Cimatti|Circolare Amici e Benefattori / 1941-3-...

2722 / Circolare ad Amici e Benefattori / 1941-3-… /


agli Amici e Benefattori della Missione salesiana in Giappone



Tokyo, Marzo 1941

Ill.mo Signore,


In molteplici occasioni la S. V. è venuta sempre caritatevolmente in aiuto alle opere salesiane in Giappone. Per la realizzazione del massimo problema, la formazione del personale salesiano, urge la fondazione dell’ASPIRANTATO in Tokyo. Domando a nome di Don Bosco la vostra carità per questa opera santa.

La relazione che segue, gloriosa pagina di storia missionaria italiana in Giappone, vi fa comprendere la possibilità dell’acquisto di un terreno, ricco di memorie missionarie e italiane. Sono sicuro che voi vi darete attorno per trovare numerosi amici e cooperatori dell’Opera salesiana in Giappone1.


Brevi cenni sul Padre sidotti


Il consolidamento del potere supremo nelle mani della famiglia Tokugawa al principio del sec. XVII segnò l’inizio della via dolorosa per la Chiesa in Giappone. Dopo mezzo secolo di persecuzione sanguinosa, alla morte del terzo Shogun Tokugawa Yemitsu, nel 1651, precisamente un secolo dopo l’entrata del Saverio, il cristianesimo in Giappone si poteva ritenere ufficialmente scomparso.

In realtà però la fede non era del tutto spenta. Nell’interno delle isole, fra i monti, nel segreto delle case, nel cuore dei cristiani superstiti, la fede sopravviveva, come il fuoco sotto la cenere: bastava riattizzarla per vederla riaccendersi. Ma il Giappone era stato ermeticamente chiuso ai missionari. Ai molti audaci che tentarono di penetrarvi per farvi ardere il fuoco sacro della fede, toccò il martirio fra orribili tormenti o la prigionia a vita.

Ebbene, proprio quando ormai sembravano cessati questi tentativi audaci, al principio del sec. XVIII, apparve sulla scena il P. Sidotti, l’ultimo missionario dell’era feudale, che riuscì a penetrare nel Giappone nonostante il severo ostracismo.

Il P. Giovanni Battista Sidotti era nato a Palermo, nel 1668, da famiglia nobile ed aveva compiuto i suoi studi superiori a Roma, dove ben presto era salito in grande stima per la virtù sua e la scienza.

Giovanissimo era stato uditore di Rota nella Curia Romana. Ma egli fin dalla giovinezza accarezzava un grande sogno: quello di andare a portare la luce del Vangelo nel lontano Giappone. Egli conosceva bene le grandi difficoltà che si frapponevano all’esecuzione del suo disegno.

Ma non sono le difficoltà che possono arrestare la marcia audace degli eroi. E il P. Sidotti, carattere forte e generoso, era un autentico eroe e, per di più, un Santo che, inebriato della follia della croce, si era votato senza riserve al suo grande ideale, ubbidendo, come egli stesso ebbe a dire, ad una vocazione interiore. Per questo abbandonò il suo brillante avvenire in Roma e, con la benedizione della vecchia madre, non meno generosa di lui, partì dall’Italia sul principio del 1703 colla missione del Patriarca d’Antiochia, Mons. de Tournon, che andava in Cina per esaminare la questione dei riti cinesi.

Le difficoltà del viaggio lungo e tormentoso non lo scoraggiarono. Da Genova toccò la Spagna, le isole Canarie, e, girando l’Africa, raggiunse l’India dove sostò alquanto per aiutare il Patriarca de Tournon nella sua inchiesta sui riti Malabarici. Ripreso il mare, arrivò finalmente a Manila nel settembre dell’anno seguente.

Qui dovette fare una lunga attesa di quasi quattro anni perché non c’erano navi che andassero in Giappone. Ne approfittò per lavorare nelle opere cattoliche della città dove compì un fecondo apostolato tra la simpatia e l’ammirazione di tutti.

Finalmente nell’anno 1708, il 22 agosto, su una nave allestita appositamente per lui poté far vela verso il Giappone; e la notte del 10 ottobre si fece gettare solo, sulla spiaggia rocciosa dell’Isola di Yakushima. Venne naturalmente subito riconosciuto, preso e condotto a Nagasaki, dove subì lunghi interrogatori. P. Sidotti aveva studiato un po’ di giapponese su alcuni vecchi libri trovati in Italia, studio che aveva cercato di continuare anche a Manila; ma non bastava per farsi capire.

Le autorità di Nagasaki non potendo risolvere la questione si rivolsero a Yedo, da dove venne l’ordine d’inviare il prigioniero alla capitale.

Dagli Annali di Nagasaki (1704-1710) apprendiamo: “Questo straniero imitava il costume del paese, indossando un vestito giapponese con la spada al fianco; aveva i capelli in parte rasati sulla fronte e in parte raccolti e legati sulla nuca come i giapponesi. Per un po’ di tempo si tenne nascosto nelle montagne, domandando ristoro ai taglialegna e ai vecchi carbonari, e in cambio offriva denaro (che però non accettavano)… Ha i capelli neri, non biondi, come quelli degli olandesi – gli occhi pure assomigliano assai a quelli dei giapponesi; l’unica differenza è la straordinaria lunghezza del naso…”.

Dal racconto dell’interprete olandese Valenjin nell’interrogatorio di P. Sidotti a Nagasaki: “Noi vedemmo un uomo alto, magro, colle mani incatenate dietro la schiena. Era pallido; faccia emaciata… (il resto della descrizione corrisponde alla precedente)… Sotto il vestito giapponese indossava una tunica bianca. Aveva al collo una catenella d’oro con una grossa croce di legno scuro, portante una figura dorata. In mano teneva il rosario e sotto il braccio aveva due libri. Poteva appena parlare tanto era spossato, la testa gli ricadeva sul petto: di tanto in tanto la rialzava e guardava verso il Cielo e muoveva costantemente le sue labbra…

Quando gli domandarono se non conosceva la severa proibizione ai missionari di entrare in Giappone, Sidotti rispose: “Certo la conoscevo… ma questa non è per me, perché io non sono né spagnolo, né portoghese, ma italiano”. Quei signori conoscevano qualche cosa del Portogallo, della Spagna e dell’Olanda, ma non così dell’Italia… Fu condotto alla capitale in portantina, troppo angusta per la sua aitante corporatura, obbligato a stare seduto alla giapponese, senza potersi muovere o uscire; soffrì tanto che perdette l’uso delle gambe, per cui in seguito per muoversi aveva sempre bisogno di essere sostenuto e aiutato da altri. Anche in questo viaggio, il suo contegno calmo e tranquillo, sempre assorto in preghiera riscosse il rispetto e l’ammirazione degli stessi soldati”.

Così il P. Sidotti sotto severa scorta, fu condotto a Yedo e internato nel Kristan Yashiki. Qui lo attendeva il famoso Arai Hakuseki (1657-1725), incaricato dallo Shogun di esaminarlo. Il celebre letterato e storico ci lasciò scritte le lunghe interviste e i vari interrogatori fatti al missionario straniero, in un libro dal titolo: “Seiyo Kibun” (Notizie sull’Occidente). In grazia specialmente a questa nota opera letteraria il P. Sidotti, sotto il nome giapponese di Jovan Shirote, è conosciuto in Giappone anche fuori dell’ambiente cristiano.

Un giornale di attualità ha fatto questo commento allo storico incontro: “Hakuseki e Sidotti non sono solo due uomini che si trovano di fronte, ma due mondi e due civiltà diverse che vengono a contatto. Hakuseki rappresenta l’Oriente e la millenaria civiltà giapponese, e Sidotti l’Occidente e la civiltà romana e cristiana d’Italia. Tutti e due degni rappresentanti, perché tutti e due uomini superiori.

In grazia a loro si ebbe un nuovo importante contatto tra le due civiltà, e per il Giappone un passo avanti nella conoscenza dell’Occidente, non solo per sé, ma col suo libro mise a disposizione del pubblico le notizie apprese… Possiamo pensare Hakuseki e Sidotti come prototipi dei due paesi: Giappone e Italia. Il Giappone, grande paese che vanta una civiltà meravigliosa e uno spirito unico al mondo. L’Italia, erede della civiltà millenaria di Roma, custode e centro dello spirito cristiano ha numerosi punti di somiglianza e di contatto col Giappone. Tuttavia le due civiltà sbocciate in paesi così lontani l’uno dall’altro, differiscono fra loro per la mentalità diversa, differenti costumi e diversa cultura religiosa, etico-filosofica. Ma nonostante questo i due paesi sono attualmente legati da amichevoli relazioni: segno evidente, che come si disse per i due uomini, che i due grandi paesi sono paesi superiori, destinati a comprendersi sempre più e ad aiutarsi a vicenda”.

Il “Kirishitan Yashiki” significa letteralmente “residenza dei cristiani”. Sotto questo nome è passato alla storia un recinto-prigione, in cui furono internati e morirono vari missionari cattolici (gruppo Marquez, Chiara, Cassola, sbarcati nel 1643) e alcuni cristiani. Il posto dell’antico Kirishitan Yashiki si può tuttora vedere a Tokyo nella zona nord-ovest della città, nel quartiere Koishikawa. In antico era un grande recinto di oltre un ettaro di estensione, sul dorso di una collina boscosa. Nell’interno aveva un altro recinto più piccolo, che comprendeva una prigione in legno, un piccolo magazzino, la casetta dei custodi e un pozzo che esiste tuttora. (Tutto bruciò nel 1717, né fu più ricostruito).

In questa prigione il P. Sidotti, dopo il giudizio e la conseguente sentenza dello Shogun rimase internato per circa quattro anni, trattato convenientemente. Così leggiamo nel “Seiyo Kibun”. Ma verso la fine del 1714 i due servitori addetti alla sua persona, i coniugi Chonosuke e Haru, conquistati dalle virtù e dagli insegnamenti del Padre, si convertirono e ricevettero il Battesimo. Questo fatto, risaputo dalle Autorità, provocò un secondo giudizio. La nuova condanna fu terribile; la prigione sotterranea: una fossa scavata nel terreno, stretta, buia, dove gli unici compagni erano l’umidità, il freddo, la malattia. Si può vedere tuttora.

Don Tassinari così la descrive: “Per un pozzo d’entrata di oltre 2 m si giunge sul fondo ove su tre pareti si aprono tre buchi che danno rispettivamente nelle celle Nº 1-2 e il terzo nel corridoio che conduce alle celle Nº 3-4-5. Visitai bene la cella Nº 1. Per entrare bisogna mettersi a carponi, ma nell’interno della cella si può quasi stare in piedi. Alla base è molto larga e appare di forma ovale con forse 7-8 metri di circonferenza: ma in origine doveva esser più stretta e quadrangolare, come si arguisce dalla forma della parte superiore ancora bene delineata. Un corridoio (una specie di stretto camminamento) conduce all’imboccatura delle altre celle (tuttora ingombre di terra)”.

Proprio mentre P. Sidotti languiva in questa fossa, a Manila e in Europa si nutrivano grandi speranze sulla riuscita della sua missione, e sulla prossima riapertura del Giappone ai missionari. E da Roma il Papa gli faceva inviare la nomina di Vicario Apostolico del Giappone che naturalmente non arrivò mai a destinazione.

L’eroico padre non poté resistere a lungo al nuovo supplizio, peggiore della morte stessa. L’anno seguente nella notte del 16 novembre 1715, consumato il sublime olocausto, con gran voce chiamando per nome i due servi addetti alla sua persona, condannati allo stesso supplizio, fortificandoli nella fede, non cessando di esortarli a perseverare fino alla morte, andò a ricevere il premio del suo lungo martirio. Aveva 47 anni. Egli ha sofferto ed è morto veramente per la sua fede. Fu sepolto nel “Kirishitan Yashiki”.

Don Tassinari aggiunge ancora: “Mi fu fatta vedere “la tomba”, un’aiuola su un piccolo rialzo che ha la forma di tumulo. Si dice che quella sia una tomba per lo meno, il posto di una tomba. In altra parte mi fu fatta vedere la pietra della tomba del P. Sidotti, pietra sepolcrale con sopra scolpita la croce. Certo nel Kirishitan Yashiki molti prigionieri morirono, e di tombe ce ne dovettero essere non poche. Di una sola però si è conservato memoria nella tradizione popolare: non poteva essere di un condannato qualunque; si può pensare al P. Sidotti, il prigioniero più caratteristico del Kirishitan Yashiki, e perché straniero e perché (come lo conferma esplicitamente Hakuseki) si era guadagnato, colle sue virtù la stima e l’ammirazione di quanti l’avvicinarono. È troppo naturale pensare che a distinguere la tomba di P. Sidotti si sia posto a monumento-ricordo una pietra col segno cristiano. Le tradizioni orali e scritte della famiglia proprietaria della pietra confermano luminosamente quanto ho detto e sul luogo della tomba e sulla pietra della tomba”.

Nel 1792 il terreno del Kirishitan Yashiki venne diviso tra i soldati.

In questi ultimi anni sono usciti molti studi interessanti e dettagliati su questo celebre luogo. Nel 1918 la prefettura di Tokyo faceva mettere sul posto una stele-ricordo con una placca di bronzo su cui si leggeva: “Locus ad Christianos reservatus”. La stele si vede tuttora, ma la placca sparì nel 1928.


Attualmente il posto del Kirishitan Yashiki (il posto proposto) è occupato da belle ville e case di privati. C’è tuttavia una parte proprio centrale ancora in vendita e che, per tante ragioni, sarebbe adattissima per la nostra casa di Aspirantato, da erigersi a Tokyo.

Chi non vorrà concorrere in questa opera e venirci in aiuto per l’acquisto di queste zolle santificate dai patimenti e dalle preghiere di questi eroi, fra cui vari italiani, e per la fondazione del nostro Aspitantato in Tokyo proprio in questo luogo, fonte di zelo e forza nell’apostolato?

Ill.mo Signore, degnatevi di ascoltare la voce del povero Missionario, e quanto potete donarci della vostra carità sia inviato al nostro Ven. Rettor Maggiore… oppure…

Invoco su Voi e sulle vostre famiglie le più elette benedizioni del Cielo.


Riconoscente

Sac. Vincenzo Cimatti

Ispettore sales., Mission. in Giappone


1 Segue su tre grosse facciate la dettagliata storia del Padre Sidotti qui riportata. Don. Cimatti cita alla lettera da uno studio di Don C. Tassinari. Padre Sidotti fu tenuto prigioniero nelKirishitan Yashiki” [prigione dei cristiani] dove morirono parecchi martiri, che allora si desiderava acquistare. Attualmente questo posto storico è occupato da abitazioni private e in parte da un deposito ferroviario, e c’ è solo una lapide che lo ricorda. Ai tempi di Don Tassinari c’era ancora il sotterraneo dove P.Sidotti fu fatto morire di fame. Anche Don Marega fece molti studi su questa prigione.