Cimatti|Ricaldone Pietro / 1937-1-27

1800 / Ricaldone Pietro / 1937-1-27 /


a Don Pietro Ricaldone, Rettor Maggiore dei salesiani



27 gennaio 1937

Rev.mo Sig. Don Ricaldone Padre mio amatissimo,

Come da lettera precedente, col cuore addoloratissimo, le comunico la partenza definitiva del nostro Don Lucioni. Mi pare di aver fatto il possibile per persuaderlo – tentarono anche Don Tanguy e Don Escursell – ma non sono riuscito. È partito il 24 c. m.; passa a Manila (chissà che là non incontri qualche superiore) ove gli avevo permesso per vari motivi di andare, e se tutto va bene il 13 Marzo giunge in Italia.

Lei, amatissimo Padre, è a parte delle intime lotte di quest’anima ammalata; sono ormai otto anni di altalenamento, e mi pare che bisognava pur deciderla pel bene suo e per il bene generale – non trovai altra soluzione – ed anche in questo caso davanti a Dio mi prendo la responsabilità della decisione. Affido al suo cuore paterno questa povera anima, come fosse la mia: bisognosa di conforto, di aiuto e di sostegno forte, che purtroppo non trovò in Don Cimatti.

Le ragioni del ritorno Lei in parte le conosce e dalle precedenti conversazioni e lettere di Don Lucioni e dalla mia corrispondenza precedente ed anche recente. Quid dicam? A Don Lucioni in lettera confidenziale di congedo gli ho indicato come causa di tutto il suo egocentrismo che lo fa passare sopra tutto. Cause determinanti prossime (come già scrissi):


  1. Urto con Don Cavoli che gli proibì l’entrata in casa. Don Cavoli scrisse scuse e molte volte invitò, me presente, presente la comunità, al ritorno fraterno. Si intesta e vuol soddisfazione sul principio – dice che né Don Cimatti, né i Superiori gli hanno risposto alla questione di diritto: “Se un Direttore possa proibire l’ingresso ecc.”, e vuol ricorrere a Roma.

  2. La missione è governata non dal Superiore, ma da altri.

  3. Egli fu lasciato solo, senza aiuti, ecc.


Avendogli fatto presente tutte le osservazioni che erano del caso – Don Cavoli fece quanto doveva fare – la missione tentò di governarla come avrebbe fatto Don Bosco (non posso fare diverso), gli ho dato tutti gli aiuti materiali fino al centesimo: non potevo dargli personale salesiano:


  1. Perché non ne avevo;

  2. Perché è difficile trovare chi possa aver forza di resistere con lui;

  3. Egli aveva i suoi punti di appoggio, che mi pareva usasse. Non riuscii a calmarlo, e decisi di dargli il via, non sentendomi assolutamente di attendere i Visitatori.


E unito a questo egocentrismo un amore acutissimo alla famiglia e patria, che non mi pare regolare, ed anche questo ha influito certo ad acutizzare il presente suo stato.

Certo il confratello è venuto in Giappone con questo carattere, e può essere che il lavoro missionario speciale che gli fu affidato ha aumentato.

Non gli mancarono i mezzi di santificazione né confratelli che, conosciuto il suo carattere, con Don Cimatti, cercarono di aiutarlo in tutte le forme spirituali – tutti tutti gli volevano e gli vogliono bene.

Ha compiuto i suoi doveri, mi pare di poter dire con zelo e sacrificio, specie quanto era nel suo ordine di idee, relative alla forma di apostolato, ma non sa adattarsi a tante cose, come pure si lascia abbattere ad ogni pié sospinto da ombre.

Ad ogni modo è un ammalato di corpo e di spirito (ohé!, non in senso cattivo = fede e costumi sono integri) che dopo otto anni devo dire: “Non è possibile curare. Ulteriore longanimità non conclude che ad aggravare la situazione per lui e per gli altri”. Domanda naturalmente se potesse (in qual modo?) utilizzare il giapponese che conosce benino. Pensandoci, in America del Nord o in Brasile vi sarebbe possibilità di sfruttare questa attività. Egli desidererebbe lavorare tra gli italiani, sogna l’Africa Orientale – le missioni, perché, dice, la vocazione missionaria fu per lui anteriore a quella salesiana.

Teme un brusco incontro coi Superiori, che riuscirebbe solo forse a fargli prendere delle determinazioni dannose in ogni senso.

È munito del “celebret” e autorizzazione alle confessioni, e di una mia lettera di raccomandazione per Lei. Spedisco a parte i suoi documenti.

Ecco quanto posso dirle e mi sento in dovere di dire. Mi strazia il cuore vedere in questo stato questa povera anima.

Temo prossimamente doverle parlare di altro argomento non piacevole, e mi aiuti il Signore. Ah, venga presto la sospirata visita, di cui ho ricevuto il primo annuncio. Grazie, Sig. Don Ricaldone, del prezioso dono e dei preziosissimi suoi ambasciatori. Tutti attendiamo e preghiamo per il felice esito, ed anche Lei si unisca a noi. Penso che la nostra sia quella parte della Congregazione che più ne abbisogna, specialmente lo scrivente. La missione viene a perdere un aiuto prezioso, ma preferisco far l’ultimo tentativo per vedere di salvare quest’anima.

Quanto al ritorno di Don Liviabella, so da lui che fu consigliato al ritorno per la data della visita . Se per l’utilità della propaganda i Superiori credono opportuno prorogare il ritorno, non solo non ho difficoltà, ma per quel che dipende da me, domando la proroga, oppure (sempre che Lei creda) anche per dar modo a Don Lucioni di sanare le ferite economiche della missione per il suo ritorno, domando che Don Lucioni sia autorizzato alla propaganda – egli farà volentieri. Don Lucioni come propagandista della stampa ha buoni numeri: bisogna trovare chi lo domina e guida. Mi perdoni i continui dispiaceri e preghi per me.

Suo nel Signore tutto e sempre

Don V. Cimatti, sales.