Miyazaki, 27 luglio 1926


Miyazaki, 27 luglio 1926

180 /Costa Ludovico / 1926-7-27 /


a Don Ludovico Costa, Direttore di Valsalice



Mio amatissimo Don Costa e fratelli dilettissimi (di Valsalice),


Sono in ritardo e in debito perché aspettavo che qualcuno di quegli stinchi di santi, che sono certi chierici, scrivesse… ora non posso tardare e… peggio per loro! Ah non scrivete voi? Osate non scrivere voi?! Ebbene, scrive il sottoscritto.

Ha proprio ragione Lei… Voi non siete abituati ancora alla distanza. Che cosa è un mese, 40 giorni di tempo?… Col tempo metteremo la radio…


  1. Congratulazioni per le feste di Maria A., per la Messa d’oro di Don Vota, per le feste del S. Cuore, per Piova… Ah! ah! È meglio non pensarci. Pensare che… tenero come sono di cuore (eh! c’è poco da ridere!)… non mi è ancora venuta la nostalgia. Mentre scrivo sono le 15 del 25/7/26. Caldo a 36° le cicale fanno il loro mestiere; dalle finestre di tanto in tanto qualche ventata fresca… Come è bello pensarvi a Piova, nei Club, sulle Croci, a S. Elisabetta, al M. Calvo e poi su su alla Quinzeina, al Verzel e poi… a S. Besso e poi alla Rosa dei banchi…

  2. Viceversa pensatemi a cena che ho fatto l’altra sera dal più ricco medico di Miyazaki, uno dei pezzi più grossi della città. Mi trovo puntuale. Etichetta solita: all’uscio levata di scarpe, infilamento delle pantofole – deposizione delle medesime – saluti d’uso (i tre inchini in ginocchio), conversazioni iniziali.


Sono le 20. Mi si presenta un bel bicchiere di acqua fresca e ghiaccio, magnifico aperitivo. All’entrata in sala dei vari elementi di famiglia, nuovi inchini e sospiri, come quando si assapora il vino, e più si sospira è meglio. Ma quel che più mi diverte sono gli inchini. Perché basta averne voglia e si continua il dondolamento per un pezzo.

Finalmente si incomincia a mangiare, e in questo, non fo per dire, ma riesco bene. Mi si prega di accostarmi a tavola: eravamo 6, 2 padri francesi, il sottoscritto, la signora (il medico aveva adunanza, arrivò in fine), due figli.

La signora non mangiava, serviva con le figlie e col tradizionale ventaglio faceva vento ai convitati (che onore!). Le donne non stanno mai cogli uomini a pranzo.

La tavola è alta un 30 centimetri: per fortuna posso allungare le gambe sotto la medesima e si sta così un po’ comodo, ed ecco che mi mettono davanti un cabarè di lacca nera dorata. Nel fianco sinistro vi è una tazza di lacca marron, coperta.

Che ci sarà? Mistero! E più mistero per me che per la prima volta dovevo far da giapponese autentico. Vicino un piattino (come quelli del caffè) con sopra una mezza conchiglia (una magnifica Halyotis… Ah Tonelli poterla avere per collezione!) e dentro in fettine l’animale cotto: in un piatto più piccolo la bagnetta in cui intingere i bocconcini. Vicino a questo un altro piattino con pesce in umido e relativa bagna – poi un altro con pesce crudo e relativa bagna, poi un altro con zucche (i fili che hanno nell’interno) e relativa bagna – poi un altro con una bella carpa arrostita e relativa bagna – infine un cartoccetto coi famosi bastoncini (posate).

Mi dicono che bisogna almeno assaggiare di tutto. Apro la scodella; brandisco i bastoncini (è la prima volta) e vi trovo natante in un brodo di acqua calda ed erbucce un pezzo di pesce umido – mi aiuto coi bastoncini (provate che gusto!) e sorbendo fortemente (perché è segno di gradimento) e sbocconcellando il pesce arrivo alla fine.

Poi faccio il giro dei piattini e avessi ascoltato l’appetito in 4 bocconi avrei finito tutto, ma il decoro ecc. mi fecero fare le cose bene, tanto che la padrona di casa mi diceva che ero già abile a maneggiare i bastoncini!!! (Apro una parentesi! Se venite in Giappone, attenti nei complimenti a pensare il contrario sempre… Da secoli mettono in opera quanto suggerisce il nostro S. Francesco di Sales: “Quando uno ti loda o ti vuol ingannare o ti ha già ingannato!”). Conclusione! Essa voleva dire: “Povero europeo, che non sai neppure adoperare le nostre posate!…”. E fra me dicevo: “Povera pagana dagli occhi a mandorla, mi strafotto ora dei tuoi bastoncini che adopero come so: di fame non muoio no, anche se non riesco a prendere con arte i tuoi intrugli… Mi preme l’anima tua! O Gesù benedici questa famiglia e scenda la tua grazia in queste anime!”.

Ad un certo punto entra la pentola del riso che viene messo in bianca tazza e vicino a questa un’altra con anguille. È il cibo prediletto dei giapponesi questo, è il cibo sacro. Cotto nell’acqua senza condimento a me piace assai assai. Di nuovo manovra degli hashi (bastoncini) e in blocchi conditi col pesce trangugio, e faccio il bis del riso. E il pane? Non si vede.

La padrona mi avverte che agli ultimi bocconi mi verserà il caldo tè, che servirà anche a pulire la tazza, affinché niente dell’onorevole riso vada perduto. Infine per frutta un mezzo melone (melone giapponese – un po’ più grossi dei nostri zuccotti) che si mangia col cucchiaino da caffè.

Per bere: birra (sanno che piace agli europei) e vino in bicchierini di rosolio. Ah! le minestre e le polente di Piova!

Alla fine il padrone amante di pittura mi fa vedere schizzi ad acquerello bellissimi – e sapendo che io desideravo vedere il koto (è il loro strumento preferito) me lo fece portare e fece suonare la figliola. È una cassa armonica lunga forse m. 1,60-1,80, larga cm 20 su cui come sul sonometro (Vedere Don Picca, Don Tonelli) sono tese 13 corde. Per l’intonazione, sotto di esse si mette un ponticello a varie distanze (ci vuol tempo ad accordarlo!) e poi a mano libera o con appositi ditali grattano quelle corde, ma solo facendo il canto, e vanno in brodo di nespole udendo quei suoni che sono come quelli della nostra chitarra.

Sono le 23,20 e me ne ritorno. Certo se potremo tirare dalla nostra questo buon pagano, sarà un gran bene per la missione. Pregate.


Per oggi basta, ma ci vorrebbero dei volumi: abbiate quindi pazienza. Voi siete belli, ma il dovere verso queste anime è più bello di voi, e il giapponese, pur difficile è più bello di voi. Sentite: e se sei capace Don Franco mio, eseguisci:

L’arcobaleno: 1


  1. Ecco ecco, l’arcobaleno è apparso. Guardando giù al bosco e al piccolo monte, in forma di arco arriva dalle nuvole dell’immenso cielo fino alla risaia di fronte. Chi ti ha messo là, o ponte dell’arcobaleno?

  2. Oh, davvero splendido l’arcobaleno: al rosso giallo verde violetto, fa allineare i 7 colori con un colpo di pennello pel tappeto del cielo. Chi ti ha disegnato, o ponte dell’arcobaleno?

  3. Oh davvero meraviglioso l’arcobaleno. Comparendo nell’istante in cui cessa la pioggia, come se avesse qualche cosa da fare, unisce la distanza tra il cielo e la terra. Chi ti attraversa, o ponte dell’arcobaleno?

  4. Ecco, l’arcobaleno svanisce a poco a poco. Gli splendidi colori poco a poco sfumano… Non si vede più dalla parte della piccola montagna. Chi ti cancella o ponte dell’arcobaleno?


Meditatelo e vedrete tutto il fenomeno: analizzatelo e vi vedrete l’anima giapponese che immobile, impassibile, non lasciando trapelare nulla all’esterno dell’animo suo, pure pensa, interroga… e purtroppo, senza Dio non trova la risposta.

Oh fratelli miei… Non so più quel che dica… Non vorrei pensaste voglia fare retorica… ma mi risuona la dolce parola del Saverio che chiamava i giapponesi “delizie dell’anima sua”.

Vi abbraccio singulatim!

1 Gesù ci santifichi tutti tutti tutti e specialmente il vostro

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2 don Vincenzo Cimatti2

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