567 ricaldone


567 ricaldone

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1.1 567 /Ricaldone Pietro / 1930-4-9 /

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a Don Pietro Ricaldone, Vicario del Rettor Maggiore dei salesiani



Miyazaki, 9 aprile 1930

Mio amatissimo Sig. Don Ricaldone,


Grazie della sua cordialissima del 19/3/30 e della sonora meritata (che cos’è che non merita Don Cimatti?) stangata finale, che convince di più il sottoscritto di quel che pensa di sé, e che deve convincere dall’altro i Superiori della necessità di porre riparo a che al più presto sia tolto di mezzo la causa unica dei mali, cioè il sottoscritto.

Mi dispiace sia pure involontariamente, di essere stato causa di male, di scandalo in non so chi… forse mi si fece dire quanto non volevo.

Mi pare di aver parlato degli argomenti di cui mi parla con Don Pasotti e Don Braga, che a parole erano forse più feroci di me. Può essere mi sia sfuggita, certo ridendo, qualche allusione coi bravi caglierini del Coblenz.

Poi vi fu quello scatto in refettorio del Capitolo, di cui ebbi già lavata di capo a Torino. Può essere che nelle adunanze capitolari in seno di discussione con capi-missione abbia detto qualche cosa sul noto argomento e che qualche cosa mi sia sfuggita con Colleghi di Capitolo in Giappone, quando non si sapeva dove sbattere la testa.

Conclusione: certo è mio dovere stare in guardia, anzi non parlerò con nessuno di questo argomento, che ho profondo nell’animo e di cui (abbia pazienza!) sono convinto, e che ha certo bisogno di essere rettificato, e di cui è meglio non parlare con chicchessia.

Abbia ad ogni modo pazienza e stia per qualche minuto con la povera anima mia. Faccio uno strappo all’abitudine e nel silenzio notturno vengo sfogando l’anima mia come se le fossi vicino.

Che vuole? Ho bisogno che i Superiori mi conoscano. Oh, come è brutto non riuscire a farsi capire! e Don Cimatti desidera non sentirsi dire complimenti, ma delle cose sode, anche se penetrano giù, come la sua stangata finale.

I complimenti, le lodi fanno (sia pure inconsciamente) un male terribile. So che riesco involuto (me l’ha detto anche Lei tante volte), ma anche stavolta abbi pazienza. Sarà l’ultima volta che tratto con Lei questo argomento (l’ho promesso anche al Rettor Maggiore) ed entrerà questo come il precedente proposito, nel numero delle povere risoluzioni “non parlarne con nessuno”.

Veda, il motivo di certi stati d’animo di Don Cimatti è semplicissimo. Il motivo per cui ho sempre supplicato e supplico i superiori di togliermi dalla situazione di superiorità (che per me – noti bene, pur alle volte avendola desiderata forma l’incongruenza di coscienza più forte e più tormentosa) è la serena e precisa convinzione della mia assoluta incapacità.

I fatti l’hanno dimostrato e lo dimostrano. Superbia? È il mio difetto predominante, insieme alla sensualità. Voglia di tranquillità? Non aver fastidi?

Per me è chiaro come il sole, la mia assoluta incapacità.

E quando c’entrano in mezzo non i miei interessi, ma quelli delle anime, che vuole? Ci trovo un’incongruenza tale che mi sento in dovere di reagire – ed è quello che faccio colle mie suppliche ai Superiori.

Oh, sentisse che cosa dico al Signore! Si può parlare così liberamente con Lui! Veda, amatissimo Sig. Don Ricaldone, la mia vita è presto descritta. A due o tre anni, privo di padre, il Signore mi ha affidato a Don Bosco. Faenza nei tempi eroici (proprio all’inizio) mi ha accolto più tardi come interno.

La famiglia (pensi pure alla vera condizione di povertà) poverissima, per cui in seguito non mi sono mai (e non lo sono ancora ora) orientato, né ho avuto chiaro discernimento di ciò che sia il limite della povertà, perché ho sempre pensato a quella per me naturale – quella in cui fui allevato – e quindi pensi ai controsensi, ai contraccolpi quando dovendo andare in giro per le case nostre (e l’ho sentito più che mai nell’ultima venuta) vedendo quel che vedevo.

Tenevo in me più che potevo, ma non ho potuto fare a meno qualche volta di esplodere e scriverne al Sig. Don Rinaldi. Forse fui frainteso, pazienza!

Ma sentivo una ribellione interna, dovuta all’educazione precedente. Qualche esplosione o fanfaronata (che era meglio non dire) ad es. sui pasti dei ricchi anche ecclesiastici, è cosa intimamente sentita, ma certo proveniente anche questa dalla superbia, specialmente quando Don Cimatti non poteva ottenere quanto riteneva necessario per la missione – sì, entrava (ma come pensiero secondario) anche il pensiero del come trattiamo o del come possiamo trattare il buon Dio, per dar forza… Insomma sempre la superbia in gioco. Forse istinto di razza (noi romagnoli siamo tutti un po’ bestie… pardon! Non voglio offendere nessuno)… ma la vera fonte è la superbia.

Ho fatto gli studi ecclesiastici, come ho potuto, ma alla diavola – e quindi impreparazione; incertezza in ciò che in 25 anni di sacerdozio doveva essere il principale mio lavoro. Ed è qui, amatissimo Sig. Don Ricaldone, il punto nero, il punto doloroso – capo di una missione e di una sia pur modestissima Visitatoria ed avere questo lato debole.

Tutti pensano Don Cimatti di testa… Oh, sapessero e si persuadessero tutti della meno che mediocre capacità – memoria agile in un attimo, ma che si spegne subito, e potessero capire il tormento che devo subire per ritenere (e questo anche quando ero giovanissimo… e francamente ho mai capito, mai capito come e perché mi promovessero agli esami).

Come Lei sa, la massima parte della mia vita l’ho passata a Valsalice – scuola, musica e attività materiale e viceversa, ed ecco che mi sono abituato, sagomato a quello e pur non riuscendo a far bene anche quello non ho saputo far altro – ed ecco allora il pesce fuori acqua che quando ha da decidere piglia volentieri quanto gli altri dicono – persuaso che è certo il meglio – anche se può raramente brillargli in testa un’idea.

Quanto ad amministrazione zero – a maneggio di affari materiali zero.

Amo forse troppo tutti quelli che mi pare possano avere bisogno della povera opera mia.

Consigli, sempre pronto a darne, costa così poco! L’intimità cordiale eccita l’affetto verso il prossimo e mi sento avvinto a chiunque, non solo all’anima, ma anche al corpo (e qui può essere il meno bene).

Le ho già scritto al riguardo dei miei poveri pensieri e propositi. Ma come tento di mettere nel pochissimo che devo fare tutta l’anima mia, ed anche tutto l’essere mio materiale, così certo sento anche sensibilmente (come mi sembra di sentire sensibilmente Gesù) tutte le mie relazioni col prossimo.

Se Lei ci capisce qualche cosa di questo guazzabuglio dell’anima mia, in cui però mi pare di vederci così chiaro, Deo gratias!

Certo la via regia è fare come ordina l’ubbidienza ed è quello che tento di fare. Se si trattasse di Don Cimatti, solo, ma avanti senza timore. Ma è che si tratta di responsabilità in cui vanno di mezzo gli altri, e Don Cimatti non vorrebbe fare soffrire né essere di danno a nessuno, e purtroppo che lo sono.

Ai Superiori è permesso (ritengo) e doveroso dir tutto.

Amatissimo Sig. Don Ricaldone, eccole le mie difficoltà reali: superbia, sensualità, incapacità di comando e di valutazione di cose.

Come ho promesso, non parlerò più di queste, né delle altre cose. Certo per le mie miserie e per questo stato di cose starò in Purgatorio fino al giudizio universale. Ho detto a Gesù che l’accetto volentieri e farò tanti atti di amore per Dio e per il prossimo in mezzo ai patimenti attuali e ai futuri del Purgatorio.

Non esprimo ai miei Superiori che il desiderio che essi mi conoscano – e la volontà di donarmi sempre più a Dio e a loro, ma quanto più mi unisco a Dio tanto più vedo la realtà della mia posizione.

Mi piacerebbe lavorare (e mi farebbe bene all’anima e al corpo) anche materialmente. I confratelli, i Superiori e quindi il Signore, mi hanno inchiodato al tavolo per scrivere dove posso per trovare da mangiare per i figliuoli. Pazienza!

Mi si fanno quesiti… e non so risolverli… e allora bisogna darsi l’aria (anche se non fa caldo…).

Ma certo, caro Sig. Don Ricaldone, guai se non ci fosse l’aiuto della fede, la bontà ed il compatimento dei confratelli. Sono umiliazioni! Pazienza!

Mi butto in mano della Provvidenza: ma questo mestiere non è il mio. È basta, vero? Perché la discrezione sta bene in tutto.

Perdoni l’ultimo sfogo – capisco e so già quello che mi direbbe se fossi vicino. La realtà dell’anima mia è questa. Sit nomen Domini benedictum!

Farei volentieri 20 ore di scuola al giorno = sgobbamenti, ecc. Pare che per ora il Signore mi voglia nel cantone invece di quello che sarebbe il pane mio quotidiano… e così sia. Finis. Se sarò vivo, a domani il resto. Buona e s. notte nel Signore.


Torno ora con Gesù nel cuore. Gli ho detto tante cose – anche per Lei che vuole il bene dell’anima mia. Conclusione:

              1. Gesù è più convinto di me, di quello che ho detto – e credo insistere per l’ultima volta presso i miei superiori sulle cose indicate, sicurissimo dell’immenso bene che ne viene a tutti.

              2. Quanto ho detto nel profondo dell’anima – più nella convinzione che nella pratica – né mi toglie la calma, né l’allegria esterna, pur forse qualche volta non sapendolo nascondere.

              3. I Superiori dispongano come credono e senza riguardi di Don Cimatti, dicendogli liberamente con franchezza e senza sottintesi quanto credono.

              4. Può essere anche questa superbia… ma l’ho già detto e ripeto, perché in coscienza debbo dirlo… supplico di risparmiarmi il dolore, l’umiliazione somma di proposte di onori (anche nascosti sotto il pensiero e l’incitamento di abbracciare la croce) di cariche ecclesiastiche.

In coscienza direi di no – non posso assolutamente. Siccome questo in gran parte, se non in tutto, dipende dai Superiori, prego tener presente questa mia impossibilità.

Come dico, sono ben ridicolo di pensarci che si possa pensare a Don Cimatti per questa faccenda – ma come in altre occasioni – ho voluto con filiale confidenza aprirle l’anima mia. Ed ora basta davvero per questa parte. Lei offra a Maria Aus. e a Don Bosco i miei poveri propositi. Non desidero che una cosa:

  1. Salvarmi l’anima e fare una buona morte.

  2. compiere il mio dovere.

I Superiori conoscono le difficoltà personali di Don Cimatti, che gli tolgono la possibilità di lavorare effettivamente. È disposizione di Dio, così? Così sia.

Permetta che l’abbracci e baci in osculo sancto Dei e la ringrazi del bene immenso fatto all’anima mia. E continui a farlo e colla preghiera, col consiglio e con l’ammonizione.

Tutto suo aff.mo

Don Vincenzo Cimatti, sales.