STELLA. III. Don Bosco nella storia della religiosita cattolica


STELLA. III. Don Bosco nella storia della religiosita cattolica

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DON BOSCO
NELLA STORIA DELLA RELIGIOSITÀCATTOLICA
VOL. 111: LA CANONIZZAZIONE (1888-1934)
PIETRO STELLA
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

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DON BOSCO
NELLA STORIA DELLA RELIGIOSITÀ CATTOLICA
Nella storia della religiosità cattolica entra a pieno titolo, non meno che la vita vissuta di
Don Bosco, la «santità» che, come un alone, ne accompagnò la memoria e finì per essere
decretata solennemente da Pio XI il 1"aprile 1934.
Nel presente volume sono prese in esame sia le immagini variegate e talora contrastanti
suscitate dalla personalità di Don Bosco, sia le celebrazioni ed esaltazioni che ne scatu-
rirono tra istanze universalistiche del cattolicesimo, tendenze nazionalistiche e ideologia
fascista in Italia tra le due guerre.
Entro questo intreccio di idealizzazioni e comportamenti una particolare attenzione è pre-
stata al processo canonico, svoltosi, non senza difficoltà, dapprima presso la curia arcive-
scovile di Torino poi a Roma press'o la Congregazione dei P i t i dal 1888 al 1934.
Della stessa colluna:
1. Caselle S., Cascinali e contadini in Monferrato. I Bosco di Chieri nel secolo XVIII.
2. Stella P., Gli scritti a stampa di S. Giovanni Bosco.
3. Stella P., Don Bosco nella storia della religiosità cattolica.
Vol. I: Vita e opere.
4. Stella P., Don Bosco nella storia della religiosità cattolica.
Vol. Il: Mentalità religiosa e spiritualità.
5. Stella P., Don'Bosco nella storia della religiosità cattolica..
Vol. 111: La canonizzazione (1888-1934).
6 . Braido P., L'inedito <<Brevceatechismo dei fanciulli ad uso della Diocesi di Torinon di Don Bosco.
7. Albertazzi A. (a cura), Card. Svampa G., Lettere al fratello.
1
8. Stella P., Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870).
9. Semeraro C., Restaurazione. Chiesa e Società. LaaSecondd Ricupera» e la rinascita degli ordini re-
ligiosi nello Stato Pontificio (Marche e Legazioni 1815-1823).
ISBN 88-213-0173-7
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

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Pubblicazioni del
CENTRO STUDI DON BOSCO
Studi storici - 5
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

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PIETRO STELLA
DON BOSCO
NELLA STORIA DELLA RELIGIOSITA CATTOLICA
VOLUME TERZO
LA CANONIZZAZIONE (1888-1994)
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
LAS - ROMA
I

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O Ottobre 1988 by LAS - Libreria Ateneo Salesiano
Piazza delYAtenw Salesiano, 1 - 00139 ROMA
ISBN 88-213-0173-7
-
Foiammpo~izonrLAS o Stampa: S.G.S. - Piazza S.M. Ausiliattice, 74 - Roma
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
INDICE GENERALE
...
Abbreviazioni
....................................................................................................
6
Premessa ..........................................................................................................
7
I , Don Bosco e l'organizzazione deUa propria immagine. Jal rBollettino ralrsia-
no* al processa informativo di bcarificazione (1877-1890), 13. -21 Le prime bio.
grafie di Don Bosco (1881-1888), 20. - 3) La morte e i funerali mobilitazione
deiia stampa e della folla, 27. - 4) il «muacolon di Don Bosco: idealizzazioni e
celebrazioni dalla morte alla nrima euerra mondiale. 35. - 5) Controimmaeini e
repliche, 43. - 6) ~azionaliimoe Lniversalismo: &maghi &iografiche t i fine
'800 e primo '900.47. - 7) Germi di culto a Don Bosco fra le tribù orimitive d'A-
merica, 53.
1) Il biennio di preparazione (1888-1890), 62. - 2) Organizzazione del processo
ordinario: i giudici, il promotore della fede, i testimoni, 71. - 3) Gli «Atticoli»
e eli nInterraeatori». 76. - 4) Le sessioni e l'avvicendamento dei eiudici (1890-
-5) 1836), 82. il conflitto con mons. Gastaldi, la fama di santità e ;doni sopran-
naturali nelle dichiarazioni dei testi, 86. - 6) I testimoni «ex officio», 91. - 7)
Le guarigioni miracolose: credenti e scienziati a confronto, 96. - 8) Dagli atti del
processo alle immagini agiografiche, 111.
ANNESSOE:lenco dei testimoni al processa informativo diocesano, 117.
CAP. 111- ILPROCESSOAPOSTOLICOFiNO ALL'APPROVAZIONEDEGU ATTI (1907.1922) 125
1) Dal processo informativo ali'apertura del processo apostolico (1897-1907), 125.
- 2) Le «Animadveniones» del promotore della fede (1907): virtù eroiche o
astuta manipolazione della religios;à coliettiva?, 131. - 3) Carlo Salotti e le ri-
sposte d e «Animadversiones~,136. - 4) Bilancio delle «Animadversiones» e
deiia nResponsio»: limiti documentari, quesiti irrisolti o non posti, 139. - 5) Tra
- venerazione e ricorso al taumaturgo, il processo nde non cultu», 143. - 6) L'a-
Dertura del orocesso aoostolico (24 luelio 1907): Don Bosco. tutto a tutti Der la
salvezzi delle anime. 146.7) Per la bearificazione di Domenico Savio: dal processo
ordinario a quello aposrolco i1908-1914). 149 - 8 DaU'apenurn del processo
- aporrulco di Don Bosco ai proccssicoli segreti. lc confiiuniure favorevoli aUa cau-
sa, 157. 9) L i convocazionc del canonico Colomiarri a Roma e i pracersicoli se-
meli i 1917-19221. I62 - 10. DaUa nconfur~zioncdelle accuse» all'allocuzione di
kI ~
~
Pio aisalesiani (24 maggio - 25 giugno 1922), 172.

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CAP. IV . IL PROCESSO APOSTOLICO RNO ALLA CANONIZZAZIONE (1922-1934) ... 183
1) Dal riconoscimento deiia validita dei processi alle congregazioni preparatorie
sull'eroicità deiie virtù (1922-19261, 183. - 2) Dal riconoscimento dei miracoli
d a beatificazione (1927-19291,205,- 3) 1930-1933:la causa di Domenico Savio
e i suoi ritiessi su quella di Don Bosco, 211. - 4) D d a riapertura del processo
all'approvaziane dei miracoli (1930-1934),224.
1) I precedenti (1925.19281, 235. - 2) Riti e fesre a Roma e a Torino (giugno
- 19291, 247. - 3) Paniali e precarie saldarure fra salesiani e fascismo in Italia
(1929-1934)'254. 4) I festeggiamentidella canonizzazione(apriie 1934).261.
APPENDICE I
Beati, santi, dottori e patroni proclamati da Pio XI dal 1923 al 1934, 285.
U processo di beatificazione e canonizzazione di Don Bosco: materiali inventariati
presso l'Archivio Arcivescovile Torinese e l'Archivio Segreto Vaticano, 290.
ABBREVIAZIONI
A
ACS
Annuaire
ASS
ASV
DB
Epistolario
Indice MB
Archivio.
Atti del Capitolo superiore della pia società salesiana, Torino 1920 ss.
Annuaire ponti/ical catholique, par mgr Aibert B A ~ A N D EPRar,is 1898-1939,
40 vol.
Archivio centrale salesiano (Roma).
Archivio deUa S. Congregazione per le cause dei sariti (Città del Vaticano).
Archivio segreto vaticano.
Don Bosco.
Epistolario di S. Giovanni Bosco (ed. E. C m ) , Totino 1955-1959, 4 vol.
E. FOGLIO, Indice analitico delle Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco nei
19 volumi, Torino 1948.
G.B. LEMOYMNeKm,orie biografiche di Don Giovanili Bosco..., poi: Memorie
biografiche del venerabile servo di Dio Don Giovanni Bosm..., S. Benigno Ca-
navese - Torino 1898-1917, vol. 1-9; G.B. LEMOYN-EA. AMADEI,Memorie
biografihe diS. GiovanniBosco,vol. 10, Torino 1938; E. C m , Memorie bio-
grafiche del beato Don Bosm..., vol. 11-15, Torino, 1930-1934;ID., Memorie
biografiche di san Giovanni Bosco, vol. 16-19, Torino 1935.1939,
S.G. Bosco, Memorie deli'oratorio di S. Francesco di Sales &l 1815 al 1855
a cura del sac. Eugenio C m , Torino 1946.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
PREMESSA
Nella storia della religiosità cattolica, non meno che la vita vissuta di Don
Bosco, entra a pieno titolo la «santità» che come un alone ne accompagnò la
memoria e finì per essere decretata solennemente da Pio XI il P aprile 1934,
giorno di pasqua e chiusura dell'anno giubilare straordinario proclamato per
celebrare ii diciannovesimo centenario della redenzione.
In certe occasioni questa «fama sanctitatis»,sebbene non condivisa da tut-
ti, riusci a polarizzare folle imponenti. I1 2 febbraio 1888 al funerale di Don
Bosco oltre centomiia persone si assieparono al passaggio d d a bara per le vie
del quartiere di Valdocco. Si parlò allora e si scrisse di «apoteosi». I1 termine
tornò s d e labbra e s d a penna di quanti nel giugno 1929 intervennero a
Roma alla sua beatificazione; e poi a Torino era s d a bocca di quanti si uni-
rono alla folla immensa attorno al corteo che sfilò con il corpo venerato di
Don Bosco per oltre quattro chilometri dalla collina di Valsalice a Valdocco
mentre ovunque si udiva l'inno: «Don Bosco, ritorna fra i giovani ancor! D.
«Apoteosi» e «trionfo» furono parole che vennero ripetute nell'aprile
1934, quando masse di giovani da ogni parte d'Italia, insieme a folte rappre-
sentanze di altri paesi, presero parte a Roma e a Torino alla glorificazione su-
prema.
La stampa, soprattutto quella salesiana, sorvolò in genere sul fatto che at-
torno agli anni della morte di Don Bosco, questi non fu l'unico personaggio
in Italia presso la cui salma si raccolsero folle ad acclamare il santo. A Napoli
uno spettacolo simile si ebbe nel 1885 d a morte del francescano Ludovico da
Casoria. Numerose comitive si raccolsero a Roma nel 1925 per celebrare la ca-
nonizzazione di Teresa di Lisieux. In altre circostanze era quasi normale avere
masse di gente che partecipava a eventi religiosi. Una folla immensa fu mobi-
litata in Piemonte e convogliata a Torino in occasione del congresso eucari-
stico che si celebrò nel settembre 1894. Folle ragguardevoli si raccoglievano il
giorno di pasqua in piazza S. Pietro ad ascoltare il papa e averne la benedi-
zione «urbi et orbi» nei medesimi anni in cui la fede patriottica e politica por-
tava masse di popolo ad ascoltare il duce che pronunziava i suoi discorsi af-
facciato al balcone di Palazzo Venezia.
Chi ripercorre la storiografia recente sul movimento cattolico in Piemonte
non trova, sembra, alcun cenno a eventi come i funerali di Don Bosco o il con-
gresso eucaristico torinese del 1894; trova forse accenni fugaci alle mobilita-
7

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zioni di masse che si ebbero in occasione di eventi religiosi come l'esposizione
della Sindone a Torino, la beatificazione del Cottolengo e quella di Don Bo-
sco. Si ha l'impressione che la storia sociale, attenta ai personaggi, ai gruppi
e ai movimenti ch'ebbero un ruolo nelle vicende politiche o economiche,
tenda piuttosto a sorvolare su altri eventi che pure si collocano nel tipo di sto-
ria che si vuole indagare.
La partecipazione di masse a eventi del genere induce a chiedersi piuttosto
se non ci si trovi di fronte a fatti che sono da considerare non come isolati o
fortuiti, ma come il segno di modi di pensare radicati e meno labili di quanto
la riflessione storica recente è portata a ritenere. Quello di Don Bosco perciò,
si può dire, è appepa un caso fra i tanti che la storia sociale può ricuperare
percorrendo i territori, finora abbastanza negletti, deli'agiografia contempora-
nea e del comportamento religioso collettivo che ad essa si connette. La serie
dei fatti che ci limiteremo a esaminare dal 1888 al 1934 costituiscono, oltre tut-
to, appena una frazione di un arco cronologico più ampio, che si diparte d d e
esperienze vissute di Don Bosco e continua a produrre ancor oggi una qualche
mobilitazione della sensibilità collettiva. Facendone l'esplorazione sarà oppor-
tuno tenere presente il quadro più largo, cioè la religiosità collettiva e l'insieme
di processi di beatificazione che pullularono in quell'epoca succedendosi con
ritmo intenso tra il pontificato di Leone XIII e quello di Pio XI.
Attraverso la catechesi organizzata e attraverso le divulgazioni di vite edi-
ficanti sia di santi che di persone morte «in odore di santità» venivano insi-
nuate nella mentalità collettiva modi di vedere che prima o dopo avrebbero
avuto incidenza suil'atteggiamento individuale e collettivo nei confronti dei
tradizionali santi patroni locali e santi terapeuti. Al santo patrocinatore via via
si affiancano nel modo di sentire ottocentesco i santi che vengono proposti
come modelli da imitare in terra o come intercessori in cielo presso Dio, da
invocare e onorare.
La maggiore mobilità geografica e sociale, il passaggio d d a cultura orale
e analfabeta alla cultura razionale e dello scritto favoriscono il trasformarsi
profondo delle antiche forme di devozione esclusivista e quasi pattizia tra de-
voti e santo o patrono o awocato. L'emigrazione transregionale e poi, ancor
più, quella transoceanica comportano spesso da parte di colonie di immigrati
anche il trasferimento dei santi locali dei paesi di origine. L'immigrazione re-
gionale a Torino comportò, ad esempio, nella prima metà del '900 lo sviluppo
di un culto speciale a S. Rita da Cascia; popolare divenne anche il culto a S.
Teresa del Bambino Gesù; a S. Rita e a S. Teresina furono dedicate due chiese
parrocchiali in quartieri che tra le due guerre erano ancora abbastanza peri-
ferici. Chiese a Brooklyn e in altri insediamenti italiani di città degli Stati Uniti
d'America divennero una serra ben fitta di quadri che gl'italiani portarono o
fecero venire dal loro paese di origine: la Madonna del Carmine e quella di
Pompei, S. Antonio da Padova, S. Giuseppe, S. Gennaro, S. Rita, S. Lucia...
Un po' dappertutto in America - a San Francisco, a San Paolo del Brasile,
a Buenos Aiies - tra le due guerre molte delle chiese costruite e frequentate
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
da gruppi immigrati europei si riempirono di statue e quadri, molto spesso con
i segni di culto consueti in Europa: candelieri con ceri o a luce elettrica, vasi
con fiori veri o finti, quadretti e altri oggetti votivi.
Divenuto meno esclusivista e più accogliente verso altre forme di culto a
Cristo d a Vergine ai Santi, il cattolicesimo tra fine '800 e primo '900 si di-
mostra anche aperto al ricorso per grazie, e perciò anche per altre forme di de-
vozione, sia nei confronti di nuovi luoghi di culto a Cristo (statue e templi al
Cuore di Gesù) e a Maria (Lourdes, La Salette, Pompei, Fatima...), sia nei con-
fronti di devozioni speciali svariate, di cui le immaginette e le pagelline inserite
in libretti devozionali e agiografici diventano segnalibro e promemoria.
La religiosità cattolica comune tra '800 e primo '900 è anche propensa a
prestare attenzione ai seM di Dio, sempre più numerosi in queil'epoca, ai qua-
li, a voce o attraverso la stampa confessionale, si viene invitati a chiedere grazie
straordinarie, anche a riprova della fede nei miracoli. Nei confronti di recenti
servi di Dio si crea il sentimento che si tratta di intercessori celesti più disposti
a concedere grazie, appunto perché a loro volta essi «hanno bisogno» di mi-
racoli per potere accedere in terra alla glorificazione suprema della beatifica-
zione e canonizzazione.
Questi modi di sentire e di comportamento - in larga misura solo germi-
nali nei secoli precedenti - spiegano in parte la particolare attenzione che
viene prestata anche a Don Bosco, quando in lui s'individua non solo il prete
zelante, e nemmeno solo il fondatore di opere in sviluppo straordinario, ma
colui che avendo praticato le virtù cristiane in modo costante ed eroico è an-
che voluto e disposto da Dio come intercessore di grazie taumaturgiche.
L'atteggiamento dei fedeli verso quanti erano morti «in concetto di santi-
tà» (ed erano perciò potenzialmente accostabili ai tradizionali santi awocati e
patroni) era la base sociale su cui potere istruire il processo canonico appel-
lando a quella che la dottrina giuridica chiamava «fama sanctitatiw.
Ma più che le comunità praticanti e osservanti erano le élites ecclesiastiche
che assumevano il compito di promuovere i processi canonici di beatificazione
e canonizzazione. Furono, ad esempio, i vescovi e il clero diocesano di Fran-
cia, tra restaurazione e primi decenni del '900, a postulare e istruire le cause
per la beatificazione di vescovi, preti, religiose e laici martiri della rivoluzione
francese; altrettanto è da due di processi per la beatificazione di vescovi locali
d'Italia, come mons. Gianelli vescovo di Bobbio e mons. Strambi vescovo di
Macerata. Rispetto al clero diocesano furono in maggior numero i regolari e
i religiosi a postulare la beatificazione e canonizzazionesia di membri eminenti
del proprio istituto, sia di fondatori recenti, sia di martiri e di laici apparte-
nenti a ordini come terziari o ascritti a confraternite e pie unioni.
Se i seM di Dio tra '800 e '900 erano per la religiosità cattolica comune
una nuova categoria d'intercessori celesti da onorare e implorare, per le élites
ecclesiastiche - per i quadri intermedi tra gerarchia e popolo - più sensibili
alle conoscenze catechistiche e apologetiche, essi erano come il documento
della vitalità della Chiesa: con la propria vita vissuta, con l'approvazione ca-

1.8 Page 8

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nonica deil'eroicità delle virtù e dei miracoli i nuovi servi di Dio dimostravano
la verità della Chiesa cattolica, l'aweramento in essa di quelle promesse a lei
fatte da Cristo, ch'erano professate nel Credo e dichiarate nella catechesi uf-
ficiale.
In più, per le istituzioni religiose di recente fondazione- come i maristi,
i salesiani, i sacramentini,le suore deiia carità, le suore dorotee...-l'inizio del
processo canonico, e ancor più la beatificazione e la canonizzazione, l'agiogra-
fia che scaturiva nel frattempo (e ch'era quasi sempre connessa al buon esito
delle procedure canoniche e allo sviluppo esterno delle fondazioni) erano
come il suggello canonico della propria attività organizzata; costituivano la ga-
ranzia che lo spirito e lo stile spirituale ed educativo ch'essi attribuivano al
fondatore o alla fondatrice, avevano entro di sé la linfa della grazia sopranna-
turale che si professava e si predicava.
Esisteva dunque tra '800 e primo '900 una forte spinta verso la moltipli-
cazione dei beati e dei santi da inserire ufficialmente nel calendario liturgico
della Chiesa romana. Era una spinta potente, che tuttavia incontrava le resi-
stenze e le critiche di chi, entro l'ambito delle istanze moderniste, owero di
quelle del movimento liturgico e di quello ecumenico, temeva, daii'invasione
di nuovi santi nel ciclo calendariale, un ulteriore offuscamento dei misteri cri-
stologici; che invece si sarebbero voluti in maggiore evidenza, posti al centro
finalmente della liturgia cattolica.
Tra la fine deil'800 e il periodo fra le due guerre il movimento liturgico
non era ancora al punto di poter proporre in modo efficace progetti di pro-
fonda riforma; deboli erano inoltre i suoi collegamenti con il movimento ecu-
menico. All'interno della S.C. dei Riti dopo la riforma di Pio X (1914) esiste-
vano la sezione per le cause di beatificazione e canonizzazione, e l'altra per la
sacra liturgia; entrambe avevano come consultori studiosi di rilievo e di fine
senso pastorale come il benedettino Ildefonso Schuster; ma si era ben lontani
ai Riti daii'affrontare in modo globale la questione della riforma liturgica, in
connessione al numero dei nuovi beati e nuovi santi che si volevano introdotti
nel calendario della Chiesa universale.
Posti tra deboli proposte di riforma e molteplici impulsi verso la glorifica-
zione di nuovi semi di Dio, l'episcopato e i papi erano nel complesso inclini
a favorire i processi di beatificazione e perciò anche il culto ufficiale a nuovi
celesti patroni. Del resto il nuovo modo di sentire nei confronti dei semi di
Dio, morti in odore di santità, era uno dei risultati conseguiti dai catechismi
che ciascun vescovo aveva fatto adottare nella propria diocesi e dalla catechesi
che ognuno di loro ormai svolgeva anche in prima persona. I singoli vescovi
trovavano nei processi di beatificazione, istruiti presso la propria curia, come
un indizio consolante della vitalità cristiana neil'ambito della diocesi di cui
erano pastori.
I singoli papi, a loro volta, pur con propensioni ed esperienze culturali di-
verse, erano inclini in genere alle beatificazioni e alle canonizzazioni, perché
manifestavano e confermavano il ruolo di magistero supremo del papato nella
1o
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Chiesa; d'altra parte erano inclini anch'essi a dare autorevole conferma al sen-
timento comune delle aree praticanti che vedeva nella proclamazione dei nuovi
santi la prova celeste che il cristianesimo era ben lungi daressere al tramonto;
proclamando beati e santi si rispondeva distanza di modelli da imitare e in-
tercesson da invocare; si riproponevano l'immagine e la fede in una vita ultra-
terrena e la visione teologica della Chiesa trionfante.
Si consolidava in questi anni un'altra linea d'interventi pastorali. Dalla re-
ligiosità tradizionale l'episcopato e il papato assunsero e rimodellarono l'idea
di santo patrono e di patronato: Vescovi d'intere regioni e nazioni chiesero ai
papi che venisse riconosciuto e proclamato qualche speciale patronato relativo
alla propria area pastorale. Da Pio M in avanti i pontefici giunsero alla pro-
clamazione di nuovi patroni e di nuovi patronati: non più solo in ordine ai me-
stieri tradizionali, ma anche in ordine alle professioni e agli strumenti prodotti
dalla cultura recente; non si ebbero più santi patroni che esprimessero il pos-
sesso ecclesiastico di beni temporali, bensì santi patroni che riaffermassero o
rivendicassero alla Chiesa il diritto di esistenza istituzionale e quello di evan-
gelizzare ed educare alla fede entro l'ambito dei singoli Stati e dei singoli si-
stemi ideologici nella scuola, attraverso la stampa, per mezzo di ordini e di
congregazioni religiose ufficialmente riconosciute daii'autorità ecclesiastica.
Si raggiunse in questi anni un'intesa particolarmente operativa ed efficace
tra le élites che postulavano e promuovevano i processi di beatificazione, le cu-
rie vescovili e i dicasteri della C.C. dei Riti. I postulatori delle cause abbastanza
facilmente trovarono testimoni s d a vita dei servi di Dio, le virtù, i doni so-
prannaturali e i miracoli che loro si attribuivano; e abbastanza facile fu trovare
tra l'alto clero diocesano chi si accollasse l'onere di giudice o di ufficiale al
processo. A Roma tra fine '800 e periodo fra le due guerre fu particolarmente
intensa e vivace la presenza dei postulatori di cause presso i Riti neil'intento
di agevolare le procedure, orientare il dibattito, ottenere le decisioni, organiz-
zare le formalità e le cerimonie conclusive.
Tutto questo costituisce la trama dei fatti entro cui venne a essere intessuto
anche il processo per la beatificazione e canonizzazione di Don Bosco sia a To-
rino che a Roma.
Il processo di beatificazione di Don Bosco si svolse in tempi che per l'Italia
furono di compiuta unificazione nazionale, ma anche di pesante anticlericali-
smo; si svolse in epoca di accesi nazionalismi, di espansione massima coloniale
e imperialistica dell'Europa. La proclamazione delle virtù eroiche di Don Bo-
sco (1927) awenne in clima di regime fascista ormai consolidato e dominante
in Italia. Si tratta di eventi per sé e astrattamente parlando esterni alla prassi
procedurale delle canonizzazioni, per non dire anche estranei ai quadri dottri-
nali che la Chiesa cattolica aveva elaborato fra il concilio di Trento e il Vati-
cano I. Eppure si tratta di eventi che caratterizzano e impregnano l'epoca;
sono anzi eventi che si riflettono e larvatamente incidono sull'intero sistema di
processi istmiti presso le curie vescovili e dibattuti a Roma. Li terremo per-
tanto presenti nella misura in cui appaiono connessi a quello di Don Bosco:
11

1.9 Page 9

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cominciato a Torino con interrogativi sulla complessa sua personalità, con-
., cluso con la
di lui, grande educatore moderno, «padre e mae-
stro della gioventù», «gigante di santità».
Dal presente volume non bisogna attendersi un'ulteriore indagine sdla
mentalità religiosa e la spiritualità di Don Bosco, né ulteriori contributi a r a -
nalisi della vita e deiie opere. Sono prese in esame sia la memoria e le immagini
suscitate dalla personalità di Don Bosco, sia le celebrazioni ed esaltazioni che
ne scaturiscono: entro quest'insieme di idealizzazioni e di comportamenti è
preso in esame il processo canonico, conclusosi con la canonizzazione ufficiale
nel 1934. Del processo informativo diocesano (1890-1897)sono poste in luce
in questo volume le. circostanze che portarono a un tipo di organizzazione de-
gli «interrogatori», sulla base dei quali furono interpellati i testimoni.
Più che suiie testimonianze addotte al processo diocesano e a quello apo-
stolico, la presente indagine presta attenzione ai punti chiave del dibattito pro-
cessuale; si sofferma cioè in particolare sia sulle «animadversiones» o awer-
tenze e obiezioni che il promotore della fede propose di vagliare, sia sulle ri-
sposte elaborate di volta in volta dagli awocati della causa; le «animadversio-
nes» infatti condensano obiezioni e interrogativi emersi nei «voti» scritti dai
consultori e nel dibattito processuale; le rispettive risposte utilizzano al mas-
simo le testimonianze rese al processo con l'apporto eventuale di ulteriore do-
cumentazione.
Ampio spazio è stato dato al «processicolo» supplementare costruito tra il
1915 e il 1918, parte a Roma pane a Torino, aiio scopo di portare luce su obie-
zioni e testimonianze varie, di cui si era fatto portavoce il canonico Emanuele
Colomiatti, già promotore fiscale deiia curia arcivescovile di Torino negli anni
del conflitto tra l'arcivescovo Gastaldi e il servo di Dio Don Bosco. I1 proces-
sicolo si configurò come il momento più teso e affannoso derintero processo;
con strascichi che si prolungarono fin dopo la beatificazione di Don Bosco, nel
dibattito processuale che si fece a Roma sdla vita e l'eroicità delle virtù di Do-
menico Savio, il giovane allievo deroratorio salesiano, di cui Don Bosco
aveva scritto la vita.
L'immagine complessiva della figura di Don Bosco, tale quale è apparsa al-
l'autore attraverso l'analisi diretta delle fonti, è da ricavare pertanto dai primi
due volumi deropera presente; mentre questo terzo indaga su alcuni aspetti
salienti del processo di canonizzazione, nel quadro delle varie immagini che di
Don Bosco si elaborarono tra '800 e primo '900. A ragion veduta si sono sot-
tolineate le difficoltà di un processo, qual è queiio di Don Bosco, non impian-
tato con validi apponi di metodo storico e riflettente la carenza di una com-
missione storica, appositamente istituita da Pio XI nel 1930, ma i cui contri-
buti iniziali furono ben lontani daresibire modelli costruiti con metodi scien-
tifici adeguati; e furono perciò ben lontani dal corrispondere alle aspettative
sia di Pio XI sia di quanti, in quegli anni di fermenti post-modernistici e di
speranze di scientificità, auspicavano un soddisfacente adeguamento delle
cause di beatificazione alle esigenze deiia mentalità scientifica moderna.
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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
CAPITOLO I
iMMAGINI D I DON BOSCO NELL'ETA DEI NAZIONALISMI
(1888-1918)
1. Don Bosco e l'organizzazione della propria immagine: dal «Bollettino sa-
lesiano» al processo informativo di beatificazione (1877-1890)
«Qui non è più da aver riguardo né a Don Bosco né ad altro; vedo che la vita di
Don Bosco è al tutto confusa nella vita della congregazione, e percib parliamone; c'è
bisogno, per la maggior gloria di Dio e per la salvezza delle anime, pel maggior incre-
mento deUa congregazione, che molte cose sian conosciute».'
A fare questa dichiarazione fu Don Bosco stesso la sera del 2 febbraio 1876
mentre conversava con i direttori delle case salesiane e altri confratelli ch'e-
rano intervenuti alle «conferenze di S. Francesco di Sales», le riunioni di ve-
rifica e di.prog-ramma che da qualche tempo si usavano tenere attorno a quella
data.
Alla luce di quanto awenne successivamente, con la fondazione del «Bel-
lettino salesiano» nel 1877, e poi con la d i i s i o n e di biografie e di proffi di
Don Bosco, il disegno manifestato nel 1876 potrebbe apparire insieme illumi-
nante e sconcertante: il grande concorso di popolo che si ebbe a Torino il 2
febbraio 1888, giorno del funerale di Don Bosco, potrebbe sembrare uno dei
fmtti conseguiti grazie alla campagna a stampa organizzata un decennio prima.
Indubbiamente il «Bollettino» era servito ad allargare l'informazione su Don
Bosco e sdle sue opere; era servito a reclutare aderenti arorganizzazione dei
cooperatori salesiani, a mobilitare offerte in denaro, a sollecitare richieste di
nuove fondazioni. Ma ci si poteva porre interrogativi brutali: asserendo di cer-
care la gloria di Dio non aveva forse Don Bosco mirato piuttosto a una sorta
di propria autoglorificazione? La «fama sanctitatis» all'origine della grande
partecipazione di popolo al suo funerale, e poi presa ad argomento per postu-
larne la beatificazione, non era forse fondata in sostanza su un'immagine di sé
che Don Bosco stesso aveva a b h e n t e costruita e orchestrata?
l fi una dichiarazione riportata da Don Gi& Barberis nella sua Cmnichettd,quaderno 43
p. 41; cf. AS 110 Barberis, 4; e con qualche ritocco: MB 12, p. 69.
13

1.10 Page 10

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A dare di Don Bosco giudizi diversi rispetto a quelli che coltivavano i suoi
più stretti collaboratori non furono soltanto i fogli satirici anticlericali, come
«Il Fischietto* e «I1Diavolo» stampati a Torino, né solo giornali e periodici
liberali o socialisti che dal 1848 in avanti vedevano nel clericalismo uno schie-
ramento politico da combattere e da sgominare: c'erano anche giornali catto-
lici distribuiti su posizioni diverse, dal conciliatorismo al moderatismo pratico
e aii'intransigentismo più r i g i d ~ . ~
Su «La Sentinella delle Alpi», giornale di provincia, liberale e moderato,
stampato a Cuneo, il 28 gennaio 1874 si leggeva:
«Don Bosco, fondatore e capo d'istituti di beneficenza e di società cattoliche a To-
rino, per alcuni è un santo, per altri è un uomo che passa al lambicco della filantropia
le più velenose dottrine clericali. Ma tutti convengono nel riconoscerlo un prete pieno
d'attività che ha credito cosi presso i Ministeri come in Vaticano».
Era una chiosa giornalisticamente necessaria per informare i lettori su di
un fatto che in quei mesi costituiva una notizia interessante: Don Bosco aveva
accettato di fare da intermediario tra governo e S. Sede alla ricerca di un amo-
dus vivendi», se non proprio generale, aimeno sulla questione dell'qexequa-
tur» che lo Stato italiano si era riservato di dare ai nuovi vescovi che dovevano
prendere possesso dei beni temporali diocesani dopo la nomina fatta libera-
mente dal papa, con la rinunzia di precedenti diritti di nomina da parte dello
Stato.)
I19 aprile successivo «La Nazione», giornale moderato della destra liberale
filogovernativa di Firenze, esauritosi il tentativo di accordo sull'«exequatur»,
presentava Don Bosco come «un prete piemontese* ch'era addirittura, a suo
dire, aawerso ai gesuiti»; un prete rispettabile, coerente e coraggioso: «one-
sto, credente, che godé sempre la particolare stima e l'affetto specialissimo del
pontefice»; Don Bosco - proseguiva il giornale - aveva accettato di awen-
turarsi nelle trattative pur sapendo «di aver contro di sé due forti correnti:
quella dei gesuiti e dei sanfedisti del Palazzo Apostolico; quella degl'intransi-
genti e dei pretofobi accampati in Roma»/ Don Bosco infatti fu attaccato con-
temporaneamente da «La Voce della Verità», giornale clericale intransigente
di Roma, e da fogli vari, garibaldini, mazziniani, radicali, iiberali dello schie-
ramento anticlericale intransigente pubblicati a Roma, a Torino e altrove. I
due giornali di Cuneo e di Firenze si potrebbero considerare nondimeno come
indicativi dell'opinione pubblica moderata prevalente in Italia, di quella so-
Cf. Giuseppe TUNINETL~'im, magine di Don Bosco nello stampa tonnere (e italiana) delruo
tempo, in: Francesco TRANELL(aOcura), Don Bosco nel& s t o h dello altura popolare, Torino, SEI
1987, p. 209-251.
' Cf. Francesco M o ~ Ln, mediazione di Don Bosco fro Santa Sede e Govemo per IB concer-
rione degli exequatur ai vescovi d'italia (1872-1874), in: <Ricerche storiche salesiane» 6 (1987)
p. 45.
Cf. MOTTO, Ln mediazione di Don Bosco, p. 75-78.
14
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
prattutto lontana dai due poli politici più roventi nella penisola, Torino e
Roma.
I
A Torino sul foglio satirico illustrato anticlericale «I1 Fischietto» Don
Bosco era da tempo dipinto come un taumaturgo impostore e come un mal-
fido educatore reazionario. I1 suo rientro a Torino, dopo i passi fatti a Roma
tra il governo e il Vaticano, offrirono i'occasione per ribadirne l'immagine ca-
I
ricaturale:
!
«Figuratevi che razza di birbaccione d'un conciliatore sono andati a scegliere i no-
stri amenoni! E' ormai noto lippis et tonsoribus che Don Bosco gode fama, specid-
mente a Roma, di essere un grande operatore di miracoli. E noi tutti pure sappiamo
di qual genere siano i miracoli operati dal sant'uomo. Infatti la sua più miracolosa abi-
lità consiste nel conoscere il segreto di spillar quattrini ai minchioni. Egli conosce tutte
le vie, tutti i mezzi diretti od indiretti, tutti gli espedienti, tutti gli arcani per far denaro
ad ogni costo...».
Il 19 dicembre 1874 «Il Fischietto» tornava alla carica contro la proposta
di sussidi alle opere di Don Bosco avanzata nel consiglio comunale torinese;
suggeriva a tal proposito abbastanza evidentemente il contrasto tra anticleri-
calismo promotore del progresso e clericalismo oscurantista e reazionario:
«Voi proponete che si concedano sussidi a Don Bosco [..,l Tutti sappiamo quale
sia l'educazione che Don Bosco imparte ai suoi alunni. Ne fa tanti chierichetti. Bella
prospettiva per una popolazione che fece e fa ogni sorta di sacrificio, per innalzarsi al
miglior grado di civiltà
L'impegno educativo di Don Bosco era presentato come una sorta d'indu-
stria pretina, una fabbrica di clericalismo. Le spedizioni di salesiani in Ame-
rica, che nel 1875 Don Bosco si apprestava a fare, erano da considerare,
stando al «Fischietto», come un'ulteriore iniziativa «miracolosa» e «industria-
le» nel senso ironico dei termini:
«Dominus Lignus, volgarmentedetto D. Bosco il Taumaturgo, sta per intraprendere
una nuova speculazione commerciale su vasta scala. Tutti sanno che questo fortunatis-
- simo industriale cattolico, apostolico e romano ha saputo trovare il mezzo di far dei mi-
lioni e non pochi - colla sua ormai celebre Fabbrica privilegiata a vapore di preti
e diaconi d'ogni qualità e grado per esclusivo uso e consumo della Santa Baracca [...l.
Quindi, da industriale abilissimo, ultimamente deliberava di esportar anche nel Nuovo
Mondo i prodotti della sua Fabbrica privilegiata...».
In quei medesimi anni Don Bosco aveva potuto constatare quanto fosse
problematico i'ancoramento offertogli già attorno al 1848 dal teologo Gia-
como Margotti ai giornali torinesi da lui diretti: «L'Armonia» prima e poi
«L'Unità cattolica». La linea duttile di Don Bosco non si accordava in tutto
e sempre con quella di opposizione intransigente adottata e seguita dal teologo
Margotti. Volentieri questi scendeva in campo per denunziare iniziative del
governo che potevano sembrate vessatorie nei confronti di Don Bosco e del-
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2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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l'Oratorio; volentieri dava anche notizia di feste, lotterie, costruzioni, distribu-
zione di premi, riti sacri, battesimi, spedizioni missionarie. Non erano invece
gradite d u e notizie, come q u d e di sussidi elargiti a Don Bosco da enti go-
vernativi o di suggerimenti dati daii'esponente della sinistra liberale Urbano
Rattazzi. Gl'interventi di Don Bosco per l'«exequatur» ai vescovi non erano
secondo la linea de «L'Unità cattolica»; tanto meno poteva essere gradita la
notizia che Don Bosco aveva ospitato a Lanzo Torinese nel 1876 Depretis, Za-
nardelli e Nicotera, capi della sinistra liberale ormai al governo, recatisi nella
cittadina piemontese a inaugurare un nuovo tratto della ferrovia.
Altri fogli cattolici che si stampavano a Torino, negli anni del contrasto
scoppiato tra Don Bosco e l'arcivescovo Gastaldi non erano propensi a diffon-
dersi in encomi nei confronti di quanto il prete torinese e i suoi salesiani an-
davano facendo in forme che non tutti condividevano.
Un insieme di fatti dunque suggeriva ch'era ormai tempo di prendere altre
iniziative appropriate appunto per il consolidamento e l'incremento della con-
gregazione: conveniva ormai parlare, cioè informare, senza avere «riguardo né
a Don Bosco né ad altro». In quei medesimi anni Don Bosco aveva quasi por-
tato a compimento le Memorie dell'Oratorio nelle quali esprimeva il medesimo
convincimento di fondo. Come scriveva esplicitamente nel preambolo, le Me-
morie erano un testo che doveva rimanere riservato alla lettura dei suoi figli
spirituali; erano una narrazione in cui per forza di cose aveva dovuto parlare
di se stesso. Don Bosco se ne scusava: «Awenendo d'incontrare fatti esposti
forse con troppa compiacenza e forse con apparenza di vanagloria, datemene
compatimento». In effetti talora in prima, talora in terza persona, nelle Merno-
rie egli parla a lungo di se stesso: tralasciando molte, forse per noi troppe, cose
che avrebbero potuto mettere in chiaro la partecipazione di altri; narrando
piuttosto le cose in modo da far nascere l'idea, quasi a ogni episodio, che tutto
sia stato un tessuto di eventi predisposti, prefigurati, fatti diventare realtà dalla
sapienza divina. Era una «lezione del passato»- egli scriveva - una lezione
più teologica e pedagogica s d a trama di un'organizzazione colorita di ricordi,
che non una ricostruzione storico-erudita. Tutto quello che aveva affidato alle
Memorie dell'oratorio - confidava Don Bosco - «servirà a far conoscere
come Dio abbia egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo».' L'apparenza di
compiacenza e forse anche di vanagloria è il rischio che Don Bosco ritiene di
dover affrontare programmando strumenti d'informazione e di mobilitazione
non più solo destinati ai suoi figli spirituali, ma a tutti, e in particolare a quanti
aveva cominciato a coinvolgere nella unione dei cooperatori salesiani.
Lo strumento principale adoperato per informare fu il «Bollettino salesia-
no» pubblicato la prima volta neii'agosto 1877 con il titolo «Bibliofilo catto-
lico o bollettino salesiano mensuale», via via affiancato dai corrispettivi fogli
mensili in francese, in spagnolo e in altre lingue. Fin dal 1877 il «Bollettino»
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
si presentava come il foglio di collegamento e d'informazione per gli aderenti
aii'unione dei cooperatori salesiani. Ma già il fondare quest'associazione era
stato motivo di contrasti fra Don Bosco e l'arcivescovo Gastaldi: non fu questi
ad approvarla, ma mons. Emiliano Manacorda, vescovo della diocesi suffraga-
nea di Fossano, reso forte dal fatto che Don Bosco aveva ottenuto per i coo-
peratori indulgenze speciali da Pio M. La direzione del «Bollettino»- si leg-
geva sulla testata del periodico - aveva sede a Torino, presso l'oratorio sa-
lesiano di Valdocco; senonché il luogo di stampa che si leggeva in calce a cia-
scun numero era la tipografia di S. Vincenzo de' Paoli a Sampierdarena; l'ap-
provazione ecclesiastica non era di Torino, ma dell'archidiocesi di Genova.
Luogo reale di stampa, stando a un'esame minuto di ciascun numero, fu quasi
sempre la tipografia dell'oratorio di Valdocco; redattore principale fu Don
Giovanni Bonetti che in quegli anni era preso di mira da misure punitive di
mons. Gastaldi e che insieme a Don Bosco era coinvolto in atti contenziosi con
l'arcivescovo e in ricorsi inoltrati a Roma durante gli ultimi anni di Pio M e
i primi di Leone XIII.6
Nonostante questa sorta di peccato di origine il «Bollettino» s'imponeva
all'attenzione di Don Bosco e dei salesiani come un'iniziativa indovinata. Si
mirò subito a una tiratura molto ampia. In questo campo Don Bosco aveva alle
spalle il tirocinio delle «Letture cattoliche», le quali erano partite nel 1853 da
una quantità oscillante fra le tremila e le seimila copie, ed erano passate dopo
il 1870 a oltre dodicimila esemplari, nonostante la compresenza e la concor-
renza di pubblicazioni cattoliche affini. Ma le «Letture cattoliche», così come
altre pubblicazioni del genere, erano per sottoscrizione e abbonamento. Il
«Bollettino» invece venne mandato gratuitamente tutto a carico della direzio-
ne. Era questa una grossa novità nel campo dell'editoria cattolica senza fini di-
retti commerciali. I risultati conseguiti diedero ragione a chi constatava con
stupore l'abilità di Don Bosco nel saper trarre denaro. Anziché solo ai «coo-
peratori~regolarmente iscritti alla pia unione, il «Bollettino» venne inviato su
larghissima scala a quanti in qualche modo si conoscevano inclini a leggere il
foglio, a non respingerlo, a inviare comunque qualche offerta in denaro in fa-
vore delle iniziative salesiane s d e quali erano periodicamente ragguagliati. I1
risultato fu quello previsto da Don Bosco; un esito ch'era d'altronde prevedi-
bile da chi avesse fatto attenzione a certe disponibilità monetarie e a certe pro-
pensioni filantropiche poste in moto dal sistema economico dell'epoca nel
mondo occidentale. Da oltre un trentennio infatti grandi somme di denaro ve-
nivano convogliate come «obolo di S. Pietro» a Roma dal Belgio, dalla Fran-
cia, dall'intera Europa cattolica sensibilizzata da quanto si scriveva e si diceva
dei bisogni nei quali si trovava il papa spogliato dei suoi beni.7 Altri ingenti
capitali erano canalizzati verso Lione e verso Parigi dall'opera della propaga-
& MB 13, p. 260-265; Indice MB, p. 513s.
' Cf. Carlo CROCELLA«A, ugusto miseriau. Aspetti delle finanze pontij5cie nell'età del capita-
lismo, Milano, Nuovo Istituto Editoriale Italiano 1982.
17

2.2 Page 12

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zione della fede in sostegno dei missionari, il riscatto di negretti, il battesimo
di cinesuli e altri motivi che l'immaginifico religioso dell'epoca evocava,
in clima anAe di colonialismo nazionale ed europeo. In quei medesimi anni
organizzazioni varie in Inghilterra e in Nord America procuravano finanzia-
menti alle missioni protestanti in Europa e altrove. Don Bosco dunque con il
«Bollettino» riuscì a utilizzare l'attenzione che si era concentrata su di lui in
quegli anni e a convogliare verso di sé una certa parte di ricchezza mobile che
la coscienza collettiva sentiva di dovere o poter riservare in favore d'istituzioni
benefiche. Anch'egli in particolare fa leva sul richiamo evangelico: «quod su-
perest date pauperibus», inserito in ogni numero del «Bollettino», confer-
mando di riflesso l'immagine di sé come strumento che la Prowidenza portava
alla ribalta quale fiduciario ed abile esecutore.
Fin dalle prime annate si stabilizzarono sul «Bollettino» alcune rubriche
fondamentali. Nelle prime pagine di ogni numero stavano brevi articoli a
fondo apologetico e devozionale; seguivano ragguagli di celebrazioni sacre a
Valdocco, notizie su case salesiane e su incontri dei cooperatori. Ampio spazio
era dato alle missioni salesiane, con articoli che descrivevano la partenza e poi
le imprese dei salesiani tra i civili e i «selvaggi» d'America. Dal 1879 al 1886,
fu inserita un'ampia Storia dell'Oratorio elaborata da Don Giovanni Bonetti
sulla traccia delle inedite Memorie dell'oratorio narrate da Don Bosco e con
l'apporto di testimonianze e documenti rilasciati per lo più da salesiani e an-
tichi alunni dell'oratorio di Valdoc~oS.~eguivano le relazioni di grazie attri-
buite all'intercessione di Maria Ausiliatrice; con questa rubrica il «Bollettino»
assolveva al ruolo di voce del santuario di Torino e raccoglieva in un unico ca-
nale le offerte in denaro di benefattori e di devoti. Ciascun numero chiudeva
con brevi notizie di salesiani e di cooperatori defunti, nonché con l'elenco dei
numerosi cooperatori del cui decesso era arrivata notizia alla direzione. Le ul-
time pagine del foglio di coperta erano dedicate d a pubblicità di libri pro-
dotti dalla Libreria e tipografia salesiana di Torino o delle altre sedi che via
I
via
rii,
sBi uanendoavsaAnoireasp..r.endo
a
Sampierdarena,
San
Benigno,
Nizza
Marittima,
Sar-
Ciascuna rubrica presa in sé non era un'invenzione originale, ma aveva il
suo corrispettivo in fogli periodici conosciuti da Don Bosco, dai suoi collabo-
ratori e dagli stessi destinatari del «Bollettino salesiano». Gli articoli religiosi
della prima rubrica non si discostavano, ad esempio, dal modello di quelli
pubblicati a Torino dalla «Buona settimana». Le informazioni di conferenze
ai cooperatori e altre notizie salesiane erano il più delle volte attinte in
La Storia delI'Oratorio di S. Francesco di Sales, annunziata nel nBoUettino salesianon del
gennaio 1879, ebbe inizio nel numera successivo del febbraio (cap. I); I'uitima puntata (parte D,
capo XVI) h pubblicata sui «Bollettino salesiano» deli'agosto 1886. Dal marzo all'ottobre 1887
venne pubblicata in cinque capitoli un'altra rubrica ch'ebbe inizialmente il titolo: Stona deIPOra-
tono diS. Froncerco disalex. Passeggiate autunnnl:. Periodo I. Capo I ; e h conclusa semplicemente
con quello di Passeggiate. Capo V. N e era autore Don Giambattista Francesia.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
quegli anni da «L'Unità cattolica*, dove erano state ospitate precedentemente.
Le notizie missionarie erano quasi sempre in forma di lettera indiriizata a Don
Bosco da qualcuno dei salesiani in viaggio o già in sede in America; erano per-
ciò simili alle relazioni di gesuiti, francescani, lazzaristi e altri missionari, pub-
blicate in periodici come il «Museo delle missioni cattoliche» di Torino, gli
«Annali della propagazione della fede» stampati in francese e in edizione ita-
liana a Lione, le «Missioni cattoliche» periodico pubblicato a Milano. Le re-
lazioni di grazie occupavano fogli come «I1 Giardinetto di Maria», stampato
a Bologna, o «I1 Cuore di Maria», stampato a Torino. Fogli periodici come le
«Letture francescane» di Cuneo e gli «Annali francescanin di Milano stampa-
vano regolarmente notizie sul movimento e il progresso del Terz'ordine, rag-
guagli s d e missioni francescane, necrologie di religiosi e di terziari incremen-
tando con questa rubrica il culto dei suffragi, usanza radicatissima presso le
unioni confraternali antiche e recenti.
Raccordando la Storia dell'Oratorio - che esordiva dalle peripezie dell'o-
ratorio prima di approdare all'umile casa P i a r d i - con gli sviluppi più re-
centi e con i continui viaggi che Don Bosco faceva in Italia e in Europa si of-
friva di lui l'immagine di un personaggio venuto dal nulla, owero di un sacer-
dote del cui zelo la Prowidenza aveva voluto servirsi in pieno secolo XIX. La
modestissima casa Pinardi e prima ancora la casetta dei Becchi nell'immagina-
rio religioso salesiano divengono come la grotta di Betlemme o la Porziuncola:
il punto di awìo di uno sviluppo straordinario e di una serie di awenitnenti
singolari. In chiave religiosa si,suggeriva di vedere in Don Bosco e nelle sue
opere come un nuovo miracolo, che Dio nella sua potenza operava in epoca
in cui la religiosità cattolica sembrava dover awizzire e soccombere.
Confronti statistici esatti avrebbero pur fatto rilevare quanto fosse ancora
limitato il numero sia dei salesiani che dei giovani da loro raggiunti; le opere
fondate e dirette da Don Bosco erano nell'insieme ben poca cosa, poste a con-
fronto con quelle dei francescani, dei gesuiti, dei fratelli delle scuole cristiane...
Anche solo l'esame della situazione a Torino avrebbe potuto servite a relati-
vizzare l'idea di un continuo processo di espansione. I giovani degli oratori di-
retti da Don Bosco, oscillando tra i 600 e i 1200 individui negli anni 1846-
1856, raggiungevano circa l'1,3% della popolazione torinese (che in quegli
a m i passò da 136.000 circa a oltre 170.000 individui). Ma attorno agli anni
1880-1890 la popolazione di Torino si aggirò sui 230-240.000 abitanti, mentre
quella degh oratoriani esterni rimase, sembrerebbe, fluttuante sui medesimi
valori di prima. I preludi del decollo di Torino operaia e la più efftciente or-
ganizzazione delle scuole pubbliche e private avevano portato ad altre forme
di raggruppamento e di distribuzione spontanea delle classi giovanili urbane.
Ma la costruzione degli articoli e l'elaborazione delle notizie sul «Bolletti-
no» erano fatte in termini comparativi soltanto in rapporto alle opere salesiane
degli a m i precedenti, senz'alcuna indicazione esplicita s d e opere ch'erano
state abbandonate o sul numero di novizi e confrateiii ch'erano venuti meno;
di altre istituzioni, religiose o no, si parlava incidentalmente e in funzione di
19

2.3 Page 13

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quanto svolgevano in primo piano Don Bosco e i suoi figli spirituali. I1 «Bol-
lettino» si configurava chiaramente come un foglio di propaganda e d'infor-
mazione interessata e finalizzata, atta a suscitare simpatie e sussidi nell'ambito
sfumato della «famiglia» dei cooperatori salesiani. Tra consolidamento della
borghesia e forme di tutela o di subordinazione deUe categorie sociali inferiori
esso riusciva comunque nell'intento perseguito dando di Don Bosco un'imma-
gine luminosa e suggestiva.
2. Le prime biografie di Don Bosco (1881-1888)
Il gioco delle immagini venne modificato o sviluppato quando ai brevi pro-
fili biografici di Don Bosco e ai rapidi cenni suli'opera salesiana che circola-
vano prima del 1880 vennero a sostituirsi biografie e trattazioni più diffuse.
Caddero così in oblio opuscoli come l'anonimo libretto elogiativo Don Borco.
Cenni biografia; apparso a Torino nel 1871, o quello di Carlo Conestabile,
Opere religiose e sociali in Italia (Padova 1878), l'altro di Louis Mendre, Dom
Bosco prztre, fondateur de la Congrégation des salésiens (Marseilie 1879) e
quello di Luigi Biginelli, Don Bosco (Torino 1883). Prima biografia di successo
può considerarsi quella dal titolo Dom Bosco di Charles d'Espiney, pubblicata
la prima volta a Nizza nel 188L9
La formula letteraria del d'Espiney è queiia di brevi episodi di azione, ca-
paci di creare attesa psicologica e sorpresa per l'imprevista soluzione. In una
serie di quadretti posti in successione cronologica presenta Giovannino Bosco
nel mondo contadino dei Becchi, acrobata e giocoliere, che chiude i suoi spet-
tacoli portando coetanei e adulti a osservanze religiose; Don Bosco giovane
prete che sfugge abilmente a bastonate o miracolosamente ad archibugiate di
sicari; oppure posto in salvo più volte da un misterioso cane grigio; che pre-
dice gli eventi più imprevedibili; o che risuscita a Roma temporaneamente un
giovane, suo antico allievo di Torino e bisognoso di assoluzionesacramentale.
In chiave laica il Dom Bosco del d'Espiney arieggiava gli eroi di romanzi
d'azione dell'epoca; in chiave religiosa esprimeva convincimenti diffusi non
solo nella religiosità popolare in tema di santità non scontrosa e di straordi-
nario, divino e diabolico, nel vissuto quotidiano. L'autore era un medico che
aveva risolto il problema del rapporto o del conflitto tra la scienza e la fede
con il convincimento che il miracolo fisico e morale continuava ad accadere
sotto gli occhi di tutti; che anzi, le conoscenze scientifiche recentemente ac-
quisite contribuivano a porre in maggiore evidenza il divario tra quanto acca-
deva secondo le leggi naturali e quanto invece era senz'altro il prodotto di
cause contro o sopra le leggi di natura." Come commentava il «Bollettino sa-
Nice, typographie et lithographie Malvano-Mignon... 1881.
'O Charles d'Espiney nacque a Bourg-en-Bresse (Ain)nel 1824; studiò medicina ad Avignone,
Maiitpeiiier e Marsiglia; morì a Nizza il 13 aprile 1891; cf. «Bulletin saiésien» 13 (mai 1891)
20
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
lesianon francese nel 1884 (cioè quando a Torino era arcivescovo Gaetano Ali-
monda) il d'Espiney aveva inteso mettere in luce nella vita di Don Bosco i pro-
digi deiia bontà onnipotente di Maria Ausiliatrice." In altre parole, Don Bo-
sco, protetto prodigiosamente daiia Vergine e taumaturgo egli stesso, era la
prova dell'intervento di Dio per il trionfo della sua Chiesa, nonostante le ne-
gazioni deiio scientismo positivista; i prodigi di Dio risplendevano in Don Bo-
sco, così come nelle apparizioni deiia Vergine a La Salette e a Lourdes in
pieno secolo decimonono. Per questa via certe aree del cattolicesimo ottocen-
tesco in modo semplice e intuitivo affermavano la propria fede religiosa.
I1 libro del d'Espiney appariva in un momento di gran delicatezza per Don
Bosco e per i salesiani. Nel 1881 infatti si trascinavano ancora i contrasti con
l'arcivescovo di Torino, Lorenzo Gastaldi. Leone XIII intervenne quell'anno
personalmente a imporre una «concordia» o accomodamento, che ai salesiani
apparve quasi un'umiliazione del loro venerato padre. Uno degli appunti che
il Gastaldi faceva (e che del resto aveva già sollevato il suo predecessore, mons.
Alessandro Riccardi di Netro) era la pubblicazione di certe relazioni di grazie
in due libretti che portavano il nome di Don Bosco: La Nuvoletta del Carnzelo
(1875; 21877)e Maria Ausiliatrice con il racconto dialcune grazie (1877). A giu-.
dizio dell'arcivescovo Gastaldi in essi Don Bosco divulgava con poco tatto e
forse con leggerezza certe narrazioni, dalle quali vari fogli anticlericali prende-
vano argomento per porre in ridicolo non solo Don Bosco e la sua fama di tau-
maturgo, bensi anche, in misura più vasta, la religione e le sue istituzioni. In
fondo si scontravano sfere culturali e sensibilità religiose diverse. Né Gastaldi
né Don Bosco però trovavano motivo per recedere daiie intime convinzioni
che stavano alla radice dei loro comportamenti.12
Prima ancora che il libro venisse stampato, il d'Espiney aveva sottoposto
il proprio manoscritto all'esame dei salesiani di Torino. In un appunto di ri-
sposta all'autore Don Rua annotava: «Molto bene. Bisognerà tuttavia modifi-
carlo in qualche punto: 1" qualche inesattezza cronologica; 2" sopprimere
qualcosa che in questi tempi non è opportuna»."Tuttavia già nel 1881 a Nizza
il libro fu ristampato più volte e fu senza dubbio alla radice di comportamenti
entusiastici attorno a Don Bosco in Francia e altrove. La rielaborazione glo-
bale che il d'Espiney fece in quegli anni e rese pubblica nel 1888 in realtà non
modificava la lettura di fondo proposta nella prima edizione. Le versioni e le
edizioni che se ne fecero fino agli anni della beatificazione dimostravano che
il libro tutto sommato rispondeva a una visione religiosa diffusa, entro cui si
coiiocava anche l'immagine di Don B o ~ c o . ' ~
p. 73; Francis DESRAMADUoTn,-Borco à Nice. Lo vie &ne érok professionnelle catholique entre
187j et 1919, Paris, Apostolat des Editions 1980, p. 79-81.
" «Bulletin salésienn 7 (mars 1884) p. 64.
e Cf. in proposito la rilettura che dà di tale episodio Giuseppe TUNINETTLIo,renzo Gastaldi
181J-1883, 11, Casaie Monferrata - Roma, Edizioni Piemme 1988.
" Cf. il nostro Don Borco nella storia delln religioxità cattolica, I , p. 258.
Si ebbero traduzioni in italiana, spagnolo, portoghese, inglese, tedesco, sloveno, ungherese;

2.4 Page 14

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A~~~~~~il libro del d'Espiney, Don Bosco e i suoi collaboratori di Torino
'si resero conto che conveniva intervenire nel campo delle biografie. Per riequi-
librare in Francia la visione delle cose data dal Dom BOSCOdel medico nizzardo
ci si pose in contatto con lo scrittore Albert Du BOYSN. ativo della Bretagna,
credente dichiarato e politicamente della destra legittimista, il Du Boys era tut-
tavia sensibile alle iniziative sociali che andavano promuovendosi nel mondo
cattolico.'7 Rispetto al d'Espiney il Du Boys cambia stile e registro di lettura.
Anziché fare brevi quadretti, preferisce organizzare il suo volume Dom Bosco
et la pieuse société des salésiens in tre parti,I6 suddivise in capitoli, dove pre-
senta distintamente gl'istituti di Don Bosco in Europa (parte I), le missioni
dell'herica del sud (parte 11)e nella parte 111in una visione sintetica I'or-
ganizzazione ~alesianai,l sistema educativo, lo spirito e le dottrine dei salesiani.
Al Don Bosco taumaturgo del dottore nizzardo il Du Boys sostituisce il
Don Bosco uomo di genio; attenua episodi singolari, come l'intervento ripe-
tuto del cane grigio in difesa di Don Bosco; tace la narrazione di fatti tauma-
turgici e di vaticini; coglie il destro da episodi come gli attentati di sicari poi
rimasti impuniti per deprecare l'amministrazione della giustizia «in un paese
in balia della rivoluzione»;" richiama in tal modo ai lettori francesi I'espe-
rienza della Comune di Parigi del 1871 o la memoria della grande rivoluzione
del 1789 secondo la visione di un Taine o di un Carlyle. Sulla scia del «Bel-
lettino salesiano» dà risalto agli apprezzamenti di Rattazzi per quanto compie
Don Bosco e sottolinea l'appoggio delle autorità pubbliche ali'opera degli ora-
tori. Ai miracoli particolari sostituisce lo sviluppo prodigioso delle opere in
Europa e in America. Nell'epilogo, al soprannaturalismo del d'Espiney (ispi-
rato forse a quello di apologisti quali Auguste Nicolas, arieggianti al tradizio-
nalismo), sostituisce la proclamazione della grandezza di Don Bosco, parago-
nabile - come scrive enfaticamente - a quella di uomini quali Omero, Dan-
te, Milton, la cui genialità non apparteneva a epoche particolari o a singole na-
zioni, ma all'umanità intera e a tutti i tempi.18Giocando sul senso aperto e am-
bivalente dei termini indicava nella rispondenza alle esigenze sociali del
mondo la causa dello sviluppo rapido e ampio dell'opera salesiana: il miracolo
cioè che tutti dovevano riconoscere a Don Bosco e alle sue istituzioni.
Ali'area di lingua spagnola, oltre che il «Bollettino» in quella lingua, era
destinato Don Bosco y su obra (1884),opuscolo di Marcelo Spfnola, allora ve-
cf. l'elenco bibiiografico sommario in: Pietro RICALDONED, on Borco educatore, Il, Colle Don Bo-
sco, Libr. Dottrina Cristiana 1953, p. 651-705.
" Su Alben Du Boys, nato a Metz il 12 aprile 1804, morto nel castello di La Combe de Lan-
cey (Isère)il 26 settembre 1889, d la voce nel Dictionnaire de biographiefroncaire,t. XI, cl. 1058
(P. Hamon).
'"ari$, J. Gervais 1884; trad. italiana: S. Benigno Canavese, tip. e iibr. Salesiana 1884; te-
desca: Mainz, F. Kerchheim 1885; boema: Praga, sui periodico mensile «Vlast» 1888-89;CF. P.
STELLA, Gli roitti a rtampa di S. Giovanni Borco, Roma, LAS 1977, p. 73-79.
" Du BoVs, Dom Borco..., p. 83; trad. ital., p. 62.
DUBOVS, Dom Borm..., p. 317-320; trad. ital., p. 227-229.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
scovo titolare di Milo e ausiliare di Si~iglia.L'~o Spfnola attinge anch'egli al
«Bollettino» e mostra di conoscere il Dom Bosco del d'Espiney; ma, come
avrebbe fatto (autonomamente) il Du Boys, preferisce tracciare di Don Bosco
un profilo nel quadro più ampio del cristianesimo in Europa e nel mondo. La
visione di fondo è trasparentemente vicina a quella del medico nizzardo:
«Se dobbiamo credere a ciò che annunzia la fama - scrive lo Spinola - Don Bo-
sco è un taumaturgo, emulo dei Francesco da Paola e dei Vincenzo Ferreri. Noi non
ricusiamo di fare nostra quest'affermazione. Senza anticipare il giudizio della Chiesa e
parlando in materia tanto delicata con la circospezione che deve avere una persona sen-
sata e ancor più chi è anzitutto cattolico, possiamo assicurare che la vita di Don Bosco
abbonda di fatti straordinari, deiia cui realtà non è possibile dubitare, secondo I'umano
modo di pensare e di discorrere, perché i dati e i segni che se ne sono pubblicati pon-
gono al coperto da ogni sope~chieriar.~~
Lo Spfnola tra l'altro, attingendo evidentemente al d'Espiney, accenna al
giovane Carlo apiadosamente educado en e1 Oratorio», ma residente a Roma,
dove venne a morire e dove fu richiamato in vita temporaneamente da Don
Bosco che vi si trovava in occasione di un viaggi^.^'
Come al d'Espiney, non interessano al vescovo di Milo le cause politiche,
sociali, psicologiche e comunque «umane» del successo di Don Bosco; lo svi-
luppo prodigioso delle sue opere caritative era una prova evidente della po-
tenza divina che irrompeva nella storia servendosi di Don Bosco e dei suoi figli
spirituali. I1 tema del rapidissimo sviluppo, quale indice della divina assistenza
era del resto toccato da Don Bosco nelle conferenze ai cooperatori, e di esse
lo Spfnola poteva leggerne la relazione sulle pagine del «Bollettino». I1 ve-
scovo di Milo spinge tale tema fino alle dichiarazioni più esplicite del sopran-
naturale e del taumaturgico riservato da Dio a un'epoca di incredulità e di
scientismo materialista. In America - scriveva il vescovo amplificando -
erano stati battezzati in pochissimo tempo dalle mani dei figli di Don Bosco
più di tredicimila selvaggi? dunque Don Bosco era da considerare come un
dono di Dio, il quale «nella sua misericordia ce lo ha dato, perché con il po-
'$ Don Borco y ru obrn. Por e1 obispo de Milo. El producto se destina i beneficio de la Obra
Salesiana, Barcelona, Tip. catblica 1884. Marcelo Spinola y Maestre nacque a San Fernando (Ca-
dice) il 14 gennaio 1835; fu nominato vescovo titolare di Milo il 16 dicembre 1880 e ausiiare di
Siviglia; vescovo della diocesi di Soria il 10novembre1884; poi di Malaga il 10giugno 1886; arciv.
-. di Siviglia il 2 dicembre 1895; creato cardinale 1'11 dicembre 1905; mori a Siviglia il 20 gennaio
1-9. 06:
~
d H ~-~
i
m
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h
i
n
cntholica medii
it
recentiorir m i ,
vol.
WI,
Patav",
typ. «Il Messaggero di S.
Antonio» 1978. p. 194; 309; 361; 383.
'O SPINOLA. Don BOICOY SU obra, p. 45: «Si bemos de creer lo que la fama pregona, D. Bosco
es un var6n de milagros, émulo de 10s Francisca de Pauia y 10s Vicente Ferrer, un taumaturgo.
No le rehusarémos este dictado...».
" SPINOLA, Don Borco y ru obra, p. 47s.
SPINOLA, Don Borco y ru obrn, p. 70: «A estas horas lleven ya bautizados 10sSalesianos mas
de 13.800 salvajes~.

2.5 Page 15

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tente suo braccio faccia retrocedere la valanga dell'iniquità e sparga dapper-
tutto la semente del bene»?'
L'immagine di Don Bosco e dei salesiani data dal «Bollettino» spagnolo e
dal libretto del vescovo di Milo ebbe immediatamente i suoi frutti più cospicui
in varie repubbliche dell'America latina. In Ecuador un sottosegretario del mi-
nistero della pubblica istruzione attinse al Don Bosco y su obra argomenti per
perorare la chiamata dei salesiani; in Cile esponenti del clero nativo e immi-
grato si adoperarono per farli arrivare nella repubblica; qualcosa di simile av-
venne in Colombia e nel Venezuela. Gli stessi presidenti deli'Ecuador e del
Cile intervennero direttamente presso Don Bosco a Torino; il governo della
Colombia si rivolse al cardinale Rampolla, segretario di Stato di Leone XIII.
Owiamente non si guardava soltanto ai salesiani. L'America latina in quegli
anni entrava più in pieno neii'orbita economica degli Stati Uniti e dell'Europa.
L'immigrazione europea aveva favorito fra l'altro l'ingresso di ordini religiosi
antichi e nuovi dediti all'istruzione dei giovani, aii'assistenza degl'immigrati e
alle missioni fra gl'indios. C'era l'esigenza dell'istruzione delle élites borghesi,
ma anche dei ceti popolari nel campo dei mestieri, dell'agricoltura e del com-
mercio. L'esponente governativo ecuadoriano nella sua proposta di chiamata,
in termini lusinghieri e facendo eco allo Spfnola, asseriva che i figli di Don Bo-
sco avevano le caratteristiche dei migliori ordini religiosi, erano impegnati con
buon successo nell'istruzione popolare, avevano del secolo moderno le doti
dell'elettricità e della ferrovia: rapidità, impulso ed effi~acia!'~
Mancavano libri che, sviluppando quello che Don Bosco stesso aveva ab-
bozzato nell'opuscolo sul «sistema preventivo» in uso nelle case salesiane, po-
nessero in luce il metodo educativo ch'era descritto come all'origine del suc-
cesso salesiano. Anche a questo si prowide vivente Don Bosco. Don Giulio
Barberis elaborò per uso interno dei novizi alcuni appunti di p e d a g ~ g i aD; ~o~n
Francesco Cerruti in brevi saggi prospettò i nessi del sistema educativo di Don
Bosco con la pedagogia umanistica di un Vittorino da Feltre o di un Castellino
da Castello.26A questi spunti del Cerruti diede sviluppi (più accentuatamente
agiografici e apologetici che non veramente di sistemazione teoretica) Dome-
nico Giordani, un sacerdote romagnolo ammiratore di Don Bosco e coopera-
tore salesiano, in due operette stampate dalla tipografia salesiana di S. Benigno
Canavese." Con questi contributi si poteva considerare completo il ventaglio
" SPINOLAD, on BOSCO y SU obra, p. 99: uDios en su misericordia nos lo ha dado para que
con su potente brazo haga retroceder la avalancha de la iniquidad, y espana por todas partes la
semilla del bien».
" MB 18, p. 426.
" Giulio B~RBERISA,ppunti di pedagogia rama esposti agli asmftidella Soaetà di S. Francero
di Sales, Torino, tip. Salesiana 1897, litogr.
'"rancesco CERRUTLI,e idee di Don Bosco rull'educazione e sull'inregnamento e In missione
attuale delln saiola. Lettere due, S. Benigno Canavese, tip. e iibr. Salesiana 1886.
" Domenico GIORDANLIo, gioventù e Don Bosco di Torino, pel rac Domenico Giordani, S.
Benigno Canavese, tip. e libr. Salesiana 1886; ID., La carità nell'educore ed ilsiitema preventivo del
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
di scritti per mezzo dei quali si tendeva a orientare l'opinione pubblica nel
senso da Don Bosco stesso adombrato. C'erano le premesse perché alla sua
morte ci s'interessasse del suo ruolo e del suo successo nel senso appunto sug-
gerito da tali scritti.
Ma vivente Don Bosco, oltre che per mezzo della stampa elogiativa o cri-
tica, circolavano di lui varie immagini lungo i percorsi della trasmissione orale,
più o meno autonoma e più o meno informata persino a Torino.
Un'idea di quello che egli fosse a Torino nella mente di ceno mondo ope-
raio e artigiano negli ultimi decenni dell'800 è possibile ricavarlo da un singo-
lare episodio narrato in alcune memorie autobiografiche da Don Luigi Taroni,
direttore spirituale al seminario di Faenza tra fine '800 e primo '900. Guarito
da una fastidiosa malattia dopo aver invocato Maria Ausiliatrice, Don Taroni
si trasformò in fervido ammiratore di Don Bosco, in coordinatore di associati
alle «Letture cattoliche», reclutatore in Romagna di chierici e preti per la con-
gregazione salesiana. Per la prima volta si recò a Torino nel 1877 in pellegri-
naggio di ringraziamento aii'Ausiliatrice e per conoscervi personalmente Don
Bosco. Giunse alla stazione ferroviaria di Porta Nuova la sera del 16 maggio.
Montò sulla carrozza per farsi portare all'oratorio. Nel proprio diario (poi uti-
lizzato dal suo biografo Francesco Lanzoni) prese nota delle battute che in
quell'occasione scambiò con il vetturale:
«Chi è questo Don Bosco del quale tanto si parla? - domandò Don Taroni. E gli
fu risposto: - È un prete che ha molti collegi. Tutti i signori gli danno dei denari. È
un milionario.
- E Don Bosco che cosa ne fa di tutti questi soldi?
- Compra altri collegi.
- E chi ci sta in questi collegi?
- Oh bella! dei ragazzetti.
- Sono poveri o ricchi? e chi li mantiene?
- Poveri e li mantiene Don Bosco.
- Dunque Don Bosco spende molto bene questi milioni: egli è certamente un santo
prete... E voi, mio caro, andate mai alla messa nel santuario di Maria Ausiliatrice e a
confessarvi da Don Bosco?...
In questa - continua Don Taroni - arrivai a!.l'Orat~rio».~~
Don Bosco, polarizzatore d'ingenti somme di denaro, era in quegli anni
uno degli argomenti che in senso benevolo o in senso ostile tornava di fre-
quente sui giornali e nei profili biografici. A Torino, ad esempio, Luigi Bigi-
neiii, un sacerdote simpatizzante per mons. Gastaldi, dopo la morte dell'arci-
più grande educatore vivente il venerando D. Giovanni Bosco, pel sac. Domenica Giordani, mll'ap
giunto delle idee di D. Bosco sull'educazione e sull'insegnarnento, S. Benigno Canavese, tip. e libr.
Salesiana 1886.
Francesco LANZONVI,ita di monrignor Paolo Taroni direttore xpirituale del u. seminario di
Faenza..., Faenza, Lega 1926, p. 137.

2.6 Page 16

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vescovo pubblicava un breve profilo di Don Bosco, in cui, tra l'altro, collegava
entusiasmo e mobilitazione di offerte in denaro:
«Ora comprenderete il perché la presenza di Don Bosco suole inspirare tanto en-
tusiasmo nei paesi, dove è di passaggio. La ragione si è, che tutti lo credono l'uomo
della prowidenza ai tempi nostri. Da questo entusiasmo ei suole trarre argomento per
raccomandare opere di religione e di beneficenza ed elemosine. In 15 giorni che nel
1881 stette a Marsiglia raccolse una vistosissima somma di danaro, che venne tosto
spesa ad erigere ed ampliare tre case per giovanetti abbandonati colà raccolti. Altra vol-
ta, di passaggio a Firenze, una sola ricca e divota signora gli portò cinquantamila fran-
chi per elevare la chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma. Quanto più riceve, altret-
tanto egli dispensa, simile ad un fiume regale, che le acque portategli da vari rusceiii
spande a fecondare le campagne di tutti i luoghi in cui trascorre [...l. Eccone un esem-
pio qui a Torino. La chiesa di Nostra Signora Ausiliatrice costò più di un milione. Cre-
dete voi che si sieno fatte collette per ciò? Niente affatto. Dai registri dei libri dell'O-
ratorio risulta, che ottocentocinquantamila franchi furono offerte di persone che atte-
stavano d'aver ottenuto grazie e favori segnalati. Si può dire, che ogni pietra dell'edi-
ficio è un segno sensibile della carità e della potenza di Maria A~siliatrice».~'
Oltre che neii'organizzazione della propria immagine Don Bosco non era
estraneo aii'accettazione di essa: era ben lontano, ad esempio, dal rifiutare l'i-
dea di uomo della prowidenza, giacché si sentiva effettivamente destinato a ri-
cevere per le mani di benefattori di ogni condizione quanto la prowidenza gli
mandava a pro delle occorrenze immediate o per lo sviluppo di ulteriori ini-
ziative in favore dei giovani e del popolo. Le domande perché spedisse i suoi
salesiani gli arrivavano ormai a diecine ciascun anno, ed erano a loro volta uno
stimolo per sollecitare nelle forme più varie e talora più sconcertanti le offerte
in denaro. Un pellegrinaggio delle Associazioni Operaie Cattoliche di Francia
guidato da Léon Harmel di passaggio a Torino neii'ottobre 1887 si trasformò
in assemblea di venerazione entusiasta a Valdocco e poi in cospicua colletta di
monete d'argento che Don Bosco prendeva con le proprie mani e passava in
quelle del suo fedele vicario Don Michele Rua. «La Gazzetta operaia», foglio
del partito democratico e nettamente awerso al clericalismo, il 15 ottobre
commentava sarcasticamente l'episodio dandone notizia in un trafiletto dal ti-
tolo: «Furbo Don Bosco! >>.'O
Fino aii'ultimo Don Bosco aveva cercato di attenersi al piano che aveva in-
tuito e già posto in atto negli anni delle leggi soppressive di enti ecclesiastici
in Piemonte (1855): ancorare le proprie iniziative al capitale mobile, perché a
questo era possibile annettere anche l'idea di precarietà, di elemosina e di af-
fidamento alla prowidenza; non fondare le proprie istituzioni su beni patrimo-
niali con rendite fisse, sistema attorno a cui si formava piuttosto l'idea di agia-
Luigi BIGINELLI, Don Bosco. Notizie biografiche raccolte dal sacerdote Biginelli teol. Luigi,
direttore deli'«Ateneo Ireliniorol». Torino. tio. G . Derorri 1883, p. 24s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
tezza e di vita benestante. Ancora poche settimane prima di morire faceva ri-
fiutare dai suoi una rendita ch'era stata offerta da un amministratore delegato
della Banca Industria e Commercio di Torino, Ettore Chiaramello.)' Più che
l'idea di Don Bosco prete ricco si sarebbe sviluppata attorno a lui quella di
uomo abile nel procacciarsi denaro. Nei decenni successivi alla sua morte l'im-
magine di procacciatore si sarebbe attenuata, ma non sarebbe stata posta del
tutto in oblio dalla ondata martellante e rinnovata d'immagini positive poste
in atto dai salesiani. Toccava a costoro difendere se stessi e Don Bosco ricor-
rendo, il più delle volte per istinto, alla stessa tattica adottata dal loro fonda-
tore: dando notizie cioè dei collegi, deiie missioni e delle altre opere ch'era
stato possibile aprire di anno in anno grazie ali'obolo dei benefattori.
3. La morte e i funerali: mobilitazione della stampa e della folla
Ii martedì 31 gennaio 1888 alle quattro e quarantacinque del mattino Don
Bosco spirava. «I1 Corriere nazionale», giornale cattolico di Torino, riuscì a
darne la notizia in un'edizione straordinaria della stessa gi~rnata.)I~l merco-
ledì, 10 febbraio, la notizia era data dai giornali cittadini (a eccezione della
«Gazzetta del popolo» che lo aveva da sempre osteggiato e che ritenne oppor-
tuno tacere), giungeva a Parigi all'agenzia Reuter e da questa rimbalzava s d a
stampa europea e latino-americana.)' «L'Unità cattolica», il giornale ch'era
stato di Giacomo Margotti, il polemista amico e sostenitore di Don Bosco, de-
dicava l'intera prima pagina al ritratto del defunto; Don Bosco vi era ripro-
dotto in litografia a mezzo busto, visto di fronte, con il sorriso appena abboz-
zato, la berretta sul capo e le mani congiunte, secondo una raffigurazione già
da anni divulgata, tratta da una delle fotografie più riuscite.
Il martedì 31 la salma era stata adagiata nelle camerette che da anni ave-
vano ospitato Don Bosco vivo. A visitarla furono ammessi gli stretti conoscen-
ti, l'aristocrazia cittadina, i salesiani e le figlie di Maria Ausiliatrice. A tarda
sera si preparò la chiesetta di S. Francesco di Sales con gli apparati del lutto.
La salma fu collocata in presbiterio, su un seggiolone, come se Don Bosco vi
stesse assopito con indosso i paramenti sacri.
I1 mercoledì P febbraio fu un flusso continuo di persone che sfilavano per
accostare le mani, toccare con i fazzoletti o con qualche oggetto da tenere
come reliquia. I cortili deii'oratorio e le vie adiacenti erano un formicolio di
gente. La chiesa di S. Francesco e il santuario dell'Ausiliatrice erano stipati di
popolo in preghiera. Il «Bollettino salesiano» di marzo, riprendendo le crona-
" MB 18, p. 472.
" La cronaca di quelle giornate 2 ampiamente narrata dal «Bollettino salesiano» 12 (marzo
18881, p. 25.36; e neiie MB 18, p. 538-571.
" Cf. Ram6n ALBERDI,Rerononcin de la muerte de Don Bosco en Bnrcelona, in: «Salesianum»

2.7 Page 17

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che pubblicate da «L'Unità cattolica* e da «Ii Corriere nazionale», diffondeva
in Italia e nel mondo la descrizione di quei giorni: ch'erano stati di lutto, ma
anche di commozione e di partecipazione spettacolare. Riferendo quanto era
accaduto il lo febbraio, «L'Unità cattolica» scriveva tra l'altro:
«La piccola chiesa di S. Francesco fu aperta al pubblico alle otto del mattino. Sem-
brava che l'intera Torino si riversasse all'oratorio per vedere la salma di Don Bosco.
Da piazza Milano [poi: piazza Emanuele Fiherto; ora: piazza della Repubblica] per
tutto il corso Regina Margherita, e da via Dora Grossa [ora: via Garibaldil per l'ampio
viale di Valdocco che sbocca nel corso Regina Margherita era un accorrere continuo
di popolo. La piazza di Maria Ausiliatrice era tutto il giorno gremita di carrozze. - An-
diamo da Dori Bosco! - si dicevano l'un l'altro. Il popolo, sempre efficace e conciso
nei suoi giudizi, come già battezzava il Cottolengo, dal fondatore, quel complesso d'i-
stituzioni caritative che Sorgono a fianco degli istituti salesiani, diede a questi il nome
di Don Bosco. E dice bene, perché questa chiesa-oratorio-scuola-officina-ospizio-rico-
vero, tutte queste istituzioni insieme riunite non possono avere altro nome che quello
deii'uomo che ne concepiva e ne svolgeva il disegno*.
I1 giovedì 2 febbraio, di buon mattino la salma fu riposta nella cassa e fu
collocata nel santuario deii'Ausiliatrice su di un catafalco eretto sotto la cupo-
la. In mattinata celebrò la messa pontificale da requiem mons. Giovanni Ca-
gliero, il vescovo salesiano missionario in Patagonia. Nel pomeriggio si svolse
il corteo funebre per le vie del quartiere in un percorso autorizzato dali'auto-
rità cittadina. Già sul mezzogiorno molti negozi deiia città, chiusi o socchiusi,
portavano il segno del lutto. M e tre del pomeriggio, ora d'inizio del corteo,
chiusero anche vari laboratori e alcune manifatture. Una fiumana di folla si ri-
versava a Valdocco da ogni parte. Carabinieri, guardie di pubblica sicurezza
e altre forze deii'ordine, incaricati di contenere la folla, erano anch'essi coin-
volti dalla grandiosità deii'evento.
<<Petrutta la lunghezza di via Cottolengo- scriveva il "Bollettino"-, per i corsi
Principe Oddone e Regina Margherita, per la via Ariosto due strette file di popolo at-
tendevano il corteo che sfilava lentamente. Ogni fila era composta di tre, quattro, sei
altre fie di persone; sugli alberi, sui fanali erano aggrappati quei vivaci figli del popolo
che di tutto sanno far gazzarra, e che pure nel solenne raccoglimento di quell'istante
tenevano un contegno riverente».
Soffermandosi in apprezzamenti che, letti fra le righe, potevano apparire
un richiamo politico al ruolo cattolico nella società italiana, il «Bollettino»,
come già «L'Unità cattolica», commentava: «Ilpopolo è buono ed ha cuore
riconoscente. Esso lo dimostrava colla dignità del suo contegno». La cassa, ri-
coperta dalla coltre funebre, fu portata a spalla da otto sacerdoti salesiani.
«Verano deposte- riferiva il "Bollettino" -le insegne sacerdotali velate di gra-
maglia e le due medaglie d'oro date ali'iilustre estinto dalla Società Geografica di Lione
e daU'Accademia di Barcellona, per le insigni benemerenze del grande Apostolo della
gioventù. Al passaggio del feretro, tutti scoprivano riverentemente il capo, molti s'in-
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
ginocchiavano e mormoravano le parole mille volte udite in questi giorni: - Era un
Santo!
Accanto al feretro alcuni sacerdoti portavano le corone di fiori offerte dal Capitolo
salesiano. Questo seguiva immediatamentela salma [...l.Venivano in seguito: numero-
sissimo stuolo di sacerdoti, tra cui una rappresentanza della curia arcivescovile e del
Convitto della Consolata; poi i sacerdoti della compagnia di S. Tommaso, poi i chierici
del seminario, poi i rappresentanti di tutti gli ordini religiosi di Torino e i rappresen-
tanti del collegio degli Artigianelli e della stampa, cioè di parecchi giornali di Torino,
di Milano, di Genova, di Roma, d'Ivrea, ecc.; il conte di Viancino, presidente d e v o -
pera dei Congressi Cattolici; i rappresentanti dell'unione Conservatrice; altri iilustn si-
gnori dell'aristocrazia; il Consiglio Centrale deU'Unione Cattolica Operaia di Torino
con la bandiera; l'Unione degli Aspiranti Operai Cattolici con vessillo, la Gioventù Cat-
tolica con il suo orifiamma, l'Unione del Coraggio Cattolico con lo stendardo e poi le
rappresentanze di molte società cattoliche operaie con bandiera, tra cui ricordiamo
quelle di Saluggia, Chieri, Orbassano, Asti, Sàntena, Nizza Monferrato, ecc.».
Tra le personalità italiane presenti nel corteo funebre il «Bollettino» segna-
lava due benemeriti e rispettati autori di scritti pedagogici e scolastici: Giu-
seppe Parato e Giovanni Scavia." Tra i rappresentanti esteri segnalava alcune
personalità francesi e un rappresentante del movimento cattolico del Cile. Le
singole rappresentanze erano fiancheggiate da «due lunghe file di servi in li-
vrea recanti le armi delle primarie case patrizie di Torino; e tra essi, alcuni val-
letti del Municipio».
«Terminata la funzione- scriveva «L'Unità cattolica* del 4 febbraio-, come av-
viene in simili occasioni, chi diceva che ad assistere al trasporto fossero duecentomila
persone, chi trecento, chi quattrocentomila. I1 che significa solamente questo che, mo-
ralmente, tutta Torino è stata chiamata al passaggio della bara d'un prete. Quindi con
ragione tutti convenivano che l'onore reso a Don Bosco si era convertito in uno dei più
splendidi trionfi della religione cattolica*.
I1 «Bollettino salesiano» riduceva le cifre affermando che il corteo era co-
stituito da circa cinquemila individui e che a fare ala erano oltre centomila per-
'< Giuseppe Parato (1821-1893)nacque a Sommariva Bosco (Cuneo);cosi come i suoi fratelli
Giovanni (1816-1874)e Antonino (1823-1885),si distinse come educatore e pedagogista; Gio-
vanni Scavia (1821-1897)nacque a Castellazzo Bormida (Alessandria):allievo dell'Aporti e del
Rayneri, fu direttore delle scuole municipali di Torino dal 1856 al 1861; cf. le rispettive voci in:
Ernesto CODIGNO(LdAir.),Pedqogisti ed educatori, Milano, 1st.Editoriale Italiano 1939.- Gli av-
venimenti del 2 febbraio 1888 sono casi ricordati da Don Orione: *Quandosi fecero i suoi fu-
nerali, era d'inverno, c'era la neve e si faceva come una processione. Ed erano venuti molti a ve-
dere Don Bosco; da Parigi, Roma, Milano (...). Fu un trionfo. Io vidi il trasporto della salma di
Don Bosco da Valsalice a Torino [nel 19291, e le feste per la cananizzazione. E posso dire che
c'era, SI, nel 1934, quando lo fecero santo, più gente, più sfarzo, più solennità;ma niente mi ha
toccato l'animo quanto la scena dei funerali. Vi erano gli alberi, i platani del viale Regina Mar-
gherita coi rami da cui pendevanocome grappoli umani; erano tutti carichi all'inverosimiledi gen-
te...»:cfr. Don Luigi Orione e lo Piccolo Opera della Divina Prouvidenm. Doaimenti e tertimonian-
re, I: 1872.1893, Roma, Figlidella Divina Prowidenza (Don Orione) 1958, p. 306s.

2.8 Page 18

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sone; ma ribadiva il significato deil'evento: «Mai si vide in Torino un concorso
di gente così numeroso e spontaneo [...l. Non fu sepoltura, fu trionfo [...l.Un
signore [...l awicinatosi a un sacerdote salesiano, gli domandò: - Che cos'è
questo? - È un funerale di un prete! - Un funerale? Dica pure: è un'apoteo-
si».
Dieci anni prima rischiava di non essere un'apoteosi la sepoltura di Pio IX
a Roma, la capitale della cristianità, perché gmppi ostili si mobilitavano per ro-
vesciare nel Tevere la salma del papa. Crispi, allora ministro dell'interno, no-
nostante il proprio sentire anticlericale e la linea di rigida difesa deil'unità na-
zionale raggiunta, fece intervenire le forze deil'ordine per scongiurare un fatto
che avrebbe avuto ripercussioni traumatiche anche fuori d'Italia. I funerali di
Don Bosco poterono usufruire di una congiuntura favorevole; tra l'inverno
1887 e la primavera 1888 l'Italia in effetti traversava un periodo di relativa
quiete, nonostante il moto crescente deil'anticlericalismo di piazza, facile a sca-
tenarsi a Roma e nelle città maggiori, dato il diffuso malessere sociale acuito
dai preludi del decollo industriale e capitalistico. In particolare a Torino at-
torno al 1888 il movimento cattolico né quello socialista erano arrivati a es-
sere forze talmente solide da potersi imporre politicamente e profittare dei
movimenti di folle. Sotto questo aspetto anzi il funerale di Don Bosco serviva
a mostrare che il movimento cattolico, le società operaie confessionali e le altre
associazioni cattoliche erano più pronte a rafforzare con la loro presenza ma-
nifestazioni di culto religioso (come funerali, congressi eucaristici, esposizioni
d'arte sacra), che non a dibattere concreti programmi d'azione sociale e poli-
tica. Su questa via, dopo la nascita del partito socialista, e anzi in tempi in cui
il socialismo, ormai anche a Torino, coordinava e manovrava scioperi, si sa-
rebbe mossa la generazione più giovane degli esponenti del movimento catto-
lico, come Luigi Caissotti di Chiusano e altri, i quali alla fine del secolo non
di rado furono in posizioni divergenti e contrastanti rispetto a quelle della ge-
nerazione che intanto, nel febbraio 1888, rendeva onore d a salma di Don Bo-
SCO.)~
Il venerdì, 3 febbraio, fu giorno ancora di visite d a salma deposta nella
chiesa dell'Ausiliatrice. Ma a termini di legge, come qualsiasi altro cadavere,
anche quello di Don Bosco doveve essere riposto fuori della cinta urbana en-
tro il giorno successivo. La sepoltura di Don Bosco avrebbe dovuto esser fatta
di norma nel cimitero cittadino; magari in un luogo speciale e con particolari
segni di riguardo neli'ambito del terreno che i salesiani avevano acquistato per
le spoglie dei loro confratelli. Ma Don Bosco aveva espresso il desiderio di ri-
manere a Valdocco, con il suo corpo riposto nei sotterranei della chiesa che
aveva eretto a Maria Aiuto dei Cristiani. I1 capitolo superiore dei salesiani era
deciso a sua volta a fare la sepoltura del venerato padre, se non nel santuario
" Cf. Alessandro ZUSSINLIu, igi Caimtti di Chimano e il movimento cattolica dal 1896 al
1915, Torino, Giappichelli 1965; Paolo SPmo, Storia di Torino operaia e rocialista. Do DeAmi&
o Gramrci, Torino, Einaudi 1981 (1' ed. 1972).
30
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
deil'Ausiliatrice, almeno presso qualche casa salesiana. Nella loro memoria il '
precedente più fresco era quello di Ludovico da Casoria, il francescano minore
morto pochi anni prima (il 30 marzo 1885), la cui salma per concessione del
governo era stata regolarmente trasferita il 3 marzo 1887 dal cimitero comune
nella chiesa che ufficiavano a Posillipo i «frati bigi», i religiosi da lui f~ndati.'~
Ludovico da Casoria era nella coscienza collettiva di d o r a una personalità
che aveva attirato attorno a sé e alla sua opera un larghissimo consenso. Già
durante il regno deil'ultimo Borbone, con il sussidio finanziario e l'appoggio
del sovrano, aveva fondato a Napoli istituti in cui venivano raccolti ragazzi e
ragazze africani (i «moretti» e le «morette») comperati sui mercati del conti-
nente nero e che, educati cristianamente, avrebbero dovuto essere ricondotti
in Africa nell'intento che fossero un lievito di cristianizzazione e di civilizza-
zione nelle famiglie e nelle comunità entro cui s'inserivano. Ludovico da Ca-
soria era diventato come una bandiera del cattolicesimo meridionale. Quello
che a Torino erano per la stampa cattolica le opere del Cottolengo, della Ba-
rolo e di altri, per la stampa di Napoli e del napoletano erano l'opera dei Mo-
retti e quella delle Morette fondate dal frate francescano. Ancor prima che av-
venissero i funerali di Don Bosco, quelli di padre Ludovico erano stati il ri-
chiamo di una grande frolla e l'occasione per celebrare un personaggio bene-
merito della religione e della civiltà.
I governi italiani in linea di massima non erano per ndla propensi a per-
mettere sepolture fuori dei cimiteri comuni. La tendenza era piuttosto verso
il rigore e l'adempimento delle leggi sui cimiteri?' Oltre tutto bisognava an-
cora rompere le vecchie consuetudini delle sepolture in cimiteri costruiti entro
le città o accanto d e chiese parrocchiali di centri di pianura e di montagna.
La grande campagna per la costruzione dei cimiteri fuori dai centri abitati e
la chiusura dei vecchi luoghi di sepoltura era awenuta in Italia dopo l'ondata
di colera del 1835-1837. Ma negli Stati sardi di terraferma le resistenze in par-
rocchie della Savoia e del Biellese si erano prolungate fin oltre il 1840; in Sar-
degna e altrove in Italia i ritardi erano numerosi anche dopo l'unificazione.
Stando a statistiche ufficiali, ancora dopo il 1880 erano circa il 20% nel cen-
tro, nel sud e nelle isole maggiori i comuni che avevano cimiteri non regolari.
Altrettanto recisa fu la linea dei governi nei confronti delle famiglie nobiliari,
delle corporazioni laicali e deile confraternite che tendevano a d i i d e r e il pri-
'%«L'Unità cattolica», 4 apr. 1885: «Èimpossibile descrivere la calca di gente che si affollava
lungo le vie, speciaimente a [vial Toledo, ove da pareccbi balconi furono gettati fiori s d a cassa
funebre del grande benefattore dell'umanità, perché unicamente ispirato d d a carità cristiana. La
città di Casoria ha mandato il sindaco, la giunta ed altre rappresentanze...»; cf. ancbe una breve
necrolagia sul a<Boliettinosalesiano» 9 (maggio 1885) p. 74s.
'' Cf. in generale Franco DELLA PERUTA(a cura), Storia d'Italia. Annali 7: Mnkzttin e medi-
cina, Torino, Einaudi 1984; e più in particolare su epidemie, sanità, igiene e intementi del pub-
blico potere: P. STELLA, Strutture educative e assirtenriali in nord Italia nella prima meta dell'800,
in: AA.W., Lodovica Pavoni e ilsuo tempo. Atti del convegno distudiBrescia, 30 mano 1985, Mi- :
lano, Ancora 1986, p. 51-55.

2.9 Page 19

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vilegio di sepoltura in chiesa. Le famiglie nobili seguirono presto l'esempio dei
facoltosi nobili e borghesi acquistando nei cimiteri pubblici delle aree in cui
costruire cappelle sepolcrali di famiglia. La stessa via seguirono gli ordini e le
congregazioni, colpiti che fossero o no dalle leggi soppressive di enti ecclesia-
stici. Le autorizzazioni particolari e le eccezioni tuttavia non mancarono. Si
permise che i vescovi continuassero a essere sepolti nella loro chiesa cattedra-
le; o che nobili avessero sepoltura nella cappella gentilizia della propria viiia
di campagna. L'intransigenza si appuntava contro la sepoltura in città o co-
munque entro l'ambito dei concentrici abitati dei comuni. Anche in questa
materia casi di particolare eccezione confermavano la regola. A Roma, ad
esempio, ilpantheon fu destinato alla sepoltura dei regnanti di casa Savoia; nel
1928 Armando Diaz, il generale della vittoria nella prima guerra mondiale,
ebbe l'onore del sepolcro nella chiesa di S. Maria degli Angeli a Roma.
L'eccezione concessa per Ludovico da Casoria e l'autorizzazione data ai sa-
lesiani per la sepoltura di Don Bosco a Valsalice significava forse anche una
valutazione diversificata dei due personaggi da parte del governo e della classe
politica al potere.
A uomini politici come Francesco Crispi entrambi potevano apparire quali
personalità benemerite; ma l'apprezzamento maggiore andava forse per il fran-
cescano; non solo perché Ludovico da Casoria, vissuto tra antichi Stati regio-
nali e Stato unitario, poteva servire a indicare la via che conveniva fosse im-
boccata da chi stava all'interno del campo clericale; ma anche per l'importanza
che poteva assumere nel quadro della politica estera l'opera dei Moretti e delle
Morette. A quest'ultima opera infatti potevano essere particolarmente sensibili
Crispi e la compagine politica che in quello scorcio di secolo perorava una pre-
senza più incisiva dell1Italianel Mediterraneo, ormai quasi solo spartito o con-
teso fra l'Inghilterra e la Francia. In quanto poi mirante all'intero continente
nero, l'opera di Ludovico da Casoria - così come quella del cappuccino Gu-
glielmo Massaia e del lazzarista Giustino de Jacobis in Eritrea e in Abissinia
- poteva entrare nei sogni di potenza coloniale carezzati dal Cri~pi.)~
Don Bosco per suo conto era stato tutt'altro che inerte quando alla destra
storica era subentrata al governo la sinistra liberale. Già nel 1876, come ab-
biamo accennato, aveva posto a disposizione il collegio municipale di Lanzo
Torinese quando venne inaugurato il tronco di ferrovia Ciriè-Lanzo. In quel-
l'occasione poté parlare tra il giocoso e il serio con Zanardeiii, Nicotera, De-
pretis. Le spedizioni missionarie avevano dato occasione più volte per segna-
lare l'assistenza che i salesiani prestavano a immigrati italiani, insediati nelle
terre «di nessuno» della Patagonia e della Pampa. A Crispi stesso Don Bosco
aveva presentato un memoriale sui sistema preventivo posto in pratica nelle
case di educazione salesiane e in esso prospettava il risparmio che il governo
" S d a politica ecclesiastica di Crispi cf. di Fausto Fonzi la voce rispettiva nel Dirion. bio-
grafico degli italiani, XXX, Roma, Enciclopedia italiana 1984, p. 790s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
avrebbe realizzato se, ai fini di prevenire la delinquenza minorile, avesse for-
nito sussidi a sostegno deila retta che i giovani pagavano in case sotto la di-
rezione dei salesiani. Tutto sommato l'intraprendenza e l'espansione dei sale-
siani di Don Bosco erano presenti ai governi italiani di quegli anni. Nel 1885,
ad esempio, il ministro degli esteri conte Nicolis di Robilant fece sondaggi
presso Don Bosco in ordine a una scuola italiana al Cairo da attivare con per-
sonale salesiano. La politica estera italiana mirava chiaramente anche all'aper-
tura di scuole nel Medio Oriente sdla via che portava all'Eritrea e &Abissi-
nia. Le trattative con Don Bosco non ebbero seguito. Solo nel 1895, con Crispi
nuovamente capo del governo e con l'appoggio della Società Dante Alighieri,
i salesiani poterono aprire una scuola ad Alessandria d'Egitto, dando inizio a
una serie d'istituzioni loro proprie, ma ponendo anche i termini di un germi-
nale attrito con scuole salesiane fondate in Medio Oriente grazie all'appoggio
france~e.'~
Quest'insieme di fatti ebbe forse un suo peso quando, già neli'imminenza
del decesso di Don Bosco, i salesianisi mossero a Torino e a Roma neli'intento
di dare sepoltura al loro fondatore se non a Valdocco almeno in qualche altro
loro collegi^.'^ I primi passi a Torino furono fatti, com'era di norma, presso
il prefetto della città, conte Ottavio Lovera di Maria. Data l'eccezionalità della
cosa e i timori di agitazioni di piazza, il Lovera osservò che occorreva l'auto-
rizzazione governativa. A Roma furono mosse personalità politiche moderate,
quali Ruggero Bonghi e Cesare Correnti, furono fatte sollecitazioni in corte
tramite Clotilde di Savoia, sorella del re Umberto I, a questi e d a regina fu-
rono fatte petizioni informali e orali. Il procuratore generale dei salesiani, Don
Cesare Cagliero, e il confratello Don Antonio Notario chiesero e ottennero
un'udienza dal capo del governo. Crispi ebbe parole di stima per Don Bosco
e ricordò in termini vaghi la conoscenza che ne aveva fatta a Torino nel 1852,
quanto vi si trovava esule dopo gli sfortunati moti insurrezionali del 1848 in
Sicilia. Crispi aveva appena posto in atto alcuni interventi in politica ecclesia-
stica ostili allo schieramento clericale. Nel dicembre 1887 aveva disposto la de-
stituzione da sindaco di Roma del principe Leopoldo Torlonia, perché questi
si era recato in visita dal cardinale vicario in occasione del giubileo sacerdotale
di Leone XIII. Poco prima, in seguito a un opuscolo anonimo del benedettino
Luigi Tosti che auspicava trattative di conciliazione tra il governo e la S. Sede,
Crispi, interpellato alla Camera da Ernesto Bovio, deputato di sinistra e mas-
sone, negò recisamente l'esistenza e anzi la stessa possibilità di tali trattative.
Le simpatie, che Crispi talora aveva manifestato per Leone XIII, erano del re-
sto circoscritte a quanto del pontefice poteva essere interpretato come aper-
tura democratica e come sensibilità sociale; però l'uomo politico s'irrigidiva
quando la conciliazione religiosa poteva prospettare un'amputazione, anche

2.10 Page 20

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minima, dell'unità territoriale conquistata con il risorgimento?'
Nei confronti dei salesiani e di Don Bosco non c'erano motivi perché si po-
tesse ipotizzare che la concessione della sepoltura fuori del cimitero comune
assumesse il significato di un implicito appoggio all'intransigentismo o di un
cedimento verso una qualche reintegrazione del potere temporale. Nei sale-
siani infatti, come in non poche altre componenti dell'area cattolica, era rav-
visabile una evidente cura al rispetto delle autorità costituite e perciò anche
implicitamente una sorta di accettazione dello statuto politico del paese. Nel
1878 il «Bollettino salesiano» aveva passato sotto silenzio la morte di Vittorio
Emanuele I1 e aveva per contro dedicato un numero intero per celebrare la
grandezza di Pio IX,la santità e persino i miracoli post mortem. Ma negli anni
successivi, soprattutto nella narrazione della Storia dell'Oratorio diS. Francesco
di Sales, il periodico salesiano - come abbiamo già notato- pose in gran ri-
lievo l'appoggio che la casa regnante diede all'opera degli oratori per la gio-
ventù abbandonata, le simpatie e i consigli che diedero a Don Bosco uomini
della sinistra, come Urbano Rattazzi, i riconoscimenti benevoli che gli diedero
personaggi rispettabili come Nicolò Tommaseo e Giovanni Lanza. I salesiani,
impegnati in opere che apparivano filantropiche e caritative, anche per caute-
lare le loro iniziative, erano in fondo propensi ad accettare comunque l'ordine
costituito e sollecitarne l'appoggio.
Autorizzare la sepoltura di Don Bosco in una chiesa dei salesiani nel loro
collegio di Valsalice, in area collinare alla periferia di Torino, poteva conside-
rarsi, oltre tutto, come un atto coerente con il principio generale che Crispi
aveva enunziato in parlamento il 6 giugno 1885: «I1 mio ideale è il sistema
americano: lo Stato sovrano, i culti tutti liberi nell'orbita dello Stato e sotto la
sua tutela»?'
Avuta l'autorizzazione della sepoltura a Valsalice, i salesiani speravano an-
cora, tra il 2 e il 3 febbraio, la grazia sovrana per la reposizione nei sotterranei
dell'Ausiliatrice. Nonostante l'awenuto corteo funebre, l'autorità cittadina
concesse che si ritardasse l'inumazione fino al sabato 4 febbraio. Intanto certi
giornali awersi, fra il 3 e il 4, scrivevano di «mene clericali» in corso. Erano
ora i salesiani che dovevano temere una qualche canea se si procedeva con so-
lennità al trasporto della salma. Giunta l'autorizzazione prefettizia, il 4 feb-
braio aile 16,30le spoglie di Don Bosco furono senz'altro caricate sul carro fu-
nebre e portate speditamente da Valdocco a Valsalice. Seguivano il feretro
solo tre carrozze; la prima, già usata da Don Bosco da vivo, portava Don Mi-
chele Rua, mons. Cagliero, Don Giovanni Bonetti e l'economo generale dei sa-
lesiani, Don Antonio Sala." Si procedette alla riposizione nel loculo ch'era
" Arturo Carlo JEMOLO, Crispi, Firenze, VaUecchi 1922, p. 66-84; ID., Chiesa e S f a f oin Italia
negli ultimi cento anni, Torino, Einaudi 1971, p. 278-280; 307-309.
" F. CRISPID, iscorriparlamentari.., 11,Roma, tip. deiia Camera dei deputati 1915, p. 749.
a' «Bollettino salesianou 12 (aprile 1888) p. 49-51; MB 18, p. 565.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
stato frettolosamente predisposto, ma che fu possibile ultimare e sigillare ta-
citamente solo la sera del lunedì successivo, 6 febbraio. I1 collegio di Valsalice
diventava custode delle spoglie mortali di Don Bosco. Fino al 1929 sarebbe
stato il luogo più importante del culto al servo di Dio, meta di pellegrinaggi
riverenti o d'incontri osannanti.
4. I1 «miracolo» di Don Bosco: ideaiizzazioni e celebrazioni dalla morte alla
prima guerra mondiale
La notizia della morte di Don Bosco pose in moto suffragi e celebrazioni.
Nell'ambito cattolico, in particolare, Don Bosco dava tra l'altro argomento per
sollecitare iniziative nel campo educativo. Ci si spiegano pertanto gli accenti
vibranti delle commemorazioni più varie tenute in chiese parrocchiali, in cat-
tedrali, in circoli cattolici in Europa e in America. La materia documentaria
era fornita dal «Bollettino» e dalle biografie. Ispirato al Don Bosco y su obra
dello Spinola fu, ad esempio, il discorso di trigesima tenuto a Santiagodel Cile
in clima di fermento e di speranze appuntate sulla recente venuta dei salesiani.
Tra i vari discorsi particolare soddisfazione diede ai salesiani quello di trige-
sima tenuto nel santuario dell'Ausiliatrice a Torino dall'arcivescovo cardinale
Gaetano Alimonda. Per quanto riguardava le istituzioni diocesane e l'organiz-
zazione delle forze cattoliche il governo dell'Alimonda fu più di sosta e di lie-
vitazione, che di netti interventi sulla linea tenuta dal predecessore. Molti ele-
menti di scontro che avevano faratterizzato il decennio dell'arcivescovo Ga-
staldi furono attutiti o eliminati. In particolare I'Aiimonda si dimostrò pro-
penso a favorire ed elogiare quanto Don Bosco aveva promosso in diocesl e
altrove. Il suo discorso di trigesima non toccò il rapporto istituzionale tra il
fondatore dei salesiani e le strutture diocesane, ma si portò senz'altro nella
sfera dei temi generali e universali, dove era facile porre in evidenza quanto
poteva essere condiviso da tutti. Esordi affermando che il secolo decimonono
si distingueva per quattro aspetti: era il secolo della pedagogia, del lavoro e dei
lavoratori, delle associazioni di ogni tipo e delle imprese coloniali; Don Bosco
poteva dirsi il divinizzatore del suo secolo; divinizzò infatti la pedagogia po-
tenziandola e animandola con la carità; divinizzò il lavoro inculcando le virtù
cristiane; I'associazionismo, fondando e diffondendo i salesiani, le figlie di Ma-
ria Ausiliatrice e i cooperatori; il colonialismo, inviando missionari che por-
tano il vangelo con la civiltà. I1 discorso dell'Alimonda era un precedente pre-
zioso in ordine al processo di beatificazione che i salesiani avevano in animo
di avviare.#
Nella congerie di discorsi, articoli di giornali, pronunziamenti celebrativi è
possibile individuare alcuni temi e alcune impressioni dominanti: comune è
" Gaetano ALIMONDA, Giovonni Borm e il suo secolo. A i funerali di trigerimn nella chiesa di
M a n i Ausiliatrice in Tonno il l" mano 1888. Discorro..., Torino, tip. Salesiana 1888.
35

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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l'ammirazione o la meraviglia davanti al «miracolo» operato da Don Bosco,
cioè davanti d'espandersi straordinario di opere che apparivano come nate
dal nulla o come di non molta rilevanza e che nondimeno erano circondate da
simpatia ed erano in continuo sviluppo. Di conseguenza si proponevano spie-
gazioni di tale fatto, e perciò anche della personalità di Don Bosco.
AU'indomani d d a morte di questi, il 1"febbraio 1888, la «Gazzetta di To-
rino», di tendenza liberale, non clericale, ma sostanzialmente cattolica, pubbli-
cava un trafiletto significativo:
«Si poteva discordare da lui in fatto di opinioni politiche, ma non si poteva non am-
mirare una vita tutta spesa nelle opere di religione e di carità. Dotato di una mente dav-
vero superiore, sorretto da quella forza di volontà e da quella perseveranza che soltanto
la fede può dare, l'illustre e venerando uomo compiè deiie opere addirittura meravi-
gliose, se si pensa che ricavò unicamente, con la sua propaganda incessante, dalla carità.
Le missioni da lui fondate si sono spinte nelie più lontane regioni del mondo, ed i ri-
coveri per i derelitti, gli istituti di educazione e d'istruzione da lui creati si trovano in
tutte le pani dell'universo. Persino notevoli industrie furono ammirate e premiate in va-
rie esposizioni.. Dinanzi ad una vita così bene spesa, di fronte ad opere cosi mirabili,
ogni divergenza di opinioni scompare*.
In chiave non politica, ma filosofico-positivistail significato sociale dell'o-
pera di Don Bosco veniva rilevato da Cesare Lombroso in alcune aggiunte che
fece alla seconda edizione delle sue Lezioni di medicina legale. Dopo avere de-
scritto quanto si faceva in Inghilterra e in altri paesi civilmente d'avanguardia
in Europa il Lombroso passava a parlare dell'Italia, dove, a suo parere, erano
da deplorare la latitanza dello Stato e la negligenza della classe politica; unica
eccezione gli apparivano le opere di Don Bosco: «Gli istituti salesiani rappre-
sentano uno sforzo colossale e genialmente organizzato per prevenire il delitto,
l'unico anzi che si sia fatto in Italia».4s
Ii profilo di Don Bosco entrava anche in raccolte aneddotiche, in periodici
e in libri destinati d a lettura popolare. Uno di questi libri è Battaglie e uittorie
(1890), più volte ristampato. Ne era autore Augusto Alfani, uno scrittore fio-
rentino dalla vena facile, della generazione di Edmondo De Amicis, del Col-
lodi e di Renato Fucini, ispirato al moralismo vagamente religioso d o r a in
auge di Samuel Smiles. Al lettore comune, ai giovani in particolare, l'Mani
presenta come modelii da imitare uha serie d'italiani che in tempi recenti si
erano distinti per ingegno, inventiva, tenacia, ardire, generosità: esploratori
come Vittorio Bòttego, ingegneri come Germano Sommeiller, personaggi di
alta e generosa religiosità come Ludovico da Casoria, Giovanni Bosco, Gia-
como Cusmano. 11moralismo dell'uani con le sue modulazioni nazionalisti-
" Cesare LOMBROSOL,ezioni di medicina legale, rocolte da Virgilio Rossi. Seconda edizione,
Torino, Bocca 1900 (l' ed. 1886);citato dal xBoUettino salesianon 31 (settembre 1907) p. 280 e
da Giovanni ALB~RTOTTIC, hi era Don Bosco. Biografia fisio-psim-patologica scritta dal suo medi-
co..., Genova, Poligrafica San Giorgio 1929, p. 84.
36
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
che era ormai di timbro alquanto diverso da quello, ugualmente liberaleg-
giante e tardo romantico che la gioventù italiana poteva attingere nei profa
aneddotici tracciati dal Parravicini nel notissimo e fortunatissimo suo Giannet-
to. La virtù civile che l'Mani poneva in evidenza era quella che la cultura li-
berale di fine '800 esaltava nell'individuo capace di emergere e di spendere le
proprie doti per il bene della patria e deii'umanità intera. Tra l'altro narra la
leggendaria passeggiata che Don Bosco fece a Stupinigi con i ragazzi della Ge-
nerala, il correzionale minorile torinese: «Senza carabinieri - notava l'Alfani
-. Erano 300, ed egli li ricondusse tutti alle prigioni. Tanto è efficace l'auto-
rità della vera virtù, tanto è potente l'impero dell'amoren. «Secondo noi -
concludeva - , Don Bosco ha ben meritato della patria, la quale non potrà
certamente disconoscere i'opera altamente educativa di quest'umile e amoroso
intelletto, di questo santo e forte
Profili favorevoli di Don Bosco entravano per varie vie nei circuiti culturali
dotti e popolari d'Italia. I salesiani sul «Bollettino» e in altri scritti diffonde-
vano tra '800 e '900 le frasi conclusive dell'Mani, i giudizi di Lombroso e altri
apprezzamenti che del loro venerando fondatore davano personaggi eminenti,
noti d a gente?'
Fuori d'Italia il paragone ricorrente nelle commemorazioni di Don Bosco
era quello istituito con i santi i quali nell'epoca della riforma cattolica si erano
distinti in iniziative assistenziali a favore dei poveri. Giornali di larga diffusio-
ne, come «Le Figaron di Parigi e il «Times» di Londra, scrivevano che Don
Bosco era stato il Vincenzo de' Paoli del secolo XIX. La reminiscenza era sug-
gerita tra l'altro dalla fioritura in Francia delle Conferenze di S. Vincenzo de'
Paoli, organizzate dail'ozanam negli anni della restaurazione in clima di pro-
letarizzazione, pauperismo e assistenza. Owiamente le modulazioni patriotti-
che e nazionalistiche rilevabili neii'Mani si trovano taciute e implicitamente
depurate d d a stampa e daii'opinione pubblica d'oltralpe:
«La morte di Don Bosco - scriveva un periodico religioso di Parigi - a dire il
vero non è un avvenimento parigino: è anzi qualcosa di meglio. Don Bosco apparteneva
al mondo intero. Parigi senza dubbio lo venerava come un santo. Quando quest'am-
mirevole moralizzatore della gioventù bisognosa si fermava in mezzo a noi nei suoi
viaggi apostolici, la folla si stringeva al suo passaggio per vederlo, per intendere il
nuovo S. Vincenzo de' Paoli. Ma i patagoni anch'essi lo venerano e con loro, altri po-
poli. Don Bosco ha seminato le sue elemosine e le sue opere buone ai quattro angoli
della terra; così oggi è espresso in tutte le lingue il cordoglio universale di cui egli è
oggetto»."
'' Augusto ALFANI,Battaglie e vittorie. Nuovi esempi di Volere P potere, Firenze, Barbera
1890, p. 355-359; ed. 1915, p. 245-248.
" <Bollettino salesiano* 31 (settembre 1907)
p.
279s,
dove
sano
riferiti
giudizi
di
Leone
Xm, Pio X, Antonio Fogazzaro, Augusto Alfani, Cesare Lombroso, Pietro Melandri.
«La Semaine des famiiies*29 (11février 1888) p. 735s: «La mon de dom Bosco n'est pas,
à vrai dire, un événement parisien: c'est mieux que cela. Dam Bosco appanenait au monde en-
tier...».

3.2 Page 22

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L'articolo proseguiva indicando in Don Bosco un modello di santità per i
della Chiesa [...l. Sprowisto di ricchezze, egli ha potuto lasciare istituzioni che costa-
tempi nuovi. Egli non fu di un'austerità scostante: «Il suo spirito esplodeva in
rono decine di milioni, spesi solo per beneficare, mentre i nemici di Dio li spendono
scherzi e in battute che rendono la storia della sua vita divertente ed edifican-
per distruggere*.
te». Attingendo sicuramente al d'Espiney e forse anche alla Storia dell'Oratorio
pubblicata in francese, i'articolista accennava alle battute scherzose che gli sa-
rebbero uscite dalle labbra quando, durante un catechismo, si ricevette una
schioppettata dail'esterno; rievocava la «missione misteriosa» che il cane gri-
Sullo stesso registro si esprimeva nel suo discorso di trigesima a Catania il
salesiano Don Francesco Piccollo esplicitamente riecheggiando anch'egli Don
Bosco y su obra di Marcelo Splnola:
gio svolse a tutela di Don Bosco; «se bisogna crederci, la leggenda si è impos-
«Vi dirò con un illustre prelato spagnuolo: il miracolo di Don Bosco è l'avere rea-
sessata di Don Bosco senza attenderne la morte»; nel nostro secolo scettico-
lizzato l'opera sua. Sì, miracolo è che un povero prete, senza influenze, senza denari,
proseguiva l'articolista - «le leggende fioriscono ancora, come ai tempi di S.
abbia lasciato nel mondo più di mille sacerdoti da lui formati, trecento e più mila gio-
Bruno e d j S. Antonio»; «Dieu merci! les ages se ressemblent plus qu'on ne
vanetti educati nelle sue scuole; centinaia di chiese, collegi, laboratorii, asili; eserciti di
pense, et le siècle d u curé d'Ars comme d e dom Bosco a d e quoi racheter ses
operai, che si guadagnano col sudore della fronte un pane onorato; una corona d'uo-
- , . ~ misères».
I n Italia e altrove non erano rari d i accostamenti a F i i i n ~ oNe~ri e a- Fran-~ ~~
cesco di Sales. A quest'ultimo si rifaceva <La settimana religiosa* di Genova
11 5 febbraio 1888 richiamando I'atrenzionc sulle virtù operose come meritevoli
della canonizzazione ufficiale da parte della Chiesa:
-
~
mini (e lasciate che io lo dica tutto ad onore dei miei superiori e confratelli), i quali
sono eminenti in tanti rami del sapere, nella storia, nella letteratura, nella fdosofia, nella
~teologia, nelle industrie, nelle arti [...l. Gran miracolo è che Don Bosco, umile figlio
del popolo, sia giunto ad essere il consultare ed il consigliere a prelati illustri d'Europa,
i quali andavano da lui a chiedere consigli e preghiere. Gran miracolo è veder Don Bo-
sco giungere a Parigi e commuovere q u d a moderna Babilonia, che solo trova tempo
«L'umanità ha perduto un uomo che nel nostro secolo rappresentava S. Francesco
di Sales. A quest'umile e pur tanto potente servo di Dio ogni cosa riesciva, poiché le
opere da lui intraprese furon benedette dal Cielo [...l. Don Bosco era uno di quegli es-
seri privilegiati che dal nulla fanno sorgere tutto; le difficoltà maggiori non solo s'ap-
pianavano, ma addirittura dileguavano come ostacoli di nebbia dinanzi alla sua ferma
volontà. Fede, carità, preghiera, azione e sacrifici, ecco i punti principali su cui basava
per il lucro e per gli spassi, fino a rendersi ristrette le vie per cui passava e a vedersi
insufficienti le chiese nelle quali si recava a chiedere la carità per i suoi orfanelli. Gran
miracolo infine, o signori, è che questo secolo XM, che disprezza il soprannaturale e
si burla della fede, abbia scosso il peso della materia che l'opprime, e innalzandosi dal
fango del sensualismo in cui giace come il cieco dell'Evangelo, sia andato incontro a
Don Bosco in persona de' suoi figli dicendogli: Credo, Domine, fac ur videam».l0
il suo apostolato quest'uomo venerando, meritevole dell'aureola dei santi*."
Pochi anni più tardi, nel 1895 neil'incontro annuale degli ex alievi presso
Dalla celebrazione delle virtù operose attestate dalla vita si ondeggiava e si
la tomba di Don Bosco a Valsalice, Don Giovanni Turchi ritesseva il tema del
slittava verso quella delle opere stesse, il cui sviluppo - si affermava - era
miracolo richiamando deil'oratorio le umili origini nella casa Pinardi a Val-
umanamente inspiegabile ed era un segno di quella «grazia abbondante» che
docco:
faceva di tutta la vita d i Don Bosco un «prodigio». Ad esprimersi in tal senso
con termini che riecheggiavano il Don Bosco y su obra dello Spinola era «L'U-
nità cattolica» il P febbraio 1888:
«Dica D. Rua stesso, dicano altri di quel tempo- parlo del '51 -[...l, e posso dirlo
io stesso che in quell'anno appunto ebbi la ventura di conoscere il mio grande com-
paesano: dicano essi, che fosse mai l'oratorio a quel tempo e che fosse ancor prima
«Èvoce che Don Bosco avesse il dono dei miracoli, e molti se ne raccontano di so-
damente provati; ma noi non vogliamo né asserire, né negare; giudicherà, se Dio vorrà,
la Chiesa. Ma è certo che miracolo grande e insigne fu ch'egli compisse tanto bene con
mezzi apparentemente deboli; che riuscisse, in un tempo di tanto egoismo, a scuotere
sì potentemente la pubblica carità; che in mezzo alla guerra ferocissima alle istituzioni
religiose e fra le rovine di tanti conventi, potesse fondare e propagare con incredibile
[...l. Chi [...l gli inizi deliOratorio paragoni col tempo presente, con questa stermina-
tezza di cose che è l'Istituto salesiano tutto insieme, messa su già da Don Bosco stesso,
troverà tali prove d'un intervento speciale della Provvidenza da convincerne le pietre.
E se questo si grande ed ammirabile e senza esempio e strepitoso incremento delle
Opere salesiane, awenuto per via d'uomo che non aveva a sé mezzi di sorta, non è mi-
racolo di per sé, che s'avrà mai a dir miracolo?»?'
rapidità in Italia, in Francia, in Ispagna, nelle Americhe e fui tra i selvaggi della Pata-
gonia, un nuovo ordine religioso, il quale ha raccolto copiosissimi manipoli nel campo
Dal richiamo dell'oratorio, piccola cosa alle origini, era facile il passo al-
Termini simili sono su «La Civiltà cattolica»39 (1888)I, p. 498: «Lamorte di Don Bosco,
avvenuta il 1 (ric)febbraioè un lutto per la Chiesa e per l'umanità.In pieno secolo XIX, in mezzo
aiie convulsioni dei popoli ed ai rivolgimenti politici, egli seppe con l'autorità deiia parola e del-
l'esempio suscitare una corrente mirabile di carita...».
38
Don Giovanni Bosm e In gioventù. Discorso funebre detto dal rac. Frnncesm Picmllo della
congregazione rnlesiana nei funerali celebr~til 31 gennaio 1889 nelh chiesa di S. Filippo Neri in
Catania, Torino, tip. Salesiana 1889, p. 19.
>' Nella XXVI annuale dimostrazione degli antichi allievi dell'Oratorio. Discorro del sac. pro6
Giovanni Turchi. 189.5, Torino, tip. Baravalle e Falconieri 1896, p. 17.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

3.3 Page 23

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l'accostamento con l'infanzia di Don Bosco, povero orfanello in una sperduta
borgata dei colli monferrini. Come per istinto, i salesiani rivivevano e riespri-
...
mevano quanto Don Bosco stesso aveva contribuito a fissare nei loro occhi e
a radicare neUa loro memoria conducendoli ragazzi in epiche passeggiate per
il Monferrato con tappa alla casa dei Becchi; e poi descrivendo egli stesso la
propria infanzia nelle Memorie delZ'Oratorzo, lo scritto che finì per essere la
base narrativa di ogni ricostruzione biografica su Don Bosco.
Di conseguenza accanto ai luoghi sacri di Valdocco e di Valsalice in quegli
anni andò acquistando gran rilievo la casetta dell'infanzia ai Becchi e il co-
mune originario di Castelnuovo d'Asti.
Nel 1896, decennde della morte, si accavallarono due iniziative. La prima,
lanciata dal giornale torinese «Italia reale - Corriere Nazionale» e dal suo di-
rettore awocato Stefano Scala, mirava a sistemare con più solennità le spoglie
di Don Bosco. A tale scopo fu proposta l'erezione di una chiesa entro il col-
legio di Valsalice, sede ormai anche del «Seminario delle missioni salesiane».
La seconda mirava all'erezione di un monumento a Castelnuovo presso la
chiesa parrocchiale. Promotore di questa iniziativa fu monsignor Giambattista
Rossi, vescovo di Pinerolo, amico e sostenitore di Don Bosco, già parroco di
Castelnuovo per circa venticinque anni."
i
Dalla proposta dell'awocato Sala si passò alla fase esecutiva con l'istitu-
zione di un «Comitato generale promotore dell'omaggio internazionale all'o-
pera di Don Bosco nel decimo anniversario della morte». Il comitato deliberò
che l'erigenda chiesa sarebbe stata dedicata a S. Francesco di Sales. Intanto
quell'anno, ormai in clima di maggiore avvicinamento tra schieramenti politici
liberali e cattolici, il municipio di Torino mise a disposizione, per la celebra-
zione del decennde della morte di Don Bosco, una sala apposita dell'accade-
mia musicale «Stefano Tempia». I1 discorso ufficiale fu tenuto dal marchese
Filippo Crispolti, una personalità emergente del movimento cattolico, tenden-
zialmente moderato e conservatore. Un contributo sostanzioso per la costru-
zione deUa chiesa venne dalla Francia. Da Parigi il «Comité National Fran-
cais» e la «Corporation des publicistes chrétiensw inviarono una circolare a
ben 870 quotidiani e periodici, nella quale richiamavano l'attenzione sugli or-
fanotrofi aperti da Don Bosco sul suolo francese e sollecitavano il patriottismo
ricordando Francesco di Sales «ce génie si francais et si populaire», patrono
sia dei salesiani di Don Bosco che della stampa cattolica." La chiesetta di Val-
salice fu consacrata dall'arcivescovo cardinale Agostino Richelmy il 12 aprile
1901. All'inaugurazione furono presenti vari membri di casa Savoia: Elena du-
chessa d'Aosta, Isabella duchessa di Genova, Lcetitia Savoia Bonaparte ch'era
anche presidentessa delle dame patronesse dell'opera salesiana. Sotto il profilo
" S d e due iniziative d E. C m , Annali dei& soczetd ralerinna, Vol. 11: Ii rettorato di Don
Michele Rua, Parte I : Dai 1888 ai 1898, Torino, SEI 1943, p. 715-731.
" il testo della circolare (Paris, le 18 juiiiet 1898) è sui rBdetin salésienn 20 (juiiiet 1898)
p. 170.
politico la presenza di membri deUa casa reale indicava la tendenza d d a mo-
narchia a intervenire nel paese e non lasciarsi emarginare in tempi in cui la
crisi economica e l'avanzata del socialismo sembravano provocare temibili ten-
sioni?'
Non minore rilievo ebbero le celebrazioni di Castelnuovo e dei Becchi."
La domenica 18 settembre 1898 per l'inaugurazione del monumento a Don
Bosco erano presenti a Castelnuovo, oltre che Don Rua e uno stuolo di sale-
siani, l'arcivescovo di Torino Richelmy, i vescovi di Alba e d'Ivrea, mons. Ber-
tagna ausiliare di Torino; i salesiani mons. Cagliero e mons. Costamagna, en-
trambi vescovi missionari; tra le autorità civili si distingueva Tommaso V i a ,
deputato al parlamento e presidente a Torino dell'Esposizione nazionale per
il cinquantesimo anniversario della prima guerra d'indipendenza. Oratore uf-
ficiale fu l'awocato Scala. Erano presenti rappresentanti di numerosi giornali
cattolici: «Italia Reale - Corriere nazionale», «Democrazia cristiana» di Tori-
no; «I1 Berico» di Vicenza; «Verona fedele»; «L'Osservatore cattolico» di Mi-
lano; «II Popolo cattolico» e «La Lega lombarda», anch'essi di Milano; «I1
Popolo della domenica* di Lugano; «La Voce del popolo» di Locarno. Man-
darono la loro adesione personalità eminenti dell'episcopato e del collegio car-
dinalizio: il cardinale segretario di Stato, Rampolla del Tindaro; il cardinale
protettore dei salesiani, Lucido Maria Parocchi; l'arcivescovo di Milano, card.
Ferrari; il patriarca di Venezia, card. Sarto; l'arcivescovo di Napoli, card. Pri-
sco; l'arcivescovo di Capua, card. Capecelatro; il card. Logue, arcivescovo di
Armagh e primate d'Irlanda; i uescovi di Wterford e Cork (Irlanda), di B h
mingham (Inghilterra), di Coira (Svizzera); il duca di Norfolk; i sindaci di Fi-
renze, Genova e Asti; il prefetto di Alessandria; il presidente deli'opera dei
congressi cattolici, conte Paganuzzi. La statua, opera dello scultore Antonio
Stuardi, raffigurava emblematicamente il momento che la congregazione sale-
siana stava attraversando con lo sviluppo delle opere educative giovanili e deUe
missioni fra le tribù primitive d'America. Don Bosco era rappresentato eretto
nella persona con a fianco da un lato un ragazzo dai lineamenti europei in
abito civile, dall'altro un giovane indio della Patagonia, in ginocchio, ricoperto
di una peUe di guanaco, nell'atto di baciare chino la mano di Don Bosco.16
Il giorno successivo, 19 settembre, il corteo dei partecipanti si trasferi aila
frazione dei Becchi. Qui, presenti tutti i vescovi ch'erano intervenuti a Castel-
nuovo, fu celebrata la messa solenne da tre sacerdoti salesiani missionari in
America, Asia e Africa; cerimoniere era un sacerdote salesiano europeo. Nel-
l'animo dei partecipanti si alimentava cosi il sentimento del miracolo: per gra-
zia di Dio l'opera di Don Bosco, partita da quell'umile accolta di casolari, si
era diffusa ormai in quattro continenti. Si cantò la messa da requiem; ma si
'' .Bollettino salesiano» 25 (maggio 1901) p. 128a-h.
" «Bollettino salesiano» 22 (ottobre 1898) p. 252-261.
il «Bollettino salesianon cit. pubblica la riproduzione fotografica del monumento (p. 254)
e la foto d d o scultore Stuardi (p. 259).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

3.4 Page 24

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sapeva che l'anno precedente era stato concluso il processo informativo dio-
cesano per la beatificazione e che il 16 settembre 1897 a Roma era awenuta
l'apertura ufficiale degli atti trasmessi da Torino.
L'attenzione di tutti andava però a quella casetta che si trovava descritta
da Don Bosco stesso nelle inedite Memorie dell'Oratovio e che Don Rua,
mons. Cagliero, mons. Costamagna e altri salesiani della prima ora avevano vi-
sto abitata dai nipoti del loro venerato padre. Il «Bollettino» la descriveva nel
numero di ottobre di queil'anno:
«La casetta ove nacque Don Bosco si conserva con pio pensiero n d a sua umile e
rozza forma, e vi si mostrano i travi che sorreggevano l'impalcatura deUa stanzuccia,
ove è nato l'ammirabile sacerdote che ha riempito il mondo del suo nome venerato e
caro>>?'
In realtà quella non era stata la casetta nativa, bensì quella dove Giovan-
nino Bosco trascorse la prima infanzia, e dove stette fino a quando andò gar-
zoncello alla cascina Moglia e poi studente a Castelnuovo e a Chieri. La me-
moria di Don Bosco e quella deUa gente del posto non aveva aiutato i salesiani
a stabilire con esattezza la successione dei fatti e lo stato delle cose. Giovanni
!
l
Melchiorre Bosco era nato in realtà nella cascina Biglione, poco distante dalla
i
casetta, ch'era stata adibita ad abitazione solo dopo la morte del padre nel
1817. La stanza dove erano nati i nipoti, nella casetta dei Becchi, finì per es-
sere considerata quella stessa nella quale era nato colui che prowidenzial-
mente era destinato a essere il divinizzatore del secolo. La leggenda si conso-
i
lidava e veniva ormai ufficializzata nel 1898. L'avrebbero accolta e illustrata i
maggiori biografi e divulgatori: da Don Lemoyne a Don Ceria, da Huysmans
a Joergensen, a Crispolti, al Salotti, a Hugo Wast, Augustin Auffray... Solo at-
torno al 1950 fu dato corpo ai dubbi e alle voci mai sopite dei nipoti di Don
Bosco e fu possibile ristabilire i fatti nella loro e~attezza.'~
Non fu i'unica leggenda posta ailora in circolazione. Altre intanto, narrate
oralmente nella cerchia dei salesiani e dei loro ammiratori, finirono per diven-
tare la «lectio recepia» dei fatti vissuti da Don Bosco. Come abbiamo già ri-
cordato, in più di una occasione si osannò a Don Bosco, primo a fare contratti
di lavoro per giovani apprendisti, primo a tenere scuole serali per adulti e a
insegnare il sistema metrico decimale, iniziatore a Torino degli oratori per la
gioventù abbandonata. Neil'ambito salesiano Bartolomeo Garelli, «primo gio-
" «Bollettino salesianon cit., p. 256. U «Boliettino salesiano*16 (agosto 1892),p. 150, dava
della «casa ove nacque Don Bosco* una riproduzione da una fotografia di Deasti, antico allievo
deli'Oratorio di Vaidocco. Su Carlo Felice Deasti, autore deUe foto di Don Bosco sul letto di
mane e delia salma esposta n d a chiesa di S. Francesco di Sales il 1 febbraio 1888, d Giuseppe
SOLDAD, on Bosco nelh?fotografia deli'800: 1861-1888..., Torino, SEI 1987, p. 202-213;273-276.
" Cf. Secondo CASELLE, Cascinali e contadini in Monferrato. I Bosco di Chieri nel semlo
XVIII, Roma, LAS 1975, p. 30-39; P. STELVL,Don Bosco nella stona economica e sociale (1815-
1870), Roma, LAS 1980, p. 14s.
vane» che accettò la catechesi di Don Bosco, sarebbe stato assunto a simbolo
di un inizio epico, così come Giambattista Perasso detto il Balia, l'oscuro ra-
gazzo che venne idealizzato a simbolo delle guerre d'indipendenza nazionale
e dell'insurrezione popolare contro «l'oppressore straniero».
Trigesima, anniversari e ricorrenze decennali erano appena l'awio di
quanto si andava snodando. Si ebbero congressi e celebrazioni per il cinquan-
tesimo del primo catechismo-oratorio nel 1891 e poi per il sessantesimo nel
1901; al primo convegno internazionale dei cooperatori tenuto a Bologna nel
1895, altri ne seguirono a Buenos Aues (1897) e a Torino (1903); nel settan-
tesimo del primo oratorio (1911)si tenne il primo convegno internazionale de-
gli ex allievi. In queil'occasione si fecero voti di un monumento a Don Bosco
da erigere nella piazza di Maria Ausiliatrice davanti al santuario e all'ingresso
dell'oratorio. Si predisposero festeggiamenti per il centenario della nascita di
Don Bosco nel 1915 in parallelo e a confronto con il centenario della morte
di Napoleone Bonaparte. I1 conflitto mondiale però pose in primo piano ben
altri problemi agli stessi salesiani nei paesi belligeranti e in quelli neutrali.
Le celebrazioni s'intrecciavano con certe movenze culturali di allora. I sa-
lesiani sotto questo aspetto fecero loro proprio un modo di agire che stava or-
mai caratterizzando la cultura occidentale. In Europa e in America non erano
più solo le confessioni cristiane a intessere il loro anno liturgico con la com-
memorazione dei misteri di Cristo; né erano soltanto gli almanacchi popolari
a frammischiare le previsioni più varie delle condizioni meteorologiche o di al-
tro con il ricordo calendariale di fatti che più colpivano la fantasia. L'800 dava
l'awio all'uso sempre maggiore delle celebrazioni ricorrenti: centenari, cin-
quantenari, decennali, millenni erano occasione in Europa e in America per
organizzare convegni, stampare libri, costruire monumenti: nel centenario
della rivolta di Lutero o dell'indipendenza americana, in quello della rivolu-
zione francese o della scoperta dell'America, commemorando la nascita di
Shakespeare e di Milton owero la morte di Giordano Bruno e di Napoleone.
Le ricorrenze entravano ormai nella cultura come strumenti di mobilitazione
verso precisi scopi sociali e politici di categorie particolari o delle masse.
5. Controimmagini e repliche
Le celebrazioni alla morte e il susseguirsi di ricorrenze ebbero come effetto
in varie aree deil'opinione pubblica il radicarsi dell'immagine positiva di cui
erano convinti assenori i salesiani. Tuttavia le riserve e le critiche, che nei con-
fronti di Don Bosco erano state espresse in passato a Torino e altrove, furono
tutt'altro che smontate e sradicate. Non si trattava solo di voci ostili e critiche
deil'anticlericalismo spinto, bensì anche di espressioni moderate del mondo
laico. A prendere atto della coesistenza di un duplice giudizio, positivo e ne-
gativo, fu tra l'altro la «Gazzetta piemontese», un giornale liberale di Torino,
in occasione della morte di Don Bosco:
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

3.5 Page 25

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«I1 nome di Don Bosco è quello di un uomo superiore che lascia e suscita dietro
di sé un vivo contrasto di apprezzamenti e opposti giudizi e quasi due opposte fame:
quello di benefattore insigne, geniale, e quello di prete aweduto e proca~ciante».'~
Il giornale era incline a condividere questa seconda interpretazione della fi-
gura di Don Bosco; non tanto per le idee politiche che gli venivano attribuite,
e nemmeno per le finalità perseguite, i risultati raggiunti, la tenacia dimostrata
neil'intera vita; quanto piuttosto per i mezzi adoperati e i modi dimostrati, che
parevano provenire da una sona di macchiavellismo:
«La vita di Don Bosco è stata una vita di lotta tenace, e gli va perdonato se per lot-
tare non sempre poté lottare con armi leali, se non sempre la vittoria poté essere da lui
conseguita in aperto campo invece che per nascoste vie, se qualche volta quella Divina
Prowidenza, che altri volle venisse sempre in aiuto al suo buon volere, fu da lui, più
che implorata, costretta a servirlo...».
Fu dunque Don Bosco un grande, un gigante? C'erano in lui «colpe» da
perdonare owero forse solo piccole ombre s d e quali sarebbe stato meschino
soffermarsi?
Anche ail'interno del mondo ecclesiastico circolavano critiche più o meno
sommesse nei confronti dei salesiani e del loro fondatore. Talora queste giun-
gevano a essere formulate per iscritto in documenti riservati aUa S. Sede, a cu-
rie generalizie di ordini religiosi e a curie vescovili; quasi mai era possibile co-
glierne tracce in documenti resi pubblici attraverso la stampa. Non si trattava
di censura ecclesiastica, ma di autocontrollo che la coscienza cattolica di allora
tendeva a usare per non offrire armi agli awersari, proprio in tempi d i pesante
anticlericalismo. Ordini religiosi, come i francescani e i lazzaristi, lamentavano,
ad esempio, che i salesiani parlavano delle loro proprie imprese fra gl'indios
della Patagonia e deiia Terra del Fuoco come se nessun altro prima avesse
fatto niente. Quest'autoglorificazione selettiva e semplificatrice veniva deplo-
rata in lettere e memoriali che i religiosi non salesiani inviavano darArgentina
confidenzialmente ai propri superiori o anche aiia congregazione romana d i
Propaganda fide.60Non ci si spingeva a indagare su uno stile di presentazione
e di propaganda che i salesiani avevano assorbito in Piemonte da quello gior-
nalistico popolare e che avevano visto posto in pratica dal loro stesso fon-
datore.
Anche in Italia il comportamento salesiano e il ricordo d i Don Bosco dava
adito a riserve ch'erano percepibiii, ad esempio, nelle repliche fatte nel 1895
da Don Giovanni Turchi in un discorsetto tenuto nell'incontro degli ex aiiievi
a Valsalice.
" «Gazzetta Piemontesea, Torino, 31 gennaio - l febbraio 1888; cf. TUMNETTLI',immagine
di Don Bosm nel& stampa torinese, p. 234.
" La documentazione esistente presso la S.C. di Propaganda fide è stata in parte utilizzata
da Cayetano BRUNO, hsalesianos y h hcas de Maria Auxiliadora en la Argentina..., vol. I , Bue-
nos Aires, Inst. salesiano de anes graficas 1981.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
«Dicono alcuni - asseriva Don Turchi - che Don Bosco era abilissimo in racco-
gliere danari e che aveva il donum petitioni~.Verissimo: e ciò gli torna a lode. Ma oh!
quanti vorrebbero, sia pure per far del bene, avere una tale abiità e un tal dono, e non
ci riescono; Dio la diede a lui, che la usò a far del bene. Vorrebbero dunque incolpar
la Prowidenza che diede troppo a lui e troppo poco ad essi? Senza danari non si fa
nulla o ben poco: ex nihilo nihil; anche i santi ebbero bisogno di danaro. E i danari
alla fin dei conti Don Bosco né se li mangiava, né li adoperava a procurarsi comodità
o spassi; il che vale pure pei suoi figli [...l.Se Don Bosco arrivò a disporre di tanti mez-
zi, che vuol egli dire? - Vuol dire che la stima e la fama di cui meritamente godeva,
han prodotto quella meraviglia d'uomo che, povero quale si poteva dire, giunse a far
cose pel bene altrui, specie della povera gioventù; e ciò gli torna a lode ed ammirazio-
ne»?'
~ u r c hpiassava a parlare della «réclame», un'altra critica che con insistenza
si faceva a Don Bosco e ai suoi figli un po' dovunque:
«Si suona, sentii due, si suona troppo la tromba. - Ossenro che ci ha di quelli che
senza aver fatto un millesimo di quel bene che ha fatto Don Bosco e che i salesiani fan-
no, sarebbero disposti a sonar la tromba magari a dieci doppi, e a giudicarne da certi
saggi, pare lo farebbero di buona voglia, se avessero fiato sufficiente. Del resto, questa
tromba che a taluno può urtare gli orecchi, a quanti e quanti invece torna essa grata,
e quanto bene essa fa. È questione di gusto e di disposizione di animo. Del resto an-
cora, tromba o non tromba, fatto sta che "a tempi nuovi cose nuove". Mutati i tempi,
mutate le abitudini; quel che una volta si teneva celato, vediamo ora propalato ai quat-
tro venti e se un uomo d'importanza starnuti o faccia altro di consimiie, tutto il mondo
ha a saperlo. Ed ora il mondo è quale è, e non quale era una volta. Quindi la tromba
è pur necessaria, come è necessità la gazzetta che ci dice... che ci dice alle volte un bel
niente. La réclame, mi diceva già un signore nobile, saggio e stimatissimo, ci vuole og-
gidi in tutto, anche per fare il bene; e Viva Don Bosco! dicevamo ancora, che ha il
"Bollettino".- Dunque un po' di tolleranza anche per la tromba o réclame: un po' di
quella tolleranza, che fa che n& s'abbia a dire se i salesiani, oltre a faticare e sudare
nei proprii uffici, da buoni seguaci del loro fondatore, mai non si rifiutino, se richiesti
e potendo, di portar aiuto nei vari ministeri al clero delle varie diocesi ove si trovano*?'
Su tale argomento tornava Fiiippo Crispolti nel discorso che tenne a To-
rino per il decennale della morte di Don Bosco, ribaltando anch'egli la critica
negativa in lode di Don Bosco e dei salesiani:
«Che se agli uomini della pubblicità rimordesse a volte quel far fracasso che è in-
separabile al loro ufficio, se essi si lasciassero sgomentare dall'imperfetta massima di
Madama Swetchiie: "Il bene non fa rumore, e ciò che fa rumore non è un bene", essi
potrebbero tranquillizzarsi nell'esempio di Don Bosco, che a seconda d d e circostanze
operò in silenzio e con strepito, che non temette unire alla tranquilla e diretta opera
personale l'opera pubblica e fragorosa della stampa; I...] innovò cosi quella perpetua
TURCHI, Nel& XXVI annuale dimostrar;one..., p. 42s.
LI TURCHI, Nello XXVI annuale dimostrazione..., p. 44.

3.6 Page 26

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tradizione della Chiesa, per cui l'agire celatamente o in pubblico [...l tutto ha il suo
tempo, tutto è secondo le vie di Dio».63
Apprezzamenti negativi radicali contro Don Bosco e i suoi figli stavano pur
sempre nell'animo di quegli ecclesiastici della diocesi torinese ch'erano stati al
fianco di mons. Gastaldi negli anni del conflitto con Don Bosco. Tra questi i
più in vista rimanevano i canonici Tommaso Chiuso ed Emanuele Colomiatti.
I1 primo, a distanza di anni, ormai respirandosi altro clima nella curia ar-
civescovile, pur conservando gelosamente le carte che possedeva su quella ver-
tenza, aveva preferito smorzare i toni, attenuare le critiche, manifestare ap-
prezzamenti positivi su Don Bosco, dedicare soprattutto il suo tempo a fatiche
erudite, come la monumentale e informata Storia della Chiesa in Piemonte, in
cui è reperibile anche una presentazione elogiativa di Don Bosco e delle sue
istit~zioni.~
Emanuele Colomiatti coltivava la persuasione che in Don Bosco l'abilità
era sconfinata neUa disinvoltura; l'accortezza si era rivelata non neiia virtù
della prudenza, ma nella doppiezza, neli'insinuazione, nel doppio gioco, nel-
l'appoggio nascosto a chi colpiva sotto il velo deli'anonimato il proprio supe-
riore ecclesiastico. Don Bosco, secondo il Colomiatti, insinuando il miracolo
aveva scaltramente sfruttato il senso di bisogno spirituale e materiale della
gente allo scopo di far sborsare soldi a proprio vantaggio. Sperimentato co-
m'era in fatto di procedure giuridiche, il Colomiatti avrebbe studiato - come
più avanti vedremo - le vie più appropriate per interferire sul processo di
beatificazione neli'intento di farlo arenare.
Critiche più generali e indirette venivano avanzate nell'ambito delle istanze
del movimento modernista sia teologico che sociale e politico. Libri, come la
Crisi del clero di Albert Houtin o Battaglie d'oggi di Romolo Murri, servivano
a dare espressione ali'inquietudine serpeggiante in certe aree del mondo cat-
tolico; in particolare alimentavano l'insofferenza di professori di teologia e
chierici seminaristi più sensibili d e istanze di chi voleva un clero più idoneo
ai tempi moderni.61Ai salesiani, e indirettamente al loro fondatore, si poteva
estendere l'appunto di un'operosità febbrile e di una certa estraneità a scienze
che potevano essere utilmente applicate d'esperienza cristiana: la filologia e
la storia dei dogmi, la psicologia e la politica erano in effetti campi nei quali
i salesiani, tra fine '800 e primo '900, erano quasi del tutto estranei. Dei sa-
lesiani il clero modernista poteva condividere alcune caratteristiche poste in
luce, ad esempio, da mons. Spinola, ma il loro dinamismo, non sorretto da una
visione sociale scientificamente elaborata, poteva forse ben presto afflosciarsi.
Gli oratori giovanili e i collegi rischiavano di apparire il luogo di una forma-
" Cf. «Bollettino salesiano* 22 (marzo 1898) p. 6Zs,
" Tommaso C ~ S OSt,oria della Chiesa in Piemonte dal 1797
1892, p. 29s.
" Cf. Maurilio Gu~scoF, ermenti nei seminari delprimo ,900, ~
m, nort,.i gjomi,,,
~~h~
~~ d~ . l ~1~9,~. h~
zione precaria e superficiale, dove i salesiani, suiia scia del loro fondatore e
come gran parte del clero d'Italia, non potevano che mettere a frutto studi
astratti di una neoscolastica elementare appresa a livello seminaristico, con il
correttivo non soddisfacente di una pietà sentimentale e devozionistica.
6. Nazionalismo e universalismo:
immagini agiografiche tra fine '800 e primo '900
Tra fine '800 e primo '900 si sviluppava intanto nelle varie nazioni il gioco
tra istanze universalistiche e accenti nazionalistici anche in materia religiosa.
Dalle tendenze alle Chiese nazionali si passava ormai alle venature patriottiche
entro le comunità cristiane dei vari Stati. L'agiografia e la santità ne vennero
pertanto anch'esse impregnate.
I1 curato d'Ars, ad esempio, il cui processo di canonizzazione procedeva in
modo promettente, era sentito come un dono che Dio aveva fatto alla Francia
perché questa lo donasse alla Chiesa; altrettanto si diceva di santi già canoniz-
zati, frutto della terra di Spagna o di quella d'Italia: Teresa d'Avila, Ignazio di
Loyola, Giovanni della Croce, Francesco Saverio, Francesco d'Assisi, Filippo
Neri...
Le modulazioni patriottiche portavano a proporre modelli che si affianca-
vano ai tradizionali santi patroni di città o di borgate e ai santi taumaturghi
invocati per i bisogni più vari. Ciò aweniva in genere senza conflitti. I santi
nazionali non soppiantavano traumaticamente i santi popolari di un tempo;
ma si attivava un processo di trasformazione generale delle consuetudini e at-
titudini collettive. Interventi deiia gerarchia tendevano in genere a radicare
istanze universalistiche: S. Giuseppe era proposto come patrono della Chiesa
universale o dei lavoratori cristiani; S. Francesco di Sales era proclamato pa-
trono della stampa; Alfonso de' Liguori, maestro dei moralisti e dottore della
Chiesa universale."
In questo amalgama di vecchio e di nuovo il papa, i vescovi, le élites colte
deUa Chiesa intervenivano ora assecondando ora ridimensionando le venature
nazionalistiche nel culto dei santi e neiie divulgazioni agiografiche.
L'Almanach catholique francaiz del 1920 a proposito dei processi di beati-
ficazione e canonizzazione di semi di Dio francesi presagiva anni particolar-
mente fecondi «per la gloria della Chiesa di Francia»:
«Felice coincidenza, nella quale noi ci compiaciamo di scoprire come una benedi-
zione del Cielo: nel tempo stesso in cui i nostri valorosi soldati sui campi di battaglia
mietevano per la patria messi di ricchezza, di onore e di gloria, altri francesi e altre fran-
S. Giuseppe hi dichiarato patrono deiia Chiesa universale da Pio M 1'8 dicembre 1870;
S. ,qfonsdaot,tore deila Chiesa il 23 marzo 1871 (con grandi proteste di Dollinger e dei Vecchi
cattolicSi). ;F~~~~~~~d~i Sales, dottore deila Chiesa il 16 novembre 1877, patrono dei giornalisti
~~
~ ~ e scr,ittoiri cattolic~i il 26 gen~naio 1923~(enciclica Remm omnium).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

3.7 Page 27

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cesi, nostri eroi del Cielo, che da vivi furono validi patrioti e cristiani esemplari, rice-
vevano nel seno della Chiesa trionfante i supremi omaggi della Chiesa militante. Cite-
remo semplicemente, tra molti altri santi personaggi, Margherita Maria Alacoque, Luisa
de MariUac che sarà presto beatificata, Guglielmo Giuseppe Chaminade e il padre Gia-
como Desiderio Laval~.~?
L'Almanach proseguiva riferendo le parole che Benedetto XV pronunziò
in francese il 6 aprile 1919 dopo che fu letto il decreto che approvava i due
miracoli richiesti per procedere aila canonizzazione di Giovanna d'Arco:
«Nous trouvons si juste que le souvenir de Jeame d'Arc enfìamme l'amour des
frangais pour leur patrie que nous regrettons de n'etre fran~aisque par le coeur. Mais
la sincérité avec laquelle nous sommes frangais de coeur est telle, qu'en ce jour, nous
faisons notre la joie ressentie par les frangais de naissance, en constatant le grand pro-
grès que la cause de Jeanne d'Arc a fait aujourd'hui, grace à I'approbation des deux
miracles dus à son intercession»."
Riandando ai preludi di Don Bosco e dei suoi primi figli spirituali non bi-
sogna attendersi accenti di patriottismo dal timbro politico.69La «patria» per
Don Bosco era anzitutto la terra dei Becchi. Estraneo o istintivamente rimosso
era in lui il senso di nazione, quale era stato promosso daiia rivoluzione fran-
cese. La lingua da lui parlata era abitualmente il piemontese in uso a Torino;
la lingua scritta era però un italiano di facile comprensione per chiunque e
ch'era di sufficiente correttezza formale anche già negli scritti che precedettero
la stesura della sua Storia d'Italia (1855). Pur avendo scritto appunto una Sto-
ria d'Italia, era ben lontano dal considerare come un disegno della Prowi-
denza la fine del potere temporale dei papi. Fu la successione irreversibile dei
fatti che lo portò a sentirsi nell'Italia politicamente d ~ c a t ea a considerarsi
perciò suddito del regno con diritti e doveri. Ma appena poco dopo la breccia
di Porta Pia cominciò l'espansione dei salesiani in Europa e in America Latina.
I1senso della patria divenne più vivo in Don Bosco e nei suoi figli; ma più viva
ancora fu la coscienza della propria vocazione per i giovani di qualsiasi parte
del mondo e deli'istruzione religiosa da mantenere o impiantare dovunque. I
sentimenti dei salesiani che partivano per le missioni d'America erano allora
un po' quelii dei missionari eroici, sul tipo di Francesco Saverio, proposti daiia
letteratura agiografica popolare; un po' erano quelii degli emigranti. L'Italia
era pur sempre la patria dove si era nati, ma che comunque si era disposti ad
abbandonare anche definitivamente. A commento della «partenza dei missio-
nari salesiani per le missioni australi» il «Bollettino» del febbraio 1878 pub-
blicava, ad esempio, questi versi:
" Alrnanach catholiquefian~aispour 1920..., Paris, Bloud et Gay 1920, p. 231.
" Almanach catholique..., p. 232.
" Cf. su questo tema P. STELLiAa, canonizzozione diDon Bosm trafascirmo e universalismo,
in: TRANIELU(a>cura), Don Bosm nello storia dello nrltura popolare, p. 363s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Oh le virtudi di codesti eroi
Deh, canta Italia! Di nessun più sono
Sono di Dio, che li ha chiamati suoi?'
Espressioni del genere si raccordavano nella sostanza con quelle usate da
mons. Spinola nel suo opuscolo a proposito deli'opera salesiana e di Don Bo-
sco:
«L'opera salesiana, benché nata in Italia e composta principalmente da figli di
quella terra graziosa, non è un'istituzione italiana propriamente detta; è un'istituzione
cattolica. Quello che Don Bosco ha creato, non lo ha creato solo per i suoi compatriot-
ti, ma per il mondo intero. Lo zelo di quell'uomo di Dio, trovandosi come stretto e op-
presso entro i limiti di un popolo solo, ha oltrepassato i monti, ha attraversato i mari,
è giunto agli estremi confini del globo, e oggi Don Bosco ha case in tutte le regioni d'I-
talia, in vari punti della Francia, in Spagna, ecc.»."
Negli ultimi lustri dell'800 anche il movimento cattolico in Italia tendeva
ad appropriarsi di temi nazionalistici. Non sorprende perciò se anche in di-
scorsi tenuti in morte di Don Bosco si trovino spunti in tal senso. Monsignor
Tommaso Reggio, ad esempio, vescovo di Ventimiglia, apostrofava l'America
stabilendo un parallelo tra Colombo e Don Bosco, i «barbari» colonizzatori
spagnoli e i discepoli del prete piemontese:
«Oh! America, terra aperta alle conquiste del genio italiano, e vergine ancora in
tante immense tue regioni all'insegnamento della fede, apri le tue spiagge ai novelli apo-
stoli. Colombo ti diè al mondo civile, l'apostolo della gioventù pensa rigenerarti nella
conoscenza del vero Dio [...l. Felice la prora che recherà gli inviati da Don Bosco! [...l
Più felice la terra, che accoglierà gli apostoli della fede e della vera civiltà! Lor meta
è la repubblica Argentina, l'Uruguay, la Patagonia. Quest'ultima sta specialmente in
cuore a Don Bosco. Terra inospitale e restia alle attrattive della civiltà e della fede,
serba odio secolare ai bianchi invasori, sia per la natura di quella gente dura e cmdeie
quanto tarchiata e robusta, sia pei dolorosi ricordi del Mendoza, il Cortez dell'herica
meridionale. Non temete, non temete: le tradizioni della barbarie spagnuola non sono
la scuola del prete torinese, che pose tanto amore alla gioventù [...l. Awezzi ad am-
mansare i piccoli nomadi delle città di Europa, sapranno eglino, colle arti apprese lor
dal maestro, ammansare e convertire le nomadi tribù della Patag~nia».'~
- 'O «Bollettino salesianou 2 (febbraio 1878) p. 8.
" SPiNOLA, Don Bosm y su obra, p: 65s. Con più efficaciascriveva Du Bo~sD, om Bosco...,
p. 315s: &est, dit-on, une oeuvre italtenne t...]. Remarquons d'abord qu'elle est dédiée à saint
Frangois de Sales, qui était presque notre compatriote par sa langue comme par la tournure de
- son génie I...]. Au surplus, cette oeuvre n'est pas italienne, ni frangais: eiie'est cathoiique, d e est
universeiie. C'est une erande tentative de sauvetw-e D- OUI la société moderne...»; cf. trad. ital.,
p. 226.
" Nelle rolenni esequie di trigesima i" sujfragio del sacerdote D. Giovanni Borm fondatore dei
salesiani fatte per iniziatiun del r.mo capitolo nello cattedrnle di Ventimiglia il 1" mano 1888. Ora-
zione letta dal vesmvo mons. Tommaxo de' marchesi Reggio, S. Pier d'Arena, tip. e iibr. Salesiana
1888, p. 20s.

3.8 Page 28

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Accenti patriottici e venature nazionalistiche erano pure nel discorso d'ad-
dio ai missionari salesiani tenuto da mons. Davide Riccardi, arcivescovo di To-
rino, e riferito dal «Bollettino salesiano» italiano del gennaio 1894. «Partite
dunque», esclamava l'arcivescovo; e proseguiva instaurando un parallelo tra i
missionari in partenza e l'emigrazione di massa che in quegli anni costituiva in
Italia un problema scottante:
«I poveri nostri connazionali emigranti ci destano compassione: essi partono per
forza, partono per trovare pane e tetto, partono col cuore oppresso dall'angoscia, dal
dolore [...l. Questi figli poverelli che emigrano andranno a parlare della miseria e della
povertà della patria nostra: essi non ci faranno certamente onore.
Voi invece andate a dir a tutti che nell'Italia v'è il papa, padre di tutti i credenti;
direte che neli'Italia v'è la fede, che neli'Italia, a Torino, vi sono i figli di Don Bosco;
direte che nell'Italia vi hanno degli eroi che tutto sacrificano per arrecare a quei popoli
il Vangelo di Gesù Cristo. Per voi benedetto risuonerà in quelle lontane regioni il nome
di Roma, il nome d'Italia. Voi, annunziando la fede di Gesù Cristo, ci restituirete in
faccia a quei popoli l'onore che altri nostri connazionali ci tolgono»."
Nel dicembre del 1907 il «Bollettino» riportava dal giornale torinese «I1
Momento» brani salienti di un articolo scritto da Filippo Crispolti in occa-
sione del decreto di venerabilità di Don Bosco. I n termini abbastanza esteriori
e astratti il Crispolti coniugava il tema di Don Bosco, santo piemontese, con
quello della santità «italiana» e «romana» irradiata nel mondo:
«Fino a lui l'opera religiosa del Piemonte aveva acquistato efficacia mondiale per
alcuni scritti, non per azioni e ordinamenti. Erano nati sotto le Alpi i libri di S. An-
selmo e forse quello della Imitazione di Cristo. Ma al di fuori di questa speciale pro-
paganda oltre i confini, pareva che l'impulso cristiano di Roma avesse speso la maggior
parte della sua efficacia a profondare sempre più nei limiti di questa regione la intensità
della cultura religiosa, e che non ne fosse restata abbastanza perché il Piemonte dive-
nisse un focolare di espansione sia su l'Italia che sul mondo.
L'universalità d'azione che ebbero S. Benedetto e Francesco, umbri; S. Filippo
Neri, i Sette Servi di Maria, S. Giovami Gualberto, il beato Tolomei, il beato Pietro,
il beato Colombini, toscani; S. Antonio Zaccaria, lombardo; S. Romualdo, romagnolo;
S. Gaetano Thiene e Giolamo Emiliani, veneti; S. Francesco da Paola e S. Monso de'
Liguori, S. Camillo de Lellis, i venerabili Carafa e Errico; del reame di Napoli; S. Sil-
vestro Gozzolini, marchigiano, un solo piemontese l'aveva avuta: S. Paolo della Croce,
ma nato anch'egli sui confmi liguri ed esposto perciò ad essere conteso da due regioni.
Don Bosco tolse ogni dubbio. Egli, piemontese di nascita, di dimora, d'indole,
come aveva scelto molteplici modi e scopi, cosi non volle limiti di territorio. I1 suo or-
ganismo salesiano, come tutti i maggiori Ordini e le congregazioni o istituti, si assegnò
per campo non pure il luogo ov'era sorto, ma l'Italia e il mondo, proponendosi cogli
oratori e le missioni di coadiuvare i'opera romana, dovunque arriva, ovunque spera di
'' <Bollettinosalesianon 18 (gennaio 1894) p. 11.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
arrivare il nome cristiano di Roma. Cosi nella storia delle dirette espansioni religiose
egli era e resta il maggiore dei piemontesi»."
La morte di Don Rua nel 1910 diede occasione per rinnovare il plauso a
Don Bosco, al suo successore e all'opera salesiana nel suo complesso, secondo
modulazioni ora patriottiche ora universalistiche. I1 «Bollettino» di lingua ita-
liana dava rilievo alla commemorazione ufficiale tenuta dal consiglio munici-
pale di Torino e agli interventi dei consiglieri professor Costanzo Rinaudo (ex
chierico salesiano) e marchese professor Alessandro Corsi. Rinaudo ricordava
«il senso di italianitàn che dominava nelle scuole di Don Bosco; Corsi ricor-
dava «con pari soddisfazione i 43 segretariati per emigranti che sotto il retto-
rato di Don Rua vennero fondati dai salesiani nei punti di approdo più affollati
di italiani, esuli volontari dalle terre nostre più avare»."
Nel 1913, in occasione del venticinquesirno della morte di Don Bosco, fu
dato ampio spazio alle commemorazioni più varie. I1 «Bollettino» italiano ri-
feriva lunghi brani di un discorso che a Borgomanero tenne I'arciprete di S.
Maurizio della Costa, Don Giovanni Caviglioli, alla presenza di mons. Giu-
seppe Gamba, allora vescovo di Novara. L'oratore instaurava un confronto
polemico fra le celebrazioni che si facevano a Rousseau persino in Italia e
quelle che a suo dire meritava Don Bosco:
«È appena affievolito il frastuono di omaggi che l'amo scorso accompagnò anche
in Italia la celebrazione bicentenaria di Giangiacomo Rousseau, truccato in sembianze
di un Galileo o di un Copernico della nuova pedagogia; ed il chiasso che si fece attorno
d a figura, più mostruosa che grande, del filosofo ginevrino fa pensare tristamente a
quanto possa ancora il partito preso e la leggenda sulio spirito critico e obbiettivo. Per-
ché a chi ha cercato di inscenare l'apoteosi di un uomo che non allevò mai nessuno ed
a cui anche gli ammiratori più fanatici avrebbero disconosciuta l'attitudine a dirigere
la scuola di un villaggio, poteva balenare un dubbio suli'utilità di accattare ciarpe stra-
niere, quando l'Italia ha le sue glorie.
Ove si fosse fatto un po' di Bame, la grande figura del prete torinese sarebbe bal-
zata al vivo come il tipo dell'educatore massimo che abbia avuto l'Italia. Se la caratte-
ristica e l'afflato del genio, come osservò Vincenzo Gioberti, è il creare, chi ha diritto
a questo appellativo più di Don Bosco? Egli non si esauri nei labirinti deli'astrazione,
ma architettò una grande mole, "la Pia Società Salesiana", e apri e fecondò i solchi di
un grandissimo vivaio di maestri. Onde Don Bosco è l'uomo rappresentativo di ciò che
può dare il genio italico in fatto di pedagogia; anzitutto per la scaturigine cristiana della
sua missione, e noi sappiamo che di cristianesimo sono intrise e impastate le nostre tra-
dizioni spirituali; e poi per la contemperanza tutta italiana fra idea e fatto, per quel
senso di misura che regolò anche i più arditi voli della mente sua cosi pervasa di ge-
nialità e di santità. E fu volere di Provvidenza che egli grandeggiasse sugli altri contem-
poranei suoi, che lasciarono traccia non cancellabile nel campo della pedagogia, e mi
'< «Bollettino salesianon 31 (dicembre 1907) p. 355.
" «Bollettino salesiano»34 (maggio 1910) p. 161.

3.9 Page 29

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gode i'animo di ricordare che costoro furono tutti preti, da Ferrante Aporti a Raffaello
Lambruschini, da Antonio Rosmini ali'abate Rayneri~.'~
Ragguagli di questo tipo, impregnati di enfatico nazionalismo cattolico e di
tardo giobertismo, non trovavano posto owiamente sul «Bollettino salesiano»
in altre iingue. I redattori delle singole edizioni, pur lavorando a Torino e pur
attingendo al «Bollettino» italiano, filtravano e attenuavano, scartavano o al-
meno spostavano accentuazioni in favore degli spunti universalistici ponendo
in evidenza piuttosto notizie che potevano blandire il patriottismo dei lettori
ai quali era destinato il foglio salesiano in altri paesi. Così il «Bollettino» in h-
gua spagnola nel numero del maggio 1911 informava che in Argentina, a Salta,
era stato iperto un oratorio festivo con classi d'istruzione per poveri e che colà
si preparava una scuola di ani e mestieri, tutta «con persona1 totalmente ar-
gentino, formado y educado en e1 Pafs»."
Nel mese successivo la stessa edizione spagnola dava spazio a un ampio
riassunto del discorso commemorativo tenuto a Bologna il 31 gennaio 1908,
suli'onda della recente dichiarazione della venerabilità di Don Bosco, dall'av-
vocato piemontese Saverio F i o . Stando ali'oratore, rispetto al Cottolengo, alla
Barolo, al Cafasso e ad altri conterranei, Don Bosco si poteva considerare il
più moderno, appunto perché quando in Piemonte si sussurrava appena il
nome d'Italia e allorché per i piemontesi i confini del Piemonte erano come
quelli del mondo, Don Bosco aveva orizzonti ben più vasti: «Senifase e1 rapre-
sentante de la Iglesia cat6lica en e1siglo de las mhquinas y de la expansi6n~.'~
La prima grande guerra forni ulteriori argomenti per rimeditare il ruolo
che Don Bosco aveva svolto non soltanto in Piemonte e in Italia, né solo in
1
rapporto a quello che l'Italia svolgeva nel mondo. In tal senso si ebbero arti- I
coli in occasione del centenario della nascita di Don Bosco, ormai in pieno
conflitto mondiale, su «La Scuola cattolica» di Milano, su «La Civiltà catto-
lica» e su altri fogli confessionali. I1 periodico milanese analizzava il sistema
j
educativo di cui Don Bosco era stato amodello ,e maestro».79«La Civiltà cat-
1
tolica* presentava Don Bosco e la sua missione educativa nell'ambito di una
sorta di bilancio di quanto era awenuto nel corso dell'intero secolo dal 1815
i
al 1915.8' L'ispirazione globale dell'articolo è fortemente polemica. La «civiltà
j
moderna» è contrapposta in blocco alla «civiltà cristiana». La prima, «costrui-
tasi durante un secolo in vistoso edificio di progressi materiali cementati di
spirito anticristiano, si è quasi distrutta nel breve giro d'un anno con le proprie
mani, coi suoi stessi mezzi che ci stordiscono per la loro potenza». La civiltà
i
I
" <Bollettinosalesianon 37 (ottobre 1913) p. 294s.
" «Baleth salesiano»26 (mayo 1911) p. 139.
i
!
" nBoleth salesianon 26 (junio 1911) p. 147.
Luigi VIGNA, Il metodo educativo di Don Bosco, in: «La Scuola cattolica» 43 (1915) p. 10-
26: 150-166.
" Lo mirrione educatioa del uen. Giovanni Bosco, in: «La Civiltà cattolica» 66 (1915) N,
p. 670-682.
i
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
cristiana ha registrato all'attivo fra l'altro sul suo libro dei conti la figura di
Don Bosco e la serie d'istituzioni da lui fondate. Stando all'articolista, i mali
della civiltà moderna avevano alla loro radice «la democrazia portata all'ec-
cesso in tutti i versi». Lo spirito democratico era additato come alle origini
dell'industrialismo; e questo, all'origine dell'esodo disordinato dalle campa-
gne. L'industrialismo - asseriva l'articolista - «dissolve le famiglie del po-
polo e ne sbalestra i membri in diversi opificii e talvolta in lontani paesi, o peg-
gio ancora, li attira alla città». Don Bosco, cogli oratori, i laboratori di arti e
mestieri, i salesiani e le figlie di Maria Ausiliatrice, era venuto incontro ai mali
della civiltà moderna «diminuendo la fiumana degli spostati»; con la produ-
zione di libri popolarissimi e a buon mercato aveva fornito «la più copiosa cor-
rente di istruzione morale, religiosa e intellettuale che sia mai uscita, nel secolo
scorso, dalla stampa italiana, anche cattolica». Non si trattò di esclusività di
Don Bosco e dei suoi figli spirituali. Altri si posero a lavorare nel medesimo
campo e con gli stessi mezzi. Stando all'articolista, fra tutti i promotori della
civilizzazione cristiana vissuti nel secolo decimonono spiccava Don Bosco; si
distingueva «in modo straordinario e vastissimo quest'uomo prowidenziale
con la sua istituzione, tanto da meritargli senza contrasto il titolo di apostolo
dell'educazione popolare nei tempi moderni».
I1 conflitto mondiale, visto come crisi di civiltà, portava a riaffermare la let-
tura universalistica di Don Bosco e alla temporanea attenuazione di quanto
dava adito nell'ambito cattolico e salesiano a modulazioni nazionalistiche?'
7. Germi di culto a Don Bosco fra le tribù primitive d'America
Nel quadro di un'analisi il più possibile ampia delie immagini che in quegli
anni vennero a elaborarsi di Don Bosco non è privo d'interesse i'abbozzo di
un'indagine delle forme di conoscenza e di culto che i salesiani poterono far
germinare fra le tribù indiane d'America. Il «Bollettino salesianon, soprattutto
nei primi anni, tendeva a suscitare di queste l'idea di rozzezza, ferocia, peri-
colosità secondo stereotipi della letteratura missionaria popolare, o anche se-
condo quanto suscitavano allora racconti classici come il Robinson Crusoe o
romanzi in terre esotiche di Giulio Verne e di Emilio Salgari.
La realtà era molto variegata. Gl'indi della Pampa argentina e quelli della
Patagonia erano venuti a contatto da secoli con i bianchi. Non era estinto in
loro il ricordo degli stermini che avevano subito ed erano ben presenti le ves-
sazioni che andavano subendo a mano a mano che i governi portavano avanti
i progetti della conquista del «desierto». Presso questo tipo di indi nomadi,
seminomadi, sradicati a forza dai loro territori era forse più pronto il terreno
Accenti universalistici caratterizzano owiamente le lettere circolari del rettor maggiore
Don Paolo Aibera ai confratelli salesiani e
annuali ai cooperatori pubblicate su ciascun nu-
mero di gennaio del «Bollettino salesianon.
53

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per uno sradicamento culturale più profondo e il passaggio al mondo mentale
e dei riti loro portato dai missionari. Don Bosco forse iniziava con l'essere per
certi indi il capo lontano, potente e mitico al cui spirito erano sottomessi i mis-
sionari nuovi venuti. Da queste tribù mons. Cagliero trasse quel giovane, di cui
poi fu promossa dai salesiani la causa di beatificazione, Zefirino Namuncurà,
figlio di un cacico e condotto a Torino non come trofeo, ma come testimo-
nianza di quanto i figli di Don Bosco erano riusciti a compiere in poco tempo
fra i «selvaggi d'Ame~ica».~'
È meno facile da individuare che cosa potesse significare Don Bosco per
i gruppi indiani in estrema regressione e in via di estinzione nella Terra del
Fuoco neyarea argentina e in quella cilena. Per questi indi il missionario, fosse
francescano o salesiano, si presentava come il bianco, dei cui spiriti potevano
avere fiducia e al quale potevano ricorrere per medicine, utensili e altre cose
che la propria tradizione non aveva. I1 missionario poteva anche aggregarsi a
queste tribù nei loro insediamenti più o meno prowisori, stagionali e rimovi-
bili. Magari gruppi indiani entravano nella categoria di quanti, in segno di pro-
piziazione e di amicizia, per sottrarsi alle vessazioni di militari o di coloni bian-
chi, o anche per una qualche intuizione, si facevano lavare «la cabeza~,"si fa-
cevano cioè versare sulla testa l'acqua del battesimo entrando così nel numero
dei tredicimila indiani che, secondo Marcelo Spinola, i salesiani avevano bat-
tezzato tra il 1875 e il 1883. Che cosa fossero per questi indiani un Francesco
d'Assisi o un Don Bosco, padre e capo degli ultimi missionari arrivati tra loro,
è difficile comprenderlo attraverso le notizie sparse di lingua, di usi e di pra-
tiche più o meno magiche e animistiche, racimolate e narrate da missionari sa-
lesiani, quali Domenico Milanesio, Bernardo Vacchina, Diego Borgatello, Eva-
sio Garrone e altri.
Più ricca è forse la messe di notizie relativa all'opera missionaria dei sale-
siani fra i bororos del Mato Grosso in Brasile e poi fra i jivaros dell'Ecuador.
e Zefirino Namuncuri nacque a Chimpay (Patagonia)il 26 agosto 1886; nel 1904 accompa-
gnò mons. Cagliero in Italia e con questi fu ricevuto in udienza privata da Pio X; morì a Roma
nell'ospedale dell'Isola Tiherina 1'11 maggio 1905. Ii processo informativo diocesano fu iniziata
nel 1944; quello apostolico nel 1957. Cf. Raul ENTRAIGAESl M, ancebo de la tierra: Cejerino Na-
muncuri, Buenos Aires, LS.A.G. Don Bosco 1970. Una foto di mons. Cagliero seduta accanto al
cacico Namuncuri, vestito da colonnello, e con a fianco in piedi Zefirina è riprodotta dal «Bol-
lettino salesiano» 22 (aprile 1898) p. 93.
Illuminante è una lettera di mons. Cagliero a Don Bosco, da Roca (RioNegro),17 gennaio
1887: sogni giorno davamo 4,5 e persiio 6 istruzioni in diversi punti o gruppi della tribù. Si bat-
tezzarono prima tutti i fanciullie si cresimarono [...l.Quindisi battezzarono tutti i giovanetti [...l.
In ultimo i padri e le madri di famiglia, i quali nella maggior parte celebrarono pure o meglio ra-
tificarono il loro matrimonio già contratto legittimamente et reundum legem #BtUrie [...l.[I] ca-
cicol Shayueque fece istruire e battezzare tutta la sua numerosa famiglia. Egli però non si sentì
il coraggio di lasciare le sue tre mogli che aveva di troppo [...l.Altri capilaneyos vennero, perché
loro lavassimo la cabeza, ma non essendo disposti a lasciare per ora la poligamia dovemmo lasciarli
noi pure neUa selvaggia infedeltà, non senza raccomandarli all'uihnita bontà e misericordia del Si-
gnoren (MB 18, p. 775s).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Con i bororos e i jivaros i salesiani adottarono la strategia già collaudata
dai missionari cattolici e protestanti: individuare aree con numerosi villaggi e
collocarvi un proprio insediamento che prima o dopo polarizzasse gruppi in-
diani disposti ad accettare con la convivenza dei missionari anche la loro vi-
sione religiosa.
Nel giro di poco più di un lustro i salesiani nel Mato Grosso riuscirono a
stabilire un paio di missioni e ad agganciare più di un gruppo bororo che da
diffidente, o anche ostile e disposto a uccidere, si trasformò in raggruppa-
mento della stazione missionaria con economia di sussistenza poggiata su col-
tivazioni, sulla caccia, sulla pesca e sugli aiuti dei missionari. La convivenza mi-
sta di missionari e di bororos avveniva con l'appoggio, il sussidio e la prote-
zione del governo, ormai deciso in quegli anni a sostenere la colonizzazione
che tentavano i missionari salesiani. Oltre che sugli aiuti più vari, i salesiani po-
terono contare sul telegrafo, mezzo civile che attraversava la foresta e che or-
mai allargava loro i margini di sicurezza."
Nella convivenza stabilita suila base di una intesa fiduciaria, il drappello
missionario si sforzava d'inserire il proprio insieme di riti religiosi e di celebra-
zioni festive, che avevano a un tempo il sapore di borgata piemontese e di ora-
torio giovanile di Valdocco. A queste celebrazioni gl'indi erano spettatori cu-
riosi o anche a loro modo partecipi. Illuminante, a titolo di esempio, è una let-
tera che il capo della missione, Don Giovanni Bàlzola, inviò nel 1907 a Don
Rua dalla colonia del S. Cuore di Gesù instaurata tra i bororos coroados ap-
pena cinque anni prima, nel gennaio 1902:
«Nell'ultima mia Le parlai della bella festa di Maria SS. Ausiliatrice celebratasi il
21 ottobre [...l. La festa dell'Immacolata riusci ancor più consolante. Oltre le confes-
sioni e le femorose comunioni dei ragazzi e delle ragazze già ammessi a questo augu-
stissimo sacramento, vi furono altri sei che per la prima volta si accostarono al sacra-
mento della penitenza.
La festa fu receduta dalla novena, durante la quale si recitarono le orazioni che si
trovano a questo fine sul Giovane provveduto; ma quello che deve aver maggiormente
gradito la Beata Vergine, ceno fu l'aver udito i nostri,indiettisposare le loro voci ar-
gentine nel canto liturgico della messa. Cosi i desideri del Santo Padre si compiono in
mezzo alle foreste. Ma sera poi, data la benedizione del SS. Sacramento,vi fu la solita
illuminazione, sparo di fucili, slancio di razzi, che tanto piacciono agli indii, canto di
" Le prime notizie salesiane sui bororos si trovano nelle lettere che Don Balzola e gli altri
missionari usarono scrivere a Don Rua o ad altri confratelìi; varie furono pubblicate con semplici
ritocchi ortografici sul «BoUettinosalesianou. Tra le pubblicazioni propagandistiche più antiche
è da segnalare Evangelimione e colonizz~~ziondeei Bordror-Coroadordi Moto Grosso. Monogrofa
(L'Operadi D. Bosco d'estero - 4), Torino, tip. Salesiana 1906. Documentazione fondamentale
è l'opera di Cesar ALBI SE^ - Angel Jayme VENTURELLEI,nciclopedia Bororo,Campo Grande, Mu-
seu Regional Dom Bosco, 1962-1969,2vol. È noto il capitolo che è dedicato ai bororos da Claude
LEm-Smuss,T&es tropiques, Paris, Plon 1955, dove si sottolinea anche il contributo specifico
salesiano sia ai rapporti tra primitivi e coloni, sia alla conoscenza documentaria di quelle popo-
lazioni.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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lodi sacre, e tutto, rdegrato dal suono del nostro vecchio armonium e più ancora dalla
~iccolabanda musicale fiorente fra i nostri neofiti. Tocchiamo con mano che queste fe-
ste religiose influiscono molto sul cuore dei giovani, facendo loro dimenticare le stra-
nissime baldorie e le cerimonie stravaganti dei loro padri [...l.
I1giorno di Natale fu pieno di santa letizia [...l.Giunsero infatti poco dopo d a Co-
lonia tre indu delle aldee del sud. Questa venuta, a mio credere, è da tenersi come una
benedizione speciale, perché è al sud che si trovano le principali aldee, popolatisshe
di bororos coroados, i quali, una volta che si siano con loro iniziate le amichevoli re-
lazioni, non mancheranno di accorrere d a missione. Verso il nord essi hanno dovuto
ritirarsi quasi tutti per causa delle epidemie che fanno stragi, e anche perché persegui-
tati dai ferocissimi Cayapos. Questi, anche ultimamente, ebbero il coraggio di venire
alla distanza di due chilometri dalle nostre case e ci uccisero una mula che da una loro
freccia velenosa fu trapassata da pane a parte».85
I salesiani, sembrerebbe, si resero conto che i bororos, pressati da tribù
ostili e da congiunture sfavorevoli, erano in condizioni di accettare la convi-
venza e la copertura dei missionari. Come già mons. Cagliero in Patagonia, an-
che in Brasile i missionari mirarono a realizzare le direttive date da Don Bosco
e del resto suggerite dalla loro esperienza europea: prendere contatti con i
<<selvaggi»f,ondare intanto collegi nelle città più vicine, inviarvi i ragazzi in-
diani più promettenti, in modo che questi stessi, tornando fra i loro, divenis-
sero il lievito dell'evangelizzazione e della civilizzazione. Era un'utopia simile
a quella carezzata da Ludovico da Casoria nei confronti dei moretti e delle mo-
rette; ma con risultati, tra gl'indi di America, che sembravano più a portata di
mano e più concreti.
Dapprima ottennero da qualche capofamiglia di poter condurre con sé
qualche ragazzo nei loro viaggi periodici a Cuyabà o in altre città del Brasile;
poi anche di poterli condurre più lontano. I bororos, pur non rompendo i rap-
porti di amicizia e di fiducia, tentarono a loro modo di tutelare gli equilibri
culturali del loro gruppo nascondendo nella foresta i figli quando si accorge-
vano ch'erano adocchiati dai missionari in procinto di recarsi nella città.%Ne1
1898 nondimeno, in occasione del decennale della morte di Don Bosco e del-
l'esposizione missionaria a Torino, Don Balzola poté addirittura condurre con
sé un terzetto di giovani bororos in Eu~opa.'N~el 1906 fu la volta di Don An-
tonio Malan, che ottenne da uno dei cacichi più influenti di poter condurre
suo figlio adolescente in Europa, con la promessa di riportarglielo dopo un se-
mestre.
I salesiani potevano constatare che l'assimilazione delle abitudini civiu av-
" Don Balzola a Don Rua, Colonia del S. Cuore di Gesù, 14 aprile 1907, u>: «BoUettuiosa-
lesian"Cf3.1D(oonttoBbarlezo1l9a0a7)Dpo.n30A4l.bera, Colonia S. Giuseppe (Sangradouro),1 agosto 1913, in:
«Bollettinosalesiano»37 (dicembre 1913) p. 338.341.
D gruppo fotograficodei tre indi a Torino con Don Balzola e un altro missionario è ripro-
dotto sul «BoUettinosalesianon 22 (settembre 1898) p. 224.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
veniva in misura parziale e in modo instabile. I bororos che Don Balzola aveva
con sé a Torino, insofferenti al continuo uso di vestiti civili, furono
certi momenti protagonisti di scenette tragicomiche, presente Don Rua.
Don Antonio Malan in una lettera a Don Rua scrisse come awenne l'incontro
tra Michele Magone, il ragazzo bororo ch'era stato suo interessante compagno
di viaggio in Europa, inappuntabiunente civile, e Michele Major, suo padre ca-
,ico, nel cuore della foresta fra Cuyabà e la missione del S. Cuore di Gesù. Il
cacico non si aspettava d'incontrare il gruppo di Don Malan tanto presto e
avanzava con altri bororos nella foresta «armato di arco e di frecce, coi calzoni
sulle spalle».
«Appena ci scorse, si ritirò subito dietro un cespuglio, indossò in fretta i calzoni,
e poi tutto meravigliato e come fuori di nel rivedere il figlio ben vestito, in salute
e fatto più alto, ci salutò sorridendo; quindi, serio serio, fermato il suo Michele, inco-
minciò la cerimonia di uso, ponendosi a borbottare fortemente e a piangere dirotto. Il
figlioperò ed io che ne sapevamo il significato, aspettammo ridendo che egli fmisse la
Finita che l'ebbe, tornò anche a lui il sorriso sul labbro, e "padua! " disse:
"andiamo! "... »8'
Nel 1906 si tentò il trasferimento di qualche ragazzo bororo nei collegi. Ne
furono condotti tre nel collegio salesiano di Cuyabà, perché apprendessero
uno l'arte del contadino, un altro quella del fabbro, il terzo quella del sarto.
Uno dopo l'altro i ragazzi morirono. Per gli adulti bororos questo fu forse un
argomento per ritirarsi nella foresta, così come avevano fatto in passato tra riti
e segni di auspicio; per interpellarsi e discutere se non c'era da temere una rea-
.. zione degli spiriti offesi, insofferen.t?i .dell'intromissione di estranei solo appa-
rentemente amici, ma in realtà malhdi.
Un fatto più grave awenne poco dopo.89I missionari ottennero di poter
condurre a Rio de Janeiro e in altre città una comitiva di nove giovani bororos
capaci di suonare cqualche strumento musicale e aggregati in una sorta di ban-
da. Fra questi giovani c'erano due figli di Michele Major e un fratello minore
di sua moglie. Awenne la tragedia. Giunse per telegrafo la notizia che a Rio
dei nove giovani tre erano morti: i due figli di Michele Major e il giovane loro
congiunto. I salesiani capirono la gravità del momento. Rischiavano in quei
frangenti lo sterminio. Dopo un paio di giorni ci si decise a comunicare la cosa
al capo bororo. Michele Major e sua moglie esplodono in gesti di disperazione
e danno inizio ai riti della morte. Con grida strazianti entrano di corsa nella
" Don Balzola a Don Rua, 14 aprile 1907, in: <Bollettino salesiano» 31 (ottobre 1907)
p. 306.
" Un resoconto non darmistico dell'episodio è dato da Don Balzola in una lettera a Don
Rua, Rio de Janei~o2,9 settembre 1908, in: «Bollettinosalesiano,,32 (dicembre1908) p. 365-369;
una rievocazione più reaiistica, fatta sulla base di confidenze avute da qualche bororo, è data da
Don Antonio Colbacchini a Don Albera, Colonia S. Cuore di Gesù, 19 marzo 1917, in: «BoUet-
tino salesianou 41 (agosto 1917) p. 189-193;ivi (settembre 1917) p. 211-216.

4.2 Page 32

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loro capanna, riducono a pezzi gli archi, le frecce, altri oggetti. Si denudano;
con pezzi di vetro si straziano il corpo. La capanna si riempie di parenti e di
amici che nudi si uniscono al lutto urlando .e dilaniandosi anch'essi il corpo
con vetri e punte acuminate. Michele Major esce e percorre in continui la-
menti tutti i posti che i suoi due figli avevano avuto l'abitudine di frequentare,
continuando a straziarsi e lasciando ovunque le tracce di sangue. I missionari
guardano impietriti e atterriti l'uomo aggirarsi frenetico per le stanze della loro
missione. In cuor loro pregano angosciati Cristo, l'Ausiliatrice, Don Bosco.
Poi attendono gli eventi. Dopo ore interminabili si presenta un capo bororo,
amico fidato di Michele Major. Fa capire loro che Major è convinto che la
morte dei suoi due figli non è dipesa dai missionari. I1 latore del messaggio ag-
giunge che Major, essendo nudo, ha vergogna di ripresentarsi ai missionari:
awiene cioè il riawicinamento culturale. I missionari forniscono nuovi panta-
loni e nuova camicia. Awiene l'incontro. Don Antonio Colbacchini, il giovane
prete che più di ogni altro missionario aveva appreso dai ragazzi parole e lin-
guaggio, si accosta a Major chiamandolo «padre»: un nome che il bororo fino
allora aveva respinto, come per mantenere il proprio ruolo distinto entro la co-
munità di cui era capo. Da allora Major accettò l'appellativo senza più prote-
stare, spiegando che sentendolo si ricordava dei suoi due figli. Ci si rese conto
dell'importanza capitale che aveva avuto Michele Major fin da quando nel
1901-1902 si erano avventurati nel territorio dei bororos e dei loro spiriti, al-
lora inquieti e incerti; ora, a distanza di qualche anno non del tutto acquietati.
L'organizzazione del villaggio missionario, non più concentrico e imper-
niato sulla capanna del capo, non più situato e orientato secondo le osservanze
ataviche, fu un passo successivo verso l'inculturazione massima possibile dei
bororos coroados. Nella fase prevla, di combinazione contrastata e fragile fra
due mondi culturali e due antropologie, non è facile immaginare che cosa pos-
sano essere state per i bororos l'effigie del S. Cuore di Gesù, di Maria Ausi-
liatrice, di Don Bosco; che cosa poté essere per loro il nome aggiunto di Mi-
chele Major e di Michele M a g ~ n e . ~ ~
Più superficiali e più labili furono i rapporti di convivenza tra i salesiani
e i jivaros dell'Ecuad6r. L'organizzazione di ciascun gruppo jivaro era più le-
gata alla raccolta spontanea di alimenti e alla preda che non d a terra e alla
coltivazione; l'uccisione rituale dei nemici, radicatissima nella cultura jivara,
" Poté accadere anche quanto è narrato da Lévi-Suauss: «A Kejara abitava un indigena che
doveva essere il mio interprete e il mio principale informatore. Quest'uomo, di circa 35 anni, par-
lava abbastanza bene il portoghese. A sentir lui aveva imparato a leggerlo e scriverlo durante la
sua educazione alla missione, benché ora ne fosse incapace. Fieri del loro successo, i Padri l'ave-
vano mandato a Roma dove era stato ricevuto dal Santo Padre. Al suo ritorno, sembra che abbiano
voluto farlo sposare cristianamente, senza tener conto degli usi tradizionali. Questo tentativo de-
terminò in lui una crisi spirituale da cui usci riconquistato al vecchio ideale bororo: se ne andò
a Kejara dove conduceva da 10 o 15 anni una vita esemplare di selvaggio. Completamente nudo,
tinto di rosso, impiumato, il naso e il labbro inferiore trapassati dalla sbarretta e dal labbretto...»
(Tristi tropici, V1.22; ed. Milano, I1 Saggiatore 1972, p. 204s.).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
aveva come soluzione finale nelle stazioni missionarie la disparizione improv-
visa dell'intero gruppo che aveva sopraffatto e ucciso il nemico. I missionari
troppo spesso finivano per trovarsi soli e nell'impossibilità di costituire un
gruppo stabile di indios. La convivenza di questi con i missionari si riduceva
alla mera appropriazione o utilizzazione di quanto il missionario dava o la-
sciava che fosse preso?' Era come innaffiare un palo secco, diceva mons. Do-
menico Comin, ch'era in Ecuador dal 1902, vescovo e vicario apostolico di
Méndez e Gualaquiza dal 1920. La formazione di giovani coppie, d'individui
allevati fin da bambini dai salesiani e daUe figlie di Maria Ausiliatrice, stentava
a portare il risultato voluto, di nuovi villaggi tutti cristiani. Ancor meno che
per i bororos è possibile comprendere che cosa potesse significare per i jivaros
primitivi l'effigie di Don Bosco nella quale potevano imbattersi girovagando
nella stazione missionaria.
Ali'opera di civilizzazione cristiana i salesiani aggiungevano altri fatti che
in qualche modo si connettevano a una certa conoscenza di Don Bosco. Come
già i navigatori e i colonizzatori più antichi, come più recentemente gl'immi-
grati in America dai vari paesi europei, anche i salesiani usarono qua e as-
segnare a luoghi e a persone i nomi della loro esperienza originaria nella ma-
drepatria. Impiantata nel 1895 la colonia di Fortin Mercedes in Patagonia, i
salesiani assegnarono il nome di «Valdocco» a un viale che conduceva su uno
spiazzo presso il rio Colorado; diedero il nome di «Morialdo» al prato dove
tenevano al pascolo pecore, cavalli e mucche, ricordando in tal modo i prati
dove Giovannino Bosco aveva.trascorso la propria infan~ia.9In~ Argentina, in
Brasile e altrove i salesiani usarono assegnare ai figli dei civili e degl'indiani i
nomi di Domenico Savio, Giovanni Bosco, Ausilia, Margherita... Nomi e fatti,
unitamente ai sentimenti e alle conoscenze che i salesiani trasmettevano, sug-
gerivano in qualche modo una conoscenza più appropriata anche del loro ve-
nerato fondatore e padre. Comunque sia, erano soprattutto le narrazioni mis-
sionarie che in Europa, a Roma, presso la S.C. dei Riti contribuivano positi-
vamente a consolidare l'idea di Don Bosco ispiratore di un'opera santa, qual
era quella dell'evangelizzazione e della civilizzazione di popoli primitivi. Ne
scaturiva più illuminata l'immagine di Don Bosco prete santo, anzi gigante di
santità.
91 Si veda ad esempio quanto narra il missionario Don Salvatore Duroni a mons. Comin in
una lettera da Santiago di Méndez, 27 dicembre 1922; d Una pagina di rangue tra ijtuari deli'E-
quatore, in: «Bollettino salesianon 47 (aprile 1923) p. 92.
Cf. La Colonia agricolade Fortin Mercedes, in: «Boletin salesiano» 26 (enero 1911) p. 19s.
Ii9

4.3 Page 33

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
CAPITOLO I1
IL PROCESSO ORDINARIO
I1 processo canonico per la beatificazione di Don Bosco era qualcosa di
scontato. Ci si sarebbe stupiti se i salesiani o altri non avessero fatto i passi for-
mali per chiedere all'arcivescovo di Torino l'apertura del processo informativo
diocesano sulla fama di santità, le virtù eroiche, i miracoli e gli altri doni so-
prannaturali. In tal senso c'erano precedenti nella stessa Torino. Tra il 1860
e il 1863 i cardinali De Angelis e Corsi, ch'erano a domicilio obbligato neiia
città, e vari vescovi diocesani subalpini e liguri avevano manifestato la propria
meraviglia al canonico Anglesio, superiore e padre neiia Piccola Casa deila
Provvidenza, nell'apprendere che non si era ancora iniziato il processo di bea-
tificazione del fondatore; eppure da tempo la stima di santo aureolava Giu-
seppe Benedetto Cottolengo, e persone di ogni ceto sociale ne invocavano l'in-
tercessione.'
I beati che i papi avevano proclamato da metà '600 a metà '800 erano stati
in tutto 80; in un solo cinquantennio, dal 1851 al 1900, furono 333; salirono
a 664 dal 1901 al 1950.2I dati statistici sono oltre tutto un indizio deiie tra-
sformazioni che stavano awenendo neiia mentalità collettiva cattolica anche
delle aree rurali. Per tutto 1'800 costituivano ancora una realtà a sé neUa men-
talità popolare i santi patroni locali e i santi taumaturghi e terapeuti, implorati
ad esempio per la preservazione deiia vista, il buon esito del raccolto o del par-
to, il ritrovamento di oggetti smarriti o le necessità più varie. Accanto a queste
forme di religiosità acquistava però terreno il sentimento che persone distintesi
in vita per santità di imprese e per virtù potevano essere proclamate daiia
Chiesa santi da invocare e venerare sugli altari.) Nel napoletano intere comu-
nità parrocchiali e gruppi di terziari francescani si fecero promotori deiia san-
' Oltre che negli ani del processo ordinario per la heatificazione del Conolengo, testimo-
nianze e fatti sono ricordati da Pietro Paolo GASTALVDiIt,a del venerabile servo di Dio Giuseppe
Beaedetto Cottokngo fondatore della Picmla Casa del& Divina Provvidenza..., lih. VI, cap. XVI,
vol. m,Torino, Marietu 1882, p. 481-494.
Cf. Pierre DELOOZS,ociologie et cononisationr (Collection scientifique de la faculté de dmit
de I'Université de Liège, 301, La Haye, Nijhoff 1969, p. 268.
' Cf. P. STELLA, Giansenismo e agiogrofioin Italia fra'700 e '800, in: aSaIesianurn» 42 (1980)
p. 835-853.

4.4 Page 34

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tificazione ufficiale del conterraneo Ludovico da Casoria;' nel 1901 le autorità
comunali di Castelnuovo inoltrarono alla Congregazione dei Riti la propria ri-
chiesta, perché, chiuso ormai il processo diocesano, venisse aperto quello apo-
stolico per la beatificazione di Don Giuseppe Cafasso.' Informando sdle bea-
tificazioni e canonizzazioni proclamate a Roma da Pio IX e Leone XIII gior-
nali come l'«Armonia», pubblicazioni religiose settimanali e mensili contribui-
vano a diffondere l'idea della santità canonizzabiie e canonizzata. I1 clero e le
élites impegnate nella difesa sociale e dottrinale del cattolicesimo trovavano
nelle beatificazioni e canonizzazioni suffragate dai miracoli un ulteriore ele-
. mento per coinvolgere gli strati sociali più vari a sostegno del movimento cat-
tolico.
A infittire il numero dei candidati alla beatificazione e canonizzazione
erano in particolare gli ordini religiosi e le congregazioni che si erano andate
costituendo o ricostituendo un po' dappertutto dalla restaurazione ai tempi
più recenti. Per istituzioni maschili e femminili già solo l'apertura del processo
informativo diocesano per la beatificazione del proprio fondatore o della pro-
pria fondatrice era come un riconoscimento importante della propria partico-
lare vocazione e ragion d'essere.
Ai fini del buon esito di un processo di beatificazione, la devozione indi-
viduale e collettiva verso un servo di Dio era desiderabile; potevano coltivarla
e indirizzarla coloro ch'erano interessati ad averla come prova della «fama
sanctitatis»; ma era necessario fare in modo che rimanesse entro l'alveo che l'i-
stituzione ecclesiastica approvava, permetteva o tollerava, al di qua della su-
perstizione e del fanatismo e non entro quelle forme che l'autorità competente
riservava al culto riconosciuto come pubblico. I promotori di processi di ca-
nonizzazione per ciò stesso venivano ad assumere nel tessuto sociale il ruolo
di controllori e mediatori fra la gerarchia e il corpo dei fedeli.
1. Ii biennio di preparazione (1888-1890)
I1 capitolo superiore dei salesiani prese coscienza di quelli ch'erano i suoi
ruoli già mentre si svolgevano le spettacolari celebrazioni delle esequie e men-
tre si allestivano sia ii sepolcro di Don Bosco a Valsalice sia le camerette ch'e-
rano state sue da vivo a Valdocco. Cominciavano a moltiplicarsi i «miracoli».
In attesa del funerale ii mattino del 2 febbraio nella chiesetta di S. Francesco
di Sales una figlia di Maria Ausiliatrice, afflitta di cecità, dopo essersi accostata
alla salma aveva cominciato a esclamare: «Ci vedo, ci vedo!». Subito inter-
Alfonso CAPECELATRiO~,vita delp. Lodouico da Casorni..., Napoli, tip. ed. AccattonceLi
1e-R-R.7.
Delibera comunale del 28 giugno 1901; cf. Luigi NICOLIS DI ROBILANTV, ila del uenerubife
Giuseppe Cufusso confondatore del Conurito ecclesiastico di Torino, vol. D, Torino, Scuola tip. Sa-
lesiana 1912, p. 447.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
venne Don Giovanni Bonetti per raccomandare la calma e il silenzio? In quei
giorni altre persone, uomini e donne, segnalarono ai salesiani guarigioni im-
provvise e altre grazie straordinarie ottenute per intercessione di Don Bosco.
Si sarebbe potuta cominciare la pubblicazione di grazie straordinarie attribuite
a]l'intercessione di Don Bosco, cosi come si constatava, oltre che in pubblica-
zioni agiografiche antiche e recenti, nella Vita di Domenico Savio scritta da
Don Bosco. Lo stesso «Bollettino salesiano» nel 1878 aveva pubblicato alcune
guarigionimiracolose attribuite all'intercessione di Pio IX, il pontefice al quale
Don Bosco si era sentito particolarmente debitore e al quale in quegli anni ci
si era rivolti mentr'erano in corso le vertenze con l'arcivescovo Gastaldi7 Si
preferì raccogliere e catalogare in archivio le relazioni di grazie. Solo a partire
dal 1913, cioè a distanza di ben otto anni dall'apertura del processo apostolico
(1907), si credette opportuno iniziare sul «Bollettino salesiano* un'apposita
rubrica, affiancata a quella da sempre curata delle grazie attribuite alla inter-
cessione del!Ausiliatrice, colei che nelle relazioni era denominata non di rado
come la Madonna di Don Bosco.
A Valsalice la tomba di Don Bosco, centro di ricordi, di preghiere e d'in-
contri, non aveva segni diversi da quelli ch'erano in uso per defunti insigni nei
cimiteri e nelle chiese. Accanto alla pietra sepolcrale si lasciavano deporre fiori
e ghirlande, si lasciavano accendere talora lumini, ma si era ben attenti a non
far collocare candelieri che ricordassero gli altari e facessero immaginare inde-
bite forme di culto riservato ai beati e ai santi. A Valdocco si chiedeva di Don
Bosco qualche pezzett~di stoffa, tratto da un indumento; o nelle camerette ci
si contentava di accostare la corona del rosario al suo inginocchiatoio o al suo
letto. Erano gesti non dissimili da altri diffusi nelle culture più varie del mon-
do, ma in cui c'era in più l'implicita attesa della venerabilità pubblica final-
mente dichiarata daii'autorità ecclesiastica suprema.
Testimoniando al processo informativo nel febbraio 1893 il teologo Leo-
nardo Murialdo espose minutamente il comportamento che tenne, quando
condusse a Valsalice una suora ch'era afflitta da vessazioni diaboliche. Davanti
alla tomba di Don Bosco pregò per l'anima deii'amico defunto nell'eventualità
che avesse ancora bisogno di suffragi; ma anche si rivolse a lui, perché con la
sua intercessione ottenesse la grazia; così ii culto dei defunti si amalgamava
con quello al servo di Dio in concetto di santità canonizzabile. Dopo aver pre-
gato sulla tomba, si recò con un artigianello serviente alla messa, con la suora
e una sua consorella nella cappella, ch'era abbastanza discosta dalla tomba. La
suora si sentì liberata definitivamente. Fino allora invece aveva sentito soltanto
benefici aleatori da preghiere, benedizioni, esorcismi e persino da un pellegri-
naggio appositamente fatto al santuario di S. Pancrazio presso Pianezza, rino-
"episodio, ricordato da vari testi al processo, è narrato da Don Lemoyne nella Vita di Don
Bosco (1913) e poi da Don Ceria nelle MB; cf. avanti, p. 107.
Prodigiora guarigione ad »Itercessionedi Pio IX, ui: «Bollettino salesiano» 2 (maggio 1878)
p. 4s; La inominnito glorificazione di Pio IX, ivi (giugno 1878) p. 1-3.

4.5 Page 35

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mato - come sottolineava il Murialdo - per la liberazione degli ossessi!
Valsalice dunque, oltre che un punto di riferimento per raduni e celebra-
zioni era anche un polo di culto che il clero e gruppi di fedeli tendevano a
esplicare in forme più o meno organizzate e con il pieno favore dei salesiani.
Ma anche altrove le ricorrenze più varie pur mirando al sostegno delle opere
salesiane tendevano anche a consolidare e dilatare la fama del servo di Dio
Don Bosco in ordine al suo processo di beatificazione.
Ii passo più owio da compiere per giungere all'apenura del processo or-
dinario sarebbe stato la richiesta, presentata in tal senso da chi reggeva la con-
gregazione salesiana, all'arcivescovo di Torino. Ma previamente era da chiarire
la posizione giuridica di Don Rua quale successore di Don Bosco nella carica
di rettore maggiore. Stando ai verbali del capitolo superiore dei salesiani, Don
Bosco il 28 ottobre 1884 aveva designato Don Rua suo «successore» e lo aveva
eletto suo «vicario»? AU'incirca aveva fatto proprio il linguaggio adoperato da
monsignor Domenico Jacobini in una lettera al cardinale A h o n d a , scritta in
nome del papa:
«Sua Santità in questa occasione mi ha ordinato di scriverle [...l.Vorrebbe dunque
che Vostra Eminenza con quei modi che sa sì bene adoperare parlasse a Don Bosco,
e lo facesse entrare neli'idea di designare la persona che egli crederebbe idonea a suc-
cedergli, owero a prendere il titolo di suo vicario con successione. I1 Santo Padre si
riserverebbe a prowedere neli'uno o neli'altro modo...».'"
L'intervento straordinario e alquanto eccezionale di Leone XIII poteva
forse collegarsi all'altro con il quale tre anni prima era stato imposto a Don
Bosco e a mons. Gastaldi un documento di «concordia» e di pacificazione. La
preoccupazione per la grave prostrazione fisica che da qualche tempo trava-
gliava Don Bosco e il riconoscimento dei suoi meriti potevano concretamente
coprire il desiderio che nel governo dei salesiani subentrasse qualcun altro, in
via eccezionale designato da Don Bosco stesso. Per questa via il papa poteva
auspicarsi che venisse rimossa l'eventualità di reiterati conflitti tra Don Bosco
e il successore del Gastaldi. La designazione di Don Rua a vicario con diritto
di successione (fatto ancor oggi non del tutto chiarito nelle sue implicanze) è
comunque illuminante sull'orientamento di Leone XIII: e& era incline a man-
tenere autonoma la congregazione salesiana, ormai approvata definitivamente
dalla S. Sede; era però preoccupato di regolarizzarne i rapporti con le istitu-
zioni diocesane.
S d e testimonianze del Murialdo al processo di Don Bosco cf. avanti, p. 75, 87.
I fatti sono descritti ufficialmentenella lettera che il capitolo superiore dei salesiani indi-
rizzò ai confratelli da Torino, 7 matm 1888; cf. Lettere circolari di Don Michele Run oi r~leriani,
Torino. SAID Buona Stampa 1910. P. 6-16: cf. inoltre MB 17. D. 273-284: 18. D. 608-631. dove
in patte corretto quanto &rive k i e l o GEIl sIerv,o di ~ ; o ' ~ i c h e~l e ; ra~~cerrodrei beato
D. Bosco, vol. I, Torino, SEI 1931, P. 397-417.
'O Mons. Domenico Jacobini al-card. A h o n d a , Roma, 9 ottobre 1884; cf. Lettere circolari,
cit., p. 7.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Ma a Roma, forse più che altro nell'ambito della Congregazione dei Ve-
scovi e Regolari, c'era chi alimentava riserve sul presente e preoccupazioni sul-
l'avvenire. Mons. Alessandro Riccardi attorno al 1870 aveva auspicato il di-
scioglimento di quel gruppo anomalo ch'erano i chierici e i preti di Don Bo-
sco; mons. Gastaldi aveva denunziato abusi e si era adoperato per un più ef-
ficace intervento dei vescovi e della S. Sede. Cera chi auspicava l'incorpora-
mento dei salesiani nei calasanziani, nei quali in sostanza si riconoscevano fi-
nalità analoghe." Tale soluzione poteva inquadrarsi nel riordinamento che la
S. Sede andava facendo degli istituti regolari, riunendo ad esempio in unico
ordine e sotto lo stesso superiore generale varie famiglie di francescani e ri-
stmtturando le forme di governo dell'ordine benedettin~.'L~'accorpamento
dei salesiani ad altri religiosi sarebbe stato oltre tutto un grave colpo alla causa
di beatificazione del loro fondatore. In coerenza con la scelta profilata nel
1884 Leone XIII, tramite il cardinale Lucido Maria Parocchi, vicario di Roma
e protettore dei salesiani, con decreto dell'll febbraio 1888 confermò Don
Rua rettor maggiore, in deroga a quanto era stabilito d d e Regole approvate
dalla S. Sede e per un dodicemio a partire dalla data del decreto stesso.''
Recatosi a Roma, Don Rua ebbe modo d'incontrarsi con il cardinale pro-
tettore, assistere la domenica 19 febbraio 1888 d a beatificazione di Giovanni
Battista de La Salle, trattenersi in udienza con il papa la mattina del martedì
successivo. Nella sua prima lettera circolare ai confratelli salesiani, diede da
Torino il 19 marzo il resoconto dei fatti salienti; e, narrando l'udienza avuta
dal papa e descrivendola un po' secondo lo stile ch'era stato proprio di Don
Bosco, adombrò alcune linee importanti del suo programma di governo: i sa-
lesiani si sarebbero impegnati nella fedeltà al papa sull'esempio del fondatore;
non si sarebbero lasciati tentare dalla moltiplicazione delle opere; contenuta
l'espansione, essi si sarebbero curati del consolidamento; cosi come le regole
stabilivano, si sarebbe fatto leva sulla norma che in ogni casa i confratelli non
dovevano essere di numero inferiore a sei. Tipico era il brano di lettera dove
Don Rua esponeva questo programma, che in realtà rifletteva sia le rimo-
stranze di mons. Riccardi e mons. Gastaldi, sia le preoccupazioni di varie con-
gregazioni romane, sia gli orientamenti che ali'interno del capitolo superiore
salesiano erano emerse talora, un po' in f ~ a l deissenso con la tendenza pre-
minente di Don Bosco, volto finché era vivo allo sviluppo massimo possibile
" Cf. MB 18, p. 613, dove si accenna anche agl'interventi di mons. Emiliano Manacorda
presso personaggi intluenti della curia romana a favore dei salesiani e della loro esistenza auto-
noma anche dopo la morte di Don Bosco.
l2 Cf. un rapido cenno sugli ordini e le congregazionireligiose in: René EPP - Charles LEFEB-
VRò - René ~ T Z L,e dmit et ler institutionr de I'Eglire cotholique lotine de lo fin du XWIP riecle
d 1978. Sources et institutionr, Paris, Cujas 1981, p. 440-448;ma si vedano anche le rispettive voci
(Benedettini, Cappuccini, Canventuali, Frati Minori, ecc.) nel DUionnrio degli istituti di perfaio-
ne, Roma, ed. Paoline, 1974.
" Edito in: Lettere circolari, cit., p. 14s; MB 18, p. 844.

4.6 Page 36

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in Europa e in America con il personale in qualche modo disponibile; fiducio-
so, come diceva, nell'aiuto che l'Ausiliatrice dimostrava di dare. Scriveva Don
Rua:
«Bene, rispose il papa, continuate quelle sante imprese, ma per ora procurate di as-
sodarle bene. Per qualche tempo non abbiate premura di estendervi, bensi di sostener
bene e svilupparele fondazioni già fatte.- È precisamente, risposi, la raccomandazione
fattami per iscritto dal nostro caro Don Bosco, che in un Promemoria fra le altre cose
mi notò di sospendere per qualche tempo i'apertura di nuove case per completare il
personale in quelle già esistenti. - Si, si, disse Sua Santità, conviene fare in questo
modo, tanto pei salesiani quanto per le figlie di Maria Ausiliatrice: affinché non av-
venga come a qualche altro Istituto, che si estese troppo rapidamente e poi non poté
sostenersi in modo convenevole, mandando solo due o tre persone a fondare nuove
case ed abbandonandole a se stesse fecero poco buona riuscita. - Qui io feci notare
al Santo Padre che i salesiani devono, secondo la regola inserta dalla S. Sede nelle loro
Costituzioni, essere in numero di sei per ogni nuova fondazione e che questo era una
buona salvaguardia»."
I verbali del capitolo superiore e più ancora la corrispondenza del procu-
ratore generale dei salesiani a Roma rivelano i passi che in concreto si fecero
nel corso del 1888 per predisporre neiia maniera più sicura il processo ordi-
nario di beatificazione.
Già nel febbraio il cardinale protettore indirizzò Don Rua e il procuratore
Don Cesare Cagliero a mons. Agostino Caprara, promotore generale della fede
presso la Congregazione dei Riti ed espeno autorevole nella procedura da
adottare nei processi di beatificazione e canonizzazione. Questi a sua volta,
dopo aver dato i primi suggerimenti, inviò ad Jiario Alibrandi, indicandolo
come colui che conveniva in futuro preferire come awocato del processo di
Don Bosco. Alibrandi in effetti, ormai settantenne, non era un personaggio
qualsiasi nel sottobosco awocatizio romano; era il più insigne studioso che al-
lora c'era in Italia del diritto romano, acuto studioso del codice giustinianeo,
un uomo che per la fedeltà al papato era uscito d d e sfere accademiche del-
l'università di Roma e aveva preferito appartarsi nella curia come awocato
concistoriale e poi come minutante della segreteria di Stato.'l
Mons. Caprara dissuase anzitutto dal compiere passi maldestri awenturan-
dosi ignari nelle procedure canonicbe e non attenti agli scogli che si sarebbero
Lettere brmkzti, p. 20s.
" Uario Alibrandi nacque a Roma 1'8 febbraio 1823; a 22 anni ebbe la laurea in diritto ho-
noris causa; a 27 anni fu nominato professore di diritto romano; nei 1871 si ritirò dall'insegna-
mento neiiùniversità di Roma e ricusò I'invito fattogli della cattedra all'università di Heideiberg;
nel 1883 fu nominato awocato concistoriale e nel 1888 minutante deilasegreteria di stato vaticana;
mori a Roma il 27 gennaio 1894. Su di lui cfr. la prefazione di Vittorio Scialoja a Opere giuridiche
e storiche del prof Ilario Alibrandi.., vol. I, Roma, tip. S.C. de Prop. Fide 1896, p. m-wI e la
«voce» di Edoardo Volterra nel Dilion. Biografico degli Italiani, 11, Roma, Enciclopedia Italiana
1960, p. 370s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
potuti frapporre. Don Cesare Cagliero gli aveva sottoposto la bozza di una let-
tera circolare che Don Rua si proponeva d'inviare ai salesiani per sollecitarli
a scrivere testimonianze sulle virtù eroiche e su quanto altro poteva essere utile
alla beatificazione del loro padre. Mons. Caprara si dichiarò contrario a una
lettera del genere, perché al processo canonico il promotore della fede avrebbe
opposto che la «fama sanctitatisn era stata anatamente provocata. La lettera,
così com'era imbastita, «sarebbe in mano al promotore della fede un'arma si-
cura per arrestare e rimandare a tempo lunghissimo qualsiasi processo di bea-
tificazione, perché la «fama sanctitatis* non sarebbe risultata come qualcosa
di spontaneo: le relazioni sulla vita, le virtù e i miracoli si sarebbero presentate
come domandate, richieste e quasi pro~ocate».'~
Lo stesso monsignore suggeriva d'informarsi più adeguatamente sul posto.
«A Torino - scriveva il procuratore Don Cagliero a Don Rua - si ha la par-
ticolare circostanza, vantaggiosa per noi, che la Curia è pratica di simili giu-
&ai, come ne è prova (sono anche parole di mons. Caprara) il processo pel ve-
nerabile Cottolengo benissimo redatto»." Senonché il riferimento al processo
di beatificazione del Cottolengo per ceni versi induceva a riflettere. Quello in-
formativo diocesano, iniziato nel gennaio 1863, era stato concluso nel luglio
1877 in pieno episcopato di mons. Gastaldi; quello apostolico, iniziato nel
marzo 1879, era stato concluso nell'ottobre 1887.'8 Giudici del processo apo-
stolico erano stati i canonici Luigi Nasi, CamiUo Pelletta e Stanislao Gazeiii di
Rossana; tutti e tre potevano essere considerati come ben disposti verso i sa-
lesiani; il canonico Nasi era stato anzi uno dei primi eminenti membri del clero
torinese che agl'inizi dell'oratorio si erano prodigati a sostegno di Don Bosco.
Ma promotore fiscale al processo informativo diocesano e sottopromotore al
processo apostolico era stato il canonico Emanuele Colomiatti. A lui probabil-
mente il Caprara faceva merito della bontà formale del processo relativo al ve-
nerabile Cottolengo. Per i salesiani invece sarebbe stata una iattura averlo nel-
l'ufficio di promotore della fede nel processo di Don Bosco.
Nondimeno, facendo tesoro dei suggerimenti venuti da Roma, il capitolo
superiore dei salesiani tenne presenti i passi ch'erano stati fatti a suo tempo
per awiare il processo ordinario del Cottolengo. Nel 1862-1863,stimolato da
varie pani, incoraggiato da cardinali e vescovi, il canonico Luigi Anglesio, pa-
dre della Piccola Casa, prima di inviare la petizione ufficiale al vicario capito-
lare di Torino (essendo morto a Lione l'arcivescovo Fransoni), ritenne oppor-
tuno scrivere ai vescovi del Piemonte e della Liguria che avevano avuto rela-
zioni di amicizia con il canonico Cottolengo. Scrisse loro «per consiglio e per
'' Cesare Cagliero a Don Bonetti, Roma, 6 giugno 1888; AS 036 Corrispondenza del procu-
ra~tor~ e e~ en.enle
" Lettera cit. del 6 giugno 1888.
" Cf. P.P. GASTALDIIp,rodigi della corità mitirlnn dermtti nella vita del uenerabile remo di
Dio Giuseppe Benedetto Cottolengo...,ed. quarta, vol. 11,Torino, tip. Salesiana 1892, p. 845-879.

4.7 Page 37

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lume».L9Le risposte, tutte incoraggianti, contribuirono ad agevolare l'inizio fe-
lice del processo informativo diocesano. Il 16 gennaio 1863 alla prima seduta,
I
presieduta dal vicario capitolare canonico Giuseppe Zappata, erano presenti i
tre vescovi. Tra questi c'era mons. Tommaso Ghilardi, vescovo di Mondovi e
paladino dell'intransigentismo contro la politica liberale. A lui inviava il pro-
prio plauso lo stesso Pio IX il 22 gennaio successivo in un breve che chiara-
!.
mente alludeva alle congiunture religiose e politiche che si stavano attraversan-
do:
«Come Iddio permettendo da una pane, nel miserando periodo in cui viviamo, lo
spoglio dei beni della Chiesa che la carità cristiana ebbe adunati per dotare sacri ritiri,
recessi di orazione, case di pietà e scuole di perfezione, dail'altra parte ispirava lo spi-
rito suo [del Cottolengol per tante opere di edificazione, d'istruzione, di sollievo ail'in-
fermo, al de~elitto>r.~~
Era ben diversa la temperie del processo canonico che i salesiani intende-
vano far aprire. Si era appena a un decennio dai noti contrasti fra Don Bosco
e l'arcivescovo Gastaldi. Allora si era prodotta una certa divisione all'interno
di parte dell'episcopato subalpino e ligure, pro o contro le misure che il Ga-
staldi chiedeva o prendeva. In ben altra situazione dunque a Don Rua e ai suoi
collaboratori premeva non tanto un sondaggio, quanto un pronunziamento fa-
vorevole dei vescovi ali'introduzione del processo sulla santità di Don Bosco.
Si progettò in concreto una lettera che Don Rua avrebbe indirizzata a cia-
scun vescovo del Piemonte e delia Liguria. Aila lettera si sarebbero allegati
due altri documenti: un saggio di grazie ottenute per intercessione dell'Ausi-
liatrice e del suo seN0 fedele Don Bosco, e una traccia o prospetto di lettera
che i vescovi avrebbero potuto tenere presente rispondendo direttamente a
Don Rua owero anche inviando una propria petizione al cardinale di Torino.
La bozza di lettera e quella degli annessi allegati furono previamente sottopo-
ste aii'esame dell'awocato Aiibrandi. A questi fu anche inviata la bozza di
un'istanza collettiva aii'arcivescovo che si aveva in animo di fare sottoscrivere
ai salesiani che sarebbero intervenuti ali'imminente capitolo generale.
Nel 1889 e 1890 infatti si prospettavano alcuni eventi che Don Rua e i
membri del capitolo superiore tentavano di utilizzare articolatamente in ordine
alla causa di Don Bosco. Nel settembre 1889 si sarebbe tenuto il capitolo ge-
nerale dei salesiani, ormai divenuto necessario per coordinare sotto il nuovo
superiore generale le iniziative dei salesiani ne1 mondo. A loro volta i vescovi
della provincia ecclesiastica torinese e di quella vercellese si sarebbero riuniti
nel 1890 per affrontare vari problemi pastorali a cui andavano postulando so-
's GASTALDVIi,& del venerabile remo di Dio Giuseppe Benedetto Cottolengo...,ed. 1882, In,
p. 486s; Io.,I prodigi della carità mitiana..., li,p. 850.
'O GASTALDVIi,tudel venerabile remo di Dio Giuseppe Benedetto Cafolengo.., ed. 1882, III,
p. 490; ID., I prodigi della carità d i u n a..., ii, p. 854.
luzioni comuni la maggiore mobilità della popolazione e l'acuirsi della que-
stione sociale.
I1 parere dell'awocato romano fu comunicato a Don Bonetti da Don Ca-
gliero con lettera del 13 luglio 1889:
«lo La istanza al cardiiale da firmare dai membri del capitolo generale va benis-
simo. Si muti solo il no9 nella seguente maniera: Noi speriamo che l'Eminenza Vostra
vorrà accogliere benignamente la nostra domanda...
2- Nella proposta lettera di Don Rua ai vescovi del Piemonte e della Liguria n d a
vi ha a mutare.
30 Nell'altra dei vescovi al cardinale vi ha qualche correzione o mutamento I...].
Vawocato su queste lettere osserva che conviene esser molto delicati, perché non paia
che si vuol presentare ai vescovi un modulo da firmare, quasi essi non fossero al caso
di esprimere i loro sentimenti nel modo voluto [...l. Se i vescovi usano ciascuno un
modo proprio, meglio; se, oltre che a Don Rua, scrivono pure direttamente al cardi-
nale, meglio che meglio*."
Riguardo alle grazie chieste all'Ausiliatrice per intercessione di Don Bosco
I'Aiibrandi si era espresso precedentemente, e Don Cagliero ne aveva riferito
in una lettera del 25 maggio: esse potevano avere valore nel processo ordina-
rio, «specialmente dopo la sentenza di S. Alfonso, che il Signore non concede
grazia che non passi per le mani di Maria santissima*. Nella lettera del 13 lu-
glio Don Cagliero concludeva riferendo il parere dell'abrandi sul punto de-
licato del promotore della fede al processo ordinario e sulle domande che que-
sti avrebbe potuto fare ai testimoni:
« P Per gli interrogatori deve interessarsi il procuratore fiscale; il quale, se non vi
è stabilmente, viene nominato dal cardinale arcivescovo».
Dietro il quesito posto da Don Bonetti si affacciava sembrerebbe l'ombra
del canonico Colomiatti, ch'era l'awocato fiscale della curia dal quale anch'e-
gli dieci anni prima era stato inquisito come connivente negli opuscoli calun-
niosi contro mons. Gastaldi. Aiibrandi indicava la via percorribile. Il cardinale
arcivescovo avrebbe potuto nominare di propria autorità per il processo di
Don Bosco un promotore fiscale o promotore della fede che non fosse l'awo-
cato fiscale di ufficio della curia metropolitana.
Dal progetto si passò aii'esecuzione. I n data 17 luglio 1889 Don Rua spedì
a ciascun vescovo della Liguria e del Piemonte la sua lettera. L'ispirazione da
quelia spedita dall'Anglesio nel 1863 è percepibile dall'identità di alcune
espressioni. Come già l'Anglesio, Don Rua chiedeva a ciascun vescovo che,
«cooperando #onore» del servo di Dio Don Giovanni Bosco, volesse essere
«largo de' suoi consigli e del suo aiuto».'Wa lettera Don Rua accluse due
" AS 036 Corrispondenza del procuratore generale.
Un brano della lettera di Don Rua agli arcivescovi e vescovi del Piemonte e deUa Liguria
6 in MB 19, p. 35s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

4.8 Page 38

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relazioni di grazie che umanamente parlando apparivano miracolose, con l'av-
vertenza che si riservava di esibirne eventualmente altre al processo ordina-
rio?)
In luglio e in agosto giunsero a Don Rua le risposte di gran parte dei ve-
scovi. Ovviamente si trattava di lettere elogiative e incoraggianti. Tra le altre
si distinguevano quella di mons. Davide Riccardi, allora vescovo di Novara,
poi arcivescovo di Torino e giudice ordinario deli'ormai intrapreso processo;
l'altra di mons. Basilio Leto, già vescovo di Biella, che nel gennaio 1890 au-
tenticò due relazioni di grazie attribuite ali'intercessione di Don Bosco.24
Nel settembre 1889 fu tenuto il capitolo generale dei salesiani. I membri
furono informati del consenso dato con lettere individuali dali'episcopato pie-
montese e ligure d a causa di Don Bosco. Il 6 settembre a Valsalice quaran-
tanove membri del capitolo generale sottoscrissero i'istanza collettiva al cardi-
nale, perché «usando delle facoltà dali'Apostolica Sede lasciate agli ordinari»
desse inizio al processo diocesano s d a fama di santità e virtù eroiche e i mi-
racoli del servo di Dio Don Giovanni Bosco?'
I1 31 gennaio 1890, anniversario della morte di Don Bosco, Don Rua in-
dirizzò la propria petizione al cardinale, unitamente a quella già sottoscritta
dai membri del capitolo generale. La risposta del cardinale, in data 8 febbraio
1890, fu interlocutoria: avrebbe tenuto la richiesta in debito conto. Era evi-
dente ch'egli personalmente era incline a un processo che scaturiva virtual-
mente dalla commemorazione ch'egli stesso aveva fatto due anni prima del
~divinizzatoredel secolo XIX»; ma forse poteva apparire prematura l'apertura
del processo ad appena due anni d d a morte. L'8 maggio interpellò i suoi col-
leghi vescovi venuti a Torino al convegno delle due province ecclesiastiche, to-
rinese e verceiiese. Intervennero caldamente a favore il vescovo di Fossano,
Emiliano Manacorda, e quello d'Ivrea, Agostino Richelmy. L'assemblea diede
il proprio assenso a unanimità. Di conseguenza quel giorno stesso, 8 maggio
1890, il cardinale Aiiionda decise di aprire il processo informativo per la bea-
tificazione e canonizzazione di Don Bosco.
Frattanto erano assenti da Torino Don Rua e Don Bonetti; il primo, in vi-
sita canonica presso le ispettorie salesiane di Francia, Inghilterra e Belgio; il
secondo, in visita canonica delle case salesiane in Sicilia. Rientrati entrambi,
Don Rua provvide a un ulteriore passo importante. Anziché riservarsi il com-
pito di postulatore della causa, nominò a tale ufficio il 2giugno con apposito
atto di procura Don Bonetti. Poteva apparire una contromossa anticipata,
volta a scongiurare la presenza del canonico Colomiatti nel processo come
promotore della fede.
In realtà già lo stesso Colomiatti si era mosso da tempo. La sua partecipa-
" Erano le relazioni di grazie di Marina Della Vale e Luigia Piovano; cf. un cenno in MB
19, p. 38 e qui, più avanti, l'analisi delle due relazioni, p. 97-107.
AS 160 Lettere postulatorie; qualche brano è in MB 19, p. 36s.
" La supplica dei capitolari è data per intero in MB 19, p. 38-41.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
ziaone come promotore della fede poteva apparire come logicamente richiesta
dal suo ufficio di awocato fiscale della curia; ma nel caso concreto avrebbe
potuto essere un'occasione per risollevare dissidi ormai, a suo stesso giudizio,
superati dalla morte del Gastaldi e di Don Bosco, nonché superati dai rapporti
amichevoli che si erano via via stabiliti tra la curia arcivescovile torinese e la
congregazione sdesiana. Come i sdesiani, anch'egli già nel 1889 si rivolse a
personaggi della curia romana ricevendone come risposta il parere concorde
che nel processo ordinario di Don Bosco non assumesse le parti di promotore
della fede. Monsignor Giovanni Ponzi, sostituto della segreteria della Congre-
gazione dei Riti, interpellato per lettera a proposito del processo di Don Bosco
rispose testualmente il 25 agosto 1889:
«La consiglio a non prendere parte nel processo che si vuole iniziare pel suddetto
[Don Bosco] come parte fiscale, ma soltanto, se verrà chiamato, come testimonio ex of-
f i o . Mora io mi comporterei in merito a quanto so, tanto a favore che a disfavore,
di tale causa; mi atterrei alle strette risposte che richiederà ciascun interrogatorioe non
prevenendo domande né favorevoli né contrarie. Ecco ciò che farei io se mi trovassi
nelle sue c~ndiiioni»?~
Monsignor Agostino Caprara a sua volta approvò l'idea d'inviare diretta-
mente d a Congregazione dei Riti tutti i documenti che riteneva illuminanti in
ordine al processo?' Colomiatti avrebbe potuto inoltrare le sue carie in via
confidenziale, con la possibilità di passare poi opportunamente d a via giudi-
ziaie. Si giunse così all'apertura ufficiale del processo, senza che in esso avesse
ruoli essenziali il canonico che in curia a Torino meno credeva nelle virtù eroi-
che di Don Bosco.
2. Organizzazione del processo ordinario: i giudici, ii promotore della fede,
i testimoni
Il 3 giugno Don Bonetti in qualità di postulatore presentò ai cardinale la
richiesta scritta perché istruisse il processo «super fama sanctitatis vitz, virtu-
tibus et miraculis~del servo di Dio Don Giovanni Bosco. Alla stessa data il
" I1brano di lettera è riportato nel Summnrium ex ofin'o ex procesriculo in Urbe condito anni8
1715-16, edito nella Posifio super dubio: An adducta contra uen. r e m m Dei obstent, quominus in
Causa procediposrit ad ulteriora?, Romse, tip. Augustiniana 1921, p. 4. - U Processiculus apostolica
ouctoritate in Urbe mnstructus cnusz beatifimtionis et cononizationis uen. servi Dei loannis Bosco
rocerdotisfundatoris pie soc+etatis solesiane è presso l'Archivio Segreto Vaticano (= ASV), fondo
S.C. Riti, nr. 4718. Di tutto il processicolo il Summarium da ampi estratti; nella nostra analisi use-
remo citare dal Summarium a stampa.
" Mons. Caprara a Colomiatti, Roma, 14 ottobre 1890; Colomiatti a Caprara,Torino, 12 no-
vembre 1890; cf. Positio super dubio: An adducto mntra (1921), p. 8s. Di queste lettere e di altra
documentazione che a Roma era andata smarrita il Colomiatti inviò a Roma nel 1915 un'ulteriore
trascrizione, autenticata dal segretario e archivista dei Riti, Savignoni, il 21 agosto 1915. Cf. ASV,
Riti, nr. 4718.

4.9 Page 39

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cardinale con apposito rescritto accettava l'istanza, costituiva il tribunale e ne
intimava la prima sessione il giorno successivo nella cappella del palazzo ar-
civescovile.Z8
La scelta dei giudici rispondeva a una certa logica pastorale e procedurale;
come giudice delegato infatti il cardinale scelse il proprio vicario generale, Bar-
tolomeo Roetti; come giudici aggiunti, i canonici Stanislao Gazelli di Rossana
e Luigi Nasi. Roetti era canonico onorario della cattedrale e dottore collegiato
I
in teologia; negli anni del Gastaldi, dal 1873 al 1880, era stato rettore del con-
vitto ecclesiastico e del santuario della Consolata a Torino;29Stanislao Gazelli,
canonico arcidiacono della cattedrale, era dottore in teologia e in ambe leggi,
già elemosiniere e cappellano di corte, più volte nella rosa di episcopabiligra-
diti al clero e alla corte sabauda;'O Luigi Nasi era canonico tesoriere della cat-
" Gli originaii del Processus ordinaria auctoritate mnstnrctus sono a Torino presso l'archivio
della curia arcivescovile; il transunto o copia autentica hpressol'ASV, Riti, nr. 4730-4751; la Copia
publica transumpti processus ordinario auctoritate constructi in aria ecclesiastica Taurinensisuper
fama sonctitatis v i t e uirtutum et miranrlonrm semi Dei loannir Bosco sacerdotisfundotorir pie so.
cietutis salesiane, affidata alla Postulazione salesiana dei processi di beatificazione e canonizzazio-
ne, è ora presso l'Istituto Storico Salesiano (Roma, via della Pisana). La Copiu publica è in sei vo-
lumi manoscritti, autenticati dal cancelliere e archivista della S.C. dei Riti, Gustavo Savignoni, in
data 12 aprile 1899; comprende in tutto 3357 fogli, tutti numerati sul retto; a questa numerazione
fanno riferimento tutti i testi a stampa, a partire dalla Positio super introductione a u s e (summn-
rium et littere postulatorie), Romse, typ. Salesiana 1907. Anche noi citeremo di norma dalla Copia
publica (= Copia pubblica).
Bartolomeo Roetti nacque a Cavour nel 1823; avwa dunque 67 anni quando fu nominato
giudice delegato al processo informativo per la beatificazione di Don Bosco; fu rettore del san-
tuario della Consolata e del convitto ecclesiastico torinese dal 1873 al 1880; entrò nella Piccola
Casa d d a Divina Prowidenza il 21 ottobre 1880; dal cardinale Alimonda venne nominato proprio
vicario generale; morto tra il 4 e il 5 mano 1891 Domenico Bosso, il canonico Roetti venne no-
minato a succedergli come padre e rettore della Piccola Casa; questi a sua volta morl di colpo apo-
plettico a Cavour il 9 maggio 1894, dopo aver retto la Piccola Casa tre anni e due mesi. Su di lui
cfr. «Bollettinosalesianou18 (giugno1896) p. 135; DomenicoFRANCHETII, Storiadella Conrokztn,
Torino, tip. Celanza 1904, p. 419; Il «Cottolengo». Il santo, i'opera, lo spirito, Pinerolo, tip. Cot-
tolengo 1963, p. 44; Igino TUBALDOG,iweppe Allamano. Il suo tempo, la sua uita, h suo opero.
Indici, Torino, Ed. Missioni Consolata 1987, p. 143.
'"tanislao Gaz& dei conti di Rossana nacque a Torino il 18 settembre 1817; aveva dunque
73 anni nel 1890; si laureò in teologia all'università di Torino il 10 maggio 1838 e in ambe leggi
il 19 gennaio 1840; il 15 giugno d d o stesso anno fu ordinato sacerdote; con regie patenti del 13
aprile 1841 fu nominato limosiniere effettivo di corte; in tale carica ebbe la sorte di assistere la
giovanissima principessa Clodde nel matrimonio con Girolamo Napoleone il 30 gennaio 1959; il
21 febbraio 1843 fu nominato condirettore deli'Ospizio generale di Carità e il 28 febbraio 1845
condirettore d d a Mendicità I s t ~ t ai;ncoraggiato dal teologo Borel prestò per qualche tempo la
sua opera all'Oratorio di S. Luigi a Porta Nuova; le sue preferenzeandarono al Cottolengo, dove
volentieri durante la settimana si recava per la catechesi e i servizi più va* fu più volte tra gli epi-
scopabili; come riferisce il suo biografo Nicolis di Robilant (p. 27451, nel 1848 declinò la sede ve-
smvile di Fossano; nel 1867 Bettino Ricasoli lo radiò d d a lista pontificia per le sedi vacanti; nel
1870 e nel 1871 continuò a schermirsi da altre proposte; come canonico della chiesa cattedrale di
Torino, fu eletto vicario capitolare alla morte di mons. Gastaldi (1883),del card. Alimonda (1891)
e di mons. Davide Riccardi (1897); morl a Torino il 19 maggio 1899. Cfr. *Bollettino salesiano»
tedrale e dottore collegiato in teologia, oratore rinomato e ricercato.)' La pre-
senza del Gazelli e del Nasi garantiva l'esperienza che entrambi avevano ac-
quisito come giudici al processo apostolico del venerabile Cottolengo. A loro
volta i salesiani conoscevano i tre giudici per la benevolenza che in vario modo
da sempre avevano d'mostrato verso Don Bosco e l'opera degli oratori.
Erano piuttosto l'accettazione di Don Bonetti a postulatore e la nomina del
canonico Michele Sorasio nell'ufficio di promotore della fede a denotare l'in-
clinazione del cardinale Alimonda e la fiducia che questi aveva nel buon esito
dell'intero pr~cesso.'~
Michele Sorasio era stato segretario della curia metropolitana quando
piombarono nelle mani di mons. Gastaldi, del Colomiatti e di chissà quanti al-
tri ancora, la Strenna pel clero (1878) e poi altri opuscoli che presentavano
Don Bosco, Don Bonetti e i salesiani come vittime dell'orgogliosa anormale ri-
cerca di potere da parte dell'arcivescovo.)' Nella Strenna pel clero si narravano
fatti che solo Don Bosco e pochi altri della cerchia salesiana potevano cono-
scere. Colomiatti si presentò al Sorasio sollecitandolo ali'incriminazione di
Don Bosco e quasi minacciandolo: il Sorasio infatti come segretario della curia
era anche promotore della mensa vescovile; non intervenendo, poteva a sua
volta essere accusato di omissione di atti di ufficio. Sorasio ricusò, perché a
suo avviso non esistevano prove indiziali valide; Don Bosco era troppo assor-
bito dai suoi giovani, aveva troppi motivi per non lasciarsi coinvolgere, non era
tipo da scendere a tali bassezze. «Aggiunsi- ricordava egli stesso in un me-
moriale del 1917 - che lo credeva persino incapace di trattare argomenti di
24 (gennaio 1900) p. 26; Luigi NICOLISDI ROBILANTU, n prete di ieri. il canonico Stanislao Gazelli
di Rorrana e S. Seb~stiano,con documenti inediti, Torino, tip. Salesiana 1901.
l' Luigi Nasi nacque a Torino il 6 febbraio 1821 da Giovanni Antonio, barone di Monaste-
rolo, e da Angela BorsareJi di Rifreddo; aveva perciò 69 anni nel 1890; si laureò in teologia al-
l'università di Torino nel 1842 e fu ordinato sacerdote nel 1844; nel 1849 fu eletto canonico della
chiesa del Corpus Domini a Torino e nel 1862 canonico della cattedrale; in quegli anni si distinse
come predicatore del mese di maggio e quaresimalista a Torino, Genova, Bologna, Firenze, Mi-
lano, Modena e in altre città; morl a Torino il 17 aprile 1897. Cfr. «Bollettino salesianon 21 (mag-
gio 1897) p. 132; G. FRANCESIAIl, canonico Luigi Nasi e POratorio di S. Francesco di Sules, pre-
messo a L. NASI, Quaresimale,vol. I, S. Benigno Canavese, tip. Salesiana 1893, p. W-XX. Fu Nasi
che con il teologo Vincenzo Ponzati, parroco di S. Agostino, nel 1846 cercò di portare Don Bosco
in carrozza dalYOratorio al manicomio; cf. M 0 164.
Michele Sorasio nacque a Caramagna nel 1837; canonico della chiesa metropolitana di To-
rino negli anni del processo ordinario di Don Bosco, fu nominato vicario generale dall'arcivescovo
card. Agostino Richelmy; morl nella carica di canonico arcidiamno della metropolitana a Carama-
gna il 28 agosto 1923. Cfr. aBollettino salesiano» 47 (1923) p. 278.
Strenna pel clero osriu rivista sul calendario liturgico dell'archidiocesi di Torino per l'anno
1878 s d t a da un appellano, Torino, tip. G. Bruno 1878, 8641) p. Oltre che la Strenna faceva
sospettare una connivenza di Don Bosco e di Don Bonetti I'opuscolo uscito verso la fine del mag-
gio 1879: L'arcivescovo di Torino, Don Bosco e Don Oddenino, ossiaforti bufi, seri e dolorosi rac-
contati àa un chierese,Torino, tip. G. Bruno 1879,49-(3)p. Sull'intera vicenda e sugli echi ch'ehbe
a Torino, a Roma e altrove il contlitto fra Don Bosco e mons. Gastaldi si veda ora Giuseppe TU-
NINET~I,Lorenzo GastaIdi 1815-1883..., vol. 11, Roma, ed. Piemme 1988.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

4.10 Page 40

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filosofia, quali si trattavano in uno degli opuscoli»." Colomiatti agitò un
grosso scartafaccio esclamando: «Vede? I1 processo di Don Bosco non lo fa-
remo come l'abbiamo fatto per il Cottolengo»; teneva in mano l'incartamento
di beatificazione del Cottolengo; quello per Don Bosco sarebbe stato di ben
altra natura." Ora invece il processo di beatificazione si faceva. E a sostenere
le parti del fisco era Michele Sorasio, dottore in teologia, non più semplice se-
gretario della curia, ma notaio apostolico e canonico della chiesa metropoli-
tana di Torino. Con lui per giunta era scelto come notaio e attuario del pro-
cesso don Mauro Rocchietti, colui che nel processo criminale intentato contro
Don Bosco e Don Bonetti aveva svolto il ruolo appunto di attuario." il Co-
lomiatti, forse con l'assenso orale e confidenziale deii'arcivescovo Alimonda, a
processo informativo ormai awiato, fece un plico del processo intentato in cu-
ria dieci anni prima e l'inviò a Roma, a mons. Caprara accompagnandolo con
una lunga lettera esplicativa in cui, non domato e con amarezza, notava:
«Osservo per ultimo che il processo ordinario di beatificazione e canonizzazione di
Don Bosco iniziato in questa curia ha per postulatore il Don Bonetti Giovanni, I'indi-
ziato autore dei libelli, per fiscale il canonico Michele Sorasio, che ha fatto da promo-
tore fiscale nei processi per i detti libelli, e per attuario Don Mauro Rocchietti, che fece
pure da attuario in essi. Dal sopra dimostrato, non pare che l'iniziato processo ordi-
nario sia una audace sfida d a verità e un tentare il Signore? che dawero sappiano
niente di quanto sopra il postulatore della Società Salesiana e gli altri superiori promo-
tori?»?'
Le prime due sessioni del processo si tennero nella cappella del palazzo ve-
scovile la mattina del 4 e del 27 giugno. A presiederle fu lo stesso cardinale
Alimonda in qualità di giudice ordinario. Secondo la procedura, alla prima
sessione giurarono i giudici, il promotore della fede, il notaio e attuario Roc-
chietti e poi anche il signor Pietro Aghemo, cursore designato per le convo-
cazioni dei testi e per altre necessità del processo. Alla sessione del 27 giugno
" Sorasio sembra alludere a: La questione rosminiana e i'arhescouo di Torino. Strenna pel
clero compilata dal cappellBno, Torino 1879.
" Michele Sorasio al cardinale Sebastiano Maninelli, prefetto della S.C. dei Riti, Torino, 8
novembre 1917; la lettera originale, inviata a mano, è fra le cane sciolte del Processinrlus (1915-
181, in ASV, Riti, nr. 4718, d anche Posifio super dubio: An adducta mntra (1921), p. 151.154;
è riedita in Responsio ad alior nouas animadversiones ".p.promotoris generalirfidei, 29 ssept. 1926,
Appendix domentorum, p. 35-38; e MB 19, P. 401-403.
>"~auro Rocchietti nacque a Mathi il 9 gennaio 1856; hi ordinato sacerdote nel 1879; hi
cappellano di mons. Gastaldi e poi segretario della curia arcivescovile, ufficio che teneva ancora
attorno al 1920; fu nominato prelato domestico di Sua Santità il 24 novembre 1928, ed era coo-
peratore salesiano; morl a Torino il 2 giugno 1931 a 75 anni. Cf. Positi0 super dubio: An odductn
confra (1921) p. 142; «Rivista diocesana torinese» 7 (15giugno 1931) p. 165; nBollettino salesia-
no» 55 (agosto 1931) p. 256.
" Colomiatti a Caprara, Torino, 12 novembre 1890, in: Posifio ruper dubio: An ndducta mn-
tra (1921), p. 28; copia ms. autentica è nel Procesrin<lus (1915.181, ASV, Riti, nr. 4718: non pa-
ginata.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
il postulatore Don Bonetti presentò al tribunale il fascicolo contenente gli «Ar-
ticoli» predisposti, secondo la prassi, per sussidio dei testi e come base delle
deposizioni. La terza sessione, presieduta dal canonico Roetti, fu tenuta il 23
luglio al mattino nella cappella del seminario arcivescovile. Erano presenti tutti
i testi esibiti dal postulatore, in tutto ventotto. Tutti e singoli giurarono di de-
porre secondo verità e di non rivelare a chicchessia quanto sarebbe stato og-
getto della propria depo~izione.'~
I 2 8 testimoni erano tutti uomini; ma, successivamente, nel corso del pro-
cesso avrebbero testimoniato anche alcune donne. Il più ragguardevole per di-
gnità era mons. Giovanni Battista Bertagna, già rettore del convitto ecclesia-
stico torinese aii'epoca di mons. Gastaldi e ormai vescovo ausiliare di Torino;
seguivano Don Michele Rua, rettor maggiore dei salesiani, il teologo Appen-
dimi e il teologo Leonardo Murialdo, allora direttore del collegio degli artigia-
nelli. Gli ecclesiastici erano in tutto 18, incluso il vescovo Bertagna; 9 erano
sacerdoti salesiani e 8 del clero secolare; i laici erano 10, compresi i 2 coadiu-
tori salesiani Buzzetti e Rossi.
I più avanzati in età erano il teologo Giovanni Battista Appendimi, di 83
anni, professore del chierico Bosco al seminario di Chieri, e Giuseppe Turco,
allora di 81 anni, contadino di Castelnuovo, testimone oltre che dell'infanzia
anche della stima di santo prete che Don Bosco aveva nel paese nativo. Il più
giovane era il prete salesiano Don Secondo Marchisio, di 32 anni, anch'egli na-
tivo di Castelnuovo e in quegli anni nel collegio salesiano di Borgo S. Martino.
In tutto erano 8 i testimoni originari di Castelnuovo d'Asti: mons. Bertagna,
il prete secolare Don Ascanio Savio, il salesiano Don Marchisio e i cinque an-
ziani laici di Castelnuovo e di Moncucco: Giacomo Manolino, che contava al-
lora 59 anni, Giorgio Moglia di 66 anni, Giuseppe Blanchard di 72 ami, Gio-
vanni Filipello di 76 anni, Giuseppe Turco di 81 anni. Con la loro presenza
il postulatore voleva assicurarsi fin daii'inizio testimonianze dirette sui primi
decenni del servo di Dio. La gran parte dei testimoni era residente a Torino
e poteva testimoniare suii'arco di vita che andava dalla maturità alla morte.
I testi indotti dal postulatoreerano: 1. mons. Giovanni Battista Benagna;2. Michele Rua,
sac. salesiano; 3. Giovanni Battista Appenditi, sac. dottore in teologia; 4. Felice Reviglio, teologo
e parroco di S. Agostino a Torino; 5. Leonardo Murialdo, sac., rettore del collegio degli Artiia-
nelli a Torino; 6. Giacinto Ballesio, canonico, teologo, parroco, vicario foraneo a Moncalieti; 7.
Giovanni Battista Piano, parroco deUa Gran Madre a Torino; 8. Ascanio Savio, rettore del semi-
nario arcivescovile a Torino; 9. GiovanniBattista Anfossi,sac., professoredi lettere; 10. Giovanni
Battista Francesia, sac. salesiano, dottore in lettere; 11. Francesco Cermti, sac. salesiano, dottore
in lettere; 12. Giovanni Battista Lemoyne, sac. salesiano; 13. Giuiio Barberis, sac. salesiano, mae-
stro dei novizi; 14. Francesco Dalmazzo, sac. salesiano, dottore in lettere; 15. Luigi Piscetta, sac.
salesiano, dottore in teologia; 16. Gioacchina Berto, sac. salesiano; 17. Secondo Marchisio, sac.
salesiano; 18. Giovanni Giacomelli, sac. secolare, direttore spirituale delle suore Maddalene a To-
rino; 19. Giuseppe Buzzetti, coadiutore salesiano; 20. Giuseppe Rossi, coadiutore salesiano; 21.
Giovanni Bisio, negoziante a Torino; 22. Giovanni Villa, dolciere a Torino; 23. Giuseppe Turco,
contadino possidente a Castelnuovo; 24. Carlo Buzzetti, impresario edile a Torino; 25. Giacomo
Manolino, muratore a Castelnuovo; 26. Giorgio Moglia, contadino possidente a Mon-

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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3. Gli «Articoli» e gli «Interrogatori»
Gli «Articoli» esibiti dal postulatore miravano a un doppio scopo. In sede
previa dovevano servire di sussidio alle persone che accettavano di deporre
come testi; nel corso del processo poi il promotore della fede si riservava di
porre domande ai testimoni su ciascuno degli articoli o su gruppi di essi.
I salesiani diedero subito grande importanza al testo degli Articoli. Già nel
febbraio 1888 il capitolo superiore aveva affidato a Don Bonetti e a Don Gioa-
chino Berto, antico segretario di Don Bosco, il compito di elaborarli sulla base
della documentazione che appunto Don Berto conservava e cono~ceva.'~
Non dovevano mirare gli Articoli a una pura e semplice narrazione crono-
logica della vita di Don Bosco, né soltanto a porre in evidenza gl'interventi di-
vini in favore di Don Bosco, cosi come Don Bosco stesso aveva fatto nelle Me-
morie deli'Oratorio.
La prima parte degli Articoli s d a trama cronologica della vita doveva
porre in luce la fama di santità che si era spontaneamente formata attorno a
Don Bosco sdia base delle virtù poste in pratica.
In una seconda parte dovevano essere presentati distintamente i fatti che
attestavano l'eroismo nella pratica delle principali virtù secondo lo schema ca-
techistico e teologico ormai da secoli assimilato dalla mentalità cristiana: le tre
virtù teologali (fede, speranza e carità), le quattro virtù cardinali (prudenza,
giustizia, fortezza e temperanza), le virtù proprie della vita di una congrega-
zione religiosa (povertà, castità, obbedienza), le principali virtù morali (in par-
ticolare l'umiltà). Schematizzazioni del genere erano familiari al buon laico cat-
tolico anche attraverso quanto sentiva nei panegirici dei santi o leggeva in
scritti agiografici. Ma trattandosi di personaggi di cui si era conosciuta per
esperienza la vita quotidianamente vissuta, tale tipo di analisi comportava una
sorta di operazione mentale disgregante il vissuto che si era percepito e riag-
gregante secondo schemi intellettuali e moralistici: la vita veniva frammentata
e incaseliata secondo quelle che apparivano di volta in volta come le virtù emi-
nentemente esercitate nei fatti che si volevano testimoniare.
A far scaturire l'eroicità erano soprattutto le cosiddette «prove» che il Si-
gnore permetteva, cioè le difficoltà familiari e sociali, le malattie fisiche, le ten-
tazioni e vessazioni diaboliche, l'incomprensione da parte di parenti e di col-
laboratori, di amici e di superiori, autorità civili e religiose. Lo schema agio-
grafico classico delle tentazioni e del loro superamento s'inseriva nel modo di
pensare tipico della religiosità cattolica ottocentesca, delle lotte e dei trionfi
che Dio permetteva o predisponeva. Le incomprensioni e le «persecuzioni»
erano una prova che il giusto subiva; come in Pio VI. e in Pio E,anche in
cucco; 27. Giovanni Filipdo, mercante a Castelnuovo; 28. Giovanni Blanchard, contadino pos
sidente a Castelnuovo. Cf. Copia pubblica, fol. 261.271.
l9 Cf. MB 19, p. 34.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
~ ~ s ecsseopreludevano al trionfo del bene e contrassegnavano la corri-
spondenza alla grazia, la costanza nel bene e l'eroicità nelle virtù.
Una terza parte degli Articoli tendeva a suggerire testimonianze su atti e
fatti singolari che apparivano come denotanti doni soprannaturali elargiti da
~i~ alproprio servo: quelio delle guarigioni miracolose, la conoscenza di cose
occulte, la predizione del futuro libero. I fatti prodigiosi erano come qualcosa
di connaturale per la religiosità dell'800; di un'epoca cioè in cui l'incredulità,
le rivoluzioni, l'apparente sconfitta del bene avevano come contropartita a so-
stegno della fede le apparizioni della Vergine a La Salette, a Lourdes, a Spo-
leto, i prodigi più vari attestati dalle relazioni di grazie e dalle tavolette votive
che si moltiplicavano nei santuari.
Don Bonetti e Don Berto non avevano esperienza nel genere letterario di
Articoli per processi di beatiticazione. Com'era naturale, si prowidero di mo-
delli e riempirono via via quattro quaderni con una quantità abbondante di
episodi.4oLa loro non consumata perizia risultava anche dai suggerimenti e dai
,&evi che fu possibile avere tra il 1888 e il 1889 dal consulente romano Uario
Alibrandi. I1 3 ottobre 1888 scriveva da Roma Don Cesare Cagliero a Don Bo-
<Fuidall'aw. Alibrandi a chiedergli quello che la S.V. desiderava, e pregarlo di leg-
gere e dare il suo giudizio sui Suoi articoli su Don Bosco di venerata memoria t...].
L'avvocato nell'esame degli articoli trovò che in genere sono ben fatti. Teme tuttavia
che andando di questo passo riesqano troppo lunghi, per cui bisognerà che V. S. si at-
tenga alle cose più sostanziali riservando tutte le altre notizie per comporre a suo tempo
" Questi quattro quaderni sono andati perduti. Presso l'AS 161.1 si conservano modelli an-
che stampati di «ANcali»; uno di questi seml di falsariga generale: Indice per compone priuata-
mente articoli sullo vita, oirtù e doni soprannaturali di un seruo di Dio sacerdote e fondntore dlstituti
religiosi, senza luogo e senza anno di edizione, ma che nella sezione «carità verso il prossimo* ha
una data indicativa: «36. D d a sua eroica carità verso il prossimo, provata durante il colèra del
1 8 5 4 ~(p. 7); un altro modello fu con tutta
Gennaro TRANYMLa,nuale theorico-prac-
timm pro confin'endir processibus sive ordinariis sive apostoli& in causis beatifcationis et canoni-
rntionis seruomm Dei ex doctrin~Benedictipp. XIV et proxi S. r [romanre]. c [uriz] exce>ptumad
usum orchiepismpnlis arie neapolitanre, Neapoli, typis Fibrenianis 1876, dove si trova l'esordio
... stereotipo adottato da Don Bonetti negli articoli per Don Bosco: «P Qualmente la verita fu ed
è che il SeNO di Dio N.N. nacque in...nel giorno... nella chiesa... ebbe i nomi Z0 Che i genitori
del SeNO di Dio erano persone...D (p. 148s). Gli Articoli per Don Bosco recitano: « l . Qualmente
la verità fu ed è che il servo di Dio Giovanni Melchiotre Bosco nacque nella sera del 16 agosto
deil'anno 1815 [...l.2. Qualmente la verità fu ed è che la madre del servo di Dio...». Cf. Copia
pubblica, fol. 28rv; l'intera trascrizione degli anicoli occupa i fogli 281-2261,A Roma a quanto pare
i salesiani procuratori e postulatori delle cause si prowidero del manuale composto da Luigi LAU-
M, Codex pro postulotoribus comarum beatifiationis et canonizationis in I1 volumino digestum,
Romre, Monaldi 1879; un esemplare con il timbro dell'Ospizio S. Cuore di via Marsala a Roma
è ora all'Univ. Pontificia Salesiana, bibl. del Centro Studi Don Bosco. Delllndiceper componepri-
vafamentearticoli si conserva un esemplare interfogliatoe postillato da Don Bonetti in AS 110 Bo-
netti.
Cf. AS 036 Procuratore generale.

5.2 Page 42

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una vita del servo di Dio. Perciò egli sarebbe di parere di togliere quegli articoli che
strettamente non lo riguardano, come sarebbero il 3, 4 , 5 ove si fa l'elogio deiia madre,
che potrebbe compendiarsi in poche espressioni. Crede poi che parecchi articoli po-
trebbero togliersi dalla esposizione deiia vita e trasportarsi con maggior profitto sotto
il titolo di quelle virtù a cui i fatti narrati nell'articolo si riferiscono, indicando però il
tempo in cui awennero. Cosi sotto il titolo della fede porterebbe la parte seconda del-
l'articolo 62 e gli articoli 58, 59, 72. Sotto il titolo de caritate in Deum gli articoli 3,
5, 37, 78 (odio ai peccato e zelo per impedirlo). Sotto l'ubbidienza l'articolo 16. Sotto
il titolo dei doni soprannaturali gli articoli 80, 81».
I1 25 maggio 1889 aggiungeva:
«Ho ricevuto il terzo quaderno e Le rimanderò subito gli altri che ho ritirati sta-
mane dali'awocato. Il giudizio generalesul Suo lavoro è quello stesso già espresso dopo
la lettura fatta l'anno scorso dei primi articoli. In dettaglio ecco le cose che ha fatto ri-
levare e che propone [...l. 329 Dopo questo articolo conviene aggiungerne qualche al-
tro per completare la trattazione della giustizia. A questo compimento manca il "ne-
minem Izedere" nella fama. Manca la "pietas" verso i genitori, la "veracitas" e la "af-
fabilitas" [...l.359 Cangi l'espressione "costole fritte": qui a Roma ha un senso di wi
piatto gustosissimo di carne [...l. Queste e non più sono le osservazioni o le correzioni
fatte dali'aw. Alibrandi.
Stamane gli ho fatto passare pulitamente neiie mani la somma di L. 10. La ringrazia
tanto tanto e Le presenta i suoi rispetti da estendersi ai signor Don Rua».
Nella lettera del 20 giugno 1889 Don Cagliero comunicava tra i'altro il sug-
gerimento di «togliere la profezia del trionfo della Chiesa verificato nel giubi-
leo sacerdotale del S. Padre Leone XIII». Di gran «trionfo» si parlava nel so-
gno cosiddetto di S. Benigno o «sogno dei diamanti» del 1881." L'awocato
Alibrandi non si opponeva alla presentazione di sogni come indizio di spirito
profetico, ma suggeriva di togliere l'indicazione di quel tipo di aweramento.
In tal modo, forse per intuito, suggeriva una qualche copertura su una delle
caratteristiche non rare nei sogni predittivi che Don Bosco esponeva con al-
lusioni sfumate e vaghe a eventi futuri, che poi egli stesso o altri tendevano a
riconoscere in fatti specifici, una volta accaduti.
Aderendo in pane alle sollecitazioni dell'awocato Alibrandi Don Bonetti
e Don Berto ridussero e quasi dimezzarono il testo dei loro articoli portandoli
da oltre 800, quanti erano nei quaderni inviati a Roma, a 408 nella redazione
definiti~a.4D~on Bonetti a sua volta pose mano ai Cinque lustri di stona del-
l'Oratorio salesiano fondato dal sacerdote D. Giovanni Bosco, volume che ap-
parve postumo nel 1892." I Cinque lustri non erano una biografia, né un'opera
Cf. STELLA, Don Bosm nella stona della religiorità cattolica, D,p. 531.
" Da correggere dunque quanto scrivono le MB 19, p. 44: .Gli Articoli presentati per Don
Bosco erano in numero di 8072: tanti erano quelli dei quaderni sottoposti al parere dell'awocato
Alibran~d~i~. -
q
<
Cinque
lustri di
storia
delI'Oratorio
salesiano fondato
dal
racerdote D.
Giovanni
Bosco, pei
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
agiografica che concludeva descrivendo le virtù, la preziosa morte e l'apoteosi
dei miracoli post mortem. Seguendo l'ispirazione che Don Bosco stesso aveva
nelle Memorie dell'oratorio, Don Bonetti nei Cinque lustri narrava gli
sviluppi degli oratori giovanili a Torino, ma partendo dalla nascita stessa di
Don Bosco e finendo per mettere in evidenza di lui le gesta fino al viaggio a
Firenze nel 1865, tra il fare giocoso, l'abilità e la fiducia nell'intervento divino.
I Cinque lustri tendevano a tenere vivo il ricordo di Don Bosco neli'opinione
pubblica. In ordine al processo avevano anche lo scopo di fornire più ampia
materia alle deposizioni dei testi.
Gl'interrogatori, approntati dal promotore ed esibiti ai giudici già nella
terza sessione, erano appena trentadue. Non si trattava di domande che il pro-
motore ripeteva in termini identici ai singoli testimoni che comparivano, ma
una traccia elastica su blocchi di argomenti?'
Il primo blocco era di natura previa e mirava a stabilire che il teste era de-
gno di fede e sincero in ciò che dichiarava.
In ordine a un'analisi della pratica religiosa la domanda più interessante
era la terza: dnterrogetur an, quolibet anno, precepto Ecclesiz, quoad con-
fessionem et communionem, satisfecerit; et an solitus sit infra annum ad sacra-
.m..e-n- ta accedere. et q-uando ultima vice hoc f e ~ e r i t » ?A~i testimoni laici il pro-
motore chiedeva se facevano il precetto pasquale e se frequentavano il sacra-
mento della confessione e la comunione eucaristica; ai preti chiedeva se cele-
bravano la messa e se usavano confessarsi con frequenza. I preti, stando alle
verbalizzazioni, dichiaravano che fin da chierici avevano preso l'abitudine di
confessarsi settimanalmente, e poi da preti usavano celebrare la messa tutti i
giorni. I due salesiani laici, Buzzetti e Rossi, dichiararono che da giovani ave-
vano l'abitudine di confessarsi mensilmente, da salesiani si confessavano tutte
le settimane e si comunicavano quasi tutti i giorni. Stando sempre ai verbali,
analoga risposta diedero le suore: la domenicana suor Fiomena Cravosio, le
figlie di Maria Ausiliatrice Teresa Laurentoni e Rosa Ferrari. La Cravosio il 29
a ~ r i l e1896 dichiarò: «Ho sempre adempiuto al precetto pasquale, anzi fin da
g'iovinetta frequentava i sacramenti almeno ogni mese, e poi entrata in reli-
gione mi confesso settimanalmente e mi accosto alla santa comunione quasi
ogni giorno». La marchesa Azelia Ricci des Ferres, ch'era allora di 49 anni, il
29 aprile 1896 depose: « H o sempre adempiuto al precetto pasquale, anzi mi
accosto regolarmente ai sacramenti ogni settimana». Luigia Fagiano, di 50
a r a del sacerdote Don Giovanni Bonetti suo nllieuo, Torino, tip. Salesiana 1892, XV-744 p. in -8;
il proemio è sottoscritto da Don Francesia con la data di Torino, 1. giorno deUa novena di Maria
Assunta in Cielo 1891 (p. XV).
45 Gl'interr~~atosorino agli Atti del processo in aggiunta a quelli della sessione 481 (2 luglio
1896);Copia pubblica, fol. 32131-3220v, explicit: «Datum Taurini, die vigesima tenia mensis iuiii
anno millesimo octingentesimo nonagesima. Canonicus Michael Sorasio promotor fiscalis curise
archiepiscopalis». Anche gl'interrogatori seguano la falsariga indicata da Gennaro Trama.
Copia pubblica, fol. 3214r.

5.3 Page 43

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anni, maritata con Tommaso Piovano, una delle graziate per intercessione del
servo di Dio, il 24 aprile 1896 dichiarava: «Dimoro in Torino, sono povera e
madre di famiglia. Ho sempre adempiuto al precetto pasquale, anzi sono abi-
tuata da undici anni in qua ad accostarmi ai sacramenti ogni settimana e faccio
la comunione quasi quotidianamente».
Anche il drappello degli anziani laici castelnovesi si dichiarò osservante e
praticante; si accostava ai sacramenti nelle «feste principali dell'anno*, vale a
dire a natale, a pasqua, nella festa parronale, forse anche a Pentecoste, alle fe-
ste dell'Assunta e del Rosario. Essendo ormai deceduto Giuseppe Blanchard,
si presentarono a testimoniare in quattro neUa pausa dei lavori estivi, tra il 4
e il 10 luglio 1892. Interrogato dal Sorasio, Giacomo Manolino, di 60 anni,
muratore domiciliato a Castelnuovo, rispondeva il 4 luglio: «Io ho sempre,
grazie a Dio, adempiuto il precetto deUa pasqua fin dalla mia gioventù ed ho
sempre continuato ad adempirlo; sono abituato ad accostarmi ai sacramenti
della confessione e comunione in tutte le feste principali dell'annon. Giovanni
Turco, proprietario in paese, di 82 anni, rispose il 6 luglio: «Da buon cristiano
ho sempre osservato il precetto pasquale fino al presente; anzi è mia abitudine
accostarmi ai ss. sacramenti in tutte le feste principali dell'anno ed anche più
sovente e di compiere tutti gli altri doveri del buon cristiano». Giovanni Fi-
lipello, di 77 anni, negoziante domiciliato a Castelnuovo, 1'8luglio depose: «Io
ho sempre, grazie a Dio, adempiuto al precetto pasquale fin dalla mia giovi-
nezza fino al presente e son solito accostarmi ai ss. sacramenti in tutte le feste
principali dell'anno; ed ogni domenica e festa mi compiaccio di fare pubbli-
camente la Via Cwcis nella chiesa parrocchiale e dire il rosario». Giorgio Mo-
glia, di 67 anni, contadino a Moncucco e proprietario di alcuni beni stabili del
valore di lire 20.000, il 10 luglio rispose: «Ho sempre soddisfatto al precetto
pasquale della confessione e comunione, e sono solito ad accostarmi ai sacra-
menti nelle feste principali dell'anno, e l'ultima volta è stato 15 giorni fa».
I1 secondo blocco di domande verteva sdla vita, dall'infanzia alla morte,
del servo di Dio; nonché s d e opere di carità verso i giovani, i'istituzionaliz-
zazione ed espansione della società salesiana. Seguiva un terzo blocco di do-
mande relativo alle virtù teologali, cardinali e morali. Un quarto gruppo ri-
guardava la fama di santità: su che cosa era fondata, se perdurava, come si ma-
nifestava. Infine il promotore a ciascun teste chiedeva che cosa personalmente
pensasse dell'eroicità canonizzabile del servo di Dio e se nondimeno in lui
avesse notata qualche debolezza.
Dal modo come poi gl'interrogatori vennero concretamente condotti ci si
persuade che nei convincimenti del Sorasio il punto culminante di tutti i suoi
interventi stava nel chiarire quale era stato il comportamento di Don Bosco nei
confronti deli'arcivescovo Gastaldi; e in particolare, nel chiarirne l'atteggia-
mento circa gli opuscoli che avevano attaccato l'arcivescovo, le attinenze di
questi con la filosofia rosminiana, la linea pastorale. Come ebbe a dire il ca-
nonico Corno nel 1896 deponendo al processo, a giudizio dello stesso arcive-
scovo Davide Riccardi, successore dell'iiiimonda a Torino, quello era il punto
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
più delicato o l'ostacolo più forte al processo di beatificazione di Don Bosco.4'
sorasio elaborò il suo interrogatorio con accortezza. Dopo aver predispo-
,to di chiedere al teste se conosceva istituzioni fondate dal servo di Dio e se
conosceva dove nel mondo si fossero diffuse, sarebbe passato a domandare se
mai avesse sentito dire di vessazioni, persecuzioni e cose simili che il servo di
Dioavesse patito dalle autorità civili; se sapesse poi come le cose si fossero ri-
solte; e se dopo questi episodi il servo di Dio avesse prestata obbedienza alle
autorità civili ovvero avesse macchinato contro di loro. Queste domande, pre-
disposte negli interrogatori 18 e 19, servivano quasi di naturale transizione alle
domande successive dell'interrogatorio 20: «Si chieda al teste se conosca per
esperienza diretta o indiretta che il servo di Dio abbia prestato il dovuto ri-
spetto e ossequio con le parole e con gli scritti ai suoi superiori ecclesiastici;
oppure se talora abbia loro resistito. Se il teste avrà dichiarato di conoscere
contrasti o liti del servo di Dio con i suoi superiori, si inviti a esporle, e che
indichi per quali motivi siano sorti e per causa di chi: se per responsabilità del
servo di Dio o di altri. Esponga quale giudizio in proposito abbiano espresso
persone rispettabili e giudici competenti: se cioè il servo di Dio abbia voluto
soltanto sostenere i propri diritti e difendere una buona causa oppure no; se
il servo di Dio sia stato paziente nel sopportare le contraddizioni, oppure piut-
tosto se ne sia lamentato e con quale scopo; se nel difendere se stesso e i suoi
abbia mancato alla giustizia e alla carità; se abbia amato coloro che lo contrad-
dicevano e abbia pregato per loro; se sia venuto loro incontro facendo del
bene oppure danneggiandoli; se abbia o no reso ragione di quello che cono-
cev va».^'
.~Aila mente del promotore si presentavano anche altri punti, riguardo ai
ouali c'erano dubbi da chiarire, obiezioni alle quali rispondere, documenta-
zione comunque da fornire.
All'Oratorio di Valdocco e negli ambienti salesiani si era consolidata la
fama di Don Bosco taumaturgo e profeta; si ricordavano guarigioni ottenute
dopo ch'egli aveva impartita la benediione di Maria Ausiliatrice, predizioni di
morte o di altro, manifestazione di cose occulte. Ma di fatti del genere avevano
scritto con sarcasmo i fogli anticlericali; e comunque negli ambienti ecclesia-
stici di Torino e del Piemonte vari fatti apparentemente singolari non venivano
interpretati secondo la lettura accreditata dai salesiani, da molti loro sosteni-
Dei " Cf. avanti, p. 92.
4a Copin pubblica, fol. 32171: «Vigesimo. Interrogetur s n sciat ve1 dici audierit, s e m m
voce et scriptis debitam reverentiamet obsequium superioribussuis ecclesiasticis semper e x h w -
se, "e1 ipsis aliquando restitisse; quod si affimaverit contradictiones ve1 lites cum ipsis habuisse,
dicat, qua: fuerint, qua de causa excitatz, a quibus; an illis aliquam causam forsitan ipse dederit:
an "in probi et iudices competentes existimaverint ipsum tantummodo iura sua et causam bonam
defadisse; ve1 e contra: an patienter et hilari w l t u eas contradiniones pertulent, ve1 potius de
iis questus sit, et qua fine; an in sui ve1 suorum defensionem iustitiz ve1 charitati nunquam d:-
-fe-c-e-r-i-t: an contradictares dilexerit, pro eis rogaverit, ve1 beneficiis affecerit, aut afficere concupi-
~ ~ r irted, dendo in omnibus sua: scientiz rationem,,.

5.4 Page 44

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

5.5 Page 45

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Don Berto, i giudici sentirono il bisogno di una sosta. I1 notaio e attuario Roc-
chietti verbalizzava che a Torino in quei giorni imperversava cnovus morbus,
italico idiomate influenza,ita ut incolarum huius civitatis qui e vivis obiemnt
numerus duplicatus fuit przordinario*. E i tre giudici erano &incirca tutti
settantenni.
Il processo riprese abbastanza presto, il 26 gennaio 1892. Quel giorno i
giudici tennero la sessione 57 con l'ascolto del salesiano Don Secondo Mar-
chisio.
Altri fatti intanto avevano portato a un ulteriore awicendamento di giudi-
ci, d a nomina di un nuovo postulatore e a un certo assottigliamento nella rosa
dei testimòni. Il 20 maggio 1891 morì l'impresario Carlo Buzzetti, già presen-
tato come teste; il 31 dello stesso mese morì il cardinale Alimonda; il 5 giugno
fu la volta di Don Bonetti, postulatore della causa; il 14 luglio mori il teste
Giuseppe Buzzetti, coadiutore salesiano, fratello di Carlo. Il canonico Gazelli,
eletto vicario capitolare, divenne per ciò stesso giudice ordinario. In tale veste
convocò la sessione 19 il 22 giugno 1891 e ricostituì il tribunale. Giudice de-
legato fu nominato il canonico Molinari; come giudici aggiunti furono nomi-
nati il canonico Ramello e Marco Pechenino, canonico onorario deiia colle-
giata di Giaveno. Quest'ultima nomina doveva essere particolarmente gradita
ai salesiani, data la strettissima amicizia che legava il Pechenino a Don Bosco
e aU'Oratorio (dove, oltre tutto, Pechenino stampava i suoi libri sc~lastici).~'
Come postulatore della causa fu nominato Don Domenico Belmonte, membro
del capitolo superiore dei ~alesiani.~'
Quale arcivescovo a Torino fu traslato da Novara mons. Davide Riccardi.
Questi, convocata la sessione 67 il 19 aprile 1892, nominò come giudici dele-
gati il Gazelli e il Molinari; come giudici aggiunti, il Ramello e il Pechenino.
La doppia nomina di giudici delegati era motivata dal fatto che Gazelli copriva
anche l'impegnativa carica di vicario generale.
113 luglio 1892 moriva il teste teologo Appendimi; il 5 gennaio 1893 era
la volta del teste Giuseppe Blanchard; il 13 settembre successivo decedeva il
giudice delegato canonico Molinari. I1 Gazelli e il Ramello non se la sentivano
di continuare. Il primo, per gli aggravi che gli venivano daufficio di vicario
generale; il secondo, per motivi di salute.
l' Marco Pechenino nacque a S. Giorgio Canavese; si laureò in teologia all'università di To-
rino; conobbe Don Bosco già attorno al 1852; per vari anni fu professore di seconda ginnasiale,
oltre che nel ginnasio Cavour di Torino, anche all'Oratorio di Valdocco; insegnò quindi nel se-
minario vescovile di Bra e in quello di Giaveno; d d a chiesa collegiata di questa città fu canonico
onorario e in tale qualità poté avere i requisiti per poter essere giudice al processo ordinario di
Don Bosco; mori a Torino il 27 dicembre 1899 all'età di 79 anni. Cf. *Bollettino salesianou 24
" (febbraio 1900) p. 56.
Domenico Belmonte nacque a Genola (Cuneo) il 18 settembre 1843; fu ordinato sacerdote
a Torino il 16 aprile 1870; fu prefetto generale d d a congregazione salesiana dal 1886, allorcbé
Don Rua dal capitolo generale venne confermato vicario di Don Bosco; mori a Torino il 17 feb-
braio 1901. Cf. Dinon. biografico dei Sale~iani,p. 34s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
I l 9 aprile 1893 l'arcivescovo Riccardi ricostituì ancora una volta il collegio
giudicante. Giudice delegato nominò il canonico Carlo Morozzo della Rocca;
giudici aggiunti, il teologo awocato Gaspare Alasia e il canonico Pechenino.
Morozzo della Rocca apparteneva a una famiglia di antica nobiltà. Da giovane
aveva conosciuto il teologo Borel e incoraggiato da questi, quand'era ancora
universitario, era entrato nello stato ecclesiastico. Chierico e giovane
prete aveva aiutato le domeniche &Oratorio di S. Luigi a Porta Nuova e nel
corso della settimana aveva prestato la sua opera con catechismi e servizi vari
nella Piccola Casa della Divina Prowidenza. Nominato elemosiniere di corte,
era stato collega di Stanislao Gazelli. Tale carica non gli aveva impedito di
continuare i suoi servizi al Cottolengo come catechista e confessore. Quando
ebbe l'ufficio di giudice al processo di Don Bosco, era canonico arciprete deiia
metropolitana?' Il teologo awocato Gaspare Alasia era a sua volta in quegli
anni segretario generale del regio economato.14Così costituito, il collegio giu-
dicante non ebbe ulteriori mutamenti. Le sessioni seguirono con regolarità,
a>ua-s~i s~emore nella cappella privata del canonico Pechenino, iniziando in ge-
nere alle quattro o ali; quatiro e mezzo del pomeriggio.
Ultimo a deporre s d a vita e le virtù di Don Bosco fu Antonio Berrone,
canonico onorario della cattedrale di Torino. Chiamato come teste ex officio,
fu esaminato d d a sessione 456 d a 464, sessioni tenute dal 12 al 23 marzo
1896. Dopo il Berrone furono esaminate varie testimonianze a proposito di
guarigioni miracolose menzionate negli Articoli esibiti dal postulatore Don Bo-
netti.
Il 1- aprile 1897 fu chiuso il processo informativo. Durò in tutto 562 ses-
sioni. Le verbalizzazioni negli atti originali riempirono ventidue volumi di
5346 pagine formato protocollo.
Frattanto erano deceduti altri testi e personaggi coinvolti nel processo. I1
26 gennaio 1894 morì a Roma Ilario Alibrandi; il canonico Bartolomeo Roetti
morì a Cavour il 9 maggio di quell'anno per un colpo apoplettico; il salesiano
Don Francesco Dalmazzo, ferito mortalmente da un chierico del seminario ve-
scovile, morì a Catanzaro il 10 marzo 1895...
In quegli anni al processo di Don Bosco si affiancava, e sotto certi aspetti
si articolava o si contrapponeva, quello informativo per la beatificazione di
Don Giuseppe Cafasso, iniziato il 22 febbraio 1895. Ne era giudice delegato
il canonico Gazelli; promotore della fede era il canonico Emanuele Colomiatti,
ch'era anche provicario generale dell'arcivescovo Riccardi. Furono indotti 27
'' Carlo Morozzo della Rocca nacque a Savona il 14 aprile 1824; come elemosinieredi cone
fu anche cappellano militare; nella campagna del 1859 Vittorio Emanuele iilo volle vicino («Caro
abate, se mi vedesse in pericolo, mi benedica e mi assolva»);morì a Torino il 22 novembre 1899.
Cf «Bollettino salesianor>24 (gennaio 1900) p. 26.
'' Gaspare Alasia, teologo e avvocato collegiato, morì a Torino il 27 dicembre 1904 all'età
di 80 anni. Cf. «Bollettino salesianon 29 (maggio 1905) p. 157: «Dotato di vasta coltura e di modi
semplici e conesin.

5.6 Page 46

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testi. Nessuno di essi era salesiano. A deporre furono tuttavia chiamati come
testi mons.
I1 processo
Bertagna, Luigi
del Cafasso du
Nasi, Carlo
rò quattro
aMnnoir;ozfzuopdeerlclaiòRpoicùcab. rFeevlei,c-e-r. iRs.p-ee.vt-D ito~--l.ian
p
i
della nostra santa religione e della Chiesa, e perché sono persuaso che egli lo me-
rita» (interr. 8).
queiio di Don Bosco. Furono tenute 243 sessioni, furono riempiti 1655 fogli
«Ho sentito tante persone a dire: chi sa quando santifichino Don Bosco? Se non
e fu chiuso il 27 marzo 1899."
santificano lui, chi santificheranno ancora? Questo l'ho sentito anche sul mercato di
Chieri. Certo che le opere che ha fatte sono straordinarie. Questa fama di santità con-
5. I1 confitto con mons. Gastaldi, la fama di santità e i doni soprannanirali
nelle dichiarazioni dei testi
tinua tuttora anche dopo la sua morte* (interr. 29).
Variegate furono le risposte che diedero i testi appartenenti al clero seco-
lare. Leonardo Murialdo, che aveva prestato la sua opera negli oratori negli
Agl'interrogativi che più premevano le risposte dei testi al processo non fu-
rono tutte completamente uniformi.
anni deiie origini e che dopo il 1870 aveva collaborato con il Gastaldi nell'or-
ganizzazione degli operai e di altri gruppi del movimento cattolico, dichiarò al
Era owio che gli anziani testimoni laici reclutati nella zona di Castelnuovo
conoscessero appena e indirettamente i contrasti tra il loro compaesano e i'ar-
civescovo Gastaldi. Sul merito deile divergenze nulla sapevano dire in partico-
processo che dalla «voce pubblica» aveva saputo di «qualche urto» tra Don
Bosco e l'arcivescovo; ma aggiungeva che non aveva avuto nessuna occasione
«di conoscere la causa di queste dissensioni e nemmeno come siano termina-
lare; che anzi in sostanza queiie erano per loro irrilevanti, tanto erano radicati
nel convincimento che Don Bosco era un santo e tanto viva era la speranza di
sentirlo proclamato dal papa come da venerare sugli altari. Si direbbe che in
te». Preti secolari come Reviglio, Piano, Anfossi si espressero in termini tali da
lasciar capire che a loro parere il torto stava dalla parte di mons. Gastaldi e
che Don Bosco, nelle difficili situazioni in cui era venuto a trovarsi, aveva dato
loro giocassero insieme l'esperienza che avevano del buon prete di campagna
e i'idea acquisita per via catechistica della santità canonizzabile. I1 santo non
prove continue di buona volontà, di prudenza e di rispetto.
Oscillante tra benevolenza, comprensione, giustificazione e critiche fu il
era più per loro, come per la cultura religiosa arcaica, il santo patrono locale
o il santo taumaturgo da invocare per bisogni particolari, Tra i santi da vene-
primo teste al processo, mons. Bertagna. In risposta all'interrogatorio vente-
simo dichiarò:
rare e invocare poteva trovar posto un compaesano che loro avevano conosciu-
to.
Giacomo Manolino dichiarò che sul punto dell'interrogatorio ventesimo
(rapporti con i superiori ecclesiastici) non era informato; quanto alla fama di
santità asserì che in paese presso la popolazione c'era «molta divozione verso
«So che il servo di Dio ha ricevuto qualche osservazione non favorevole sull'anda-
mento della sua Casa dali'arcives~ovodi Torino monsignor [Alessandro] Riccardi di
buona memoria; giudicava il predetto arcivescovo che Don Bosco immaturamente
desse ufficii ai suoi giovani, quando questi non erano abbastanza capaci di sostenerli,
poiché talora Don Bosco dava l'ufficio di assistente ne' suoi collegii a giovanetti che,
Don Bosco*: «So che molti si raccomandano alle sue preghiere».
può dirsi, erano appena puberi; e talora l'ufficio di direttore di collegio o simii a chi
Giorgio Moglia all'interrogatorio ventesimo rispose:
appena era sacerdote. Nel qual punto pare che monsignor Riccardi non procedesse
«Ho sentito a dire da Don Cocchis, direttore della Colonia agricola vicino al mio
paese iMoncuccol, che Don Bosco ebbe qualche questione coll'arcivescovo di Torino
monsignor Gastaldi, ma non so per quale motivo e come siasi terminata tale questione.
D'altro non sono affatto informatos.
senza fondamento, quantunque Don Bosco si scusasse sul gran bisogno che aveva di
questi giovani. So ancora che ha poi avuto qualche altra controversia con monsignor
Gastaldi arcivescovo di buona memoria, se non erro per l'approvazione della sua con-
gregazione. Parmi che una volta, incontratomi con Don Bosco, parlasse deli'arcive-
scovo con alquanto ardore. Del resto in quel tempo io ero lontano da Torino e, o non
All'interrogatorio ottavo e al ventinovesimo espresse l'opinione sua e di al-
conobbi mai bene il merito della detta questione, o veramente non lo ricordo».
tri sdia santità di Don Bosco:
Per un'informazione più completa sarebbe stato opportuno convocare al
«Se ho bisogno di grazie del Signore, io ricorro a lui per ottenerle. Io desidero
processo come testi il canonico Tommaso Chiuso, già s e g r ~ a r i odi mons. Ga-
ardentemente la sua beatificazione, e se fosse necessario solamente che io andassi
staldi, e l'avvocato fiscale Colomiatti. Si sapeva infatti che molte carte del de-
a piedi sino a Roma, io lo farei ben volentieri; e ciò unicamente a gloria di Dio, ad o-
funto arcivescovo erano in mano del Chiuso, che il Gastaldi aveva costituito
d a morte erede fiduciario di vari suoi beni. Senonché il Chiuso dopo di allora
" una rapida informazioneLuigi NICOLIDSI ROBILANViTla, del ~enernbileGiureppe Cn-
farro mnfon&tore del Convitto ecclesiastim di Tonno, ii, Torino, tip. Salesiana1912, p. 446; dati
più analitici sono in TUBADOG, iuseppe Aliamano. Ilsuo tempo, In sua vita, In rua opera: cf. Indin,
p. 70s.
era stato al centro di una squallida vicenda. Preso daiia passione del gioco di
borsa, si era ingolfato nei debiti giungendo ad alienare beni civilmente intestati
a lui, ma che di fatto erano della curia e della Chiesa torinese; tra l'altro aveva
tentato di vendere 1'Eremo sulle colline di Torino, ch'era in quegli anni usato
come soggiorno estivo dei chierici seminaristi. I117 gennaio 1894 I'arcivescovo
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

5.7 Page 47

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Eccardi intentò al Chiuso un processo canonico. Giudici furono designati i
canonici Emanuele Colomiatti provicario generale, Giovanni ~ ~ tverltuccia ~ ~
penitenziere della cattedrale, Giuseppe Mamano rettore del convitto ecclesia.
queramo stico. 11Chiuso non comparve processo. L'l1 aprile di
fu con-
dannato in contumacia, radiato dagli uffici ed espulso dal capitolo della chiesa
cattedrale." In quella situazione era inutile convocarlo come teste di ufficio al
processo di Don Bosco.
N3nostante gli screzi personali precedenti, il promotore della fede sorasio
si riprometteva di chiamare ex officio il colomiatti; senonche, manifestata la
propria intenzione all'arcivescovo, si ebbe una risposta per
incoraggian-
te: <<Chnee sa quel là di Don Bosco (cosa n'a sa col là.'d ~ ò ~ ~ h )s?o>ra,si,o :
immaginò di capire che I'arcivescovo non gradiva la chiamata del colomiatti,~7
Bisognava comunque provvedere ulteriore documentazione appagante,
Nel 1895 i salesiani indussero Don Giovanni Turchi a presentarsi come teste,
Questi depose senza svelarsi espressamente come autore di alcuni opusco~av~.
versi al Gastaldi e senza rivelare ch'era coinvolto nella redazione e nella
stampa degli altri; negò tuttavia risolutamente ogni partecipazione di
sto e, finita la deposizione, consegnò ai giudici un
accuratamente sigil.
lato e minutamente descritto sui verbaii dal notaio ~ ~ ~ ~da ihnviaire ~alla~ ~ i
Congregazione dei &ti a Roma. Tutti sicuramente capirono che i salesiani mi.
ravano a neutralizzare le mosse del canonico Colomiatti; come tardi com.
meritò il sorasio, tutti capirono che Don Turchi si dichiarava autore di quegli
o~uscofci he il Colomiatti si ostinava ad attribuire da responsabilità di
Bosco.18
I h m z i a n d o a chiamarlo, il Sorasio ritenne di assolvere al suo compito
corno, convocando ex officio tre altri ecclesiastici: il canonico ~i~~~~~~
cari.
c e h r e deUa curia arcivescovile torinese, Antonio Berrone, canonico della me-
tropolitana e il teologo Domenico Bongiovanni. 1tre testi erano tutti antichi
allievi delyoratorio, ma si sapeva che il teologo Bongiovanni aveva intentato
lite a Don Bosco per questioni di successione ereditaria, e aveva vari motivi di
attrito con il suo antico benefattore. A segnalare Bongiovanni ai giudici era
stato esplicitamente mons. Bertagna nel corso delle sue deposizioni. testi.
n~onianzedel Bongiovanni, come diremo, risultarono nella sostanza molto si.
mili a quelle del Beflagna, mentre quelle dei due canonici furono chiaramente
favorevoli a Don Bosco anche
Gastaldi.
In tema di fama di santità e
" Cf. TUBALDGOi,useppe Alla
" Lettera di Sorasi0 al card. prefet
super dubio: An adducta contra (1
" Lettera di Sorasio, ci[., P. 15
scoli; e perciò era sfumata i'accusa che
rimo difensore il canonico Colomiani».
distinzioni e prospettò riserve.'9 Richiesto dal Sorasio se Don Bosco era
~ etto di venerazione mentr'era vivo, rispose che in effetti non si poteva *in
modo alcunonegare>>che «ilservo di Dio fosse in venerazione a molte e gravi
ptee,r>s,oMnea
era in vira, e specialmente da alcuni anni
conveniva distinguere tra santità in senso stretto
prima della sua mor-
e santità in senso lar-
go, Egli
suo
non era
gradodi
personale
B~~~~nerultimo
chiarire quale era il sentimento altrui in proposito.
era che, nonostante qualche caratteristica <ama-
decennio di vita avesse avuto un compoflamento
veramente da <(santo>,v, ale a due aveva d'mostrato stabilità e maturità emi-
nenti nelpesercizio delle virtù cristiane: era stato dunque interiormente unsan-
mio giudizio,a vederlo negli ultimi otto o dieci anni, già pieno d'acciacchi, so-
praccarico di occupazioni,assediato sempre da ogni sorta di gente, e lui sempre tran-
quillo, non
cipitare
dar mai i,
che gli
un'impazienza anche
era messo a mano, dà
minima, senza mostrar
ben motivo a dire, che
fretta, non mai Pre-
se non era un santo,
di un santo rendevaperò immagine. L'esito poi dell'opera sua principale e come di
mtta la vita, cioè la sua Congregazione,è queiio che ha per me più forza a volermi per-
, suasdeerpeocihgeuDaordnoBaoqsucoalcfuheutnratstaondtoe.lla sua vira, alla tenacità cioè con cui talvolta ten-
tasse riuscireal suo intento, mi pare di vedervi alquanto di umanità. Cos&a quanto
sembraai primo aspetto,parve talora aiquanto inopportuno nel domandar limosine; ai-
quanto ardente,e del convenevole, per ottenerle, sino ad esser troppo facile a Pro-
mettere guiderdonidel Signore a 'chi le dava, e lasciare timote che le cose - né della
sinistrané della destra - non sarebbero andate bene, se gliele si negavano. Parimenti
qualchevolta parve troppo restio ad abbandonare la propria opinione, quantunque
questo non possa essere da me ripreso».
~i conseguenza bisognava ammettere, pur con le dovute cautele a suo giu-
dizio, che la fama di
era fondata essenzialmente sulle dimostrazioni che
Don Bosco dava del proprio agire virtuoso:
<certqouesta
non fu potuta creare dai suoi discepoli, ma non può negarsi
che i medesimiabbianocooperato assai a diffondere la medesima opinione giovandosi
~ i~~~~~i~B~~~~~~~, ~ nacque a Castelnuovo d'Asti il 26 ottobre 1828; si laurea io teo-
logia d'università di ~ ~ ~il 2i 4 ,ap,ra~e1850; h ordinato sacerdote il 14 giugno 1851; da quel-
panno fu dapprha[ipeutore,poicapodi conferenze di teolosia morale d Convitto ecclesiastico
torinesef,ino a quando nel 1876 h esonerato dd'arcivescovoGastaldi;fu quindi ad Asti profes-
sore i,
provicarioe poi ~icariogenerale della diocesi; promosso vescovo titolare di Ca-
famao 24 marzo 1884,fu deputatoausiliare del cardinale Alimonda a Torino; in tale carica ri-
mase sotto gli arcivescovi Riccardi e Rchelmy; il 26 marzo 1901 venne nominato arcivescovo ti-
di claudiopolim; oria Torino 1'11febbraio 1905. Cf. Domenico ER-QJCHErn, Alw~eme-
motieintornaomonsignGor~OB. attista Bertagnn arcivescovo titolare di Claudiopoli...,Torino, Ma-
rietti 1916 (dovesono premesse, tra le aitre, lettere gratulatorie d'autore del cardinal Cagliero,
di ~ ~pisciettae~del mi oralista gesuita Gennaro Bucceroni); Hierarchia catjolica..., WI, Pa-
tavu 1978, p. 179; 209.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

5.8 Page 48

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a questo scopo del "Bollettino salesiano" in special modo, dove sogliono narrare molte
cose, delle quali forse alcune non reggono troppo alla critica. Con ciò non potrei negare
che persone prudenti, gravi e fededegne abbiano stima del servo di Dio grandissima e
lo ammirino come uomo fuori dell'ordinario e veramente ricco di molte virtù e forti.
Si dice che in molti luoghi, fuori di Torino, il servo di Dio gode riputazione grandis-
sima di vero santo; quanto di verità vi sia in tale asserzione, non lo so».
A proposito di doni soprannaturali il Bertagna distingueva tra rivelazioni
di cose occulte e dono delle guarigioni:
«Io ho sentito molte volte che il servo di Dio ha fatto delle profezie, che leggeva
nel cuore della gent?, che manifestava cose occulte. Io non ho mai avuto argomento
fermo per credere queste cose per vere. Don Bosco era dotato di sottilissima intelligen-
za, quantunque paresse grossolano; più: si teneva bene in cognizione delle cose della
casa e dell'indole e dei costumi dei giovani e di quelli che lo avvicinavano; quindi non
è meraviglia che egli potesse naturalmente prevedere certe cose, impervie ad &ri, e che
quindi da molti di costoro fossero giudicate vere profezie.
Credo però vero che Don Bosco avesse il dono soprannaturale di guarire infermi.
Questo io l'ho sentito da lui medesimo in occasione che eravamo ambedue agli esercizi
spirituali nel santuario di S. Ignazio sopra Lanzo, e me lo diceva per avere cogs!g&o se
avesse a continuare a henediie gli ammalati colle immagini di Maria Ausiliatrice e del
Salvatore; poiché diceva, si levava un cotal rumore per le guarigioni che succedevano
e che avevano l'aria di prodigiose in seguito a cotali benedizioni da lui impartite. Ed
io ritengo che Don Bosco dicesse il vero. Bene o male io ho creduto di consigliare Don
Bosco a proseguire le sue benedizioni».
A ben vedere, anche per quanto riguardava il dono d'intercedere guari-
gioni miracolose da Dio mons. Bertagna non giungeva a esprimere un proprio
parere su fatti precisi, ma appoggiava il proprio convincimento cautamente al
sentimento che Don Bosco stesso gli aveva palesato.
l'l segreto proteggeva le singole testimonianze. Ma f's\\s e ai salesiani non
riuscì diicile venire a sapere che le deposizioni del Bertagna non avevano po-
sto Don Bosco in quella pienezza di luce che loro avrebbero desiderato. I1Ber-
tagna aveva avuto divergenze con mons. Gastaldi negli anni in cui era stato al
Convitto ecclesiastico successore del Cafasso e del Golzio e insegnante di teo-
logia morale; era alfonsiano e benignista, mentre il Gastaldi, sulla scia dell'in-
segnamento universitario torinese, era su posizioni probabilioriste e critiche
nei confronti del sistema teologico di Alfonso de' Liguori." Ma ormai come
vescovo ausiliare di Torino era con ben altra esperienza e in altra visuale, in-
cline piuttosto ad apprezzare le aspirazioni e la linea pastorale dei vescovi Ric-
cardi di Netro e Gastaldi, che avevano retto la cattedra di S. Massimo a Torino
dopo
clero
cahnendi edlil'icnrtiesrioprteoslsuuntgoadta'isetitiunzciolinmiacadtitonliecchees,s-tar-rai1iaeso.irggeannziezzloaczaiolin,eriscihaiadmeli
a Cf. FRANCmTil, A l a n e memorie..., p. 18-55; Eugenio VALENnNI, Mons. L. Gastaldi e
mons. G.B. Berfogna, Torino, Fanton 1969.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
verticistici vaticani, scristianizzazione, mobiiità maggiore deila popolazione, i I
esodo definitivo all'estero di non~ocI;ife-déX~iiieepoliticblieberali. Sem- . , ,
brerebbe dunque che la partecipazione del salesiano mons. Cagliero come te-
ste al processo, dal marzo al maggio 1893, abbia mirato a controbilanciare, o
quanto meno a riequiiibrare, le testimonianze rese da un personaggio che ave-
va, come il Bertagna, la dignità vescovile.
6. I testimoni «ex officio»
La comparizione dei tre testi chiamati di ufficio, dal gennaio al marzo
1896, nonostante le presumibili aspettative del promotore Sorasio, non ap-
portò alcunché di determinante e pienamente soddisfacente. Più che altro, I'e-
sposizione di qualche episodio giovò a gettare un po' di luce sul comporta-
mento tenuto da Don Bosco con mons. Gastaldi e con altri.
I n tema di contrasti fra Don Bosco e gli arcivescovi Riccardi e Gastaldi i
canonici Corno6' e Berrone" si espressero cautamente, così come il Murialdo:
dichiararono di essere informati genericamente, ma nulla di specifico potevano
dire sul merito delle divergenze. Il canonico Corno rispondeva, ad esempio, al-
l'interrogatorio ventesimo:
«Quando io mi trovava nell'Oratorio, ho udito Don Bosco ne' suoi discorsi ad in-
culcare venerazione ed obbedienza al sommo pontefice ed aiie altre autorità ecclesia-
stiche. Ricordo che quando veniva all'oratorio qualche vescovo per sacre funzioni, era
ricevuto da Don Bosco con segni di gran rispetto. Con tutto questo ho sentito dire che
egli ebbe delle controversie coll'arcivescovo di Torino monsignor Gastaldi e col suo
predecessore Alessandro Riccardi di Netro; e che la causa di queste controversie pro-
venisse in Don Bosco dall'usare e sostenere i privilegi concessigli dalla S. Sede come
capo di una congregazione religiosa; e negli arcivescovi dal credere che Don Bosco ol-
trepassasse i limiti de' suoi privilegi. In queste questioni sentii più volte personaggi as-
sennati ad opinare chi in favore di Don Bosco e chi in favore di monsignor arcivescovo.
Io non ho argomento a pronunziare alcun giudizio al proposito; poiché quantunque
Giuseppe Bemardo Corno nacque a Moriondo Torinese il 2 agosto 1856; entrò aU'Ora-
torio come studente il 31 ottobre 1868; proseguì i suoi studi nel seminario arcivescovile; fu or-
dinato sacerdote nel 1879; dal 1882 circa fu segretario delia curia arcivescovile e dal 1885 ebbe
i'uificiodi cancelliere;fu canonico coadiutore deUa metropolitana, prelato domestico di S. Santità
e dal 19 gennaio 1926 protonotario apostolico; morì a Torino il 17 settembre 1932. Cf AS 38 To-
rino S. Franc. di Sales, Registro anagrafe, 1868; Positio super introducrione causa. Surnmarium
(1907),p. 21; Positio: A n ndducta contra (1921),p. 139; «Bollettinosalesiano,, 56 (dicembre1932)
p. 381.
" Antonio Berrone nacque a Casaigrasso nel 1845; entrò aU'Oratorio come studente il 5 ago.
sto 1865; fu ordinato sacerdote ii 23 settembre 1876; quando testimoniò al processo informativo
era canonico partecipante onorario deila chiesa metropolitana di Torino, dottore in teologia e in
amhe leggi; mori a Torino il 30 luglio 1924 all'età di 80 anni. Cf. AS 38 Torino S. Franc. di Sales,
Registro anagrafe, 1865; Positio super introductione cause. Summarium (1907)p. 21; «Rivista dio-
cesana torinese* I (1924) p. 25; «Boilettino salesianor 48 (settembre 1924) p. 252.

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per oltre due anni mi fossi trovato presso I'arcivescovo mons. ~ ~ ~ t n~onl vdeni n,imai
messo ad intima conoscenza della loro vertenza; e quindi ignoro a quali condizioni
cise sia stata terminata...».
All'interrogatorio trentesimo indicava le ragioni per le qualinon era in
grado di fornire elementi più specifici. Si trattava di fatti ben noti al premo.
lare e m PO> eccentrica. I suoi parenti erano popolani della periferia di To-
o. RUnasto presto orfano di entrambi i genitori, con il fratello maggiore
netana iuseppedfi
uuna
a tutela da una zia, Teresa Musso, anch'essa vedova,
casetta a Borgo Dora. Domenico apparteneva dunque d
pro-
a ca-
a giovanile prodotta dar800 in transizione demografica, con una mor-
tore della fede Sorasio, concernenti ii processo che si voleva htentare a
Bosco:
«Come ho già detto in altro interrogatorio, io non ho mai udito alcuno a fare
appunto a Don Bosco, che quello d'essere stato in lotta co~arcivescovo
rn
occasione di questa lotta io fui designato ad attuario di informazioniassunte
deWukici0 fiscale della curia, che sospettava Don Bosco autore O suggeritoredi
libelli che si scrissero in quel tempo contro monsignor Gastaldi. lo non so se al
sente le dette informazioni prese sussistano ancora; quel che so, è che tra le carte di
curia non esistono, eccetto che siano tra le carte delpufficiofiscale».
infantile e adulta ancora relativamente dte, e con una quota, relativa-
mentegiionvecnretùscvitaag,adniteg, inoovnanaincchoeranienlqlauacditrtaàtavenneilvlaansocuaolcao, ssteintusiirbeilelealslcehpiearse-
sionipatriottiche, definita come gioventù povera e abbandonata, formata Per
terzo d'individui orfani di uno o di entrambi i genitori. Insieme al fra-
tgieo~vamoneag.pgrieotree,
fu accolto da Don Bosco all'oratorio. Giuseppe
membro della congregazione salesiana. Anche
mori nel 1868
Domenica Per
qualche anno si ascrisse da chierico d a società salesiana ed emise i voti
come ,,ali.
attestò al processo informativo, credeva che ciò non comportasse
obbligo di coscienza nemmeno veniale; ma quando senti da Don Bosco
A proposito delle virtù eroiche e del concetto di santità Giuseppe
era incline d a posizione dei sdesiani, ma nella sua deposizione dichiarava an-
in una predica che si potevano commettere peccati di disobbedienza anche
gravif,u sconvolto e preferi uscirsene. Non possedeva nulla; almeno, tosi tre-
che le riseme, più che altro procedurali, che aveva sentito prospettare dalyar.
civescovo Davide Riccardi:
deva, Appurando i fatti, venne a scoprire che la zia, sua tutrice, nel testamento
aveva lasciato vari beni a Don Bosco, ma con patti favorevoli ai due nipoti, sia
<(Ripetoch'io credo Don Bosco esser vissuto e morto santamente. al^ era pure yo.
einione, come udii in persona, del cardinale Alimonda. Trovandomia R~~~ n#occa.
sione della tngesima della morte di Don Bosco, fatta neUa chiesa parrocchialedel S.
Cuore di Gesù, dopo d'aver udito l'elogio funebre fatto da mons. ~~~~~~~d~vescovo
di Fossano, che ci dipinse Don Bosco come un santo, ~ d idia mons. sdera parlare
die essi fossero entrati nella carriera ecclesiastica rimanendo con Don Bosco,
sia che fossero andati nel mondo comunque. Lasciati i salesiani, egli doveva
ormai formarsi il patrimonio ecclesiastico per diventare prete diocesano. A
questo punto, nonostante il parere contrario anche di ecclesiastici rispettabili,
come teologo Felice Golzio, successore del Cafasso nella diiezione del con-
non solo favorevolmentedella fama di santità di Don Bosco, ma ancora che la sua bea.
vittoecclesiastico di S. Francesco d'Assisi a Torino, intentò processo civile a
tificazione era solo questione di tempo. L'attuale arcivescovo di ~ ~ ~ mj a,ns,.~~ , ~ ~ i d B ~ ~~a ca~usa s~i chiu~se a s.uo favore, nonostante fossero andati a testi-
de' conti ficcardi, mi diceva poco fa, che egli credeva Don B~~~~già in
per
le sue virtù, ma che temeva sul felice esito della causa della sua beatificazioneunica.
moniare in favore di Don Bosco (ma talora contraddicendosi ingenuamente)
Francesia e altri salesiani, con i quali comunque egli rimase in amicizia.
mente per le questioni che ebbe col suo arcivescovo mons. ~ ~ ~ t ~ l d i ~ .
~
~Bongiov~anni non~poté toglniersi dal ciuore il se~ntimento~che Don Bo-
In tema di doni soprannaturali Giuseppe Corno e Antonio Berrone si ten.
nero su posizioni caute, così come il Murialdo: persino si dimostrarono meno
sto, nonostante tutto, aveva taciuto fatti importanti, anzi avesse simulato e
mancato di giustizia; a SUO dire, si trattava solo di una parentesi in una vita me-
propensi di mons. Bertagna nel ritenere che Don BOSCOavesse il dono delle
guarigioni miracolose:
«Io non ho mai udito- depose il canonico Corno -che B~~~~abbia i,, vita
operato alcun miracolo; sentii solo a dire, come già sopra deposi, che egli
intercessione di Maria Ausiliatrice speciali favori a
che si raccomandavano,
per
la sua morte ignoro se abbia operato miracolin.
anngrafedelporatorio,sarebbestato accettato il 2 novembre 1854; stando alle sue testhonianze
a] processo informativos,i sarebbe presentato a Don Bosco nel 1856, finito il corso elementare;
emise laprofessione triennaleil 20 marzo 1864 e la rinnovò il 6 dicembre 1865; uscì dalyoratorio
e d& congregazionesdmiana il 23 settembre 1866; fu ordinato sacerdote nel 1867 e destinato
cep parroco a al^^^^^^; dopocinque anni decise di ritirarsi tra gli Oblati di Maria Vergine; dopo
anno prefedtornare tra il clero secolare a Torino; qui nel 1896 intraprese la costruzione
s u ben altro registro furono le deposizioni del teologo Domenica
vanni." Questi era una figura sotto certi aspetti emblematica; sotto altri, sui-
della &iesaa S.~ lde' Lifguori, b~enedett~a solenn~emente~al culto dali'arcivescovo Richelmy
il 26 novembre1899;moria Torino il 28 febbraio 1903. Cf.G.B. FRANCESIA, In memoria dei
feologo ~~~~~j~~ Bongioonnifondororee pnho arato della parrocchia diS. Alfonso in Torino. Elo-
giofunebretenum nelle solenni esequie di trigesima dal m. rev. prof: e dott. Giou. Batt. Francesia
" Domenica Bongiovanni (ow. Bongioanni),figlia di Giuseppe,nativo di ciriè, e di ~~~i~
Davite, nativa di S. Salvatore Monferraro,nacque a Torino il 3
1842; al
saks~nnion, ^, tip. salesiana19031 (con ritratto); «Bollettino salesiano» 27 (aprile 1903)P.
1 ~ spo;siti0 super introductione cause. Summanum (1907)p. 20s; MB Indice, p. 515; SmLL*, Don
Bosco nella storia economica e soc7ale, p. 530.
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93
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

5.10 Page 50

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ritevolissima. I n realtà il complesso di testimonianze da lui rese al processo h.
formativo per la beatificazione di Don Bosco apparivano come velate o di.
storte da queii'episodio. I grandi elogi che aveva moltiplicato nei confronti di
Don Bosco, della sua carità, del suo zelo, del suo amore verso i giovani appa.
rivano come appannate, contraddette e annichilate daUa testimonianza che
aveva reso sul proprio caso personale.
Ma anche quanto al conflitto con mons. Gastaldi e ai doni soprannaturali
di Don Bosco le testimonianze del teologo Bongiovanni erano in stridente con-
trasto con la versione che ne avevano data i salesiani, owero in termini cauti
la gran pane dei preti secolari. Su questi punti appariva piuttosto che il Bon-
giovanni avesse maturato le persuasioni da dichiarare al processo conversando
con mons. Benagna, ma esprimendosi in termini più duri o più goffi.
AU'interrogatorio ventitreesimo rispose:
«Io ignoro se Don Bosco abbia avuto doni soprannaturali pel tempo in cui io vissi
ali'Oratorio. È bensi vero che egli prediceva la morte di giovani; ma questo, a mio giu-
dizio, era naturale, poiché in media in qualunque collegio di settecento circa giovani,
qualcheduno certo soccombe nell'amata. D'altro non sono informato».
A proposito dell'articolo 369 aggiungeva:
« A mio giudizio, Don Bosco con santo fine si atteggiava a profeta peritandosi a dire
ciò che probabilmente sarebbe awenuto e che infatti aweniva di poi. Fuwi tempo in
cui predisse a ciascun di noi gli anni che dovevamo vivere, e poi rispondeva in modo
enigmatico, per cui non venivamo a saperne un'acca. Disse pure che sapeva chi di noi
sarebbe rimasto all'Oratorio e chi ne sarebbe uscito; non so però se abbia indovinato
di alcuno. Una volta disse che aveva veduto in sogno tutti noi distribuiti in crocchi e
che stavamo mangiando. Gli uni si nutrivano di pane fmo, altri di pane ordinario, altri
di pane nero, e finalmente altri di pane marcio. Disse che Dio gli aveva rivelato esser
i primi gli innocenti, i secondi i buoni, i terzi quelli che erano attualmente in disgrazia
di Dio ma non dati al vizio, i quarti essere gli abituati ostinatamente nel vizio. Disse
che ricordava il pane che ciascuno di noi mangiava, e che se andavamo a chiedergli qual
pane mangiavamo, egli ce l'avrebbe detto. Io non ricordo d'essere andato a chiedere
spiegazioni. Molti e molti ci andarono e non so qual risposta abbiano avuto. Io dava
poca importanza ai racconti di Don Bosco, perché non credeva che egli avesse da Dio
tali doni speciali; però avendomi Don Bosco, nel tempo che prediceva gli ami di vita
a noi, interrogato quanti ami avessi, e alla mia risposta che ne aveva diciannove,
avendo soggiunto con aria un po' misteriosa: "Oh, prima che sii ai quaranta! ",io mi
impressi nella mente tali parole, e s d a quarantina mi preparai a morire, ma invece
sono ancora qui. Ricordo ancora, che quando i giovani gli domandavano quanti anni
avessero a vivere, certe volte loro faceva aprire la palma della mano, la guardava e ri-
spondeva in modo enigmatico e scherzoso. Io sono persuaso ch'egli ciò facesse per
giuoco e per burla e per trattenerli in qualche barzelletta condita sempre con un buon
pensiero,>.
Quanto all'estimazione per la santità di Don Bosco all'interrogatorio ven-
tiquattresimo rispondeva:
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
, ~famad~i santit~à era pi~ù invalsta e d i~s a fuori di Torino. QueUo che ha pro-
.t questa fama a Don Bosco sono le sue grandiose opere di carità e di religione,
egli di amo in anno andava estendendo in tutto il mondo.
Nonostante tutte queste mie deposizioni in favore di Don Bosco, siccome ho sem-
sentito dire, la Chiesa per procedere alla canonizzazione dei santi esige cose vera-
ente straordinarie,quali ho letto in molte vite di essi, fu sempre mia opinione che
on
possa difficilmente esser dichiarato santo. Quanto all'opinione degli altri,
esto d'aver udito che la causa di Don Bosco incontrerà molte difficoltà per le op-
sjzioni che ebbe coll'arcivescovo Gastaldi e con me, i cui fatti sono pubblici. La
massa però del popolo, nonché persone distinte ed ecclesiastiche, lo crede santor.
verbalizzazione del notaio Rocchietti è nel complesso abbastanza paca-
ta; ma nel documento collocato come preambolo a tutti gli atti del processo
i giudici dichiararono che il loro incontro con il Bongiovanni era stato piut-
tosto burrascoso. I1teste era stato a loro giudizio un buffone («scurra»); le sue
dihiarazioni erano state contraddittorie, frutto di un temperamento incostan-
te, e in sostanza poco credibili.@
Si può immaginare che il Bongiovanni si presentò ai giudici combattuto in-
teriormente da una p a n e dal desiderio d i rendere una testimonianza favore-
vole a Don Bosco e di gradimento ai salesiani, daraltra dalla volontà di dichia-
rare schiettamente il proprio caso, ch'era stato del resto preannunziato gene-
ricamente già da mons. B ~ t a g n aA. i~g~iudici poté aver dato risposte talora nel
suo modo abituale, di popolano bonario, dimesso e scherzoso; talaltra, posto
in imbarazzo, dev'essere prevalso in lui il personaggio teatrale ch'era stato d a
giovane, quando sia a Valdocco sia nelle passeggiate per il Monferrato fra l'i-
larità di tutti si esibiva nella parte d i Gianduia; una parte che si addiceva alle
sue caratteristiche somatiche: statura bassa come Don Bosco, ma corporatura
grassoccia, occhietti piccoli e vivaci, gote mbizze, naso tondeggiante, appunto
come la popolare maschera torinese. Bongiovanni aveva una sua religiosità po-
polare semplice, con una punta di scetticismo e di irrisione anche verso i col-
leghi ecclesiastici. Sotto questo aspetto le sue deposizioni contribuiscono a get-
tar luce su alcuni modi di vedere Don Bosco nelle sfaccettature della religiosità
" Litterre reverendissimorum iudicir delegati et odiunctorum od S. Rituum Congreg~tionem
' ICarlo Morozzo della Rocca, Marco Pechenino, Gaspare Alasia], Taurini, die prima aprilis 1897;
d Copia pubblica, fol. 41: «Unum tamen bac de re innuendum esse ducimus, scilicet testem sa-
cerdotem Dominicum Bongioami acerbum et acrem contra semm Dei se ostendisse, nec nimis
dociiem et obsequentem erga iudices, contra quos disputare integrutn sibi arbitrabatur, imo eo-
usque excessisse, ut Sanctae Matris Ecclesiae iniallibilitatem in beatificatione singulorum Dei ser-
vonim in dubium revocaverit: sed nihii mirum, quum agatur de viro, cui mimum et scurram agere
adeo naturale semper fuit, ut iegerrime serium et gravem se gerere passit. Levitati in dicendo re-
spondet itidem inconstantia in agendo...».
Sess. 5 (5 agosto 18901, interr. 24: «Denuncio poi ai signori giudiciil teologo Domenico
bngiovanni, già neU'Oratorio salesiano, domiciliato in questa città, ii quale deve avere un fatto
da esporre che io non ricordo bene; ma per quanto ritengo, potrà dar luce su quanto ora avrei
detto di meno favorevole al servo di Dio»; ci. Copia pubblica, fol. 247r.
95

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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collettiva. Un po' imitando Don Bosco anch'egli scrisse opuscoletti e libri: per '
i giovani, per il popolo e per il clero. Nel 1896 pose mano a una chiesa de-
dicata a S. Alfonso de' Liguori, il santo che aveva imparato a venerare alla
scuola di Don Bosco e al convitto ecclesiastico torinese. Nella chiesa di S. Al-
fonso investì tutto il proprio avere e le elemosine che riuscì a racimolare. Ne
fu, com'era giusto, il primo curato; e v'impiantò culti popolari antichi abba-
stanza singolari, come quello a S. Espedito, soldato della legione fuiminante,
martire e santo da implorare in casi impossibili e per bisogni più impellenti."
7. Le guarigioni miracolose: credenti e scienziati a confronto
Con le deposizioni rese dai tre testi chiamati di ufficio il promotore della
fede si ritenne appagato quanto a informazioni relative d a fama di santità e
d a eroicità delle virtù del servo di Dio Don Bosco. Ii 23 marzo 1896 fu tenuta
pertanto l'ultima della serie in questione (sess. 464). I1 terzo teste, canonico
Antonio Berrone, ascoltò le testimonianze da lui rese precedentemente e ne
sottoscrisse la verbalizzazione. In quella medesima seduta i giudici decisero di
chiamare su istanza del promotore una prima schiera di testimoni in ordine a
un altro gruppo di fatti. U Sorasio infatti riteneva necessario portare ulteriore
luce su una serie di guarigioni miracolose evocate da vari testi nel corso del
processo e riguardo alle quali era possibile appurare qualcosa chiamando in
qualità di contesti di ufficio sia le stesse persone presunte miracolate, sia altri
ch'erano direttamente coinvolti, perché congiunti owero medici e comunque
in grado di apportare testimonianze attendibili «de visu et de auditu».
I1 processo in tal modo entrava in una fase in cui, con più evidenza, è pos-
sibile seguire il confronto fra scienza e fede nel caso specifico delle guarigioni
miracolose.
Le divergenze ch'erano affiorate nelle testimonianze rese dai testi circa i
doni soprannaturali di Don Bosco sarebbero emerse in effetti più flagranti
circa il caso specifico delle guarigioni. Nella valutazione di queste non era più
in gioco soltanto la mentalità di ecclesiastici più o meno inclini ad ammettere
<" Sul verso dell'immagine che si distribuiva stavano scritte la Storia e la Preghiera. La prima
esordiva con il riferimento a una santa leggendaria improwisamente divenuta popolare nell'800:
aSant'Espedito capo della Legione romana fulminante, contemporaneo a santa Filomena, iu mar-
tirizzato nel secolo N sotto Diocleziano; se ne celebra la festa il 19 aprile, è invocato nelle cause
disperate od urgenti, spirituali o temporali. Mostra la Croce sulla quale sta scritto: Hodie (oggi)
e schiaccia la testa ad un corvo che col suo gracchiare dice: Crnr ( d o y n i ) per insegnarci che non
dobbiamo mai dubitare deii'onnipotenza di Dio, né aspettare il domani per pregare con fiducia
e fervore. l? desso il Santo deii'undecima ora, ché non è mai invocato troppo tardi, sempre però
come intercessore presso la Santissima Vergine [...l.- In Torino nella chiesa di sant'Alfonso si sta
per erigere I'altare di sant'Espedito. Colla sola ohlazione di 10 centesimi si partecipa alle dodici
messe annue perpetue in onore di questo Santo e a tutto il bene che si farà in detta chiesa per
secoli e secoli. Chi raccogliera duecento ohlazioni di 10 centeimi avrà in premio un'immagine di
sant'Espedito, grande centimetri 39 x 51».
in casi specifici c'era stato un qualche intervento divino straordinario al di
in contrasto con quanto sia la natura che l'ane medica erano capaci
. In più di un caso nel processo fu possibile avere testimonianze di me-
: dici e di altre persone. Con l'intervento diretto dei medici la scienza e la fede
venivano a confronto in piena epoca di arroccamento delle istituzioni cattoli-
che neli'affermare la dottrina del miracolo e nel ricercarne la conferma in dati
-<lifatto; e ciò aweniva in tempi in cui l'offensiva dell'anticlericalismo si ali-
mentava di positivismo scientifico o si esplicava in forme organizzate che in
Italia erano più o meno dominate d d a realtà o dal fantasma della massoneria,
di quello del liberalismo nemico della Chiesa e ormai anche del socialismo.
I medici dei quali fu possibile avere la testimonianza diretta, sia che fossero
credenti sia che si professassero religiosamente agnostici, finirono per rivelarsi
tutti propensi a credere che i casi, per i quali erano stati interpellati, si erano
risolti positivamente grazie alle forze della natura, sostenute o provocate dal-
l'intervento medico. Viceversa le miracolate e i miracolati, cosi come i salesia-
ni, furono fermi nel dichiarare sia il miracolo sia l'esistenza del nesso con il
servo di Dio, d a cui intercessione ci si era rivolti, quando i medici invece ave-
vano prospettato la propria impotenza e l'esito catastrofico.
Delle guarigioni documentate nel processo informativo si sarebbe traman-
data la lettura che di esse selezionarono e ufficializzarono i biografi più auto-
revoli della cerchia salesiana, Don Giambattista Lemoyne e Don Eugenio Ce-
ria. Oggi in alcuni casi più fortunati l'insieme dei documenti conservati negli
atti del processo permette di riyisitare per intero il confronto o lo scontro che
d o r a awenne tra mentalità diverse, soprannaturalistiche owero inclini a spie-
gazioni naturali; il riesame dei documenti permette inoltre di seguire l'oblite-
razione della memoria, le fortune di un'immagine che prepotentemente allora
si andava consolidando di Don Bosco taumaturgo, e infme il recupero più
completo dei fatti in ordine a una visione storica globale.
Ii caso attorno al quale è più abbondante la documentazione è quello della
signora Marina Della V d e , nata Cappa. Già lo si trova elencato negli Articoli
presentati dal postulatore Don Bonetti (1890); nel processo informativo fu
esposto dal secondo teste, Don Gioachino Beno (1890);poi, con più abbon-
danza di particolari, fu narrato da Don Francesco Dalmazzo (1893),che della
signora Della Valle era stato a Torino il confessore; inoltre, sulla base di voci
sentite all'oratorio, fu segnalato tra gli altri dal canonico Berrone (1896). Il
promotore Sorasio chiamò al processo come «contesti di ufficio» la stessa pre-
sunta miracolata, suo marito Carlo Matteo, nonché il principale medico curan-
te, dottor Candido Ramello. Agli atti del processo con le testimonianze rese fu-
rono degate la relazione di grazia che la signora Della V d e scrisse in data 11
novembre 1889 e l'altra che scrisse suo marito il 19 novembre successivo; en-
trambe erano fornite di attestazione distinta sulla serietà e attendibilità, sotto-
scritte da mons. Basilio Leto, già vescovo di Biella. 11dottor Ramello non si
presentò al processo, nonostante fosse stato personalmente chiamato dal cur-
sore Pietro Aghemo per la sessione del 20 aprile 1896 (sess. 468). Agli atti tut-
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

6.2 Page 52

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tavia fu possibile allegare due lettere che il medico curante scrisse a Carlo
Della Valle: la prima il 22 maggio 1889, quando, sollecitato insistentemente da
Don Dalmazzo di scrivere una propria relazione sul miracolo, si ritenne in do-
vere di spiegare al Della Valle qual era stato il corso della malattia della moglie
e quello delle cure mediche che avevano preceduto e accompagnato la guari-
gione completa; la seconda, scritta il 19 aprile 1896, alla vigilia della sessione
a cui non si presentò, si richiamava alla lettera del 1889 ribadendone succin-
tamente il contenuto.
Dalla documentazione emerge che il caso della signora Della Valle era ger-
minato e maturato in un ambiente di profonde convinzioni religiose alimentate
dalla pratica dei sacramenti e anche dalla familiarità con le forme più varie di
culto -alla Vergine e ai santi.
O-uando si presentò al processo di Don Bosco nel 1896, Marina Della Valle
aveva 56 anni. Figlia deil'awocato Paolo Cappa, era nata a Savona e aveva due
sorelle suore della Visitazione nel monastero di Genova Quarto. Al collegio
dei giudici dichiarò di possedere beni immobili e una rendita annua di L.
30.000. Suo marito Carlo Matteo, che nel 1896 aveva 60 anni, era nato ad Al-
benga ed era fratello del prevosto di Alassio, Francesco Della Valle, caldo so-
stenitore di Don Bosco e del collegio municipale che i salesiani gestivano con
successo nella cittadina ligure. Al processo informativo Carlo Della Valle di-
chiarò ch'era negoziante commissionario di commestibili, residente a Torino
dal 1876 e con rendita annua di lire miile. I Della Valle dunque appartenevano
alla classe agiata in un settore dinamico della borghesia e in un'area in decollo
industriale e commerciale. La loro religiosità poteva apparire come un caso o
singolare o fortunato nel panorama della borghesia italiana di fine '800; ma
traeva la sua forza e il suo alimento dai vari addentellati che aveva sul terreno
di istituzioni ecclesiastiche particolarmente vivaci. Riempiva la loro casa una fi-
gliolanza numerosa. Come dichiarò il marito, la signora Marina aveva avuto
dodici parti, tutti felici. Le cose andarono male alla tredicesima gravidanza, so-
prawenuta in prossimità della menopausa e finita interrotta nella primavera
del 1884. Maldestro fu l'intervento dei medici che asportarono malamente una
parte della placenta. Marina Della Valle cominciò a soffrite suppurazioni del-
l'utero e perdite di materia sangumolenta. SI dottor Candido Ramello, capo
deil'ufficio d'igiene della città di Torino, venne interessato al caso a un anno
di distanza. Constatata una grave forma di ulcera, diagnosticò l'eventualità di
un carcinoma al collo deil'utero. Per esserne certo il dottore avrebbe voluto
asportare una parte del tessuto e osservarla al microscopio; ma la signora si
oppose recisamente a qualsiasi operazione chirurgica, non solo a quanto pare
per l'amara esperienza precedente. Come si può immaginare da accenni allu-
sivi fatti da lei stessa al processo, da suo marito e dal dottor Ramello, agirono
in lei i meccanismi di comportamento tipici deil'intimismo ottocentesco e in
particolare propri degli ambienti borghesi. La donna di d o r a , ch'era padrona
nella sua casa, si sentiva altrettanto a suo agio quando si muoveva in ambienti
come i salotti degli amici, il teatro o la chiesa; ma l'ospedale e una sala ope-
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
ratoria, dove attorno al lettino stavano uomini e donne, era per una donna di
famiglia benestante qualcosa che terrificava. Il dottor Ramello si dimostrò, a
sua volta, un tipico medico di famiglia, di intuito, abile e di severi modelli di
comportamento. Moltiplicò le visite domiciliari, soprattutto accorrendo nei
periodi di crisi o di temuto collasso. In quegli anni di cure poteva dirsi ormai
di casa e veramente di famiglia. La diagnosi che il Ramello s'era fatta era
preoccupante, e di conseguenza il pronostico che si senti in dovere di fare fu
sempre allusivo alla probabilità di morte. A Carlo Della Valle continuava a ri-
petere che doveva prepararsi a perdere la signora Marina; ma per suo conto
si adoperò con tutte le risorse devane e della scienza per rovesciare il prono-
stico e ottenere dalla natura quanto appariva quasi impossibile. Nella lettera
clhe scrisse il 22 maggio 1889 a Carlo Della Valle elencò la serie d'interventi
che usò fare nelle diverse congiunture:
«Ella desidera che io Le dia per iscritto alcuni ragguagli intorno alla malattia della
Sua signora, ed io non ho difficoltà a farlo. Come Ella ricorda, io cominciai a vederla
nei primi di maggio del 1885.
Trattandosi di donna quale era la signora Marina verso i 50 anni e quindi verso l'età
della menopausa, e risuitando che nella famiglia non vi erano mai stati cancri, malgrado
che la malattia datasse già da un anno e più, io restai dubbioso sulla natiira stessa del
male che aiiora constava di una estesa uicerazione granuiosa del collo uterino.
Ma il dubbio era scomparso per me quando si manifestarono profuse emorragie,
quando lo scolo dapprima acquoso si fece fetido con detritus putridi quasi di cancrena,
quando sopraggiunsero dolori lancinanti, quando per turbata nutrizione soprawenne
la tinta pallida gidastra della pelle ed un dimagrimento notevole.
Confesso che per essere sicurissimo della malattia io avrei dovuto portar via un
pezzo dell'dcera e farla esaminare al microscopio. In aiiora la diagnosi sarebbe stata
certissima: ciò da me non fu fatto per motivi, che Ella sa, fra i quali questo che la Sua
signora non voleva assoggettarsi a nessuna operazione. Ella ricorda tutte le fasi della
malattia nei due anni e mezzo, nei quali fu curata da me. Oltre alle perdite acquose pu-
rdente fetide miste a sangue, oltre alle emorragie, ai dolori, allo arresto delle funzioni
della vescica e del retto più o meno temporaneo, si aggiunsero l'insonnia e disturbi di-
gestivi gravissimi con alternative di progresso e di arresti della malattia. I momenti di
arresto io li ritenevo come conati della natura tendenti alla guarigione, ma questi conati
abortivano, e dopo breve sosta la malattia si faceva più grave.
Sui primi di febbraio di quest'anno l'arresto della malattia si fece più marcato, più
marcata la tendenza dell'ulcera alla guarigione dopoché da parecchi mesi erano seccate
le emorragie, dopoché i dolori si erano fatti meno intensi, dopoché era diminuito e ces-
sato lo scolo, dopoché lo stato generale di salute era notevolmente migliorato. Addì 9
febbraio di quest'anno la Sua signora si ritenne guarita.
La guarigione sarà duratura e radicale? Se considero che dopo così lungo tempo
(maggio 1885 a febbraio 1889) la malattia aveva fatti progressi, se considero che più
d'una volta la malata pareva dovesse presto morire per esaurimento e collasso, se con-
sidero ancora, che al posto dell'dcera vi ha ora una cicatrice, che mi pare soiida e buo-
na, io direi che è possibile che si abbia ora una guarigione duratura e definitiva.
Nella scienza si contano parecchi di questi casi, ed io stesso ne ho osservato, e que-

6.3 Page 53

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sto può verificarsi tanto perché non è detto, che sia assolutamente i m p o s e J a g u a -
rigione di un carcinoma uterino, e quanto, perché nel caso nostro, come in casi con-
s li, non essendosi praticato l'esame microscopico, non si poté fare diagnosi assnlu-
tamente certa.
Ella vorrà saper ancora come è che sia awenuta questa guarigione. Ed io san a
rispondere. La cura fu sempre diretta non alla malattia, che non si conoscono rimedi,
ma ai sintomi. Ciò che si volle fare e si fece è stato questo. Sostenere le forze con re-
gime tonico, con vini generosi con peptoni. Impedire le emorragie e frenarle con inie-
zioni di ergotina, calmare i dolori col laudano, tanto internamente per la bocca come
[con] clisteri e supposte, come e soprattutto con iniezioni di morfina (una ogni due ore
di una soluzione... e nella dose perfino di un grammo al giorno). Correggere l'insonnia
cogli analgesici (etere, cloralio, paraldeide, ipnone, solfonale, antiperina, etc.). Correg-
gere pure la fetidità degli scoli con iniezioni e lavature di permanganato, acido fenico,
sublimato corrosivo. Prowedere finalmente a sostenere le funzioni gastrico enteriche
coll'uso di dosi convenienti di magnesia e fortissime di carbonato di bismuto. Nei pe-
riodi di collasso, che furono parecchi, ho ricorso aile iniezioni ipodermiche di etere
canforato, di tintura di muschio, di bensoato caffeina, di liquore ammoniacale anisato
etc. La guarigione spontanea adunque awenne per impulso della natura forse aiutata
dali'arte, e ciò in grazia della costituzione fisica robustissima della malata.
Devotissimo Ramello~.~'
La signora Marina e i suoi familiari sentirono i fatti in ben altra chiave.
Nella loro mente era radicata l'idea che il morbo era un carcinoma dal corso
fatale e irreversibile; ciò che faceva il medico serviva solo ad alleviare il male
e ritardare la catastrofe; come lo stesso Ramello andava dichiarando (in ter-
miniforse volutamente ambivalenti), la scienza non poteva rovesciare il corso
della natura.
T1 contrattacco dei Della V d e , e sotto ceni aspetti il supporto che loro die-
dero d e forze della natura, consistette nel nutrire la speranza intensissima nel
miracolo: l'intercessione della Vergine o quella di qualche santo avrebbe ot-
tenuto da Dio quello che i medici e le medicine non potevano dare. Marina
Della Valle si pose a pregare la Madonna di Pompei, la Vergine sotto altri ti-
toli, S. Giusep.p.e, e, su sollecitazione della sorella visitandina, la beata Maria
Aliirgherira Alacoque, la cili causa di canoninazione aveva bisogno della prova
- dei miracoli: vreaava anclie Don Bosco. . 1.a figlia Antonietta, tra i qimttordici
A
e i quindici anni, chiese al padre di poter fare voto di entrare tra le figlie di
Maria Ausiliatrice e farsi suora per la guarigione della mamma; probabilmente
fu il suo confessore a ricordarle di dover chiedere il permesso ai genitori prima
di emettere qualche voto; ma Carlo Della Valle si oppose, data la giovanissima
età della figlia. Frattanto due suore, figlie di Maria Ausiliatrice, portarono al-
l'inferma un'immagine di Don Bosco con la reliquia di un pezzetto di stoffa
indossata dal servo di Dio. Intervenne anche il confessore della donna, Don
Dalmazzo, già procuratore a Roma della congregazione salesiana e da qualche
" Allegato d a sess. 466 (15 aprile 1896);Copia pubblica, fol. 3137v-3139r.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
anno direttore del vicino istituto di S. Giovanni Evangelista. A suo direla si-
gnora non otteneva la grazia per la troppa confusione che faceva d'intercesso-
r.i; avrebbe dovuto sceglierne uno soltanto; in coincidenza con l'anniversario
della morte di Don Bosco esortava a rivolgersi a lui iniziando senz'altro una
novena con lo stesso numero di preghiere che Don Bosco da vivo faceva re-
citare quando impartiva la benedizione di Maria Ausiliatrice; in fondo anche
Don Bosco, come la Alacoque, aveva «bisogno» di miracoli per il buon esito
del suo processo di
stimolata nelle sue
abretaictiofliaczaizoinoinec.oLn'-a-7il- mseennts- aolitràelmigeiorcsaon: teilrea
veniva in tal m'd~-,
nel tornaconto di
Don Bosco ottenere il miracolo. Ma con la signora era coinvolta tutta la fami-
glia. La figlia Antonietta sperava nel miracolo per ottenere di farsi figlia di Ma-'
ria Ausiliatrice; Carlo Della Valle, a sua volta, dichiarò che se Don Bosco gli
guariva la 'moglie, avrebbe dato un'offerta di duecento lire ai salesiani e
avrebbe dato l'assenso alla figlia Antonietta.
La mattina del 9 febbraio, a novena ormai conclusa e nell'attesa del prete
che le portava la comunione, l'inferma fra tensione e soprassalti del dolore si
pose a invocare il servo di Dio stringendone l'immagine e bisbigliando una
sorta di protesta e di promessa: «Oh! Don Bosco, voi sapete quanto io vi ho
sempre stimato e quanto ho fatto sempre per le vostre opere e per la vostra
Casa; io ho sempre cercato di difendere la vostra persona e le vostre opere
quando alcuno ne sparlava; ebbene, fate che, se io devo morire, faccia una
buona morte; se poi vi piace che io debba guarire, farò tutto il possibile per
sostenere la vostra causa e le vostre opere».68Poco dopo nel raccoglimento
della comunione eucaristica Marina Della V d e si sentì guarita.
Al dottor Ramello non sembrò corretto attestare che la guarigione di Ma-
rina Della Vaile era un caso che la scienza non poteva in nessun modo spie-
~ .~- ~~
gare; d'altra parte non aveva argomenti decisivi per contrastare l a persuasione
dei Della Vaile, di Don Francesco Daltnazzo e di quanti altri ritennero di pub-
blicizzare la «guarigione miracolosa». Al canonico Sorasio, che nel 1896 prima
della sessione del 20 aprile era andato a sollecitarlo personalmente, il Ramello
rispose schermendosi: «La cancrena distrusse la cancrena... Sì: per quelli che
credono ai miracoli è un vero miracolo».69Pregato dal Sorasio di scrivere al-
" Sono le parole usate da Marina Deila V d e d a sess. 466 (15 aprile 1896); cf. Copia pub-
blica, fol. 3126r. i! marito. a sua volta. cosi testimoniava:«Mentre attendeva il viatico. sentiva do,
!or! più tntenri e noti potciido più ,uppurtarli, Jisre di3 tig:ia Antonictta. Ponsint la fotografia di
nor~RU,;~, i7rs.t lc presentò il ritratto di Ilon Bdrcu. .il qu31c cr3 uniti un'31tva reliquia. che ci;
avevamo in casa. air rende, la porta aila bocca, la bacia io ero accanto al letto - 'dice a Don
Bosco con forza: Don Bosco, salvatemi: io sempre vi difesi, quando i nemici parlavano male di
voi; salvatemi, lo potete, e vi sarò sempre fedele. - Venne il viatico e mia moglie con sorpresa di
tutti si è seduta sul letto da se stessa...» (sess.467, 17 aprile1896; Copia pubblica,fol.31321).NeUa
relazione datata 11 novembre 1889 e convalidata da mons. Basilio Leto sono omesse le parole di
supplica: «Al mattino del giorno 9, ricevuto il S. Viatico, nel far un poco di ringraziamento mi
parve di essere accertata deila guarigione, e lo iui in veritb (sess. 468,20 aprile 1896; Copio pub-
blicd, fol. 31411.).
" Copia pubblica, fol. 3135"-3136r.

6.4 Page 54

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meno una lettera ai giudici, in cui manifestava il proprio giudizio sulla malattia
e la guarigione, subito scrisse la lettera (poi acclusa agli atti del processo) che
non indirizzò ai giudici, ma al marito della signora Marina, in data 19 aprile
1896:
«Quello che già Le scrissi e Le dichiarai altra volta e che malgrado il tempo tra-
scorso confermo ora, si è che la signora Marina, di Lei consorte, a giudizio non solo
mio, ma di tutti i coileghi che la visitarono per parecchi anni, era affetta da carcinoma
uterino, che tutti noi si credeva dovesse aver per conclusione finale e prossima la morte.
Che contrariamente alla mia previsione, un processo cancrenoso si sviluppò sulle
parti ulcerate dal carcinoma, e dopo molte peripezie, il processo cancrenoso si è arre-
stato e si è ottenuta una guarigione che fino ad oggi si può ritenere definitiva.
Deiia Vostra Signoria devotissimo, dottor Rameli~».?~
Era una nebulosa descrizione dei fatti; ed era il massimo che come medico
si sentiva di poter affermare: dopo molte peripezie si era ottenuta la guari-
gione...
L'intima persuasione che il miracolo c'era stato fece ritenere ai salesiani in-
soddisfacenti le relazioni del medico Ramello. Come Don Dalmazzo dichiarò
al processo, alle richieste ch'egli fece di un attestato dell'infermità e dell'awe-
nuta guarigione, il medico «tergiversò alquanto, temendo di compromettersi,
stante la sua posizione di dottore primario del municipio, e temendo che aves-
sero a farsi chiacchiere sul conto suo»; promise una qualche dichiarazione «a
patto non si avesse a fare pubblicità». «Me la consegnò difatti - aggiunse
Don Dalmazzo -, dichiarando tutta la gravità del morbo, senza pronunziarsi
sul come potesse essere guarita, ascrivendo piuttosto la sua guarigione ad un
fenomeno contemplato dalla scienza, ma praticamente inesplicabile. Detta
fede rimane neli'Archivio della Congregazione salesiana»:" è in effetti la let-
tera che il Ramello indirizzò a Carlo Matteo Della Valle nel 1889.
Fu appunto la versione dei fatti narrata da Don Dalmazzo sotto giura-
mento al processo quella che Don Lemoyne preferì adottare redigendo il se-
condo volume della Vita del venerabile servo di Dio Giovanni Bosco, apparso
nel 1913.'' La versione dei fatti data dal Ramello nel 1889 e ribadita nel 1896
non fu per n d a utilizzata e appena affiorava dai motivi per i quali, a giudizio
di Don Dalmazzo, il Ramello sarebbe stato reticente. La guarigione miracolosa
di Marina Della Valle, narrata nel capitolo intitolato: «Verso la glorificazione»,
entrava ufficialmente nell'agiografia su Don Bosco. Don Eugenio Ceria, pur
spigolando qua e direttamente dagli atti del processo qualche altra notizia
(per esempio che la Della Valie morì poco dopo la deposizione al processo nel
1896 per malattia diversa da quella da cui era guarita nel 1889),73nel volume
'O Copia pubblzca, fol. 313%.
" Sess. 119 (16 gennaio 1893);Copia pubblica, fol. 9 5 8 ~ .
" LEMOYNEVi,ta del venerabile remo di Dio Giovanni Borco, 11, p. 657.660,
" Marina Della Valle mori a Torino il 30 giugno 1896 in casa Gailetti, parrocchia dei Santi
f
!
diciottesimo delle Memorie biografiche di san Giovanni Bosco (1937) riassunse
i fatti nel senso già esposto da Don Lemoyne in un capitolo intitolato a chiare
: lettere: «Testimonianza dei miracoli»." Si stabiliva una tradizione letteraria,
nonostante si fosse al corrente che nel segreto procedurale del processo di ca-
nonizzazione il caso della signora Della Valle finiva per passare tra quelli da
prendere in considerazione solo come prova della fama di santità.
Un secondo caso, riguardo al quale il processo informativo raccoglie
un'abbondante documentazione, è quello di Luigia Piovano, nata Fagiano.
Negli atti si trovano anzitutto le deposizioni che resero al processo due
persone che assistettero la Piovano e la sua famiglia nell'ambito dei compiti ca-
ntativi presso la parrocchia di S. Filippo a Torino: suor Paolina Dessanti, figlia
della carità ed elemosiniera della parrocchia (sess. 469, 21 aprile 1896), e la
marchesa Azelia Ricci des Ferres, figlia di due insigni benefattori di Don Bo-
sco, il marchese Domenico Fassati e Maria nata De Maistre (sess. 470, 22
aprile 1896). Seguono le testimonianze rese dalla stessa Piovano (sess. 471,24
aprile) e da suo marito Tommaso (sess. 472, 27 aprile). Gli atti trascrivono
inoltre: 'alcuni attestati redatti nel 1888 e 1889 da medici che curarono la Pio-
vano sia in ospedale che a domicilio; una lettera del dottor Luigi Colomiatti,
medico dei poveri, e un'altra del dottor Costantino Alvazzi Delfrate, medico
c b i r g o già in servizio all'ospedale maggiore S. Giovanni in Torino, solleci-
tate entrambe nel 1896 dal promotore della fede Sorasio; una relazione di gra-
zia ricevuta che la Piovano in data 5 dicembre 1889 consegnò a mons. Basilio
Leto e che porta la convalida della marchesa Ricci, di suor Paolina e dello
stesso mons. Leto.
L'intera vicenda della Piovano e di suo marito si colloca in quella delle am-
pie fasce d'indigenza che accompagnavano l'urbanesimo e il decollo indu-
striale in Piemonte a fine secolo. I Piovano erano due individui che la città
aveva risucchiato dal territorio e aveva collocato negli spazi più fragili della po-
polazione, tra sussistenza ed estrema necessità sorrette da forme assistenziali
più o meno organizzate e collegate al movimento catt~lico.~'
Luigia Fagiano, nativa di Borgaro Torinese, nel 1875 era stata presa in ser-
vizio da Tommaso Piovano, originario di Chieri, per l'assistenza della sorella
ammalata. Il Piovano, ch'era vedovo e senza prole, il 7 gennaio 1877 sposò
Luigia, nonostante questa avesse appena 31 anni e lui ne contasse 65. Tra il
1878 e il 1882 ebbero tre figli. Ma il terzo e ultimo parto non fu per la donna
Angeli. Accanto all'attestato parrocchialedi morte gli atti del processa ordinario allegano una let-
tera del figlio Giuseppe (Torino,1 luglio 1896) in cui si dichiara che secondo il medico di famiglia
Ramelio sarebbe morta di etettania (reumatica)» (allegati alla sess. 481, 2 luglio 1896; Copia pub-
blica, fol. 3212vJ213r).
MB 18, p. 604-606.
" Tommaso Piovano, amai di 85 anni, al processo esordi dichiarando: «Sono un povero
vecchio ricoverato da due anni nell'Ospizio di carità di questa =irta» (sess. 472, 27 aprile 1896;
Copia pubblica, fol. 31611).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

6.5 Page 55

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felice. Luigia cominciò a soffrire acuti dolori al ventre, emorragie, depressione
fisica e psichica, sfinimenti che le impedivano di lavorare. Pensava di guarire
col tempo. I1 male invece andò peggiorando, finché nel 1887 suor Paoiina e
la marchesa Ricci des Ferres trovarono il modo di farla ricoverare all'ospedale
maggiore S. Giovanni. Dopo 30 giorni di ricovero, la donna poté tornare in
famiglia e proseguire le cure presentandosi ali'ospedale due volte la settimana
nel corso di tre mesi.
Come attesta la Piovano nella relazione consegnata a mons. Leto, fu la
marchesa Ricci che le suggerì di pregare Don Bosco narrandole il caso di Ma-
rina Della Valle, guarita appunto per avere invocato Don Bosco con una no-
vena ip un caso simile al suo. La Piovano era una donna religiosa. Quasi tutti
i giorni andava a messa nella chiesa di S. Filippo; si confessava di norma tutte
le settimane; faceva la comunione eucaristica con frequenza; aveva insegnato
le preghiere ai suoi tre bambini. Tommaso invece da vari anni non si accostava
più al precetto pasquale e non si sapeva se andava a messa tutte le domeniche.
Su questo punto esplorarono suor Paoiina e la marchesa Ricci. Luigia prima
mentì, perché temeva di perdere sussidi caritativi, poi scoppiata a piangere,
confessò che suo marito aveva perso da tanti anni la religione (ma Tommaso
dichiarò al processo che solo qualche anno dopo il secondo matrimonio so-
spese l'osservanza della pasqua e che dopo il 1889 tornò a praticarla regolar-
mente). La novena della Piovano a Don Bosco ebbe un doppio scopo: la gua-
rigione dal proprio male e la conversione del marito. Si moltiplicarono in quei
giorni le insistenze della donna e i diverbi con il marito. Nella notte fra la do-
menica di pasqua e il lunedì awenne che Tommaso si trovò accanto la moglie
che pareva ~venuta.F'~u preso dal timore che le venisse a morire (e dal terrore
di rimanere solo con tre figli a carico). Le parole deila moglie in quel momento
presero il soprawento nel suo spirito e trionfarono. Implorò la salute per la
moglie e promise a Dio di fare il precetto. Fattosi giorno, di buon mattino per
non essere veduto, andò nella chiesa di S. Filippo, si confessò e comunicò;
ignaro che la moglie furtivamente lo aveva seguito da lontano e aveva visto
tutto con i propri occhi.
L'idea di pubblicare la duplice grazia ottenuta per intercessione di Don
Bosco dovette maturare nella mente della marchesa Ricci e di suor P a o h a . Le
76 Questo particolare non è riferito al processo da Luigia, ma si legge nella relazione di Tom-
maso del 20 dicembre 1889, convalidata da mons. Basilio Leto; 6.Copia pubblico, €01. 3170~:
«Nella notte dalla domenica al lunedi di pasqua io mi accorsi che la sposa mi era quasi mancata
e morta, onde spaventato mi alzai in fretta, e scuotendola la vidi invece [...l pienamente rinvenu-
tan. Luigia si soffema a narrare le ripetute apparizionidi Don Bosco in sogno durante la novena:
«Nella notte del terzo o quarto giorno delia novena, mentre prima non poteva addormentami,
nonostante i calmanti prescrittimi dai medici, Fui sorpresa da sonno, e vidi in sogno D. Bosco, ve-
stito come se dovesse far la predica, con cotta e stola, che mi guardò raccomandandomi di pregare,
ed io gli risposi che pregava [...l. Nella notte [di pasqual mentre dormiva, mi sentii chiamare per
tre volte per nome: Luigia! Mi svegliai e vidi D. Bosco vestito da prete, con calottino e stola al
collo. Era in mezzo ad una nuvola di luce bianca, elevato da terra, d'accanto al letto. Io tasto lo
diiarazioni che si ottennero dal medico dei poveri della parrocchia, Luigi
olomiatti, e poi dai due medici curanti dell'ospedale S. Giovanni, Costantino
Delfrate e Francesco Borgna, esplicitamente dovevano servire per al-
re la famiglia dei Piovano facendo accogliere il figlioletto maggiore nel
egio degli artigianelli e appoggiando la richiesta di sussidi di carità presso
società di S. Vincenzo de' Paoli e presso altri; ma tra la pasqua 1889 e il
cembre si pensò sicuramente a servirsene come attestati a sostegno della re-
mione di grazia. I1 dottor Colomiatti in data 10 ottobre 1888, perciò prima
della guarigione, si era compromesso a scrivere nel suo attestato: «Per l'am-
malata Piovano Luigia, madre, abitante in via Ospedale N. 20 piano...,affetta
d, cancro uterino con metrorragie, povera, inguaribile, incapace di guada-
gnarsi il vitto, versa in tristissime condizioni». Francesco Borgna, che aveva
la Piovano all'ospedale S. Giovanni, in un biglietto senza data, ma del
1889, dichiarava che la donna, «stata lungamente ammalata, trovasi ora in
istato di salute relativamente soddisfacente e tale da permettersi di poter lavo-
me».'7 Costantino Alvazzi Delfrate rilasciava il 14 settembre 1889 una dichia-
,,ione più circostanziata sulla malattia e l'ospedalizzazione: «Io sottoscritto
medico-chiirgo, esercente in Torino e già assistente dell'ospedale maggiore
di S. Giovanni Battista in questa città, dichiaro d'aver curato in detto ospedale
la Fagiano Luigia, maritata Piovano Tommaso, la quale entrava in detto ospe-
&e il 15 giugno 1887 e ne uscì il 18 luglio deilo stesso anno, essendo affetta
da metrite e propriamente della forma parenchimatosa emorragica»."
Nel 1896 il canonico Sorasio prowide a chiamare i medici come contesti
di ufficio; ma il dottor Borgna era morto; il dottor Colomiatti si schermi con
una lettera del 24 aprile, in cui confessava di avere ricordi «così confusi, così
incerti*, che gli era impossibile dare una risposta «sicura e
I1 dottor
Alvazzi era ormai a Sanremo, direttore dell'ospedale civico Mauriziano; da
Sanremo il 21 aprile 1896 mandò una lettera al Sorasio in cui sosteneva viva-
cemente la propria diagnosi medica e l'efficacia delle cure; suggeriva inoltre le
ragioni per le quali la Piovano poté essere indotta a ritenerle di nessun effetto:
«Reverendissimo Signore,
Rfcordo perfettamente il caso di malattia della Fagiano Luigia maritata a Tommaso
Piovano, che curai nell'ospedale di S. Giovanni Battista prima, e poi ambulatoriamente
per molte settimane nel martedi e sabato, quando io era assistente. Ma per quanto io
fossi desideroso che trionfasse la beatificazione di quell'anima generosa di Don Bosco,
tuttavia io sono convinto che la guarigione che la Fagiano ottenne rapida, come appa-
riva, e da essa insperata, non può punto attribuirsi a mlacolo alcuno, sibbene aiie solite
' riconobbi, perché I'aveva veduto in vita e parlatogli tre volte, ed esclamai: Oh D. Bosco! Ed egli
rispose: Si, son proprio io; abbi tanta fede in me; io ti concederò quanto desideri in cuore...> (Co-
Pid pubblica, €01. 3156~-31571).
" Negato d a sess. 472 (27 aprile 1896); Copia pubblica, fol. 316%.
" Sess. 472 cit.; Copio pubblica, fol. 31651.
" Sess. 472 cit.; Copia pubblica, €01. 3163v-31641.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

6.6 Page 56

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leggi fisico-patologiche deil'organismo. Si sa, che in un caso di metrite e propriamente
di forma parenchimatosa con emorragie (e ricordo che non può altrimenti variarsi la
diagnosi) le cauterizzazioni ripetute per lungo tempo non danno mai un resultato
pronto e rimarchevole subbiettivamente dalla paziente. Anzi, niente di più facile, di
sentirsi, in quel periodo settimanale o mensile di cura, ben peggio. Però, cessata la cura
e lasciata a sé la parte seria stimolo, nasce rapido il cambiamento; novella involuzione
del processo infiammatorio si inizia; cessano le emorragie di botto e tutti i fenomeni
morbosi dell'infiammazione.La donna si sente risorgere a nuova vita. Tutto ciò è nelle
leggi comuni deila patologia, ripeto, e non occorre intervento extranaturale. Diversa sa-
rebbe la quistione a giudicare, ove si trattasse di un cancro dell'ntero, o di altri gravi
processi, di che posso escludere coscienziosamente, ricordando il caso, perché poco
dopo fui sollecitato dalle Suore dellIstituto Carrù a dare il mio parere nella quistione.
Nel caso di cancro o d'altri morbi, di cui è troppo lungo farne l'enumerazione, la gua-
rigione è rara, è stentata, non dura punto molto tempo, per cui la guarigione, come
l'ebbe la Fagiano, sarebbe possibile ammetterla nel senso che lo richiederebbe la bea-
tificazione.
Questo è quanto io posso riferire alla S.V. coscienziosamente, e mi creda colla più
alta considerazione, devotissimo
Dr. Costantino Alvazzi-Delfrate
Direttore dell'ospedale Civico
Mauriziano di San RemosB0
Il caso della Piovano è narrato da Don Lemoyne nella Vzta di Don Bosco
sulla falsariga della deposizione giurata che la donna fece al processo ordina-
rio. Nella Vita si trovano perciò enfatizzati gli elementi che portano a credere
l'intervento miracoloso: il male affliggeva la Piovano nonostante gl'intenrenti
dei medici; il marito si convertì improwisamente la mattina del lunedì di pa-
squa; la donna più volte in sogno ebbe l'apparizione di Don Bosco da quando
intraprese a pregarlo nell'aprile 1889. La grazia, ch'era «duplice» nella rela-
zione che la Piovano consegnò a mons. Leto, divenne triplice nella lettura di
Don Lemoyne, la cui narrazione conclude: «Dal fatto risulta che nella persona
di Luigia Piovano fu operato un triplice prodigio: quello della guarigione ra-
pida e completa da un cancro uterino, quello dell'apparizione del venerabile
Don Bosco, e quello infine della conversione del marito»?' Don Lemoyne ac-
cenna appena alle diagnosi rilasciate dal dottor Colomiatti e dall'Alvazzi; ma
induce a ritenere per vera la prima e n d a ricava o dice della lettera inviata
dal secondo al canonico Sorasio nel 1896. Sicuramente non c'era nel Lemoyne
l'animo di manipolare i fatti. Egli riteneva di dovere dar credito all'attestato
di un medico e prestar fede alla donna che sotto giuramento aveva narrato il
proprio caso. Come biografo riteneva di adempiere il proprio compito ripor-
tando scrupolosamente quanto la graziata stessa aveva attestato. Nella mede-
" Sess. 472 cit.; Copia pubblica, fol. 31641-31651.
LF~MOYVNiEta, del venernbile servo di Dio Giovanni Bosco, II,Torino, Libr. ed. SOC. intern.
«Buona stampa» 1913, p. 654-657.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
sima chiave di lettura il caso della Piovano è narrato nelle Memorie biografiche
accanto a quello di Marina Della Valle.82
Ai processo ordinario furono presentati altri tre casi di guarigioni miraco-
lose.
I1 29 aprile 1896 (sess. 473) la suora domenicana Filomena Cravosio venne
dal monastero di Mondovì per attestare la propria guarigione improwisa da
malori di stomaco e di fegato, e per narrare la radiosa apparizione che aveva
avuto di Don Bosco durante il sonno s~li'albeg~iardeel 31 gennaio 1888,
quando era del tutto ignara della morte di lui?' Era un episodio che ben s'in-
quadrava nelle conoscenze agiografiche sia dei salesiani sia più in generale di
un tipo di religiosità e di cultura che si alimentavano anche deil'apparizione
di trapassati e in particolare di quelle di anime morte in concetto di santità.
Nella Vita del Cottolengo, ben nota ai salesiani di &ora a Valdocco, un iritero
capitolo era dedicato &e apparizioni che ne avevano avuto suore e altre per-
sone sia nella Piccola Casa della Divina Prowidenza sia altrove.8qAttestare le O
apparizioni di Don Bosco nella stessa mattina del decesso mirava forse anche
a fornire un'implicita replica a chi, come il Colomiatti, contrapponhd la san-
tità del canonico Cottolengo a quella di Don Bosco.
I1 21 e 22 maggio (sess. 474 e 475) due figlie di Maria Ausiliatrice, suor Te-
resa Laurentoni e suor Rosa Ferrari, riferirono della loro consorella Adele
Marchese, già deceduta per etisia, che il mattino del 2 febbraio 1888 si era
fatta accompagnare all'Oratorio nella chiesetta di S. Francesco di Sales presso
la salma di Don Bosco ormai riposta nella bara; nell'atto di accostare agli occhi
la mano di Don Bosco, suor Adele ricuperò improwisamente la vista che da
quasi un semestre le si era completamente offuscata. Giovanni Aibertotti, il
medico che da vari anni prestava la sua opera ai salesiani e alle figlie di Maria
Ausiliatrice di Valdocco, presentatosi come conteste il 23 maggio (sess. 476)
spiegò che si trattava di «rinite congestizia dei nervi ottici e della retina» ri-
belle alle cure e la cui guarigione improwisa era da considerare come un fatto
singolare. Aibertotti era un medico religiosamente ;a&nost&o e di posizioni
scientif.i-c.he.po.s..itivi..s-te. Quando era giunto a Torino per prestare la sua opera
di medico al manicomio, si era incuriosito dell'oratorio di Valdocco e aveva fi-
nito per diventare fervido estimatore di Don Bosco e delle opere che questi
andava sviluppando a Torino e nel mondo. Su Don Bosco lasciò uno scritto
che lo presentava come un individuo straordinario, in cui erano riscontrabili
"
"
MB 18, p. 606s.
Copia pubblica, fol.3183r.L'episodio
E
narrato
anche
nelle
MB
18,
p.
589s.
Suor
Filomena
Cravosio, ai secolo Rosa, figlia del conte Francesco e deila contessa Felicita Langosco di Langosco,
grandi ammiratori di Don Bosco, era terziaria regolare domenicana; aveva 60 anni quando testi-
" moniò; mori a Mondovi il 6 aprile 1905. Cf. *Bollettinosalesiano*29 (novembre1905) p. 347.
GASTALDII,prodigi della cadà cnjtiana dcsmtti nella vita del venerabile seruo di Dio Giu-
seppe Benedetto Cottolengo, ed. 4, II,Torino, tip. Salesiana 1892, p. 817: xLib. VI. Capo XV.
Come il servo di Dio comparve dopo morte a parecchie persone, e ciò pel loro bene sia spirituale
che temporale».

6.7 Page 57

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i caratteri fisiologici del genio.85Al processo, come verbalizzò Mauro Rocchiet-
ti, non gli si propose di testimoniare dopo aver giurato, come gli altri, «genu-
flexus ac tangens Sancta Dei Evangelia», per ragioni comprensibili.
Infine il 30 maggio e 1'8 giugno (sess. 477 e 478) comparvero Giovanni
Pennazio e i suoi genitori. Questi ultimi narrarono le peripezie del figlio, di-
venuto cieco sui nove anni e al quale i medici avrebbero voluto asportare un
occhio. Poiché il figlio si opponeva disperatamente, i genitori lo portarono al
santuario dell'Ausiliatrice a Torino e lo fecero benedire da Don Bosco. Il ra-
gazzo guari improwisamente mentr'era a casa sua a Poirino. Tutto il paese po-
teva attestare il fatto. Era poi stato accolto come studente all'oratorio e ormai,
diciannoyeme, era da due anni compositore presso la tipografia Canonica di
Torino.
Su istanza del promotore della fede furono officiati due autorevoli medici,
Giuseppe Fissore e Celestino Vignolo-Lutati, come periti dei casi ch'era pos-
sibile sottoporre al loro esame a Torino, cioè quello del giovane Pennazio, di
Luigia Piovano e di Marina Della V d e .
Giuseppe Fissore aveva ormai 81 anni, era dottore aggregato e professore
straordinario di medicina nell'università di Torino; nato a Bra, era fratello del-
l'arcivescovo di Verceiii Celestino Fissore.& Vignolo-Lutati, dottore in medi-
cina e chirurgia, era nato ad Alba, aveva 58 anni nel 1896 ed era direttore sa-
nitario dell'ospedale S. Luigi a Torino e del Ricovero di men~iicità.8~
Interpellato nella sessione del 2 luglio (sess. 481) sul caso di Giovanni Pen-
nazio, il dottor Vignolo disse ch'era «impossibile rispondere qualche cosa di
positivo» s d a natura, qualità e gravità della malattia agii occhi sofferta ali'età
di otto o nove anni dal giovane «mancando ogni relazione medica, né essen-
dovi fatti attuali che possano rischiarare
d'dora»; quanto alla Piovano
asseri «di non potere in modo assoluto giudicare di quale malattia fosse affetta
dal 1882 &aprile 1889, esistendo due certificati medici contraddittori; in uno
I
dei quali si parla di semplice infiammazione d'utem con emorragie (metrite
parenchimatosa emorragica) redatto dal signor dottor Costantino Alvazzi-Del-
'' Giovanni Albertotti nacque a Calamandrana il 3 aprile 1824; studi6 latinità a Nizza Mon-
ferrato, filosofia ad Acqui, medicina e chirurgia all'universiti di Torino; dopo essere stato per
venti armi medico condotto a Calamandrana fu chiamato nel 1871 primario nel manicomio di Ta-
rino; nel 1877-78 fu anche assistente alla cattedra universitaria di patologia mentale; mod nel
paese nativo, dove era stato rieletto sindaco, nella none tra il 29 e il 30 ottobre 1905, eserenamen-
te, munito dei conforti religiosi*. Cf. «Bollettino salesiano» 29 (dicembre 1905) p. 376 e le notizie
premesse a: Chi era Don Bosco ossia biograbfisio-prim-patologicr?di Don Borco soitta dal suo me-
dico datt. Albertotti Giovanni, pubblicata dolfiglo Giureppe Albertotti, Genova, poligrafica san
Giorgio 1929; 6. inoltre MB Indice, p. 502.
" Giuseppe Fissore morl a Torino il 2 giugno 1897; cf. «Bollettino salesiano* 21 (luglio
1897) p. 183; MB Indice, p. 546.
8, Carlo Vignolo Lutati fu uno dei tre medici, con Fissore e Albertotti, &e assistette Don Bo-
sco neii'ultima malattia; morl a Torino nel dicembre 1924; cf. nBollettino salesiano,, 49 (mano
1925) p. 84; MB Indice, p. 618.
frate il 14 settembre 1889 e confermato con altro del corrente anno; nell'altro
invece, redatto dal dottor Colomiatti il 12 ottobre 1888, si dice trattarsi di can-
uterino»; sulla signora Marina Della V d e dichiarava: «Nulla posso dire,
non essendosi presentata &esame» (era deceduta il 30
Dello stesso
tenore furono le dichiarazioni che rilasciò il dottor Fissore il P luglio (sess.
che gli furono sottoposti, cioè quelli della Piovano e della
A questo punto il promotore fiscale si dichiarava soddisfatto delle informa-
zioni raccolte. Il processo volgeva al termine. Per approntare la copia autentica
o «transunto» degli atti originali del processo i salesiani offrirono una schiera
di 20 chierici (18 italiani e 2 polacchi).89Ottenuto l'assenso del promotore,
tutti i copisti il 28 luglio (sess. 482) fecero il giuramento apposito e ricevettero
in consegna il materiale da trascrivere. Gli atti originali e il transunto furono
consegnati ai giudici il 3 novembre (sess. 483). M o r a come notaio aggiunto
per la collazione del transunto con gli atti originali fu deputato il sacerdote
Vincenzo Savoia. La collazione durò fino al 22 febbraio 1897 (sess. 561) e fu
fatta neli'oratorio privato del canonico Pechenino.
Il leaprile 1897 in un oratorio privato della congregazione salesiana (a Val-
docco) davanti al giudice ordinario mons. Davide Riccardi, al giudice delegato
Morozzo della Rocca, ai giudici aggiunti Marco Pechenino e Gaspare Alasia
fu tenuta l'ultima sessione. Don Domenico Belmonte, con l'annuenza del pro-
motore fiscale Sorasio, fu eletto «portatore» del transunto presso la Congre-
gazione dei Riti a Roma. Quindi si procedette al suggellamento sia degli atti
originali da conservare e custodire nell'archivio della curia arcivescovile, sia
deitransunto da affidare al portatore.
Compiuti questi atti il giudice ordinario attestò la legalità di quanto era
stato compiuto dichiarando in tal modo espletato e chiuso il processo infor-
mati~~.~~
" Copia pubblh, fol. 3210r-3211r.
Dal catalogo a stampa della società salesiana per il 1896 risulta che i chietici ammessi come
amanuensi erano tutti a Valsalice in pane professi in parte soltanto ascritti: 1. Sante Bellino, prof.;
2. Luigi Borri, prof.; 3. Giacomo Cattaneo, prof.; 4. Angelo Crescini, ascr.; 5. Giovanni Deal-
bera, prof.; 6. Natale Ddforno, ascr.; 7. Giuseppe Divina, prof.; 8. Luigi Dolci, ascr.; 9. Luigi
Falabnizzi, prof.; 10. Pietro Fantini, prof.; 11. Fortunato Giacomuzzi, prof.; 12. Antonio Giorgi,
ascr.; 13. Dario Guabello, prof.; 14. Secondo Guerrini, ascr.; 15. Ignazio Hlond, prof.; 16. Giu-
lio Javarek, pof.; 17. Giovanni Ottondo, ascr.; 18. Antonio Santolini, ascr.; 19. Luigi Simondi,
prof.; 20. Francesco Teneriello, prof. - Dal Necrologio rnleriano a stampa (19511 si ricava che mo-
rirono professi salesiani soltanto: Borri (morta ch., 19.1.1897); Cattaneo (sac., 29.10.1940); Cre-
scini (sac., 1.4.1943); Delforno (sec., 21.12.1932); Fantini (sudd., 16.6.1901); Hiond (sac.,
2.9.1928); Santolini (sac., 4.6.1905); cioè il 35%: una quota inferiore a quella generale dei sale-
siani. Rispetto agli anni dopo il 1920 l'epoca di Don Rua si caratterizza per un alto numero sia
di entrati in congregazione che di usciti; tale tendenza era elevata già dalle origini h o alla mone
di Don Bosco: cf. STELLA,Don Borco nellrr rtoria emnomica e rodale, p. 319-321.
L'ultimo documento è la dichiaraiione della legalità sia del processo che degli atti. m dati
1 aprile 1897 ~ N o Ds svid cx comitibus lùccardi, nrchiepiscopur taurinenrir, notum facim~artque
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

6.8 Page 58

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Concluso il processo, i salesiani potevano trarre un primo bilancio. Pote-
vano ritenersi soddisfatti per quanto riguardava la fama di santità di Don Bo-
sco e le testimonianze sulle virtù eroiche; meno forse per quanto concerneva
la documentazione attestante i miracoli.
Sulle virtù eroiche avevano presentato riserve e limitazioni mons. Bertagna
e Domenico Bongiovanni. Sul piano documentario, ma non su quello delle vir-
tù, avevano avanzata qualche precisazione anche testi favorevoli. Leonardo
Murialdo, ad esempio, aveva ricordato il ruolo di Don Cocchi a Torino nel-
l'organizzazione dell'oratorio dell'Angelo Custode, il primo istituito nella città
esplicitamente in favore della gioventù abbandonata. I1 Murialdo precisò an-
che il numero dei giovani che frequentavano quell'oratorio quando ne fu di-
rettore: inferiore a quello asserito negli Articoli presentati dal postulatore.
Nel processo parallelo per la beatificazione di Don Giuseppe Cafasso i ter-
mini e il tono di mons. Bertagna furono più caldi e senza riserve verso questo
maestro e modello del clero torinese, in confronto a quelli che usò testimo-
niando su Don Bosco. In particolare, insieme ad altri testi, mirò a ripartire tra
Don Cafasso, il teologo Borel e altri sacerdoti quanto i salesiani tendevano ad
attribuire in modo preponderante e quasi esclusivo a Don Bosco in tema di ca-
techismi, oratori e mobilitazione della carità pubblica e privata in Piemonte.
L'aver posto il conflitto tra Don Bosco e l'arcivescovo Gastaldi come
punto nevralgico deli'intero processo giovava tutto sommato al buon esito che
i salesiani si ripromettevano. Implicitamente infatti portava a riconoscere che
il resto della vita e delle opere era degno di essere preso in considerazione in
ordine alla santità canonizzabile.
Meno soddisfacente era stato l'esame dei fatti miracolosiesaminati nel pro-
cesso e che il promotore fiscale documentò anche attraverso lettere e memorie
di medici competenti. Ma la procedura per le beatificazioni, consolidata dal
'700 in avanti, prevedeva anzitutto il riconoscimento ufficiale delle virtù eroi-
che da parte della Santa Sede sulla base della documentazione raccolta nel
processo informativo. Dichiarata l'eroicità delle virtù, si passava al riconosci-
mento di almeno due miracoli ottenuti per intercessione del venerabile. Le
guarigioni presentate al processo informativo furono di fatto accantonate. Da
quanto era awenuto, i salesiani poterono apprendere che più avanti nel corso
del processo apostolico dovevano provvedere ed esibire sui miracoli una do-
cumentazione attentamente selezionata.
testamur supradictum admodum reverendum dominum sacerdotem Maurum Rocchietti esse no.
tarium ~ublicumecclesiasticum in hoc processu per nos in actuarium specialiter deputatum,
eiusque attestationibus. scripturis, et instrumentis plenam in iudicio et extra adhibitam semper
fuisse et adhuc adhibeti fidem ab omnibus. Et ita dicimus atque testamurn; cf. Copia pubblica, fal.
3357rv.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
8. Dagli atti del processo alle immagini agiografiche
Tra i salesiani il p h o a utilizzare i materiali del processo informativo per
.' finiannalistici, biografici e documentari fu Don Giambattista Lemoyne.
Nonostante i bisogni impellenti di personale per le opere salesiane che si
andavano sviluppando in Europa e in America, nel 1883 il capitolo superiore
lo prelevò da Nizza Monferrato, dov'era direttore spirituale delle figlie di Ma-
ria Ausiliatrice, con la mansione di segretario del capitolo stesso e con l'espli-
cito compito di fare l'annalista e il memorialista della congregazione?' Don
Lemoyne si era già distinto nel genere biografico e di divulgazione storico-apo-
logetica pubblicando nella collana delle «Letture cattoliche» la vita del chie-
rico salesiano Giuseppe Mazzarello e volumetti su Cristoforo Colombo, Fer-
nando Cortés, Bartolomeo Las Casas, Lutero e Calvino. Sistematosi a Valdoc-
,o, dedicò parte del suo tempo alla composizione di teatrini educativi e pezzi
per rappresentazioni minori: molti di questi caratterizzarono il teatrino sale-
siano e oratoriano per vari decenni fin oltre gli anni della beatificazione e ca-
nonizzazione di Don Bosco. La maggior parte del tempo lo consacrò a elabo-
rare l'opera monumentale ch'egli stesso intitolò: Documenti per scrivere la sto-
ria di D. Giovanni Bosco, dell'oratorio di S. Francesco di Sales e della Congre-
gazione salesiana. La composizione dei Documenti era a sua volta in ordine a
un'ulteriore elaborazione che Don Lemoyne si riservava di cominciare in
tempo più opportuno. Intanto già fra il 1885 e il 1886 era riuscito a far com-
porre a stampa per i suoi zibaldoni di Documenti i materiali di circa dieci vo-
lumi, che coprivano l'arco dei fatti fino al 1859; aveva inoltre approntato i ma-
teriali f i o al 1865.92Negli anni del processo informativo con tutta probabilità
era riuscito a sviluppare la materia fino agli anni di mons. Gastaldi arcivescovo
di Torino e aveva cominciato a elaborare alcuni volumi con materiale aggiun-
tivo.
Concluso ufficialmente il processo, Don Lemoyne poté fare la sua grande
conquista: avere per intero una copia di tutti gli atti, tenerla con riservatezza
nell'archivio del capitolo superiore e utilizzarla per un'ulteriore elaborazione
dei suoi Don/menti." Tale copia venne eseguita presumibilmente dai chierici
salesiani di Valsalice sotto la guida di Don Giulio Barberis, mentre i loro venti
colleghi che avevano giurato al processo eseguivano la trascrizione da inviare
ufficialmente a Roma. Non si trattò di un abuso, giacché era nella prassi con-
'' Sul Lemoyne cf. Francis DESRAMAULeTs ,Memorie I de Giovanni Bottisfa Lemoyne. Efude
d'un ouvrngefondamental rur lajeunerre de raint Jean Borco, Lyan, Maison d'études saint-Jean-Bo-
sco 1962. 0.29-55
~
~
~
92 D E S P ~ A U T ,T,JMemorie I, p. 59.
33 Presso 1'AS si conservano degli atti del processo ordinario due copie complete e altre tra-
scrizioni frammentarie; su una deUe copie, in buona parte collocata nel fondo generico delle «cro-
nachetteu AS 110 al nome rispettivo dei testimoni, si trova ai margini di ciascuna pagina segnato
a penna il doppio virgolato caratteristico di Don Lemoyne;in questo modo egli evidenziava i brani
che intendeva trascrivere.

6.9 Page 59

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cultu» il 29 novembre 1901 che fu attento a riporre in luogo appartato gli og-
getti che talora portavano le persone graziate:
«Debbo dire che mentre io era direttore di quel seminario, varie persone mi por-
tarono degli ex-voto, delle tabelle, delle grucce, deiie candele, degli occhi d'argento,
ecc.; ma tutte queste cose furono da me riposte in luoghi appartati, ed appena qual-
cuno di questi oggetti si trovava alla tomba, per mio ordine tosto mi veniva portato
e lo riponeva in luogo appartato del seminario. I1 mio successore mi disse che tiene
questa norma, e tutti questi oggetti non si portarono e non si misero mai alla pubblica
vista»."
Le tavolette votive e gli altri oggetti dimostravano che la venerazione a
Don Bosco tendeva a inserire il servo di Dio, morto in odore di santità e con
la fama di taumaturgo in vita, nell'ambito della religiosità tradizionale come
«awocato» presso Dio per i bisogni deii'anima e del corpo. La devozione col-
lettiva non tendeva ad assegnargli una qualche specificità; Don Bosco, ad
esempio, non diventava il servo di Dio che conveniva invocare in favore dei
giovani. Si creava nei suoi confronti un doppio piano: quello del devoto che
ricorreva a lui come intercessore di grazie (intercessore interessato ad aiutare
anche per il buon esito della propria canonizzazione in terra) e quello di chi
tendeva a promuoverne la causa, perché modello e protettore di chi ne con-
tinuava l'opera.
Awenne in Sardegna che un parroco, afflitto da grave malattia agli occhi,
fece ricorso a Don Bosco coinvolgendo l'intero suo popolo. A guarigione ot-
tenuta, nella piena dell'entusiasmo, d a prima sacra funzione parrocchiale col-
locò l'effigie del servo di Dio sull'altare. Don Rua per scmpolo espose questo
episodio al processo a d e non cultu» (18 novembre 1901), aggiungendo che il
buon prete non era né salesiano né allievo di ~alesiani.)S~ul fatto si appunta-
rono le osservazioni severe del promotore della fede, che indicò nella colloca-
zione dell'effigie sull'altare una forma di culto gravemente vietata. Nella sua
«Responsio» l'awocato Melandri ammetteva che l'episodio costituiva una
grave trasgressione; ma come aveva rilevato il teste del fatto, c'erano compren-
sibili attenuanti; per cui, se era il caso, se ne sarebbe chiesta la dovuta dispensa
aii'autorità competente?'
Al processo «de non cultun furono prese in esame anche le raffigurazioni,
fornite o no di reliquie, che del servo di Dio erano state messe in circolazione.
Anche in questa materia i salesiani si muovevano nell'ambito delle pratiche
consentite utilizzando i mezzi che la devozione popolare aveva acquisito sotto
lo stimolo della stessa élite eccle~iastica.C~'ome sostegno della pratica religiosa
'O Responsio, nr. 8s., p. 7s.-
Cf.in propositoJean PniOlTE,Les imoger de dévotion, témoin de la mentolit4 d'une époque:
1840.1965, MéthodoIloge d'une enquéte donr le Ni?rnwoir,in: nReviie d'histoirede la spiritualité»
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
e in ordine al disegno di una ricristianizzazione deiia società si dimostravano
infatti utili le irnmaginette che ecclesiastici e laici usavano tenere sui mobili, at-
taccare aiie pareti, riporre come segnacoli entro le pagine di libri anche pro-
fani. A loro volta i quadri sacri contribuivano a porre sotto gli occhi i messaggi
cristiani più vari all'interno deile mura domestiche, nelle scuole, nelle botte-
ghe, nelle fabbriche, negli ospedali, nelle sale di associazioni culturali, sporti-
ve, ricreative.
L'effigie di Don Bosco, disegnata o fotografata, era diffusa, oltre che in
grandi formati, in cartoline e pagelline, stampate già nel 1888 come ricordino
funebre, in nero o in tinta scura marroncina." In alcune cartoline di un solo
foglio si leggeva sul retro un breve profilo della vita e delle opere; in altre a
foglio doppio era riportata neile pagine interne la lettera che Don Bosco aveva
predisposto, da inviare ai cooperatori dopo la sua morte. Una pagellina del
1902, fornita di approvazione ecclesiastica e di reliquia «ex indumentis», dava
del servo di Dio un profilo biografico, la cui parte conclusiva ne delineava le
buone qualità:
«... Alla sua morte contavansi circa duecentomila i giovanetti affidati alle sue mi-
rabili istituzioni. Lasciò erede del suo apostolato l'istituto o società dei salesiani da lui
fondati, i quali ne ticopiano lo spirito intraprendente e lo zelo operoso. Don Bosco isti-
tu) pure l'associazione delle suore di Maria Ausiliatrice per l'educazione delle fanciulle
e l'unione internazionale dei cooperatori e delie cooperatrici salesiane. Questa impor-
tantissima unione, che ha per iscopo di estendere lo spirito e l'apostolato di Don Bosco
in tutte le famiglie ed in tutti i gradi.sociaii, ha circondato di innumerevoli amici e be-
nefattori le Opere Salesiane e va ampliandosi mirabilmente. Le case salesiane di Don
Bosco sono estese oggi neli'Italia, Francia, Spagna, Portogdo, Belgio, Austria, Inghil-
terra, Svizzera, Polonia, Messico, Venezuela, Colombia, Equatore, Bolivia, Penì, Chili,
Brasile, Uruguay, Argentina, Patagonia, Terra del Fuoco, Isole Maivine, Algeria, Tuni-
sia, Palestina e Capo di Buona Speranza.
Don Bosco fu di carattere mite, animo generoso, cuore nobile e grande. Coltivò gli
studi con esito molto felice. Fu storico erudito, accurato scrittore ed oratore molto ef-
ficace. Lasciò d a repubblica letteraria circa settanta operette per la gioventù e pel po-
polo dettate con mirabile purezza e proprietà di lingua, stiie facile, spontaneo ed at-
traente. La sua Storia d'Italia ebbe venti edizioni ed il Giovane provveduto h d i i s o
in un milione e più mila esemplari. Tra i suoi allievi vi sono già più vescovi ed altri di-
gnitari ecclesiastici, magistrati distinti, esimu letterati, valenti artisti ed un numero ster-
50 (1974)p. 479.505; Claude SAVARATl,a recherche de I'rortu dit de Saint-Sulpice, ivi 52 (1976)
p. 265-282.
" Una piccola collezione di ritratti e immagini di Don Bosco è presso il Centro Studi Don
Bosco deli'Università PontificiaSalesiana.Sul fogliodi coperta del uBoUettino salesianon,dal 1888
in poi, è fatta saltuariamente pubblicità di ritratti, quadri e medaglie raffiguranti Don Bosco. Per
un'analisi più completa sarebbero da prendere in esame anche le illustrazioni sia del «BoUettino
salesiano» che dde varie biografie agiogrdche che si andarono stampando in quegli anni: Gio-
vamino Bosco in equilibrio su una corda tesa ira due alberi, Don Bosco aggredito da male inten-
zionati e liberato dall'intenrento del «cane grigio»,ecc.

6.10 Page 60

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Don Bosco era vivo in carne e ossa, conosciuto personalmente d a quanti ne
raccontavano le gesta?'
La forma narrativa del Lemoyne corrispondeva al tipo di cultura e d a vi-
sione delle cose che coltivavano i salesiani nei loro ambienti. D'altra parte con
la costruzione annalistica, la riproduzione in esteso di documenti e il riferi-
mento continuo a testimonianze orali o scritte Don Lemoyne dava l'illusione
di oggettività e denotava una certa sensibilità ai principi metodologici che reg-
gevano la storiografia positivista dell'epoca. Corrispondeva certamente alle sue
convinzioni quanto dichiarò nel preambolo al primo volume deiia Memorie
biografiche e poi ribadì in quello della Vita in due volumi:
«La 'narrazione è secondo verità [...l. Io stesso, dal 1864 al 1888, misi in carta
quanto accadde di più memorabile. Molte cose le seppi dai lunghi, frequenti, confiden-
ziali colloqui che ebbi col servo di Dio per ben ventiquattro anni e de' quali non lasciai
cadere parola [...l. Non la fantasia, ma il cuore, guidato dalla fredda ragione, dopo lun-
ghe disquisizioni, corrispondenz,e, confronti dettò queste pagine. Le narrazioni, i dia-
loghi, ogni cosa che ho creduto degna di memoria, non sono che la fedele esposizione
letterale di quanto i testi ci esposero...».-
«Altra fonte, alla quale attingemmo specialmente per ritrarre la fisionomia morale
di Don Bosco fu il processo canonico istituito nella curia arcivescovile di Torino in or-
dine ali'introduzione d d a causa di beatificazione e canonizzazione. Ci furono anche di
sicura guida alcune Memorie autografe di Don Bosco stesso, lo spoglio di tutte le sue
carte, l'attenta lettura di tutte le opere da lui pubblicate, l'esame della sua voluminosa
corrispondenza [...l. Le più pazienti ricerche adunque e lo studio critico più accurato
dettarono queste pagine. Ogni fatto, ogni detto, i dialoghi stessi sono la fedele espo-
sizione di quanto risulta dagli accennati documenti, che possediamo».'"
Proprio su questo terreno, sia pure senza un serio retroterra di critica sto-
" La memoria orale tramanda molti aneddoti relativi a oratori e altre opere salesiane nelle
varie parti del mondo. Ii «Bollettinosalesianon, presentando il primo volume d d a Vita, sattoli-
neava il soprannaturale e il miracoloso: «Come negare l'intervento della mano del Signore di
fronte ad un umile sacerdote che esce incolume dai più insidiosi attentati, allo scorgere i terribili
casi incorsi a chi a lui s'oppone, ed al contemplare I'ammirabile gara deiie più illustri famiglie per
generosamente coadiuvarlo? Come non dire che egli sia stato un uomo inviato da Dio, se mille
altri casi umanamente inesplicabili accompagnano i suoi detti, i suoi atti, il suo ministem sacer-
dotale e tutte le opere sue? [...lLa vita di Don Bosco è una delle più splendide apologie del so-
prannaturale in pieno secolo decimonono, e delle più grandi e caratteristiche affermazioni o ma-
nifestazioni d d a divina prowidenza*; «Bollettinosalesianon 35 (marzo 1911)p. 65s.La «Civiltà
cattolica*,facendoneampia recensione nel 1915,sottolineavale benemerenze di Don Bosco «apo-
stolo del popolo moderno», ma che «ha, come tutti i santi passati, questo carattere anzitutto della
sua santità: il pensiero di Dio sopra ogni altro». Notava il recensore: «Si vede subito come il pre-
sente libro, pur senza le apparenze di un minuzioso metodo critico, quale si può esigere nelle Me-
morie biografiche poc'anzi citate, si presenti al pubblico con tutti i requisiti della fedeltà e diligenza
dello scrittore e della veridicità delle sue asserzioni*:«Civiltàcattolican66 (1915)n,p. 349-354.
MB 1, p. [VIIIs].
lai LEMOYNVEit,a, I, p. [W].
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
rica, le giovani generazioni salesiane attaccarono le Memorie biografihe già nei
p i m i anni del secondo conflitto mondiale. I n una lettera, scritta al direttore
dello studentato teologico di Bollengo nel 1953, il continuatore del Lemoyne,
Don Eugenio Ceria, riproponeva una serie di sette osservazioni che gli erano
state avanzate sette anni prima dagli studenti deila facoltà di teologia del Pon-
tificio Ateneo Salesiano, trasferiti in quel tempo, a motivo deiia guerra, da To-
rino a Bagno10 Piemonte (Cuneo):
«l. Si dice che Don Lemoyne non sarebbe uno storico, ma un romanzatore della
storia.
2 . Nelle Memorie biografiche ci sono troppi fatti che non reggono alla critica.
3. Don Bosco, anche nelle sue Memorie, ha, per fini educativi, modificato e ag-
giunto secondo che conveniva d a sua tesi.
4. Ci sono contraddizioni, specie nei primi volumi.
5. Anche i volumi curati da Don Ceria non sono pienamente storici, ma encomia-
stici e laudativi.
6. Mancano nelle Memorie biografiche le ombre alla figura di Don Bosco e i legami
con gli awenimenti storici della nazione.
7. Lo stesso intemento di Don Bosco per la nomina dei vescovi, per il rilascio degli
exequatur, per la conciliazione, non è sufficientemente suffragato da documenti di ori-
gine pubblica e dalle memorie degli uomini che vennero a contatto col nostro padre
per questi affari^.'^'
Le risposte di Don Ceria erano una commossa arringa in difesa sua propria
e di Don Lemoyne. Già qualche giovane salesiano si era permesso amichevol-
mente di avvicinare Don Lemoyne per segnalargli alcune «discrepanze» notate
nelle Memorie biografiche. «All'udie ciò - scrive D o n Ceria nella sua lettera
- Don Lemoyne parve rannuvolarsi e dopo breve silenzio, serio serio, gli ri-
spose: Sappi che io non scrivo a fantasia, ma non dico n d a che non sia ben
provato da documenti o d a testimonianze sicure*. Don Ceria concludeva ac-
corato la sua lettera ammonendo implicitamente contro il «diavoletto della
scienza» che nelle Memorie biografiche da lui proseguite si diceva sognato da
Don Bosco: un diavoletto che aveva indicato al consesso dei suoi simili con
quale mezzo rovinare la congregazione salesiana. Richiamava Don Ceria un
episodio affine della leggenda francescana:
«Mi si permetta di esprimere un voto. S. Francesco di Assisi, quando i suoi frati
cominciarono a frequentare le università di Bologna e di Parigi, allarmato esclamò: Pa-
rigi ha fatto dimenticare Assisi. Temeva il santo che la presunzione scientifica soffo-
casse l'umiltà evangelica. Accade talvolta di imbattersi in certuni che senza aver letto
'O1 La lettera di Don Ceria al direttore dello studentato teologico salesiano di BoUengo ha la
data «Torino,9-In-1953~e fu fatta circolare in un fascicololitografatodi 14 pagine. Per un esame
più ampio d STELLA, Le ricerche ru Don Bosco nel ventiiinquennio 1960-1985: bilanao, problemt
e pmrpettive, in: Pietro B m (ed.),Don Bosco nella Chiesa a remizio dell'umanità. Studi e te-
stimonianze, Roma, LAS 1987, p. 373-397.

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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o avendo letto con molta superficialità le Memorie biografiche, giudicano e condannano
con una critica somigliante alla falsa scienza che, secondo l'espressione de1l'Apostolo,
non edifica, ma gonfia*.
1.c pirole dcl (:zria esprimevano ~ i i ci erto allarme e una cerrai~nsioncche
si erano andati creando soprattutto a Torino e in Piemotite tra vecchi e giovani
si salesiani. Donevd comunque urgente il prohiema di i i i i i revisionc documen-
taria radicali e sistematica Sia dege ~ e m o r i ebiografiche, sia degli stessi scritti
di Don Bosco, a partire da quelli che contenevano testimonianze autobiogra-
fiche, quali le Memorie deil'oratorio, la Vita di Domenico Savio e quella di al-
tri giovani che costituivano come il frutto emblematico e il sigillo divino del-
l'opera educativa saiesiana.
Meno si awerti in quegli anni la grande importanza delle Memorie biogra-
fiche come vasto documento di una mentalità che ne!'800 e r a fluttuante tra
quella di cultura orale m~gi'co~Sacraleeso~annat.u.ral.~ist(idcaacui la massa dei
~
giovani e DCiil3oSco stesso provénivano)e quella scientifica, incline cioè a ri-
cercare nei fatti umanamente percepibili una spiegazione e unsenso. n_'am-
bito delle scienze umane. In altre parole non si awertiva pienamente che
quella del~Eemoyne,del Ceria e dell'Amadei non era tanto una storia roman-
zata, quanto una ricostruzione agiogra.fi.ca...r.a..wicinabile a quelle di Lorenzo
Surio o agli An~alesdi Luca Wadding o di Zaccaria Boverio, ormai aggiornati
(O, se si vuole, contaminati), dalla cura, tipica della storiografia.p,ositivistica,di
riportare per intero testimonianze e documenti a garanzia di oggettività e sto-
ricità. i i l i e n i i c i a q u e u i d d Surio, del Wadding e del Boverio rimanevano
i presupposti che si esplicitavano nelle Memorie biograftche, i cui autori non
si ponevano il problema del ruolo di Don Bosco nella c r i s i . ~ _ n ~ ~ ~ v ~ l v e r s i
delle strutture del tempo, ma essenzialmente miravano a indicare, attraverso le
testimoriiiiiKFla-narrazione dei fatti, che neil'operato di Don Bosco c'era il
segno evidente e continuo di grazie divine straordinarie, al di sopra e contro
le «leggi» della natura: Don Bosco non solo era un taumaturgo; era anche il
miracolo forse più grande elargito da Dio al mondo moderno.
t
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Annessa
ELENCO DEI TESTIMONI
AL PROCESSO INFORMATIVO DIOCESANO
1. Giovanni Battista BERTAGNA
vesc. tic. di Cafarnao, ausiuare deu'arciv. di Torino
a. 62
d d a sess. 4: 26.7.1890
d a sess. 8: 6.9.1890
giudici: Roetti, Gazeili, Nasi
luogo: oratorio privato Bertagna
Copia pubbl, fai. 2351.2461
2. Gioacchino BERTO
sac. salesiano
a. 44
dalla sess. 10: 10.4.1891
aUa sess. 46: 11.1.1892
giudici: GazeiJi, Molinari, Rame110
luogo: oratorio Gazeli
Copia pubbl, fol. 271~-6081
3. Secondo MARCHISI0
sac. salesiano
a. 35
d d a sess. 57: 26.1.1892
d a sess. 66: 8.2.1892
giudici: Molinari, RameUo, Pechenino
luogo: oratorio Ramello
Copia pubbl., fol. 608r-652v
4. Giovanni Francesco GIACOMELLI
sac. secolare
a. 72
d d a sess. 68: 20.4.1892
d a sess. 74: 9.5.1892
giudici: GRaazmeUdioeeMPoeclihneanriindodeaegagtiiunti
luogo: oratorio Molinari
Copia pubbl., fol. 656r-690r

7.2 Page 62

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5. Felice REVIGLIO
sac. secolare curato di S. Agostino a Torino
a. 60
dalla sess. 75: 13.5.1892
aila sess. 86: 30.6.1892
giudici: Gazeiii, Rameiio, Pechenino
luogo: oratorio GazeUi
Copia pubbl, fol. 690v-7511
6. Giacomo MANOLINO
laica, muratore
a. 60
dal.laS.S 87: 4.7.1892
alla sess. 88: 5.7.1892
giudici: Gazelli, Ramello, Pechenino
luogo: oratorio Gazeììi
Copia pubbl, fol. 751r-760v
7. Giovanni TURCO
laico, possidente
a. 82
dalla sess. 89: 6.7.1892
alla sess. 90: 7.7.1892
giudici: Gazelli, Ramello, Pechenino
luogo: oratorio Gazelli
Copia pubbl., fol. 761r-771"
8. Giovanni FILIPELLO
laico, commerciante
a. 77
dalla sess. 91: 8.7.1892
d a sess. 92: 9.7.1892
giudici: Gazelli, Ramello, Pechenino
luogo: oratorio Gazeiii
Copia pubbl, fol. 771~-781r
9. Giorgio MOGLIA
laico, possidente
a. 67
dalla sess. 93: 10.7.1892
d a sess. 94: 12.7.1892
giudici: Gazelìi, Rameiio, Pechenino
luogo: oratorio Gazelli
Copia pubbl, fol. 7811.793~
10. Giacinto BALLESIO
canonico, prevosto di Moncalieri
a. 50
dalla sess. 95: 27.10.1892
d a sess. 104: 24.11.1892
giudici: Gazelli (poi, Molinari), Ramello, Pechenino
luogo: oratorio Gazeiii
Copin pubbl., fol. 793v-826v
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
11. Angelo SAVIO
sac. salesiano
a. 59
dalla sess. 105: 28.11.1892
alla sess. 108: 5.12.1892
giudici: Moiinari, Ramello, Pechenino
luogo: oratorio Gazelli
Copia pubbl, fol. 826"-8701
12. Francesco DALMAZZO
a. 47
dalla sess. 109: 6.12.1892
alla sess. 125: 23.1.1893
giudici: Mohari, Ramella, Pechenina
luogo: bratorio Moiinari
Copia pubbl, fai. 8701.972~
13. (1- conteste ex officio) Giovanni BRANDA
sac. salesiano
a. 51
sess. 126: 25.1.1893
giudici: Molinari, Ramello, Pechenino
luogo: oratorio Moiinari
Copia pubbl., fol. 972v-982r
14. Pietro ENRIA
coadiutore salesiano
a. 52
dalla sess. 127: 27.1.1893
alla sess. 136: 8.2.1893
giudici: Mohari, Ramello, Pechenino
luogo: oratorio Moiinari
Copia pubbl., fol. 982r-1043v
15. Leanardo MURIALDO
sac., rettore del collegio degli Artigianelli in Torino
a. 64
dalla sess. 137: 10.2.1893
alla sess. 142: 21.2.1893
giudici: Molinari, Ramello, Pechenino
luogo: oratorio Maiinari
Copia pubbl, fol. 1043"-1075r
16. Giovanni CAGLERO
salesiano, vesc. tit. di Magida
vic. apostolico della Patagonia settentr.
a. 55
dalla sess. 143: 1.3.1893
alla sess. 168: 30.5.1893
giudici: Molinari, Ramello, Pechenino
luogo: oratorio Moiinari, poi orat. Pechenino
Copia pubbl., €01. 1075r-1255v

7.3 Page 63

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17. Francesco CERRUTi
sac. salesiano
a. 49
. dalla sess. 169: 5.6.1893
d a sess. 192: 1.12.1893
giudici: Molinari, RameUo, Pechenino
poi, Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl., fol. 1256r-1409r
18. Giovanni Battista PIANO
curato della Gran Madre di Dio in Torino
a. 52
dalla sess. 193: 4.12.1893
aiia sess. 200: 14.12.1893
giudici: Morozzo, Pechenino, Aiasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, fol. 1409r-1450r
19. Giuseppe ROSSI
coadiutore salesiano
a. 59
dalla sess. 201: 18.12.1893
alla sess. 210: 11.1.1894
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, foi. 14501-1505r
20. Giovanni VILLA
laico, dolciere
a. 55
dalla sess. 211: 16.1.1894
alla sess. 220: 26.1.1894
giudici: Morozzo, Pechenuia, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, fol. 1505r-1555r
21. Giovanni Battista FRANCESIA
sac. salesiano
a. 55
dalla sess. 221: 8.2.1894
d a sess. 248: 10.4.1894
giudici: Morozzo, Pechenino, Aiasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, fol. 1555r-1771"
22. Luigi PISCETTA
sac. salesiano
a. 36
dalla sess. 250: 17.4.1894
alla sess. 267: 5.7.1894
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl., fol. 1771~-18841
120
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
23. Giulio BARBEIUS
sac. salesiano
a. 47
dalla sess. 268: 9.10.1894
alla sess. 308: 19.12.1894
giudici: Morozzo, Pechenino, Aiasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, fol. 18841-2167r
24. Giovanni Battista LEMOYNE
sac. salesiano
a. 56
dalla sess. 309: 2.1.1895
alla sess. 347: 18.3.1895
giudici: Morozzo, Pechenino, Aiasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbL, fol. 2167r-2426r
25. G i o v a ~Bi ISIO
laico, negoziante, possidente
a. 57
dalla sess. 348: 26.3.1895
alla sess. 357: 6.4.1895
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl., fol. 24261-2472r
26. Michele RUA
sac. salesiano, renor maggiore
a. 58
dalla sess. 358: 29.4.1895
alla sess. 396: 10.7.1895
giudici: Morozzo, Pechenino, Aiasia
luogo: oratorio Pcchenino
Copia pubbl., fol. 24721.2745"
27. Giovanni TURCHI
,d, ,
.,
sac. secolare, professore
a. 57
dalla sess. 397: 7.10.1895
d a sess. 410: 25.10.1895
giudici: Morozzo, Pechenino, Aiasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, fol. 2745"-2834v
28. Ascanio SAVIO
sac. secolare
rettore del seminario arcivesc. di Torino
a. 63
dalla sess. 411: 5.11.1895
alla sess. 420: 21.11.1895
giudici: Morozzo, Pechenino, Aiasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, foi. 28351.28861

7.4 Page 64

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29. Giovanni Battista ANFOSSI
canonico onorario collegiata SS. Trinità in Torino
a. 55
dalla sess. 421: 23.12.1895
alla sess. 439: 23.1.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, fol. 2886r-3007v
30. (1- t. ex officio) Domenico BONGIOVANNI
sac. secolare
daUa sess. 440: 27.1.1896
alla sess. 448: 14.2.1?96
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, foi. 3007~-3054r
31. (2O t. ex officio) Giuseppe Bernardo CORNO
canonico, cancelliere curia arciv. di Torino
a. 39
dalla sess. 449: 24.2.1896
alla sess. 455: 9.3.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, fol. 3054r-3080r
32. (3" t. ex officio) Antonio BERRONE
canonico onorario metropolitana di Torino
a. 42
dalla sess. 456: 12.3.1896
alla sess. 464: 23.3.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl., fol. 3080"-3117r
33. (2- cont. ex officio) Marina DELLA VALLE
moglie del teste 34
a. 56
sess. 466: 15.4.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbL, fol. 31231-3128v
34. (3- cont. ex officio) Carlo Matteo DELLA VALLE
negoziante, commissionario di commestibili
a. 60
sess. 467: 17.4.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl., fol. 3128"-31441
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
35. (4" cont. ex officio) Paoha DESSANTl
suora, figlia deiia carità
a. 52
sess. 469: 21.4.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Nasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, foi. 3145r-315077
36. (5" cont. ex officio) Azdia RICCI DES FERRES
marchesa, possidente
a. 49
sess. 470: 22.4.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia jubbl, fol. 315077.3153~
37. (6"cont. ex officio) Luigia PIOVANO
nata Fagiano, moglie d d teste 38
a. 50
sess. 471: 24.4.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbL, foi. 3154r-3160r
38. (7" cont. ex officio) Tommaso PIOVANO
laico, ricoverato in ospizio
a. 85
sess. 472: 27.4.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Nasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, fol. 316077-3171r
39. (8" cont. ex officio) Filomena CRAVOSIO
suora domenicana
a. 60
sess. 473: 29.4.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenuia
Copia pubbl., fol. 3171~-317%
40. (9"cont. ex officio) Teresa LAURENTONI
suora, figlia di M. Ausiliatrice
a. 39
sess. 474: 21.5.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubb1, fol. 3179"-3184r

7.5 Page 65

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41. (10- cont. ex officio) Rosa FERRARi
suora, figlia di M. Ausiliatrice
a. 61
sess. 475: 22.5.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, fol. 3184r-3188r
42. (11" cont. ex officio) Giovanni ALBERTOTTI
medico chirurgo
a. 73
sess. 476: 23.5.1896
giudici: Morozzo, Pech~nino,Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbL, fol. 3188r-3188v
43. (12- cont. ex officio) Domenica RONCO
moglie del t. 45; madre del t. 44
a. 40
sess. 477: 30.5.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, fol. 31911-3196r
44. (13' cont. ex officio) Giovanni PENNAZIO
compositore presso la tipogr. Canonica in Torino
a. 19
sess. 478: 8.6.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl, fol. 3196r-319%
45. (14" cont. ex officio)Tommaso PENNAZIO
laico, mugnaio, padre del t. 44
a. 47
sess. 478: 8.6.1896
giudici: Morozzo, Pechenino, Alasia
luogo: oratorio Pechenino
Copia pubbl., fol. 3 199~-3202r
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
CAPITOLO 111
IL PROCESSO APOSTOLICO
FINO ALL'APPROVAZIONE DEGLI ATTI (1907-1922)
1. Dal processo informativoaii'apertura del processo apostolico (1897-1907)
Con la consegna degli atti del processo ordinario, portati a Roma da Don
Belmonte già nell'aprile 1897, la causa di Don Bosco passò presso la S.C. dei
Riti dalla prima fase informativa a,i .p..re,~li-m_.i_n~ari che dovevano condurre alla de-
cisione, se aprire il processo apostolico ovvero, dato l'accertamento di obie-
zioni insormontabiii, accantonare tutto. La causa cominciava ad assumere più
nettamente le modalità di un dibattito giudiziario. Ponente di essa f u nominato
il 16 settembre il cardinale protettore dei salesiani, Lucido Mar.i.a Parocchi, vi-
cario del papa nella diocesi di Roma.' Quello stesso giorno presso la S.C. dei
Riti fu dissuggellato e aperto l'incartamento torinese allo scopo di procedere i
a una nuova trascrizione del «transurn~u--ume» così approntare la Copia pub-
blica, cioè il.~~tg~ficiale su cui basarsi nella documentazione attinente la,
causa. Il testo trascritto e controllato f u riconosciuto ufficialmente dal notaio
e archivista della S. Congregazione, Gustavo Savignoni, il 12 aprile 1899.2
Intanto il 30 agosto 1897 Don Rua nominava il procuratore generale della
società salesiana a Roma, Don Cesare Cagliero, postuiatore della causa; e a To-
rino Don Domenico Belmonte assumeva il ruolo di vicepostuiatore. Con or-
dinanza del 25 ottobre 1898 la C.C. dei ~R....it.i. .o.r~dinava la conse.gna di t-utti gli
scritti del~se.rvo~d.i.,Dio. La prescrizione fu rinnovata a Torino dall'arcivescovo
' Diamo subito con la data di nomina l'elenco dei cardinali cbc si sono succeduti come po.
nenti la causa: Lucido Maria Parocchi (n. 1833; t 15.1.1903) nominato ponente il 16 settembre
1897; Luigi Tripepi (n. 1836; t 20.12.1906) il 22 maggio 1903; José Calasanz Vivés y Turo (n.
1854; t 7.9.1913) il 23 febbraio 1907; Domenico Ferrata (n. 1847; t 10.10.1914) il 17 febbraio
1914; Antonio Vico (n. 1847; t 25.2.1929) P11 gennaio 1915; Alessandro Verde (n. 1865; t
29.3.1958) nel marzo 1929.
Postulatori furono: Don Giovanni Marenco (1853.1921) dal 17 dicembre 1899 e poi dal 1907
postulatore del processo apostolico; Dante Munerati (1869-1942)dal 2 dicembre 1909; Francesco
Tomasetti (1868-1953)dal 15 mano 1924.
Verbalizzazionedi Gustavo Savignoni nell'ultimo foglio non numerato d d a Copia pubblica.

7.6 Page 66

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e, per quanto riguardava i salesiani, da Don Rua con una lettera circolare ai
confratelli.)
La trascrizione di lettere a mano e di altri inediti era già stata awiata da
tempo. Amanuense infaticabile era Don Gioacchino Berto con la sua chiaris-
sima scrittura calligrafica. I materiali manoscritti e stampati furono fatti per-
venire a Roma in un paio di spedizioni.
I1 17 novembre 1899 l'arcivescovo di Torino, Agostino Richelmy, fu nomi-
nato giudice apostolico delegato con il compito d'istruire anzitutto il previo
«processiculus diligentiarum» in cui si appurasse che tutto era stato svolto re-
golarmente. A tale scopo l'arcivescovo Richelmy istituì il 10 giugno 1900 un
apposito tribunale che, con sede ali'oratorio salesiano di Valdocco, espletò il
suo lavoro il 30 gennaio 1901.
I1 lo novembre 1899 morì a Roma Don Cesare Cagliero e il 17 febbraio
1901 a Torino il vicepostulatore Don Domenico Belmonte. Entrambi furono
surrogati rispettivamente con Don Giovanni Marenco, nominato procuratore
generale e postulatore il 17 dicembre 1899, e Don Filippo Rinaldi, che eletto
dal capitolo generale deila congregazione prefetto generale nel settembre
1901, fu da Don Rua designato vicepostulatore.
La causa si awiava secondo le procedure consuete e con tutte le pause do-
vute ad accidenti imprevisti, alla quantità dei materiali, alla mole di lavoro che
assorbiva sia i dicasteri romani sia gli uffici della curia di Torino. Don Ma-
renco inoltrò la petizione perché la S. Congregazione inviasse le «litterie remis-
soriales» al giudice delegato torinese per l'istruzione del processo «de non cul-
tu». Da questo doveva risultare, attraverso l'escussione di testi e una serie di
atti giudiziari, che al servo di Dio non si prestavano forme di culto vietate e
che intanto la sua venerazione, anziché diminuite, si consolidava e cresceva. I1
processo «de non cultun dopo l'escussione di testi, la visita alla tomba di Val-
salice e delle camerette, ove morì Don Bosco a Valdocco, fu terminato il 4 giu-
gno 1904.'
Nel biennio 1902-1903 fu possibile ai salesiani raccogliere ben 341 « l i t t e r ~
' Lettera circolare ai salesiani, Roma, 1898, ottava deli'Immacolata Concezione; cf. Lettere
cirolari di Don Michele Rua ai Saleriani, Torino, SAID «Buona Stampa» 1910, p. 186s: <Mentre
io vi unisco qui l'ordinanza del veneratissimo nostro arcivescovo, dò nel medesimo tempo ordine
a voi di radunare quanto prima gli scritti che avete di Don Bosco e di mandarmeli. Quelli che de-
siderano riaverli, possono star sicuri che saranno loro restituiti,,.
' ... Josepho Calasantio Viver y Tuta relatore... Positio super non a l t u , Romz, Schola typ. Sa-
lesiana 1908. - Precede la Infomatio (p. 1-7, sottoscritta, Pietro Melandri, Roma, 2 aprile 1908);
segue il Summarium del processo «super non cultu» distinto in dieci numeri (p. 1-73). Notiamo:
1) il decreto d'introduzione della Causa: «Supremus humanz familueu, 23 luglio 1907 (p. 1-7);
2 ) Supplex libellus postulatorum (Marenco e Rinaldi),27 aprile 1901 (p. 8s);3 ) Tabella tertium (in
tutto otto, che testimoniarono dal 18 novembre al 16 dicembre 1901: Michele Rua, Giuiio Bar-
beris, Giov. Battista Francesia, Luigi Piscetta, Secondo Marchisio, Giov. Battista Lemoyne e i due
preti non salesiani Felice Reviglio e Giov. Battista Piano. - Infine: Animadversioner, del promo-
tore della fede Alessandro Verde, in data 16 marzo 1907 (p. 1-8);la Responrio ad animadverriones,
sottoscritta da Pietro Melandri, il 10 aprile 1907 (p. 1.8).
126
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
postulatoriie» di cardinali, vescovi, prelati, superiori di ordini religiosi, capitoli
cattedrali d'Italia, d'Europa e di altri continenti: erano le petizioni autorevoli
che s'indirizzavano al papa perché si degnasse di aprire il processo apostolico
per la beatificazione del servo di Dio. Varie di queste furono raccolte a Torino
nel 1902 in occasione di un convegno degli oratori per la gioventù; altre, nel
1903 in occasione del terzo congresso internazionale dei cooperatori salesiani
tenuto anch'esso a Torino. La stragrande maggioranza fu ottenuta per altre
vie: un gruppo notevole veniva dalla Francia, dal Belgio e dalla Spagna; c'e-
rano lettere postulatorie di personalità ecclesiastiche dei luoghi più discosti e
meno vicini a opere salesiane, come quella dell'arcivescovo di Tokio e altre di
vescovi dell'America settentrionale, dell'Asia e deWAfrica.' Non c'erano peti-
zioni inoltrate da membri della casa regnante d'Italia, così come s'era ottenuto
per il processo apostolico del Cottolengo: la temperie politica era diversa; l'as-
senza di petizioni siffatte era anche un indice del separatismo politico e della
ricerca di altre forme di contatto tra le istituzioni ecclesiastiche e quelle civili.
Il 15 gennaio 1903 morì a Roma il card. Parocchi. A succedergli come po-
nente la causa fu nominato il 22 maggio Luigi Tripepi (1836-1906),un cardi-
nale di origine calabrese che nei suoi scritti di erudizione e apologetica fdo-
papale e ultramontana aveva espresso tra l'altro giudizi elogiativi sulle Vite
dei papi scritte da Don B o ~ c oE.l~evato alla porpora il 15 aprile 1901, il Tripepi
fu prefetto della S.C. delle Indulgenze e poi anche pro-prefetto della S.C. dei
Riti.'
Essendo morto da tempo Ilario Alibrandi, si prowide ad assumere un altro
buon awocato nella persona di Ferdinando Morani. Questi si servì del procu-
ratore Pietro Melandri per preparare i testi a stampa richiesti dal processo: la
Informatio e il Summarium circa la fama di santità, i doni soprannaturali e le
guarigioni attribuite all'intercessione del servo di Dio con rimandi precisi ai fo-
gli numerati deila Copia pubblica e una selezione delle lettere postulatorie in-
sieme al loro elenco completo. Già nel 1904 si poteva disporre del grosso vo-
lume del Summarium, privo ancora delle pagine preliminari e del frontespizio
che si sarebbe potuto apporre all'apertura del processo apostolico: Positio su-
per introductione cause.
Tra il 1902 e il 1904 si svolse a Roma l'esame degli scritti di Don Bosco.
Con la protezione e sotto l'egida del Tripepi ci si poteva aspettare un esito fa-
vorevole. I1 giudizio dei teologi censori fu infatti positivo e in sostanza in con-
ferma di quanto sinteticamente aveva già espresso nei suoi scritti il cardinale
ponente.
Data la delicatezza del caso, si prowide tuttavia a istruire nel 1906 un pro-
Le Littem postulatori.e sono rilegate insieme, con numerazione a parte (p. 1-99),nel grosso
volume: ... Josepho Calmnrio Viver y Tuto relatore... Pmitio super ixtroductione causz (Summa-
rium et Litterz Postulotoriz), Rome, Schola typ. Salesiana 1907, p. VI-1023.99.
Cf. MB 8, p. 117-119.
' Cf. Annuoire 1908, p. 668.

7.7 Page 67

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cessicolo segreto per analizzare se negli scritti di Don Bosco attinenti le con-
troversie con mons. Gastaldi vi fosse qualcosa che potesse costituire un osta-
colo grave d a prosecuzione del proces~oN.~ei materiali ufficialmente perve-
nuti da Torino le controversie con l'arcivescovo avevano un rilievo particolare.
Oltre ad essi sicuramente a Roma si tenevano presenti le informazioni che il
canonico Colomiatti aveva continuato a fornire scrivendo a coloro che dopo
la morte di mons. Agostino Caprara si erano succeduti neli'ufficio di promo-
tore generale della fede presso la S.C. dei Riti. Colomiatti in quegli anni era
tutt'altro che emarginato a Torino e non era uno sconosciuto a Roma. Nomi-
nato provicario generale della diocesi da mons. Riccardi, era stato confermato
in carica da!J'arcivescovo Richelmy; continuava nell'ufficio di awocato fiscale
della mensa vescovile e difensore del vincolo matrimoniale, era canonico della
metropolitana, professore di decretali a Torino nella Facoltà legale pontificia,
nominato protonotario apostolico «ad instar» il 3 gennaio 1902. In quegli anni
continuavano ad apparire i grossi volumi in quarto del Codex iuris pontificii
seu canonici, in tutto tre tomi in nove volumi, dedicati di volta in volta a Leone
XIII e poi a Pio X. Il tomo terzo sarebbe uscito nel 1906, fregiato di una let-
tera del cardinale Felice Cavagnis, autorevole canonista ormai impegnato al
progetto del Codex iuris can0nici.g
Nonostante le relazioni confidenziali del Colomiatti, sempre awerso alla
beatificazione di Don Bosco, il giudizio espresso dal teologo censore fu sostan-
zialmente positivo, ed era nettamente espresso già nei titoli premessi a cia-
scuna parte del suo elaborato: l'origine della controversia «non è imputabile
a Don Bosco»; nelle varie vertenze che seguirono «il contegno del servo di
Dio è sempre incensurabile».
Il teologo censore si soffermò in particolare sull'opuscolo dal titolo: Espo-
sizione del sacerdote Giovanni Bosco agli eminentissimi cardinali della sacra con-
gregazione del Concilio (S. Pier d'Arena, tip. di S. Vincenzo de' Paoli 1881).
... Aloisio Tripepi pro-pr~fectoet relatote... Positio super reuisione sniptomm, Romz, typis
Vaticanis 1906 (Su6 secreto),p. 85: mandato del card. pro-prefetto, 2 luglio 1906 (p. 3);Judicium
theologi censoni «Sulle controversie insorte tra mons. Lorenzo Gastaldi, arcivescovodi Torino, e
D. Giovanni Bosco, istitutore d d a congregazione salesianau (p. 5-33), anonimo e senza data; ap-
pendice di documenti (p. 35-85).
E. CoLomTn, Codex iuris ponhjicii seu canonici, Taunni, typ. G. Derossi 1888; con ap-
provazione del card. Aiimonda (24 dicembre 1887) e dedica: «Leoni pp. XIII / hisce temporibus
quammaxime irreligiosisindeque convulsis,Dei nomine humanse societatisoptimz vitz principio-
mm vindici efficaci...»; Tomus DI (Volumennonum et ultimum), Taurini, @. G. Derossi 1906
(dedicato a Pio X; lettera latina del card. Felice Cavagnis all'autore, Bergomi, die 17 iulu 1906);
Rubricae seu rummaria mdicix iurispontifin Taurini,G. Derossi 1905 (dedicatoa Pio X). Scriveva
esplicitamenteil card. Cavagnis: aNeque opus a te editum minus utile evadit. Etenim, przter iu-
vamen quod affen us qui Codici authenticoelaborando destinati sunt, plene reassumit ius a sum-
mis pontificibus [...lhactenus editum. Claudit igitur pro his materiis praesentem epocam iuris, ac
parcit studiomm laboribusn. Nato a Chieri nel 1846, fu ordinato sacerdote il 22 maggio 1869;
morl a 82 anni a Torino il 17 agosto 1928; cf. «Rivista diocesana torinese»5 (15 settembre 19281
p. 193.
128
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Era questo uno scritto riservato che Don Bosco aveva creduto di dovere con-
trapporre a un altro che mons. Gastaldi aveva fatto distribuire a sostegno delle
proprie tesi nelle vertenze con i salesiani. Dopo avere notato che per redigere
il proprio scritto Don Bosco si era servito di Don Bonetti, il teologo censore
aggiungeva che esso qua e era suscettibile di precisazioni e rettificazioni nel-
l'esposizione dei fatti; era inoltre di tono alquanto acceso; ma subito chiosava:
«Per quanto a me pare, tutto ciò non cambia punto la natura propria dei fatti espo-
sti. Senza dire che queste accidentali alterazioni si spiegano per il fatto che al compi-
latore dell'opuscolo, scrivendo sotto l'impressione di prowedere aiia difesa del proprio
Istituto, poteva facilmente accadere di accrescere non di rado o di attenuare sotto qual-
che aspetto alcuni aggiunti dei fatti che narrava: non per l'intenzione deliberata che egli
avesse di alterare scientemente la verità dei medesimi, ma perché quei tali aggiunti, cosl
allora apparivano all'animo suo, il quale naturalmente non poteva non trovarsi preoc-
cupato, ansioso e sospeso neii'attesa deii'esito deli'imminente giudizio*.
Notava inoltre a favore della prudenza di Don Bosco:
«Detta Esposizione è stata giudicata per lo meno inopportuna. Questa taccia, a mio
parere, non è ragionevole, né meritata. Tale Esposizione infatti è giustamente dovuta al
bisogno, che sentiva il servo di Dio di prowedere aiia difesa e aiia tutela del proprio
Istituto religioso, a carico del quale l'arcivescovo di Torino non meno di sei volte aveva
già sporto reclami e pubblicati altri scritti».1°
Esaminata la vertenza relativa d a disciplina dei salesiani, il teologo cen-
sore passava a quella concernente la pubblicazione di grazie attribuite aii'Au-
siliatrice che i salesiani dapprima stamparono a Torino, poi a Genova-Sam-
pierdarena con l'approvazione di quella curia vescovile. L'autore della censura
ribadiva il parere già espresso nel 1882 dal promotore deUa fede di d o r a , Lo-
renzo Salvati: sottraendosi d a giurisdizione della curia torinese per la pubbli-
cazione di grazie e sottoponendosi a quella di Genova Don Bosco aveva agito
secondo quanto la norma canonica gli consentiva.
Secondo il teologo, dagli scritti di Don Bosco non si poteva «rettamente
desumere n d a che [...lsi debba ritenere un grave impedimento a procedere
ad ulteriora: nulla che possa in seguito seriamente ostacolare la normale di-
scussione delle virtù eroiche del prelodato servo di Dio». E concludeva aggra-
vando la mano su mons. Gastaldi, più che con mentalità storica, con senso giu-
ridico non pienamente attento al principio «audiatur et altera pars»:
«Da tutto queiio che con serena obbiettività è stato discusso, emerge, mi pare in-
dubbiamente, come tutte le accennate venenze, che Don Bosco mal suo grado è co-
stretto a subire, siano state provocate e poi aggravate con le parole e con le opere dal-
l'ecceiientissimo arcivescovo Gastaldi, il quale pare che andasse continuamente ricer-

7.8 Page 68

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cando - si direbbe con S. Paolo - q u e questiones prestant magis, quam edi&cationem
q u e est i n f i d e (ad Tim. 1,4)»."
Si trattava certamente di un giudizio prowisorio su materiale documenta-
rio circoscritto. Rimanevano da esplorare ulteriormente le ragioni per le quali
l'arcivescovo si era awenturato in dissapori e vertenze con Don Bosco e con
la congregazione salesiana ch'egli, nonostante tutto, sognava migliore per il
bene che intanto, bene o male, faceva nella Chiesa e nella società. Al di della
Congregazione dei Riti, presso quella dei Vescovi e Regolari esistevano lettere
nelle quali il Gastaldi notava anomalie nella disciplina dei salesiani e in quella
della promozione agli ordini sacri Un confronto con il Catalogo a stampa
della società salesiaxia e dei suoi soci avrebbe permesso di appurare la distri-
buzione del personale di anno in anno, la professione religiosa, ascritti o novizi
sparsi un po' in tutte le case, la promozione agli ordini, la scomparsa di effet-
tivi usciti di congregazione o defunti. Presso la medesima Congregazione dei
Vescovi e Regolari si conservavano un paio di esemplari delle Regole salesiane
fatte stampare da Don Bosco in latino e in italiano, in cui erano posti in rilievo
con segni a penna di Gastaldi e di altri le parole mutate, gli articoli variati, i
cambiamenti anche sostanziali, giustificati con l'unica motivazione che si trat-
tava di dero.ghe o mutamenti concessi dal papa a Don Bosco «vive vocis ora-
culo»."
Uno sguardo a un panorama più largo della congiuntura che allora attra-
versava in Italia la Chiesa istituzionale, negli spazi politicamente conquistati
dal liberalismo o comunque dall'anticlericalismo, avrebbe permesso di meglio
comprendere le diicoltà in cui si muovevano i vescovi, privi ormai del quadro
di riferimento giurisdizionalista, ma non pienamente in grado di articolare le
loro istanze d'inquadramento disciplinare, e le loro forme di potere pastorale,
né con i vertici istituzionali della S. Sede, né con le forme emergenti di nuove
congregazioni religiose. In personaggi come Gastaldi, che al Vaticano I si
erano schierati per l'infallibilità pontificia e l'opportunità della sua definizione,
o come il Colomiatti, autore di un repertorio di dititto canonico chiarissima-
- mente ultramontano e verticista, non si trattava di residui regalistici ed episco-
palistici, ma di propositi di normalizzatione della diocesi dopo gli eventi
del 1848 e il lungo periodo di assenza vescovile - nel quadro della regione
piemontese e ligure; le aspettative di risposta che loro nutrivano erano in pane
disattese dalla S. Sede, anch'essa in via di assestamento nei rapporti da tenere
con le strutture politiche in cambiamento e nei rapporti con le strutture eccle-
siastiche tra zionali o emergenti. Don Bosco appellava a privilegi statutari
della congregazione salesiana e ad altri personali a lui concessi dal papa «vivae
vocis oraculo». Era forse questo filo diretto fra Don Bosco e Pio IX a provo-
" Positio super revisione srriptoram, p. 32.
l2Cf. P. STELLA. Le costituzioni salcsianefino al 1888, in: AA.W., Fedeltà e rinnovamento.
Studi sul& costituzioni salesiane, Roma, LAS 1974, p. 50s
di
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
care una serie di anomalie e disfunzioni persino nel reticolo istituzionale della
curia romana, contraddittoria o disunita nell'atteggiamento con Don Bosco e
l'arcivescovo di Torino. Le divergenze sul punto delle grazie miracolose, che
al Gastaldi e già a mons. Alessandro Riccardi non apparivano documentate se-
condo le esigenze della scienza e che invece Don Bosco e i salesiani propagan-
davano secondo la narrazione spontanea della fede popolare, completavano il
quadro della crisi e dello scontro, che non riguardava appunto solo questioni
di potere istituzionale, ma si estendeva al campo delle mentalità e a quello del
modo come queste miravano a esprimersi.
2. Le «Animadversiones» del promotore della fede (1907): virtù eroiche o
astuta manipolazione della religiosità collettiva?
Si giunse a un momento cruciale quando nel marzo 1907 il promotore
della fede, mons. Alessandro Verde, esibì le «Animadversiones» con la serie
di quesiti e obiezioni da risolvere prima di decidere se accantonare o prose-
guire il processo di beatificazione.
In quegli anni mons. Verde aveva dovuto occuparsi di personaggi quasi
coevi di Don Bosco, come Anna Maria Taigi (1769-1839) e Bernardo Clausi
(1789-1849), sui quali Don Bosco,stesso aveva portato la propria attenzione
pubblicandone alcune profezie riguardanti la Chiesa sul «Galantuomo».
Riguardo alla Taigi mons. Verde aveva rilevato nelle «Animadversiones» al
processo apostolico l'inattendibilità di profezie che preannunziavano «trionfi»
durante il pontificato di Pio E;inoltre aveva lamentato la poca credibilità
della gran parte dei testi reclutati nella cerchia ristretta dei devoti e degli am-
miratori: tutti enfaticamente affermavano nella serva di Dio virtù superlative,
in contrasto con quello che lasciava apparire qualche teste più autonomo sulla
Taigi, povera vedova la cui religiosità non di rado era caduta, a suo dire, in
intemperanze ingenue.')
Di Bernardo Clausi, padre minimo di origine contadina calabrese, mons. :\\ .,:
Verde non trovava proponibile come esempio di santità il comportamento
ch'era stato triviale e buffonesco persino in conventi femminili; soprattutto
trovava da rilevare lo spirito inquieto e quasi torbido del Clausi, tendente alla
depressione psichica. Quasi alla fine della vita si era gettato in mare in uno
stato di delirio alla ricerca di una sorta di annientamento purificatorio; fu sal-
vato dall'intervento tempestivo di un pescatore; ma non era ceno da presen-
tare come modello di santità un gesto che rasentava il suicidio e a cui poi
" Novinime animaduersiones 7.p. promotoris fidei, p. 1-13, 24 agosto 1905, in: S. Rifuum
Congregafione,e.mo ac rev.mo domino card. Dominio Ferrate relatore. Romana, beatzj?cationis et ,
canonizationir vcn. seme Dei A n n e Marie Taigi tertiaris professe Ordinis Sanctissims Trinitotis
redemptionis capfiuorum.Nouissima p&io.super uiitutibux, Romz, typis Perseverantia 1905.

7.9 Page 69

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erano seguiti tormenti interiori e forse anche il rifiuto deii'assoluzione (di cui
il Clausi si sentiva indegno) in punto di
Neil'elaborazione di obiezioni e quesiti circa l'eroicità di virtù di Don Bo-
sco mons. Verde sembra si sia ispirato piuttosto aile «Animadversiones» che
dieci anni prima aveva presentato nei confronti del Cottolengo mons. Gustavo
Persiani, d o r a deputato promotore della fede."
Come già il Persiani nelle osservazioni sui Cottolengo, mons. Verde rile-
vava anzitutto I'ambivalenza deile opere di carità che si attribuivano al servo
di Dio. D d a loro intrinseca bontà e d d a loro efficienza ed espansione non
si potevano senz'altro dedurre argomenti in favore delle virtù praticate da co-
lui del quale si proponeva la causa di beatificazione. Quanto nel Cottolengo
era considerato semplicità di spirito poteva essere interpretato come un accor-
gimento per meglio coprire sottili doti di umana accortezza. Il nome di Piccola
Casa della Divina Prowidenza era contraddetto d d a complessità e grandiosità
deii'opera; era antifrasi e ironia; più che santa prudenza, sembrava denotare
furbizia; altrettanto era possibile dire deil'abbandono nella Prowidenza atte-
stato e giurato dai testimoni in coro. In effetti il Cottolengo si era interessato
con cura del supporto economico da prowedere alle sue iniziative accettando
la protezione del re, facendo erigere come opera pia la «Piccola Casa», inca-
nalando donazioni, eredità e lasciti di vario genere. Indicativo era da conside-
rare il modo di agire del Cottolengo quando si adoperò per assicurare una pre-
benda a suo fratello Luigi: un comportamento che il Persiani indicava come
rasentante la simonia: «Ho parlato col canonico Chicchiglione l,.M.i]a.ssi-
curò che tenghiate bene l'occhio aperto su qualsivoglia benefizio [...] che
possa dipendere l'investitura di Monsignore, che ve la procurerà...».l6
Il tema deli'astuzia nel contesto della religiosità collettiva diviene il registro
con il quale mons. Verde orchestra le sue osservazioni ed obiezioni nei con-
fronti di Don Bosco. Ed esordisce citando dal Don Bosco in francese del d'E-
spiney il giudizio che avrebbe espresso il venerabile Giuseppe Cafasso, che a
Torino era di Don Bosco confessore, direttore spirituale, sostenitore e finan-
ziatore:
" Animaduersiones r.p.d. prornotorisfidei, p. 1-65, 20 dicembre 1906, in: S. Rituum C o n p -
gatione e.mo ac rre.mo. d n o card. Antonio Vico relntore. Romana reu Cusentina beatificationir et
canonizationis ven. remi Dei Bernardi Mariie Clausi socerdoti~proferri Ordinir Minimomm S. Frnn-
&n de Paula. Poritio ruper virtutibur, Rome, typ. Guerra et MLri 1917.
" Nouie animadverrioner r.p. promotorirfidei, p. 1-17, 20 gennaio 1897, in: S. Rituum Con-
gregatione e.mo ac rev.mo domino cardinali Alorio Oreglia o S. Stephano relatore. Tnurinen. beati-
f2cntionir et canonizationis ven. servi Dei Josephi Benedirti Cottolengo canonik collegiate ecclerie
Sanctis~imiCorporis Domini funaùttoru instituti tanrinensis Pamie Domus Divine Prooidentiie.
Noua positio ruper uirtutibus,Rome, typis Guerra et Muri 1899.- Gustavo Persiani nato a Roma,
31 gennaio1841;ordinato sacerdote, 19 dicembre1863; commissariodi giustizia al conc. Vaticano
I; auditore di Rota, 13 marzo 1896; aiutante di mons. Agostino Caprara e poi interinalmente pro.
motore della fede; morto a Roma, 17 febbraio 1911; d Annuaire 1912, p. 775.
PF.RS~NNIo,ve animadversiones,p. 3.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
«Sapete voi bene chi è Don Bosco? Per me, più lo studio e meno lo capisco: lo vedo
semplice e straordinario; umile e grande; povero ed occupato da disegni vastissimi, da
progetti in apparenza non attuabili; e tuttavia sempre attraversato nei suoi disegni e
come incapace di far riuscire a bene le sue imprese. Per me Don Bosco è un mistero.
Se non fossi certo che egli lavora per la gloria di Dio, che Dio solo lo guida, che Dio
solo è lo scopo di tutti gli sforzi suoi, lo direi uomo pericoloso più per quello che lascia
intravedere, che per quello che manifesta. Ve lo ripeto: Don Bosco per me è un mi-
stero. Lasciatelo fare! »."
Erano le certezze del Cafasso che il promotore della fede suggeriva di met-
tere in discussione. Per dare attendibilità alle sue argomentazioni presentava
una serie d'indizi e di fatti, sulla base dei quali era possibile chiedersi se l'agire
di quest'iiomo, dall'infanzia ali'età matura, non era stato mosso piuttosto dal-
l'ardente passione del successo, cioè da sottile orgoglio e superbia, che lo in-
ducevano a essere un illusore più che un illuso, un simulatore e un impostore,
un uomo testardo, litigioso, prepotente e anche ingiusto, un efficientista la cui
vita era priva di mortificazioni personali che attestassero veramente l'impegno
verso le virtù. Svariate erano le cose che sembravano costituirsi in un'unica
trama e indicare in Don Bosco uno spirito ambizioso, abilissimo manipolatore
della religiosità collettiva. Secondo gli stereotipi in uso in questo campo, mons.
Verde nelle sue «Animadversiones» rovesciava interamente lo schema delle
virtù in quello dei vizi, così come del resto anche Don Bosco aveva fatto con
i salesiani narrando il sogno del manto con incastonati diamanti simbolo delle
'' Animodverrioner 7,p.d.promotorisfidei, p. 1-25, 16 mano 1907, nel volume: ... Jorepho Ca-
lnrantio Viver Y Tuto relntore... Positio super introdudione cause (Informario,Animadverrioner et
Rerponrio), Romse, Schola typ. Salesiana1907, p. 2: «Memoratu digna sunt, q u e de hoc famdo
Dei protulisse fertur ven. Jose~husCafasso, quo pietatis magistro ille usus est, et cuius beatiiica-
tionis causa superiore anno ab hoc sacro cetu benigne excepta fuir: - Sava-vousbien qui est
Don Bosco? Pour moi, plus je I'étudie et moins je le comprends. Je le vois simple et extraordi-
naire; humble et grand; pauvre et travailli. de vastes pensées, des projets en apparence irréalisa-
... bles et avec tout cela, constamment traversé dans ses desseins et camme incapable de mener ?a
bien ses entreprises... Pour moi, Don Bosco est un mystère. Si je n'avais la certitude qu'il travaille
pour la gloire de Dieu, que Dieu seul le conduit, que Dieu sed est le fin de tous ses efforts, je
le taxerais d'homme dangereux, plus encore pour ce qu'il laisse dwiner que pour ce qu'il dit...
Je vous le répète, pour moi, Don Bosco est un mystère: Laissez-lefaire (D. Charles d'Espiney, Vie
de Don Borm, Préface, pag. Xi). Iamvero, cum humana qmque deficiantsuapte natura, si que-
dam superbie semina intus oborta virtutes inficiant,non ex rerum gestamm amplitudine ac splen-
dore huius viri sanctimoniam dimetiri fas est, sed vitam eius totam introspicere scmtarique debe-
mus...». Mons. Verde attinge a Charles D'ESPINEYD, on Bosco. D i d m e édition entièrement refon-
due et enrichie... Ouvrage npprouvé por ler rnlérienr, Nice, imprimerie-libr.salésienne du Patronage
St.-Pierre1888, p. XIs. Nel testo abbiamo trascritto da: Don Bosco... Prima versione italiana sui-
i'undecima edirionefrnncere..., S. Pier d'Arena, tip. S. Vinc. de' Paoli 1890, p. Xi. Il brano del-
l'introduzione al Don Bosco del d'Espiney è inserito in MB 2, p. 351 (1901)e MB 4, p. 588 (1904);
in entrambe le citazioni Don Lemoyne sopprime, dopo le parole n è un mistaou, l'espressione:
«Se non fossi certo - per quello che manifesta*,espressione che si legge, oltre che n d e varie edi-
zioni del d'Espiney, nel «Bdetin salésienn X (septembre 1888) p. 109.

7.10 Page 70

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virtù: al centro di tutto, non la regina delle virtù, la carità, ma il suo preciso
opposto, la superbia.
Da piccolo facendo l'equilibrista e il giocoliere in mezzo a crocchi di coe-
tanei e di adulti il servo di Dio aveva subito mirato a mettersi in mostra e su-
scitare meraviglie. Poi narrando i suoi sogni aveva ottenuto il doppio intento
di farsi immaginare privilegiato da arcane rivelazioni relative al proprio awe-
nire e farsi così favorire nella carriera ecclesiastica che aveva cominciato ad
agognare. La narrazione di sogni divenne un accorgimento personale per met-
tersi in vista da chierico e da giovane prete. Quando cominciò a raccogliere at-
torno a sé giovani e discepoli, usò intrattenerli e attrarli raccontando che aveva
visto in sogno chi tra loro sarebbe morto: «Somnia sua iisdem narrabat, qui-
bus sibi ostensum fuisse asserebat, eorum alterum brevi esse mortem obitu-
rum». Ma lui stesso si esprimeva lasciando capire che non era troppo convinto
della natura soprannaturale di quanto asseriva di avere sognato. La voce ch'e-
gli usasse predire la morte di qualcuno dei suoi giovani si sparse anche fuori
dell'oratorio, sicché ci fu chi intervenne per indurlo alla prudenza e ali'uso di
mezzi educativi non così lugubri, di miglior gusto e più idonei: posto pure che
avesse il dono di prevedere la morte, sarebbe stato più opportuno preparare
i ragazzi all'ultimo passo in modo meno traumatico:
«Expediebatne eiusmodi priedictionibus tot puerorum animos ade0 frequenter tur-
bare eosdemque mortis instantis terrore iugiter vexare? Nonne debuisset potius, iis ac-
cersitis alumnis quos nosset morti destinatos, secreto ac pedetentim przmonere, eosque
ad bene moriendum disp~nere?».'~
Don Bosco giunse a narrare i suoi sogni a Pio M come prova ch'era so-
prannaturalmente ispirato a fondare una congregazione religiosa che ne con-
tinuasse le opere. Che cosa avesse confidato al papa non era dato saperlo. Ma
si trattava veramente di rivelazioni celesti oppure di accorgimenti suggeriti da
sottile furbizia? Nelle sue argomentazioni mons. Verde era ormai ben lontano
dal d'Espiney e dallo stesso Don Cafasso; arieggiava piuttosto a quanto di Don
Bosco avevano scritto giornali anticlericali, o confidenzialmente il Colomiatti,
e sotto giuramento avevano deposto al processo informativo mons. Bertagna
e Domenico Bongiovanni:
«Verumne est, servi Dei przdictiones, quas ipse somnia vocabat, a Divino Spi-
ritu fuisse eidem inditas, ve1 potius cum humana calliditate coniunctas? Res in incerto
hieret~.'~
Ammesso pure che il servo di Dio di notte sognasse quanto di giorno lo
assorbiva e aggravava, narrando i suoi sogni come fossero rivelazioni celesti
manifestava, a ben vedere, il suo temperamento caparbio che tutti voleva pie-
" Animudversiones (1907) N . 8, p. 7 .
Anim~dverriones(1907) nr. 9, p. 7.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
gare al proprio volere. Non solo dunque i conflitti con mons. Gastaldi deno-
tavano tale tendenza e tale comportamento. Significativo era quanto accadde
a meno di due mesi dalla morte. 117 dicembre 1887 si era recato a Valdocco
mons. Doutreloux, vescovo di Liegi, per chiedere insistentemente l'apertura
colà di un'opera educativa salesiana. Ii vescovo aveva parlato con calore a Don
Bosco nelle sue camerette. A sua volta il servo di Dio chiamò a sé mons. Ca-
gliero e Don Celestino Durando per consiglio; ma questi gli espressero parere
contrario, data la scarsezza di personale disponibile. I1 giorno dopo, 8 dicem-
bre, festa dell'Immacolata Concezione, Don Bosco fece scrivere dal suo gio-
vane segretario Don Carlo Viglietti un biglietto: «Parole letterali che la Ver-
gine Immacolata, apparsami questa notte, mi disse: - Piace a Dio ed alla B.V.
Maria, che i figli di S. Francesco di Sales vadano ad aprire una casa a Liegi
in onore del SS. Sacramento. Qui essi incominceranno le glorie di Gesù pub-
blicamente...». «Don Bosco - dichiarò Don Lemoyne al processo - dettò
queste parole piangendo e singhiozzando [...l.Monsignor Cagliero entrò nella
camera di Don Bosco e visto quel biglietto esclamò: - Io era di parere con-
trario; ma ora, venuto questo decreto dail'alto, non c'è più a dire». Mons.
Verde proseguiva notando come casi di questo tipo davano l'impressione che
il servo di Dio tendesse a interporre il volere divino per mettere a tacere i col-
laboratori ch'erano di opinione contraria aUa sua:
«Nonne hiec narrata videntur, ut servus Dei placitum supernum interponeret,
quo sodalium suorum Cagliero ac Durando adversa consilia in suam sententiam addu-
ceret?~."
In una seconda serie di osservazioni il promotore della fede induceva a
chiedersi se l'alone di santità non fosse provenuto essenzialmente dal modo di
agire di Don Bosco e dei suoi salesiani. Don Bosco aveva preso l'abitudine
d'impartire la benedizione di Maria Ausiliatrice. Come aveva deposto Don
Francesia, «stava seduto in sacrestia benedicendo quanti venivano a lui».
Comportamenti del genere nella mentalità popolare, incline a connettere be-
nedizioni a guarigioni taumaturgiche e queste con la santità personale di chi
aveva benedetto, inducevano l'idea della santità di Don Bosco. A coltivare e
d i o n d e r e tale convincimento prowidero i salesiani in vario modo. Il promo-
tore della fede citava a questo punto il giudizio espresso da mons. Bertagna al
processo: «Non può negarsi che i medesimi abbiano cooperato assai a diffon-
dere la medesima opinione, giovandosi a questo scopo del "Bollettino salesia-
no" in special modo, dove sogliono narrare molte cose, delle quali forse alcune
non reggono troppo alla critica». E aggiungeva la deposizione resa dal cano-
nico Giuseppe Corno: «Ancor vivente eransi stampate di lui varie vite in varie
lingue e di tutte se ne fecero varie edizioni [.,.l Io stesso vidi la vita di Don
Bosco stampata in inglese, tedesco, spagnuolo, polacco, boemo, irlandese e

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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fiammingo». C'era da chiedersi se tutto questo non suonasse vanteria e osten-
tazione promossa dallo stesso servo di Dio: dactantia haec sapere nemo non
videt*. Conveniva riflettere se veramente Don Bosco era da considerare un mi-
rabile esempio di umiltà e di confidenza in Dio così come si ostentava a parole
che fosse?'
Testardaggine, astuzia e poco senso della giustizia erano denotate dal com-
portamento del servo di Dio con Domenico Bongiovanni e con altri. Induce-
vano a riflettere le parole che su Don Bosco avrebbe detto il predecessore di
mons. Gastaldi, Alessandro Riccardi di Netro: «Don Bosco è un superbo! Egli
vuol fondare una congregazione per sottrarsi all'autorità dell'arcivescovo; se è
santo, lo dimostri coll'essere ossequiente al suo superiore». Mons. Verde ci-
tava ancòra mons. Benagna: «Da alcune reminiscenze però che ho, pare che
il servo di Dio non fosse sempre pieghevole affatto ai consigli che gli erano
dati, quando questi non erano conformi ai suoi disegni e alle sue viste»?'
- - Poco malleabile, era anche a quanto pare poco mortificato. «Non ci consta
aveva deposto al processo mons. Cagliero che il nostro caro padre Don
Bosco usasse cilicio e discipline». E secondo un altro teste, non mangiava
«sempre solo fagiuoli, cavoli od insalata»; nei giorni non proibiti a mensa
&era pure una piccola porzione di carne». C'era da chiedersi se dawero in
Don Bosco fossero presenti le qualità essenziali richieste da un processo di
beatificazione: «praecipua verae sanctitatis arg~menta»?~
3. Carlo Salotti e le risposte alle «Animadversiones»
NeUa quarantina di giorni che la prassi lasciava a disposizione, la replica
alle «Animadversiones»fu affidata a un giovane brillante ecclesiastico, Carlo
Salotti (nato a Grotte di Castro nel 1870),fatto subentrare al laico Ferdinando
Morani nel ruolo di awocato deUa causa. L'affezione del Salotti per Don Bo-
sco risaliva agli anni in cui, giovane chierico a Orvieto, aveva avuto come ret-
tore al seminario già nel 1892 il salesiano Don Matteo Ottonello e a partire
dall'anno successivo aveva potuto apprezzare lo stile educativo dei salesiani ai
quali era stato affidato il collegio Lazzarini (o Leonino). A Orvieto il Salotti
ebbe modo di ammirare le doti oratorie e organizzative di Don Arturo Conelli,
in quegli anni direttore del collegio Lazzarini, poi superiore dell'ispettoria ro-
mana (1902-1917)e infine chiamato a far parte del capitolo superioresalesiano
a Torino."
" Animadverriones (1907) m. 19, p. 13s.
" Animduersiones (1907) nr. 32, p. 23.
. "
"
Animadverrioner (1907) nr.
Cf. F. TOMASEITMIe,morie
3c5o..nDfd. e2n4r.iali
in
margine
alle
cause
di
D.
Bosco
e
di
D.
Savio,
redatte dn D. Francesco Tomasetfi(giugno 19441, p. 9s (dattiloscritto di 37 fogli, presso I'archivio
del Postdatore deiie cause di beatificazione, Casa Generalizia, via della Pisana). Don Tomasetti,
procuratore e postulatore dal 1924 al 1953, mette in luce quanto Don Ceria aveva lasciata nell'om-
bra in MB 19, integra e corregge in base alla propria conoscenza diretta di persone e di fatti.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Erano quelli gli anni in cui i salesiani, ispirandosi al dettato delle loro Co-
stituzioni primitive, tendevano a proporsi ai vescovi come direttori e maestri
' nei seminari. Dopo Magliano Sabino essi avevano accettato di andare a Orvie-
to, a Catanzaro e altrove. Era anche I'epoca in cui i vescovi, mirando alla ri-
conquista della società d a Chiesa, appuntavano le loro cure nella formazione
del clero entro la chiostra ben chiusa dei seminari. La chiamata di ordini re-
ligiosi alla direzione e all'insegnamento, come i gesuiti o i lazzaristi, era sug-
grita, oltre che da secolari esperienze italiane, da quanto si sapeva d d a Fran-
cia, dove si affermava con apparente successo il tipo di prete formato secondo
il modello sulpiziano. Ma per i salesiani si trattò di un esperimento limitato;
,ia perché non potevano disporre di molto personale veramente all'altezza del
molo di direttori spirituali e di maestri al di fuori delle case salesiane; sia per-
ché, in realtà, il loro tipo di formazione, fatta attraverso più che altro il tiro-
cinio pratico - nella catechesi, nell'insegnamento, nella partecipazione ai gio-
chi dei giovani - non poteva corrispondere in pieno alle esperienze che i ve-
scovi avevano e alle loro aspettative comunque ancorate ai modelli seminari-
stici tradizionali. A Orvieto dunque e altrove sulla proposta delle esperienze
salesiane erano destinate a prevalere, già tra fme '800 e primo '900, quelle spe-
rimentate e in parte aggiornate degli scolasticati gesuitici e dei seminari duetti
in Francia dai sulpiziani o dai lazzaristi. Com'è noto, la chiusura in se stessi
dei seminari fu anche all'origine dell'irrequietezza che cominciò a fermentare
in quegli anni caratterizzando anche I'epoca del clero in Italia tra modernismo
e democrazia cristiana, tra istanze di modernizzazione delle scienze ecclesiasti-
che e attivismo combattivo pur sempre mitante alla riconquista della società
d a Chie~a.~U'no dei frutti di quell'epoca,in rapporto al processo di Don Bo-
sco, fu appunto il coinvolgimento del Salotti, la cui presenza in ordime all'esito
desiderato sarebbe stata positiva fino agli anni deiia canonizzazione.
Trasferitosi a Roma appena prete, il Salotti aveva accumulato rapidamente
tre lauree con esiti brillanti: in lettere e filosofia all'università di Stato; una in
teologia e un'altra in diritto canonico presso l'università pontificia di S. Apol-
linare. Studente all'università di Stato era subito entrato nelle file di giovani
cattolici militanti: amando mettersi in prima fda, contrapponendo la propria
facile facondia all'oratoria tribunizia popolare di radicali e socialisti sia a Roma
sia in provincia; quando se ne presentava l'occasione, balzava fuori fra tutti
giovanilmente baldanzoso per misurarsi anche con personaggi temuti e riveriti.
AU'università di Roma una volta alle lezioni di pedagogia il famoso docente
Antonio Labriola nell'aula gremita si era permesso di ridicolizzare il sacra-
mento dell'eucaristia. Lo studente Salotti in tonaca nera balzò in piedi, osò in-
terrompere la lezione e uscirsene protestando con la sua voce squillante che
non avrebbe mai più frequentato quelle lezioni insultanti la sua coscienza di
" Cf. Maurilio Guilsco, Lo formazione del clero: i reminati, in: Storia d'ltalia. Annali 9: Ln
Chiero e il potere politica dal Medioevo all'età contemporanea,a cura di Giorgio Cm'rro~merGio-
vanni MICCOLI,Torino, Einaudi 1986, p. 629-715.
137

8.2 Page 72

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cittadino e di sacerdote. La gran pane degli studenti di allora si dichiarava
agnostica e anticlericale. In quella circostanza la gran parte si alzò e disertò
l'aula per solidarietà. Agli esami Labriola si rivalse trattando signorilmente il
protestatario. Questi a sua volta ricordava: «Morto che fu il Labriola, il 2 feb-
braio 1904, io celebrai due messe in suffragio dell'anima sua».'6
Salotti aveva tratto profitto delle tre lauree per le prospettive di carriera ec-
clesiastica. Già ail'Apollmare aveva avuto modo di avvicinare Uario Alibrandi
e far tesoro della sua competenza giuridica. Nel 1901 aveva potuto entrare
presso la S.C. dei Riti nella carriera di awocato per i processi di beatificazione.
Nel 1904 fu nominato assistente ecclesiastico del comitato diocesano di Roma
dell'opera .dei congressi cattolici. In quei medesimi anni era professore di fi-
losofia per i chierici del seminario romano. Cavallo di battaglia nel suo reper-
torio di docente era la polemica tra l'evoluzionismo e il creazionismo imme-
diato dell'uomo; poggiando sui testi filosofici del domenicano Zigliara, la testa
di turco contro cui si batteva era un altro antico professore dell'università di
Stato, Enrico Ferri, della scuola del Lombroso e fautore dell'evoluzionismo in-
tegrale."
Ora i salesiani lo contattavano per la causa di Don Bosco. Facendosene av-
vocato egli aveva modo di dare spazio al proprio temperamento misurandosi
con quell'autorevole personaggio ch'era presso i Riti mons. Verde. Poteva
inoltre rendere omaggio a Don Bosco, verso cui l'ammirazione era resa più in-
tensa dail'esperienza ch'egli aveva di prete militante nel movimento cattolico.
Don Bosco lo affascinava come uno splendido modello di operosità dilagante;
promuoverne la canonizzazione era rendere un servizio alla Chiesa. Come egli
stesso ebbe a scrivere, gli anni che trascorse come awocato di cause di santi
furono nella sua vita quelli che considerò più fecondi:
«Studiando le cause dei servi di Dio e scmtando il loro spirito interiore, l'ascesa
- verso i vertici della perfezione, il loro multiforme apostolato e il segreto dei loro suc-
cessi, veniva meglio a conoscere la forza espansiva del cristianesimo, del quale essi fu-
rono i migliori apologisti. E la modesta apologia deiia religione che io svolgevo sul pul-
pito non era che il riflesso, sia pure fievole e pallido di quell'alta apologia che i santi
di tutti i tempi e di tutte le nazioni hanno scritto I...]. A contatto di questi campioni
si diventa difensori del cattolicismo, dei suoi dogmi, della sua morale, della sua disci-
plina*?'
La sua «Responsio» alle «Animadversiones» di mons. Verde ne riflette il
temperamento e lo stile: facondia nel dire ed entusiasmo per il servo di Dio;
brillante verve polemica anche se, dato il caso, rispettosa verso I'eccellentis-
simo personaggio che doveva contraddire.
Secondo il Salotti tutta la costruzione delle «Animadversiones» tendeva a
' T f . Il cardinale Carlo Salotti nelle sue memorie, Alba, Ed. Paoline 1951, p. 44s.
" IL cardinale Carlo Salotti.., p. 90s.
" Il cardinale Carlo Salotti.., p. 109.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
distorcere i fatti, a sottacere circostanze rivelatrici, a privilegiare testimonianze
discutibili, a esagerarne l'importanza e l'attendibilità.
Piccolo giocoliere e acrobata, Giovanni Bosco aveva usato queste sue abi-
lità perché già allora era animato da sentimenti altamente virtuosi: indurre i
coetanei e gli adulti a recitare insieme qualche preghiera. Già in lui germoglia-
vano il senso della preghiera e la carità zelante verso i fanciulli e gli adulti.
I sogni, a cominciare da quello avuto sui nove anni, furono in realtà rive-
lazioni celesti. Le cautele iniziali ch'egli usò manifestavano la prudenza che
precocemente l'animava. Se ai giovani dell'oratorio narrò sogni che preannun-
ziavano la morte di qualcuno, lo fece sempre con saggia prudenza, ben cono-
scendo ciascuno di loro, e dopo avere chiesto consiglio a chi sicuramente me-
ritava ascolto: al venerabile servo di Dio Don Giuseppe Cafasso, del quale era
in corso con buone speranze il processo di beatificazione.
Non iattanza e vanteria, ma continua insistenza perché le grazie ricevute
fossero considerate come il frutto della propria fede e della intercessione di
Maria. Non ostentazione di penitenze corporali, ma lieta consumazione di se
stesso nelle confessioni diuturne e prolungate di centinaia di giovani, o nelle
questue da un luogo d'altro del Piemonte, dell'Italia, dell'Europa in viaggi
spossanti e senza nessun obiettivo di svago.
Le repliche del Salotti qua e tradivano l'esuberanza delle argomentazioni
e forzature teologiche rdlettenti la cultura ecclesiastica romana di allora. Sul
punto, ad esempio, dei sogni, per porre a tacere mons. Verde fece appello al
sentimento espresso da Pio M; come risultava dalle testimonianze processuali,
era stato lo stesso pontefice a riconoscere come rivelazioni celesti i sogni che
Don Bosco aveva confidato di avere avuto. In questa materia, concludeva il Sa-
lotti, il papa era giudice supremo: «Quzvis exulat suspicio de vera przdicto-
rum somniorum indole, q u z uti praeternaturales supernasque visiones ipse ro-
manus pontifex, supremus in hisce causis iudex, iam e~istimavit».'~
4. Bilancio deiie «Animadversiones» e della «Responsio»:
limiti documentari, quesiti irrisolti o non posti
Pur muovendosi quasi esclusivamente all'interno delle deposizioni proces-
suali, mons. Verde aveva concluso le sue «Animadversiones» col dichiarare
che molti altri rilievi potevano essere avanzati oltre a quelli che aveva presen-
tato.'O Salotti nella sua «Responsio» aveva eccepito contro certi quesiti che il
promotore della fede aveva formulato e la cui risposta avrebbe comportato l'e-
same di scritti di Don Bosco, quali le Memorie dell'Oratorio. Sugli scritti del
servo di Dio ormai era stato espresso un giudizio positivo in ordine al prose-
's Rerponsio (1907), nr. 8, P. 7.
10 Animadversioner (1907) nr. 36, P. 25

8.3 Page 73

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guimento del processo; il riesaminarli sarebbe stata un'ingerenza indebita e un
travalicare le proprie competenze che vertevano sul materiale trasmesso dal
processo informativo diocesano circa. la vita, le virtù e i miracoli.
Si tendeva a operare in tal modo un'autolimitazione non irrilevante in or-
dine anche d a comprensione di quanto in Don Bosco era stato analizzato
come agire virtuoso o non virtuoso. Elementi indicativi o forse sconcertanti
non furono indagati e nemmeno sfiorati; interrogativi importanti non furono
nemmeno formulati.
In materia di giustizia verso il prossimo l'attenzione si era appuntata sui
pochi casi emersi nel processo informativo: il trattamento che Domenico Bon-
giovanni diceva di avere subito, la versione di quel caso data dai salesiani e il
supporto di altri fatti che confermavano l'agire corretto e anzi generoso del
servo di Dio.
Per poco che si fosse sondato l'epistolario tra Don Bosco, il Rosmini e i
rosminiani e si fosse portato l'occhio sulla compravendita di terreni, nella
quale attorno al 1855-1856Antonio Rosmini e i rosminiani finirono in perdita,
si avrebbe avuto motivo per chiedersi se il servo di Dio non avesse operata una
speculazione edilizia nella quale aveva rasentato il raggiro.
Ma già ci si poteva imbattere nel caso dell'«Amico della gioventù, giornale
politico-religioso» (1849) finito infallimento e del quale Don Bosco era stato
il gerente responsabile. I1 tipografo Speirani, che lo stampava, querelò il servo
di Dio. La lite si trascinò per anni in tribunale e fu chiusa solo nel 1853 con
un accomodamento. Ma Giulio Speirani, il tipografo che in quegli anni a To-
rino si distingueva per la stampa di libri a sostegno della religione, non volle
più stampare cose per Don Bosco. U servo di Dio si rivolse perciò a Marietti,
a Paravia, a De-Agostini e ad altri sia per libri che per le «Letture cattoliche»,
iniziate nel 1853.
Dieci anni più tardi Don Bosco fu in lite con mons. Moreno vescovo d'I-
vrea per la proprietà appunto delle «Letture cattoliche», impresa per il cui
successo chiaramente avevano avuto un peso importante sia l'autorità del ve-
scovo Moreno, sia l'intesa di questi con altri prelati del Piemonte, sia l'inve-
stimento di capitali che permisero a Don Bosco il lancio del periodico a prezzi
concorrenziali e il superamento di flessioni e crisi tra il 1856 e il 1861. La ver-
tenza fu conclusa con la mediazione del conte Cays nel 1867. Don Bosco ebbe
riconosciuta la piena proprietà del periodico, ma perdette l'affetto e l'appog-
gio di mons. Moreno. Questi fu uno dei vescovi che non diedero a Don Bosco
commendatizie al papa in favore deiia congregazione salesiana.
Quando ancora non era conclusa la lite con mons. Moreno Don Bosco ne
rischiò un'altra con mons. Tommaso Ghilardi, vescovo di Mondovi, al quale
vendette macchine tipografiche e altri materiali per impiantare a Mondovi la
stamperia vescovile; e intanto con quell'operazione veniva rinnovata la tipogra-
fia dell'oratorio di Valdocco. Nelle sue lettere a Don Bosco mons. Ghilardi
lamentò che al prezzo da lui versato non corrispondeva la bontà del materiale
acquisito."
140
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
I1 canonico Colomiatti nelle sue lettere confidenziali al postulatore della
fede narrò le disawenture del pittore Tommaso Lorenzone che per Don Bosco
aveva dipinto il grande quadro di Maria Auxilium Christianonrm. Quando si
trattò del pagamento Don Bosco dichiarò di avere disponibile appena metà di
quanto con il pittore aveva convenuto. I1 Lorenzone si rabbonì d a profferta
di un qualche conguaglio con l'esecuzione di un altro quadro per il santuario.
Negli anni che trascorse al Cottolengo il pittore usò ripetere sospirando che
da Don Bosco non si sarebbe aspettato un trattamento del genere.)'
Al livello di rapporti con artisti, artigiani e piccoli commercianti potevano
risultare, a un esame più attento, morosità sconcertanti di Don Bosco nel pa-
gare muratori e panettieri. Discutendone al processo, ci si poteva stupire che
un prete come lui desse le apparenze di essersi comportato secondo le leggi
selvagge praticate da speculatori nel piccolo commercio, da contadini attaccati
al denaro e alle cose, owero anche da grandi imprenditori negli spazi più lar-
ghi del mercato urbano e regionale, della finanza nazionale e mondiale.
Ma si poteva anche rovesciare il segno di tale stupore apprezzando in Don
Bosco il dispiegamento di doti pratiche nel campo finanziario e commerciale
in epoca in cui le imprese caritative che miravano d a promozione cristiana
della società, se volevano soprawivere e svilupparsi, dovevano riuscire a con-
tare sulle proprie forze, autofinanziarsi nel libero gioco del mercato monetario,
nell'ambito largo che la società liberale di d o r a permetteva, muovendo le fi-
bre filantropiche e caritative ch'erano sensibilissime tra antico regime e uma-
nitarismo romantico.
S-i.e..r.a~ no---insistentemente esplorati i sogni di Don Bosco, le predizioni di
morte, le guarigioni miracolose asserite e propagandate. In tema di sogni le
«Animadversiones» e la «Responsio» argomentarono sulla base delle testimo-
nianze rese al processo. Se si fossero esplorate le minute manoscritte superstiti
di Don Bosco e se si fosse allargato il quadro di analisi, si avrebbero avuti ar-
gomenti per non irrigidirsi nell'alternativa tra la loro soprannaturalità owero
la loro invenzione o anche la loro natura di normali fenomeni della vita uti-
lizzati poi da Don Bosco per propri fini.)'
Dai sogni di Don Bosco si sarebbe potuto passare proficuamente al «so-
gno» in genere, come elemento che si ritrova nelle culture e nelle forme di re-
ligiosità più varie e come oggetto specifico di analisi in scienze come l'antro-
pologia, l'etnologia, la psicologia e la psicanalisi, oltre che nel campo degli
studi biblici in via di rinnovamento. In sogni vissuti come esperienze impor-
tanti ci s'imbatte esplorando la specifica area geografica piemontese ed euro-
" Su questa serie di fatti ci. STELLA, Don Borco nella storia economica e sociale..., passim.
Cf. Poritio rupe" dubio: An adductu contra (1921), p. 27s; 31s.
L'obiezione contro Don Bosco «falso profeta» si sarebbe trascinata h o al 1926; su di essa
perciò torneremo più avanti. Sulla complessità dei sogni, sulle varianti riscontrabili tra autografo
di Don Bosco praio d a narrzzione orale, tradizioni manoscritte del racconto ascoltato, elabora-
zioni successive h o al testa pubblicato nelle MB cf. l'appendice al nostro volume 11,p. 507-569.
141

8.4 Page 74

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pea in transizione, ma pur sempre impregnata di elementi cristiani. Sogni che
sono nella loro trama molto simili a quelli di Don Bosco e che furono percepiti
come visioni celesti si trovano, ad esempio, in Davide Lazzaretti, l'ex garibd.
dino attorno a cui si erano coagulate religiosità primitiva e speranze sociali in
comunità contadine del Monte Amiata in Toscana. Come abbiamo avuto
modo di notare, Don Bosco, pur con oscillazioni, maturò nel convincimento
che nei suoi sogni erano Cristo, la Vergine, i santi, i suoi collaboratori e i suoi
giovani ormai passati al premio eterno che intervenivano soprannaturalmente
per assisterlo e illuminarlo. In Lazzaretti invece era maturata la persuasione
che era lui il Cristo di Dio, inviato a fondare la religione davidica del nuovo
popolo eletto."
Sogni nei quali appare il santo invocato e che rivelano l'intercessione ot-
tenuta riempiono le relazioni di grazie stampate a migliaia nei bollettini di san-
tuari e di ordini religiosi. Il sogno è un elemento costante in fatti del genere
e comincia a declinare nel racconto di grazie prodigiose forse a partire dal
primo dopoguerra, in tempi in cui la cultura antica viene intaccata sempre più
profondamente mediante la scuola, i libri, i giornali, il lavoro in fabbrica o in
ufficio, le conversazioni, che ponando verso altri temi inducevano un fondo
immaginifico rinnovato. Anche le tavolette votive deposte in santuari rappre-
sentano frequentemente le apparizioni del personaggio celeste invocato, e per
lo più apparso nel corso del sonno notturno o diurno del graziato allorché
questi era in stato di bisogn~.'~
Non si tratta di forme immaginifiche esclusive dei ceti inferiori. Al pro-
cesso informativo risultarono prevalenti i sogni con apparizioni celesti a indi-
vidui dei ceti inferiori come quelli di Luigia Piovano o come l'altro avuto da
Carlo, il giovane temporaneamente «risuscitato» da Don Bosco; ma erano at-
testate al processo informativo anche apparizioni del servo di Dio a donne di
estrazione nobiliare, come suor Filomena Cravosio.
In questo quadro di fenomeni e in questo clima si collocano nel loro com-
plesso i fatti di Don Bosco, sentiti da lui owiamente tra sensibilità religiosa,
teologia dai presupposti semitradizionalisti ed esperienza psichica, inconscia o
riflessa, che lo portava poi al gioco della narrazione creativa e della libera ela-
borazione di circostanze particolari in ordine alle finalità didattiche, moralisti-
che e spirituali che si proponeva.
" Cf. Cado PAZZAGU(a cura), Davide h a r e t t i e il monte Amiota. Protesta ro&le e rinno-
uamento religioso. Atti del conuegno (Siena e Arcidosso, 11-13 maggio 1979), Firenze, Nuova Gua-
raldi 1981; ma in particolare si conirontino con i sogni di Don Bosco quelli del Lazzaretti raccolti
nel volume: Visionieprofezie, con una introduz. di Francesco Sapori, Lanciano, Carabba 1913.
" Per quanto riguarda I'area piemontese, dà un'analisi quantitativa delle «apparizioni» nelle
tavolette votive del santuario mariano di Oropa Christian LOUBETE,x uoto de Notre-Dame d'Oropo
en Piémont ( X W - X F riècles). Images d'une déyotion populaire, in: «Le monde dpin et rhodanien.
Revue régionale d'ethnologie~5 (1977) p. 213-245.
142
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
& 5. Tra venerazione e ricorso al taumaturgo, il processo «de non cultun
Anche il culto a Don Bosco in quegli anni si radica, si sviluppa e si esprime
nel quadro più complesso del comportamento collettivo spontaneo, pur sem-
pre sotto il controllo e l'intervento istituzionale sia dei salesiani sia di quanti
avevano un ruolo nel processo di beatificazione. Da una parte si assiste all'ap-
propriazione spontanea del personaggio, ch'era già noto come taumaturgo in
vita, con il ricorso a lui per ottenere una qualche grazia; dali'altra si constata
l'intervento dei salesiani, perché nulla venga fatto che poi possa risultare vie-
tato e così costituire un ostacolo alla prosecuzione del proce~so.)~
A Torino i luoghi da controllare attentamente rimanevano sia la tomba a
Valsalice, sia le camerette che avevano ospitato Don Bosco nei suoi ultimi anni
di vita. Nelle camerette salesiani dalle tendenze devote suggerirono e promos-
sero una forma di culto che avrebbe avuto successo anche altrove: cioè la santa
messa tutti i martedì, con la recita del rosario e delle litanie della Vergine da
parte di chi assisteva, all'altare dove Don Bosco usò celebrare. I1 martedì era
stato il giorno del suo trapasso daUa vita terrena; la memoria si coniugava con
la venerazione e la preghiera. Come ricordava Don Luigi Orione, che fu al-
lievo a Valdocco in quegli anni, avevano il privilegio di assistere a quella messa
(con il vantaggio di stare in un ambiente ch'era più raccolto ed anche d'in-
verno più cautelato) i ragazzi della classe superiore del ginnasio. La celebra-
zione finiva con la recita anche di un requiein per il defunto caro padre dei
giovani.)' Sinaugurava in tal modo la pratica pia del manedì in memoria e a
onore di Don Bosco, pratica devozionale che poi si sarebbe diffusa nelle co-
munità salesiane sparse per il mondo fino a oltre il concilio Vaticano 11. Nel
suo primo impianto poté avere un ruolo non secondario Don Gioacchino Ber-
to, ch'era nella comunità di Valdocco fautore, più che di istanze liturgiche, di
piccole devozioni tra i giovani ed era autore di libriccini che diffondevano at-
traverso le librerie salesiane le devozioni e le coroncine più varie.
A Valsalice il controllo era più delicato, e per forza di cose doveva essere
più oculato, data la convergenza di gruppi e di singoli alla tomba di Don Bo-
sco. Don Giulio Barberis, che fu alla diuezione del seminario salesiano per le
missioni estere negli anni del processo informativo, dichiarò a quello «de non
>V,I.osrepho Calarantio Viver y Turo relatore... Poritio super non a l f u ,Romz, Schola typ. Sa-
lesiana 1908. Il volume include la Inforinatio (p. l-7), sottoscritta da Pietro Melandri il 2 aprile
1908; il Summarium (p. 1-73) comprendente: il decreto d'introduzione della causa (23 luglio 1907)
e gli atti giudiziali attinenti il processo de non nrltu, fatto a Torino prima dell'introduzione della
causa (1901-1902);le Animadversioner (p. 1-E), sottoscritte dal promotore della fede Alessandro
Verde, in data 14 maggio 1908; e la Rerponrio ad animadversioner (p. 1-8),sottoscritta da Pietro
Melandri il 28 maggio 1908.
>' A riferire della pratica devota ai giudici fu il salesiano coadiutore Giuseppe Balestra, in-
caricato di curare le camerette di Don Bosco a Vaidocco; cf. Summ~riump, . 60s. Sui ricordi di
Don Orione cf. MB Indice. e Don Orione e lo Piccola Opera della Divina Provvidenra, I , p. 235-

8.5 Page 75

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cultu» il 29 novembre 1901 che fu attento a riporre in luogo appartato gli og-
getti che talora portavano le persone graziate:
«Debbo dire che mentre io era direttore di quel seminario, varie persone mi por-
tarono degli ex-voto, delle tabelle, delle grucce, deiie candele, degli occhi d'argento,
ecc.; ma tutte queste cose furono da me riposte in luoghi appartati, ed appena qual-
cuno di questi oggetti si trovava alla tomba, per mio ordine tosto mi veniva portato
e lo riponeva in luogo appartato del seminario. I1 mio successore mi disse che tiene
questa norma, e tutti questi oggetti non si portarono e non si misero mai alla pubblica
vista»."
Le tavolette votive e gli altri oggetti dimostravano che la venerazione a
Don Bosco tendeva a inserire il servo di Dio, morto in odore di santità e con
la fama di taumaturgo in vita, nell'ambito della religiosità tradizionale come
«awocato» presso Dio per i bisogni deii'anima e del corpo. La devozione col-
lettiva non tendeva ad assegnargli una qualche specificità; Don Bosco, ad
esempio, non diventava il servo di Dio che conveniva invocare in favore dei
giovani. Si creava nei suoi confronti un doppio piano: quello del devoto che
ricorreva a lui come intercessore di grazie (intercessore interessato ad aiutare
anche per il buon esito della propria canonizzazione in terra) e quello di chi
tendeva a promuoverne la causa, perché modello e protettore di chi ne con-
tinuava l'opera.
Awenne in Sardegna che un parroco, afflitto da grave malattia agli occhi,
fece ricorso a Don Bosco coinvolgendo l'intero suo popolo. A guarigione ot-
tenuta, nella piena dell'entusiasmo, d a prima sacra funzione parrocchiale col-
locò l'effigie del servo di Dio sull'altare. Don Rua per scmpolo espose questo
episodio al processo a d e non cultu» (18 novembre 1901), aggiungendo che il
buon prete non era né salesiano né allievo di ~alesiani.)S~ul fatto si appunta-
rono le osservazioni severe del promotore della fede, che indicò nella colloca-
zione dell'effigie sull'altare una forma di culto gravemente vietata. Nella sua
«Responsio» l'awocato Melandri ammetteva che l'episodio costituiva una
grave trasgressione; ma come aveva rilevato il teste del fatto, c'erano compren-
sibili attenuanti; per cui, se era il caso, se ne sarebbe chiesta la dovuta dispensa
aii'autorità competente?'
Al processo «de non cultun furono prese in esame anche le raffigurazioni,
fornite o no di reliquie, che del servo di Dio erano state messe in circolazione.
Anche in questa materia i salesiani si muovevano nell'ambito delle pratiche
consentite utilizzando i mezzi che la devozione popolare aveva acquisito sotto
lo stimolo della stessa élite eccle~iastica.C~'ome sostegno della pratica religiosa
'O Responsio, nr. 8s., p. 7s.-
Cf.in propositoJean PniOlTE,Les imoger de dévotion, témoin de la mentolit4 d'une époque:
1840.1965, MéthodoIloge d'une enquéte donr le Ni?rnwoir,in: nReviie d'histoirede la spiritualité»
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
e in ordine al disegno di una ricristianizzazione deiia società si dimostravano
infatti utili le irnmaginette che ecclesiastici e laici usavano tenere sui mobili, at-
taccare aiie pareti, riporre come segnacoli entro le pagine di libri anche pro-
fani. A loro volta i quadri sacri contribuivano a porre sotto gli occhi i messaggi
cristiani più vari all'interno deile mura domestiche, nelle scuole, nelle botte-
ghe, nelle fabbriche, negli ospedali, nelle sale di associazioni culturali, sporti-
ve, ricreative.
L'effigie di Don Bosco, disegnata o fotografata, era diffusa, oltre che in
grandi formati, in cartoline e pagelline, stampate già nel 1888 come ricordino
funebre, in nero o in tinta scura marroncina." In alcune cartoline di un solo
foglio si leggeva sul retro un breve profilo della vita e delle opere; in altre a
foglio doppio era riportata neile pagine interne la lettera che Don Bosco aveva
predisposto, da inviare ai cooperatori dopo la sua morte. Una pagellina del
1902, fornita di approvazione ecclesiastica e di reliquia «ex indumentis», dava
del servo di Dio un profilo biografico, la cui parte conclusiva ne delineava le
buone qualità:
«... Alla sua morte contavansi circa duecentomila i giovanetti affidati alle sue mi-
rabili istituzioni. Lasciò erede del suo apostolato l'istituto o società dei salesiani da lui
fondati, i quali ne ticopiano lo spirito intraprendente e lo zelo operoso. Don Bosco isti-
tu) pure l'associazione delle suore di Maria Ausiliatrice per l'educazione delle fanciulle
e l'unione internazionale dei cooperatori e delie cooperatrici salesiane. Questa impor-
tantissima unione, che ha per iscopo di estendere lo spirito e l'apostolato di Don Bosco
in tutte le famiglie ed in tutti i gradi.sociaii, ha circondato di innumerevoli amici e be-
nefattori le Opere Salesiane e va ampliandosi mirabilmente. Le case salesiane di Don
Bosco sono estese oggi neli'Italia, Francia, Spagna, Portogdo, Belgio, Austria, Inghil-
terra, Svizzera, Polonia, Messico, Venezuela, Colombia, Equatore, Bolivia, Penì, Chili,
Brasile, Uruguay, Argentina, Patagonia, Terra del Fuoco, Isole Maivine, Algeria, Tuni-
sia, Palestina e Capo di Buona Speranza.
Don Bosco fu di carattere mite, animo generoso, cuore nobile e grande. Coltivò gli
studi con esito molto felice. Fu storico erudito, accurato scrittore ed oratore molto ef-
ficace. Lasciò d a repubblica letteraria circa settanta operette per la gioventù e pel po-
polo dettate con mirabile purezza e proprietà di lingua, stiie facile, spontaneo ed at-
traente. La sua Storia d'Italia ebbe venti edizioni ed il Giovane provveduto h d i i s o
in un milione e più mila esemplari. Tra i suoi allievi vi sono già più vescovi ed altri di-
gnitari ecclesiastici, magistrati distinti, esimu letterati, valenti artisti ed un numero ster-
50 (1974)p. 479.505; Claude SAVARATl,a recherche de I'rortu dit de Saint-Sulpice, ivi 52 (1976)
p. 265-282.
" Una piccola collezione di ritratti e immagini di Don Bosco è presso il Centro Studi Don
Bosco deli'Università PontificiaSalesiana.Sul fogliodi coperta del uBoUettino salesianon,dal 1888
in poi, è fatta saltuariamente pubblicità di ritratti, quadri e medaglie raffiguranti Don Bosco. Per
un'analisi più completa sarebbero da prendere in esame anche le illustrazioni sia del «BoUettino
salesiano» che dde varie biografie agiogrdche che si andarono stampando in quegli anni: Gio-
vamino Bosco in equilibrio su una corda tesa ira due alberi, Don Bosco aggredito da male inten-
zionati e liberato dall'intenrento del «cane grigio»,ecc.

8.6 Page 76

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minato di onorati cittadini, i quali serbano riconoscenza vivissima verso chi €LI loro ami-
co, maestro e padre cotanto prowido ed affettuoso. Don Bosco mori il 31 gennaio
1888. La sua salma riposa nel dolce pendio di Valsalice presso Torino, in un grandioso
mausoleo erettogli dalla pietà de' suoi ammiratori. La sua anima benedetta la speriamo
in Cielo ove prega per gli amici e benefattori delle sue istituzioni...».
Il giudizio al processo «de non cultu» fu favorevole. Per quanto concer-
neva questo aspetto si poteva sperare nel parere favorevole deila commissione
cardinalizia in ordine all'apertura del processo apostolico.
6. L'apertura del processo apostolico (24 luglio 1907): Don Bosco, tutto a
tutti per la 'salvezza deUe anime
Le «Animadversiones» erano state consegnate dal promotore generale
della fede con la data del 16 marzo 1907, quando già, il 29 dicembre 1906, era
morto Luigi Tripepi, il cardinale ponente la causa. Il procuratore salesiano,
Don Marenco, dopo avere contattato i cardinali Rampoila, Gotti e Cretoni,
finì per trovare nel cappuccino José Calasanz Vivés y Tuto un cardinale dispo-
nibile e persino entusiasta?' Nominato ponente il 23 febbraio 1907, subito egli
s'interessò, perché, secondo i desideri dei salesiani, si giungesse all'introdu-
zione deila causa il 24 maggio, festa liturgica di Maria Ausiliatrice. «I1 card.
Vives y Tuto - scriveva Don Marenco a Don Rua il 10 aprile - è impegna-
tissimo. Credo che mai abbiamo avuto un ponente tanto benevolo ed impe-
g n a t ~ » F?u~ possibile giungere al momento desiderato nella congregazione or-
dinaria tenuta dai Riti il 23 luglio. Al dubbio avanzato dal cardinale ponente
«se era da firmare la commissione per l'introduzione deila causa di beatifica-
zione e canonizzazione» il voto dei cardinali e dei consultori fu positivo. I1
giorno dopo Pio X sottoscrisse il mandato. Ii decreto si ebbe il 28 deilo stesso
mese? Annunziandolo, Don Marenco scriveva a Don Rua: «Allora si po-
tranno suonare tamburi e campane»?6
<' Marenco a Rua, Roma, 7 gennaio 1907 (AS 036).
" Marenco a Rua, Roma, 10 aprile 1907 (AS 036).
<' U testo latino del decreto «Supremushumanae familise* è, come abbiamo detto, nel Sum-
murium deiia Positio super non nrltu (1908),p. 1-7;con la traduzione italiana a fronte è sul «Bol-
lettino salesiano* 31 (settembre 1907),p. 260-265;da qui è trascritto, in latino e in italiano, da
Giovanni DELLA CIOPPA,Come rifanno i santi. (Cuusu di S. Giovanni Bosco)..., Roma, Ferrari
1934, p. 16-26, e dal CEFU nelle Mi3 19, p. 54-58 (solo in italiano). Fu lo stesso cardinale Vivés
a portarne la notizia ali'ispettoresalesiano Don ConeUi. Questi ne scrisse a Don Rua da Roma il
25 lugiw riferendo il senso del soprannaturale che aveva colpito il cardinale: «Sonofelicissimo di
aver dovuto studiare a fondola vita di Don Bosco, perché ho potuto conoscere che egli fu un gran
santo! Già quando si vede una congregazione che fa veramente bene [...lsi può sempre due con
ragione: in fondo d a radice vi è sicuramente un santo. Ma io i'ho toccato con mano in questi
giorni studiando la vita I..C.e]le.sti carismi, sicché si potrebbe due che Iddio, quasi in un cine-
matografo continuo, gli manifestasse il futuro della sua congregazione, dei suoi figli ed alunni...»;
cf. «Bollettino salesiano» 41 (luglio 1917) p. 182.
<%~arenco a Rua, Roma, 24 luglio 1907 (AS 036).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Di Don Bosco era delineato nel decreto l'intero arco della vita. Ne scatu-
riva il ritratto di un sacerdote di umili origini, privo di mezzi materiali, ma dal-
l'operosità instancabile, fondatore e promotore di un numero stupefacente di
opere in continuo promettente sviluppo per l'educazione cristiana special-
mente dei giovani, distintosi per essersi dato tutto a tutti. Ii proemio dava la
chiave di lettura teologica e sociale deii'intero profilo:
«Iddio - si leggeva nella versione che ne dava il "Bollettino salesiano" -, su-
premo autore e reggitore deli'umana famiglia, come negli altri tempi, cosi nei nostri
prowede con particolar cura alla cristiana società, sowenendola con opportuni aiuti e
rimedi, per mezzo di uomini singolari, illustri per luminosa e operativa virtù, i quali,
percorrendo il loro cammino, parvero comunicare a tutti il proprio spirito e il proprio
ardore salutare e vitale.
Fra costoro, nel secolo testè trascorso, la divina prowidenza mandò a presidio ed
ornamento della sua Chiesa il sacerdote Giovanni Bosco, il quale, seguendo fedelmente
le orme di quegli uomini santi, quali furono Giuseppe Calasanzio, Vincenzo de' Paoli,
Giovanni Battista de La Salle e di altri simiglianti, con la pia società salesiana da lui isti-
tuita e con varie altre opere, si consacrò interamente a procurare la salvezza delle anime
e specialmente ad educare la gioventù nella pietà, nelle lettere e nelle arti, facendosi
tutto a tutti per far tutti saivi».
Nessun cenno veniva fatto a doti taumaturgiche in vita e dopo morte; evi-
dente era l'idea che tutta la vita di Don Bosco e il complesso delle opere da
lui promosse dovevano considerarsi come una sorta di teofania riservata aila
Chiesa in tempi di distretta. SuUa costante e totale dedizione d a salvezza spi-
rituale era poggiata l'ultima parte del decreto, relativa d a fama di santità,
«che acquistata in vita, andò tanto crescendo dopo la morte, che istruito su di
essa il processo ordinario, fu trasmesso d a S.C. dei Riti».
Nel suo complesso il decreto si manteneva entro i termini che furono usa-
ti dal capitolo metropolitano torinese nella lettera postulatoria datata nel
febbraio 1903 e sottoscritta da personaggi di varia tendenza culturale, quali il
moralista alfonsiano mons. Bertagna e il canonico Giuseppe Piovano, ch'era
forse il più sensibile a istanze poi colpite come modernistiche; com'era preve-
dibile, tra i membri del capitolo firmatari mancava il canonico Emanuele Co-
lomiatti?'
Non erano esplicitate certe motivazioni che avevano presentato e svilup-
pato varie lettere postulatorie. Mons. Geremia Bonomelii, ad esempio, indi-
cava in Don Bosco un modello che la prowidenza aveva offerto per scuotere
dall'inerzia il clero e il laicato. Enfaticamente ne esaltava la stupenda armatura
deile virtù: «Deus immortalis! Q u z fides! quie pietas in Deum et homines!
" Scritta in latino, porta la data del 20 febbraio 1903; i sottoscrittori sono: mons. Bertagna
e i canonici Giacomo Re, Micbele Sorasio, Giovanni Battista Verlucca, Giovanni Elia, Giuseppe
Allamano, Bartolomeo Giuganino, Giuseppe Piovano, Edoardo Busca, Antonio Berrone, Giu-
seppe Corno, Biagio Chiaffrino; 6.Litterre portulutoriz (1907),p. 97-99.

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q u z sapientia et prudentia! Q u z moderati0 in factis! q u z in optima quaque
causa constantia et fortitudo! »." Non lo scossero - proseguiva - né le dif-
ficoltà, né le opposizioni, né le awersità. Chi mai può non stimarlo come
esem io, documento e incitamento atto a scuotere il torpore del nostro tem-
po? l$ dunque nei voti di tutte le persone religiose e dei laici ben pensanti la
speranza che il papa ne decretasse la canonizzazione tra i santi, per promuo-
vere il bene della Chiesa e la buona educazione cristiana della gioventù.
Gli echi nel mondo cattolico furono estesi, come abbiamo già visto, anche
fuori della cerchia salesiana. In Italia la partecipazione d e celebrazioni che si
organizzarono presso case di Don Bosco fu particolarmente alta, sia perché si
era in tempi cti awicinamento tra cattolici e classe politica liberale al potere,
sia perché partecipando si dimostrava solidarietà ai salesiani dopo la campagna
anticlericale che li aveva colpiti di recente con la montatura dei «fatti» nefandi
di Varazze." Ma anche altrove in Europa e in America latina, il movimento
cattolico attraversava qua e momenti di particolare euforia; attraverso la
stampa e gli altri strumenti d'informazione in Germania, in Belgio, in Polonia,
in Ecuador, nel Cile'si recepivano gli echi di quanto i salesiani facevano, si
idealizzavano Don Bosco e l'opera salesiana, si amplificava la portata della de-
cisione papale traendone auspici per il buon successo futuro.
Chi, come il Salotti, cercava di essere addentro d e strategie della Congre-
gazione dei Riti e alle propensioni personali di Pio X si adoperava per favorire
l'aggancio del processo di Don Bosco a quello del suo direttore spirituale e
maestro Don Giuseppe Cafasso. In più, in quei medesimi anni maturava un
progetto carezzato da tempo: introdurre il processo informativo per la beati-
ficazione di Domenico Savio, il ragazzo ch'era stato studente a Valdocco dal
novembre 1854, morto quasi quindicenne nel marzo 1857 e del quale Don Bo-
sco aveva scritto una Vita più volte ristampata e ben nota negli ambienti più
vicini ai salesiani.
Lettera in latino, Cremona, 16 giugno 1902; d Litterz p o r t u b f o ~ z(1907), p. 42.44.
Don Tomasetti ricorda gl'interventi che si ebbero a Roma a livello politico e giornalistico:
«Limitandoci a parlare di ciò che in quei giorni nefasti awenne a Roma, ricorderemo l'atteggia-
mento energico del "Corriere d'Italia", diretto dal valoroso a w . Paolo Mattei-Gentili; l'intervento
tempestivo di S.E. Tommaso Tittoni, ministro degli esteri, sia telefonando al presidente del con-
siglio dei ministri Giovanni Giolitti doversi far cessare l'indegna gazzarta, magati piazzando can-
noni nelle piazze e nelle vie, sia rispondendo d a cancelleria germanica trattarsi di turpe monta-
tura; il richiamo al buon senso, fatto abilmente da Costanzo Chauvet sul "Popolo Romano"; l'in-
tervista che S.E. Giolitti concesse d a stampa; la benevolenza di S.M. la regina Margherita e del
suo grande seguito (tra cui il conte Adeodato Bonasi, Urbano Rattazzi, Marchiafava, Nomis di
Cassiiia, ecc.), di S.E. Luigi Facta sottosegretario agli Interni, il quale all'ispettore del tempo, l'e-
simia Don Arturo Conelli, indicava il modo da seguire per poter colpire efficacemente i calunnia-
tori; il concorso finanziario di cooperatori salesiani, per esempio del comm. Giuseppe Serafini, per
le spese di stampa, che ci permise di tappezzare immediatamente i muri dell'urbe con manifesti
invitanti a leggere le querele dei salesiani ai giornali "La Tribuna", "II Giornale d'Italia", "I! Mes-
saggero", ciò che sull'animo dei calunniatori fece l'effetto di una doccia fredda. A tutto questo si
deve aggiungere l'affluire nell'ospizio [S. Cuore a Roma] di molti exalunni che, stamacati di tanta
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
7. Per la beatificazione di Domenico Savio: 'dai processo ordinario a quello
apostolico (1908-1914)
Il processo informativo per la beatificazione di Domenico Savio si pose in
moto suU'onda di quelle forme di mobilitazione ch'erano le celebrazioni anni-
versarie, i convegni, i raduni e persino, a livello di alti prelati, le lettere di ade-
sione e quelle postulatorie per processi canonici di beatificazione.
Già nel 1892, in concomitanza con il centenario colombiano, i salesiani al-
i'interno della loro cerchia commemorarono la nascita cinquant'anni prima di
Domenico Savio a Riva di Chieri nel 1842. I1 «Bollettino salesiano» nelle varie
iingue non mancò di ricordare l'evento. In quegli anni si rimisero in voga le
passeggiate annuali di allievi deU'Oratorio di Valdocco con tappe a Castelnuo-
vo, d a casetta nativa di Don Bosco ai Becchi e poi anche al paesino non di-
stante di Mondonio per visitare i luoghi dov'era vissuto e morto Domenico Sa-
vio. La tomba del ragazzo nel cimitero del paesino era ben distinguibile, per-
ché nel 1866, su richiesta di Don Bosco, era stata tolta la cassa d d a terra ed
era stata trasferita in un loculo contro il muro posteriore della c a p p e h a del
cimitero comunale ormai sistemato?'
I1 7 ottobre 1895, su iniziativa della comunità giovanile di Valdocco, fu po-
sta una lapide commemorativa sui muro deiia casa dove Domenico morì. La
cerimonia fu presieduta da mons. Giuseppe Fagnano, prefetto apostolico deiia
Patagonia meridionale e della Terra del Fuoco, quale rappresentante del suc-
cessore di Don Bosco, Don Michele Rua. Erano presenti il sindaco, il parroco,
il vicario foraneo, tutti i parroci deUa vicaria. Si trattò dunque di una cerimo-
nia circoscritta. Ma suli'onda della partecipazione entusiastica di ecclesiastici
e laici che s'era avuta pochi mesi prima a Bologna, al primo congresso inter-
nazionale dei cooperatori salesiani, non difettarono adesioni numerose e auto-
revoli, subito divulgate dal giornale cattolico di Torino «L'Italia reale» e dal
«Bollettino salesiano» nelle varie iingue. Oltre d a benedizione papale si eb-
bero lettere dal cardinale vicario Lucido Parocchi, e dai cardinali Francois Ri-
chard arcivescovo di Parigi, Luigi di Canossa arcivescovo di Verona, Alfonso
Capecelatro arcivescovo di Capua, Domenico Svampa arcivescovo di Bologna,
Pietro Respighi arcivescovo di Ferrara. Tra tutte si distingueva la lettera del
card. Parocchi, non solo perché più estesa e più elaborata, ma anche perché
in sintesi offriva la gamma di argomenti che presto avrebbero indotto a iniziare
il processo e ne avrebbero sostenuto positivamente il buon risultato:
impudenza, erano disposti financo a venire ad atti di violenza per difendere i loro antichi educa-
toti...~;cf. TOMASETiI, Memorie confidenziali, p. 5s.
'O Questa serie di fatti 2 ricordata nella parte di «memorie» aggiunte da Don Stefano Trione
d a vita del giovane Savio scritta da Don Bosco; cf. G. BOSCO, Il remo di Dio Domenico Savio.
Edizione con illustrazioni originali di G. Carpaneto, Torino, SEI [l9201 (ma stereotipa dell'ed.
1908), p. 260.264,

8.8 Page 78

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«Parmi segno di predestinazione agli ordini religiosi l'acquisto di giovani maturi al
cielo. Cosl Lodovico di Tolosa e Giovanni Battista di Borgogna a' Minori, Imelda Lam-
bertini aile suore di S. Domenico, Michele Desanti a' Trinitari scalzi, Giolamo Tira-
boschi a' Figli di S. Camillo, la Redi aiie Teresiane, il ven. Castelli ai Barnabiti, frate1
Gabriele deli'Addolorata aila congregazione de' Passionisti, e, per tacer tant'altri, qual
sublime ternario, del Kostka, del Gonzaga e del Berchmans alla Compagnia di Gesù,
se non basarono a portar i frutti degli anni adulti, ne offrirono uno più grande, lo spet-
tacolo di un'ammirabiie santità entro la cerchia di un'età breve.
A' nostri tempi erano dunque a Don Bosco augurl di felice successo quei cari gio-
vani di Gabriele Fassio, Luigi Rua, Camillo Gavio, Giovanni Massaglia ed altri, i quali
rapidamente compiuta la vita, finirono per eguagliare il corso di tempi non pochi. Di
nessuno però, cPio sappia, scrisse con tanto paterno compiacimento il piissimo fonda-
tore dei salesiani, come del triiustre Domenico Savio [...]. Se Luigi Comoilo, or fanno
cinquantasei anni morto fra i seminaristi di Chieri, fu tipo ai chierici, e il ven. Nunzio
Sulprizio agli artigiani, il nostro Savio sarà modello imitabile di virtù agli studenti del
ginnasio [...l. Vorrei essere costl allo scoprimento della lapide, certo che non vi sarà
nulla che possa danneggiare la Causa di Savio Domenico una volta che a voce di Cielo
si dovesse iniziare...>>.ll
Concluso nel 1897 ii processo informativo di Don Bosco, l'idea di awiare
ormai anche quello di Domenico Savio cominciò a essere carezzata più con-
cretamente dai salesiani e in particolare da Don Stefano Trione. Questi, dotato
di facilità oratoria, si era distinto neil'organizzare, sia pure alquanto tumultuo-
kJ" samente, manifestazioni collettive. e1 1895 si era prodigato per il buon esito
del congresso internazionale ei operatori salesiani tenuto a Bologna dal 23
al 25 aprile; pochi mesi dopo svolse un'efficiente attività di collegamento e di
assistenza logistica ai cattolici italiani intervenuti al congresso nazionale cele-
brato a Torino dal 9 al 13 settembre. Non meno attivo fu Don Trione ai con-
gressi degli oratori e a quello dei cooperatori salesiani tenuti rispettivamente
nel 1902 e 1903. Questa serie di circostanze gli permisero d'intrecciare rela-
zioni personali con personaggi di rilievo del movimento cattolico e della ge-
rarchia ecclesiastica. Ci si spiega pertanto come in risposta ai sondaggi da lui
fatti sulla opportunità del processo di beatificazione del Savio si siano avute
sollecite e numerose risposte incoraggianti. Tra tutte, particolarmente sugge-
stiva era quella inviata dal card. Svampa a Don Rua 1'8 dicembre 1901. L'am-
mirazione che I'arcivescovo di Bologna nutriva per Don Bosco e per l'opera
salesiana aveva radici remote; risaliva infatti ai buoni rapporti che Don Bosco
stesso aveva avuto con l'arcivescovo di Fermo, card. De Angelis, in domicilio
obbligato a Torino per via del suo intransigentismo filopapale dopo l'annes-
sione delle Marche al regno d'Italia.
«Mi è stato riferito che probabilmentes'inizierà a Torino il processod'informazioni
" Lettera [a Don Trione] da Albano Laziale, 4 ottobre 1895; cf. «Bollettinosalesiano»19
(novembre1895) p. 285; BOSCO, Il servo di Dio Domenico Savio, p. 264s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
s d a vita, virtù e fama di santità del caro giovane Savio Domenico. Non posso espri-
mere quanta gioia mi ha procurato tale notizia! La vita di Savio Domenico fu forse la
prima conoscenza, che io feci nella prima giovinezza, di Don Bosco; e quando io ebbi
la consolazione di sentire un discorso del venerato padre nel seminario di Fermo, ram-
mento che ei propose l'esempio di quel suo ailievo e specialmente ci parlò del grande
amore che portava a Gesù Sacramentato. Io spero che Iddio voglia glorificare questo
novello S. Luigi...».l2
Don Rua e i suoi immediati collaboratori preferirono attendere ancora,
fino a che fosse chiaro che per Don Bosco dal processo ordinario si sarebbe
passati a quello apostolico. Il 1907, cinquantenario della morte del Savio, si
prospettò come l'anno propizio. I1 9 marzo, giorno della morte, fu ricordato
solennemente sia a Valdocco, sia a Castelnuovo d'Asti, dove ormai da qualche
anno i salesiani avevano aperto un istituto ch'era oltre tutto un utile luogo di
sosta per chi intraprendeva pellegrinaggi nella rete di spazi sacri salesiani, via
via tracciati dalla memoria di essi sui «Bollettino», nelle biografie di Don Bo-
sco, nelle Memorie biografiche, nella stessa Vita di Domenico Savio.
Maturò il progetto di un monumentino a Domenico, eretto a Mondonio e
corrispettivo di quello che qualche anno prima era stato inaugurato di Don
Bosco a Castelnuovo. L'inaugurazione awenne il 5 luglio 1907. Profittando
della ferrovia, si portarono sui posto, con banda e filodrammatica, gli otto-
cento giovani studenti e artigiani che allora ospitava l'Oratorio di Valdocco.
Intanto sotto la presidenza del canonico Anfossi, già condiscepolo di Do-
menico Savio, era stato costituite a Torino un comitato per le celebrazioni cin-
quantenarie. Il 29 ottobre 1906 si prowide a sistemare i resti mortali del ra-
gazzo in una nuova cassa; nella primavera del 1907 con l'assenso del vescovo
d'Asti venne riattata la cappella cemeteride; sull'altare fu collocata una statua
di Maria Ausiliatrice e nell'interno s d a parete destra, si costruì un sarcofago
di marmo di Carrara. Le spoglie di Domenico Savio vi furono trasferite il 26
settembre d a presenza dei due vescovi castelnovesi, mons. Matteo Filipello
vescovo d'Ivrea e mons. Giovanni Cagliero vicario apostolico della Patagonia
settentrionale, che capeggiava una numerosa rappresentanza di giovani venuti
dali'oratorio di Valdocco.13
Era evidente intanto che nelle lettere commendatizie pervenute al card. Ri-
chelmy, o in quelle di adesione che poté ricevere Don Trione prima e dopo
l'apertura ufficiale del processo informativo, ci s'ispirava sostanzialmente a
quanto di Domenico Savio aveva scritto Don Bosco nella Vita. I nomi di Luigi
Rua, CamiUo Gavio, Giovanni Massaglia, che già il card. Parocchi aveva rie-
vocato nella sua lettera del 1895, erano appunto quelli che si leggevano nella
" ... Cardinali Vincenti0 Vannutelli relatore. Arren. et Taurinen. beatifiationis et canonizatio-
nis servi Dei domini^ Savio adolescentu kzici nlumni Oratori: salesiani. Poritio super introductione
ctuse, Rome, typ. pont. in instituto Pio M 1913; 6.Summarium, p. 161; BOSCO, Il remo d i Dio
Domenim Savio, p. 297s.
" Bosco, Il rervo di Dio Domenim Savio, p. 289.

8.9 Page 79

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prefazione della Vita scritta da Don Bosco. Ma a ben riflettere, attorno alle
istanze che Don Bosco proponeva nella Vita si operava una sorta di sposta-
mento e di inquadramento. Don Bosco aveva delineato nel Savio un modello
di «virtù compiute» e una santità conseguibile nel proprio stato di vita adem-
piendo i propri «doveri»; abbastanza esplicita era la selezione che Don Bosco
faceva della vita vissuta del Savio sotto lo stimolo dei propri convincimenti
teologici, della propria mentalità ed esperienza; come egli andava dichiarando
nei suoi libri apologetici, devozionali e agiografici, la santità e le virtù «vere
e compiute* potevano fiorire soltanto nella Chiesa cattolica, unica depositaria
dei mezzi efficaci della grazia, cioè dei sacramenti, mediante il ministero dei
«veri» pastori: la vita cristiana, sottolineava Don Bosco, non era un'amputa-
zione delle istanze umane più profonde, che anzi portava alla pienezza della
felicità perseguita dagli uomini; i giovani - come quelli deil'oratorio in cui
era vissuto Domenico - non dovevano per nulla rinunziare alle espressioni di
allegria proprie della loro condizione di vita.ld
Tra fine '800 e primo '900 le varie lettere di auspicio o di adesione al pro-
getto di processo di beatificazione del Savio trasferivano il modello ideale pro-
posto da Don Bosco nelle istanze che ormai si vivevano. Nella canonizzazione
di Domenico Savio, morto appena quindicenne, si prospettava la possibilità di
presentare un modelio per la categoria studentesca, ormai resa più numerosa
e meno legata alla istruzione ecclesiastica dalla massiccia scolarizzazione nel
mondo europeo. Magari a Domenico Savio si affiancavano altri fanciulli e altri
giovani, come Nunzio Sulprizio (1817-1837), venuto dall'Abruzzo a Napoli
appena fanciullo, garzone presso un fabbro ferraio, morto poi diciannoveme
presso l'ospedale degl'Incurabili a Napoli; oppure anche si riservava un molo
preminente a Luigi Gonzaga, Stanislao Kostka e Giovanni Berchmans, la
triade che aveva illustrato il modello educativo della Compagnia di Gesù?' Lo
stesso Pio X, promotore della comunione eucaristica precoce ai bambini e pa-
trocinatore del catechismo organizzato, già leggendo la Vita di Domenico Sa-
vio scritta da Don Bosco aveva avuto modo di trovarvi un modello d'inno-
cenza e di pratica cristiana da proporre alla classe adolescenziale.nel tessuto
organizzato delle parrocchie e delie associazioni di azione catt~lica?~
I1 processo informativo fu aperto dal cardinale Richelmy il 4 aprile 1908.
" Cf. il nostro vol. II, p. 205-225.
" Ii processo apostolico per la beatificazione di Nunzio Sulprizio venne introdotto il 9 luglio
1859. Il decreto suli'eroicità delle virtù di questo giovane apprendista fabbro è del 21 giugno 1891
e accenna esplicitamente d a coincidenza con il teno centenario d d a motte di Luigi Gonzaga
«angelico patrono della gioventù*; si era evidentemente propensi a prospettare un patrono celeste
aiia gioventù operaia da mantenere alla Chiesa e sottrarre al socialismo. Come abbiamo visto, il
giovane Sulprizio 2 nominato da card. Parocchi neUa sua lettera del 4 ottobre 1895 (cf. sopra, nota
51). In quegli anni trovava posto, anche nelle bibiiotechine deiie case salesiane d'Italia, il volume
del lazzarista Vincenzo SARDI, Stariu della uito del venerabile giovinetto Nunzio Sulprizio desm'tta
recondo i processi, Roma, tip. ed. Romana 1892.
" Su queste impressioni di Pio X d avanti, nota 63 e testo corrispondente.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Facendo tesoro di esperienze precedenti, non ci si espose alle lentezze di
queUo di Don Bosco con articoli troppo particolareggiati e con grande dispie-
gamento di testimoni.
Gli Articoli furono predisposti dal vicepostdatore Don Luigi Piscetta (po-
stulatore fu nominato Don Marenco, procuratore generale a Roma). Erano in
tutto 162 in un fascicolo di 46 pagine?' Neil'ordinarli secondo lo schema con-
sueto che distingueva la vita, le virtù, i doni soprannaturali in vita e la fama
di santità dopo morte, Don Piscetta trascrisse volentieri dalla Vita scritta da
Don Bosco e in genere fu agevolato dal fatto che Don Bosco aveva egli stesso
organizzato gli episodi che narrava entro questo schema, abituale neil'agiogra-
fia edificante sviluppatasi in età moderna.
I testimoni esibiti furono appena sei: due preti secolari, cioè i canonici
Giovanni Battista Anfossi e Giacinto Ballesio; tre salesiani, mons. Cagliero,
Don Michele Rua e Don Francesco Cerruti; e un laico, Carlo Savio, agricoltore
e assessore municipale a Mondonio. Testi ex officio ne furono indotti soltanto
tre: Don Giambattista Francesia; Don Giovanni Battista Piano, curato della
Gran Madre di Dio a Torino; Don Giovanni Pastrone, parroco di Mondonio.
Unico conteste ex officio fu Don Francesco Vaschetti, parroco e vicario fora-
neo di Volpiano. Tutti superavano i sessant'anni; il meno anziano era Don Pa-
strone, che contava 62 anni, seguito dail'assessore comunale Carlo Savio,
ch'era di 64 anni; Don Rua, il più anziano fra tutti, aveva raggiunto i 71 anni?'
Com'era prevedibile, prevalsero le deposizioni relative a quei due ultimi
a m i e mezzo che Domenico trascorse come studente a Valdocco. Quanto agli
anni precedenti, gli anziani testimoni potevano disporre solo di qualche pic-
colo episodio e di voci sbiadite di fatti; quasi tutti finirono per ripetere quanto
avevano conosciuto attraverso la Vita scritta da Don Bosco insistendo sull'au-
torevolezza del venerabile scrittore e sul fatto che le testimonianze da lui
raccolte e fornite da cappellani, maestri e condiscepoli del giovane servo di
Dio, erano state gelosamente conservate ed erano ben custodite neil'archivio
salesiano.
Il processo diocesano durò poco meno di due anni. Trasmesso il transunto
a Roma, si poté disporre sollecitamente delia Copia pubblica, mentre intanto
si svolgevano gli altri processi obbligati, quello sugli scritti e quello «de non
cdtu». Le lettere postulatorie raccolte furono ben 518 (quelie presentate per
Don Bosco erano state 341).' Con argomenti svariati indicavano, oltre che
i'industriosità e l'euforia dei salesiani, le attese che si nutrivano in modelli gio-
vanili, eroi di santità aureolati ufficialmente dalla canonizzazione. Tra gli altri,
il card. Andrea Ferrari - arcivescovo di Milano in un momento in cui la me-
" Articoli sulla vita e virtù del sema di Dio Domenico Suvio, Torino, Libr. Salesianaed. 1908,
46 p,, sottoscritti da Luigi Piscetta, vicepostdatore, il 9 mano 1908.
" Cf. di Domenico Savio la Poritio super intmductione cuurz (1913), Summurium, p. 1-7 (ca-
talogus testium).
Poritio super introductione cause (19131, Litterz portukztoriie, p. 1-70.

8.10 Page 80

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tropoli lombarda si presentava come la punta avanzata sia di lotte sociali, sia
di presenza attiva e inquadrata della Chiesa - nella sua lettera postulatoria ri-
badiva il valore emblematico di santi dell'epoca deiia riforma, e in particolare
«l'eroismo dei tre santi giovanetti protettori deila gioventù: S. Luigi Gonzaga,
S. Stanislao Kostka, S. Giovanni Berchmans». Ma Domenico Savio poteva ben
aggiungersi a loro e divenire negli ambienti dei salesiani «quanto prima non
solo modello, ma anche un patrono alle migliaia di giovani che essi vengono
educando secondo lo spirito e le norme del loro immortale fondatore».60
In data 10marzo 1912 I'awocato prescelto, Carlo Salotti, presentò la In-
formati~fondata sul Summarium già stampato. Le Animadversiones, presentate
dal promotore della fede Alessandro Verde il 30 ottobre 1913, portavano I'at-
tenzione su alcuni aspetti apparentemente deboli del processo diocesano e del
Summarium: esiguità di fatti, esiguità di fama, peso deila Vitu scritta da Don
Bosco s d e testimonianze e s d a stessa fama di santità; lunghi brani deiia Vita
erano trascritti nel Summarium, ma non potevano assumere valore di prova te-
stimoniale bensì solo queilo di annesso documentario.
L'ampia replica del Salotti (8 dicembre 1913) mirò a ribaltare, com'era ov-
vio, le argomentazioni del promotore della fede. Nel processo informativo non
c'era esiguità di fatti, ma quella soddisfacente quantità di testimonianze che
serviva a documentare non solo qualche episodio di virtù, ma la compiutezza
di esse e la perfezione che il giovane aveva conseguito nei vari stadi deila sua
vita. Nei luoghi dove il giovane era vissuto e dove era morto la fama di san-
tità attecchì e si sviluppò spontaneamente, senza dipendere sostanzialmente
dalla Vita scritta da Don Bosco o dalla stima che Don Bosco aveva acquisito
per sé e per le sue opere educative. L'eco sempre più larga era awalorata dalla
richiesta della sua intercessione per grazie straordinarie. Punto chiave in or-
dine al processo di beatificazione era il giudizio che bisognava farsi deli'agire
virtuoso di un qualsiasi individuo nelle varie fasi della sua vita. Carlo Salotti
citava a questo proposito un passo ben noto nella cerchia di chi, curando po-
stulazioni di processi relativi ai casi più vari, interrogava il parere autorevole
espresso da Benedetto XIV nel De Beatt$catiom s e r u o m Dei:non si richie-
deva per la beatificazione di un servo di Dio una serie ininterrotta di atti «eroi-
ci», ma l'esistenza e la prova di questi in un tessuto di qualità virtuose «in qui-
bus Dei servus, dum viveret, iuxta suum statum et conditionem potuit se exer-
La causa del giovane Savio andava di slancio. I110 febbraio 1914 nella ses-
sione ordinaria della Congregazione dei Riti si discusse l'introduzione del pro-
cesso apostolico. I cardinali diedero voto positivo. Il giorno successivo Pio X
diede la propria ratifica e sottoscrisse la Commissione. Qualche giorno dopo
"" Lettera senza data (ma: giugno 19101, in: Litterie postulatotlae, p. 2s.
Rerponsio ad onimadverriones (1913),nr. 60, p. 65, che cita del De servorum Dei beatif-
catione il liber 111, caput XXI, N. 11 (CF. ed. Prati, typ. Aidina, t. III, 1840, p. 217s).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
fu pubblicato il decreto sottoscritto dal cardinale prefetto della Congregazione
dei Riti, Sehastiano Maninelli.
Come di consueto, la stampa cattolica fece eco al «Bollettino salesiano»
che, neile varie lingue, diede il ragguaglio deli'awenimento e delle entusiasti-
che celebrazioni che si tennero a Torino e altrove. A Valdocco il 16 aprile il
salone del teatro era gremito. In prima fila al centro stava con la sua porpora
il cardinale Richelmy; accanto a lui sedevano il duca e la duchessa di Genova
con i loro augusti figlioli, principessa Bona e principe Adalberto; facevano co-
rona vescovi, senatori, consiglieri comunali, eminenti personaggi del clero e
del laicato, associazioni giovanili di Torino e del Piemonte. Oratore ufficiale
fu mons. Radini Tedeschi, uno dei prelati più in vista del movimento cattolico
italiano. Il discorso non poteva non rispecchiare I'oratoria ecclesiastica, enfa-
tica e apologetica, di anni ch'erano alimentati dalla retorica dei partiti politici
e del nazionalismo più acceso:
«Domenica Savio è sempre là. È ritto in piedi, mentre cadono gi'idoli del mondo.
È là, che confonde con la sua arcana bellezza gl'impotenti ed impenitenti denigratori
della Chiesa. È là, pieno di tanta dignità, di tanta grandezza, di tanto valore...».62
Sembrava che la causa di beatificazione di Domenico Savio potesse arri-
vare presto al successo finale sorpassando addirittura quella di Don Bosco.
Quasi ad auspicarlo e a patrocinarlo fu lo stesso Pio X. I1 Salotti, awocato di
Don. Bosco e di Domenico, se ne fece portavoce a pochi mesi dalla morte di
papa Sarto, pubblicando già ne1.1915 un colloquio che aveva avuto la ventura
di avere il 20 luglio 1914:
«Io mi trovava in presenza del santo padre, Pio X, nel suo studio, ove ebbe la bontà
di accogliermi [...l. Non ancora tuonava il cannone sui campi eroici del Belgio; non an-
cora le borgate e le coliine d'Alsazia e di Lorena erano bagnate di nuovo sangue fra-
tricida; non ancora le mitraglie vomitavano il fuoco e il ferro suiie terre sventurate di
Polonia [...l.
- So, egli mi disse, che voi vi occupate con molto ardore dei seM di Dio, dei quali
dzendete la causa di santità presso la S. Congregazione dei Riti. Ma badate bene alla
scelta de' vostri clienti.
- Padre Santo, risposi, ho dei buoni clienti; - e avendo osservato che sopra il suo
tavolo erano collocate due statuette di bronzo, una delle quali rappresentava il Curato
d'Ars e l'altra Giovanna d'Arco, aggiunsi tosto: i miei migliori clienti la Santità Vostra
li venera qui nel Suo studio.
- Sapevo bene, che voi eravate i'awocato deiia mia cara guerriera, ma non sapevo
che lo siete anche del mio Curatiqo [...l.
e Giacomo RADINI TEDESCHI, Per Domenim Savio, servo di Dio. Commemorazione l& in
Torino il XVI aprile MCMXIV nel teatro dell'Oratorio salesiano, S. Benigno Canavese,Scuola tip.
Don Basco 1914, p. 29; l'enfasi è suggerita dal riferimento polemico ai «fatti» di Varazze e alla
loro montatura del 1907; CF. anche: Solenne mmmemorazione di Domenim Savio all'Oratorio d i To-
rino. Ildircorso dimons. Radini-Tedeschi, in: «BoUettino salesiano»38 (maggio 1914) p. 134-143.

9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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Dagli eroi ctistiani di Francia si passò a discorrere di quelli d'Italia I..d.i ]Contardo
Ferrini [...l del teologo Murialdo [...l.Per una di quelle coincidenze spontanee, che in
ogni dialogo sorgono e s'intrecciano frequentemente, il mio pensiero volò a Don Bosco,
e non potei a meno di esternare tutta la mia ammirazione per quest'uomo, che fui dai
primi anni di mia giovinezza ho considerato come il più grande e il più benemerito apo-
stolo del secolo XM I...]. Pio X con uno di quei sorrisi paterni, in cui apriva l'anima
sua dolce e buona, mi soggiunse: - E Don Rua dove lo lasciate? In lui panni ritrovare
tutto quel complesso di virtù intime e solide, che sono proprie dei santi. Cosa aspettano
i salesiani? [...l. Mi feci ardito a dimandarle, cosa pensasse dell'antico quasi condisce-
- polo di Don Rua ed allievo del venerabile Don Bosco, Domenito Savio. - Cosa penso?
- m'interruppe allora il Santo Padre È il vero modello per la gioventù dei nostri
tempi. Un adolescente, che porta nella tomba l'innocenza battesimale, e che durante i
brevi anni di sua vita non rivela mai alcun difetto, è veramente un santo. Che cosa vo-
gliamo petendere di più? [...l. La Vita che Don Bosco ne scrisse, e che ho letto, mi
ha dato l'idea d'un giovinetto esemplare, che merita d'essere additato quale modeUo di
perfezione [...l. Adoperatevi a spingerne avanti la causa. Che i salesiani non abbiano
i pregiudizi di qualche congregazione religiosa, la quale ha trascurato d'interessarsi
della glorificazione de' suoi membri, prima di aver promosso quella del fondatore. La
figura e l'opera di Don Bosco è troppo vasta e complessa, e forse richiederà molto stu-
dio. Per la vita breve e semplice del Savio non occorre, credo, tutto questo; perciò non
si perda tempo; la sua causa si sospinga innanzi alacremente*."
Anche Pio X nega sua visione delle cose dimostrava di dipendere daila
Vita di Domenico Savio scritta da Don Bosco; e comunque proiettava l'imma-
gine di Domenico delineata da Don Bosco sulle contingenze ed esperienze re-
centi. La causa di Don Bosco e quella del suo giovane allievo erano però og-
gettivamente collegate. Il papa forse non percepiva che le perplessità emerse
anche al processo apostolico nei confronti dei sogni di Don Bosco potevano
essere estese a qualsiasi altra narrazione di cui Don Bosco era autore: si trat-
tasse anche delle inedite Memorie dell'oratorio (da cui erano dipesi in vari
punti molti testi al processo informativo) owero anche della Vita di Domenico
Savio. Il problema di critica documentaria oggettivamente esisteva, anche se
dal promotore generale della fede era stato appena sfiorato.
Si poneva intanto un dilemma ai salesiani: stare fermi nel disegno di far
giungere in porto, prima di ogni altra, la causa di Don Bosco, oppure spin-
gerne avanti altre; la causa di Domenico Savio anzitutto, e poi quelle che si
profilavano, di Maria Domenica Mazzarello, già aperta dalla curia vescovile di
Acqui il 23 giugno 1911; di Don Andrea Beltrami, del principe salesiano po-
lacco Augusto Czartoryski e di altri.
C'era da chiedersi se veramente i salesiani finissero per accettare che il pa-
dre e maestro, da loro conosciuto in vita e profondamente amato, fondatore
dell'istituto e perciò immaginato come alla radice della santità dei figli, potesse
C. SALO^, Domenico Savio, Torino, Libr. editrice internaz. 1915, p. 330-334
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
venire soprawanzato paradossalmente in gloria terrena da qualcuno dei suoi
figli spirituali. Le immagini, le allegorie e i sentimenti condizionavano anche
le strategie delle canonizzazioni.
8. Dall'apettura del processo apostolico di Don Bosco ai processicoli segreti:
le congiunture favorevoli alla causa
Sia neu'opinione collettiva prevalente sia au'inrerno di quanti erano com.
volti neUa trattazione del processo, la fama della santità di Don Bosco era or-
mai fissata nella saldatura di due termini: il grande «zelo» che lo aveva ani-
mato e la grandiosità deUe opere che ne erano scaturite. Nel linguaggio della
religiosità corrente il termine «zelo» era connesso a sua volta essenzialmente
a pochi termini: la gloria di Dio, il bene deUe anime, il trionfo della Chiesa.
In altre parole era l'immagine prefigurata dal cardinale Alimonda che s'impo-
neva e si specificava nelle forme più variegate: Don Bosco, divinizzatore del
secolo X I X ; o, come si era spinto a scrivere Carlo Salotti nel 1915, «il più
grande e il più benemerito apostolo del secolo XIX».
Nonostante ciò, l'apertura del processo apostolico nel 1907 non doveva far
sperare come imminente la beatificazione. Come aveva awenito Ilario Ali-
brandi, non sarebbero mancate le consuete lentezze di cause del genere, né sa-
rebbe stato possibile rimuovere celermente gli ostacoli che imprevedibilmente
si sarebbero frapposti; tanto meqo sarebbe stato possibile, da quando il pro-
cesso era entrato neUe maglie ben ampie e ben cariche della S.C. dei Riti.
Solo scorrendo gli «Acta Apostolicae Sedisa o più speditamente l'«Ari-
nuaire pontifica1 catholiquen del Battandier sarebbe stato possibile compren-
dere che la causa di Don Bosco fmiva per essere una delle tante che ciascun
anno si aggiungevano nei dicasteri romani. Come abbiamo già notato, era que-
sta una delle conseguenze provocate daila massima centralizzazione della
Chiesa cattolica; ed era anche un effetto delle istanze socio-religiose connesse
al moltiplicarsi di istituzioni ecclesiastiche vecchie e nuove che chiedevano sia
la ratifica di antichi culti, sia la beatificazione di fondatori e di altri personaggi
preminenti, a garanzia e a dimostrazione dei favori divini. Una certa tregua si
ebbe ai Riti a motivo del conflitto mondiale tra il 1915 e il 1918; ma fu presto
interrotta già sotto il pontificato di Benedetto XV, e I'inoltro di processi as-
sunse ritmi più intensi nei pontificati successivi.
A creare problemi e remore nella causa di Don Bosco non furono tanto in
quegli anni i passi procedurali ch'era necessario compiere a Torino a Roma;
né la raccolta e selezione di miracoli da proporre. Il punto più delicato rima-
neva quello delle virtù eroiche e dei doni soprannaturali da dimostrare. I sa-
lesiani dovettero pertanto predisporre per gli ulteriori processi sulla fama di
santità e sulle virtù una schiera di testi selezionata e nutrita alio scopo di ri-
muovere le obiezioni, diradare dubbi, rintuzzare le accuse che il Colomiatti,
com'era facile immaginare, aveva continuato a raggranellare facendosi porta-

9.2 Page 82

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voce di impressioni e aneddoti che pur sempre si tramandavano in certi am-
bienti, e non solo a Torino.
Visto dall'angolo prospettico del canonico Colomiatti, il processo prose-
guiva verso queli'esito che, a suo modo di vedere, era la consacrazione deli'in-
giustizia. Ii card. Agostino Richelmy, infatti, come i suoi immediati predeces-
sori, si dimostrava favorevole d a canonizzazione di Don Bosco. Al suo fianco
c'era ormai come vicario generale il canonico Michele Sorasio. Questi, in più,
era stato nominato giudice delegato sia al processo «de fama sanctitatis* che
si tenne a Torino nel 1911, sia nel processo apostolico «incoativo», dedicato
ali'escussione dei testimoni più anziani «ne pereant probationes», iniziato a
Torino il 28 maggio 1909 e ratificato a Roma il 13 luglio 1915. Inoltre i ca-
nonici della metropolitana di Torino, come abbiamo già notato, si erano pro-
nunziati ufficialmente per Don Bosco inviando anch'essi nel 1903 una lettera
postulatoria e prendendo in tal modo posizione nei confronti del Colomiatti.
Le congiunture favorevoli ai salesiani e a Don Bosco risultavano ancor più
consolidate e moltiplicate se si allargava lo sguardo anche solo al panorama
piem~ntese.~
I1 drappello di vescovi che andava subentrando a quello ch'era stato coevo
al Gastaldi era profondamente rinnovato sotto molti aspetti: la formazione pa-
storale era tendenzialmente aifonsiana; l'estrazione sociale era in genere della
piccola borghesia agraria. A mons. Bertagna, ad esempio, si era aggiunto un'al-
tro castelnovese, Matteo Fiipello (1860-1938),vescovo d'Ivrea dal 1898. Pro-
motore del monumento a Don Bosco eretto a Castelnuovo era mons. Giam-
battista Rossi (1838-1922), nativo di Casalgrasso, parroco di Castelnuovo,
amico personale di Don Bosco, vescovo di Pinerolo dal 1894. Erano stati stu-
denti a Valdocco mons. Giuseppe Gamba (1838-1930), nato a S. Damiano
d'Asti, vescovo di Novara dal 1906 al 1924, poi arcivescovo di Torino, e mons.
Vincenzo Tasso (1850-1919), nato a Montiglio in Monferrato, lazzarista, ve-
scovo d'Aosta dal 1908. A sua volta Giov. Battista Ressia (1850-1933), nato a
Vigone, curato della cattedrale di Pinerolo e poi vescovo di Mondovi (1897-
1932), da ragazzo era stato al Cottolengo nel vivaio vocazionale dei «tomma-
sini»; come ricordò nella lettera postulatoria per la causa di Domenico Savio,
tra i tommasini si parlava del contiguo Oratorio di Don Bosco, si conosceva
il giovane Savio ed egli stesso in cuor suo da ragazzo sognava di farsene emulo.
Era il nuovo sistema di selezione di vescovi in Italia, inaugurato da Leone
XIII già nei primi anni del suo pontificato, che giocoforza portava a far entrare
nella cerchia dei vescovi vari effettivi della piccola borghesia rurale (ch'era
d'altronde quella che ormai dava al clero elementi qualitativamente di spicco).
Papa Pecci aveva costituito una commissione cardinalizia alla quale i vescovi
d'Italia erano invitati a far pervenire nominativi di ecclesiastici con buone doti
" Sono apprezzamenti e atteggiamenti che è possibile ricavare dalla Poririo ruper dubio: An
odducte mntra (1921).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
pastorali. Le segnalazioni cadevano in prevalenza su vicari generali, rettori di
seminario, direttori spirituali e parroci zelanti, personaggi cioè che proveni-
vano in genere non dalla nobiltà antica o dalla borghesia finanziaria e impren-
ditoriale, ma appunto dalle parrocchie del territorio e in prevalenza da zone
agricole collinari o di bassa montagna. Questo nuovo tipo di episcopato, forse
più che il precedente, era in sintonia con personaggi ch'erano cresciuti per la
Chiesa nel mondo rurale ed avevano finito per approdare in quello urbano in
via di sviluppo indu~triale.~~
La stima per Don Bosco cresceva anche di riflesso in certe curie vescovili,
come quella di Novara e di Acqui, dove furono iniziati i processi informativi
del salesiano Andrea Beltrami e della prima superiora delle figlie di Maria Au-
siliatrice, Maria Domenica Mazzarello. Intanto aumentava anche il drappello
di vescovi salesiani. Ai primi vescovi e prelati missionari, Cagliero, Fagnano,
Lasagna, Costamagna, altri se ne aggiungevano in Italia e in America. I due
procuratori generali e postulatori delle cause a Roma, Marenco e Munerati, fu-
rono nominati rispettivamente vescovi di Massa Carrara (1909) e di Volterra
(1923);i'uno e i'altro a Roma furono consultori di sacre congregazioni; mons.
Marenco nel 1917 fu inviato internunzio apostolico in Centro America; Dome-
nico Malan fu nominato prelato di Registro de Araguaya nel 1914; Francesco
de Aquino Correa fu ausiliare (1914) e poi titolare (1921) della sede vescovile
di Cuiabà, fu inoltre governatore dello stato del Mato Grosso in Brasile dal
1917 al 1921; alla gerarchia vescovile si aggiungevano i nomi di Elvezio Gomes
de Oliveira e di suo fratello Emanuele, vescovi entrambi in Brasile; Felice
Guerra fu nominato vescovo a Cuba; Ernesto Coppo, vicario apostolico di
Kimberley in Australia; Giovanni Cagliero, primo vescovo salesiano, nel 1915
fu creato cardinale e assegnato d e congregazioni dei Religiosi, di Propaganda,
dei Riti, Orientale e per gli affari ~traordiinari.~~
Tutta questa serie di circostanze piemontesi, romane, mondiali, sorrette dal
«Bollettino salesiano» e dd'attività dei salesiani sparsi ormai in vari continen-
ti, portava a confermare un giudizio positivo su Don Bosco; nonostante a loro
volta stentassero a estinguersi o addirittura tendessero a consolidarsi riserve e
critiche nei confronti sia dei salesiani che del loro fondatore, ormai venerabile.
Come molti ripetevano, e come avrebbe attestato il canonico AUamano (fi-
glio di una sorella di Don Giuseppe Cafasso), c'era chi, vivente Don Bosco,
considerava YOratorio di Valdocco come un ambiente poco ordinato e dove
Cf. P. S E L L A , Il prete piemontese deli'800 tra b ri~oluzionef>imcese b riuokione indu-
striale, Torino 1972 (ciclostilato a cura del Centro di studi suUa storia e la sociologia religiosa del
Piemonte); e più analiticamente,in un quadro storico più specifico: Francesco TRAMELLo, L'epi-
rmpatopiemontese in epoca fasciste, in: AA.W.,Chiesa, Azione Cattolicn e frlscismo nell'Itolio set-
tentrionole durante il pontifcato di Pio XI (1922-1939). Atti del quinto convegno di storia della
Chiesa, Toweglia 2 5 2 7 mano 1977, a cura di Paolo PECORARMI, ilano, Vita e Pensiero 1979,
p. 111-139.
e Un ragguaglio sui vescovi salesiani è dato dal «Bollettino salesiano* 47 (gemaio 1923)
p. 26s.

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le famiglie non potevano avere le massime garanzie di un'istruzione metodica
e di un'educazione da manuale di buona ~reanza.~T'ra fme '800 e primo '900
molti in Piemonte preferivano senz'ombra di dubbio e senza perplessità in-
viare i propri figli a Torino nell'istituto dei gesuiti o al collegio S. Giuseppe
dei fratelli delle scuole cristiane, owero anche presso quello degli artigiane%
del teologo Leonardo Murialdo.
Ma c'era il pro e il contro. Molti venivano attratti piuttosto dal clima se-
reno e quasi di spensieratezza adolescenziale che sembrava travasasse dagli
oratori festivi salesiani ai loro collegi, dove i teatrini, le bande musicali, i giochi
in cortile creavano un clima tutto particolare; dove, del resto, il carico finan-
ziario deUe famiglie era abbastanza più accessibile che altrove; dove infine,
stando agli esami che gli allievi sostenevano come privatisti in scuole pubbli-
che, gli esiti non erano nel complesso diversi da quelli di altre scuole. Di fatto
ii Piemonte aveva ormai una vistosa rete d'istituti dei salesiani e delle figlie di
Maria Ausiliatrice: essi andavano dagli oratori festivi ai collegi per studenti,
dalle scuole agricole a quelle professionali.Gli allievi e gli ex allievi degl'istituti
di Don Bosco costituivano oltre tutto nelle famiglie e nelle istituzioni civili un
supporto anche per la Chiesa diocesana, e i vescovi non mancavano di apprez-
zare tale fatto.
Il clima politico dell'età giolittiana era poi, nel complesso, di awicina-
mento e d'intesa fra cattolici, classe liberale, monarchia sabauda. Tale clima
aveva i suoi riflessi in vari momenti e sotto vari aspetti. La presenza di membri
della casa reale in celebrazioni organizzate da istituti cattolici, e perciò anche
da quelli dei salesiani, era diventata in quegli anni più frequente. Persino in
politica estera, a imitazione di quanto facevano la Francia, l'Inghilterra, il Bel-
gio e la stessa Germania, si tendeva a favorire istituzioni che per le loro origini
o per il numero di effettivi di nazionalità italiana, potevano apparire più dispo-
nibili all'assistenza dei connazionali d'estero, e forse anche potevano rivelarsi
più sensibili d e scelte politiche nazionalistiche. Come già notammo, il «Bel-
lettino salesiano» nell'edizione italiana a partire dagli ultimi anni dell'800 de-
dicò un certo spazio alle iniziative dei figli spirituali di Don Bosco in favore
degli emigrati italiani nelle due Americhe. Particolarmente ben viste, e soste-
nute più o meno direttamente dal governo tramite l'associazione «Dante Ali-
P Chiamato come teste circa le accuse del Colomiatti contro Don Bosco, il canonico Giu-
seppe Mamano il 15 dicembre 1916 rifed: uRecatomi una volta, poco dopo il 1880 [...lpresso
il venerabile Don Bosco, parlando di Don Cafasso, egli mi disse queste parole: - In una cosa sola
non eravamo d'accordo, ed abbiamo avuto una discussione passeggiando sul piazzale del santuario
di S. Ignazio [sopra Lanzo Torinese]. Egli diceva che il bene doveva farsi bene, ed io sosteneva
che bastava farlo così alla buona in mezzo a tante miserie [...l.Penso [...l alludeva a conversazione
[...l s~1l'~ccettazioned educazione dei giovani: Don Cafasso voleva maggior scelta nel ricwerli
e più soiveglianza ed ordine. Ciò pure deduco dali'aweaimento che diede a mia madre (sua so-
rella)...»; cf. Positio super dubio: An odducta contra..., p. 115; TUBALW,Giuseppe AIlamano. Ilsuo
tempo, la suo vita, la sua opera, Volume I: 1851-1891, Torino, Ed. Missioni Consolata 1982, p. 23;
32-35.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
ghieri~,furono le opere che i salesiani andarono impiantando nel Medio
Oriente. Nell'anno della morte di Don Rua (1910),oltre alle opere aperte dal
prete Don Luigi Belloni in Palestina già dal 1863 e affidate ai salesiani nel
1891, si potevano annoverare l'istituto Don Bosco ad Alessandria d'Egitto
(1896), la «scuola italiana tecnico-commerciale>>a Smirne (1903) e la «regia
scuola popolare italiana» nella stessa città (1903),la «scuola italiana» di Ge-
rusalemme (1904) e altre opere che non sempre furono in buona armonia con
l'«orphélinat de Jésus Adolescent» di Nazareth (1896) patrocinato dalla Fran-
~ i aE.si~ste~vano insomma condizioni perché gli ambienti politici italiani mo-
derati, nonostante la massoneria e scossoni anticlericali, vedessero di buon oc-
chio la canonizzazione di Don Bosco, mentre intanto in Francia ci si compia-
ceva dei progressi che facevano i processi canonici di Giovanna d'Arco, di
Bernadette Soubirous, del Curato d ' h , di Teresa di Lisieux, Miche1 Gari-
coits, Pierre-Julien Eymard, Claude-Jean Colui, Louise de MariUac, Made-
leine-Sophie Barat...
Per quanto dunque in Piemonte, a Roma e altrove, soprattutto tra preti an-
ziani, si ripetessero aneddoti e battute sui salesiani e su Don Bosco, prete fur-
bo, dal linguaggio ambivalente, plagiatore di giovani che induceva a farsi sa-
lesiani e preti, prevaleva nel complesso un alone di simpatia e una sorta di at-
tesa del buon esito, che prima o dopo sarebbe venuto, della sua causa di bea-
tificazione.
Tra le tante prese di posizione a favore di Don Bosco nel secondo decen-
nio del '900 basta citare la testimonianza che rese nel 1911 al processo «de
fama sanctitatis» a Torino mons. Pasquale Morganti, arcivescovo di Ravenna,
uno dei lombardi che vivente Don Bosco erano stati convogliati a Valdocco:
«A sfatare la diceria più volte da me udita, specialmente in Lombardia, che cioè il
venerabile violentassei giovani ad ascriversi alla sua Società, sento di dovere affermare
che non solo non aveva fondamento tal diceria, ma ho sperimentato io stesso il con-
trario...».
Mons. Morganti proseguiva narrando il proprio caso e le parole di Don
Bosco che gli erano rimaste nel cuore: «Ritorna pure dunque nella tua diocesi,
e ricordati che a Torino lasci il tuo padre, al quale ti rivolgerai ogni qualvolta
ne avrai bisogno (parole che ancor oggi mi commuovono profondamente)».69
Nella sua schiettezza mons. Morganti aggiungeva un altro episodio, che, no-
* Si veda il catalogo a stampa: Sonetd di San Francesm di Saler. Antico Continente: 1910,
[Torino, tip. deU'Oratorio di S. Franc. di Sales 19091; sui salesiani a Nazareth cf. Francis DESRA-
MAUT, L'orphélinat Jésus-Adolescent de Narareth en Galilée au temps des turcs, puir &s ong&
(1896-1948,Roma, LAS 1986.
Testimonianza di mons. Morganti, sess. 25, Torino, 25 febbraio 1911, interrogatorio 25; 6.
Copia p u b l k transumpti procerrur aposto~icaouctoritnte constmcti in curia ecclesi~rticataurinensi
superfama sanctitatu vite, virtutum et miranrlomm in genere ven.,senii DeiIo~nnisBosco sacerdotis
fundotorir pie ro~etatisrulerinnie, vol. unicum... anno 1913, fol. 291"-2921 (presso il postulatore
dei processi di beatificazione salesiani, Casa generalizia, Roma, via della Pisana).

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nostante il commento che si affrettò ad aggiungere, poteva invece apparire
sconcertante, ed in effetti fu posto in rilievo da mons. Verde nelle « A n i a d -
versiones» relative al processo «de fama sanctitatis». Dichiarò mons. Morgan-
ti:
«Aggiungo ancora di aver udito da Don Luigi Rocca, morto economo generale della
congregazione salesiana, come Don Bosco, in viaggio per la Spagna, disse confidenzial-
mente a lui quanto segue: - A Don Bosco, sai, dopo morte scriveranno la vita; diranno
di lui molte cose; ma nessuno dirà che egli sia stato minchione. Molte altre cose non
potranno dire però, perché qualche settimana fa io ho bruciato un baule pieno di carte
di cardinali, vescovi, sacerdoti ed altri, carte scritte da persone non tutte certo a me fa-
vorevoli, e che io conservai fino a quando le ritenni utili per la congregazione.
Questa notizia comunicai già io stesso al defunto Don Baratta, che la inseri nella
biografia da lui scritta sul prelodato sacerdote Don Luigi Rocca salesiano.
I1 ricordo di questa suesposta comunicazione mi commuove sempre ad ammira-
zione deUa squisita carità del venerabile in ordine alla fama dei suoi prossimi, che non
volie in nessun modo compromettere distruggendo cosl quei documenti che per taluni
potevano riuscire dannosi alla loro fama»."
Mons. Verde nelle sue osservazioni suggerl di chiedersi se lo scopo di tale
distruzione non fosse stato quello opposto, cioè tutelare se stesso e subordi-
nare tutto all'immagine che intendeva lasciare della propria persona e delle
proprie istituzioni."
9. La convocazione del canonico Colomiatti a Roma e i processicoli segreti
(1915-1922)
Chi a Torino e a Roma seguiva i processi del Cottolengo, del Cafasso e di
Don Bosco non tardava a pronosticare, attorno al 1910, un corso ulteriore
tranquillo e normale ai primi due; difficoltà e ritardi a quello di Don Bosco.
Sulla santità interiore infatti del Cottolengo e del Cafasso nessuno muoveva
dubbi; le difficoltà che potevano prospettarsi e le obiezioni che potevano sol-
levarsi non apparivano rilevanti e irrisolvibili. Non cosl per Don Bosco, visto
anche in relazione ai suoi salesiani. Si poteva essere d'accordo nell'ammettere
che le opere da lui promosse erano, rispetto a quelle del Cottolengo e del Ca-
fasso, più appariscenti e più grandiose; ma ci si poteva interrogare se vera-
mente all'efficienza delle opere corrispondesse una «vita interiore» secondo i
canoni della spiritualità intimistica che andava caratterizzando in certi am-
bienti la religiosità cattolica in quel torno di tempo. I salesiani apparivano in-
traprendenti e tuttofare, ma in loro non si manifestava quell'interiorità che si
desiderava nel clero secondo modelli seminaristici e monastici. Se poi si pas-
Testimonianza di mons. Morganti, I r , fol. 2 9 2 ~ .
... CardinoliAntonio Vico relatore... Poritio ruper famo ranctitatir in genere (1915),Animad-
verrioner (12 giugno 1915),nr. 10, P. 9s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
sava al loro fondatore e maestro, ci si interrogava se non era da attribuire a
' lui quello stile apparentemente esteriore, non profondo, e nei loro ailievi forse
non duraturo. Aile impressioni generiche altre se ne aggiungevano, ali'interno
del processo, fondate su fatti specifici.
La necessità di superare certe lacune d'informazione e alcune incon-
gruenze apparve impellente a Roma, quando furono trasmessi dal tribunale
apostolico istituito a Torino gli atti del processo «de fama sanctitatisn (1913)
e poi quelli del processo incoativo sulla vita, le virtù e i doni soprannaturali
(1915).
Ci si poteva stupire che non fosse mai stato chiamato come teste il cano-
nico Colomiatti: né al processo ordinario né a quello apostolico. Oltre al Co-
lomiatti, *ltri a Torino probabilmente si ritenevano esclusi nonostante le pro-
prie aspettative. Stando a quello che il Colomiatti aveva scritto nel 1910 a
mons. Verde, fra costoro c'era il canonico Giuseppe Allamano, nipote di Don
Cafasso e antico allievo dell'oratorio: «E dire - avrebbe detto l'AUamano -
che anch'io sono ~astelnovese».?N~ella lettera del 1910 a mons. Verde il Co-
lomiatti, in una serie di ventotto paragrafi numerati, riferiva varie testimo-
nianze che aveva ricevute quasi tutte spontaneamente, data la sua carica di av-
vocato fiscale della curia, dal 1888 al 1910. Vi evocava una cinquantina di per-
sonaggi, ecclesiasticie laici, uomini e donne. Alcuni di questi erano del mondo
romano ed egli aveva potuto ascoltarne gli apprezzamenti su Don Bosco in oc-
casione dei viaggi che aveva dovuto fare nella capitale per ragioni di uffici^.'^
Non era nella prassi della Congregazione dei Riti rimanere inerti davanti
a fatti del genere. A prendere l'iniziativa fu, a quanto pare, mons. Pietro La
Fontaine, segretario dei Riti dal 2 aprile 1910. Il piemontese mons. Carlo
Grosso, vice cancelliere deUa congregazione, nel periodo natalizio 1914-1915
ebbe istruzioni perché, previa informazione e consenso deli'arcivescovo di To-
rino, ascoltasse già alcune testimonianze giurate, ne raccogliesse scritte ove era
possibile e awicinasse il canonico Colomiatti."
Il colloquio con questi ebbe due punti precisi. Anzitutto monsignore av-
vertì il canonico che presso la Congregazione dei Riti non si reperivano più i
quattro volumi o fascicoli relativi al processo intentato da mons. Gastaldi a
Don Bosco e che il Colomiatti aveva inviato a mons. Caprara; chiedeva per-
tanto se era possibile una seconda copia fedele dei documenti da inoltrare alla
Congregazione romana. In secondo luogo prospettò al Colomiatti l'opportu-
" «E si che sono di Castelnuovo [...l. Mi soggiunse: io entrai nei salesiani per le scuole, ma
ne uscii, e hii guardato come si guarda la chi vi esce, come segnato dal marchio della dannazione,,;
cf. Poritio mper dubio: An adducta mntra (1921),p. 45.
" Colomiatti ad Alessandro Verde, Torino, 23 dicembre 1910; cf. Posifio ruper dubio: An ad-
ducta mntra (1921),p. 29-48.
" CL TOMASETIMI,emorie mnfdenziali, p. 2s; e le risposte di Colomiatti al processicolo
presso la S.C. dei Riti: Summatfam ex o&o. Ex p r o c e ~ s i ~i~n~Ul orbe madito annk 1915-16,in:
Poritio ruper dubio: An adducta contra (1921),p. 5s.

9.5 Page 85

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nità o necessità di una sua convocazione a Roma per essere interrogato su fatti
attinenti Don Bosco. A tale richiesta il canonico si dichiarò disponibile. A in-
terrogarlo e ad ascoltarlo a Roma non fu più il La Fontaine, promosso pa-
triarca di Venezia il 5 marzo 1915, ma mons. Verde subentratogli nella carica
di segretario dei Riti."
il Colomiatti spiegò anzitutto che, se non risultava fra i testimoni al pro-
cesso di Don Bosco, ciò non era dipeso da lui. Non convocato, anche per con-
siglio autorevole altrui, non aveva chiesto di esserlo,sia per non creare tensioni
e attriti, sia anche per non passare come un testimone di pane awersa e perciò
da prendere con riserva.
il punto centrale di tutto rimaneva il conflitto fra Don Bosco e mons. Ga-
staldi; un conflitto che continuava a essere visto sotto il profilo morale e come
il momento rivelatore di quello che era il mondo intimo di Don Bosco: il
fondo interiore di un santo owero quello di un uomo altero, superbo, testar-
do, astuto, ambiguo.
Nell'azione giuridica intentata dal Gastaldi a Don Bosco il punto nevral-
gico era costituito dai cinque opuscoli denigratori dell'arcivescovo. Ma dopo
le- ~ confessioni che Don Giovanni Turchi aveva rilasciato alla S.C. dei Riti, la
macchina di guerra del Colomiatti era alquanto indebolita. Punto forte rima-
neva quasi solo la dichiarazione scritta che l'ex gesuita Antonio Pellicani aveva
rilasciato sotto giuramento a mons. Gastaldi e in cui si attestava che Don Bo-
sco in un colloquio confidenziale aveva incitato il Pellicani a scrivere contro
l'arcivescovo. La reazione di Don Bosco era stata vivace e immediata. Met-
tendo alle strette il padre Pellicani ne ottenne una nuova dichiarazione che ri-
trattava la prima: Don Bosco non lo aveva incitato a scrivere libeili diffamatori,
bensf una memoria da inviare al papa. La nuova dichiarazione era stata stam-
pata a Sampierdarena nella Esposizione riservata ai cardinali. Eppure c'era chi
a Torino e altrove, avendola esaminata, era incline a pensare che fosse una ri-
trattazione estorta e come qualcosa di spurio. Queste impressioni erano ricor-
date da alcune delle testimonianze scritte, raccolte da mons. Grosso a Torino.
I1 canonico (ormai anch'egli monsignore) Giuseppe Corno, cancelliere della
" Colomiatti fece la sua comparizione nella prima e seconda sessione del processicolo segreto
il venerdì 10 agosto e il mercoledl 15 agosto 1915. Con mons. Verde, segretario ai Riti, erano pre-
senti Angelo Mariani, promotore della fede, e Carlo Salotti, awocato concistoriale, assessore ai Riti
e sottopromotore della fede. II Colomiatti consegnò in quell'occasione la nuova copia degli adde-
biti che aveva raccolti e copia del carteggio scambiato con mons. Ponzi, mons. Caprara e mons.
Verde, materiali &e furono trascritti agli atti del segretario Gustavo Savignoni. Cf. Procesriculus,
p. 166-237, in: ASV, Riti, nr. 4718. - Pietra La Fontaine, nato a Viterbo il 29 novembre 1860,
fu dapprima vescovo di Cassano Ionio il 6 dicembre 1906; vescovo titolare di Caristo il 1"aprile
1910; nominato segretario della S.C. dei Riti i1 2 aprile 1910; promosso patriarca di Venezia il 5
mano 1915; creato cardinale il 4 dicembre 1916; morto a Fietta del Grappa il 9 luglio 1935;
cf. Annuaire 1911, p. 304; 1935, p. 88; 1936, p. 930; «Bollettino salesianor 59 (settembre 1935)
p. 287; Silvio TRAMomN, L1 Chiesa venera e In Conciliazione, in: AA.VV., Chiesa, Azione Cat-
tolico e fisnjmo nell'Ztarla settentrionale, p. 642-660 (e indice, p. 1293).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
curia arcivescovile, dopo avere narrato i fatti di cui era a conoscenza, riferen-
dosi alle «schifezze» contenute nei libelli diffamatori, finiva col dichiararsi
«quasi presago che un giorno o l'altro sarebbe fatta giustizia di sì enorme ol-
traggio ad un presule della Chiesa cattolica dotto e santo».76
L'anziana signorina Augusta Civra, già benemerita direttrice di una scuola
elementare cattolica a Torino e distintasi per la dedizione generosa a iniziative
ecclesiastiche, nelia sua deposizione scritta del 1915 narrava, s d a base di suoi
informatori, il colloquio animatissimo e colorito intercorso fra Don Bosco e il
malcapitato Pellicani dopo la prima dichiarazione resa a mons. Gastaldi: « A
l'è 'na ciola un cretino, è uno stupido)» gli avrebbe detto Don Bosco.' La
signorina Civra, donna di chiesa e donna chiacchierina, chissà a quanti e chissà
quante volte avrà ripetuto divertita il saporito epiteto pronunziato da Don Bo-
sco. Espressioni del genere, non meno colorite di quelle piemontesi, erano re-
peribili in certe lettere di Alfonso Maria de' Liguori, l'amabile vescovo di S.
Agata de' Goti, ormai santo e dottore della Chie~a.'~
Soddisfacenti furono le spiegazioni che il Colomiatti diede circa la sua non
presenza fra i testimoni al processo di Don Bosco. Non aitrettanto solide co-
minciarono a risultare le testimonianze dei fatti da lui esposti e attestati. Tra
le persone residenti a Roma egli aveva chiamato in causa mons. Raffaele Virili
e le suore oblate di S. Francesca Romana del monastero di Tor de' Specchi.
Mons. Virili aveva una buona esperienza in tema di andamento delle cause dei
santi, perché aveva il ruolo di postulatore di esse presso i Riti. Era tra l'altro
postulatore della causa di Don Giuseppe Cafasso e perciò in relazione sia con
il Colomiatti sia con il canonico Allamano che curava gl'interessi della causa
tra Roma e Torino. Stando al Colomiatti, mons. Virili avrebbe detto all'AUa-
mano che l'avere Don Bosco fatto comparire sui libri stampati a Valdocco il
nome della tipografia salesiana di Sampierdarena, «al iine di sfuggire d a re-
visione dell'autorità ecclesiastica, costituiva una gravissima d i i c o l t à per l'esito
favorevole della causa».'9 Mons. Virili si sarà espresso in quei termini proba-
bilmente s d a base delle illazioni del Colomiatti stesso. Chiamato a testimonia-
re, dichiarò di non ricordare bene quello che aveva detto e che comunque ret-
tificava quanto eventualmente poteva aver detto con una certa leggerezza; ag-
giungeva infine un giudizio comparativo fra il Cottolengo, il Cafasso e Don
Bosco, e un altro di merito sulla possibile canonizzazione di quest'dtimo:
'"ichiarazione di mons. Giuseppe Corno, Torino, 25 gennaio 1915, in: Positio super dubio:
An ndducta confra (1921), p. 61.
n Dichiarazione di Augusta Civra, Racconigi, 19 gennaio 1915, in: Positio super dubio: An
" adducta mntra (1921), p. 53s.
Cf. ad esempio, nella Collezione dell'opere mmplefe d i santo Alfoonso M. de Liguon; la Roc-
colta di lettere, t. LI, Napoli, Gabinetto letterario 1841, p. 169s; 195; i temini «stravaganze», «ca-
vallo duro di boccan (detto di qualche religioso), «malandrinoi>(detto di un giovane diciannoven-
ne), letti nel loro contesto, non hanno alcunché di moralmente biasimevole.
Positio super dubio..., Summarium ex o f f i o , p. 37.

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«Ho visto una volta qui in Roma il venerabile servo di Dio Giovanni Bosco I...].
Era in compagnia del defunto mio zio missionario del Preziosissimo Sangue, Don Fran-
cesco Viriii, e non ricordo bene se anche in compagnia di uno o due miei fratelli [...l;
lo stesso venerabile mi pose la mano nel capo e mi sembra mi dicesse qualche parola
d'incoraggiamento I...].
Ho inteso dire, e leggermente l'ho ripetuto, che il ven. servo di Dio, non avendo
potuto ottenere l'imprimutur per la stampa di alcuni libri, sia ricorso all'espediente di
farli stampare a S. Pier d'Arena od altrove [...l. Non ricordo chi me lo abbia detto, e
neppure ricordo di avere affermato che il fatto di sopra ricordato costituisse una di-
ficoltà gravissima per la causa. Benché non stimi il ven. servo di Dio Don Giovanni Bo-
sco al pari dei v,enerabili Cottolengo e Cafasso, nondimeno per le opere che ha fatto
e per lo spirito di preghiera e raccoglimento nel Signore lo réputo un santo uomo; ma
se sia poi degno degli onori degli altari lo giudicherà la S. Sede»?'
Ecclesiastico di curia e di formazione per dir cosi tridentina, il Viri si di-
mostrava più propenso ad apprezzare le virtù di due personaggi che in realtà
aveva conosciuto solo indirettamente attraverso le agiografie e sulla base delle
testimonianze che se n'erano rese ai processi; di Don Bosco, piccolo discusso
prete di origine contadina, conosceva sicuramente la stima che ne aveva avuto
Pio IX,ma anche i giudizi severi che talora qua e se ne erano dati in am-
bienti della curia romana.
Sul tema di Don Bosco «impostore» e approfittatore il Colomiatti aveva
chiamato in causa mons. Ponzi e le monache di Tor de' Specchi. Dal primo,
ormai defunto, avrebbe avuto narrato un aneddoto che dava di Don Bosco
una squallida immagine:
«AUi 2 giugno 1882 nel mattino parlai con mons. Ponzi Giovanni, sostituto segre-
tario ai Riti e rettore dell'almo collegio Capranica, e mi narrò che una ricca signora ro-
mana, di cui non disse il nome, avendo una figlia inferma cronica, domandò a sé Don
Bosco dora a Roma e lo pregò a fare, lui e la sua congregazione, preci per ottenere
la guarigione deUa ammalata offerendo, a grazia fatta, ventimila lire. Don Bosco le disse
che così andava bene, ma bisognava che prima donasse le ventimila lire. La signora gli
rimise lire diecimila solamente. Intanto la figlia fino allora, 2 giugno, non era guarita.
Mons. Ponzi sgridò la signora,>?'
Le monache di Tor de' Specchi, stando d e relazioni del Colomiatti, sareb-
bero state costrette ad ospitare Don Bosco loro malgrado, perché si era lamen-
tato con esse della sparizione di cene offerte in denaro raccolte a beneficio de-
gli oratori di Torino. Colomiatti riferiva brevemente il colloquio avuto con il
Positio rupe" dubio...,Summariurn er affino, p. 51s. - Raffaele Virili nacque a Supino (dio-
cesi di Ferentino) il 14 maggio 1849; fu prelato domestico e abbreviatore, postulatore delle cause
dei santi, protonotario apostolico aggiunto alla cancelleria; nominato vescovo titolare di Tmade il
25 giugno 1901, fu poi arciv. titolare di Tolemaide d'Egitto nel dicembre 1914 (pubblicato il 22
gennaio 1915);morto a Roma il 9 mano 1925; d Annuaire 1919, p. 382; 1926, p. 891; Hierorchia
catholini, VlU, p. 978.
" Porifio ruper dubio..., Sumrnarium ex offin'o, p. 15.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
card. Ferrieri, prefetto della S.C. dei Vescovi e Regolari, presente mons.
Agnozzi:%egretario della stessa congregazione: «Udii il cardinale a due: -
Don Bosco è un impostore, rafforzando questo suo detto col fatto d d e mo-
nache di Tor de' Specchi».83
Giovanni Ponzi era già morto; furono perciò convocate a testimoniare sol-
tanto due monache di Tor de' Specchi. Entrambe si dichiararono stupite del-
l'incredibile versione dei fatti, del tutto in contrasto con quello che con i pro-
pri occhi avevano visto di Don Bosco. A Tor de' Specchi il venerabile era po-
tuto andare non per artifici o per questione di soldi mancati, ma per la stima
che le monache nutrivano verso di lui e le sue opere. Nelle riunioni dei coo-
peratori salesiani a Tor de' Specchi erano i bisogni degli oratori festivi e deile
missioni, unitamente alla venerazione per Don Bosco, che avevano provocato
offene ui denaro ed altri sussidi.
Dopo queste prime inchieste la S.C. dei Riti decise che a Torino si svol-
gesse la prosecuzione del processicolo segreto circa le prove awerse addotte
dal Colomiatti. Con il mandato e le dovute istruzioni mons. Verde inoltrò an-
che uno specifico interrogatorio costruito sui singoli punti addotti dai Colo-
miatti.
I1 compito di svolgere il processicolo segreto fu affidato agli stessi giudici
incaricati del processo apostolico «continuativo» sulla vita, le virtù e i doni so-
prannaturali del venerabile.
Ii processo continuativo, fatto sulla base di articoli e interrogatori che non
si discostavano da quello informativo, in definitiva non fece che ribadire le te-
stimonianze precedenti e ricalcare l'immagine già costruita nel processo ordi-
n a r i ~ . P~i'ù delicato e più difficile fu l'espletamento del processicolo segreto.
Infatti della cinquantina di personaggi evocati dai Colomiatti, una certa quota
era già morta; altri, se vivi, non erano tutti convocabili, perché laici non legati
d a Chiesa e perciò non sicuri per quanto concerneva il vincolo del segreto.
Michele Sorasio e gli altri giudici delegati finirono per fare un elenco di tren-
tadue possibili testi ormai defunti, vescovi, preti e secolari, fornendo di alcuni
di essi qualche nota sulla loro presumibile credibilità. Trasmisero inoltre le de-
posizioni rilasciate sui singoli interrogatori da sedici testimoni, nove dei quali
erano stati chiamati in causa nei suoi addebiti dai canonico Col~miatti.~'
I testi erano cosi distribuiti:
- un laico (Carlo Bianchetti, un awocato che patrocinò di mons. Gastaldi
varie vertenze finanziarie e patrimoniali);
" Agnozzi i.il nome che si legge nella Poritro ruper dubto...,p. 15; probabhentc è un errore
di
rrasrruione; il segretario della
'> Positio super dubio..., I.c.
S.C.
dei
Vescovi
e
Regolari nel
1881 era
mons.
. Ignazio
Masorri.
" Le remissorialifurono concesse il 2 agosto 1915; la prima sessione fu tenuta il 12 febbraio
1916; trascritti gli ani,il processo fu rimesso a Roma il 26 novembre 1918; il 6 dicembre succes-
sivo la S.C. dei Riti riaperse per la revisione anche gli atti del processo ordinario.
Poritio super dubio...,Adnotationes r.p.d.prornotocr generalirfidei (AngeloMariani, in data
16 ottobre 1921), p. 5-8.

9.7 Page 87

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- sette preti secolari (parroci, viceparroci, cappellani, comunque informati
sia delle vertenze tra Don Bosco e Gastaldi, sia delle vicende relative f l o r a -
torio, ai suoi chierici e aile offerte che Don Bosco riusciva a convogliare);
- tre canonici (tra i quali c'era Giuseppe Aiiamano, più volte chiamato in
causa dal Colomiatti);
- tre vescovi (Vincenzo Tasso, di Aosta; Giuseppe Re, di Alba; Giovanni
Battista Rossi, di Pierolo: a vario titolo chiamati in causa dal Colomiatti);
- un cardinale (Giovanni Cagliero, come testimone di fatti attinenti le ver-
tenze con mons. Gastaldi e altri addebiti mossi dal canonico Colomiatti);
- Don Paolo Albera, rettor maggiore dei salesiani (direttore della casa di
Sampierdarena,. allorché si rimproverò a Don Bosco di stampare libri e opu-
scoli a Valdocco facendoli datare da Sampierdarena).
Le sedici testimonianze furono tutte concordi nel respingere in pieno l'im-
magine che di Don Bosco forniva il Colomiatti. In particolare tutti contribui-
rono a smentire o svuotare molti degli addebiti su fatti che avevano avuto
come teatro il Piemonte, la Liguria o anche Roma.
Mons. Vincenzo Tasso era stato evocato dal Colomiatti come colui che gli
aveva riferito un giudizio poco lusinghiero espresso dal card. Parocchi sulla
santità di Don Bosco. Essendo ancora semplice prete lazzarista e superiore
della casa deila Missione a Roma, aveva consegnato al Parocchi una breve bio-
grafia edificante di Luigia Borgiotti (1803-1873), superiora delle suore Naza-
rene (1865-1873), una congregazione femminile diocesana istituita a Torino. Il
card. Parocchi, secondo il Colomiatti, nonostante fosse protettore dei salesia-
ni, avrebbe detto che «trovava più santità in essa che non nella vita di Don
Bosco»." Mons. Tasso correggeva: stando a quel che ricordava, il card. Paroc-
chi gli aveva detto (sulla base della biografia anonima che gli era stata data),
che «trovava più soprannaturale nella Borgiotti, fondatrice delle Nazarene,
che non in Don Bosco. Non usò la frase più santità». E soggiungeva un suo
commento: «Quel giudizio mi ha lasciato impressione di stupore, attesoché era
la prima volta che udivo un personaggio a parlare meno favorevolmente di
Don Bosco [...l. Noto ancora che [...l ero solo presente, e non il signor Torre,
già defunto (autore della Vita della Borgiotti)».8'
Mons. Rossi, il teologo Giorgio Gioda e altri preti secolari smentirono
quanto il Colomiatti aveva detto di Don Antonio Musso, un giovane prete già
a studente ail'oratorio di Valdocco, penitente di Don Bosco, allievo al convitto
ecclesiastico torinese negli anni del dissidio tra l'arcivescovo Gastaldi e con-
vitto stesso. Secondo il canonico Colomiatti Don Musso aveva dato a Don Bo-
sco il resoconto autografo di una conferenza critica che mons. Gastaldi aveva
M Poritio super dubio..., Summarium ex officio, p. 37; 40s.
Poritio rupe" dubio..., Summorium ex oficio, p. 107-110.- Giov. Vincenzo Tasso nacque
a Montiglio (diocesi di Casale) il 13 agosto 1850; entrò come studente ali'Oratorio il 24 ottobre
1862; fattosi lazzarista, fu anche assistente generale deUa congregazione deUa Missione; eletto ve-
scovo di Aosta il 17 febbraio 1908, mori il 24 agosto 1919; cf. Annuaire 1920, p. 806.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
tenuto alla comunità dei preti del convitto. Don Musso si era fidato della se-
gretezza. Quando vide il suo scritto citato e utilizzato in uno dei libelii ostili
ail'arcivescovo, ne fu talmente addolorato, che a giudizio dei suoi amici si
sprofondò neila malinconia e se ne morì giovanissimo al paese nativo Castel-
nuovo d'Asti.8s Mons. Rossi, già parroco di Castelnuovo, chiarì che Don
Musso arrivò al paese consunto daila tisi che aveva contratto prestando seM-
zio di viceparroco al Lingotto (allora, periferia di Torino); si spense perciò
come tanti giovani per ben altre cause. Aggiunse inoltre che non aveva di-
strutto nessuna lettera di Don Bosco su richiesta di Don Bosco stesso (così
come aveva asserito il Colomiatti) per la semplice ragione che nell'epoca delle
vertenze fra Don Bosco e Gastaldi non ne aveva mai ri~evute.8~
Durissima fu la smentita di Don Giambattista Cerva, prevosto di Casal-
grasso (diocesi di Torino) dal 1868.11 Colomiatti aveva riferito che Don Cerva
in una conversazione tra preti intervenendo su Don Bosco aveva detto: «Son
curioso di vedere come va tal causa, perché in f i e si ha un caso singolare. Fi-
nora i santi si spogliavano del proprio per darlo agli altri, Don Bosco rubava
la roba degli altri».% Al processicolo Don Cerva replicò seccamente:
«Dichiaro di smentire in modo assoluto l'espressione che mi è attribuita; cosi vol-
gare e bassa, che contraddice non solo alla venerazione che ho sempre professato ai
servo di Dio, ma ancora d a realtà d d e cose. Don Bosco non mbò, ma domandò molto
per lo scopo sopra accennato. Rilevo, come cosa notoria, che Don Bosco non si appro-
fittò di ndia per sé, né per i suoi parenti; e ricordo, approvandola, la parola del-
l'arcivescovo di Torino mons. Davide Riccardi, il quale paragonando l'opera e lo spirito
di Don Bosco coli'opera e lo spirito del Cottolengo, diceva: Guai a Don Bosco se non
domanda! guai ai Cottolengo se domanda!r?'
Quanto al trattamento economico lamentato dal pittore Lorenzone, Don
Albera e altri facevano notare che il compenso dato da Don Bosco era quello
offerto da benefattrici: «certa signora Giardi pel quadro di Maria Ausiliatrice
e la marchesa Fassati per quello di S. Giuseppe». «Credo- commentava Don
Albera - che il Lorenzone si sia lamentato anche troppo: i fornitoti di Don
m Poritio super dubio...,Summarium ex oficio, p. 40. - Antonio Musso nacque a Casteinuovo
il 27 novembre 1853; entrò aU'Oratorioil 16 ottobre 1866; fu ordinato sacerdote il 22 settembre
1877; morì a Casteinuovo d'Asti il 10 aprile 1883 a 30 anni (mons. Gastaldi era morto il 25 mano
dello stesso anno); cf. AS 038 Torino - S. Franc. di Sales, Anagrafe giovani; Cnlendnrium liturgi-
cum archidiecerir taurinensir... 1884, Augustz Taurinomm, Marietti [18831, p. 90; «Bollettinosa-
lesianou 9 (1884) p. 31.
" Poritio ruper dubio...,Summarium ex officio,p. 143-145.- Giovanni Battista Rossi, nato a
Cavallermaggiore (diocesi di Torino) il 4 luglio 1838, fu ordinato prete il 6 gennaio 1863; dopo
essere stato professore nei seminari di Bra e di Chieri, fu parroco di Castelnuovo d'Asti per 24
anni, dali'agosto 1870 al 1894; eletto vescovo di Pinerolo il 18 maggio 1894, morl in sede il 19
agosto 1922; CF. Annuaire 1923, p. 818.
Poritio ruper dubio..., Summorium ex officio, p. 40.
'' Poritio ruper dubio..., Summarium ex oficio, p. 148-150.- Giovanni Battista C e ~ eara
nato a Corio Canavese il 21 giugno 1833.

9.8 Page 88

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Bosco, tra cui l'impresario Buzzetti, solevano dire, come io ho udito: Don Bo-
sco ci fa aspettare, ma ci paga ~ompletamenten.9~
Sul fatto dei libri con luogo di stampa fittizio Don Albera confermava che
alcuni libri, che avevano indicato come luogo di stampa Sampierdarena, erano
effettivamente stampati a Valdocco. Tra questi indicava genericamente alcune
«Letture cattoliche», alcuni numeri del «Bollettino salesiano* e la grossa
opera del conte Emiliano Avogadro della Motta, Saggio intorno al socialismo,
dove c'erano pagine che criticavano con vigore le teorie politico-sociali del Ro-
smini. Don Bosco- aggiungeva Don Aibera - aveva avuto noie dd'autorità
civile (forse informata da mons. Gastaldi). Ma sotto il profilo canonico si trat-
tava di un espediente possibile, riguardo al quale sia Don Bosco sia la curia
arcivescovile di Genova si erano trovati d'accordo, data la situazione di emer-
genza creata dalle vertenze con l'arcivescovo Gastaldi e perciò il rischio a TO-
rino di una censura ecclesiastica prevenuta, incline volutamente a creare remo-
re.
Sui conflitti con mons. Gastaldi si ripetevano le posizioni variegate del pro-
cesso informativo. I1 card. Cagliero, nonostante l'esperienza di vescovo e di
rappresentante della S. Sede in Centro America, nonostante la conoscenza più
diretta che aveva potuto acquisite delle diocesi italiane come visitatore aposto-
lico della regione ecclesiastica ligure su mandato di Pio X, nelle sue deposi-
zioni al processicolo fu nettamente e ardentemente di parte salesiana, non ri-
sparmiando
pesanti sul temperamento e sul comportamento etico di
mons. Gastaldi. A verbale fece inserire lettere e documenti che confermavano
la tesi secondo cui il Gastaldi, perché di temperamento altero, per ricerca di
potere e perché attorniato da cattivi consiglieri non tenne in debito conto i di-
ritti e i privilegi ottenuti dalla congregazione salesiana, sicché di conseguenza
Don Bosco fu costretto a una serie di vertenze penose, permesse tutto som-
mato dalla prowidenza per farne rifulgere le virtù.
I canonici Allamano, Corno e Rocchietti, il teologo Francesco Maffei già
prosegretario di mons. Gastaldi, il teologo Vincenzo Cumino, curato deUa
chiesa del Carmine a Torino, ripetevano il giudizio equidistante ormai predo-
minante nella curia torinese (ma mai fino d o r a divenuto dominante nel pro-
cesso per la beatificazione di Don Bosco): in quei malaugurati conflitti sia l'ar-
civescovo Gastaldi sia Don Bosco avevano avuto entrambi il convincimento
onesto di difendere i propri diritti e gl'interessi delle istituzioni che governa-
vano e amavano.
Mons. Giuseppe Re, già vicario generale dell'arcivescovo Alimonda a To-
rino, faceva proprio l'apprezzamento e la linea di condotta del successore del
Gastaldi: sarebbe stato opportuno in ogni caso tollerare e ormai pacificare, te-
nuto conto che Don Bosco aveva cominciato nella propria diocesi di origine
quelle opere benefiche che prowidenzialmente si diffondevano nel mondo.
Pozitio super dubio..., Summarium ex officio, p. 133
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Nel 1918, ormai all'epilogo della guerra mondiale, a Torino i giudici de-
legati del processo apostolico espletarono il loro lavoro. La notizia che il pro-
cesso stava ormai per giungere al termine rinfocolava nei salesiani I'illusione
che si sarebbe potuto giungere d a beatificazione in tempi non troppo lontani.
Certamente il clima greve del conflitto mondiale gravava su tutti e non permet-
teva di organizzare celebrazioni entusiastiche ovunque nel mondo, così come
s'era fatto dieci anni prima ali'apeaura del processo apostolico. Tuttavia in
tono più sommesso alimentarono le speranze tra i salesiani e i loro collabora-
tori il rettor maggiore ch'era successo a Don Rua, Don Paolo Aibera, e il «Bol-
lettino salesiano*.
Il 29 aprile 1917 il papa in S. Pietro proclamò solennemente beato Giu-
seppe Benedetto Cottolengo. Il triduo del nuovo beato coinvolse in pieno i sa-
lesiani a Roma e a Torino. Il cardmal Cagliero celebrò la messa pontificale sia
il primo giorno nella chiesa del S. Cuore a Roma, sia in quella deli'Ausiliatrice
a Torino. Don Aibera, che si era recato personaImente ad assistere alI'evento
e ad essere ricevuto in udienza pontificia, più tardi, in una lettera circolare del
22 febbraio 1918 informava i salesiani sui fatti salienti:
«Nulla vi dico deUo spettacolo che presentava la chiesa di S. Pietro in quella so-
lennissima funzione, n d a della foiia immensa di devoti accorsi a venerare per la prima
volta il nuovo beato, nonostante la tristezza dei tempi che corrono».
Proseguiva la lettera riferendo il collegamento che da molti si faceva tra la
causa del Cottolengo e quella di Don Bosco:
«Durante la beatificazione stessa e nei giorni seguenti che passai in Roma, ragguar-
devolissimi personaggi mi ripetevano: - Ora tocca a Don Bosco. Presto vedremo un'al-
tra volta S. Pietro gremito di anime pie, per la beatificazione di Don Bosco. Oh! venga
presto quel giorno [...l. Siffatti cordiali auguri risuonarono di nuovo al mio orecchio
nel triduo che con pompa veramente romana si celebrò ad onore del Cottolengo nella
nostra chiesa del S. Cuore, come pure in quello che ebbe luogo nella basilica di Maria
Ausiliatrice in Torino»."
Il «Bollettino salesiano» di maggio a sua volta, dedicando l'intero articolo
di fondo al tema «I1 beato Giuseppe Benedetto Cottolengo e il ven. Giovanni
Bosco», esordiva con la citazione di una recente biografia del nuovo beato
d d e modulazioni patriottiche:
«Gli uomini santi italiani deli'ultimo secolo hanno d a loro testa un mirabile triun-
virato, che si chiama: Benedetto Giuseppe Cottolengo, Giovanni Bosco e Ludovico da
Casoria. Tre grandi cuori e tre anime ~ublimi...».9~
Il numero di luglio, ponendo nelle prime pagine un articolo tutto sdla
causa di beatificazione di Don Bosco, citava quanto nel 1907 aveva detto il
Lettere circolari di D. Paolo Albera ai salesiani, Torino, SEI 1922, p. 246s.
«Bollettino salesiano* 41 (maggio 1917) p. 129.

9.9 Page 89

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successore del cardiale Svampa a Bologna e chiudeva con un esplicito auspi-
cio:
«"Il cardinale Svampa - esclamava il nuovo arcivescovo - aveva vagheggiato il
giorno in cui Don Bosco fosse elevato ali'onore degli altari: ed io spero dawero di ce-
lebrare il giorno della sua beatificazione. Mora non si faranno più commemorazioni:
ma cominceranno i panegirici*.
Che l'ispirato augurio si compia!... Doni dawero il Signore a Giacomo Della Chiesa
-
oDi--à.
a~tc--i--vescovo di
~
Bolog- na
e ora
papa
Benedetto XV
-di glorificareDon
Bosco,
col
decretargli l'onore dei beati*?'
Come d'obbligo, nell'ottobre venne fatta la ricognizione della saima di
Don Bosco. Eseguito il transunto degli atti, il 26 novembre 1918 l'intero in-
cartamento fu trasmesso a Roma. Il 6 dicembre successivo la S.C. dei Riti pro-
cedeva all'apertura degli atti torinesi. Il 1" luglio 1919 ne ultimava la revisione.
L'8 giugno 1920 su relazione del cardiale Antonio Vico, ponente della causa,
la Congregazione dei Riti diede la propria approvazione, e questa fu ratificata
il giorno successivo da Benedetto XV.96
Rimanevano tuttavia alcune perplessità sugli apporti conoscitivi forniti dal
processicolo segreto circa gli addebiti del Colomiatti; o forse anche si voleva
dare ai salesiani e alla stessa curia torinese l'opportunità di neutralizzare de-
finitivamente il canonico Colomiatti rintuzzandone l'ostinazione. Chiestane
l'autorizzazione al papa, con atto del 16 ottobre 1921 il promotore della fede
in carica, Angelo Mariani, dichiarb opportuno comunicare al postulatore della
causa, Don Dante Munerati, l'intero materiale attinente il processicolo, perché
csecreti lege servatav, risultasse da ulteriori indagini tutta quella luce che si
desiderava, necessaria ai cardinali giudicanti per emettere la loro sentenza con
certezza e sicurezza.97
- 10. Dalla «Confutazione delle accuse» all'docuzione di Pio XI ai salesiani
(24 maggio 25 giugno 1922)
Con la data «Roma, 24 maggio 1922: festa di Maria SS. Ausiliatrice» fu
consegnato alla S.C. dei Riti un volume in 4. di ben 424 pagine dal titolo: Con-
futazione delle accuse formulate contro la causa del ven. Giovanni Bosco (Roma,
stabilimento poligrafico per l'amministrazione della guerra, 1922). Era sotto-
scritto genericamente: «La postulazione della Causa», e aveva la revisione di
Carlo Salotti, assessore e sotto-promotore generale della fede.
Si tratta di un lavoro a più mani, anche se esposto in prima persona dal
postulatore Don Dante Munerati, ch'era ben noto in curia per la sua compe-
aBoUettino salesiano» 41 (luglio 1917) p. 181s.
Informarione oi saleriani, in: ACS 1 (1920) p. 3-6.
Positio super dubio..., Adnotationes r.p.d. promotoris generalis fidei, p. 3-8.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
tenza giuridica. I materiali derarchivio salesiano di Torino furono certamente
raccolti da Don Angelo Amadei, ch'era da qualche anno incaricato di conti-
nuare le Memorie biografibe di Don Bosco, rimaste arenate dopo la morte di
Don Lemoyne. La forma definitiva potè essere stata curata a Roma dal postu-
latore Don Munerati con l'assistenza attiva di mons. Carlo Salotti.98
I1 tono e lo stile della Con~tazionedelle accuse è quello di una violenta
requisitoria. È divisa in due capitoli. il primo (pp. 5-55) tende a indebolire la
figura morale di mons. Gastaldi. Ii secondo (pp. 55.3541, distinto in otto ampi
paragrafi, si dilunga a infierire e a demolire il canonico Colomiatti. Seguono
allegati in appendice (pp. 355-419) ventuno documenti.
Scritture di questo genere non sono rarissime neila storia delle cause di
beatificazione. Proprio nel 1923 fu beatificato il cardinale Roberto Bellarmino
(1542-1621), le cui virtù furono dichiarate eroiche solo nel 1920. La causa di
beatificazione, iniziata appena pochi anni dopo la morte (1627), era stata dap-
prima violentemente contrastata dai fautori del gallicanesimo parlamentare ed
episcopalista francese; poi, nel corso del '700, si era malauguratamente intrec-
ciata con quella di mons. Juan de Palafox y Mendoza (1600-1659),ostile ai ge-
suiti, vescovo di Angelopoli (Puebla) in Messico e poi di Osma in Spagna.
Mentre i nemici dei gesuiti prowedevano ad esibire o elaborare documenti
d'accusa contro il Bellarmino, la Compagnia di Gesù e i fautori del primato
papale si adoperavano per fare fallire con ampie prove la causa del Palafox,
nonostante questa fosse patrocinata dal re cattolico e sostenuta da quanti in-
tanto promuovevano la distruzione totale dei gesuiti e del loro spirit0.9~
Di mons. Gastaldi, dapprima benevolo verso Don Bosco come canonico di
. Torino e vescovo di Saluzzo., ~ oositile e vessatorio come arcivescovo. la Con-
futazione indicava quali mezzi usati neila «opposizione sistematica», sia contro
Don Bosco che contro i gesuiti, il «metodo di screditare» e la «propalazione
di gravi sospetti».
Don Tomasetti informa su alcuni retroscena delia Confutarione. A Torino, già in d a r m e
nel corso del processicolo segreto, i salesiani ottennero dal teologo Domenico Franchetti malte
cane relative alla vertenza tra Don Bosco e mons. Gastaldi. Taii cane provenivano dai fondi di
archivio e di biblioteca che I'arcivescovoaveva lasciato in eredità al suo segretario canonico Chiuso
e che poi questi, bisognoso di denaro, aveva finito per vendere al Franchetti. A Roma da Torino
venne inviato con i materiali Don Pietro Cossu (1885.19491, addetto d e pratiche giuridiche
presso la segreteria del capitolo superiore. Sarebbe stato Don Cossu a stendere la Confutarione
sotto ?assistenzadel Munerati e del Salotti; cf. TOMASETM~em, orie confidenziali, p. 2: <Don Pie-
tro Cossu, coll'aiuto di mons. Carlo Salatti [...l e di Don Dante Munerati [...] compi un bel lavoro
che, se per la S.C. dei Riti non aveva valore giuridico, poté service all'awocatoper stendere le ri-
sposte ad normam iurisn. Le cane Franchetti relative a Don Bosco sono ora neli'AS, riunite quasi
tutte ali'AS 123 Gastaldi, oweto, quando trattasi di lettere a Don Bosco o di Don Bosco, all'AS
126 e 131; d inoltre Eugenio VALENTINI, I/ con. Domenico Franchetri (1871-1960), in: nSaleiia-
.. . num» 26 (1964) p. 47,5-.4.9.7
" Le implicante del giansenismo con i due processi sano poste in rilievo da Enrico DAMMIG,
Il mouimenfo giansenista a Roma nella secondo mefd del semlo XVIII, Città del Vaticano, Bibl.
Apostolica Vaticana 1944, p. 277-286.

9.10 Page 90

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Un motivo dominante della Confutazione era una frase che il cardinale Lo-
$
renzo Nina (1812-1885), primo segretario di stato di Leone XIII (1878-1880)
!
e protettore della congregazione salesiana, aveva usato in una lettera a Don
Bosco il 25 dicembre 1881 con riferimento alla Esposizione inviata poche set-
timane prima a vari cardinali:
(,
«M'aweggo che il signor Colomiatti è istnimento degno del suo principale. Ri-
guardo alla Esposizione, mi astengo dal qualificarne il merito per non venir meno a quei
riguardi di cristiana carità che si debbono verso un arcivescovo, sieno pure i di lui atti
tali da rivoltare la coscienza e da far dubitare se sia mens sana in corpore sano».LW
I1 Colomiatti - proseguiva la Confutazione - «istrumento degno», aveva
voluto continuare il processo contro Don Bosco come procuratore fiscale di
quarant'anni addietro; non perché la causa di beatificazione del venerabile
Don Bosco fosse uno sfidare la divina giustizia, ma perché lui, opponendosi
al giusto riconoscimento di quello che era stato Don Bosco, «sentiva il bisogno
di giustificare i suoi atti di quaranta e più anni fa e di purgarsi di fronte alla
storia della malevolenza cosi eccessivamente dimostrata contro il venerabile
Don Bosco e la sua istituzione»; di conseguenza si era preso l'assunto di rac-
cogliere e ricercare quanto poteva ostacolarne la causa «senza punto curarsi di
vagliare sulla serietà ed attendibilità di quanto viene a con~scere».'~'
A conferma schiacciante del ritratto delineato, la requisitoria chiudeva al-
legando le motivazioni infondate che il Colomiatti aveva addotto alla S. Sede
per avere dal capitolo metropolitano di Torino una pensione per anni di ser-
vizio mai prestato: la pratica del Colomiatti era stata rimessa dalla S. Sede a
Torino; ma il capitolo della metropolitana a pieni voti il 10 maggio 1918 aveva
giudicato, «dolente», di dover respingere la richiesta del canonico.'"
Oltre alla trascrizione di lettere e di altri documenti conservati presso l'ar-
chivio salesiano di Torino, la Confutazione ne trascriveva altri relativi alle re-
lazioni non amichevoli di mons. Gastaldi con i gesuiti. Alcune lettere del padre
Peter Johann Beckx (1793-1887), superiore generale della Compagnia negli
anni dell'arcivescovo Gastaldi, furono sicuramente messe a disposizione dagli
archivisti della Compagnia di G e ~ ù . ' ~O' ltre queste, si distingueva una lettera
dello storico Costanzo Rinaudo a Don Filippo Rinaldi. Rinaudo definiva fan-
donie quanto gli attribuiva il Colomiatti a proposito di una congrega o com-
missione di ragazzi fidati i quali - scriveva il canonico - fornivano informa-
zioni segrete, che poi Don Bosco usava come se le avesse apprese in sogno.lo4
Nonostante la sua ampiezza e l'apporto documentario, la Confutazione non
Confutazione, p. 43; 358s.
'O1 Confutarione, p. 47s.
'O2 Confutazione, P. 413-419.
p. lo' ~oifutazione, 22-24.
lW Costanzo Riiaudo a Don Filippo Rinaldi, Torino, 21 gennaio 1922, in: Confutaione,
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
riusciva a esaurire tutta la serie di fatti addotti dal Colomiatti. Forse anche per
questo gli estensori ritennero buon partito demolire completamente la credi-
bilità di un uomo, che pure fino a un quindicennio prima si era distinto nel
disimpegno d'importanti cariche ecclesiastiche a Torino e come professore
presso la locale facoltà pontificia di diritto.
Per forma e per contenuti la Confutazione delle accuse si accostava pur
sempre alle «Responsiones» che gli awocati delle cause di beatificazione pre-
sentavano contro le «Animadversiones»dei promotori della fede. Era ben lon-
tana dal riprendere, anche solo dal processicolo torinese, quegli spunti che
giovavano a ridare, delle vicende controverse, valutazioni oggettivamente più
persuasive sulla base di una ricostruzione fatta per lo meno con il metodo sto-
rico invalso tra positivismo, storiografia nazionalista e storicismo idealista. Ma
ormai anche nd'ambito della S.C. dei Riti vari consultori delle cause dei santi
e per la sacra liturgia, come i monsignori Angelo Mercati e Marco Vattasso,
come i benedettini Ildefonso Schuster e Henri Quentin, si facevano fautori di
una sensibilità nuova, che auspicava una fondazione storica anche deiie cause
di beatificazione relative a servi di Dio morti di recente.'O>
Restando neli'ambito della causa di Don Bosco è possibile aggiungere a
chiarimento e a titolo esemplificativo alcuni rilievi.
Anzitutto: quello che il Colomiatti aveva scritto sui libri stampati a Torino
ma datati da Sampierdarena e quanto Don Albera aveva specificato sia suii'ap-
provazione data a Genova dali'arcivescovo Magnasco, sia da mons. Manacorda
al regolamento dei cooperatori salesiani stampato la prima volta nella sua città
vescovile, poteva dare lo spunto per collocare in un quadro più ampio le ver-
tenze tra mons. Gastaldi, Don Bosco e altri ancora entro e fuori la diocesi di
Torino.
Come l'Italia politica passava dagli stati regionali a quello unitario nazio-
nale, che oscillava fra centralizzazione e istanze di autonomia regionale, cosi
le diocesi osciiiavano fra centralizzazione verticista, regionalismo e particolari-
smo delle singole diocesi. Non tutto era possibile risolvere neii'ambito dei si-
nodi diocesani, oramai più frequenti dopo il Vaticano I ma secondo un mo-
dello di verticismo episcopale; né tutto veniva affrontato, e finalmente coor-
dinato, negli sporadici congressi di vescovi di una medesima regione. In questi
congressi uno dei punti d'arrivo fu l'intesa neii'adozione del catechismo unico
per la regione lombarda, piemontese e ligure già nel 1896; mentre intanto l'u-
nificazione istituzionale gerarchica veniva accelerata intensificando lo scambio
di vescovi da una regione ali'altra: vescovi originari del nord venivano pro-
mossi per diocesi del sud e poi trasferiti al nord, owero inseriti nelle strutture
'O' In base al motuproprio del 16 gennaio 1914 erano state costituite due sezioni d a S.C. dei
Riti: la prima, di consultori per le cause di beatificazione e canonu2azione; la seconda, di consul-
tori per la s r r 3 liturgia. dcUa prima attorno al 1920-1922 faceva p a n e , tra gli altri, ~defonsoSchu-
ster, poi arcivescovu di M~lanod; cUa seconda facevano p n n e Srhurtcr, Mercati, Queniin, Vaitasco.

10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

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della curia romana o in quelle della diplomazia vaticana.lffi
In ordine al processo di Don Bosco, un'inchiesta più larga avrebbe potuto
mettere in luce altre discrepanze di vescovi tra loro o con ordini religiosi o con
la S. Sede o con esponenti più spinti del movimento cattolico; si trattava di di-
screpanze e conflitti ch'erano ormai di natura diversa rispetto alle liti su com-
petenze giuridiche, su libertà o privilegi che venivano rivendicati nel quadro
della struttura privilegiaria propria dell'antico regime. Si sarebbero potute
mettere in evidenza le rette intenzioni, l'onestà di agire, e non solo le ragioni
giuridiche, di vescovi come Magnasco, Manacorda, Scalabrini, Bonomelli; o di
personaggi di rilievo nel mondo ecclesiastico italiano, come il benedettino pa-
dre Tosti o il barnabita padre Semeria; e così giungere a meglio inquadrare le
ragioni giuridiche, le intenzioni e le virtù, oltre che le diversità temperamen-
tali, sia di Don Bosco che di mons. Gastaldi.
In secondo luogo un'analisi storicamente meglio fondata del doppio ap-
punto mosso dal Colomiatti a Don Bosco: circa la mancata organizzazione dei
noviziato tra i salesiani e circa la deficiente formazione ecclesiastica dei chierici
e dei preti, avrebbe potuto condurre a un giudizio più compiuto e più persua-
sivo sulle «virtù» riconoscibili sia in Don Bosco che in chi lo criticava.
Nel processicolo segreto svoltosi a Torino non ci furono interventi rilevanti
circa il noviziato, se non da parte di Don Albera, che ribadì l'esistenza di pri-
vilegi concessi «vivz vocis oraculon da Pio M a Don Bosco; nonché il per-
sistere, vivente Don Bosco, di condizioni di emergenza che costringevano
quasi a immettere subito gli ascritti nelle attività salesiane, sempre più richie-
ste, sempre più in espansione e sempre più bisognose di personale.
Sul tema della formazione ecclesiastica intervennero più voci del clero se-
colare: il vescovo di Piierolo, mons. Rossi, il canonico Allamano, il parroco
di Casalgrasso Don Cerva e altri ancora. Mons. Rossi aveva avuto l'esperienza
di professore al seminario diocesano di Bra, dove aveva avuto come allievi an-
che giovani chierici provenienti dalle scuole dell'oratorio di Valdocco; il ca-
nonico Allamano, già allievo a Valdocco, aveva la competenza che gli veniva
dal convitto ecclesiastico torinese; Don Cerva era un parroco di notevole in-
telligenza e di buon livello culturale, perciò al processo poté ben esprimersi
sulla base di quel che si diceva tra il clero e sul fatto che aveva potuto cono-
scere da vicino tre preti suoi parrocchiani, già studenti a Valdocco. I vescovi
e i membri del clero secolare al processicolo furono concordi nei distinguere
tra la formazione morale e l'istruzione ecclesiastica. Nella prima, i preti dio-
cesani provenienti dalle scuole di Don Bosco erano giudicati come degni della
massima fiducia e anzi eccellenti; ma di loro si diceva in genere che lasciavano
a desiderare in materia di filosofia e teologia, tipi di scienze che tendevano a
sott~valutare."'~
IM Cf. Giuseppe BATTELLI,Santo Sede e oernivi nello Stato unitario. Do1recondo ottocento ai
primi anni delln repubblica, in. CHITTOLIN- IMICCOLS,Storia d'Italia. Annali 9, p. 809-854.
La testimonianza più significativa al processicolo del 1916-1917 è forse quella resa il 15
176
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
A ben vedere, distinzioni del genere erano anche fatte, ormai in periodo
postbellico, daila S.C. dei seminari e delle università degli studi (istituita da
Benedetto XV il 4 novembre 1915) e di cui era prefetto il cardinale Gaetano
Bisleti. Nel gran numero dei salesiani c'erano certamente personaggi che ec-
cellevano; vari atri si erano distinti negli studi sacri, ad esempio all'università
gregoriana o presso la facoltà teologica torinese. In questa facoltà, anzi, già
dalla fine del secolo precedente era professore stimato il salesiano Don Luigi
Piscetta, autore, tra l'altro, di un fortunato manuale di teologia morale per
corsi seminaristici. Ma anche solo a guardare il catalogo deiia società salesiana,
non si tardava a notare che, ad esempio, alla morte del primo successore di
Don Bosco, Don Michele Rua, nel 1910, gli studentati di teologia e di filosofia
fuori d'Italia quasi non esistevano; i noviziati erano poco ben distribuiti; per-
sino in Piemonte si trovavano ascritti inseriti in case non erette canonicamente
in noviziato; e tutto ciò, nonostante i propositi programmatici espressi da Don
Rua nel 1888 nella sua prima udienza pontificia.
In realtà erano in gioco diversi modeili di formazione chiericale e religiosa.
I salesiani, così come il loro fondatore, vivendo proiettati nell'agire immediato,
stentavano a formulare un loro proprio progetto organico per la formazione
culturale dei religiosi, ecclesiastici e laici; in modo non organico miravano al-
l'adeguamento massimo possibile al modello seminaristico e a quello religioso
ormai prevalente in Italia, in Francia e altrove neli'organizzazione cattolica,
cercando di concentrare tutti gli ascritti in noviziati regolari, organizzando stu-
dentati di filosofia e teologia sul tipo delle scuole professe dei gesuiti, impian-
tando aspirantati per chierici e laici coadiutori sul tipo delle cosiddette scuole
apostoliche.
Di conseguenza ci si spiega come mai tra '800 e primo '900 la crisi teolo-
dicembre 1916 dal canonico Mamano, il quale appunto in quegli anni approfondiva le caratte-
ristiche che contraddistinguevano da una pane Don Bosco e i salesiani (in effervescenza e d d o
stile rumorosa); daU'altra l'istituto delle Missioni della Consokta, che ispirandosi più strettamente
al venerabile Cafasso tendeva al «bene ben fatto», cioè a una disciplina ben ordinata già negli anni
della formazione e a un'azione pastorale che rifuggiva dal clamore (perciò più in stile coll'inqua-
dramento «sulpiziano» che si tentava nei seminari): «Mentre io era alunno deli'Oratorio, cioP dal
1862 al 1866, non esisteva ancora vera Congregazione tra gli alunni del ven. Don Bosco [ma era
stata fondata formalmente nel 1859!1. I chierici convivevano giorno e notte con noi giovani. Non
mi consta che d o r a avessero pratiche di pietà quotidiane speciali per essi. Più tardi, quando io
non era più aU'Oratorio, udii che si era introdotto tra i chierici l'uso della meditazione quotidiana
in comune [...l. Neli'epoca posteriore d a mia uscita dall'oratorio e quando io era già chierico e
sacerdote, udiva come generale nel clero torinese il lamento che la formazione degli alunni del-
I'Istituto salesiano fosse incompleta. Era notoria una deficienza di quella educazione propriamente
detta ecclesiastica. Si sapeva che i chierici salesiani erano facilmente più applicati a studi dassici
che non a studi teologici. Come già ho deposto, nel seminario si lamentavano le assenze frequenti
dei chierici deU'Istituto salesiano...» (Poritio ruper dubio...: Surnmarium ex offiino, p. 112). In una
conferenza, tenuta ai missionari della Consolata il 19 aprile 1925, ribadiva tali concetti: «Il bene
va fatto bene, diceva il Cafasso. Andava dicendo s Don Bosco: Andiamo d'accordo in tutto, ec-
cetto in una cosa: il bene va fatto bene...»; cf. TUBALDOG,iuseppe Allnmnno..., I, p. 31s.

10.2 Page 92

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gica e filosofica del modernismo non sfiorò nemmeno i salesiani, dato che la
totalità di essi viveva in una sfera religiosa quasi del tutto estranea all'inquie-
t u d i e che attraversavano altrove i seminari e certe élites del mondo culturale
cattolico. Solo in piccola misura i salesiani furono toccati dalla crisi sociale del
movimento cattolico connesso al modernismo. Se infatti un qualche legame
c'era stato, questo era nato dalle iniziative di Don Carlo Baratta e del gmppo
di salesiani e non salesiani che si era creato attorno a lui nel collegio S. Bene-
detto di Parma. Ma la crisi dell'opera dei congressi cattolici (1904) comportò
l'afflosciarsi della «scuola neofisiocratica» di Parma. Rimasero le simpatie per
i salesiani da parte di personaggi non secondari del movimento cattolico ita-
fiano, quali Longinotti e Micheli. Dal tipo di azione sociale fermentata a
Parma e germinata debolmente altrove i salesiani in Italia ben presto si ritira-
r ~ n o . " 'I~niziative del genere altrove, come quelle del coadiutore Carlo Conci
a Buenos Aires nel primo dopoguerra, furono scoraggiate o dirottate fuori
delie case sale~iane.L'~a~presenza di Don Cojazzi, Don Lingueglia, Don Ba-
rale e di pochi altri salesiani negli ambienti universitari cattolici italiani stava
appena entro i limiti di un'animazione in termini sociali molto generici ed en-
tro quelli di una testimonianza spirituale fervente.'1°
La Confutazione delle accuse, data la sua elaborazione in chiave processua-
le, aveva preferito non dare rilievo alle distinzioni di mons. Rossi, dell'Allama-
no, di Don Cerva e di altri sul terreno delle scienze ecclesiastiche, giudicate
come troppo debolmente coltivate tra i salesiani. Allargava piuttosto il di-
scorso sulla portata cristianamente educativa del esistema preventivo* nelle
case salesiane di educazione; il «sistema», ch'era la grande intuizione di Don
Bosco, e che aveva frutti sempre più copiosi grazie ai preti e ai laici che con-
tinuavano a essere formati secondo lo spitito del venerabile fondatore.
In sintesi, si dava importanza alla formazione «morale» dei salesiani e dei
giovani. Dei salesiani si privilegiava la dedizione entusiastica all'opera di Don
Bosco, la fedeltà al papa, la consumazione nel lavoro apostolico anche nelle
condizioni più proibitive nelle selve del Mato Grosso, nei villaggi del Congo,
fra gli aborigeni dell'Australia o i diseredati della Cima. I1 lavoro salesiano era
fecondato dall'eucaristia, dalla devozione all'Ausiliatrice, dalle preghiere gia-
culatorie. In tal senso era indicativa l'indulgenza «del lavoro santificato» che
Don Filippo Rinaldi, terzo successore di Don Bosco, si premurò di ottenere
già nel 1922 dal nuovo pontefice Pio XI. Sua Santità concesse ai salesiani, alle
C< S-T.F-~,.-A~.-~~I .r,nleriani e il movimento cattolico in Italia fino alla prima guena mondiale,
~~
in: «Ricerche storiche salesianeu 2 (1983) p. 223-251.
Su CarloConci(1877-1947),promotore di sindacati e di varie opere sociali in Argentina,
Iuan BELZA,Conci. Boceto biografico de un hombre y de una época, Buenos k e s , ColegioIn-
dus&ialPio IX 1965.
"O Nel quadro delle vicende degli universitari cattolici a Toriio in epoca fascista Don Cojazzi
è nominato da Banolo GARIGLCIOatt,olici democrotin' e clerico-fascirti,Bologna, Il Mulino 1976,
p. 218; 243.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
figlie di Maria Ausiliatrice, agli allievi ed ex allievi, ai cooperatori l'indulgenza
di 400 giorni ogni qualvolta nel corso deiia giornata elevavano il cuore a Dio
durante il lavoro con una pia giaculatoria e l'indulgenza plenaria in ciascun
giorno."' L'indulgenza del lavoro santificato cominciò a essere una delle ca-
ratteristiche pie soprattutto delle figlie di Maria Ausiliatrice addette ai lavori
familiari nelie loro case o presso quelle dei confratelli salesiani. Tale prassi
creò le premesse, perché si rivendicasse a Don Bosco con buon fondamento
un radicato spirito di preghiera nell'intero corso della sua vita.
Un'altra serie di considerazioni può essere suggerita da quanto emerse al
processicolo segreto sulle condizioni sanitarie di Don Bosco nei suoi ultimi
anni di vita. Interrogato sulle responsabilità di Don Bosco negli opuscoli av-
versi al Gastaldi mons. Re rispose:
«h mia convinzione che Don Bosco non ci sia entrato per nulla, perché la sua de-
licatezza non avrebbe certamente approvato cene frasi troppo ardite contro I'arcivesco-
vo, ma avrebbe piuttosto fatto ricorso d a S. Sede in caso che si sentisse gravato da
qualche disposizione deii'arcivescovo stesso.
Vi è poi un'altra causa a cui si appoggia la mia convinzione, ed è lo stato di salute
di Don Bosco all'epoca deiie pubblicazioni di quegli opuscoli. Dopo la morte di Don
Bosco, awenuta il 31 gennaio 1888, seppi dal teologo Giulio Barberis, salesiano, che
negli ultimi dieci anni la direzione effettiva deiia pia società salesiana era già nelle mani
di Don Rua, a cui Don Bosco soleva indirizzare i sacerdoti e giovani che a lui ricor-
revano per consiglio. Ho udito dal cardimale Alimonda che, secondo relazione fattagli
dal dott. Fissore, Don Bosco era affetto da paralisi cerebrale progrediente causata da
lenta ossificazione del ceweiio... ».'l2
Secondo mons. Re dunque gli ultimi anni di Don Bosco sarebbero stati ca-
ratterizzati da «paralisi cerebrale progrediente».'13 Ci si potrebbe chiedere se
"' L'indulgenza del lavoro santificatofu ottenuta da Don Rinaldi neii'udienza pontificiadel
6 giugno 1922; cf. ACS 3 (gennaio1923) p. 35; «Bollettino salesianon 46 (agosto1922) p. 197.
199; 47 (gennaio1923) p. 2.
"'Positio super dubio..., Summarium ex affino, p. 135. Più avanti mons. Re aggiungeva, quasi
riferendosi alle distinzioni richiamate da mons. Benagna al processo informativo: «Ritengo che
questa fama di virtù straordinaria, e per dirlo con linguaggio comune, di santità, non sia stata per
nulla oscurata dalle divergenze passate tra il venerabile e I'arcivescovo neUe varie vicende di cui
ho deposto>>(p. 137). Giuseppe Re nacque a Buttigliera d'Asti il 2 dicembre 1848; h ordinato
prete a Torino il 3 giugno 1871; insegnò presso la facoltà pontificia di diritto canonico; fu pro-
vicario e poi vicario generale dell'archidiocesi dal gennaio 1884; eletto vescovo di Alba il 30 di-
cembre 1889, mori il 17 gennaio 1933; cf. Annuaire 1934, p. 940s.
"'Cf. Antonio LONGHI- Ernesto TWNANZDI,izionario dei termini antichi e moderni delle
scienze mediche e ueterinarie..., p. 1010: *Paralisi progressiva. -Con questa parola si indica una
malattia caratterizzata dal progressivo indeboiimento della contrazione muscolare, dficoltA, len-
tezza e alterazione della pronuncia, che termina sempre colla morte e dipende da un'affezione del
sistema nervoso, frequente nei pazzi, ma possibile anche in persone che
sanamente fino
all'ultimo»;6.inoltre le voci più vicine a quella di sparalisi progressiva» nella Enciclopedia medico
italinna:vol. iII,Firenze, Sansoni 1952, col. 2046-2055(encefalopatievascolari - arteriosclerosice-
rebrale); W, Firenze, Sansoni 1955, col. 954-956 (paralisi e paresi).

10.3 Page 93

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quei termini non volessero indicare le prime awisaglie di arteriosclerosi cere-
brale e se questa non costituisse la componente più grave del quadro clinico
che il 25 marzo 1884 il medico francese Combal descrisse con l'espressione:
«une débilité générale avec anémie»."4 Questa debolezza generale si poneva
nel quadro di altri malanni, ben noti attraverso fonti più dirette e attendibili:
la nefrite, attestata dal dottor Giuseppe Albertotti, le emorroidi, la ciste fasti-
diosa ai glutei, cioè il «guasto al deretano* di cui Don Bosco scrisse a Don
Dalmazzo nel 1882 e che gli fu asportata solo nel 1887 dal dottor Vignolo, le
eruzioni cutanee, l'indebolimento della vista e quello della mucosa dell'appa-
rato respiratorio, mali cioè attestati dal Combal e daU'Albertotti.'l7
Se le cose stessero cosi, si avrebbero elementi per spiegarsi certe «imperi-
nate» di Don Bosco, cioè il calore nel parlare con altri e certe forme di ter-
giversare nelle vertenze con Gastaldi; o il volere affrontare viaggi ormai al di
sopra delle sue forze fisiche, in Francia, in Spagna, in Austria, a Roma; le la-
grime improwise e altre forme di smarrimento o di commozione; la minor
cautela nel presentare come visioni celesti i suoi sogni. Queste e altre manife-
stazioni potrebbero essere dovute alle condizioni di un uomo il cui fisico e le
cui facoltà psichiche erano ridotte a una sorta di abito logoro.
Come abbiamo ricordato, già nel 1906 il promotore della fede mons.
Verde aveva osservato se non era da supporre in Don Bosco la tendenza a uti-
lizzare i sogni come mezzo per piegare alla propria volontà i suoi collaboratori;
ma ci si potrebbe chiedere se piuttosto negli ultimi anni della vita non si sia
consolidata in lui la convinzione che i suoi sogni fossero visioni celesti e per
questo suo convincimento, non più accompagnato da circospezione, abbia
fatto scrivere senz'altro, nel dicembre 1887 a Don Viglietti, come la Madonna
gh aveva rivelato in sogno che i salesiani dovevano aprire la casa chiesta da
mons. Doutreloux a Liegi; e già prima nel gennaio aveva dettato allo stesso
Don Viglietti «le parole che la Vergine SS. gh aveva detto» circa la sicura gua-
rigione di un ragazzo, Ludovico Olivieri (poi missionario salesiano in Cina),
che i medici Fissore e Vignolo davano per spac~iato."~
Gli agiografi dell'epoca postridentina e il mondo ecclesiastico coinvolto nei
processi di canonizzazione erano piuttosto inciini a immaginare la vita di un
servo di Dio canonizzabile come un continuo progresso e un consolidarsi di
virtù in virtù. Le pie narrazioni degli ultimi giorni di vita e degli ultimi istanti
terreni dei santi tacevano le circostanze di degradazione biologica che per
"'Diannosidel dottor Combal, Marseille,25 mars 1884; in: AS 112 Malattie; e, in versione
italiana, in %B 17, p. 57s.
"'Giovanni Amuc~omC, hi era Don Bosco. Ossio biografia firio-psico-patologicadi Don Bo-
sm, p. 21: «il 1884 [...l mi recai a visitare Don Bosco che era affetto da nefrite e da diminuzione
del visus. Gli esaminai a più riprese il fondo deu'occhio con l'oftalmoscopio di Liebreich, del
ouale mi servii ooi semore...»;sulle emorroidi e sulla ciste cf. Positio super dubio..., Summariurn
ex offino,p. 124; Confutazione,p. 175s.
n6 Testimonianza di Carlo Vietti al processo ruperfama sancfitatix... in genere, sess. 28 (14
marzo 1911),Copia pubblica, fol. 311v,
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
molti invece era possibile immaginare e anche documentare. Testimonianze
come quelle di mons. Re relative a Don Bosco avrebbero potuto suggerire,
se non altro, l'approfondimento dottrinale di casi in cui si trattava di servi di
Dio colpiti da regressione psichica e nei quali gli «atti eroici» erano forse
guizzi momentanei o residui meccanici di comportamenti passati, commisti a
gesti che la cerchia più vicina dei fedeli al servo di Dio tendeva a coprire sotto
«il manto della carità fiiiale», e poi tacere del tutto sia nelle testimonianze ai
processi sia negli scritti agiografici destinati alIa divulgazione. Sarebbe stato
possibile affrontare in sede teorica il quesito della possibilità e opportunità di
proclamare santo qualsiasi stato di vita; non solo quello di servi di Dio non an-
cora giunti aila maturità fisiologica, come Imelda Lambertini (il cui processo
fu ripreso nel 1921) e Domenico Savio (beatificato nel 1950), ma anche per-
sone i cui ultimi anni sarebbero stati segnati da debilitazione senile più o meno
avanzata.
Intanto il 22 gennaio 1922 moriva Benedetto XV. In un breve conclave il
6 febbraio fu eletto papa I'arcivescovo di Milano, Achille Ratti. La Confuta-
ziorpe delle a c w e venne consegnata ai Riti il 24 maggio. Appena un mese
dopo, nel pomeriggio della domenica 25 giugno, nel cortile di S. Damaso il
nuovo papa concesse un'udienza ai salesiani e ai loro allievi deil'ospizio S.
Cuore di Roma e della scuola agricola per gli orfani di guerra, di recente inau-
gurata nel quartiere romano del Mandrione. Al vivace assembramento di sa-
lesiani e di giovani papa Ratti rivolse un discorso familiare e pieno di remini-
scenze affettuose:
«Noi siamo tra i più antichi - dico antico per me, e non per voi che di antichità
non siete ancora consapevoli - Noi siamo con profonda compiacenza tra i più antichi
amici personali del venerabile Don Bosco. Lo abbiamo visto, questo vostro glorioso pa-
dre e benefattore, lo abbiamo visto con gli occhi nostri. Siamo stati cuore a cuore vicino
a lui. È stato tra noi non breve e non volgare scambio di idee, di pensieri, di conside-
razioni. Lo abbiamo visto questo grande propugnatore deli'educazione cristiana, lo ab-
biamo osservato in quel modesto posto che egli si dava tra i suoi, e che era pure un
cosi eminente posto di comando, vasto come il mondo, e quanto vasto altrettanto be-
nefico. Siamo perciò ammiratori entusiasti deli'opera di Don Bosco, e siamo felici di
averlo conosciuto e di aver potuto aiutare per divina grazia col modestissimo nostro
concorso l'opera sua. Quest'opera abbiamo vista ancora in Italia, in Galizia, in Polonia,
dai Carpazi al Baltico, ed abbiamo veduto i figli di quel Grande tutti consacrati all'o-
pera di lui così santa, così grande, così benefica I...].
Ci è impossibile vedere voi senza guardare al grande spettacolo che sorge e si spiega
dietro di voi, di migliaia, di centinaia di migliaia, di milioni oramai di giovani, di uomini
fatti, in tutte le posizioni sociali, in tutte le più svariate condizioni della vita, che alle
sorgenti del venerabile Don Bosco hanno attinto i tesori della cristiana educazione. Tale
spettacolo magnifico è il monumento più grande e più glorioso che si possa mai elevare
al vostro padre e di fronte al quale ogni altro monumento materiale è piccola e povera
cosa... ».'I7
"' «Bollettinosalesiano» 46 (luglio 1922) p. 172s,

10.4 Page 94

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Per quanto riguardava il processo, fu come uno sprazzo intenso di sereno.
Pochi giorni dopo, il 4 luglio, i cardinali e i consultori della S.C. dei Riti in
sessione ordinaria prendevano in esame i processi apostolici e ne dichiaravano
la validità. Si poteva ormai procedere «ad ulteriora»; passare cioè dall'appro-
vazione formale degli atti al giudizio suli'eroicità delle virtù del venerabile
servo di Dio.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
CAPITOLO N
IL PROCESSO APOSTOLICO FINO ALLA CANONIZZAZIONE
(1922-1934)
1. Dal riconoscimento della validità dei processi
alle congregazioni preparatorie suii'eroicità delle virtù (1922-1926)
La notizia che il 4 luglio 1922 erano stati riconosciuti validi i processi at-
tinenti la beatificazione di Don Bosco ravvivava nei salesiani le speranze di ve-
der presto sugli altari il proprio fondatore. Tuttavia quanti erano direttamente
coinvolti aiio svolgimento della causa erano ben consapevoli che non tutto
procedeva pacificamente nel senso desiderato; non erano mancate riserve,
espresse da qualche testimone non salesiano; gli addebiti inviati dal canonico
Colomiatti direttamente a Roma avevano costretto a istruire un processicolo
informativo supplementare; non erano da escludere ulteriori intralci e la ripro-
posizione di obiezioni da parte di chi all'interno del processo mirava a una
pausa più o meno lunga che consentisse una più pacata riflessione, owero da
parte di chi schierandosi con il Colomiatti tra i «nemici» della santità di Don
Bosco voleva che il processo fosse definitivamente chiuso e archiviato.
Più o meno consapevolmente si delineò pertanto nel gruppo dirigente sa-
lesiano una doppia linea di condotta. Da una parte attraverso il «Bollettino»,
nelle celebrazioni anniversarie, nelle solennità più varie, in momenti della vita
quotidiana si continuò ad alimentare il convincimento che la santità di Don
Bosco giganteggiava e s'imponeva neli'estimazione collettiva; dali'altra, nel-
l'ambito riservato del processo, ci si mosse circospetti e sempre ali'erta, come
in una sorta di guerra di posizione contro i nemici reali o temuti della santità
del venerato fondatore, ma con la certezza che i nemici sarebbero stati umiliati
e travolti; lo schema «delle lotte e dei trionfi» si travasava in qualche modo
dalla mentalità ottocentesca di Don Bosco a quella dei suoi figli spirituali che
più direttamente erano impegnati a ottenerne la glorificazione terrena. Questo
senso del contrasto e della lotta, insito peraltro nella natura di qualsiasi dibat-
tito processuale, doveva però stare entro l'alveo imposto dai processi di bea-
tificazione: n d a doveva trapelare all'esterno; la violazione del segreto infatti
poteva indebolire l'assunto che si voleva far vincere nel giudizio finale dei giu-
dici.

10.5 Page 95

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Era Don Rinaldi stesso, rettor maggiore e terzo successore di Don Bosco,
a coltivare nei salesiani il senso dell'attesa. Nell'aprile 1923 sugli «Atti del ca-
pitolo superiore), toccava esplicitamente l'argomento a conclusione del rag-
guaglio che forniva di un'udienza pontificia avuta il 24 marzo precedente di
ritorno da un viaggio fra le case salesiane di Sicilia.' L'incontro-riferiva Don
Rinaldi - durò circa un'ora e fu cordialissimo. Egli esordì ringraziando il
santo padre della «indulgenza del lavoro santificato» concessa alla famiglia sa-
lesiana l'anno precedente; andando in varie case aveva potuto constatare
quanto si era riconoscenti e il «benefizio» che i salesiani «ne ritraevano per
crescere più nell'unione con Dio». Il papa a sua volta chiese informazioni sul
numero dei nosizi. S'illuminò in volto compiaciuto nel sentite che in Europa
negli ultimi mesi «ne erano entrati nei vari noviziati circa 400, numero supe-
riore alla media di prima della guerra*. È dal numero dei novizi - disse il
papa - che si misura la vitalità delle congregazioni religiose»; e prosegui rac-
comandando di «averne gran cura e di formarli alla pratica dei consigli evan-
gelici e delle più sode virtù religiose secondo lo spirito del nostro istituto: che
divenissero perfetti imitatori del venerabile Don Bosco nell'amore per la gio-
ventù povera e abbandonata, nell'attività instancabile, creatrice dappertutto di
nuovi oratori festivi e di scuole e di laboratorii d'ogni genere, e neiio spirito
di preghiera, per il quale questi due perni della vita salesiana, cioè l'amore e
l'attività, sono santificati daii'unione con Dio».
In altre parole il papa, sembrerebbe, mediava tra i salesiani e i loro critici:
i novizi erano da formare nelle virtù dello stato religioso e nella pratica del-
l'unione con Dio: il difetto di formazione religiosa ed ecclesiastica era una
delle critiche che si muovevano ai salesiani presso la Congregazione dei Reli-
giosi, ii cui prefetto, cardinale Laurenti, era anche membro della S.C. dei Riti.>
Il papa non si spinse oltre a indagare sull'esistenza e sul funzionamento di case
di formazione. Fu Don Rinaldi a indicare che c'erano vari noviziati in Europa
e a specificare quanto nella medesima direzione si stava facendo in ordine al
piano missionario cattolico, un piano che stava particolarmente a cuore a Pio
XI e che avrebbe caratterizzato il suo pontificato grazie anche all'abilità orga-
nizzativa del cardinale Van Rossum, prefetto di Propaganda fide. Si era aperto
un istituto «Cardial Cagliero» appositamente per giovani aspiranti missiona-
ri; si era fondato un periodico dal titolo «Gioventù Missionaria»; l'Istituto
Teologico Internazionale salesiano era trasferito da Foglizzo Canavese a To-
rino in sede più ampia. Il papa continuò sull'argomento delle missioni auspi-
cando «nuove falangi di missionari» in Abissinia, nei Carpazi, tra le popola-
zioni primitive, fra i mussulmani. «Raccomandò vivamente che in tutte le mis-
sioni ci sia sempre qualcuno molto istruito nella lingua, nei costumi, nella sto-
ria, nella geografia e in ogni altra cognizione possibile ad aversi intorno ai po-
l ACS 24 aprile 1923, p. 74.79
Cf. avanti p. 202s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
poli che si vogliono evangelizzare. Disse essere anche cosa eccellente e som-
mamente vantaggiosa unire alle schiere dei pii e santi missionari anche uomini
dotti e versati nelle scienze e nella religione, l'opera dei quali sarà salutarissima
per stabilire in modo definitivo la civiltà cristiana in mezzo alle tribù che si
vanno convertendo alla luce del vangelo».
In altre parole il papa forse mediava l'appunto che presso la S.C. di Pro-
paganda e presso quella degli Studi si faceva ai salesiani: erano preti generosi
e anche pii, ma la loro operosità e la loro catechesi non era sorretta da cono-
scenze scientifiche adeguate d e culture presso cui impiantavano le loro case.
Anche il prefetto della S.C. degli Studi, cardinal Bisleti, faceva parte della S.C.
dei Riti e anche a lui perciò sarebbe spettato dare un giudizio su Don Bosco
e gl'indirizzi che aveva saputo dare ai salesiani.
Don Rinaldi proseguiva la sua relazione ragguagliando sugl'incontri con i
cardinali prefetti di varie congregazioni romane. Da tutti ebbe «tanti segni di
sincera benevolenza»; la qual cosa - soggiungeva - non era da attribuire a
suoi meriti personali, ma alla venerazione che si nutriva per Don Bosco. «La
sua santità - affermava - è universalmente riconosciuta e proclamata [...l.
L'avremo presto Beato il nostro Don Bosco? [...l. I1 suo processo apostolico
procede regolarmente, ma il tempo in cui verrà dichiarato beato dipende daiia
divina prowidenza; noi però possiamo in certo modo affrettarne ii momento
rendendoci sempre più degni di tanto padre coli'imitazione delle sue virtù e
sollecitando con preghiere ferventi il suo patrocinio per moltiplicare le grazie
e i miracoli ottenuti a sua intercessione».
Con queste considerazioni Don Rinaldi tornava a mettere in rilievo quanto
già, prima che si aprisse il processo ordinario, aveva raccomandato mons. Ca-
prara: ai fini della beatificazione sarebbe stata determinante la prova dei mi-
racoli. Ed era giunto ormai il momento di spiegare come sollecitarliinvocando
Don Bosco: «Quando però - raccomandava Don Rinaldi - si vuol suppli-
carlo di qualche grazia segnalata, o anche di qualche vero miracolo (perché
ben si possono chiedere a Dio dei miracoli per la glorificazione dei suoi servi
fedeli), si faccia in modo assoluto ed esclusivo, cioè senza interporre né il pa-
trocinio dell'Ausiiiatrice, né alcun altro intercessore». Era un richiamo che
portava implicita la persuasione che in tempi non lontani si sarebbe giunti al
riconoscimento ufficiale delle virtù eroiche e dei doni soprannaturali.
Nell'ambito della Congregazione dei Riti tra la fine del 1923 e l'inizio del
1924 si ebbe un'awisaglia non insignificante. Secondo la prassi, in un'udienza
particolare, mons. Salotti in qualità di assessore e sottopromotore generale
della fede riferi al papa sull'andamento delle cause di beatificazionee canoniz-
zazione. Il discorso cadde su Don Bosco e sul fatto che, a differenza di altri
processi (forse si alludeva a Teresa di Lisieux, a Bernadette Soubirous...), il
suo non procedesse speditamente. Secondo il Salotti i ritardi erano prodotti
non tanto d d e difficoltà intrinseche e daila oggettiva insormontabilità delle
obiezioni, quanto piuttosto da una serie di circostanze che portava a far pre-
valere in quegli anni le cause di venerabili e di beati francesi.)

10.6 Page 96

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In effetti la pressione sociale e psicologica che spingeva verso la loro con-
clusione cause come quella di Giovanna d'Arco, del curato d'Ars, di Michele
Garicoits (fondatore dei preti di Bétharran), di Margherita Maria Alacoque, di
Luisa di Marillac, di Teresa del Bambino Gesù, di Caterina Labouré e Berna-
dette Soubirous, di Claude Colin (fondatore dei Maristi), di Pierre-Julien Ey-
mard e Marcelin Champagnat, dei martiri della rivoluzione francese, dell'U-
ganda, del Canada e della Corea, di molti altri ancora, non proveniva owia-
mente soltanto dalla Francia.' A favorire l'esito di tali processi confluivano in-
sieme circostanze diverse: a seguire la beatificazione dei martiri canadesi non
erano solo i francesi e i gruppi francofoni del Canadà; c'erano anche i gesuiti,
i quali erano uglialmente interessati al buon successo di quelle del Canisio, di
Roberto Bellarmino, di Claude de la Colombière, di Giuseppe Pignatelli e di
altri ancora; a chiedere la canonizzazione della piccola santa di Lisieux erano
non solo i cattolici di Francia ma anche le varie famiglie dell'ordine Carme-
litano; Propaganda fide e l'intera organizzazione missionaria era interessata
alla glorificazione di martiri che avevano impiantato e difeso la fede testimo-
niandola anche con il sangue. Era chiaro comunque che Don Bosco stava tra
i venerabili di cui sia il Salotti sia il papa desideravano presto la beatificazione.
Non molto tempo dopo awenne che in udienza particolare furono ricevuti
successivamente l'antico postulatore salesiano, Dante Munerati, e mons. Ver-
de, segretario della Congregazione dei Riti. I1 primo ringraziò per la concessa
elezione a vescovo di Volterra; il secondo mentre riferiva su questioni di uf-
ficio, e in
sulle cause di beatificazione, si sentì interpellare su quella
di Don Bosco e sui motivi che la facevano procedere a rilento. Mons. Verde
si sentì punto sul vivo: presso i Riti non si era mai usata nessuna parzialità né
contro Don Bosco né contro i salesiani. Cominciò a pensare che fosse stato il
Munerati a prevenire negativamente il pontefice. Ci volle del buono - rife-
risce Don Tomasetti nelle sue memorie confidenziali- per convincere mons.
Verde che il neo-eletto vescovo di Volterra era ignaro di tutto, estraneo all'ac-
caduto, incapace di ricorrere a simili espedienti. Ma ormai mons. Verde aveva
come una spina e un segnale: il papa ci teneva alla beatificazione di Don Bo-
sco. Mentre dunque i salesiani prowedevano a preparare sulla base dei pro-
cessi la nuova Positio super uirtutibus e gli altri documenti necessari, presso i
Riti ci si predisponeva alle fasi successive del processo: l'antipreparatoria e poi
la preparatoria sull'eroicità delle virtù e i doni soprannaturali di Don Bosco.
In ordine al processo di Don Bosco, al suo esito felice e sollecito, mons.
Salotti risultava essere un elemento prezioso in una posizione chiave. Persuaso
com'era della santità canonizzabile di Don Bosco, nello svolgere il suo ruolo
presso la Congregazione dei Riti fmiva per comportarsi in modo diverso da
quello prospettato dagli stereotipi popolari suii'«awocato del diavolo». Il suo
' TOMASETM~e,morie confidenziali, p. 9s.
' Si veda ad esempio il notiziario fornito dall'AlmanaoS catholiquefrancais pour 1929, Paris,
Bloud & Gay 1929, p. 79s: «Les nouvelles gloires de l'Eglise de Francen dal 1920 al 1928.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
compito era di stare «pro veritate».l Convinto della santità di Don Bosco, il
suo impulso lo muoveva contro le obiezioni che si sollevavano e contro ogni
altro tipo di remora. Di ufficio riferiva al papa suii'andamento delle cose; ma
anche informava confidenzialmente il postulatore, don Francesco Tomasetti, a
lui ben noto da oltre un ventennio, suggerendo all'occorrenza il da farsi. Le
sue predilezioni, appoggiate com'erano all'atteggiamento del papa, erano al ri-
paro dall'addebito di parzialità che prevaricava dali'ufficio.
Si trattava in fondo anche di convincimenti che il Salotti aveva ulterior-
mente maturati negli anni dell'immediato dopoguerra. Chiuso il conflitto mon-
diale, in clima di fermenti spiritualisti, di battaglie sociali e di espansione mis-
sionaria nel mondo suii'onda del colonialismo europeo, il sogno di una ricon-
quista deua società all'influsso della Chiesa gli appariva come vicino alla realtà.
Nel 1923, e ancor più nel 1925, egli lo proclamava dai pulpiti romani, dove
era chiamato come sacro oratore nei tridui solenni che si celebravano per i
nuovi santi e beati. I1 22 maggio 1925 nella chiesa del Gesù toccò a lui tessere
il panegirico di Pietro Canisio. Salotti inneggiò al nuovo santo con impeti con-
troversistici ed enfasi oratoria, prediligendo, secondo il suo stile, i raffronti e
le contrapposizioni:
«Lutero, che odia Roma, ne vuole la dissoluzione e la morte. Canisio, che nel cuore
porta la fede e I'amore di Roma, ne vuole la grandezza e ne canta la immortalità. Lutero
incarna in sé l'ideale d'una Germania che si appoggia s d a forza per estendere il suo
dominio. Canisio personifica in sé l'ideale d'una Germania pacifica, che dal cattolici-
smo è sospinta ad essere strumento di equilibrio politico nel mondo. In Lutero è la
Germania protestante che insorge contro l'Europa cattolica; in Canisio è la Germania
che vuole collaborare con Roma e con l'Europa per il progresso civile dell'umanità. In
questo contrasto è la lotta fra due geni, due tradizioni, due ideali^.^
Il 2 giugno nella chiesa nazionale di S. Luigi dei Francesi tesseva il pane-
gerico del curato d'Ars, canonizzato il 31 maggio:
«Si è voluto fare un paragone tra Voltaire e Giovanni Battista Vianney, tra Ferney
e Ars. Se tra il profilo fisico dei due uomini vi furono tratti naturali di somiglianza, io
non discuto. Ma quanto più erano simi i lineamenti esteriori dei due personaggi, che
nacquero e vissero n d a stessa contrada, tanto maggiori furono i contrasti d'indole mo-
rale, per i quali l'uno si contraddistingue dali'altro [...l. L'uno prepara coi suoi scritti
la rivoluzione, l'altro ne ripara col suo ministero di prete le immense iatture. L'uno lan-
cia il grido d d a bestemmia a Cristo e tenta demofirne gl'insegnamenti divini. L'altro
inneggia a Cristo e conduce le turbe a' suoi piedi, perché lo riconoscano Dio e lo ac-
TOMASETM~e,morie confidenziali, p. 21.
q.SALOTI~sIa,nti ed i beatiproclnmnti nell'anno sonto 1925. PanegeriB tenuti in Roma in
occasione dei tridui solenni, Torino, S.E.I. 1927, p. 5. Come annota lo stesso Salotti, questo pa-
negirico provocò proteste sui giornali in Germania. L'edizione dei panegirici presso la S.E.I. di
Torino venne raccomandata da Don Tomasetti mentre a Roma con il Salotti seguiva il buon esito
della congregazione preparatoria s d e virtù eroiche di Don Bosco; cf. Tomasetti a RLialdi, 18 di-
cembre 1926 (AS 036).

10.7 Page 97

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clamino maestro. L'uno sospinge la Francia per le vie dell'apostasia e deUa ribellione.
L'altro addita alla Francia le vie luminose della fede, che sono anche le vie della giu-
stizia e del progresso sociale».'
Accenti del genere sono la sostanza o lo sfondo di quello che il Salotti pe-
rora facendo il panegirico degli altri personaggi canonizzati nell'anno santo:
Giovanni Eudes, Maddalena Postel, Maddalena Sofia Barat, Teresa del Bam-
bino Gesù; o di quanti erano stati proclamati beati: Antonio Maria Gianefi,
Vincenzo Maria Strambi, Giuseppe Cafasso, Pierre-Julien Eymard, Maria Mi-
caela del Sacramento, Bernadette Soubirous, i martiri canadesi, quelli della
Corea e le martiri della rivoluzione francese a Oranges. I1 panegirico del Ca-
fasso, tenuto neUa basilica del S. Cuore al Castro Pretorio il 6 maggio, offre
il destro al Salotti per introdurre Don Bosco entro la fioritura di personaggi
che nel Cafasso trovarono un maestro, un modello, una guida: la marchesa Ba-
rolo, Don Giovanni Cocchi, Leonardo Murialdo, Francesco Faà di Bruno, Do-
menico Sartoris, Gaspare Saccarefi, Pietro Merla, Francesco Bono, Clemente
Marchisio, Lorenzo Prinotti...
«In questo manipolo di anime elette è facile rawisare quella di Don Giovanni Bo-
sco. Mi accorgo di aver pronunciato un nome, che sintetizza di per se stesso tutto un
complesso meraviglioso di attività svolte pel bene della gioventù e pel rinnovamento
morale della società. I1 venerabile Don Bosco grandeggia nella storia come una figura
gigante. La sua opera di educatore rihilge in migliaia e migliaia di giovani, che egli ed
i suoi figlihanno saputosalvare dal naufragio cui sarebbero andati certamente incontro,
se non avessero avuto la sorte di entrare negli oratori o negli ospizi di Don Bosco. La
società, da lui organizzata e diretta, è penetrata con una rapidità che ha del prodigioso
in tutte le piaghe del mondo. Dalle Alpi alle Cardigliere, d d a Pampa al Rio Negro,
daU'Europa all'India, da per tutto è inalberata la bandiera salesiana, sotto la quale si
raccolgono giovinezze fiorenti di vita [...l. Qui, in questo triduo solenne, dinanzi alla
gloria che circonda il beato Cafasso, mi par di vedere il fondatore della Pia Società Sa-
lesiana [...]. A me pare che il beato Cafasso, chinandosi su Don Bosco e baciandolo in
fronte, gli dica: - Fra qualche anno mi sarai associato nella gloria. La tua figura mae-
stosa sfolgorerà presto su questo medesimo altare...».8
Salotti da tempo, data la natura del suo ufficio, aveva dimesso le cause di
cui era awocato presso i Riti. Ai salesiani suggerì di assumere, per quella di
Don Bosco e degli altri semi di Dio, mons. Giovanni Battista Romagnoli. Que-
sti a Roma in quegli anni era awocato alla Rota, minutante presso la congre-
gazione del Concilio e awocato di cause di beatificazione presso i Riti; il 24
dicembre 1925 sarebbe stato promosso assessore e sottopromotore generale
della fede. Sotto la responsabilità di mons. Romagnoli l'awocato Pietro Me-
landri continuò a prestare la sua opera per la compilazione di documenti ine-
renti il processo di Don Bosco. Il 15 gennaio 1923 fu ultimata e datata lavo-
7 SALOTII,I santi ed i beati, p. 49s.
8 S ~ ~ o rInfa,nti ed i beati, p. 208-210.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
luminosa Positio super virtutibus: più di miile pagine in quarto, ricavate dal
processo apostolico e da quello ordinario? Lo schema era queUo consueto: la
vita, le virtù, i doni soprannaturali, secondo testimonianze trascritte alla lette-
ra. NeUa pagina finale si dichiarava ch'erano stati tralasciati i miracoli «per ra-
gioni di spazio»; ma si sapeva che il dibattito si sarebbe concentrato sulle virtù
eroiche e sui carismi straordinari. Il 25 settembre deUo stesso anno era pronta
la Informatio. Tutti i testi furono stampati tra il 1923 e il 1925 presso la tipo-
grafia Agostiniana, forse per le particolari intese dell'awocato Romagnoli con
l'Ordine di S. Agostino.lo Nel 1925 con la data del 7 marzo si ebbero le Ani-
madversiones di Angelo Mariani, subentrato nella carica di promotore generale
deUa fede ad Alessandro Verde, ormai destinato alla porpora cardinalizia e
perciò ad altre mansioni presso le congregazioni romane. Don Francesco To-
masetti aveva potuto disporne in precedenza e prowide a inviarle a Torino,
perché il rettor maggiore Don Rinaldi e gli altri superiori le prendessero in esa-
me. «Le ho lette - scrisse Don Rinaldi al Tomasetti il 4 febbraio 1925 -.
Sono una boUa di sapone, se si risponde bene; e possono schiacciare, se sono
male interpretate. Anzi io credo che sono tanti titoli di gloria, se si vedono
come Don Bosco vedeva quelle questioni»."
Il senso di attesa e di allerta si trasformò in stato di allarme quando si
seppe che mons. Alfonso Carinci, prelato officiale dei Riti, in occasione dei fe-
steggiamenti del beato Cafasso si era recato a Torino, e in varie occasioni s'era
posto a sollevare interrogativi sulla santità di Don Bosco citando episodi che
a suo giudizio inducevano a dubitarne." Gli allarmi si trasformarono in pro-
testa quando si seppe che il Carinci aveva persino parlato con il canonico Co-
lomiatti risvegliandone l'acredine e ridestandone i ricordi distorti. Don Toma-
setti e altri che a Roma erano fautori di Don Bosco collocavano il Carinci sen-
z'altro tra i nemici del venerabile, ignari forse o sottovalutando il fatto che il
... Antonio Vicn relatore. . Positio super virtutibus. Pors I: Summarium,[Roma, Tip. Agosti-
niana 19231, 1062 p.
... 'O Antonio Vico relatore. . Positio ruper virtutibus. Por8 Il: Informatio, Animodversiones et
Responsiones, Roma, [Tip.Agostiniana 1923-19251.- Precede la Informotio (p. 1-141),sottoscrit-
ta, Giovanni Romagnoli e Pietro Melandri, Roma, 25 settembre 1923; seguono: le Animoduersio-
nes, del promotore delia fede Angelo Mariani, in data 7 mano 1925 (p. 1-53);Judicin censorum
theologorum od uen. serviDei smpta expendendo, sommario ex oficzo sottoscritto in data 21 lugho
1924 da Carlo M. Scifoni,aiuto notaio presso la segreteria dei Riti (p. 1-23); la Responsio ad Ani-
muduersioner, sottoscritta dal Romagnoli e dal Melandri in data 25 maggio 1925 (p. 1-122).
" AS 9.131 e in copia nel volume dattiloscritto: Taurinen. Bearifcotionis et canonirationis
servi Dei sec. Philippi Rinaidi, moderatoris supremi SOC. salesiane. Volumen I continens snipta pre-
fato remo Dei tributa, fol. 406 (d'ora in poi: R I N ~ IS,N t n...).
l2Alfonso C b c i nacque a Roma il 9 novembre 1862; fu ordinato sacerdote il 19 dicembre
1885; fu segretario della S.C. dei Riti dal 1929; eletto arciv. titolare di Seleucia in Isauria il 15 di-
cembre 1945, fu consacrato a Roma il 6 gennaio 1946; morl a Roma più che centenario il 6 no-
vembre 1963. Nonostante i timori o le prevenzioni di Don Tomasetti, mons. Carinci diede sempre
voto positivo, sia nella causa di Don Bosco che in quella, che qui in parte anakzeremo, di Do-
menico Savio. Anche neiie altre cause di beatificazionepromosse dai salesianifu in genere tra i
prelati favorevoli.

10.8 Page 98

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monsignore romano era anche andato a Valdocco, aveva parlato con D o n Ri-
naldi e gli aveva posto quesiti allo scopo di avere precisazioni e chiarimenti.
Lo stato di agitazione trapela dalle lettere che il Tomasetti andò scrivendo in
quei giorni ora a Don Rinaldi ora a Don Calogero Gusmano, ch'era in quegli
anni segretario del capitolo superiore salesiano a Torino:
«Mons. Romagnoli, mons. Salotti e mons. Verde, awertiti di quanto va dicendo co-
sti mons. Carinci, dapprima erano di parere che lo stesso mons. Verde consegnasse a
Sua Santità una rispettosa protesta contro mons. Carinci, come se egli si fosse recato
a Torino per creare nuovi imbarazzi alla causa del ven. Don Bosco; ma poscia, riilet-
tendo che difficilpente si potrebbe provare questa cattiva azione e che mons. Carinci,
come fu inutilmente awerso al Canisio, agli ultimi martiri gesuiti e ad altri santi, cosi
sarà inutilmente contrario al venerabile Don Bosco, perché da una parte mons. Carinci
è conosciuto per uomo di poca testa e dalialtra il ven. Don Bosco è nella coscienza
deiia quasi totalità dei consultori come un'aquila che si eleva al disopra dei santi che
la Chiesa sta mettendo in questi ultimi tempi sugli altari, avrebbero deciso di limitarsi
ad inviare mons. Salotti dal card. Vico per premunirlo contro eventuali mene di mons.
Carinci, potendo darsi che questi cerchi di agire sul ponente la causa. Ma forse neppur
di questo ci sarà bisogno, perché mons. Carinci, ritornato a Roma, si manifesta cam-
biato e favorevole a Don Bosco. La questione Gastaldi per lui è superata: rimane qual-
che piccolo neo, che non gli darebbe più grande fastidio. Mons. Romagnoli è di parere
che il cambiamento di mons. Carinci sia dovuto alla lettura del Summarium e delle ri-
sposte date alle Animadversiones. Se avesse letto prima il Summarium e le risposte alle
Animadversiones, come avrebbe potuto avere i dubbi, cui accenna Don Gusmano nel-
l'ultima lettera, vale a due sul soprannaturale dell'opere di Don Bosco, sulla recita del
breviario, sulla donna che ha deposto su Don Bosco, sull'affare Pellicani, ecc.?... Del
resto il Santo Padre pochi giorni or sono ha nuovamente manifestato il desiderio che
la causa del ven. Don Bosco cammini spedita. Difatti, a mons. Mariani che era andato
da lui pel resoconto solito, chiese: Entro il mese di giugno quale lavoro ha la congre-
gazione dei Riti? Mons. Mariani gli rispose: l'antipreparatoria per Don Bosco. E il papa
ripeté ciò che disse l'altra volta: Finalmente! Don Bosco è stato lasciato in abbandono
ingiustificato! E mons. Mariani: Santità, ha ragione: ma non sarà cosi in awenire!
Mons. Mariani va ripetendo a tutti i consultori e a tutti coloro che lo awicinano il de-
siderio del papa e si manifesta cambiato e favorevole a Don Bosco»."
La congregazione antipreparatoria fu fissata per il 30 giugno 1925. Don
Tomasetti, mons. Salotti e gli altri sostenitori aperti di Don Bosco sorveglia-
vano attentamente le mosse di chi tra i consultori appariva non favorevole o
incerto o riservato. Ildefonso Schuster, allora abate di S. Paolo fuori le mura,
sciolsè le riserve e dichiarò che il suo voto era ampiamente favorevole, anche
come risposta al polverone sollevato dal Carinci con la sua visita al canonico
Colomiatti."
'>Tomasetti a Gusmano, Roma, 22 giugno 1925 (AS 036).
I' Tamasetti a baldi, Roma, 1 luglio 1925 (AS036).In realtà Schuster non partecipa all'an-
tipreparatoria. AUa congregazione preparatoria del 20 luglio 1926 presentò un voto scritta in so-
stanza favorevole, ma sospensivo; cf. avanti, nota 22.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
L'antipreparatoria fu tenuta presso il cardinale Vico nel suo domicilio al
palazzo Brancaccio. Don Tomasetti aspettava sulla porta della sala. Quando
questa si apri, lesse sul volto del cardinale e di tutti l'esito positivo. E com'era
d'uso distribuì in quei giorni a tutti confetti o pacchetti di zucchero e di caffè
in segno di ringraziamento: piccole spese in confronto alle somme sborsate
(30.000 lire circa) per i volumi a stampa delle Anirnadversiones e della Respon-
sio, nonché per gli emolumenti dovuti al promotore della fede e a l l ' a w ~ c a t o . ~ ~
Si passò ormai a preparare i documenti necessari alla congregazione pre-
paratoria e a ritessere i piani per il buon esito finale. Neii'autunno mons. Ma-
riani aveva già approntato le nuove Anirnadversiones. Tra 1'11 e il 12 del gen-
naio 1926 Don Tomasetti poté spedire a Don Rinaldi la Responsio deii'awo-
cato, appena finita di stampare; il 13 prowide a distribuire i singoli esemplari
ai cardinali e ai consultori. Per lettera informava Don Rinaldi:
«Le difficoltà non erano serie e quindi la risposta fu facile. Questa volta mons. Sa-
lotti ha voluto vedere ripetutamente il lavoro, cioè prima che fosse licenziato per la
stampa e poscia nelle bozze, dimodoché l'awocato può fare bella figura e come lavoro
logico e come lavoro grammati~ale,>.'~
L'awocato Romagnoli aveva fatto redigere la Responsio aii'agostiniano pa-
dre Michelangelo Tellina," ma owiamente la presentava come lavoro proprio,
su cui tuttavia il Salotti ritenne d i dovere fare dei tagli per ragioni tattiche:
- «L'awocato - awertiva Don Tomasetti scrivendo al rettor maggiore dice
che alcune cose, le quali sarebbero state bene nella sua difesa, furono omesse,
perché mons. Salotti desidera dirle lui nel voto che leggerà davanti al papa»."
In altre parole si costruiva un piano tattico e si prevedeva una distribuzione
di parti che mirava a dare un'efficacia maggiore alle argomentazioni del pro-
motore della fede, cui spettava parlare per ultimo. In attesa deii'evento, il po-
stulatore Tomasetti tornava ad awicinare consultori e cardinali neii'intento di
illuminarli sugli eventuali prevedibili dubbi. Era una parte in cui Don Toma-
setti si trovava assai bene e daiia quale risolutamente tendeva a tenere lontano
sia Don Giovanni che Don Stefano Trione: il primo, addetto alla procura sa-
lesiana di Roma, era a suo giudizio troppo semplice e di poco tatto; il secondo,
vicepostulatore a Torino e pronto a venire a Roma per contattare i consultori,
" Scriveva il 26 giugno a Don Rinaldi: «Laseduta antipreparatoriaper Don Bosco si dispone
bene. Aheno tale è la mia impressione.Ma quanto costa! Confetti a tutti gli ufficiali e consultori!
Caffe, zuccaro agi'impiegati e agli stessi cardinali!...».- NeUa seduta del 30 giugno due consultori
diedero voto affermativo (Luca di Maria SS., preposito generale dei carmelitani scalzi; Giuseppe
Maria Robeni, dei padri minimi); tre diedero voto sospensivo (Antoninoda Coste, redentorista;
Felice Fioretti, barnabita; Giuseppe Haegy, deiia congregazione dello Spirito Santo); era assente
il gesuita Benedetto Ojetti. Cf. ASS, fondo Q, Antipreparatoria 30 giugno 1925.
'Tomasetti a RUialdi, Roma, 12 gennaio 1926 (AS 036).
" TOMASETM~eIm,orie confdenziali, p. 16.
" Tomasetti a baldi, Roma, 12 gennaio 1926 (AS 036).

10.9 Page 99

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secondo Don Tomasetti, con i suoi entusiasmi e la sua enfasi avrebbe potuto
ottenere I'effetto contrario.
I1 10 maggio Don Tomasetti informava Don Rinaldi di una voce comuni-
catagli dall'a%ocato:
«Mons. Romagnoli mi assicura che un vescovo si era sentito in dovere di scrivere
contro Don Bosco alla S.C. dei Riti dicendo che, se si conoscessero le voci che circo-
lano sul conto del fondatore dei salesiani, il Santo Padre ordinerebbe certamente che
se ne sospenda la causa di beatificazione e di canonizzazione. I1 card. Vico, come di
dovere, ne parlò al Santo Padre e il Santo Padre dette ordine, non già di sospendere
la causa, ma di cestinare la lettera. Ne sia ringraziato il Signore! Tuttavia ciò ci dice che
i nemici di Don Bosco non disarmano e che noi dobbiamo pregare Maria Ausiliatrice
più che mai. Se, come si spera, il 27 dicembre di quest'anno uscirà'il decreto sulla eroi-
cità delle virtù, i nemici non potranno più sollevare difficoltà contro Don Bosco.
Stiamo già preparando e il lavoro e l'ambiente per la preparatoria. Mons. Salotti mi as-
sicura che non lascia passare occasione per predisporre favorevolmente i consultori e
che se qualcuno nella preparatoria o nella generale coram sanciissimo solleverà ancora
dei dubbi, ne prenderà subito nota e, siccome il promotore d d a fede ha la parola per
ultimo, cosi li dissiperà seduta stante. Mons. Romagnoli ha terminato il lavoro intorno
aiie risposte da darsi alle Animadversiones e lo consegnerà in settimana al tipografo.
Verrà un volume assai grosso, che deve essere consegnato ai consultori e ai cardinali
nella prima metà di giugno. Tra awocato e tipografo spenderò da L. 20 a 30.000!,>.19
Tra maggio e giugno qualcosa accennò a non funzionare. Don Tomasetti
avvicinando consultori ebbe l'impressione che per circostanze che gli sfuggi-
vano covassero inquietudini e riserve. La congregazione preparatoria fu fissata
per il 20 luglio. Pochi giorni prima accadde l'imprevisto. Il postulatore si af-
frettò a scriverne costernato a Don Rinaldi. Era accaduto che per ordine del
S. Ufficio Giovanni Battista Romagnoli era stato sospeso dalla messa, deposto
daii'ufficio di assessore e vicepromotore della fede presso i Riti, spogliato delle
onorificenze con l'intimazione di allontanarsi daRoma. Evidentemente si trat-
tava di cose gravi («d'ordine morale*, scrisse asciuttamente Don Tomasetti
nelle sue Memorie confidenzialz) che si potevano ripercuotere malamente sui
processi di servi di Dio per i quali I'awocato era stato officiato dai salesiani."
La preparatoria si svolse in un clima greve. Mancava l'awocato. Il piano
predisposto dal Salotti fmì per non funzionare. Quando i cardinali uscirono
dalla-sala, Don Tomasetti capì tutto. Accostatosi a un cardinale, questi gli
strinse la mano bisbigliando congratulazioni; Don Tomasetti senti un prelato
officiale che al complimento cardinalizio aggiunse d'un soffio un'invettiva:
«Ipocrita!». Piuttosto che ipocrisia si trattava sicuramente d'imbarazzo.
«Sono qui mortificato dalle notizie di Roma - scrisse Don Rinaldi a Don
Tomasetti da Valsalice il 22 luglio -, ma sono sicuro che Don Bosco sarà un
Tomasetti a Rinaldi, Roma, 10 maggio 1926 (AS 036).
T O M A S EM~e,morie confidenziali, p. 16.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
giorno glorificato. Questa mortificazione è tutta per noi, che non ci siamo me-
ritati colla nostra santità che fosse pubblicata quella di Don Bosco. Qui ab-
biamo lasciato intravedere nulla [...l. Tuttavia dopo il 28 bisognerà ben dire
qualche cosa a chi c'interroga, ed allora converrà dare una risposta vera, con-
cordata con voi che conoscete da vicino ciò che convenga [...]. Mi sgomenta
il pensiero che i medesimi cardinali amici terminarono con gettare la colpa sul-
l'awocato...»."
Don Tomasetti cominciò il giro rituale dei consultori, dei cardinali e degli
officiali per riceverne il rincrescimento ma anche per cogliere informazioni uti-
li, sia per rendersi conto di quanto era accaduto sia per ritornare rapidamente
in posizioni di vantaggio. Risultò che nella prima fase della seduta, quando
erano insieme i cardinali e i consultori, a farsi portavoce di vari dubbi fu l'au-
torevole giurista gesuita, padre Benedetto Ojetti. Questi propose una serie di
ben diciassette obiezioni, tra le quali ne spiccavano quattro: 1) risultava dalle
testimonianze al processo che Don Bosco già nel 1858 aveva chiesto al papa
la dispensa dalla recita del breviario e che negli ultimi a m i non lo recitava af-
fatto; c'era da chiedersi se questa omissione non era dovuta a difetto di spirito
di preghiera; 2) lasciavano perplessi i metodi usati da Don Bosco per ottenere
offerte in denaro; 3) certe predizioni di Don Bosco non si erano awerate;
c'era da chiedersi se egli non era da considerare in questo genere di cose un
astuto ingannatore; 4) non era dei tutto evidente che Don Bosco non avesse
avuta alcuna responsabilità morale negli opuscoli odiosi contro l'arcivescovo
G a ~ t a l d i U. ~s~citi i consultori e rimasti a discutere e decidere i cardinali, fu-
rono Bisleti e Laurenti a non dichiararsi convinti e ad avanzare obiezioni.
Mancando l'awocato (e mancando il cardinal Cagliero, deceduto il 28 feb-
braio), la situazione era di patente debolezza. Più d'uno era intervenuto in pre-
" RINALDI,Snipfn, fol. 414.
)'Cf. T O M A S EM~em, orie confidenziali, p. 13. I1 voto di Benedetto Ojetti (1862.19321,
scritta a penna in lingua latina, datato e sottoscritto 12 luglio 1926, consta di 20 fogli scritti sui
retto; la numerazione deUe 17 ossenrazioni o obiezioni 2 fatta in margine a matita. Sullo spirito
di preghiera di Don Bosco e sui carismi straordinari espresse il proprio voto in termini in sostanza
positivi, ma formalmente sospensivo, Udefonso Schuster, ch'era, come Ojetti, consultare teologo.
Scriveva tra l'altro lo Schuster: «Causa venerabilis Johannis Bosco lente, sed turo gressu in pro-
sperum vergit exitum. Jam priecipuie obiectiones in antiprieparatoriasede excitatie, sat direnevi-
dentur a patrono solutie;q u e adhuc nonnibil rohoris senrant, facile puto posse in proximum sol-
vendas iri. Ex iis q u e uberiorem adhuc lucem expenant, has recensere iuvat. Contra accusatio-
nem: s e m Dei minus equo orationi deditum fuisse, vellem a patrono intimius describi intimam
eius vitam spiritualem et mysticam, charismatibus scmtationum cordium, prophetia, gratia sanita-
tum abunde ditatam. Hiec enim omnia, licet ad charismata aratis data oer se oettineant. de facto
tamen nonniri graiias gratum Lcienres comiranrur, exornanr er hnuunt. Quuad prophetiss cupe.
... rem ut. ex commcntiriis a discipuL famuù Dei in ncto voluminibus disthct~sD. atronus rccenseret
omnia iUa presagia, quie minime videntur adimpleta n (il voto, sottoscritto e autografo, è di 2
f.). Nella congregazione preparatoria i voti affermativi dei prelati e dei consultori teologi furono
12; i voti sospensivifurono quelli di Ojetti,Scbuster e del servita Angelo Angelucci; cf. ASS fondo
Q, Preparatoria 20 luglio 1926.

10.10 Page 100

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cedenza per spezzare una lancia contro l'awocato caduto in disgrazia, dichia-
rando che le argomentazioni da lui addotte nella Responsio erano deboli e in-
sufficienti. Il vecchio cardinale Vico, ponente la causa e prefetto dei Riti, do-
veva sentirsi confuso e appannato. Forse non gli venne in mente d'invitare altri
più lucidi di lui, o di sollecitare il segretario Mariani e il promotore della fede
Salotti. Questi, a sua volta, dovette sentirsi spiazzato e combattuto tra il ruolo
di promotore e quello di awocato di parte; sarebbe spettato infatti al cardinale
ponente supplire al difetto di difesa. I1 cardinale Aurelio Gaiii mormorava:
«Proprio a D o n Bosco si dovevano fare simili attacchi! ». I1 cardinal Vico capì
per lo meno che non si mirava a bloccare la causa. Per trarre se stesso e gli
altri dall'impackio propose di rimandare ad altra seduta la risoluzione, dopo
che fossero stati addotti ed esaminati i documenti che il promotore della fede
asseriva d i poter presentare.
Chiusa la riunione, si ebbero le prime impressioni a caldo. Il maestro del
S. Palazzo, padre Marco Sales, nonostante fosse ammiratore d i Don Bosco e
amico dei salesiani, commentava amareggiato e pessimista; con quella sorta d i
risultato si era affossata la causa e vi si era gettato un masso sopra." 11papa,
ignaro, aspettava una risposta positiva da mons. Salotti, aiiorché lo ricevette in
un'udienza d'ufficio. Che cosa accadde, lo riferì Don Tomasetti a Don Rinaldi
in una lettera del 22 luglio, che va1 la pena riportare per intero:
«Reverendissimo Sig. Don Rinaldi,
Ieri, mons. Salotti è stato ricevuto dal papa e gli ha riferito suli'esito della prepa-
ratoria. I1 papa che, date le ripetute raccomandazioni in favore di Don Bosco, era in
attesa delle più liete notizie, quando sentì da mons. Salotti che, dopo il voto favorevole
dei consultori, c'era da sperare che nella breve discussione che i cardinali soghono far
seguire appena i consultori hanno lasciato l'aula, la causa avrebbe avuto il favore degli
eminentissimi, ma che invece due cardinali presero la parola attaccando a fondo la di-
fesa che dissero insufficiente, inadeguata, impari alla grandezza della causa e chiedendo
ulteriori ischiarimenti; il papa - dice mons. Salotti - divenne rosso in viso e manifestò
il suo più vivo rammarico; poscia, dominandosi, chiese come si possa spiegare la con-
dotta di quei due cardinali, e mons. Salotti rispose che si spiega facilmente, quando si
sa che essi sono in intimi rapporti col Colomiatti e con altri sacerdoti di Torino eiusdem
furfuris!
Non importa - soggiunse il papa - Don Bosco trionferà lo stesso. - Si, riprese
mons. Salotti, Don Bosco trionferà, ma intanto i poveri salesiani aggiungeranno spese
a spese e poi... si perde tempo.
I1 papa: Quanto alie spese, i salesiani non si spaventeranno; quanto al tempo che
oggi ci fanno perdere, lo riguadagneremo. Dica ai salesiani che non si perdano d'animo.
E continuò a parlare di Don Bosco per tre quarti d'ora.
Ella mi domanderà: chi sono mai i due cardinali? Lo scriverò riservatamente in altra
mia lettera, quando avrò la conferma che le mie induzioni sono giuste. Siccome la causa
di Don Bosco è cara non solamente al popolo romano, ma anche agli ufficiali della S.C.
" TOMASEMTe~m, orie confidenziali, p. 17.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
dei Riti, così quando un cardinale, uscendo, mi stringeva la mano dicendo: Congratu-
lazioni! un ufficiale mi sussurrava all'orecchio: Ipocrita!... Basta: di questo Le scriverò
di nuovo.
Ora mons. Salotti sta redigendo le Animadversiones che saranno pronte - mi disse
- fra quindici giorni. Esse saranno chiare, affinché l'awocato possa rispondere trion-
falmente. Poi il 6 dicembre avrà luogo un'altra preparatoria, a meno che le risposte
sieno casi ben fatte e casi soddisfacenti, da permettere che si salti la nuova preparatoria
e si vada subito d a generale coram sanctissimo.
Mons. Salotti ha ripetuto le stesse cose al nostro awocato, mons. Della Cioppa, il
quale ha promesso di mettersi al lavoro con tutto l'impegno. Il papa avrebbe detto an-
che questo: A Don Bosco si nega quella indulgenza di cui si è larghi verso gli altri; tanto
meglio: il trionfo di Don Bosco sarà più glorioso.
Io penso che i due cardinali avranno a pentirsi di quanto fecero contro Don Bosco.
È certo tuttavia che il caso Romagnoli i d u i sinistramentesulla causa; dapprima perché
egli preparò la difesa mentre si trovava tra gli artigli del S. Officio, e poscia perché, es-
sendo stato destituito, non poté valorizzare a voce il suo lavoro.
Che pensare del risultato della preparatoria? Mons. Salotti dice che non si può dire
che essa sia andata male. Una causa va male quando si decide: reponatur, owero dilata,
owero, per le gravi difficolth, è rimessa a uno studio serio e lungo. Ora, nulla di questo
' nella preparatoria per Don Bosco».'4
I1 23 e il 24 luglio Don Tomasetti in lettere successive dava altri particolari
e forniva altri pronunziamenti positivi sia s d a solidità della causa sia sul non
lontano solenne decreto circa I'eroicità delle virtù di Don Bosco. 1126 rivelava
quanto era riuscito a sapere sui due cardinali responsabili dello scacco:
«Reverendissimo Sig. Don Rinaldi,
Ho saputo in via confidenziale i nomi dei due cardinali oppositori: Bisleti e Lau-
renti. Bisleti era ponente nella causa del Cafasso e quindi spesso aveva occasione di
conferire cogli awersari del ven. Don Bosco; Laurenti poi fu ospite dei sacerdoti della
Consolata quando si recò a Torino per le feste del Cafasso. Bisleti, mi si dice, apri so-
lamente il fuoco, ma Laurenti, colla sua parlantina, ribatté alcuni punti della difesa Ro-
magnoli dicendoli per lo meno insufficienti. Per esempio, dove la difesa dice che
Don Bosco domandava non per sé ma per le opere sue, ecc. ecc., Laurenti ribatterebbe
dicendo che in Don Bosco non si attacca l'impiego del denaro, ma il modo di doman-
darlo o di estorcerlo, adducendo come esempio ciò che si legge neu'accusa Colomiatti:
un giorno Don Bosco per indurre una donna a lasciarlo erede delle sue sostanze, la
condusse dinanzi allo specchio e le disse: Osservi come il suo volto brutto! e vorrebbe
contrarre matrimonio?!... Poscia vorrebbe fossero mostrati o prodotti a h S.C. dei Riti
i documenti che si riferiscono al doloroso caso del P. Pellicani... Insomma - dice mons.
Mariani - niente di nuovo e niente di grave; ma è sempre Colomiatti che cerca di farci
perdere tempo. Però - ripeto ciò che scrissi altra volta - se il segretario o il promotore
della fede si preparassero a rispondere, i ritardi non potrebbero aver luogo.

11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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Io attendo le nuove Animaduersiones, che dovrebbero essere pronte fra un dieci o
dodici giorni, e poi, se sarà il caso, volerò da lei. Mi benedica e mi creda
Le Aliz novz animadversiones, redatte rapidamente e segnate con la data
del 22 agosto, manifestano la situazione alquanto anomala in cui si trovava
mons. Salotti, già awocato della causa e ora promotore generale della fede.26
Essendo stato in precedenza patrocinatore della causa, il Salotti ritenne oppor-
tuno esordire proponendo alcuni principi generali che a suo parere dovevano
indurre ad accantonare le lievi obiezioni che si volevano ancora sollevare. Si
trattava di sentimenti che il Salotti aveva espresso più volte scrivendo o par-
lando di Don .Bosco. A suo giudizio infatti il fondatore dei salesiani era da
considerare un gigante di santità che spiccava tra i servi di Dio del suo tempo
per virtù, per opere e per apostolato. Le virtù di Don Bosco, chiariva il Salotti,
apparivano nel loro complesso come qualcosa di sublime; le opere rifulgevano
come qualcosa di prodigioso; l'apostolato ch'egli svolse per la salvezza delle
anime e la dilatazione del regno di Cristo nel mondo fu tanto intenso che la
storia a buon diritto lo denominò il più grande apostolo del secolo XIX.27Se
peraltro in un personaggio tanto distinto si notavano alcune ombre (forse am-
plificate più del giusto) conveniva riconoscere che non erano tali da oscurare
l'immensa luce che da lui promanava, né tali da menomare la molteplicità di
virtù da lui esercitate e le opere sante da lui esplicate assiduamente per tutta
- la vita in un arco di tempo tanto lungo. Non bisognava dimenticare pro-
- seguiva il Salotti che la vita di Don Bosco non si era svolta nell'ambito
chiuso di un chiostro d a sola ricerca della perfezione interiore. Don Bosco
visse nel mondo affrontando quotidianamente aspre battaglie; in tempi ostili,
" AS 036. Nel taccuino personale dell'anno1926 alle pagine dell'8 e 9 marzo, Don Tomasetti
diede altri particolari: «Come andò la preparatoria?- Tutto sembrava ben preparato per un esito
felice, quando: 1- Giunsero altre accuse da un vescovo, che credo piemontese; accuse che furono
ribattute dal promotore della fede. 2. Awenne che naufragò miseramente, nientemeno che alla ge-
nerale mram soncti~simo,la causa di certi martiri francesi, contro la quale il card. Ehrle osservò
che non era chiaro se essi fossero stati uccisi per la religione... osservazione che il papa fece sua
rinviando la causa a uno studio più serio e raccomandandogrande severiti... P Gli amici del Co-
lomiatti e dei canonici della Consolata [il santuario di Torino] (Bisleti e Laurenti) si ricordarono
delle maldicenze di mons. Colomiatti... Che awenne?... Questi due cardinali non si mostrarono
soddisfatti deile risposte dell'awocata e citarono, specialmente Laurenti, alcune di quelle accuse
più basse, per esempio: Don Bosco disse a una signora che se le dava L. 20.000 le avrebbe guarito
il figliuolo: la signora dette L. 10.000 e [il] figliuolo mod... poi il miracolo del conte Chambord.
A queste accuse mons. Mariani e mons. Salotti non seppero rispondere... e il card. Vico disse che,
... siccome il papa raccomandò la severità, era necessario chiedere necessari schiarimenti~.
Alie nove animadverriones,in: Antonio Vico relatore... Alia noua positio super virtutibus,
Rome, tip. Augustiniana 1926, pp. 1-18.
Alie nove animadversiones,p. 2: nProfecto nemo inficias ibit, ven. Dei famulumJoannem
Bosco instar gigantis eminere: eius virtutum complexus aliquid subiime nobis exhibet; tam mul-
tiplicia et fecunda eiusdem opera prodiiiosum in modum enitent: eius apostolatus pro animarum
salute, atque regni Jesu Christi h terris dilatatione, adeo intensus et assiduus extitit, ut historia
iure merimque maximum s e c d XM apostolum eumdem nuncupavetit*.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
riuscì a sviluppare ampiamente una società religiosa il cui fine e le cui opere
erano interamente per il bene delle anime ed in continua mirabile espansione;
non ci si doveva stupire se qualcuno, per zelo o per invidia, lo aveva censurato
o anche calunniato. Il Salotti si dichiarava dolente che un servo di Dio di tanto
spicco avesse avuto di recente un awocato impari al compito che gli spettava
sostenere; si dichiarava però sicuro che il nuovo awocato avrebbe svolto il suo
molo con piena soddisfazione vagliando bene le difficoltà e sciogliendo com-
pletamente ogni dubbio.
Le Aliz novz animadversionesproseguivano riportando tra virgolette la se-
rie di dubbi ch'erano stati proposti dai consultori e le insoddisfazioni ch'erano
state manifestate nei confronti di quanto si leggeva nella Responsio precedente
deli'awocato Romagnoli. Si parlava di luci e di ombre, di ammiratori e oppo-
sitori; ci Si interrogava su abiti virtuosi o viziosi, su atti lodevoli o meno. In
altre parole ci si muoveva pur sempre entro gli schemi di una lettura etico-giu-
ridica.
Riaffioravano tra l'altro le testimonianze e le notazioni che il canonico Al-
lamano aveva espresso nel processicolo circa l'oratorio di Don Bosco e i col-
legi per giovani dei suoi figli spirituali: ambienti educativi non bene ordinati
e perciò non da preferire secondo l'autorevole parola di Don Giuseppe Cafas-
so; si ricordava il monito che il beato Cafasso aveva rivolto a Don Bosco: «I1
bene va fatto bene». Quello che l'AUamano aveva rilevato non tanto come un
difetto, quanto come un elemento di differenziazione, nelle Aliz n o v z animad-
uersiones, e già nel corso della prima congregazione preparatoria, era presen-
tato piuttosto come qualcosa che lasciava perplessi, un'ombra nelle virtù di
Don Bosco che si rifletteva e si allungava nel comportamento dei suoi figli. E
non ci si chiedeva, in aggiunta, se piuttosto lo stile educativo di Don Bosco
non era da vedere come più adeguato ai mutamenti psicologici e sociali della
gioventù; per ciò stesso «più perfetto» rispetto a certi inquadramenti collegiali
restrittivi.
Come scrisse Don Tomasetti a Don b a l d i , a patrocinare la causa di Don
Bosco fu ufficiato mons. Giovanni Della Cioppa, noto negli ambienti di curia
e indicato dal Salotti come awocato esperto ed effi~iente.'~Il Della Cioppa,
che in quegli anni avrebbe patrocinato tra le altre la causa di Francesca Saveria
Cabrini, non era però addentro alla grande mole di incartamenti (oltre 30 vo-
lumi) che avrebbe dovuto esaminare e utilizzare. Gli vennero pertanto in aiuto
direttamente Don Tomasetti e il Salotti prowedendo materiali e discutendo
e limando il testo nei locali della procura salesiana con l'aiuto di Don Angelo
Amadei, fatto venire appositamente da Torino. Dall'archivio salesiano della
casa madre di Torino furono intanto selezionati documenti utili dal giurista del
capitolo superiore, Don Pietro Cossu. Si rovistò nuovamente presso l'archivio
" Cf. T O M A S EM~e,morie confidenziali, p. 17: slegale di sicuro intuito giuridico e molto
sollecito nel compiere il lavoro affidatogli».

11.2 Page 102

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della curia metropolitana e tra le carte in possesso del teologo Franchetti nella
speranza di ritrovare la tanto richiesta dichiarazione che il padre Antonio Pel-
licani rilasciò a mons. Gastaldi sdle responsabilità di Don Bosco negli opu-
scoli awersi all'arcivescovo. Ancora una volta la ricerca ebbe esito negativo e
ci si dovette contentare di una dichiarazione della curia metropolitana torine-
se.29
In occasione della preparatoria vari consultori avevano preso di mira i so-
gni di Don Bosco; uno anzi aveva cercato di compromettere anche Don Rua
richiamando quanto questi aveva dichiarato al processo informativo. «Io -
aveva detto Don Rua - sono portato a giudicare vere visioni quelle che egli
chiamava sogni; dal vedere come si vanno verificando esattamente le cose in
esse simboleggiate». Ma al processo, soggiungeva il consuliore, Don Rua non
aveva portato alcuna prova certa di predizioni circostanziate di Don Bosco che
si andavano awerando nel senso predetto. Che anzi, contrariamente a quanto
si andava dicendo dai salesiani, si avevano prove per affermare che <<profezie»
di Don Bosco non si erano affatto awerate. A tutti - soggiungeva il consul-
tore - era noto quanto andava dicendo il cardiale Cagliero; che cioè avrebbe
preso parte al concilio Vaticano, perché cosi gli aveva profetizzato Don Bosco.
Senonché, non era prevedibile una riapertura del concilio, ed era assoluta-
mente certo che il Cagliero non avrebbe potuto prendervi parte essendo già
morto.)'
Su sollecitazione di Don Tomasetti, Don Filippo Rinaldi scrisse una lettera
al card. Vico, ponente la causa di Don Bosco, nella quale chiariva due delle
obiezioni ch'erano state sollevate nella preparatoria e che dovevano essere af-
frontate nelle Aliz nove animadverszones: le omissioni di Don Bosco nella re-
cita del breviario e la «profezia» che gli si attribuiva, concernente la parteci-
pazione del card. Cagliero al Vaticano I:
«Si obbietta - scrisse Don Rinaldi il 29 settembre 1926 - che il servo di Dio do-
mandò ed ottenne la dispensa del breviario. La domandò quand'era nei cinquanta anni
e gli avveniva per lunghi periodi di tempo di non poter leggere affatto. Egli stesso lo
dichiamo a me ancor chierico, quando gli comunicai che andava a farmi visitare da un
oculista. Mi guardò, come per dirmi che non ne avrei ricavato alcun vantaggio e: Vedi,
mi disse, anch'io ho sempre avuto la vista debole e poi mi si è indebolita tanto che in
ceai periodi non posso leggere nulla, proprio nulla, mentre in altri leggo e scrivo con
minore o maggiore fatica*.)'
Don Bosco dunque, nonostante le attenzioni di valenti medici, quali Gio-
vanni Albertotti e suo figlio Giuseppe, non pare abbia ricavato vantaggi dalla
Tomasetti a Rinaldi, Roma, l1 settembre 1926 (AS 036).
'O Alie nove animndverrioner, p. 10s.
'l La lettera è riportata per intera nella Appendiw documentorum annessa alla Responsio ad
al& novos nnh~dverriones[p. 1.105, e I'Appendix, p. 3-127) sottoscritte da Giovanni Deiia
Cioppa e Pietro Melandti in data 29 settembre 1926; cf. Appendix, p. 3-5; è riedita in MB 19,
p. 399-401.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
medicina e dall'ocuiistica; forse perché era afflitto da un leucoma; o forse an-
che perché mai seriamente si decise ad affrontare una cura che lo costringesse
a portare quello strumento (alquanto borghese?) ch'erano gli occhiali, che
pure usavano Cavour, Gioberti, il salesiano Don Lemoyne (figlio di una con-
tessa) e che avrebbe portato lo stesso Don Rinaldi. Questi aggiungeva nella sua
lettera che Don Bosco, soprattutto negli ultimi anni, era noto per il raccogli-
mento in cui veniva trovato, con il rosario in mano, nei pomeriggi o in altri
momenti di quiete ali'Oratorio e altrove; e dichiarava al cardiale Vico la pro-
pria «intima convinzione, che il venerabile fu proprio un uomo di Dio, con-
tinuamente unito a Dio nella preghiera».
Quanto d a profezia concernente il Cagliero, asseriva che Don Bosco aveva
detto a questi, da poco promosso vescovo, che «sarebbe vissuto molti anni»
e avrebbe «assistito ad un grande awenimento in Vaticano». Non fu Don Bo-
sco a specificare quale sarebbe stato il grande awenimento, ma il segretario
del venerabile, Don Carlo Viglietti, allora giovane chierico che - scrive Don
Rinaldi- «interpretando di sua testa e con molta leggerezza le parole di Don
Bosco, disse e scrisse che Don Bosco aveva detto a mons. Cagliero, che
avrebbe assistito alla chiusa del concilio Vaticano». Don Rinaldi a sua volta si
spingeva a indicare quello che a suo giudizio era il fatto vaticinato da Don Bo-
sco: «Il grande awenimento al quale il card. Cagliero assisté realmente in Va-
ticano fu il conclave nel quale fu eletto il S. Padre Pio XI». Ma si tratta di
un'asserzione che pare gratuita, che mostrerebbe come nemmeno Don Rinaldi
uscisse d d a mentalità e dalla ,logica che poneva tutti i «sogni» tramandati
oralmente o per iscritto in un'unica categoria e tendeva a interpretarli come
la grazia speciale di una divina rivelazione.
Ali'interno del processo si rimase bloccati in tale logica. E fuori del pro-
cesso la natura di visioni e di vaticini celesti era l'unica accreditata. Proprio in
quegli anni sul «Bollettino» e altrove si celebrava il ricordo centenario del «so-
gno dei nove anni»;)' Don Eugenio Ceria intanto si sarebbe apprestato a fare
dell'interpretazione soprannaturalistica l'unica lettura ufficiale dei sogni di
Don Bosco nel volumetto Don Bosco con Dio (1929))' e poi nelle Memorie bio-
g~aftche,di cui sarebbe stato il continuatore dau'undicesimo (1930) al dician-
novesimo volume (1939).
Sommerse e quasi poste in oblio erano letture meno sempliicatrici e meno
rigide, proposte il più delle volte in fugaci battute o in espressioni sfumate da
salesiani più awertiti e più aperti, come Don Alberto Caviglia e Don Giovanni
Battista B ~ r i n o . )T~uttavia la persuasione che certe espressioni di Don Bosco
Cf. ad es. la lettera di Don Filippo Rinaldi ai cooperatori e alle cooperatrici,in: «Boiiettino
salesiano» 49 [gennaio 1925) p. 5s.
'' E. CEFU., Don BOSCOcon Dio, Torino, SEI 1929.
Sul Caviglia cf. il nostro vol. 11, p. 560; di G.B. BORINO,Don Bosco. Sei rmitti e un modo
di vederlo, Torino, SEI 1938 (Roma, ediz. non venale, 1940), p. 18: «Aveva una buona dose di
furberia e tante dtre beUe doti per far presa sui giovani». Va1 la pena trascrivere quanto disse Fi-

11.3 Page 103

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relative alla vita o alla morte di qualcuno erano da considerare come semplici
pronostici e come forme di augurio trovò persino spazio sul «Bollettino», dove
nel 1929 si pubblicò su Don Bosco e Ludovico da Casoria un breve trafiletto
dovuto al padre Clemente Perniciaro, superiore dei frati Bigi:
«Quando Don Bosco e padre Lodovico si incontrarono in Roma (l'unico incontro
della loro vita), il padre Lodovico gli domando Quanti anni avete?- Son del '15, gli
disse Don Bosco tutto serio e meditativo. E padre Lodovico di rimando: E io del '14.
- Vuol dire, aggiunse Don Bosco, che Lei porterà un anno più di me ail'eternità. Fu
certo un pio scherzo, ché nelle parole dei servi di Dio non si ha da cercare sempre a
ogni costo la profezia. I1fatto è che Don Bosco ne portò due di più del padre Lodovico
neil'eternità, dei iuoi preziosissimi e ricchissimi. I1padre Lodovico mori tre anni prima,
il 30 marzo 1885: Don Bosco il 31 gennaio 1888...S.''
Sul terreno delle obiezioni processuali restando fissi nell'alternativa tra va-
ticini profetici e false profezie si sarebbero potuti rilevare altri casi di predi-
zioni non aweiate. I1 coadiutore salesiano Pietro Enria, ad esempio, testimo-
niando al processo informativo sui doni soprannaturali di Don Bosco aveva ri-
cordato la profezia ch'era persuaso di avere avuta da Don Bosco; era ancora
un ragazzo quando Don Bosco gli aveva detto che se sarebbe stato «sempre
galantuomo sarebbe vissuto oltre i sessant'anni». Ne «ho cinquantadue», ag-
giungeva Enria, come per dire che aspettava di vivere f i o ai primi anni del
nuovo seco10.)~La morte invece lo colse che aveva cinquantasette anni il 21
giugno 1898.
Per uscire dallo scoglio dalle obiezioni, e non volendo accettare l'ipotesi
già proposta da mons. Bertagna e a suo modo da Domenico Bongiovanni
(certe predizioni e certi sogni rivelatori di cose occulte altro non erano che il
frutto di sottile intuito, di sopraffina sensibilità alle attitudini degli ascoltatori
e abile utilizzazione dei fatti di cui Don Bosco era venuto a conoscenza), non
rimaneva altra via che
seguita da Don Rinaldi e dali'awocato DeUa
Cioppa a proposito di Don Viglietti: non mettere in dubbio la soprannatura-
lità dei sogni e delle predizioni contestate; indebolire piuttosto la credibilità
dei testi che davano adito a obiezioni.
Per quanto riguardava gli opuscoli infamatori contro mons. Gastaldi, una
lippo Meda (1869-1939),anziano esponente del movimento cattolico prefascista in una conferenza
che tenne il 26 aprile 1931 nell'episcopio di Pisa: Don Bosco, Torino, SEI (ma Pisa, Arti grafiche
Pacini-Mariotti)1931, p. 11: «Non soffermiamoci sulla forma del sogno, a cui D. Bosco più volte
ha ricorsa per dare forma concreta alle sue ispirazioni, ai suoi presagi, a i suoi ammonimenti: ri-
v
r
l
~
z
i
on
~~
ee~ ffe-~ tt~iv~a
della
volontà
e
del
diseano
di
Dio
su
di
lui,
o
formulazione
interna
dei
pensieri
e degli affetti gia dominanti, forse inconsci...».
'' «Bollettino salesiano» 53 (ma-n-gio 1929) p. 144, che riporta dal scorriere d'Italia»,28
mano 1929.
'6 Testimonianza al processo informativo, sess. 132 (3 febbraio 1891); cf. Copio pubblico, fol.
10321.Pietro Enria nacque a S. Benigno Canavese il 20 giugno 1841; mod a Torino i121 giugno
1898.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
migliore disposizione dei fatti secondo la loro successione cronologica servi a
dare maggior peso sia alle parole di Don Bosco che si dichiarava dispiaciuto
e del tutto estraneo, sia a quelle dei testi al processo e sia infine ai memoriale
in cui Don Giovanni Turchi si dichiarava autore di quelli per i quali dal Co-
lomiatti e da mons. Gastaldi era sospettato Don Bosco. I primi opuscoli infatti
uscirono nel 1878-79. Già nel 1877 mons. Gastaldi aveva diffidato Don Bosco
intimandogli la sospensione dal ministero delle confessioni se avesse scritto e
pubblicato qualcosa relativo aiie questioni controverse, eccezion fatta di me-
morie destinate esclusivamente al papa e ai cardinali delle congregazioni ro-
mane direttamente interessate alle vertenze. L'intimazione del vescovo preclu-
deva espedienti che ripugnavano d a buona coscienza. Don Bosco infatti per-
corse solamente quelle vie che il diritto e l'esplicito comando del proprio ar-
civescovo gli avevano lasciato aperte. Gli episodi curiosi che l'anziana signo-
rina Civra era andata narrando e le parole spontanee e risentite che Don Bosco
aveva detto al buon padre Pellicani in colorito piemontese erano cose del tutto
irrilevanti, e anzi provavano l'innocenza di Don Bosco e le gravi sofferenze in-
teriori che stava sopportando.
Quanto ai modi usati da Don Bosco per ottenere offerte in denaro, non fu
difficile opporre che gli autori delle obiezioni mosse nella preparatoria non
avevano fatto altro che riprendere le voci o distorte o del tutto infondate del
Colomiatti, già pienamente contraddette dai testi chiamati nel processicolo
istruito appositamente.
L'appressarsi della nuova preparatoria, predisposta in un primo tempo per
il 4 dicembre 1926, fu caratterizzata da un grande nervosismo."Rimasero tra-
secolati e contrariati il Salotti e Don Tomasetti quando appresero che il card.
Vico si rimprometteva di chiedere al papa di poter distribuire previamente ai
consultori e ai cardinali il processicolo informativo sugli addebiti mossi dal ca-
nonico Colomiatti. Ciò significava che sarebbe occorso del tempo per ristam-
parlo, data I'esiguità di copie disponibili. Sia il promotore della fede che il po-
stulatore ritenevano in sostanza ch'era un perdere ulteriormente tempo il ri-
sollevare questioni già affrontate e risolte nell'antipreparatoria, e ritenevano
comunque che le più rilevanti obiezioni sarebbero state trattate nella prepara-
toria imminente. Se il papa dava l'autorizzazione, essi avrebbero in ogni caso
fatto rilegare nello stesso volume la Confutarione fornita dalla postuiazione sa-
lesiana. Anche di questa però a Roma non si avevano copie a sufficienza. Don
Tomasetti scrisse perciò subito a Torino per farsene inviare sollecitamente una
cinquantina di esemplari.3s
Mons. Salotti non riusciva a smuovere il card. Vico dal suo intento. Egli
" Scrivendo a Don Rinaldi, Don Tomasetti univa insieme apprensioni e critiche nei confronti
d d a Responrio elaborata dal DeUa Cioppa: «Cenol'awocato risponde a tutte le difficoltà, ma con
un latino alle volte poco chiaro e alle volte poco corretto. Vi sono poi errori di stampa non po-
chi...u (da Roma, 25 ottobre 1926).
Tomasetti a Rinaldi, 30 ottobre 1926 (AS 036).

11.4 Page 104

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stesso era combattuto, se prevenirlo o no in un'udienza pontificia; sarebbe
stato infatti opportuno, ma forse anche scorretto. I1 card. Vico ebbe dal papa
una risposta aperta: se lo riteneva utile, poteva procedere d a distribuzione del
processicolo. Quando il cardinale ebbe in mano il volume, rimase interdetto.
Immaginava che si trattasse d i pochi fogli. Forse pensò che procedendo alla
distribuzione sarebbe stato necessario lasciare più tempo alla lettura personale
e perciò far slittare di molto la data della congregazione preparatoria, dando
così adito a interrogativi spiacevoli. Finì per rinunziare al suo progetto. Ma
non era quieto e tranqudlo: forse gli si poteva fare l'appunto che aveva omesso
volontariamente la trasmissione di documenti che potevano aiutare a una mi-
gliore comprensione di quanto ancora si voleva chiarire.)'>
Don Tomasetti e mons. Salotti a loro volta avevano i nervi a fior di pelle.
I1 primo, commentando il progetto del cardinale Vico, scriveva a Don Rinaldi:
«Che bel ponente che abbiamo! ».'O Poi aggiungeva i suoi timori sul Salotti. Se
questi, come nella preparatoria precedente, si presentava impreparato (ma il
Salotti si era preparato a suo modo predisponendo un gran piano tattico), si
sarebbero avuti altri incagli. Salotti in quei giorni si mostrava infastidito. A To-
masetti aveva anche detto che nessun altro processo gli aveva procurato tante
fatiche e tante noie?'
Per cause estranee la preparatoria fu spostata al 14 dicembre. I1 7 novem-
bre Don Tomasetti scriveva a Don Rinaldi che mons. Salotti si era assentato
da Roma e sarebbe rientrato solo il 13: c'era di che arrovellarsi per queste as-
senze in tempi così importanti; Don Tomasetti era tentato di lamentarsi del
promotore della fede con chi di ragione, così come sentiva che facevano altri
postulatori di cause di santi.
«Non basta - annotava Don Tomasetti nelle sue memorie confidenziali-. Mons.
Salotti mi avvertiva che anche tra gli stessi membri della S.C. dei Riti affioravano le ac-
cuse del Colomiatti contro la "formazione religiosa e culturale dei salesiani, come se
questi non fossero che un'accozzaglia di persone ignoranti e villane". Don Giovanni Si-
monetti e Don Antolisei ricorderanno, forse, che su questo li richiesi di consiglio per
poter dare risposte convincenti ed efficaci. Comunque, conversando con gli ufficiali di
quel sacro dicastero, si fece loro comprendere: 1) che Don Bosco, dovendo fondare
una congregazione corrispondente ai bisogni del tempo - e quindi anche nuova per lo
spirito - fu nella necessità di formare egli stesso i soci scegliendoli tra i giovani che lo
circondavano. I1 venerando padre Antonio Angelici, gesuita, celebre latinista, il quale
seguiva con ammirazione e affetto la nascente opera, soleva due che il Signore bene-
diceva Don Bosco anche inviandogli dei giovani d'ingegno e di buon volere;
2) che siccome quei giovani non erano nati né con la chierica, né con in mano lauree
e diplomi, così ha dovuto farli studiare per awiarli sia au'altare, sia all'in~e~namen..t.o
Le littere decretnles della canonizzazione ascrivono a merito di Don Bosco i'avere per
" Tornasetti a Rinaldi, 7 novembre 1926 (AS 036).
" Tomasetti a Rinaldi, 30 ottobre 1926 (AS 036).
" Tarnasetti a Rinaldi, 6 dicembre 1926 (AS 036).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
primo inviato i suoi alunni, i suoi sacerdoti alle pubbliche università; 3) che così poté
avere ben presto un buon numero di patentati in vari rami dello scibile: Don Michele
Rua, Don Giovanni Battista Francesia, Don Celestino Durando, Don Francesco Cer-
ruti, Don Paolo Albera, Don Giovanni Garino, Don Giuseppe Bertello, Don Clemente
Bretto, Don Luigi Piscetta ecc.; che non solo insegnavano con profitto degli alunni, ma
fornivano anche le scuole di testi molto adatti, sui quali, senza sapere che fossero dei
salesiani, avevano altresì studiato e imparato gli stessi obiettanti; 4) che quanto alla for-
mazione religiosa si può asserire, senza timore di smentita, che tutti gli alunni formati
da Don Bosco erano di una semplicità rschiettezza trasparente, di una rettitudine d'in-
tenzione, direi, palpabile, senza contare e il ven. Domenico Savio e i servi di Dio Don
Michele Rua, Don Augusto Czartotyski, Don Andrea Beltrami e altri esimi sacerdoti e
laici che la voce comune indicava come degni di essere innalzati agli onori degli altari.
Quello poi che sorprende in questa formazione religiosa data da Don Bosco, si è che
egli non alterava la fisionomia morale dei singoli individui, ma la perfezionava, in quella
guisa che l'agricoltore non confonde e non altera i colori e i profumi dei diversi fiori
e i sapori dei diversi frutti, ma li perfeziona nella loro specie»."
I1 giorno della preparatoria, ricorda Don Tomasetti, si respirava un'aria ca-
rica di elettricità. La tensione si leggeva sul volto di tutti, consultori e cardinali,
prima che essi entrassero nella sala destinata alle congregazioni. Mentre si at-
tendeva, si udì un gran vociare nel corridoio: avanzavano insieme gesticolando
il cardinale Laurenti e mons. Salotti. Laurenti andava esponendo al Salotti
le obiezioni che aveva in animo di sollevare: erano le solite del Colomiatti; Sa-
lotti ribatteva; Laurenti replicava con voce più forte; Salotti accalorato giunse
al punto di gridare: «O l'eccellenza vostra mi adduce le prove di quanto so-
stiene o io La denuncio al papa quale calunniatore di Don Bosco! Sarebbe mio
dovere!». Tutti stavano col fiato sospeso. I1 cardinale Verde, accostato al Sa-
lotti, sussurrava conciliante: «Carlo, Carlo! pensa che hai di fronte u n cardi-
nale!...»."
La riunione durò meno di quanto ci s'immaginava, non fu per nulla tem-
pestosa e si concluse con il giudizio positivo suli'eroicità delle vittù e i doni
soprannaturali del venerabile. L o stesso esito si ebbe nella congregazione ge-
nerale alla presenza del papa (coram sanctissimo) 1'8 febbraio 1927. Uditi i voti
dei cardinali, tutti favorevoli, il papa dichiarò che avrebbe deciso dopo avere
riflettuto e pregato; ma mentre tornava negli appartamenti pontifici lo si ve-
deva felice e raggiante; conversando in quei giorni a più d'uno parlava spon-
taneamente di Don Bosco. La decisione papale venne infatti presto.
Per la domenica di sessagesima, 20 febbraio, fu fissata la lettura del decre-
to. L'aula concistoriale del Palazzo Apostolico era in quel giorno insolitamente
<' TOMASEMTe~m,orie mnfidenziinli, p. 17-19.
" TOMASETM~eIm, orie confdenzial p. 19s. Su 25 prelati e consultori, 23 diedero vota af-
fermativo;2 voto sospensivo:ilservita Angelo Angeluccie mons. Francesco Parrillo, prelato ai Riti
e uditore della S.R. Rota; non diede alcun voto il padre Ojetti (il cui nome perciò è cancellata sul-
l'elenco a stampa dei consultori); cf. ASS fondo Q, Preparatoria 14 dicembre 1926.

11.5 Page 105

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affollata. Data la natura semipubblica della cerimonia, erano presenti salesiani,
figlie di Maria Ausiliatrice, rappresentanti dei cooperatori e degli ex allievi, de-
putazioni della diocesi di Torino e di Asti, molti vescovi, tra i quali quello di
Casale Monferrato mons. Pella e l'ausiliare di Torino mons. Pinardi; assiste-
vano gli ambasciatori del Cile e del Perù, il ministro rappresentante dell'Ar-
gentina, il consigliere dell'ambasciata germanica e altri diplomatici."
Venne letto anzitutto il decreto. A prepararlo era stato mons. Angelo Ma-
riani, segretario dei Riti. Nel suo esordio riecheggiava quanto era stato detto
da mons. Salotti nella seconda preparatoria sulla grandezza eminente di Don
Bosco; proseguiva esponendone la vita sulla base di quanto era stato scritto nel
decreto d'introauzione deUa causa (1907) e qua e nella Informatio di varie
fasi del processo; concludeva riassumendo le ultime tappe della causa, dall'an-
tipreparatoria del 1925 fino alla congregazione generale coram sanctissimo.
A sua volta Don Tomasetti lesse un indirizzo al papa supplendo in tale
compito Don Rinaldi, ch'era rimasto bloccato a Torino da un attacco influen-
zale. Ii contenuto dell'induuzo rifletteva i convincimenti che Don Filippo Ri-
naldi più volte aveva espresso nelle sue lettere circolari ai salesiani e in quelle
ai cooperatori. L'intima convinzione sua e dei suoi confratelli, che Don Bosco
era santo e modello di santità, si era formata nella «diuturna convivenza con
lui», era stata consolidata dal giudizio che ne davano illustri personaggi, au-
torità civili e «pressoché tutti i popoli del mondo»; ma «la sicurezza - pro-
seguiva Don Tomasetti - ci poteva venire, e ci è venuta, oggi soltanto dalla
santità Vostra».
Poi fu il papa a parlare. Esordì ribadendo concetti già espressi in privato
e in aubblico ed ebbe allusioni al travagliato itinerario della causa: «I1vene-
L
rabile Don Bosco - affermava - appartiene appunto a questa magnifica ca-
tegoria di uomini scelti in tutta l'umanità, a questi colossi di grandezza bene-
fica, e la sua figura facilmente si ricompone, se all'analisi minuta, rigorosa delle
sue virtu, quale venne fatta nelle precedenti discussioni lunghe e reiterate, suc-
cede la sintesi che riunendone le sparse linee la restituisce bella e grande».
Proseguiva con il tema caro dei ricordi personali: «Noi l'abbiamo veduta da
vicino questa figura, in una visione non breve, in una conversazione non mo-
mentanea: una magnifica figura, che l'immensa, l'insondabiie umiltà non riu-
sciva a nascondere, una magnifica figura...».
S d a stampa si diffondevano gli echi dell'evento. Un po'dappenutto i sa-
lesiani rinnovavano festeggiamenti e celebrazioni. Si riaccendevano le speran-
ze. I1 «Bollettino salesianon del marzo 1927 pubblicava in prima pagina un
editoriale osannante: e20 febbraio 1927! Data storica, gloriosa, memoranda
Cf. uBollettino salesiano» 51 (marzo 1927) p. 65-72: decreto in versione italiana, indirizzo
di Don Tornasetti e discorso del papa. Del decreto forniscono due versioni diverse da quella del
«BoUettino* la «Rivist.*diocesana torinese» 4 (15 marzo 1927) p. 53-55, e G. Della Cioppa, Come
sifnnno i santi (Causa di S. Giovanni Bosco), Roma, libreria F . Ferrati 1934, p. 36-43; Don Ceria
nelle MB 19, p. 75-78 trascrive dal Della Cioppa.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
per la famiglia salesiana [...l. La gioia incontenibile di oggi ci fa pregustare
quella completa di domani, quando, invitati dalla Voce suprema del dolce
Cristo in terra, potremo salutare il nostro Maestro e Padre non solo eroe, ma
beato...».
2. Dal riconoscimento dei miracoli aUa beatificazjone (1927-1929)
I1 riconoscimento dei due miracoli richiesti per la beatificazione non com-
portò grandi problemi e procedette con speditezza. I1 22 marzo 1927 furono
riconosciuti validi i processi apostolici fatti da giudici delegati a Torino e a Pia-
cen~a;~il'24 gennaio 1928 fu tenuta la congregazione antipreparatoria; l'l1 di-
cembre quella preparat~ria;'i~l 5 marzo 1929 si ebbe la congregazione gene-
rale;" il 19 marzo, festa di S. Giuseppe, la lettura del decreto, con l'indirizzo
al papa di Don Tomasetti e un discorso in cui Pio Xi tessé insieme in modo
suggestivo i miracoli per la beatificazione con quel miracolo ch'era costituito
da Don Bosco e dalle sue opere che si moltiplicavano nel mondo.48
In base alla normativa vigente trattandosi di un servo di Dio per il processo
del quale erano stati ascoltati testimoni oculari, per procedere alla beatifica-
zione bastavano due soli miracoli ottenuti per sua intercessione. I1 postulatore
Don Tomasetti presentò il caso di suor Provina Negro, una figlia di Maria Au-
siliatrice che a Torino era guarita istantaneamente da grave ulcera gastrica, e
l'altro di una signorina di Caste1S. Giovanni (diocesi di Piacenza), Teresa Cal-
" ... Antonio Vim realatore... Positio super ualiditateprocessuum, Romze, typis Guerra et Muri
1927. Precede la Informatio (p. 1-13) sottoscritta da DeUa Cioppa e da Pietro Mdandri il 22 feb-
braio 1927; segue il Summarium relativo al processo di suor Provina Negro a Torino e a quello
di Teresa Cdegari a Piacenza (p. 1-121); le Animadversioner (p. 1-4) sottoscritte dal Salotti il 28
febbraio 1927, e la Responsi0 (p. 1-7),sottoscritta da DeUa Cioppa e Melandri il 3 mano 1927.
' V , .Antonio Vim relatore... Noua positio super miranrlir, Roma, tip. Guerra e Mirri 1928.
Precedono le Nove animaduersion~r(p. 1-21) sottoscritte dal Salotti il 7 aprile 1928; seguono: Ju-
diium medicum legale... ruper miraculo primo... Provinae Negro a6 ulcere rotundo stomnchi (p. 1-
24) sottoscritto dal dott. Giulio Persichetti, Roma, 25 maggio 1928, e quello super miranrlo senrn-
do... Thererie Callegari a6 arthrite chmnica portinfluenzaligenu sinirtn a rpondylo-arthnle artuum
et vertebronrm, a meningite serosa spinali chronica, a branchidite chronicu, a6 enterocolite ulcerosa
chronica et a m u m (p. 1-76) sottoscritta dal dottor Umberto Stampa, Roma, 18 aprile 1928;
chiude la Rerponsio ad nouus animaduersioner (p. 1-42), sottoscritta dal Della Cioppa e dal Me-
... landri il 18 luglio 1928.
" Antonio Vico relatore... Novissima positio super mirrlculis, Romce, typis Guerra et Muti
1929. Precede il Factym concordatum (p. 1-3) sottoscritto dal cardinale ponente Vico; seguono le
Novissims onimaduersiones (p. 1-22) sottoscritte dal Salotti il 6 gennaio 1929; Nonnullz e x p l k -
tiones... ruper sanatione sororix Prouinae Negro (p. 1-14) del dottor Persichetti, Roma, 24 gennaio
1929; Nouissimumjudiium legale mllegialiter latum... super sanatione Theteriz Callegari (p. 1-28)
sottoscritto dai dottori Lorenzo Sympa, Achille Chiays e Umberto Stampa, gennaio 1929; la Re-
sponrio ad nouissims onimaduersiones (p. 1-40) sottoscritta dal DeUa Cioppa e dal Melandri, 30
gennaio 1929.
nBoUettino salesiano» 53 (giugno 1929) p. 169-173; d a p. 171: ritratto deUe due muaco-
late in ginocchio insieme accanto d a tomba di Don Bosco a Valsalice; cf. anche MB 19, p. 94-104.

11.6 Page 106

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legari, guarita istantaneamente da artrite cronica e da un complesso di malattie
che ne avevano portato l'organismo al marasma.
L'uno e l'altro episodio si collocavano neU'attitudine religiosa ormai dif-
fusa anche nelie aree di cultura orale contaminata e trasformata da quella deila
stampa e del libro; ormai infatti l'invocazione di grazie tramite un servo di Dio
o un santo aveva dappertutto negli spazi europei della religiosità cattolica un
carattere meno pattizio e meno contrattuale rispetto a epoche precedenti; sep-
pure si nutrivano preferenze per santi taumaturghi popolari e affermati, come
S. Antonio da Padova e S. Rita, non si aveva difficoltà a chiedere la grazia a
personaggi, come Don Bosco o altri servi di Dio, i quali erano proposti come
propensi all'intercessione di divini favori, perché loro stessi dal miracolo
avrebbero avuto un attestato utile ai fini deUa glorificazione terrena.
La cerchia delle comunità religiose dei salesiani e delle figlie di Maria Au-
siliatrice era owiamente la più predisposta a chiedere in modo specifico una
qualche grazia ali'intercessione del proprio venerabile fondatore. Così awenne
nel caso di suor Provina Negro. Questa peraltro si comportò secondo moduli
materialmente tramandati dalla religiosità magico-sacrale. Dopo avere conver-
sato insieme a consorelle, che l'avevano esortata a chiedere il miracolo a Don
Bosco, la sera della domenica 29 luglio 1906 si trovò sola.49Aveva sul como-
d i o presso il letto un ritratto di Don Bosco ritagliato dal «Bollettino salesia-
no»; le sgorgò dal cuore la preghiera al venerato servo di Dio; prese d'impulso
il foglio col ritratto, ne fece una pallottolina e la trangugiò, nonostante il me-
dico le avesse vietato d'ingerire qualsiasi cosa, date le gravissime condizioni
deilo stomaco ulcerato. Non ebbe né visioni, né voci celesti, ma il sentimento
che Don Bosco le aveva ottenuta la grazia. Si alzò e si mosse dalla sua stanza
alle altre dell'infermeria. I1 giorno dopo si levò con le consorelle. Poco dopo
il medico la riconobbe pienamente guarita.
11 modulo di grazia della Callegari è più vicino agli stereotipi agiografici.
Dopo una notte insonne e dopo un breve assopimento un mattino del gennaio
1921 ebbe la visione di un prete che in piemontese le disse di muovere le gam-
be: «Bogia le gambe»; lei, piacentina, non capì la parola dialettale, ma si rese
conto ch'era invitata a muovere le gambe, nonostante da tempo fosse immo-
bile a letto. Effettivamente poté muoversi, alzarsi, aggirarsi per le stanze del-
l'ospedale presso cui era ricoverata. Nel prete aveva riconosciuto Don Bosco,
al quale, dietro suggerimento di una suora e del parroco, aveva recitata e rei-
terata una n o ~ e n aU. ~ni~co elemento discordante (ma sul quale le prime testi-
monianze e le prime pubblicazioni sorvolarono): il prete apparso era di alta
statura?' Su questo particolare non ci si appuntò nemmeno presso la S.C. dei
" Suor Provina Negro aveva 31 anni nel 1906.
' O Teresa Callegari aveva 26 anni nei 1921.
" Cf. nBoUettino salesianon 47 (agosto 1923) p. 199s, la relazione che inviò il cappellano del-
l'ospedale, teologo Vittorio Zaneììi, da Caste1S. Giovanni (Piacenza): «Mi fece il seguente raccon-
to: M'ero svegliata alle 4 del mattino e cominciai a parlare con un'altra degente, tal Campagna Co-
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Riti al dibattito sul miracolo, forse perché s'ignorava che il «gigante di santità»
nella sua statura fisica, stando al passaporto più antico (1852), era piccoletto
e non raggiungeva un metro e sessantatré centimetri.
Nel giudizio sui miracoli aveva un peso decisivo il parere dei periti medici.
Nei confronti dei due casi prescelti non mancò il dibattito tra chi tendeva a
inquadrare ciascun caso nel corso naturale delle cose e chi sosteneva l'inspie-
gabilità delie due guarigioni repentine. NeU'un caso e neU'altro si cercò di ac-
creditare dagli obiettori la natura nervosa e psicologica dei mali. In suor Pro-
vina infatti, verificando dopo anni la guarigione istantanea, non si trovarono
tracce di ulcere rimarginate: era, secondo i medici inclini d a inspiegabilità
della guarigione, una circostanza singolare e notevole, accettata owiamente
come previa l'esistenza di una grave ferita allo stomaco; i medici obiettanti ten-
devano a 'sollevare dubbi sulla diagnosi deila malattia; ma era naturale che i
medici curanti della suora non erano disposti ad accettare errori nella propria
valutazione ed erano inclini piuttosto ad ammettere che la guarigione potesse
essere awenuta o grazie alle loro cure owero per circostanze che personal-
mente non riuscivano a spiegare. Più vivace fu il dibattito attorno al caso della
Callegari, il cui stato di malattia anche al medico curante appariva molto com-
plesso e con una marcata componente psicopatologica. Awenne inoltre che a
distanza di qualche anno la Callegari cadde nuovamente ammalata.
Nel definire l'aspetto medico dei due casi Don Tomasetti e mons. Salotti
poterono contare sulla competenza del dottor Lorenzo Sympa, medico d'uf-
ficio presso la S.C. dei Riti. I1 Sympa si recò sia a Torino che a Piacenza. In
suor Provina riscontrò l'inesistenza di rimarginazioni da ulcera, ma accreditò
la diagnosi della malattia. Quanto alla Callegari rilevò che la nuova malattia
non era una ricaduta in quelle precedentemente diagnosticate e dalle quali era
guarita repentinamente.
Sia le Animadversiones che le risposte elaborate nelle varie fasi del pro-
cesso furono compilate da mons. Salotti e dali'awocato Della Cioppa con il
valido appoggio del dottor Sympa. Di conseguenza il dibattito dei consultori
e dei cardinali risultò imbrigliato e guidato verso l'esito che si desiderava.
I medici dunque s'imponevano nel valutare come inspiegabili le guarigioni
istantanee. Avevano invece libero spazio nei loro interventi i consultori e i car-
dinali, quando si discuteva del nesso tra le guarigioni istantanee miracolose e
l'intercessione specifica del servo di Dio del quale si postulava la beauficazio-
rinna, affetta d'artrite. Ero completamente sveglia; lo prova il fatto che discorrevo con la compa-
gna. D'un tratto volgendo lo sguardo verso il comodino, cioè a destra, vidi un prete, senza ber-
retta, di statura piuttosto alta, rosso in faccia, capelli ricciuti, dalla apparente età dai 35 ai 38 anni,
colle mani incrociate sul petto [...l. Mentre mi rivolsi a lui e già avevo detto: Don Bosco...,questi
si ritrasse, con viso tutto sorridente, a poco a poco, tenendo la faccia sempre rivolta a me, finché
scomparve». Nel <Bollettino salesiano* citato, del 1929, p. 172, si ha la modifica: «Mi vidi com-
parire un prete di media statura, vestito di nero con le braccia incrociate, capelli neri ricci...»; que-
sta redazione è passata alle MB 19, p. 91.

11.7 Page 107

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ne. Come abbiamo già accennato, nella seconda metà deU'800 era forse au-
mentata la propensione degl'individui e dei gruppi a non essere esclusivi nel
chiedere grazie a intercessori celesti. Non sono rare le relazioni di grazie ot-
tenute invocando insieme la Vergine SS. e qualche santo; Maria Ausiliatrice e
il suo «servo» Don Bosco; non rari sono i quadretti votivi che rappresentano
insieme la Vergine e qualche altro santo, implorati e ringraziati insieme per la
grazia ricevuta; non rare sono le relazioni di grazie ottenute da ammalati che
si recarono in treno o in altro modo a Lourdes e poi anche in aitri santuari
mariani. Ii caso della signora Marina Della Valle, che, stando al salesiano Don
Dalmazzo, non otteneva la guarigione perché faceva confusione d'intercessori
e finalmente l'ebbe quando invocò esclusivamente Don Bosco, è forse emble-
matico di comportamenti non rari tra '800 e primo '900. I1 card. Salotti, a sua
volta, nei suoi ricordi narra le argomentazioni che dovette sfoderare presso i
Riti durante il pontificato di Pio X per rivendicare all'intercessione di Gio-
vanna d'Arco una grazia in precedenza implorata al santuario di Lourdes.12
Sotto questo aspetto, per quanto riguardava i miracoli in esame in ordine alla
beatificazione di Don Bosco, quello della figlia di Maria Ausiliatrice non destò
alcun problema; ci fu invece chi ebbe ad eccepire sui caso deiia Callegari, per-
ché costei, prima di pregare Don Bosco con una novena, aveva chiesto la gra-
zia alla Vergine e ad altri awocati celesti. Prevalse il parere che la grazia era
stata ottenuta per l'intercessione di Don Bosco, sulla base di quanto la donna
aveva più volte dichiarato.
Le informazioni che Don Tomasetti forniva a Don Rinaldi erano pertanto
ottimistiche ed euforiche: presto, nel 1928, nel 1929, in data da fissare, si sa-
rebbe avuta la tanto sospirata beatificazione di Don Bosco. Attorno al 1928 i
salesiani avrebbero dovuto celebrare il loro capitolo generale. Don Tomasetti
suggeriva di ritardarne la convocazione fmo a quando si era certi del giorno
fissato per la beatificazione di Don Bosco; in tal modo infatti si sarebbero
ridotte le spese per viaggi di partecipanti al capitolo che sicuramente sareb-
bero ritornati in Italia dai vari continenti per assistere alla glorificazione del
loro padre."
Sopraggiunse il timore di ritardi quando si sparse la voce che il patriarca
di Venezia, La Fontaine, sarebbe stato nominato proprefetto ai Riti. Molte in-
congruenze ai Riti, si diceva, erano dovute alla decadenza fisica e psichica del
cardinale Vico. La notizia che a questi sarebbe subentrato il La Fontaine pro-
- vocò scrisse Don Tomasetti a Don Gusmano - una levata generale di
scudi tra i postuiatori di cause di santi e fra quanti s'interessavano ai processi
di beatificazione?' La Fontaine, ricordava il Tomasetti, aveva riportato in alto
mare la causa di Don Bosco quando, come segretario dei Riti, aveva sollecitato
" Il cardinnle Carlo Salotti nelle sue memorie, p. 122-124.
'' Tomasetti a Gusmano, 20 febbraio 1928 (AS 036).
" Tomasetti a Gusmano, 7 marzo 1928 (AS 036). Ii card. L a Fontaine è ricordato tra i coo-
peratori defunti; cf. «Bollettino salesianon 59 (settembre 1935) p. 287.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
il processicolo suppletivo s d e accuse del Colomiatti; La Fontaine, diceva l'au-
torevole gesuita Tacchi Venturi, non amava il servo di Dio Giuseppe Pigna-
teili, generale della Compagnia di Gesù e vicino alla beatificazione; non amava
nessuna beatificazione e canonizzazione, affermavano altri; ma la C.C. dei Riti,
soggiungeva padre Tacchi Venturi, era stata fatta apposta per le cause dei san-
ti; a che cosa serviva se si bloccavano i processi?
I1 card. Vico rassicurava a suo modo Don Tomasetti: i salesiani non ave-
vano da temere per Don Bosco; La Fontaine non era per le beatificazioni, ma
il papa le voleva e in particolare desiderava quella di Don Bosco.15
All'interno dei Riti il La Fontaine poteva essere di gradimento a chi, nella
sezione liturgica, aweniva l'istanza di una riforma che sfoltisse il calendario sa-
cro dal gran numero di memorie e di feste di santi a vantaggio di una liturgia
che si organizzasse con più evidenza attorno al mistero di Cristo, salvezza e ri-
capitolazione del mondo. Ma queste istanze non avevano ancora una voce ben
prevalente. I1 pericolo di un proprefetto siffatto venne perciò scongiurato. Le
ragioni che avrebbero potuto indurre il papa anche a un ricambio del supremo
pastore nel patriarcato di Venezia, in un periodo di tensioni religiose e poli-
tiche e di rinnovate istanze per un patriarca veramente veneto, furono subor-
dinate a quelle di un cardinale prefetto ai Riti che meglio rispondesse a pro-
grammi papali e alla gestione interna del dicastero.
L'indebolimento e poi il decesso del card. Vico, la morte di mons. Angelo
Mariani, segretario dei Riti, diedero adito ad awicendamenti e assestamenti
ch'ebbero riflessi non lievi sulla causa di Don Bosco.
Scongiurato La Fontaine nella carica di proprefetto, per la causa di Don
Bosco venne a crearsi una situazione delicata quando il cardinale CamiUo Lau-
renti, prefetto dal 5 luglio 1922 deiia S.C. dei Religiosi, fu nominato il 17 di-
cembre 1928 proprefetto dei Riti. Nella stessa data al suo posto fu nominato
prefetto della S.C. dei Religiosi Aléxis-Henri Lépicier, cardinale dal 1927. I1
passaggio di Laurenti ai Riti si profilava definitivo. Morto Antonio Vico il 25
febbraio 1929, il Laurenti in data 12 marzo fu nominato prefetto.
Tra il Laurenti e mons. Salotti non correva buon sangue. I1 nuovo prefetto
fin dai primi mesi usò appoggiarsi per molte questioni a mons. Alfonso Carin-
ci, protonotario apostolico e prelato officiale dei Riti, scavalcando talora il pro-
motore generale della fede, Sal~tti.'A~ ila morte di Angelo Mariani, awenuta
il 10 dicembre 1929," Salotti si aspettava di subentrare nella carica di segre-
tario della Congregazione: era quanto era accaduto a mons. Verde, promosso
da quella di promotore generale della fede alla carica appunto di segretario,
e da questa poi elevato alla porpora cardinalizia. Per le sue aspirazioni il Sa-
lotti poté contare sul sostegno di Don Tomasetti, non su quello di altri postu-
" Tomasetti a Gusmano, 22 marzo 1928 (AS 036).
'' T O M A SMEe~mo, rie confidenziali, p. 21.
" Cf.Annuoire 1930, p. 928.

11.8 Page 108

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latori e degli ufficiali della Congregazione, ben consapevoli dei disguidi che sa-
rebbero venuti se si fossero trovati a collaborare per ufficio il cardinale e il
monsignore.
.Pio XI ricevendo in udienza il Salotti gli propose di passare alla S.C. di
-Pr-o-oagnanda con la carica identica a quella che aspettava ai Riti; il 3 luglio 1930
fu nominato segretario di Propaganda; ma già in concistoro il 30 giugno era
stato preconizzato arcivescovo titolare di Filippopoli, e il 2 luglio, solenne-
mente consacrato dal card. Van Rossum nella basilica salesiana del S. Cuore
al Castro Pretori~;'n~el 1933 sarebbe stato creato cardinale; superava in tal
modo di gran lunga in dignità l'antagonista ai Riti, mons. Carinci; continuò
tuttavia la sua .partecipazione ai Riti dapprima come consultare nella sezione
per le cause dei santi e poi come cardinale. In luogo del Salotti fu nominato
promotore generale della fede mons. Salvatore Natucci, già assessore e sotto-
promotore, carica che venne assegnata a mons. Luigi Traglia (poi a sua volta
~ardinale).'~
Dopo la morte del card. Vico si rese necessario e urgente prowedere alla
nomina di un cardinale ponente per la causa di Don Bosco, data l'imminenza
della congregazione generale sui miracoli (5 marzo 1929). Don Rinaldi pro-
pose i nomi dei cardinali Lauri, Lépicier, Sincero; ma Don Tomasetti di ri-
mando pose in evidenza il card. Verde: «il più pratico e il più utile»; «entu-
siasta» della causa, secondo il Salotti, e certamente più informato dei tre ch'e-
rano stati indicati?O Don Rinaldi diede il proprio assenso. Ricevendo il Toma-
setti in udienza, Pio XI si mostrò soddisfattissimo della scelta sottolineando
del card. Verde la competenza e l'ascendente in curia?'
Ormai si poteva procedere con sicurezza alla beatificazione di Don Bosco.
Il quesito infatti «de tuio» venne posto nella congregazione generale dei Riti
tenuta il 9 aprile 1929. Il 21 aprile si ebbe il corrispettivo decreto.
La beatificazionefu celebrata solennissimamentela domenica 2 giugno con
la partecipazione di una folla inusitata in cerimonie del genere. Fu la prima
heatificazione proclamata dopo i patti lateranensi dell'll febbraio. A Roma, a
Torino e altrove fu insistentemente sottolineata la coincidenza dei due eventi
dalla stampa e nei discorsi celebrativi. Già il 20 marzo procedendo alla rico-
gnizione della salma nel collegio di Valsalice, l'arcivescovo cardinale Gamba,
ex alunno di Valdocco, aveva scritto sull'albo d'onore ch'era stato predisposto
la frase seguente: «L'imminente beatificazione del servo di Dio Don Giovanni
Bosco, il più grande apostolo del secolo XIX, ottenga dal Cielo che la recente
conciliazione tra Chiesa e Stato d'Italia rechi al mondo intiero la pace di Cristo
nel regno di Cristo, come auspicò il Santo Padre Pio XI fin dall'inizio del suo
Notizia sul «Bollettino salesiano,, 54 (agosto 1930) p. 233.
'e Cf. Annuntio pontificio 1931, p. 531.
" Tomasetti a Rinaldi, 26 febbraio 1929 (AS 036).
" Tomasetti a Rinaldi, 28 febbraio 1929 (AS 036).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
gloriosissimo pontificato»." Ma s d e connessioni e le implicanze sociali e po-
litiche fra i due eventi avremo modo di soffermarci più avanti.
Altre beatificazioni si susseguirono il 9, 16, 23 e 30 giugno; non però con
le proporzioni di quella di Don Bosco.L3L'enciclica papale «Divini iilius Ma-
gistri» sull'educazione cristiana parve ai salesiani addirittura come un richiamo
a Don Bosco, modello di zelo e di operosità nel campo educativo in nome del
Vangelo e della Chiesa. Il clima appariva propizio per ulteriori passi verso la
glorificazione più completa. Il 10 febbraio 1930 la S.C. dei Riti procedette in-
fatti alla riassunzione della causa di Don Bosco e nella sessione ordinaria del
17 giugno si ebbe il voto favorevole dei cardinali.
3. 1930-1933: la causa di Domenico Savio e i suoi riflessi su quella di Don
Bosco
Tra il 1930 e il 1933 la causa di Don Bosco venne a intrecciarsi con quella
di Domenico Savio. Quest'ultima, come abbiamo visto, durante il pontificato
di Pio X e di Benedetto XV sembrava dovesse avere un percorso più agevole;
la figura infatti del giovane aiiievo di Don Bosco sembrava potesse rispondere
alle istanze che allora si awertivano di un modello di santità da proporre ai
giovani studenti. I1clima teologico che aveva spinto lo stesso Don Bosco a pro-
clamare la santità nella Chiesa come di tutti gli stati di vita ormai tendeva a
maturare le proprie argomentazioni anche a sostegno di processi di beatifica-
zione. La serie di argomenti dottrinali che i domenicani avevano elaborato a
favore di Imelda Lambertini (t 1333), terziaria del loro Ordine, lontana ante-
nata di Benedetto XIV e poco meno che dodicenne, potevano addursi con
vantaggio anche a favore di Domenico Savio, morto in piena adolescenza, con
virtù che i testimoni al processo attestavano come mature, esemplari, eroiche.&
Suiie virtù relativamente mature anche in ragazzi e in bambini comincia-
vano a essere meno rari gl'interventi di teologi: tra questi si sarebbero distinti
alcuni studi storico-teologici pubblicati nel 1935 dal gesuita padre Hertling,
professore di spiritualità all'università Gregoriana." Nel 1926, il 13 giugno, S.
'Cf. MB 19, p. 104s.
" Teresa Margherita Redi (9 giugno), Claude de la Colombière (16 giugno), Cosma di Car-
boniano (23 giugno), Francesco Maria da Camporossa (30 giugno); il 15 dicembre si ebbero: Tho-
mas Hemerford e 135 compagni martiri inglesi; il 22 dicembre: Giovanni Ogilvie, martire scoe.
zese.
a Tomasetti a Rinaldi, 18 luglio 1925: «Mons. Mariani dice che Savio Domenico e Maria
Mazzarelio vanno molto bene e che la difficoltà di provare i'eroicità delle virtù di quel giovane
sembra scomparire ogni giorno di più, dato che i domenicani sono ormai riusciti a far dichiarare
santa Imelda Lambenini, che era più piccola di Savio Domenico~(AS 036).
" L. VON HERTLINAGn ,pueri canonirari possint, in: «Periodica de re morali, canonica, li-
turgica» 25 (1935) p. 66-73; h.,Materioliper In stonu del processo di canonirrazione,in: «Gre-
gorianum* 16 (1935) p. 170-195; cf. inoltre P. BROCARDOV,erro un nuovo tipo di santità eroica,

11.9 Page 109

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Luigi Gonzaga fu proclamato patrono della gioventù cattolica mondiale, a ri-
prova dell'esigenza che si awertiva di modelli e intercessori da suggerire d a
gioventù entro i quadri della teologia cattolica postridentina."
L'elevazione al pontificato di Achiie Ratti indusse Don Tomasetti a ride-
finire le strategie da tenere nel promuovere le cause di beatificazione. Erano
ben note infatti le simpatie del nuovo pontefice per Don Bosco; alla causa di
questi conveniva dunque dare un'importanza prioritaria. Don Tomasetti pose
in evidenza questo piano in alcuni punti che affidò al suo taccuino personale
d a data del 6 e 7 marzo 1926:
«A Roma abbiamo tre cause sole: quella di Don Bosco, quella della Mazzarello e
quella di Savio. Le altre non sono ancora venute a Roma [...l. Però noi abbiamo bi-
sogno di far salire prima Don Bosco, perché la causa sdie sue virtù è validissima e di
sicura riuscita, e una volta che egli sia dichiarato beato, sarà meno difficile il trascinare
su gli altri, soprattutto Savio Domenico, in cui sarebbe diicile - senza la testimo-
nianza di Don Bosco - provare l'eroicità delle virtù».67
In quei medesimi anni mons. Salotti non deve avere insistito sull'opportu-
nità di mandare avanti per prima piuttosto la causa di Domenico Savio. Sicu-
ramente anch'egli s'era reso conto che con il nuovo pontefice erano migliorate
le possibilità di Don Bosco rispetto a quelle del servo di Dio suo discepolo.
Data pertanto la priorità alla causa di Don Bosco e posta in seconda bat-
tuta quella di Domenico Savio, Don Tomasetti e lo stesso mons. Salotti furono
attenti a neutralizzare interferenze inopportune. Più di una volta sia Don Ste-
fano Trione che Don Ferdinando Maccono si fecero presenti a Roma per la-
mentare ritardi e trascuratezze nei confronti delle cause di cui erano rispetti-
vamente il ~ice~ostulatorcei,oè quella di Domenico Savio e l'altra di Maria
Domenica Ma~zarello.~'
Beatificato Don Bosco, Don Tomasetti si adoperò anzitutto per ottenerne
la riassunzione della causa in ordine alla canonizzazione. Avendolo ottenuto
(10 febbraio e 17 giugno 1930), fece i passi necessari perché nel calendario dei
Riti venissero fissate sollecitamente I'antipreparatoria e la preparatoria sulle
in: AA.W., Domenico Sauio. Studio e conferenze in occasione del& sua beatifcaaione (Biblioteca
del «Salesianum» Il),Torino, SEI 1950, p. 2-34; DELOOZSo, ciologie et canonisations,p. 283.291.
Dalla lettera apostolica per il centenario di canonizzazione di S. Luigi Gonzaga il «BoUet-
tino salesianon 54 (marzo 1930),p. 70, riportava in versione italiana un brano significativo:«E per
citare uno fra i più recenti educatori e maestri della gioventù, Don Giovanni Bosco, non solo fu
teneramente devoto di S. Luigi, ma tal devozione, che egli lasciò in eredita ai suoi figli, soleva vi-
vamente inculcare a tutti i fanciulli che egli prendeva sotto il suo magistero educativo; e tra essi
innalza soma tutti. quale imitatore di S. Luigi, l'anima candidissima di Domenico Savio...*.
~ S ' 2 7 5~ o m a s e t t i .
" Don Trione - riferiva Don Tomaseni a Don Gusmano - «scrive strepitando per Savio
Domenica e per Andrea Beltrami!... Ma abbia pazienza e lasci fare a chi è sul posto»; e Don Mac-
cono, a dire di mons. Salotti, era stato semplicemente «sgarbato»: Tomasetti a Gusmano, 21 gen-
naio e 5 giugno 1927 (AS 036)
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
vinù eroiche di Domenico Savio. L'antipreparatoria fu tenuta il 1"luglio 1930
presso il card. Verde, dato che Vincenzo Vannutelli, cardinale ponente, era or-
mai in estremo declino e sarebbe deceduto poco tempo dopo.
In ordine d a preparatoria le Nove animadvevsionesfurono elaborate dal
promotore della fede, Salvatore Natucci, sulla base delle Animadversiones e
dei dubbi o rilievi formulati in voti preesistenti. Natucci, confidava Don To-
masetti a Don Rinaldi, era un «protetto» di mons. Sal~tti;e~d era abbastanza
chiaro l'influsso che avevano esercitato - sia sulle Animadversiones che sulla
Responsio sottoscritta dali'awocato DeUa Cioppa - tanto mons. Salotti
quanto la Vita di Domenico Savio da questi pubblicata la prima volta nel
1917. La Responsio non doveva affrontare difficoltà eccezionali. Essa conclu-
deva awertendo che, tolta ormai ogni più piccola ombra, l'eroicità delle virtù
dell'«angeIico adolescente» rifulgeva di luce meridiana, tanto più che erano di
già pronti i documenti sui miracoli che ne comprovavano la santitk70
Don Tomasetti poteva scrivere a Torino che l'antipreparatoria era andata
molto bene (ma in realtà si ebbero ben 8 voti sospensivi contro 11affermativi).
Non altrettanto awenne quando il 5 maggio 1931 fu tenuta presso i Riti la
congregazione preparatoria.
Poco prima in quel medesimo anno era andata a male la preparatoria sulle
virtù di Contardo Ferrini, nonostante si sapesse che la causa stava a cuore al
papa.71Non si poteva dunque essere del tutto sicuri per quella di Domenico
Savio, nonostante gli apprezzamenti espressi su di lui da Pio X, da Benedetto
XV, da vescovi e cardinali. ,
Alla preparatoria fu assente mons. Salotti, solito informatore del Tomaset-
ti. Fu il card. Ehrle a dare le prime notizie. Chiamato appositamente il postu-
latore salesiano, porse «congratulazioni anticipate* dando così adito a iliusio-
ni." La comunicazione ufficiale e la ricerca d'informazioni ulteriori portò a co-
Tomasetti a Rinaldi, 10 agosto 1931 (AS 036). Nondimeno Natucci diede vato sospensivo
neU'antipreparatoria del 1 luglio 1930, nella preparatoria del 5 maggio 1931 e in quella del 21 feb-
braio 1933. Diede voto positivo fmalmente nella congregazione generale del 27 giugno 1933.
" ... Alexandro Verde relatore. Asten. et Taurinen. Beatifiarionis et canonizationis semi Dei
Dominici Savio adolescentis hzici alumni Oratorii salesiani Nova poritio ruper virtutibur, Roma, tip.
Guerra e Mim 1931. Contiene le Nove animad~iersionex(p. 1-23)sottoscritteda Salvatore Natucci
il 18 febbraio 1931 e la Responsio ad nouas onimdversioner (p. 1-49) sottoscritta dal Della Cioppa
e da Pietro Melandri il 16 mano 1931; chiudono: il giudizio del censore teologo sugli scritti del
semo di Dio (27 novembre 1911) e il decreto di approvazione (12 dicembre 1912) (p. 50.52).
" Tomaseni a Rinaldi, 21 ottobre 1930; si ebbe tuttavia la congregazione generale il 20 gen-
naio 1931 e il decreto dell'eroicità d d e virtù e venerabilità 1'8 febbraio della stessa anno.
" Tomasetti a Rinaldi, 5 maggio 1931: <Come Le telegrafai, la congregazione preparatoria
sulle virtù del servo di Dio Domenico Savio ebbe un esito felice [...l. Come ho potuto sapere I'e-
sito dell'odierna congregazione, dato che mancano i monsignori Mariani e Salotti?La Provvidenza
mi è venuta in aiuto facendomi chiamare dal cardinale Ehrle, il quale voleva farmi le congratu-
lazioni anticipate. Non solo, ma avendo mons. DeUa Cioppa interrogato il P. Sales, questi rispose:
Ci fu contrasto, ma è andata bene. Anche gli altri consultori fecero vive congratulazioni. Certo la
causa è difficile.Come non tutti sanno apprezzare i fiori dal coloree dali'odore delicati, cosi alcuni

11.10 Page 110

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noscere il risultato vero e qualcosa anche sullo svolgimento del dibattito. I voti
dei consultori furono in gran parte favorevoli (addirittura «unanimi» secondo
il Tomasetti); in parte furono sospensivi, in considerazione di quanto aveva
sollevato il padre Henri Quentin, relatore generale della sezione storica delia
Congregazione dei Riti.
La «terza sezione per le cause storiche dei servi di Dio e l'emendazione dei
libri liturgici* era stata istituita da appena un anno con motuproprio del 6 feb-
braio 1930. Essa rispondeva a esigenze critiche, alle quali si era ormai molto
sensibili. Padre Quentin, un benedettino di Solesmes, era a Roma già dal 1907
nella commissione pontificia per la revisione della Vulgata. Per oltre un ven-
t e n n i ~aveva atteso a quest'opera distinguendosi nel contempo con una serie
di ricerche sul martirologio romano, gli atti dei martiri, le narrazioni agiogra-
fiche, la critica documentaria. Era un personaggio di spicco nel campo dell'e-
rudizione agiografica e liturgica di matrice bollandista e maurina, propugna-
tore di metodi ecdotici non da tutti condivisi, anche per quanto concerneva
l'edizione della Vulgata."
Si può immaginare che il Quentin, prendendo in mano la Positio super in-
troductione cause di Domenico Savio, si pose subito a confrontare le testimo-
nianze utilizzate da Don Bosco e collocate in appendice alla Positio, con la
Vita che del giovane avevano scritto sia Don Bosco che mons. Salotti. Le sue
conclusioni furono devastanti.
Dal confronto con le fonti risultava che Don Bosco aveva rimaneggiato li-
consultori e cardinali con non lieve sforzo giungono a riconoscere i'eroicità delle virtù di un gio-
vane di 14 anni». - Nella congregazione preparatoria del 5 maggio 1931 si ebbero 20 voti affer-
mativi e 4 sospensivi; diedero voto saspensivo: i consultori Angelo Angelucci, servita, e Henri
Quentin, benedettino; Salvatore Natucci, promotore generale della fede, e Luigi Traglia, sottopro-
motore.
" Henri Quentin nacque a Saint-Tnieriy (diocesi di Reims) il 7 ottobre 1872; emise i voti nel-
l'abbazia di Maredsous (con il nome di Bertin) il 6 ottobre 1895; passò a Salesmes nel 1897 e poi
a Roma nel 1907; fu nominato consultare dei Riti per la sezione liturgica il 26 marzo 1914 e poi
per le cause di beatificazione e canonizzazione i127 agosto 1929; nominato relatore generale deUa
sezione storica il 6 febbraio 1930; fu docente di storia speciale della Chiesa presso l'Istituto pon-
tificio di archeologia a Roma; primo abate dell'abbazia di S. Girolama, il 10 marzo 1934; fu chia-
mato a tenere lezioni di critica documentaria ed ecdotica alla Sorbona e altrove; di ritorno da un
viaggio scientifico in Belgio, mori improwisarnente nella sua abbazia a Roma nella notte dal 3 al
4 febbraio 1935; cf. Cunibert MOHLBERGi,n: «Rendiconti della Pontificia Accademia di Archeo-
logia» 11 (1935), p. 19-39; Roger GAZEAUv,oce nel Dictionnaire de théol. cuth. Tubler génerales,
pt. 111,Paris, 1972, col. 3838s. Don Tomasetti, incline a una lettura soprannaturalistica, vede nella
morte improwisa del Quentin, una punizione divina di chi aveva «combattuto» la santità di Don
Bosco e quella di Domenico Savio; cf. Memorie confidenziioli, p. 36s: «Gliawersari di Don Bosco
non fecero mai fortuna... Si può dire che la Prowidenza intervenne anche questa volta: S.E. il car-
dinale Camillo Laurenti fu come colpito nella mente che d'allora in poi sembrò svanire... e passò
presta all'altro mondo (6 settembre 1938) e Don Quentin fu trovato morto nel suo letto... Ciò fu
notato da parecchi che conoscevano le antiche vicende della vita di Don Bosco». Ma si potrebbe
obiettare che un altro personaggio poco gradito al Tomasetti, mons. Carinci, superò i cento anni
di vita e mori nel 1963.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
beramente le lettere in cui il cappellano di Morialdo, Don Zucca, e i due mae-
stri di scuola di Moriondo, Don Cugliero e Don Mora, avevano narrato sul
piccolo Domenico, tra i cinque anni e la morte. Non minore libertà aveva
usata Don Bosco con le altre testimonianze superstiti allegate nella Positio. Dal
confronto risultava - a suo parere - che episodi, molto semplici e normali
per un bambino e un ragazzo, erano presentati in modo che risultasse aumen-
tato il «grado di virtù», così da «farne un modeilo perfetto e senza alcuna om-
bra», aureolato da doni soprannaturali, come visioni, rivelazioni di cose oc-
culte ed estasi.74
Sia al processo informativo, fatto a cinquant'anni daiia mone del giovane,
sia in quello apostolico la gran parte dei testimoni - soggiungeva il Quentin
- non fecero che ripetere quanto avevano assimilato nel corso di tanti anni
dalla lettura della Vita scritta da Don Bosco; quel poco che aggiungevano,
dove non era contraddittorio, incerto e sbiadito, non serviva a stabilire il
«grado di virtù» del servo di Dio. Inoltre dai pochissimi testi che risultavano
autonomi dalla Vita, quasi nuila era ricavabile in ordine a un esame di atti eroi-
ci, sicuramente classificabili come tali, e tanto meno in ordine a virtù assidua-
mente consolidate. Anche la fama di santità supposta in Domenico Savio era
da considerare come posticcia, fondata suU'immagine che Don Bosco aveva
costruita e tramandata. Per concludere, secondo Quentin, sprowisti come si
era di materia da prendere in esame e senza la speranza di poterne avere ul-
teriormente, la causa era da chiudere definitivamente e accantonare.
Nella discussione che si fece alla sessione preparatoria presenti i consultori
qualcuno deve avere replicato al Quentin. I1 processo non era basato sulla Vita
scritta da Don Bosco e nemmeno sulle fonti da lui utilizzate, ma sulle testimo-
nianze rese al processo informativo e a queilo apostolico da persone che i giu-
dici avevano reputate degne di fede. Sulla base di tali testimonianze si era chia-
mati a giudicare se esistevano o meno virtù eroiche e carismi soprannaturali.
La Vita, così come le altre carte trascritte in appendice alla Positio, erano ap-
pena un «adminiculum» giuridico non sostanziale. Stando poi a quello che il
Salotti aveva dichiarato neila Vita da lui scritta, sulla autenticità dei fatti da lui
narrati si conservavano testimonianze inoppugnabili; sarebbe stato possibile,
ma non appariva necessario, fare esibire questa documentazione al processo a
completamento d'informazione.
Rimasti soli i cardinali, e tra questi Alessandro Verde, si era propensi a
dare un giudizio positivo suile virtù eroiche del giovane. Ma il cardinale pre-
fetto, Laurenti, insistette perché si togliesse veramente ogni ombra di dubbio
" Si tratta dunque di obiezioni dovute in parte a presupposti discutibili di critica documen-
taria, in parte derivate da schemi di teologia spirituale che portavano a immaginare gradi distinti
nelle virtù e nei vari estati» o «vier della perfezione (incipienti, proficienti e perfetti; nella via pur-
gativa, illuminativa, unitiva...). Negli anni fra le due guerre si trovava facilmente nelle mani del
dero un libro di Léopald Beaudenon (1840-1916)sulla formazione ai gradi deliumiltà ( Ped. ital.,
Firenze, Libr. Salesiana editrice 1913; 21' ed., Torino, Marietti 1965).

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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prima di giungere alla congregazione generale coram sanctzssimo. Prevalse que-
sto parere, anche se nell'insieme i cardinali erano inclini al parere positivo.
Don Tomasetti vedeva le cose diversamente. Ancora una volta - scriveva
a Don Rinaldi - era il Laurenti a bloccare una causa dei salesiani e a volere
colpire trasversalmente Don Bosco lasciando che se ne attaccasse la veridicità
e I'attendibilità come storic0.7~
Il padre Quentin awicinò Don Tomasetti. Si dichiarò dolente, se con il suo
intervento aveva provocato quell'esito. Chiedeva di poter avere la documenta-
zione originale attinente la Vita di Domenico Savio scritta da Don Bosco di-
chiarando che facendone uno studio diretto sperava di poter risolvere le obie-
zioni che lui stesso aveva ~ollevate.'D~ on Tomasetti scrisse subito a Torino
chiedendo che Don Amadei prelevasse dall'archivio del capitolo superiore sa-
lesiano i documenti richiesti e li spedisse sollecitamente, in modo da soddisfare
il relatore generale della sezione storica e cosi passare presto a chiedere una
nuova congregazione ~reparatoria.7D~a Torino tardava a venire una qualsiasi
risposta. Gli archivisti forse erano in apprensione sulla sorte di quanto avreb-
bero dovuto far uscire ed erano sicuramente restii a spedire documenti origi-
nali. Don Tomasetti ritornò alla carica spazientito. Anche da dove non si sa-
rebbe dovuto, erano frapposte remore al processo; era lui a rendersi garante
sulla restituzione integra dei do~umenti?F~inalmente i materiali giunsero a
Roma. Tomasetti si affrettò a consegnarli a padre Quentin; ma anche si mise
n Tomasetti a Rinaldi, 13 maggio 1931: «Il cardinale Laurenti, sempre avversa ai salesiani
(almeno cod mi sembra), ha riferito male al S. Padre sulla preparatoria di Domenica Savio, sicché
quest'altr'anno si avrà una seconda preparatoria sulle virtù di quel giovane servo di Dio. Non ne
ho ancora ricemto la notizia ufficiale, ma ormai ne sono sicuro. Mons. Salotti dice che il promo-
tore della fede, forse, se cioè il card. Laurenti non ha troppo compromesso la cosa, potrebbe an-
cora rimediare riferendo bene nella prossima udienza, ma io non credo. Cosa strana! Tutti i con-
sultori dettero voto favorevole e tutti i cardinali erano assenzienti, quando il card. Laurenti inco-
minciò a sollevare dubbi che (cosa incredibile) guadagnarono subito i colleghi cardinali. U pro-
motore è mortificato, perché non seppe tirare i dissidenti daiia sua! " Ho fatto brutta figura!' dice
egli stessa. il cardinale Hlond Le racconterà come andarono le cose. Noi contavamo sulla perizia
e sullo studio del card. Verde, ma ci siamo ingannati: non è stato capace di sostenere la causa,
di cui egli è ponente!». Augusto Hlond (1881-194% salesiano, vescovo dal 1925, cardinale dal
1927, era membro delle sacre congregazioni del Concilio, dei Riti e dei Seminari. Presso i Riti i
salesiani si ripramettevano da lui quel peso nelle cause di beailficazione, che prima speravano daiia
presenza del card. Cagliero. Anche Hlond, come Verde, non era in grado di battersi sul piano
della critica documentaria.
'& Tomasetti a Rinaldi, 19 maggio 1931 (AS 036).
" Tomasetti a Rinaldi, 21 maggio 1931; e altra del 23 maggio (AS 036).
'O Tomasetti a Rinaldi, 26 maggio e altre del 30 maggio e 2 giugno (AS 036). Si ebbe intanto
una manovra concordata dei postulatori di cause; di ciò Tomasetti informa Don Rinaldi nella let-
tera del 3 luglio riferendo di un'udienza pontificia: «Prima di me fu ricevuto dal papa mons.
[Frangois-Xavier] Hertzog, procuratore generale e postulatore di S. Sulpizio, il quale - quale de-
cano dei postulatori - andò a protestare contro gli ufficiali ((compresoil card. Laurenti) deiia S.C.
dei Riti, perché - causa la loro insufficienza - impediscono che le diverse congregazioni sulle
virtù e sui miracoli dei servi di Dio abbiano un esito felice, con perdita di tempo e spese inutili
nei processi. Speriamo che il card. Laurenti e i suoi amici ricevano il bensemito!» (AS 036).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
alle costole del benedettino, perché a sua volta portasse a termine presto il suo
lavoro. Anziché un semplice voto, padre Quentin stilò un ampio saggio che
stava tra la critica documentaria e la perorazione a tesi, awersa agli attori della
causa?' Era un lavoro tutto sommato affrettato, con qualche inesattezza di ci-
tazioni, con troppe lacune documentarie, con una estraneità quasi totale alla
mentalità popolare e a quella dotta del Piemonte ottocentesco, e una insensi-
bilità persino a quanto s d e stesse leggende agiografiche o politiche dell'Ot-
tocento italiano aveva pubblicato di recente mons. Francesco Lanzoni nella
collana «Studi e Testi» della Biblioteca Vaticana.
Una replica al Quentin era necessaria, sia per sbloccare il processo, sia per
non dar credito a certe considerazioni, come quelle che si attribuivano dette
a mezza voce da mons. Carinci, che troppo presto si era portato Don Bosco
sugli altari.
Don Tomasetti si rese conto che un lavoro filologico e di critica storica
esorbitava le competenze di un giurista e procedurista qual era l'awocato
Della Cioppa. Trovandosi presso il cardinale Verde con il DeUa Cioppa a pre-
disporre quanto occorreva sui miracoli per la canonizzazione di Don Bosco,
espose il suo piano. Alla replica critico-storica avrebbero proweduto a Torino
i salesiani Don Angelo Amadei e Don Alberto Caviglia. Padre Quentin aveva
scavalcato il promotore indirizzando al papa direttamente il suo elaborato e
coinvolgendo addirittura la sezione storica dei Riti; i salesiani, per una volta,
si sarebbero permessi d'indirizzare anche loro direttamente al papa la replica.
L'awocato Della Cioppa, coadiuvato da Pietro Melandri, avrebbe proweduto
a redigere un memoriale in cui si eccepiva sia sulla irregolarità di procedura
del Quentin, sia sui fatto che, coinvolgendo la sezione storica, aveva provocato
un'ingerenza indebita di questa nel campo della prima sezione; la sezione sto-
rica infatti doveva solo occuparsi di fondare criticamente le cause nelle quali
non si erano avuti testimoni diretti de visu e documenti coevi al servo di Di0.8~
Non fu diffìcile a Don Amadei stendere un esame analitico dell'elaborato
del padre Quentin per porne in evidenza a una a una le lacune documentarie
o le distorsioni interpretative; meno facile fu mantenersi entro i limiti di un iin-
guaggio non aggressivo?' A sua volta Don Caviglia si soffermò sul metodo
'' Sacra Rituum Congregatio. Sectio Historica. - S. Hist. N. 22. - Asten et Taurinen. beo-
tifcationis et canonktionis remi Dei Dominici Savio adolescentis lain' nlumni Oratori*saleriani. -
Animauuerrioniprerencatp ex offfciodal rmo p. rehtore generale mlla «Vita delgiovanotto (!) Saoio
Domenima scritta dal B. Don Bosco e sul suo infusso nel decorso dei processi relativi alla causo del
remo di Dio, Typis polyglottis vaticanis 1932, p. 84, sottoscritte e datate: «S. Callisto, 21 maggio
1932, H. Quentin, O.S.B., rei. gen.».
T O M A S MEe~m,orie confdemioli, p. 30s.
" Cf. Monorcritto. - Asten. et Taurinen. beotifiationis et canontiationir semi Dei Dominin'
Sauio adolescentis Inin' alumni Oratoni salesiani. - Risposta alle nAnimamersioni» presentate ex
oficio dal r.mo p. relatore generale della Sezione Storica della Sacra Congregorionedei Riti, [Roma,
tip. Guerra e Muri 19321, p.166. La premessa, senza titolo: «Beatissimo Padre, La Postulaziane
e la Difesa deUa causa...» (p. 1.15) è sottoscritta da Giovanni Della Cioppa e Pietm Melandri, in

12.2 Page 112

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usato dal Quentin anzitutto nel valutare la Vita scritta da Don Bosco; in se-
condo luogo nello stabilirne il valore nei confronti delle sue fonti; in terzo
luogo nel dimostrare che da essa non dipendevano essenzialmente le testimo-
nianze addotte ai processi. La Vita - replicava il Caviglia - esaminata in sé
rispondeva a quanto Don Bosco aveva scritto nell'introduzione: riportava con
verità i fatti desunti dalle testimonianze orali e scritte; in tal senso perciò po-
teva dirsi una vera biografia storica. I1 confronto con le testimonianze super-
stiti mostrava un'identità sostanziale, anche se Don Bosco non si era limitato
a trascrivere rigorosamente, anche se aveva ripulito i testi, corretto la lingua,
aggiunto talora particolari ch'erano semplicemente esplicativi e non potevano
intendersi per.nulla come «gravi alterazioni*. Se c'era identità tra fatti esposti
al processo di beatificazione e quelli che si leggevano nella Vita, ciò si doveva
all'identità di esperienze e di conoscenze, sia di Don Bosco che di Don Rua,
Don Cagliero, Don Cerruti e quanti altri testimoniarono ai processi. La fama
di santità non era sorta improwisamente dal nulla dopo che nel 1859 era com-
parsa la Vita scritta da Don Bosco, ma, com'era ricavabile anche dai pochis-
simi testimoni che il Quentin giudicava non influenzati dalla Vita, aveva ac-
compagnato il ragazzo dagli anni trascorsi interamente in famiglia fino alla
morte come allievo dell'oratorio. Don Bosco insomma non aveva fatto opera
di manipolazione per costruire un modello da proporre ai giovani e agli am-
bienti popolari; nella vita vissuta di Domenico aveva piuttosto riconosciuto, e
- non solo lui, la personificazione di quanto andava carezzando. «Nutriamo fi-
ducia - concludeva Don Caviglia che presso la S. Congregazione l'inci-
dente processuale sia risolto in favore del servo di Dio e dell'eroicità delle sue
virtù». Il padre relatore - soggiungeva - «saprà nella sua rettitudine acco-
gliere le ragioni da noi addotte contro una critica unilaterale e fallace, che, ma-
neggiando con metodo erroneo i materiali di studio, non poteva non condurre
ad erronee conclusioni».82
Meno ireniche erano le deduzioni che l'awocato Della Cioppa e il Melan-
dri proponevano nel loro documento awocatizio:
«Secondo il relatore, almeno secondo il senso implicito delle sue parole, il beato
Don Bosco avrebbe inventato, cioè avrebbe raccontato cose non vere, avrebbe scien-
data novembre 1932; segue la Rirposta alle rr/inirnnwe~rion.i.~. Parte prima. Erporizione rintetica
e aitica dello questione e della dircussione (p. 1-36) sottoscritta «prof. dott. D. Alberto Caviglia,
socio corrispondente della R. Deputazione di Storia patria, docente alla R. Scuola superiore d'Ar-
chitettura, ottobre 1932%;Parte secondo. Esame analitico e confutazione delle Anhavverrioni
(p. 37-162) sottoscritta «Sac. Angela Amadei, addetto aU'Archivio salesiano, agosto 1932~c;on-
cludono: una Nota del prof. Costanzo Rinaudo (p. 163) sottoscritta dal Rinaudo «già professore
di scienze sociali e di storia
nella R. Accademia militare di Torino, Torino, settembre
1932~e una Nota del prof. Alessandro Ludo (p. 164-166),sottoscritta dal Luzio «accademicod'I-
talia»,Torino, 30 ottobre 1932. Questi aveva un nipote salesiano, Don Luigi Luzio, prete, ch'era
in quegli anni nella casa del Testaccio a Roma (cf. Tamasetti a Ricaldone,Roma,18 luglio 1932).
Rirportn alle «Animawuerrioni». p. 36.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
temente e volutamente - tendenziosamente, per usare un awerbio derivato da un
verbo adoperato dal relatore: "cose tutte che aumentano il grado della virtù di Dome-
nico Savio, e tendono a farne un modello perfetto e senza alcuna ombra" (pag. 12) -
falsato la storia deiia vita e la figura del suo allievo; avrebbe, diciamo la parola che ci
brucia le labbra, mentito [...l. I1 beato Don Bosco avrebbe invitato i suoi allievi ad in-
vocare I'intercessione di un servo di Dio, le cui virtù avrebbero avuto soltanto una par-
venza di eroismo creata artificiosamente dallo stesso beato; oltre che d'invenzioni, cioè
di menzogna, il beato Don Bosco si sarebbe macchiato anche di impostura. A questo
punto, Beatissimo Padre, noi ci arrestiamo addolorati e sgomenti. E rinunziamo a trarre
dalle diazioni logiche già esposte, discendenti dalie Animawersioni del reverendissimo
relatore, le diazioni che, come ognuno intrawede, andrebbero a colpire l'edificio del-
I'eroicità deUe virtù del beato Don Bosco [...]. Le sue Animawersioni avrebbero messo
capo ad un'implicita proposta di revisione della causa del beato Don Bosco, e ad una
non meno implicita denunzia delle solenni sentenze pontificie, che quella causa hanno
defmita e conclusa»."
Ai tre memoriali Don Tomasetti aggiunse due scritti: uno di Costanzo Ri-
naudo, fondatore della «Rivista Storica Italiana», antico compagno di studi di
Domenico Savio a Valdocco nel 1856 e testimone della stima e venerazione
che si nutrì subito per il giovane in quegli anni; un altro di Alessandro Luzio,
storico erudito rispettato, accademico d'Italia e cooperatore salesiano che ri-
badiva concisamente le riserve del Caviglia nei confronti dell'ipercriticismo
sfasato e disinformato del padre Quentin.
La replica salesiana fu da Don Tomasetti sottoposta all'esame del card. Ga-
sparri, di mons. Luigi Olivares, bescovo salesiano di Sutri e Nepi, di padre An-
tonino dell'Assunzione, ministro generale dei Trinitari Scalzi, decano dei con-
sultori della S.C. dei Riti, e di altri prelati. Don Tomasetti ne ebbe approva-
zioni e congratulazioni. Ma non fu facile avere l'approvazione per la stampa
presso i Riti. Mons. Luigi Traglia, assessore e sottopromotore della fede, in
qualità di revisore di ufficio aveva cominciato a fare tagli sulle bozze a lui sot-
toposte dal Tomasetti; fatto oggetto di tagli, il lavoro di Don Amadei e di Don
Caviglia ne usciva mutilato e indebolito; gli attestati del Rinaudo e del Luzio
rimanevano e~punti.~D'on Tomasetti prowide a far stampare ugualmente la
replica integrale apponendovi la dicitura «Manoscritto» e così eludendo le
norme che regolavano le pubblicazioni del caso.
Ii papa fu informato dei fatti da mons. Carinci, segretario ai Riti. All'udire
della situazione anomala creata dal Quentin a nome della sezione storica e dai
salesiani con la loro replica, Pio XI esclamò impazientito: «Via il lavoro del
padre Quentin per l'onore della Congregazione... e via il lavoro dei salesiani
anche per l'onore della Congregazione!...». In un secondo tempo riflettendo
sulle motivazioni addotte dal promotore della fede Natucci circa la risonanza
che i due scritti avevano già avuto nel mondo ecclesiastico e perciò sul danno
Rirpoxta alle nAnimowersioni», p. 11-13.
" T O M A S EM~em, orie confidenziali, p. 31.

12.3 Page 113

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che ne sarebbe potuto venire alla causa se si fossero ritirati gli scritti dal pro-
cesso, ritornò sulla decisione e permise che fossero trasmessi in busta chiusa
a ciascun consultore, con l'ordine di restituirli appena concluso il dibattito?'
La seconda preparatoria fu tenuta il 21 febbraio 1933. Padre Quentin ri-
badì le sue osservazioni e le sue tesi. Non gli mancavano in effetti appigli ben
solidi. Era un fatto inoppugnabile che Don Bosco, citando tra virgolette le let-
tere di Don Zucca, Don Cugliero e Don Allora, non aveva riferito con rigore
il testo che si leggeva nellc lettere originali. Era anche evidente che in quella
scritta dal cappellano di Morialdo Don Zucca la buona condotta del piccolo
Savio era più soddisfacentemente inquadrata neli'ambito di quella dei suoi ge-
nitori: ad accompagnare il bambino in chiesa era sua madre; ad averlo vicino
durante le celebrazioni e i canti sacri era suo padre (nella parte della cappella
riservata ai maschi). Se si aggiungevano le testimonianze di sua sorella Teresa
al processo apostolico, si ricavava che dalla prima infanzia alla preadolescenza
Domenico era vissuto in una famiglia impregnata di pietà e organizzata nelle
osservanze religiose anche nell'intimo del focolare domestico; non ci si sedeva
a mensa senza avere pregato; non si andava a letto la sera, se non dopo avere
recitato insieme il rosario. Oltre tutto nella Vita scritta da Don Bosco si par-
lava dei fratellini, ai quali Domenico tornando dall'oratorio di Torino faceva
il catechismo; ma nulla si diceva di sorelline, né si attribuiva a merito dei ge-
nitori e del prete locale quanto il ragazzo usò fare di lodevole con i fratelli più
piccoli a casa.
Don Bosco sicuramente aveva isolato il massimo possibile la figura del ra-
gazzo anche a proposito di organizzazioni giovanili, come la Compagnia del-
l'Immacolata a Valdocco. Secondo Quentin, la manipolazione oggettivamente
più grave, fatta da Don Bosco nei confronti delle proprie fonti letterarie, era
quella che si riscontrava raffrontando la relazione che Michele Rua, allora
chierico, scrisse sul comportamento pio del ragazzo sul letto di morte. Se-
condo Don Rua, Domenico cercava di ricordare che cosa di devoto gli aveva
raccomandato il parroco (pensasse alla passione di Gesù); dopo essersi al-
quanto assopito, «svegliatosi rideva e andava dicendo: oh il parroco voleva
dirmi, voleva dirmi... oh! questa è bella; non posso più ricordarmi di ciò che
voleva dirmi; e così dicendo con aria di paradiso spirò...». Nella Vita si legge
ben altro; svegliatosi dopo essersi appisolato andò dicendo «con voce chiara
e ridente addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro, ed io
non posso più ricordarmi... Oh! che bella cosa io vedo mai... Cosi dicendo e
ridendo con aria di paradiso spirò colle mani giunte innanzi al petto». Dal det-
tato semplice e umanissimo di Don Rua Don Bosco aveva fatto scaturire l'al-
lusione a una visione ~elestiale.8~
TOMASETIM?,emorie confidenziali, p. 32-34.
ffi Q U E N ~AnNim, avver~ionip, . 15-20, dove si conclude: «Non credo di esagerare concluden-
do: dallo studio di questi tre passi della Vita e dal loro confronto cogli originali, Nsulta in modo
chiarissimo che Don Bosco, facendo uso molto personale delle sue fonti, ne ha singolarmente am-
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Padre Quentin con la sua esperienza di editore critico aveva individuato
fatti che ponevano interrogativi non di poco rilievo sul modo di comporre bio-
grafie edificanti nel secolo scorso, sulla mentalità che le produceva e le colti-
vava, le fruiva e le propagandava; sul nesso che avevano con la costruzione
delle testimonianze rese ai processi di beatificazione.
Fuori dalle strettoie poste dal dibattito relativo alle virtù e alla eventuale
beatificazione di qualcuno, padre Quentin aveva avuto certamente il merito di
individuare un'indagine verso alcuni aspetti della religiosità cattolica di cui
Don Bosco e l'ambiente salesiano da metà '800 al primo '900 erano appena un
tassello.
Nella sessione preparatoria il Quentin a quanto pare s'irrigidi nel sostenere
che la visione in punto di morte e gli altri fatti straordinari erano probabil-
mente una pura invenzione di Don Bosco. Qualcuno nel proprio «voto» e poi
nel dibattito, in termini più attenuati e richiamandosi alla Vita di S. Elisabetta
d'Ungheria scritta dal Montalembert, chiedeva se non era possibile ritenere
che Don Bosco in effetti avesse fatta una certa «idealizzazione».Ma l'awocato
Della Cioppa nella sua replica respingeva l'accostamento con argomentazioni
valide in un dibattito giuridico. Montalembert aveva scritto su fatti remoti;
Don Bosco, invece, su fatti di cui era testimone diretto e sui quali esistevano
il controllo e la verifica di tanti altri testimoni degni di fede??
Se si fosse allargata l'inchiesta si sarebbe trovato che sulla morte di Dome-
nico Savio si conservavano aimeno cinque relazioni diverse con varianti di rac-
conto non pic~ole.8D~on BOSCO stesso già nel 1858 ne aveva pubblicata una
nel Mese di maggio che differiva da quella data l'anno successivo nella Vita:
il ragazzo nel suo letto di agonia - narrava nel Mese di maggio - invocava
plificato le testimonianze in favore del servo di Dio, senza che niente possa giustificare il suo modo
di fare, nemmeno l'alta opinione ch'egIi aveva concepito del suo antico discepolo».
O' Cf. del processa di Domenico Savio: ... Alia nova positio super virtutibur, Rome, typis
Guerra et Mirri 1933. Precedono le Alis novs onimodvprsioner (p. 1-17), sottoscritte da Salvatore
Natucci, 21 giugno 1932; segue la Adnotaiio r p . promotoris generalisfidei (1 f., n.n.1 in data 25
gennaio 1933 che dichiara da accantonare («seponatur») la Vita scritta da Don Bosco; «ad pro-
handam vinutum heraicitatem argumenta unice e testibus eruantur idoneis»; condude la Respon-
sia od oliar novar animadverriones (p. 1-155 e 1 f. con l'lndex) sottoscritta dal Della Cioppa e dal
Melandri in data 15 dicembre 1932. Vi si discute comunque la «historicitas» della Vita (p. 8-24)
respingendo l'inquadramento di essa tra le «vite romanzaten (p. 23); si argomenta poi suli'affida-
hilita dei testi indotti al processo (p. 25-38). L'accostamento a Montalembert è discusso nella No-
vissimn poritio ruper virrucibus, Romai, Spis Guerra et Mirri 1933, ove precede il Foctum concor-
datum (p. 1-4) sottoscritto dal card. ponente, Verde; seguono le Novissims onimaduerriones
(p. 1-31; Montalembert, p. 29), sottoscritte dal Natucci il 1- marzo 1933; chiude la Rerponsio od
novissimas onimaduerriones (p. 1-56, più 1 f. n.n.; Montalembert, p. 48s), sottoscritta dal Della
Cioppa e dal Melandri i1 5 maggio 1933.
La prima relazione è data dal padre, Carlo Savio, nella lettera scritta a Don Bosco poco
dopo il decesso di Domenica; l'altra è di Don Giuseppe Cugliero neUa lettera a Don Bosco; la
tena, di Don Rua chierico; la quarta, di Don Bosco ne Ilmere dimaggio; la quinta, di Don Basco
nella Vita.

12.4 Page 114

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Maria SS.: «Altro da voi non dimando se non che mi assistiate in questi ultimi
momenti di vita, e mi accompagniate da questa vita all'eternità. Quasi nel mo-
mento stesso ch'egli cessava di proferire queste parole, l'anima sua volava al
cielo, certamente accompagnata da Maria di cui in vita era stato fervoroso di-
Sia la Vita che il Mese di maggio erano circolati tranquillamente all'0-
ratorio e altrove; il Mese di maggio anzi in maggior numero di edizioni rispetto
alla Vita. Eppure non si hanno indizi per ritenere che le due diverse versioni
abbiano suscitato interrogativi e scalpore. C'è da chiedersi allora che cosa sia
stato più profondamente percepito dalla coscienza di Don Bosco e da quella
dei suoi giovani; forse «in sostanza» il fatto che Domenico era morto piamente
così com'era vissuto, e che perciò si poteva credere che come Luigi Gonzaga
quanto scrisse il padre di Domenico a Don Bosco informandolo del deces-
so) fosse stato accolto in Cielo dalla Vergine, da Gesù Cristo e dai suoi angeli:
un immaginario dalle radici teologiche che Don Bosco espresse nella Vita uti-
lizzando, come usava fare, le parole che gli venivano suggerite dalla sua fonte
letteraria (nel caso specifico, il dettato del chierico Rua). «In sostanza* è I'e-
spressione che usò Don Alberto Caviglia, sicuramente con calcolo, nella sua
replica al Quentin. In altre parole non si ha nella Vita scritta da Don Bosco
un Domenico Savio maggiorato rispetto a quello che era iscritto nella co-
scienza collettiva del piccolo ambiente in cui era vissuto, se non per quanto ri-
guarda i cosiddetti «fatti straordinari» aggiunti nella seconda edizione e la vi-
sione in punto di morte; si ha nondimeno nella Vita un Domenico posto in
luce nella massima evidenza come modello di vita umana e cristiana al quale
riferirsi. In questo senso è appropriato parlare di idealizzazione operata da
Don Bosco s d a base delle testimonianze biografiche di cui disponeva.
La congregazione generale sull'eroicità delle virtù del giovane Savio fu te-
nuta alla presenza del papa il 27 giugno del medesimo anno. Padre Quentin
imperterrito ribadì le sue argomentazioni e le sue suggestioni. Più di un car-
dinale (Giulio Serafini, Carlo Raffaele Rossi) avrebbe voluto intervenire per re-
plicare. I1 papa con la mano fece cenno di tacere, perché avrebbe parlato egli
stesso. «Difatti- scrive Don Tomasetti - il papa, che aveva avuto nelle mani
la risposta integrale, si degnò di fungere da awocato in una discussione che
durò sei ore consecutive, cioè dalle 9 alle 16. Rammento che Don Quentin,
uscendo dall'aula insieme coi consultori, aveva il volto come congestionato e
cercava di allontanarsi rapidamente, mentre gli altri deploravano e anche can-
zonavano la di lui ~aparbietà»."~
Il mere di maggio conraonto n Maria SS. Immnolata ad uso del popolo..., Torino, Paravia
m). 1858, p. 143s (esempio edificante del giorno
Per una discussione più ampia di questo
caso, a proposito della fascia di cultura ecclesiastica entro cui è da vedere Don Bosco, cf. STELLA,
Le ricerche ru Don Bosco nel uentirinquennio 1960-1985: bilaneo, problemi e prospettive, in: P.
B m o (ed.), Don Borco nella Chiesa a servizio dell'umanità, Roma, LAS 1988, p. 388.390,
" TOMASETM~eI,morie confidenziali, p. 34s. - Henri Quentin, come abbiamo detto, diede
voto sospensivo all'antipreparatoria del 1 luglio 1930 e alla preparatoria del 5 maggio 1931 (4 voti
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
I1 piano tattico architettato otto anni prima da Don Tomasetti non aveva
funzionato secondo il previsto. La discussione sulla Vita scritta da Don Bosco,
anziché accelerare, aveva ritardato il processo di Domenico Savio e aveva dato
adito persino a ripensamenti sulla beatificazione ottenuta appena da qualche
anno.
All'interno della sezione storica il caso Quentin servì a far riflettere. I1 pa-
dre Ferdinando Antonelli, dei frati minori, allora vicerelatore e poi subentrato
al Quentin (deceduto nel 1935) nella carica di relatore generale, poneva in
chiaro che la sezione storica non doveva prefiggersi di valutare le virtù e il loro
grado, ma aveva come scopo competente quello di vagliare la documentazione
da sottoporre poi all'esame della prima sezione?'
All'interno di questa il promotore Natucci (ma sicuramente anche il Salot-
ti, il card: Verde e altri) compresero che, così come erano messe le cose, non
era opportuno chiamare in causa ulteriormente la Vita di Domenico Savio
scritta da Don Bosco. Su questa dunque i consultori furono invitati a non più
discutere. I1 dibattito doveva basarsi, così come si faceva per altre cause, sulle
testimonianze rese ai processi.
sospensivi e 20 affermativi). AUa preparatoria del 21 febbraio 1933 su 21 votanti egli fu l'unico
a dare voto negativo; diedero voto sospensivo il promotore della fede Natucci, il sottopromotore
Traglia e il consultore teologo di recente nomina, Joseph de Guibert; i voti affermativi furono 17
(Salotti, assente, mandò il voto affermativo). De Guibert (1877-1942), professore alla Pontificia
Università Gregoriana, autore à'importanti studi teoretici e storici di spiritualità, fondatore, diret-
tore e ispiratore sia della «Reme d'ascétique et de mystique* che del Dictionnaire de spiritualiti,
pare sia l'autore dell'unico voto che si conserva nel fascicolo della congregazione generale: scritto
a macchina, senza firma, ma con qualche correzione a mano che sembra autografa del d e Guibert
(ASS fondo Q). I1 voto, indirizzato al papa, esordisce affermando l'importanza che assumerebbe
la dichiarazione di virtù eroiche in un fanciullo: «Summum sane gaudium erit in tota Ecdesia cum
prima vice supremo oraculo tuo declarabitur etiam in tenera etate constare de virtutibus in gradu
heroicon. Ma, a giudizio dell'autore del vota, l'innocenza battesimale, affermata in un ragazzo cre-
sciuto in una buona famiglia cristiana e sotto buoni educatori, non era da considerare per un
eroismo. Peraltro l'eroicità di Domenico non appariva dalle testimonianze addotte al processo.
Quelle di Don Rua e del card. Cagliero erano certamente le più importanti, anche perché di per-
sonaggi giunti aUa massima autorità; ma esaminate attentamente non soddisfacevano. Sulle cono-
scenze dei due anni e mezzo, che Domenico Savio trascorse ail'Oratorio, Don Rua aggiunge ap-
pena qualche episodio abbastanza normale; il Cagliero afferma ripetutamente la santità e l'eroicità
di Domenico, ma mantenendosi sulle generali. Entrambi testimoniarono su fatti remoti, visti o
uditi da giovani, quando è da dubitare che fossero in grado di valutare i gradi di perfezione. «Qua-
propter - conclude il voto - fateor me ad veram certitudinem de virtutibus semi Dei in gradu
heroico pervenire non potuisse; unde ad propositum dubium dolens debeo ex conscientia respon-
dere negative. Quam meam sententiam plene et humillune subicio supremo iudicio tuo, Beatissime
Pater. Rome, 27 iunii 1933». AUa congregazione generale furono dunque due i voti negativi:
quelio del P. Quentin e l'altro del P. de Guibert.
'' Sono idee e<pres<edal dumenicano Gabricl ThCry, consultore Jella Sezione storica del Uiti
e organizzacure del dossicr R e m i des dner de lo tenirable . i l ~ r P~mì rrepzn 11653-1144,. hindo-
trice d a Soeurs de la Prérenfati& de Tours..., Tours, Mame 1938,Z t.; nel primo tomo c3è&rsino
un ampio saggio storico-erudito: Contribution à i'histoire du commerce et de I'indurfrie à Dourdan
nux XVìP et XVIIP ~iecles,p. 229-343.
223

12.5 Page 115

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La congregazione preparatoria del febbraio 1933 e quella generale si con-
clusero con il parere positivo. Il decreto sull'eroicità delle virtù venne letto il
9 luglio. Rivolse l'indirizzo al papa a nome della «famiglia salesianan il nuovo
rettor maggiore, Don Pietro Ricaldone. Pio Xi nella sua allocuzione disse che
la glorificazione di Domenico Savio era di grande importanza soprattutto in
tempi in cui ormai la gioventù, educata alla violenza, era esposta in tutti i paesi
alla insidiosa propaganda di quanti abusavano dei progressi della scienza?'
Dopo di allora la causa fu posta a riposo, nonostante fossero già stati
preannunziati i miracoli da esibire per la beatificazione. Sarebbe stato Pio XiI
circa cinque lustri più tardi, il 5 marzo 1950, a proclamare beato il venerabile
Domenico SaGio. A quel traguardo era già arrivata Maria Domenica Mazzarel-
lo, confondatrice con Don Bosco delle figlie di Maria Ausiliatrice, beatificata
da Pio XI il 20 novembre 1938.
4. DaUa riapertura del processo d'approvazione dei miracoli (1930-1934)
Ottenuta la riapertura del processo con il decreto de11'8 giugno 1930, Don
Tomasetti
a predisporre i due miracoli da sottoporre al giudizio della
S.C. dei Riti in ordine alla canonizzazione. Nella scelta dei casi poté contare
suli'assistenza del dottor Lorenzo Sympa, ch'era in quegli anni a Roma il pe-
rito medico forse più assediato dai postulatori delle cause dei santi?> L'atten-
zione cadde su due presunti miracoli ottenuti per intercessione evidente del
beato Don Bosco: quello di Heinrich Rudolph Hirscb, un giovane medico di
Innsbruck, e l'altro di un'anziana nobildonna di Rimini, Anna Maccolii.
Heinrich Hirsch, laureato in medicina, si era dedicato alla cura dei tuber-
colotici. A sua volta fu colpito dal male e nel 1929 era in gravi condizioni. Le
radiografie indicavano una larga caverna ai polmoni. Hirsch, che allora aveva
trentatrè anni, aveva potuto conoscere alcuni salesiani deii'istituto di Treviglio.
Stimolato da loro, iniziò insieme ai propri familiari una novena a Don Bosco
nel mese dell'Ausiliatrice. Il giorno conclusivo, il 24 maggio, si sentì guarito.
Le radiografie indicavano scomparse le caverne ai polmoni. La tubercolosi era
debellata.
Anna Maccolini, di settantaquattro anni, era ricoverata presso la casa deiie
«Vecchie abbandonate» a Rimiii sotto l'assistenza di una comunità di suore.
Cf. «Bollettino salesiano* 57 (agosto 1933) p. 225-232:testo italiano del decreto, indirizzo
del rettor maggiore e discorso del papa: <Si abusa anche delle più belle, delle più geniali trovate
della scienza, che dovrebbero servire unicamente all'apostolato del bene...»;e più sopra: .Quando
si pensi... a questo culto del corpo, delle forze fisiche e materiali, del materiale sviluppo, ckL1s ma-
teriale fisica educazione, come dicono, in questa così diffusa e, si può dire proprio, educazione
aiia violenza, a nessun rispetto di nessuno e di niente...».I1 discorso del papa e la versione italiana
del decreto sono anche nella «Rivista diocesana torinese» 10 (agosto 1933), p. 145-152.
Del dottor Sympa si servivano anche i gesuiti, i francescani, i carmelitani e altri,. cf. 'in pro-
posito Tomasetti a Rinaldi, 24 gennaio 1931: Sympa era «quasi mai libero*.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Dall'autunno al dicembre 1930 era rimasta bloccata a letto per via di una gra-
vissima flebite alla gamba e alla coscia sinistra. Complicazioni polmonari e altri
malanni facevano diagnosticare una soluzione infausta. Verso la fine di dicem-
bre iniziò un triduo al beato Don Bosco. Stando a letto una mattina, accostata
la reliquia del beato all'arto infermo, si sentì improwisamente guarita. Poté al-
zarsi. A distanza di mesi era del tutto libera da ogni segno di flebite.94
Con I'aiuto del dottor Sympa il postulatore Don Tomasetti preparò gli ar-
ticoli da sottoporre ai testimoni; ma solo a metà agosto 1931 fu possibile ot-
tenere dai Riti che fossero spedite le lettere remissoriali, gli articoli e gl'inter-
rogatori rispettivamente ali'amministratore apostolico di Innsbruck e al ve-
scovo diocesano di Rimini." Con entrambi i prelati ci si accordò perché i pro-
cessi venissero celebrati nella seconda metà di ottobre, in modo che tra i periti
medici fosse incluso il dottor Sympa. A Innsbruck i testi furono ascoltati dal
14 al 23 ottobre; a Rimini (dove il dottor Sympa dovette far ripetere parte
delle sessioni iniziali, perché non conformi alla procedura canonica), dal 26 al
31 ottobre. Com'era prevedibile, altro tempo fu assorbito dal lavoro di trascri-
zione sul posto dei due processi, poi dali'ulteriore copia eseguita a Roma per-
ché fosse a disposizione presso i Riti per lo studio giuridico e medico dei due
miracoli.
Solo il 12 aprile 1932 fu possibile inserire l'esame dei due processi nella
sessione ordinaria dei Riti. I1giudizio sulla loro validità fu positivo, nonostante
si fossero riscontrate non piccole anomalie di forma soprattutto in quello di
Inn~bruck?I1~20 aprile successivo si ebbe il decreto corrispettivo s d a validità
dei processi.
Don Tomasetti si adoperò perché si giungesse sollecitamente alla prepara-
toria e al giudizio finale sui miracoli. In cuor suo infatti carezzava l'idea di ot-
tenere la canonizzazione entro l'anno facendola coincidere con il cinquante-
simo di ordinazione sacerdotale (le nozze d'oro) che il rettor maggiore Don Ri-
naldi celebrava nel di~embre.I~1'26 luglio fu tenuta l'antipreparatoria presso
il card. Verde. Si ebbe un giudizio positivo; ma emersero gravi obiezioni di un
perito medico sulle modalità di guarigione del dottor Hirsch. Data la grande
esperienza del card. Verde, ci si rese conto che conveniva accantonare quel
caso dubbio e sostituirlo con un altro di assoluta sicurezza.
'' Tomaseni a Rinaldi, Roma, 10 e 17 agosto; 10 ottobre 1931 (AS 036).
" La guarigione miracolosa della Maccolini è descritta nel decreto del 19 novembre 1933. In
MB 19, p. 231 circa Peti delia miracolata si scrive per errore 78 anziché 74 anni. Anna Maccolini
aveva un fratello sacerdote; lei morì a Rimini ii 15 gennaio 1939; cf. nBoUettino salesianon 63
(apriie 1939) p. 123.
" ... 9, ToAmleaxsaenttdiraoRVineardldei,rRebtuorne.i..2P9oostittoiobrsuepee1r vnaolvideimtobterep;rRocoemrruau, 9rnnrouvpeemrbmriero1n9r3l1is(,ARoSm03a6, )t.ip.
Guerra e Mirri 1932. Precede la Infomotio (p. 1-71 sottoscritta dai Della Cioppa e dai Mdandri
il 16 gennaio 1932; seguono: il Summanum dei processi di Innshruck e Rimini (p. 1-44); le Ani-
moduerriones (p. 1-7) sottoscritte dai Natucci il 10 mano 1932 e la Rerponsio (p. 1-9) sottoscritta
dal Della Cioppa e dal Mdandri ii 14 mano 1932.

12.6 Page 116

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Come miracolo sostitutivo si scelse quello di Caterina Lanfranchi Pilenga,
una signora della diocesi di Bergamo, guarita repentinamente da grave artrite
agli arti inferiori proprio nella basilica deii'Ausiliatrice a Torino, davanti al-
l'urna dov'era riposto il corpo del beato Don Bosco, il 6 maggio 1931.
Ancora una volta ci si trovò impigliati nel ceno vuoto burocratico creato
anche presso i Riti dalle ferie estive. Fu possibile comunque avere le remisso-
riali, predisporre gli articoli e gl'interrogatori.
A Bergamo era vescovo ausiliare mons. Adriano Bernareggi, una delle per-
sonalità più in vista dell'episcopato italiano di allora. I1 tribunale fu subito co-
stituito. I testi, convocati già in agosto, furono tutti ascoltati dal 31 agosto ai
3 settembre 1932. Come testi o contesti furono uditi ben quattro medici. Negli
atti furono allegati vari documenti che attestavano la malattia, le cure mediche,
la guarigione istantanea, il persistere di buone condizioni di salute, la scom-
parsa totale di postumi, la risonanza del fatto. La verbalizzazione delle testi-
monianze fu molto analitica e occupava oltre duecento pagine. In tal modo ve-
niva garantita la solidità documentaria che stava a cuore ai salesiani. I1 lavoro
di trascrizione occupò di conseguenza un discreto spazio di tempo. Ma ormai
si era decisi presso la S.C. dei Riti a favorire l'esito finale del processo di Don
Bosco. I1 24 gennaio 1933 si tenne la preparatoria per il miracolo di Rimiii.
I1 10febbraio fu dichiarato valido il processo di Bergam~.~I1'9 maggio si ebbe
su di esso l'antipreparat~ria.I1~ 25 luglio la seconda preparatoria circa i mi-
racoli del beato Don B o s ~ o ;i'l~1~4 novembre, la congregazione generale da-
vanti al papa;'o' il 19 novembre, la lettura del decreto.'" Era sfumata l'occa-
Tomasetti a Rinaldi, 21 luglia 1931 (AS 036).
* ... Alexandro Verde relntore... Positio ruper validitate procesus, Roma, tip. Guerra e Mirri
1932. Precede la Infomatio (p. 1-4) sottoscritta da Della Cioppa e Melandri il 25 ottobre 1932;
seguono: il Summarium (p. 1-31) sottosctitto da Della Cioppa e Melandri il 22 ottobre 1932; le
Animduersiones (p. 1-5)sottoscritte da Natucci il 28 novembre 1932 e la Responrio (p. 1-6) sot-
toscritta da Della Cioppa e Melandri il 6 dicembre 1932.
Im... Alexandro Verde relntore. . Poxitio super miraculis, I.c., 1933, Precede la Infoma~ios d
caso della Lanfranchi Pilenga (p. 1-23) sottoscritta da DeUa Cioppa e Meiandri il 28 gennaio 1933;
seguono: la Tabella testium 81 procersu apostolico Bergomensi (p. I-N); il Summarium (p. 1-94);
il Judicium medimm legale (p. 1-26) sottoscritto dal dottor Nicola Gentile nradiologo dell'Istituto
nazionale medico farmacologico», senza data; il Judidum mediam legale (p. 1-28) sottoscritto dal
praf. Enrico Pomponi, «docente di traumatologia e ortopedia nella R. Università di Roma», il 22
gennaio 1933; le Animaduersiones (p. 1-12) sottoscritte da Natucci il 3 m a n o 1933; la Responsio
(p. 1-37) sottoscritta da Della Cioppa e Mdandri il 15 marzo 1933.
Ioi,.. Alexandro Verde relntore... Nova positio ruper miraalis, Romse, typis Guerra et M i r i
1933. Precedono le Nove animadversiones (p. 1-55) sottoscritte da Natucci il 20 maggio 1933; se-
guono: il Summarium odditionde. Nova explomtia ... de constanti sanatione... della Maccolini e
della Lanfranchi Pilenga, maggio-giugno 1933 (p. 1-6; 1-2); il Judidum medimm legale sul caso
della Maccolini (p. 1-55) sottoscritto da Lorenzo Syrnpa il 24 maggio 1933; il Judi&m medicum
legale sul caso della Lanfranchi Pilenga (p. 1-49) sottoscritto dal dottor Umberto Stampa il 22 giu-
gno 1933; la Responrio ad novas anim~dversioner(p. 1-77) sottoscritta da DeUa Cioppa e Melandri
il 29 giugno 1933.
IrnSull'intera cerimonia CF. <Bollettino salesianon 58 (gennaio 1934) p. 5-10, con ritratto
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
sione di celebrare insieme Don Bosco santo e le nozze d'oro sacerdotali del
SUO terzo successore; oltre tutto Don Rinaldi era deceduto il 5 dicembre 193 1
e il capitolo generale dei salesiani aveva eletto come suo successore il 17 mag-
gio 1932 Don Pietro Ricaldone. Le speranze di avere Don Bosco santo s'in-
quadravano ormai in un evento la cui risonanza era di gran lunga più larga;
fra il 1933 e il 1934 si era infatti nel diciannovesimo centenario della morte di
Gesù Cristo, e Pio XI aveva indetto un anno santo straordinario dall'una al-
l'altra Pasqua. E alla canonizzazione di Don Bosco papa Ratti già meditava di
dare il massimo rilie~o."~
La descrizione che si fece nel decreto dei due miracoli è stringata, tutto
sommato convenzionale secondo gli stereotipi consolidati della congregazione
dei Riti. Delle miracolate si danno il nome, il cognome, il luogo della residenza
e del miracolo (ma della Pienga non viene data l'età); si indicano distinta-
mente le due malattie in termini tecnici; se ne descrive la gravità; si sottolinea
l'inefficacia delle cure mediche; si narrano il ricorso all'intercessione di Don
Bosco, la guarigione repentina, la scomparsa totale del male e il persistere di
buone condizioni di salute a giudizio sia dei medici curanti che di quelli ac-
creditati presso i Riti; si conclude infine riassumendo le fasi del processo, dalla
congregazione preparatoria alla sentenza del papa, dal decreto sulla natura mi-
racolosa alla sua promulgazione e al suo inserimento negli atti della S.C. dei
Riti.
Analoga convenzionalità si riscontra nelle raffigurazioni ufficiali che si fe-
cero dei due miracoli quando si giunse alla canonizzazione: una donna a letto
attorniata da alcune persone che l'assistono e in alto l'immagine di Don Bosco
in un alone di luce; una donna ritta in piedi (ma non corpulenta, come invece
era la Piienga), attorniata da altri in ginocchio davanti all'urna e aii'altare del
beato.IM
Il materiale relativo alla vicenda di Caterina Pienga per il suo colorito e
per la ricchezza di dati è quello che forse più degli altri si presta a un'analisi
delle due miracolate d a p. 7. Le MB 19, p. 229-232, trascrivono la versione italiana del decreto
fornita dal DELLA CIOPPA, Come rifanno i santi, p. 77-83.
'" Cf. Tomasetti a Ricaldone, Torino, 29 gennaio 1934: «Ella saprà la risposta che il Santo
Padre ha dato a mons. Respighi, il quale cercava di indurlo a trasferire ad altro tempo la cano-
nizzazione dei beato Don Bosco, perché Don Festini ne scrisse al sig. Don Giraudi. Forse non Le
sarA pervenuta ancora la notizia della risposta che il Santo Padre ha dato a sua eminenza il car-
dinale Fossati [arcivescovo di Torino], il quale, messo su da mons. Carinci, lo pregò di unire il
Cottolengo a Don Bosco: No - disse il papa - no: Don Bosco è universalee deve essere dichiarato
santo da solo; il Cottolengo è ristretto alla sola Italia*. Mons. Carlo Respighi era prefetto delle ce-
rimonie pontificie; Don Giuseppe Festini fu superiore della ispettoria salesiana romana dal 1930
al 1936. I1 Conolengo fu canonizzato il 19 marzo 1934 insieme a Pompilio Maria Pirrotti e a Te-
resa Margherita Redi.
Cf. sul «Bollettino salesiano» per la canonizzazione 58 (giugno-luglio 1934)p. 205: le due
grandi pitture esposte ne& basilica; o anche il cartoncino pieghevole *Ricordo ufficiale della ca-
nonizzazione di san Giovanni Bosco fondatore dei salesiani, delle figlie di Maria Ausiliatrice e dei
cooperatori salesianiu.

12.7 Page 117

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tra cronaca e storia, non inutile in ordine d e mille variazioni che andava as-
sumendo in quegli anni il culto a Don Bosco.
D d e testimonianze della miracolata, di una sua figlia, della sorella, della
domestica, dei conoscenti e dei medici si ricavano anzitutto elementi che ser-
vono a collocare la Pienga in un quadro demografico ben preciso e si direbbe
emblematico dell'epoca di passaggio da un trend italiano con alta natalità e
mortalità infantile a quello di famiglie tendenzialmente più ristrette, più lon-
geve, più mobili e ormai aperte all'emigrazione transoceanica.
Caterina Lanfranchi (detta familiarmente Nina, sposata con Alessandro Pi-
lenga) era nata nel 1869 a Urgnano, paese di cinquemila abitanti a dieci chi-
lometri circa'da Bergamo. Quando testimoniò, il 31 agosto 1932, aveva 63
anni. Il padre le era morto a 72 anni «per malattie del fegato»; la madre era
morta per parto a meno di 42 anni. In tutto con la Nina erano stati dieci i fra-
telli Lanfranchi; o dodici, secondo la testimonianza di sua sorella Maria, la
quale forse includeva nel computo un paio di gravidanze non condotte a ter-
mine dalla madre. I superstiti erano solo cinque; tre residenti nel paese natale
e due fratelli emigrati in America. Dei tre di Urgnano, erano sposati la Nina
e il fratello; nubile era rimasta la sorella Maria che nel 1932 era sui 56 anni
e che si era dichiarata al processo «possidente».
Nina ebbe mestruazioni già a 12 anni e si sposò a 19 anni. I1 marito era
di costituzione sana e aveva solo sofferto sporadicamente qualche disturbo di
asma. Anche lei mise al mondo una schiera di dieci figli, cinque dei quali erano
già morti: due, entro il primo anno di vita mentr'erano a nutrice; un terzo a
diciannove mesi, probabilmente per tubercolosi contratta dalla nutrice dece-
duta prima di lui; il quarto figlio mori a 11 anni per reumatismo articolare acu-
to; ultima deceduta fu una figlia suora della congregazione di Gesù Bambino,
morta a 29 anni per scrofolosi addominale e stenosi inte~tinale.'~'
Come aveva detto un medico, l'artrite i Lanfranchi la portavano nel san-
gue. Oltre la Nina a soffrirne erano stati: uno dei fratelli andati in America e
la sorella Maria; di artrite aveva sofferto anche a diciotto anni uno dei figli
della Nina. Questa asseriva di avere avuto le prime manifestazioni del male
dopo il primo parto, quando con il marito abitava a Cologno al Serio e teneva
un negozio di salumi in un locale molto umido. La sua costituzione fisica era
tutt'altro che ottima: corpulenta e obesa, il suo peso oscillava tra i 105 e i 108
chili. Tra il 1904 e il 1920 aveva sofferto di stipsi cronica, pletora, ernia om-
belicale, varici agli arti inferiori. Come scrisse uno dei periti medici romani, in
lei insorse in quegli anni lentamente il «quadro morboso a carico delle artico-
lazioni del ginocchio».'06In quegli anni lei curò i suoi malanni con i ritrovati
empitici dell'esperienza contadina: foglie di noci, sambuco, laudano, regime
latteo vegetariano; ma anche alcool canforato e salicilato di metile. Nel 1919-
'O' Una perspicua analisi sintetica sulla costituzione fisica e sul quadro demografico deiia Pi-
1eng.a è dato dal dottor Gentile nel suo Judic?um medicum legale, p. 1-5.
GENTILE, Judicium medicum legale, p. 2.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
1920 il figlio reduce dalla guerra la caricò in auto e la condusse a Bergamo da
un medico specialista costringendola in tal modo a intraprendere cure più
scientifiche. Dal 1920 al 1929 tutti gli anni si recò alle stazioni termali ora di
Acqui ora di Salsomaggiore ricevendone lievissimi e temporanei miglioramen-
ti. Dalla fine del 1929 al maggio 1931 le sue condizioni sanitarie si aggrava-
rono. Daii'autumo 1929 accusò disturbi vescicali (bruciore, pollachiuria, tene-
smo) favoriti dalla diatesi artritica. Nessun risultato ebbero bagni di luce avuti
in una clinica di Bergamo nella primavera del 1930. Nell'inverno del 1931 i
medici le riscontrarono una flebite all'arto inferiore sinistro con aumento di
volume dell'arto e impossibilità di movimento; la donna fu costretta a tenere
la gamba sollevata stando a riposo in posizione supina.
I percorsi sanitari e gl'itinerari religiosi che intraprese in quegli anni la Pi- '
lenga sono indice delle disponibilità finanziarie che avevano entrambe le fami-
glie, Lanfranchi e Pilenga, attive nel settore del commercio alimentare. L'in-
ferma poté muoversi in carrozza, in auto e in treno coprendo lunghe distanze
e stando intere settimane lontana da casa. I santuari ch'ella raggiunse in quegli
anni non erano più solo quelli della zona. Nel 1928 insieme alla sorella minore
Maria si recò in pellegrinaggio a Lourdes. Entrambe pregarono nella grotta e
s'immersero nella piscina. Maria si senti guarita, e da aiiora tutti gli anni in rin-
graziamento ripetè il pellegrinaggio a Lourdes. La Nina non si rassegnò né si
abbatté. La guarigione della sorella fu anzi per lei uno stimolo a insistere e ri-
tentare. Quando la sorella Maria nel 1931 prese accordi con i congiunti e le
amiche per il pellegrinaggio,la Nina prese la sua decisione irremovibile: al po-
sto del fratello sarebbe andata lei a Lourdes, nonostante da mesi fosse un peso
per tutti, più a letto che fuori. «Sei matta - disse la sorella - non è un treno
per malati ma per pellegrini».'" 7«Èun'imprudenza grave*, disse il parroco.
Nonostante la recisa opposizione del medico, la Nina prese accordi con la so-
r d a Maria. Questa dichiarò che i'avrebbe accettata, se con lei veniva anche la
figlia di Nina, Adelina (Lina, in famiglia), di 27 anni, nubile e in grado di aiu-
tare: in quel modo avrebbero almeno diviso le responsabilità.
- Nina non riusciva né a muoversi né a stare in piedi da sola. Per farla an-
dare a Milano narrò al processo la domestica (una vedova di 41 anni) -
«la buttammo dentro» l'automobile.'" Portata alla stazione, con l'aiuto dei
facchini fu caricata sul treno per Genova. Qui fu fatto il trasbordo sul treno
dei pellegrini, sotto la direzione di un monsignore proveniente da Breganze.
Fu un viaggio «disastroso», narrò Maria. Di notte lei e la Lina dovettero star-
sene in corridoio per lasciare distendere la Nina nello scompartimento. Disa-
strosi furono i quattro giorni di permanenza a Lourdes. Ben due volte la Nina
stramazzò a terra; la si dovette contentare portandola d a grotta e altrove; il
quarto giorno la donna volle assolutamente immergersi nella piscina. Ii mira-
'O' C f . Poritio ruper mi~unrlu(19331, Summarium, p. 67
'" Poritio ruper mirunrlix (1933),Summarium, p. 61.

12.8 Page 118

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colo non venne. La Nina al processo ricordò le preghiere che fece e le grazie
che chiese alla Madonna: «Le mie intenzioni nel recarmi a Lourdes erano tre:
la prima, la conversione dei miei figli, che da molto tempo non andavano in
chiesa; la seconda, la sistemazione degli affari economici della mia famiglia,
che andavano male; la terza, la mia guarigione». Poiché non era guarita, prima
di partire si era fatta portare alla grotta. «Nel salutare la Madonna - prose-
guiva la Nina - le dissi: Giacché non son potuta guarire qui a Lourdes, con-
cedimi aimeno, per la devozione che ho al beato Don Bosco, che egli possa
ottenermi la guarigione a Torino» (la Pilenga con la Vergine usa il «tu» con-
fidenziale).'"
La comitiva di pellegrini giunse a Torino il 5 maggio sera. Prese alloggio
in varie pensioni e alberghi. Ii giorno dopo si diede convegno alla cappella
della Sindone presso il duomo. Sorretta a fatica dalla sorella Maria, dalla co-
gnata Palma e dalla figlia L'ma, Nina Pilenga poté unirsi agli altri. Caricata
dapprima su un automobile fu portata alla Sidone; qui poté fare la comu-
nione eucaristica, ma cadde per terra mentre si chinava per ricevere la bene-
dizione impartita agli ammalati. Di nuovo fu caricata in auto e riscaricata al
santuario della Consolata. Qui non ebbe pazienza di terminare con gli altri il
rosario. Fu caricata sopra una carrozza afferrandola per le spalle e per i piedi,
e fu scaricata davanti alla basilica dell'Ausiliatrice con l'aiuto del cocchiere.
<<Entraini chiesa - prosegue la Pilenga n d a sua deposizione- sorretta da mia
sorella e da mia cognata, e vidi subito l'urna del beato Don Bosco, al quale ripetei la
preghiera di convertle i miei figli e di guarirmi contro i miei meriti, per ottenere questa
conversione. Mi trascinai sempre appoggiata alle solite persone al banco che è dinanzi
all'urna, poggiai le mani sul banco stesso, mentre mia cognata e mia sorella a causa
della folia che premeva si erano allontanate un po' e mi trovai in ginocchio; senza che
io m'awedessi un benessere tale m'invase dai piedi fino alla testa; esclamai: Che piacere
sentirsi così bene! Chiai la testa e continuai a pregare, senza accorgermi di essere gua-
rita. Dopo circa venti minuti vedendo vicino all'urna il reverendissimo mons. Prosdo-
cimi, direttore del pellegrinaggio, voUi andarlo a salutare ed a ringraziare, e senza dif-
ficoltà mi awicinai a lui, lo ringraziai e, sempre camminando liberamente da sola e
senza alcuna diff~coltàm, i recai all'altare dirimpetto ali'urna del beato Don Bosco, dove
. era esposta la statua di Maria Ausiliatrice~."~
Ad accorgersi deUa scena furono due signore del gmppo di Urgnano. Una,
immaginando già un capitombolo, esclamò trasecolata: «La Pilenga è matta, si
sta muovendo da sola!».L'altra di rimando: «Non è matta: è guarita! »."l La
figlia Lina emozionata piangeva. Seguirono le sequenze del tripudio. La Piien-
Poritio super miranrlis (1933),Summarium, p. 10.
"O Positio super mironrlis (1933),Summarium, p. 12s.
"' Testimonianza di Giuseppina Floridi (signorina di 28 anni): <Pocodopomia cognata Te-
resa Floridi mi disse: Guarda, la Pilenga è matta; s'è fatta trasportare all'urna e adesso cammi-
na...»;cf. Poritio super miraculis (1933),Summarium, p. 82s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
ga, il parroco di Urgnano, le altre donne andarono in sagrestia ad annunziare
il miracolo. Poi salirono nelle camerette di Don Bosco. La Piienga toccava tut-
to, stringeva tutto quello ch'era stato di Don Bosco. Si accostò al letto ch'era
stato del beato e ne baciò la coperta. Sgridata dal custode replicò: «Per me
oggi tutto è permesso». Saliva e scendeva le scale da sola. Da sola montò sdia
carrozza con meraviglia del vetturale. Poi telegrafò a casa annunziando l'ora
deli'arrivo. Alle ore 15 con la sorella e la figlia prese il treno per Milano. Tra-
sbordò su quello per Bergamo. Qui furono a incontrarla il figlio Mario con la
moglie, la figlia Maria con il marito. M a sera tutti erano a Urgnano. il giorno
seguente alle cinque del mattino la Pienga era in chiesa alla prima messa sotto
gli occhi di tutti.
I1 medico perito romano nel suo giudizio medico legale elencò le «pazzie»
che fece la Pilenga nei giorni successivi:
«La guarigione ha subita la prova del fuoco. Assai sfavorevoli alle artriti sono gli
strapazzi fisici, l'azione del freddo umido, gli errori dietetici e anche patemi d'animo.
La Lanfranchi dopo il 6 maggio 1931 si è esposta: 1) a gravi strapazzi fisici, come il
viaggio così ricco di trasbordi da Torino ad Urgnano, viaggi a Morengo, a Bergamo e
soprattutto il viaggio al [santuario mariano del1 sacro monte di Varese in poche ore con
il pazzesco ritorno a mezzanotte; 2) alie intemperie di ogni sorta: pioggia, vento, neve,
aila incomodissima ora deile cinque del mattino per recarsi in chiesa alla messa; 3) ad
errori dietetici in rapporto aila sua discrasia, giacché il medesimo dottor Grena, medico
curante, attesta ch'elia "non ha fatto più alcuna cura, né osservato più nessun regime";
4) a forti patemi d'animo, senza che alcun disturbo antico più si sia affacciato. La gua-
rigione, se fosse stata non definitiva, avrebbe già, sotto l'azione di reattivi così formi-
dabili, addimostrata la sua precarietà».'"
Neli'ambito familiare la Pilenga poteva notare alcuni degli effetti religiosi
che desiderava: ii marito della figlia, gestore di un negozio a Urgnano e non
praticante, dopo la guarigione della suocera aveva cominciato a frequentare la
chiesa. In casa Pilenga si tenne sempre acceso un lumino votivo davanti al qua-
dro del beato Don Bosco. In paese c'era una richiesta continua d'immagini e
di reliquie; Don Bosco entrava nella devozione collettiva.
Non tutto awenne rapidamente e in modo uniforme. Giuseppina Canella,
la vedova domestica da qualche anno in casa Pilenga, dichiarava al processo
che ali'inizio rimase «un po' fredda», temendo una ricaduta; ma col passare
del tempo si persuase che la signora era stata mira~olata."G~ iuseppe Grena,
nativo del paese di S. Stefano degli Angeli e da un decennio medico condotto
a Urgnano, distingueva due atteggiamenti al paese: «In genere nelle persone
più colte si è riconosciuto il fatto prodigioso; nel popolo il fatto si è ricono-
sciuto, ma di esso si è parlato poco, perché la famiglia Pilenga per ragioni po-
'l2 GENTILJEu,diakm medinrm fegafe, p. 23s.
"'Poritio super miracufir (19331,Summarium, p. 63. . .

12.9 Page 119

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litiche non è ben vista, ma è si può dire temuta»."' In altre parole il medico
condotto di Urgnano, cattolico dichiarato ed esplicito sostenitore della possi-
bilità dei miracoli, alza discretamente un velo sui risvolti politici del miracolo
che la Pilenga chiese a Lourdes, e ottenne, per quel che personalmente la ri-
guardava, presso l'urna di Don Bosco a Torino. I figli, dei quali chiedeva la
conversione, erano passati attivamente dal combattentismo nazionalista al fa-
s~ismo."A~ Lourdes la donna chiedeva anzitutto la conversione dei figli. Par-
tendosene di là, chiese che la sua guarigione miracolosa servisse a far ritornare
i figli alla pratica religiosa al di dei suoi meriti personali. Si era in piena fase
di scontri tra circoli di azione cattolica e squadracce fasciste, fra Pio Xi e Mus-
solini. Neii'animo della Lanfranchi il termine «conversione» aveva probabil-
mente una comprensione più larga rispetto a quella indicata dal mero linguag-
gio religioso. Suilo sfondo si colloca anche la crisi economica mondiale del
1929; questa, ripercuotendosi sugl'interessi economici dei Pilenga, fmiva per
riflettersi anche sul comportamento religioso della signora Nina modulandone
i'intensa partecipazione ai sacramenti, la preghiera, il culto dei santi, i pelle-
grinaggi.
Dal caso della Lanfranchi Pienga si ricava come nel vissuto religioso il
culto a Don Bosco non era necessariamente connesso all'Ausiliatrice. La Pi-
lenga andò ail'Ausiliatrice di Torino non per chiedere direttamente d a Ver-
gine la grazia in quel santuario, ma per rivolgersi all'intercessione di Don Bo-
sco accostandosi d a sua urna, quasi come in forza di un'intesa ch'ella aveva
proposto e ottenuto d d a Madonna nella terra benedetta di Lourdes.
Per la cerchia praticante e pellegrinante lombarda e veneta che nel maggio
1931 da Lourdes tornava in patria, non più via Genova ma via Torino, i san-
tuari torinesi della Sindone, della Consolata e dell'Ausiliatrice s'inserivano nel-
l'arcipelago di luoghi di culto rinomati da visitare lungo l'itinerario di transito.
A vedere l'Ausiliatrice di Torino piuttosto come il polo principale di devo-
zione mariana promossa da Don Bosco erano anzitutto i componenti la fami-
glia salesiana (religiosi,allievi, ex allievi, cooperatori); e insieme a loro, ma non
"'Positio super miraculir (19331, Summarium, p. 44.
"' Molto esplicita fu in tal senso la testimonianza che rese al processo di Bergamo sulla gua-
rigione della Lanfranchi il parroco di Urgnano, Giovanni Battista Bonaita (nata a Martinengo il
23 febbraio 1867, perciò sui 63 anni): «In Urgnano la popolazione, che per ragioni politiche non
vede molto di buon occhio la famiglia Pilenga, avendo i figli della Pilenga preso parte attiva alle
spedizioni punitive fasciste ed essendo anzi a loro attribuita l'uccisione di un uomo, per cui fu
fatto processo con condanna a ventidue mesi di reclusione che non fu poi scontata, e che vede
anche i figli della Pilenga non frequentare la chiesa, non si è voluta interessare della cosa. DeUa
famiglia, le sorelle riconoscono sicuramente il miracolo; la figlia Adelina è meno entusiasta; dei fi-
gli, non so cosa pensino, perché non ho parlato. Quanto a me, avendo vista l'ammalata prima della
guarigione ed avendo assistito alla guarigione stessa, ritengo che la guarigione non si possa spie-
gare con mezzi naturali. La guarigione è da tutti attribuita al beato Don Bosco. Questa è anche
la mia convinzionen; cf. Pori& ruper miraculti (1933), Summarium, p. 356.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
di rado con altri intenti, i gruppi devoti gravitanti su Torino dal Piemonte e
d d e aree contigue.
Come d a Pilenga, anche ad altri la basilica mariana di Don Bosco dopo
il 1929 doveva apparire anzitutto come il luogo in cui si veneravano le spoglie
mortali del santo. Dopo queii'anno pertanto sono discernibili forme di culto
differenziato entro il santuario di Torino a Maria Aiuto dei cristiani. Nel com-
portamento pio attorno al 1930 si constata in genere uno stemperarsi sempre
maggiore del culto antico magico-sacrale, molto spesso esclusivista nelle sue
forme devozionali a santi taumaturghi e terapeuti. Ormai con minore rigida es-
clusione si chiedono grazie d a Vergine e ai santi in un santuario o in un altro,
all'interno della propria casa e neil'intimo del proprio spirito, senza nemmeno
dare una rigida importanza ai formulari specifici di tridui e di novene. D'altra
parte sul linguaggio e sul comportamento religioso è possibile cogliere i riflessi
delle ideologie e delle strutture politiche che pur sempre intervengono a im-
pregnare o condizionare la religiosità individuale e collettiva.

12.10 Page 120

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
LE FESTE DELLA BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE
FRA UNIVERSALISMO E FASCISMO
1. I precedenti (1925-1928)
Le date da scegliere e le feste da celebrare per la beatificazione e poi per
la canonizzazione erano insieme circostanze e accadimenti che il papa e i sa-
lesiani non intendevano lasciar cadere in mano al altri. Ii duplice evento, in-
fatti, della beatificazione e canonizzazione scaturiva essenzialmente dalla deci-
sione del papa e d d a postulazione che ne avevano fatta i figli spirituali di Don
Bosco.
Collocata, come si sperava, nel dicembre 1925, la beatificazione avrebbe
chiuso una serie di atti solenni che avevano caratterizzato il pontificato di Pio
XI in queli'anno giubilare. il cìima religioso di d o r a enfatizzava al massimo
la devozione al papa e il verticismo istituzionale sancito dal Vaticano I; queila
data inoltre per i salesiani, coincidendo con il centenario del primo sogno ri-
velatore del loro padre, poneva come un sigillo alla loro attività educativa in
tutt'e cinque i continenti. Ma dal 1925 la beatificazione era slittata al 1927 e
agli anni successivi, dopo che fu proclamata l'eroicità deile virtù di Don Bosco.
Già nel 1927 si ebbe un intervento esterno, nei cui confronti il gruppo diri-
gente salesiano di Torino prese subito le distanze. Tramite il cardinale Gaspar-
ri, l'arcivescovo di Torino, cardinale Gamba, aveva manifestato al papa il de-
siderio espresso dal duca d'Aosta, Emanuele Filibeno di Savoia (1869-1931),
che la beatificazione di Don Bosco awenisse nel 1928 in coincidenza con le
celebrazioni centenarie che si sarebbero fatte a Torino per il quarto centenario
deUa nascita del duca Emanuele Filiberto (1528-1580).' Con lo stile cauto e al-
lusivo richiesto d d e circostanze, Don Rinaldi fece subito conoscere le proprie
riserve al procuratore generale a Roma, Don Tomasetti:
*Mi rincresce assai quello che mi scrivi sulla beatificazione di Don Bosco. A me fu
riferito quanto scrissc il cardinale Gamba al cardinale Gasparri pel Santo Padre, ma
' Sul duca Emanuele Filiberto ci. Silvio BERTOLDIA, ortn. Gli oltn Savoia, Milano, Rizzoli
1987.
235

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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mentre non potevo impedirlo, non solo non ne ho trovato piacere, [ma] sospettai su-
bito quelio che è avvenuto. La domanda non fu fatta per favorire noi, ma per le feste
di Torino, nelle quali noi non prendiamo pane. Io sono solo nel comitato d'onore pei
lavori del duomo. Puoi assicurare mons. Salotti che noi siamo estranei a quanto ha fatto
il cardinale Gamba per impulso dei dirigenti le feste di Emanuele Fiberto, anzi mi
pare che non ci porteranno alcun vantaggio. Don Bosco non ha bisogno di complica-
zioni civili. Tuttavia noi non possiamo mostrarci contrari e cosl avrem[mlo da amho
le parti dispiaceri. Non se ne parli fuori. Questo per tua norma. Ciò che desidero è che
Sua Santità non ci creda istigatori e consiglieri dell'avanzata sollecitudine».'
In altre parole e fuori deii'allusività sembrerebbe che Don Rinaldi e i suoi
immediati collaboratori abbiano ritenuto che la coincidenza dei due eventi
comportasse una non gradita strumentalizzazione o forse anche una sorta di
svalutazione. Le feste infatti che i salesiani non avrebbero mancato di organiz-
zare sarebbero servite per convogliare nella metropoli piemontese una mag-
giore quantità di gente con tutto vantaggio delle feste cittadine e con un certo
senso di dispersione.) Ma c'era forse di più nelle valutazioni dei superiori mag-
giori salesiani.
Nella sua lettera a Don Tomasetti Don Rinaldi accennava aii'esistenza di
un comitato per i lavori di restauro del duomo torinese. Orbene, quel comitato
era stato uno strumento che il fascismo locale aveva adoperato per ottenere fi-
nalmente una sorta di allineamento e di acquiescenza dell'arcive~covo.~Era
questo per i salesiani un precedente inquietante: dietro la richiesta che il car-
dinale faceva per ottenere la beatificazione di Don Bosco in concomitanza ai
festeggiamenti torinesi del 1928 poteva vedersi una mossa dei fascisti per con-
quistarsi e subordinarsi i salesiani.
Succeduto al cardinal Richelmycome arcivescovo nel 1923, il Gamba si era
contraddistinto subito per l'atteggiamento assunto nei confronti deiia classe
operaia per nulla domata dopo il recente bienno rosso (1919-1920) con l'oc-
cupazione delle fabbriche e altre manifestazioni. I1 Richelmy, di estrazione no-
biliare, più che sostegno diretto aiie rivendicazioni operaie aveva dato appog-
gio a soluzioni paternalistiche e filantropiche in favore dei lavoratori delle fab-
briche e dei contadini dipendenti. L'arcivescovo Gamba, di estrazione conta-
dina, era venuto a Torino dopo precedenti esperienze di governo pastorale a
Rinaldi a Tomasetti, Torino, 24 luglio 1927; nella lettera successiva del 26 luglio, Don Ri-
naldi specifica: «Riguardo d a questione del cardinale Gamba che è interessato, le case stanno
cosl: i duchi di Aosta chiesero al cardinale Gamba che si interessasse perché la beatificazione si
facesse I'anno prossima coi festeggiamenti di Torino. Vedo che il cardinale non nominò i duchi
e neppure il cardinale Gasparri, quindi questo resti sub secreto assolutamente. Io ne fui avvertito,
ma non potevo oppormi che il cardinale Gamba compiacesse i duchi»; cf. RINALDIS,critti, p. 426-
428.
Nel volume mllettaneo Emanuele Filiberto (Torino,Lattes 1928) è da notare un contributo
del salesiano Don Alberto CAVIGLIA, Ln p i m giovinem (p. 1-39).
Cf. Bartolo GARIGLIOCa, ttolic5 democratic+ e cleico-fBrc5sti.Il mondo cattolico torinere al&
provo delfarcirmo (1922-1927), Bologna, il Mulino 1976, p. 172-179.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Novara, dove agevolmente si era ispirato a quanto facevano i cattolici a Milano
durante I'episcopato del card. Ferrari.' A Torino nei primi anni del suo go-
verno pastorale aveva appoggiato tra il clero e il laicato le aree di ispirazione
democratica e i gruppi che, d'accordo o in concorrenza con il socialismo, si
facevano promotori delle rivendicazioni operaie. Ma tra il 1925 e il 1926 il
quadro istituzionale liberale si poteva due in Italia completamente disgregato.
Entro tale quadro, il partito popolare, afflitto anche da divisioni interne, si era
estremamente indebolito. Sguarnito il tessuto politico del movimento cattolico
(anche in conseguenza della linea politica assunta daiia S. Sede), I'episcopato
tendeva a far leva sul clero per imprimere la fisionomia di azione cattolica di-
pendente daiia gerarchia a ogni forma di associazionismodei fedeli. 11fascismo
era passato dalla conquista violenta del potere pubblico al consolidamento
delle proprie posizioni e al dissolvimento dei residui di opposizione. Dal 1926
in avanti le iniziative fasciste miravano ormai al consenso totale, ali'allineamen-
to, ali'assorbimento delle strutture sociali di ogni genere in quelle dello Stato
ormai fascistizzato; in una parola, dali'egemonia si andava verso la dittatura di
Mussolini e verso il totalitarismo fascista. Era d'altra parte abbastanza chiaro
che daii'episcopato e dal clero il fascismo non poteva attendersi un asservi-
mento entro una struttura di Chiesa dipendente daiio Stato; un'operazione del
genere avrebbe provocato uno scontro frontale fra la Chiesa e lo Stato, di con-
seguenza avrebbe ridato energia alle forze politiche che il fascismo aveva com-
presso. La linea adottata fu dunque quella deli'aheamento deii'episcopato
aila politica fascista e la promozione del clerico-fascismo sia tra il clero infe-
riore che tra il laicato di osservanza cattolica. A Torino i restauri del duomo
furono appunto i'occasione che si offerse al fascismo per avere daii'arcive-
scovo l'acquiescenza o per lo meno il silenzio. I lavori di ripristino delle strut-
ture originarie deii'edificio del duomo era stata una delle aspirazioni del card.
Richelmy; ma aiie sue richieste di sussidi l'amministrazione cittadina liberale
aveva risposto con proposte di finanziamenti del tutto inadeguate. Ciò che il
Richelmy non ebbe, poté ottenerlo con larghezza l'arcivescovo Gamba nel
1926 daii'amministrazione cittadina ormai pienamente dominata dai fascisti.
In tali frangenti, nel decennio che vide in Italia l'indebolimento definitivo
del quadro politico liberale e il delinearsi delle tendenze totalitarie del fasci-
smo, i salesiani, sotto il governo di Don Filippo Rinaldi, operarono una sorta
di arroccamento nelle loro opere e un'attenta ridefinizione della loro missione
spirituale e civile in contrapposizione a quanto, persino in campo sociale, non
era ritenuto come essenziale e specifico.
In primo luogo si insistette sul principio stabilito daiie Costituzioni salesia-
ne, rivedute a norma del Codice di diritto canonico (1923), che i salesiani allo
' Cf. Francesco TRANELLO, L'epircopato piemontese in epoca fascirta, in: AA.W., Chiesa,
Azione Cattolico e farn'rrno nell'ltalia settentionole durante il pontifiato di Pio XI (1922-1939),
Milano, Vita e Pensiero 1979, p. 111-139; Pier Giorgio LONW, Movimento cattolico, clero e fa-
rcismo in dioceri di Nouara, ivi, p. 254-297.

13.2 Page 122

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scopo di mantenere «l'unione fraterna» erano attenti a evitare «le questioni di
politica».6 Sugli atti del capitolo superiore Don Rinaldi esplicitò che tale
norma obbligava tutti e non solo i confratelli che operavano in Italia.7 Gli
eventi italiani erano comunque i più vicini e i più presenti ai superiori mag-
giori residenti a Torino. Implicitamente si scoraggiavano e si vietavano inter-
venti diretti o indiretti di salesiani nelle contrapposizioni fra partiti politici. Più
in concreto ai salesiani in Italia era vietato di unirsi a giovani cattolici in ma-
nifestazioni organizzate dal partito popolare o di aggregarsi a gruppi giovanili
cattolici che si scontravano con fascisti o socialisti. Salesiani più esposti in ma-
nifestazioni dal sapore politico, come Don Giuseppe Bistolfi, Don Spirito Pol-
ledro, Don Giuseppe Barale, furono per lo più trasferiti di sede con il monito
di evitare pericolose sortite in politica. Don Bistolfi nel 1910 era stato chia-
mato a Torino a dirigere la rinnovata S.A.I.D. Buona Stampa, trasformata poi
in Società Libraria Internazionale (S.L.I.) e infine dopo il conflitto mondiale
in Società Editrice Internazionale (S.E.I.). Come responsabile editoriale, egli
selezionava o scriveva personalmente fascicoli per le «Letture cattoliche». Nel
dopoguerra era notoriamente schierato contro le violenze deile squadracce fa-
sciste. Redattore delia «Rivista dei giovani», mai aveva voluto ospitare articoli
di scrittori fiiofascisti, contraddistinguendo in tal modo la rivista negli anni del
consenso al fascismo da riviste salesiane più pieghevoli, quali ad esempio
«Gymnasium» dove furono ospitati anche brani di discorsi del duce. Nel 1934
parve dunque opportuno rimuovere Don Bistolfi dail'incarico, allontanarlo da
Torino e destinarlo a Castelgandolfo e poi al collegio di Alassio? Quando nel
1930 il presidente dell'Azione Cattolica italiana, Augusto Ciriaci, chiese , tra-
mite Don Tomasetti, che si permettesse a Don Bistolfi di collaborare a perio-
dici dell'associazione con articoli di carattere sociale, fu Don Tomasetti stesso
a notare che le condizioni di salute di Don Bistolfi erano tali da non permet-
tere di contare su di luL9 Ma c'è da chiedersi, se insieme ai motivi di salute
non esistessero ragioni d'altro genere, e cioè il timore di reazioni fasciste nei
Costituzioni della Sodetd di S. Francesco di Sales. Precedute dalrintroduzione smtta h l f o n -
datore sac. Giovanni Bosco, Torino, SEI 1923, p. 79: articolo 14 delle costituzioni, nel capitolo
«Forma della Società*.
' ACS 24 marzo e 25 dicembre 1924, p. 286 e 350; ulteriore richiamo del direttore spirituale
generale, Don Giulio Barberis, Ui: ACS 24 novembre 1925, p. 418s.
Giuseppe Bistoifi nato a Robbio (Pavia) il 17 aprile 1873; morto ad Alassio (Savona) il 14
novembre 1941; cf. «Bollettino salesianou 65 (dicembre 1941) p. 255; Dizion. biogrofim deisale-
siani, p. 42s.
Tomasetti a Rinaldi, Roma, 14 febbraio 1930 (AS036). I1capitolo superiore salesiano prese
in considerazione il nome di Don Bistoifi allorché si esaminò l'organigramma deila SEI; si voleva
che seguisse le pubblicazioni periodiche, in particolare la «Rivista dei giovani» e anche le «Letture
cattoliche»; d Verbali, vol. V, fol. 70v (AS 0592). - Augusto Ciriaci, nato 1889; morto a Roma
il 3 settembre 1936 a 48 anni, era ex allievo salesiana; era stato membro del circolo romano di
S. Maria Liberatrice e primo presidente del circolo giovanile all'oratorio del Testaccio; cf. «Bol-
lettino salesiano» 60 (dicembre 1936) p. 295; Francesco Malgeri, voce biografica in Dizion. storico
del movimento cattolico in Italia, W 1 , Casde Monferrato, Marietti 1984, p. 229s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
confronti dei salesiani, qualora si fosse tolto il bavaglio a un personaggio ben
noto come awerso al regime.
In secondo luogo nelle Costituzioni delia congregazione rivedute secondo
il Codice di diritto canonico si affermò il divieto di fare tra i confratelii «di-
scorsi di nazionalità».'Wi conseguenza si vietò ai salesiani la lettura dei gior-
nali non autorizzati dall'ispettore o superiore provinciale. Sulio sfondo di tali
disposizioni c'era il conflitto sempre incombente, ideale e pratico, fra univer-
salismo della Chiesa e ideologie nazionalistiche.
I1 fascismo al potere aveva rinvigorito il nazionalismo continuando a pro-
muovere anche le ((scuoleitaliane» all'estero. Ma l'impianto di scuole italiane
in Egitto e in Palestina era poco gradito all'Inghilterra e alla Francia. Nel 1925,
tramite il .vescovo di Malta, il governo inglese aveva manifestato d a S. Sede
le proprie lamentele sul comportamento dei salesiani in scuole italiane da loro
gestite in Medio Oriente. Don Tomasetti, informato dal card. Gasparri, ne
scrisse a Don Rinaldi. Nel 1927 indicava che il «punto debole» era costituito
da Don Michelangelo Rubino." Nativo della Puglia, Don Rubino era stato al-
lievo all'oratorio ancora vivente Don Bosco. Era poi stato nella casa salesiana
di Trieste, cioè in terra d'impulsi irredentistici e nazionalistici fomentati nel
dopoguerra dal fascismo. Inviato in Medio Oriente, ebbe compiti direttivi
presso scuole salesiane in Palestina e in Egitto. Si prowide a trasferirlo più
volte. Dalla Palestina ail'Egitto, da Porto Said al Cairo.12Si awertirono i sa-
lesiani di non mettere a disposizione le sale delle loro case per manifestazioni
patriottiche. Moniti più generali furono replicati sugli Atti del capitolo supe-
riore da Don Rinaldi e da don Giulio Barberis ch'era da circa due decenni il
direttore spirituale generale della congregazione.
In una lettera del dicembre 1929, in clima di più acuta tensione tra Pio XI
e il nazionalismo fascista predicato da Mussolini, Don Tomasetti riferiva diste-
lo Nell'articolo 14 citato sopra, n. 6.
" Cf, TOMASETT~o,cnrino 1926, pagina 10 giugno: «C'* qualche cosa nei riguardi dei sa-
lesiani che lavorano in Oriente?... Io sto lavorando per allontanare da loro la taccia di naziona-
lismo. H o avuto un colloquio al riguardo col vescovo di Malta, il quale fa gli interessi del nazio-
nalismo inglese» (AS 275 Tomasetti); e Tomasetti a Gusmano, Roma, 6 aprile 1927: «Da fonte
sicura ho appreso che il Santo Padre starebbe ruminando una enciclica contro il nazionalismo di
tutte le nazioni e che il governo italiano, conscio della cosa, cerca di far pervenire all'orecchio del
papa i suoi dubbi suli'opportunitA in questo momento di tale documento, temendo che la mas-
soneria lo travisi e lo sfrutti contro l'attuale regime fascista, cui viene rimproverato il favore che
accorda alla Chiesa, quasiché con esso intendesse a s s e ~ r kal suo carro... Se awenisse qualche
casa di doloroso in questa materia, noi avremmo un punto debole in Oriente, specialmente in Don
Rubino. Ci mancò la precisione e la tattica... Ma speriamo che n d a awenga di irritante o che so
io» (AS 036).
" Michelangelo Rubino nacque a Minemino Murge (Bari) il 5 settembre 1869; entrò come
studente a Valdocco nell'ottobre 1884; vi conobbe perciò Don Bosco; fattosi salesiano, fu diret-
tore dell'oratorio di Trieste dal 1908 al 1922; della scuola italiana di Smirne (1922-1924),di Porto
Said (1924-1926)e del Cairo (1926-1933); mori a Roma il 26 ottobre 1946; cf. Dizion. biografico
dei salesiani, p. 247.

13.3 Page 123

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samente un discorso che il papa aveva rivolto ai procuratori di ordini e con-
gregazioni religiose con impegni missionari «in partibus infideliumn:
<<Ieri6, dicembre, i procuratori degli ordini e d d e congregazioni che hanno mis-
sioni tra gli infedeli, furono ai piedi del Santo Padre e, per bocca di S.E. il card. Van
Rossum, gli espressero [...l felicitazioni e auguri pel suo anno giubilare. I1 Santo Padre
[...l prese la parola [...l dichiarando essere quella, fra quante visite ricevette, la più cara
al suo cuore, perché essa è ... come dirla? la più papale, la più divina, essendo fatta da
coloro che rappresentano i missionari, vale a dire i massimi continuatori della dilata-
zione del Regno di Dio, i precipui attuatori deli'euntes docete omnes gentes, baptizantes
eos in nomine Patris et Filii et Spiritur Sancti. Quindi pregandoci di compiere in questo
caso l'ufficio di aitoparlanti portando ai missionari sparsi nelle più remote regioni la sua
parola paterna e confortatrice, ci impani l'apostolica benedizione, seguita da qualche
raccomandazione che proveniva, non meno di quella, dai suo cuore paterno. La prima
si è di evitare il nazionalismo, il quale renderebbe sterile il lavoro del missionario, come
lo dimostra l'esperienza. Se questi lavorasse per un'altra bandiera che non fosse quella
di Gesù Cristo, si renderebbe incapace di fare proseliti al cristianesimo, perché, mentre
lo spirito del vero missionario è spirito di carità che attrae, lo spirito del nazionalismo,
essendo egoistico, contiene in sé una forza di repulsione che allontana. Si awera in que-
sto caso il detto di Nostro Signore: Nemo potest duobus dominis servire... Perciò, sog.
giunse il Santo Padre, si stia attenti a non lasciarci vincere dal miraggio di soccorsi pe-
cuniari, d d e facilitazioni, deiie protezioni, ecc. La seconda raccomandazione si è di
evitare i'affarismo, memori che il missionario si reca in lontane regioni per guadagnare
anime a Gesù Cristo e non già per fare denari...».l3
In terzo luogo Don Rinaldi negli anni del suo governo (1922-1931) mirò
persino a precisare che le attività sociali non erano proprie e specifiche deiia
missione salesiana. Sotto certi aspetti era questa forse una sorta di ripiega-
mento che Don Rinaldi andava proponendo e sollecitando a distanza di quasi
un ventenni0 dalle esperienze sociali che &inizio del secolo avevano avuto
come protagonista a Parma e a Torino Don Carlo Baratta. A iniziative sociali
si direbbe era più propenso Don Pietro Ricaldone, prefetto generale nel de-
cennio 1922-1932, che non il rettor maggiore Don Rinaldi. Direttore a Siviglia
(1894-1901) e poi superiore ispettoriale, Don Ricaldone si era ispirato al mo-
vimento neofisiocratico di Parma e aveva promosso qualcosa di simile in
Andalusia. Don Rinaldi invece aveva organizzato in altro modo le sue espe-
rienze di direttore e ispettore in Catalogna promuovendo scuole, oratori festi-
vi, case di formazione per i chierici, incontri spirituali dei confrateiii, attività
devozionali.
Occasione agl'interventi cautelativi di Don Rinaldi furono, più che la situa-
zione italiana, le informazioni che venivano doArgentina suii'attività che il
confrateiio laico Carlo Conci andava svolgendo quale esponente di tendenze
" Tomasetti a Rinaldi, Roma, 7 dicembre 1929 (AS 036).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
filo-operaie a Buenos Aires e altrove." Nel quadro deiie proprie campagne so-
ciali il signor Conci si era pronunziato per la nomina a vescovo del candidato
governativo anziché per quello proposto daiia S. Sede. Don Tomasetti scrisse
a Don Rinaldi che il card. Gasparri ne era rimasto amareggiato.15Si chiedeva
evidentemente un intervento del superiore di Torino sul confratello d'Ameri-
ca. Si pensò di richiamare temporaneamente in Italia Carlo Conci. Ma intanto
Don Rinaldi comunicò direttive più generali a Don Giuseppe Vespignani, il
membro del capitolo superiore che in quegli anni stava conducendo in Ame-
rica latina la visita canonica straordinaria d d e opere salesiane:
<(Horicevuto il "benservito" dei vescovi di Buenos Aires pel lavoro del caro Conci.
Sta bene anche questo, ma resta inteso che noi dobbiamo renderci estranei all'azione
sociale. I1 nostro lavoro deve essere: educare i giovani interni ed esterni, ed anche gli
ex allievi ed i padri di famiglia, ma nel campo religioso, del lavoro, della carità; anche
in Brasile resti in questo circolo».'6
Orientamenti di questa natura portavano a indebolire e a demotivare la po-
larizzazione di giovani maturi che negli anni anteriori aiia guerra erano richia-
mati in Italia da dibattiti su temi sociali virtualmente politici. Salesiani come
Don Antonio Cojazzi o Don Paolo Ubaldi, più che organizzare gruppi presso
gli oratori, prestavano la loro opera in sedi di istituzioni diverse, come la fe-
derazione degli universitari cattolici italiani (FUCI). Negli oratori salesiani d'I-
talia finivano per prevalere di conseguenza gli adolescenti, mentre i giovani
maturi si dileguavano perché assorbiti dagl'impegni deiia vita o perché attratti
da altre organizzazioni.
Dopo l'istituzione legale dell'opera Nazionale Balda (1926), anche per
premunirsi da ingerenze fasciste, furono ripristinate o istituite per la prima
volta tra gli &evi compagnie intitolate a S. Luigi, all'Immacolata, al SS.
Sacramento, a S. Giuseppe, come forme associative prettamente religiose in ri-
gida linea con I'associazionismo promosso già da Don Bosco. Fu comunque
uno sforzo organizzativo ch'ebbe larghe eccezioni in Argentina, dove nel con-
tempo ebbero ampio sviluppo le associazioni scautistiche intitolate a Don Bo-
sco.
In Italia il problema dei baldia divenne preoccupante e preminente a mano
a mano che dali'organizzazione promanante dal partito si passò al piano di or-
ganizzazione totale della gioventù italiana neli'opera Nazionale Baliiia."
Nel 1926 Don Tomasetti si poneva appena il problema dei ragazzi in divisa
di baliiia da non respingere dagli oratori giovanili salesiani. Scriveva nel suo
taccuino:
" Cf. Juan BELZA,Cond. Boceto biogrdfico de un bombre y de una época, Buenos Aires, Co
legio Industriai Pio M 1965.
" Tomasetti a Rinaidi, Roma, 22 gennaio 1925 (AS 036).
" Rinaidi a Vespignani, Torino, 14 lugiio 1925; cf. RNALDSIm, itti, p. 457s.
" Cf Luigi VILUWvo,ce «BdiUa» nella Enciclopedia Italiana,V, Roma 1930, col. 965-971.

13.4 Page 124

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«Si possono considerare al punto di vista di parte o di partito e al punto di vista
evangelico. Se li considero al punto di vista di partito, dovrei combatterli, perché sono
un'immagiie del partito fascista che è opposto al partito popolare, il quale si voglia
o non si voglia ha le sue radici nelle nostre organizzazioni, anche in quelle che non
avrebbero nulla a vedere colla politica. Se li considero al punto di vista evangelico, io
mi ricordo che Gesù lasciava le novantanove pecorelle per correre dietro alla pecorella
smarrita che Gesù è venuto nel mondo a salvare [...l.Ancora: io appartengo a un isti-
tuto che apre le porte ai monelli della strada, che cerca di accalappiare con divertimenti
per renderli a poco a poco critici; e allora, perché dovrei spaventarmi dei baiiila
[,,,1?".L8
Ma dopo il 1927 il quadro sociale e politico era ben altro. L'anima tota-
litaria del fascismo prevaleva. L'0.N.B. incombeva come un pericolo che mi-
nacciava lo stile educativo salesiano e l'esistenza stessa degli oratori e delle
scuole sia in Italia che nelle «scuole italiane all'estero».
Le prime awisaglie vennero daiie Marche e d d a Sicilia. Ai salesiani di Ma-
cerata fu chiesto che qualcuno d i loro si prestasse come cappellano dei balilla.
L'ispettore Don Giovanni Simonetti interpellò i superiori maggiori di Torino.
I1 12 aprile 1927 fu deciso dal capitolo che in linea d i principio non si era «af-
fatto alieni» da quel servizio; prowedesse lo stesso Don Simonetti a destinare
qualcuno; stesse attento a non cedere su due punti: non doveva lasciare inqua-
drare come balilla i giovani allievi e non permettesse ingerenze nella disciplina
interna:
«Quello che importa si è di non lasciare che altri vengano a comandare o diiigere
in casa nostra: i nostri interni sono interni, e come tali devono sottostare ai nostri re-
golamenti; I'oratorio festivo è oratorio festivo ed ha da essere secondo il metodo di Don
Bosco. Messo bene in sicuro questo principio, i nostri preti si prestino pure volentieri,
potendo, per i balilla, per gli avanguardisti; ma questi vengano radunati in altri locali,
in altre chiese non nostre. In altre parole, i nostri preti siano i cappellani pei balilla,
occorrendo celebrino per loro la messa e facciano loro un po' di predica, ma assolu-
tamente non si convertano i nostri oratori in luogo di convegno dei balilla».'9
Un caso di maggiore gravità fu segnalato da Don Giovanni Ségala, ispet-
tore dei salesiani in Sicilia. Questi asseriva che aveva ricevuto «ordine» d'in-
" Taccuino 1926 alla pagina 26-27 gennaio (AS 275 Tornasetti).
l9 Verbali del capitolo superiore, vol. V, fol.11 (AS 0592). U capitolo segui attentamente lo
sviluppo delia situazione. In giugno si apprese da *<LCa ivilth cattolica» e da *<L'Osseniator1e0-
mano» che era avvenuto lo scioglimento della «Federazione delle associazioni sportive cattoliche
italianer (FASCI);era un cedimento o compromesso voluto dal papa, pur di salvare daUe mire
fasciste l'esistenza delle associazioni di Azione cattolica. Al 20 giugno 1926 il verbale del capitolo
superiore salesiano registrava: «Don Rinaldi incarica Don Fascie di studiare la portata [dello scio-
glimento deUa FASCI] per sapere quello che si può o deve fare per salvare il più possibile le nostre
associazioni»;e al 5 dicembre: «DonFascie riferisce dei tentativi di reparti b d a di costituirsi nei
nastri internati»(].C,, fol.25; 50). Intanto in giugno s'era potuto toccare il tema delle associazioni
e deUe compagnie nel convegno nazionale dei direttori di oratori festivi.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
quadrare sia i giovani che frequentavano le scuole come allievi esterni, sia
quelli che frequentavano gli oratori in una coorte di b a l i a ; si lasciava che i sa-
lesiani stabilissero loro stessi un istruttore, cui l' O.N.B. avrebbe corrisposto
un onorario; si chiedeva inoltre che la coorte di balilla prendesse parte alle
«principali dimostrazioni esterne». Il capitolo superiore il 6 febbraio 1928 ri-
tenne inattendibile l'ordine e respinse le proposte o intimazioni:
«Per l'oratorio festivo abbiamo istruzioni chiare: accettare chiunque, vestito o no
balilla, purché si adatti d a vita deli'oratorio; non permettere che l'oratorio sia trasfor-
mato in una caserma di baMa. Le scuole nostre, frequentate da esterni, sono scuole no-
stre come quelle frequentate da interni, e per costoro non abbiamo ancora istruzioni.
Si chiederanno a Roma. Don Segala avrebbe fatto bene a dire da chi veniva I'ordine
e ricorrere al prefetto [della città] a norma delle istruzioni precedentemente date»."
Quest'insieme di fatti era ben presente quando si profdò ormai vicina la
data della beatificazione. Questa, come abbiamo visto, per forza di cose era
slittata dal 1928 al 1929. Solo il 19 marzo del 1929 si ebbe il decreto sui mi-
racoli e il 2 1 aprile successivo fu letto il decreto «de tuto». La cerimonia so-
lenne della beatificazione nella basilica di S. Pietro finì per essere fissata alla
domenica 2 giugno.
Nel frattempo un grande evento aveva profondamente modificato il clima
politico e sociale. L'l1 febbraio al palazzo Laterano erano stati stipulati il trat-
tato che stabiliva il nuovo Stato della Città del Vaticano fissandone i confini
e il concordato che regolava i rapporti tra la Chiesa e lo Stato in Italia. I patti
lateranensi ebbero, com'è noto, un'accoglienza largamente positiva neìl'opi-
nione pubblica d'Italia e del mondo. Non mancarono tuttavia dissensi e cri-
tiche anche radicali contro quegli accordi che il papa aveva fmito per prendere
con un regime nato dalla violenza, minacciosamente totalitario e imperialista.
Da parte laica anche fuori d'Italia (sui giornali inglesi e altrove) si criticò il
concordato che sembrava far perdere le conquiste dello stato liberale ponendo
le premesse di un rinnovato asservimento della società italiana al potere cle-
ricale. È pure noto come prima d i giungere d a ratifica dei patti si ebbero dure
impennate di Mussolini contro le critiche che gli erano state mosse. Si erano
avute in Italia elezioni politiche suiia base di una nuova legge elettorale. Ad
approvare gli accordi nel loro insieme e nelle singole parti fu dunque un nuovo
consesso di senatori e deputati. Al senato, Benedetto Croce mosse una critica
serrata al concordato giudicandolo un grande passo indietro nel cammino
dello spirito. I1 13 maggio Mussoiini alla camera dei deputati replicò dichia-
rando con enfasi che il concordato fascista era il migliore tra quelli che lo stato
italiano poteva fare per chiudere la questione romana; e con impeto retorico
proclamava il carattere per n d a clericale del fascismo:
«Lo stato fascista - esclamava - rivendica in pieno il suo carattere di eticità; è
Verbali del capitolo superiore, vol. V, f. 62

13.5 Page 125

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cattolico, ma è fascista, anzi è soprattutto, esclusivamente, essenzialmente fascista. 11
cattolicesimo lo integra, e noi lo dichiariamo apertamente, ma nessuno pensi sotto la
specie filosofica, metafisica, di cambiarci le carte in tavola»?'
Neil'ambito fascista, affermava Mussolini, l'educazione cattolica non era
un cedimento; l'educazione fascista infatti l'assorbiva e aveva come scopo su-
premo e irrinunziabile il dare ai giovani «il senso della virilità, deUa potenza,
della conquista».
I1 giorno successivo agli allievi del collegio dei gesuiti di Mondragone il
papa rivolgeva un breve discorso in cui puntualizzava il ruolo essenziale del-
l'educazione: «Se tutti gli Stati devassero d a conquista, che accadrebbe? In
questo modo non si contribuirebbe d a pacificazione generale, ma piuttosto
alla generale conflagrazione...».2"
Seguivano giornate dense di tensione, di repliche ferme e di trattative; in
queste ultime, sia pure collateralmente e al coperto, entrò come mediatore e
informatore anche Don Francesco Tomasetti.
Il 6 giugno «L'Osservatore romano» pubblicò una lettera di Pio XI al se-
gretario di Stato, card. Gasparri, in cui si dichiarava ch'era volontà del pon-
tefice la conclusione non dissociata sia del trattato che del concordato: simul
stabunt owero simul cadent. Si ebbero le ultime ore di trattative affannose fra
Mussolini e Pio XI tramite il marchese awocato Francesco Pacelli. Si trovò la
formula soddisfacente per entrambi. Ii giorno successivo si ebbe la ratifica dei
patti lateranensi. Nunzio pontificio presso l'Italia fu nominato monsignor
Francesco Borgoncini Duca; primo ambasciatore d'Italia presso la S. Sede, Ce-
sare Maria De Vecchi di Va1 Cismon, il quadrumviro piemontese, ben noto
per le sue imprese a Torino negli anni deli'awento del fascismo e ben cono-
sciuto, anzi in dimestichezza, con Don Tomasetti a Roma.
Era naturale che il succedersi di questi fatti si riflettesse di volta in volta
sulle scelte che i salesiani erano propensi a fare per dar lustro, decoro, riso-
nanza, significatività alle feste che si prevedevano di celebrare e promuovere
a Roma, a Torino, dappertutto.
Nel febbraio 1929 viene accarezzata l'idea di avere in S. Pietro per la bea-
tificazione di Don Bosco addirittura il re e la famiglia reale. Don Tomasetti era
ben edotto sulle riluttanze di Vittorio Emanuele I11 già nei confronti deli'idea
di concordatoz3 e di convivenza di due sovranità nel territorio urbano di
" È un punto saliente e classico del lunghissimo discorso, su cui cf. Renzo DE FELICE, MUS-
solini il fucista, lì:L'organizzazione delio Stato fascista 192f-1929,Torino, Einaudi 1968, p. 429s;
Giorgio CANDELORSOto,ria dell'ltalio moderna, Vol. M : Il fascismo e le sue guerre, Milano, Fel-
trinelli 1981, p. 248s.
Cf. DEFELICE,Mussolini ilfarirln, p. 431; C A N D E S~tor,ia delPIti1lia moderno, p. 249.
'' Cf. Tomasetti a Rinaldi, Roma, 2 febbraio 1929: <Colcard. Gasparri parlai di volo della
tanto attesa soluzione della questione romana e soprattutto del lavoro che al ministero deiia Giu-
stizia e degli affari del culto si stava compiendo per riformare, secondo il desiderio deila Santa
Sede, la legislazione ecclesiastica per metterla in armonia col Diritto canonico. Mattei-Gentili mi
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Roma. Stipulati gli accordi, il re d'Italia non si piegava alle formalità di una
visita ufficiale al papa, che poi sarebbe stata contraccambiata soltanto dalla vi-
sita del cardinale segretario di Stato.
«I1 papa - spiegava Don Tomasetti a Don Rinaldi -, secondo l'etichetta in uso
prima del '70, non suole restituire la visita personalmente, ma per mezzo del cardinale
segretario di Stato, etichetta che l'attuale papa vuole sia ancora osservata; casi si teme
che il re non voglia assoggettarvisi. Cercheremo di far indurre il re a fare tale visita e
intanto ci adopreremo perché la stampa faccia conoscere l'etichetta ~aticanan.~~
Don Tomasetti, a quanto pare, contava d'intervenire utilmente usando en-
trature e amicizie che aveva coltivato fui dd'inizio del secolo, dagli anni cioè
in cui era superiore deil'ispettoria salesiana romana, nelle sfere della casa re-
gnante e nel mondo giornalistico; più volte infatti aveva ottenuto la partecipa-
zione di membri di casa Savoia a solennità celebrate presso l'ospizio S. Cuore
al Castro Pretorio o altrove.
Si poteva sperare in una partecipazione della famiglia reale e «soprattutto»
del re in S. Pietro neil'ambito più largo delle trattative in corso; comunque -
precisava Don Tomasetti scrivendo a Don Rinaldi- «l'invito dovrebbe essere
fatto dai superiori, anzi dal rettor maggiore; invito che, date le relazioni del ve-
nerabile Don Bosco con casa Savoia, è più che naturale»; era anche owio che
ogni passo doveva essere fatto in pieno accordo tra S. Sede e Stato italiano?'
Nella memoria salesiana dunque i precedenti alla partecipazione del re
erano colti nell'atteggiamento e nel comportamento del loro fondatore. Certa-
mente, a voler bene indagare, a sorreggere il comportamento di Don Bosco
non si trovano motivazioni inquadrabiii in teorie politiche e ideologiche; Don
Bosco agiva sulla base della mentalità popolare che nutriva sacro rispetto per
il sovrano e agiva nella persuasione ch'era giusto e opportuno avere il pieno
appoggio diretto o indiretto della casa regnante. Se aveva annunziato nel 1854-
1855 «grandi funerali in corte» in occasione delle leggi soppressive di enti ec-
clesiastici, aveva poi ottenuto nel 1865 che un figlio di Vittorio Emanuele 11,
Amedeo di Savoia duca d'Aosta, presenziasse d a posa della prima pietra della
chiesa intitolata ali'Awcilium Chri~tianomm?N~on dovette affrontare le situa-
zioni difficili di altri fondatori di opere consimiii, come Ludovico da Casoria
assicura che M u s s o h presenterà qualche cosa di grandioso, che servirà di esempio al mando uni-
verso. I1 re è diventato favorevole, ed io penso che di questo si debba dare merito al card. Gamba,
il quale deve aver agito per mezzo del principe ereditario e della regina Elena. Ora il papa e Mus-
solini trattano direttamente, scrivendosi I'un l'altro. Latore deiie lettere del papa è l'aw. Pacelli;
latore deiie lettere di Mussolini è sua eccellenza Ginmini»(AS 036). Paola Mattei Gentili, infar-
matore di Don Tomasetti, era allora sottosegretario al ministero della Giustizia.
" Tomasetti a Rinaldi, 20 febbraio 1929 (AS 036).
'' Tomasetti a Rinaldi, 1.c.
'' Qui riprendiamo quanto è espresso in P. STELLA, La ninoniuazione di Don Bosm tra fn.
scirmo e uniuersalismo, in: Francesco TRANEL(La Ocura), Don BOSCOnella storia della cultura po-
polare, p. 359-382.

13.6 Page 126

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o come i successori di Ludovico Pavoni a Brescia e Maddalena di Canossa a
Verona, i quali passarono daila sudditanza dei Borboni o degli Asburgo a
queUa dei Savoia. Don Bosco non aveva avuto mai motivi per porre in discus-
sione la sua fedeltà aUa casa Savoia e aii'istituzione monarchica. I legami dei
salesiani con la casa regnante si erano a loro volta consolidati e intensificati so-
prattutto a partire dal periodo giolittiano, appunto nel quadro più largo di pa-
cificazione civile ricercata dalla monarchia e daUa Chiesa in tempi di conflitti
di classe emergenti.
L'awento del fascismo non pose in crisi la lealtà monarchica dei salesiani
in Italia; che anzi tale lealtà, intesa come rispetto verso l'autorità suprema deilo
Stato, contribuì in quegli anni a mitigare le riserve nei confronti di Mussolini,
denominato sistematicamente nel «Bollettino» e in altre pubblicazioni salesia-
ne, non come «capo del partito fascista», bensì unicamente come «capo del
governo».
Don Tomasetti prowide anche a preparare l'animo del papa profittando
di un'udienza pontificia e portando il discorso alla lontana sui nessi ch'era pos-
sibile mettere in luce tra la figura di Don Bosco, l'opera dei suoi figli spirituali
e la conciliazione.
«Questa mattina - scrisse a Don Rinaldi il 28 febbraio-sono stato dal Santo Pa-
dre [...l.Ho porto a Sua Santità le più vive congratulazioni pel felice accordo concluso
tra la S. Sede e lo Stato italiano, accordo che farà tanto bene aiie anime. Era questo
- soggiunsi - il sogno del venerabile Don Bosco. U papa mi intermppe dicendo: Lo so,
perché egli stesso me ne parlava...
Io continuai: E questo era anche il sogno dei figliuoli di Don Bosco, i quali, diret-
tamente o indirettamente, sotto lo sguardo e coli'approvazione dell'autorità ecclesiasti-
ca, lavorarono sempre a questo scopo. - E qui feci qualche accenno agli anni passati;
ed egli si manifestò perfettamente edotto di ogni cosa»,''
Ii percorso travagliato degli eventi tra la firma dei patti lateranensi e la loro
ratifica costrinse ad accantonare il progetto del re d'Italia in S. Pietro il 2 giu-
gno. Fino al 6 giugno infatti si ebbero momenti di estrema tensione. Un clima
diverso caratterizzò i preparativi delle feste a Torino. Ai salesiani fu possibile
avere addirittura nel comitato d'onore maschile il principe ereditario Umberto
di Savoia quale presidente, e con lui nel comitato sette altri membri della casa
reale; nel comitato d'onore femminile si ebbe come presidente la principessa
Jolanda, primogenita di Vittorio Emanuele 111,e' con lei nel comitato altre
quattro principesse sabaude.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
2. Riti e feste a Roma e a Torino (giugno 1929)
La cronaca delle giornate romane e torinesi dal 2 giugno aUa fine del mese
è ampiamente presentata dal «BoUettino salesiano» nelle varie lingue con ricco
corredo fotografico. Una rievocazione più analitica è data in una settantina di
pagiie deiie Memorie biografiche da Don Eugenio Ceria, testimone dei fatti in
entrambe le
Quel che colpì maggiormente fu l'immensa foUa che si diede convegno
prima a Roma, poi a Torino. Le previsioni salesiane erano che a Roma sareb-
bero convenute aii'incirca centomila persone dail'Italia e dail'estero, tra gio-
vani e adulti; la gran parte si sarebbe poi trasferita a Torino. Qui inoltre sa-
rebbero intervenuti daii'intero Piemonte a diecine di migliaia i pellegrini, gli
ammiratori, gli amici, i curiosi. Mussolini, aderendo aila domanda avanzata dai
salesiani, autorizzò per l'occasione lo sconto del 50% sui biglietti ferroviari dei
singoli e deile comitive.29Su richiesta di Don Tomasetti furono predisposti
circa 60.000 biglietti d'ingresso al pomeriggio del 2 giugno nella basilica di S.
Pietro, cioè ventimila in più rispetto aila prevista capienza del tempio. Moti-
vava Don Tomasetti: è meglio che non si possa entrare in basilica per man-
canza di spazio, che non per mancanza di biglietti.'O
La basilica infatti si riempì completamente sia ai riti del mattino che a
quelli del pomeriggio. La nutritissima presenza di giovani destò una pàrtico-
lare atmosfera di entusiasmo; terminati i riti, le acclamazioni, i battimani fre-
netici, lo sventolio di fazzoletti, .l'agitarsi di teste e di mani scavarono neU'a-
nimo del papa e dei monsignori una sensazione di ebbrezza profonda e indi-
menticabile.
11 giorno dopo nel cortile di S. Damaso, h o al iimite deiio spazio consen-
tito daila tribuna papale, si accalcarono, distribuiti in gruppi abbastanza di-
stinti, circa dodicimila tra salesiani, figlie di Maria Ausiliatrice, loro allievi,
cooperatori ed ex allievi. Ciascun gruppo di giovani faceva sentire appena pos:
sibile nei minuti d'attesa inni e marce della propria banda musicale facendo
impazientire il maestro deila banda palatina che non riusciva ad awiare l'inno
pontificio. A un gesto di estrema stizza del maestro intervenne divertito lo
stesso papa: «Abbia pazienza, maestro; siamo in un oratorio festivo».)'
Per numero di persone e per entusiasmo, commentava la «Civiltà Catto-
lica», la partecipazione di quei giorni non aveva riscontro se non nelle feste
che si erano celebrate nel 1925 per la canonizzazione di Teresa di Lisieux."
MB 19, p. 130-202.
l9 Tomasetti a Ruialdi, Roma, 6 giugno 1929 (AS 036).
'O Tomasetti a Rinaldi, Roma, 1 e 22 maggio 1929 (AS 036).
" MB 19, p. 152.
" «La Civiltà cattolica* 80 (1929) iII, p. 75; MB 19, p. 150. Merita ricordare l'ampio arti-
cola: La mirrione educatrice delln Chiesa e la glorifiaorione diDon Bosm, pubblicata la stesso anno
n, da «La Civiltà cattolica* 80 (1929) p. 385-398;con documentazione inedita vi è posto in rilievo
I'appoggio dato dai gesuiti a Don Bosco a Torino e a Roma.

13.7 Page 127

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I12 giugno cadeva anche in Italia la festa dello Statuto. A Roma erano pro-
grammati, secondo una tradizione ormai cinquantennale, fuochi d'artificio al
lungo Tevere non lontano da S. Pietro. Per l'occasione i salesiani chiesero e
ottennero dal governatore di Roma, principe Boncompagni, che i fuochi d'ar-
tificio venissero spostati alla domenica successiva, in modo che l'attenzione di
tutti andasse alla luminaria che si fece della facciata e della cupola di S. Pietro
a completamento fantasmagorico di quella giornata di festa?' Seguirono poi i
giorni rituali del triduo nella chiesa del S. Cuore al Castro Pretorio, con la
chiesa affollatissima, moltissime confessioni e comunioni, luminarie aila sera,
concerti bandistici e corali eseguiti di volta in volta da oratori e collegi sale-
siani.
A Torino la domenica 9 giugno si ebbe al mattino la messa pontificale nella
basilica dell'Ausiliatrice con grandi cori polifonici, sfarzo liturgico, la chiesa
gremitissima. Ma l'evento culminante si ebbe dal pomeriggio aUa sera con il
frasporto solenne delle spoglie di Don Bosco, entro un'urna appositamente co-
struita. dal colle-aio di Valsalice -per -più di quattro chilometri fino alla basilica
dell'~"siliatrice.
Oltre al comitato d'onore delle feste era stata costituita sotto la presidenza
del prefetto generale dei salesiani, Don Pietro Ricaldone, una commissione ge-
nerale ordinatrice distinta in sei sottocommissioni, ciascuna con compiti spe-
cifici: l) pellegrinaggi, ailoggi, trasporti; 2) esumazione, r i c o m p o ~ ~ o nvee,-
nerazione della salma; 3) funzioni religiose; 4) traslazione della salma; 5) pro-
paganda, stampa; 6) radioaudizioni, documentazione, foto-filns?'
La quana commissione, sotto le direttive immediate di Don Ricaldone, or-
dinò e seguì con abilità e sicurezza il corteo, le sue singole pani, l'itinerario,
i tempi e i modi di procedere, il raccordarsi, le soste. Furono manovrate nel
corteo in tutto circa cinquantamila persone, che sotto il profilo di apparte-
nenza e di raggruppamento ben riflettevano il momento storico che Torino at-
traversava: non solo la celebrazione dei patti lateranensi e l'accordo fra la
Chiesa e lo Stato, ma la glorificazione di un grande figlio della propria terra
e l'affermazione di Torino, città pilota dell'industria automobilistica italiana
nel mercato mondiale.
Dopo il primo e secondo gruppo, comprendenti la gioventù femminile e
maschile di collegi e oratori salesiani in Torino, erano disposti il terzo e quarto
n Scriveva in proposito Don Tomasetti a Don Rinaldi il 23 mano 1929: «il Santo Padre de-
sidera che il 2 giugno sia illuminata la cupola, la facciata e il calonnato di S. Pietro. La beatifi-
cazione del venerabile Don Bosco - dice il papa - deve assumere una solennità particolare. È
per questo che si inizia la serie delle beatificazioni con Don Bosco. La spesa è di L. 50.000 - mi
fa sapere il Santo Padre per mezzo di mons. Pelizzo-, ma i salesiani l'affronteranno volentieri in
onore del loro santo fondatore. Soggiunse mons. Pelizzo che si farà udaltra illuminazione il 29
giugno, la cui spesa di L. 50.000 sarà divisa tra le cinque postulazioni che entro Panno giubilare
avranno il loro servo elevato agli onori deli'altare...». Mons. Luigi PeUizza, arcivescovo titolare di
Damiata, era economo segretario d d a S.C. della Reverenda Fabbrica di S. Pietro.
Cf. MB 19, p. 169s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
gruppo composti rispettivamente dalla gioventù femminile e maschile in divisa
fascista: l'Opera Nazionale Piccole Italiane e le Giovani Italiane nel terzo
gruppo; l'Opera Nazionale BaliUa e gli Avanguardisti nel quano. I1 quinto
gruppo comprendeva giovani d'istituti educativi torinesi, femminili e maschili
non salesiani; tra questi ultimi si distinguevano i giovani del collegio dei
Giuseppini del Murialdo. Seguivano tre gruppi, dal sesto sll'ottavo, con gio-
vani d'istituti salesiani maschili e femminili del Piemonte. Questi gruppi, dal
primo all'ottavo, stavano raccolti nell'ampia piazza Vittorio presso il fiume Po;
di cominciarono via via a sfilare lungo via Po, la strada vetusta e dignitosa
che conduceva verso il centro, con tipici caffè e sulla quale si affacciavano, tra
gli altri austeri edifici, quello dell'università degli studi e della biblioteca na-
zionale.
I1 nono gruppo, il più folto, era costituito da circa dodicimila appartenenti
all'Azione cattolica; uomini, donne, universitari, ragazzi «effettivi» e «aspiran-
ti» deli'intero Piemonte venuti a Torino in coincidenza con il loro congresso
regionale: un assembramento che negli anni precedenti era stato sistematica-
mente vietato perché giudicato una concorrenza provocatoria nei confronti dei
balilla.
Gli altri gruppi fino al quattordicesimo comprendevano rappresentanze di
istituti salesiani d'altre regioni d'Italia e dell'estero, rappresentanze dei coope-
ratori e degli ex allievi, del clero secolare e regolare.
Ii gruppo quindicesimo era formato dai prelati, vescovi, arcivescovi e
cardinali, scottati dai cavalieri in uniforme degli O r d i i di Malta e del S. Se-
polcro.
Sotto il profilo politico e civile le rappresentanze più significative erano co-
stituite dai gruppi successivi. Il sedicesimo, in attesa sull'atrio del Palazzo Ma-
dama, era formato dalle autorità civili e militari, dal corpo consolare, dal co-
mitato d'onore e dai podestà dei comuni del Piemonte dov'erano opere sale-
siane. Sfilavano nel corteo il gruppo diciassettesimo e diciottesimo, con rap-
presentanze di varia natura:
- «Gruppo XVII: Associazione nazionale famiglie dei caduti in guerra e dei caduti
fascisti Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra - Istituto del Nastro Az-
zurro - Università di Torino: professori e goliardi - Università cattolica del "S. Cuore"
di Milano - Istituti superiori d'istruzione - Associazioni femmina insegnanti delle
scuole medie e primarie - Unione Insegnanti "Don Bosco".
Gruppo XVIII: A) Gruppi rionali fascisti di Torino - Associazione nazionale com-
battenti - Associazione volontari di guerra -Reduci di Francia - Bombardieri del Re
- Associazione nazionale del fante - Associazione nazionale granatieri - Associazione
nazionale alpini - Associazione nazionale bersaglieri - Associazione piemontese ani-
glieri d'Italia - Associazione nazionale artiglieri di montagna - Associazione nazionale
arma del genio - Direttori0 Società reduci del mare - Associazione di cavalleria gruppo
Piemonte. - B) Confederazioni nazionali fasciste: Industria - Commercianti - Agricol-
tori - Trasponi terrestri. - Rappresentanze: Sindacati fascisti dell'industria - Famija

13.8 Page 128

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Turineisa - Federazione Comunità artigiane - Unione escursionisti - Circolo Veneto -
Società Protettrice degli animali - Pellegrinaggi diversi»?'
Ognuno dei raggruppamenti predisposti per la sfilata era preceduto e in-
framezzato da una banda musicale. Oltre quelle di istituti salesiani si distingue-
vano nel terzo e quarto gruppo rispettivamente il corpo musicale del dopola-
voro «Fiat» e la banda del gruppo sportivo «Lancia», cioè le bande esistenti
presso le due grandi case automobilistiche di sede a Torino. La «Lancia»
aveva anche fornito la carrozzeria d'auto appositamente preparata su cui fu
posta l'urna e che in tal modo fu sospinta fino ail'ingresso della basilica del-
l'Ausiliatrice.
I1 corteo sfili>dapprima tra fde fittissime di popolo in via P O ; ' ~poi fra una
marea sterminata e ondeggiante di gente in piazza Castello sotto gli occhi delle
autorità; mentre i principi di casa Savoia in questa fase della cerimonia con-
templavano affacciati al Palazzo Reale appositamente addobbato con sfarzosi
arazzi. Ma nel declivio dalla cattedrale fino a piazza Emanuele Filiberto (ora
piazza della Repubblica) e lungo il corso Regina Margherita - in luoghi che
appena un decennio prima erano stati teatro di scontri fra popolani in agita-
zione e forze deil'ordine - la folla era di altra natura, costituita in prevalenza
dalla gente che quotidianamente vi andava o vi transitava per il mercato di
Porta Palazzo. Si vedevano arrampicati sui lampioni, sul tetto delle auto, su
quello dei torpedoni in sosta ragazzi, giovanotti, uomini maturi e persino
donne agitare fazzoletti e cappelli, gridare «Viva Don Bosco!D, unirsi a squar-
ciagola al canto, allorché ciascuna banda e ciascun gruppo del corteo intonava
il ritornello entrato nelle orecchie di tutti: «Don Bosco ritorna fra i giovani an-
cor! Ti chiaman frementi di gioia, d'amor! ».
Aerei volteggiavano quando l'urna del beato passò accanto al Palazzo Ma-
dama e sotto il Palazzo Reale. M a fine di tutto, dopo la riposizione dell'urna,
- dopo le cerimonie religiose in basilica, dopo la benedizione eucaristica finale
impartita contemporaneamente da tre cardinali Gamba in basilica, Vidal y
Barraquer sul sacrato, Hlond sul piazzale del Rondò - la cerimonia si con-
cluse. La festa ebbe le sue transizioni serotine e notturne: luminarie per le case
in tutta la città, fuochi d'artificio a tarda sera nello stadio comunale con figure
scintillanti che rappresentavano tra l'altro la basilica dell'Ausiliatrice con Don
Bosco in gloria suscitando battimani e meraviglie. Nei giorni successivi si sen-
tiva per le strade e nelle botteghe zufolare o canticchiare il ritornello: «Don
Bosco ritorna...».
Il lunedì 10 giugno i cardinali, i vescovi e i prelati su auto poste a dispo-
sizione dalla fabbrica furono condotti in visita alla «Fiat». Ii senatore Gio-
" Cf. MB 19, p. 180s.
'"'Annuaire 1930., .p. 839. dava in sintesi il computo numerico, certamente amplificato per
quanto riguardava i partecipanti al corteo: «100.000 fedeli, 48 vescovi e arcivescovi; 5 cardinali
scortarono l'urna d a presenza di 250.000 spettatori».
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
vanni Agnelli tenne un discorsetto agli ospiti in cui manifestava l'intesa di fatto
esistente tra i salesiani nei vari continenti e i luoghi di mercato che la fabbrica
automobilistica torinese mirava a conquistare.
«Ilavoratori della "Fiat " - concludeva il senatore-saranno fieri se gli eroici mis-
sionari delle case salesiane, le quali coprono veramente la faccia del globo, porteranno
nel loro apostolato fra le genti più diverse e lontane come espressione vivida della rin-
novata Italia - rinnovata dal pensiero e daii'opera di sua eccellenza il capo del governo
nazionale, onorevole Mussolii - il ricordo e la visione di questo nostro Tempio del
lavoro»?'
Presenti tanto nelle celebrazioni romane quanto in quelle torinesi furono
il conte Paolo Thaon di Revel, podestà di Torino, e il conte Eugenio Rebau-
dengo, senatore del regno, personalità di prima grandezza nel mondo finan-
ziario italiano di allora, coinvolto nel gioco imprenditoriale della «Fiat», pre-
sidente deil'unione internazionale dei cooperatori salesiani. Con loro prese
pane a Roma, a Torino o anche in entrambe le città uno stuolo di personaggi
dell'aristocrazia nobiliare, finanziaria e culturale.
Anche a prescindere dalla congiuntura fascista, la presenza di rappresen-
tanti autorevoli deil'amministrazione cittadina, nonché di esponenti della no-
biltà redditiera e deil'alta borghesia finanziaria si radicava nelle tendenze già
manifestate da Don Bosco nel quadro di transizione economica, sociale e cul-
turale dalle strutture di antico regime a quelle deil'età del capitalismo e del li-
beralismo. Costituendosi promotore d'iniziative religiose e sociali «private», in
campi in cui l'amministrazione pubblica garantiva libertà e forniva in parte an-
che sostegno economico, Don Bosco coltivò l'intesa e l'appoggio dell'ammini-
strazione pubblica; ma anche si prowide di volta in volta di sostegni del
mondo privato in modo da garantirsi autonomia di azione e di strategie, ca-
nalizzando finanziamenti per lo più in denaro liquido attraverso lotterie e do-
nativi, con la propaganda sul «Bollettino salesiano» o anche con l'accettazione
di lasciti ereditari che investiva al più presto in costruzioni di collegi, attrez-
zature scolastiche, beni di sussistenza per l'alimentazione di centinaia di ragaz-
zi, spese richieste dalla spedizione di salesiani altrove, in Europa e in America
latina.
Configurandosi, sotto il profilo economico e sociale, come abile e tenace
«libero imprenditore» nel campo deiia filantropia e deil'educazione, Don Bo-
sco poté ottenere consensi e sussidi sia dai vecchio mondo nobiliare sia anche
dalla borghesia che aveva in mano le redini deli'economia e ch'era interessata
a un certo tipo di educazione popolare.
La presenza nel corteo, svoltosi il 9 giugno, della «Lancia» e della «Fiat»
non era anch'essa un fatto occasionale, ma un momento deil'intesa già esi-
stente e della fiducia che le due grosse aziende riponevano nei salesiani, nelle
loro scuole e nei loro oratori giovanili impiantati in aree popolari da cui le due
'' «Bollettino salesianon 53 (agosto 1929) p. 229

13.9 Page 129

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imprese reclutavano operai ed operaie. I1 Borgo S. Paolo, zona dove a Torino
era impiantata la fabbrica automobilistica «Lancia», era anche polo rovente di
rivendicazioni operaie e socialiste. Nel 1922 il card. Richelmy vi pose la prima
pietra della chiesa a Gesù Adolescente, cui sarebbe stato annesso l'oratorio
C
giovanile. Presenti d a cerimonia furono la principessa Letizia di Savoia, la du-
chessa d'Aosta, autorità cittadine, esponenti del clero e del patriziato.'* L'isti-
tuto fu messo a punto in un triennio. L'oratorio salesiano di S. Paolo, dopo
le prime reazioni ostili, divenne il punto di richiamo a larghi strati della po-
polazione, costituita per lo più da famiglie rurali immigrate dalle ataviche tra-
dizioni religiose e aperte allo stile di comportamento, mai prima immaginato
nelle parrocchie rurali, dei salesiani e delle suore di Don Bosco.19
L'intesa Con la «Fiat» e la borghesia industriale si tradusse immediata-
mente nel 1929 con la posa d d a prima pietra deii'istituto missionario «Conti
Rebaudengo» destinato d a formazione professionale e tecnica delle giovani
leve di salesiani laici. Anche là, alla barriera di Milano, in periferia nord-est
della città, l'oratorio giovanile divenne un centro educativo impiantato appo-
sitamente in area di sviluppo industriale e operaio; ma intanto le finalità «mis-
sionarie» garantivano l'istanza universalistica salesiana e le aspettative di svi-
luppo aii'estero deìi'iidustria torinese. Alla cerimonia della prima pietra inter-
vennero, oltre che cardinali, vescovi e superiori salesiani, il professore Silvio
Pivano, lo storico fascista ch'era in quegli anni rettore deii'università di Tori-
no, rappresentanze varie del prefetto, del proweditore agli studi e persino del-
l'Ordine del S. S e p o l ~ r o . ~ ~
Tornando al corteo del 9 giugno, la presenza delle squadre di balilla, avan-
guardisti, giovani e piccole italiane non era, a ben guardare, in contrasto con
le direttive che fino d o r a i superiori maggiori salesiani avevano dato ai loro
confratelli in Italia. I1 corteo infatti, che si era andato snodando nella città, non
costituiva per nulla, a loro modo di vedere, una premessa all'insediamento di
coorti fasciste entro gli oratori e le scuole. I ragazzi anzi, dopo l'esperienza del
corteo, potevano sentirsi invogliati a frequentare qualcuno degli oratori sale-
siani accettandone per istinto le norme di comportamento. Oltre tutto nel
1929 l'ala oltranzista deii'aggregato fascista aveva dovuto cedere di fronte ai
moderati e ai clerico-fascisti che sollecitavano dal duce rispetto e autonomia
nei confronti sia deU'Azione cattolica, sia d d e scuole gestite dal clero e dalle
suore. Attraverso patteggiamenti non facili né facilmente inquadrab'i, soprat-
tutto mentr'era ministro dell'educazione Pietro Fedele, fu possibile ottenere
alle scuole dei salesiani, gesuiti, fratelli delle scuole cristiane, scolopi, barna-
«Bollettino salesianon 46 (agosto 1922) p. 202-204.
'9 Cf. Elena BELMI, Una missione solesiana in un quartiere operaio di Torino tra le due
guerre, in: A A . W . , Rehzfoni sonali e strategie indiuiduaIi in ambiente urbano: Torino nel noue-
cento, Torino, Regione Piemontese 1982, p. 35-95.
'O «Bollettino salesiano» 53 (agosto 1929) p. 230s.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
biti, ecc. la parificazione o qualche altra forma di riconoscimento formale nel-
l'ambito deii'educazione scolastica deii'Italia fa~cista.~'
L'Azione cattolica, anch'essa presente al corteo ch'era sfilato da piazza Vit-
torio a Valdocco il 9 giugno, nel 1931 dovette affrontare, com'è ben noto, mo-
menti conflittuali con il regime. L'ala fascista oltranzista aggrediva le associa-
zioni di Azione cattolica come un pericoloso vivaio antifascista e come una
forma larvata del soppresso partito pop~lare.'~
Forse furono queste le circostanze che il capitolo superiore salesiano ebbe
presenti per non spingere i propri istituti in Italia verso rapporti troppo stretti
con l'Azione cattolica. Certamente aii'interno di queii'organizzazione cattolica
lasciavano perplessi certe forme di compresenza e di familiarità tra gruppi ma-
s c h i e femminili; dal punto di vista salesiano si era critici infatti nei confronti
di espressioni di socialità e di educazione che apparivano estranee o anzi ad-
dirittura in contrasto con la tradizione educativa di Don Bosco, in base alla
quale si curava una rigida separazione tra ragazzi e ragazze e si prowedeva al-
l'impianto di oratori giovanili distinti per la gioventù dei due sessi. Ma non
sembrerebbero da sottovalutare e subordinare le considerazioni del momento
politico, che suggerivano di non lasciarsi coinvolgere con l'Azione cattolica in
misure ostili, le quali pur sempre covavano all'interno del regime fascista.
Non bisogna infine dimenticare la presenza di alcuni nipoti del nuovo
beato ai festeggiamenti di Roma e a quelli di Torino. Non si trattava di un
mero gesto di affetto trasfuso nel ciima trascendente della beatificazione; né
solo di una formalità che da sempre si aveva cura di porre in atto, allorché era
possibile, nelle cerimonie romane di glorificazione dei beati e dei santi. Da
poco tempo, con l'occhio al futuro, erano stati conclusi accordi tra il capitolo
" Cf. ad es. Tomasetti a Rinaldi, Roma, 4 marzo 1925: ~Quest'oggisono stato da S.E.Fedele
per raccomandargli ciò che sta a cuore al S. Padre. Fui accolto con molta cordialità. Credendo
che io andassi pel pareggio delle scuole normali, esclamò appena mi vide entrare: Don Tomaset-
... ti!... La ho accontentata: le loro cinque scuole normali conservano il pareggio!... Io I'ho ringraziato
ed ho soggiunto che avevo altre cose da chiedergli da parte della S.C. del Concilio Non sto a
riferire tutto il colloquio perché satei troppo lunga...D (AS 036).
Cf. Tomasetti a Rinaldi, Roma, 3 luglio 1931: ~Mercoledslcorso, chiamato, fui di nuovo
ai piedi dei S. Padre, il quale si degnò intrattenersi con me circa un'ora e mezzo. Entrai alle ore
12,15 e uscii alle ore 13,45.I n primo luogo mi chiese notizie di Lei [...l.Quindi ricordò il salesiano
di Castelgandolio che, parlando con alcuni amici, avrebbe asserito che l'Azione cattolica non era
che il Partito popolare con altro nome, ed io gli dissi di sapere chi fosse tale salesiano e di potere
assicurare Sua Santità che Don Minguzzi (giacché il salesiano denunziata è lui) portò quei giudi-
zio, non come suo ma del fascismo, per spiegare Pacrediie di questo contro l'Azione cattolica. Il
papa accettò questa spiegazione, aggiungendo che non annetteva importanza all'incidente, se in-
cidente può chiamarsi [...l.Dopo di che entrò a parlare del dissidio tra la S. Sede e il Governo
italiano [...l.Andrei per le lunghe se Le scrivessi ciò che hi detto in quel colloquio. D'altra parte
Ella conosce già in materia il mio pensiero e il mio lavoro; pensiero e lavoro che il papa ha ap-
provato dicendomi di continuare. U card. Sbarretti, Gasparri, i mons. Paino e Borgoncini Duca
sono meravigliati che io abbia potuto parlare cosl al papa e che il papa mi abbia fatto tante con-
fidenze. Si vede che il papa vuol bene ai salesiani».

13.10 Page 130

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superiore salesiano e i parenti del beato, proprietari di appezzamenti ai Becchi.
I Bosco rinunziarono alle loro terre sulla coiiina dei loro padri per un prezzo
equo e ch'era al di sotto di quanto sarebbe stato possibile pretendere facendo
leva sulle pressanti aspirazioni dei salesiani." La presenza dei nipoti di Don
Bosco a Roma fu dunque anche una sorta di premio che i salesiani si sentirono
in obbligo di dare. Sul colle nativo ormai si contava di costruire non più solo
una cappella, ma una casa educativa capiente con finalità missionarie per la
formazione religiosa, professionale e agricola dei confratelii laici. Si coltivava
il gioco mentale delle umili origini riprodotte esperienzahnente in un unico
piano insieme con quanto era successivamente awenuto: l'espansione mon-
diale in continqo sviluppo; si tendeva a riprodurre insieme il sogno dei nove
anni con la sua realizzazione rivivendo e perpetuando entrambi nella be-
tlemme salesiana sulla collina dei Becchi.
3. Parziali e precarie saldature &a salesiani e fascismo in Italia (1929-1934)
Negli anni che trascorsero dalla beatificazione al secondo conflitto mon-
diale si collocano i tentativi che il regime fece per la massima saldatura pos-
sibile dei salesiani al fascismo.
Dopo i festeggiamenti romani e torinesi Don Tomasetti scrivendo a Don
Rinaldi raccomandò d'inviare per lettera i propri ringraziamenti ufficiali all'o-
norevole Mussolini; ma nel frattempo, in un'udienza pontificia, manifestò al
pontefice gl'intimi sentimenti che a suo dire nuttivano i salesiani verso il vi-
cario di Cristo e nei confronti di quanto in quei giorni si proclamava suli'ita-
lianità di Don Bosco:
- «I confratellidi Frascati- scriveva il 29 ottobre a Don Rinaldi hanno condotto,
sabato scorso, gli alunni interni dal Santo Padre t...]. m o r a stabilita (17,30)il Santo
Padre appare in mezzo a noi, ed io mi dico onorato di aver condotto ai piedi del vicario
di Gesù Cristo i giovani del collegio salesiano di Frascati, facendo tuttavia osservare che
essi non costituiscono tutta l'opera salesiana di quella città, perché mancavano l'orato-
rio festivo e il circolo che sono annessi alla chiesa di Capo Croce [...l.Poi, interpre-
tando il pensiero del rettor maggiore, ho soggiunto: Il signor Don Rinaldi... Il papa mi
ha interrotta Dov'è Don Rinaldi e come sta?- Gli ho risposto: A Torino e dicono che
gode perfetta salute... II signor Don Rinaldi, avendo saputo che il collegio di Frascati
avrebbe avuto quest'oggi l'alto onore di essere ammesso d a presenza della Santità Vo-
stra, mi dà l'onorifico incarico di umiliare d a Santità Vostra i più devoti omaggi e di
assicurarla che i salesiani, attenendosi strettamente agli insegnamenti e agli esempi del
beato Giovanni Bosco, continuano a trasfondere nei loro alunni i sentimenti della più
viva divozione verso il vicario di Gesù Cristo. Se gli alunni sono italiani, non si tralascia
di richiamare la loro attenzione suli'onore che deriva al nostro paese dal fatto che quivi
risiede il vicario di Gesù Cristo, onore che oscura ogni altra gloria nazionale. Invero i
" Cf Verbali del capitolo superiore, 3 e 5 agosto 1925; vol. N, fol. 347; 349 (AS 0592).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
fulgori del genio di Dante, di Buonarroti, di Raffaello, ecc. sono dawero meravigliosi,
ma sono apprezzati da pochi, cioè dai dotti e dagli artisti, mentre invece il fulgore che
deriva d d a Sede di S. Pietro è percepito da tutto il mondo, talché basta in qualsiasi
angolo deiia terra pronunziare la parola Italia, perché nella mente di tutti sgorga anche
il pensiero del papa che ivi dimora...
I1 papa mi guardò sorridendo e disse: Questo pensiero fu dall'arcivescovo Ratti
espresso quando prese possesso della diocesi di Miano e gli fu gridata la croce addosso
in quei tempo... Ma si manifestò contento al sentire che i salesiani la pensano come lui.
Per ultimo si accennò al beato Don Bosco, come egli continui a beneficare i suoi '
devoti di tutti il mondo ottenendo loro grazie d'ogni genere e persino miracoli. . . ~ . 4 ~
In tale chiave di lettura apparivano in piena coerenza con il progetto di
una ricristianizzazione della società e di una rinnovata immagine del papato e
della Chiesa a Roma le iniziative di presenza salesiana che maturarono attorno
al 1929 in coincidenza con quelle che si realizzavano a Torino.
Due giorni dopo la solenne funzione in S. Pietro un'accolta di c a r d i i i e
di prelati prese parte, nel quartiere in via di sviluppo lungo la via Tuscolana,
alla cerimonia della prima pietra della chiesa che sarebbe stata dedicata a Ma-
ria Auxiliurn Christianorurn presso l'attiguo istituto in via di costruzione che
sarebbe stato intitolato a Pio XI. Nella nuova opera i salesiani avrebbero tra-
sferito le scuole professionali che fino allora erano ospitate in locali troppo an-
gusti nell'ospizio S. Cuore al Castro Pretorio insieme a scuole ginnasiali e al-
l'oratorio festivo." Anche a Roma dunque si completava il quadro di opere
specifiche ispirate a Don Bosco:l'oratorio festivo e la chiesa pubblica a S. Ma-
ria Liberatrice presso il Tevere nel quattiere popolare del Testaccio, già roc-
caforte dell'anticlericalismo radicale, liberale e socialista tra fine '800 e awento
del fascismo; la scuola agricola nel quartiere del Mandrione, inaugurata ap-
pena sette a m i prima con l'intervento deiia regina madre Margherita di Sa-
voia; la scuola professionale Pio XI con oratorio festivo e scuola pubblica al
Tuscolano; e, prima di ogni altra opera, a due passi dalla stazione ferroviaria
Termini, la basilica centralissima e frequentatissima del S. Cuore al Castro Pre-
t o r i ~c,on annessi scuole e oratorio. Era questa l'immagine viva di Don Bosco
che i salesiani organizzavano sotto gli occhi del pontefice e delia curia entro
un piano più largo - di chiese, opere caritative, associazioni- che mirava
a fare di Roma il degno centro della cristianità, al di dei grandiosi progetti
imperiali che Mussolini andava realizzando. In più nel 1930 il papa stesso pro-
pose che fossero affidate ai salesiani le catacombe di S. Callisto, sulla via Appia
Antica, ritenendo generosamente che i figli di Don Bosco fossero in grado di
fornire dei salesiani competenti in varie lingue, capaci di trasformarsi in acco-
glienti ciceroni e in guide dei visitatori ~tranieri.4~
AS 036.
" «Boliettuio salesiano*53 (luglio 1929) p. 208-212.
Cf. in proposito Tomasetti a Rinaldi, Roma, 19 maggio; 5 e 14 agosto; 4 ottobre 1930 (AS
036).

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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Era naturale che in quegli a m i i rapporti tra i salesiani e il fascismo fossero
resi difficili dal non remoto ricordo di violenze, nonché dalla notizia di pro-
vocazioni contro le sedi deU'Azione cattolica e della federazione degli univer-
sitari cattolici italiani. Persino presso Roma, a Genzano, i ragazzi dell'oratorio
festivo salesiano che sfilavano con gli stendardi delle compagnie S. Luigi e SS.
Sacramento furono aggrediti da baldi coetanei, i quali in divisa di balilla e di
avanguardista combattevano le battaglie del fascismo. Le violenze fornivano
argomento alle riflessioni più o meno profonde e più o meno sommesse sulla
visione diversa che i fascisti e i salesiani avevano deila Chiesa, deiia vita cat-
tolica, del papa e delle opere educative di Don Bosco.
I n più, nella cerchia più ristretta dei superiori maggiori e presso le case sa-
lesiane della Romagna c'era il ricordo di episodi poco onorevoli sul ragazzo
Mussolini, cacciato via da un collegio, accolto per la terza e quarta elementare
(1892-1894) in quello salesiano di Faenza, dove ebbe buoni voti di profitto,
ma fu anche indisciplinato, prepotente e rissoso. I1 colmo, come si narrava, si
ebbe quando il discolo Benito inseguì un compagno minacciandolo di piantar-
gli nelle natiche un coltello: circolavano insomma episodietti che facevano di
Mussolini nelle conversazioni familiari una sorta di «re nudo». Nel 1926 di
fronte alle righe che Margherita Sarfatti aveva scritto su Benito Mussolini, po-
sto brutalmente in castigo in ginocchio per ore su pannocchie.di granturco(?!)
e poi espulso (?!) dal collegio, Don Tomasetti reagì cercando chi intervenisse
sul duce, perché imponesse alla Sarfatti di modificare il racconto nel suo libro
Dux, stampato e ristampato ad altissime tirature dalla editrice Mondadori;"
" Margherita S A R F A D~u, x, Milano, Mondadoti 1926 (50" migliaio), p. 39: «Un'&ra volta,
per una mancanza grave, l'espulsione fu commutata nella privazione della ricreazione per dodici
giorni. Quattro ore og.ni g.iorno, relegato in un angolo [...l,in ginocchio [...l.Non ricorda bene,
gli pare che per rendere la punizione più dura, cospargessero il suolo di chicchi d~grano t u r c o n ;
il resto è immuiato ncU't.d. XVI, del 1934, p. 38s I salerisni provvidero 3 fare redigere una replica
dal signor Secondo Guadagnini, l'insegnante che aveva avuto Benito Mussolini in quarta elemen-
tare nel 1893-1894 e ch'eta in grado comunque di testimoniare anche per l'amo precedente (let-
tera al direttore dell'istituto salesiano di Faenza, in data: Faenza, 20 agosto 1927, cinque pagine;
CF.AS, collocazione provvisoria: scatola B 411). L'anziano maestra respingeva recisamente l'accusa
di punizioni afflittive, come il Fate inginocchiare sul granoturco a tenere di notte all'addiacdo
sotto la minaccia di cani sciolti ringhiosi e temibii: erano punizioni vietate assolutamente dal rc-
golamento; in genere si assegnava come castigo la trascrizione ripetuta di qualche pagina; o, al più,
la punizione in piedi a un angolo della scuola o a una colonna presso il porticato del cortile. Non
solo il Guadagnini non aveva mai pensato a infliggete i castighi descritti dalla Sadatti, ma nem-
meno era possibile immaginarli come dati dai salesiani di d o r a . A Faenza, infatti, fm da quando
i salesiani avevano aperto il collegio, si era scatenata c a n m di loro una violenta campagna anti-
clericale, appoggiata daiia stessa amministrazione comunale, ch'eta in mano a repubblicani e mas-
soni ostili d a Chiesa; figurarsi se la notizia di quel tipo di castighi poteva d o r a rimanere celata
e non venire utilizzata d d a fazione anticlericale. Benito non fu espulso dal collegio; una punizione
cosl grave veniva regolarmente annotata sui registri. Dato il suo temperamento imp&ivo e pre-
potente, Finita la quarta elementare, la si accompagnò a casa dai genitori, ai quali venne detto che
il ragazzo non sarebbe stato più accettato per la classe successiva. L'altro insegnante di quarta ele-
mentare, Don Cesare Travaini (1855-1942), saleriano di grande comunicativa e di notevoli dori
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
conveniva togliere quell'immagine così negativa e ridicola che si dava dei sa-
lesiani, perché questi avevano certi fatti da tirar fuori.4sNegli anni di Mussolini
in collegio, c'era oltretutto a Faenza, giovane chierico e con il compito di te-
nere la disciplina dei ragazzi, Don Fedele Giraudi, che dal 1924 era a fianco
del rettor maggiore Don Rinaldi come economo generale della congregazione
salesiana. Nei confronti di Mussolini Don Giraudi, del tutto estraneo a ideo-
logie politiche, non perdette mai il senso dell'assistente di disciplina, pronto
a ripetere una paternale a chi, neiia sua immagine, continuava a essere I'antico
allievo da prendere con i modi bru~chi.'~
Senonché i festeggiamenti delia beatificazione davano ormai un'altra im-
magine dei rapporti tra il fascismo e i salesiani. Nelle foto deiie celebrazioni
che il «Bollettino» pubblicava nel 1929 e negli a m i successivi cominciavano
ad apparire a fianco di vescovi, principi di casa Savoia e rappresentanti del-
l'amministrazione pubblica anche segretari federali del partito e altri gerarchi
fascisti in divisa. D'altra parte s d e pareti delle aule nelle scuole parificate-
così come in quelle degl'istituti educativi degli altri ordini religiosi- a fianco
del crocefisso furono posti regolarmente da una parte il ritratto del re e dal-
l'altra quello fiero di Benito Mussolini.
Nell'autunno del 1929 secondo voci allarmistiche giunte ai superiori sale-
siani di Torino il regime programmava una «sorveglianza speciale* dei salesia-
ni. Don Tomasetti scriveva tranquillizzando. Erano voci, a suo parere, infon-
date: «Se fosse vero, sua eccellenza De Vecchi non mi avrebbe assicurato nel
mese di settembre come volere di Mussolini che, quando si tratta di salesiani,
si faccia di tutto per favorirli*. Anche le scuole salesiane - soggiungeva Don
Tomasetti - non dovevano temere misure repressive; perché, se erano vere le
voci inquietanti, «sua eccellenza Turati [segretario del partito fascista] non
avrebbe cercato di parlare con me per ottenere che le opere del senatore Gen-
tile non fossero messe all'Indi~e!L~'o~norevole Gentile e il proweditore agli
studi di Roma, conte Salimei, non mi sarebbero grati per questo favore otte-
nuto a tutto il fascismo; il ministro della Educazione nazionale [Giuliano Bal-
educative, era ricordato & tutti con a f f e t q e nel 1926 dallo stesso prima ministro, Benito Mus-
solini, fu nominato cavaliere della Corona d'Italia. La Sarfatti, sotto lo pseudonimo di «Marga»,
ripubblicò il medesimo quadro, della vita o «prigionia» di collegio, nel libretto: Iluoto dell'Aquila;
da Prehppio a Roma, Firenze, Armando Rossini 1927. A questo si riferisce la replica del maestro
Guadagnini. - Margherita Sarfatti (1883-1961), nata a Venezia e morta a Cavdasca (Corno), da
giovane fu socialista e collaborò con l'«Avanti!»; nel 1921 fondò e diresse con Mussolini la rivista
<Gerarchia»; essendo ebrea, dopo le leggi razziali esulò negli Stati Uniti; nel dopoguerra rientrò
in Italia.
'O Tomasetti a Rinaldi, Roma, 17 gennaio 1927 (AS 036).
Sono testimonianze orali raccolte dalla stessa bocca di Don Guaudi, solito a condire le sue
impressioni con il racconto di qualche episodio. Presso la casa salesiana di Faenza si conservano
le registrazioni scolastiche e quelle relative alla pensione (mai saldata dalla madre, a motivo del-
l'allontanamento di Benito).
'O Le opere complete di Gentile finirono ali'lndice il 20 giugno 1934.

14.2 Page 132

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bino] non mi avrebbe scritto un biglietto affettuoso in risposta alle congratu-
lazioni e agli auguri inviatigli quando fu promosso ministro; anzi egli desidera
visitare i salesiani e intrattenersi in loro compagnia come faceva gli anni pre-
cedenti»?'
Giungeva fmalmente ad allinearsi in quegli anni ai quadri fascisti Don Mi-
chelangelo Rubino. Già nel 1928 era stato indicato dalla presidenza deU'A-
zione cattolica italiana come il salesiano che poteva assumere il ruolo di assi-
stente capo dei cappellani dell'opera Nazionale Balilla. L'0.N.B. non era in
grado per allora di prowedere un onorario; ma Don Rubino, chiaramente al-
lettato dal ritorno in patria daii'Egitto e ancor più lusingato daii'importante
carica, fece presente che la questione dello stipendio non era rilevante; egli in-
fatti avrebbe potuto svolgere i suoi compiti dappertutto in Italia appoggian-
dosi per l'ospitalità presso qualche istituto salesiano. Era appunto quello che
i superiori maggiori non desideravano; che cioè le case salesiane diventassero
un punto di riferimento &Opera Nazionale Balilla. La proposta dunque non
ebbe seguito.12 Nel 1930, dopo gli accordi tra Chiesa e Stato in Italia, mons.
Angelo Bartolomasi, da poco nominato vescovo castrense, chiese insistente-
mente alla S. Sede e ai superiori salesiani di Torino di poter avere come col-
laboratore Don Rubino nella carica di assistente capo dei cappellani della mi-
lizia fascista?' Era un ruolo che aveva come destinatari non più i giovani e gli
adolescenti delle scuole e degli oratori. Questa volta i superiori aderirono alla
proposta. Don Rubino dall'istituto del Cairo fu trasferito a quello del S. Cuore
a Roma in via Marsala, dove divenne un personaggio caratteristico per i segni
militari sulla talare e sul cappello, e perché fu polo di richiamo ad alti ufficiali
dell'esercito e a personalità politiche più strettamente legate al regime. Cosi
come mons. Bartolomasi, nel periodo fascista Don Rubino si fece il merito di
avere vigilato su un'accettabile selezione dei cappellani militari?' I1 rimprovero
infatti che si faceva alla categoria era che i vescovi diocesani e gli ordini reli-
" Tomasetti a Rinaldi, Roma, 25 ottobre 1934 (AS 036).
" Tomasetti a Rinaldi, Roma, 6 dicembre 1929 (AS 036).
'' Mons. Bartolomasi potk conoscere Don Rubino a Trieste. Nato a Pianezza (Torino)il 30
maggio 1869, fu professore al seminario di Chieri e coliaboratore dei salesiani nell'oratorio festivo
locale; promosso vescovo titolare di Derbe il 24 novembre 1910, fu ausiliare a Torino del card.
Richelmy; venne trasferito a Capodistria il 15 dicembre 1919; poi a Pinerolo 1'11 dicembre 1922;
promosso arciv. titolare di Petra di Palestina il 23 aprile 1929 e nominato ordinariomilitare, stabiiì
la sua residenza a Roma; morì a Pianezza il 18 febbraio1959. Cf. uBoUettino salesiano»83 (mag-
gio 1959) p. 202; s d a sua attivita in Piemonte e a Trieste cf. AA.W., Chiesa. Azione Cottolini
e fmc~smonel?Italia settenttionale, p. 1282 (indice).
'(Cf. l'abbondante corrispondenza di Don Rubino all'AS 275; e inoltre la lettera mortuaria
scritta da Don Roberto Fanara, allora direttore dell'Istituto salesiano S. Cuore a Roma. Ai funerali
di Don Rubino- scrive Don Fanara - «la chiesa era straordinariamente gremita. In presbitero
assisteva al rito l'attuale ordinario militare, sua eccellenza mons. Ferrero; mentre vicino ai parenti
[...l le personalira più spiccate di ogni settore sociale [...ll'onorevole Micheli ministro deiia Ma-
rina, sua eccellenza il generale Raffaele Cadorna capo di stato maggiore, sua eccellenza il gran-
d'ammiraglio Thaon di Revel, i generali Piroli e Fumero...».
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
giosi tendessero a scaricarsi d'individui poco disciplinati, di poca interiorità e
persino di una condotta celibataria non del tutto irreprensibile. Erano lamen-
tele che si facevano da sempre nei confronti dei contingenti marginali alle
strutture chiericali, come ad esempio nei confronti degl'inviati in partibus in-
fidelium già ai tempi dei conquistadores spagnoli!
Un'altra iniziativa ebbe notevole rilievo in ordine a un certo allineamento
dei salesiani al regime. Dal 1926 in avanti il fascismo aveva dato vigore alle im-
prese di bonifica un po' dappertutto in Italia. Si profilava la campagna politica
dell'autarchia con la proclamazione retorica e spettacolare della «battaglia del
grano». L'attenzione e gli sforzi del regime ebbero come punto focale la bo-
nifica delle Paludi Pontine, quale opera che avrebbe costituito come l'alone lu-
minoso d a Roma fascista e imperiale. N d e terre bonificate si ebbe il trasfe-
rimento massiccio di coloni prelevati in prevalenza dalle Marche e dal Veneto.
Fu fondata la città di Littoria con le funzioni di capitale di provincia e le pro-
spettive di una sede vescovile. Furono istituite scuole elementari neUa città e
nelle sparse frazioni con case coloniche. Vi s'inviarono maestrine e maestri pa-
teticamente inneggianti al regime, apostoli di un culto quasi divino alla gran-
diosa persona del Duce?' Come pionieri della Chiesa, anche questa volta per
suggerimento di Pio XI, furono scelti i salesiani. A Littoria nel 1933 fu inviato
come direttore e parroco Don Carlo Torello, un figlio di contadini piemontesi,
dal cuore largo, per nulla indottrinato nel fascismo, ma pronto ad aiutare
chiunque e perciò anche le autorità locali e le maestre quando occorreva met-
tere in piedi dimostrazioni civili e religiose di ogni genere?6
Nel gennaio 1933 la S.E.I., l'editrice salesiana di Torino, diede inizio alla
rivista «Gymnasium», periodico destinato ai professori delle scuole medie ita-
liane, in Italia e ail'estero. Nel firmamento deil'editoria cattolica «Gymna-
sium» si collocava a pieno titolo entro la galassia dei fogli clerico-fascisti.
Dopo un primo anno abbastanza cauto, la pubblicazione proseguiva con un'e-
saltazione disinibita di Mussolini, del fascismo e della sua missione nel mondo.
L'editoriale del 20 ottobre 1933 recitava:
«XXViIIOttobre - Le sagge riforme apportate nel sistema degli studi e degli esami
dal Regime Fascista, che valsero non solo a infondere una discipiina nuova d a scuola,
ma a trasformare altresl gli Istituti da aggregati di classi e di corsi in una famiglia, la
cui costituzione giuridica si iUustra e si esalta in funzione di interessi etici e nazionali,
ci muovono a ricordare questa data con un senso di gratitudine verso Colui che dalla
Provvidenza fu mandato a soiievare le soni d'Italia»?'
Era un testo che avrebbe potuto far perdere la pazienza a Pio XI, se gli
" T. STABILE, Latino, uno solfa Littoria, Latina, Arcbimo 1982; Oscar GASPARLI'e,migmione
veneta neli'Agro Pontino durante il periodo fascista, Brescia, MorceUiana 1985.
" Carlo Torellonacque a Nizza Monferrato 1'8 ottobre 1886; mori a Roma il 13 febbraio
1967.
" «Gymnasium» 2 (20 ottobre 1933) p. 25.

14.3 Page 133

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fosse caduto fra le mani, per la forzatura e la manipolazione che veniva fatta
di quanto aveva detto nel 1929 a proposito di quell'uomo che lo aveva asse-
condato nel conseguire i patti lateranensi: «Forse ci voleva anche un uomo
come quello che la Prowidenza ci ha fatto incontrare; un uomo che non
avesse le preoccupazioni della scuola liberale...».'s In «Gymnasium» il conte-
sto non era costituito dai patti del 1929 ma d d a marcia su Roma del 1922 che
aveva aperto al fascismo il potere.
Ugualmente in contrasto con quanto su Roma cristiana aveva dichiarato
Don Tomasetti al papa come convinzione intima dei salesiani era il brano di
un discorso pronunziato dal duce il 18 marzo 1934, e che la rivista presentava
con a fianco u.n saggio di traduzione tedesca:
«Dopo la Roma dei Cesari, dopo quella dei Papi, c'è oggi una Roma, quella Fasci-
sta, la quale con la simultaneità deìi'antico e del moderno, si impone aìi'ammirazione
del mondo...»?9
Nei numeri di maggio e di giugno del 1934, in piena coincidenza con i fe-
steggiamenti che seguivano la canonizzazione di Don Bosco, «Gymnasium»
pubblicava in anteprima una Epitorne del fascismo redatta da Francesco Stan-
co, un sacerdote salesiano dell'ispettoria napoletana, che in una discreta prosa
latina riproponeva a uso dei ragazzi di secondo, terzo e quarto anno di latino
tutti gli stereotipi del fascismo in chiave clericale: d d a vittoria mutilata all'or-
dine corporativo fascista; dalle prime certezze d a «lictoria fides*, la quale
«nequit non esse catholica».
Direttore responsabile della rivista era il «dott. Germano Zand~neiia»;~i''
collaboratori più assidui erano: Paolo Lingueglia, Gian Luigi Zuretti, Guido
Bosio, Pietro Gallenca, Rufillo Uguccioni; tutti salesiani distinti, impegnati va-
lidamente nell'insegnamento e con un radicatissimo senso della propria voca-
zione di figli spirituali di Don Bosco. Vari di questi soprawissero al fascismo.
C'è chi ha dichiarato, in tempi non lontani dai nostri, che le finalità degli ac-
centi fascisti erano puramente opportunistici e strumentai, in quanto servi-
vano a far penetrare la voce della Chiesa e di Don Bosco anche nelle scuole
pubbliche; c'è anche chi ricordava, ancora di recente, con discreta nostalgia
quegli anni, come tempi felici di ordine...
«Gymnasium» usciva accanto d a «Rivista dei giovani». Anch'essa puhbli-
cata dalla S.E.I., la «Rivista dei giovani» aveva come direttore responsabile
Don Antonio Cojazzi e su di essa scrivevano, accanto a personaggi più auto-
revoli (Giovanni Semeria, Alessandro Cantono, Luigi Stefanini, Carlo Mazzan-
tini...), anche Don Paolo Barale, Don Giuseppe Bistolfi, Don Antonio Tonelli,
'
-- Cf. AAS 21 (1929) p. 113.
«Gvmnasium» 2 (5 maeeio 1934) D. 359
M Germano ZandaneUa nocque a Comclico Superiore iBeUunoj, mori a Lama Torincsc il 15
-luglio 1973 Nel 1932 era consi-alere rcolariica e r>rofessotcnelle scuole z-innariah.Dare-ea.iarc del
collegio salesiano S. Giovanni Evangelista a Torino.
260
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Don Guido Borra e altri salesiani ch'erano abbastanza noti per sentimenti fi-
- lopopolari e antifa~cisti.~L'e due riviste in qualche modo davano l'immagine
di auanto comoosita e ooco omogenea fosse la visione ~oliticao l'emotività dei
salesiani in Italia allorché ci si predispose ai festeggiamenti della canonizzazio-
ne; mentre intanto i salesiani fuori d'Italia selezionavano e pubblicavano
quanto giovava a dare di Don Bosco semplicemente l'immag-ine "niversalistica
di educatore e fondatore.
4. I festeggiamenti deiia canonizzazione (aprile 1934)
Come si prefigurassero i festeggiamenti della canonizzazione era possibile
desumerlo d d a descrizione che il «Bollettino salesianon del gennaio 1934
dava della cerimonia ch'ebbe luogo il 19 novembre 1933, domenica ventiquat-
tresima dopo la Pentecoste, quando nella sala del concistoro del palazzo apo-
stolico Vaticano venne letto d a presenza del papa il decreto di approvazione
dei due miracoli.62Oltre a cardinali, vescovi, prelati e ufficiali della S.C. dei
Riti era presente una schiera numerosa di personalità ecclesiastiche e laiche;
tra gli ecclesiastici si distinguevano mons. Ugo Boncompagni Ludovisi, che da
bambino aveva conosciuto Don Bosco; entrato nella carriera ecclesiastica da
vedovo, era d o r a vice-camerlengo di Santa Romana Chiesa; in più - fatto
importante - suo figlio, principe Francesco, era senatore del regno e gover-
natore di Roma; c'erano inoltre.mons. Ottone Raffaele Castro vescovo di San
José de Costarica, mons. Frédéric Lamy vescovo di Meaux, Don Michelangelo
Rubino ispettore generale dei cappellani della milizia fascista (il «Bollettino»
non specificava ch'era salesiano); tra la schiera dei laici si distinguevano per-
sonalità del mondo politico e civile italiano e straniero: il conte Maggiorino
Capello ministro plenipotenziario del Nicaragua presso la S. Sede con la con-
sorte; la moglie di Carlo de Estrada, ambasciatore dell'Argentina presso la S.
Sede; l'infante di Spagna Fernando di Baviera con la consorte; il senatore Eu-
genio Rebaudengo, il conte Pietro Salimei proweditore agli studi di Roma, il
commendatore Nazareno Padeiiaro rappresentante delle scuole del governato-
rato di Roma, l'onorevole Mario Cingolani.
I1 nome di Nazareno Padellaro stava negli appunti che Don Tomasetti an-
notò sul suo taccuino del 1934 ( d a pagina del 3 gennaio), allorché passando
d a fase operativa si progettò un apposito comitato delle feste a Roma. Scri-
veva il Tomasetti:
Don Cojazzi, Don Borra, Don Tonelli erano insieme presso il liceo salesiano di Valsalice.
Don Guido Borra fu poi inviato missionario in Brasile anche per via delle sue tendenze antifasci-
ste. Da segnalare per la sua utiiitta i'indice dei nomi e d d e materie deiie prime quattordici annate
(1920-1933):«Rivista dei giovani»,supplemento al num. 1 del 15 gennaio 1934; in tutto, 24 fitte
pagine.
" nBoUettino salesiano» 58 (gennaio 1934) p. 5s.

14.4 Page 134

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«In Italia, ma specialmente a Roma e a Torino, si preparano festeggiamentistraor-
dinari. A Roma la chiesa e la piazza di S. Pietro saranno insufficienti a contenere tutta
la gente che converrà da tutto il mondo. Dopo la cerimonia di S. Pietro si vorrebbe che
Don Bosco fosse commemorato in Campidoglio per esempio, ma chi potrebbe fare i
passi per ottenere questo? Io penso un comitato composto almeno di ex allievi de' quali
a Roma sono molti e anche in vista: S.E. Rossoni, S.E. Fontana, l'on. Rossi-Passavanti,
il grande ufficiale Paolo AugeUa, il comm. pro6 Gaetano Pulvirenti, il comm. prof.
Luigi Longo, (il prof. Padellaro)...o?
Nelie pagine successive aggiungeva altri particolari sull'organizzazione che
si andava facendo e s d a sensibilizzazione dell'opinione pubblica attraverso i
giornali:
«Chi invitare a parlare?- scriveva sul foglio del 4 gennaio-... De-Vecchi? Tanto
più che egli è disposto a fare intervenire anche S.E. Mussolini.
Quanto d a stampa, ho scritto ai nostri confratelli di Torino che mi mandino il ma-
teriale per i seguenti articoli: 1" Don Bosco e l'Italia; 2* Don Bosco e Casa Savoia; 3"
Don Bosco e la Conciliazione; 4" Don Bosco e le famiglie principesche di Roma; 5"
Don Bosco e il Papa.
Ho dato a Mattei [Gentili] dei libri che gli possano servire per l'articolo, di cui
1'E.V. mi parlò l'altra volta [...l. A proposito di senatori: S.E. De-Vecchi credo pro-
porrà al Capo del governo: D o n z e l l i ~ . ~
Sul foglio del 18 gennaio scriveva:
«Ieri sono stato al ricevimento che S.E. De-Vecchi ha dato nell'anniversario della
firma del trattato e del concordato tra la S. Sede e il governo italiano. S.E. I'ambascia-
tore mi ha detto che: 1- è stato dal re per digli che i salesiani sperano di vedere in
S. Pietro qualche membro di Casa Reale, per esempio il principe Umberto, e che il re
ha acconsentito; 2 oggi ne darà comunicazione a S.E. Mussolini, affmché il governo
d'Italia proceda col Vaticano; 3" che egli lavora per preparare una commemorazione
coi fiocchi, però prega di fargli avere il carteggio tra Don Bosco e la Casa Reale: Carlo
Alberto, Vittorio, Umberto, le Regine; 4" siccome, quando De-Vecchi mi parlava così,
era presente anche S.E. mons. Ugo Boncompagni il piccolo Ugo deli'epistolario di
Don Bosco), così questi mi disse che il suo figlio, il Governatore di Roma, accorderà
di buon cuore la sala del Campidoglio».
Sui fogli del 22,23,24 e 25 marzo Don Tomasetti annotava una serie d'ap-
punti in preparazione dell'udienza pontificia ch'ebbe, successivamente ai fe-
steggiamenti, i1 23 aprile:
" AS 275 Tomasetti. Edmondo Rossoni, esponente dell'organizzazionesindacale fascista,fu
deputato e ministro negli anni del regime. Attilio Fontana, già deputato, era membro deila cam-
missione per l'emigrazione agricola; il conte Elia Rossi Passavantiera deputato fascistae segretario
federale del partito a Temi; Gaetano Pulvirenti era proweditore agli studi per le scuole del go-
vernatorato di Roma. Su ciascuno di essi 6.le singole voci in Chi è? Dizionario degli italinnr d'oggi
1
(seconda edizione), Roma, Fonniggini 1931.
" Beniamino Donzelli fu nominatosenatore1'8 aprile 1939; d Chiè?..., Roma 1940, p. 352.
1
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
~FederzoniC, orradini, Pierazzi, Tommaso Marinetti, Maurizio Maraviglia, Forges-
Davanzati, Francesco Coppola [...l. Costoro essendo da noi diventano sempre più cat-
tolici ed ora costituiscono la parte migliore del fascismo dirigente."
Siamo stati a ringraziare S.E. Mussolini, il quale è stato molto buono e molto as-
sennato nel rispondere. Ha raccomandato l'Italia ali'estero, ma senza fare nazionalismo,
memore che il missionario che milita sotto una bandiera non fmtta né per la religione
né per quella bandiera. Però essendo nati in Italia il fondatore e la congregazione, spera
che la riconoscenza attirerà suli'ltalia una certa benevolenza. Insomma ha adoperato un
linguaggio che piacque immensamente anche ai francesi e agli americani.
Siamo stati anche da sua maestà il Re che ci ha ricevuto con solennità [...l. fi in-
vecchiato. Io penso che non vivrà lungamente [...l. Ha voluto avere i nomi dei singoli
componenti il capitolo superiore [dei salesianil e ha rivolto a ciascuno la parola I...].
Avendogli ricordato ciò che i suoi antenati avevano fatto per noi (Carlo Alberto, Vit-
torio Emanuele 11, Umberto...) rispose: hanno fatto il loro dovere I...]. Poi fummo dal
principe Umberto; lo trovammo ancora pieno di entusiasmo per la canonizzazione e
pieno di a&tto figliale verso la Santità Vostra.
La statua di Don Bosco dove la collochiamo? [...l Dove vorrà la Santità Vostra; ma,
se permette, manifesterei ciò che ho sentito quando ero chierico [...l. Mora si ricor-
davano i così detti sogni di Don Bosco I...]. In uno di essi si leggeva che, trovandosi
Don Bosco in S. Pietro per una grande festa, rapito nel suo fervore, fuori di sé, non
sapeva dove andava, tanto che una volta si trovò vicino ai piedi di Pio M I...]; in un
altro istante ha creduto di essere neUa nicchia che è sopra S. Pietro, tanto che disse:
oimé! come faccio a discendere? [...I."
Finalmente credo mio dovere di riferire alla Santità Vostra due cose che ho sentito:
1" Quando awenne la conciliazione, o, come dice meglio la S.V., la composizione
della questione romana, la S.V. donò a Mussolini una medaglia d'oro [...l. Mussolini,
o perché suo1 mandare tutto l'oro che gli perviene alla zecca, o perché era inquieto
quando awennero gli ultimi incidenti tra la S. Sede e il suo partito, inviò d a zecca an-
che la medaglia d'oro che Vostra Santità gli aveva dato. Orbene la zecca gliela restituì
dicendo che era di piombo dorato. l o ho manifestato la mia sorpresa, ma insistendo
quel signore nella sua asserzione, risposi: O fu ingannato il Santo Padre, oppure f;da
gente perversa ingannato Mussolini. E come? può darsi che nella zecca gente interes-
sata ne abbiano fatta una di piombo nello stampo perfetto di quella regalata dal papa,
la abbiano mandata a Mussolini [...l.
2" Solaro del Borgo dice che al Quirinale si sospira una visita di Vostra Santità, non
come resrituzione, ma come semplice visita, tanto più che la Santità Vostra, a quanto
si dice, andrà a passare qualche tempo a Castelgandoifo~.
Su ciascuno di essi c f . DE EELICEM, usrolini il duce, I : Gli anni del mnrenro 1929-1936,
Torin"o,LEaingaraunddi e19st7a4t,uap.in93m9a-r9m49o
(indice dei
di Carrara,
nomi).
opera deiio
scultore
torinese
Pietro
Canonica,
mi-
sura da sola m. 4.80 e sta su un piedistdo di m. 1.07; a fianco di Don Bosco la scultore raffigurò
Damenico Savio e Zefirino Namuncurà; è ripreso in tal modo il tema dell'educazione cristiana che
forma d a santità la gioventù dei paesi europei e queiia deile terre di missione. La cerimonia ebbe
luogo il 31 gennaio 1936 d a presenza di cardinali, vescovi, diplomatici, salesiani, foUe di allievi
ed ex allievi. Cf. «Bollettinosalesianon 60 (mano 1936) p. 58-64; «LaCiviltà cattolica»87 (1936)
I, p. 340s.

14.5 Page 135

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Da questa serie di appunti risulta abbastanza evidente che lo scopo finale
perseguito da Don Tomasetti è I'apoteosi massima possibile di Don Bosco e
deii'istituzione salesiana in espansione nel mondo.67Don Tomasetti ha la cer-
tezza che ci sarebbe stata a Roma e a Torino la confluenza spontanea di die-
cine di migliaia di partecipanti. Questi, provenendo dalle varie parti deil'Italia
e del mondo, non sarebbero mancati, nonostante i disagi seguiti alla crisi eco-
nomica mondiale del 1929.
Risulta anche abbastanza evidente che Don Tomasetti è ormai consapevole
che la temperie politica entro cui si deve muovere è quella dell'Italia fascista:
con Mussoiini capo del governo e il fascismo nei gangli chiave del potere pub-
blico. Non si direbbe che ci sia stato in lui un mutamento radicale nel modo
di sentire religiosÒe politico rispetto a q u d o che manifestava negli anni 1925-
1926, quando cioè ancora coltivava amicizie di personaggi del partito popolare
italiano in estrema crisi. Negli appunti per l'udienza egli si dimostra guardingo
nei confronti della componente nazionalistica del fascismo; ma si direbbe che
non connette questa con l'anima totalitaria e imperialista che presto si sarebbe
manifestata con la conquista deli'Abissinia e con l'intervento militare italiano
nella crisi che travagliava la repubblica spagnola; intervento giustificato come
una crociata a difesa della civiltà cristiana e romana. Si tratta di difetti di per-
cezione e di prospettiva ch'erano anche in personaggi ben più scaltriti e ag-
guerriti, in fatto di ideologia e di politica mondiale, di quanto non lo fossero
i salesiani, intenti essenzialmente al fatto educativo ail'interno delle proprie
opere e secondo una propria prassi. Don Tomasetti s'illude inoltre che l'au-
spicata cristianizzazione della società possa awenire quando ail'interno del-
l'apparato fascista avrebbero acquistato un peso maggiore quanti erano mode-
rati politicamente e di estrazione cattolica; intanto trova utile e come prowi-
denziale (l'immagine usata da Pio XI a commento deii'ottenuto concordato)
coltivare l'amicizia e la disponibilità di fascisti devoti alla monarchia e fdocle-
ricali, quali Cesare Maria De Vecchi e il governatore di Roma Boncompagni
Ludovisi.
Le celebrazioni per la beatificazione erano cadute in giugno in una serie di
giornate solatie; quelle della canonizzazione, nella prima settimana di aprile,
furono molestate da un'ondata di maltempo con pioggia intermittente a Roma,
cielo plumbeo e pioggia insistente a Torino; per questo le manifestazioni al-
l'aperto furono caratterizzate da una distesa di ombrelli che coprivano i par-
tecipanti al corteo e gli spettatori che facevano ala.68
La basilica di S. Pietro il P aprile, domenica di pasqua, giorno di canoniz-
zazione e chiusura deii'anno giubilare straordinario, era gremitissima, sicché
" <«Apoteosiuè un termine dora reso comune in Italia dalla retorica fascista ed è adottato
a caratteri cubitali dal *BoUettino salesianon del 1934 nelle varie lingue con riferimento, in par-
ticolare, ai festeggiamenti di Roma e di Torino.
" Cf. aBoUenino salesiano» 58 (giugno-luglio 1934) p. 199-224; MB 19, p. 324-341.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
molti dovettero partecipare rimanendo all'esterno neil'umido del porticato o
nella piazza sotto la pioggia.
La folla era come la conferma della «fama sanctitatis* che, come ormai si
riteneva, aveva accompagnata la memoria di Don Bosco dappertutto nella
Chiesa. La presenza di 86 vescovi (di cui 15 salesiani) e di 22 cardinali (tra i
quali il salesiano polacco Augusto Hlond) era come la sanzione che dava la
Chiesa gerarchica alla defmizione papale della santità di Don Bosco. Com'era
stato concordato, in rappresentanza ufficiale del re intervenne il principe ere-
ditario Umberto di Savoia. La partecipazione solenne della corona comportò
anche una larghissima presenza di rappresentanti diplomatici deU'Europa e
deil'herica con una ricca cornice di famiglie blasonate. Seguì il triduo ritua-
le, tenuto al mattino nella basilica del S. Cuore al Castro Pretorio dal lunedì
al mercoledì dopo pasqua con messe pontificali, omelie, canti poiifonici, par-
tecipazione di popolo, e nella serata trattenimenti di banda e di cori dei vari
istituti salesiani. Awenimento saliente fu l'udienza pontificia che il papa con-
cesse alle ore 12 del martedì 3 aprile, anziché nel cortile di S. Damaso, nella
basilica di S. Pietro, dove rivolse il suo discorso a circa trentamila membri
deUa «famiglia salesiana* in un ambiente elettrizzato dail'entusiasmo di mi-
gliaia di giovani. Nel pomeriggio del giorno precedente ebbe luogo in Cam-
pidoglio il «trionfo» civile in un clima solenne ed enfatico di piena intesa tra
lo Stato fascista e la Chiesa. Nel consesso presieduto da Benito Mussolini, alla
presenza del card. Gasparri e di altri quattro porporati, tenne il discorso uf-
ficiale Cesare Maria De Vecchi."
In S. Pietro il papa nella sua omelia aveva caratterizzato Don Bosco come
«apostolo della gioventù)),«dedito interamente alla gloria di Dio e d a salute
delle anime», distintosi per arditezza di concetti e modernità di mezzi. I1 papa
aveva colto l'occasione per ribadire le sue puntualizzazioni sull'argomento del-
l'educazione completa dell'uomo, che non doveva limitarsi soltanto a corrobo-
rare il corpo ma doveva mirare a tutto il suo essere, promuovere la formazione
nelle scienze, ma non trascurare le verità divine e s~prannaturaliI.n~~Campi-
doglio De Vecchi, sia pure in toni sfumati, proponeva una lettura di Don Bo-
" Nonostante il proprio istintivo senso di distacco, Don Ceria dell'wento una presenta-
zione profascista: «Dall'll febbraio del 1929 l'Italia [...] aveva ricuperata la sua unita spirituale,
vere anima d d a sua unita politica, e I'aveva ricuperata quale si conveniva a una nazione intera-
mente canoiica [...l. U capo del governo fu il primo a intuire l'opponunità che lo Stato non solo
non fosse assente, ma intervenisse con tutto il decoro del regime fascista»;MB 19, p. 285s; cf. an-
che p. 201: «Per grazia di Dio l'avvento del fascismo avwa stroncato la politica itreligiosa o an-
tireligiosa d'un tempo...».
" C t AAS 26 (1934) p. 220s; MB 19, 274 e 428: averi nominis educationem [...l Nosme-
tipsi, occasione data, szpenumero commendavimus[...l. Uam denique, quz si corporisvKes exer-
cet, at animum potissimum [...l confirmat atque conroborat; quieque, si humanas omnes discipii-
nas ad przsentem vitam excolendam omandamque opponunas, discipuk impenit, at quod est
praecipuum non neglegit, creatoris nempe et remunerataris Dei doctrinam atque Ecclesiae priecep-
ta*.

14.6 Page 136

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sco nel quadro del fascismo, interpretato come sintesi storica anche della «san-
tità cattolica italiana*: una santità in concreto svuotata dei suoi contenuti es-
senzialmente connessi a una fede nel trascendente.
«Don Bosco - esordiva - è un santo italiano ed è il più italiano dei santi I...].
La pienezza del magistero divino trova oggi la sua estensione negli onori del Campi-
doglio decretati dal governo fascista a questo santo. La sua santità gli darebbe da sola,
per i caratteri che la distinguono, un diritto di ospitaiità in questa altissima sede; ma
egli sarebbe un grande italiano anche senza gli attributi della santità, di qui la sua cit-
tadinanza in Campidoglio. Don Bosco non perde, ma guadagna in grandezza, se guar-
dato nella terra e fra gli uomini donde ebbe origine, se considerato operante fra le fi-
gure della storia del suo tempo non come sintesi del passato o come vivente nella cro-
naca di dora, ma come divinatore, seminatore, costruttore di futuro [...l. Soltanto in
regime fascista si può comprendere nella sua chiara interezza la storia miracolosa del
risorgimento, dove tutti, anche i santi, portano la loro pietra alla grande costruzione na-
zionale, primo fra questi Don Bosco...».71
Nonostante le dimostrazioni di accordo pieno, si ribadivano a Roma let-
ture tra loro profondamente contrastanti a seconda che a gestire i distinti mo-
menti celebrativi erano i salesiani, la S. Sede, Mussolini e l'apparato fascista.72
I festeggiamenti torinesi perfezionarono queiii già collaudati nel 1929. Al
di sopra del comitato d'onore e deUe commissioni effettive fu istituito un
«Alto patronato» composto dal re Vittorio Emanuele iiI, dalla regina consorte
Elena di Montenegro e da una larga schiera di principi e principesse di casa
Savoia nei suoi vari rami.
La domenica 8 aprile, ottava di Pasqua, fu celebrato al mattino nella ba-
silica deli'Ausiliatrice il pontificale solenne con una nutritissima partecipazione
di autorità civili e militari, di senatori e generali, rappresentanti diplomatici e
personalità politiche, notabili di ogni genere e patriziato cittadino. La gente,
fatta sgombrare daila chiesa, seguiva la musica polifonica, i canti, l'omelia, i riti
stando alla rinfusa sotto i portici, nei cortili, nella piazza antistante.
Nel pomeriggio si snodò la processione con il trasporto dell'urna del santo.
Avanzando verso il centro, il corteo raggiungeva piazza Soiferino, ripiegava
verso la cattedraie, discendeva in piazza Emanuele Fiberto, s'immetteva nel
corso Regina Margherita e si riportava verso l'Ausiliatrice. Nei suoi raggrup-
pamenti riproduceva lo schema già posto in atto nel 1929: gruppi distinti di
istituti salesiani femminili e maschili; altri istituti educativi cattolici non sale-
siani; gioventù fascista nelle organizzazioni femminili e maschili; giovani e uo-
mini di Azione cattolica, circoli universitari cattolici, altre rappresentanze di
" Cesare M. DE VECCHI, Don BOSCO santo italiano. Commemorazione tenuta in Campidoglio
il 2 aprile 1934-XII alk presenza di S.E. Benito Mussolini.., Torino, Accame 1934, p. 3; 10.
ii 28 aprile re Vittorio Emanuele iìì aprendo la ventinovesima legislatura a palazzo Mon-
tecitorio fece allusionenel suo discorso ai fatti relativi d a canonizzazionedi Don Bosco: <La con-
cordia e I'intesa tra autorith civili e religiose s'è rafforzata,come recenti grandi celebrazioni hanno
dimostrato»;d «Bollettino salesiano»58 (giugno-luglio1934) p. 186; MB 19, p. 289.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
organizzazioni dipendenti dalla gerarchia ecclesiastica; rappresentanze adulte
di associazioni e società civili, militari, fasciste, culturali; una quarantina di
bande musicali erano distribuite nei gruppi dell'intero corteo. I rappresentanti
della famiglia salesiana provenienti da fuori d'Italia erano riuniti nel gruppo
dodicesimo e si aggiravano sui tremila; 1380 provenivano dalla Francia; 600
circa dalla Spagna; molti da altri paesi d'Europa e d'America: erano un indizio
vivente dell'universalismo che si attribuiva a Don Bosco e alle sue opere. Fra
i tanti inni composti per l'occasione e intonati da cori e da bande musicali
prendeva il soprawento quello ch'era entrato nell'orecchio di tutti nel 1929:
«Don Bosco ritorna fra i giovani ancor!...».L'entusiasmo delle masse giovanili
coinvolgeva gli adulti e quasi non faceva awertire la pioggia.
Venendo incontro ali'emergenza, la «Fiat» mise a disposizione una tren-
tina di berline entro le quali poterono alloggiare durante il percorso sotto la
pioggia il centinaio di cardinali e di vescovi che da Roma si erano trasferiti ai
festeggiamenti di Torino.
Il giorno dopo, lunedì 9 aprile, la «Fiat» rinnovò la sorpresa. Di buon mat-
tino due torpedoni e una trentina di grosse berline fecero sentire il loro rombo
nel cortile di Valdocco. Il cardinale Hlond e un buon gruppo di vescovi pro-
venienti da varie parti del mondo furono condotti a visitare il grande stabili-
mento «Fiat» al Lingotto. Il senatore Agneiii rivolse un discorsetto agl'illustri
visitatori in cui ricalcò quello tenuto nel 1929, ma aggiungendo qualche ri-
cordo personale e un'allusione più esplicita al ruolo di vivaio di operai che ve-
niva svolto dalle scuole professionali salesiane:
«Come italiani, come piemontesi, come lavoratori noi siamo orgogliosi di avere tra
noi qui, nella "Fiat", un principe deiia Chiesa e tanti vescovi e sacerdoti salesiani, che
degnamente rappresentano e continuano l'opera universale di Don Bosco, opera di san-
tità cristiana e di civiiizzazione eroica, ma anche opera di insegnamento e organizza-
zione del lavoro.
Quando io ero piccolo, ebbi la fortuna di conoscere Don Bosco - mi pare di ve-
derlo ancora, semplice e familiare, seduto d a mensa di mio nonno. Mora la "Fiat"
non esisteva; Torino non era ancora la città industriale; però Don Bosco aveva già po-
sto le imprese del suo immenso edificio di bene, della sua fabbrica di educazione che
doveva estendersi fino agli ultimi confini deiia terra. La "Fiat" conosce molto bene
l'importanza sociale e religiosa dell'opera Salesiana, perché dovunque arrivano le no-
stre macchie, dovunque vadano, per vie nuove e in terre sconosciute, incontrano
immancabilmente questi "pionieri" della civilizzazione, trovano dispiegate le ban-
diere gloriose di Don Bosco.
Tutti gli operai della "Fiat", molti dei quali provengono dalle scuole salesiane, si
inchinano riverenti davanti alla gloria del nuovo Santo, che fu sempre un gran lavora-
tore, un grande operaio; e si sentono altamente onorati con la presenza di tanti dignitari
della Chiesa cattolica, ai quali io, in nome loro, rivolgo il saluto e la viva gratitudine
perché con tanta bontà si sono degnati di venire in questa Casa*.')
" I1 testo del discorso di Agnelli non è dato dal «Bollettinosalesiano»italiano; q u d o che

14.7 Page 137

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Il ciclo dei festeggiamenti continuò con cerimonie sparse a Torino, a Chie-
ri, ai Becchi, in varie città del Piemonte. Di Don Bosco venivano ribadite e ri-
tessute le immagini di santo dei giovani, gigante della santità, moderno e ge-
niale. Erano come sommerse e soffocate le critiche di esponenti della niltura
italiana antifascista, come quelle di Croce e Salvemini, i quali non mancarono
di muovere riserve a opere specifiche di Don Bosco, alla Storia d'Italia, ad
esempio, o anche ail'esaltazione che si faceva del suo sistema educativo owero
del suo ruolo storico nel ri~orgimento;'s~ommerse o dimenticate erano le cri-
tiche che fino a pochi anni prima avevano avuto come tenace portavoce qual-
che anziano prete della diocesi di Torino.
1110 aprile, passata ormai la perturbazione temporalesca, in un pomeriggio
terso e luminoso, fu inaugurato l'istituto missionario «Conti Rebaudengon. A
tagliare il nastro fu la principessa Maria Adelaide di Savoia-Genova; accanto
ad essa c'erano i cardinali Fossati e Hlond, il conte De Vecchi, Pietro Fedele
ministro della pubblica istruzione, il segretario federale fascista Andrea Gastal-
di, il podestà di Torino Paolo Thaon di Revel, la presidentessa delle dame pa-
tronesse marchesa Compans de Brichanteau." L'intesa con la «Fiat» e la bor-
ghesia industriale ebbe d o r a un momento significativo e accennò a consoli-
darsi negli anni successivi, dimostrandosi, sembrerebbe, meno labile di quella
che tendeva a stabilire il fascismo. Allievi delle scuole professionali salesiane
di Torino, di S. Benigno Canavese e poi anche dei Becchi (l'istituto Bernardi-
Semeria al Colle Don Bosco) trovavano agevolmente impiego presso la «Fiat»,
la «Olivetti» e presso altre imprese. Anche i salesiani ebbero il loro utile più
duetto. Dall'istituto missionario «Rebaudengo», dalla scuola agricola di Cu-
miana, dal Colle Don Bosco uscivano maestri d'arte e istruttori di scuole agri-
cole che venivano distribuiti nelle istituzioni salesiane dei cinque continenti,
dopo avere consolidato il proprio tirocinio in uno dei poli più avanzati della
tecnica industriale e agricola italiana. Erano maestranze che contribuivano a
consolidare il prestigio delle opere educative salesiane e ad aumentarfie la ri-
chiesta. Accanto ai monumenti e alle immagini di Don Bosco attorniato gene-
ricamente da giovani se ne andava introducendo uno che raffigurava Don Bo-
sco con a fianco uno studente e un alunno delle scuole professionali; si evo-
cavano in tal modo il nuovo momento storico della congregazione salesiana,
la nuova idealizzazione del santo fondatore, la nuova offerta che i salesiani fa-
cevano ai bisogni della società industriale.
diamo 6 una traduzione dal corrispettivo spagnolo: «Boletin salesianou 49 (junio 1934) p. 220s;
CF. STELLA, Ia canonimione di Don Bosco tra fi11n'smo e univerralismo, p. 365s.
" Su Salvemini, d il nostro vol. I, p. 14. I giudizi che Croce espresse circa la Storia d'Italia
di Don Bosco su nLa critica* del 20 luglia 1931, p. 310, sono presi di mira da un articolo po-
lemico dal titolo: <Del "cattivo gusto", ossia: Benedetto Croce, la "Storia d'Italia" di D. Bosco,
l'"Indice"»,in: «La Civiltà cattolica» 87 (1936) 11,p. 138-148.
" «Bollettino salesiano* 58 (giugno-luglio 1934) p. 213-216.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
CONCLUSIONE
L'immagine di Don Bosco con a fianco da un lato un giovane studente e
dall'altro un giovane apprendista al quale il santo maestro stringeva la mano
era chiaramente un'ideaiizzazione e una modernizzazione. Chi vedeva la statua
nel cortile dell'Istituto missionario «Conti Rebaudengon o altrove, chi ne ve-
deva la riproduzione che andò stampandosi sulla copertina del «Bollettino sa-
lesiano* dal maggio 1939 a tutto il 1943 sicuramente non contemplava con l'a-
nimo di chi avrebbe voluto una riproduzione realistica del santo secondo
istanze razionali tipiche nell'età dei lumi o anche vive in sfere culturali tra fine
'800 e secondo dopoguerra. Nella realtà vissuta Don Bosco, «gigante di san-
tità», non era dotato della statura elevata che veniva fatta supporre dalla raf-
figurazione adottata dal «Bollettino». Anche nei confronti di Don Bosco dun-
que continuava il gioco di ideaiizzazione iconografica che da sempre aveva ani-
mato la religiosità cristiana a partire daiie rappresentazioni catacombali fino a
quelle di un Beato Angelico o di un Raffaello e di un Gherardo delle Notti,
per non dire anche di un Tommaso Lorenzone, il modesto pittore che fece per
Don Bosco la grande pala di Maria Aiuto dei Cristiani.
Neil'atteggiamento affettuoso e confidente in cui si raffigurava Don Bosco
fra i due giovani se ne evocava certamente lo stile educativo, la «amorevolez-
za» con i giovani, che poteva intendersi in sostanza come uno sviluppo o una.
variante moderna, istintiva, popolare dell'umanesimo devoto insegnato e teo-
rizzato da Francesco di Sales nella Filotea o tradotto in motti di buon senso
da Filippo Neri.
L'idealizzazione iconografica che si faceva di Don Bosco aveva come refe
rente la gioventù, e più precisamente la classe di età fra adolescenza e maturità
ch'era inserita neiia scuola o verso sbocchi tecnico-professionali: era una
coorte di età straordinariamente in aumento tra '800 e '900 aUe cui istanze ed
esigenze le ideologie e i movimenti politico-sociali non avevano dato una rispo-
sta adeguata e apprezzabile. Tale vuoto spiega in parte anche il successo di chi,
come Don Bosco, seppe passare dalla risposta personale ail'organizzazione
sempre più larga e articolata di istituzioni destinate ai giovani e alle loro
istanze e speranze.
La consapevolezza di questo fatto portava a relativizzare e subordinare i'in-
tera vita vissuta di Don Bosco. Non ci si soffermava sugli anni della sua fan-
ciullezza di contadino e piccolo giocoliere, se non subordinatamente alla vo-

14.8 Page 138

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cazione di prete tra i giovani assegnatagli daii'alto; o anche si narrava la fan-
ciullezza tratteggiandola come un preludio dello stile educativo che gli fu pro-
prio: giocoso, umano, apparentemente disordinato, non costrittivo di valori ai
quali i giovani credevano.
Non ci si sentiva a disagio nel confrontare le umili origini deii'oratorio con
l'imponente complesso di opere giovanili e di chiese gestite dai salesiani a To-
rino e nel mondo. Queste erano considerate come il frutto di scelte successive
che aveva compiuto Don Bosco stesso; si voleva comunque che alle scuole per
giovani interni ed esterni fossero affiancati assembramenti di masse giovanili
che in qualche modo riproducessero l'oratorio e contribuissero ad alimentare
lo stile di spontaneità serena ed espansiva che si voleva fosse una caratteristica
dei figli di Don Bosco. La casa Pinardi non era solo il ricordo del granello di
senapa iniziale, ma anche il momento che i salesiani erano virtualmente dispo-
sti a rivivere affrontando condizioni d'indigenza anche estrema fra tribù pri-
mitive o situazioni di contrasto violento in
urbane, ostili a istituzioni
impiantate dal clero cattolico.
L'iconografia che raffigurava Don Bosco tra un giovane studente e un al-
lievo di scuole professionali definiva oltre tutto, in modo in sostanza appro-
priato, l'offerta educativa che i salesiani, in continuità con lo spirito del fon-
datore, intendevano fare d a civiltà industriale in via di sviluppo o in qualche
modo in arrivo persino nelle terre di prima presenza missionaria. Non aveva
infatti più la suggestività di un tempo la raffigurazione che s'era fatta di Don
Bosco nei monumento inaugurato nel paese nativo di Castelnuovo nel 1898 e
che per vari anni fu imitata nelle copertine del «Bollettino salesianon. Ii mo-
numento di Castelnuovo rappresentava il venerato prete torinese con a fianco
da un lato in piedi un ragazzo d d e fattezze europee e daii'altro in ginocchio,
proteso a baciargli la mano, un giovane indio coperto di pelli; ma in Patagonia
non esistevano più gl'indiani rappresentati in quel modo o perché estinti sotto
la pressione della conquista «del desiertob o perché si erano evoluti assor-
bendo costumi e comportamenti dei colonizzatori bianchi. Le nuove missioni
salesiane «in partibus infidelium» non avevano più in prevalenza come desti-
natarie popolazioni primitive, ma civiltà diverse e sotto certi aspetti raffinate,
quali queiie di vaste zone deii'India, della Cina, del Medio Oriente; l'espe-
rienza tra i primitivi tentata in Australia nel primo dopoguerra da un grup-
petto guidato da mons. Ernesto Coppo (1922-1927),dato il suo esito f a b e n -
tare, venne quasi cancellata dalla propaganda sdesiana e nel ricordo colletti-
vo;' si preferì sul «Bollettino» e persino anche attraverso documentari cinema-
' Su mons. Coppo (1870-1948) 6.Dizion. biograficodeisalesiani, p. 96; sul vicariato aposto-
lico di Kimberlq sono da esplorare fondi vari deli'AS, relativi d a missione, all'ispettoria salesiana
deU'Australia, d a persona di mons. Coppo nel fondo vescovi, la corrispondenza del procuratore
generale, i verbali del capitola superiore; i fondi corrispettivi presso la S.C. di Propaganda fide
e presso i Pdottini che nel 1927 subentrarono ai salesiani; qualche notizia è data dal «Bollettino
salesianon dal 1922 in avanti.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
tografici pionieristici dare spazio d e missioni tra i bororos del Brasile, i jivaros
deii'Ecuador, gli africani del Congo Belga, i cinesi, i giapp~nesiL.~o scopo fi-
nale che ci si auspicava era quello di una cristianità e di una civiltà, in cui Don
Bosco, per mezzo dei suoi figli, svolgeva il ruolo di educatore e formatore negli
assembramenti oratoriani, neiia scuola e neii'apprendimento professionale.
Don Bosco stesso fu indotto d a scelta della scuola come ambito entro cui
curare l'educazione dei giovani dopo che il Piemonte si diede un'organizza-
zione deii'istruzione pubblica e privata con la legge Casati nel 1859. Facendo
perno sulle classi
e liceali, oltre c ~ & o r a i i a E i d i a n i e m e s t i e r i ,
egli si garantiva, oltre tutto, un vivaio di collaboratori e un seminario di gio-
vani reclute per la congregazione religiosa che fondò formalmente in quel me-
desimo anpo. L'accettazione di collegi e di scuole spingeva fatalmente-so le
classi -&~~ch'erans,PUnto quelle che, più delle altre subalterne, investi-
v a n e i p r ~ p rfiig& nel campo deii'istruzione. Tale spinta verso le classi meno
indigenti richiese come elemento riequilibrante l'apertura anche di ospizi per
giovani che stavano veramente tra povertà e indigenza, in modo da non offu-
scare l'immagine originaria di Don Bosco fondatore e promotore di opere con-
sacrate al bene della gioventù «specialmente più povera e abbandonata».
Ancor più si rese necessaria una strategia complessiva quando si intrapre-
sero le spedizioni di salesiani in Argentina, e altrove in America, sul percorso
deii'emigrazione italiana nel periodo della grande depressione economica
mondiale, appunto a partire dagli anni '70. Le spedizioni salesianefurono tutte
denominate e propagandate come di «missionari per i selvaggi d'America»,
anche se solo in numero ridotto erano coloro che andavano tra i patagoni, gli
araucani, gli onas, i bororos, i jivaros; la stragrande maggioranza degli effettivi
era invece destinata a scuole umanistiche, a collegi di cartes y oficios», a
scuole agricole e chiese pubbliche. L'impianto di grandi collegi per giovani i
studenti caratterizzò l'espansione salesiana in America latina, soprattutto nel
Brasile, tra la fine deii'800 e gli anni della canonizzazione di Don Bosco; ai
punto che Don Rinaldi, attorno al 1924-1925, temendo uno squilibrio e quasi
una deviazione nello spirito del fondatore, provvide a trasferire dal Brasile in
Piemonte Don Pietro Rota, uno degli ispettori salesiani più intraprendenti e
in un certo senso protagonista determinante della risposta che i salesiani die-
dero nel campo della scuola d e richieste sociali e politiche del Brasile di al-
I primi passi che si fecero furono quelli deUe «conferenze con proiezioni». La SEI forniva
il testa di conferenze corredate da diapositive s d e opere salesiane; un conferenziere salesiano
aambulante~a, ccolto qua e in Italia nelle sale parmcchiali, fu Don Antonio Fasulo (1880-1962).
Erano in vendita diapositive con apposito testo s d a vita di Don Bosco, di Domenico Savio e Don
Rua. A queste venne presto affiancatala produzione di pellicole cinematografiche.Incaricato del
settore già negli ami '20 fu Don Domenico Molfino (1871-1952). Sulle diapositive 6.«BoUettino
salesianon48 (gennaio 1923) p. 23; sull'attività di Don MoEina e l'ufficio «Film Missioni Don Bo-
sco» creato a Valdocco nel 1923 (con 22 titoli nel catalogo a stampa del 1928) cf. le notizie che
ne dà Marco Bongioami nel nBoUettino salesiano* 110 (1 aprile 1986) p. 33-36.
1/

14.9 Page 139

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lora.' Con buon argomento dunque Don Bosco negli anni della beatificazione
e canonizzazione veniva delineato e idealizzato come grande educatore; e i sa-
lesiani da lui fondati erano caratterizzati come una congregazione insegnante.
Erano concettualizzazioni che indicavano, oltre che il campo che l'opera di
Don Bosco aveva finito per privilegiare, anche gli spazi entro cui altri perso-
naggi, circondati dall'aureola di santità, emersero come educatori e fondatori.
Negli anni in cui Don Bosco e i salesiani fecero la scelta delle missioni e
dei collegi in America latina si distinse con le sue iniziative a Torino Leonardo
P/Iurialdo, antico collaboratore degli oratori torinesi attorno al 1848. ii Mu-
4 rialdo rispetto a Don Bosco è più sensibile alla questione operaia tale quale si
andava ponendo a Toripo e nelle aree più prossime al decollo industriale. I1
collegio degli Artigianelli di cui era direttore e che attorno al 1850, contem-
poraneamente alla «casa annessa» all'oratorio di Don Bosco, aveva come
scopo l'accoglienza e i'educazione dei giovani «più poveri e abbandonati* fu
alie origini della Pia Società Torinese di S. Giuseppe. E i giuseppini del Mu-
rialdo, molto più dei salesiani di allora, furono attenti ai nessi tra le loro scuole
e il mondo operaio entro cui poi i loro allievi sarebbero finiti e, coerentemen-
te, entro l'ambito del movimento cattolico essi cercarono di promuovere sia
qualche società operaia sia la diffusione di un apposito periodico dal titolo
V «La Voce-&l'operaio».
Quella defhlurialao e dei suoi giuseppini era in effetti una voce che in ter-
mini impliciti e amichevoli sottolineava le caratteristiche e i limiti sia di Don
Bosco che dei suoi figli spirituali nel campo dell'educazione sociale. Altret-
tanto aweniva a Torino fra gli anni della morte di Don Bosco e il decennio
dopo il conflitto mondiale per quanto riguardava l'impegno missionario fra i
non cristiani e la corrispettiva formazione dei missionari. Fu il canonico Giu-
seppe Ailamano, nipote di Don Cafasso e allievo studente ali'Oratorio attorno
,al 1860, a riflettere sulle caratteristiche che dovevano contraddistinguere la
formazione dei missionari della Consolata nei confronti di quella dei salesiani
di Don Bosco: una formazione più metodica, più rispondente ai dettami di
Don Cafasso, in ordine a un campo di missione. diverso rispetto a quello dei
salesiani: cioè il Kenia e l'Africa nera nell'ambito del colonialismo europeo.
' Rinaldi a Vespignani, Torino, 22 ottobre 1924: «Se non fosse indiscrezione io Le chiederei
che facesse ancora un anno di più nell'herica (dai Brasile ci giungono notizie niente confortanti).
Fanno delle grandi cose, ma dimenticano la nostra missione fra il popolo e cercano di emulare i
gesuiti, i benedettini, ecc. Lei lo sa che noi dobbiamo avere la classe di giovani che non possono
andare in quegli istituti. Sono quasi aboliti i laboratori e gli oratori festivi, mentre vanno accumu-
lando debiti in un modo spaventoso. Dal Brasile abbiamo mai avuto un rendiconto d d e case, ma
si sa che i debiti crescono e non può essere altrimenti, perché pagano h o a 24% d'interesse [,,,l,
Ora noi cambieremo l'ispettore durante l'inverno e poi Lei andrebbe fare una visita calma, accu-
rata, non di ricevimenti e di lusso...n (RNALDSIu,ilti, fol. 445). Conviene ricordare che la hea-
tificaz~onedi Don Bosco nel 1929 fu commemorata ufficialmente in Brasile dalla camera dei de-
putati e dal senato federale; a unanimita ti approvata la proposta di un telegramma di cangratu-
'lazio;
ai rettor maggiore Don Rinaidi; d eBoUettino salesiano>>53 (luglo 1929). p. 221.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
+- Un'altra personalità che scelse un campo che sembrava non occupato ade-
guatamente da Don Bosco e dai suoi salesiani fu il lombardo Don Lui i Gua
n111842-1915). Questi fu per un triennio salesiano, d'rettore el collegio
nella cittadina di Cherasco, membro del primo capitolo generale della società
salesiana nel 1877. Scaduto il tempo dei suoi voti triennali e compiuta quella
che voleva essere solo un'esperienza in ordine ai propri progetti, Don Gua-
nella tornò in patria e diede inizio a istituzioni religiose che si occupassero più
direttamente dei giovani e degli strati della popolazione sociaimente più debo-
1 li. I destinatari che Don Guanella intese scegliere furono perciò quelli che vide
«più poveri e più abbandonati* rispetto a quelli presso i quali agivano i sale-
siani di Don Bosco.
Affini alle scelte di Don Guanella furono quelle di Don Luigi Orione
(1872-1940), ispirato peraltro anche all'opera del C o t t o l e i i @ ~ ~7 c opniu
evidenza di Don Guanella, e in tempi che non erano più quelli del Piemonte
preindustriale in cui aveva agito Don Bosco, Don Orione fu sensibile alle con-
dizioni di bisogno o di pericolo in cui rischiavano di essere abbandonati nella
società capitalistica e industrializzata-i giovani handicappati, q u w c h i c a -
mente minorati e socialmente marginalizzati; di loro egli non immagina sol-
tanto l'assistenza inerte, ma ipotizza il recupero massimo possibile, il sostegno
e l'inserimento nella società. In questa direzione gli orionisti occuparono spazi
che i salesiani assunsero in misura abbastanza iimitata in Italia (i sordomuti a
Napoli) e altrove (i lebbrosi in Colombia...1'.
In modo più traumatico venne a definirsi il campo dei salesiani in Polonia
in confronto a quello che venne occupato dall'istituto ch'ebbe a fondatore il
servo diDiaBronislaqMa~kiewicz(1842-1912).' Come Augusto Czartoryski
e altri polacchi, il Markiewicz f;suggestionato dall'immagine che la stampa
cattolica diffondeva di Don Bosco e delle sue opere in prodigiosa espansione
nel mondo. Venuto in Italia, compiuto il noviziato, emise i voti religiosi alla
presenza di Don Bosco nel 1887. N-el 1-8~89 pubblicò in polacco a Cracovia la
vita della madre di Don Bosco, Margherita Occhiena, scritta da Don Giam-
battista Lemoyne. Fu forse questo libro che portò Don Markiewicz a riflettere
sul tipo di opere che a suo giudizio rispondevano allo spirito originario di Don
Bosco. La modestissima casa Piardi, in cui erano vissuti Don Bosco e sua ma
dre con tanti poveri giovaniveramente pericolanti, doveva costituire il modell
di quanto conveniva impiantare nella Polonia. Dalla semplice riflessione Do
Su Don Orione, cooperatore salesiano e devotissimo a Don Bosco, cf. «Bollettino salesia-
no» 64 (aprile 1940) p. 109-111, che pubblica una foto di Don Orione a fianco aii'urna di Don
Bosco nel giorno della «apoteosiu a Torino, 1'8 aprile 1934. Secondo Massimo Marcocchi Don
Orione «con più sensibilitadi Don Bosco e del Cottolengo percepl le trasformazioni di una societh
che si andava industriaiizzando~(Dizion. storico del movimento cattolico in Italia, 11, p. 433-435);
.. è owio che si tratta di aoorezzamenti abbastanza ooinabili. data la g"rande diffe~enzatra I'e~ache
in cui vissero i tre personaggi.
' Cf. la voce bioarafica nel Dizion. denlilstituti dipecfezione,V , Roma, Ed. Paoline 1973, col.

14.10 Page 140

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Markiewicz passò all'organizzazione, quando nel 1892, inviato parroco a Miej-
sce Piastowe, diede inizio a una casa di educazione per la gioventù povera
chiamandola «Casa Don Bosco». Nella nuova casa si propose di far mettere
1 in pratica dai coilaboratori che gli furono inviati da Torino la vita frugale deila
1 I 1 povera gente tra cui vivevano, in rispondenza a una «più stretta osservanza»
delle regole lasciate da Don Bosco. S--ul terren~o~de.lla «temperanza» e della
I «più stretta osservanza))ebbero luogo i contrasti che portarono al distacode1
dalla congregazione-salesiana.Le due congregaziq~u, na maschile
e l'altra femminile, alle quali diede iniiio furono denominate: di S. Michele
1I Arcangelo, con il motto «temperanza e lavoro». Solo nel 1898 i salesiani inau-
gurarono il loro primo collegio per studenti a Ohiecim. Si ebbero così in Po-
i lonia due opere parallele ispirate a Don Bosco e in rapporti reciproci che per
:/
molto tempo non
poterono
essere amichevoli. Le opere
che i
-.
salesia-ni.-impian-
tarono rispondevano in effetti a una certadomanda sociale delle classi +&i-
'; bili popolari. Nei decenni fra i due conflitti mondiali essi ebbero in Polonia
uno sviluppo proporzionalmente maggiore rispetto a quello di altri paesi eu-
ropei (superiore di gran lunga a quello della Francia, colpita dalle leggi anti-
:clericali di Combes), contribuendo notevolmente, insieme alla Spagna e alla
'Germania, all'incremento numerico globale in Europa, ail'internazionalizza-
zione e perciò anche di riflesso all'immagine di Don Bosco fondatore tra i più
/straordinari del secolo decimonono.
Anche le iniziative di Don Giacqmo.-aberione (1884-1971) neil'ambito
deil'editoria cattolica contribuirono a definire con più concretezza il ruolo e
i limiti della personalità di Don Bosco, organizzatore e operatore nel mede-
simo campo. La Pia Società S. Paolo, fondata da Don Alberione nel 1914, cer-
tamente non s'ispirò soltanto a Don Bosco; ebbe comunque presente anche la
diffusione che i salesiani riuscivano a fare in quei tempi di libretti religiosi, ri-
creativi, scolastici, di periodici come le «Letture cattoliche» e persino, a par-
tire dal 1923, di pellicole cinematografiche su Don Bosco e su esperienze mis-
sionarie in Africa, Asia e America. Don Alberione fece perno suil'editoria e
meno suil'educazione giovanile. Le famiglie di religiosi e di religiose ch'egli
fondò avevano come duplice scopo la stampa d'ispirazione cattolica e la sua
diffusione. L'articolazione ed efficienza dei vari istituti religiosi maschili e fem-
minili fu uno degli elementi chiave del successo conseguito anche al di delle
aree cattoliche praticanti. Mentre i religiosi presiedevano al settore editoriale,
le suore prowedevano alla diffusione capiilare sia a domicilio di porta in por-
ta, sia nelle parrocchie. Parroci e vescovi erano ben lieti di dare spazio a chi
prowedeva nell'ambito della propria circoscrizione pastorale alla diffusione di
libri e di altri stampati rispondenti ai gusti e agl'interessi della gente comune,
dall'infanzia alla vecchiaia. La rete paolina di editoria e di diffusione era in
qualche modo il corrispettivo di quanto editrici laiche cercavano di costruirsi,
dalla produzione libraria e periodica fino alla diffusione nelle librerie e nelle
edicole.
Un'organizzazione del genere era ormai al di fuori di quanto i salesiani di
274
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Don Bosco e le figlie di Maria Ausiliatrice avrebbero potuto fare. Non solo in-
fatti c'era d'obbligo un netto distacco tra le case educative destinate con rigida
separazione ai ragazzi e alle ragazze, ma anche tra i due istituti, dopo le norme
generali emanate dalla S. Sede tra fine '800 e primo '900, si era definita una
più netta separazione e autonomia giuridica. I salesiani, piuttosto, furono at-
tenti a consolidare fra le due guerre la propria presenza specifica e prevalente
neil'editoria che aveva come destinatari i giovani: dalle pubblicazioni scolasti-
che a queile più in generale istruttive e ricreative. In un altro punto importante
i salesiani di Don Bosco si differenziarono dalle iniziative di Don Alberione e
dall'attività dei paolini. Le «Letture cattoliche», il «Bollettino salesiano» e al-
tre pubblicazioni avevano anche la funzione specifica di far conoscere Don
Bosco e gli sviluppi deile sue opere nell'intento di ottenere consensi e sussidi
finanziari; per tale via si mirava a diondere l'immagine che si voleva far co-
noscere di se stessi e ci si assicurava l'autonomia economica a tutela anche
della propria specificità spirituale.
In realtà nessuno dei personaggi che abbiamo elencato venne posto in raf-
fronto con Don Bosco, per definire di questi la fisionomia spirituale e tanto
meno per definirne la statura. Non era pensabile d'altronde che il Murialdo
e l'Ailamano, testimoni al processo, si accingessero a stabilire un parallelo tra
la propria persona e quella di Don Bosco. Ai Riti piuttosto il confronto sor-
geva naturale con i servi di Dio dei quali erano in corso i processi apostolici
a Roma, dal pontificato di Leone XIII a quello di Pio XI. Per quanto non si
potessero dimenticare le istituzioni di cui il prete piemontese era stato fonda-
tore e le altre iniziative delle quali era stato promotore, essenzialmente il di-
battito doveva vertere non suil'espansione delle opere da lui promosse, ma
suile virtù di cui aveva dato prova o no, e sul loro grado, suila base di testi-
monianze e documenti degni di fede.
La necessità di distinguere tra agire virtuoso e opere esterne attribuite al-
l'impegno di Don Bosco venne posta in evidenza già nel 1906 da Alessandro
Verde, allora promotore generale deila fede. Nel suo elaborato egli elencò una
serie d'interrogativi che si ponevano a chi esaminava il modo come Don Bo-
sco, fm dalla prima adolescenza, aveva fatto leva sui sogni e su quanto altro
poteva farlo apparire come dotato di qualità o singolari o soprannaturali.
Verde aveva anche indicato come occorreva indagare attentamente sui modi di
linguaggio aperti e ambivalenti non rari nelle parole e negli scritti di Don Bo-
sco; sui modi ai quali questi aveva fatto ricorso per procacciarsi appoggi e fi-
nanziamenti; suil'uso dell'iperbole e deil'amplificazione nella propaganda e
suila diffusione della propria immagine attraverso soprattutto il «Bollettino sa-
lesiano». Erano questi forse solo spiragli su una personalità comunque da
esplorare in ordine all'assunto proprio dei processi di beatificazione. Alessan-
dro Verde apriva le sue «animadversiones» commentando l'ambivalenza del
giudizio che su Don Bosco sembrava aver espresso Don Giuseppe Cafasso,
suo maestro e direttore spirituale: «Don Bosco è un mistero...». La battuta del
Cafasso non tendeva a notare l'enigmaticità del giovane prete suo compaesano,
2 75

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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ma le capacità che aveva di ponare a compimento progetti che sembravano
inattuabili. Margandone o mutandone la portata, ci si poteva chiedere se non
era da ritenere che Don Bosco era un mistero in ben altro senso: un uomo
enigmatico, ambizioso, abilissimo raggiratore, spregiudicato nel far leva su
quanto poteva portarlo al successo. Charles d'Espiney, autore di un fortunato
profilo di Don Bosco pubblicato già nel 1881 e ispirato a sensazionalismo e
miracolismo, fu il primo a divulgare il detto attribuito al Cafasso. Ii d'Espiney
induceva a leggere in senso miracolistico il mistero di Don Bosco: di lui si era
servito Dio per riproporre al mondo moderno miscredente la realtà del mira-
colo, prova deli'esistenza di Dio. L'atteggiamento di Alessandro Verde è pro-
fondamente diverso. Ammesso pure che Don Bosco sia stato strumento di
bene e persino di miracoli, l'esame d d a sua santità personale era ben altra
cosa. Verde puntualizzava il tipo di analisi, entro cui la cultura ecclesiastica
dotta collocava neU'età moderna i canoni della santità istituzionale e i modelli
agiografici da proporre.
Già nelle fasi del processo ordinario e poi in quelle del processo aposto-
lico, fatto a Torino dai giudici delegati, si fu attenti a disporre gl'interrogatori
in modo da chiarire in modo esaustivo i momenti e gli aspetti della vita che
avevano sollevato i giudizi più contrastanti s d e qualità personali e sul com-
portamento di Don Bosco. Punto dolente si rivelò il contrasto che aveva avuto
in anni non lontani con l'arcivescovo Gastaldi, tra il 1873 e il 1883, anno in
cui l'arcivescovo mori e a-p.pena un lustro prima della morte"diDon Bosco. At-
tomo aii'intricato episodio furono accumulate testimonianze awerse alla san-
-- tità di Don Bosco da chi era stato del Gastaldi collaboratore d'ufficio nella ca-
rica di promotore fiscale della curia torinese, il canonico Emanuele Colamiatti. d.
Questi non fu chiamato, nemmeno come testimone d'ufficio, al processo
sulla vita, le virtù e i doni soprannaturali di Don Bosco; del resto egli stesso
non desiderava esserlo. Fini per essere chiamato a Roma nel 1915 come teste
di un processicolo speciale istruito appositamente per portar luce su& adde-
biti &'egli aveva raccolto contro Don Bosco. Vagliando con criteri processuali
le testimonianze addotte e i documenti allegati, si fini per indebolire la credi-
bilità dei testi e l'oggettività delle deposizioni orali o scritte awerse a Don Bo-
sco: da quelle del Colomiatti alle altre deli'anziana signorina Augusta Civra.
L'eroicità delle virtù di Don Bosco fu riconosciuta e decretata nel 1927; il Co-
lomiatti mori nel 1928. Fino aii'ultimo i salesiani e i loro sostenitori lo indi-
carono come colui che per malanimo e cecità intellettuale si era battuto per
ostacolare e anzi far naufragare il pro~esso.~
U giudizio eccessivamente severo e unilaterale sul Colomiatti fu espresso persino da Carlo
Saloni, nella biografia &ciaie del 1929, 11 beato Giovanni Bosco, Torino, SEI 1929, p. 599:
«Quello che poi maggiormente contrista l'animo di uno storico, è la condotta inqualiEcabile del
can. Emanuele Colomiatti [...l tuno intento a screditare con abilità senza pari, ma contro ogni
senso di giustizia, le virtù e la stessa fama del nostro beato*. ii libro del Salotti ha I'imprimutur
torinese del provicario generale, canonico Francesco DuWia, uno dei giudici al processo di bea-
tificazione.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Un'analisi storica sia della crisi istituzionale, nella quale anche la Chiesa in
Piemonte e in Italia era coinvolta, sia del mutare di strutture demografiche,
economiche, sociali e mentali entro cui vissero Don Bosco, i suoi sostenitori
e awersari in fasce di cultura non di rado profondissimamente diverse,
avrebbe sicuramente reso meno faticoso l'itinerario del processo; avrebbe aiu-
tato a comprendere e apprezzare il modo pratico usato da Don Bosco per
crearsi l'autonomia economica e sociale che ne aveva favorito il successo; una
maggiore attenzione alle fasce culturali entro cui operava il clero tra analfabe-
tismo e alta scienza accademica avrebbe anche aiutato a capire meglio sia l'e-
nigma o mistero che si voleva fosse Don Bosco, sia la sequenza di contrasti
che, come tanti altri, il servo di Dio su cui si discettava fu costretto ad affron-
tare. Ma l'istanza di una migliore fondazione storica dei processi di beatifica-
zione solo allora cominciava a maturare e i suoi primi tentennamenti, fatti con
strumenti ecdotici non idonei, tra il 1930 e il 1934, ebbero riflessi negativi sui
processi affini e connessi di Domenico Savio e di Don Bosco.
II processo di beatificazione di Don Bosco si awantaggiò senza dubbio del-
l'assunzione al pontificato di Achille Ratti. Da giovane sacerdote questi, richia-
mato dalla fama, si era recato a Torino e aveva avuto un'indiienticabile col-
loquio con il prete torinese. Più tardi nei colloqui privati e poi da papa nelle
udienze pontificie amò ricordare quell'incontro; rievocava l'immagine di quel
piccolo prete in età matura e dalle apparenze normali, ma la cui padronanza
di sé e i lampeggiamenti intellettuali portavano a comprendere per quali ra-
gioni era divenuto ii comandante di una costellazione di grandi impiese edu-
cative.? Il cardinale Alimonda nella sua enfasi oratoria aveva proclamato Don
Bosco il adivinizzatore del secolo il «; Times»e altri giornali annunzian-
done la morte lo avevano definito un nuovo Vincenzo de' Paoli. Nella mente
di papa Ratti Don Bosco si configurava come un genio straordinario, capacis-
simo di portare al successo qualsiasi impresa anche nel campo della scienza,
ma che per circostanze concrete era divenuto un grande educatore e fondato-
re; per la considerazione globale delle cose, Don Bosco era dunque un agi-
Tra le formulazionipiù appassionate ed efficaci merita ricordare quella del discorso tenuto
nel 1927 dopo la lettura del decreto sull'eroicita delle virtù: *Forza, vigoria di mente, calore di
cuore, energia di mano, di pensiero, di affetto, di opere, e luminoso e vasto ed alto pensiero, e
non comune, anzi superiore di gran lunga alla ordinaria [...l;l'ingegno di colui che avrebbe potuto
riuscire il dono, il pensatore, lo scrittore» (MB 19, p. 81).Accanto al discorso ufficiale conviene
ilp aggiungere le riserve che il papa era ugualmente capacissimo di fare e confidare; cf. in proposito
quanto riferisce u-n
colloquio avuto con Achille Rarti, prefetto della Biblioteca apo-
stolica vaticana: «Mi disse dell'occasione che l'aveva portato a conoscere Don Bosco [...l. L'ar-
gomento principale dei loro discorsi erano stati gli studi, e specialmente gli studi di storia ecde-
siastica. Appunta a proposito di storia ecclesiastica, Don Bosco, prendendo entusiasmo, gli aveva
rivelato i "grandiosiprogeni" &e aveva avuto di scrivere una storia delia Chiesa, vasta nel disegno
e... rigorosa per metodo. - Ma, egli soggiungeva sorridendo, povero Don Bosco! come poteva
i fare, con tanti altri pensieri, e senza un'adatta preparazione scientiiica, pur avendo capacità d'h-
gegno a tanta?...»; cf. Don Bosm. Sei scritti e un modo di vederlo. Second.n- edizione mn una Ap-
pendice: Pio XI e Don Bosm, Roma 1940, p. t190sl.
~~

15.2 Page 142

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gante della santità». Come ebbe ad argomentare il Salotti al processo, contem-
plando un gigante di santità, era meschino impuntarsi a formalizzare sui nèi
che si potevano notare in lui.
Quella della «grandezza e eminenza» di Don Bosco era un'intuizione, ma
anche una notevole idealizzazione. Se si fossero considerati i tempi della «ti-
voluzione» dell'800 non come imperversare di forze ostili alla Chiesa, ma
come epoca di rapide trasformazioni, si sarebbe potuto vedere in Don Bosco
chi aveva saputo cogliere le congiunture propizie, via via che queste si anda-
vano presentando. Il merito del successo si poteva allora ripartire fra un in-
sieme di fattori che si erano andati ponendo in Piemonte, cioè in un'area geo-
grafica ch'ebbe la ventura neli'800 di essere il punto di coagulo dell'unità na-
zionale e successivamente uno dei poli del decollo industriale. Non ebbero
quest'insieme di congiunture altri iniiiatori di opere educative in Lombardia,
nel Veneto, nel regno di Napoli; o anche in Francia, dove lo slancio di con-
gregazioni con finalità educative nel campo della scuola, come quella dei Ma-
risti e dei preti di Bétharram, venne duramente tarpato dalle leggi anticlericali
di Waldeck-Rousseau e di Combes tra fine '800 e primo '900.
~'im~ressionperofonda della
di Don Bosco in Pio XI si coniu-
gava con il proposito di giungere presto alla beatificazione e canonizzazione di
personaggi che a un tempo attestassero la rinnovata, quasi inattesa, vitalità
della Chiesa e apparissero come modelli da imitare per conseguire ulteriori
conquiste al cattolicesimo nel mondo.
La beatificazione dei martiri canadesi e dei martiri coreani era come un ri-
chiamo alla certezza che i missionari, mediante il martirio subito eventual-
mente con le primizie della loro evangelizzazione, assicuravano nuovi credenti
al Vangelo; quella dei martiri della rivoluzione francese, nella prospettiva degli
eventi successivi, ribadiva la convinzione che il sangue dei martiri era seme di
nuove cristianità; tale convincimento era confermato dalla beatificazione e ca-
nonizzazione di numerosi personaggi del secolo XIX, il secolo che apparente-
mente avrebbe voluto portare alla distmzione della Chiesa e della fede: dai ve-
scovi italiani Vincenzo Strambi e Antonio Maria Gianelli a Don Giuseppe Ca-
fasso, al curato d'Ars e al Cottolengo: il primo, formatore di clero; il secondo,
modello di pastore in parrocchie che sembravano perdute alla fede cristiana;
il terzo, che con le sue istituzioni caritative aveva dato una risposta di fede ai
bisogni che né la rivoluzione né la scienza riuscivano a soddisfare; c'era inoltre
la folta schiera di fondatori e fondatrici di nuove congregazioni religiose: Ga-
ricofis, Coiin, Pierre-Julien Eymard, Giovanna Antida Thouret, Lucia Filippi-
ni, Bartolomea Capitanio, Maddalena Sofia Barat, Vicenza Gerosa, Madda-
lena di Canossa...;e infine c'erano i modeiii di giovani donne vissute tra le pa-
reti domestiche e quelle del chiostro: Gemma Galgani, Bernadette Soubirous,
Teresa di Lisieux; mentre intanto il papa carezzava il progetto di beatificare
Contardo Ferrini, da proporre come modello cristiano al mondo accademico
e universitario, cioè a quello che sembrava fosse la fucina più temibile della
scristianizzazione.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
La beatificazione e la canonizzazione di Don Bosco, finite entrambe nel
quinquennio del consolidamento fascista in Italia, assunsero il senso più con-
I
creto e contingente di contrapposizione cattolica alle mitizzazioni fasciste di
un programma educativo mirante d a forza e alla conquista: Don Bosco invece
era modello moderno e simbolo di un'educazione totale animata dal mistero
cristiano. Nelle contingenze in cui cadde, Don Bosco fu pertanto il simbolo
personificato e la variante agiografica della Divini illius manistri,l'enciclica che L
Pio XI pubblicò nel 1929 sull'educazione cristiana.
Se dalla proposta pontificia si passa ad analizzare la risposta collettiva, si
17 ha l'impressione che la figura di santità che raccolse maggiori simpatie ed ebbe
più larghe accoglienze, anche al di fuori del mondo cattolico praticante, pare
sia stata Teresa di Lisieux. NeU'ambito cattolico fu forse la santa che suscitò
'
un'eco piu larga nella stampa e che mobilitò una cospicua produzione d'im-
maginette sacre, di quadri, di statuine in gesso o in marmo che, collocate in
chiese o in cappelle o su qualche mobile domestico, furono a lungo adornate
di fiori spontaneamente d d a gente. La sua Storia d'an'anima - come notava
il Salotti nel panegirico che ne tessé a Roma il 1925 - era andata a finire tra
i libri di moda nella lettura sentimentale della borghesia. Teresa di Lisieux per
il sentimento religioso del tempo diceva molto di più di quello che forse leg-
gevano gli o r d i i religiosi che ne avevano postulata la glorificazione. Colpiva
in lei la «piccola. via d.-Tella santità», il caldo sentimento religioso che scintillava
nelle forme della quotidianità più comune; in quella quotidianità che al di
fuori del chiostro poteva benissimo essere vissuta entro le mura domestiche o
entro la cerchia di un'associazione femminile. Nella piccola santa di Lisieux
s'impersonava la risposta che il sentimento collettivo prevalente dava alla com-
ponente psicologica della violenza, nazionalista o no, che aveva portato al con-
flitto mondiale.
Se il termine «popolare» viene usato come strumento di conoscenza sto-
rica e viene liberato da certe rigidezze schematiche e sommarie che pervadono
recenti studi sulla «religione popolare», si potrebbe dire che Teresa del Bam-
bino Gesù fu la santina più popolare nel mondo cattolico fra le due guerre.
Se infatti si riserva il termine «popolare» per indicare religiosità delle «classi
subalterne», bisognerebbe concludere che Teresa di Lisieux non lo fu nel
senso più stretto del termine, non solo perché fu di estrazione borghese, ma
perché risulterebbe piuttosto il modello di una santità interclassista. Se per
«popolari» s'intendono i santi che in una cultura fondata sulla paura vengono
implorati come terapeuti e taumaturghi, si dovrebbe dire che Teresa di Li-
sieux, così come gli altri santi e beati che furono proclamati in quei tempi, non
lo è se non in senso generico e analogico, in quanto può essere ritenuta una
risposta elaborata dall'incons~ioa superamento delle paure connesse alla
guerra appena terminata nonché di quelle confusamente percepite nelle vio-
lenze politiche o di altra natura che si sperimentavano allora.
Ma la religiosità collettiva si era profondamente evoluta tra metà '800 e
primi decenni del '900 grazie alla più intensa diffusione della stampa e a una

15.3 Page 143

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più diffusa cultura alfabetizzata.' Come abbiamo avuto modo di notare a pro-
posito del culto e dei miracoli presi in esame nel processo di Don Bosco, non
si ricercano tra '800 e primo '900 servi di Dio e nuovi santi per costituirli pa-
troni esclusivi e potenti di un luogo; né si ricercano per assumerli come inter-
cessori, specifici e gelosi delle proprie prerogative, ai quali ricorrere per allon-
tanare qualche male. Ormai tutti i santi e beati, tutti i servi di Dio vengono
implorati per qualsiasi tipo di grazia o anche solo per una sorta di dialogo con
il trascendente. J cuirato d'Ars non diviene il santo awocato esclusivo dei cu-
rati; Don Bosco non diventa, per iniziativa popolare, il santo awocato esclu-
sivo degli educatori o di una qualche categoria di artigiani o di professionisti.
È piuttosto il papato che persegue una sua strategia anche nel proclamare santi
dottori della Chiesa'e santi patroni per contingenze particolari o per categorie
specifiche?
Anche riguardo a Don Bosco ci si potrebbe chiedere se possa essere con-
siderato o no un santo «popolare» awenturandosi a usare come chiave inter-
pretativa un termine che la storiografia recente ha sovraccaricato di significati
non tutti tra loro componibili. Come a proposito di Teresa di Lisieux, owero
anche della religiosità cattolica imperniata nel culto al Cuore di Gesù, a Cristo
Re, alla Madonna di Lourdes, alla Madonna di Pom~eis.arebbe oossibile con-
eludere
senz'altro
che
la
figura
di
Don
Bosco
non
ri& man. e
circoscritta
--
neil'am-
bito della religiosità delle classi subalterne. Si sarebbe propensi piuttosto a so-
stenere che il culto a Don Bosco è un culto aperto e duttile; un culto che trova
nondimeno di preferenza un terreno propizio nelle opere gestite e promosse
dai figli spirituali del santo neil'ambito d d e classi popolari emergenti, tra sot-
toproletariato e borghesia, owero tra civiltà avanzate e culture primitive.
Viceversa non è raro scoprire forme di distacco o anche di poca simpatia
per la personalità di Don Bosco in certe sfere deiie classi più alte e nel mondo
della cultura accademica. Le critiche di Benedetto Croce o le riserve di Gio-
Gentile nei confronti di Don Bosco, che fu grande educatore quanto si
ma, a suo dire, senza scritti (meritevoli di essere presi in considerazione
per un'analisi del pensiero pedagogico),1°sono forse lo spiraglio per un'inda-
fi evidente &e la maggiore alfabetizzazione & uno dei tanti risultati di mutamenti stmrturali
più complessi. Per quanto riguarda l'Italia e le sue trasformazioni sociali più recenti 6.Carlo CAR.
BONI (a cura),J c@y&inItalia, Bari, Latena 1981.
I1 26 giugno 1935 su petizione dell'arcivescavo di Città del Messico Don Bosm fu proda-
mato patrono deli'inianzia e della gioventù della repubblica messicana; il 24 maggio 1946 pamno
degli editori cattolici; il 17 gennaio 1958 patrono dei giovani apprendisti d'Italia; il 16 ottobre
1959 dei giovani apprendisti di Colombia e il 22 aprile 1960 di quelli della Spagna.
'O Su Croce, cf. più sopra, cap. V, nota 74. Sul *Giornale critico della filosofia italiana* 7
(1926) p. 395 polemizzando con «La Civiltà cattolica» sugli autori classici di filosofia e pedagogia
adottati per le scuole Giovanni Gentile aveva citato anche Don Bosco, ugrande educatore, ma au-
tore di cui invano si cercheranno gli scritti»; il gesuita padre Mario Barbera replicò in particolare
su «La Civiltà cattolica» 85 (1934) 11, p. 476-494 con un articolo dal titolo: La pedagogia diS. Gio-
uanni Bosm (dove Gentile è citato alla p. 493).
280
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
gine verso un mondo entro cui la considerazione di Don Bosco è fatta con di-
stacco laico, o con un senso cattolico che apprezzando Don Bosco intende
esprimere in sostanza rispetto verso il papa e la Chiesa ufficiale che lo ha ca-
nonizzato. Si tratta di elementi per nulla secondari in ordine a un'indagine sto-
rica globale sulle componenti mentali del mondo contemporaneo.
A differenzadi quanto awenne dell'immagine e delle idealizzazionisia del
Cuore di Gesù che di Cristo Re, e più a somiglianza di quanto awenne delle
idealizzazioni della Madonna di Lourdes o di Teresa di Lisieux, Don Bosco
non ha datoappigli a politicizzadoni mil&ag~;.it?altrqpg&, divers_+{da
~
quanto aw. enne di Cristo Re o del Sacro Cuore, D o n ~ o ~ c ~ - ~ - v e - g - g ~ s o
~
~
n m p a g n a , né in Messico, né altrove come simbolo di uno schieramentopo-
lifiFo-& sostenere o da combattere. È possibile di conseguenza interrogarsi
s d T F Z s a di tali differenziazioni. Non ultima tra le circostanze da prendere
in considerazione potrebbe essere il fatto che i salesiani, concentrandosi o li-
mitandosi ai giovani negli oratori festivi e nelle scuole, se da una parte offri-
vano il fianco alle critiche di chi avrebbe voluto un'estensione più ampia d'im-
pegno educativo e un inquadramento più completo della gioventù, dall'altra
non provocavano le reazioni delle fa-miglie dalla str_ula pciarcale, attente
a non perdere il diritto a gestire il futuro dei propri rampolli; né urtavano con-
tro le tendenze più recenti d d a gioventù, volta a una maggiore&e~àanelle\\
proprie scelte di vita. In Italia, negli anni delle tendenze totalizzanti del fasci-/
Ge nel quadro razionalizzante della fdosofia di Giovanni Gentile, l'educa-\\
l zione cattolica impartita dai salesiani e da altri istituti religiosi era vista come/
una fase intermedia che conveniva permettere e anzi favorire, sicuri come si
era d'inquadrare poi i giovani maturi nelle organizzazioni del regime. I sale- i
siani furono perciò tra gl'istituti favoriti. Tra il 1929 e gli anni del secondo 1
conflitto mondiale a Don Bosco furono intitolate strade, scuole elementari e
medie; nel 1934 il paese nativo Castelnuovo d'Asti venne denominato Castel-
nuovo Don Bosco (denominazione che perdura tuttora); nel 1933, come già
notammo, ai salesiani fu affidata la parrocchia di Littoria, la città moddo fon-
data dal regime fascista sui terreni bonificati delle Paludi Pontine; nel 1936 fu
loro affidata in Sardegna la parrocchia di Mussohia (oggi chiamata Arborea),
altra città del futuro voluta dal fascismo. Si trattò d'un coinvolgimento, i cui
esiti finali possibili non erano valutati, e nemmeno nella loro sostanza perce-
piti, dai salesiani in Italia, soprattutto da quelli delle coorti più giovani; questi
reagivano più che altro in modo divertito alle frammentarie e non pubbliche i
riserve avanzate da confratelli di mezza età, quali Don Paolo Barale, Don Spi- /
rito Polledro, Don Giuseppe Bistolfi, Don Giovanni Battista Borino che ave- \\
vano vissuto le esperienze del trapasso politico; in tutti, comunque, il quadro
più solido e più radicato di convincimenti derivava dall'educazione religiosa
vissuta nella propria famiglia e Rresso i salesiani; le premesse per superare l'e-
terogenea ideologia dell'esperienia fascista erano il senso del trascendente, l'u-
niversalismo cristiano, il convincimento di una missione universale dei sale-
siani di Don Bosco tra i giovani di qualsiasi cultura.
281

15.4 Page 144

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

15.5 Page 145

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fondatezza che il clero diocesano non era indine a sentire il culto di Don Bo-
sco se non nell'ambito della liturgia universale e magari occasionalmente in
qualche circostanza particolare. I religiosi e le religiose, a loro volta, ancor più
del clero secolare, erano poco indini verso forme devozionali a santi, fondatori
d'istituti diversi dai loro e forse concorrenziali nel campo dell'educazione gio-
vanile.
Più che nelle chiese, era nella lettura privata che gli ecclesiastici, soprat-
tutto i giovani chierici, erano indotti a privilegiare per proprio profitto la let-
tura di una qualche vita di Don Bosco; la cui figura perciò era presa in con-
siderazione secondo gi'intenti più specifici di Pio XI, cioè come un modello
di apostolo moderno della gioventù, un santo da cui trarre spunti e argomenti
per organizzare oraiori parrocchiali, seguire circoli giovanili, o comunque
prendersi cura in modo più attento della classe giovanile.
Si tratta d'ipotesi, o semplicemente d'interrogativi, che sorgono al limite di
campi d'indagine non ancora esplorati.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
BEATI, SANTI, DOTTORI E PATRONI PROCLAMATI D A PIO XI
DAL 1923 AL 1934"
10 conferme di culto e 17 Beati
- 28 febbraio' 1923: B. Lorenzo da Villamagna, prete dei Frati Minori.
27 maggio 1925: - B. o S. Bogomilo (Teofilo), arciv. di Gniezno.
28 luglio 1926: - B. o S. Beatrice de Silva Meneses.
12 gennaio 1927: - B. Stilla di Arenberg.
18 maggio 1927: - B. Luca Belludi, compagno di S. Antonio da Padova.
13 luglio 1927: - B. Hugues de Fosses, abate premonstratense.
21 dicembre 1927: - B. Osanna da Cattaro.
16 maggio 1928: - BB. S i o n e , Falcone, Marino, Benincasa, Pietro 11, Balsamo, Leo.
nardo e Leone a, abati benedettini della S. Trinità di Cava dei Tirreni.
- 19 dicembre 1928: - B. Irmengarda.
8 gennaio 1930: B. Baldassarre Ravaschieri.
39 beatincazioni e 493 Beati
29 aprile 1923: - B. Teresa del Bambino Gesù (Thérèse Martin, t 1897), carmelitana
di Lisiew (canonizzata il 17 maggio 1925).
10 maggio 1923: - B. Michel Gaticoyts (t 1863),fondatore dei Preti del Sacro Cuore
di Bétharram (canonizzato il 6 luglio 1947).
13 maggio 1923: - B. Roberto Bellarmino (t 1621),gesuita, cardinale, arciv. di Capua
(canonizzato il 29 giugno 1930).
19 aprile 1925: - B. Antonio Maria Gianelli (t 1846),vesc. di Bobbio (canonizzato il
21 ottobre 1951).
26 aprile 1925: - B. Vimcenzo Maria Strambi (t 1824),passionista, vesc. di Macerata
(canonizzato1'11 giugno 1950).
3 maeeio 1925: - B. Giuse.p.pe Cafasso (t 1860), prete a Torino (canonizzato il 22
giugio 1947).
10 maggio 1925: - BB. Iphiiénie e 31 compagne religiose, martiri a Orange, diocesi
di A;ignone, nel 1794.
7 giugno 1925: - B. Maria Micaela del Santisimo Sacramento (Desmaisières y L6pez
de Dicastillo) (t 1865),fondatrice deli'Istituto delle Adoratrici Serve del S. Sacra-
Gli elenchi qui riportati sono tratti dall'Annunire 1935, pp. 26-29; 1936, pp. 29-31.
285

15.6 Page 146

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mento (canonizzata il 4 marzo 1934).
14 giugno 1925: - B. Marie-Bernard (Bernadette)Soubirous (t 18791, di Lourdes, re-
ligiosa d d a Carità di Nevers (canonizzata 1'8 dicembre 1933).
21 giugno 1925: - BB. Jean de Brébeuf e 7 compagni, gesuiti, martiri nel Canada
(1642-1650) (canonizzati il 29 giugno 1930).
5 luglio 1925: - B. Laurent Imbert, d d e Missioni estere di Parigi, vesc. tit. di Capsa,
e 78 compagni martiri in Corea nei 1839 [2 missionari francesi e 76 coreanil (ca-
nonizzati il 6 maggio 1984).
12 luglio 1925: - B. Pierre-Jdien Eymard (t 1868),fondatore dei Preti del SS. Sacra-
mento (canonizzato il 9 dicembre 1962).
16 maggio 1926: - B. André-Hubert Fournet (t 18341, fondatore delle Figlie della
Croce (canonizzato'il 4 giugno 1933).
23 maggio 1926: - B. Jeanne-AntideThouret (t 18261,fondatrice delle Suore della Ca-
rità di Besanson e di Napoli (canonizzata il 14 gennaio 1934).
30 maggio 1926: - B. Bartolomea Capitanio (t 1833),fondatrice delle Suore della Ca-
rità di Lovere (canonizzata il 22 maggio 1950).
6 giugno 1926: - BB. Jacques Salès e Guillaume Sauitemouche, gesuiti, martiri a Au-
benas, dioc. di Viviers, nel 1593.
13 giugno 1926: - B. Lucia Filippini (t 1732), fondatrice delle Maestre Pie (canoniz-
zata il 22 giugno 1930).
3 ottobre 1926: - B. Michele Ghebré, lazzarista, martire abissino nel 1885.
10 ottobre 1926: - B. Emanuele Ruiz, frate minore, e 10 compagni martiri a Damasco
nel 1860.
17 ottobre 1926: - B. Jean-Marie du Lau, arciv. d'Arles, Frangois-Joseph de La Roche-
foucauld vesc. di Beauvais, suo fratello Pierre-Louis vesc. di Saintes e i loro 188
compagni martiri a Parigi nel 1792.
31 ottobre 1926: - B. Noel P i o t , curato, martire a Angers il 21 febbraio 1794.
2 giugno 1929: - B. Giovanni Bosco (t 1888), fondatore (canonizzato il 1 aprile
1934).
9 giugno 1929: - B. Teresa-Margherita del S. Cuore (Anna Maria Redi, t 1770), car-
melitana di Firenze (canonizzata il 19 marzo 1934).
16 giugno 1929: - B. Claude de la Colombière (t 1681),gesuita.
23 giugno 1929: - B. Cosma da Carboniano (t 1707), prete armeno.
30 giugno 1929: - B. Francesco Maria da Campornsso ( t 18661, frate laico cappuccino
(canonizzato il 9 dicembre 1962).
15 dicembre 1929: - BB. Thomas Hemerford e 135 compagni, martiri inglesi nel 1584.
22 dicembre 1929: - B. John Ogilvie, martire scozzese nel 1615 (canonizzato il 17 ot-
- tobre 1976).
8 giugno 1930: - B. Paola Frassinetti (t 18821, fondatrice deiie Suore di S. Dorotea
(canonizzata 1'11 marzo 1984).
15 giugno 1930: - B. Konrad Birndorfer di Parzham (t 1894), cappuccino (canoniz-
zato il 20 maggio 1934).
30 aprile 1933: - ~ B .Marie de Sainte-Euphrasie Pelletier (t 1868), fondatrice d d e
Suore del Buon Pastore (canonizzata il 3 maggio 1940).
7 maggio 1933: - B. Vincenza Gerosa (t 1847),fondatrice con Bartolomea Capitanio
delle Suore della Carità di Lovere (canonizzata il 22 maggio 1950).
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
14 maegio 1933: - B. Gemma Galg-ani (t 1903),laica lucchese (canonizzatail 3 maggio
1946
21 maggio 1933: - B. Giuse-p-pe Pignatelli (t 1811),gesuita (canonizzato il 12 giugno
19%.
28 maggio 1933: - B. Catherine Labouré (t 1876), religiosa d d e Figlie della Carità
(canonizzata il 27 luglio 1947).
28 gennaio 1934: - BB. Rocco Gonzales e 8 compagni, martli gesuiti (t 1628).
25 febbraio 1934: - B. Antonio Maria Claret (t 1870), fondatore dei Missionari Figli
del Cuore Immacolato di Maria, vesc. di Cuba (canonizzato il 7 maggio 1950).
10 maggio 1934: - B. Pierre-René Rogue, lazzarista, martire della rivoluzione francese
(t 3 marzo 1796).
13 maggio 1934: - B. Jeame-Elisabeth Bichier des Ages (t 1838),fondatrice d d e Fi-
glie della Croce (canonizzata il 16 luglio 1947).
14 canonizzazioni e 10 Santi
-- 17 maggio 1925: - S. Teresa del Bambino Gesù (ThérèseMartin, t 1897),carmelitana
di Lisieux.
21 maggio 1925: - S. Pietro Canisio (t 1597) (e dottore della Chiesa).
24 maggio 1925: - S. Marie-Madeleine Postel (t 1846), fondatrice delle Suore delle
scuole cristiane e d d a Misericordia, e S. Madeleine-Sophie Barat ( t 1865),fonda-
trice dell'Istituto del S. Cuore.
31 maggio 1925: - S. Jean Eudes (t 1680), fondatore della Congregazione di Gesù e
Maria; S. Jean-Marie Viamey (t 1859), curato d'Ars.
22 giugno 1930: - S. Caterina Thomhs (t 1574) e S. Lucia Fippini ( t 1732).
29 giugno 1930: - S. Roberto Bellarmino (t1621) (e dottore della Chiesa il 17 settem-
bre 1931); S. Teofilo da Corte (t 1740),cappuccino; SS. Jean de Brébeuf e 7 com-
pagni martiri.
16 dicembre 1931: - S. Alberto Magno (t1280) (e dottore della Chiesa, con lettera de-
cretale).
4 giugno 1933: - S. André-Hubert Fournet (t 1834).
8 dicembre 1933: - S. Marie-Bernard (Bernadette) Soubirous (t 1879).
14 gennaio 1934: - S. Jeame-Antide Thouret (t 1826).
4 marzo 1934: - S. Maria Micaela del Santlsimo Sacramento (t 1865).
11 marzo 1934: - S. Louise de Marillac ( t 1660), fondatrice con S. Vicent de P a d
delle Figlie della Carità.
19 mano 1934: -S. Pompilio Maria Pirotti (t 1766),scolopio; S. Giuseppe Benedetto
- C-.o.ottolen~o(~,t1-8~421,,: S. Teresa Mareherita Redi (t 1770).
1 aprile 1934: - S. Giovanni Bosco (t 1888).
20 maggio 1934: - S. Konrad Biindorfer di Parzham (t 1894)
4 donori della Chiesa
21 maggio 1925: - S. Pietro Canisio.
24 agosto 1926: - S. Giovami della Croce.
17 settembre 1931: - S. Roberto Bdarmino.
16 dicembre 1931: - S. Alberto Magno.

15.7 Page 147

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38 patroni e patronati
2 marzo 1922: - Maria SS. Assunta proclamata patrona principale e S. Giovanna
d'Arco proclamata patrona secondaria della Francia.
25 luglio 1922: - S. Ignazio di Loyola, patrono dei ritiri o esercizi spirituali.
26 gennaio 1923: -S. Francesco di Sales, patrono degli scrittori e giornalisti cattolici.
17 mano 1923: - S. Leonardo da Porto Maurizio, patrono delle missioni al popolo.
20 maggio 1923: - B. Teresa del Bambino Gesù, patrona delle missioni carmelitane e
delle novizie del Carmelo.
20 agosto 1923: - S. Bernardo di Mentone, patrono degli alpinisti e amici deila mon-
tagna.
12 marzo 1924: - Nostra Signora del Buon Consiglio, patrona della Federazione cat-
tolica di Westminsier.
12 marzo 1924: - S. Ivo, patrono secondario della Bretagna (dioc. di Rennes e sue suf-
fraganee).
27 maggio 1925: - S. Germano, patrono principale di Auxerre, dioc. di Sens.
29 luglio 1925: - S. Teresa del Bambino Gesù, patrona d a o p e r a di S. Pietro Apo-
stolo.
13 giugno 1926: - S. Luigi Gonzaga, patrono deila gioventù cattolica del mondo.
14 dicembre 1927: - S. Teresa del Bambino Gesù, patrona di tutte le missioni, insieme
a S. Francesco Saverio.
14 maggio 1928: - S. Gerolamo Emiiiani, patrono universale degli odani e della gio-
ventù abbandonata.
3 mano 1929: - N.-D. de Boulogne dichiarata patrona della città di Boulogne-sur-
Mer, dioc. d ' h a s .
23 aprile 1929: - S. Giovanni Maria Viamey, curato d'Ars, patrono di tutti i curati di
Roma e del mondo cattolico.
21 ottobre 1929: - S. Lucia, patrona deila citta di Santa Lucia del Serino, dioc. di Sa-
lerno.
16 luglio 1930: - La Vergine Immacolata Aparecida, patrona del Brasile.
24 agosto 1930:- N. Signora della Guardia, patrona della città di Borghetto Santo Spi-
rito, dioc. di Savona.
28 agosto 1930: - S. Giovanni di Dio e S. Camillo de Leilis, patroni universali degli
infermieri e infermiere, singoli o associati.
8 settembre 1930: - N. Signora Immacolata di Lujin, patrona deil'hgentina, UN-
- guay, Paraguay.
2 febbraio 1932: Maria Vergine, patmna principale; S. Pietro apostolo e i SS. An-
geli custodi, patroni secondari del vicariato apostolico di Kirii (Cina).
26 mano 1932: - La Vergine Madre dei deserti, patrona del borgo d'lbi, dioc. di Va-
lencia.
26 aprile 1932: - S. Carlo Borromeo e S. Roberto Bellarmino, patroni delle opere ca-
techistiche.
21 agosto 1932: - S. Lucia Fiiippini, patrona della dioc. di Montefiascone.
25 agosto 1932: - Maria SS. Madre del Buon Consiglio, patrona della città di Sarteano
(Siena).
26 agosto 1932: - S. Antonio da Padova, patrono di Castello d ' M e (Caseaa).
9 aprile 1933: - I SS. martiri francescani Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto e Ottone,
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
patroni del vicariato apostolico di Rabat (Marocco).
26 agosto 1933: - N. Signora delle Nevi, patrona principale, con la Santa Famiglia,
i
della diocesi di Reno (U.S.A.).
26 aposto 1933: - S. Teresa del Bambino Gesù, patrona secondaria della diocesi di So-
l
cirro e San Gi (Colombia).
30 agosto 1933: -Maria SS. Aiuto dei cristiani, patrona della dioc. di Niter6j (Brasile).
4 ottobre 1933: - La B. Vetgiie Regina delle grazie del monte Phiierimos, patrona
principale con S. Giovanni Battista, e S. Francesco d'Assisi patrono secondario,
della diocesi di Rodi.
4 aprile 1934: -S. Teresa del Bambino Gesù, patrona principale, e S. Raffaele arcan-
gelo, patrono secondario, della dioc. di Florida e Melo (Uruguay).
4 aprile 1934: - La Madonna dell'Arco, patrona del borgo Pietradehsi, dioc. di Be-
nevento;
10 aprile 1934: - S. Matteo, patrono dei doganieri italiani.
13 giugno 1934: - S. Antonio da Padova, patrono del Portogallo insieme a S. France-
sco Borgia.
26 giugno 1934: - B. Carlo Lwanga, patrono della gioventù africana cattolica (cano-
nizzato il 18 ottobre 1964).
16 luglio 1934: - N. Signora di Lourdes, patrona principale del borgo e decanato di
da, dioc. di Savona.
29 luglio 1934: - N. Signora del Perpetuo Soccorso, patrona deUa dioc. di Maitland
(Australia).

15.8 Page 148

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Appendice I1
IL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE DI DON
BOSCO: Materiali inventariati presso 1'Archivio Arcivescovile Torinese e 1'Ar-
chivio Segreto Vaticano
a) Archivio Arcivescovile Torinese
16.44
Giovanni BOSCO (1815-1888)
16.44.1-29 Processus infonnativus, 1890-1897.
29 fasc.
fasc. mss. pp. 5378 cm. 22 x 32
16.44.30-46 Processus apostolicus, 1909-1917.
17 voli.
voli. mss. pp. 4564 cm. 22 x 32
16.44.47-49 Processus apostolicus super fama, 1910-1911.
3 vou.
voli. mss. pp. 644 cm. 22 x 32
16.44.50
Processus super asserto miraculo, 1926.
vol. ms. pp. 114 cm. 22 x 32
16.44.51
Processus super asserto miraculo, 1924.1926,
vol. ms. pp. 396 cm. 22 x 32
16.44.52
Positiones e f articuli (per il processo di beatificazione).
fasc. I1 (manca il fasc. I) s.d.
fasc. ms. pp. da 38 a 408 cm. 22 x 32
16.44.53
Processiculus diligentiarum, 1900-1901.
vol. ms. pp. 153 cm. 22 x 32
16.44.54
Processus de non cuku, 1901-1902.
vol. ms. pp. 201 cm. 22 x 32
16.44.55
Processiculus in causa beatifiafioniset canonisationis venerabili3 Semi Dei
1.Bosco, 1916.
vol. ms. pp. 505 cm. 20 x 28
1 mazzo di fasc. mss. riguardanti alcune sessioni del processo, 1916
16.44.56 Posifio super fama sanctitatis in genere, Romae 1915.
16.44.57
Articoli per il processo informativo, s.d.
vol. a stampa cm. 20 x 28
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
16.44.58
16.44.59
Acta recognitionis corporis, 1929.
fasc. ms. non num.
Appunti degli interrogatori per il processo apostolico, s.d.
busta contenente H. mss.
N d a documentazione originale del processo informativo diocesano sono di un
ceno interesse le soppressioni di frasi e le altre modiche che furono indotte o dai te-
stimoni o dai giudici prima dell'approvazione definitiva deiie deposizioni orali rese al
processo. Com'è owio, queste varianti non sono direttamente attestate dal transunto
che si conserva all'ASV.
b) Archivio Segreto Vaticano, fondo dei Riti
IOANNBIOSSCO, sac. fund. Soc. S. Fr. Salesii... Taurinen.
+ - Processus ordinarius Taurinen. super fama..., 1890-1897,lat. it.
v. I
pp. 1-319 sess. 1-3
v. n
pp. 320-595 sess. 4-26
v. 111
pp. 596-890 sess. 26-56
v. N
pp. 891-1014
sess. 57-74
v. V
pp. 1015-1268 sess. 75-108
v. VI
pp. 1269-1556
sess. 109-142
v. W
v. v ~ n
pp. 1557-1823
PP. 1824-2141
sess. 143-168
sess. 169-192
v. IX
pp. 2142-2331
sess. 193-220
v. X
pp. 2332-2730 sess. 221-249
v. XI
pp. 2731-2958 sess. 250-267
v. XII
pp. 2959-3200 sess. 268-284
v. XIII
pp. 3201-3424 sess. 284-308
v. X N
pp. 3425-3662 sess. 309-326
v. XV
pp. 3663-3873 sess. 326-347
v. XVI
pp. 3874-4131 sess. 348-372
v. XVII
pp. 4332-4369 sess. 372-396
v. xwI
pp. 4370-4630 sess. 397-420
v. XM
pp. 4631-4822 sess. 421-439
v. XX
pp. 4823-5003 sess. 440-464
v. XXI
pp. 5004-5178 sess. 465-482
v. XXII
pp. 5179-5346 sess. 483-562
+ - Proc. ord. Taurinen S. non-cultu, 1901-1902,210 pp., lat. it.
+ - Proc. apostolicus Taurinen. S. fama in gen., 1910-1911,lat. it.
n. 4730
n. 4731
n. 4732
n. 4733
n. 4734
n. 4735
n. 4736
n. 4737
n. 4738
n. 4739
n. 4740
n. 4741
n. 4742
n. 4743
n. 4744
n. 4745
n. 4746
n. 4747
n. 4748
n. 4749
n. 4750
n. 4751
n. 4722
v. I
v. I1
v. I11
v. N
v. V
v. VI
pp. 1-154
pp. 155-198
pp. 199-242
pp. 243-348
pp. 349-430
pp. 431-490
sess. 1-3
sess. 4-8
sess. 9-13
sess. 14-23
sess. 24-32
sess. 33-39
n. 4729
n. 4728
n. 4727
n. 4726
n. 4725
n. 4724
291

15.9 Page 149

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v. VI1
pp. 491-544
sess. 40-41
+ - Processic. ap. Romae, v. n. II (pp. 165-294), 1916-1918, lat. it.
- Causa in tribun. di Torino con la proibizione di confessare,
v.B. 1881, C. 200 pp. et varia
+ - Proc. ap. Taurinen. S. miraculo, 1924-1926, 378 pp., lat. it.
+ - Proc. ap. Placentin. S. m&., 1925-1926, 414 pp., lat. it.
+ - Proc. ap. Taurinen. S. mu., 1926, 111pp., lat. it.
+ - Proc. ap. Mediolanen. S. m&., 1926-1927, 73 pp., lat. it.
+ - Proc. ap. Ariminen. S. mir., 1931, 236 pp., lat. it.
+ - Proc. ap. CEniponten. S. mir., 1931, 203 ff., lat. germ.
+ - Versio ap. CEniponten. S. mir., 1931, 231 pp., lat. it.
+ - Proc. ap. Bergomen. S. mir., 1932, 376 pp., lat. it.
n. 4723
n. 4718
n. 4718
n. 4714
n. 4716
n. 4715
n. 4717
n. 4719
n. 4720
n. 4720
n. 4721
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
INDICE DEI NOMI E DELLE MATERIE
Adalbeno di Savoia-Genova, principe: 155.
Angelucci, Angelo, servita: 193, 203, 214.
Aghemo, Pietro: 74, 97.
Anglesio, Luigi, can.: 61, 67, 69.
Agiogvgfia: 8-11, 47 s; - medievale: 116, 214, Anjou, Lauis (duc d'l, santo: 150.
220 s; -, dell'800: 221; - e idealizzazione: AnseLno d'Aosta, santo: 50.
214-223.
Antolisei, Raffaele, salesiano: 202.
AgneUi, Giovanni, senatore: 251, 267.
Antonelli, Ferdinando, francescano: 223.
Alacoque, Margherita M., santa: 48, 100 s, Antonino dell'Assunzione, trinitario: 219.
186.
Antonio da Padova, santo: 8, 38, 206, 283,
Alasia, Gaspare, cm.: 85, 95, 109, 120-124.
288 S.
Albera, Paolo, salesiano: 53,57, 168, 171, 176, Antonio Zaccaria, santo: 50.
203.
Aosta, Amedeo di Savoia, duca di: 245.
Alberdi, Ramon, salesiano: 27.
Aosta, Elena di Savoia, duchessa di: 40, 252.
Alberione, Giacomo, servo di Dia:.274.
Aosta, Emanuele Filiberto di Savoia, duca di:
Alberto Magno, santo: 287.
235.
Albertotti, Giovanni, medico: 36, 107 s, 124,
180, 198.
Albertotti, Giuseppe, medico: 108, 180, 198.
Aporti, Ferrante, educatore: 52.
Apoteosi: - del fascismo: 7, 27-30; - di DB, al
funerale (1888): 7, 30; - d a beatificazione
Albisetti, Cesar, saiesiano: 55.
(1929): 248-252; - d a canonizzazione
Alessandrini, Goffredo, regista cinematografi-
(1934):264 s, 273; - al funerale di Ludovico
co: 282
Alfani, Augusto: 36 S.
da Casoria (1885):7,31 s;cf. Feste; Folla.
Apparizioni: - della Vergine: 283; del Cottolen-
Alfonio de' Liguori, vesc., santo: 47, 50, 90,
go: 107; di DB: 104, 107, 206.
I
93, 96, 165.
Appendini, Giov. Battista, sac.: 75, 84.
Aubrandi, Uario: 66, 68 s, 77 s, 85, 127, 138, Argentina: 44, 52 s, 59,261,271,288; d.Con-
157.
ci, Patagonia.
Ahonda, Gaetano, card.: 21,35,64,69 s,72- Armonio (L'):15, 62.
74, 80, 82, 84, 89, 170, 179, 277.
h,curato di: cf. Vianney, J.-M.
AUamano, Giuseppe, servo di Dio: 72, 82, 88, Auffray, Augustin, saiesiano: 42.
147, 159 s, 163, 165, 168, 170, 176-178,197,
. 272-275.
Aliora, Giuseppe Alessandro, sac.: 215, 220.
Alvazzi Deiirate. Costantino. medico: 103.
Augeiia, Paolo: 262.
Avogadro d d a Matta, Emiliano: 170.
Azione coitolicd: - e fascismo: 252 s, 256; - e fe-
steggiamenti di DB: 249,253; - e i salesiani:
105 s, 108.
253; d Ciriaci.
Amadei. Angelo, salesiano: 6.. 64., 116, 173.
197, 216 s, 219.
Balbino, Giuliano: 257 S.
Americo Intina: d.Argentina, Brasile, Cile, Co- Baldassarre da Chiavari: d Ravaschieri.
lombia, Ecuador, Messico, Nicaragua, Ve- Balestra, Giuseppe, coad. salesiano: 143.
- nezuela; cf. Bororos, Indios, Patagonia.
Amim (L7 delh cimenti: 140.
Baulla: 6. Perasso G.; Opera Nazionale - :
241-243,249,256,258; salesiani e - : 242 s,
l
Anfossi, Giov. Battista, sac.: 75, 87, 122, 151,
256.
153.
Bdesio, Giacinto, tenl.: 75, 118, 153.
Angelici, Antonio, gesuita: 202.
Balzola, Giovanni, salesiano: 55-57.

15.10 Page 150

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Barale, Giuseppe, salesiano: 178, 238, 260,
281.
Barat, Madeleine-Sophie, santa: 161, 188, 278,
287.
Baratta, Carlo M., salesiano: 162, 178, 240.
Barbera, Mario, gesuita: 280.
Barberis, Giulio, salesiano: 13, 24, 75, 83,
111 s, 121, 126, 143, 179, 238 S.
Barolo, Giulietra Fdetti, marchesa di: 31, 52,
188.
Battolomasi, Angelo, arciv.: 258.
Bauandier, Albert: 6, 157.
Battelli, Giuseppe: 176.
Beatrice de Silva Meneses, sants: 285.
Beaudenon, Léopold: 215.
Becchi, borgata dei: 19 s, 40-42,48,254,268.
Beckx, Peter Joham, gesuita: 174.
Beliarmino, Roberto, santo: 173, 186, 285,
287 S.
B e h o , Sante, salesiano: 109.
Belloni, Luigi, salesiano: 161.
Belludi, Luca, beato: 285.
BeLnonte, Domenico, salesiano: 84, 125 S.
Beltrami, Andrea, salesiano, venerabile: 156,
159, 203.
Beltrami, Elena: 252.
Belza, Juan, salesiano: 178, 241.
Benedetto da Norcia, santo: 50.
Benedetto XIV,papa: 77, 154, 211.
Benedetto XV,papa: 48, 157, 172, 177, 181,
211, 213.
Berchmans, Giovanni, santo: 150, 152, 154.
Berico (Il): 41.
Bernardo da Menrone, santo: 288.
Bernareggi, Adriano, vesc.: 226.
Berrone, Antonio, cm.: 85, 88, 91 s, 96 s, 122,
147
Bertagna, Giov. Battista, vesc.: 75, 82 s, 86-91,
95, 110, 117, 134 s, 147, 158, 179, 200.
Bertello, GiuseDDe. salesiano: 203.
Berto, ~ioaccLGo;salesiano: 75-78, 83 s, 97,
112, 117, 126, 143.
Bertoldi, Silvio: 235.
Bianchetti, Carlo, aw.: 167.
Bichier des Ages,Jeanne-Elisabeth, santa: 287.
Biginelli, Luigi, sac.: 20, 25 S.
Bisio, Giovanni: 75, 121.
Bisleti, Gaetano, card.: 177, 185, 193, 195 S.
Bistoili, Giuseppe, salesiano: 238, 260, 281.
Blanchard, Giovanni: 75, 80, 84.
Bogomilo (= Bogumilus), santo: 285.
Boletin salesiano: 52, 59, 268.
Bollettino saleriano: 13, 16-20,22,28 s, 37, 42,
....,
.
275, 282 S.
Bona di Savoia-Genova, principessa: 155.
Bonasi, Adeodaro, conte: 148.
Boncompagni Ludovisi, Francesco, principe:
246.261 S.
Boncompagni Ludovisi, Ugo, mons.: 261 S.
Bonetti, Giovanni, salesiano: 18,34, 63, 69-71,
73-79, 84, 97, 129.
Bonghi, Ruggero: 33.
Bongioanni, Marco, salesiano: 271.
Bongiovami, Domenico, teol.: 88, 92-96, 110,
134, 136, 140, 200.
Bongiovanni, Giuseppe, salesiano: 93, 122.
Bono, Francesco, sac.: 188.
Bonomelli, Geremia, vesc.: 147 s, 176.
Borel, Giovanni, teol.: 85, 110.
Borgatdo, Diego, salesiano: 54.
Borgiotti, Luigia, serva di Dio: 168.
Borgna, Francesco, medico: 105.
BorgonciniDuca, Francesca, arciv.: 244,253.
Borino, Giov. Battista, salesiano: 199, 277,
281.
Bororos: 54-58, 271.
Borra, Guido, salesiano: 261.
Borri, Luigi, salesiano: 109.
Borsarelli di Rifreddo, Angela: 73.
Bosco, Margherita: d Occbiena.
Bosco, nipoti di DB: 42, 253 S.
Bosio, Guido, salesiano: 260.
Bosso, Domenico, can.: 72, 82.
Bòttego, Vittorio, esploratore: 36.
.Boverio, Zaccaria: 116.
Bovio, Emesto: 33.
Braido, Pietro, salesiano: 115, 222.
Branda, Giovanni, salesiano: 119.
Brarile: 271 s, 283, 288 s; d Bororos.
Brébeuf, Jean de, santo: 286 S.
Bretto, Clemente, salesiano: 203.
Bricbanteau, Carmen Compans, marchesa di:
2hR~
Brocardo, Pietro, salesiano: 211.
Bruno, santo: 38.
Bruno, Cayetano, salesiano: 44.
Bruno, Giordano: 43.
Bucceroni, Gemaro, gesuita: 89.
Bulletin snlésien: 133.
Buona (LIs)ettimana: 18.
Busca, Edoardo, can.: 147.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Buzzetti, Carlo: 75, 84, 170.
Buzzetti, Giuseppe, coad. salesiano: 75, 79,
84.
Cabrini, Francesca Saveria, santa: 197.
Cadoma, Raffaele, generale: 258.
Cafasso, Giuseppe, santo: 52, 62, 85 s, 90,93,
110, 132-134,139,148, 159 s, 165, 177, 188,
195, 197, 272, 275, 278, 285.
Cagliero, Cesare, salesiano: 33, 66 s, 69, 77 s,
125 S.
Cagliero, Giovanni, salesiano, card.: 28, 34,
41, 54, 89, 91, 119, 135 s, 151, 153, 159,
168, 170, 184 193, 198 s, 218, 223.
Caissatti di .Chiusano, Luigi, conte: 30.
Calasanz, Jasé (= Giuseppe Calasanzio), san-
to: 147.
Cdegari, Teresa: 205, 208.
C a d o de Lellis, santo: 50, 288.
Camporosso, Francesco M. da, beato: 211,
286.
Candeloro, Giorgio: 244.
Cane grigio: 37, 145.
CanUio, Pietro, santo: 186 s, 190, 287.
Canonica, Pietro, scultore: 263.
Canossa, Luigi di, card.: 149.
Canossa, Maddalena di, beata: 246, 278.
Cantono, Alessandro: 260.
Capecelatro, Alfonso, card.: 41,62, 113, 149.
Capello, Maggiorino, conte: 261.
Capitanio, Baaolomea, santa: 278, 286.
Cappa, Marina: ci. Della V d e M.
Cappa, Paolo, avvocato: 98.
Caprara, Agostino, mons.: 66 s, 71, 74, 82,
128, 132, 164.
Carafa, Carlo, venerabile: 50.
Carboni, Carlo: 280.
Carboniano, Cosma da, beato: 211, 286.
Catinci. Alfonso. arciv.: 189 s, 191 s, 209,212,
214,217, 227:
Carlo, risuscitato da DB: 20.
Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna: 262 S.
Carlo Borromeo, santo: 288.
Carlyle, Thomas: 22.
Carpaneto, Giovanni, pittore: 149.
Caruana, Mauro, benedettino, vesc.: 239.
Casati, Gabrio: 27 S.
Caselle, Secondo: 42.
Castelli, Francesco M., servo di Dio: 150
Casteho da Castdo: 24.
Castro, Ottone Raffaele, vesc.: 261.
Cattaneo, Giacomo, salesiano: 109.
Cavagnis, Felice, card.: 128.
Caviglia, Alberto, salesiano: 199,217-219,222,
716
Caviglioli, Giovanni, sac.: 51 S.
Cavour, Camiìio Benso conte di: 199.
Cays, Carlo, conte, salesiano: 140.
Celesia, Michelangelo, card.: 113.
Ceria, Eugenio, salesiano: 6, 42, 63, 97, 102 s,
115 s, 136, 199, 204, 247, 265.
Cermti, Francesco, salesiano: 24,75, 120, 153,
203, 218.
Cerva, Giov. Battista, sac.: 169, 176, 178.
Chambord, Henri de Bourbon, conte di: 196.
Chaminade, Guillaume-Joseph,venerabile: 48.
Champagnat, Marcelin-Joseph, beato: 186.
Chauvet. Costmo: 148.
Chiaffrino, Biagio, cm.: 147.
Chiararnello, Ettore: 27.
Chiays, Achille, medico: 205.
Chicchiglione, cm.: 132.
Chinolini, Giorgio: 176.
Chiuso, Tommaso, sac.: 46, 87 S.
Cile: 24.
Cinema: cf. Film.
Cinsolani. Mario: 261.
263, 268, 280.
Civra, Augusta: 165, 201, 276.
Claret, Antonio M., santo: 287.
Claude de la Colombière: cf. Colombière.
Clausi. Bemarda M.. servo di Dio: 131 S.
~lotildedi Savoia: 33, 72.
Coccbi. Giovanni, sac.: 86, 110, 188.
~odii&la,~rnesto2: 9.
Cojazzi, Antonio, salesiano: 178, 241, 260 s:
Colbacchini, Antonio, salesiano: 57 S.
Colin, Claude-Jean, venerabile: 161, 186,278.
Colladi: cf. Lorenzini C.
colombia: 24, 273, 280, 289..
Colombière, Claude de la, beato: 186, 211,
286.
Colombini, Giovanni, beato: 50.
Colombo, Cristoforo: 49, 111.
Colomiatti, Emanuele, cm.: 12, 46, 67, 69 s,
73 s, 85,87 s, 107, 128, 134,147, 157 s, 160,
162, 172, 174 s, 183, 189's, 194 s, 201-203,
209, 276.
Colomiatti, Luigi, medico: 103, 105 s, 109,
130, 141.
Combal, P.M., medico: 180.
Combes, Emile: 274, 278.
Comin, Domenico, salesiano, vesc.: 59.
Comité Nationd Frangzis: 40.

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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Comoiio, Luigi: 150.
Compans: cf. Brichanteau.
Condiazione (1929): 210, 243-245, 248, 260,
262.
Conci, Carlo, coad. salesiano: 178, 240 S.
Conelli, Arturo, salesiano: 138, 148.
Conestabile, Carlo: 20.
Congregazioni romane: d Propaganda fide,
Riti, Seminari, Studi, Vescovi e Regolari.
Convegni. 7, 43; - degli ex-allievi: 39, 44 s; -
dei cooperatori: 43, 150; -degli oratori festi-
vi: 43.
Coppo, Ernesto, salesiano, vesc.: 159, 270.
Coppola, Francesco: 263:
Corno, Gius. Bernardo, can.: 88, 91 s, 122,
135, 147, 164 s, 170.
Corradini, Camillo: 263.
Corrado di Parzham: cf. Konrad.
Correnti, Cesare: 33.
Corriere (Il) d'Italia: 148, 200.
Corriere (Il) nazionale: 27 s, 40 S.
Corsi, Alessandro, marchkse: 51.
Corsi, Cosimo, card.: 61.
Cortés, Hernan: 49, 111.
Cosma da Carboniano, beato: cf. Carboniano.
cossu, Pietro, salesiano: 173, 197.
Costamagna, Giacomo, salesiano, vesc.: 41,
159.
Coste, Antonino da, redentorista: 191.
Cottolengo, Giuseppe Benedetto, santo: 8, 31,
52, 61, 67 S, 73 S, 85,107, 127, 165, 169,
171.. 227.. 273., 178. 287.
cottoiengo, Luigi, canonico: 132.
Cravosio, Filomena. suora domenicana: 79.
107, 1.23, 142. '
Crescini, Angelo, salesiano: 109.
Cretoni, Serafino, card.: 146.
Cnspi, Francesco: 30, 32 s, 35.
Crispolti, Filippo: 40, 42, 45 s, 50.
Croce, Benedetto: 243, 268, 280.
Crocella, Carlo: 17.
~ugliero'G, iuseppe, sac.: 215, 220 S.
Cumino, Vincenzo, teol.: 170.
Cuore di Gerù: 9,26,55,57 s, 171,280 s, 283.
Cusmano, Giacomo, beato: 36.
Czartoryski, Augusto, salesiano, venerabile:
156, 203.
Dalmazzo, Francesco, salesiano: 75, 85, 97 s,
101 S.. 119.. 180.. 208.
Dammig, Enrico: 173.
Dante Alighieri: 22, 255.
De-Agostini, Paolo, tipografo: 140.
De Amicis, Edmondo: 30, 36.
De Angelis, Filippo, card.: 61, 150.
De Aquino Correa, Francesco, salesiano, ar-
civ.: 159.
Deasti, Carlo Felice, fotografo: 42.
De Felice, Renzo: 244, 263.
De Jacobis, Giustino, santo: 32.
Delforno, Natale, salesiano: 109.
Deiia Cioppa, Giovanni, mons.: 146, 195,
197 s, 201,204 s, 207,213,217 s, 221,224,
226 S.
Della Peruta, Franco: 31.
Della Vaiie, Antonietta: 100 S.
Della Valle, Carlo Matteo: 97-99, 102, 122.
Della Valle, Francesco, sac.: 98.
Della Valle, Marina: 70, 97-104, 106 s, 109-
122, 208.
Delooz, Pierre: 61, 212.
De Maistre: cf. Fassati M.
Democrazia cristiana: 41.
Depaul, Vincent: cf. Vincenzo de' Paoli.
Depretis, Agostino: 16, 32.
Desramaut, Francis, salesiano: 21, 111 s, 161.
Desanti, Michele: cf. Miguel dos Santos.
Dessanti, P a o h a , suora: 103 s, 123.
De Vecchi, Cesare M.: 244,257,262,264-266,
268.
Diavolo (Il): 14.
Diaz, Armando, maresciallo: 32.
Divina, Giuseppe, salesiano: 109.
Dolci, Luigi, salesiano: 109.
Dollinger, Ignaz: 47.
Donzelli, Beniamino: 262.
Doutreloux, Victor-Joseph, vesc.: 135, 180.
Du Boys, Albert: 22, 49, 135 S.
Durando, Celestino, salesiano: 135, 203.
Duroni, Salvatore, salesiano: 59.
Ecuador; 24, 54; 6.Jfvaros.
Ehrle, Franz, gesuita, card.: 196, 213.
Elena di Savoia, regina d'Itaiia: 245, 266.
Elia, Giovanni, can.: 147.
Emanuele Filibeno di Savoia: 235.
Enria, Pietro, coad. salesiano: 119, 200.
Enttaigas, Raul, salesiano: 54.
Epp, René: 65.
Errico. Gaetano. venerabile: .50.
~
~~
spedito, santo:'96.
Espiney (d'l, Charles: 20-23,38, 133-136,276.
Estrada, Carlos de: 261.
Eudes, Jean, santo: 188, 287.
Eymard, Pierre-Julien, santo: 161, 186, 188,
278, 286.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Faà di Bruno, Francesco, beato: 188.
Facta, Luigi: 148.
Fagiano, Luigia: d Piovano L.
Fagnano, Giuseppe, salesiano, prefetto apost.:
149, 159.
Falabruzzi, Luigi, salesiano: 109.
Famo rnnctitatir: 62; - del Cottolengo: 61; - di
DB: 7, 13, 63 s, 71, 86, 91, 163; - di D. Sa-
vio: 215.
Fanara, Roberto, salesiano: 258.
Fantini. Pietra. salesiano: 109.
Farcie, Banolomca, salesiano: 242.
Fornrt,~o.159, . dal 1925 a1 '29: 237-239,242;
dal 1929 '34: 241-243, 259; dal 1934 al
'45: 264-268; cf. Balilla, De Vecchi, Gastal-
di, Mussalini; Chiesa e - : 6.Conciliazione;
salesiani e - !249, 254-261; cf. Balilla, Rubi-
no, Stanca, Gymnasium.
Fassati, Azelia: cf. Ricci des Ferres A.
Fassati, Domenico, marchese: 103.
Fassati, Maria, nata De Maistre: 103, 169.
Fassio, Gabriele: 150.
Fasulo, Antonio, salesiano: 271.
Fedele, Pietro: 252 s, 268.
Federzoni, Luigi: 263.
Fernando di Baviera, infante di Spagna: 261.
Ferrari, Andrea, card.: 41, 113, 153 s, 237.
Ferrai, Rasa, suora: 69, 107, 124. '
Ferrata, Domenico, card.: 125, 131.
Ferri, Enrico: 138.
Ferrieri, Innocenza, card.: 167.
Ferrini, Contardo, beato: 156, 213, 278.
Festa liturgica di DB: 282.
Ferte: - per la venerabilità di DB: 50, 146; -
per la beatificazione di DB: 236, 243, 247-
254; - per la canonizzazione: 261-268; cf.
Liturgia.
Festini, Giuseppe, salesiano: 227.
Figaro (Le): 37.
Filiberto di Savoia-Genova, principe: 155.
Filipeiio, Giova& 75, 80, 118.
FilipeUo, Matteo, vesc.: 155, 158.
Filippini, Lucia, santa: 278, 286-288.
Filippo Neri, santo: 38, 47, 50, 269.
Film: 274,282; - Missioni Don Bosco: 270 s.
Fino, Saverio, awocato: 52.
Fioretti, Felice, barnabita: 191.
Firchietto (Il): 14 S.
Fissore, Celestino, arciv.: 108.
Fissore, Giuseppe, medico: 108, 179 S.
Fogazzaro, Antonio: 37.
Foglio, Ernesto, salesiano: 6.
Folla: - a celebrazioni religiose: 7 s, 28 s, 250,
265 ; - a celebrazioni politiche: 30.
Fontana, Attilio: 262.
Fonzi, Fausto: 32.
Forges Davanzati, Roberto: 263.
Fossati, Maurilio, card.: 227, 268.
Fournet, André-Hubert, santo: 286 s.
Francesca Borgia, santo: 289.
Francesco d'hsisi, santo: 47,50,54, 115,289.
Francesco da Paola, santo: 23, 50.
Francesco di Sales. vesc., santo: 13,27,38,40,
47, 269, 288.
Francesco M. da Camporosso, santo: 211,286.
Francesco Saveno, santo: 47 S.
Francesia, Giov. Battista, salesiano: 18, 73, 75,
93, 120, 126, 135, 153, 203.
Franchetti, Domenico, sac.: 72,89 s, 173,198.
Fransoni, Luigi, arciv.: 67.
Frassineni, Paola, santa: 286.
Fucini, Renato: 36.
Gabriele deU'Addolarata, santo: 150.
Gaetano Thiene, santo: 50.
Galgani, Gemma, santa: 278, 286.
Galiieo Galilei: 51.
Gallenca, Pietro, salesiano: 260.
Galli, Aurelio, card.: 194.
Gamba, Giuseppe, card.: 51, 158, 210, 235-
237, 250, 282.
Garelli, Bartolomeo: 42 S.
Gaticoits, Michel, santo: 161,186, 278, 285.
Gariglio, Bartolo: 178, 236.
Garino, Giovanni, salesiano: 203.
Garrone. Evasio. salesiano: 54.
~ a s ~ a rOi ,s'car: 259.
Gasparri, Pietro, card.: 219, 235 s, 239, 241,
244, 2.53.
Gastaldi, Andrea: 268.
Gastaldi, Lorenzo, arciv.: 12, 16 s, 21,25 s,46,
64 s, 67, 71-75, 80,83,86-92,94 s, 110-112,
128.131, 135 S. 158, 164 S. 168, 170, 173,
176, 179 s, 190, 198, 200 s, 276.
Gastaldi. Pietro Paolo, oblato di M.V.: 61,
67 s, i07.
Gavio, Camillo: 150 s.
Gazeau, Roger: 214.
Gazelli di Rossana, Sta~sh.0,can.: 67, 72 s,
82-85, 117 S.
Gazzetta (La)di Torino: 36.
Gazzetta (La)operaia: 26.
Gazzetta piemontese: 43 S.
Gennaro, santo: 8.
Genova, Maria Adeiaide di Savoia, duchessa
di: 155, 268.

16.2 Page 152

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Genova, Tommaso di Savoia, duca di: 155; cf.
Adalberno, Bona, Ferdinando, Isabeiia.
Gentile, Giovanni: 257 s, 280 S.
Gentile, Nicola, medico: 226, 228, 230.
Germano di Auxerre, santo: 288.
Gerolamo Emiiiani, santo: 6.Girolamo E.
Gerosa, Vincenza, santa: 278, 286.
Ghebré, Michele, beato: 286.
Ghedini, Giorgio Federico, musicista: 282.
Gbilardi, Tommaso, domenicano, vesc.: 68,
140.
GiacomeUi, Giov. Francesco: 75, 117.
Giacomuzzi, Fortunato, salesiano: 109.
GianeUi, Antonio M., santo: 9, 188,278,285.
Giannini, Amedeo: 245.
Gilardi, signora: 169.
Gioberti, Vincenzo: 51, 199.
Giada, Giorgio, teol.: 168.
Giolitti, Giovanni: 148, 246.
Giordani, Domenico, sac.: 24.
Giorgi, Antonio, salesiano: 109.
Giornale (Il) d'Italia: 148.
Giornoli e periodici. 6.Amico deiia gioventù,
Armonia, Berico, Bollettino salesiano, B d e -
tin salésien, Buona settimana, Civiith cattoli-
ca, Corriere d'Italia, Corriere nazionale, De-
mocrazia cristiana, Diavolo, Figaro, Fi-
schietto, Gazzetta di Torino, Gazzetta ope-
raia, Gazzetta piemontese, Giornale d'Italia,
Italia reale, Letture cattoliche, Messaggero,
Momento, Nazione, Osservatore cattolico,
Osservatore romano, Popolo romano, Rivi-
sta dei giovani, Scuola cattolica, Semaine
des familles, Sentineiia deiie Alpi, Settimana
religiosa, Times, Tribuna, Unità cattolica,
Verona fedele, Voce della verità, Voce del
popolo.
Giovanna d'Arco: cf. Jeanne d'Arc.
Giovanni Battista, santo: 289.
Giovanni Battista di Borgogna (= Claude-
Frangois Tmchet), venerabile: 150.
Giovanni deiia Croce: cf. Juan de la CNZ.
Giovanni di Dio, santo: 288.
Giovanni Gualberto, santo: 50.
Giraudi, Fedele, salesiano: 227, 257.
Girolamo Emiliani, santo: 50, 288.
Giuganino, Bartolomeo, can.: 147.
Giuseppe, santo: 8, 47, 100, 241, 272, 283.
Golzio, Felice, teol.: 90, 93.
Gomes de Oliveira, Elvezio, salesiano, arciv.:
159.
Gomes de Oliveira, Emanuele, salesiano,
vesc.: 159.
Gonzalez, Rocco, beato: 287.
Gotti, Girolamo Maria, card.: 146.
Gramsci, Antonio: 30.
Grazie straordinarie: cf. Miracoli, Religiosità
popolare, Santi.
Grena, Giuseppe, medico: 231 S.
Grosso, Carlo, mons.: 163 S.
Guabeiio, Dario, salesiano: 109.
Guadagnini, Secondo: 256 S.
GuaneUa, Luigi, beato: 273.
Guarino, Giuseppe, card., servo di Dio: 113.
Guasco, Maurilio: 46, 137.
Guerra, Felice, salesiano, vesc.: 159.
Guerrini, Secondo, salesiano: 109.
Guiben, Josepb de, gesuita: 223.
Gusmano, Calogero, salesiano: 192, 208, 212,
287
Haegy, Giuseppe, congr. Spirito S.: 191.
Hamon, P.: 22.
Harmel, Léon: 26.
Hemerford, nomas, beato: 211, 286.
Henluig, Ludwig von, gesuita: 211.
Hertzog, Francois-Xavier, mons.: 216.
Hirsch, Heinrich Rudolph, medico: 224 S.
Hlond, Augusto, salesiano, card.: 216, 250,
265, 267 S.
Hlond, Ignazio, salesiano: 109.
Houtin, Albeq: 46.
Hugues de Fosses, beato: 285.
Huysmans, Joris Karl: 42.
Ignazio di Loqola, santo: 47, 288.
Imbert, Laurent, santo: 286.
Immagini deyote: - di DB: 144.146,
Indior: 23s; cf. Bororos, Jivaros, Patagonia.
Iphiinie de S. Marhieu (GabrieUe M. de
Gaillard de Lavaldsne), beata: 285.
Irmengarda, beata: 285.
Isabella di Savoia, duchessa di Genova: 40.
Italia (L') reale: 40 s, 149.
Ivo, santo: 288.
Jacobini, Domenico, mons.: 64.
Javorek, Giulio, salesiano: 109.
Jeanne d'Arc, santa: 48, 155, 161,186, 208
Jemolo, Anuro Carlo: 34.
Joergensen, Jan: 42.
Jolanda di Savoia, principessa: 246.
Juan de la Cruz, santo: 47, 287.
Jivaros: 54 s, 58 S.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Konrad Birndorfer di Parzham, santo: 286 S.
Kostka, Stanislao, santo: 150, 152, 154.
Labouré, Catherine, santa: 186, 283, 287.
Labriola, Antonio: 137 S.
Laetitia Savoia-Bonaparte: 40, 252.
La Fontaine, Pietro, card.: 163 s, 208 S.
Lambertini, Imelda, beata: 150, 181, 211.
Lambruschini, Raffaello: 52.
Lamy, Frédéric, vesc.: 261.
Lanfranchi, Caterinh (= Nina): 226-232.
Lanfranchi, Maria: 228 S.
Lanza, Giovanni: 34.
Lanzoni, Francesco, mons.: 25, 217.
Lasagna, Luigi, salesiano, vesc.: 159.
La S d e , Jean-Baptiste de, santo: 65, 147.
Lau d'AUeman, Jean-Marie du, beato: 286.
Laurenti, Camillo, card.: 184, 193, 195 s, 203,
209, 214-216.
Laurentoni, Teresa, suora : 79, 107, 123.
Lauri, Lorenzo, card., 210.
Lauri, Luigi: 77.
Laval, Jacques-Désiré, beato: 48.
Lavoro santifiato (indulgenza del): 179, 184.
Lazzaretti, Davide: 142.
Leggende: 37, 42, 221.
Lefebvre, Charles: 65.
Lemoyne, Giov. Battista, salesiano: 6, 42, 75,
83. 97. 102. 106. 111-116.. 121. 126. 133.
l$, 173, 199.
Leonarda da Porto Maurizio, santo: 288.
Leone Xm, papa: 8, 17, 21; 24, 33, 37, 62,
64 s, 78, 82, 128, 158, 174, 275.
Léoicier. AlexU-Henri-M.. servita. card.: 209.
&
,
Leto, Basilio, vesc.: 70, 83, 97, 101, 103 S.
Letture cattoliche: 17. 111. 140. 170, 238
274 S.
Lévi-Strauss, Uaude: 55, 58.
Linguegha, Paolo, salesiano: 178, 260.
Liturgia: celebrazione di DB nella - : 282; mo-
vimento liturgico e beatifìcazioni: 10, 209.
Lodovicodi Tolosa, francescano, vesc.: d &-
jou.
Logue, Michael, card.: 41.
Lombroso, Cesare: 36 S.
Longhi, Antonio: 179.
Longinotti, Giovanni M.: 178.
Longo, Luigi: 262.
Longo, Pier Giorgio:,237.
Lorenzini (= Collodi), Carlo: 36.
Lorenzo da Villamagna, beato: 285.
Larenzone, Tommaso, pittore: 141, 169s, 269.
Losana, Giov. Pietro, vesc.: 83.
Loubet, Cbristian: '142.
Lovera di Maria, Ottavio, conte: 33.
Luca di Maria SS., carmelitano: 191.
Lucia, santa: 8, 288!
Ludovico da Casoria, francescano, venerabile:
7, 31 s, 36, 56, 62, 171, 200, 245 S.
Luigi Gonzaga, santo: 150-152,154, 212,222,
241, 256, 288.
Lutero, Manino: 43, 111, 187.
Luzio, Alessandro: 218 S.
Luzio, Luigi, salesiano: 218.
Lwanga, Carlo, santo: 289.
Maccolini, Anna: 224-226.
Maccono, Ferdinando, salesiano: 212.
Maffei, Francesco, teol.: 170.
Magnasco, Salvatore, arciv.: 175 S.
Magone, Michele: 57 S.
Malan, Antonio, salesiano, vesc.: 56 s, 159.
Mahtie: - di DB: 179 s; cf. Miracoli.
Malgeri, Francesco: 238.
Malta, vescovo di: d Caruana M.
Manacorda, Emiliano, vesc.: 17, 65, 70, 92,
175 S.
Manolino, Giacomo: 75, 80, 86, 118.
Maraviglia, Maurizio: 263.
Marchese, Adele, suora: 62, 107.
Marchiafava, Ettore: 148
Marchisio, clemente, beato: 188.
Marcbisio, Secondo,. salesiano: 75, 84, 117,
126.
Marcocchi, Massimo: 273.
Marenco. Giovanni. salesiano. vesc.: 125. 146.
153, 159.
Mareherita di Savoia: 148. 255
~ a r g o t t iG, iacomo, teol.: '15, 27.
Maria Micaela del Santisimo Sacramento
(Desmasieresy Lopez),santa: 188,285,287.
Maria SS.: 139, 180; - Aiuto dei cristiani: 21,
27, 58, 63, 66, 69, 81, 90, 135, 141, 146,
151, 172, 192, 225, 269, 289; santuario di -
Ausiliatrice a Torino: 26 s, 30 s, 35, 43, 55,
226,230-232,245,248,266; - a Roma: 255;
N.S. Aparecida: 288; dell'Arco: 289; la
Consolata a Torino: 272; della Guardia:
288; di LujAn: 288; di Fatima: 9; di La Sa-
lette: 9,21,77 ; di Lourdes: 21,77,208,229
s, 232,280 s, 283,289; di Pompei: 8 s, 100,
280.
Mariani, Angelo, mons.: 164, 167, 189 s, 194,
198, 205, 209, 211.

16.3 Page 153

▲back to top
Marietti Giacinto, libraio: 140.
Mariììac, Louise de, santa: 48, 161, 186, 287.
Marinetti, Tommaso,: 263.
Matkiewin, Bronislaw, servo di Dio: 273 S.
Martineiii, Sebastiano, card.: 74, 88, 154.
Masotti, Ignazio, mons.: 167.
Massaglia, Giovanni: 150 S.
Massaia, Gugùelmo, servo di Dio: 32.
Mattei Gentili, Paolo: 148, 245, 262.
Mazzantini, Carlo: 260.
MazzareUo, Giuseppe, salesiano: 111.
Mazzarelo, Maria Domenica, santa: 156, 159,
211 s, 224.
Meda, Filippo: 200. '
Melandri, Pietro: 37, 126 s, 143 s, 188 s, 198,
205, 213, 217 s, 225 S.
Mendoza, Diego: 49.
Mendre, Louis, sac.: 20.
Mercati, Angelo, mons.: 176.
Meda, Pietro, sac.: 188.
Messaeeero (.Il.): 148..
Metz, René: 65.
Miccoli. Giovanni: 137. 176.
~ i c h e l k g e l o~uonarrok:255.
Micheli, Giuseppe: 178.
Miguel dos Santos (= Miguel Argemir), santo:
150.
Milanesio, Domenica, salesiano: 54.
Milton, Jobn: 22.
Minguzzi, Giovanni, salesiano: 253.
Miracob: e canonizzazioni: 9; - attribuiti a DB:
14, 35-43; 90, 96-110, 135, 205-208, 210,
224-232, 261; d Cdegari T., D d a V d e
M., Hirscb H., Lanfranchi C,, Maccolini A,,
Negro P., Pemazio G., Piovano L,; - attri-
buiti a Pio M: 34, 63; - nella religiosità po-
polare: 8 s, 77; d Taumaturghi (santi).
Modernismo: 46, 136, 147; salesiani e - : 178.
Moglia, Giorgio: 75, 80, 86 s, 118.
Mohlberg, Leo Kuniben, benedettino: 214.
M o h o , Domenica, salesiano: 271.
Molinari, Francesco, cm.: 83 s, 117-120.
Momento (Il): 50 S.
Montalembert, Chades, conte di: 221.
Monumentia DB. a Castelnuovo (1898) : 41; a
Torino (1923): 43; cf. Canonica, Stuardi;
Statue.
Morani, Ferdinando. awocato: 127. 136.
Moreno, Luigi, vesc.: 140.
Morganti, Pasquale, arciv.: 161 S.
Morozzo della Rocca, Carlo, cm.: 85 s, 95,
120-124.
Motto, Francesco, salesiano: 14.
Munerati, Dante, salesiano, vesc.: 125, 159,
172 s, 186.
Murialdo, Leonardo, santo: 63 s, 75, 87, 91,
110, 119, 156, 160, 188, 249, 272, 275.
Murri, Romolo: 46.
Musso, Antonio, sac.: 168 S.
Musso, Teresa: 93.
Mussolini, Beuito: 7, 232,239,243 s, 247,251,
254, 262 s, 266; - a Faenza: 256 S.
Namuncurà, Zeiìrino, servo di Dio: 54, 263.
Napoleone, Bonaparte: 43.
Napoleone, Girolamo: 72.
Nasi, Luigi, cm.: 67, 72 s, 82, 86, 117.
Natucci, Salvatore, mons.: 212-214, 219, 221,
223, 225 S.
Nazionalismo. 160, 239 s, 255, 263; - e cano-
nizzazioni: 47 s, 161, 185 s; idealizzazionedi
DB e - : 266; salesiani e - : 239, 263.
Nazione (La).14.
Negro, Provina, suora: 205-208.
Nicarogun: 261.
Nicolas, Auguste: 22.
Nicolis di Robilant, Carlo Felice, conte di: 33.
Nicolis di Robilant, Luigi: 62, 72 s, 86.
Nicoteta, Giovanni: 16, 32.
Nina, Lorenzo, card.: 174.
Nomis di Cossiiia, Luigi, conte: 148.
Norfolk, Henry Fitzalan Howard, duca di: 41.
Notario, Antonio, salesiano: 33.
Obolo di S. Pietro: 17.
Occhiena, Margherita: 273.
Oddenho, Andrea, can.: 73.
Ogilvie, John, santo: 211, 286.
Ojetti, Benedetto, gesuita: 191, 193, 203.
Olivares, Luigi, salesiano, vesc., servo di Dio:
219.
Olivieri, Ludovico, salesiano: 180.
Oreglia di S. Stefano, Luigi, card.: 132
Orione, Luigi, beato: 29, 143, 273.
Osama da Cattaro, beata: 285.
Osservatore (L7cattolico: 41.
Osservatore (L7 romano: 242, 244.
Ottoneiio, Giovanni, salesiano: 109.
Ononello, Matteo, salesiano: 136.
Paceiii, Francesco: 244 S.
Padeiiaro, Nazareno: 261 S.
Paganuzzi, Giov. Battista: 41.
Paino, Angelo, arciv.: 253.
Palafox y Mendoza, Juan de, vesc.: 173.
P d o n i , Vincenzo, santo: 270.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Pnllottini: 270.
Pancrazio, santo: 63.
Paolo della Croce, santo: 50.
Parato, Giuseppe, pedagogista: 29.
Paravia, Giambattista, tipografo: 140.
Parecchi, Lucido M., card.: 41, 65, 125, 127,
149, 151 s, 168.
Parravicini, Luigi Alessandro: 37.
Parriiio, Francesco, mons.: 203.
Pastrone, Giovanni, sac.: 153.
Poiogonh: 23, 32, 56, 149, 151; indios della - :
41, 44, 49, 53, 271; cf. Namuncurà.
Pavoni. Lodovico, sac., venerabile: 31, 246.
Pazzagli, Carlo: 142.
Pechenino, Marco, can.: 84 s, 95, 109, 117
124.
Pecorari, Paolo: 159.
Pela. Albino. vesc.: 204
~~
~
~
PeUizzo, Luigi, arciv.: 248.
Pellegrinaggi: 231; - all'Ausiliatrice (Torino):
230, 232, 248, 250, 267; - a Lourdes: 229,
232: - a Roma (anno santo): 235.
~elletier,Marie de Sainte-Euphtasie, santa:
286.
Pelletta, Camillo, can.: 67.
Pellicani, Antonio, sac.: 164 190, 195, 198,
201.
Pennazio, Giovanni 108, 124.
Pemazio, Tommaso: 124.
Perasso, Giambattista (= Balilla): 43.
Perniciaro, Clemente, dei frati bigi: 200.
Persiani, Gustavo, mons.: 132.
Persichetti, Giulio, medico: 205.
Piano, Giov. Battista, sac.: 75, 87, 120, 126,
153.
Piccolo, Francesco, salesiano: 39.
Pierazzi, Ferdinando: 263.
Pignateìii, Giuseppe, santo: 186, 209, 287.
Pilenga, Adelina (Lina): 229 s, 232.
Pilenga, Alessandro: 228.
Pilenga, Caterina: d Lanfrancbi C.
Pilenga, Mario: 231.
Pinardi, Giov.Battista, vesc.: 204.
Pinot, Nod, beato: 286.
Pio W, papa: 76.
Pio M, papa, venerabile: 17, 30, 34, 62 s, 68,
76, 130 s, 134, 139, 166, 176, 263.
Pio X, papa, santo: 37, 41, 54, 113, 128, 146,
148, 152, 154.156, 170, 208, 211, 213.
Pio Xi, papa: 7 s, 12, 178, 181, 184, 187, 192,
199, 203-205, 210, 212, 219, 224, 227, 232,
235,239,244,246 s, 253-255,259,263-265,
275, 277, 279, 284.
. . . Pio m. DaDa. servo di Dio: 224.
Piovano, Giuseppe, can.: 147.
Piovano.. Luie"ia: 70. 79 s, 103-107, 109, 123,
142.
Piovano, Tommaso: 80, 103 s, 123.
Pimtte, Jean: 144.
Pirrotti, Pompilio M., santo: 227i287.
Piscetta, Luigi, salesiano: 75, 89, 120, 126,
153, 177, 203.
Pivano, Silvio: 252.
Politim: salesiani e - 178,238,240,245 s,253,
281; CF. Nazionalismo.
Polledto, Spirito, salesiano: 238, 281.
Pomponi, Enrico, medico: 226.
Ponzati, Vincenzo, reo].: 73.
Ponzi, Giovanni, mons.: 71, 164, 166 S.
Popolnre: cf. Religiosita popolare..
Popolo (Il) romano: 148.
Postel. Marie-Madeleine, santa: 188, 287.
Poussepin, Marie, venerabile: 223.
Predizioni 27, 78,81, 90,93, 141, 193, 198 S.
Preghiera: (spirito di - in DB): 179, 193, 198 s;
cf. Lavoro santificato.
Ptinoni, Lorenzo, sac.: 188.
Prisco, Giuseppe, card.: 41.
ProfPrie: cf. Predizioni, Sogni.
,
Propaganda fide, S.C.: 159, 184 s, 270.
Prosdacimi, Giovanni, mons.: 230.
Pulvirenti, Gaetano: 262.
Quentin, Henri, benedettino: 175, 214-223.
Radini Tedeschi, Giacomo, vesc.: 155.
Ramdo, Candido, medico: 97-102.
Ramello, Giav.Banista, cm.: 83 s, 117-120,.
RampoUa del Tindato, Mariano, card.: 24, 41,
146.
Rattazzi, Urbano (1808-1873), ministro: 16,
34.
Rattazzi, Urbano (1845-1911), senatore: 148.
Ratti, Achille: CF. Pio XI
Ravaschieti, Baldasrarre, beato: 285.
Rayneri,Giov. Antonio, sac., pedagogista: 52.
Re, Giacomo, cm.: 147.
Re, Giuseppe, vesc.: 168, 170, 179, 181.
Rebaudengo, Eugenio, conte: 251 s, 261.
Redi, Teresa Margherita, santa: 150, 227,
286 S.
Reggio, Tommaso, vesc.: 49 S.
Religiosi, S.C. dei: 159, 184, 209.
Religiositàpopolnre:8 s, 47, 135, 142-146,206-
208, 232 s, 279 S.
Respighi, Carla, mons.: 227.

16.4 Page 154

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Respighi, Pietro, card.: 149.
Ressia, Giov. Battista, vesc.: 158.
Revigho, Felice, teol.: 75, 87, 118, 126.
Ricaldone, Pietro, salesiano: 224, 227, 240,
198, 203, 218, 220 s, 223.
Rubino, Michelangelo, salesiano: 239, 258.
Ruflìno, Giuseppe, salesiano: 112.
Ruiz, Emanuele, heato: 286.
248.
Ricasoli, Bettino: 72.
Riccardi, Davide, arciv.: 50, 70, 72, 80, 84 s,
88 s, 109, 128.
Riccardi di Netm, Alessandra, arciv.: 21, 65,
Saccarelli, Gaspare, sac.: 188.
Sacramento: cf. Maria Micaela del S. Sacra-
mento.
Sales, Marco, domenicano: 194, 213.
87,90 s, 131, 136.
Salès, Jacques, beato: 286.
Ricci des Ferres, Azelia, marchesa: 79, 103 s, Salgari, Emilio: 53.
123.
Richard, Frangais, card.: 149.
Richelmy, Agostino, card.: 41, 70, 73, 89,
125 s, 128, 152, 155, 158, 236 s, 252, 258.
S a h e i , Pietro, conte: 261.
Salotti, Carlo. card.: 42. 136.139. 148. 154.
157,173, 185-188,190 s, 194-197,201-204,
207, 209 s, 212, 214, 216, 276, 278.
Rinaldi, Filippo, salesiano, servo di Dio: 126, Salvemini. Gaetano: 268
~
174,178,184 s, 189-193,197-204,208,210, Santi: taumaturghi: 8,61,206,232; terapeuti:
225 s, 235,237, 239-241,253,255,272.
Rinaudo, Costanzo: 51, 174, 218 S.
Rita da Cascia, santa: 8, 206.
8, 208, 232; modelli di vita: 151 s, 272,
278 s; intercessori: 8,61, 100 s, 208;patro-
ni: 8, 11, 47, 280, 288 s; alusivita sociali:
RitC S.C. dei: 11,66 s, 71,74, 125, 129, 146,
148, 159, 163 s, 172, 181-189,191 s, 202,
205-209,211 s, 216,219,225,227,261,275,
62, 186,268; allusivita politiche: 11, 187 s,
266; alusivita pastorali: 186,278,265,268,
270-272.
282, 291 S.
Riuzsta dei giovani: 238, 260 S.
Rivista diocesana torinese: 74, 91, 204, 224.
Robeni, Giuseppe M., dei pp. minimi: 191.
Rohiiant: cf. Nicolis di Rohilant.
Rocca, Luigi, salesiano: 162.
Rocchietti, Mauro, sac.: 74, 84, 88, 95, 108,
Santini cf. Immagini devote.
Santolini, Antonio, salesiano: 109.
Sapori, Francmco: 142.
Sardi, Vincenzo, lazzarista, vesc.: 152.
Sarfatti, Margherita: 256 S.
Sarto, Giuseppe: 6.Pio X.
Sanoris, Domenico, sac.: 188.
110, 170.
Saultemouche, Guillaume, beato: 286.
Rochefoucauld, Fran~ois-Josephde la, beato: Savart, Claude: 145.
286.
Roetti, Bartolomeo, cm.: 72, 75, 82, 117.
Savignoni, Gustavo, mons.: 71 s, 125, 164.
Savio, Angelo, salesiano: 119.
Rogue, Pierre-René, beato: 287.
Savio, Ascanio, sac.: 75, 121.
Romagnoli, Giovanni, mons.: 188 s, 192, 195, Savio, Carlo: 153.
197.
Romualdo, santo: 50.
Savio, Carlo, padre di Savio D,: 221 S.
Savio, Domenico, santo: 12,59,116,136, 148-
Ronco, Domenica: 124.
156, 158, 181, 189,203, 211-224,263,271,
Rosmini, Antonio: 52, 80, 140.
779
Rossi, Carlo Raffaele, card.: 222.
Savio, Teresa: 220.
Rossi, Giov. Battista, vesc.: 40,158,168 s, 176, Savoia: cf. Adalberto, Bona, Carlo Alberto,
178.
Rossi, Giuseppe, coad. salesiano: 75,79,120
Clotilde, Emanuele Filiberto, Elena, Isabel-
la, Jolanda, Marghexita, Umberto, Vittorio
Rossi Passavanti, Elia: 262.
Rossoni, Edmondo: 262.
Emanuele 11,Vittorio Emanuele 111;cf. Ao-
sta, Genova.
Rossum: cf. Van Rossum.
Rota, Pietro, salesiano: 271 S.
Rousseau, Jean-Jacques: 51.
Rua, Luigi: 150 S.
Rua, Michele, salesiano, beato: 21,26, 34,41,
51, 56 s, 64, 66-69, 75, 83 s, 112 s, 121,
Savoia, Vincenzo, sac.: 109.
Sharretti, Donato, card.: 253.
Scala, Stefano: 40 S.
Scalahrini, Giov. Battista, vesc.: 176.
Scavia, Giovanni, pedagogista: 29.
Schuster, Ildefonso, benedettino, card.: 175,
125 s, 144, 146, 149, 153, 161, 171, 177,
190, 193.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella
Scialoja, Vittorio: 66.
Scifoni, Carlo M., cm.: 189.
Snroln (Lo) cattolica: 52.
Snrole ttnlcane oll'estero: 33, 174, 239, 243.
Ségala, Giovanni, salesiano: 242 s.
Semaine (Lo) des f~milles:37.
Semeria, Giovanni, bamahita: 170, 260.
Seminari, S.C. dei: 177, 216.
Sentinelk (Lz)delle Alpi: 14.
Serafini, Giulio, card.: 222.
Serafini, Giuseppe:148.
Settimana (Lo) religiosa: 38.
Shakespeare, William: 43.
Silvestro Gomiini, santo: 50.
Simondi, Luigi, salesiano: 109.
Simone, abate di Cava, heato: 285.
Simonetti, Antonio: 83.
Simonetti, Giovanni, salesiano: 202, 242.
Sincero, Luigi, card.:210.
Smiles, Samuel: 36.
Sogni: - di DB: 112, 133-135,139, 141 s, 180,
. 200 :. - omfetici di DB: 94..198..263:. 6.AD-
parizioni.
Soldà, Giuseppe, salesiano: 42.
Solaro del Borgo, Vittorio: 263.
Sommeilkr, Germano, ingegnere: 36.
Sorasio, Michele, can.: 73,79-82,88,92,96 s,
106, 109, 147, 158, 167.
Soubirous. Marie-Bernard 1Bernadette.I..santa:
161, 185 s, 188, 278, 283, 286 S.
Speirani, Giulio, tipografo: 140.
Spese (somme in denaro) al processo di DB:
191 s, 208, 248.
Spfnola y Mestre, Marcelo, arciv.: 22-24, 35,
38 s, 46, 49, 54.
Spriano, Paolo: 30.
Stampa, Umberto, medico: 205, 226.
Stabile, T.: 259.
Statue a DB: 268-270nella basilica di S. Pietro
119361: 263: 6. Monumenti.
~tef-, L&: 260.
Stella, Pietro, salesiano: 22,31,42,48,61,78,
93, 109, 115, 130, 141, 159, 178, 222, 245,
268.
Stilla di Arenberg, beata: 285.
Strambi, Vincenzo M.,santo:9,188,278,285.
Stuardi, Antonio, sdtore: 41.
Studi, S.C. degli: 185.
Sulprizio, Nunzio, beato: 150, 152.
Surio, Lorenzo: 116.
Svampa, Domenico, card.: 113, 149 s, 172.
Swetchine, Anne Sophie Soimonov: 45.
Sympa, Lorenzo, medico: 207, 224 S.
Tacchi Venturi, Pietro, gesuita: 209.
Taigi, Anna M., beata: 131.
Taine, Hippolyte: 22.
Taroni, Luigi, mons.: 25.
Tasso, Vincenzo, lazzarista, vesc.: 155, 168.
Toumoturghi (santi): cf. Espedito, Francesco
da Paola, Pancrazio, Rita da Cascia, Vin-
cenzo Ferrerk DB taumaturgo: 15,23,147.
T e h a , Michelangelo, agostuiiano: 191.
Teneriello, Francesco, salesiano: 109.
Teofiio da Corte. santo: 287.
Teresa $Avila, santa: 47.
Teresa del Bambino Gesù 1Tberèse Martiri).
santa: 8, 161, 185, 188, 278 s, 280 s, 283,
285, 287-289.
Thaon di Revel, Paolo, ammiraglio: 258.
Tbaon di Revel, Paolo, conte: 251, 268.
. Tbér,v Gabriel. domenicano: 223.
Thomas, Caterina, santa: 287.
Tbouret. Teame-Antide. santa: 278, 286 s
Times ( ~ h e )3:7,277.
Tirahoschi. Girolamo. servo di Dio: 150.
Tirinanzi, Érnesto: 179.
Tittoni, Tommaso: 148.
Tolomei, Bemardo, beato: 50.
Tomasetti, Francesco, salesiano: 125, 136,
148 S. 163..173. 185-192.194-198.201.209-
264, 282.
Tommaseo. Nicolò: 34
Tonelli, Antonio, salesiano: 260 S.
Tordo, Carlo, salesiano: 259.
Torionia, Leopoldo, principe: 33.
Torre, Giovanni, lazzarista: 168.
Tosti, Luigi, benedettino: 33, 176.
Traglia, Luigi, card.: 212, 214, 219.
Trama. Gemaro: 77. 79.
Tramontin, Silvio: 164.
Tranido. Francesco: 14,48, 159,237,245.
~ravaini,'~esarsea,lesiio: 256 S.
Tribuna (Lo): 148.
Trione, Giovanni, salesiano: 150, 191.
Trione, Stefano, salesiano: 149, 191,212.
Tripepi, Luigi, card.: 125, 127 s, 146.
Tubaldo, Igino: 72, 86, 160, 177.
Tuninetti, Giuseppe, sac.: 14, 21, 73.
Turchi, Giovanni, sac.: 39,44 s, 88, 121, 164,
201.
Turco, Giuseppe: 75, 80, 118.
Ubaldi, Paolo, salesiano: 241.
Umbeno I, re d'Italia: 33, 262 S.
Umberto di Savoia, principe di Piemonte (poi:
Umberto 11): 246, 262, 265.

16.5 Page 155

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Unitd ( L ) cattolica: 15 s, 19, 27-29, 31, 38.
Uguccioni, Rufillo, salesiano: 260.
Vacchina, Bernardo, salesiano: 54.
Vdentini, Eugenio, salesiano: 90, 173.
Vannuteiii, Vincenzo, card.: 151, 213.
Van Rossum, Willem, redentorista, card.: 184,
212, 240.
Vaschetti, Francesco, sac.: 153.
Vatrasso, Marco, mons.: 175.
Venezuela: 24.
Venture&, Angel Jayme, salesiano: 55.
Verde, Alessandro, card.: 125, 131 s, 135-139,
143,154,162-164,167,180,186,189 s, 203,
210, 213, 215 s, 225 s, 275 S.
Verlucca, Giov. Battista, can.: 88, 147.
Verne,. <Tules: 53.
Verono fedele: 41.
Vercovr: selezione dei - in Italia: 158 s: - sale-
siani: 159.
VescovieRen-olari.. S.C. dei: 65.81. 130. 167.
Vespignani, Giuseppe, salesiaio: 241, 272.
Viancini di Viancino, Francesco, conte: 29.
Vianney, Jean-M., santo: 47, 155, 161, 186 s,
278, 280, 287 S.
Vico, Antonio, card.: 125, 132, 162, 172, 189-
. 192, 194, 196, 199, 201 s, 205, 208 s, 212.
Vidal v Barraauer., Francisco. card.: 250.
Vigna, Luigi, sac.: 52.
Vienolo Lutati. Carlo. medico: 108. 180.
~i&eui, cado; salesiano: 135, 180; 199 S.
Villa, Giovanni: 75, 120.
Villa, Tommaso: 41.
. Villari, Luigi: 241.
.. Vincenzo de' Paoli (= Vincent Deoaul). santo:
37, 147, 277, 287.
Vincenzo Ferreri, santo: 23.
Virili, Francesco, del preziosissimo sangue:
166.
Virili, Raffaele, arciv.: 165 S.
Vittorino da Feltre: 24.
Vittorio Emanuele Il: 34, 245, 262 S.
. Vittorio Emanuele IiE 244-246, 266.
Vivés v Tuto,. Tosé Calasm. card.: 125 S. 133.
143; 146.
Voce (L)della unità: 14
Voce del popolo: 41.
Voltaire, Fran~ois-MarieArouet de: 187.
Volterra, Edoardo: 66.
Wadding, Luca: 116.
Waldeck-Rousseau, Pierre-M.-Ernest: 278.
Wast, Hugo: 42.
Zanardeili, Giuseppe: 16, 32.
Zandoneììa, Gemano, salesiano: 260.
Zaneiii, Vittorio, teol.: 206.
Zappata, Giuseppe, cm.: 68.
Zigliara, Tommaso M., domenicano, card.:
138.
Zucca, Giov. Battista, sac.: 215, 220.
Zuretti, Gian Luigi, salesiano: 260.
Zussini, Alessandro: 30.
Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella