Cimatti|Ricaldone Pietro|1940-1-31

2337 / Ricaldone Pietro BS / 1940-1-31 /

Una bella pagina di storia della chiesa cattolica in Giappone1


31 gennaio 1940


Rev.mo ed amat.mo Sig. Don Ricaldone,

Dal titolo può capire che il lupo perde il pelo, ma non il vizio… Musica! E questa volta non nelle modeste proporzioni di un concerto, ma addirittura azione scenica2. Deo gratias! Anche questo mezzo produrrà i suoi frutti.

D’altra parte l’azione educativa del teatro e della musica secondo i principi e direttive del nostro Don Bosco è innegabile: ecco perché si è fatto anche questo tentativo, che grazie a Dio, è riuscito: a Lui l’onore e la gloria e a Lui il dare ottimo esito al buon seme sparso.

La figura di un’eroina cattolica giapponese esempio e tipo di fedeltà coniugale e di fortezza cristiana sceneggiata con intelletto d’amore dal P. Heuvers S. J. Rettor Magnifico, dell’Università cattolica di Tokyo, ha fatto la sua comparsa per due sere in una delle più belle sale pubbliche della capitale (Hibiya Hall) con gran successo. Gli attori della Compagnia teatrale Toho, i cantori dell’associazione del teatro popolare e del Gruppo gregoriano di Tokyo – il Maestro Yamamoto che curò l’orchestrazione – e gli auspici della Lega delle donne di Tokyo e dei giornalisti furono i coefficienti del successo.

Le melodie che rivestono l’azione scenica in due atti e cinque quadri, tratti dal dramma in cinque atti del P. Heuvers e fattura dei Sigg. Takagi e Kanmuri, sono di puro tipo italiano ma naturalmente adattate all’ambiente e colorito locale, intrecciate con spunti caratteristici di melodie giapponesi. Tentativo per la futura “Opera giapponese” che nelle forme europee ha ancora da nascere in Giappone, che però ha già ab antiquo un’importante produzione teatrale assai caratteristica, tragica, lirica e comica, purtroppo pochissimo nota all’estero. Il nostro Don Marega sta al riguardo facendo traduzioni interessantissime.

Il lavoro più che un’opera è dramma lirico – in scena agiscono gli attori ed i cantori principali – i cori sono coll’orchestra in platea, e accompagnano e commentano le varie situazioni, avvicinando così la composizione alle tradizioni giapponesi.

Può essere interessante la bella pagina di storia, che va naturalmente inquadrata nella condizione politica di quei tempi, ma che dimostra assai bene la forza di carattere della persona e il meraviglioso influsso della grazia in quest’anima.

Tolgo da appunti storici del Papinot e dal lavoro dell’Heuvers i tratti più salienti.

La nobile cristiana giapponese del sec. XVI chiamata GRAZIA HOSOKAWA era stata allevata dalla nobile famiglia con tutte le cure possibili e univa all’educazione propria della sua condizione un’istruzione rara a quell’epoca fra le giovani.

Sposata al valoroso Hosokawa Tadaoki se ne viveva nella piena felicità familiare, quand’ecco il padre di Grazia, per le competizioni politiche, che erano all’ordine del giorno in quei tempi, si macchia di un grave delitto, uccidendo un grande benefattore della famiglia Hosokawa. “La figlia di un miserabile non è degna di essere mia sposa!”, le aveva detto il marito: fu relegata fra le montagne di Imino, sotto vigile e severa custodia di servitori fedeli. La giovane accetta coraggiosamente la sua sorte e si sottomette senza mormorare alla volontà dello sposo.

Dopo poco tempo si ha notizia dello sterminio della famiglia di Grazia. “Voi siete la figlia del traditore, che ora è scomparso con tutta la sua discendenza: piuttosto che attendere la morte a cui sarete condannata, non è più nobile e coraggioso, che voi stessa ve la procuriate?”. “Uccidendomi prima di aver ricevuto l’ordine del marito mancherei al mio dovere di sottomissione. Non temo la morte, ma attendo l’ordine del marito”. L’ordine non venne. Grazia nei due lunghi anni di esilio, lavorava, scriveva e beneficava.

Finalmente è richiamata dal marito e si riinizia la vita di famiglia, estrinsecata in massima parte nell’educazione dei figliuoli. Fra i compagni d’armi più affezionati del marito vi era un tal UKONTAYU fervente cristiano, che veniva spiegando a Tadaoki le verità religiose: avrebbe desiderato vederlo cristiano, ma questi, pur riconoscendo la beltà del cristianesimo, non cedette agli impulsi della grazia, non fu mai cristiano; anzi più tardi fu persecutore: eppure nei disegni della Provvidenza doveva contribuire ad una conversione, che certo né prevedeva né desiderava. Con l’intenzione di distrarla, il marito ripeteva a Grazia quanto sentiva dall’amico: alla semplice curiosità succede l’interesse, a questo il desiderio irresistibile verso la verità che sempre più chiara si faceva strada in quell’anima.

Le vicende di guerra obbligano il marito a traslocarsi qua e là, e la famiglia è condotta a Osaka. L’assenza del marito è occasione propizia per istruirsi nella religione: nonostante la stretta sorveglianza cui è sottoposta, riesce ad andare alla chiesa cattolica ed in una lunga intervista col missionario P. Gregorio de Cespedes ed il catechista Vincenzo, viene sempre più rafforzandosi nel desiderio e nella decisione di abbracciare la religione cattolica – coll’intermediario delle sue serve, diciassette delle quali ricevettero il battesimo, continuava la sua istruzione ed attendeva il momento opportuno per divenire effettivamente cristiana – intanto la sua famiglia era diventata – si può dire – una fervente comunità cristiana.

Il conquistatore Hideyoshi nel luglio del 1587 aveva emanato il decreto di proscrizione del Cristianesimo e l’esodo di tutti i missionari stranieri entro 20 giorni.

Il missionario non dimenticò la fervente catecumena, ed istruita una delle cristiane del seguito di Hosokawa per nome Maria sul modo di amministrare il battesimo le fu conferito in casa, e le fu imposto il nome di GRAZIA.

Maria, strumento della grazia di Dio, si consacra in perpetuo al Signore non volendo più vivere la vita del mondo e si recide la chioma. Tutte poi prevedendo le prossime lotte per la fede giurano costanza e fedeltà nel servizio di Dio.

Al ritorno di Tadaoki, conosciuta la conversione della sua signora, infuriato ordina a lei e alle persone del suo seguito di abiurare – e piuttosto che venire ad un divorzio formale tenta tutte le vie per fiaccare la sua resistenza – vessazioni, tormenti servirono a nulla. Grazia e la sua fervente comunità di palazzo, in previsione del martirio, venivano confezionando abiti magnifici che dovevano servire “per il giorno del loro comune trionfo”.

Le vicende politiche obbligano di nuovo Tadaoki a partire da Osaka – ma il partito a lui contrario vuole impadronirsi come ostaggi della famiglia Hosokawa. Grazia riesce a far fuggire tutti i suoi cari. Il marito le invia uno dei suoi fedeli emissari, che le presenta il pugnale coll’alternativa di uccidersi o di essere uccisa. “Voi ben mi conoscete: non temo la morte. Sono cristiana e non posso compiere quanto mi si domanda. Fate pure, non vi chiedo che qualche istante”. Mette in salvo ancora qualcuno della servitù e la sua fedele Maria cui affida i suoi figliuoli – inginocchiata in preghiera offre al Signore la sua vita per i suoi – e mentre pronuncia i nomi benedetti di Gesù e di Maria, le viene recisa la testa. Viene appiccato il fuoco ai quattro angoli del castello, e i Samurai fedeli al loro padrone investiti essi pure dal fuoco si danno, secondo l’uso del tempo intrepidamente la morte. All’indomani i cristiani di Osaka raccolte le ossa di Grazia le portano alla chiesa ove il P. Gnecchi fece uno splendido servizio funebre.

Su questa tela venne ricavato il libretto in cinque quadri (introduzione e due atti) che si rappresentò a Tokyo il 24-25 Gennaio, con musica del sottoscritto… musica gustata… Diamine! non vorrà che mi faccia l’elogio da me! E di questo basta…

Mi trovai tra i nostri confratelli di Tokyo per le nostre feste salesiane: S. Francesco e Don Bosco. Può pensare come i suoi figli abbiano festeggiato il Patrono e il Padre: feste di famiglia, in cui ha sempre massima parte la riconoscenza, la preghiera, la carità che affratella. Il Signore ci ha regalato per l’occasione cinque bravi novizi giapponesi, e l’assicurazione dell’approvazione governativa della nostra scuola professionale di Tokyo. Oh, quanto ci vuol bene il Signore!

Le feste svoltesi colle massime manifestazioni religiose in chiesa, con belle accademie musico-letterarie-drammatiche si chiusero colla benedizione della nuova biblioteca del nostro studentato, che penso ci verrebbe invidiata da non pochi studentati salesiani. Un grazie di cuore e preghiere riconoscenti a quanti ci hanno caritatevolmente soccorso, ed invito a quanti potessero, di venirci in aiuto per il miglioramento progressivo di questa importante branca di attività.

E mi permetta di concludere con una notizia (ma non rida, veh!) che i nostri bravi chierici teologi hanno scoperto, e che pur prestandosi ad eleganti discussioni (e furono fatte… e non poche), ci pare potersi interpretare così, come tolgo dalle loro affermazioni, espresse in una magnifica tesi latina e relative prove con le risposte alle obiezioni degli avversari dal ch. Barbaro: notizia che porta a noi grande consolazione.

A Lei e ai Superiori e specialmente al nostro caro Don Ceria, il determinare l’attendibilità. Don Bosco, nel profetico sogno-visione del Luglio 1885 (Vol. XVII di M. B.) accompagnato da un angelo splendidissimo, vede il prodigioso sviluppo che prenderanno le missioni salesiane; vede (come egli si esprime) tutti i suoi figli chiamati a combattere le lotte per il Signore fino agli ultimi confini della terra e radunati i popoli nei granai del Signore da tutte le tribù e genti.

Ai suoi figli missionari in Giappone era sempre sembrato strano e inesplicabile come Don Bosco non li avesse veduti nell’Impero del Sol Levante. In nessun altro sogno infatti Don Bosco parla del Giappone; in questo però, contrariamente a quanto ha potuto pensare Don Lemoyne, sembra proprio parli di noi, è per noi cosa tanto consolante sapere che da allora eravamo sotto gli occhi del buon Padre, che ora combatte e spera qui con noi. Seguendo la visione, Don Bosco, guidato dall’Angelo, lasciate le coste dell’Africa, si dirige verso l’estrema Asia. Vede Ceylon, Hong Kong e poi… eccoci al punto che ci interessa, Macao: però nota prudentemente e fedelmente il buon Don Lemoyne, Don Bosco invece di Macao diceva sempre Meaco, poiché di molti nomi non si ricordava con sicurezza. Noi invece pensiamo e con fondatezza che Don Bosco non si sia sbagliato, dicendo “Meaco”, ma abbia voluto significare il Giappone e precisamente la Capitale. Se Don Bosco sa dir bene d’aver visto Hong Kong, allora poco conosciuta certo, come mai si sarebbe sbagliato riguardo alla pronuncia di Macao, città notissima nella storia delle missioni, giacché i missionari fin dal 1557, epoca dell’occupazione da parte dei Portoghesi, ne avevano fatto centro d’irradiazione in tutto l’Oriente?

Non è far torto alle concezioni storiche e geografiche di Don Bosco e alla sua memoria feracissima il pensare che abbia sbagliato la pronuncia di Macao, e questo diverse volte? Ma vi ha di più. Questa Meaco nel sogno di Don Bosco ha innanzi a sé un mare sterminato ed alle spalle la grande montagna, che pensiamo non possa riferirsi a Macao, che non è in tale posizione, mentre si può riferire assai bene alla Capitale dell’Impero giapponese.

Meaco o Miyako in giapponese significa la città ove risiede l’Imperatore. Ai tempi del Saverio la capitale era Kyoto (ed il Saverio parla appunto di Meaco) che però non ha i requisiti di posizione indicati nel sogno). Tokyo invece ha di fronte a sé il più gran mare del mondo e alle spalle la montagna sacra, il Fujiyama, la più celebre in Estremo Oriente.

Dal Fuji non si vede certo ad occhio nudo la Cina, ma Don Bosco narra un sogno profetico: non bisogna dimenticarlo. Don Bosco dal Giappone vede la Cina (e questo è cosa tanto consolante per noi e piena di promesse…), quasi a dire che i suoi figli dal Giappone forse andranno a svolgere l’Opera loro nella Manciuria e nella Corea che già da anni attendono i Salesiani.3

Permetta, amato padre, che noi pensiamo così, e ci aiuti a diventare quali ci ha visti Don Bosco, e come desidera che noi siamo.

Preghi per noi.

Don V. Cimatti

1 R. M. 983: manosc. Eccetto l’ultima parte pubblicata in Bollettino Sal., Giugno 1940.

2 Si tratta della composizione musicale “Hosokawa Grazia”, n. 22 del catalogo musicale. Composta come dramma lirico, dopo la guerra fu trasformata in vera opera in 3 atti, e come tale fu eseguita la prima volta nel 1960. In quanto tale è la prima opera in assoluto in lingua giapponese, ed è la piú grande composizione musicale di don Cimatti. Della prima esecuzione è rimasto solo un programma stampato in 6 pagine con la presentazione dello scrittore del testo e del compositore Don Cimatti e le parole musicate. Ci sono anche ritagli di giornali che ne fanno grandi lodi.

3 Su questo problema lo scrivente (Don G.Compri) pubblicò nel 2001 una relazione sul Bollettino Salesiano. Si noti che tutte le carte geografiche dei tempi degli antichi cristiani e anche alcune dei tempi di Don Bosco, al posto di Kyoto segnano Meaco. Nella prima edizione della “Storia ecclesiastica” di Don Bosco la parola Meaco non esce. Però nel 1862 ci fu la canonizazione dei 26 martiri giapponesi, poi nel 1865 la scoperta dei cristiani a Nagasaki, e nel 1867 la beatificazione dei 205 martiri. Queste notizie ebbero una grande risonanza nella Chiesa e nell’Oratorio di Torino, come si può vedere nelle Memorie Biografiche. Don Bosco nell’edizione della “Storia ecclesiastica” del 1871 aggiunse in una lunga nota una breve vita di ciascuno dei 26 martiri giaponesi, e in questa nota ben 7 volte esce la parola “Meaco”. È chiaro che ai tempi del sogno Don Bosco la conosceva e non può essersi sbagliato.