Cimatti|Rinaldi Filippo/ 1928-11-1

399 /Rinaldi Filippo BS / 1928-11-1 /


a Don Filippo Rinaldi11, Rettor Maggiore dei salesiani



Miyazaki, 1 novembre 1927

Amatissimo Padre,


Torno ora col bravo Don Cavoli dalla rivista militare tenutasi dopo le manovre a Miyazaki alla presenza delle autorità e di folla immensa di popolo. Inutili le descrizioni. Chi dei lettori del Bollettino non ha assistito alle brillanti parate militari italiane tra lo scintillio delle divise e la fantasmagoria dei colori, tra l’animazione e gli evviva del pubblico, tra il risuonare delle musiche, il rombo dei motori degli aeroplani e il lontano sparo del cannone?

Qui nell’atto della rivista, silenzio solenne, solo interrotto dal sommesso mormorio del pubblico che dice i nomi dei corpi militari che passano, dal passo cadenzato alla tedesca dei soldati e dai recisi ordini degli ufficiali.

La divisa uguale per tutti; solo il posto occupato, indica superiorità. Serietà, quiete, starei per dire raccoglimento circonda questa manifestazione delle forze militari, che fa cantare ai giapponesi, giustamente inebriati delle glorie della propria nazione


il nostro paese non fu mai vinto”.


E confesso schiettamente che durante la rivista andavo riandando nelle sue linee fondamentali la gloria di questo gran popolo, e paragonavo le attuali armi colle antiche, le attuali divise colle strane fogge delle divise militari del medioevo giapponese.

Mi pare si possa dire che questo popolo è cresciuto, si è consolidato, si è imposto colle armi in mano. Ed anche attualmente e nei libri di scuola, e nelle rappresentazioni cinematografiche e teatrali, e nelle feste militari, e nei giuochi, e in mille altre forme lo spirito militare è tenuto vivo, è inculcato, è voluto.

Già dopo l’assestamento dato da JIMMU all’impero, i successori vengono migliorando l’organizzazione dell’esercito in modo da permettere un rapido richiamo e dislocamento di forze. Il potere militare che in antico è nelle mani dell’Imperatore, passa poco per volta nelle mani di generali suoi favoriti.

Questi alla loro volta si vengono circondando di elementi militari propri. Lotte, aggressioni, turbolenze, predominio di capi, di famiglie ne sono naturali conseguenze. L’autorità, la reale potenza dell’Imperatore viene indebolendosi, e si può dire che verso la metà del XII secolo la classe militare domina effettivamente il Giappone. In questo periodo di confusione, di lotte sanguinose viene sviluppandosi la nazione giapponese.

È inutile entrare nei dettagli di questa che dopo tutto è la storia della formazione di tutte le grandi civiltà. È un succedersi di nomi di famiglie imperanti qua e là (come in Italia nel periodo feudale, nel periodo delle Signorie) che sempre però imploravano il prestigio della dignità divina dell’Imperatore, impadronendosi anche colla violenza della sua persona per mettere almeno materialmente il diritto della loro parte, e perché la fazione rivale fosse considerata agli occhi del popolo come ribelle.

Da JIMMU-TENNO a YORITOMO, a TOKUGAWA è un succedersi di lotte, di competizioni tra sovrani più o meno legittimi, lotte che caratterizzano forse il periodo più tormentoso della storia giapponese (dalla fine del IX secolo alla seconda metà del XVII). Durante il quale sembrano scomparire quasi completamente tutti gli elementi della gloriosa civiltà del Nono secolo. Ciò che solo viene sviluppandosi è la fabbricazione delle armi offensive difensive, che culmina dal XII al XVI secolo nelle spade, le cui lame non temono rivali in nessun paese.

Finalmente all’inizio del XVII secolo, dopo questo lungo periodo di tormenti, il Giappone sotto l’influsso di tre uomini di genio differente, gode le dolcezze di un lungo periodo di pace e di una vera rinascenza. Questi grandi sono: NOBUNAGA, HIDEYOSHI (Taiko-sama) e YEYASU. A questi tre nomi è legata pure la storia del primo svolgersi del Cattolicesimo in Giappone e la dolorosa storia delle persecuzioni di cui già parlai nel Bollettino.

In una poesia popolare è scolpito nettamente il carattere di questi famosi generali. “Se il cuculo non canta io l’ucciderò”, diceva Nobunaga. “Se il cuculo non canta, io lo farò cantare”, diceva Hideyoshi. “Se il cuculo non canta, io aspetterò che canti”, diceva Yeyasu.

Il primo fiacca a morte la potenza del buddismo e permette lo sviluppo del cristianesimo: è il periodo d’oro delle missioni cattoliche iniziate nel 1549 da S. Francesco Saverio.

Il secondo è rimasto famoso per la sfortunata spedizione in Corea e per il primo editto di persecuzione contro i cristiani, culminante nel 1596 colla crocifissione dei martiri di Nagasaki.

Il terzo organizzò l’esercito, la flotta e sotto il suo governo la persecuzione si accentua e determina l’espulsione di tutti i missionari e stranieri dal Giappone. Dopo di che in Giappone fino al 1868 vi sarà un periodo di pace apparente, che viene nuovamente turbata al riapparire nel 1853 delle forze navali americane, inglesi, francesi, ecc. che domandano l’apertura dei porti e di iniziare relazioni diplomatiche e che avviano definitivamente il Giappone verso l’attuale organizzazione. Gli avvenimenti militari di questo periodo di tempo sono citati in qualsiasi testo di storia, ed è inutile riassumerli: è lo spirito feudale che lotta contro il potere centrale, il quale, vittorioso, stabilisce il regime costituzionale (11 Feb. 1889).

Il Giappone si organizza come le grandi nazioni, imita, assimila e in molte cose supera. Questi elementi schematici di storia del Giappone, per chi lo voglia anche solo superficialmente considerare, chiariscono tanti lati del carattere di questi cari giapponesi che Dio ci ha chiamato ad evangelizzare, e anche gran parte delle difficoltà che il missionario incontra nell’opera dell’apostolato.

Alla stregua di questi dati valutate quanto scrive il giapponese Tadamasa Hayashi dei suoi concittadini: “In alcuni punti ci ritroviamo tutti simili, nell’amor patrio, nell’amor filiale, nelle belle maniere, nella pazienza, ordine, proprietà e sentimenti dell’arte. Per noi il sorriso è la sorgente della felicità e della fortuna. Il giapponese è di carattere riservato, amante del piacere, dotato di grande amore di sé. Conformandosi a questo sentimento, si può ottenere tutto da lui. Ferendolo, difficilmente ristabilite l’equilibrio nei vostri rapporti con lui. Lavoratore abile, sobrio, poco previdente del domani, coraggioso”.

Si pensi a queste doti del Giapponese, ai rapporti che ebbe in antico colla religione cattolica, ai rapporti cogli stranieri, al meraviglioso sviluppo della prosperità materiale di questo popolo nell’ultimo cinquantennio, e specialmente al suo tenace attacco alla tradizione e all’indifferenza – si pensi inoltre alle difficoltà della lingua e al poco numero dei missionari cattolici in Giappone – sono naturalmente spiegate gran parte delle difficoltà che prova il cattolicismo a diffondersi.

E ancora più chiaramente mi pare si possa concludere che due fatti dominano e caratterizzano la storia del Giappone: il suo prolungato isolamento dalle civiltà europee e la rapidità del suo orientamento verso le civiltà europee.

Ma non bisogna dimenticare questo fatto che ritengo il più caratteristico e che determina forse le massime difficoltà di evangelizzazione. Il Giapponese accoglie nella sua civiltà elementi dal di fuori, ma assimila e trasforma. La fierezza di sé è la regola spontanea della sua vita. La pratica della sua vita è di ordine estetico ed è questa euritmia che regola tutti i suoi movimenti, le espressioni del linguaggio, le estrinsecazioni tanto della vita individuale che collettiva in una costanza ritmica, in una solidarietà assoluta, che meraviglia ed impressiona, e che precisamente (credo di non errare) rende difficile l’opera del missionario cattolico.

Mio buon Padre, forse ho filosofato più del bisogno, ed i nostri ottimi cooperatori attendono altre notizie da noi, notizie che allarghino il cuore; notizie che assicurino che il Regno di Dio anche per opera dei figli di Don Bosco si dilata in questa grande nazione.

Ma credo che i nostri amici, leggendo questi pensieri, messi al corrente dei bisogni reali di questa missione, saranno meglio disposti ad aiutarci colla preghiera, col consiglio, coi mezzi materiali.

Un antico poeta giapponese canta: “L’ombra della luna scompare dietro la montagna. Come è triste questo! Ah, che io vorrei vedere la luce eterna!”.

Quando sarà che tutto questo popolo in massa sentirà il bisogno di elevare a Dio questo grido, insito in fondo alla sua anima bella?

Quanti avete a cuore la gloria di Dio e la salute delle anime, pregate, affinché questo grido e il bisogno di soddisfarlo si verifichi presto per tutte queste anime.

Preghi per noi, amato Padre e ci benedica.

Suo affezionatissimo figlio

don Vincenzo Cimatti


1 Da uno scritto esistente in forma dattiloscritta presso l’UCSS. Non è stato pubblicato.

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