1290 tirone


1290 tirone

1290 /Tirone Pietro / 1934-8-9 /


1 a Don Pietro Tirone, Direttore Spirituale Generale

▲back to top



9 agosto 1934

M. R. Sig. Don Tirone,

Grazie della sua ultima da Budapest, tanto più cara perché arricchita anche dalla chiara calligrafia del buon Don Antal.

Non ricordo che cosa le abbia scritto nell’ultima perché non tengo copia delle lettere intime. In generale ai singoli Superiori raccomando le nostre cose, affinché sentendole trattare in Capitolo, si muovano – anche se non sono cose del loro dicastero e così ci vengano in aiuto.

L’insistenza di Don Cimatti in tante cose fu interpretata non so come – ma sta il fatto che se non insisto non si ottiene, né si può farsi capire, e perciò mi compatiscano e ascoltino.

Per gli studi si fa come si può, ma è chiaro che con niente si fa niente, e la colpa sarà certo non nostra.

Per i miei piagnistei le posso garantire che non sono tali. È chiara visione, chiarissima visione del mio stato, dello stato delle nostre anime per quello che dipende da me – dello stato delle cose nostre – è per me un dovere di coscienza, e non posso non farlo – non lo debbo. Ne ho anche scritto a Roma. Don Cimatti non è capace di fare il Superiore – ma mi lascino lavorare tranquillo, che con la grazia di Dio lavorerò per dieci – non domando che questo e mi pare che il Signore e i Superiori mi esaudiranno.

Ma per questo bisogna pregare e prego – non sono dunque piagnistei, ma preghiere e queste non fanno male. I Superiori non credono opportuno ascoltare? E le cose vanno come vanno? Stia certo che Don Cimatti tenta di fare e non riesce, la colpa non è certo sua. È stato il pensiero direttivo di tutta la mia vita. Se non riesco a farmi capire quid faciam? Lei mi cita fraternamente il “nemo judex in causa propria” ed ha ragione. Don Cimatti con la stessa fraternità le dice l’articolo della regola in cui quando il confratello crede che una cosa sia utile o necessaria, ecc. ecc. ed è indicato anche quanto deve fare il Superiore.

Ad ogni modo la mia parte (ritenendola cosa necessaria) è di domandare, e domando. Quanto al fare presto, molto, grandi cose (vedesse la piccolezza delle nostre cose) secondo le possibilità reali; è necessità e purtroppo piange il cuore, bisogna piegarsi.

Ma converrà con me che il non fare (e sono obbligato così) quando va a sbattere contro la salute spirituale delle anime, e quando si vede che altri ottengono (ma mi dica dove vanno i 100 - 200 e più missionari che partono ogni anno? Andranno bene a vantaggio delle missioni… e sono solo chierici?) sono bocconi amarissimi a trangugiarsi. Ad ogni modo debbo ringraziare i Superiori – farei male a lamentarmi – ma che vuole? Penso che avremmo potuto fare il doppio – o se fossero stati altri alla testa della missione giapponese si sarebbe fatto.

Senta, amatissimo Sig. Don Tirone, o diamo lavoro ai confratelli e lavoro adatto a loro, e li salviamo, o non possiamo? E allora è meglio chiudere e tornare. Ecco perché Don Cimatti chiede per sé e per gli altri. Non capisco il punto delle iniziative private e quindi passo sopra.

L’amatissimo Don Ubaldi! Sia fatta la volontà di Dio. Esempi per noi. Per le qualità dei confratelli… francamente… il più delle volte i Superiori non sono informati del reale stato delle cose – coloro che li cedono non dicono con franchezza il loro giudizio, perché non domandato dai Superiori. Provino a domandare per es. al Sig. Don Antoniol il suo parere su Don Lucioni e Don Cecchetti – al Sig. Don Terrone il giudizio sul coad. Fogliani, e potrei continuare…

Deo gratias: ad ogni modo prego il Signore che mi aiuti a correggere i miei difetti che non sono pochi.

Preghi per me.

Suo aff.mo

Don V. Cimatti, sales.