Cimatti|Cecchetti Albano / 1941-11-26

2840 / Cecchetti Albano / 1941-11-26 /


a Don Albano Cecchetti, missionario salesiano in Giappone



Tokyo, 26 novembre 1941

Carissimo Don Albano,


Torno dalla S. Messa e meditazione dove ho pregato per Lei e per il povero Don Erdö, per Don Arri e per le Figlie di Maria A.

La conclusione chiarissima per me è di rammarico profondo perché, sia pure involontariamente, fui causa di tutto questo dissesto. Ne ho domandato perdono a Dio ed ora lo domando a voi. Ex fructibus cognoscetis me: sopportatemi ed aiutatemi in tutte le forme possibili.

Rispondo prima ad alcune cose espresse nelle sue comunicazioni.


  1. Per Moriwaki. Fu incontrato da Ueda di ritorno da soldato a Osaka e gli manifestò il suo desiderio di ritornare. In occasione della morte di Makino gli ho fatto scrivere per battere il ferro mentre è caldo. Penso che dal Gran Seminario Ueda non perderà la relazione. Ad ogni modo egli è legato fino al prossimo agosto alla fabbrica: poi si vedrà se egli vorrà o no corrispondere efficacemente alla sua vocazione. Preghiamo.

  2. Domando preghiere per i professandi dell’8 dicembre 1941. Ch. Castiglioni, Colussi, Fortuna, Dell’Angela: triennali; Caldiroli, perpetui a Tokyo; in missione Ch. Rossi e ch. Crevacore, perpetui.

3. ......Mi dispiace che Lei interpreti il ritorno di Don Erdö come un non voler dare peso alle sue osservazioni, ecc. ecc. Oh, no! Caro Don Albano, per me ho grande affetto e fiducia in tutti i singoli confratelli: non per mio merito, ma per la grazia di Dio che mi ha fatto così. Anche in Don Erdö e tanto più in Don Cecchetti: né penso di aver detto o scritto parola (almeno non ne ho coscienza) che le dia motivo di pensare così.

Se a Lei risultasse, dal più profondo del cuore domando scusa, e sono più che disposto anche a pubblica riparazione.

e) Quanto alle condizioni di pensiero e d’animo verso Don Erdö delle Figlie di Maria A., pur dovendone tener conto (date le cose che Lei mi scrive avvenute), non bisogna però che vi diamo peso eccessivo, perché potremmo cadere nell’altro inconveniente: oggi non si vuole costui, domani non si vorrà un altro. Comprendo che Lei è tra l’incudine e il martello; e quando penso che per causa mia, mi accresce il dolore.

Dunque? Penso che al momento non ci sia che da fare così. Provare, se dopo quanto ha provato quest’uomo, e lo ha capito, se riesce a concludere quanto si può sperare da Lui. Intanto anche qui sto studiando la questione per vedere se c’è modo di dargli un’occupazione conveniente – e non sarà difficile.

Si orienta e lavora? Deo gratias! Avrà fatto un po’ di pratica e avrà capito meglio tante cose.

Non si orienta? Potrà tornare, ma non dando l’impressione disastrosa e per lui e per gli altri, di non riuscita o di non obbedienza. In caso sarà lui il primo a domandare il ritorno: ha anche il motivo della malattia.

Al momento, davanti al Signore, per salvare ogni situazione sono obbligato a fare quello che Lei mi sconsiglia: temporeggiare. Succede che non si riesce a concludere nulla? Avremo tutti in mano una prova di più onde persuadere il confratello.1

E concludo, caro Don Albano, con belle parole della sua lettera. “I dolori cui ci sottopone il Signore, se li giudichiamo da un punto di vista sono prove – se li giudichiamo da un altro punto di vista sono grandi grazie. Comunque sempre Deo gratias. Sursum corda”. Applichiamocelo tutti e due e avanti.


    1. Deo gratias per la bella visita allo Shudoin.

    2. Farò presente all’Amministratore Apostolico quanto mi dice e di lui e dei sacerdoti.


E preghi per me. L’abbraccio nel Signore e benedico con tutta l’anima.


Suo

Don V. Cimatti, sales.


Saluti cari a Don Erdö e Don Arri…

1 Il confratello, di origine ungerese, non si adattò alla vita del Giappone. Nel 1944 si trovava a Shangai e dopo la guerra tornò in Italia