Sogno missionario 4 1885

4° SognoMi9ssionario di Don Bosco (1885) (MB 17, 643-647)


La medesima Provvidenza non cessava di squarciare ogni tanto dinanzi agli occhi di Don Bosco il velo del futuro sui progressi della Società Salesiana nel campo sconfinato delle Missioni. Anche nel 1885 un sogno rivelatore venne a manifestargli quali fossero i disegni di Dio nel remoto avvenire. Don Bosco lo narrò e commentò a tutto il Capitolo la sera del 2 luglio; Don Lemoyne si affrettò a scriverlo.


Mi parve di essere innanzi ad una montagna elevatissima, sulla cui vetta stava un Angelo splendentissimo per luce, sicchè illuminava le contrade più remote. Intorno al monte vi era un vasto regno di genti sconosciute.

L'Angelo colla destra teneva sollevata in alto una spada che splendeva come fiamma vivissima e colla sinistra mi indicava le regioni all'intorno. Mi diceva: Angelus Arfaxad vocat vos ad proelianda bella Domini et ad congregandos populos in horrea Domini. [L'Angelo di Arfaxad vi chiama a combattere le battaglie del Signore ed a radunare i popoli nei granai del Signore]. La sua parola però non era come le altre volte in forma di comando, ma a modo di proposta.

Una turba meravigliosa di Angeli, di cui non ho saputo o potuto ritenere il nome, lo circondava. Fra questi vi era Luigi Colle, al quale faceva corona una moltitudine di giovanetti, a cui egli insegnava a cantare lodi a Dio, cantando lui stesso.

Intorno alla montagna, ai piedi di essa, e sopra i suoi dorsi abitava molta gente. Tutti parlavano fra di loro, ma era un linguaggio sconosciuto ed io non intendeva. Solo capiva ciò che diceva l'Angelo. Non posso descrivere quello che ho visto. Sono cose che si vedono, s'intendono, ma non si possono spiegare. Contemporaneamente vedeva oggetti separati, simultanei, i quali trasfiguravano lo spettacolo che mi stava dinanzi. Quindi ora mi pareva la pianura della Mesopotamia, ora un altissimo monte; e quella stessa montagna su cui era l'Angelo di Arfaxad ad ogni istante prendeva mille aspetti, fino a sembrare ombre vagolanti quelle genti che l'abitavano.

Innanzi a questo monte e in tutto questo viaggio mi sembrava di essere sollevato ad una altezza sterminata, come sopra le nuvole, circondato da uno spazio immenso. Chi può esprimere a parole quell'altezza, quella larghezza, quella luce, quel chiarore, quello spettacolo? Si può godere, ma non si può descrivere.

In questa e nelle altre vedute vi erano molti che mi accompagnavano e m'incoraggiavano, e facevano animo anche ai Salesiani, perchè non si fermassero nella loro strada. Fra costoro che calorosamente mi tiravano, a così dire, per mano affinchè andassi avanti, vi era il caro Luigi Colle e schiere di Angeli, i quali facevano eco ai cantici di quei giovanetti che stavano a lui d'intorno.

Quindi mi parve di essere nel centro dell'Africa in un vastissimo deserto ed era scritto in terra a grossi caratteri trasparenti: Negri. Nel mezzo vi era l'Angelo di Cam, il quale diceva: - Cessabit maledictum e la benedizione del Creatore discenderà sopra i riprovati suoi figli e il miele e il balsamo guariranno i morsi fatti dai serpenti; dopo saranno coperte le turpitudini dei figliuoli di Cam.

Quei popoli erano tutti nudi.

Finalmente mi parve d'essere in Australia.

Qui pure vi era un Angelo, ma non aveva nessun nome. Egli guidava e camminava e faceva camminare la gente verso il mezzodì. L'Australia non era un continente, ma un aggregato di tante isole, i cui abitanti erano di carattere e di figura diversa. Una moltitudine di fanciulli che colà abitavano, tentavano di venire verso di noi, ma erano impediti dalla distanza e dalle acque che li separavano.

Tendevano però le mani stese verso Don Bosco ed i Salesiani, dicendo: -Venite in nostro aiuto! Perchè non compite l'opera che i vostri padri hanno incominciata? - Molti si fermarono; altri con mille sforzi passarono in mezzo ad animali feroci e vennero a mischiarsi coi Salesiani, i quali io non conosceva, e si misero a cantare: Benedictus qui venit in nomine Domini. A qualche distanza si vedevano aggregati di isole innumerabili; ma io non ne potei discernere le particolarità. Mi pare che tutto questo insieme indicasse che la divina Provvidenza offriva una porzione del campo evangelico ai Salesiani, ma in tempo futuro. Le loro fatiche otterranno frutto, perchè la mano del Signore sarà costantemente con loro, se non demeriteranno de' suoi favori.

Se potessi imbalsamare e conservare vivi un cinquanta Salesiani di quelli che ora sono fra di noi, da qui a cinquecento anni vedrebbero quali stupendi destini ci riserba la Provvidenza, se saremo fedeli.

Di qui a centocinquanta o duecento anni i Salesiani sarebbero padroni di tutto il mondo.

Noi saremo ben visti sempre, anche dai cattivi, perchè il nostro campo speciale è di tal fatta da tirare le simpatie di tutti, buoni ed empi. Potrà essere qualche testa matta che ci voglia distrutti, ma saranno progetti isolati e senza appoggio degli altri.

Tutto sta che i Salesiani non si lascino prendere dall'amore delle comodità e quindi rifuggano dal lavoro. Mantenendo anche solo le nostre opere già esistenti, e non dandosi al vizio della gola, avranno caparra di lunga durata.

La Società Salesiana prospererà materialmente, se procureremo di sostenere e di estendere il Bollettino, l'opera dei Figli di Maria Ausiliatrice, e l'estenderemo. Sono così buoni tanti di questi figliuoli! La loro istituzione è quella che ci darà valenti Confratelli risoluti nella loro vocazione.


Queste sono le tre cose che Don Bosco vide più distintamente, che meglio ricordò e che narrò la prima volta; ma, come espose successivamente a Don Lemoyne, egli aveva visto assai più. Aveva visto tutti i paesi, nei quali i Salesiani sarebbero stati chiamati con l'andare del tempo, ma in una visione fugace, facendo un rapidissimo viaggio, in cui, partito da un punto, là era ritornato. Diceva essere stato come un lampo; tuttavia nel percorrere quello spazio immenso aver distinto in un attimo regioni, città, abitanti, mari, fiumi, isole, costumi e mille fatti che s'intrecciavano e cambiamenti simultanei di spettacoli impossibili a descriversi. Di tutto perciò il fantasmagorico itinerario serbava appena un ricordo indistinto nè sapeva più farne una particolareggiata descrizione. Gli era sembrato di aver seco molti, che incoraggiavano lui e i Salesiani a non mai arrestarsi per via. Fra i più animati a spronare perchè si andasse sempre avanti, appariva Luigi Colle, del quale scriveva al padre il 10 agosto: “Il nostro amico Luigi mi ha condotto a fare una gita nel centro dell'Africa, terra di Cam, diceva egli, e nelle terre di Arfaxad ossia in Cina. Se il Signore vorrà che ci troviamo insieme, ne avremo delle cose da dire ”.

Percorse una zona circolare intorno alla parte meridionale della sfera terrestre. Ecco la descrizione del viaggio, secondochè Don Lemoyne asserisce averla udita dalla sua bocca. Partì da Santiago del Cile e vide Buenos Aires, S. Paolo nel Brasile, Rio de Janeiro, Capo di Buona Speranza, Madagascar, Golfo Persico, sponde del Mar Caspio, Sermaar, monte Ararat, Senegal, Ceylan, Hong-Hong, Macao sull'entrata di un mare sterminato e davanti all'alta montagna da cui si scopriva la Cina; poi l'Impero Cinese, l'Australia, le isole Diego Ramirez; si chiuse infine la peregrinazione con il ritorno a Santiago del Cile. Nel fulmineo giro Don Bosco distingueva isole, terre e nazioni sparse sui vari gradi e molte regioni poco abitate e sconosciute. Dei nomi di tante località vedute nel sogno più non ricordava con esattezza i nomi; Macao, per esempio, la chiamava Meaco. Delle parti più meridionali dell'America fece parola con il capitano Bove; ma questi, non avendo passato il capo di Magellano per mancanza di mezzi e perchè costretto poi da diversi affari a tornar indietro, non gli potè fornire alcuno schiarimento.

Dobbiamo dire qualche cosa di quell'enigmatico Arfaxad. Prima del sogno Don Bosco non sapeva chi fosse; dopo invece ne parlava con certa frequenza. Incaricò il chierico Festa di cercare in dizionari biblici, in storie e geografie, in periodici, per iscoprire con quali popoli della terra quel supposto personaggio avesse avuto rapporti. Finalmente si credette d'aver trovato la chiave del mistero nel primo volume del Rohrbacher, il quale asserisce che da Arfaxad discendono i Cinesi.

Il suo nome compare nel capo decimo del Genesi, dove si fa la genealogia dei figli di Noè, che si divisero il mondo dopo il diluvio. Al versetto 22 si legge: Filii Sem Aelam et Assur et Arphaxad et Lud et Gether et Mes. Qui, come in altre parti del grande quadro etnografico, i nomi propri designano individui che furono padri di popoli, con riferimento pure alle contrade dai medesimi popolate. Così Aelam che significa paese alto, accenna all'Elimaide che con la Susiana divenne poi provincia della Persia; Assur è il padre degli Assiri. Sul terzo nome gli esegeti non vanno d'accordo nel determina e il popolo a cui si riferisce. Alcuni, come il Vigouroux (tanto per citarne uno dei più alla mano), assegnano ad Arfaxad la Mesopotamia. In ogni modo, essendo elencato fra progenitori di schiatte asiatiche e precisamente dopo due di essi che popolarono il lembo più orientale della terra descritta nel documento mosaico, si può arguire che anche Arphaxad stia a indicare una popolazione da collocarsi al seguito delle precedenti, propagatasi poi sempre più verso l'Oriente. Non parrebbe dunque improbabile che nell'Angelo di Arfaxad sia da vedere quello dell'India e della Cina.

Don Bosco si fissò particolarmente sulla Cina e diceva sembrargli che colà fra non molto sarebbero stati chiamati i Salesiani, una volta anzi aggiunse: - Se io avessi venti Missionari da spedire in Cina, è certo che vi riceverebbero un'accoglienza trionfale nonostante la persecuzione. - Perciò d'allora in poi s'interessava assai per tutto quello che poteva riguardare il celeste impero.

A questo sogno mostrava di pensare sovente, ne discorreva volentieri e ravvisava in esso una conferma dei sogni precedenti sulle Missioni.