Cimatti/ Ricaldone Pietro / 1938-8-3

2104 / Ricaldone Pietro / 1938-8-3 /


a Don Pietro Ricaldone, Rettor Maggiore dei salesiani



Udienza privata dal S. Padre

Ore 11,30

3 agosto 1938


Dopo i convenevoli d’uso, accolto paternamente dal S. Padre (che trovai assai dimagrito e che parla calmo, scandendo bene le parole e con lucidità di mente segue, commenta, chiarisce, suggerisce e stabilisce) esposi lo stato generale della Missione e dell’opera nostra in Giappone.

Parendomi di aver già parlato a sufficienza, si degnò di aggiungere: “E non mi dice che Lei raccoglie anche piante, che fa della musica e suona il piano in concerti di propaganda e che già avete istituito e dato impulso al Seminario indigeno e a una Congregazione religiosa indigena femminile? Bravi, bravi… Questi mezzi indiretti di apostolato sono efficacissimi ed al più delle volte assai più efficaci dei mezzi diretti!”.

Mi parve giunto il momento di presentargli copia di un mio modesto catalogo di piante, che si degnò di smagliare, e poi il volume del nostro Don Marega (Kojiki = cose antiche), edito dal Laterza, per l’interessamento dell’Associazione di cultura giapponese e del Ministero degli affari esteri (che pagarono le spese dell’edizione) e una copia del medesimo in Giapponese (ediz. xilografata di gran valore), che sfogliò qua e là e gradì assai, inviando incoraggiamenti e benedizione speciale all’autore e assicurando che avrebbe fatto collocare il medesimo in un posto d’onore della sua cara biblioteca vaticana.

Poi con un senso di accoramento proseguì: “Caro Don Cimatti, non si studia più, non si studia più. Al giorno d’oggi si dà grande importanza all’atletismo, poco alla mente e al cuore. Purché si facciano gambe e braccia grosse; all’educazione si dà poca importanza, illudendosi che questo sia il tutto per l’educazione della gioventù. E queste cose le ho dette anche a Mussolini e che l’atletismo non basta, e che finché la Grecia seppe fare della buona ginnastica, euritmia di corpo e spirito fu grande, ma quando pensò solo alle gambe e alle braccia decadde. Gli dissi tutto questo, ma mi aveva l’aria di non capire nulla di quello che dicevo. È proprio il caso di ricordare Orazio, che benché pagano ha detto anche qualche cosa di vero: ‘Fortes creantur fortibus et bonis’ (Carm. IV, 4,28)”.

Gli domandai poi ricordi per i componenti i gruppi delle nostre attività: Seminario, Salesiani, Opere di carità.

“Ai seminaristi dica che il Papa li benedice con benedizione di predilezione per due, anzi per tre motivi. Primo: perché seminaristi ed è chiaro. Secondo: perché giovani, speranze dell’avvenire. Terzo: perché giapponesi, e lo dica loro, perché giapponesi. Ho una grande speranza per l’avvenire della conversione di questo gran popolo che così solide fondamenta ebbe in passato nella fede cattolica”.

E ai Salesiani cosa dirò?

“Ai Salesiani che lavorino colla laboriosità e nello spirito di Don Bosco. Oh, come godo di essere stato io a rivelare a voi suoi figli parte dell’intimità della sua vita! Quando mi trovai con Lui, mi disse: veramente la mia vocazione era quella di diventare scrittore, pubblicista. E mi esponeva, tra l’altro, le sue idee sulla pubblicazione di una grande storia della Chiesa. Che avesse come centro di riferimento il Papa! osai completare io. Naturalmente! Ma ne fui distolto – mi diceva, nella sua modestia – dall’impreparazione mentale a tanto lavoro, ed allora mi buttai del tutto a lavorare per il mio grande amore, per la gioventù! – Dissi a Don Bosco: Mi pare che Don Bosco sia più che preparato a questo genere di lavori. Conosco un libro in cui Don Bosco dimostra solida preparazione mentale a questo ed altri generi di lavori. – E quale? – Il suo libro della storia d’Italia. Modestamente deviò il discorso. Povero Don Bosco! Come aveva veduto bene nel mio avvenire!”.

E alle suore della nuova congregazione che nel prossimo settembre emetteranno i voti?

“Dica loro che siano persuase che la carità è via alla verità e che in un certo senso, quando cioè si conosce la verità delle miserie materiali e spirituali degli uomini, non c’è che buttarsi dalla parte della carità per soccorrerli. Benedico quanti lavorano in questo campo delle benedizioni più elette”.

“So poi che Lei fa degli erbari. Desidero che ora cominci anche un’altra collezione, la collezione cioè del medagliere del Papa e voglio essere io a portare il primo contributo. Porti dunque ai suoi seminaristi due medaglie (d’argento e di bronzo dorato) coniate a ricordo del nostro ateneo e nel centenario delle feste di S. Carlo”.

Così dicendo si alzò lentamente, andò ad un altro tavolo da cui prese le medaglie, aprì Lui stesso le scatole e me le faceva osservare leggendo la scritta.

Ultime benedizioni e saluti paterni.

Se non tutte specificatamente, le parole sono riprodotte, mi paiono nella massima parte perché mi rimasero scolpite profondamente nell’anima.


Don V. Cimatti, sales.