Bollettino_Salesiano_198906cooperatori


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ANNO 113 - N.11 • 2• QUINDICINA • 15 GIUGNO 1989
SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE GRUPPO 2° (70)
RIVISTA FONDATA
DA S. GIOVANNI BOSCO
NEL 1877
Sussidio formativo 1989- 1 990
Agli occhi illuminati dall
10 meraviglioso: q
eli
, che
1orn.o,
s
.
1/ 81

1.2 Page 2

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PRESENTAZIONE. Il tema dell'anno
«IL SUSSIDIO ANNUALE»
presentato in un numero spe-
ciale del BS. CC. sembra aver
incontrato consensi un po'
ovunque.
Restano tuttavia aperti al-
cuni probblemi:
- LA MEDIAZIONE dei
temi trattati.
- IL PLURALISMO DI SI-
TUAZIONI dei nostri Centri.
- LA CARENZA di «Mae-
stri capaci e preparati».
In sede di verifica è appar-
sa importante ed essenziale
l'impegno degli organismi di
servizio e di animazione (Con-
sigli ispettoriali e locali) per
riflettere sulle modalità di uso
del Sussidio. L'obiettivo è la
«qualità» della riunione men-
sile, momento forte di forma-
zione permanente e di crescita
dell'associazione.
LA SCELTA DEL TEMA:
Non è uno studio specifico
sullo spirito salesiano, neppu-
re un commento dettagliato al
capitolo 4° del RVA.
Le lezioni richiamano alcu-
ni «nuclei» fondamenntali di
questa parte del Regofamento,
presentati come stimolo e in
sintonia con le sensibilità del-
la nostra Associazione e della
Chiesa Italiana.
Per uno studio più organico
e completo consigliamo, spe-
cialmente per i relatori, la let-
tura di alcuni testi:
- Documento «Christifide-
lis laici».
- Lo Spirito Salesiano
(Don J. Aubry).
- Un cammino di semplici-
tà (Don N. Palmisano).
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Il pane salesiano
Questo su «Vangelo vivo» è ciò che noi chiamiamo «spirito sa-
lesiano». Seguire questo spirito vuol dire far parte della Famiglia
Salesiana.
Incontrare e amare Don Bosco e la sua famiglia è dunque incon-
trare, amare e vivere lo spirito salesiano. E vivere lo spirito è il no-
stro modo concreto di vivere il Vangelo nella Chiesa.
Non si tratta quindi di sovrapporre o affiancare vita cristiana e
vita salesiana. La «salesianità» non è una vernice con cui si pittu-
ra la macchina della nostra vita cristiana. Non si tratta di fare
qualcosa secondaria in più, rispetto alle esigenze primarie del
Vangelo. Qui è questione di vivere il medesimo Vangelo secondo la
particolare sensibilità, originalità e genialità che in Don Bosco fu
suscitata dallo Spirito Santo: si tratta di mangiare autentico pane
evangelico impastato e cotto e profumato in maniera salesiana, e
così offrirlo ed offrirsi al mondo.
Spirito: non è facile
Parlare però di «spirito» e di «spirito salesiano» non è facile. Così
non si apprenderà a vivere la spiritualità e l'arte educativa di Don
Bosco leggendo questo libro, o altri libri anche se di diverso calibro,
come non si impara a nuotare limitandosi a leggere libri sul nuoto.
Uno spirito è un modo concreto di vivere il Vangelo: è dunque con-
cretezza e vita, non astrazione e teoria. Lo Spirito ha il calore e il mo-
vimento della vita, bisogna coglierlo nel vissuto, leggerlo nel movi-
mento e nella tradizione viva. Un'ideologia si coglie più facilmente
sui libri e nei discorsi. Uno spirito invece si coglie più facilmente nel-
le azioni e nella comunicazione di vita, come un fuoco che si accende
da un altro fuoco. Lo spirito va dunque colto nell'insieme della vita e
dell'esperienza: questo vale maggiormente per Don Bosco che fu par-
ticolarmente uomo pratico, d'azione, che diede il primato all'espe-
rienza, al fare. Don Bosco non è lo studioso da biblioteca, scientifico e
sistematico: è essenzialmente un artista dell'educazione, un santo
educatore. Non è il tipo che studia a tavolino e poi pretende di cam-
biare la società partendo dalle conclusioni cui è giunto teoricamente:
Don Bosco si mette al lavoro sotto la spinta urgente dei grandi ideali
evangelici. A tavolino si siede pure, ma sempre per scrivere quello
che ha a lungo sperimentato nella pratica.
All'interno di questa azione educativa e pastorale, all'interno
dell'esperienza dei primi salesiani, possiamo cogliere lo spirito di
Don Bosco, le sue idee-forza, le parole-chiave della sua esperienza
spirituale ed educativa, anche se poi è molto difficile far rientrare or-
ganicamente il tutto dentro alcune piste.
(Da «Un cammino di semplicità»)

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Una preziosa eredità
PREMESSA
Guidato dallo Spirito Santo, Don Bosco ha vissuto e ha tra-
smesso ai membri della sua Famiglia uno stile originale di vita e
di azione: LO SPIRITO SALESIANO.
È una tipica esperienza evangelica che caratterizza e dà
un tono concreto alla presenza e azione nel mondo, alle rela-
zioni con i fratelli e al rapporto con Dio. Ha la sua sorgente
nel cuore stesso di Cristo, si alimenta nell'impegno apostolico
e nella preghiera, e pervade tutta la vita, rendendola una te-
stimonianza di amore.
Il Cooperatore accoglie questo spirito come dono del Signore
alla Chiesa e lo fa fruttificare secondo la condizione secolare che
gli è propria (RVA 26).
Non si può certo ridurre la vita
salesiana dei Cooperatori a una co-
pia ain formato ridotto» di quella
dei Salesiani; né è pensabile presen-
tare l'ideale salesiano delle Coope-
ratrici prendendo quello delle Suo-
re di Don Bosco e limitarsi a toglie-
re gli elementi connessi con i voti e
con la vita comune.
Cooperatori e Coopratrici non sono
religiosi né suore, come lo sono,
invece, per una specifica vocazione, i
Salesiani e le Figlie di Maria Ausilia-
trice. La vocazione dei Cooperatori è
quella di essere «Salesiani nel mon-
do», senza vincoli voti religiosi: è
una vocazione specifica, origina-
le. La cosa difficile da definire è ap-
punto questa: come si può essere «Sa-
lesiani Cooperatori» in famiglia, nel-
l'ambiente di lavoro, nell'ambito dei
rapporti sociali, nella Chiesa locale,
parrocchiale e diocesana? Come si
può svolgere la missione salesiana e
vivere lo spirito di queste situazioni
di lavoro e di vita?
Quanto allo spirito salesiano i
Cooperatori sono chiamati a farne
proprio tutti i valori. Devono, però,
viverli ed esprimerli nel tessuto vi-
vente della loro esperienza quostidia-
na e, quindi, con coloriture e modula-
zioni secolari, distinte da quelle dei
Salesiani e delle Suore di Don Bosco.
Solo così possono imprimergli una fi-
sionomia propria, originale.
1. SPIRITO SALESIANO
Sommariamente si può definire lo
spirito salesiano il nostro proprio
spirito di pensiero e di sentimento, di
vita e di azione, nel mettere in opera
la vocazione specifica e la missione
che lo Spirito Santo non cessa di dar-
ci. Oppure, più dettagliatamente, lo
spirito salesiano è il complesso degli
aspetti e dei valori del mondo e del
mistero cristiano (Vangelo anzitutto,
Chiesa, Regno di Dio, ...) ai quali i fi-
gli di Don Bosco, accogliendo l'ispira-
zione dello Spirito Santo e in forza
della loro missione, sono particolar-
mente sensibili, tanto nell'atteggia-
mento interiore quanto nel compor-
TESTIMONI... DI AMORE!
IL SEME DELLE ORIGINI
Per ogni lezione presenteremo
alcune figure di Cooperatori e
Cooperatrici, segni di fedeltà e di
vita dello spirito salesiano nel
mondo laico.
Sono brevi cenni! Non sarà diffi-
cile trovare di più nelle loro bio-
grafie pubblicate nella Collana
«modelli».
Sono pochi spunti... per essere
aiutati a cogliere attorno a noi le
«piccole» testimonianze «silenzio-
se» quotidiane e a farci loro corag-
giosi imitatori!
In questa prima lezione il ricor-
do va alle origini, alla prima figu-
ra di COOPERATRICE MODELLO:
MAMMA MARGHERITA e a tanti
volti comuni!
Un chincagliere, un conte, un
marchese e una madre in mezzo a
una schiera turbolenta e vocian-
te di ragazzi guidati da un prete
chiassoso: ecco i primi Coopera-
tori Salesiani. La società di Don
Bosco non era ancora nata, ma
tamento esteriore.
Capire lo «spirito di Don Bosco» si-
gnifica affrontare il delicatissimo
sforzo di entrare nell'animo suo e di
coglierne l'elemento più atto a spie-
gare l'uomo, l'opera e lo stile di vita.
Qual è questo elemento attorno a cui
si è organizzata e costruita tutta l'at-
tività e la vita di Don Bosco? E la ca-
rità apostolica del nostro Fondato-
re, contrassegnata dal dinamismo
giovanile.
essi erano già li, ai posti di com-
battimento, nonostante l'invito
dell'autorevole marchese di Ca-
vour a tralasciare quei poveri
«mascalzoni►>, fortemente sospet-
ti allo Stato laico nascente per
quel loro assembrarsi tumultuo-
so e clericale_ Questi conti e mar-
chesi, queste mamme e chinca-
glieri si chiamavano Cays, Fossa-
ti, Callori di Vignale, Scarampi
di Pruney, Gagliardi..., uomini e
donne diversi, lontani, vari, ma
uniti tutti da uno stile inconfon-
dibile, salesiano.
C'era chi insegnava nella scuola
serale, chi pagava l'assistenza, il
catechista, il responsabile dei gio-
chi e del tempo libero, c'era chi la-
vava camicie e pantaloni e chi cer-
cava lavoro «presso ad onesto pa-
drone►>: tutto ciò per i «ragazzi pe-
ricolanti ed abbandonati», perché
un giorno potessero divenire
«buoni cristiani ed onesti cittadi-
ni». Un «modo pratico» insomma,
«un mezzo di operare►> per «poter
giovare al buon costume ed alla ci-
viltà, sostituendo alle parole e alle
promesse «fatti, sollecitudini, di-
sturbi e sacrifizi»
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Come per Don Bosco, così per ogni
membro della sua Famiglia, questa
carità dinamica ha un'unica sorgente
ed un unico modello vivente: il Cristo
del Vangelo.
Il Vaticano II ha dichiarato che la
vocazione all'apostolato e alla perfe-
zione cristiana è sì comune a tutti i
battezzati, ma si concretizza in forme
diverse secondo le funzioni ecclesiali
e gli stati di vita dei singoli fedeli.
Lo spirito salesiano è una tipica
esperienza evangelica ed ha come
fondamento insopprimibile i valori
del Vangelo, si innerva in essi e con-
ferisce loro un volto salesiano.
2. OPEROSITÀ INSTANCABILE
MA GIOIOSA
• «Il primo elemento dominante
dello spirito salesiano è la prodigiosa
attività sia collettiva che individuale.
Cosa vuol dire tutto questo per il
Cooperatore oggi?
Per il cristiano, il lavoro svolto nel-
l'ambito familiare come in quello so-
ciale, è «un collaborare con Dio nel
trasformare la creazione e nel co-
struire una società più umana». Con-
siderati alla luce del Vangelo, il lavo-
rare per vivere e il lavorare per il
servizio agli altri diventano manife-
stazioni concrete e quotidiane di
amore a Dio e ai fratelli.
.Il Cooperatore come si comporta
d1 fronte alla dura ascetica che ac-
compagna il proprio lavoro dome-
stico o professionale o sociale? Non
c~rto con disappunto o con un atteg-
giamento rassegnato, non potendo-
ne fare a meno o diversamente ma
«con gioia», nascondendo le esigen-
ze di tale ascesi sotto un comporta-
mento ilare e vivace, frutto non del
carattere o del temperamento più o
meno felice, ma di una scelta cri-
stiana e salesiana.
L'aderenza al concreto e l'elastici-
tà di adattamento, è un aspetto del
realismo della sua carità dinamica e
della sua volontà operativa che pun-
ta all'efficacia.
«Sono sempre andato avanti come
il Signore mi ispirava e le circostan-
ze esigevano».
L'attenzione alle situazioni reali è
un aspetto essenziale dello spirito sa-
lesiano. Prima di essere un ideale e
una bella dottrina, è una realtà da vi-
vere nell'esistenza di ogni giorno. Do-
vrebbe, quindi, essere studiato in-
nanzi tutto a partire dalla vita cioè
dalle esperienze maturate, for~e sor'.
ferte dei Cooperatori nella trama or-
dinaria della loro vita familiare e
professionale.
Lo spirito salesiano prima di tut-
to lo si vive, e il più delle volte spon-
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taneamente, senza averne una cono-
scenza riflessa: quello che più conta
è che una persona lo viva in modo
autentico e irradiante. Non solo: esso
viene assimilato e trasmesso ad altri
con semplicità, attraverso il contatto
e la convivenza con persone che ne
siano animate più o meno intensa-
mente. Nella pratica, le cose avven-
gono appunto così, e così deve essere.
Un uomo sano vive contento, senza
pensare ai meccanismi complessi che
garantiscono la salute al suo organi-
smo. A nessuno, però, verrà in mente
di dire che le scienze mediche non
servano. Senza dubbio, esse non sono
la salute, ma aiutano a conservarla.
Una cosa analoga avviene per lo spi-
rito salesiano e il suo studio: le lezio-
ni che seguono cercano di approfon-
dire la dimensione secolare per co-
noscerlo meglio e per facilitarne l'ap-
plicazione nella vita dei Cooperatori.
E chiaro, però, che il primato spetta
sempre alla vita: lo spirito salesiano
va innanzi tutto vissuto; se lo si stu-
dia è per poterlo vivere in maniera
più coerente e più convinta.
3. CONCLUSIONE
Ma non ci si può fermare a Don Bo-
sco, perché lo Spirito Santo non ha li-
lnitato la sua libera presenza a Don
Bosco; l'ha continuata nella Famiglia
salesiana: per sua opera, il carisma di
Don Bosco è divenuto carisma «per-
manente» o «vivente» tuttora nella sua
Famiglia apostolica. Lo spirito di Don
Bosco è stato come un germe vivente:
ha potuto svilupparsi e rivelarsi larga-
mente nello spazio e dinalnicamente
nel tempo, perché la vita, le attività e
le «sane tradizioni» dei membri della
Falniglia salesiana (SDB, FMA, VDB,
Cooperatori, Ex-allievi ecc.) in un seco-
lo di esistenza ne hanno anche messo
in rilievo i «valori».
Il Concilio ha insegnato che in ra-
dice, le esigenze evangeliche s~no as-
solutamente le medesime per tutti i
battezzati: la radicalità del Vangelo è
richiesta a tutti senza alcuna distin-
zione di sostanza. La differenza tra
religiosi e secolari non va stabilita in
base alla quantità di precetti o consi-
gli che gli uni compiono rispetto agli
altri, e neppure a partire dalla radica-
lità o meno con cui si è chiamati a vi-
vere il Vangelo. La differenza va sta-
bilita, invece, a partire dalla forma
concreta con cui questi precetti e con-
sigli e questa radicalità sono percepiti
ed esistenzialmente vissuti nelle di-
stinte funzioni ecclesiali e forme di vi-
t~: dal laico, come laico; dal sacerdote
d10cesano, come sacerdote secolare·
dal religioso, come religioso.
'
PREMESSA
L'elemento caratterizzante
in Don Bosco: l'amore
Poniamo una domanda: all'inizio,
alla radice della spiritualità di Don
Bosco, del Sll.O modo di essere cri-
stiano, c'è un elemennto che gli
un'impronta particolare? E se
c'è, qual è?
L'elemento che sta alla radice, alla
base della personalità e della spiri-
tualità di Don Bosco, non è una con-
vinzione ma un atteggiamento: è
l'amore; quell'amore personalizzato,
grande, veramente insopprimibile.
Nel~a sua manifestazione verso i gio-
vam, Don Bosco chiamò questo amo-
re con la parola «amorevolezza», che
Don Stella definisce «amore dimo-
strato» (Don Bosco nella storia della
religiosità cattolica, II 448) e che Don
Braido dice «supremo principio del
suo metodo educativo», «elemento
caratteristico e distintivo della con-
cezione ed azione educativa di Don
~osco» e «anima del sistema preven-
tivo» (P. Braido, Il sistema preventivo
di Don Bosco, p. 156).
Se si esamina la
l'amore (verso Dio
veivtaerdsioDgolinaBltoris)coci
appare un elemento così «all'inizio»
della sua personalità, che sembra
connaturale in lui, istintivo. E cresce
talmente nella sua vita da far pensa-
re che sia rimasto sempre il fondo
più genuino, il retroterra più caratte-
ristico della sua personalità. Un amo-
re realistico, che non si ferma mai
alle parole ma va subito (come ogni
amore genuino) ai fatti.
Nel sogno dei 9 anni Giovannino
sente dei ragazzi bestemmiare. E su-
bito si lancia a fare a pugni con loro

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Nel segno dell'Amore
... Ha la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo, si alimenta
nell'impegno apostolico e nella preghiera, e pervade tutta la vi-
ta, rendendola una testimonianza di amore.
Il Cooperatore accoglie questo spirito come dono del Signore
alla Chiesa (RVA 26).
in una sola, profonda benevolenza, e
negli anni della maturità acquistano
il sapore quieto e soggiogante del pa-
dre di famiglia.
Da questo stile paterno-educativo
emergono insegnamenti su cui sareb-
be opportuno confrontarsi:
- la presenza di un amore che di-
spone ad accogliere l'altro così com'è e
a partecipare alla sua vita e ai suoi in-
teressi. Ecco l'amorevole familiarità;
- la esigente presenza dei valori
che l'educatore conosce e possiede
(diversamente non sarebbe educato-
re), e ai quali orienta naturalmente
ma decisamente il ragazzo, attraver-
so il coinvolgimento, la partecipazio-
perché offendono il Signore. In que-
sto piccolo particolare si vede chiaro
che Giovanni vuol bene al Signore, e
sente le offese contro Dio come offese
a se stesso. Si vede pure chiaro che
non sta a calcolare se lui è più picco-
lo o più grande, se lui è solo o se gli
altri sono molti. Vuol bene al Signore
e quindi passa ai fatti concreti per di-
fenderlo. L'uomo maestoso del sogno
non gli dice che questo atteggiamen-
to è sbagliato, ma solo che deve tra-
durre il suo amore per Dio in fatti di-
versi: non picchiare, ma insegnare
«la bruttezza del peccato e la prezio-
sità della virtù».
Negli stessi anni, Secondo Matta,
un ragazzo garzone di una fattoria vi-
cina, scende con lui nella valle a pa-
scolare due mucche. Ha in mano la
colazione del povero: una fetta di
pane nero. Giovanni, che ha una fet-
ta di pane bianco, non gli dice: «Pove-
rino!», ma: «Per favore, scambiamoci
la fetta di pane». E questo, stando
alla testimonianza del signor Matta,
«per alcune stagioni intere». Anche
qui Giovanni vuol bene al suo com-
pagno di lavoro , e di conseguenza
passa ai fatti concreti per aiutarlo.
Nel parlare d'amore la lingua ita-
liana ci tradisce un po'. Amore è pa-
rola banalizzata. Voler bene a Dio e
agli altri può essere solo un senti-
mento. Voler «il» bene di Dio e degli
altri è qualcosa di più sostanzioso,
concreto, duraturo, ma può sembra-
re freddo. Occorre che il sentimento
sia unito alla sostanza, il «voler be-
ne» al «volere il bene»: diventa allora
un atteggiamento che si sente e si ve-
de. In italiano forse la parola più vici-
na al concetto è benevolenza, che dice
«voler bene» e «volere il bene». Ecco,
se chiariamo così i termini, possiamo
affermare che l'elemento che sta alla
radice, all'origine della spiritualità di
Don Bosco è la benevolenza.
Ma al di là delle parole, l'impor-
tante è intendersi, e i fatti della vita
di Don Bosco fanno intendere che
l'elemento che permea tutta la sua
spiritualità è l'amore, che può be-
nissimo esprimersi con i termini
«amorevolezza» e «benevolenza».
Hanno detto i suoi ragazzi: «Mi vo-
leva bene». E uno di loro, Luigi
Orione, scriverà: «Camminerei sui
carboni ardenti per vederlo ancora
una volta e dirgli grazie».
Amore di Dio ed al prossimo
·È lecito farsi una domanda. L'amo-
re per Dio e l'amore per gli altri, in
Don Bosco sono due elementi distinti
o un elemento unico? Sembrano un
elemento unico.
Mentre in altre persone l'amore
verso Dio e quello verso il prossimo
sono abbastanza separati, e si può
notare se prevale l'uno o l'altro, in
Don Bosco sono fusi, compenetrati,
inseparabili. Formano una benevo-
lenza unica.
Se in Don Bosco l'amore verso Dio
fosse prevalente, quasi staccato dal
prossimo, la preghiera che nasce in
lui sarebbe una preghiera di lode, di
contemplazione. Invece, poiché in lui
l'amore di Dio è tutt'uno con l'amore
del prossimo, la sua preghiera (e
quella che insegna ai giovani) è quasi
tutta preghiera di domanda.
Egli ha trovato nell'amore dei gio-
vani lo stimolo, la spinta a santificar-
si, a diventare più «uomo di Dio».
L'ha insegnato tante volte ai suoi sa-
lesiani: «Vuoi fare del bene ai tuoi
giovani? Prega di più per loro, fai sa-
crifici per loro. Vuoi farli più buoni?
Diventa tu più santo».
In una parola: l'amore di Dio e
quello dei giovani sono talmente
compenetrati nella vita insegnataci
da Don Bosco che l'amore di Dio ci
aiuta ad amare i giovani e l'amore
dei giovani ci spinge ad amare Dio.
Questi due amori si fondono in lui
TESTIMONI... DI AMORE!
BARTOLOMÉ BLANCO MAR-
QUEZ (1914-1936). - Giovane sin-
dacalista cattolico, ad appena 21
anni, dopo averne trascorsi 5 in
contatto con i salesiani come cate-
chista dell'oratorio festivo di Po-
zoblanco, viene fucilato a Jaén du-
rante la guerra civile spaguola.
Operaio, impagliatore di sedie,
era un cattolico impegnato in poli-
tica, e, sostenuto da ideali di giu-
stizia e libertà, si sentiva di agire
come coscienza critica sia di quei
cristiani che offendevano la pri-
ma, sia dei repubblicani che con-
culcavano la seconda.
Allo scoppio della guerra civile -
catturato, processato e condan-
nato a morte, poté affermare, con
una frase che attesta la sua sere-
nità e fortezza cristiana: «I miei
giudici avranno formulato la
sentenza con la stessa tranquilli-
tà che ho io?».
ne alla vita di famiglia, di una fami-
glia ordinata;
- infine la gioia, frutto di questo
clima e delle faticose ma entusia-
smanti conquiste dei valori autentici.
L'amore che ha creato il clima edu-
cante, diviene amore che permea la
vita del ragazzo e gli dona slancio an-
che nelle cose ardue. Lo costituisce
persona capace di «realizzare con
una certa facilità, con soddisfazione,
senza grandi dissidi interiori e senza
ansie, le finalità autenticamente con-
tenute nel proprio progetto di vita».
***
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Sulle strade del cuore
Il centro e la sintesi dello spirito salesiano è quella «carità
pastorale» che Don Bosco ha vissuto pienamente facendo pre-
sente tra i giovani l'amore misericordioso di Dio Padre, la ca-
rità salvifica di Cristo Pastore e il fuoco dello Spirito che rin-
nova la terra (RVA 28,1).
PREMESSA
Una pittoresca massima di S.
Francesco di Sales è diventata pro-
verbio: «Si prendono più mosche
con una goccia di miele che con un
barile di aceto». Il miele, sul piano
della convivenza familiare, equiva-
le alla amorevolezza, alla compren-
sione, alla dolcezza. L'aceto stareb-
be a rappresentare l'asperità, la du-
rezza, l'eccessiva severità, le cattive
maniere .
1) La pedagogia del cuore
La pedagogia di Don Bosco prima
di essere stata tradotta in documenti
riflessi, in scritti sistematici, ha pre-
so il volto di quei moltissimi giovani
da lui educati.
Le famose tre biografie del Savio,
Magone e Besucco, ad esempio, sono
semplicemente l'involucro esterno di
quelle idee e contenuti che precisa-
mente costituiscono l'essenza della
pedagogia di Don Bosco: personalità
cristiana e soprannaturale e forma-
zione umana del giovane, studiato e
rispettato nella sua individualità.
La biografia del Magone sembra
tradire in Don Bosco una speciale
simpatia per quel tipo di ragazzo, che
gli rappresentava la categoria più co-
mune di giovani, quelli per i quali
sembra meglio tagliato il sistema
preventivo, la cui ragione più essen-
ziale è la mobilità giovanile e il cui
segreto è guadagnare il cuore del gio-
vane per potergli poi parlare col lin-
guaggio del cuore di tutti i suoi veri
interessi, compresi quelli eterni.
«Non vi è altro scritto del Santo
Maestro - afferma il Caviglia -
dove il cuore, quello che umanamen-
6/86
te si chiama il buon cuore e il cuore
buono, abbia la parte dominante come
in questo, e sia senz'altro il protagoni-
sta di tutto codesto stupendo dramma
biografico, dettato dal cuore di Don
Bosco. Lo affermo quì a conclusione
di tutto il mio discorso, perché, se ho
voluto presentare nel Magone una
classica esperienza educativa, fu per-
ché è data tutta sul principio, che sta
per Don Bosco sopra ad ogni altro
concetto educativo, che per educare
bisogna scendere con proprio cuore
nel cuore del giovane, e che, quando
questo risponde, tutta l'educazione è
assicurata. La vita di Magone è un
classico della pedagogia di Don Bo-
sco» (Il «Magone Michele»... in «Sale-
sianum», 1949, p. 614).
((Tutto il sistema di Don Bosco vive di
amorevolezza, e consiste nel trovar nei
giovani le vie del cuore. Quando c'è
questo , tutto si può fare: quando il cuo-
re non c'è, non si fa nulla; si può geo-
metrizzare la figura, ma non darle una
vita o ritornarvela. E il cuore... non è
un'astrazione o una frase: è un senti-
mento che va, sì, allo spirito, ma risie-
de nell'uomo e parte da esso. Cuore
vuol dire capacità e disposizione a vo-
ler bene, come si intende da tutti i par-
lanti la lingua di tutti: non il voler
bene ideologico e raziocinato, che salta
la persona per guardare all'infinito»
(Un documento inesplorato..., in «Sale-
sianum», 1948, p. 261).
In concreto «mentre la Vita di Ma-
gone diventa spontaneamente cele-
brazione della "pedagogia del cuore"
per i più tra i ragazzi, la biografia
quasi sistematica del Besucco vuol
essere soprattutto un documento ri-
flesso del metodo di Don Bosco inteso
come pedagogia spirituale, nella qua-
le il coefficiente e la componente reli-
giosa, soprannaturale, cristiana, si
pone come nucleo essenziale, l'alfa e
l'omega» (Braido Pietro, Gli scritti
sul sistema preventivo nella educazio-
ne della gioventù, p. 178).
TESTIMONI... DI AMORE!
«LA ELEMOSINIERA DI DIO»
Donna DOROTEA CHOPITEA
SERRA (1816-1891). - È una nobile
figura di cooperatrice salesiana
espressa dalla Spagna di fine seco-
lo. La Chiesa ne ha avviato la cau-
sa di beatificazione. La «Venerabi-
le» cominciò a contattare Don Bo-
sco nel 1882, allorché, rimasta ve-
dova dopo 50 anni di felice matri-
monio, andava dedicandosi in pie-
no alle opere sociali.
«La nostra mamma di Barcello-
na», così come la chiamava il fon-
datore salesiano, «la elemosiniera
di Dio», destinò i suoi beni alla
fondazione di asili, scuole, ospeda-
li, laboratori d'arte e mestieri a
pro dei giovani, dei poveri e degli
abbandonati.
Fu lei a chiamare i salesiani a
Sarrìa, l'opera che divenne casa
madre della Congregazione in
Spagna_ Fu ancora lei a chiamarvi
le suore FMA_ In Donna Dorotea
si amalgamavano perfettamente
umanità e altruismo, spirito di
preghiera e carità.
2) Intelligenza e cuore
in un valido messaggio educativo
A giovani senza amore Don Bosco
ha ridonato l'amore. A giovani senza
famiglia, perché inesistente o da essi
fisicamente o spiritualmente lonta-
na, Don Bosco ha cercato di costruire
o ricostruire l'ambiente e il clima
della famiglia.
Mi pare estremamente importante
tentare di cogliere i motivi di fondo
dell'opera e degli atteggiamenti di
Don Bosco.. . un uomo dotato di una
profonda disponibilità al migliora-
mento mediante il continuo cambio:

1.7 Page 7

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• a) anzitutto la FEDE PEDAGOGI-
CA, particolarmente in relazione alla
gioventù abbandonata. Don Bosco si
lasciava guidare dalla certezza che tut-
ti i giovani, praticamente, potevano di-
ventare buoni uomini. Il germe della
bontà, la possibilità di riuscita era in
ogni giovane. Bisognava solo trovare
la strada, ed era quella del cuore. Ecco
perché fu con totale dedizione e dovo-
zione che egli si è preso in cuore la
sorte di migliaia di piccoli vagabondi,
ladroncelli per abbandono o per mise-
ria, ragazzini e ragazzi affamati e sen-
za casa. I giovani, appunto per questo,
occuparono il suo cuore; erano il do-
minante pensiero della sua vita. Ricor-
dare Don Bosco, allora, è ricordare la
sua fede, non solo fiducia, nei giovani
rifiutati dalla società. Essi rappresen-
tavano addirittura la sua gloria. E tut-
to ciò in un momento storico in cui
l'attenzione e le cure educative da par-
te della società e di orgnismi, erano di-
rette unicamente ai fanciulli per bene,
a modo, anzi il più a modo possibile.
• b) Un 'altra caratteristica illumina
la figura di Don Bosco: ha intuito e sen-
tito la forza dell'amore dell 'educatore
(l'amore educativo). Egli non si è per
nulla preoccupato di adeguarsi e con-
formarsi ai sistemi, metodi e concezio-
ni pedagogiche usuali del suo tempo...
Era apertamente nemico di un'educa-
zione che accentuava soprattutto...
l'autorità, che predicava un rapporto
freddo e distanziato tra educatore ed
educandi... Secondo Don Bosco, infatti,
la violenza puniva veramente il vizio,
ma non guariva il vizioso... E così non
giustificava e non ammetteva le puni-
zioni pubbliche, esemplari, che avreb-
bero dovuto avere un effetto di preven-
zione, incutendo paura, ansia e ango-
scia... Aveva capito che nessuna edu-
cazione è possibile senza guadagnare il
cuore del giovane. E qui è_ appunto
l'originalità di Don bosco... E in una
parola amorevolezza.
c) Una terza caratteristica del me-
todo educativo di Don Bosco: il consen-
so, la partecipazione del giovane. Era
convinto che nessun tentativo pedago-
gico portava frutto, finché non avesse
trovato fondamento nella interna di-
sposizione del giovane; per questo, se-
condo Don Bosco, bisognava contare
molto sull'opera dei genitori, i quali
più di qualsiasi altro educatore, erano
in grado di suscitare consenso e parte-
cipazione, appunto perché vivevano
nel clima di una famiglia, di cui anche
i giovani fanno parte.
• d) C'è Poi una caratteristica che
riguarda la sfera nella quale si com-
pie l 'educazione. È tipica della peda-
gogia di Don Bosco: la creaz ione e la
conservazione di una allegria, per
cui ogni giorno diventa una festa. È
però un'allegria che sussiste solo, e
non potrebbe essere diversamente, in
virtù di un'attività creativa, che
esclude ogni noia, ogni senso di stan-
chezza per non sapere come occupa-
re il tempo. Don Bosco possedeva in
questo campo una inventiva e una
abilità che gli permettevano con
straordinaria abilità di non solo in-
trattenere, ma di attirare i suo giova-
ni attraverso il giuoco, recite, canti,
attività varie. E si rendeva perfetta-
mente conto che la creazione di una
sfera di allegria rappresentava per
lui un compito obbligatorio.
I giovani, naturalmente, devono sco-
prire dove è il loro errore; per questo
hanno bisogno dell'aiuto dell'educato-
re, cioè della sua disapprovazione, ma
non è affatto necessaria che questa sia
accompagnata da violenza. La disap-
provazione è un appello alla coscienza.
Succede spesso nell'opera educativa
che un troppo forte legame dell'educan-
da alla persona dell'educatore minaccia
il favorevole effetto della sua attività
educativa. Può facilmente sorgere un
mito, carico di sentimento, che egli rap-
presenti un ideale integro...
L'educatore deve essere la guida ai
valori, non alla sua persona. I giova-
ni non devono diventare disposti a
fare la nostra volontà. Essi devono
imparare a fare la loro volontà...
L'educatore lavora per il futuro; ma
non può lavorare sul futuro. Deve
quindi accettare di essere continua-
mente esposto alla revisione della sua
opera, delle sue metodologie e soprat-
tutto deve essere continuamente preoc-
cupato di scoprire sempre più profon-
damente la realtà dell'educando, per in-
tervenire al momento opportuno.
4
Santificarsi nel mondo
Il Cooperatore si sente «intimamente solidale» con il mondo in
cui vive e nel quale è chiamato ad essere luce e lievito (RVA 29,1).
vdie.ovnearree
PREMESSA
La vocazione dei fedeli laici alla
santità comporta che la vita secondo
lo Spirito si esprima in modo peculia-
re nel loro inserimento nelle realtà
temporali e nella loro partecipazione
alle attività terrene. È l'apostolo ad
ammonirci: «Tutto quello che fate in
parole ed opere, tutto si compia nel
nome del Signore Gesù, rendendo
per mezzo di lui grazie a Dio Padre»
(Col 3,17). Riferendo le parole del-
l'apostolo ai fedeli laici, il Concilio af-
ferma categoricamente: «Né la cura
della famiglia gli altri impegni se-
colari devono essere estranei al-
l'orientamento spirituale della vita».
A loro volta i Padri sinodali hanno
detto: «L'unità della vita dei fedeli
laici è di grandissima importanza: es-
si, infatti, debbono santificarsi nel-
l'ordinaria vita professionale e socia-
le, perché possano rispondere alla
loro vocazione; dunque, i fedeli laici
debbono guardare alle attività della
vita quotidiana come occasione di
unione con Dio e di compimento del-
la sua volontà, e anche di servizio
7/ 87

1.8 Page 8

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TESTIMONI... DI AMORE!
GIUSEPPE TONIOLO (1845-
1918). - Sociologo, economista,
professore universitario, giornali-
sta, fu anche cooperatore salesia-
no: un laico impegnato nell'apo-
stolato secondo lo stile aperto e di-
namico che sarà poi confermato
dal Vaticano II.
La Chiesa ne ha avviato il pro-
cesso di beatificazione e lo ha di-
chiarato Venerabile.
Fedele al papa, convinto asser-
tore della priorità dell'etica e
dunque dell'uomo sull'economia,
si rifaceva come sociologo cri-
stiano a due motti: «Lavoratori
di tutto il mondo, unitevi in Cri-
sto!» e «Tutto per il popolo e per
mezzo del popolo!».
Un giorno chiese a Don Bosco di
mandare i suoi salesiani a Pisa,
dove egli insegnava. «Ora non è
possibile - gli rispose il santo -
ho la Patagonia che assorbe aiuti
e missionari». «Oh, mi creda - gli
replicò il Toniolo - Pisa è una
vera Patagonia!».
Fu così che i salesiani arrivaro-
no anche a Pisa.
rio dei laici è dimensione costitutiva
dell'associazione. È la fatica quoti-
diana ed ordinaria di un'Associazio-
ne che forma le coscienze, che si im-
medesima senza disperdersi nella
pastorale della Chiesa locale, che
contribuisce ad aprire un fruttuoso
dialogo tra Chiesa e Mondo , fra co-
munità cristiana e comunità civile,
che mantengono ferma la sua indole
religiosa, ecclesiale, pastorale; rag-
giunge tutti gli ambiti della vita civi-
le per irradiare - annunciando, te-
stimoniando, servendo - la luce del
Vangelo, la gioia della speranza, la
forza della carità. Anche per l'Italia
di questo tempo l'Associazione vuo-
le essere non già una chiusa cerchia
di persone iniziate ad esclusivi idea-
li, ovvero uno strumento di sterile
lotta o di ambiziosa conquista, ma
piuttosto un'amica schiera di citta-
dini, che hanno fatto propria la ma-
terna intenzione della Chiesa di tutti
redimere e di garantire alla società
l'insostituibile fermento della vera
cristianità.
2) Le due colonne
che reggono il mondo
agli altri uomini, portandoli alla co-
munione con Dio in Cristo».
1) Esigenza di formazione
Nella vita cristiana la formazione è
dimensione intrinsecamente missio-
naria. La comunione con Dio in Cri-
sto Gesù, per lo Spirito Santo costi-
tuisce la comunità di salvati, popolo
di Dio chiamato ad annunciare a tut-
ti le opere meravigliose di Lui e la
vera liberazione.
• FORMAZIONE E COMUNIONE
PER LA MISSIONE: formare una
matura coscienza personale e una
forte coscienza ecclesiale per una let-
tura religiosa della storia, per un di-
scernimento evangelico della situa-
zione-condizione-realtà secolari, per
un annuncio incarnato del Vangelo e
una sua testimonianza cristallina
idonei a raggiungere, scuotere, tra-
sformare, l'anima secolarista, l'intel-
ligenza immanentista, lo spirito ma-
terialista di una buona parte del-
l'umanità contemporanea.
• VERITÀ E CARITÀ sono gli ele-
menti base che in un discorso perso-
nale e associativo si combinano, si
armonizzano, si fanno carne per at-
tuare anche in questo tempo il dise-
gno di salvezza del Padre che la Chie-
sa è chiamata a realizzare come una
specifica ed essenziale missione.
Questo grande impegno missiona-
8/ 88
La confessione e comunione e la de-
vozione alla Madonna sono per Don
Bosco i due poli della formazione re-
ligiosa nel suo pratico progetto edu-
cativo. Lo dice lui stesso: «Credetelo ,
miei cari figlioli, la frequente Comu-
nione è una grande colonna sopra
cui poggia un polo del mondo: la di-
vozione alla Madonna è l'altra co-
lonna sopra cui poggia l'altro polo»
(MB 7, 583.585).
«Dicasi pure quanto si vuole intor-
no ai vari sistemi di educazione, ma
io non trovo alcuna base sicura se
non nella frequenza della confessio-
ne e comunione; e credo di non dir
troppo asserendo che omessi questi
due elementi la moralità resta bandi-
ta». Potrà sembrare un'affermazione
esagerata, ma ignorarla vorrebbe
dire privarsi della chiave di interpre-
tazione di tutto il «sistema preventi-
vo». Nel Pèlerin del 12 maggio 1883
un giornale francese) apparve un'in-
tervista a Don Bosco. Tra l'altro gli si
chiese quale fosse la formazione data
ai suoi giovani; ed egli: «La formazio-
ne consiste in due cose: dolcezza in
tutto e la cappella sempre aperta, con
ogni facilità di frequentare la confes-
sione e la comunione» (MB 16, 168).
E in una «buona notte»: «Con que-
ste due ali, cioè con queste due devo-
zioni, Maria e Gesù Sacramentato,
state certi che non tarderete a solle-
varvi verso il cielo... Oh! Se io potessi
un poco mettere in voi questo grande
amore a Maria e a Gesù Sacramenta-
to , quanto sarei fortunato. Vedete, di-
rò uno sproposito, ma importa nien-
te. Sarei disposto per ottener questo
a strisciar con la lingua per terra di
qui fino a Superga. È uno sproposito,
ma io sarei disposto a farlo. La mia
lingua andrebbe a pezzi, ma importa
niente: io allora avrei tanti giovani
santi» (MB 7, 680 s).
Pedagogia della riconciliaz ione
La pedagogia della «riconciliazio-
ne» è caratteristica in Don Bosco ed è
elemento chiave del «sistema preven-
tivo» perché è un evento di salvezza
che impegna personalmente il ragaz-
zo e lo invita al superamento di sé,
offrendo dinamismi di grazia e Spiri-
to Santo. Eccezionale valore educati-
vo hanno la regolarità nell'incontro
penitenziale, la revisione periodica
della propria vita e l'allenamento
alla riflessione, al controllo di sé, alla
riconciliazione con i fratelli.
Nella pedagogia
di D. Bosco
PRIMA DI TUTTO L'UOMO
Non vivere su questa terra
come un estraneo
o come un turista nella natura.
Vivi in questo mondo
come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare
ma prima di tutto credi all'uomo.
Ama le nuvole, le macchine, i libri
ma prima di tutto ama l'uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca
dell 'astro che si spegne
dell 'animale f erito che rantola
ma prima di tutto
senti la tristezza
e il dolore dell 'uomo.
Ti diano gioia
tutti i beni della terra:
l'ombra e la luce ti diano gioia
le quattro stagioni ti diano gioia
ma ssoprattutto, a piene mani
ti dia gioia l'uomo!
NAZIM HIKMET
ultima lettera al fig lio
Don Bosco! bastava guardarlo!
Anche nelle immagini con ci si sazia
di mirarlo. Egli ha un aspetto sim-
patico, come si dice. Si capisce subi-
to che con Lui si può aver confiden-
za, e allora tutto è chiaro.
Non c'era bisogno di inventar la
Confessione con un volto come il
suo! Essa diventa necessaria. Sì! un
vero bisogno! Guardandolo nasce
subito il bisogno di dirgli tutto, di
confidarsi con Lui e di approfittare
dal momento che si è ancora ragaz-
zi, e di domandargli se è veramente
Gesù vivo tra di noi.
Paul Claudel

1.9 Page 9

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L'educazione a una fede convinta
esige che le pratiche religiose non
siano imposte ma proposte. «Non mai
obbligare i giovanetti alla frequenza
dei Santi Sacramenti, ma soltanto in-
coraggiarli e porgere loro comodità
di approfittarne».
Pedagogia e spiritualità mariana
La devozione alla Madonna è l'al-
tro polo della formazione religiosa
voluta da Don Bosco. La Madre di
Dio fu particolarmente presente ai
Becchi. Ogni giorno, al mattino a
mezzogiorno e alla sera, al tocco
delle campane delle chiese dei bor-
ghi vicini, i contadini interrompe-
vano il loro lavoro e sul posto si
scoprivano il capo, si facevano il se-
gno della croce e salutavano Maria
che porta al mondo la salvezza, Ge-
sù Cristo.
Maria ha occupato un posto singo-
lare nella vita di Don Bosco e nella
storia della sua Congregazione e della
sua Famiglia apostolica. Don Bosco
Fondatore ha detto: «Maria Santissi-
ma è la fondatrice e sarà la sosteni-
trice delle nostre opere». Senza dub-
bio egli è andato d'istinto a Maria, so-
spinto dalla sua anima naturalmente
filiale; ma è ancora più vero che Ma-
ria si è imposta a Don Bosco come
Immacolata e Ausiliatrice...
Il decreto Apostolicam Actuosita-
tem la propone a tutti i laici in que-
sti termini: «Modello perfetto di tale
vita spirituale ed apostolica dei lai-
ci è la Beata Vergine Maria, Regina
degli Apostoli, la quale, mentre vi-
veva sulla terra una vita comune a
tutti, piena di sollecitudini familiari
e -di lavoro, era sempre intimamen-
te unita al Figlio suo, e cooperava
in modo del tutto singolare all'ope-
ra del Salvatore.
La pedagogia del dialogo
Il Cooperatore... nelle sue relazioni, pratica l'«amorevolez-
za» voluta da Don Bosco: si sforza di essere aperto e cordiale,
pronto a fare il primo passo e ad accogliere sempre con bontà, ri-
spetto e pazienza. Tende a suscitare rapporti di fiducia e amici-
zia per creare intorno a un clima di famiglia fatto di semplici-
tà e affetto. È un operatore di pace che cerca nel dialogo il chia-
rimento e l'accordo (RVA 31,2).
PREMESSA
L'impegno sociale dei fedeli laici, è
un impegno che può essere assolto
adeguatamente solo nella convinzio-
ne del valore unico e insostituibile
della famiglia per lo sviluppo della
società e della stessa Chiesa...
L'impegno apostolico dei fedeli lai-
ci è anzitutto quello di rendere la fa-
miglia cosciente della sua identità di
primo nucleo sociale di base e del
suo originale ruolo nella società,
perché divenga essa stessa sempre
più protagonista attiva e responsabi-
le della propria crescita e della pro-
pria partecipazione alla vita sociale.
In tal modo la famiglia potrà e dovrà
esigere da tutti, a cominciare dalle
autorità pubbliche, il rispetto di
quei diritti che, salvando la famiglia
salvano la società...
L'attuale grande crisi della fami-
glia - che è paragonabile a un flagel-
lo epidemico - ha la sua radice nella
crisi degli individui spesso immaturi
a livello umano e incapaci di amare
in modo oblativo. Si crede spesso di
poter individuare nella società le
cause generatrici di tali mali, e in
parte è vero; ma questa non è a sua
volta forse il prodotto delle persone?
È difficile discernere esattamente a
chi spetta e in quale grado la respon-
sabilità di quanto si verifica a tutti i
livelli della convivenza umana.
1) Il Metodo Preventivo
in famiglia
I genitori hanno il dovere di pre-
servare il figlio e se stessi da quan-
to potrebbe mettere in pericolo la
onestà e la religiosità della loro vi-
ta, come di quella dei propri figli.
Come fare?
Offrire anzitutto ai figli, preparan-
TESTIMONI... DI AMORE!
MARIA CASELLA (1895-1975).
- Nasce sotto il segno della pover-
tà a Bantina, in provincia di Sas-
sari: la madre ha appena partorito
ma non ha un panno col quale co-
prire la piccola bimba. Una vicina
le presterà il suo grembiule.
Farà la prima Comunione scalza
e a 12 anni sarà già al lavoro, a
servizio, di casa in casa «come fo-
glia trasportata dal vento». Dalla
cucina al lavatoio, dalla stiratura
alla pulizia dei pavimenti, fa tutto
con gioia e umiltà, mai stanca di
essere in preghiera.
Racconta: «In casa ho trovato
Gesù: nell'umiliazione, nel na-
scondimento, nel lavoro servizie-
vole». Oratoriana delle Figlie di
Maria Ausiliatrice e poi coopera-
trice ha fatto del proprio lavoro
un «sacramento►>, canale di grazia
e di slancio missionario (C.M. n . 6).
9/ 89

1.10 Page 10

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dolo, conservandolo e sviluppandolo
in casa, un ambiente di sicurezza dai
pericoli fisici, mentali, affettivi, mo-
rali e religiosi. Creare inoltre un am-
biente ricco di vita e di soddisfazione
affettiva. A questo fine i genitori de-
vono essere presenti e disponib,ili per
i figli; i figli devono essere liberi di
invitare amici. I genitori hanno poi il
compito di avvertire e sorvegliare gli
inevitabili influssi negativi riportati
dalla scuola, dalle compagnie, dai di-
vertimenti. Devono riprendere per
correggere questi influssi, e se è il
caso eliminarli.
Sull'esempio di Don Bosco, comun-
que, si può ricordare che: prevenire è
meglio che reprimere; la noia e l'ozio
sono cattivi consiglieri; il miglior
maestro è l'esempio; l'amor di Dio è
la massima forza di persuasione; ra-
gionare, convincere e far innamorare
del bene è l'unica via per la definiti-
va vittoria.
L'incontro col male infatti è oggi
inevitabile, e vincono solo i figli edu-
cati a una personalità positiva di ro-
busto valore.
2) L'amorevolezza e la confidenza
della vita in famiglia
Stile di parole e di azione, di «gui-
da» amichevole, paterna, educativa
di Don Bosco con i suoi giovani:
«Io non voglio che mi consideriate
tanto come vostro Superiore quanto
come vostro amico. Perciò non abbia-
te alcun timore di me, nessuna pau-
ra, ma invece molta confidenza, che è
quello che io desidero, che vi doman-
do, come mi aspetto da veri amici». E
ancora Don Bosco offre ai giovani
l'esempio del discorso ai figli in argo-
mento. «Noi non vogliamo essere te-
muti: desideriamo di essere amati e
che abbiate in noi tutta la confiden-
za. Che cosa vi è di più bello, in una
casa, di questo: che i genitori godano
la confidenza dei figli?» (Memorie bio-
grafiche, vol. VI, p. 320).
Era un ragazzo di grande ingegno;
frequentava le scuole pubbliche della
città di Torino, ma si mostrava svoglia-
to: non studiava. Suo padre, preoccu-
patissimo, ne parlò con alcuni amici:
come fare con quel ragazzo? Un amico
gli accennò una soluzione: «Conosco
un prete a Valdocco che ha aperto da
poco un collegetto».
«Si chiama?». «Don Bosco». «Ah, Don
Bosco, sì, ma ha un collegio da ragazzi
poverissimi; troppo umiliante per la
nostra condizione sociale. Mio figlio
non ci si adatta certamente». «Perché
no, papà - interloquì il ragazzo che
era presente al colloquio - . Mettimi in
quel luogo e vedrai che ci starò». La
notte, il ragazzo fece un sogno. Gli pa-
reva di essere in cortile con dei fogli in
mano; ed ecco una folla di ragazzi ap-
plaudire un prete che stava sul balla-
toio di una casa; e lui, su di corsa per le
scale per andare a baciare la mano di
quel prete. Che buono quel prete! Gli
faceva persino una lode meravigliosa:
«Tu sei un bravo ragazzo, non è vero?».
Dopo qualche mese, quel ragazzo en-
trò nell'Oratorio di Don Bosco. Il sogno
l'aveva quasi dimenticato. All'inizio
stentò a ingranare nella vita dell'istitu-
to. Don Bosco era fuori Torino. Un
giorno, il suo insegnante gli diede un
fascio di fogli da portare ad un altro
superiore. Mentre scendeva le scale, il
ragazzo senti uno scroscio di applausi
prolungati. Che succede? Corre in cor-
tile e trascinato dall'entusiasmo si met-
te ad applaudire anche lui e a gridare:
evviva. Tutti tenevano gli occhi e la te-
sta alzati verso Don Bosco che, tornato
da una lunga assenza, stava sul balla-
toio e rispondeva al loro saluto. Al ra-
gazzo si riaffacciò il ricordo del sogno:
il cortile, la massa giovanile, la casa,
quel prete e lui con un fascio di fogli in
mano. Ebbe un brivido di commozione.
Risalì le scale, corse sul poggiolo, baciò
la mano di Don Bosco e ne ricevette
una lode bellissima: «Tu sei un bravo
ragazzo, non è vero?». Non la dimenti-
cò più per tutta la vita.
La lode per un cuore giovanile è
come il sole: se non la riceverà, il ra-
gazzo non può crescere né fiorire.
Una domenica Giuseppe Brosio, un
giovanotto molto affezionato a Don Bo-
sco, notò che il Santo non era in corti-
le. Strano! Si mise subito a cercarlo in
ogni angolo della casa. Cerca e ricerca,
finalmente lo trovò in camera. Don Bo-
sco era triste, molto triste, sembrava
che stesse per piangere.
- Che succede Don Bosco? - Gli
chiese premuroso. Don Bosco taceva,
chiuso nel suo dolore. Il giovane insi-
stette perché gli facesse conoscere il
motivo di tanta sofferenza.
- Uno dei nostri ragazzi - disse in-
fine Don Bosco - mi ha oltraggiato e
svillaneggiato. Per quel che mi riguar-
da, non mi importa punto; ma il peggio
è che lui si trova su una brutta strada e
chissà che fine fara.
Brosio si sentì toccato sul vivo. Con
una vampata di collera mostrò i pugni
e assicurò Don Bosco che ci avrebbe
pensato lui a vendicarlo. Don Bosco lo
guardò fissamente: - Tu vuoi vendica-
re Don Bosco, non è vero? Hai ragione;
ma a un patto: la vendetta la faremo in-
sieme. Sei contento?
- D'accordo - gli rispose Brosio.
- Allora vieni con me - lo invitò
Don Bosco.
E lo condusse in Chiesa a pregare
per quel ragazzo insolente che lo aveva
offeso.
«Credo che Don Bosco abbia pregato
anche per me - ricordava più tardi
Brosio - perché in un momento mi
sentii un altro, letteralmente cambiato.
Lo sdegno contro quel mio compagno
si era mutato in perdono».
Don Bosco era solito dare questi
consigli:
«Ricordatevi che perdonare vuol
dire dimenticare per sempre».
«Se volete ottenere molto dai vostri
allievi non mostratevi mai offesi con-
tro qualcuno. Perdonatelo sempre».
C'è qualcosa di divino, di miracoloso
nel modo in cui il perdono riesce a con-
ciliare ciò che sembra assolutamente
inconciliabile. ·
Il perdono è il vertice della carità. Se
la carità è un dono, il perdono è un
raddoppio di dono. È una grazia che re-
dime. La psicologia moderna insegna
che la capacità di perdonare e di accet-
tare il perdono è l'indice di un caratte-
re ben equilibrato.
3) Sviluppare per far amare
Don Bosco diceva così: «Non basta
che il primo cerchio, cioè la famiglia,
sia sano, bisogna che sia sano anche
quel secondo cerchio, inevitabile che
è formato dagli amici del fanciullo .
Cominciate a dirgli che vi è gran
differenza tra compagni e amici. I
compagni non se li può scegliere: li
ritrova nel banco della scuola e nel
luogo di lavoro o di adunanze. Gli
amici invece li può e li deve scegliere.
Non ostacolare la naturale vivacità
del fanciullo e non chiamatelo catti-
vo perché non sta fermo.
10/90
Però questo non basta; il giuoco e il
moto potranno occupare metà, ma
non tutta la vita del fanciullo. Il cuo-
re ha bisogno di nutrimento suo, cioè
ha bisogno di amare.
E qui lo zelo dei genitori e degli
educatori deve essere buon consi-
gliere.
Le cose del cuore procedono come
le cose della salute fisica. È possibi-
le guardarsi dalle mille cause che ci
assediano e che insidiano la nostra
salute; anche se ci mettessimo sot-
to una campana di vetro non sarem-
mo sicuri.
Ogni cristiano deve essere un coo-
peratore di Dio, perché a tutti disse il
Signore: avrai cura del tuo prossimo e
lo amerai come te stesso.
Se vuoi però avere fiducia di quan-
to Don Bosco diceva e faceva e volete
lavorare con il suo spirito, voi diven-
tate cooperatori con Don Bosco.
Badate bene: coopererete con Don Bo-
sco e non già, coopererete per Don Bosco.
L'opera salesiana vive di sola cari-
tà e quindi ha bisogno di coloro che
l'aiutano e costoro si dicono BENE-
FATTORI; ma essa è anche ed essen-
zialmente, un esercito di apostoli che

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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lavorano perché si avveri la grande 4) Il triplice volto dell'amore vivo
parola del Pater: venga o Signore il
tuo Regno.
Amore di predilezione. - Ogni
Tutti coloro che nel nome di Don componente la famiglia dovrebbe
Bosco, aiutati dai suoi insegnamenti sentirsi prediletto, compreso e tratta-
e sorretti dal suo spirito, lavorano to secondo la sua particolare natura
per l'avvento di questo regno, sono psicologica. Preferenze e parzialità
Cooperatori Salesiani.
coi figli sono piccole bombette al pla-
Don Bosco diceva così:
stico nascoste negli armadi della cu-
«Verrà giorno che direte: coopera- cina. State pure sicuri che esplode-
tore salesiano sarà come dire buon ranno con danno della pace in casa.
cristiano».
Amore di preservazione. - Pron-
Quando coopererete salesianamente? tezza a qualsiasi intervento, anche
Quando avrete ben compreso quale fu energico oppure drastico, quando si
la missione che Dio affidò a Don Bosco. tratta di sottrarre i figli ai pericoli
Cosa significa comprendere Don che mettano a repentaglio la loro vir-
Bosco?
tù: persone, libri, riviste, cinema, te-
Significa comprendere il pensiero levisione. I più autorevoli difensori
di Dio sopra un pensiero storico. della moralità in famiglia sono i geni-
Cosa significa cooperare con un tori di comune accordo. Senza fare
santo?
del moralismo indisponente.
Significa cooperare con i disegni
salvatori di Dio.
Quale fu la missione di Don Bosco?
Salvare le anime, educare la gio-
ventù «povera e abbandonata» ad
Amore di orientamento. - Volere
il bene di coloro che si amano: ecco
la caratteristica del vero amore. E il
maggior bene consiste:
avere «dignità» davanti a Dio e da- - Nel rivelare a ciascuno la pro-
vanti alla società.
pria vocazione. Si sa: è Dio che chia-
ma, ma si serve degli strumenti più
idonei: al primo posto i genitori;
- nell'appianare la via e offrire i
mezzi per raggiungerla;
- nel non porre mai ostacoli di
natura egoistica: l'amore egoistico
tra le pareti domestiche è altrettanto
frequente che inavvertito.
• L'amore vivo si nasconde talvol-
ta sotto i veli dell'ansia con la quale
si seguono i figli nelle loro oneste e
concrete aspirazioni.
Conclusione
Papini scrisse: «Quando non si rie-
sce a definire o capire una verità in
venti parole neppure mille pagine
riusciranno a renderla chiara».
Si potrebbe tradurre il pensiero co-
sì: quando non si vede che le ragioni
del vivere assieme sono nell'amore,
allora neppure la somma di tutti gli
accorgimenti pedagogici più raffinati
riuscirà a fornire i mezzi per realiz-
zare la concordia.
La preghiera:
sul sentiero del quotidiano
Caratterizzata dallo spirito salesiano, la sua preghiera è
semplice e fiduciosa, gioiosa e creativa, impregnata di intento
ardore apostolico: soprattutto è aderente alla vita e si prolunga
in essa (RVA 32,2).
""'
....., ..., .
1;:i,,_';r:- ·: ... ·.,·,cd.:
PREMESSA
Lo spirito salesiano ispira tutto il
mondo della preghiera del Coopera-
tore, cioè il suo modo di collaborare
davanti a Dio, di trattare con Lui, di
contemplarlo; è quello realizzato da
Don Bosco. Anche se in questo terre-
no sfociamo nel mistero ineffabile
dell'incontro, tra Dio e ogni singolo
suo figlio, si può, si deve dire che co-
loro che seguono Don Bosco hanno
una certa maniera comune di dialo-
gare con Dio, di rallegrarsi con lui, di
condurre davanti a Lui la loro esi-
stenza. Più che di preghiera, quindi,
si tratta prima di tutto di «spirito di
preghiera», di atteggiamenti profon-
di, di orientamenti fondamentali, del-
la sorgente ispiratrice e di un certo
modo anche esteriore di pregare.
1) Dialogo con Dio
Nel nostro mondo secolarizzato in
cui l'uomo ha coscienza delle sue
grandi possibilità e responsabilità, e
rivendica l'autonomia delle realtà
temporali da qualsiasi tutela divina o
ecclesiale, ha ancora senso pregare?
Per un laico secolare è ancora neces-
saria la preghiera?
Per preghiera si intende un dialogo
confidente con Dio e un abbandono
fiducioso in Lui.
Detto questo si affacciano altre do-
mande: come deve essere questa pre-
ghiera? Non pochi laici impegnati de-
nunciano una specie di dualismo tra
vita familiare e lavorativa da un lato,
e momenti di preghiera dall'altro, ed
inoltre il rischio di una preghiera
formalista e quello opposto di «la-
sciarsi andare» con il conseguente
scadimento del proprio impegno cri-
stiano. Cosa fare?
11 /91

2.2 Page 12

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TESTIMONI. .. DI AMORE!
ALEXANDRINA DA COSTA
(1904-1955). - A 14 anni per sfug~
gire alle violenze di un uomo s1
buttò dalla finestra rimanendo
totalmente paralizzata. Costretta
da allora a letto passò il resto
della propria vita a pregare per
gli altri.
..
.
Negli ultimi 13 anru VlSS~ di
sola Eucaristia, senza mangiare
né bere. Leggiamo nel suo diario:
«Mi sono consunta in questo let-
to fino a dare tutto il mio sangue
per le anime».
Cooperatrice salesiana, voleva
che il diploma d'iscrizione fosse
appeso accanto all'orologio a pen-
dolo onde averlo sempre sotto gli
occhi. «Quante volte fisso il diplo-
ma - diceva - mi ricordo dei sa-
lesiani e, unita a tutti loro, offro
le mie sofferenze per la salvezza
della gioventù».
La Chiesa ha avviato la sua cau-
sa di beatificazione (C.M. n. 4).
Il Cooperatore può trovare una ri-
sposta a queste istanze ~adical~ ri:
chiamandosi agli atteggiamenti di
fondo che animano la preghiera sale-
siana. Come pure Don Bosco, grande
uomo di fede e di carità, così per il
Cooperatore, Dio Padre e Cristo Si-
gnore non sono una realtà distante _o
del passato, ma i grandi «presentrn
nella sua vita; una specie di forza che
sovrasta, che osserva, che giudica,
che condanna, che salva.
Con Don Bosco, il Cooperatore si
sente della famiglia di Dio, fratello di
Cristo, figlio del Padre, animato rlal
loro Amore. La sua vita in famiglia e
sul lavoro se vissuto con ·questo sen-
so della ;icinanza familiare di Dio,
sollecita il desiderio di Dio e apre
spontaneamente l'animo al_ «dialo~o
semplice e cordiale» con Lm... 1~ pie-
che ha vissuto e insegnato 11 no-
stro Fondatore è una pietà sacramen-
tale che ha come centro e perno inso-
stituibile l'Eucaristia e la Penitenza.
Nel campo della pastorale de~-
l'evangelizzazione e dei sacramenti,
specialmente dell'Eucaristia e ~ella
Riconciliazione, i Cooperatori sa-
ranno disponibili e aperti al rinno-
vamento liturgico promosso dal
Concilio .. .
Ci sono, ancora, altri aspetti dell~
preghiera del Cooperat_ore che men-
tano di essere segnalati.
- I contenuti della preghiera del
Cooperatore (lode, ring~aziame_n!o,
domanda di perdono o d1 bened1z10-
ne) non sono quelli imprestati, per
esempio, dalla vita religiosa del sa-
12/92
lesiano religioso e della Figlia di
Maria Ausiliatrice, ma quelli sugge-
riti dalla sua vita secolare e dall'im-
pegno d'animazione cristia11:a ~elle
realtà temporali. Sono qumd1 la
vita familiare, lavorativa e sociale
di ogni giorno con tutti i suoi asp~t-
ti lieti e tristi, con i suoi problemi e
interrogativi, con le sue preoccupa-
zioni e speranze.
- Le sue colorazioni varieranno
secondo l'età: nella giovinezza sarà
caratterizzata dalla generosità, dal
vigore, dall'esuberanza; nella matu-
rità prevarranno la saggezza e una
visione matura del mondo e delle
realtà quotidiane; nella vecchiaia, in-
fniane~
vi sarà
distesa,
una preghiera più sere-
aperta su tutto il passa-
to e sul futuro di Dio.
- I ritmi della preghiera del Coo-
peratore sono quelli esigiti_ dalla su~
esistenza secolare: la preghiera quoti-
diana individuale e possibilmente di
famiglia; la partecipazione settima-
nale alla vita liturgica della Chesa lo-
cale· il ritiro mensile e possibilmente
gli ~sercizi spirituali annuali o altre
forme di incontri di riflessione, d1
preghiera, di conversione e di rilan:
cio spirituale e apostolico. Si tratta d1
ritmo non imposto ma proposto, che
risponde alle esigenze stesse di una
vita condotta in mezzo al mondo.
Non è rigido, ma duttile e facilmente
adattabile all'andamento giornaliero,
settimanale, mensile e annuale della
vita del Cooperatore.
Da quanto si è venuto dicendo ap-
pare ormai chiaro che lo stile di pre-
ghiera salesiano è «popolare» nel
senso più bello e più degno della pa-
rola. È sobrio, con inconfondibili ac-
centi giovanili di gioia; è semplice ~
autentico, agli antipodi del macchi-
noso e del formalismo; non preoccu-
pato ma soave, non rassegnato, ma
aperto alla fiducia. Non si sc?s~a dal-
lo stile di preghiera del «cristiano»:
del più umile membro del Popolo di
Dio; è dignitoso e composto. Nella Fa-
miglia di Don Bosco nessun gruppo
ha una preghiera aristocratica.
2) Il sentiero del quotidiano
e del facile
Come per Don Bosco, così per noi
la via che conduce a Dio è un picco-
lo sentiero: il sentiero del quotidia-
no e del facile.
«Io consiglierei di caldamente vigi-
lare che siano proposte cose facili
che non ispaventino, e neppure stan-
chino il fedele cristiano, massimo poi
la gioventù. I digiuni, le preghi~r~
prolungate e simili rigide austenta
per lo più si omettono, o si prat~cano
con pena e rilassatezza. Temamo-
ci alle cose facili, ma si facciano con
perseveranza. Questo f~ il sentiero
che condusse il nostro Michele ad un
meraviglioso grado di perfezio!le»..
«Non vi caricate di troppe divoz10-
ni, ma siate perseveranti in quelle
che avete preso» (MB 4, 748). .
«Noi abbiamo bisogno che ciasche-
duno sia disposto a fare grandi sacri-
fizii di volontà; non di sanità [...] nor:
di macerazioni e penitenza, non di
astinenze straordinarie nel cibo, ma
di volontà» (MB 7, 47).
La santità non nasce dalla con-
trapposizione violenta al corpo.
L'anima non può aver successo a
spese della salute. Al gi_ovane Be-
succo che gli chiede pemtenze cor-
porali Don Bosco rispo~de fac~ndo-
gli un elenco concreto d1 questi «sa-
crifizii di volontà».
Tornando alla preghiera ecco
quello che ci dice un testimon~ sul-
lo stile della preghiera salesiana:
«...Non c'è l'ombra della pietà om-
brosa o compassata o accigliata
d'altri indirizzi spirituali ormai tra-
montati. Egli stesso [Don Bosco]
pregava con un atteggiamento così
semplice e naturale, così, direi, co-
mune, da far pensare ad un buon
prete che sa quello che fa, ma non
ad un Santo che prega. Della divo-
zione barocca o teatrale dei pittori
niente. E in casa sua non si fa mai
una funzione liturgica, non si va
neppure a dir le orazioni (egli le
preferiva dette fuor di chiesa!), sen-
za cantare qualche cosa».
3) Pregare insieme
È vero che la preghiera in famiglia
oggi incontra gravi ostacoli, ma non
bisogna arrendersi.
IL MIO CREDO
NELLA PREGHIERA
Credo che la preghiera non è tutto,
ma che tutto deve cominciare dalla
preghiera: perché l'intelligenz0:
umana è troppo corta e la volonta
dell'uomo è troppo debole; perché
l'uomo che agisce senza Dio non dà
mai il meglio di sé stesso.
Credo che non sapremo mai con
esattezza se la nostra è preghiera o
non lo è. Ma esiste un test infallibile
della preghiera: se cresciamo nel-
l'amore se cresciamo nel distacco
dal male, se cresciamo nella fedeltà
alla volontà di Dio.
Credo che tutti i giorni dobbiamo
chiedere al Signore il dono della
preghiera, perché chi impara a pre-
gare impara a vivere.
Un monaco nel mondo

2.3 Page 13

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Per prima cosa i genitori superino
l'individualismo spirituale. Io prego,
tu preghi... Noi non preghiamo!
Quando marito e moglie avranno
trovato il ritmo della preghiera in co-
mune, allora potranno guidare i figli
a unirsi a loro , trovando tempi e far-
me adatte. Sarà una pagina del Van-
gelo o una lettura spirituale, sarà il
rosario o un salmo o una preghiera
spontanea, come già fanno con gran-
de gioia alcune coppie.
Prima dei pasti, o alla sera, nelle
feste o in ricordo di particolari av-
venimenti, la preghiera familiare
può trovare in tutti buona dispo-
nibilità.
Per questo cammino di crescita
spirituale del Cooperatore è prezio-
sa la conoscenza e l'uso di «Coope-
ratori di Dio».
Gli Esercizi spirituali
Gli esercizi spirituali vengono offerti annualmente dall'As-
sociazione come occasione privilegiata di conversione e di ripre-
sa. Confrontando la sua vita con il Vangelo e con il presente Re-
golamento, il Cooperatore si rende disponibile per una rinnova-
ta testimonianza e un più generoso servizio (RVA 34,2).
PREMESSA
Se si chiedesse a colui che viene agli
Esercizi: «Cosa vai a fare, perché so-
sti alcuni giorni in un ambiente di
raccoglimento?», si avrebbero le ri-
sposte più varie e più impensate. Al-
cuni vanno a fare gli Esercizi per
sentire buone meditazioni che li toc-
chino, li impressionino; altri deside-
rano un aggiornamento di cultura re-
ligiosa. Non mancano alcuni che vor-
rebbero aumentare il patrimonio di
erudizione ascetica; molti non sa-
prebbero cosa dire.
Alla domanda, poi: «Cosa vuoi ri-
cavare da un corso di Esercizi?», pa-
recchi rispondono genericamente:
«Vorrei migliorare». È di grande
importanza avere l'idea esatta degli
Esercizi spirituali per creare le di-
sposizioni d'animo convenienti.
Solo così ricaveranno i frutti che
essi possono dare.
Col nome ESERCIZI SPIRITUALI
si intende qualsiasi modo per esami-
nare la coscienza, meditare, contem-
plare, pregare vocalmente e mental-
mente e per svolgere altre operazioni
spirituali...
Come il passeggiare, camminare e
correre sono esercizi fisici, così ogni
metodo di preparare e predisporre
l'anima a togliere il peccato è un aiu-
to a trovare la volontà divina nella
disposizione della propria condotta
in ordine alla salute dell'anima.
Occorre quindi chiarire il senso
di questo momento forte di discer-
nimento, di cui si parla all'articolo
34,2 del RVA.
1) Riflessione storica
La parola «Esercizi spirituali»
come la sinonima «Ritiri spirituali»
indica «dunque» il periodo nel quale
il cristiano si ritira dalle sue occupa-
zioni per attendere a Dio.
Aiutare l'anima a scoprire il dise-
gno di Dio nelle situazioni infinita-
mente varie della propria vita, aiu-
tarla a mettersi nella disponibilità
assoluta rispetto alla grazia, indurla
all'imitazione perfetta di Cristo, ar-
chetipo o modello di ogni perfezione,
è certamente uno degli scopi più es-
senziali degli Esercizi.
Possiamo ora domandarci, venen-
do al nostro tema: quale è stato l'at-
teggiamento pratico di Don Bosco
verso gli E.S.?
Quale è l'eredità, che in questo
campo ha lasciato alla sua discenden-
za spirituale? o meglio, quale è il tipo
di Esercizi ai quali si è ispirato?
Come possiamo - e dobbiamo -
alla distanza di un secolo, essere fe-
deli a Don Bosco e alle mutate sensi-
bilità del nostro tempo?
Procediamo con ordine.
TESTIMONI... DI AMORE!
FRANCESCO BENITEZ (1796-
1882). - È stato il primo Coopera-
tore salesiano d'America. Genera-
le d'armata, sindaco, governatore,
profonde tutti i suoi beni in opere
sociali e religiose per la sua pa-
tria, l'Argentina.
Spirito attivo e dinamico, uomo
politico e grande benefattore, sa
stare cinque ore filate in preghie-
ra, in ginocchio di fronte a un
quadro di Maria Ausiliatrice, riu-
scendo a trovare il tempo per im-
partire lezioni di catechismo ai ra-
gazzi. Insomma, Marta e Maria si
ritrovano in una sola persona.
Grande amico di Don Bosco, non
poté vederlo in vita. Così scriveva
al santo nel 1876: «Mi è molto gra-
dito l'augurio di vederci in questa
vita... Ma se la nostra speranza
dovesse prolungarsi al di là della
morte, desidererei che mi lascias-
se in eredità almeno le sue scar-
pe!» (C.M. n. 7).
Tre punti risultano immediata-
mente chiari nell'esperienza di Don
Bosco. Gli Esercizi spirituali:
- segnano le tappe del cammino
spirituale sia dei religiosi, che dei
giovani;
- caratterizzano l'apostolato;
13/93

2.4 Page 14

▲back to top
- sono un elemento determinante
della pietà salesiana.
• Gli Esercizi spirituali sono sem-
pre esistiti nella Chiesa, ma è innega-
bile «l'invasione dei riti spirituali»
dei secoli XVII e XVIII data da S.
Ignazio di Loyola.
Ciò che è nuovo nel sec. XIX è la
loro generalizzazione non solamente
negli ordini religiosi, ma tra i preti
secolari e gli stessi laici devoti.
Ne sono derivate forme diverse di
esercizi che si ispirano a S. Carlo
Borromeo, a S. Vincenzo de' Paoli, a
S. Giovanni della Croce, a S. Giovan-
ni Eudes, a S. Alfonso, a S. Giuseppe
Cafasso: questa linea che è poi, in de-
finitiva, quella assimilata da Don Bo-
sco a Chieri, a Torino presso i signori
della Missione, al Santuario di S.
Ignazio sopra Lanzo e trasmessa alla
sua famiglia religiosa.
«Gli Esercizi - asseriva il Cafasso
- sono come una macchina divina-
mente ordinata, composta di tante mi-
nutezze, orazione mentale e vocale,
esami, canti, letture in Chiesa, in ca-
mera, ricreazione, silenzin.
2) Rifare le proprie forze
Come per le energie fisiche c'è un
logorio che sfianca ed esaurisce, così
per le forze morali e psicologiche si
possono verificare situazioni che sof-
focano la vita dell'anima.
La vita spirituale è un organismo
che ha le sue facoltà, nella vivezza
della fede, nella robustezza della spe-
ranza, nell'ardore della carità. Quan-
do le virtù teologali si indeboliscono,
tutto l'organismo si impoverisce. «Ri-
fare le proprie forze» significa vedere
più chiaramente le realtà sopranna-
turali e osservare le realtà terrene
alla luce dell'eternità. Un'anima ric-
ca di FEDE ha una prodigiosa capaci-
tà di sopportazione, è tutta vibrante
per i grandi ideali. Rafforza la SPE-
RANZA chi, appoggiato sulla parola
di Dio, sa agire molto e sa soffrire
molto. La speranza vigore e con-
forto nelle prove dure e continuate
che esigono sempre sforzo volitivo.
La CARITÀ si accende alla medita-
zione della carità di Dio infinitamen-
te amante e infinitamente amabile e
infonde la generosità di una risposta
totale all'Amore.
Conclusione
Il concetto di Esercizi è stato più
supposto che chiarito. Il bun metodo
avrebbe richiesto che si partisse, in-
vece, da una explicatio terminorum,
14/94
DIO...FA NUOVE
TUTTE LE COSE
Tutti quanti vogliamo
cambiare il mondo:
chi modificando
il sistema di lavoro,
chi aumentando
la produzione,
chi scrivendo,
chi facendo comizi...
***
La gara è continua.
Da millenni l'uomo si affanna ad
inventare ala clava» di turno, da
sempre gli uomini si stordiscono a
vicenda proponendosi di trovare il
nuovo modo di cambiare il mondo.
Quando scopriremo che l'unico
modo per cambiarlo, è quello di co-
minciare a fare nuovi noi stessi?
***
Nessuno può saltare
la propria ombra,
nessuno può staccarsi
dalla sua storia,
storia unica e irrepetibile...
Storia fatta di amici
che ti hanno arricchito
e di persone
che ti hanno ingannato;
storia segnata dagli sguardi
di papà e mamma
che ti hanno rispettato
e fatto crescere con amore.
Nessuno può rinchiudersi
dentro la propria ombra,
nessuno può rifiutarsi
di vivere l'incapacità
l'incomprensione, le crisi. ..
Accettando l'ombra
che ci accompagna,
senza lasciarcene imprigionare,
saremo uomini di luce,
di forza , di speranza.
perché il concetto di Esercizi è tal-
mente vario nella sua accezione cor-
rente, da riuscire addirittura equivo-
co. Si chiamano, anche da noi, Eser-
cizi Spirituali quelli che in realtà
sono soltanto pre-Esercizi, per non
dire degli pseudo-Esercizi, come quel-
li che si fanno in certi Centri nella
imminenza della Pasqua oppure in
altre occasioni.
In concreto sembra opportuno of-
frire sia a livello ispettoriale che lo-
cale «occasioni significative» per un
serio confronto della propria vita
con Dio e una indispensabile «rica-
rica» spirituale: è questo un diritto
di ogni Cooperatore e un dovere di
ogni Consiglio!
Anche per questo momento forma-
tivo è preziosa l'indicazione di «Coo-
peratore di Dio».
PREMESSA
• I fedeli laici (Christifideles laici),
la cui «vocazione e missione nella
Chiesa e nel mondo a vent'anni dal
Concilio Vaticano II» è stato l'argo-
mento del Sinodo dei Vescovi del
1987, appartengono a quel Popolo di
Dio che è raffigurato dagli operai del-
la vigna, dei quali parla il Vangelo di
Matteo: «Il regno dei cieli è simile a
un padrone di casa che uscì all'alba
per prendere a giornata lavoratori
per la sua vigna. Accordatosi con
loro per un denaro al giorno, li man-
dò nella sua vigna» (Mt 20,1-2).
La parabola evangelica spalanca
davanti al nostro sguardo l'immensa
vigna del Signore e la moltitudine di
persone, uomini e donne, che da Lui
sono chiamate e mandate perché in
essa abbiano a lavorare. La vigna è il
mondo intero (cf. Mt 13,38), che deve
essere traformato secondo il disegno
di Dio in vista dell'avvento definitivo
del Regno di Dio.
·1) Andate anche voi
nella mia vigna
• [...] Ai nostri tempi, nella rinnova-
ta effusione dello Spirito pentecostale
avvenuta con il Concilio Vaticano II,
la Chiesa ha maturato una più viva co-
scienza della sua natura missionaria e
ha riascoltato la voce del suo Signore
che la manda nel mondo come «sacra-
mento universale di salvezza» [...].
Nel corso dei suoi lavori il Sinodo
ha fatto costante riferimento al Con-
cilio Vaticano II, il cui insegnamento
sul laicato, a distanza di vent'anni, è
apparso di sorprendente attualità e
talvolta di portata profetica: tale in-

2.5 Page 15

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Andate anche voi
nella mia vigna!
Il Cooperatore partecipa all'esperienza spirituale di Don
Bosco, vissuta con particolare intensità tra i giovani del primo
Oratorio in Valdocco (RVA 27,1).
Ora i fedeli laici, in forza della loro
partecipazione all'ufficio profetico di
Cristo, sono pienamente coinvolti in
questo compito della Chiesa. Ad essi
tocca, in particolare, testimoniare
come da fede cristiana costituisca
l'unica risposta pienamente valida, più
o meno coscientemente da tutti perce-
pita e invocata, dei problemi e delle
speranze che la vita pone ad ogni
uomo e ad ogni società. Ciò sarà possi-
bile se i fedeli laici sapranno superare
in se stessi la frattura tra il Vangelo e
la vita, ricomponendo nella loro quoti-
diana attività in famiglia, sul lavoro e
nella società, l'unità d'una vita che nel
Vangelo trova ispirazione e forza per
realizzarsi in pienezza [...].
TESTIMONI... DI AMORE!
ALBERTO MARVELLI (1918-
1946). - Di questo giovane Coopera-
tore salesiano è stato inoltrato il
processo di beatificazione Vene-
rabile dal 22 marzo 1986). Era figlio
della «Romagna rossa», essendo
nato a Ferrara il 21 marzo 1918.
Si laureò in ingegneria meccani-
ca. Per 15 anni frequentò l'orato-
rio salesiano di Rimini dove a suo
stesso dire si imbevve dello spirito di
Don Bosco, aiutato da vari salesiani
che si succedettero alla guida del-
l'oratorio e dalla profonda azione
formatrice di sua madre. Soprat-
tutto nei difficili anni '30 - «rug-
genti» per angherie politiche e raz-
ziali - fu coerente con la sua aper-
ta testimonianza di fede e di carità
verso gli oppressi. Iscritto all'Azio-
ne Cattolica nel «Circolo Don Bo-
sco» di Rimini, ne portò sempre il
distintivo all'occhiello ma soprat-
tutto nel cuore. All'oratorio fu un
animatore sempre impegnato in
attività catechistiche, organizzati-
ve, sportive, religiose e liturgi-
che... Trascinatore di ragazzi, di-
resse con entusiasmo e responsabi-
lità la sezione «aspiranti».
La guerra lo reclutò come mili-
tare. Visse svariate «avventure»,
al comune denominatore del-
l'amore verso i bisognosi e gli op-
pressi. Trasformò una caserma a
Treviso, incoraggiò amici e sfidu-
ciati, disilluse gli illusi dal regi-
me... Finché passò a lavorare alla
Fiat di Torino... Dopo l'armistizio
del 1943 tornò a Rimini ma venne
precettato dai tedeschi della
Todt. Sfruttando il nome tedesco
della madre (Maria Mayr) e la
buona conoscenza della lingua,
poté salvare molti giovani dalla
deportazione. Lo arrestarono, lo
imprigionarono, riuscì a fuggire.
Rimini venne bomabrdata e lui,
sotto le bombe, soccorse i feriti,
incoraggiò i superstiti, assistette
i moribondi, nascose i ricercati,
si privò di abiti e di suppellettili
per i bisognosi...
A contatto con gli alleati, militò
nella Resistenza e diresse un «Uf-
ficio alloggi e ricostruzione». Si
iscrisse a una <<Società Operaia
Cattolica», si impegnò nella vita
politica, diventò (per incarico del
suo vescovo) presidente dei lau-
reati cattolici. Era zeppo d'impe-
gni ed era molto stanco, ma non
cedette. Fu l'unico cristiano ac-
colto a parlare e ad agire nel co-
siddetto «ghetto turco» della pro-
pria città.. .
Improvvisamente, la fine. Ave-
va 28 anni. Il sabato 5 ottobre
1946, sulle nove di sera, mentre si
recava in bicicletta a uno dei tanti
appuntamenti con la sua vocazio-
ne di cristiano socialmente impe-
gnato, un camion lo investi alle
spalle e tirò via.. . Alberto restò
esanime sull'asfalto.
I comunisti del suo quartiere gli
dedicarono un manifesto: «I comu-
nisti di Bellariva s'inchinano ri-
verenti a salutare il figlio, il fra-
tello, che ha sparso su questa ter-
ra tanto bene». Ma l'omaggio più
preciso, quello che Don Bosco
avrebbe volentieri sottoscritto, fu
detto da Giorgio La Pira, un altro
«santo laico»: «Il problema delle
nuove generazioni è fondamental-
mente quello della loro unione
con Dio, della loro vita di Grazia:
e non è tutto qui il senso della te-
stimonianza di Marvelli?». Oggi
Alberto Marvelli è già «Venerabi-
le». Domani sarà Beato e Santo.
• In tal senso le aggregazioni dei
fedeli laici devono diventare correnti
vive di partecipazione e di solidarietà
per costruire condizioni più giuste e
fraterne all'interno della società.
I criteri fondamentali ora esposti
trovano la loro verifica nei frutti con-
creti che accompagnano la vita e le
opere delle diverse forme associative
quali: il gusto rinnovato per la pre-
ghiera, la contemplazione, la vita litur-
gica e sacramentale; l'animazione per
il fiorire di vocazioni al matrimonio
cristiano, al sacerdozio ministeriale,
alla vita consacrata; la disponibilità a
partecipare ai programmi e alle attivi-
tà della Chiesa a livello sia locale sia
nazionale o internazionale; l'impegno
catechetico e la capacità pedagogica
nel formare i cristiani; l'impulso a una
presenza cristiana nei diversi ambien-
ti della vita sociale e la creazione e ani-
mazione di opere caritative, culturali e
spirituali; lo spirito di distacco e di po-
vertà evangelica.
2) La vigna privilegiata: i giovani!
Il rinnovamento della missione po-
trà partire con il piede giusto se è un
fedele e dinamico ritorno alle sorgen-
ti dove è chiara la nostra identità di
missionari dei giovani.
I Cooperatori sono missionari dei
giovani, con autonomia e collaborazio-
ne fraterna con SDB e FMA perché in-
sieme chiamati da Dio, dando allo spi-
rito di Don Bosco espressione laicale e
secolare, diversa da quella religiosa,
perché il medesimo spirito trova
espressioni multiformi nei singoli
gruppi della Famiglia Salesiana e la
medesima missione ha una pluralità
di realizzazioni apostoliche e pastorali.
segnamento è capace di illuminare e
di guidare le risposte che oggi devo-
no essere date ai nuovi problemi.
• Certamente urge dovunque rifa-
re il tessuto cristiano della società
umana. Ma la condizione è che si ri-
faccia il tessuto cristiano delle stesse
comunità ecclesiali che vivono in que-
sti paesi e in queste nazioni.
I giovani, cercati e incontrati con
il «Da mihi animas» e con il «dono del-
la predilezione» che fu di Don Bosco.
Cristo ed i giovani non sono poi
solo le sorgenti della nostra missio-
15/ 95

2.6 Page 16

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Spediz. in abbon. postale - Gruppo 2° (70) - 2• quindicina
BOLLETTINO SALESIANO
Quindicina/e di informazione e di cultura religiosa
L'edizione di metà mese del BS è particolarmente de-
stinata ai Cooperatori Salesiani. Direzione e ammini-
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Direttore responsabile : GIUSEPPE COSTA
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Autorizz. del Trib. di Torino n. 403 del 16 febbraio 1949 - e.e. Po-
stale n. 2-1355 intestato a: Direzione Generale Opere Don Bosco -
Torino - C.C.P. 462002 intestato a Dir. Gen. Opere Don Bosco - Ro-
ma . - Per cambio d'indirizzo inviare anche l'in dirizzo precedente.
ne, ma anche i compagni di viaggio
che ci alimentano nel nostro cammi-
no e che accompagnano nelle indica-
zioni di strada, di ritmo, di sosta. E
sono, infine, la mèta, il traguardo, la
patria verso cui incessantemente ri-
volgiamo i nostri passi.
E il nostro concreto paradigma di
apostolato, Don Bosco, è appunto
l'immagine viva di Cristo-e-i-giovani.
Ogni giovane per noi è Gesù, un
Gesù povero, assetato di verità e tra- bisogni dei destinatari, nella loro si-
sparenza, di significato di vivere e di tuazione concreta, al cui servizio,
liberazione, bisognoso di pane e cul- come cooperatori, il Signore ci chia-
tura, 1 amore e - salvezza.
---=m=a.e, ci invia.
«Trattiamo i giovani come tratte- Il nos· ro Fondatoreila vissuto così:
remmo Gesù Cristo stesso» dice «Padre e Maestron della gioventù, os-
Don Bosco.
sia pasto e e profeta di giovani, sor-
Nel contesto di questa profonda ve- gente carismatica del nostro movi-
rità evangelica, la nostra missione si mento e suo primo istituzionalizzato-
riattualizzerà a partire dalle esigen- re uomo che, con eper i giovani, fa fe-
ze, dalle profonde aspirazioni e dai sta e lotta, canta e ca:mmina!
Un «AUGURIO»
per questo cammino di formazion
Se non puoi essere un pino sul monte sii u11:.a saggf.na nella val-
le ma sii la migliore piccola saggina sulla sponda del r scell
Se non puoi essere un albero sii un cespuglio.
Se non puoi essere un'autostrada
Se non puoi essere il sole sii una ste la.
Sii sempre il meglio di ciò ch_e sei.
Cerea d i scoprire il disegno che sei chj,amato ad essere, poi
mettiti con p assione a realizzarlo nella vita.
Martin Luther King
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