava il "Bollettino Salesian
nel 188796.
proprio in quei mesi mons. Giovanni Battista Scalabrini, vesc
vo di ~iacenzas,u sollecitazionedi Propaganda Fide, si
a fondare una congregazione con la finalità specifica di assiste
gli italiani nelle Americhe97. I suoi missionari si rivo
Brasile e agli Stati Uniti, dove i salesiani non erano presenti tr
emigranti. Inoltre, la maggiore specificità degti scalabriniani,
zionata da una solenne lettera di Leone XIII ai VeScov
li porterà a seguire gli italiani in specie nelle destinazioni int
nelle colonie agricole di frontiera, mentre i salesiani, Per l'av
il consolidamento delle istituzioni scolastiche e professionali, P
diligeranno i centri urbani. Ma I'impostazione apostolica
doveva essere tanto diversa se Propaganda Fide suggeriva di
compiere ai missionari scalabriniani in America il ti
qualche casa salesiana98. La finalità scalabriniana era più
ca, anche con riferimento alla dimensione etnica, ed esplicita
necessità della preservazione, o nel caso della "riconquista
fede degli emigranti.
È interessante notare come p. Colbachini, tra i più zelanti
sionari scalabriniani (che aveva anni prima sollevato delle P
pfessità sul tipo di missionarietà, meno esposta, dei sale
~crivanel 1899, ospite dei salesiani di S. Paulo e ora COOPerat
salesiano, una lunga lettera a don Rua. Non solo si felicit
grandioso progetto realizzato in quella città, ma Soprattutto tra
va una naturale integrazione tra la finalità dei salesiani e dei mis-
sionari scalabriniani.
na missione la mia che non può andare disgiunta dall'opera Salesia-
sogni spirituali di centinaia, di migliaia di Ita-
ncie; deve essere opera di preservazionee spes-
i di questa casa già da tempo la stanno attuando
i questa città e circondario, che numerosi accor-
esa del Sacro Cuore. Più tardi i Salesiani si occuperanno delle
vocazioni ecclesiastiche dei giovanetti figli di Italiani, che non sarebbero
ituto Cristoforo Colombo, sorto in Piacenza per il desiderio
nto Padre e lo zelo di quel R.mo Prelato mons. Scalabrini, troverà
e un amico e un aiuto in quello di don Bosco; la causa non è iden-
une è i'interesse, e le due mani devono a vicenda prestarsi
I1 coinvolgimento dei salesiani nelt'assistenza agli emigrati è
resciuto con t'aumento dell'emigrazione italiana, su iniziativa
don Ruaiol. Verso la fine del secolo, si avrà il mas-
o sviluppo delle missioni salesiane a favore degli emigrati. In
est'epoca, in cui le partenze annuali superavano il mezzo milio-
di persone, si verificò anche la maggiore partecipazione di
gazioni a questo particolare apostolato: francesca-
gesuiti, serviti, passionisti, redentoristi, oblati, domenicani,
ttini, benedettini e tanti altri presenti con membri
di immigrazione, sono stati sollecitati a dedicarsi
za dei loro connazionali, in via transitoria e in forma
la diffisione deli'azione salesiana a favore
igrati italiani, con parrocchie e istituzioni appositamente
loro, il quadro d'inizio Novecento registra cinque case negli
di cui due a S. Francisco (SS. Pietro e Paolo e Corpus
in0 due a New York (S. Brigida e la Trasfigurazione) e a Troy,
., dove era stato aperto un "collegioitaliano"con scuole elemen-
e medie secondo i programmi italiani e americani.
chiesa di SS. Pietro e Paolo fu la prima parrocchia salesiana
egli Stati Uniti (1894), che erano calcolati
uella regione, e disponeva di un circolo
vanile italiano e di altre istituzioni: in occasione del terremoto,

17 Pages 161-170

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17.1 Page 161

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che danneggiò gravemente la città nel 1906, i salesiani furono in
grado di assistere più di 3.000 famiglie. Il primo parroco don Raf-
faele Piperni (1897-1929), coadiuvato da don Oreste Trinchieri,
dovrà lottare anche qui contro l'anticlericalismo~0*L. a parrocchia
del Corpus Domini, data ai salesiani nel 1898, assisteva oltre
2.000 italiani.
A New York i salesiani amvarono nel 1897 con l'assegnazione
della parrocchia di S. Brigida che abbracciava 20 mila italiani: vi
erano circoli vari e una società di mutuo soccorso "Don Bosco".
La parrocchia della Trasfigurazione, nel cuore della Little Italy,
data ai salesiani nel 1902, oltre che di circolo giovanile, società
operaia con 200 soci, disponeva anche di una scuola con 350 alun-
ni. Vi si stampava allora l'«Italiano in America, uno dei pochi
giornali cattolici per gli italiani in USAlo3.
Per quanto riguarda il Brasile, la presenza salesiana data
1883 ad opera di don Luigi Lasagna, ma l'azione a favore de
italiani era saltuaria data la prevalente attenzione alle scuole.
occasione di una visita al S. Padre, Leone XIII raccomandav
Lasagna nel 1892 la cura spirituale e la conservazione della fe
tra gli emigrati italiani insieme all'evangelizzazione degli indi
l'anno dopo don Lasagna veniva eletto vescovo missionario pe
missioni di Uniguay, Paraguay, Brasile. L'assistenza agli italiani
è concentrata in particolare in S. Paulo con l'apertura della scuol
e della Chiesa del S. Cuore: su 60 mila fedeli, tre quarti eran
italiani e ogni domenica vi era la predicazione in italiano. Vi fun
zionavano un grande oratorio e numerose iniziative per 1
comunità italiana. Meno importanti erano le sedi di Rio
Bagé. Ma in ogni casa salesiana non si trascurava l'assisten
occasionale agli italianilo4.
Importante è stata l'azione dei salesiani nei vari paesi del Me
terraneo, particolamente nel settore scolastico e professiona
Nel 1894 vennero aperti a Tunisi un "Segretanato degli emigr
italiani" per quella colonia assai numerosa, oltre all'oratorio e
circoli per la gioventù. Nel 1903 vennero avviate a Smirne un
scuola italiana tecnico-commerciale sostenuta dall'As
nazionale per soccorrere i missionari e una scuola d'arti e
a Gemsalemme. Importante è stato l'istituto don Bosc
a d'Egitto che dall'inizio secolo ha svolto un molo determi-
nella cultura locale.
ra le missioni per gli italiani in Europa, quella di Zurigo è stata
prima aperta (1898), che rilevava le iniziative già avviate dal
acerdote don Luraghi, ed espandeva il suo raggio d'azione tra gli
aliani del cantone di Zurigo fino a Sciaffusa mediante un segre-
nato del popolo e scuole serali. Le pietose condizioni degli ope-
italiani impiegati nel traforo al Sempione hanno sollecitato
invio di un salesiano per la loro assistenza e delle Suore di Maria
Ausiliatrice per l'asilo dei bambini. La missione di Briga-Naters
(1899), oltre al servizio religioso, comprendeva circolo operaio,
scuola, asilo e oratorio per i ragazzi. Anche in Belgio (Liegi) e
Francia (nella Lorena) vi era una presenza salesianal05,e non van-
no dimenticati i figli di italiani accolti nelle istituzioni formative
salesiane in Europa.
Tra le intuizioni maggiori dei salesiani, risultato del loro lavoro
ide, si colloca il riconoscimento che l'intervento a favore degli
igrati non poteva avere carattere unicamente religioso. Di fron-
a masse sempre più tumultuose che si immettevano nel merca-
del lavoro ed erano esposte a tutti i pericoli morali e materiali
110 sfmttamento, era indispensabile un'opera di tutela e di col-
locamento degli emigranti (seppur non poteva essere autosuffi-
nte, doveva mirare almeno a valorizzare le catene interne di
idarietà delle istituzioni cattoliche).
Del piano che prevedeva la creazione di un "segretariato del
O", come organo tecnicoper assolvere a compiti d'informa-
, collocamento e tutela, si renderà interprete don Rua, isti-
endo a Torino una centrale di coordinamento denominata
mmissione Salesiana dell'Emigrazionen, e il cui responsabile
Stefano Trioneio6. La "Commissione Salesiana dell'Emigra-
ne" veniva istituita il 10 gennaio 1905, in ossequio alle dispo-
ni di don Bosco, richiamate anche in occasione dei capitoli
ali, con l'intento di coordinare e sviluppare meglio le varie
ative promosse dai salesiani a favore degli emigrati. La Com-
ione centrale era composta di 7 membri, dimoranti in vari
',e proponeva l'istituzione di un segretanato del popolo pres-
ogni casa salesiana, funzionante alcune ore al giorno o alla set-

17.2 Page 162

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timana, a seconda delle richieste. Un comitato di benefattori
doveva coadiuvarlo nel compimento del lavoro e nell'ottenere
eventuali sussidi di benefrcienza.
Scopo del segretariatodel popolo era di tenersi in rapporto con
ambasciate, consolati, patronati, leghe, uffici di collocamento,
curie, parrocchie, agenzie, industrie e banche ecc. "onde poter
indirizzare e raccomandare per impiego, protezione, istruzione e
facilitazioni gl'immigrati"i07. Nel 1910, si specificavano meglio i
"molteplici bisogni" degli emigranti particolarmente neli'assisten-
za legale; "scrivere lettere, comspondere coi Consoli, assumere
notizie, provvedere passaporti ed altri documenti, facilitare le
relazioni colle Curie Vescovili, coi Tribunali, coi Notai, colle
amministrazioni governative e municipali... tutela dei minori,
rivendicazione di diritti... arbitrati, gratuito patrocinio...". Si af-
fermava inoltre esvlicitamente,che il "Se-~,retariato. .,~otendof,un-
gerà pure da Ufficio di collocamento"~o8.I1 segretanato non era
aperto solo agli italiani ma anche agli immigrati di altre naziona-
lità; e di tutto il lavoro di assistenza e della comspondenza si
teneva debita nota, distinta per i vari gruppi etnici.
Quando nel 1909 verrà fondata 1"'Italica Gens", come federa-
zione delle congregazioni religiose addette agli emigranti nelle
Americhe, su iniziativa di E. Schiapparelli dell'Associazione Na-
zionale per soccorrere i missionari italiani, il tema della tutela
verrà ripreso più ampiamente e l'appoggio dato dai salesiani alla
federazione sarà fondamentalelo9.
Senza entrare nel merito delle singole realizzazioni, ci si è voluti
concentrare su quelle promosse da don Bosco e realizzate dai pri-
mi salesiani a favore degli emigranti, anche se è Opportuno rileva-
re che non semvre la tensione ideale orig-inaria si è mantenuta
identica e continua. Si Dossono. in conclusione. nchiamare le loro
intuizioni in questo campo: non solo essi hanno espresso solida-
rietà verso questa nuova categoria di poveri dell'età moderna,
religiosamente abbandonati, costretti a lunghi e dolorosi trasferi-
menti, ma hanno anche riconosciuto la validità e continuità della
componente etnica all'intemo della Chiesa, come fattore di aggre-
gazione e di mantenimento della pratica e della crescita religiosa
degli emigranti. Come dire che i paesi del Nuovo Mondo non
dovevano essere solo la terra della fortuna per tanti diseredati, ma
anche il campo di espansione feconda della Chiesa ad opera degli
stessi emigranti.
1
IG. MORTARA, Economia dellapopolaiione,Torino, UTET1, 960,pp. 313-321; I.
FERENCZI, W.F. WILLCOX, Internolional Migrntions, New York, 1929-1931; R.
GONNARD, L'dmigration européenne ou XIX siècle, Parigi, 1906.
P.STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattoIica, vol. i, Roma, LAS,
1979, p. 170 ("Spinto apostolico, preoccupazioni antiprotestantiche confluivano ad
alimentare in don Bosco e nei suoi le aspirazioni missionarie;e si stentava ad ahban-
donare argomenti polemici astratti, non rispondenti ai fatti, propno allora che il
~roselitismo~rotestantesi mostrava vi-aoroso anche nell'Euro~acattolica e
ne1l'~mencaiatina").
Cfr. Gli italiani in America, "Bollettino Salesiano" (BS), XI, n. 10 (ott. 1887): "i
ministri dell'emecercano con ogni mezzo di togliere loro quel solo tesoro che seco
han recato dall'Italia:la Fede" (..D..121.).
Commissariato Generale delPEmigrazione,Annuariostatistico della emigrazione
italiana dal 1876 al 1925. Roma, CGE, 1926; G. ROSOLI (a cura di), Un secolo di
emigrazione italiana, Roma, CSER, 1978.
4 Nel 1824, passando per PArgentina, si era recato in Cile con il Delegato Aposto-
li-, mons. Muzzi.
5 L. GUANELLASa,ggio di ammonimentifamiliariper tutti mapiùparticolarmen-
te per i1popolo di campagna, Torino, Tip. deli'Oratono, 1872, pp. 180-182.Ma il
tono non era dissimile in molte comspondenze di vari sacerdoti e dei salesianistessi:
"Italiani udiste? Voi che fate conto di emigrare nel mondo della falsa cuccagna,
pensate bene prima d'avventurarvi, provvedete ai casi vostn",Gli italiani nel Brasi-
le. BS, XIV, n. 12 (dic. 1890), p. 223. <,L!4micodel Popolo>,(Piacenza, 18 febbraio
1888) riportava la frase di un salesiano appena tornato: "Chi wol salvarsi l'anima
non vada in America. La esperienza di tre anni di Missione ci basta per convincerci
ad oltranza della schietta verità che è questa per i nostri cari connazionali".
6 Alcuni sacerdoti avevano aderito ai movimenti mazziniani ed erano poi nparati
in America: cfr. R. AUBERT, Ilpont$cato di Pio IX (1846.18781, Tonno 1964, pp.
645-678. Vedi più in generale A. DE SPIRITO, Parroci ed emigranti nell'lfalia meri-
dionale, "Studium", 76, n. 5 (sett.-ott 1980),pp. 569-584.
Memorre biograjche dr S Gtovannz Bosco (MB),XI, p 602.
8 Lettera di Giovanni Cagliero a don Bosco, Montevideo, 24 maggio 1876. BS, I,
n. 2 (ott. 1877): in tutto I'Uniguay non vi era un seminario, neppure minore, e
neanche scuola cattolica; i genitori inviavano i figliin Argentina o in Italia a stu-
diare (.D.O. 2-3.).
9 1. BORREGO, Giovanni. Battista Baccino. Estudio y edicibn de su Biografia y
Episiolario, Roma, LAS, 1977, p. 185.
10 G. FLORENZANO, Della emigrazione italiana in America comparata alle d f r e
emigrazioni europee, Napoli, 1874, p. 265.
F. DE AMICIS (Sull'Oceano, Milano, 1890), narra di un prete napoletano stabilito

17.3 Page 163

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da trent'anni in Argentina e ':che si vantava francamente d'aver messo insieme un
buon gruzrolo" (P. 72).
l 1 Pio XII, Exsul Familin, I, 1, "Acta Apostolicae Sedis", 1952, p. 652.
12 M.C. NASCIMBENE,Anaifnbetismo e inmigracidn en /a Argentina:e/ c<TSOitalia-
no, "Studi Emigrazione", XXI, n. 75 (sett. 1984), pp. 294-304.
13 Per quanto riguarda una propensione per province, il richiamo dell'Arsentina si
distribuisce in proporzione uguale tra Alessandria (che segue le mete e le opportunità
della vicina Genova), Torino (95 mila emigranti verso l'Argentina per l'intero perio-
do) e Cuneo (90 mila), seguite da poco meno della metà per Novara (40 mila). Men-
tre il complesso del Piemonte subisce l'influenza anche delle altre mete (sop"tutt0
della vicina Francia), Alessandria invia oltre la metà della sua emigrazione totale
verso l'Argentina. F.J. DEVOTO, Facfores de expulsidn y de atrnccidn en 16 emigm-
cidn itnlinnn a In Argentina. E1 caso piamontds, 1861-1914. "Quadernos de Historia
Regional", Universidad de Lujan, I, n. 2 (abril 1985), pp. 10-33.
Cfr. i risultati di una importante ricerca sull'area biellese, dove "fra il 1876 e il
1914 presero le vie dell'estero oltre 73.000 biellesi, vale a dire pressappoco la metà
degli abitanti del 1881" (p. 59); l'emigrazione aveva origine dovunque dalla rottura
dei vecchi equilibri comunitari e familiari legati all'economia locale: V. CASTRONO-
vo, Lavoro ed emigrazione nella storia della comunità biellese, in L'emigrazione
biellesej-a Ottocento e Novecento, I, Milano, Electa, 1986, pp. 39-76.
14 A La Boca perfino in tribunale si discutevano le cause in dialetto genovese: P.
BRENNA, Storia dell>cmigrozioneitaliana, Roma, 1928, p. 217. Cfr. più in generale
U. B. FONTANELLADE WEINBEROM, antenimiento y cambio de Iengua entre 10s
italianos del sudoeste bonaerense, "Studi Emigrazione", XXI, n. 75 (sett. 19841, PP.
305-319.
i5 Verbolid~llesedutedelConsiglio Direttiva, Società di mutuo soccorso "Unione e
Benevolenza*', Rosario.
16 BS, I, n. 3 (nov. 1877), pp. 1-2; VI, n. 2 (febbr. 18821, PP. 1-3.
l 7 J. BORREGO, OP. cit., P. 86.
18 Statistica penerale del Regno d'Italia, Censimento degli italiani ali'8stero (31
dicembre 18711, Roma, Stamperia Reale, 1874, pp. XXII-XXVI: la cifra di 30 mila
italiani, comunemente riferita (MB, XI, p. 603). si rifà al censimento argentino di
qualche anno prima. Sul complesso dell'immigrazione argentina cfr. J.A. ALSINA, La
immigracidn en e1primer siglo de la independencia,Buenos Aires, F. Alsiila, 1910.
Per una puntuale informazione su tutti gli aspetti quantitativi cfr. M.C. NASCIM-
BENE, Historla de 10sitalianos e1la Argentina (1830-19701,Buenos Aires, CONICET,
1983. La letteratura sull'emigrazione italiana in Argentina è ormai assai ampia, sia
d'inizio secolo che recente. Cfr. ora su tutti la sintesi di M.C. NASCIMBENE. Historia
de 10s italianos e1 la Argentina (1835-1920). Buenos Aires, CEMLA, 1986.
Vedi inolwe Comitato della Camera di Commercio. Gli'italiani nella Re~ubblica
irgrtii,n,. Biisnur Aires, 1838, Gh ,iiOotii n.allo I<cpi<Mlir.a.lrgeni,n, ~ I l L ~ p o s i i o ~
nc 6 .lfJuii,:. 1b06. Uucnor .Airrs. 1906 c Gb ilil,dt,l >,i.ll~Kip,,hblirii . I r g ~ ' ~ l l l ~ i . l
.ill'C,o<,rir,,>>d,!<Ton>ic>1.511, Bucndr hiris. 191l Incthl d'inrormarionir; E. L1:C-
CARINI, Il lavoro degli italiani ne1i'~rgentinodai i516 al 1910. Studi, idggende e
ricerche, Buenos Aires, 1910; N. CUNEO, Storia dell'emigrazione italiana in Argenti-
na (1810-18701, Milano. Gamnti, 1940; G. PARISI, Storia degli italiani nell'Argenti-
na, Buenos Aires, Ed. Italo-Argentina, 1940; AA.VV., La presenza dell'ltalia in
Argentina, Buenos Aires, 1965; F. KORN (comp.), Los italianos en la Argentina,
Buenos Aires, Fund. G. Agnelli, 1983.
19 MB, XI, p. 385.
20 P. STELLA, OP. ci;., p. 167.
21 Mi3 XI, p. 384; X, p. 1270-1271; Epistolario, L. 1187, L. 1193, L. 1566.
22 MB, XI, p. 147.
23 (S. Trione), L'Opera di don Bosco ali'estero. Tra gli emigrati italiani, Monogra-
fia, 1906, p. 3.
24 MB, XI, p. 147.
25 P. STELLA, OP. cit. p. 169.
26 Nel difficile inizi0 della penetrazionein Patagoniasarà di valido aiuto l'amicizia del
commissario governativo per la Patagonia, Antonio Oneto, di origine genovese.
Lettere di G. Cagliero a don Bosco, 4 marzo 1876, ASC, 126.2
2s Gli italiani in America e ie nostre Missioni, BS, XI, n. 10 (art. 1887), p. 122.
29 P. STELLA, op. cit., p. 171.
30 MB, 17, p. 631.
31 Cit. e in J. BORREW, OP. cil. p. 81.
32 Ibid.
33 BS, IX, n. 8 (ag. 1885). p. 119. Tra gli altri emigranti, i salesiani assisteranno i
ponoghesi in Califomia e i polacchi a Londra: (S. Trione), cit. p. 14.
34 Epistolano, L. 1403.
35 Cfr. in particolare la fondamentale raccolta di C. CHIALA,Do Torino aila
Repubblica Argentina. Lettere dei Missionari Salesiani, Tonno, Tip. Salesiana, 1876
e G. BARBERIS, La Repubblica Argentina e la Patagonia. Lettere dei Missionari
Salesiani, Torino, Tip. Salesiana, 1877.
\\In. XI, 3. 384 c p. 593. L'LNIIo('arr011i.ldel 7 diccmbrc 1875. n 285, pubbli-
cava 11 bicw d! 11' 0 I S del 17 novembre lb75 nguirdanir' i salesiani paniti.
Siill'arpr'tru miqsionario, cir. la vilida Ii.tieiaiura salzrisna B.blrujru/ia fi.*>?zrolz
delle nzir>roni~ ~ l i v a ! !He~ller!i,ioSn,cr,o!~o dlln j;ii,ii rulirrat,e. a cura di E.
V \\ L L ~ ' r i h l ,Roma. CSS\\tS. 1975;.lli,.v?r>rSillr,i~>?,,1. 8-5-167 StuJr o,o.':arione
CCI-',w,r.r>ia,iJ J Lura di P Scutii, Roma, CSSMS, 1915; 1' ,\\riURc>\\lc>, iJ,i,ot,ario
h,<-hib!,<~~iulJtt,,oll~iui5riorit wlc,$,<i,i<K, onia, CSS5lS. 1977 Impanante 1 :'ai>pro-
fond<mcntoJii "ricordi" di don Uorco si ciirriondri: J . UOKRCGO, KL~cur~rddo<rSati
Jbott 8 0 s : ~.i10.s P I I I > I < - T I>~nli(o>8~,ruKi.oma. L.AS, 1981.
L 3- FIN41 ui. L ? , pri?t:,pc in<,rc<i>itTi'.onna, Bu;id, 1300 Cii. dnrhr. L. DF.
R0I.l. E»rlgra>zrniru/,oi,or.baicus y r,.rni,,or P/ ..L<< .irgeni,>,o,)in F. Dt\\O i u , G
.. R O S C ~$L3ICura di), Li, iiz»ligiu<?ij>iiia iano ??lio Ar#i.i,r!>,<rBucnos .4iiir, Uiblor.
1985.. no 211-210.
38 TI^ la vasta letteratura, cfr. S. CANDIDO, L'emigrazione politica e d'elite nelle
Americhe (1820-18601, in F. ASSANTE(a cura di), Il movimento migratorio italiano
dall'Unità nazionale ai giorni nostri, Napoli-Ginevra, 1978; G.B. FuRlOZSI, L'emi-
grazione politica in Piemonte nel decennio preunitario, Firenze, L. Olschki, 1979.
39 L. DEVOTO, Las sociedades italinnar de ayuda m a u a en Buenos Aires y Santa
Fe. Ideas y problemas, "Studi Emigrazione", XXI, n. 75 (sett. 1984), pp. 320-342.
"G. DORE, La democrazia italiana e l'emigrazione in America. Brescia, Morcel-
liana, 1964; F.J. DEVOTO, Elementi per un'analisi delle ideologie e dei coflitti nella
comunità italiana dilrgentina (1860-19101, "Storia Contemporanea", XVII, n. 2
(apr. 1986), pp. 279-292.

17.4 Page 164

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65 Vegemonia mazziniana si sdoppierà in un settore più ristretto, repubblicano
intransigente e più tardi socialista, e nel grande alveo del mazzinianesimo locale, in
monarchico liberale con aspetti garibaldineschi: J.F. DEVOTO, Elementi.
cit., p. 283.
42 T.S. Di TELLAA, rgentina: un'Australia italiana?L'impatto dell'emigrazione sul
sistema politico argentino, in B. BEZZA(a cura di), Gli Ztalianifuori d'Italia. Milano,
F. Angeli, 1983, pp. 419-452.
43 ~ ~ i ~ t ~L.l14a6n2 i~n c,ui don Bosco chiede al march. Spinala l'appoBi0 del
governo italiano per le scuole italiane da avviare; L. 1481 un contributo per Pagare i
viaggi dei missionak L. 1502 idem.
44 ~ e t t e r adi don Caglieroa don Rua, 9 marzo 1877, cit. in l. Borrego, OP. cit., P.
92.
45 L. RICCERIi,n Centenario de la Iglesia Italiana (1870-1970). Buenos Aires ,
1970, cit. in 1. BORREGOO,P. Cit, P. 95.
46 ME, X, p. 1296.
4' lbid. p. 1297.
48 Cit. in l. BORREGO, Op. cit., p. 80.
49 ME, XII, p. 97; Epistolario, L. 1403, L. 1536. Sulla molteplice attività di Gaz-
zolo (capitano, insegnante, console reclutatore su incarico dell'amico D.F. Sarmien-
to), cfr. A. MARTIN GONZALEZT,receescritos indditosde San Juan Bosco al Consu1
argentino J.B. Gazzolo, Guatemala, Inst. Teolg. Salesiano, 1978.
so MB, XII, p. 97. Su tutte le vicende dei salesiani in Argentina, cfr. R. ENTRAL-
GAS, LOS salesianos en la Argentina, 4 voll., Buenos Aires, 1972.
51 ME, XII, pp. 264-265.
52 Statistica del Regno d'Italia, Censimento degli italiani all'estero, cit., P. XXV.
53 ME, Xlf, p. 267.
54 Ibid., pp. 267-268.
55 Lettera di G. Cagliero a don Bosco, Buenos Aires, 18 febbraio 1876, ASC,
162.2.
56 G. BARBERISI,A Repubblica Argentina e la Patagonia, cit., P. 180.
57 Ma "il ricordo della loro patria, la lingua natia e più ancora l'accento del loro
paese li scuote, Li commuove ed entusiasma al punto che si guadagnano tutti e ntor-
nano alla religione negletta e dimenticata!": Cagliero a don Bosco, 20 giugno 1876,
ASC, 126.2.
5s Tra le molte testimonianze, cfr. la visita alla colonia italiana di Villa Libertad.
BS, I, n. I (sett. 1877), p. 3.
59 Cagliero a don Bosco, Buenos Aires, 7 ottobre 1876, ASC, 126.2.
60 Una giornata del Sacerdote Baccino, BS, I, n. 2 (ott. 1877), p. 7. Per ulte
particolari, vedi l'accurata biografia del primo salesianomorto in America, amc
dall'edizione critica dell'epistolario e della prima breve biografia, ad opera
BORREGOG, iovonni Battista Baccino, cit.
. 61 3. BORREGO, OP. cit., P. 383.
62 ME, XII, P. 616.
63 Epistolario,L. 1511.
64 MB, XII, pp. 101-102.
65 BS, 11, n. 3 (mano 1878), p. 19.
M G. ROSOLI, Le organizzazioni cattolicheitaliane in Argentina e l'assistenza agli
emigranti italiani (1875-1915), "Studi Emigrazione", XXI, n. 75 (sett. 1984), pp.
67 Religidn e Inmigracidn en la Arquidibcesis de Buenos Aires. Dntos estadisticos.
octubre de 1907, Buenos Aires, "La Euskaria", 1907, p. 23.
D. MILANESIO, Consigli eproposte agli emigranti italiani alle regionipatagoni-
che, Torino, Tip. Salesiana, 1904; E. CYNALENSKI, Proyecto de colonizacidn, Vied-
Il tema della colonizzazione agncola, caro a tanta letteratura cattolica dell'epoca,
meriterebbe un maggior approfondimento per le argomentazionia lungo addotte dal
clero. Anche don Bosco aveva sollecitato il governo italiano a finanziaredei progetti
di colonizzazione agricola in Argentina a favore degli emigrati italiani, nella convin-
none di poter abbinare l'opera di evangelizzazione dei "selvaggi" al sostegno degli
Nel promemoria del 16 aprile 1876 al min. Melegari, egli esponeva l'idq di una
'Colonia Italiana nella Patagonia"che avrebbe avuto carattere nazionale (ma non di
'Colonia di deponazione") e avrebbe potuto raccogliere "la sterminata quantità di
Italiani che presentemente conducono vita stentata negli Stati del Chili, della R.
Argentina, dell'Umguay, del Paraguay etc. Io sono persuaso che alla notizia di una
olonia dove avrebbero lingua, costumi, governo italiano, costoro si raccoglierebbero
colà assai volentieri, sia per coltivare le campagne, sia per esercitare la pastorizia.
I salesiani continuerebbero i loro studi sopra i Patagoni, assicurerebbero le scuole,
prirebbero ospizi, eserciterebbero culto religioso per tutti gli abitanti della colonia e
Ila massima cautela e pmdenza si diffonderebberonelle tribù dei selvaggi".
Forse consapevoIe della imprecisione, non solo geografica (evidente nella lettera), ma
he di fattibilità del progetto, egli concludeva: "Forse questi miei pensieri non sono
che un po' di poesia, ma Vostm E. saprà dami benigno compatimento ed apprez-
il mio buon volere di giovare aUa povera umanità". Epistolwio, L. 1438.
Religidn e Inmigrncibn, cit., p. 5.
'0 Ibid., pp. 16-17.
72 Ibid., PP. 15-19.
73 Cit. in L. FAVERO, Le scuole delle società italiane di mutuo soccorso in Argen-
'na (1866-1914). "Studi Emigrazione", XXI, n. 75 (sett. 1984), p. 355.
I. MARTIGNETTI, Le scuole italiane nella Repubblica Argentina, in Camera di
ommercio Italiana, Gli italiani nella Repubblica Argentina all'Esposizionedi Mila-
Parole del dr. Zomlla, presidentedel Consiglio nazionale dell'Educazione, cit. in
FAVERO, Le scuole delle società italiane, cit., p. 357.
6 Ibid., pp. 369-370.
'L. Pedemonte a D. De Gaetani, Appunti sopra l'azione solesiana per Ihssistenza
i emigrati italiani, Buenos Aires, 10 agosto 1910, Arch. "Mater Misericordiae".
fr. i dati sugli oratori e scuole salesiane in Missioni salesiane nella Repubblica
gentina, in Camera di Commercio ed Arti, Gli Italiani nella Repubblica Argentina
'esposizione di Milano, 1906, Buenos Aires, 1906, pp. 355-356.
Cfr. i dati in L. FAVERO, Le scuole delle società italiane, cit. pp. 377-379.
C. PARLAGRECO, Dei modi più convenienti per orgnnizzare e condurre la scuola

17.5 Page 165

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e rulli gli altri mezzi di cullura italiana all'estero. in Istituto Coloniale Italiano, Atli
del 11 Congresso degli italiani all'estero (giugno 191% Roma, 1911, p. 1062.
80 P, STELLA, op. cit., pp. 229-244.
51 BS, IV, n. i0 (ott. 1880), pp. 1-2.
Don Rua stringe una maggiore collaborazione con Scalabrini, invitato anche al I
Congresso dei Cooperatori Salesiani a Bologna nel 1895; don Rua gli invia a Piacen-
za don Trione pcr una serie di conferenze e incarica quert'ultimo di mantenere i
collegamenti con l'opera di Scalabrini: cfr. lettere di Trione a Scalabrini, 1893-1904,
in Archivio Generalizio Scalabriniano, pos. 3022115.
82 J. BELZA, En la Boca del Rincheulo. Sintesis biogriifica del sacerdote salesiano
don Esleban Bourlot, Buenos Aires, Lib. Don Bosco, 1957, p. 217.
102 A. BACCARI et al., Saints Peter andPau1 Church. The ehronicles of "the Italion
Cathedral" ofthe West, 1884-1984,San Francisco, 1985.
83 Thid n,. 1-9.7
103 (S. Trione), Tra gli emigrati italiani, cit., pp. 18-20.
>A ,Il Crj,l,&dro C;I',nbo / < z \\ ~ , I J,',ldg<o$aj, v c ~ , z l t j I ~5~0 , ~ ~ ; 0 /I 2~ ~ l l cl, 1~1. lc ~ ~ ~ ~
i27.11.18r2). n 13(19.2.1893),11, n. 37(125.1894),111. n. 7~13.118951.Rtncrario
F. Dcvoio oer le indircrioni c i ru.r. rrnmcnii chc ini ha grniilmcnie foniito
85 "Bisognerebbe che i padroni,si ricordassero che è peccato che grida vendetta al
cospetto di Dio il negare la mercede agli operai, ma che questi si ricordassero pure
che chi troppo vuole, nulla stringe": C.C., I, n. 1 (27.1 1.1892). p. I I; 111, n. 34
'05 Ibid., p. 5-11.
106 G. ROSOLI, Le organizzazioni catloliclie, cit., p. 389.
lo7 Commissione Snlesiann dell'Emigrazione - Torino, Segretariato del Popolo (fo-
glio a stampa), art. 3.
(21.7.1895), p. 532.
10s Commisrione Salesiana dell'Emigrazione, artt. 1 e 8.
56 I noslri propositi, C.C., I, n. 1 (27.1 1.1892), p. 2.
87 Calendario 1894, p. 30.
5s Torredi Babele, C.C., 111, n. 24 (12.5.1895), pp. 371-372.
89 Libertà di coscienza, C.C., 11, n. 21 (22.4.18941,p. 308.
109 Cfr., ad esempio, l'attività svolta dali'Ufficio del lavoro dell'opeia di don
Bosco in collaborazione con 1"'Italica Gens": Prospetto slalistico dell'aiione svolla
dal Segretariarodel Popolo - Opera diDon Boscoe "Italica Gens" dall'nnno 1906jino
Iprimo semeslre del 1924, Buenos Aires, 1924.
90 A puntate viene pubblicata sul giornale la biografia di Colombo di Lemoyne.
91 C.C., I, n. 51 (11.11.1893), p. 623, IV, n. 12 (16.2.1896).
92 Memorial sobre legislacidn obrero, presentado a la honorable Ciimara de.Dipu-
rndos de la Nacibn por 10s Circulos de Obreros,Mayo 14del 1919, Buenos Aires, Tip.
colegio Pio IX, 1919.
93 Agli italiani, C.C., 111, n. 41 (8.9.1895), p. 643.
94 F. ROSOLI, Le organizzazioni catioliche, cit., pp. 387-388.
95 (S. Trione), Tra gli emigrati italiani, cit., p. 15 ("e parimente le 25 chiese e
cappelle pubbliche ufficiatedai Salesiani nell'Uniguay sono frequentate in massima
parte da italiani", ibid.).
96 Gli italiani in America e le noslre Missioni, BS, XI, n. 10(otl. 1887), p. 122.
97 Vedi ora l'esauriente e fondamentale biografia ad opera di M. FRANCESCONI,
Giovanni Ballista Scalabrini vescovodi Piacema e degli emigraci, Roma, Città Nuova
Ed., 1985.
98 Lettera del card. Simeoni a mons. Scalabrini, cit. in M. FRANCESCONI,Znizi
della CongregazioneScnlabriniana(1886-18881,Roma, CSER, 1969, p. 52. La lettera
Quam aemmnosadi Leone XIII del 1888 è in "Acta Sanctae Sedis", XXI, 1888, pp.
258-260.
99 una grande missione la loro, ma è in tutto diversa da quella che dai più si
pensa. Vivono nelle città sempre in casa...": cit. in ibid., p. 104 (il che era vero degli
inizi della presenza salesiana in Brasile, ma non dell'avvio missionario in Patago-
nia).
Lettera di P. Colbnchini a don Rua, S. Paolo, 17 luglio 1889, BS, XIII, n. 11
(nov. 1889), pp. 145-146.
l0l Cfr. in panicolare Missioni Salesinne nella Repubblica Argeniinn, in Gli italiani
nella Repubblica Argentina all'esposizionedi Milano, 1906, Buenos Aires, Camera di
Commercio ed Ani, 1906, pp. 333-356; L'Opera di don Bosco nlL'Eslero, Esposizione
Internnzioionale di Milano, Torino 1906.

17.6 Page 166

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Cultura salesiana e società
industriale
Piero Bairati
1. Continuità e modernità del modello salesiano
Lo studio che Pietro Stella ha dedicato alla figura di don Bosco
nella storia economica e sociale dell'Italia ottocentesca si ferma ai
1870. Nelle pagine conclusive del volume, a giustificare il punto
di amvo della sua analisi, Pietro Stella sottolinea il fatto che quel-
la data costituisce in certo modo il punto di massima maturazione
delle scelte fondamentali fatte dal sacerdote Giovanni Bosco sul
piano spirituale, organizzativo, pedagogico e sociale. I1 patnmo-
nio di esperienze e di realizzazioni accumulato nel corso dei
decenni precedenti, a quella data, si era ormai consolidato in un
modello esemplare, in un "punto di riferimento programmatico e
ideale" al quale continueranno a ricollegarsi lo stesso don Bosco e
i suoi successori; a questi, poi, scrive Pietro Stella, "sarebbe toc-
cato trovarsi in sistemi economici e sociali profondamente diversi
da quello delle esperienze originane. A loro sarebbe toccata la
sorte del confronto con un passato profondamente diverso e la
responsabilità di scelte innovative"1.
Queste constaiazioni, e le considerazioni che le accompagnano,
sottolineano così un duplice stacco: tra il periodo precedente al 1870
e quello successivo, h o alla morte di don Bosco, avvenuta nel gen-
naio del 1888; tra il complesso dell'esperienza salesiana delle origini
e le grandi trasformazioni dell'economia e della società avvenuto
nellultimo scorcio del secolo XIX e nel secolo nuovo.
Le dimensioni e l'intensità di queste cesure e delle trasforma-
zioni ad esse collegate (forte accelerazione del processo di indu-

17.7 Page 167

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strializzazione, formazione e crescita di nuovi ceti sociali, svilup-
po del movimento operaio e del movimento cattolico, incremento
dell'urbanizzazione, mutamento profondo del sistema scolastico,
etc.) non devono tuttavia indurre a lasciare in ombra il fatto che,
nonostante i ritmi rapidi e le forti incidenze del mutamento, il
modello culturale salesiano, elaborato in tempi lontani e diversi,
si è riproposto a più riprese nella società nuova con ampi e rico-
noscibili effetti. I1 tema del rapporto tra la crescita della congrega-
zione salesiana e lo sviluppo della società civile si colloca dunque
sullo sfondo di questa profonda, sostanziale continuità che scaval-
ca le discontinuità della trasformazione sociale ed economica. In
un ambito più specifico, il rapporto tra cultura salesiana e cultura
dell'industrializzazione presenta dei connotati così precisi e, alme-
no per certi aspetti, originali, da costituire un capitolo di rilevante
interesse, in parte non ancora esplorato, nella storia della società
industriale italiana. Da questo punto di vista, ci pare da rovescia-
re, almeno per quanto riguarda Giovanni Bosco, il giudizio secon-
do cui "i santi del secolo scorso... non hanno inciso che minima-
mente sul grande corso della storia successiva: le scuole professio-
nali, gli artigianqlli, appartengono alla patetica stona del paleoca-
pitalismo"2. Al contrario, il modello culturale salesiano, pur pre-
sentando alcuni connotati che lo contrappongono recisamente ai
tempi in cui è nato e si è sviluppato, ritrova poi ad altri livelli un
proprio stretto rapporto con la storia della società. Le considera-
zioni che seguono intendono illustrare alcuni momenti significati-
vi di questo rapporto complesso tra cultura salesiana e società
civile, in particolare alcuni storici appuntamenti tra le istituzioni
create da Giovanni Bosco e la storia dell'industrializzazione.
2. Autonomia economica e spirito imprenditoriale
Sottrarre all'opera di Giovanni Bosco questa capacità di adesio-
ne alle ragioni del proprio secolo significa commettere a suo dan-
no una diminutio capitis. Si dovrà certamente tenere il dovuto
conto della forte carica di contrapposizione al presente e in parti-
colare alla recisa contestazione dello stato liberale, peraltro tem-
perata da una non occasionale frequentazione dei suoi massimi
esponenti, da Cavour a Lanza a Rattazzi. Sul piano ideologico, il
rifiuto dello stato liberale è pieno e totale. Emblematicamente, la
Storia d'Italia scritta da don Bosco si ferma al 1859, con l'esplicita
intenzione di rimettere al giudizio divino tutto quanto era accadu-
to dopo. E ancora nel 1911 questa mutilazione della storia italiana
parve all'on. Eugenio Chiesa motivo più che sufficiente per deplo-
rare la presenza del governo e dei reali ai funerali di don Michele
Rua, primo successore di don Bosco, avvenuti a Livorno3. Ma sul
terreno pratico, il rapporto con la laicizzazione complessiva della
societa e delle istituzioni non si andò configurando come un rifiu-
to accidioso e impotente del nuovo ordine sociale e politico emer-
gente; al contrario, si trattò di un rapporto di concorrenza attiva,
di uno sforzo operoso inteso a creare una società parallela ma non
separata, diversa ma non chiusa in sé medesima. E su questa
linea, da diversi punti di vista, la società salesiana riuscì a vincere
molte partite con la società e lo stato liberale. Seguendo la loro
linea culturale e pedagogica, i salesiani finirono per svolgere
numerose funzioni di supplenza propno in ampi settori sociali e
istituzionali, dall'istruzione popolare all'assistenza sociale, nei
quali lo stato liberale non aveva molte risorse da spendere (e talo-
ra, forse, non aveva nemmeno l'intenzione di farlo).
Ma l'inserimento attivo della societa salesiana nella vita sociale
dell'italia nuova non era soltanto legato alle funzioni di supplenza
che essa andava svolgendo e per le quali lo stato liberale, propno
in considerazione della sua insufficienza, concedeva ampia libertà
di azione (e questo basterebbe a spiegare, almeno in parte, il fatto
che le istituzioni salesiane, come altre, continuarono a svilupparsi
anche dopo l'avvio della politica di soppressione della proprietà
ecclesiastica e l'attribuzione allo stato del diritto di dare o non
dare esistenza legale alle corporazioni religiose). il successo
della società salesiana fu legato soltanto all'approvazione che essa
suscitava presso l'opinione moderata per la sua funzione di am-
mortizzatore sociale o per il disinnesco di eventuali velleità ever-
sive da parte di classi o gruppi sociali potenzialmente pericolosi.
L'originalità organizzativa e strategica della società salesiana sta-

17.8 Page 168

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va soprattutto nei modi e nelle strutture che essa seppe darsi per
svolgere queste due funzioni.
Nel corso del decennio cavouriano, Giovanni Bosco assimilò con
notevole intuito economico e imprenditoriale due lezioni politiche e
ne trasse tutte le conseguenze pratiche e organizzative. In primo luo-
go, compreseche le sue istituzioni non potevano reggersi su un flusso
di risorse che derivassero da rendite ecclesiastiche. In secondo luogo
capì che in uno stato che proclamava il valore della proprietà e
dell'iniziativa privata, era necessario costituire un'organizzazione
che rispettassein pieno questo principio. Le stesse donazioni di beni
immobili, che con il passare degli a ~assiunsero dimensioni rile-
vanti, venivano spesso monetizzate, quando non potevano essere
rese immediatamente utili all'esercizio di qualche attività. In propo-
sito scrive Pietro Stella:
"Cosi agendo (don Bosco) radicava nell'opinione pubblica l'idea che le sue
istituzioni non vivevano di rendite fisse, che anzi sotto lo spettro dell'in-
cameramento dei beni ecclesiastici o anche solo con quello delle tasse di
manomona da evitare, sistematicamente negli anni '70 e '80 cercò di veu-
dere quei beni immobili che in quell'epoca cominciarono ad affluirgli a
titolo di lascito testamentario e che intanto non era possibile utilizzare
direttamente in collegi, oratori o spedizioni missionarie in America".
In questo modo, si mise nelle condizioni di non possedere beni
che potessero legittimamente essere considerati come manomorta
ecclesiastica. E questa era anche la più convincente ed efficace garan-
zia della sua autonomia economica nei confronti della Chiesa.
Una società nuova richiedeva istituzioni religiose nuove, non
soltanto nella qualità del messaggio che rivolgevano ai loro desti-
natari, ma anche, in primo luogo, nella loro struttura e configura-
zione giuridica ed economica. Sul piano ideologico e dottnnale
Giovanni Bosco poteva ben contestare lo stato liberale; ma assai
prima del compimento dell'unità dovette pensare che la politica
ecclesiastica liberale, con tutto ciò che essa significava in termini
di beni posseduti e attività gestite dal clero, era comunque un
processo irreversibile. A nulla valeva rimpiangere il tempo andato
della manomorta ecclesiastica. In quelle condizioni era assoluta-
mente necessario, per la realizzazione dei programmi educativi e
sociali, la conquista della massima autonomia economica, sia dal-
lo stato che dalla Santa Sede. Sotto questo profilo, era necessario
che le istituzioni salesiane fossero pienamente compatibili con i
tempi nuovi: questo significava che la società salesiana doveva
reggersi soprattutto sui proventi delle scuole, dei laboratori e della
produzione tipografica ed editoriale. In altri termini, in una socie-
tà che si andava votando alla libertà d'impresa, le istituzioni sale-
siane dovevano essere esse stesse un'impresa privata. E don Bosco
agì di fatto come "un imprenditore privato d'iniziative benefiche
e filantropiche", secondo l'espressione usata da Stella. Diversa-
mente, se la congregazione salesiana si fosse affidata, per la pro-
pria sopravvivenza, alle forme di rendita degli antichi ordinamen-
ti, si sarebbe esposta alla politica di soppressione della proprietà
ecclesiastica. Lo stato liberale sarà pur stato un'invenzione diabo-
lica, ma senza questa invenzione la società sarebbe stata molto
diversa da quella che effettivamente è stata.
L'imprenditorialità e l'impulso organizzativo, nell'esperienza di
Giovanni Bosco, non solo non sono aspetti estranei o secondari,
ma sono parte integrante ed essenziale della sua stessa opera di
apostolo e di educatored. E nell'esercizio di queste virtù imprendi-
toriali e organizzative Giovanni Bosco impresse un segno profon-
do nella storia del suo tempo, lasciando alla congregazione un
patrimonio di cultura e di mentalità di cui essa non mancò di fare
tesoro.
Considerare Giovanni Bosco indipendentemente dal rapporto che
ebbe con la società dei suoi tempi e ridurre la sua azione sociale ed
economica come un retaggio dei tempi andati, significa far& torto
anche da un altro punto di vista. Infatti fu lo stesso Giovanni Bosco
a prospettare la penetrazione nella società e nelle istituzioni come
uno dei fini che la congregazione doveva perseguire, insieme con
l'elevazione ed edificazione della gioventù, lo sviluppo dell'istruzio-
ne professionale, la diffisione di una cultura di base e gli altri fini
della società. Tra le molte citazioni che si potrebbero fare in materia,
vanno ricordate le parole d'ordine, cariche di aggressiva utopia, lan-
ciate da Giovanni Bosco, in una conferenza del gennaio 1877 tenuta
in occasione della presentazione della Cooperazionesalesiana, riferi-
te nelle Memorie Biografiche:

17.9 Page 169

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"Non andrà molto tempo che si vedranno popolazioni e città intiere unite
nel Signore in un vincolo spiritualecolla CongregazioneSalesiana. Riguar-
do al materiale si sono disposte le cose in modo che non si dovrà dipen-
dere da alcuna autorità, eccetto quella spirituale dei Sommo Pontefice.
Non in modo però che si venga ad urtare coi Vescovi e colle autorità
secolari".
È da notare lo "spirituale" premesso a "Sommo Pontefice": sot-
to il profilo economico e amministrativo, infatti, Giovanni Bosco
tentava di conquistare rispetto alla Santa Sede la stessa autonomia
e libertà d'azione che cercava di conquistare rispetto alle istituzio-
ni civili ed ecclesiastiche locali. Lo stesso significato possiamo
attribuire a queste affermazioni:
"Non passeranno molti anni che le città e le popolazioni intiere non si
distingueranno dai Salesiani che per le abitazioni. Se ora sono cento Coo-
peratori, il loro numero ascenderà a migliaia e migliaia, e se ora siamo
mille, allora saremo milioni, procurando di accettare ed iscrivere quelli
che sono più adatti. Spero che questo sarà il volere del Signore".
Questa visione di una conquista sistematica della società civile
viene ribadita due anni dopo in un discorso riportato da Antonio
Belasio e pubblicato dalla tipografia salesiana:
"Già Tertulliano diceva a' pagani: Voi non ci volete perché cristiani: e noi
v'ahbiamo già empito il vostro esercito... Si, noi vi abbiamo già empito le
vostre curie, traffichiamcon voi nei mercati, ci affratelliamo in tutte le
cose, lasciamo solo per voi i templi dei vostri idoli.
Anche i salesiani diranno: voi non volete più frati, né religiosi di qua-
lunque congregazionee noi verremo a farci laureare nelle vostre università
per difendere il più caro patrimonio del genere umano, le verità che salva-
no. Bene, noi saremo artigiani nelle vostre botteghe, e mostreremo a lavo-
rare come servi fedeli al gran Padre di tutti: noi saremo chiamati coscritti
nei vostri reggimenti, e farem rispettare le virtù e la religione che non si
conoscono se non per bestemmiarle; oh si, vogliamo intrometterci tra voi
dappertutto; e lasceremo a' nemici della Religione solo le tane dei vizii.
I Salesiani si sono gettati nel mezzo ad una società in movimento, in
progresso: ed essi devono dire con vivace parole: Fratelli, anche noi cor-
riamo con voi: e coll'amabile affabilità,fermarli seco, quasi a fare posata,
e divertirli con una cert'aria di novità"s.
Da questo programma di conquista della società civile, nasceva
e si sviluppava, nel costituirsi del patrimonio culturale salesiano,
una morale attivistica ('Chi non sa lavorare non è salesiano") che
non solo bandiva l'isolamento dal mondo (si noti la lieve nuance
negativa del termine "frati") ma anzi era indirizzata ad una pre-
senza totale nella vita collettiva, in nome di una congregazione di
tipo nuovo che "incorporandosi col popolo, si assimili in una sola
vita".
3. L'etica del lavoro produttivo
Di questa morale attivistica era parte integrante un'etica del
lavoro produttivo che trovava la sua giustificazione nella promo-
zione sociale ed umana dei giovani, ma aveva il suo retroterra
religioso nel culto di San Giuseppe6 di cui Giovanni Bosco fu
sostenitore entusiasta, accanto alla figura di Leonardo Murialdo.
Da questo punto di vista, risultano utili le osservazioni di Lynn
White sulla radicale trasformazione del culto di San Giuseppe nel
corso dell'ultimo secolo (peccato che il grande storico della cultura
tecnologica ignorasse il precedente importante della confraternita
dei "minusien" di Torino) e in modo particolare la sua crescente
fortuna nel corso del processo di industrializzazione, che com-
sponde tra l'altro con una crescente diffusione del relativo nome
di battesimo ed anche con una trasformazione profonda delle rap-
presentazioni iconografiche, sia colte che popolari. Anche questa
scelta, nell'opera di Giovanni Bosco e di Leonardo Murialdo,
risulta comunque significativa: la figura di Giuseppe - al quale
- nel 1870 Pio IX attribuisce l'appellativo di Patrono della Chiesa
Universale dovette apparire come l'emblema di quella operosi-
tà costante, di quella dedizione e diligenza che ia scuola salesiana
andava insegnando attraverso la severa disciplina del lavoro.
In merito a questo aspetto della questione, quello della discipli-
na del lavoro, è da notare che l'originalità delle istituzioni salesia-
ne e la loro influenza sulla società non era tanto legata al duro
regime che vigeva nelle scuole e nei laboratori salesiani (questa
non era certo una novità), quanto alla solidità e razionalità sociale

17.10 Page 170

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dell'ordine che si veniva imponendo. Attraverso le istituzioni
salesiane passano generazioni e generazioni di giovani che si tra-
sferiscono dalla campagna alla città, da una società m a l e e pre-
moderna ad una società che comincia ad essere industriale e si
avvia verso la modernità, da un modello di vita e di cultura basa-
to su ritmi e comportamenti legati al lavoro agricolo o paleoarti-
gianale ad un modello di vita e di cultura legato a ritmi e compor-
tamenti più ordinati e strutturati. Herbert Gutman, per quanto
riguarda la classe operaia americana, e Edward P. Thompson per
quanto riguarda la classe operaia inglese, hanno descritto i modi e
i tempi lunghi attraverso cui è avvenuta questa trasformazione dei
comportameti individuali e sociali delle classi subalteme. Tra i
molti adattamenti necessari, nel passaggioda una società rurale ad
una società di tipo industriale, quelli più dolorosi, secondo Gut-
man e Thompson, sono stati il passaggio da una percezione disor-
dinata e approssimativa del tempo di lavoro ad una percezione
omogenea e regolare, attraverso una lenta e solitamente dolorosa
accettazione della disciplina del laboratorio e della fabbrica'.
Il primo laboratorio salesiano viene fondato nel 1852 (calzolai e
sarti), seguito dagli altri nel 1854 (legatori), 1856 (falegnami),1862
(tipografi e fabbri). È un complesso di istituzioni che, nel corso
dell'800 si divide con gli Artigianelli del Murialdo e gli istituti dei
fratelli delle Scuole Cristiane il campo dell'istruzione professiona-
le gestita da religiosi. In questo quadro, i laboratori salesiani (e
successivamente le scuole professionali, che ne sono la prosecu-
zione, sia pure con importanti adeguamenti culturali e organizza-
tivi) svolsero una funzione importante non solo attraverso l'inse-
gnamento del mestiere ma contemporaneamente attraverso la tra-
smissione e imposizione di modelli culturali nuovi che rendessero
possibile l'adattamento degli allievi alla realtà urbana, al mercato
del lavoro, alla conquista di un molo sociale.
Anche da questo punto di vista, la lettura del regolamento dei
laboratori salesiani, più volte riformulato prima di giungere alla
definitiva versione del 1877, è molto ricca di indicazioni. L'ap-
prendimento del mestiere e lo svolgimento del lavoro presuppon-
gono gerarchie nuove e diverse rispetto a quelle informali della
famiglia. In proposito, l'articolo 1 così precisa: "I giovani allievi
di ogni officina debbono essere sottomessi ed ubbidire all'Assi-
stente ed al maestro d'arte, che sono i loro superiori immediati"
(noteremo di passaggio che l'articolo 1del contratto nazionale dei
metalmeccanici, rimasto in vigore fino al 1970 cioè fino all'anno
dello statuto dei lavoratori, aveva una formulazione sostanzial-
mente identica). L'officina diventa un luogo specializzato, desti-
nato in modo esclusivo ali'attività di lavoro: in proposito l'artico-
lo 3 precisa che assolutamente proibito fumare tabacco, bere
vino, giuocare ed ogni sorta di divertimento",né è ammesso svol-
gere lavori estranei alla casa, se non in via eccezionale e previo
avvertimento dell'economo (articolo 5). La puntualità è d'obbligo,
come si sottolinea agli articoli 7 e 9: "L'Assistente e il maestro
d'arte procureranno di trovarsi per tempo all'entrare dei giovani
nelle officine, per impedire quelli inconvenienti che in tal tempo
potrebbero succedere e per distribuire a ciascun allievo il lavoro
senza che abbiano a perdere tempo". L'Assistente e l'Economo
hanno il compito di vigilare sull'uso dei materiali e delle attrezza-
ture, che devono essere destinati ad uso esclusivo dell'istituzione;
a questo fine, si deve procedere ad un inventario mensile del
magazzino, sotto il controllo del maestro d'arte. Gli ammanchi
saranno a carico di chi ne risultasse colpevole o, in mancanza di
questo, di tutti gli allievi dell'officina (articoli 15 e 16). Una con-
tabilità rigorosa regola i rapporti tra la scuola e il mercato: "Ogni
lavoro sarà dall'Assistente notato a registro colla data, prezzo con-
venuto, nome e dimora di colui per quale si eseguisce" (articolo
6). L'assistente ha anche il dovere di vigilare sulla moralità e con-
dotta degli allievi, segnalando tempestivamente le infrazioni al
regolamento e ai codici morali previsti. Tutti devono pensare che
"l'uomo è nato pel lavoro, e solamente chi lavora con assiduità
trova lieve la fatica e potrà imparare l'arte intrapresa per procac-
ciarsi onestamente il vitto" (articolo 19). Ad evitare eventuali
equivoci e dimenticanze, con l'inevitabile adozione di spiacevoli
sanzioni, le norme del regolamento devono essere lette ogni quin-
dici giorni "a voce chiarama.
L'imposizione di un nuovo tipo di disciplina e l'interiorizzazio-
ne di una diversa stmtturazione del tempo non sono tuttavia i soli
elementi che rendono il modello salesiano omogeneo con i valori

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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e la cultura della società industriale nascente. Se da un versante il
modello salesiano era rigidamente autoritario, dall'altro contene-
va alcuni fattori di dinamismo. In primo luogo, insistendo sulla
specializzazione professionale e sulla qualità del prodotto, l'inse-
gnamento salesiano poneva le premesse per una franca accettazio-
ne della società di mercato, nella quale l'individuo si inserisce e si
afferma in ragione della sua capacità personale di produrre beni e
servizi.
In secondo luogo, si trattava di un modello che esplicitamente
si proponeva di favorire la promozione sociale degli allievi, non
solo nel senso minimo del conseguimento di un decente livello di
sussistenza, ma anche in un senso più ampio, cioè l'acquisizione
di un ruolo sociale.
Infine, il modello salesiano, una volta avviato e divenuto un
punto di riferimento, agiva come un moltiplicatore delle aspira-
zioni sociali. "... l'essere stati educati da don Bosco - scrive Gio-
vanni Battista Lemoyne - era per loro la miglior raccomandazio-
ne per essere accettati nelle fabbriche o in altri uffizi. I padroni
venivano essi stessi a chiedere a don Bosco i giovani operai". Un
rapporto particolarmente stretto si era stabilito con la direzione
torinese delle ferrovie che, con i suoi depositi, laboratori, officine
e la sua organizzazionecostituiva una delle maggiori attività della
città, presso la quale la società salesiana accreditava i suoi ex-
allievi di una reputazione di buona condotta e di capacità profes-
sionale. Attraverso questo tipo di meccanismi, gli ex-allievi sale-
siani si inserivano nel mercato del lavoro e acquisivano una nuo-
va identità sociale, ma nello stesso tempo era la stessa Società
salesiana ad acquisire forza, prestigio, capacità di penetrazione,
influenza. Tanto che le organizzazioni degli ex-allievi salesiani, al
di delle loro manifestazioni celebrative e rievocative, ebbero fin
dalle origini la funzione di rafforzare i vincoli di solidarietà tra la
società salesiana e gli stessi ex-allievi, una volta che questi si era-
no inseriti nella vita di lavoro e nelle professioni.
4. L'immagine della Società Salesiana
Le funzioni di organizzatore e imprenditore svolte da Giovanni
Bosco lo portavano così a vigilare dall'interno sui meccanismi
delle sue istituzioni e sulla loro espansione; nello stesso tempo, a
rappresentare all'esterno le istituzioni da lui create, a tutelarne gli
interessi generali e a creare presso l'opinione pubblica un'immagi-
ne conseguente dell'opera salesiana. Le Memorie Biografiche e
l'Epistolario recano ampia traccia di questo lavoro svolto da Gio-
vanni Bosco, allo scopo di tenere viva l'attenzione della società e
delle classi dirgenti verso quanto si faceva nelle istituzioni salesia-
ne. La sua capacità di agire come avvocato e tutore degli allievi e
delle istituzioni si manifesta nella prosa e nelle argomentazioni
avanzate da Giovanni Bosco, a titolo di esempio, in una lettera
rivolta alla direzione torinese delle ferrovie, dopo che un gruppo
di allievi salesiani si erano resi responsabili di un uso improprio
delle agevolazioni che l'amministrazione ferroviaria concedeva
alla società salesiana, motivo ritenuto sufficiente per procedere ad
una sospensione di tali favori. In data 13 settembre 1870, Giovan-
ni Bosco pregava il direttore delle ferrovie di intercedere opportu-
namente "in favore di questi poverelli, considerando che i falli
avvenuti sono senza colpa di questa Amministrazione, la quale
biasima e punisce severamente i colpevoli"; ma non mancava di
ricordare al "chiarissimo Commandatore" che gli stabilimenti
salesiani "pel movimento che cagionano alle Ferrovie dalla parte
dei loro aderenti e delle merci, producono anche qualche agio alle
medesime: ... nella sola festa e novena di Maria Ausiliatrice oltre
trentamila forestieri intervennero per le ferrovie a Torino; ... que-
sti Stabilimenti hanno sempre accolto, e ve n'è tuttora un numero
notabile, giovani fatti orfani per la morte dei genitori applicati alle
Ferrovie, e altrimenti dai vani rami di codesta Ferroviaria ammi-
nistrazione raccomandati9".
Al di del fatto particolare, che di per sé non ha molta impor-
tanza, è significativoil tratto, umile ma nello stesso tempo impe-
rioso, con cui Giovanni Bosco rappresenta e difende gli interessi
societari. È viva la consapevolezza che le istituzioni salesiane, nel
quadro della vita sociale ed economica, sono una forza con la

18.2 Page 172

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quale le altre forze devono in qualche modo fare i conti.
Non meno significativi sono gli sforzi fatti da Giovanni Bosco
per suscitare attorno all'opera salesiana l'attenzione delle autorità
e del pubblico. In questa gestione dell'immagine societaria rien-
travano le esposizioni merceologiche organizzate per segnalare e
pubblicizzare la produzione dei laboraton salesiani. All'Esposi-
zione Generale tenutasi a Tonno nel 1884, organizzata dalla
Società Promotrice dell'Industria Nazionale, la società salesiana
fu presente con un cospicuo padiglione. Vi era esposto l'intero
ciclo di produzione del libro, a partire dal trattamento dei cenci
alla produzione della carta (da poco tempo i salesiani avevano
rilevato a Mathi una cartiera), dalla stampa alla rilegatura e com-
mercializzazione dei volumi. In proposito, l'ingegner Riccardo
Sartorio, uno degli esperti incaricati di curare gli articoli per la
cronaca illustrata dell'eposizione torinese, pubblicati dai concor-
renti Roux-Favale e Treves, sottolineava, con qualche battuta,
alcuni dati tecnici di particolare rilievo:
"Non crederemmo di non aver esaurito il nostro tema senza parlare del
grandioso impianto di una vera fabbrica di carta che la Cartiera Salesiana
fa in apposito locale presso la Galleria dei Lavoro. I preti fan le cose
adagino e infatti la cartiera di don Bosco non incominciò a funzionare che
in questi ultimi giorni. Essa riesce però interessantissima perché contiene i
.ci.li~ ndr-i-o-~ lan~ des~ i ner la manioolazionedella.Dasta.. macchina a carta conti-
~
~
~~
nua, calandra, tagliatrice, fonderia di caratteri, stamperia, legatoria e libre-
ria: tutte le operazioni per trasformare la pasta di carta in un libro legato. I
vari meccanismi saranno messi in azione da quattro motrici, fra le quali vi
è una novità. È tale una motrice rotatona del signor Pietro Dall'Orto di
Genova della forza di 12 cavalli-vapore. I tentativi di macchine rotative di
una forza alcun poco considerevole, sebbene in gran numero ed ingegnosi,
hanno fino ad ora incontrato ostacoli insormontabili circa la durata delle
macchine e l'economia del combustibile. La macchina del Dall'Orto I'ab-
biamo vista a camminare a mota. 11suo movimento è regolare ed occupa
poco spazio".
E ancora nel 1886 Giovanni Bosco raccomandava l'organizza-
zione di esposizioni triennali che documentassero il lavoro svolto
nei laboratori e nelle colonie agricole salesiane. La Regina Mar-
gherita non mancherà di intervenire e di esprimere la sua ammi-
razione, a suggello e maggior fortuna della reputazione conseguita
dalla Società salesiana.
5. Dai laboratori alle scuole professionali
Quando don Bosco e i salesiani assumono queste iniziative,
destinate a cadere in una realtà economica e sociale già assai più
dinamica rispetto alla stagnazionedei primi due decenni postuni-
tari, anche i laboraton salesiani si stavano ormai trasformando
significativamente. All'inizio, come scrive Redi Sante di Pol, i
laboratori, annessi all'oratorio, costituivano una "comunità di
lavoro", ma non un vero e proprio complesso di scuole professio-
nali. Solo attorno al 1880, si comincia ad intravvedere la necessità
di trasformare l'organizzazione delle origini in un nuovo modello,
strutturato secondo programmi di insegnamento veri e propri. Nel
1886 i1 capitolo generale della società Salesiana assume delibera-
zioni in questa direzione, ribadendo la necessità di continuare a
mettere gli allievi nella condizione di svolgere un mestiere onora-
to, di istruirli nella religione, ma anche di fornire "le cognizioni
scientifiche opportune al loro stato". È significativo che negli anni
successivi, in particolare dopo la Rerum Novarum, si faccia valere
anche la preoccupazionedi affiancare l'insegnamento professiona-
le e religioso, con un aggiornamento di tipo culturale e civile, pro-
muovendo nella scuola "conferenze sopra il capitale, il lavoro, la
mercede, il riposo festivo, gli scioperi, la proprietà". Una notevole
figura di organizzatore scolastico, don Giuseppe Bertello, sarà i1
principale artefice delle importanti trasformazioni avvenute nel
primo decennio di questo secolo nella struttura e nei programmi
delle scuole professionali,che vennero ampliati fino a comprende-
re gli insegnamenti di religione, italiano, geografia, storia, france-
se, disegno, nozioni di fisica, chimica, storia naturale, elettricità,
meccanica e computisteria. Allo stesso BertelIo toccò il compito
di accelerare la trasformazione degli istituti, accentuandone il loro
carattere di scuole professionali. I1 Ministero di Agricoltura,Indu-
stria e Commercio, al quale competeva la sovrintendenza sull'in-
segnamento professionale, aveva infatti accusato i salesiani di

18.3 Page 173

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mascherare dietro la facciata delle scuole professionali il vecchio
laboratorio-opificio,nel quale il trattamento degli "allievi" avreb-
be violato la legge contro lo sfruttamento dei minori. Analoghe
polemiche vennero suscitate dai socialisti torinesi. Viceversa, non
mancarono riconoscimenti ed aperte espressionidi stima da parte
delle forze economiche della città. Tra queste, nel 1911, la Camera
di Commercio e Industria di Torino, attraverso i suoi organi uffi-
ciali, riconobbe pubblicamente la qualità e la consistenza delle
scuole professionali salesianelo.
6. Industria e salesiani: due esempi
Se nella loro fase iniziale le scuole professionali costituirono il
tramite più diretto tra la società salesiana e la realtà economica,
sociale e civile della città di Torino, la vitalità organizzativa della
congregazione creata da Giovanni Bosco e la sua forza espansiva,
che si andavano manifestando sul territorio nazionale e nelle mis-
sioni all'estero, le conquistarono presto un particolare prestigio
che, tra le molte altre cose, si tradusse anche in alcuni significativi
rapporti con il mondo industriale. In questa sede ci limiteremo a
menzionare due casi che riguardano la società salesiana e due tra
le più consistenti e originali aree dell'industrializzazione italiana:
la Schio di Alessandro Rossi e la Torino della Fiat.
L'avvio ufficiale della prima istituzione salesiana a Schio awie-
ne nel 1901. Si tratta di un vasto fabbricato a tre piani, nel quale
troveranno posto le attività ricreative, assistenziali e sociali
dell'oratorio di San Luigi, continuatore ed erede della omonima
congregazione, sorta a Schio nel 1861 e poi passata sotto la dire-
zione dei salesiani. Nel nuovo fabbricato svolse la sua attività
anche la società "Concordia", un organismo associativo che, tra
organizzazione del tempo libero e promozione culturale, costitui-
rà uno dei punti di riferimento del mondo cattolico scledense. La
presenza salesiana sarà anche significativa nelle Unioni Professio-
nali, un'associazione solidaristica sorta nel 1905 con lo scopo di
provvedere "ai bisogni morali e materiali degli operai ad essa
iscritti, ed ai mezzi utili a tutelarli da qualsiasi pressione, che
venisse loro fatta a danno dei loro principi cattolici e dei loro
interessi materiali".
La presenza salesiana a Schio matura e si realizza in un modo e
in un periodo che la rendono particolarmente interessante, alme-
no nella nostra prospettiva. In primo luogo, è lo stesso Alessandro
Rossi a promuovere l'arrivo dei salesiani. Secondo una tradizione
credibile e avallata da Eugenio Cena, Alessandro Rossi ebbe
modo di incontrare diverse volte Giovanni Bosco, negli ultimi
anni della sua vita, a Torino, dove Rossi si recava con relativa
frequenza, nell'esercizio della sua funzione di imprenditore, di
organizzatore dell'associazionismo industriale e di rastrellatore di
capitali. Era stato Francesco Panciera, cugino di Alessandro Rossi
e per lungo tempo organizzatore e animatore della Congregazione
di San Luigi, a prospettare a Rossi l'opportunità di conferire ai
salesiani la direzione di quella istituzione. In una delle ultime
sedute del Capitolo Superiore a cui don Bosco fu presente, racco-
mandò la realizzazione dell'iniziativa scledense. Tuttavia solo tra
il 1891 e il 1892, si fecero passi formali per avviare un'intesa. In
data 15 giugno 1892, Michele Rua, primo successore di Giovanni
Bosco, scriveva a Francesco Panciera.
"... Prima di poter rispondere più esattamente alla domanda di V.S. La
prego di volermi far conoscere quale sorta di pie istituzioni a favore della
gioventù sarebbe costi di maggior convenienza ed utilità; se un collegio, un
orfanotrofio, od un semplice patronato od Oratorio festivo. Sono tutte
opere che possono fare un gran bene, specialmente in codesta città si
abbondante di o~erai..Ouando V.S. avrà avuto bontà di nsnn--n--d-e.n.n..i,
~
~
indicando eziandio presso a poco i mezzi coi mali 1'Istituto.notrebbe
~~~
sostenersi, ben volentieri tratteremo del tempo edel modo della fondazio-
ne di esso. Non debbo tuttavia nasconderle, che ci troviamo ora nella
estrema scarsezza di personale e già legati da parecchi impegni sino oltre al
1896; si dovrebbe perciò differiredi alcuni anni l'adempimento del pio
desiderio".
I mezzi sarebbero venuti dalla stessa famiglia dell'imprenditore
di Schio e con essi l'attiva collaborazione della figlia di Rossi, suor
Alessandrina.
La presenza dei salesiani a Schio matura in una fase molto par-
ticolare della sua stona industriale e sociale. Sono gli anni in cui il

18.4 Page 174

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modello paternalistico creato da Alessandro Rossi è ormai entrato
in crisi. I primi scioperi e la costituzione di un nucleo notevole di
organizzazioni socialiste hanno incrinato gli equilibri solidanstici
creati da Rossi con il complesso di istituzioni sociali, assistenziali
e ricreative che niotano attorno alle fabbriche di Schio e della va1
Leogra. I salesiani vengono quindi chiamati ad intervenire in una
realtà che, già costituita da tempo e caratterizzata da una sua forte
identità culturale, è percorsa da forti tensioni ideologiche e politi-
che. I1 riferimento di Michele Rua a "codesta città sì abbondante
di operai" lascia trasparire questa preoccupazione. L'interessa-
mento del massimo rappresentante della classe imprenditoriale
italiana, inteso a coinvolgere i salesiani come forza culturale sta-
bilizzatrice in una situazione ricca di tensioni, è comunque un
segno della particolare immagine che la società salesiana si era
creata nel corso degli ultimi decennili.
Un caso ben diverso è quello dei rapporti tra la società salesiana
e la Fiat. Essi rappresentano quell'intreccio tra congregazione reli-
giosa e società civile che don Bosco aveva additato ai suoi succes-
sori come strada da perseguire per lo sviluppo e il potenziamento
delle istituzioni salesiane. Non siamo in grado di datarne esatta-
mente le origini, ma negli anni venti dovevano aver raggiunto un
notevole grado di maturazione, se nel 1929 - secondo il racconto
di Eugenio Cena - il senatore Giovanni Agnelli, in occasione
delle manifestazioni per la beatificazione di don Bosco volle dare
un consistente contributo organizzativo fornendo i mezzi di tra-
sporto necessari per il movimento di vescovi e pellegini illustri
("trentacinque automobili nuove fiammanti con i relativi autisti")
e ordinando che si adibisse un locale della Fiat a dormitorio per
un migliaio di allievi ed ex-allievi. Nel mese di giugno cardinali,
vescovi e missionari andarono in visita ufficiale alla Fiat, dove "a
onorare le Loro eminenze vennero col Senatore Agnelli propneta-
rio anche le Autorità cittadine". Il racconto di Eugenio Cena così
prosegue:
"Don Ricaldone fece le presentazioni, osservando come tutto il mondo
fosse ivi rappresentato. Infatti con i Prelati italiani e stranieri derano
Vescovi residenziali, Vicari e Prefetti apostolici e altri Capi di Missioni,
che venivano da diverse parti delPAfrka, delSAsia e dell'America. I1
Senatore Agnelli, dando il benvenuto ai visitatori, accennò in che modo la
loro presenza colà avesse relazione col grande festeggiato."Sono lieto, dis-
se, di ricevere alla Fiat le Loro Eminenze, i Monsignori, i Missionari;
porgo loro di cuore il mio benvenuto. Dare questo benvenuto mi è tanto
più caro in quanto ricordo di aver conosciuto personalmentedon Bosco, e
la sua immagine illuminante parla sempre al mio spirito. I discepoli, i
seguaci del Beato don Bosco, di questo grande piemontese, che particolar-
mente Torino oggi venera e festeggia, sentiranno qui pulsare un ritmo di
vita che non sarebbe stato discaro al Beato, il quale fu un sublime eroe
della carità cristiana e insieme un ardentissimo apostolo del lavoro uma-
no, un suscitatore eccezionale di energie, uno scopntore di forze secrete,
un fondatore instancabile di opifici e di officine.I lavoratori della Fiat
saranno fieri, se gli eroici Missionari delle Case Salesiane, le quali coprono
veramente la faccia del globo, porteranno nel loro apostolato fra le genti
più diverse e lontane, come espressione vivida della rinnovata Italia, il
ricordo e la visione di questo nostro tempio del lavoro".
Non siamo in grado di stabilire a quale grado di dimestichezza
potessero essere giunti i rapporti giovanili tra don Giovanni
Bosco e Giovanni Agnelli; in ogni caso, nel tratteggiare un profilo
del fondatore della Fiat, pubblicato nel volume giubilare per il
cinquantenario deli'azienda automobilistica torinese (1949), Pie-
tro Ricaldone volle ricordare un lontano incontro, che potrebbe
risalire al periodo precedente alla breve camera militare di Gio-
vanni Agnelli.
- Comunque sia, nello stesso anno 1929, "una nuova gemma è
sempre Eugenio Cena che scrive - ... si aggiungeva alla corona di
don Bosco". I1 Senatore Conte Eugenio Rebaudengo, una delle
stelle di prima grandezza nel firmamento finanziario italiano e
uomo di fiducia dello stesso Agnelli nonché Presidente dei Coope-
ratori Salesiani, "aveva voluto con atto munifico o f i r e all'opera
Salesiana i fondi per i'erezione di un Istituto che servisse alla for-
mazione dei maestri d'arte destinati alle Missioni": ne fu posta
allora la prima pietra.
Ma gli anni successivi alla beatificazione di don Bosco offrirono
al capo della Fiat l'occasione per manifestare nuovamente la sua
speciale benevolenza nei confronti dei salesiani (specialmente in
occasione delle cerimonie del 1934 per la canonizzazione di don

18.5 Page 175

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Bosco), e a questi offri l'opportunità per aggiungere un'altra cospi-
cua istituzione a quelle già esistenti.
Nel 1938, nella ricorrenza del cinquantenario della morte di
don Bosco, mentre erano in corso i lavori di costruzione del nuo-
vo stabilimento di Mirafiori, venne infatti posta la prima pietra
dell'istituto che verrà intitolato alla memoria di Edoardo Agnelli,
il figlio del senatore, scomparso prematuramente nel luglio del
1935. Così scrive in proposito Eugenio Cena:
"Nel mondo dell'industna e anche fuori gode larghissimo credito la casi
detta Fiat. la maeeior fabbrica italiana di automobili. che dà lavoro ad una
grande moltitudine di operai. La creò a Tonno il senatore Giovanni
Agnelli. Dovendosene trasportare la sede in altra località presso il viale di
Stupinigi, il valoroso industriale volle che ivi non lungi dalle gigantesche
costruzioni in corso fosse edificato un grande oratorio festivo con pubblica
chiesa per la cristiana educazione dei figli delle maestranze e un modemis-
sino istituto internazionale di elettromeccanica per la formazionedi teo
nici salesiani da inviare in vane parti del mondo".
È altamente probabile che Eugenio Cena ignorasse le circostan-
ze e i retroscena in cui era maturato questo atto di liberalità del
senatore Agnelli. Erano ormai alcuni anni che i responsabili della
produzione e delle officine Lingotto, ultimate all'inizio degli anni
venti, ne lamentavano alcuni intrinseci difetti di concezione, ben
difficilmente rimediabili. La polemica interna sul Lingotto, ma-
scherata dietro una cortina di impenetrabile riservatezza e di qua-
lificate e conclamate opinioni entusiastiche che inneggiavano alla
sua superiore razionalità architettonica (tra queste faveva spicco
quella di Le Corbusier),era tuttavia molto vivace; ma soprattutto
era alimentata da una parte dei vertici della dirigenza Fiat, che
forniva anche argomenti solidi e persuasivi, prevalentemente ba-
sati sui vincoli imposti dallo sviluppo verticale dell'edificio, con-
tro la presunta razionalità della struttura a cinque piani.
Nell'estate del 1934 Giovanni Agnelli volle troncare le polemi-
che annunciando la costruzione di un nuovo stabilimento di con-
cezione integralmente diversa, cioè a sviluppo orizzontale e suffi-
cientemente ampio da risultare adeguato ai nuovi programmi di
produzione che la Fiat intendeva varare per il futuro. Per costrui-
re questa nuova gigantesca struttura di produzione era necessario
un terreno immenso. Nel giugno del 1936, nell'area di Mirafiori,
la Fiat cominciò ad acquistare le scuderie del finanziere Riccardo
Gualino, che stava ancora cercando di riorganizzare i suoi affari
dopo il grave dissesto subito all'inizio degli anni Trenta e il con-
fino con cui Mussolini aveva inteso punirlo esemplarmente. Que-
sti terreni, tuttavia, avevano un'estensione molto ridotta rispetto
a quella ritenuta indispensabile. Per amvare ad acquisire l'intera
area compresa tra corso Stupinigi e corso Orbassano, via Settem-
brini e corso Tazzoli, formata da un gran numero di piccole pro-
prietà, si doveva affrontare una complessa e delicata trafìla di
trattative e di procedure. Soprattutto, la segretezza era obbligo
assoluto. Qualora si fosse saputo che la Fiat stava acquistanto ter-
reni per costruire un nuovo sabilimento, i prezzi dei terreni
sarebbero lievitati e la Fiat si sarebbe trovata esposta al ricatto di
irriducibili refrattari. Non si poteva tuttavia pensare di poter
mantenere il segreto molto a lungo. Si trattava quindi di inventare
un efficace paravento che proteggesse l'azienda torinese da questa
eventualità, stornando la curiosità dei proprietari e dei funzionari
del catasto, dei tecnici del comune, dell'opinione pubblica, dal
vero scopo finale dell'acquisto dei terreni.
A questo fine, nel giugno del 1936, il senatore Giovanni Agnelli
tirò fuori dal cappello una soluzione brillante, che venne poi effet-
tivamente adottata e costituì il primo decisivo passo verso la rea-
lizzazione dello stabilimento di Mirafiori. In una riunione segreta,
alla quale parteciparono Vittorio Valletta, allora Direttore Gene-
rale della Fiat e un altro esponente dello "stato maggiore", Gio-
vanni Agnelli suggeri di giustificare l'acquisto dei terreni come un
contirihuto che la Fiat intendeva dare alta società salesiana per la
costruzione di scuole professionali per tecnici agrari, che sarebbe-
ro risultate quanto mai gradite al regime ai fini dello sviluppo e
modernizzazione dell'agricoltura. Sull'onda della battaglia del gra-
no, il governo infatti agevolava le iniziative intese a creare scuole
e poderi sperimentali. I1 nome della società salesiana e di don
Giovanni Bosco, più che mai popolare dopo la canonizzazione
avvenuta due anni prima, venne così sfruttato per agevolare
un'operazione fondiaria che, altrimenti, avrebbe presentato ben
maggiori difficoltà. I terreni furono acquistati uno dopo l'altro per

18.6 Page 176

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conto di società fittizie. Fu così che la Fiat, senza suscitare perico-
lose attenzioni nei venditori e nei numerosi mediatori che fre-
quentavano gli angusti comdoi dei servizi tecnici comunali sem-
pre alla ricerca di notizie e indiscrezioni su qualunque iniziativa
pubblica e privata, riuscì ad acquistare i venti appezzamenti
dell'area desiderata sulla base di prezzi molto modici, che si aggi-
ravano attorno alle 3 lire al metro quadro. Ultimati gli acquisti, la
Fiat usci allo scoperto e in tre anni riuscì a realizzare il gigantesco
complesso di Mirafion.
Il nuovo Istituto salesiano costruito in zona Mirafion e intitola-
to alla memoria di Edoardo Agnelli era dunque l'espressione di
una doverosa riconoscenza.
In seguito, la Fiat non avrebbe fatto mancare ai salesiani il suo
aiuto interessato. Con la franca e prosaica esplicitezzache caratte-
rizzava il suo eloquio, Vittorio Valletta, nel maggio del 1949,
annunciava al Consiglio di Amministrazione della Fiat: "nell'am-
bito della nostra penetrazione estera abbiamo concesso notevoli
aiuti alle Missioni Salesiani, mirabile opera di illuminato Cristia-
nesimo piemontese, già sempre caro al compianto senatore Agnel-
li e da lui aiutato". Lo stesso Valletta, peraltro, avrebbe potuto
vantare una sua giovanile ammirazione per la società salesiana. In
un suo scritto del 1909, dal titolo Cooperazione e mutualitd scoia-
stzca, inviato tra gli altri ad Alberto Geisser, l'apostolo dell'istru-
zione popolare, e a Luigi Einaudi, Valletta esalta "la meravigliosa
fioritura per tutto il mondo di quella potentissima, sebbene ine-
golare, Società Cooperativa che è la Salesiana".
I1 più autorevole suggello a queste consonanze tra la storia della
Fiat e la storia della società salesiana venne da don Pietro Rical-
done, quando scrisse il citato profilo di Giovanni Agnelli incluso
nel volume del cinquantenario della Fiat. Oltre a menzionare i
rapporti tra la famiglia Agnelli e don Bosco e il ruolo avuto dalla
Fiat nelle manifestazioni salesiane e le relative espressioni di
generosità, Pietro Ricaldone indugiava volentieri con intenti cele-
brativi sul tema del parallelismo tra la storia della Fiat e quella
della società salesiana:
"Anche le origini della Fiat... furono umili e faticose come quelle di don
Bosco: il lavoro del Santo e della Fiat si svolge a vantaggio degli operai:
come Don Bosco la Fiat dall'Italia estese man mano le sue propaggini
nell'Europa e nel mondo: anche la Fiat, come il grande Educatore, contri-
bui ad esaltare il nome della Patria nostra presso tutti i popoli"~2.
! 7. I1 tema della modernità di don Bosco
I
La simpatia espressa nei confronti della società salesiana dal
giovane Valletta, già avviato verso una brillante camera profes-
sionale alla quale non fu estranea la sua appartenenza alla masso-
neria, è solo un piccolo segno di una vasta approvazione e di un
diffuso interesse che l'opera salesiana suscitò nell'opinione e nella
cultura laica del nostro secolo. Basti vedere la quantità e la qualità
dei servizi giornalistici dedicati dalla stampa laica alla figura di
don Bosco in occasione della beatificazione e poi della canonizza-
zione.
Nello stesso 1934, Valentino Bompiani assunse l'iniziativa di
pubblicare una biografia di don Bosco: fu lo studio, ingiustamente
trascurato, di don Emesto Vercesi, che delineò un profilo politico-
civile di don Bosco. Comunque, l'apprezzamento della cultura lai-
ca per l'opera di don Bosco andò molto al di del periodo delle
grandi celebrazioni.
Nel caso di Filippo Burzio, come peraltro in quello di Giovanni
Agnelli, l'interesse per l'opera salesiana rientra nella cultura del
"piemontesismo". Secondo Bunio i tre santi piemontesi (Bosco,
Cottolengo, Cafasso) si apparentano per la comune origine regio-
nale, per il forte impegno sociale, per il vigoroso attivismo, per la
concretezza realistica:
"tutti e tre stanno su una linea che è squisitamente peculiare... dell'epoca e
della regione che li ha generati; Tutti e tre sono infatti Santi, non di ascesi
contemplativa, né di dottrina teologica; sono Santi di carità, Santi attiri,
com'è tradizionalmente pratico e attivo il genio subalpino; sono Santi, dire-
mo sociali, come sociale, anzi socialista, è quello scorcio deU'Ottocento".
Ed è lo stesso Burzio ad accreditare una certa analogia tra la storia
ligiosa e la storia profana di Torino, accostando lo sviluppo delle
tuzioni create da questi santi regionali a quello della Fiat:

18.7 Page 177

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"Fenomeni caratteristici,ed eventi salienti, deiia Torino nuova segnano una
ripresa (sia pure con notevoli varianti) del tipo piemontese classico: e sono
costituiti dal sorgere, entro le mura torinesi, di un grande e nuovo ordine
religioso, diventato ben presto mondiale, e di una grande e nuova industria,
affermatasisubito coi segni di un primato nazionale e internazionale. Li sin-
tetizzano i due nomi, popolarissimi, di don Bosco e della Fiat".
I1 Burzio che scrive queste parole è quello degli ultimi anni, già
ispirati ad un anelito religioso dalla lettura di Bergson; ma è pur
sempre il liberale conservatore formatosi alla scuola di Pareto e di
Machiavelli, di D e Maistre e di Croce, senza mai spogliarsi del
suo abito mentale di matematico e di ingegnere.
La figura di don Bosco ,fu anche presente alla memoria e alla
coniiderazionedi Luigi Einaudi. All'inizio del suo settennato pre-
sidenziale, quando si trattò di nominare i primi senatori a vita,
Einaudi scartò la candidatura di Gaetano Marzotto, l'imprendito-
re laniero di Valdagno noto per il grande complesso di opere
sociali create attorno alla sue aziende. Secondo una testimonianza
di Giulio Andreotti, riportata nella prima serie dei personaggi
Visti da vicino,, l'attributo della "socialità", previsto dall'articolo
59 della Costituzione per il conferimento del titolo di senatore a
vita, poteva meglio convenire al Cottolengoe a Giovanni Bosco, a
giudizio del presidente della Repubblica.
Nel suo Viaggio in Italia, frutto di una lunga peregrinazione
attraverso l'Italia a metà degli anni cinquanta e di una fortunata
serie di conversazioni radiofoniche, Guido Piovene ravvisa una
contraddizione nelle grandi istituzioni religiose torinesi:
"Opere pie, conventi, non si distaccano a Tonno pittorescamente. Fanno
corpo, fanno quadratocon la città, palazzi, municipio,fabbriche. I1"socia-
lismo" ottocentesco ha riportato a galla lo spirito integrale della Controri-
forma; che qui dovrebbe prendere il suo vero nome di Riforma cattolica.
Socialmente moderna, attenta alle nuove tecniche, austera, missionaria,
tutta per l'umile, il povero ed il malato; antimoderna nelle idee, nel costu-
me e nella cultura".
Questo è il giudizio di Piovene, ma ben diversa, secondo il
resoconto dello scrittore vicentino, è l'immagine che i salesiani
tendono a fornire di se stessi:
"Che cosa mi ha impressionato di più visitando la casa madre dei salesia-
ni di don Bosco...? Certo, i laboratori per le arti e i mestieri, dove si for-
mano i meccanici, i sarti, i tipografi,i falegnami. È noto che gli allievi di
queste scuole si distinguono nelle industrie laiche. Ma ancora di piu I'in-
sisrenzli del salesiano che mi accompagna su una parola: moderno. Una
delle poche parolc che egli pronuncia, giacche usr il resto r' laconico..\\li ha
detto solo 'tutto marmo', mostrandomi la ricca chiesa, e poi: 'un principio
inculchiamo agli allievi: non parlare se non è utile; considerare soltanto la
necessità'. Moderno. 'Don Bosco, mi dice, è sempre più avanti di tutti, più
moderno di tutti'. 'Moderne' le riviste di moda straniere di cui è dotato il
laboratoriodei sarti. Moderna la tipografia,moderno il teatro; la sala degli
spettacoli 'la più moderna di Torino'. Poi: una lontananza astrale dalla
cultura laica"i3.
Tra le pieghe dell'analisi di Piovene si coglie una doppia sfuma-
tura. Da una parte egli ammette che l'opera salesiana si è inserita
positivamente nella storia dell'ltalia moderna con le scuole,
l'istruzione professionale, l'impegno sociale, etc.; dall'altro sottoli-
nea che l'uso del termine 'moderno' è in verità problematico, in
quanto sotto il "protosocialismo" salesiano Piovene intravve.d-e.I..n
spirito della controriforma, peraltro riqualificabile con il nome di
Riforma cattolica.
Ma se questa ambiguità, in Piovene, resta in qualche modo
sospesa e imsolta, registrata ma non ulteriormente elaborata, nel-
la pagina di Guido Ceronetti diventa oggetto di un giudizio liqui-
d a t o r i ~senza possibilità di appello. Nel ragionevole Piovene la
modernità è ambigua, ma è una forza autentica; nell'apocalittico
Ceronetti è, né più né meno, una forza dissacrante e satanica.
Rievocando un'escursione ai Becchi e al Tempio di don Bosco
dell'estate 1981, così scrive: "Un'emzione satanica ha sconvolto
tutto, annientato ogni bellezza, ogni senso della vita. La collina è
adesso un Giappone col morbo di Minimata, una Manhattan sale-
siana che fuma nichilismo di Banca...". Tutto questo, naturalmen-
te, non è frutto del caso, ma del fatto che anche "la Chiesa ha
sposato il mondo della Tecnica, dell'abbmtimento scientifico e
materialistico". L'esperienza salesiana, nei pensieri di Ceronetti, è
stata veicolo ed espressione di questa caduta laica, razionalistica
del cristianesimo, non una resa passiva all'ordine moderno, ma
un contributo attivo alla sua affermazione. Eppure qualche cosa si

18.8 Page 178

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- - salva, almeno per quanto riguarda don Bosco: che cosa? "Mi atti-
ra invece scrive Ceronetti il diamante solitario che fu, l'enig-
ma di una personalità religiosa traboccante di energie misteriose".
Anche in questo caso, la figura di don Bosco viene sottratta alla
sua reale concretezza storica, alla sua difficile ma pur sempre pos-
sibile decifrabilità, per diventare oggetto di un'analisi a dir poco
esoterica.
Non si vuole con questo rovesciare il discorso e considerare la
storia della società salesiana e del relativo modello culturale come
un episodio della storia della modernizzazione del paese, non già
perché non vi abbiano avuto una loro parte, ma perché le nozioni
di "moderno" e "modernità" sono di per sé ambigue, troppo
valutative e troppo poco descrittive, troppo ricche di presupposti
impliciti per poter essere sottratte ad un uso metaforico o a sottin-
tesi polemici. Anche da questo punto di vista, il modello culturale
salesiano è particolarmente interessante sotto il profilo dei rap-
porti tra religione e società, tra cultura ed economia. Nel caso dei
salesiani, tali rapporti non si configurano affatto come compro-
messi ideologici inevitabilmente effimeri, come ardite ma sterili
mediazioni dottrinali, come spregiudicati ma labili patteggiamenti
politici. L'intransigenza salesiana è totale. La "socialità" di don
Bosco e dei salesiani non è il fmtto di un inquinamento progres-
sista o populista della dottrina cattolica. La "modernità" non è un
dato ideologico od un opportunistico rimaneggiamento devoto ai
valori laici. Il modello culturale salesiano riesce ad essere "socia-
le" e "moderno" non sul terreno delle dottrine, come giustamente
sottolinea Bukio, ma in quanto coincide con un'organizzazione,
un assetto istituzionale di tipo nuovo, caratterizzato da una forte
autonomia ecommica, da una notevole capacità espansiva, da
una spiccata capacità di stimolare e motivare gli individui al lavo-
ro e alla conquista di un ruolo sociale. La società salesiana è
diventata assai presto un'istituzione capace di funzionare "per
forza propria", come avrebbe detto Machiavelli; a quel punto, le
altre istituzioni, dallo stato alle imprese industriali, dai mass-
media all'organizzazione sanitaria, ne hanno cercato la collabora-
zione, il contributo, l'avvallo. La "modernità" di don Bosco sta
anche in questo. Sul piano dell'azione sociale il suo motto avrebbe
potuto essere: cercare in primo luogo l'autonomia e I'organizza-
zione, il resto verrà. Su questa strada, don Bosco fu, o diventò,
uno straordinario organizzatore tayloristico dell'amore cristiano.
i P. STELLA, Don BOSCO nella storia economica e sociale, 1815-1879. Libreria Ate-
neo Salesiano, Roma, 1980, p. 400.
2 I1 giudizio è di Sergio Quinzio, in Domande sullo santità (don Bosco, Cafarso,
Cottolengo),Torino 1986; viene ripreso anche da M.L. STRANIERO, Don BOSCO rive-
lato. Milano, 1987, p. 191.
3 L'episodio relativo ai funerali di Michele Rua viene riferito in G. SPADOLINI,
Giolitti e i Cattolici, Milano, 1965, p. 168.
4 SU Giovanni Bosco come "imprenditore privato", cfr. P. STELLA, Don Bosco
nella storia economica e sociale, op. cit., pp. 393-99.
5 Ce. E. CERIAM, emorie biogrnfichedel Beato Giovanni Bosco, voll. 11-15, Tori-
no, 1930.1934, vol. 13, p. 81; A. BELASIO,Non abbiamopaura!abbiamo il miracolo
dell'apostolato cattolico di XVIII secoli e le sue sempre nuove e più belle speranze,
Torino, tipografia e libreria Salesiana, 1879, p. 59. Entrambe le citazioni sono npor-
tate in P. STELLDAo,n Bosco nella storia della religiosilà cattolica, Roma;Z voll.,
1976, vol. I, p. 368 e p. 370.
6 Sulla storia del culto di san Giuseppe e sulla sua fonuna ottocentesca, cfr. C.A.
"Le développement historique du culte de Saint Joseph", Revue b&nédictine,XIV,
1897, pp. 104-114, 145-55,242-51;J. HUIUNGA, L'autunno de1Medio Evo, Firenze,
1967, pp. 152.53; L. WHITE jr., "The Iconography ofTemperantia and the Virtuou-
sness of Technology", in Medieva1 Religion and Technology Collected Essays, Ber-
keley, Los Angeles and London, 1978, pp. 184-85: va ricordato che la proclamazione
di san Giuseppe Patrono della Chiesa Universale avvenne dopo una petizione con
140.000 firme rivolta ai Padri del Concilio. È significativoche la storia del culto di
san Giuseppe venga "percorsa in un anicolo apparso sulle Letture Cuttoliche del
giugno 1870. Cfr. anche P. BAIRATI, "San Giuseppe", Il Giornale, 19 mano 1986.
7 Dall'abbondante letteitura sull'argomento, ricordiamo, E.P. THOMPSON,
"Time, Work-discipline and Industrial Capitalism", Past andpresent, , 38, 1967, pp.
56-97; E.P. THOMPSON, Making of the English Working Clasr, London, 1963 (trad.
it., La formazione della classe operaia inglese, Milano, 1968); H . GUTMAN, Work,
Culture and Society in lndwtriolizing America, New York, 1976 (trad. it., Lavoro,
cultura, società nelPArnericn industriale, De Donato, Bari, 1978); D.T. RODGERS,
The WorkEthic in Indwirial America, 1850-1520, Chicagoand London, 1978; anche
P. BAIRATI, 'L'etica del lavoro", Rivista Storica Italiana, Anno XCII, fasc. 1, 1980,
pp. 164-75.
8 I1 regolamento dei laboratori salesiani, redatto nel 1877, è riportato da G.B.
LEMOYNE, Memorie Biografiche, op. cit., 8, pp. 116-18.
.~. 9 Sui raooorti tra la società salesiana e le ferrovie. cfr. G.B. LEMOYNE. Memorie
~
~
l i , ~ > , y r ~ ~9,.~p/pz.r9. 12-13ì 934-35. Sulla parteciparione dci sale5imi aI1'Espasizione
di Tonno del 1851, cfr. E CEKI-4. .fnn,lr &l!d D C I I I L I Sa/es~unaT. onno, 4 voil..
1910-13. 1. 688.89; il giudizio d, Riccardo Scnono si t r o v l !n 70n>,i, r l'Eino~,2io?lr2

18.9 Page 179

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Italiana del 1884. Cronaca illustmta della Esposizione Nazionale-Industriale e Arti-
stica del 1884, Torino-Milano, Roux e Favale e Fratelli Treves Editori, p. 166. Sulle
esposizioni triennali dei laboratori e colonie agricole salesiane, cfr. E. CERIA, Annali,
op. cit., pp. 452-72.
io Sulla storia dellescuole salesiane, cfr. L. PANFILO, Dalla Scuola di Arti eMestie-
ridi Don Bosco all'aftività di formazione professionale (1860-1915).I1 ruolo dei sale-
siani, Milano, 1976; R.S. DI Por, "L'istruzione professionale popolarea Torino nella
prima industrializzazione", in Scuole, professori e studenti a Torino, Quaderni del
Centro SfudiCarlo Trabucco, n. 5, giugno 1984, pp. 76-82.
11 Sulla presenza dei salesiani a Schio: G. MANTESE, Storia di Schio, Vicenza,
1955; E. REATO, "Schio, 1866-1915: profilo socio-religioso", in Schio e Alessandro
Rossi. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggio sociali del secondo Ottocento, a
cura di Giovanni L. Fontana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1985,2 voll., p.
51 1; la lettera di Michele Rua a Francesco Panciera in data 15-6-1892, insieme con
- una corrispondenza tra Feidinando Rodolfi (vescovo di Vicenza) e Paolo Albera
(teno successoredi don Bosco), si trova presso Archivio Della Schio; la lettera è
stata ritrovata e pubblicata da Igino Rampon, al quale si deve anche una rievocazia-
ne del titolo I salesiani a Schio - Cronistoriadi un sessantennio, 1901-1961, dattilo-
scritto presso Archivio Della Cà. Devo alla coitesia di Giovanni L. Fontana la pos-
sibilità di consultare questi documenti. Nel secondo volume dell'opera Schio e Ales-
sandro Rossi è anche contenuta una documentazione fotografica sulle opere salesiane
a Schio (fotografie 716-727B). Sul movimento operaio e sul socialismo a Schio, cfr.
vari saggi contenuti in La classe. gli uomini e ipartifi Storia del movimento operaio e
socialista in una provincia bianca: il Vicentino11873-1948). a cura di Emilio Franzi-
na, Vicenza, 1982.
$ 2Sulle manifestazioni per la beatificazione di don Bosco, la traslazione da Valsa-
lice a Valdoccoe la visita alla Fiat, cfr. & Sfampn, 10, 11, 12 giugno 1929; E. CERIA,
Memorie Biogrnfiche, op. cit., p. 197(il testo intero del discorso di Giovanni Agnelli
è in «Bollettino Salesiano*, a. 53', agosto 1929, p. 229); sulla posa della prima pietra
del1'Istituto Rebaudengo, cfr. E. CERIA, Memorie Biografiche, OP. cit., 19, p. 199; il
profilo di Giovanni Agnelli scritto da Pietro Ricaldone è contenuto in I cinquanta
anni della Fiat, Amoldo Mondadori, Milano, 1950, pp. 107-116; sulla posa della
prima pietra delI'Istituto Edoardo Agnelli, cfr. E. CERIA, Memorie Biografiche, op.
cit., 19, p. 383; sulla vicenda degli acquisti della Fiat in zona Mirafiori, cfr. P. BAI-
RATI, "Miracolo a Mirafiori", IISole - 2f Ore. 23 dicembre 1984 e "La mossa 'sale-
siana' ", Il Giornale, 13 settembre 1986. E da,notareche Eugenio Ceria, pur ignoran-
do i dettagli deII'operazione, collega la fondazione dell'Istituto "Edoardo Agnelli"
alla creazione di Mirafiori "Dovendosene trasportare ia sede in altra località presso
il viale di Stupinigi, il valoroso industriale voile che ivi non lungi dalle gigantesche
costruzioni in corso fosse edificato...", come da citazione nel testo. La dichiarazione
di Valletta è riportata nei verbali nel Consiglio di Amministrazione della Fiat, 16
maggio 1949. Lo scritto giovanile di Valletta è reperibile presso la Biblioteca Civica
di Torino e presso la Fondazione Einaudi di Torino. Su questo cfr. P. BAIRATI,
Vallerta,Torino, 1983, p. 20. Per un inquadramento dei rapporti fra clero e industria
a Torino e alcuni significativi riferimenti alla società salesiana, cfr. M. REINERI,
Cattolici e fascismo a Torino, 1925-1943, Milano, 1978; inoltre, B. BERTINI-S.
CASADIO, Clero e industria a Torino, Milano, 1979.
i3 V. BOMPIANI, Via privafa, Milano, 1974; F. BURZIO, Anima e volti del Piemon-
te, Torino, 1947, pp. 56-9 (il breve profilo dei tre santi piemontesi venne anche
incluso nel citato volume giubilare del cinquantenario della Fiat, op. cit., pp. 97-8).
Per un profilo di Filippo Bunio, cfr. N. BOBBIOT, rcnthnni di storia della cultura a
Torino, 1920-1950, Torino, 1977, pp. 52-6; G. SPADOLINI, "Bunio allievo di
Machiavelli", in LTfalia dei laici. Lotta politica e cultura dal 1925 al 1980, Firenze,
1980, pp. 29-94. G. PIOVENE, Viaggio in Italia, Milano 1959, pp. 141-2;G. CERO-
N m I , "L'enigma di Don Bosco", La Stampa, 11-8-1981, ripubblicato, in forma
divena e pih ampia con il titolo "Elementi per un'antiagiografia (don Bosco)" in
Albergo Italia, Torino, 1985, pp. 122-33.

18.10 Page 180

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La canonizzazione di
don Bosco tra fascismo e
universalismo
Pretro Stella
1. Nel quadro della Conciliazione
Le celebrazioni che si tennero per la canonizzazione di don
Bosco nel 1934 a Roma e a Torino dalla domenica di Pasqua a
quella dell'ottava, rilette oggi nelle cronache del tempo suscitano
facilmente l'idea che siano state come un suggello spettacolare
dell'accordo finalmente raggiunto in Italia tra la Chiesa e lo Stato,
sotto il regime fascista'. D'altra parte nel ricordo dei salesiani
superstiti che vi parteciparono quelle giornate rimangono fisse
alla mente come un evento indimenticabile: fu l'apoteosi, deside-
rata e finalmente celebrata, del loro santo fondatore. Al rilievo
che allora si trovarono insieme gerarchi fascisti con prelati della
santa Chiesa, organizzazioni cattoliche e squadre fasciste, essi
replicano: "Ma voi non potete immaginare quanto entusiasmo ci
fu in quei giorni per don Bosco!" Nondimeno l'idea che si sia
allora consolidata in Italia una sorta di articolazione organica tra
istituzioni ecclesiastiche e statali, religiose, politiche ed economi-
che è suggerita ampiamente dalt'esame delle persone che vi parte-
ciparono e delle immagini che si suggeriscono.
La domenica di Pasqua, 1' aprile, nella basilica di S. Pietro gre-
mita di fedeli prendeva parte al rito della canonizzazione, seduto
in apposita tribuna presso l'abside, il principe ereditario Umberto
di Savoia in qualità di rappresentante ufficiale del re. Il 2 aprile
l'Italia tributò i sommi onori civili al nuovo santo con una mani-
festazione dichiaratamente "trionfale" in Campidoglio. Alti per-
sonaggi furono invitati a prender posto nella sala "Giulio Cesare".
Mussolini fece il suo ingesso alle ore 16 precise. Al tavolo presi-

19 Pages 181-190

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19.1 Page 181

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denziale alla sua destra stava il quadrumviro Cesare Maria De
Vecchi, oratore ufficiale, ambasciatore d'Italia presso la S. Sede.
Alla sua sinistra, il principe Francesco Boncompagni Ludovisi
governatore di Roma e don Pietro Ricaldone rettor maggiore dei
salesiani. Alla destra del tavolo presidenziale stavano in appositi
seggi cinque cardinali; primo tra questi, Pietro Gaspam, segreta-
rio di stato di sua santità e cardinale protettore dei salesiani di
don Bosco. I1 28 aprile al palazzo di Montecitono il re stesso,
inaugurando la ventinovesima legislatura, fece un'allusione a
quanto era avvenuto: "La concordia e l'intesa tra autorità civili e
religiose s'è rafforzata, come recenti grandi celebrazioni hanno
dimostrato"2.
Non si trattò tuttavia del risultato improvviso di eventi inopi-
natamente nati negli anni del concordato e maturati poi in pieno
clima di consenso fascista. Risalendo infatti al passato è possibile
cogliere già nella vita di don Bosco atteggiamenti e comportamen-
ti che paiono come il preludio naturale di quanto avvenne alla sua
canonizzazione.
La partecipazione del principe ereditario in S. Pietro aveva pre-
cedenti ben lontani e non meramente episodici. Già nel 1865 un
figlio di Vittorio Emanuele 11, Amedeo di Savoia, aveva preso
parte alla posa della prima pietra della chiesa che si andava
costruendo in Valdocco alla "Auxilium Christianomm". Lo stesso
anno don Bosco lanciava una lotteria debitamente autorizzata e
ufficialmente "posta sotto la speciale protezione" del principe
Amedeo di Savoia duca d'Aosta,. del principe Eugenio di Carigna-
no e della principessa Maria Elisabetta di Sassonia duchessa di
Genova3. Certamente dieci anni prima, nei mesi drammatici della
crisi Calabiana, don Bosco aveva fatto preannunziare "grandi
funerali in corte"; ma si trattava più di un monito nei confronti
dei consiglieri politici, che non una riprovazione della monarchia
legittima. Nei confronti di questa don Bosco nutriva i sentimenti
che da secoli alimentavano la mentalità popolare; egli cioè nel
sovrano sentiva come radicate, prevalenti e alimentate da una
speciale grazia divina le doti che si immaginavano nel buon
padre: pienezza di amore verso i figli, rettitudine e saggezza nel
governo dei sudditi. Più per senso religioso che per quel tatticismo
- che si trova, ad esempio, in termini aggressivi sulYArmonia"
e su altri fogli clericali del tempo - don Bosco distingue tra il
sovrano ben intenzionato e i suoi ministri, divenuti dopo la rivo-
luzione francese e soprattutto dopo i1 '48 fin troppo animati da
cattive intenzioni nei confronti della Chiesa.
Uguali tendenze e attitudini si riscontrano senz'altro nei suoi
collaboratori e prosecutori. Principesse reali e altri componenti
della Casa Savoia presiedettero in varie occasioni comitati d i ono-
re o con finalità benefiche a favore di opere salesiane, soprattutto
dagli ultimi anni dell'800 fino ai tempi che prepararono immedia-
tamente la canonizzazione. Nel 1910, alla morte di don Rua,
inviarono le loro condoglianzeai salesiani la regina Elena, la regi-
na madre Margherita di Savoia, le principesse reali Clotilde e Lae-
titia, il duca di Genova4. Nel giugno 1918 in occasione di un
imponente omaggio dell'esercito italiano per il cinquantenario
della basilica all'Ausiliatrice, la Casa regnante era rappresentata
ufficialmente dal principe Eugenio duca di Ancona e qyesti portò
quale dono della regina Elena un crocifisso d'argento massiccio5.'
Rispetto agli anni che precedettero la morte di don Bosco il clima
politico e sociale era profondamente mutato. L'intransigentismo e
l'opposizione cattolica si discioglievano in tentativi di avvicina-
mento che non è il caso qui di richiamare. Si passava nel primo
decennio del '900 al palese inserimento di cattolici militanti nelle
pubbliche istituzioni. Interventi come quelli del duca d'Aosta e di
altri membri della casa reale s'inquadravano, a ben vedere, nel
disegno di pacificazione degli animi, di legittimazione dell'avve-
nuta unificazione nazionale sotto la corona dei Savoia, di consoli-
damento del "partito di corte" nel tentativo di entrare in affari
pubblici che invece i governi costituzionali, da Cavour a Crispi e a
Giolitti, tendevano a gestire autonomamente.
Altrettanto costante è in don Bosco e nei suoi salesiani la cura a
coltivare l'appoggio e il favore delle pubbliche autorità (o, se si
vuole, in ultima analisi, l'intesa con i ceti dirigenti). Non era un
caso la presenza del governatore di Roma il 2 aprile in Campido-
glio, o quella del podestà e del prefetto alle manifestazioni che si
tennero 1'8 aprile e nei giorni successivi a Torino. Al trionfo di
don Bosco in Campidoglio assistette anche il presidente del senato

19.2 Page 182

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Federzoni. A Torino partecipò attivamente il senatore conte Eu-
genio Rabaudengo, ch'era oltre tutto il presidente generale
dell'unione dei cooperatori salesiani. I1 10 aprile il senatore prese
parte all'inaugurazione detl'istituto missionario e professionale
intitolato "Conti Rebaudengo" e donato appunto dalla sua muni-
ficenza ai salesiani di don Bosco. Come scrive il "Bollettino sale-
siano",
"alle 15,30 precise, al suono della Marcia Reale e di Giovmezza, fra entu-
siaste acclamazioni, apparve in cortile sua altezza reale la principessa
Maria Adelaide di Savoia-Genova, fra lo splendore delle porpore degii
eminentissimi cardinali Fossati e Hlond, accompagnata da sua eccellenza
il conte Cesare Maria De Vecchi di Va1 Cismon, ambasciatore d'Italia
presso la S. Sede, rappresentante del regio governo, da sua eccellenza il
ministro Fedele, dal segretario federale on. Andrea Gastaldi, dal podestà
conte senatore Paolo Thaon di Revel...".
Si giungeva, si può dire, alla espticitazione logica di quanto era
in realtà una tendenza di fondo già ben radicata.
I1 ricco carteggio di don Bosco, conservato presso l'Archivio
Centrale Salesiano, da solo fa toccare con mano la fitta trama di
richieste inoltrate da don Bosco e la risposta degli enti pubblici
più vari dell'amministrazione dello stato e di quella comunale.
Quando il governo si trasferì a Firenze e poi a Roma, don Bosco
-
moltiplicò i suoi viaggi per mantenere la rete di amicizie e di
appoggi. I1 personaggio politico che in epoca cavouriana fu il più
largo di aiuti sostanziali fu forse Urbano Rattazzi. Sussidi finan-
ziari relativamente abbondanti si susseguirono negli anni in cui
questi fu ministro degli interni; la motivazione quasi stereotipa
era costituita dalle benemerenze filantropiche o caritative del pre-
te Giovanni Bosco in pro della gioventù bisognosa delle classi
popolari. A Firenze Giovanni Lanza e altri coinvolsero don Bo-
sco, com'è noto, nella nomina di vescovi per le sedi vacanti (in
particolare per quelle piemontesi, che oltre tutto più premevano a
don Bosco). Giunta al potere la sinistra liberale don Bosco ebbe
modo di continuare a tessere forme d'intesa, nonostante critiche o
perplessità negli ambienti politici vaticani e nonostante il diverso
prevalente orientamento del movimento cattolico intransigente.
Nel 1876 inaugurandosi il tronco ferroviario a Lanzo don Bosco
ospitò le celebrazioni ufficiali nel collegio municipale gestito dai
salesiani; pote così incontrarsi personalmente con il capo del
governo Depretis, il ministro dell'interno Nicotera e quello dei
lavori pubblici Zanardelli. In quegli anni pertanto continuò a
rivolgere promemoria e richieste soprattutto a quanti negli am-
bienti politici avvertiva sensibili all'emigrazione e alle aperture
internazionali dell'ltalia. Nel 1885 il ministro degli esteri di Robi-
lant avanzò la proposta di una scuola italiana al Cairo gestita dai
salesiani. Solo più tardi (1895) i salesianiandarono ad Alessandria
d'Egitto. Fatti del genere s'inquadravano nella politica mediterra-
nea di Crispi, tendente a un'espansione politica anche con l'im-
pianto di scuole, in contrasto a quanto di analogo faceva già la
Francia.
Ci si spiega peraltro come in tale contesto Crispi, capo del
governo, autorizzò il 1' febbraio 1888 la sepoltura di don Bosco,
anziché nel cimitero comune della città, nel collegio salesiano di
Valsalice; era la concessione fatta a un insigne italiano che s'era
reso particolarmente benemerito in opere di educazione e di civil-
tà. Si posero allora le premesse al corteo sterminato, religioso e
civile, che si sarebbe snodato nel 1929 per il trasporto del corpo di
don Bosco da Valsalice alla basilica dell'Ausiliatrice in ~ i l d o c c o
al canto entusiasta: "Don Bosco ritorna tra i giovani ancor!". La
beatificazione del fondatore dei salesiani, slittata di qualche anno
per difficoltà impreviste, fini per entrare in un ciclo di eventi le
cui premesse storiche più tipiche risalivano appunto all'epoca di
Crispi e di Giolitti.
In quei tempi sono reperibili i preludi di quel patriottismo e
nazionalismo che nel discorso di De Vecchi in Campidoglio
sarebbero finiti condensati in formule di retorica eloquenza:
"Don Bosco è un Santo italiano ed è il più italiano dei Santi. Lo sente suo
tutto un popolo, e tuttavia il grande spirito è onnipresente nel mondo,
cosicché questa perfezione italiana diventa per lui romanità"6.
Riandando ai preludi, non bisogna attendersi in don Bosco
accenti di patriottismo dal timbro politico. Anche se scrisse una
Storia d'Italia (1855), la "patria" per lui era anzitutto la "terra dei

19.3 Page 183

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Becchi"; in senso più largo la sua "patria" era soprattutto il Pie-
monte. Estraneo era in lui il senso di nazione nel senso promosso
dalla rivoluzione francese. La sua lingua parlata era abitualmente
il piemontese in uso a Torino; la lingua scritta era però un italiano
di massima comprensione e di sufficiente correttezza formale
anche già negli scritti che precedettero la stesura della Storia d'lta-
Iia. Il senso della patria italiana divenne più vivo in lui e nei suoi
salesiani quando si moltiplicarono le fondazioni fuori d'Italia, in
Europa e in America. Sul "Bollettino salesiano" di ogni mese non
mancarono lettere di missionari con riferimenti ai "compatrioti"
piemontesi, liguri, napoletani ch'erano emigrati in qualcuno degli
stati del continente americano.
Alla morte di don Bosco anche il movimento cattolico in Italia
tende ad appropriarsi di temi nazionalistici. Non sorprende perciò
se anche in discorsi tenuti in morte di don Bosco si trovino spunti
in tal senso. Monsignor Tommaso Reggio, ad esempio, vescovo di
Ventimiglia, apostrofava l'America, "terra apertaalla conquista
del genio italico" stabilendo un parallelo tra Colombo e don
Bosco, e u n confronto tra i "barbari" primi colonizzatori e i
seguaci del prete piemontese:
"Colombo ti diè al mondo civile, l'Apostolo della gioventù pensa rigene-
rarti nella conoscenza del vero Dio (...). Felice la prora che recherà gli
apostoli della fede e della vera civiltà". La Patagonia - proseguiva il pre-
lato - "serba odio secolare ai bianchi invasori, sia per la natura di quella
gente dura e crudele quanto tarchiata e robusta, sia pei dolorosi ricordi del
Mendoza, il Cortez dell'America meridionale. Non temete, non temete: le
tradizioni della barbarie spagnuola non sono la scuola del prete torinese,
che pose tanto amore alla gioventù (...). Awezzi ad ammansare i piccoli
nomadi delle città di Europa, sapranno eglino, colle arti apprese lor dal
maestro, ammansare e convenire le nomadi tribù della Patagonian7.
Soprattutto nel dopoguerra il tema deli'italianità di don Bosco e
dei suoi figli diventava un tema frequentissimo, unitamente a
quello dell'italianità di altri personaggi dell'empireo religioso,
quali Francesco d'Assisi e Caterina da Siena; mentre intanto in
Germania si esaltava la germanità di Lutero, in Francia I'eroicità
e il patriottismo della Pulzella d'orléans, in Spagna la hispanidad
di Teresa d'Avila e Ignazio di Loyola.
Un'altra serie di fatti porta a dar credito all'idea che la canoniz-
zazione di don Bosco sia stata in effetti un momento non mera-
mente rituale anche nel quadro del consolidamento dell'assetto
industriale capitalistico.
A Torino la "Fiat" intervenne ai festeggiamenti per fa canoniz-
zazione del santo piemontese secondo il suo stile. I1senatore Gio-
vanni Agnelli mise a disposizione venti berline "Ardita" per le
occorrenze del direttiva salesiano e dei suoi ospiti. L'8 aprile
mentre I'oceanico corteo sfilava sotto una pioggia insistente, le
auto procurarono un provvidenziale alloggio al centinaio di ve-
scovi italiani e stranieri intervenuti alle manifestazioni. I1 giorno
dopo di buon mattino il rombo di motori rompeva la quiete di
quanti riposavano a Valdocco dopo la giornata spossante. Come
riferiva il "Bollettino salesiano"spagnolo, era la "Fiat" che invia-
va trenta superbe berline "Ardita" e due "fiammanti e colossali"
torpedoni con l'ordine di portare in visita alla fabbrica i superiori
- salesiani, I'eminentissimo cardinale Hlond e l'accolta dei vescovi.
A ricevere gl'illustri visitatori - scriveva il "Boletin salesiano"
fu l'intero corpo dirigente della "Fiat": poi i visitatori passarono
nella grandiosa sala delle esposizioni per firmare il grande album
della Casa. Qui il senatore Agnelli rivolse un saluto "Lleno de la
mas noble cordialidad", ma anche sottilmente allusivo, a nome
dei dirigenti e degli operai.
"Come italiani - egli disse - come piemontesi, come lavoratori noi siamo
orgogliosi di avere tra noi qui, nella "Fiat", un principe delia Chiesa e tanti
vescovi e sacerdoti salesiani, che degnamente rappresentano e continuano
l'opera universale di don Bosw, opera di santità cristiana e di civilizzazione
eroica, ma anche opera di insegnamento e organizzazione del lavoro.
Quando io ero piccolo, ebbi la fortuna di conoscere don Bosco - mi
pare di vederlo ancora, semplice e familiare, seduto alla mensa di mio
nonno. Allora la "Fiat" non esisteva; Tonno non era ancora la città indu-
striale; però don Bosco aveva già posto le imprese del suo immenso edifi-
cio di bene, della sua fabbrica di educazione che doveva estendersi fino
agli ultimi confini della terra. La "Fiat" conosce molto bene l'importanza
sociale e religiosa dell'opera Salesiana, perché dovunque arrivano le
nostre macchine, dovunque vadano, per vie nuove e in terre sconosciute,
incontrano immancabilmente questi "pionieri" della civilizzazione,
trovano dispiegate le bandiere gloriose di don Bosco.

19.4 Page 184

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Tutti gli operai della "Fiat", molti dei quali provengono dalle scuole
salesiane,si inchinano riverenti davanti allagloriadel nuovo Santo, che fu
sempre un gran lavoratore, un grande operaio; e si sentono altamente ouo-
rati con la presenza di tanti dignitari della Chiesa cattolica, ai quali io, in
nome loro rivolgo il saluto e la viva gratitudine perché con tanta bontà si
sono degnati di venire in questa Casa"8.
Mentre i prelati erano condotti a visitare i padiglioni della fab-
brica, più di cinquanta macchine vertiginosamente celebravano
"il grandioso carosello dei vescovi" e due aeroplani guidati da
valenti piloti dell'aviazione italiana eseguivano sorprendenti acro-
bazie in onore dei visitatori in un cielo che per la prima volta era
diventato limpido dopo giorni di pioggia.
Anche in questo caso non si trattava di occasionali incontri. In
realtà don Bosco da sempre aveva lavorato verso il coordinamen-
to di due scopi: il finanziamento delle sue opere e gli sbocchi nella
vita dei suoi giovani, fossero essi degli oratori festivi o dei collegi
per studenti o di scuole di arti e mestieri. L'importanza degli ora-
tori, fossero essi parrocchiali o salesiani, per la gioventù maschile
e femminile, ma anche per il tempo libero degli adulti, era stata
avvertita da imprenditori intelligenti, quali i Poma a Biella e a
Torino, Alessandro Rossi a Schio.
Già negli anni immediatamente prima della guerra don Pietro
Ricaldone era stato richiamato dalla Spagna a Torino (191 1) e
aveva avviato, oltre che scuole agricole più sensibili ai progressi
tecnico-imprenditoriali dell'agricoltura la conversione delle scuole
di arti e mestieri in scuole professionali. Nel dopoguerra, proprio
nel biennio rosso, maturò la collaborazione dei salesiani di Torino
con la dirigenza "Fiat". Le scuole professionali garantivano alle
fabbriche operai meno tentati dallo scontro di classe e dalla radi-
calizzazione ideologica. Inoltre la specializzazionedelle maestran-
ze e dei capi d'arte salesiani proprio in uno dei poli avanzati del
capitalismo industriale italiano aveva come effetto salutare, dal
punto di vista salesiano, l'esportazione all'estero di confratelli
soprattutto laici ch'erano abili professionisti, maestri di sicuro
affidamento, invidiati e rispettati specialmente nei paesi alla ricer-
ca di sviluppo nel campo agricolo e tecnico in America latina, in
Asia e in Africa.
Mentre dunque il monumento a don Bosco collocato a Castel-
nuovo d'Asti nel decennale della sua morte (1898) emblematica-
mente rappresentava il prete piemontese con a fianco un giovane
bianco e un giovane indio a indicare la benemerita vocazione dei
salesiani per l'educazione giovanile e la civilizzazione dei popoli
primitivi, un altro monumento che si andava introducendo in
varie case educative salesiane raffigurava don Bosco con a fianco
un giovane studente e un alunno delle scuole professionali9, evo-
cando in tal modo il nuovo momento storico dellaecongregazione
salesiana, la nuova idealizzazione del venerato fondatore, la nuo-
va offerta che i salesiani facevano ai bisogni della società, il ruolo
anche che il genio italiano offriva alla civiltà e al progresso in
moduli sociali ormai permeati del capitalismo industriale.
Gli elementi finora prospettati sono certamente nel complesso
interessanti e caratteristici. Ma l'illusione, che elencandoli si sia
giunti a fornire il quadro degli elementi strutturalmente più pro-
fondi e storicamente più rilevanti, viene rotta per poco che si pas-
si ad altri fattori, allora anch'essi operativi e interagenti; anzi, si
direbbe, essenziali allo storico per comprendere non solo il conte-
sto della canonizzazione di don Bosco, hensi anche i1 permanere
delle opere salesiane senza forti traumi e il loro riassestarsi in
Italia e nel mondo dopo la caduta del fascismo.
In sintesi, insieme alle spinte che portavano verso una lettura
nazionalistica e particolaristica della figura del santo, interagiva
anzitutto il senso della universalità della missione di don Bosco e
dei salesiani suoi prosecutori quali educatori della gioventù "spe-
cialmente più povera e abbandonata"; in secondo luogo entrava
in gioco il senso della specificità del sistema educativo posto in
atto sia da don Bosco che dai suoi figli spirituali; per terzo, in
chiave specificamente cristiana, sovrastava il senso della sopran-
naturalità di tale missione, formalmente istituzionalizzata dalla
Chiesa e ormai convalidata con il solenne riconoscimento della
santità di don Bosco fondatore, attorno a cui intanto si delineava

19.5 Page 185

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l'alone di santità individuato in suoi allievi, figli spirituali, colla-
boratori e cooperatori. In connessione a questo nucleo, in sé abba-
- stanza organico e in sostanza meno debole di quello dell'aggregato
nazional-fascista, agivano anche al di fuori del mondo cattolico
- meccanismi mentali tendenti a depurare l'immagine di don
Bosco da elementi non graditi o spuri.
La rapida espansione dell'opera salesiana dal Piemonte all'intera
Italia, dalla Francia alla Spagna, poi dall'Argentina all'intero subcon-
tinente americano, avvenuta già vivente don Bosco e tradotta in
cifre il più delle volte ottimisticamente enfatizzate, offriva i termini
alla nascente agiografia per prospettare don Bosco come il santo dei
giovani al di di ogni confine nazionale e di ogni civiltà, e i slesia-
ni come un nuovo promettente istituto educativo.
Era abbastanza facile per la stonografia del primo '900 cogliere
le congiunture favorevoli alle iniziative di don Bosco e di altri
educatori carismatici: l'inurbamento di giovani in tempi di decol-
lo industriale, l'aumento di bisogno d'istruzione, l'intervento del-
lo stato in tale campo, l'eccedenza demografica e la crisi economi-
ca e sociale che spinse all'emigrazione massiccia, i nessi fra politi-
ca di potenza nazionale ed espansione economica da una parte e
irradiazione missionaria protestante e cattolica dall'altra furono
fattori entro cui seppero muoversi don Bosco e i suoi figli spiri-
tuali. Nel 1910 alla morte di don Rua, primo successore di don
Bosco nella carica di rettor maggiore, il consolidamento delle ope-
re educative salesiane si poteva dire ormai garantito dalle cifre.
Da meno di 800, quanti erano i salesiani alla morte di don Bosco,
erano passati a circa 4000; nell'anno della canonizzazione erano
ormai 9.500; la congregazione delle figlie di Maria Ausiliatrice era
passata da 489 effettivi del 1888 a 2.922 nel 1910 e a 7.768 nel
193410.
Meno si avvertivano, dagli storici tra le due guerre, fatti posti in
evidenza in seguito dagli apporti della demografia storica e della
storia sociale. I1 regime demografico si era profondamente trasfor-
mato tra '700 e primo '900. Il prolungamento delle speranze di
vita aveva avuto come risultato una maggiore erogazione di classe
giovanile. I1 complesso di mutamenti indotti dall'industrializza-
zione e dell'inurbamento, la rapida espansione delle città indu-
strializzate o comunque importanti negli stati nazionali portò a
rendere meno rigide le strutture familiari entro le quali già erano
educati i figli prima di una sistemazione autonoma. La stessa
organizzazione sempre più estesa ed efficiente dell'istruzione ele-
mentare e media finì per creare tra fine '800 e primo '900 una
nuova distribuzione dei tempi e degli spazi propri delle classi di
età con adempimento d'obblighi scolastici. D'altra parte i partiti
politici e le istituzioni statali non amvavano a conglobare e
inquadrare, in base ai propri modelli ideologici, il mondo adole-
scenziale e giovanile secondo le esigenze proprie di tali età. In tali
congiunture si spiega il pullulare di proposte polarizzatrici e orga-
nizzative; da quelle ch'erano sul tipo dell'oratorio di don Bosco,
all'associazione degli scouts, dalla gioventu di azione cattolica
(prevalentemente di studenti) alla gioventu operaiali.
La rapida espansione mondiale delle opere giovanili di don
Bosco indusse anche a ricercare le specificità teoriche che sottosta-
vano a quello che don Bosco stesso chiamò il "sistema preventivo
nell'educazione della gioventu". Oltre che studiosi salesiani, in
tale direzione si spinsero, specialmente in Germania tra le due
guerre, pedagogisti meramente interessati al fenomeno educativo
che avevano sotto gli occhi o che comunque venivano a conoscere
dalla pubblicistica e dalla propaganda. Si ebbero così apporti
puramente scientifici ch'erano scarsamente o per nulla interessati
a contingenze nazionali, a letture confessionali o a strumentalizza-
zioni fascistel2.
In chiave prettamente religiosa don Bosco e le sue opere per i
giovani erano visti dal mondo cattolico come un'epifania di grazia
concessa da Dio alla Chiesa nei tempi modernil3. Oltre che sullo
sviluppo mondiale partito da umilissime origini (quasi come il
granello di senape della parabola evangelica), il senso del sopran-
naturale veniva proiettato dall'agiografia popolare e dotta sui fatti
meravigliosiche don Bosco stesso e i suoi ammiratori erano anda-
ti narrando. In tale stato d'animo, ad esempio, nel 1925 i salesiani
organizzarono il centenario del primo sogno rivelatore avuto da
Giovannino Bosco nella casetta dei Becchi all'età di nove anni.
Già precedentemente, dopo la dichiarazione della venerabilità
(1907), il "Bollettino salesiano" nelle varie lingue andò pubblican-

19.6 Page 186

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do puntualmente guarigioni miracolose o altre grazie straordinarie
attribuite all'intercessione celeste di don Bosco. L'immagine del
santo educatore e geniale organizzatore era vivificata e potenziata
dal sentimento ch'egli era anche un santo taurnaturgo e profeta.
Oltre che i miracoli, il ';Bollettino salesiano" e le narrazioni agio-
grafiche davano rilievo volentieri ai sogni profetici di don Bosco e
segnalavano I'avveramento delle predizioni più varie attribuite
allo straordinario apostolo della gioventù. Soprattutto fuori d'Ita-
lia questa serie i' temi portava a smorzare, a tollerare o a vanifi-
care i richiami che non mancavano di giungere sull'italianità e il
genio italico di don Bosco. In Italia a mano a mano che si conso-
lidava il regime fascista al potere, soprattutto dopo gli ultimi con-
flitti tra Pio XI e Mussolini sulla questione dell'Azione cattolica e
delle sue associazioni, maturarono attitudini e sentimenti che por-
tarono a considerare la massiccia partecipazione fascista come un
elemento secondario nella celebrazione mondiale di don Bosco
santo.
Per norma disciplinare che si rifaceva alle esperienze di don
Bosco stesso, era vietato ai salesiani occuparsi di politica, leggere
giornali non autorizzati, fare tra loro discorsi o sollevare contese
di nazionalità. Sarebbe interessante analizzare i fatti che radicaro-
no questa linea di condotta soprattutto nel direttivo supremo dei
salesiani nella sede centrale di Torino e nelle singole ispettorie o
province. Anche in forza di tale normativa si smorzarono in Italia
all'inizio del secolo intese con il movimento cattolico e si attenua-
rono iniziative di circoli culturali negli oratori che richiamavano
giovani universitari e liceali per dibattiti su temi sociali virtual-
mente politicil4. Di conseguenza la gioventù che frequentava gli
oratori tornava a essere in prevalenza quella dell'età adolescenzia-
le, mentre i giovani maturi o si dileguavano, perché assorbiti
dagl'impegni della vita, o si orientavano verso altre organizzazio-
ni. Nell'immediato dopoguerra in Italia si presero le distanze dal
Partito popolare; inizialmente si nutriva anche una diffusa diffi-
denza nei confronti del Partito fascista e delle organizzazioni gio-
vanili da esso promananti. Scontri e tensioni con giovani fascisti o
socialisti si ebbero sporadicamente attorno a vari oratori salesiani
a Torino, a Roma e altrove. La beatificazione di don Bosco
nelvanno del concordato e poi la canonizzazione nel 1934, fecero
lievitare forme di accordo e di consenso. Fu affidata ai salesiani di
don Bosco una parrocchia a Littoria; don Michelangelo Rubino
fece carriera come cappellano delle milizie fascisteis; salesiani
ch'erano stati apertamente a fianco di giovani cattolici nelle risse
con squadre fasciste, furono isolati dagli stessi superiori della con-
gregazione, e ridotti, se non al silenzio, alla critica sommessa e
non provocatorial6.
3. Una strategia della canonizzazione
Testimonianze illuminanti dell'intreccio fra consolidamento del
fascismo e canonizzazione di don Bosco sono, oltre che la com-
spondenza ordinaria con i superiori maggiori di Torino, gli appunti
che affidò ai propri taccuini personali don Francesco Tomasetti,
direttore dell'ospizio Sacro Cuore a Roma dal 1903 al 1917, supe-
riore della ispettoria o provincia salesiana romana dal 1917 al
1924, procuratore generale della congregazione salesiana presso la
S. Sede dal 1924 al 1953. In qualità di procuratore don Tomasetti
era anche postulatore delle cause dei semi di Dio salesiani ch'erano
in corso presso la sacra congregazione dei Riti. Nell'uno e nell'altro
molo ebbe modo di muoversi abilmente nelle sfere più alte del
complesso mondo romano fungendo persino talora da tramite a
sondaggi o trattative informali avviate dal cardinal Gaspam prima
e dal cardinal Pacelli poi durante il pontificato di Pio XI.
Nel taccuino del 1926 alla pagina del 22 gennaio notava a pro-
posito dei balillaI7:
"Si possono considerare al punto di vista di parte o di partito e al punto di
vista evangelico. Se li considero al punto di vista di partito, dovrei com-
batterli, perché sono un'immagine del partito fascista che è opposto al
partito popolare, il quale si voglia o non si voglia ha le sue radici nelle
nostre organizzazioni, anche in quelle che non avrebbero nulla a vedere
colla politica.
Se li considero al punto di vista evangelico, io mi ricordo che Gesù
lasciava le novantanove pecorelle per correre dietro alla pecorella smarrita
che Gesù è venuto nel mondo a salvare (...).
Ancora: io appartengo a un istituto che apre le porte ai monelli della

19.7 Page 187

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strada, che cerca di accalappiare con divertimenti per renderli a poco a
poco critici; e allora, perché dovrei spaventarmi dei balilla (...)?".
Nei fogli del 6 e 7 m a n o 1926 annotava le strategie che conve-
niva adottare per le cause d i beatificazione relative a don Bosco, a
Maria Domenica Mazzarello confondatrice delle figlie d i Maria
Ausiliatrice e a Domenico Savio allievo dell'oratorio tra il 1854 e
il 1857:
"A Roma abbiamo tre cause sole: quella di don Bosco, quella della Maz-
zarello, quella di Savio. Le altre non sono ancora venute a Roma (...). Però
noi abbiamo bisogno di far salire prima D. Bosco, perché la causa sulle sue
virtu è validissima e di sicura riuscita, e una volta che egli sia dichiarato
beato, sarà meno difficile il trascinare su gli altri, soprattutto Savio Dome-
nico, in cui sarebbe difficile, senza la testimonianza di don Bosco, provare
l'eroicità delle virtu".
I1 30 luglio 1926 al palazzo della Cancelleria si tenne la congre-
gazione preparatoria sull'eroicità delle virtu d i don Bosco. Contro
le aspettative dei salesiani e dello stesso Pio XI, l'esito fu negati-
vo; si dovette perciò lavorare febbrilmente per portare a buon
esito quella che si tenne il 14 dicembre d i quell'anno. Don Toma-
setti annotò sul suo taccuino (alle pagine 8 e 9 mano):
"Come andò la preparatoria?
Tutto sembrava ben preparato per un esito felice, quando: 1' giunsero
altre accuse da un vescovo che credo piemontese, accuse che furono ribut-
tate dal promotore della fede.
2' Avvenne che naufragò miseramente nientemeno che (a1)la generale
coram sanctissimo, la causa di certi martiri francesi, contro la quale il
card. Ehrle osservò che non era chiaro se essi fossero stati uccisi per la
religione (...), osservazione che il papa fece sua rinviando la causa a uno
studio più serio e raccomandando grande severità (...)18.
3' Gli amici del Colomiatti e dei canonici della Consolata (Bisleti e
Laurenti) si ricordaronodelle maldicenze di mons. Colomiatti (...)'9. Che
cosa avvenne?(...) Questi due cardinalinon si mostraronosoddisfattidelle
risposte dell'avvocato e citarono, specialmente Laurenti, alcune di quelle
accuse più basse, per esempio D. Bosco disse a una signora che se le dava
L. 20.000 le avrebbe guarito il figliuolo: la signora dette L. 10.000 e (il)
figliuolomori... poi il miracolo del conte Chambord20.
A queste accuse mons. Mariani e mons. Salotti non seppero risponde-
re... e il card. Vico disse che, siccome il papa raccomandò la severità, era
necessario chiedere necessari schiarimenti".
Al foglio del 12 maggio fissava alcuni appunti per una lettera
indirizzata, sembrerebbe, a Fedenoni:
"Deve sapere che il card. Gaspam spesso mi chiama e fa con me molte
chiacchiere alle quali non annetto importanza. Tuttavia alle volte mi fa
rivelazioni (come quella che si riferiva alla tensione che esisteva tra gover-
no e Vaticano al tempo di Farinacci, e qnell'altra che riguardava la parte-
cipazione del governo d'Italia alle feste di Praga)".
Alla data 17 maggio si leggono altri appunti per una lettera a d
altra personalità del partito fascista:
"Eccellenza, come sta?
Il cird. Gaspam mi dà spesso piccole commissioni, che io o non faccio
o pure eseguisco per mezzo de1l'E.V. (...) mi parlò della tensione d'animo
per cui c'è da temere che si ripetano attentati alla vita di Mussolini, e
soggiunse: perché non cessano di pacificare gli animi (...) I1 fascismo ha
vinto e stravinto: oggi stende la mano, non a tutti gli awersari ma a
parecchi...per esempio ai Popolari, i quali sarebbero lieti di rientrare nelle
grazie del governo. Ad ogni modo venne da me Micheli e mi chiese...
Cingolani mi pregò di continuare
Venne a cercarmi Longinotti
L'Onorevole (Mario) Gino (...)"21.
Nel foglio del 10 giugno don Tomasetti annotava alcune infor-
mazioni e richieste a proposito dei salesiani ch'erano in Egitto e in
Palestina:
"C'è qualche cosa nei riguardi dei salesiani che lavorano in Oriente (...)
IO sto lavorando per allontanare da loro la taccia di nazionalismo. Ho
avuto un colloquio al riguardocol vescovo di Malta, il quale fa gli interessi
del nazionalismo inglese".
D a appunti sui fogli del 29 maggio e 4 giugno si ricava che don
Tomasetti funge d a mediatoge di informazioni. Scrive il 4
giugno:

19.8 Page 188

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"I1 card. Gaspam mi dice di far pervenire a Mussolini quanto segue..
(annotazione incompleta già sul ms. originale)"
Mancano purtroppo i taccuini degli anni successivi, a eccezione
d i quelli del 1931, 1934, 1944, 1947,1948, 1952 (trimestri 1 - e 4').
Quello del 1934 sul foglio del 1' gennaio esordiva:
"Siamo giunti alla canonizzazionedel beato don Bosco, e vi siamo giun-
ti attraverso battaglie asprissime, che faranno epoca nella storia dei Riti:
pareva che tutte le forze dell'Inferno si fossero coalizzate contro don
Bosco. Vinta la causa sulle virtù del servo di Dio, si ebbero nuovi attacchi
quando si discussero le virtù del giovane Dornenico Savio. Ma anche que-
sta volta gli avversari furono suonati... Insomma siamo riusciti vittoriosi
su tutta la linea, sicché l'anno scorso abbiamo ottenuto un decreto che
riconosce avere il giovane Domenico Savio praticato le virtù in grado
eroico, e il l*aprile don Bosco sarà dichiarato santo (...)".
Sul foglio del 3 gennaio aggiungeva:
"In Italia, ma specialmente a Roma e a Torino, si preparano festeggia-
menti straordinari. A Roma la chiesa e la piazza di S. Pietro saranno
insufficienti a contenere tutta la gente che converrà da tutto il mondo.
Dopo la cerimonia di S. Pietro si vorrebbe che don Bosco fosse comme-
morato in Campidoglio per esempio, ma chi potrebbe fare i passi per
ottenere questo? Io penso un comitato composto almeno di ex allievi de'
quali a Roma sono molti e anc@,in vista: S.E. Rossoni, S.E. Fontana,
l'0n. Rossi-Passavanti, il grande ufficiale Paolo Augella, il comm. prof.
Gaetano Pulvirenti, il comm. prof. Luigi Longo, (il prof. Padellaro)
(...)!'22.
Sul foglio del 4 gennaio:
"Chi invitare a parlare?... De-Vecchi? Tanto più che egli è disposto a
fare intervenire anche S.E. Mussolini.
Quanto alla stampa, ho scritto ai nostri confratelli di Torino che mi
mandino il materiale per i seguenti articoli: 1' D. Bosco e l'Italia; 2' D.
Bosco e Casa Savoia; 3' D. Bosco e la Conciliazione; 4' D. Bosco e le
famiglie principesche di Roma; 5' D. Bosco e il Papa.
Ho dato a Mattei (Gentili) dei libri che gli possano servire per l'articolo,
di cui I'E.V. mi padò I'altra volta (...). A proposito di senatori S.E. De-
Vecchi credo proporrà al Capo del Governo: Donzelli"23.
Sul foglio del 18 gennaio:
"Ieri sono stato al ricevimento che S.E. De-Vecchi ha dato nell'anniversa-
no della firma del trattato e del concordato tra la S. Sede e il governo
italiano. S.E. l'ambasciatore mi ha detto che: l' è stato dal re per dirgli che
i salesiani sperano di vedere in S. Pietro qualche membro di Casa Reale,
per esempio il principe Umberto, e che il re ha acconsentito; 2' oggi ne
darà comunicazione a S.E. Mussolini, affinchéil governo d'Italia proceda
col Vaticano: 3' che egli lavora per preparare una commemorazione coi
fiocchi, però prega di fargli avere il carteggio tra don Bosco e la Casa
Reale: Carlo Alberto, Vittorio, Umberto, le Regine; 4' siccome, quando
De-Vecchi mi parlava cosi, era presente anche S.E. mons. Ugo Boncom-
pagni il piccolo Ugo dell'epistolario di don Bosco), cosi questi mi disse
che il suo figlio, il Governatore di Roma, accorderà di buon cuore la sala
del Campidoglio"24.
Sui fogli del 22, 23, 24 e 25 marzo si leggono appunti di una
lettera al papa:
"Federzoni, ~orradiniP, ierazzi, Tommaso Marinetti, Maurizio Mara-
viglia, Forges-Davanzati, Francesco Coppola (...) Costoro essendo da noi
diventano sempre più cattolici ed ora costituiscono la parte migliore del
fascismo dirigente.
Siamo stati a ringraziare S.E. Mussolini, il quale è stato molto buono e
molto assennato nel rispondere. Ha raccomandato l'Italia all'estero, ma
senza fare nazionalismo, memore che il missionario che milita sotto una
bandiera non fnitta né per la religione né per quella bandiera. Però essen-
do nati in Italia il fondatore e la congregazione, spera che la riconoscenza
attirerà sull'Italia una certa benevolenza. Insomma ha adoperato un lin-
guaggio che piacque immensamente anche ai francesi e agli americani.
Siamo stati anche da sua maestà il Re che ci ha ricevuto con solennità
(...) È invecchiato. Io penso che non vivrà lungamente (...) Ha voluto avere
i nomi dei singoli componenti il capitolo superiore (dei salesiani) e ha
rivolto a ciascuno la parola (...) Avendogli ricordato ciò che i suoi antenati
avevano fatto per noi (Carlo Alberto, Vittorio Emanuele 11, Umberto...)
rispose: hanno fatto il loro dovere (...l Poi fummo dal principe Umberto;
lo trovammo ancora pieno di entusiasmo per la canonizzazionee pieno di
affetto figliale verso la Santità Vostra.
La statua di don Bosco dove la collochiamo? (...) Dove vorrà la Santità
Vostra; ma, se permette, manifesterei ciò che ho sentito quando ero chie-

19.9 Page 189

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nco (...) Allora si ricordavano i così detti sogni di don Bosco (...) In uno di
essi si leggeva che, trovandosi don Bosco in S. Pietro per una grande festa,
rapito nel suo fervore, fuori di sé, non sapeva dove andava, tanto che una
volta si trovò vicino ai piedi di Pio IX (...)in un altro istante ha creduto di
essere nella nicchia che è sopra S. Pietro, tanto che disse: oimé! come
faccio a discendere? (...).
Finalmente credo mio dovere di riferire alla Santità Wstra due cose che
ho sentito: 1' Quando avvenne la conciliazione, o, come dice meglio la
S.V. la composizione della questione romana, la S.V. donò a Mussolini
una medaglia d'oro (...) Mussolini, o perché suo1 mandare tutto l'oro che
gli perviene alla zecca, sia perché era inquieto quando avvennero gli ultimi
incidenti tra la S. Sede e il suo partito, inviò alla zecca anche la medaglia
d'oro che Vostra Santità gli aveva dato. Orbene la zecca giiela restituì
dicendo che era di piombo dorato. Io ho manifestato la mia sorpresa, ma
insistendo quel signore nella sua asserzione, risposi: O fu ingannato il S.
Padre, oppure fu da gente perversa ingannato Mussolini. E come? può
darsi che nella zecca gente interessata ne abbiano fatto una di piombo
nello stampo perfetto di quella regalata dal papa, la abbiano mandata a
Mussolini (...).
(2')Solarodel Borgo dice che al Quirinale si sospira una visita di Vostra
Santità, non come restituzione, ma come semplice visita, tanto più che la
Santità Vostra, a quanto si dice, andrà a passare qualche tempo a Castel-
gandolfo".
4. Le fasi di un trapasso
A questo punto la storia della canonizzazione si slarga in quella
dei salesiani e dei loro rapporti con questi favorirono il buon suc-
cesso delle celebrazioni.
Nello schieramento fascista si era particolarmente distinto Ce-
sare Maria De Vecchi di Va1Cismon. I1 23 luglio 1943 De Vecchi,
insieme ad altri gerarchi, votò nel Gran Gonsiglio del fascismo in
favore dell'ordine del giorno Grandi e implicitamente contro
Mussolini. 11 10 gennaio 1944 fu condannato a morte per alto
tradimento con Galeazzo Ciano e altri fascisti dal tribunale straor-
dinario speciale costituito a Verona. Ai primi di ottobre De Vec-
chi era ricercato dalle autorità fasciste di Torino. I familiari allora
si rivolsero al rettor maggiore dei salesiani perché fornisse subito
un rifugio sicuro. Don Pietro Ricaldone non era un uomo che
recedeva di fronte a quelli che sentiva obblighi morali di umanità.
De Vecchi fu ospitato in un primo tempo nello studentato filoso-
fico di Montalenghe. Vi giunse in borghese e con i caratteristici
baffi. Ma il 6 ottobre era perseguito da un mandato di arresto. Lo
si trasferì precipitosamente nello studentato teologico di Bollengo
presso Ivrea; senza baffi, con la tonaca nera, sotto il nome di don
Antonio Porta, "ecclesiastico proveniente da Abbasanta in Sarde-
gna"; fu ospitato nell'infermena sotto la tutela di due fidatissimi
giovani professori sardi (don Mario Grussu e don Francesco
Làconi); oltre loro, soltanto il direttore e l'economo della casa
conoscevano la vera identità dell'ospite. Ai primi di gennaio 1944
alcuni chierici studenti osservando il ritratto del .quadrumviro
stampato nell'Enciclopedia italiana giunsero a identificarlo. La
notizia poteva trapelare. Si rese necessario portarlo altrove d'ur-
genza. Nonostante il freddo intenso, la neve e la difficoltà dei
trasporti i due professori con don Antonio Porta il 5 gennaio si
portarono a Castel Verrès, dove pernottarono presso il parroco; di
il mattino successivo salirono a Challant-Saint-Anselmein par-
rocchia; e dopo qualche giorno, ancora più in alto, a Emarese,
presso la disagiata chiesa della frazioncina. De Vecchi era affran-
to, lassù non avrebbe resistito. Intanto voci che davano De Vecchi
come "passato tra i partigiani" erano sparse ad arte, insieme a
quella che dalla Va1 d'Aosta aveva varcato le Alpi per riparare in
Francia25. Venne riportato fortunosamente a Ivrea, poi a Tonno e
di nella casa salesiana di Castelnuovo Don Bosco, dove rimase
un buon anno con la qualifica di "canonico" tra i sospetti della
gente e dei partigiani locali. Una volta in casa con i salesiani si
trovarono nel medesimo tempo alcuni partigiani accucciati in sof-
fitta, i fascisti al piano terra e i tedeschi al piano di sopra; in più, il
canonico Porta appartato nella sua stanza. Come molti ecclesiasti-
ci insomma anche i salesiani di Castelnuovo dovettero destreg-
giarsi per tutelare le proprie opere e salvare la vita propria e
altrui.
In quei mesi ci fu anche una perquisizione improvvisa a Val-
docco alla caccia di partigiani. Questi erano riusciti a dileguarsi in
tempo, fuori dell'edificio...; a eccezione di uno, che don Luigi

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Cocco (incaricato dell'oratorio festivo e dopo la guerra missiona-
no fra gl'indios del Venezuela) riuscì a nascondere in un armadio
nella propria camera. Un soldato tedesco apri l'armadio. Vide e
non vide...; passò oltre. Don Cocco sudava freddo. In cuor suo
pensò a un miracolo dell'Ausiliatrice e di don Bosco.
Nel 1944-45 vari soldati boemi avevano disertato in Piemonte
e avevano raggiunto i partigiani in Va1 di Lanzo e in Va1 Susa.
Don Ricaldone autorizzò tre salesiani boemi (Karel Krcmar, Jan
Krhut e Frantisek Krtilek) a tenere i contatti tra questi loro con-
nazionali e altri fra Torino e Milano26.
Finita la guerra De Vecchi fu trasferito a Roma nella casa sale-
siana presso le catacombe di S. Callisto; poi di sotto falso nome
fu fatto giungere in Argentina. Ancora negli anni '50 e '60 i fami-
liari del De
Valdocco e
Vecchi a Torino si
di via Caboto per
artetecsatvaarneoanmeigcli'zisiatiteutgi rsaatlietusidaihnniiedai
quei salesiani che avevano conosciuto negli anni difficili.
La riconoscenza e il senso di rispetto furono altrettanto vivi nei
confronti di Casa Savoia. Nel 1946 si giunse in Italia al referen-
dum popolare tra monarchia e repubblica. La famiglia reale c ese
al rettor maggiore l'apporto di voto dei salesiani. Don Ricaldone,
superando riluttanze, ma in fondo in coerenza alla propria pro-
pensione personale, si compromise a chiedere il voto monarchico
ai suoi confratelli italiani con una circolare riservata, appellandosi
sostanzialmente non a motivazioni istituzionali e politiche gene-
rali, ma appunto al sostegno che le opere salesiane avevano avuto
da sempre dalla monarchia sabauda. Circolò allora tra le varie
curiosità una profezia di don Bosco che si tramandava oralmente
a proposito dei Savoia re d'Italia: "Tre e non più di tre". Comun-
que sia, i Savoia trovarono sempre ospitali, deferenti e accoglienti
i salesiani nella loro dimora fuori d'Italia in Portogallo.
Anche con la "Fiat" l'intesa non venne per nulla troncata. Essa
si traduceva soprattutto neUe buone possibilità di assunzione per i
giovani che uscivano dalle scuole professionali salesiane. Una di
queste a Torino era ed è intitolata "Istituto Edoardo Agnelli", e fu
costmita con i finanziamenti dati a don Ricaldone dal senatore
Giovanni in memoria del figlio morto per accidente aviatorio il
14 luglio 1935. I1 volume commemorativo I cinquant'anni della
Fiat 1899-1949 inseriva anche una serie di "ricordi personali di
don Pietro Ricaldone"; in essi si riflette chiaramente la visione
che don Ricaldone aveva dell'educazione religiosa dei giovani
come difesa del cristianesimo e della società contro il pericolo del
comunismo ateoz7.
5. Un intreccio complicato
Che dire dunque della canonizzazione di don Bosco tra nazio-
nalismi europei e fascismo? Fu essa un momento saliente ed
emblematico dell'incontro tra mondo cattolico, fascismo al potere
e capitalismo industriale?
La risposta dipende dal senso che si vuol dare ai termini, e
conseguentemente dall'opportunità di assumerli come categorie
generali nell'interpretazione dei fatti presi in esame. Utili elementi
critici sono attingibili in recenti bilanci stonografici sui nessi tra
borghesia capitalistica, fascismo e movimento cattolico. Qualche
proposta di lettura è possibiie comunque avanzarla provvisoria-
mente, anche senza addentrarsi ulteriormente in dibattiti episte-
mologici sui modelli storiografici.
Le manifestazioniper la canonizzazionedi don Bosco risultaro-
no innegabilmente un'amalgama di elementi diversi, disparati, in
parte occasionali e giustapposti, in parte articolati. Sicuramente
giovarono tanto al fascismo, quanto alla Chiesa e ai salesiani in
particolare. Questi poterono consolidare le proprie opere, non
solo in Italia, e garantirsi un alone di consenso sempre più largo e
capillare a mano a mano che aumentavano i loro ex allievi sia
nell'apparato pubblico sia in genere tra i professionisti, gl'impren-
ditori, gli operai nel sistema sociale ed economico di allora. Ci fu
senza dubbio, e non solo in Italia, una certa saldatura con il siste-
ma dominante: ma tutto sommato fu parziale, temporanea e ipo-
tetica, subordinata a istanze religiose non completamente risolvi-
bili in un quadro organico sia del fascismo sia del capitalismo
italiano, e per questo appunto rimaste imsolte.
I1 crollo del fascismo prima, quello della monarchia dopo, le
trasformazioni notevoli del sistema mondiale o prima o dopo

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20.2 Page 192

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tore del diritto canonico vigente. Allude inoltre ai canonici che officiavano il santua-
rio della Consolata a Torino.
20 Recatosi a Roma nel 1915, mons. Colomiatti volle testimoniare direttamente
contro don Bosco; fu istmito pertanto un processicolo e furono elaborate le risposte:
Positio siiper dubio: An adducta contra Ven. Servum Dei obstent, quominus in Causa
procedi possit ad ulteriora? Romae, tip. Augustiniana 1921; Confulazione delle accu-
seformulate contro la Cama del ven. Giovanni Bosco, Roma stabilimento poligr. per
I'amministraz. della guerra 1922. I1 caso del conte Henri de Chambord, visitato da
don Bosco a Frohsdorfil 15 luglio 1883 e deceduto il 24 agosto, nonostante l'illusio-
ne di una guarigione prodigiosa, nella Confitazione è discusso alle pp. 275-287 con
rimandi alla pubblicazione precedente.
21 La citazione è incompleta nel testo originale. Su Giuseppe Micheli e Giovanni
Longinotti si vedano le rispettive voci, e su Mario Cingolani i vari rimandi nel
Dizionario storico del movimento cattolicoin Italia, Casale, Marietti 1981-1984. Su
Mario Gino, nato a Nizza Monferrato nel 1890, ex combattente pluridecorato, già
membro del Direttori0 del fascio torinese, cf. Chi è? Dizionario degli italiani d'oggi,
Roma, ed. Cenacolo 1940, p. 454.
22 Edmondo Rossoni, nato a Tresigallo nel 1884, nel 1918 aveva fondato l'unione
Italiana del Lavoro e si era poi dedicato all'organiuazione sindacale fascista; fu
deputato al parlamento e ministro di stato. Attilio Fontana, nato a Torino nel 1876,
fu deputato, sottosegretario al tesoro nel secondo ministero Facta, membro della
commissione per l'emigrazione agicola. Il conte Elia Rossi Passavanti, nato a Temi
nel 1896, era deputato fascista al parlamento;fu podestà di Temi e segretario federale
della stessa provincia. Nazareno Padellaro, nato a Mazzarino nel 1892, era provve-
ditore agli studi per le scuole del govematorato di Roma. Su tutti cf. le singole voci in
Chi P? Dizionario degli italiani d'oggi (seconda edizione), Roma, Formiggini 1931.
23 Beniamino Donzelli, nato a Treviglio nel 1863, fu nominato senatore 1'8 aprile
1939; cf. Chi è?..., Roma 1940, p. 352.
24 Ugo Boncompagni Ludovisi, nato a Roma nel 1856 da Rodolfo e Agnese Bor-
ghese, fu nel 1871 tra i maggiori rappresentanti dell'unione romana per le elezioni
amministrative; mortagli la moglie nel 1892, entrò nello stato chiericale; fu ordinato
sacerdote nel 1895, divenne prelato e fu nominato vicecamerlengo di Santa Romana
Chiesa nel 1921; mori a Roma il 9 novembre 1935. Suo figlio Francesco nacque a
Foligno nel 1886 dalla seconda moglie Laura Altiek candidato del partito popolare
nel 1919, fu eletto nella XXV e XXVI legislatura; entrò poi nel partito nazionalista,
passò al fascismo, fu deputato e sottosegretarioalle finanze (1927); dal 13settembre
1928 al gennaio 1935 fu governatore di Roma, dove mori il 7 giugno 1955. Su
entrambi c t le voci nel Dizionario biografico degli Italiani, XI, Roma, 1969, pp.
709s; 719s.
23 L. ROMERSA (a cura), Cesare Maria de Vecchi di Va1Cismon. I1 quadrumviro
scomodo. Il vero Mussolini nelle memorie del più monarchico dei farcisti, Milano,
Mursia 1983, p. 270: "Molti sul silenzio e la clandestinità dell'ex quadmmviro, arzi-
gogolaronoe scrissero addirittura della sua partecipazionealla guerra partigiana (...).
Fole, dalla prima all'ultima parola".
26 I nomi dei tre salesiani sono dati da V. STAUDEK, La resistenza cec0s~ovaccain
Italia 1944/45, Milano, Jaca Book 1975, pp. 15; 64; 268, senza però specificare che
avevano avuto il benestare dal rettor maggiore.
27 1 cinquant'anni della Fiat 1899-1949. Milano, Mondadori 1950, pp. 107-115.
INDICE DEI NOMI
Acquademi Giovanni, 259, 284.
Ad Golgotam 172.
Ad Romam, 172.
Agnelli Edoardo, 348, 350, 356.
Agnelli Giovanni, 346, 347, 348, 349,
350, 356, 365, 378, 381.
Agostino, santo, 91, 113, 124, 181, 182,
,A r
Aimé L.M., 205.
Alako, 89.
Alasonatti Vittorio, 147.
Albera Paolo, 57, 80.
Albertario Davide, 251.
Alearia, 171.
Alessio, santo, 270.
Alfieri Vittorio, 100, 110, 132.
Alighieri Dante, 92, 176.
Alimonda Gaetano, 214, 246.
Allamano Giuseppe, 157, 183.
A-ll~ em~ an.d~6 4~~~....
~
Allievo ~:,-i72.
Alsina J.A., 324.
Altieri Laura, 382.
Altieri, cardinale, 118.
Amadei A,, 38, 65, 73.
Amari Michele, 72, 106, 125.
Ambrosio P,. 325.
Ambrosoli F:, 168.
Amico della Gioventù, 109.
Ammiano Martellino, 174.
Andreotti Giulio, 352.
Aneiros Federico, 292, 303, 309, 316.
Anfossi Giovanni, 148, 150, 151.
Anglesio, 231, 250.
Annotatore Piemontese, 136.
Aporti Ferrante, 183.
Appio Claudio, 157.
Armonia, 25, 81, 105, 109, 110, 204,
210, 244, 245.
Amauld A,, 183.
Asor Rosa Alberto, 253.
Aspri I., 251.
Assante F., 325.
Attila, 89.
Aubert Roger, 202, 323.
Balan pie&, 251.
Balbo Cesare, 83, 93, 106.
Ballesio Giacinto, 148.
Baiieydier Alphonse, 98.
Barale Paolo, 76, 381.
Baratta C.M., 176, 177.
Barberis Adolfo, 77, 115, 140, 246.
Barberis Giulio, 149, 325, 326.
Barbiera R., 205.
Bardassone, don, 227.
Baretti Giuseppe, 137.
Baretti, 153, 167, 172.
Baricco Pietro, 38, 73, 206.
Barola P,, 205.
Barolo marchesa Giulia Falletti, 16, 17,
65, 67, 209.
Bamel A., 96.
Bassanville, 204.
Baussano P,, 204.
Bazetti P,, 205.
Bazzarini A,, 141, 166, 167.
Bedarida, 250.
Bedeschi L,, 270, 282, 283, 284, 285.
Belasio Antonio, 180, 184, 336, 355.
Bellarmino Roberto, santo, 93.
Bellini B., 166, 167.
Belluomini G., 202, 204, 206.
Belmonte, don, 51, 52, 56, 76, 77, 78,
80, 120.
Beltramelli, 254.
Belza J., 328.
Bembo Pietro, 141.
Bendiscioli Mario, 182, 203.
Benedetto, santo, 105.
Benitez F., 303.
Bérault-Bercastel A.E, 93, 108.

20.3 Page 193

▲back to top
Bergier NS., 93, 108.
Bezson Henri, 352.
~ e & o ,241.
Berland F., 205.
Bermond Claudio, 65, 71, 72.
Bemni 0 , 168.
Bersezio Vittorio, 218, 221, 235, 247.
Benazzi John, 296.
Bertello Giuseppe, 128, 343.
Bertetti, 220, 247.
Berthiei J.B., 204.
Berton Angelo Pietro, 277.
Bezza B., 326.
Bianchini M., 203.
Biraga di Vische Carlo Emanuele, 244.
Bistolfi Giuseppe, 381.
Blair, 154.
Blanch Francesco, 146.
Boccaccia Giovanni, 141.
Bocci A,, 202.
-. Bodratto Francesco, 46, 75, 293, 295,
? l A..
Bollati Giulio, 107.
, 351, 356.
ie I, imperatore dei
, 229.
ne 111, imperatore
, .9.9.
Boncompagni Ludovisi Francesco, 146,
149, 360, 382.
Bonelli, 21 1.
Bonetta G., 28:1..
..* Bonetti
,Li,
,Gnio,v',a4'in.ni,
28,
46,
66,
67,
77,
Bonghi Ruggero, 149.
Bonifetti G., 203.
Bonomelli Geremia, 109, 251.
Bonzanino Cado, 145.
Borel Giovanni Battista, 209.
Barra Guido, 381.
Borrego I., 323, 324,.12-5.,.1- 26..
Bomomeo Carlo, saiito, 138, 261, 270.
Borsarelli R.M
Bosco Margherita (Mam
Bosco-Riccardi, 200.
Bossuet Jacques-Bénigne, 107, 194.
Botta Carlo, 83.
Bottaro L., 261, 262
Bottero Giovanni, 218, 219,
Boucheron Carlo, 100, 133.
Bouquier H., 67.
Bourdon M., 203.
Bourlot Stefano, 293, 314, 315, 316.
Braido Pietro, 18, 64, 66, 67, 70, 74,
76
~ r a n d ad, ofl, 53, 76, 77.
Bravo Gian Mano, 65, 66, 68.
Brenna P,, 124.
Bresciani Antonio, 178, 179, 202,
254, 269,270, 282.
Brioschi, don, 229, 249.
Bmnacci A,, 177.
Bmelli L., 177.
Bmnetti F., 168.
Bmto, 94.
Buona Sertimana. 213, 216, 239,
246, 250.
Bumouf J.L., 160, 163.
Burzio Filippo, 351, 354, 357.
Buzzetti G., 33, 46, 48, 71, 76.
Cadoma Raffaele, 83.
Cafasso Giuseppe, santo, 14, 64,
.7.5.1,.1.5.5. ~
Caffarena, 294.
Cafaaro, 230, 237, 250.
Caglieri Giovanni, 135, 138, 139, 172,
290, 298, 300, 304, 305, 306, 307,
317, 323, 325, 326.
Cairoli Benedetto, 42, 74, 75.
Calabiano, mons., 171.
Calcagno Giorgio, 137.
Caligola, imperatore romano, 88.
Calligari Emesto, 25 1.
Calonghi F.. 166.
Camaiani Pier Giorgio, 108, 110.
Campanini G., 245.
Campan, M.me, 194,204.
Canavero A., 251.
Candido S., 325.
Canestri G., 74, 75.
Cantù Cesare, 83, 171.
Cnpitnle, 237, 250.
Carena, 141.
Carlo Alberto, re di Sardegna, 97,98,99,
.1.. 81,.1.7.5.~
Carlo Emanuele E, re di Sardegna, 95.
Carlo Felice, re di Sardegna, 147.
Carlomagno, 91, 97.
Carpano, 21 1.
Camanza Eduardo, 304.
Carrasco Gabriele, 317.
Carrera C., 65.
Casalis Goffredo, 75.
Casati Gabrio, 30, 31, 35, 39, 70, 71,
119, 146, 149, 220, 221, 247.
Casoli P.B., 283.
Castellani A,, 66, 68, 246, 286.
Castelli G., 71, 73.
Castronovo Valerio, 247, 250, 324.
Caterina da Siena, santa, 364.
Cavazzoni Pedenini F., 203.
Caviglia Alberto, 105, 106, 107, 108,
110, 125, 140.
Cavour, conte Camillo Benso, 333,
361.
Cavour, marchese Gustavo Benso, 244.
Ceccarelii Pietro, 291, 303.
Ceria Eugenio, 13, 38, 44, 49, 64, 65, 68,
69, 70, 72, 73, 74, 75, 106, 131, 176,
177, 206, 345, 346, 347, 348, 355,
356, 380.
Ceronetti Guido, 353, 354, 357.
Cemati M., 177.
Cercato Natale, 118, 119, 136, 137,
138.
Cemti Francesco, 50, 53, 54, 56, 79,
114, 115, 120, 129, 130, 131, 133,
134, 135, 141, 148, 151, 158, 181,
Clemente XIV, papa, 95.
Clotilde di Savoia, 361.
Cocchi Giovanni, 15, 16, 17, 21
66, 68, 209, 210.
Cocco Luigi, 378.
Colhachini, 318.
Colli C,, 206.
Colombo Cristoforo, 316, 364.
Colombo Sisto, 150, 152, 181.
Colomiatti Emanuele, 372, 381,
Comba E., 205.
Comollo, 132, 271, 274.
Conciliatore Torinese, 212.
Conte Cavour, 218, 223.
Copernico Niccolò, 94.
Coppi A , 107.
Coppino Michele, 157.
Coppola Francesco, 375.
cortiiiazzo M., 130.
Cortez Hernando, 364.
Costa Adalgisa, 205.
Costamagna, 293, 308.
Costantino, imperatore romano, 88, 91.
Cottolengo Giuseppe, santo, 145, 239,
351, 352.
Crispi Francesco, 237, 361, 363.
Cnspolti Filippo, 251.
Cristoforo Coiombo, 314, 3 15, 316,
77R
Croce Benedetto, 108, 352.
Cronaca dei Tribunali, 223, 248.
Cuneo N,, 324.
Cuoco Vincenzo, 107.
Curtius Georg, 154, 163, 183.
Cynalenski E., 327.
Dalla Torre G., 285.
Dall'Orto Pietro, 342.
Dalmazzo F., 51, 55, 78.
Dandolo Tuilio, 178, 204.
De Agostini, editore, 25, 32.
De Amicis Edmondo, 323.
De Cesare Raffaele, 137.
De Felice, 315.

20.4 Page 194

▲back to top
una De Gasoeri Alcide, 381.
De
G., 282.
De Maistre Joseph, 91, 100, 101, 352.
De Maistre Rodolfo, 136.
De Marchi Emilio, 138.
De Mauro Tullio, 275, 286.
De Rosa L., 325.
De Sanctis Francesco, 270, 285.
De sancto Anrelio Augwtino, 172.
De Soirito A., 323.
De Vecchi Cesare Maria, 360, 362, 363,
374, 375, 376, 377, 378, 382.
Della Pemta Franco, 255, 282.
Denina Carlo, 83, 100, 106.
De~edeGr .B., 202.
~ G r e t iAs gostino, 363.
De-Vit V,,166.
Devoto F.J., 301, 324, 325, 326, 328.
Diavolo, 249.
Di Gardo M., 203, 205.
Di Nicola G.P., 206.
Di Pol Redi Sante, 343, 356.
Di Ricco A., 282.
Di Tella T.S., 326.
Dirirto Cnrtolico, 241
Dornenicn, 246.
Donzelli Beniamino, 382, 374.
Dore G., 301, 325.
Dupanloup Félix Antoine Philibert,
194.
Durando Celestino, 114, 115, 133, 135,
148, 149, 150, 151, 161, 165, 167,
Facta Luigi, 382
Fagnano, &ns., 293,295
Familia y Escuela, 314.
Fanfani P,, 137, 141, 205.
Fainacci Roberto, 373.
Farini Luigi Cado,121.
Farrel Vinay G., 245.
Fassati Maria, 206.
Fassino, 122.
Favale, tipografia, 32, 36, 166, 342,
356.
Faveio L,, 327.
Favini Guido, 282.
Febraro, don, 47, 76
Febvre Lucien, 8.
Fedele, 362.
Fedenoni Luigi, 362,373, 375
Fedro, 157, 158, 174.
Fenelon Franwis, 194.
Fenoglio G.B., 20:2.
Ferdinando I1 di 1Barbone, re delle Due
Sicilie, 97, 137.
Ferenai I., 323.
Ferra" A,, 282.
Ferrata G., 283.
Ferreri, 121.
Femro, 138.
Ficcanaso, 229, 249.
Fieno R., 282.
Finocchio Romolo, 308.
Firpo Luigi, 71, 285, l l l.
Fischietro, 224, 225, 226, 227, 229, 233,
Eco di Bergamo, 251.
Einaudi Luigi, 137, 325, 350, 352.
Elena di Savoia, regina d'Italia, 361.
Emporio Popolare, 172, 213, 216, 217,
246, 247.
Enria P,, 22, 68.
Entraigas R., 326.
Ephisius, 172.
Esaminatore, 206.
Espinoza Antonio M., 292, 309.
Estienne Enrico, 166.
Estienne Roberto, 166.
Eugenio di Savoia, duca di Ancona,
361.
Eugenio di Carignano, 360, 380.
Eutropio, 174.
Faà di BmnO Francesco, 246.
Fabrizio F., 287.
Fiorenzano G., 323.
Flora, 174.
Fontana Attilio, 382.
Fontana Giovanni L,, 356.
Fontana S., 283.
Fontana, tipografia, 32.
Fòntanella De Weinberg U.B., 324.
Forceilini E., 166.
Forges-DavanzatiRoberto, 375.
Formica, mons., 171.
Foscolo Ugo, 91.
Fossati Maurilio, 362.
Francesco *Assisi, santo, 92, 105, 364.
Francesco di Sales, santo, 30, 36, 120,
145, 181, 183, 215.
Francesconi M., 328.
Francesco Giuseppe, imperatore d'Au-
stria-Ungheria, 99.
Fianccsia Giovanni Battista, 145, 146,
.,-,',.. 150, 151, 157, 158, 170, 171, 172,
174 1 7 C
Franco S., 202, 204, 176.
Frassinetti G., 196, 202, 203, 205.
Fubini Leuzzi Maria, 106.
Fumagalli, don, 47, 76.
Furiozri G.B., 325.
Furlanetto G., 166.
Fusero Bartolomeo, 148.
Galilei Galileo, 93, 94, 108.
Galletti, mons., 171.
Gariglio Bartolo, 245.
Garino Giovanni, 152, 164, 176, 177,
181.
Garizio Eusebio, 163.
Gamtti Bellenrier M.T., 206.
Gaspani Pietro, 361, 371, 373, 374.
Gastaldi Lorenzo, 171, 212, 215, 216,
219, 220, 221, 225, 227, 228, 230,
243, 245, 246, 247, 248, 249, 251,
2x1
+"A.
Gaude, cardinale, 118.
Gaume Jean Joseph, 178, 181.
Gazzerta delPopolo, 102, 111, 182, 210,
218, 220, 221, 222, 230, 233, 244,
245, 246.
Gazzetrapiemontese, 218,233,237
247, 250.
Gazzolo Giovanni Battista, 291,
303, 304, 326.
Geisser Alberto, 350.
Gentile Giovanni, 181.
Georges K.E., 166.
Gerolamo, santo, 158.
Gilaidi Tommaso, 36, 72.
Ghiane; don, 51, 76.
Giardelli P,, 176.
Giardino A,, 30.
Gino Mario, 373,382.
Gioberti Vincenzo, 91, 100, 101,
109, 110.
Giolitti Giovanni, 361, 363.
Giovanni Battista, santo, 223, 246.
Giovannini Magonio G., 20
Giovannini L,, 283, :
Giovenale, 116, 174.
Giraudi F., 67. 71, 381
Genlis M.me de, 194.
Giulio Cesare, 157, 174, 359.
Giuseppe, santo, 28, 29, 51, 337, 355
Giuseppe 11, imperatore d'Austria, 99.
Giustino. 174.
Goldsmith Olivier, 83.
Gonnard R., 323.
Gonzaga Luigi, santo, 18, 270.
Govean Felice, 210, 218, 244.
Gracchi, fratelli, 94.
Gra.m..sci Antonio, 253, 268, 282, 283,
1115.
Gregorio VIII, papa, 89, 91
Gmssu Mario. 377.
Guala, 14.
Gualino Riccardo, 348.
Guanella L., 291, 323.
Guerra Elena, 203.
Gutman Herbert, 338, 355.
Hlond, cardinale, 362, 365.
Hugo Victor, 269.
Huizinga lohann, 355.
Isnardi G., 177.
Istitutore, 110.
Istruttore del Popolo, 109.
Italia, 235.
Italiano in America, 320.
Jacini Stefano, 275.
Jules M., 204.
Kom F., 324.
Krcmar Karel, 378.
Krhut Jan, 378.
Knilek Frantisek, 378.
La Farina Giuseppe, 84.
Lacaita Carlo G., 71.
Làconi Francesco, 377.
Laetitia, principessa, 361.
Lalomia F., 193, 204.
Lamé Fieury lules Raymond, 83, 106.
Lancelot CI., 159, 183.
Lanfranchi Vincenzo, 151, 183.
Lanza Giovanni, 65, 68, 106, 144, 145,
333, 362.
Lasagna Luigi, 58,290, 293, 320.
Lattanzio, 158.
Lazzero G., 39, 48, 50, 57, 73.
Le Corbusier (pseud. di Charles
Edouard Jenneret-Gris), 348.
Lemoyne Gianbattista, 16, 21, 22, 26,
27, 33, 34, 38, 65, 69, 70, 71, 73, 106,
131, 170, 173, 202, 277, 280, 285,
286, 297, 328, 340, 355.
Le0 I, Pontifx Marimus, 172.
Le0 III, Pontifx Marimus, 172.

20.5 Page 195

▲back to top
Leone XIII, papa, 263, 315, 318, 320, Medolago Albani Stanislao, 251.
328.
Leone I'Isaurico, 90.
Leopoldo, granduca di Toscana, 95.
Melegari, Luigi Amedeo, 327.
Mellano, Maria Franca, 245.
Mellei H.E...181.
Lévy M.F., 202, 204.
Lhomond, 157, 158, 159, 174.
Mendoza, 364.
.M. .e.n.i~ .n..i,. .14.1.
Liguori, Alfonso de', santo, 193.
Mengozzi G.C., 284.
Loescher, editore, 174, 175, 177, 274.
Longinotti Giovanni, 373, 382.
Mezzofanti Giuseppe, 100.
Miceli L,,75.
Longo Luigi, 374.
Micheli Giuseppe, 373, 382.
Loriquey padre, 102, 103, 110, 111.
Migliorini B., 137.
Luraghi, don, 320.
Lustrissimi P,, 203.
Milanesio D., 327.
Min..em.al~ . -1~~ 70...,
Luteio Manino, 93, 364.
Minucio Felice, 174.
Macchi M., 245.
Momo G., 204.
Machiavelli Niccolò, 352, 354, 357.
Mademi M., 206.
Monaldi, 262.
Montale Bianca, 245.
Madvig G., 154.
Morando Giuseppe, 108.
Maintenon, M. me de, 194.
Morcelli A. Stefano, 133.
Majo A,, 251.
Moreno Luigi, 244, 245.
Malan Pietro, 124.
Mallet du Pan Jauiues, 93, 101.
Moroni, 89.
Morra S., 206.
Manzoni Alessandro, 101, 108, 110, Mortara G., 323.
176, 253.
Maraviglia Maurizio, 375.
Motto F., 70.
Miiller G., 152, 168, 183.
Marazzini Claudio, 136.
Miiller Max, 154.
Margherita di Sauoia, regina d'Italia, Muratori G.F., 94, 107, 160.
342, 361.
Margotti Giacomo, 21 1, 215, 216, 219,
230, 238, 243, 245, 246, 248, 249.
Murialdo Leonardo, santo, 66, 68,
215, 217, 246, 337, 338.
Mussolini Benito, 349, 359, 370,
Maria Adelaide di Savoia-Genova,
374, 375, 376.
362.
Muzzarelli A,, 107, 204.
Maria Elisabetta di Sassonia, duchessa Muzzi, 323.
di Genova, 360, 380.
Nabuadonosor, 88.
Marietti Camillo, 248.
Marinetti Filippo Tommaso, 375.
Nai L., don, 77, 80.
N. arratore Domenica. 249.
~
~~~~
~
~
~~
~
Manigneui I., 326.
.Va,cimbìni X1.C.. 324.
Marrin Gonzales A., 326.
Manina Giacomo, 202,206.
Maninengo F., 205.
Saran di Cdlsbiana Luigi. 211
.\\o~ri~ ,ini,. 231.. 256.
~~
hiioni. irnprntorr romano. 88.
Maninet A,, 107.
Mmotto Gaetano, 107, 352.
I\\ispoli Giovanni. 152, Ibl.
Yicolrr di Kohilani. 64.
Masaniello, 94.
Mattei Gentili Paolo, 374.
Matteucci Nicola, 108.
Maturi Walter, 107.
Mayeur F., 204.
Ma&arello Maria Domenica, santa,
198, 199, 206, 372.
- . MazziniGiuseppe, 97, 302, 316.
Medici94. ' ' .
Ovidio, 157, 176, 177.
O'Grady Patrizia, 299.
Operaio italiano, 311, 315.
Ozanam Antoine-Frédéric, 20.
Pacelli Eugenio, cardinale @ai papa Pio
XII), 324, 371.
Padellaro Nazareno, 374, 382.
Padre Soave, 154.
Pagliani Attilio, 131, 134.
Palumbo Giulio, 170, 171.
Panciera Francesco, 345, 356.
Panfilo L,, 64, 68, 74, 356.
Panzini Alfredo, 252.
Paoli Vincenzo de', santo, 19, 215, 230,
241, 246, 267, 394.
Papa Dario, 235.
Papa R., 67.
Paravia Pier Alessandro, 81, 84, 100,
175, 177, 274.
Pareto Wilfredo, 352.
P- a.n..s.i G-.. 324~
par1agr&oC.,-327.
Parravicini Luigi Alessandro, 83.
Pasini G., 165, 166.
P~ arol~ in~ i..c.,o~n.te~..i~i..l. - ,
~~
~
Pasquino. 229, 249.
Pnirin degli lialiani, 302.
Patria Italiana, 31 1, 315.
Patrizi, 260.
Paulucci P., 137.
Pavoni, don, 21, 25, 64, 67, 68.
Pazzaglia Luciano, 283.
Pechenino Marco, 114, 115, 133, 134,
135, 149, 163, 164, 168.
Pedemonte Luigi, 312, 327.
Pelazza A., 46, 48, 75, 76, 77.
Pelazza Pietro, 84.
Pellico Silvio, 100, 101, 124, 139, 196,
198, 205.
Pensiero Cattolico, 241.
Pentore Tommaso, 140.
Pera Francesco, 125.
Peri Vittorio, 136.
.P.e.t.i.n. G-.,. .l.h.h.
Perosino G.S., 153, 167.
Perrone F. Maria, 236.
Perrot P., 48, 50, 76.
Perseveranza, 236, 250.
Penio, 174.
P e m i Ubaldino, 72, 106, 274.
Petitii di Roreto C.I., 22, 68.
Petrarca Francesco, 176.
Petri F., 203.
Petti Balbi G., 247, 248, 249.
Petrocchi, 129.
Peyron Amedeo, 100, 110, 125, 126,
132, 139, 151, 183, 285.
Pezzi Domenico, 152, 153, 154, 183.
Pharmatonices, 170, 172, 175.
Piatti T., 283.
Picci, 141.
Picco Matteo, 132, 139, 145, 147.
Pierazzi, 375.
Pio VII, papa, 97.
Pio IX, papa, 29, 70, 97, 98, 110, 140,
179, 212, 221, 225, 230, 231, 244,
249, 260, 263, 281, 284, 290, 296,
300, 323, 337, 376.
Pio X, papa, 310.
Pio XI, papa, 370, 371, 372.
Piola, 121.
Piovene Cuido, 352, 353, 357.
Pipemi Raffaele, 320.
Pisa B., 205.
Pistrine, o l'ultima ora del paganesima
M Roma, 173,277.
Piucco C.A., 106.
Pivato Stefano, 71, 282, 283, 286.
Plauto, 175.
Plinio, 174, 175.
Poliziano Angelo, 176.
Polledro Spirito, 381.
Poma, 366.
Pomba Giuseppe, 32, 36, 71, 83, 166,
175, 285.
Ponte, 21, 67, 68, 209, 211.
Ponza di San Marlino Michele, 136.
Ponzo G., 68.
Porciani L, 106, 285, 202.
Pona Antonio, 377.
Ponelli A,, 280.
Posada M.E., 203,206.
Proverbio Germano, 183.
Pulvirenti Gaetano, 374.
Pulzella d'Orléans (Giovanna d'Arco),
364.
Puppo Giuseppe, 163, 177.
Quantin H., 271.
Quintiliano, 116.
Quinto Cuaio, 174.
Quinzio Sergio, 355.
Raicich M., 183.

20.6 Page 196

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Ramello Giuseppe, 146.
Rampon Igino, 356.
Ratisbonne, 197, 206.
Rattazzi Cipriano, 160,333.
Rattazzi Urbano, 70, 236, 333, 362.
Ratti G., 65.
Reato A,, 356.
Rebaudengo Eugenio, 347, 362.
Reffo Eugenio, 64, 66.
Reggio Tommaso, 364.
Reine" M., 356.
Remotti Taddeo, 314.
Renaldi Lorenzo, 245.
Renzoni Giuseppe Maria, 203.
Repetto Domenica, 308.
Repossi C , 286.
Resto del Carlino, 237, 250.
ReveE M., 282.
Rezzara Nicolò, 251.
Rho Amgo, 148.
Ricaldone Pietro, 346, 347, 350, 356,
360, 366, 377, 378, 379.
Riccardi Alessandro, 219, 271.
Ricceri L., 326.
Richelmy Agostino, 246.
Riputini G., 141.
Ricatti Ettore, 83.
Ricuperati Giuseppe, 74, 75.
Raorma, 237.
Rigolotti, 232.
Rinaudo Costanza, 157.
Ritschl, 153, 183.
Robbiati A,, 71, 73, 282.
Robilant, 363.
Robiola, 141.
Rocca G., 206.
Roda, 122.
Rodgers D.T., 355.
Rodinò A,, 77.
Ridolfi Ferdinando, 356.
Romeo Rosario, 67.
Romersa L,, 382.
Ronchail Giuseppe, 74.
Rosada M.G., 283.
Rosini C.M., mons., 171, 172, 175.
Rosmini Antonio, 25, 68, 69, 100, 108.
Rosoli Gianfausto, 323, 327, 328, 329.
Rossetto R., 206.
Rossi Alessandrina, 345.
Rossi Alessandro, 344, 345, 346, 356,
366.
Rossi Edmondo, 382.
Rossi G., 29, 33, 46, 47, 48, 50, 58, 70.
Rossi Pellegrino, 98.
Rossi Passavanti Elia, 374, 382.
Rossoni S.E., 374.
Rostagno Luigi Andrea, 134, 135.
Rousseau Jean-Jacques, 194.
Rua Michele, 70, 80, 82, 134, 140,
148, 183, 318, 319, 321, 328,
329, 333, 345, 346, 355, 356,
361, 368, 381.
Rubino Michelangelo, 371, 381.
Ruiìino Domenica, 148.
Sala A,, 48, 76.
Sallnstio, 157, 174, 176.
Salotti Carlo, 372, 380.
Sanesi T., 168.
Samiento Faustino, 311, 326.
Sarpi Paolo, 93.
Sani Silvano, 381.
Sanorio Riccardo, 342.
Saturio, 172.
Savio Domenica, santo, 139, 232, 271,
274, 372, 374.
Savio D. Angelo, 139, 148.
Savonarola Girolamo, 93.
Scala Stefano, 246.
Scalabrini Giovanni Battista, 317, 318,
319, 328, 329.
Schenda R., 283.
Schenkl C,, 168.
Schiaparelli Luigi, 83.
Schiapparelli E., 322.
Schmid F., 381.
Scotti P,, 325.
Secolo XZX 236, 250.
Selmi Francesco, 124, 139, 147, 148,
182.
Senorio Riccardo, 355.
Setrimana Religiosa, 246.
Sibour. mons.. 197.
simeani, 328.'
Simone Raffaele, 128.
Solaro del Borgo, 376.
Soldani S., 71.
Sonaglia Stefano (frate! Biagio), 287.
Spadolini Giovanni, 355, 357.
Spalla G., 67.
Speroni L,, 204.
Spinola, 303, 326.
Staudek V,, 382.
Svetonio, 174.
Tacito, 157, 174, 177, 182.
Tamburini L., 247, 248, 249.
Tamietti Giovanni, 152, 181.
Tanucci Bernardo, 94.
Taparelli d'Azegiio Luigi, 100, 110.
Tarcisrus. 172.
Taricone F., 205.
Tasso Torquato, 176.
Teja C,, 249.
Telegrafo, 250.
Tempini Ottavio, 164.
Teodosio, 9 1.
Tenulliano, 135, 182, 336.
Tettoni Leone, 84.
Thompson Edward P,, 338, 355.
Tibullo, 157, 177.
Tinetti Domenica, 244.
Tito Livio, 157.
Tomasetti Francesco, 371, 372, 373,
381
Tomatis, don, 295, 299.
Tommaseo Niccolò, 102, 104, 110,
.141
Toneili A., 71.
Torelli-ViollierE., 236.
Totila, 105.
Tranfaglia Nicola, 282.
Traniello Francesco, 7, 65, 81, 110, 182,
245.
~ r e b i i a nMi aria Luisa, 187, 203, 206.
Trinchieri Oreste, 320.
Trione Stefano, 321, 325, 328, 329.
Troscia B., 203.
Tryse S.C., 205.
Tuninetti Giuseppe, 209, 245.
Turco Giovanni, 140.
Ubaidi Paoio, 150, 152, 164, 181.
Uboldi Giambattista, 143.
Umberto di Savoia, 359, 375.
Unione Tipografica Editrice, 274.
Unioni Operaie Cattoliche, 213, 216,
217, 240.
Unità Cailolica, 170, 172, 184, 213, 214,
215, 216, 217, 220, 238, 241, 243,
244, 245, 246, 250,315, 325.
Vaccarini, 274.
Valentini E., 78, 80, 325.
Valeria Lorenzo, 22, 68.
Vallauri Tommaso, 36, 72, 133, 151,
152, 153, 157, 158, 159, 161, 165,
166, 167, 170, 171, 174, 175, 176,
179, 180, 182, 183, 184.
Valletta Vittorio, 349, 350, 351, 356.
Vanzan P,, 206.
Variolato, 122
Vasco Enrico, 213, 246.
Ventura Giovanni, 178, 196, 204, 205.
Vercesi Ernesto, 351, 380.
Verdad. 314.
Verhulst M., 74.
Vem C,, 65.
Verucci Guido, 67, 111, 245, 257, 283.
Vico, cardinale, 373.
Vigna Giuseppe, 147.
Vignali C,, 177.
Villari Pasquale, 154.
Virgilio, 157, 175, 176, 182.
Yito coloniale, 314.
Vittori G., 285.
Vittorio Amedeo 11, re di Sardegna, 95,
360, 380.
Vittorio Emanuele 11, re d'Italia, 82,
170. 360. 375.
Voce dell'o~eraio, 213, 216, 217, 240,
243, 251.
Voce della Verità, 223, 241, 251.
Voigt, 91, 108.
Vola. 21 1.
Wisernan, 205.
Wbite Lynn, 337, 355.
Willcox W.F., 323.
Winh ,M., 69, 70.
W6Imin E., 166.
Zambaldi I., 79.
Zanardelli Giuseppe, 363.
Zanotto, 141.
Zolli Paolo, 113, 130, 134, 135.
Zomlla, 327.
Zuccarini E., 324.

20.7 Page 197

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Titoli della collana
David Bartholornew
Dio e il caso
Teresio Bosco
Il progetto cristiano
Teresio Bosco
Papa Giovanni
Bernard Bro
l1 segreto ultimo della
confessione
Helder Carnara
Le conversioni di un vescovo
Dornenico Carena
Il Cottolengo e gli altri
Gianni Carrù
Sulle tracce di Gesù
Gianni Carrù
In ascolto del Signore
Eugenio Corsini
Apocallsse prima e dopo
Kenneth Cragg
Maometto e il cristiano
Giuseppe De Rosa
La vita umana ha un senso?
Dizionario dei temi della fede
Don Bosco nella storia
della cultura popolare
André Frossard
Dio esiste, io l'ho incontrato
André Frossard
C'è un altro mondo
André Frossard
35 prove che il diavolo esiste
Antonio Gentili
Quanto manca alla fine?
Martin Luther King
La forza di amare
Helrnut Laun
Così ho incontrato Dio
Jean Leclercq
I monaci e il matrimonio
Ruggero Leonardi
Sorella Terra
Vittorio Messori
Inchiesta sul cristianesimo
Vittorio Messori
Ipotesi su Gesu
Vittorio Messori
Scommessa sulla morte
Urnberto Muratore
l1 cielo nell'uomo
Jacques Perret
Gesù è dawero risorto?
Paul Poupard
La fede caftoiica
Michel Quoist
Dieci minuti con Dio
Michel Quoist
Appuntamento con Cristo
Michel Quoist
Cristo è vivo
Michel Quoist
Riuscire
Michel Quoist
A cuore aperto
Gianfranco Ravasi
Gesù una buona notizia
Claudio Sorgi
Faccia da prete
Storia vissuta del popolo cristiano
Antonio Ugenti
Paolo VI
Egidio Viganò
Mistero e storia