Bollettino_Salesiano_197311


Bollettino_Salesiano_197311

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BIllETTIN I SALESIAN I ORGANO DELLA FAMIGLIA SALESIANA
ANNO XCVII N. 11 GIUGNO 1973
Spediz. in abbon. post - Gruppo 2• (70) - 1• quindicina

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IN QUESTO NUMERO
2. Il Terzo Mondo di casa nostra
6. Dieci anni fa, Papa Giovanni
9. Papa Giovanni e la Famiglia Sa-
lesiana
12. Una capanna a Calcutta
14. Belem : sfida alla città
18. Le ceneri dei Guaicas
20. Corea: una risaia e due medaglie
24. Un pugno sul tavolo
26. Chi sono le Salesiane Oblate?
Rubriche
5. Educhiamo come Don Bosco:
Ascoltat eli, questi poveri ragazzi
28. Nel mondo salesiano
29. Pubblicazioni Salesiane
32. Grazie per l'intercessione di Ma-
ria Ausiliatrice e dei nostri Santi
34. Salesiani e Cooperatori defunti
35. Crociata Missionaria
In copertina
Dieci anni fa moriva Papa Gio-
vanni. Vedi servizio a pag. 6.
BOLLETTINO SALESIANO
Anno XCVII - N. 11 - Giugno 1973
Direttore Respons abile
DON TERESIO BOSCO
Redazione
DON PIETRO AMBROSIO
DON CARLO DE AMBROGIO
lmp ■ gln■zlona
Luigi Zonta - Ufficio Tecnico SEI
Direzione e Amministrazione
Via Maria Ausiliatrice, 32
10100 Torino
Officine Graf iche SEI
Eeco il tema di un ragazzo di
terza media. È intitolato << Lo
spazzino del mio quartiere >). Na-
turalmente è stato ripulito dagli
errori di ortografia, e il profes-
sore ha raddrizzato qualche frase
piuttosto storta.
<< Ogni mattina è là, alla stessa
ora, né molto prima né molto
dopo: arriva col giorno, la scopa
in mano.
<< La pioggia, la polvere, il vento,
le foglie che cadono, le cartacce,
le pattumiere rovesciate, le cose
e le persone, egli prende tutto
così come viene. Non è per
lamentarsi, ma perché il suo quar-
tiere sia pulito. Bisogna che la
strada sia impeccabile. È il suo
compito, e, anche se a volte è
duro, lui lo trova importante.
<< Non so che cosa pensi sco-
pando le bucce di banana, e le
bottigliette rotte della Coca Cola.
Forse a quella vecchietta che
scivolando potrebbe rompersi una
gamba, o a quel bambino che, ca-
dendo, potrebbe ferirsi una mano.
<< Un uomo è uscito sbattendo
la porta. Prende una sigaretta,
la accende e getta il pacchetto
vuoto sul marciapiede. Lo spaz-
zino (si chiama signor Luigi)
scopa il pacchetto senza lamen-
tarsi. L'uomo non lo ringrazia.
Tante altre persone non lo rin-
graziano. Sono anni che tu?serve
cosi il quartiere, ma nessuno lo
ha ancora ringraziato per la strada,
nessuno pensa a offrirgli una si-
garetta.
!( Sembra naturale che ci siano
uomini che scopino i rifiuti e
che scopino dopo che noi siamo
passati. E anche lui lo trova na-
turale.
<• Se tutte le persone della mia
via potessero stare aIla finestra ogni
mattina, soprattutto in inverno,
quando piove o tira vento I Se
potessero guardare un po' la vita
di quest'uomo così necessaria al
quartiere ! Ma quando passeranno
in fretta, preoccupati di prendere
l'autobus per andare al ·1avoro,
non s'accorgeranno neanche che
il marciapiedi è stato pulito per
loro. Non s'accorgeranno che lo
spazzino ha messo un po' della
sua vita sotto i loro passi.
«E poi, fare lo spazzino, per
alcuni, non è neanche un lavoro
dignitoso. Anche adesso che gli
spazzini li chiamano "netturbini",
c'è della gente che si crede supe-
riore per gli studi fatti, per i soldi
che guadagna. Allora, guardano
lo spazzino dall'alto in basso.
A volte dicono ai loro bambini :
«Se non studi, finirai per andare a
scopare i marciapiedi".
<< Tuttavia il signor Luigi è
un uomo come tutti gli altri.
L'ho capito guardandolo attenta-
mente in queste mattine. È sem-
plice e buono. Cosi adesso, pas-
sandogli vicino, gli dico "buon-
giorno", e cerco di non gettare
più sul marciapiede le carte del
chewirzg-gum >►•
<< La solitudine di noi vecchi »
Questa lettera invece l'ha scritta
un pensionato. L'ha messa in una
busta e l'ha mandata al parroco,
che l'ha letta in chiesa, alla Messa:

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DNDO DI
«Dio mio,
io non entro spesso in chiesa;
se questa volta mi sono deciso,
è perché mi è venuta una specie
di gioia, e tu devi esserci pure
per qualcosa. Tu mi conosci.
Mi chiamano "il vecchio Alfonso".
La mia pensione di vecchio la-
voratore è tutto quello che ho
per vivere un modo di dire).
Certo, non sono più molto in
gamba, e per quanto riguarda
l'aspetto esteriore, lascio piuttosto
a desiderare. Quando si è soli,
lo sai...
<< Abitualmente la gente non mi
avvicina, e quando non ne possono
fare a meno, bisogna vedere che
aria disgustosa: sembra che io
puzzi. Assumono atteggiamenti di
gente importante, e si danno tante
di quelle arie...
<< Cosi, quando la signora Rossi,
l'inquilina del primo piano, è
salita sin da me al quinto (e si è
resa conto di quel che vuol dire,
perché aUa fine aveva le gambe
rotte dalla fatica), io sono rimasto
meravigliato. E quando mi ha
detto che veniva per invitarmi
al loro pranzo di domenica, ho
creduto, in un primo momento, a
un.o scherzo, e non ero contento.
Ma lei mi ha spiegato che non
era uno scherzo: "Nel giorno del
Signore - ha detto - abbiamo
pensato di invitare qualcuno che
è solo a farci compagnia".
«Oh, no.n è per il pranzo, anche
se non è da disprezzare. Ma mi
sono commosso, perché, in fondo,
tutto questo è gentile.
<< Senti, Dio mio, poiché delle
persone fai quello che vuoi (fino
Appassionarsi ai pro-
blemi dei negri, dei leb-
brosi, del Terzo Mondo
è una splendida cosa.
Ma tutto questo non
mi può far dimenticare
la gente che sta attorno
a me, i poveri del mio
quartiere. Ognuno di
noi ha un « Terzo Mon-
do » molto vicino, così
vicino che è difficile ve-
derlo.
a suggerire loro di pensare agli
altri), non potresti dare lòro questo
pensiero un po' più sovente ?
«Gesù, nella stalla dove sei
nato, certo dovevi sapere cosa
significa avere fame e freddo ;
ma tu non eri solo! Si ha un bel
dire che hai conosciuto la miseria
prima di noi, ma la solitudine
di noi vecchi tu non l'hai provata.
Sapessi com'è brutta! Allora, Dio
mio, non potresti far capire a tutti
quelli che ti pregano, che forse
ogni tanto potrebbero fare un
gesto: interessarsi di noi che no.n
sappiamo più bene cosa sia la
felicità?
<e Allora, in un anno, ci invitereb-
bero molte volte al loro pranzo, e
questo non ci offenderebbe, perché
sarebbe chiaro che non ci fanno
l'elemosina di un pezzo di pollo,
ma ci vogliono bene. E questo
ci farebbe di nuovo imparare, a
nostra volta, a dire grazie.
Il vecchio Alfonso >>.
Ammalati di
« terzomondismo »
All'Oratorio c'è un gruppo di
giovanotti molto impegnati. Gian-
ni, per esempio, è un liceale ap-
passionato di problemi del raz-
zismo: discute appassionatamente
dei negri. Dice che è un grave
problema quello della gente di
colore trattata male dai bianchi.
Dice che bisogna risolverlo a
tutti i costi.
Dario è in un'organizzazione
che lavora per i poveri del Terzo
Mondo. Si danno da fare per rac- 3

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cogliere carta, stracci, svuotare
soffitte. Vendono tutto, e il rica-
vato lo utilizzano per spedire
ogni anno in America Latina una
decina di volontari, che lavorano
nelle favelas e in una zona pove-
rissima dove i bambini muoiono
di verminosi e a volte di fame.
Giuseppe è in corrispondenza
con un missionario che lavora in un
lebbrosario. Ogni tanto legge agli
amici una lettera in arrivo di
laggiù: sofferenze tremende, umi-
liazioni disumane. Dice che se
un giorno lo potrà, gli piacerebbe
andare a passare un paio d'anni
in quel lebbrosario, a curare i
malati. Lo dice sul serio.
Ma l'altra settimana, nella
riunione del circolo dei giovanotti,
c'è stato un vero scontro. Luigi,
un ragazzo molto in gamba, ha
Dobbiamo ■copri.-. di più Il noatro quartiere, e impegnerei per I no•trl poveri, per i pen•
slon■tl e I bambini ■oli cha vivono accanto a noi. Sono Il Ter&o Mondo di ca. . nostra».
gridato agli altri che sono ammalati
di «terzomondismo>>. Ne è nata
una discussione violenta. Luigi è
stato pregato di spiegarsi, e lui
ha detto a Gianni : << Invece di
appassionarti per i negri che non
hai mai visto, interessati dei pen-
sionati del nostro quartiere, che
stanno peggio dei negri ». E a
Dario e a Gianni: << Certo, fate
bene, benissimo a pensare ai leb-
brosi e a quelli che stentano a
vivere nell'America Latina. Ma
perché non pensate un poco anche
a chi soffre a pochi metri da voi ?
Guardatevi intorno, ne troverete
parecchi proprio qui nella nostra
zona».
La discussione è continuata pa-
recchio. L'assistente, alla fine, ha
faticato molto per riportare la
calma. E ha concluso cosi: <( In-
teressarsi del Terzo Mondo non
mi pare proprio che sia una ma-
lattia. Fosse diffus-a, questa ma-
lattia! Ma è anche vero quello che
osserva Luigi: dobbiamo scoprire
di più il nostro quartiere, e impe-
gnarci per i nostri poveri, per i
pensionati e i bambini soli che
vivono accanto a noi. Forse non
riusciremo a fare molto per loro,
ma qualcosa dobbiamo riuscire a
fare. E anche solo interessarci
di loro è già qualcosa ».
'
I... .. .,.
:Jr. :"'.~ :-
-~. 41,~•- ~
La tristezza di un bambino
Un bambino arrivò tutto pian-
gente, e si rifugiò accanto a papà.
Lui gli domandò:
- Le hai prese ?
Fece cenno di no.
- Ti hanno rubato qualcosa?
- N o...
- Ti hanno preso in giro ?
- N o...
- E allora?
- Giocavo a nascondino con
miei compagni. Ero nascosto. Ho
aspettato molto... Quando sono
uscito, tutti se n'erano andati.
Nessuno è venuto a cercarmi.
Non è solo la tristezza di quel
bambino. È la tristezza di tanta
povera gente che sta accanto a
noi: <( Nessuno viene a cercarmi.
Nessuno mi parla. Nessuno si
interessa di me ».
È il Terzo Mondo di casa no-
stra.

1.5 Page 5

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EDUCHIAMO
COME
DON BOSCO
-,,-~.;,
:G' ....~
. f '1'·
. .•
·.· f/t
~
ascoltateli 111esti noveri ragazzi I
Il ragazzo che in uno di quei primi giorni
di dicembre del 1878 condussero a Don
Bosco aveva sedici anni tondi tondi. Sua
madre non sapeva più a che santo vo-
tarsi per farlo rinsavire: il ragazzo scap-
pava di casa. diceva parolacce. L'aveva
messo in collegio a Lanzo e gliel'avevano
rispedito indietro come intollerabile. L'a•
veva portato in un altro collegio a Pine-
rolo ed era scappato per andare ad ar-
ruolarsi nella Marina. le guardie glie-
l'avevano ricondotto a casa, istupidito
da/l'abiezione.
Svegliarono i genitori picchiando alla
porta. Quando lo fecero entrare, co-
minciò a urlare: « Voi non mi volete
beneI Non mi capite».
" Ma certo che ti vogliamo bene» gli ri-
spose la mamma con dolcezza. Alla fine
sua madre si decise di portarlo all'Oratorio
di Don Bosco con l'intenzione di presen-
targlielo e di chiedergll consiglio. la po-
vera donna era desolatissima.
Don Bosco prese ilragazzo a parte; si par-
larono sottovoce. Poi Don Bosco gli
chiese forte: 11 TI fermeresti tre giorni qui
con me?11. Il ragauo rispose di si: Don
Bosco l'aveva conquistato. In pochi giorni
cambiò letteralmente vita. Don Bosco
non gli aveva rivolto alcun rimprovero:
semplicemente l'aveva ascoltato e gli
aveva dimostrato di amarlo. Quando sua
mamma venne pochi giorni dopo a tro-
varlo, le domandò perdono e il permesso
di fermarsi ancora un poco con Don
Bosco, almeno fin dopo /'8 dicembre,
festa dell'Immacolata, una delle più
grandi feste nel calendario educativo di
Don Bosco. Intanto continuava a leggere
libri buoni. Nel giorno dell'Immacolata
confidò a Don Bosco: "Se sto ancora
qualche giorno qui all'Oratorio, non re-
sisto alla voglia di farmi prete come lei».
La mamma era al settimo cielo dalla con-
solazione.
C'è un unico modo di domare certi
ragazzi ribelli. Lo insegna Don Bosco:
conquistarne l'amore e la fiducia. Ma
come fare 7 Da dove cominciare? I sa-
pienti ebraici affermavano: « L'inizio della
saggezza è il silenzio; il secondo passo
dev'essere l'ascoltare». Cominciate al-
lora ad a scoltarli.
Gianni, un ra gazzo di diciassette
anni, ai confida: « Mio padre si vanta
di essere un intellettuale. Non è cattivo,
è gentile. Ma quando ragiona, la sua lo-
gica somiglia a chiodi appuntiti. Se fac-
cio un'osservazione o gli pongo una do-
manda, mi sottopone a una vera tortura.
Vorrei che fosse meno intelligente e più
umano e mi ascoltasse. Non riesco nep-
pure a immaginarmi che sia capace di
fermarsi lungo la strada a cogliere un
fiore».
Franco, di sedici anni, butta
fuori le sue riflessioni: «Mio padre
non ha la minima tolleranza nei confronti
degli altri. Dice di volermi bene, ma io
non me ne accorgo. Sostiene di deside-
rare per me quanto c'è di meglio nella
vita, ma come può farlo 7 Non mi co-
nosce neppure l>.
Elena, di sadici anni, afferma:
«Mia madre non mi vuol mai sentire.
Dice che il mio futuro le appare oscuro:
sono la pecora nera della scuola, non
faccio onore alla mia famiglia e finirò nel
fango. Le ho risposto con la frase che
pronunciò una volta Oscar Wilde: "Posso
essere nel fango ma sollevo gli occhi a
guardare le stelle"».
Paolo è un ragazzo Impegnat o,
malg ra do i suoi giovani anni. Non
si direbbe. Parla cosi: « Ho avuto un
lungo colloquio con mio padre. Un col-
loquio da uomo a uomo. Gli ho detto
quanto mi avesse deluso la sua genera-
zione, contraddistinta dalla brama di de-
naro, dallo sfruttamento, dalla disonestà
negli affari, dalla corruzione degli uomini
politici, dalle guerre sanguinose. Mio
padre mi ha risposto: "Hai osservato que-
sto mondo e l'hai trovato pieno di di-
fetti. Vuoi edificare un mondo migliore
e hai tutta la mia approvazione. Ma anche
il tuo nuovo mondo può e~re miglio-
rato: a me non piacciono il suo linguaggio
volgare, la sua musica assordante, la sua
letteratura oscena. Siete cosi sicuri delle
vostre risposte. Avete pronta una solu-
zione per tutti i problemi: la non-violenza,
la droga, prendere, godere e mollare. Non
vi nego il diritto di ribellarvi e di rinno-
vare: ma io voglio difendermi da chi
tenta di impormi il caos". Devo levarmi
tanto di cappello a mio padre. Sa ascol-
tare. E ti fa pensare».
CARLO DE AM BROGIO 5

1.6 Page 6

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Il primo ricordo di Angelino è
la giornata triste in cui gli por-
tarono via Maria Caterina.
Le bocche erano tante, e le
braccia poche. Nella bella stagione
anche Marianna Roncalli doveva
andare nei campi e impugnare la
zappa. Occ-0rxeva lavorare sodo. I
Roncalli erano mezzadri, e il rac-
colto bisognava dividerlo con i
padroni del podere.
La «mammina>} di Angelo fu
perciò Maria Caterina, la sorella
«più grande>} (sei anni l), che non
andava ancora a scuola. Passava
la giornata a cullarlo, a infilargli
in bocca la pappa, a insegnargli i
primi passi.
Tornando una sera dai campi,
mamma la trovò con la fronte
che scottava. Il medico, subito
chiamato, scosse la testa.
Tre giorni dopo Angelino vide
la sua (( mammina >> pallida e im-
mobile sul letto. La chiusero in
una cassa piccolina. C'era tanto
sole i.1 giorno che la portarono
verso gli alti cipressi.
Dove la portano, mamma ?
- In Paradiso, Angelino.
La battaglia della scodella
Poi Dio mandò ad Angelo un
fratellino, Zaverio. II lettuccio nella
camera di papà e mamma passava
di diritto al nuovo arrivato, e
Angelino dovette emigrare nella
stanza dello zio. Due panche ad-
dossate alla parete furono il suo
nuovo letto. Prima che si addor-
mentasse lo zio gli leggeva le Vite
dei Santi, piano, con .la voce pro-
fonda. E Angelino fissava la barba
grigia e dura del vecchietto andare
su e giù, su e giù, attorno a quelle
parole severe e profonde, finché il
sonno lo vinceva, e lo zio soffiava,
adagio, sulla candela.
Ogni giorno, alle undici, squil-
lava la campana dei frati a Bac-
canello. I bambini, ovunque fos-
sero, partivano al galoppo verso la
cucina:
- È l'ora! È l'ora, mamma, è
suonata la campana I
Il paiolo brontolava già sul
fuoco. Teresa reggeva alla mamma
il sacchetto della farina gialla.
Gli altri correvano alle scodelle,
impugnavano i cucchiai, e bat-
6 tendo energicamente il ritmo del-
Nei primi giorni di giu-
gno del 1963 tutto il
mondo si trovò in gi-
nocchio attorno al letto
dove moriva Papa Gio-
vanni. Aveva con sem-
plicità iniziato il rinno-
vamento della Chiesa,
aveva fatto « tornare di
moda la bontà ». Ricor-
diamo la sua paterna
figura narrando.la sem-
plice e meravigliosa vi-
cenda della sua vita.
l'appetito andavano a schierarsi
sul muretto. il muretto era la
tavola dei giorni di sole. Con la
scodella fumante di polenta man-
giavano, ridevano, salutavano i
passanti agitando i cucchiai.
Nei giorni di pioggia e d'inver-
no, la polenta veniva aspettata e
divorata in cucina, tra un chiac-
chiericcio fitto e squillante.
Ma se qualche mendicante si
affacciava alla porta, zittivano al-
1'improvviso. Si stringevano sulla
panca per fargli posto, e Teresa
andava a riemf)ire la prima sco-
della per lui. (( È il Signore che si
siede alla nostra tavola>>, aveva
detto la mamma.
La grammatica
a furia di manrovesci
Finita la terza elementare, a
quei tempi era finito tutto. Gli
scolari davano addio ai libri e
impugnavano la vanga.
Anche Angelino, lasciati i libri,
si recò al campo con papà. Ma
un giorno il parroco don Rebuz-
zini giunse sull'aia dei Roncalli.
- Sentite, Battista. Io di ragazzi
me ne intendo. È un peccato
far venire Angelino nei campi.
Se ne potrebbe ricavare un buon
sacerdote, con l'aiuto di Dio.
- Tutto bene, reverendo. Ma
come si fa ? Io soldi per mandarlo
in seminario non ne ho. Con tante
bocche ho già da rompermi la
schiena per comperare il pane,
altro che librU ·
- Ho pensato anche a questo.
A Càrvico c'è don Bolis che dà
lezione ai ragazzi che i parroci
gli mandano. Gli ho parlato di
Angelino, e lui non avrebbe dif-
ficoltà a insegnargli per qualche
mese.
Babbo e figlio arrivarono il mat-
tino dopo alla canonica di Càrvico.

1.7 Page 7

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- Questo è iJ mio figliolo. Don
Rebuzzini dice che ha la testa
fatta per i libri. Vedete un po' voi.
Se non s'impegna, dategli pure
qualche ceffone.
Don Bolis si mise a ridere: non
aveva certo bisogno di quella
raccomandazione. Condusse An-
gelino in cucina, e gli diede un
posto aJ gran tavolo di noce. In
dieci lezioni galoppanti, l'analisi
logica fu presa d'assalto, conqui-
stata e chiusa. A questo punto il
prete gigantesco aprì l'armadio dei
libri, tirò fuori una copia del
De Bello Gallico di Cesare e intimò:
- E adesso cominciamo a tra-
durre.
Cesare vinceva battaglie, espu-
gnava città in un vortice di abla-
tivi e genitivi da far venire il capo-
giro. E Don Bolis, su e giù per la
cucina, punteggiava le battaglie
con urlacci e ceffoni.
Papa Giovanni ricordava sor-
ridendo quei tempi duri. Diceva:
«La grammatica mi fu ficcata in
testa a furia di manrovesci sulle
orecchie >>.
I mesi amari di Celana
Dopo un anno, don Bolis disse
a Battista Roncalli :
- lo ho finito. Quello che
potevo insegnargli gliel'ho inse-
gnato. Vostro figlio è pronto per
la terza ginnasiale.
Una lettera di don Cado Marti-
nelli, amico di famiglia, .bastò per
far iscrivere Angelino come esterno
alla terza ginnasiale del collegio
di Celana. A Caderizzi, a tre chilo-
metri da Celana, abitavano certi
parenti che accettarono di ospitarlo
<• a settimana >>.
Alla fine di settembre la nuova
vita cominciò. Angelino si alzava
all'alba del lunedi, prendeva l'in-
volto di biancheria preparatogli
dalla mamma, le dava un bacio
lungo che bastasse per tutta la
settimana, e scendeva in strada.
S'arrampicava fino alla sommità
L' ultima appariziona alla finestra di Papa
Giovanni, che reca nel volto i sagni dalla
grave melatti■ .
del Canto e di Il scendeva diretta-
mente a Caderizzi, presso Pontida.
Quattro chilometri. Posava la bian-
cheria, buttava giù una scodellina
di latte caldo, e carteUa in spalla
via verso Celana.
L'ottimismo di don Bolis, però,
era stato eccessivo. Quel bambino
di dieci anni in terza ginnasiale
era un pesce fuor d'acqua. Sapeva
leggere un po' di latino, mentre i
suoi compagni (assai più grandi
di lui) affrontavano già la sintassi.
La matematica divenne la sua
bestia nera. Il professore, veden-
dolo far scena muta davanti alla
lavagna piena di esercizi da risol-
vere, pensò di trovarsi davanti a
un piccolo poltrone, e lo sgridò con
molta durezza. Angelino tornò
al posto avvilito. Da quel giorno
Je sgridate non si contarono più.
Donizzetti, un ragazzo che fre-
quentava anche lui da esterno,
lo vide qualche volta piangere per
la strada.
A maggio avvenne il fattaccio.
Angelino venne improvvisamente
convocato in direzione con cinque 7

1.8 Page 8

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o sei compagni di classe. Entrando
capirono dal volto del direttore,
severissimo, ch'era capitato qual-
cosa di grosso. Sul tavolo videro
un cestino di mele.
- Chi ha portato qui dentro
questa frutta ?
- lo - rispose Angelino.
- Sapevi che il regolamento
lo vieta rigorosamente ?
Angelino cadde dalle nuvole:
- No. Un ragazzo mi ha dato
soldi, e io gliele ho comperate.
- È una mancanza grave. Vo-
glio il nome di chi ti ha dato i
soldi.
Qui Angelino si impuntò.
- Io il nome non lo dico.
Non sono una spia.
Il volto del direttore avvampò.
- Voglio il nome e subito.
Angelino si chiuse nel silenzio.
Il colpevole (era tra quei cinque
o sei) non si presentò, e il castigo
fu grave: espulsione.
Il direttore scrisse una lettera
dura per don Martinelli, la con-
segnò ad Angelino perché gliela
portasse, poi lo fece mettere a!Ja
porta.
Si trovò sulla strada, avvilito
fino a piangere. Cosa avrebbe detto
al papà, alla mamma ? Tanta stra-
da, tanta fatica, tutto inutile I
Su quella lettera c'era scritto che
lùi era uno zuccone, un disub-
bidiente. E non era vero. La strac-
ciò a pezzettini e la gettò tra i
cespugli.
l>oi scese a Caderizzi, fece fa-
gotto, e tornò a casa.
- Mi hanno cacciato via
disse a voce bassa. Ma aggiunse
con fierezza - perché non ho
voluto fare la spia.
Quando don Martinelli seppe
tutta la storia disse:
- La ragione ce l'hai tu, ma
per aver stracciato la lettera meriti
lo stesso un ceffone.
E alzò la mano per darglielo.
Ma vide quel volto pallido, quegli
occhi avviliti, e il ceffone si trasfor-
mò in una ruvida carezza. Poi
aggiunse:
- In ottobre ti porto in se-
minario. E allora gli faremo vedere
noi, ai p rofessoroni d i Celana,
se Angelino Roncalli è uno zuc-
cone I
I soldi. Eterno problema dei
a poveri. Anche i soldi per la pie-
cola retta di Angelino in semi-
nario erano un grave problema.
Mamma Marianna, per la prima
volta in vita sua, passò di porta in
porta dai parenti a chiedere un
aiuto per il suo ragazzo che
partiva. La sera, rientrando, scop-
piò a piangere: in mano stringeva
due lire, il frutto di una giornata
di umiliazioni amare.
Quella sera tutto sembrò crol-
lare. Papà Battista con tristezza
disse ad Angelino: «Sei il figlio di
un povero contadino. E anche se
diventerai prete, sarai sempre un
povero prete...
Ma la mattina dopo, sull'aia
arrivò monsignor Morlani. Chia-
mò in disparte papà Battista e
gli disse:
- So che in questo momento
siete in difficoltà. Se non vi offen-
dete, la retta del seminario per
questi primi anni la pagherei io.
Con il solito quarto d'ora di
ritardo, che spesso mette cosl a
dura pro,,a la nostra fede, la Prov-
videnza era arrivata.
Un amico fidato
I giorni del seminario si suc-
cedettero uno dopo l'altro, uno
uguale all'altro, fitti e densi. Scuola,
Papa Giovanni t ra I carcerati di llegln■
Coell. Dlau loro: cc Ho messo Il m io cuore
vicino al vostro cuore •·
studio, preghiera, corse rumorose
in cortile, rapide puntate in re-
fettorio per calmare l'appetito ga-
gliardo. Poi ancora scuola, studio,
preghiera...
Un sacerdote dal corpo fragile e
dall'anima luminosa, don Davide
Re, divenne suo amico e con-
fidente. Quando il problema non
veniva, o nelle g rigie sere invernali
lo assaliva la malinconia, Angelino
si alzava dal banco e si recava dal
vicedirettore. Don Davide lo ri-
ceveva con un sorriso, lo guidava
con pazienza nei campi minati
delle frazioni, e poi facevano lunghe
chiacchierate, che riempivano il
cuore di serenJtà.
- Lo so che la tua vita è
dura, Angelo. Ma credi di essere
solo? Non sai ehe accanto a te
c'è il Signore, che conta i tuoi
sacrifici, le tue rinunce ? E non
è bello spendere questi pochi
anni per salvare tante anime,
prima di andare lass~ per sempre ?
C'è già uno che ti aspetta, sai.
È Maria Caterine, la tua sorellina...
Angelo tornava nello studio si-
lenzioso, riprendeva la testa tra
le mani, e ci dava dentro. Era

1.9 Page 9

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contento, perché aveva scoperto
una cosa grande. I suoi sforzi non
erano inutili. Offrendoli a Dio per
salvare anime era già un piccolo
sacerdote.
Alla lettura dei voti del primo
trimestre ebbe una sorpresa: era
stato classificato terzo della classe,
con un otto di latino e un sette
in matematica. La parola <i zuc-
cone » era cancellata per sempre.
Le case color di terra
Gennaio r901. Tre chierici ber-
gamaschi giungono alla stazione
di Roma. Perfezioneranno i loro
studi teologici nel seminario del-
1'Apollinare. C'è anche Angelo
Roncalli.
I I agosto 1904. Don Angelo
scende nelle Grotte vaticane e
celebra la sua prima Messa presso
la tomba di San Pietro. Pochi
giorni prima ha scritto sul dìario:
<< Non mi faccio prete per compli-
mento, per far quattrini, per tro-
vare comodità, onori, piaceri. Guai
a me! Solo per far del bene, in
qualunque modo, alla povera gen-
te».
Don Angelo arrivò a Sotto il
Monte la sera prima dell'Assunta.
Si commosse a rivedere il suo
piccolo paese con le case color di
terra, la vecchia chiesa di pietra
grigia, la casa paterna silenziosa
nel crepuscolo.
Il giorno dopo le campane suo-
narono a distesa, e Don Angelo salì
all'altare per la sua prima Messa
cantata, nella chiesa stracolma di
gente.
Nei primi banchi c'era papà
Battista, mamma Marianna, le so-
relle e i fratelli dal volto largo e
cotto dal sole. E c'era anche il
vecchio zio Zaverio, che era stato
la grande luce della sua fanciul-
lezza.
Gli anni del cannone
Alle 15,30 del 23 maggio 1915 il
governo austriaco riceve la di-
chiarazione di guerra italiana. Ini-
zia la «grande guerra >>.
Anche Don Angelo riceve la
cartolina-precetto. Scrive:
(( Domani parto. Dove mi man-
deranno? Sul fronte? Nulla so;
questo solamente voglio, la volontà
di Dio in tutto e sempre, e la sua
gloria nel mio sacrificio completo ~.
È assunto come sergente al-
1'ospedale di Bergamo.
Intanto, al fronte, si scatenano le
terribili battaglie dell'Isonzo. Sul-
l'altipiano carsico inizia il martirio
dei nostri fanti: baionette contro
reticolati.
Il sergente Angelo Roncalli vede
arrivare la marea sussultante dei
feriti. Nelle pupille allucinate c'è
l'orrore dell'assalto all'arma bianca.
27 ottobre 1917. Un nome passa
sull'Italia come una folata di paura:
Caporetto. Gli Austriaci hanno
sfondato e dilagano per la pianura
veneta. Partono per il Piave le
ultime riserve e i << ragazzini 1>
del 1899 che hanno appena 18
anni.
Don Angelo a Bergamo è stato
nominato cappellano militare, e
vede arrivare una marea gigantesca
di feriti. Sono militarizzate tutte
le chiese della città, che si trasfor-
mano in corsie piene di corpi
straziati. Gira fra quei ragazzi
con garze e disinfettanti. Ad ogni
benda, una parola di fede e di
bontà. Ma quanti muoiono.
Poi, finalmente, il grande an-
nuncio: la pace!
Papà Battista e mamma Marian-
rui riabbracciano i quattro ngli
che tornano dal fronte. Don An-
gelo ripete :
- La pace sulla terra! Che
cosa c'è di più bello, di più grande ?
Ora per Don Angelo cominciano i
lunghi anni di Roma e dell'Oriente.
Il Papa lo chiama a dirigere l'Opera
per la Propagazione della Fede, poi
lo consacra vescovo e lo manda
suo rappresentante in Bulgaria.
Nella primavera del 1934 il
Papa lo chiamò ancora e lo mandò
Delegato apostolico in Turchia e
Grecia. Qui egli sente arrivare il
rombo di un'altra guerra, la terri-
bile «seconda guerra mondiale ».
Una sera ricevette una dram-
matica telefonata. Una nave con
mille bambini ebrei era arrivata
in un porto della Turchia. Era
fuggita da uno Stato invaso dai
nazisti, ma le autorità turche non
volevano saperne di dare ospitalità
ai piccoli passeggeri. Temevano
l'ira pazza di Hitler. Rimandare
indietro quei bambini voleva dire
destinarli alle camere a gas.
Monsignor Roncalli chiamò al
telefono gli ambasciatori di due
nazioni neutrali e lontane. Ci
furono trattative drammatiche. Alla
fine i bambini partirono nella
notte per un porto sicuro.
PAPA GIOVANNI E LA FAMIGLIA SALESIANA
«... I primi anni della mia vita furono allietati e protetti dalla cara immagine
dell'Ausiliatrice... Oh! una riproduzione molto semplice: il ritaglio del Bollet-
tino Salesiarw che il prozio Zaverio riceveva e leggeva a tutti noi con grande
trasporto. La pia immagine stava a capo del letto... Quante preghiere, quante
confidenze davanti a quell'umile effigie! E Maria Ausiliatrice mi ha sempre
aiutato*·
( Il card. Roncalll nella Basilica di M. Au•illat rlce Il 12 eettembre 1953)
• Oggi domenica 31 gennaio ricorre la commemorazione di S. Giovanni
Bosco. Questo è un poema di grazia e di apostolato: da un piccolo borgo del
Piemonte ha portato la gloria e i successi della carità di Cristo ai confini più
lontani del mondo ».
( Papa Giovanni c oncludendo Il S inodo Romano nel 1980)
Il missionario Don Albisetti era presente ad un'udienza. Il Papa vide la sua
barba bianca e gli domandò:
- Da dove venite?
- Sono un Salesiano, e vengo dalle missioni del Mato Grosso, in Brasile.
- Eh si, - sorrise Papa Giovanni - i Salesiani sono padroni di mezzo
mondo!
Andò avanti, dando la mano a baciare a chi veniva dopo. Ma a un tratto si
volse ancora a don Albisetti, e sorridendo a piena faccia aggiunse:
- Diciamo pure: di tutto il m<mdo I
9

1.10 Page 10

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Telegramma cifrato
dal Vaticano
1944. È arrivato a Costantinopoli
un telegramma cifrato dal Vati-
cano. Monsignor Roncalli si pone
a decifrarlo e rimane di sasso.
Gli annuncia che è stato nominato
Nu~io Apostolico a Parigi. Ha 63
anni.
30 novembre 1952. Pio XII
nomina Roncalli cardinale e lo
destina alla città di Venezia. Egli
scrive sul diario: <e È il Signore che
veramente ha fatto tutto, e ha
fatto senza di mc, che nulla avrei
potuto immaginare... Tenermi
umile e dimesso non m1 costa
gran fatica. lnvanirmi e inorgo-
glirmi di che cosa, o Signore?
Il merito è la tua misericordia 1>.
In un pomeriggio ventoso, il
cardinal Roncalli arrivò a Venezia.
C'erano gondole e vaporetti a cen-
tinaia, a ricevere il nuovo cardinale.
A Venezia andò su e giù per i
ponti, entrò nelle case dei poveri
e dei malati, visitò gli orfano-
trofi, le scuole, gli ospedali. Si
fermava a fare una carezza ai
bambini, ad ammirare la forza dei
rematori, a dire Ùna parola buona
alle vecchine che scantonavano
con la sporta delle provviste.
Marghera e Mestre sono due
grandi centri operai alle porte di
Venezia. La prima visita del Cardi-
nale fu laggiù. Accettò gli applausi,
ma volle conoscere in profondità
l'ambiente. E scoprì la grande in-
certezza che pesava sui lavoratori:
specie nei cantieri, la disoccupa-
zione era una minaccia costante.
Si rivolse allora con franchezza
ai datori di lavoro: chiese sforzi
maggiori di carità e di giustizia
verso gli operai.
Ai partecipanti del Festival ci-
nematografico parlò con bontà e
franchezza degli spettacoli poco
edificanti che spesso appaiono sugli
schermi:
- Miei fratelli, il mondo d'oggi
è oppresso da un'atmosfera sof-
focante. Purificatelo! Fate entrare
l'aria Cresca!
9 ottobre 1958. Pio XII muore.
Il patriarca RoncaUi pone nella
valigia la cotta per il conclave e
dice mestamente:
- Andiamo a fare un nuovo
10 Papa.
Sera del 28 ottobre, ore 16,45.
ella Cappella Sistina i piccoli
baldacchini dei cardinali sono stati
abbassati. Uno solo è su. Sotto
si legge il nome dell'eletto: Angelo
Giuseppe Roncalli.
Il cardinale Tisserant gli s1 è
accostato:
- Accetti la tua elezione a
Sommo Pontefice ?
- Ciò che so deUa mia povertà
e pochezza basta alla mia confu-
sione. Ma vedendo la volontà di
Dio, chino il capo e le spalle al
giogo della croce.
- Come ti chiamerai ?
- Mi chiamerò Giovanni.
Quando apparve lassù, sulla log-
gia esterna di San Pietro, per la
prima benedizione al mondo, un
romano tra la folla esclamò:
- Bello non è. Però la faccia
ce l'ha buona.
Cominciarono da quel momento
i piccoli gesti, le battute, gli epi-
sodi che in brevissimo tempo
circondarono Papa Giovanni di
una popolarità enorme.
Nel primo Natale, non riesce ad
adattarsi all'idea malinconica di
passarlo da solo. Dice:
- Andiamo all'ospedale del
Bambino Gesù, tra i bambini ma-
lati.
« Anch'io mi chiamavo Angelo »
Appena lo vedono in fondo al
corridoio, i malatini gridano come
passenp: G'
... .
- apa 1ovanru1 vieni qui 1
- Vengo da tutti, aspettate...
Come ti chiami ?
- Angelo.
- Anch'io mt chiamavo An-
gelo. Ma ora mi hanno dato un
altro nome...
Si avvicina al letto di Carmine
Lemma, un bambino di sci anni
che ha perduto la vista per una
grave forma di meningite. Il bimbo
sta raggomjtolato e quasi spento
nel letto.
- Tu sei il Papa, io lo so, ma
non ti posso vedere.
Il Papa siede sul bordo del letto
e accarezza a Jungo le manine
diafane, senza dire parola. Poi,
come fra sé, mormora :
- Talvolta, siamo tutti ciechi.
Il giorno dopo Papa Giovanni
va a trovare i «cari figlioli del
carcere romano di Regina Coeli.
Quegli uomini daJJa rozza divisa
a righe gridano, applaudono.
n Papa, quasi sopraffatto dal-
l'onda di entusiasmo, si toglie
lo zucchetto bianco e lo agita in
segno di saluto. Poi parla:
- Dunque, eccoci qui. Ho fis-
sato i miei occhi nei vostri occhi,
ho messo il mio cuore vicino al
vostro cuore...
Il Concilio
La domanda che nei primi mesi
di pontificato occupa la mente di
Papa Giovanni è: «Che deve fare
la Chiesa per il mondo d'oggi?•·
25 gennaio r959. Nel monastero
di San Paolo, il Papa parla ai cardi-
dali:
- Per venire incontro alle pre-
senti necessità del popolo cristiano,
annunciamo la celebrazione di un
Concilio Ecumenico unjversale...
Esso vuole essere altresì un invito
alle Comunità separate per la
ricerca dell'unità.
I cardinali si sentono mozzare il
fiato. Un Concilio. È un avveni-
mento eccezionale, rischioso. Ra-
dunare tutti i vescovi del mondo
e dire loro: t Discutiamo insieme
della Chiesa e del mondo• vuol dire
scuotere ogni cosa con un vento
gagliardo, forse con un terremoto.
Ma Papa Giovanni sorride alla
sua maniera: Ci sarà anche lo
Spirito Santo - dice. - Io non
ho paura. Mettiamoci aJ lavoro •·
Il Concilio Vaticano II scatta
alle 8,30 dell'11 ottobre 1962.
2500 vescovi di ogni parte del
mondo invadono San Pietro e
iniziano il dibattito. Le discussioni
sono apertissime, qualche volta
eccitate. Gli argomenti scottano:
i rapporti della Chiesa col mondo
politico, il mondo dei lavoratori,
il mondo della cultura; la guerra,
la fame, i poveri, il comunismo,
le dittature.
Nelle discussioni appassionate,
quei 2500 vescovi hanno fisse
nella mente le frasi semplici ma
rivoluzionarie che Papa Giovanni
sta ripetendo a tutti: <e Vogliamo~i
bene, il resto verrà da sé. - Bi-
sogna odiare il peccato, non il
peccatore. - Parliamo di ciò che
ci unisce, e supereremo anche
ciò che ci divide •·

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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L'8 dicembre 1962 si chiude la
prima sessione del Concilio. Il
Papa scende nelJa Basilica Vati-
cana, e le sue parole sono una
ventata di fiducia: I<< vostri di-
battiti hanno mostrato al mondo
la santa libertà dei figli di Dio...
Arrivederci fra nove mesi! 1J.
Ma chi fissa ìl suo volto, quel
giorno, ha una dolorosa impres-
sione: Papa Giovanni sta male.
Lo rivedranno ancora fra nove
mesi?
« Oggi andrai in Paradiso»
20 maggio 1963. Sul suo diario,
Papa Giovanni annota con mano
stanca:
- Questa mattina, per Ja terza
volta, invece di avere avuto io
stesso la soddisfazione di celebrare
la santa Messa, ho dovuto ac-
contentarmi della Comunione... 1>.
Non sa che da sei mesi il dottor
Rocchi ha avvertito le persone
più intime che un grave tumore
ha attaccato a fondo la sua vita.
Nella notte del 21 maggio il
male scoppia con violenza. Una
emorragia sembra volersi portar
via il Papa in poche ore. Solo a
mattino inoltrato i medici riescono
ad arrestarla. La notizia che il
Papa sta male dilaga per il mondo.
Sotto la finestra c'è una gran
folla di pellegrini venuti per ve-
derlo, e il Papa lo sa. Riesce a
strappare ai medici il permesso
di affacciarsi per un secondo:
- Cari figlioli, vi aspettavo per
mezzogiorno. Invece anticipiamo
un poco l'appuntamento... Buona
festa dell'Ascensione l Corriamo
dietro a.I Signore che sale... Sa-
luti ! Saluti l
30 maggio. Un attacco di peri-
tonite stronca ogni speranza. Il
segretario si inginocchia accanto al
letto. Sussurra:
- Santo Padre, ho interrogato
i medici.
- Bene, cos'hanno detto ?
- Santo Padre, sarò leale con
Lei. Le dico che questo è il giorno
del Signore, dell'incontro con Ge-
sù.
E scoppia in lacrime. Papa
Giovanni raccoglie le forze, e sor-
ridendo dice:
- Ma guardalo il mio ~egre-
tario l Sembra così forte, e invece
si commuove quando deve dire
al suo superiore la cosa più bella:
oggi andrai in Paradiso.
Entra il confessore del Papa.
Per mezz'ora Papa Giovanni si
trattiene con lui. Alle 11,35 gli
viene portato il Viatico. Si rac-
coglie per qualche minuto in rin-
Nel primo Natale disse:« Andiamo all'o-
spedale dal Bambino Gesù, tra I bambini
malati».
graziamento, fissa il crocifisso, e
quietamente, a bassa voce, parla ai
presenti:
- Quelle braccia allargate di
Gesù sono state iJ programma
del mio pontificato. Un pontificato
umile e modesto. Ma sono conten-
to di quello che ho fatto. Ho cer-
cato di amare tutti, ho voluto il
bene di tutti ...
Un violento temporaJe si ab-
batte su Roma. Molte persone,
sotto la pioggia, non vogliono ab-
bandonare Piazza San Pietro. Ri-
mangono con la faccia rivolta
lassù, a quella finestra.
Papa Giovanni ora si asso-
pisce, ora parla frasi lente, spez-
zate. Offre le sue sofferenze per i
bambini, gli ammalati, i lavoratori
del mondo intero.
Mormora sovente: Madre mia,
fiducia mia. È l'invocazione alla
Madonna che ha appreso in Se-
minario, e che per tutta la vita è
fiorita sulle sue labbra.
Ora la febbre, altissima, è ca-
duta di colpo. E sono cadute
anche, sul lenzuolo candido, le
mani stanche di Papa Giovanni.
Sono le 19,49 del 3 giugno
1963.
TERESIO BOSCO 11

2.2 Page 12

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Q ualche anno fa un grande
quotidiano americano intitolò
cosi una sua corrispondenza dal-
l'India: «Calcutta, città di in-
cubi notturni». È un titolo di
colore, d'accordo, ma non è del
tutto sbagliato. Un giornalista ita-
liano, andato recentemente lag-
giù, scrive: «Di notte le vie di
Calcutta, specialmente quelle più
strette dei rioni periferici, non
sono fatte per essere percorse da
persone troppo emotive. Queste
viuzze, più di 3000, appaiono
spesso cosparse di teschi di mon-
tone e di ossa di animali. Rischia-
rati dal tenue bagliore della luna,
danno la macabra sensazione di
trovarsi non in una città, ma
nell'interno di un cimitero messo
a soqquadro. Il Primo Ministro
Nehru, parecchi anni fa, rimase
fortemente impressionato quando,
compiuta una visita al centro
della città, venne poi condotto tra il
fango, le immondizie, i rifiuti
degli uomini e delle vacche sacre
di cui erano sparse le viuzze di Cal-
cutta. E non si può dire che da
allora siano cambiate tante cose >>.
Facciamo pure la tara a queste
pennellate di colore (i giorna-
listi, si sa, sono sempre alla ricerca
di immagini shoccanti). Tuttavia
in questa città portuale, con i suoi
cinque milioni di uomini, la realtà
rimane sempre drammatica.
In quelle viuzze e nei pressi del
massiccio ponte dì Howrah, i
Salesiani lavorano dal lontano
1937. Hanno il loro «quartier
generale» presso l'Orfanotrofio
Cattolico. Lavorano per i bam-
bini poveri, non soltanto rice-
vendoli nella loro scuola, ma di-
stribuendo il cibo indispensabile a
loro e alle loro famiglie. I Sale-
siani hanno pure aperto una dtlle
più importanti scuole tecniche del-
la città, nel rione di Liluah. In
questa scuola i giovani si prepa-
rano ad essere gli ingegneri e i
periti meccanici nella industria
indiana che è in piena espansione.
« Vi vengono affidati
i bassifondi »
L'ultima opera aperta dai Sa-
lesiani (proprio in quest'anno 1973)
è una scuola tipografica e una par-
12 rocchia nel quartiere di Tengra. li
salesiano Eugenio Ojer, che lavora
a Tengra, ci ha inviato questa breve
relazione che pubblichiamo.
Quando l'arcivescovo dì Calcut-
ta ci affidò ufficialmente la nuova
Parrocchia di Tengra, ci disse con
chiarezza: "Per voi Salesiani, que-
sta è una sfida. Vi vengono affidati
bassifondi che sono al confine del-
la miseria più nera, sia morale che
materiale". E quando si sentono
pronunciare parole cosl, in Calcut-
ta, la città che è volutamente evi-
tata dai turisti perché è centro di
continua violenza e disordini, bi-
sogna essere pronti a vederne
molta di tale miseria.
Questa mattina mi accingo a
lasciare l'Istituto mentre l'aurora
non ha ancora dissipato le penom-
bre del mattino. C'è un'aria fresca
che fa piacere. Mentre vado in
vespa verso Tengra incontro poche
persone imbacuccate da capo a
piedi in strisce di tela. Una
sottile nebbia nasconde miseri-
cordiosamente le gente accoccolata
ai margini della strada.
«Tengra è il centro delle con-
cerie e dei baraccati di Calcutta.
Le concerie non si vedono ancora,
ma se ne avverte da lontano l'odore
acuto e caratteristico, che esala
dalle vasche ricolme di acqua
acida. Diretti verso la città, sfi-
lano i carri stracarichi di pelli
già conciate. Nei recinti, gruppi
di operai si danno da fare attorno
alle enormi vasche e ai ruUi che
giorno e notte, ininterrottamente,
ripuliscono le pelli. Altri gruppi
di operai lavorano a sistemare le
pelli che il sole della giornata
essiccherà sulle grandi piattaforme
delle concerie.
11 Nella vasta area di Tengra,
sorgono 200 fabbricati dove· sono
in attività concerie di_tipo arti-
gianale. Non esistono nomi di
strade e numeri di recapito. C'è
un indirizzo solo: South Tengra
Road, 47. Corrisponde alla Scuola
Cinese (perché qui i cinesi sono
numerosissimi). Gli alunni si in-
caricano, dopo la scuola, di portare
la posta ai vari destinatari.
«Quando giungo alla Cappella,
la trovo chiusa. Lascio Jo scooter
sotto una splendida pianta di
bougainville che sorge da un grosso
vaso. Non ci sono alberi a Tengra,
ma solo fiori in vasi. In tempi
una-
Quando l'arcivescovo
affidò ai Salesiani
la parrocchia
di Tengra, disse:
« Per voi Salesiani,
questa è una sfida.
Vi vengono affidati
i bassifondi che
sono al confine della
miseria più nera».
lontani tutta questa zona era una
vasta piantagione di alberi di
cocco. Di essi ora non riman-
gono che i tronchi mozzi che si
proiettano contro un cielo di ce-
nere. Nel breve spiazzo davanti alla
cappella, mentre prego un po',
mi vengono a far compagnia al-
cuni cani. Sono cani-paria, senza
padrone, sempre alla ricerca di
un boccone o di u.na carezza.
Cristo nella capanna di bambù
~ Ma ecco Stefano. È un gio-
vanotto cinese di 21 anni. L'ho
battezzato solo lo scorso Natale,
ma è un cristiano convinto e fer-
vente. Mi fa profonde scuse per
essersi fatto attendere. Stefano
conosce bene l'inglese, e natural-
mente sa il cinese. In chiesa tra-
duce le mie prediche per i tanti
cinesi che affollano la cappella. E
se io non posso venire, predica lui
stesso, abbastanza bene. La cap-
pella è una grande capanna di
bambù, con il tetto ricoperto di
tegole che noi abbiamo adattato a
chiesa. Non siamo ancora riusciti
a comprarla. Paghiamo al padrone
un centinaio di rupie all'anno.

2.3 Page 13

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«Eccoci all'opera per preparare
l'altare, spolverare le misere pan-
che, ricoprire le pareti con qualche
semplice drappo per nascondere
l'estrema miseria e lo sporco.
Mi siedo al confessionale, mentre
la gente comincia ad arrivare per
la Messa. Purtroppo posso con-
fessare solo coloro che sanno espri-
mersi in inglese. Mi confidano le
loro povere cose: Signore, come
vuoi che questa gente possa fare
peccati ? Nonnine preoccupate daJ
mattino alla sera di non essere
di peso, mamme che non hanno
un attimo di tregua nella dura
giornata per allevare e sfamare
j figli...
• Sono ormai le 6. Il sole sbuca
all'orizzonte e rivela tutto lo squal-
lore del panorama intomo: poz-
zanghere fangose, baracche... La
nostra cappeUa rigurgita di gente,
e io comincio: Nian t::stt yii
nimun thung tchai I "Il Signore sia
con voi". Le ho imparate a fatica,
queste parole, e sento tutto il
disagio e l'umiliazione di non
saper dire molto di più. Dopo i
quarant'anni la mente e le lab-
bra sono difficili da educare ...
<• Predico in inglese. Una buona
parte dei presenti, specialmente i
giovani ex-allievi della nostra scuo-
la, mi capiscono. Per gli altri,
Stefano traduce.
«Al termine della Messa porto
la Comunione a Rita, una povera
vecchietta completamente cieca. La
casetta dove abita è pulita. Trovo
persino un sacco che fa da tap-
peto e candele rosse ad illuminare
la stanza. Per i Cinesi, i colori
rosso e blu sono segni di felicità.
<1 Poi comincio il giro delle
concerie, per incontrarmi con la
gente. Attorno al fabbricato cen-
trale in cui sono le macchine per
la concia, sorgono le baracche
delle famiglie. Qui vige .il sistema
patriarcale. I figli, anche dopo il
matrimonio, restano in famiglia,
e lavorano insieme al padre e ai
fratelli. I bambini, con i loro
occhietti a mandorla, sempre sor-
ridenti, portano felicità in questi
ambienti di una povertà che ra-
senta la miseria. Ma nonostante la
povertà, l'ospite viene sempre ac-
colto con una tazza di té profumato.
• Questo è il campo del mio
lavoro. Ci sono gravi difficoltà, ma
anche molte speranze. Sentiamo
il bisogno urgente di portare qui
Tangra I Il centro dalla conceria a dal ba-
raccati di Calcutta. Gruppi di operai lavo•
rano a alstamare la palli cita Il aola aulc-
charà,
le suore, perché aprano una scuo-
letta per i bambini numerosis-
simi: ne ho contati più di mille!
Un'altra urgenza è l'insegnamento
dell'inglese ai giovani. Me lo chie-
dono continuamente: senza in-
glese si rimane sigi_llati in questo
rione. Solo parlandolo si può
lasciare Tengra e magari Calcutta.
«Ma per fare questo occorrono
persone e denari. Il secondo si
può ancora trovare, ma le giovani
ridenti e forti, che una volta
partivano a centinaia dall'Europa
per dedicare la loro vita a questi
fratelli imprigionati in una tra-
gica miseria, dove sono ? lo prego
il Signore che ci siano ancora, e
che vengano a Tengra. Da 21 anni
sono missionario in India. Ho visto
accanto a me spendersi e consu-
marsi tanti missionari. Anch'io
sono consumato, ormai. Ma prima
di lasciare questa terra vorrei
piantare a Tengra, in questa terra
senz'alberi, un seme di speranza,
che dia fiori e frutti per questi
poveri figli di Dio».
13

2.4 Page 14

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Un giovane padre sa-
lesiano, 160 centimetri
di altezza, magro come
un chiodo, pieno di
energie come una pila,
lanciò una sfida a un
gruppo di giovani ami -
ci: « Se ci state, an-
diamo a fare la rivolu-
zione in città». Come
70 camion e 1500 gio-
vani hanno realizzato
quella rivoluzione.
L a TV stava per trasmettere
in diretta la partita di calcio
Vasco-Flamengo. Nei bar e nelle
case di Belem, la capitale dello
stato di Parà, in Brasile, c'era uu
tifo d'inferno, come solo i Bra-
siliani sanno fare per le sfide
calcistiche. Cinque minuti prima
che si desse inizio alla sfida, su
decine di migliaia di video accesi
apparve un giovanotto, che puntò il
dito contro gli invisibili telespet-
tatori e disse deciso:
I< Vasco-Flamengo è una partita
importante, d'accordo. Ma i mille
bambini che vivono ogni giorno
nelle nostre strade senza che nes-
suno se ne occupi, esposti ai
pericoli del traffico e della mala
vita, sono una cosa più importante
ancora. Domenica verremo a bus-
sare alla tua porta, perché a.
questi bambini devi pensarci anche
tu>>.
Subito dopo sul teleschermo si
viélero ragazze e giovanotti muo-
versi sveltamente di casa in casa.
I ragazzi portavano sulle spalle
grossi sacchi, le ragazze riceve-
vano dalla gente oggetti : scarpe,
biancheria, medicine. Una bam-
bina offrl con un sorriso una
delle sue due bambole. Intanto
una voce fuori campo scandiva:
<1 Questi sono i giovani del Movi-
14 mento Emmaus, lanciato dalla Re-
Un ragazzo di Belem. Sullo sfondo l'opera salesiana alla periferie della città.
pubblica del Piccolo Venditore. Do-
menica in tutta la città inizierà
l'operazione Emmaus. Facciamo
appello anche a te. Tutto ciò che
non usiamo non ci appartiene più:
appartiene a quanti ne hanno bi-
sogno».
Un attimo più tardi, sul video,
apparvero i campioni del Vasco
e del Flamengo, e la partita ebbe
inizio. La città di Belem (800
mila abitanti) conobbe così, in
maniera shoccante, la nuova ini-
ziativa lanciata da padre Bruno,
il salesiano fondatore della Re-
pubblica del Piccolo Venditore.
Nei giorni febbrili che prece-
dettero il lancio dell'iniziativa,
mentre tutti i giornali ne parla-
vano, e io v.tn punti della città
si tenevano conferenze per illu-
strarne i motivi profondi, molti

2.5 Page 15

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abitanti di Belem si chiesero:
ma chi è questo padre Bruno ?
Che cos'è la sua Repu bblica?
Un giornalista volle rispondere
a questi interrogativi, e andò a
vedere. Riassumiamo che cosa
scrisse il 13 maggio su O Liberal,
uno dei più autorevoli quotidiani
di Belem.
Un pretino pieno di energia
come una pila
Un esercito di ragazzini, tra i
S e i 15 anni. Quegli stessi che
vediamo vivere nelle strade, bi-
ghellonando, vendendo sacchi sul
mercato, rivendendo giornali o
semplicemente •sopravvivendo •·
Un giovane padre salesiano, padre
Bruno Sechi, 160 centimetri di
statura, magro come un chiodo,
pieno di energia come una pila,
li ha raggruppati in una specie
di piccolo stato: la Repubblica
del Piccolo Venditore.
1 locali sono stati concessi dal-
l'arcivescovo: una tettoia, qualche
stanza a lato del palazzo vescovile.
Fu qui che incontrai padre
Bruno, che tutti i ragazzi chia-
mano più brevemente , Bruno •·
Stava discutendo con un indu-
striale e due avvocati i dettagli
della campagna Emmaus, che sta
per essere lanciata. in città. Era
l'ora del pranzo: l'ora migliore
per conoscere una Repubblica di
ragazzi fondata sull'appetito.
Sala da pranzo, limpida. I ra-
gazzi mi salutano, ma il loro
interesse è concentrato in altra
direzione: sul piatto d'acciaio inos-
sidabile che ognuno ha davanti,
e che contiene il cibo forte di
ogni brasiliano: riso e fagioli.
Tavolini per quattro persone, non
tavoloni da caserma. Un gruppo
di venti ragazze e giovanotti la-
vorano in cucina e servono a ta-
vola. Nel salone alcuni calcio- siamo rimanere con le mani in
balilla, ping-pong, bigliardini. Nel mano: dobbiamo dare l'esem-
piccolo campo da calcio un grup- pio ...».
pone di altri ragazzini che giocano Poi annuncia che cosa è riuscito
a piedi nudi. Aspettano il loro a combinare per risolvere la fac-
turno per il pranzo. Ci sono gio- cenda dei piccoli fattorini: una
vanotti e signorine che parlano banca importante e una compa-
con gruppetti d i ragazzi. «Tutti gnia immobiliare hanno accetta-
studenti - mi dice padre Bruno - to di affidare ai ragazzi della Re-
e tutti volontari. Non hanno molto pubblica la consegna dei plichi
tempo a disposizione. Hanno pran- urgenti e delle fatture. In cambio,
zato a casa loro e adesso aspet- i ragazzi del nucleo non riceve-
tano di fare il turno in cucina ranno semplici mance, ma re-
e nel servizio. Lo fanno solo per- golari tariffe. Molti ragazzi ab-
ché hanno la volontà di servire». bandonano un attimo il cucchiaio
per sfregarsi le mani, e dicono a
Dicono « Bene ! » a bocca piena
bocca piena: «Bene! ,. Una cin-
quantina di questi ragazzi vive
Comincia il secondo turno-men- mettendo insieme le mance di
sa. l ragazzini sono allegri come fattorino, correndo per le strade
passeri. Bruno chiede qualche mi- tra automobili e biciclette, per
nuto di silenzio: ~ Ringraziamo consegnare telegrammi e lettere
il Signore del cibo che ora ci darà * urgenti. Un lavoro scarso, e che
dice. Tutti cantano vigorosamente: rende pochissimo.
Ti diciamo grazie, Signore. E ti Ora don Bruno riferisce sul-
preghiamo per coloro che quest'og- 1'andarnento dei nuclei dei pic-
gi non avranno nulla ~-
coli venditori di sacchi e di cestini,
Mentre i ragazzi si cibano avi- dei rivenditori di giornali, dei
damente, don Bruno parla con lustrascarpe ... Un ragazzino di
loro: rende conto della campagna dieci anni, la faccia già marcata
Emmaus, che tornerà a beneficio dalla lotta per la vita, ascolta
t della Repubblica. come un am- con interesse ciò che Bruno dice
ministratore che rende conto a sul nucleo dei lustrascarpe, di
una Assemblea Generale. Rac- cui fa parte. Un altro, un ciuffo
conta i successi, i fallimenti, gli di capelli spettinati, la faccia ne-
sbagli. Enumera i camion prestati rissima, domanda: << Bruno, quando
dalle varie ditte su cui potranno mi dai le scarpe che mi hai pro-
contare, annuncia che collabore-
ranno tutti i ragazzi dei collegi,
messo ? •· Don Bruno non se la
cava con parole evasive: «Scarpe
dice che la città è praticamente
tutta mobilitata. Domenica anche
loro dovranno mettersi al lavoro:
<< Tutti ,noi. Ognuno avrà una
missione da compiere. Alcuni an-
dranno in giro sui camion, altri
staranno nella scuola salesiana di
Sacramento per ricevere e scari-
care gli oggetti. Ci saranno circa
900 persone che lavoreranno per
noi. Evidentemente noi non pos-
15

2.6 Page 16

▲back to top
non ne ho per ora. Ma nella cessità vera, e subito sente il de- B■l■m. Plccoll rlv■ndltori d i " echi In riva
settimana prossima dovrebbero ar- siderio di fare qualcosa.
■I Rio d■lle Am■uonl.
rivare, perché anche i calzaturifici - Che cosa l'ha spinto a inte-
contribuir-anno alla campagna Em- ressarsi dei ragazzi ?
gratuito: non devono abituarsi a
maus. Speriamo non ci diano - Il nostro fondatore è Don vivere di elemosina. Chiediamo
soltanto scarpe grossissime e pic- Bosco, un prete che dedicò tutta un prezzo simbolico di venti o
colissime, cioè quelle che non la sua vita ai ragazzi, special- trenta centavos (nemmerw 50 lire).
riescono a vendere. A ogni modo, mente a quelli abbandonati da Accanto al pranzo caldo, giochi
il primo paio sarà per te ».
tutti. Abbiamo intenzione di fare allegri in cui poter riscoprire la
a Belem un rilevamento statistico, gioia di essere ragazzi, e una co-
« Nella lotta per s opravvivere ,
sono disposti a tutto »
per sapere quanti ragazzi vivono
nella strada. Non si tratta quasi
mai di ragazzi abbandonati dalla
scientizzazione morale e profes-
sionale. All'inizio tutto fu diffi-
cile: tra i ragazzi, non so come,
Gli studenti continuano a ser- famiglia, ma di ragazzi che ten- si diffuse la voce che qui c'era
vire tra i tavoli. Questo gruppo di tano di lavorare per aiutare papà un prete che li aspettava per met-
ragazzi sta per finire, e già un e mamma, o di vivere in proprio terli in prigione... Ma poi l'inizia-
altro aspetta il suo turno. Riesco senza essere di peso alla famiglia. tiva attecchi, e oggi abbiamo 300
a tirare fuori il Padre per cinque Il numero è imprecisato, ma in ragazzi iscritti alla Repubblica.
minuti:
certi rioni è impressionante.
Nei primi tempi cerchiamo di
- Mi scusi, don Bruno, ma Questi ragazzi, nella.lotta per avere con ciascuno un colloquio
come fa a mantenerli ?
sopravvivere, sono disposti a tutto, serio, in cui c'informiamo delle
- Dio ci aiuta - è la risposta esperimentano tutto: vengono in sue necessità. Una psicologa e
immediata. - Uno ci dà un sacco contatto con il gioco d'azzardo, una assistente sociale ci danno una
di fagioli, un altro ci porta dieci il furto, la droga, il delitto. Per mano gratuitamente.
chili di riso, un terzo ci consegna vivere nella giungla d'asfalto cor- Fin dall'inizio abbiamo capito
del denaro, e cosi viviamo. Certe rono rischio di trasformarsi in che il grande problema è la
mattine non abbiamo nemmeno belve.
mancanza di un lavoro, di una
un grano di riso, ma prima di Con l'aiuto di giovani studenti occupazione che li allontani dalla
mezzogiorno c'è sempre quakw10 delle scuole superiori abbiamo de- perdizione della strada. Un grande
che ce lo procura. E tutti lo fanno ciso di creare e di far funzionare numero di questi ragazzi campa-
anonimamente, senza pubblicità, la Repubblica. Come lei vede, vano vendendo sacchi e cesti sui
solo per la soddisfazione di servire non sono chiacchiere: funziona mercati. I fabbricanti li sfrutta-
i più poveri. L'uomo è un essere sul serio. Abbiamo cominciato con vano, dando loro soltanto una
16 buono. Basta che conosca una ne- il pranzo caldo per tutti. Non piccolissima percentuale sul ven-
I

2.7 Page 17

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duto. Allora abbiamo pensato di
creare nuclei di lavoro organiz-
zato. I primi due furono: venditori
di sacchi e venditori di cesti.
Le fabbriche ci forniscono diret-
tamente il materiale al prezzo
di costo, e i ragazzi li possono
vendere con un guadagno molto
superiore. Si sono affezionati al
loro nucleo, e si sentono orgo-
gliosi di essere lavoratori onesti e
rispettati.
Ma i primi due nuclei non ba-
stavano. Ci sono i rivenditori di
giornali, e noi abbiamo ottenuto
un buon contratto collettivo. Ci
sono i piccoli fattorini, e proprio
in questi giorni abbiamo con-
cordato due buoni contratti: uno
con una banca e uno con una so-
cietà immobiliare. Invece della
solita e irrisoria t mancia •• i ra-
gazzi riceveranno per le loro pre-
stazioni una paga regolare.
- Ma quello che lei ha fondato,
è un'associazione, un club o una
organizzazione assistenziale ?
- È tutto questo insieme, e
più ancora. Abbiamo i nostri
statuti, regolarmente approvati dal-
le autorità. Un professore di di-
ritto all'Università si incaricò di
metterli in forma giuridica e di
ottenerne l'approvazione. Gratuita-
mente, si capisce. Qui nessuno
guadagna un soldo, esclusi i ra-
gazzi. È impressionante come tutti
coloro che vengono a conoscere
la Repubblica si entusiasmano e
finiscono per aiutarla.
La tragedia è non accorgersi
che i poveri sono Cristo
- E come le è nata in testa
l'idea di Emmaus ?
- Non è nata in testa a me.
Fu lanciata parecchi anni fa in
Francia dall'Abbé Pierre, ed ebbe
ri.sultati splendidi. Io lanciai una
sfida a un gruppo di amici: se
ci state, andiamo a fare la rivolu-
zione in città. L'iniziativa sarà
molto semplice: raccogliere oggetti
usati da rivendere a prezzi bas-
sissimi ai poveri della periferia.
Ma ficcheremo in testa ai citta-
dini il problema della periferia,
delle famiglie povere che non
possono comprare perché guada-
gnano troppo poco. Ci state ?
Accettarono la sfida. Con il ri-
cavato della vendita (anche a prez-
zi bassissimi) aiuteremo la ReJmb-
blica del Piccolo Venditore. Ma
lo scopo primo non è questo:
è la comunità, trasformare Belem
in una comunità che si interessa
dei problemi di tutti i cittadini.
Ho detto ai miei amici che i primi
ad entusiasmarsi per la nostra
iniziativa sarebbero stati i giovani.
La realtà mi sta dando ragione.
Si stanno buttando anima e corpo.
Basta presentare ai giovani un
obiettivo concreto e valido, ed
essi corrono.
- E perché questo nome strano,
~ Movimento di Emmaus »?
- Il Vangelo racconta che Gesù
camminò verso Emmaus insieme
a due amici, senza che essi ca-
pissero che era lui, il Cristo.
Oggi anche la nostra società è
in cammino verso Emmaus. E
incontra a ogni passo Cristo:
nella faccia dei vecchi affamati
della periferia, nei bambini senza
latte, nelle madri con i figli am-
malati in collo che cercano invano
un medico. La tragedia è che la
nostra società non s'accorge che
questi poveri sono il Cristo. Dob-
biamo aprire gli occhi, scoprire
questa realtà, e dividere con essi
il pane che mangiamo, la medicina
che possiamo comprare, la scuola
che possiamo procurare ai nostri
figli. Tutto questo non ci costerà
molto, se nel volto del povero sco-
priremo il volto di Cristo. Questo
vuol fare il • Movimento di Em-
maus •.
Settanta camion e un baccano
indiavolato
Il «punto focale i> del Movi-
mento si è svolto nella seconda
domenica di maggio. Don Bruno
Sechi scrive nervosamente e sin-
teticamente da Belem:
«Molti si sono svegliati da
uno stato di letargia, si sono
scossi. Oltre settanta camion oc-
cupati da signorine e giovanotti
percorrevano la città facendo un
baccano indiavolato, con petardi,
tamburi e trombe. Tutte le porte
si aprivano, molti avevano già
gli oggetti pronti alla soglia di
casa: una stupenda allegria in-
vadeva il cuore di tutti; scene
di impressionante generosità. Altri
giovani aspettavano i camion nella
nostra Scuola di Sacramenta per
scaricare e immagazzinare i doni.
In tutto, più di I 500 giovani che
diedero uno spettacolo di genero-
sità e servizio impressionante. Una
onda di simpatia popolare ha
avvolto il movimento e la Repub-
blica del Piccolo Venditore. Gli
oggetti li abbiamo portati nei
rioni più poveri, li abbiamo ven-
duti e stiamo ancora vendendoli a
prezzi bassissimi, simbolici.
Se il risultato è stato ottimo, lo
dobbiamo anche alla organizza-
zione accurata. Per cinque mesi,
aiutati da tecnici, abbiamo stu-
diato e lavorato intorno al pro-
getto-base. Abbiamo così fatto
conoscenza e amicizia con quasi
tutti gli uomini-chiave dei mezzi
di comunicazione sociale: radio,
TV, giornali. Durante gli ultimi
I 5 giorni abbiamo creato in città
un clima di forte aspettativa. Il
lancio l'abbiamo fatto attraverso
due stazioni televisive, in momenti
di grande ascolto. Poi per una
settimana conferenze e articoli di
giornale a non finire.
È stato il primo passo verso una
coscienza cristiana più matura.
Poco alla volta intendiamo far
assumere il Vangelo nelle sue
esigenze più profonde.
Intanto, dal Movimento sono
nate due splendide cose: abbiamo
potuto fare il rilevamento stati-
stico sui ragazzi della strada (esi-
stono non mille ma duemila pic-
coli venditori ambulanti!), e il
governo ci ha regalato un terreno
per costruire più in grande la
Repubblica del Piccolo Venditore.
Cinque giovanotti che sono stati
l'anima del Movimento di Em-
maus, mi hanno chiesto di vivere
con me. Abitano nei poveri lo-
cali della Repubblica, lavoriamo
insieme, riflettiamo insieme, pren-
diamo i pasti insieme. Uno di
essi, il più maturo, vuol essere
sacerdote come me. Gli altri,
pur sentendosi orientati al ma-
trimonio, vogliono dedicare al-
cuni anni ad un'esperienza di
Vangelo e di servizio verso i poveri.
Le confesso che questi giovani
danno più forza anche a me.
Accanto a loro mi sento più
sacerdote e più salesiano».
17

2.8 Page 18

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L' avventura appena cre-
dibile ma vera di un
missionario laico sale-
siano. Con un gesto
sconcertante ha of-
ferto la sua am1c1z1a
cristiana a un pugno di
primitivi ancora arroc-
cati con le loro costu-
manze ancestrali nella
selva brasiliana.
Q uesto viso pallido nato a Bra
in provincia di Cuneo dice
«eravamo quattro tribù riunite ~-
Non parla più come un bianco.
Si è identificato con gli indios.
È diventato uno dei Guaicas, in
certo senso. Come loro si è di-
. pinto il viso e il corpo, come loro
ha danzato, come loro ha man-
giato la cenere dei loro morti
mescolata con la pappa di banane.
È un salesiano coadiutore, si
chiama Giuseppe Cravero, ha 32
anni. È in Brasile dal 1960,
e dal 1970 si è stabilito sul Rio
>!egro tra gli indi Guaicas.
18 «Quell'anno - racconta - pa-
dre Luigi Destefano e io eravamo
a Maturakà e andammo anche noi
alla e, grande festa delle ossa bru-
ciate » che i nostri indios, anche
quelli cresciuti alla missione, ce-
lebravano con solennità. Era una
cerimonia molto seria per loro, e
chiedemmo di prendervi parte. Il
capo acconsentì, e ci unimmo a
loro. Fu quella la prima volta
che mangiai le ceneri degli indi
Guaicas. Al termine, padre Luigi
mi diceva: "Questo cerimoniale
è straordinario. Se un giorno vor-
remo spiegare a questa gente che
cos'è l'Eucaristi~, credo che do-
vremo partire di qui" »_.
11 Un giorno del 1971 - rac-
conta ancora il signor Cravero -
si svolgeva un'altra festa delle
ossa bruciate presso i Guaicas
Wawanaweiteri. Di solito parte-
cipano soltanto i parenti prossimi
del defunto. [l capo del gruppo
di indios venne a noi missionari,
e ci invitò. Dunque eravamo pa-
renti prossimi. D'un tratto mi
venne in mente che giorno fosse
quello, e nel rilevare la circo-
stanza non potei fare a meno di
rabbrividire. Era il novembre t .
Ma una volta il signor Cravero
corse il rischio di essere lui a
finire incenerito e mangiato. «Con
tre Guaicas - racconta - dovevo
attraversare il Rio Marawi.à, che
dalle montagne sul confine col
Venezuela scende a gettarsi nel
Rio Kawaburls, affluente a sua
volta del Rio Negro. Aveva la-
sciato la piccola ma poetica re-
sidenza di padre Gois (un avampo-
sto ai confini con l'ignoto) e in
dieci giorni di cammino a piedi
neHa selva avrei raggiunto alcune
tribù sperdute che però non si
erano dimenticate dei missionari
e mi avevano invitato. Andavo
con un pesante zaino pieno di
registratore, macchina fotografica
e medicine quante ce ne stavano.
Andavo a verificare j guasti cau-
sati dalla tubercolosi. Qualche tem-
po prima, indios sani erano andati
a vivere sul Rio Negro, poi erano
tornati alla tribù con i polmoni
intaccati e avevano seminato la
tbc fra i compagni. Quel 24 giugno
1972 ero giunto a rio Marawià, e
per attraversarlo non c'era che
un precario ponte di liane. Mi
avventurai. Nel bel mezzo le liane

2.9 Page 19

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si ruppero e caddi nell'acqua.
La corrente era forte, lo zaino mi
impediva i movimenti. Lottai di-
speratamente, ma scendevo sempre
più giù; ricordo che a un certo
punto toccai il fondo, poi più
niente.
Consumare la pappa di banane
<1 Quando riaprii gli occhi, i
miei tre indios stavano compiendo
i preparativi per l'incenerimento
di un cadavere. Mi accorsi subito
che quel cadavere dovevo essere
io. Da quando mi avevano ripe-
scato erano trascorse tre ore senza
che avessi dato segni di vita, e
loro, che mi erano veramente
affezionati, come prova di amicizia
avevano deciso di mangiarmi.
<< Dopo l'incidente non ero più
in grado di continuare quel viag-
gio lungo e rischioso, e i miei
accompagnatori mi portarono pres-
so la tribù dei Guaicas Xama-
tawtéri, loro parenti. Ebbi un'ac-
coglienza entusiasta, pari·alla sor-
presa per il mio arrivo insperato.
Qualche giorno dopo arrivò la
notizia: la tribù vicina dei Pukima-
bweitéri era in lutto per la morte
del figlio del capo, e invitava
tutti alla grande festa delle ossa
bruciate. Il capo tribù, poi, era
curioso di conoscermi, e io altret-
tanto curioso di conoscere lui.
Andammo.
<1 Sul posto eravamo quattro tri-
bù riunite. Ho potuto partecipare
a tutti i cerimoniali, ho registrato
al magnetofono tutto, ho foto-
grafato tutto. E mi sono commosso
con loro. È stupendo quando ogni
cosa è apprestata per il banchetto
funebre, e prima di consumare
la pappa di banane mescolata
con le ceneri tutti sostano in rac-
coglimento e a turno fanno l'elogio
del defunto. C'è un sentimento
um_ano e religioso indicibile. Ri-
cordo quel giorno come uno dei
più intensi della mia vita >>.
Ma che effetto fa mangiare
quella roba ? << Be' - risponde il
signor Cravero - la prima volta
si rimane un po' impressionati.
Ma poi si pensa che in definitiva
si tratta soltanto di ceneri, sali
di potassio e simili... E soprat-
tutto, se si è da amici con amici,
ci si immedesima con il loro
dolore, si partecipa davvero al
loro cordoglio. Loro fanno tutto
con la devozione che noi met-
tiamo nella Comunione. A questo
punto non ci sono più problemi
di sorta.
<< I veri problemi - prosegue -
sono altrove. ~a morte, per esem-
pio. La loro idea di morte è
cosi diversa. Per loro la morte
non è la cessazione delle funzioni
vitali, è uno "spirito" che prima
c'era e che poi se ne va. E lo
spirito se ne va quando il corpo è
ancora vivo, e non ha alcuna
voglia di morire.
«Ricordo un vecchio di una
tribù che i suoi compagni vole-
vano bruciare. Per loro era morto
e avevano già cominciato i riti.
Padre Luigi e io ci siamo uniti
ai Guaicas e abbiamo compiuto i
gesti rituali per avvicinare il morto
e vedere come stava. Gli chiedem-
mo: "Cosa ti senti?" Rispose
con un gesto internazionale che
significa "fame". Il morto aveva
fame. Andammo da alcuni indi
cresciuti nella missione e li con-
vincemmo a portargli un po' di
cibo. Abbiamo guastato la festa,
ma abbiamo la soddisfazione di
sapere che quel vecchio è vivo
ancora oggi e sta bene.
La strana guerra di due tribù
<< La morte a ogni modo è sem-
pre provocata da uno spirito cattivo
inviato da un nemico. E in molti
casi la tribù si sente in dovere
di punire quel nemico malvagio.
Per prima cosa però deve scoprire
chi sia. Ai Guaicas non riesce
difficile: ricorrono ai sogni, a una
speciale polvere con cui si dro-
gano, e poi tirano le conclusioni.
Per esempio, risultò che. a causare
la morte del figlio del capo tribù
era stato lo spirito cattivo inviato
da una tribù che abitava presso
le sorgenti dell'alto Padawiri. E
allora, fu la guerra.
<< Una guerra per modo di dire.
Giunti vicino al villaggio nemico, i
vendicatori inviarono un messo
ad avvertire i suoi abitanti di
tenersi in guardia perché essi
avrebbero attaccato. E posero
l'assedio. Ogni tanto uno degli
assediati faceva una sortita e in-
gaggiava battaglia con un ag-
gressore (uno solo). In casi simili
se le tribù sono veramente nemi-
che, può darsi che ci scappi il
morto; ma se sono imparentate,
limitano il più possibile i danni.
E fatta in qualche modo la vendetta,
gli aggressori se ne tornano a
casa tranquilli in coscienza per il
dovere compiuto>>.
Che ne è poi dei cadaveri ?
«Il loro destino - · spiega il signor
Cravero - è la cremazione. Anche
se è ancora semivivo e ha fame,
il "morto" viene messo in una
grossa cesta, chiusa con un'altra
cesta rovesciata sopra, e poi bru-
ciato. Le sue ossa vengono pestate
e sfarinate. Le ceneri che ne ri-
cavano sono custodite in zuc-
chette svuotate, in attesa della
festa delle ossa bruciate.
·
«Allora i Guaicas prendono delle
banane, ne estraggono la polpa
e l'impastano con l'aggiunta di
acqua fino ad ottenere una pappa
d'un bel giallo. Quindi versano
le ceneri, in ragione di una zuc-
chetta per l'equivalente di una
normale pentola da cucina, e la
pappa diventa color cinerino. È
pronta per il banchetto funebre 1>.
Perché i missionari partecipano
a queste cerimonie? Che c'entra
tutto questo con l'evangelizza-
zione ? Precisa il signor Cravero :
<1 Anzitutto non so se altri mis-
sionari lo abbiano fatto. A me
non risulta. Rispondo a titolo
personale. Io l'ho fatto perché
sentivo che era il modo di lanciare
verso i poveri indios un ponte di
amicizia. Solo se ci vedono con
loro, come loro, crederanno in
noi. E solo allora potremo parlare
loro di Gesù Cristo ►>.
Ma il signor Cravero si lascereb-
be mangiare dai Guaicas ? «Be',
la cosa crea non pochi problemi.
La legge civile proibisce la crema-
zione (tra gli indios però, è di-
verso). Poi non so cosa ne pense-
rebbe la Chiesa. E poi, un mis-
sionario ha anche dei parenti...
Ma, tra il finire sotto terra e il
finire mangiati da buoni amici,
resta sempre da stabilire cos'è
più consolante.
<< E se questo gesto servisse come
segno di amicizia, se servisse a spia-
nare la strada al missionario che
verrà dopo di me, perché dovrei
dire di no ? >>.
ENZO BIANCO 19

2.10 Page 20

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Fino a 9 mesi fa, Seul veruva
chiamata «la capitale della
paura>>. La capitale della Corea del
Sud, con i suoi quattro milioni
di abitanti e la sua sterminata
distesa di case, casette e baracche,
è distante appena 30 chilometri
dal confine con la Corea del Nord.
Scriveva un giornalista italiano
poco tempo fa: << Occorrono tre
ore per superare quei 30 chilo-
metri. Le strade sono intasate
da colonne di camion, artiglieria,
carri armati. Attorno non vi sono
che linee di difesa, batterie camuf-
fate, fortini e posti di osservazione.
Nel cielo ronzano elicotteri a
bassissima quota. È la (( copertura
avanzata >> delle forze sudiste: 660
mila soldati coreani, 50 mila ame-
ricani, piccoli reparti dell'ONU>>.
Tra un mare di colline gialle a
sud e un accavallarsi di montagne
nere a nord, corre una fascia
gialla, 4 chilometri in larghezza,
248 chilometri in lunghezza. È
chiamata DMZ, cioè (( zona de-
militarizzata>>. È la linea d'armi-
stizio tra le due Coree stabilita
nel 1953. Non ci sono alberi.
Sono stati tagliati tutti alla radice.
Perché qui, per vent'anni, gli
uomini si sono guardati attraverso
il mirino del fucile, i puntini rossi
che per vent'anni si distinguevano
nella monotona distesa giallastra
non erano papaveri, ma segnali
di mine.
Nei primi giorni del settembre
1972, a Seul si staccarono dai
muri i manifesti violentemente
anti-comunisti, la base americana
sulla strada di Pan Mun-Giom
ammainò la bandiera stelle e stri-
scie, e nella capitale fu accolta con
contenuta cordialità la prima de-
legazione della Croce Rossa nord-
coreana. Un mese prima, una
delegazione del Sud era stata
ricevuta nel Nord.
Il disgelo è in pie,io svolgimento.
Deriva direttamente - dicono
gli esperti - dall'incontro Nixon-
Mao a Pechino. Il governo di Seul
ha annunciato che i due Paesi
(Nord e Sud) hanno posto fine alla
propaganda ostile, e che un comi-
tato di coordinamento si riunisce
ogni due mesi per condurre, pa-
rallelamente agli incontri della Cro-
20 ce Rossa, negoziati politici in
A f ianco della grande arteria
che da Seul va a Pusan c'era
una grande risaia con un car-
tello : cc Si vende». Don Miller
disse : cc Qui faremo una casa,
dei laboratori, dei campi da
gioco. i: più povero della tet-
toia Pinardi. Perciò Don Bosco
ci farà crescere di più».
vista della riunificazione della Co-
rea.
Nella (( capitale della paura >>,
trasformatasi in <( capitale della
speranza >>, i Salesiani sono pre-
senti da dieci anni.
Una parrocchia tragica
Cominciarono con una parroc-
chia di periferia, a Shintorim
Dong. Furono quasi costretti a
lavorare in quella parrocchia, per-
ché dalla fondazione era stata
dedicata a Don Bosco. Una par-
rocchia tragica e dall'avvenire si-
curo, perché sul sagrato della
chiesa durante la guerra, è stato
martirizzato il parroco. La gio-
ventù povera e abbandonata i
Salesiani non dovevano andarla
a cercare lontano: la rapida urba-
nizzazione e industrializzazione,
creava alla periferia di Seul gli
stessi problemi che aveva creato in
tutte le grandi città del mondo.
Ma il primo problema che i
Salesiani vollero risolvere, prima
ancora di gettarsi tra i ragazzi
poveri, fu quello della continuità.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Bisognava che la Congregazione
mettesse radici salde in terra di
Corea, che crescessero i primi
figli di Don Bosco coreani, in
ogni evenienza del futuro incerto
i Salesiani europei dovevano po-
tersi ritirarsi senza essere costretti
a chiudere le opere di assistenza.
Accanto alla parrocchia di Shin-
torim Dong, quindi, sorse un
piccolo noviziato che diede origine
al primo studentato. ·
1964. Don Martelli e Don Mil-
ler, nella parrocchia di Shintorirn
Dong, sono immersi in un':ippas-
sionata discussione. Tema: se Don
Bosco vivesse oggi a Seul, cosa
farebbe? Di fronte alla massa di
ragazzi poveri, bisognosi di essere
tolti dalla strada, di frequentare
una scuola e di imparare un
mestiere, come si comporterebbe ?
Aspetterebbe ancora o rompereb-
be gli indugi ? I due salesiani alla
fine sono d'accordo: Don Bosco,
come fece a Torino, si mettereb-
be in strada, andrebbe a cercare
una fetta di terra per i ragazzi,
e comincerebbe nel nome della
Madonna.
Un albero carico di debiti
Don Martelli, che ama le cose
concrete, conclude: << Don Bosco,
qui, oggi, siamo noi. Andiamo
a fare un giro e a cercare questa
fetta di terra ».
Fanno quindici minuti di strada.
Ragazzi che giocano nella cam-
pagna intorno corrono verso di
loro. Sono amici da tempo, e li
accompagnano. A fianco della gran-
de arteria che da Seul va a Pusan
c'è una grande risaia con un
cartello: ~ Si vende >>. A occhio e
croce misura 200 metri di lunghez-
za e 200 di larghezza. È tre metri
sotto il livello della strada. Più
che un terreno si può chiamare una
fossa. Ma la posizione è ottima,
agli occhi dei due salesiani: è ai
limiti del più povero sobborgo
della capitale, Yungdung-Po, con
mezzo milione di abitanti; e tutto
intorno stanno sorgendo nuove
fabbriche e quindi nuove distese
di case per povera gente.
Don Miller ama i grandi sogni.
Fissa q_uello specchio d'acqua e
dice: ~ E più povero della tettoia
Pinardi, perciò Don Bosco lo
farà crescere ancora di più. Qui
faremo una casa, dei laboratori,
dei campi da gioco e aiuteremo
tanti ragazzi a prepararsi alla vita ».
Ha in tasca due medagliette di
Maria Ausiliatrice. Sorride e le
getta nell'acqua della risaia. Anche
Don Martelli sorride. Gli dice:
«Tu pianti delle medaglie, poi
spunta un albero carico di debiti,
e poi toccherà a me darmi da fare
per pagarli, come al solito >>.
Sembra un poco una storia di
secoli lontani, eppure è vera, e
ora su quel terreno sorge il Centro
Giovanile Don Bosco: oratorio,
pensionato per giovani lavoratori,
centro professionale per meccanici
e saldatori, scuole serali, e altre
attività pastorali e culturali per
i ragazzi del quartiere.
Naturalmente, come prevedeva
don Martelli, le medaglie non
hanno avuto un effetto magico.
Il Centro non è cresciuto come un
fungo. La Provvidenza, nello stile
di Don Bosco, dev'essere guada-
gnata e accompagnata da molto
sudore.
Trasformare la risaia in cortile
costò tesori di energia. ] Sale-
Nelle pagl1111 precedente: s o pra, un regaz.
zlno corN no ettnzzato per dlfend.arsl dal
rigido Inverno; s otto, un alunno del labora-
torio salesiano. In questa pagina: una f■•
mlgll■ coreana.
21

3.2 Page 22

▲back to top
siani invitarono i camion del
quartiere a buttare tutti i rot-
tami. L'invito non bastò. Si do-
vettero compera.re migliaia di carri
di terra. Squadroni di soldati,
con le draghe dell'esercito, livel-
larono il campo.
L'opera più difficile e dispen-
diosa fu la deviazione di un ca-
nale che attraversava il terreno.
Ma un giorno anche l'ultima
draga se ne andò, e i ragazzi che
avevano seguito tutto quel lungo
traffico invasero gridando e ri-
dendo il <• loro >> cortile. C'era
ancora fango, c'erano ancora delle
buche, ma c'era spazio per cor-
rere e saltare, e questo ai ragazzi
bastava.
Don Martelli e don Facchinelli,
intanto, scriveva.no migliaia di let-
tere in tutto il mondo. La pioggia
di piccole offerte inviate da per-
sone umili e sconosciute, permise
loro di pagare i debiti, e diede
il coraggio di farne degli altri.
Giovani teppisti chiamati
campè
Nella primavera del 1966 si
benedice ai margini del cortile
la prima, povera casetta, dove
vengono ad abitare i Salesiani.
Comincia a funzionare l'oratorio.
Non solo il foot-ball e i ping-pong,
ma i <• Savio-club », che sono le
<< Compagnie i> di Don Bosco ri-
battezzate all'americana. Non ci
sono sale per le riunioni, ma
don Blanco mette a disposizione
la sua camera. I ragazzi migliori
vi si ritrovano per leggere insieme
la vita di Domenico Savio, discu-
tere sui loro impegni cristiani, orga-
nizzare le prime attività di aposto-
lato tra i ragazzi del quartiere.
Ci sono bande di giovani tep-
pisti che scorrazzano nelle vici-
nanze. I coreani Jj chiamano campè.
Che fare con loro ? Hanno chiesto
qualche volta di venire a giocare
nel cortile dell'oratorio. Ma i
loro giochi sono violenti, e gli
altri ragazzi ne rimarrebbero inti-
miditi. Don Bianco non sa che
pesci prendere: sa che sono i
ragazzi più poveri, ma non vor-
rebbe compromettere l'oratorio. Ne
parla con quelli del <• Savio-club •>,
e decide alla fine di condurre una
22 regola.re trattativa con i capi delle
bande. Pone loro queste condi-
zioni: un minimo di disciplina,
rinuncia alla violenza, rispetto dei
più piccoli, non infastidire le
ragazze quando escono dalle fab-
briche. A queste condizioni, che
vengono accettate, possono en-
trare nell'oratorio e amalgamarsi
lentamente alla massa degli altri
ragazzi. I ragazzi del <• Savio-club o
vigilano sull'osservanza delle con-
dizioni concordate.
lo laboratorio con gli stivali
L'inverno del 1966 è durissimo
per i Salesiani addetti all'oratorio.
Non c'è acqua, non c'è cucina,
non c'è riscaldamento. Chi vuol
mangia.re deve recarsi allo stu-
dentato, con tanti ragazzi non
sempre c'è tempo, qualche volta
si arriva quando tutto è finito ...
Chi vuole scaldarsi deve impian-
tare una stufa, che funziona come
nel primo Oratorio di Don Bosco:
poca legna e molto fumo.
Eppure, tra tanti disagi, nessun
salesiano si sente insoddisfatto.
Anzi, sono parecchi quelli che
chiedono al superiore di potersi
trasferire in quest'opera.
I locali sono pochissimi, eppure
si sente il bisogno di fare un po'
di scuola a chi non sa né leggere
né scrivere. I salesiani si strin-
gono. Si dorme in due, in tre
per stanza, e si trova lo spazio
per le aule.
Ma bisogna fare di più: dare
un mestiere a.i piccoli mendicanti,
a.i ragazzi che stanno scegliendo
la strada e il marciapiede come
dimora fissa per la vita. Ma come
fare? Allo studentato c'è un pic-
colo laboratorio di meccanica. Un
laboratorio, che qualunque maestro
d'arte occidentale giudicherebbe
ridicolo: pochi utensili, inviati da
ditte italiane, e alcune macchine
vecchissime, che hanno già fatto
il loro onorato servizio a Kwangju,
nella prima opera salesiana aperta
in Corea nell'ormai lontano 1955.
Recarsi a quel laboratorio, con
il tempo bello, vuol dire un quarto
d'ora di strada. Ma quando iJ
tempo è brutto e le strade sono
solchi di fango vuol dire tutta
un'altra cosa: indossare gli stivali,
bagnarsi in tre sotto un ombrello,
torna.re al buio, (l'illuminazione
stradale è un sogno) e finire
spe~so nel bel mezzo di una
nsa1a.
I ragazzi però non solo ci stan-
no, ma con la loro voglia matta
di scherzare ci prova.no gusto.
La strada dell'andata e ritorno
è battezzata con nomi estrema-
mente pittoreschi, alcuni dei qua.li
irripetibili.
Questa sistemazione è evidente-
mente provvisoria. E anche se le
cose provvisorie, come si dice,
presso i Salesiani sono eterne,
que~ta volta dura solo quattro
anm.
L'organizzazione cattolica tede-
sca della Miser.eor, attraverso la
opera di padre Rauhl, prese a
cuore la nostra opera. Ci aiutò a
costruire un edificio a un solo
piano, molto semplice ma acco-
gliente. E ci regalò le macchine
per il laboratorio di meccanica e
di saldatura. Splendide macchine
che la Misereor fece arrivare non
dalla Germania, ma dall'India e
daJ Brasile, per dimostrare in
modo concreto che non è (come
qualcuno dice, malignamente) una
organizzazione cristiana per lo svi-
luppo del commercio tedesco, ma
un'associazione di cattolici di buo-
na volontà per lo sviluppo dei
popoli.
Il posto per un orfano si trova
sempre
1968. L 'opera sorta sulle buche
di una risaia viene ribattezzata
<• Don Bosco Youth Center 1>, Cen-
tro Giovanile Don Bosco, e diventa
una regolare casa salesiana. Il
nuovo direttore, don Mc Neill, è
impressionato dalla quantità di
giovani che di giorno lavorano
nelle fabbriche di vetro, ma per
il resto della giornata sono ab-
bandonati a se stessi, senza nem-
meno il posto dove riposare la
notte, Nell'edificio non c'è un
angolo libero, eppme dove ci
stanno tante cose, con un po'
di volontà ci sta sempre qualcosa
di più. Ci si stringe al massimo,
si comprano stuoie e trapunte,
e si fa posto per venti giovanotti.
Non è un dormitorio come si
vorrebbe, ma permette ai giovani
di dormire tranquilli lontano dal
rumore dei forni, dalla polvere e

3.3 Page 23

▲back to top
Un ragazzo de l « Do n Bosco Yo uth Center »
alla u tdatrice.
dalla fuliggine. Per loro, questo, è
l'inizio di una vita nuova.
«Vidi giungere in cortile una
vecchia jeep - racconta don Fac-
chinelli - e uscirne, con un
giovane confratello americano, cin-
que poverissimi ragazzi in condi-
zioni pietose: visi con le im-
pronte della fame, occhi vitrei
e sbarrati, impacciati e tremanti
come pulcini. Il chierico li pulì
con amorevolezza, cambiò i loro
stracci, medicò le piaghe puru-
lente e in fine li condusse in
cucina e li sfamò >>.
Episodi simili capitavano quasi
tutti i giorni al Centro Giovanile
Don Bosco. Perché nella periferia
attorno c'erano e ci sono ragazzi
abbandonati, senza nessuno al
mondo. Spesso sono u niti in pic-
cole bande, e inventano attività
varie per campare: raccolgono
carta, lucidano scarpe, rivendono
giornali e oggetti vari. Altre volte
sono soli: rifiutati dalla società
perché figli di lebbrosi, o semplice-
mi;nte orfani, senza nessuno.
Come è possibile essere Sale-
siani, vedere alla propria porta
ragazzi così, e non fare niente?
Posto per un orfanotrofio non
ce n'era. Ma per un orfano si
poteva trovare. Ku, sette anni
poco più poco meno, fu quell'or-
fano. Non si poteva assoluta-
mente lasciare dov'era; nell'angolo
di una capanna, scheletrito, pal-
lidissimo, morente d'inedia. Bi-
sognò imboccarlo nei primi giorni,
poi gli occhi tornarono a sorridere.
Ma gli orfani sono come le cilie-
ge: uno tira l'altro. Arrivò Tok
Sung Hi, arrivò Chan Im Tee,
arrivò Simon. E poi un intero
gruppo di <( scugnizzi di Seul>>
chiesero di porre fine alla loro
vita errabonda, e di essere ac-
cettati in casa. Come dire di no ?
Il posto saltò fuori, usando gli
stessi locali come studio, refet-
torio e scuola.
Piccola aquila selvatica
Tok Sung Hi i compagni lo
chiamano «piccola aquila selva-
tica >>. È irsuto e fiero, orgoglioso
di essersela sempre cavata da solo.
Dice di non credere né in Dio
né al diavolo. Non sa dove sia
sua mamma. Sa dov'è suo papà
ma impreca che non vuol mai
più rivederlo. In fondo al cuore
ha un immenso bisogno di affetto
e di comprensione. È stato quattro
anni con noi, Ora ha trovato un
lavoro di cui è fiero. Viene alla
scuola serale, e dice con la solita
fierezza: << Continuo come sempre
a fare da me, ma non potrò mai
dimenticare Don Bosco>>.
Chan Im Tee a 14 anni fu
respinto dalla sua famiglia perché
lebbroso. Girò parecchi posti, e
fini a Sorocto, nell'isola dei leb-
brosi. Un dottore belga lo curò
con amore, e lo guad. Con una
delicata operazione plastica gli re-
stitul anche un volto perfetto.
Subito dopo venne da noi e stette
tre anni. Ora ha un buon lavoro, e
fra pochi mesi condurrà all'altare
la sua ragazza.
Simon è un ragazzo triste. Una
macchia bianca accanto all'occhio
sinistro lo fece gettare giovanissimo
tra i lebbrosi. Invece era un tu-
more. All'ospedale se ne accor-
sero tardi, e ogni sistema di cura
risultò vano. E venuto da noi per
due anni. Ora don Falk, dopo
molte insistenze, è riuscito a farlo
ricoverare all'ospedale militare
americano. Fra poche settimane
giungerà dal G iappone uno spe-
cialista che lo opererà. Simon ha
tanta speranza di diventare un
giovane (! come tutti gli altri ».
La vita dei Salesiani nel Centro
Giovanile di Seul non è tutta
rose e fiori, evidentemente. Ci
sono difficoltà ogni giorno. Una
cosa dispiace. Quando si è in
pochi, se si sviluppa un'attività
urgente, inevitabilmente si ral-
lentano altre attività.
Così lo sviluppo dell'orfano-
trofio, della scuola serale, la cura
delle associazioni esterne della
<i Gioventù Operaia )), ha diminuito
l'efficienza dell'oratorio. P er lo
spazio, anche facendo i salti morta-
li, è la stessa cosa. Sentiamo urgen-
te la necessità di sistemare meglio
i giovani operai che vengono a
passare da noi il tempo libero e la
serata. Vogliamo restituire all'O-
ratorio i suoi ambienti originali,
p~r permettergli di funzionare in
pteno.
Anche questa volta, la Miserear
sarà l'incarnazione della Provvi-
denza. Ha approvato un nuovo
progetto, ma come di solito sov-
venzionerà soltanto il 70% del-
1'ope_ra. Il restante 30 % toccherà
a noi.
<t Un altro albero carico di de-
biti>► ha sospirato don Martelli.
Bisognerà ricominciare da capo
scrivendo migliaia di lettere )),
E lui sa cosa vuol dire, alla sera
tardi, dopo una giornata passata tra
i piccoli lustrascarpe, impugnare
la penna e riempire fogli bianchi.
Ma D on Bosco faceva così, e
farebbe ancor oggi così, per ser-
vire concretamente questi giovani
che hanno buona volontà, ma non
hanno la possibilità di farsi strada
nella vita.
23

3.4 Page 24

▲back to top
lii
I-
« Sono passati tanti an- provi dai Salesiani ? - gli consigliò
ni e in cuore mi sento
ancora l'umiliazione di
quel gesto. Eppure so-
il confessore. - Quelli hanno
metodi tutti speciali con i ragazzi,
saltano e corrono con loro ~.
Il vescovo non era d'accordo, ma
no convinto che senza lui insistette e volle provare. Fu
quel mio pugno pic-
chiato sul tavolo, I'o-
spizio dei poveri, e la
stessa congregazione
con i Salesiani di Rimini, si trovò
bene. Nel 1922 era salesiano.
Nel 1925 partiva con don Cimatti
nella prima spedizione salesiana
per il Giappone.
delle suore, non sareb- Quarantaquattro giorni di viag-
bero sorte ».
gio, ed ecco la loro destinazione:
Miyazaki, un nuovo mondo, tutto
Don Antonio Cavoli (nato a
San Giovanni in Marignano
provincia di Forll nel 1888, morto
a 85 anni nel febbraio scorso)
aveva preso dalla sua terra quel
carattere volitivo e generoso. Aveva
mascella quadrata e spalle da
scaricatore, ma un faccione buono
e una gioiosa simpatia sempre
nello sguardo.
Orfano a otto anni, era cresciuto
alla severa disciplina di un padre
cristiano tutto d'un pezzo, e quan-
do si senti chiamato dal Signore
rispose semplicemente sì. Mandato
dal vescovo come viceparroco a
Cattolica, vi portò tutta la sicurezza
e l'entusiasmo che aveva imma-
gazzinato nel seminario, ma presto
si accorse che <1 la realtà era ben
diversa da quella raccontata dai
professori di scuola». <1 Imparai
a piangere, e cosi mi sentii uomo
fra gli uomini 1).
da ricominciare.
Fu fatto parroco, e si prodigò
in una girandola di iniziative per
elevare il livello religioso e sociale
della sua cristianità, gente quasi
tutta emigrata da Nagasaki, terra
generosa di antichi martiri. Orga-
nizzò i bambini, i giovani, le
madri di famiglia, gli uomini.
I cristiani e anche i pagani. Si
commentò a lungo la sua prima
processione eucaristica, in mezzo
ai rioni pagani, mentre molti gli
spiegavano che era una pazzia.
Però tutto andò bene e il vescovo
non credeva ai suoi occhi.
Ma c'era tanta povera gente nella
parrocchia. Allora mobilitò le ra-
gazze e le costitul in <1 Conferenza
di San Vincenzo l>. Si misero al
lavoro sul serio, alcune decise a
tutto. Si poteva combinare poco,
però, senza un ospizio. Ecco, ci
voleva l'ospizio.
Poi la guerra mondiale del '14,
e il richiamo alle armi. Non volle
rimanere inattivo in una caserma
di° retrovia, mentre tante giovani
L'imperatore
mandò qualcuno a vedere
vite venivano mietute senza un Un contadino poco lontano ven-
sacerdote che in quei momenti deva per quattro soldi un podere
supremi li aiutasse. Si offd come di pochi ettari e la sua casa, più
cappellano militare, e fu mandato esattamente un tugurio. Don Ca-
al fronte. Fu con la divisione voli convocò il «Consiglio Ispet-
<< Casale >> nella mischia sul Podgora toriale >> nella sua parrocchia e si
e a Gorizia. Tornò in diocesi spiegò. Ma uno degli intervenuti
sperimentato e maturo.
avanzò le sue difficoltà, un altro
E non si accontentò più di un le rincalzò, << sulle facce di tutti
24 piccolo orizzonte. << Perché non c'era aria di diffidenza. Allora
menai un forte pugno sul tavolo
esclamando: "L'ospizio si farà!",
e uscii lasciando i presenti ester-
refatti. Stetti fuori tutto il giorno,
e gli altri andarono in giro a cercar-
mi 1>. Volevano dirgli che si erano
<<persuasi>>, che erano d'accordo.
Pochi giorni dopo le ragazze
della San Vincenzo riordinavano
la catapecchia, per trasportarvi
i più abbandonati e malandati
della parrocchia. Per mantenerli io
vita lavoreranno nella risaia, sotto
il torrido sole di agosto, per di-
fendere il raccolto dalle erbacce.
Era il 1932. Don Cavoli progettò
una casa, da costruirsi con criteri
moderni, occidentali, insoliti. Men-
tre stava sorgendo, l'imperatore
mandò sul luogo un suo rap-
presentante a vedere. Il risultato
fu che poco dopo giunsero con-
sistenti aiuti da parte dell'impera-
tore.
L'armo dopo, accanto all'ospi-
zio, don Cavoli costruì un asilo.
Poi una scuola agraria. E una
tipografia. Stampava un giornaletto
per i pagani con, tiratura di diéci-
mila copie (quasi incredibile, in
quel tempo e in quell'ambiente),
e un settimanale per i cristiani.
Intanto la << San Vincenzo >> si
era trasformata in Congregazione,
eretta canonicamente il 15 agosto

3.5 Page 25

▲back to top
1937 da don Cimatti divenuto
Prefetto Apostolico. Il nome uffi-
ciale della Congregazione, asse-
gnato dalla Propaganda Fide, era
«Suore della Carità di Miyazaki >>,
in giapponese << Caritas Kai ». Ma
gli amici di don Cavoli le chia-
mavano confidenzialmente «cavo-
line ».
« Ma va là, di' piuttosto
che sei un romagnolo »
Poi venne la seconda guerra
mondiale e difficoltà d'ogni genere
per gli stranieri, anche missionari.
Restrizioni, internamento, e i bom-
bardamenti aerei che non ri-
A ainiatn : Don Cavoli, li focoso miaaionarlo
romagnolo, cha ha fondato in Giappone la
" Suon dalla Carità». Sotto: arano la vo-
lenterosa ragazza della « S■n Vincenzo,.,
•ono diventata la •oralla dal poveri
la mamma dagli orfani. GII amici la chiamano
scharzoaamanta « cavoline 11.
sparmiarono l'ospizio (e ci si mi-
sero anche i tifoni). Infine le
atomiche, e dal baratro della scon-
fitta la faticosa ricostruzione. Ma
le autorità giapponesi aiutarono
molto don Cavoli.
Dal canto loro le Suore della
Carità avevano molte novizie, apri-
rono case prima a Osaka poi a
Tokio e a Beppu. Don Cavoli
imprimeva io loro una formazione
soda, profonda e rigida, ma tem-
terata da un gioioso spirito tutto
suo e tutto salesiano. E dava loro
un programma lineare: diffondere
la fede attraverso le opere di carità.
Nel 1949 Roma approvò le
Costituzioni della Congregazione.
Nel 1951 don Cavoli era tornato a
Torino a rendere conto della sua
attività al Rettor Maggiore. Erano
giunte all'orecchio del superiore
voci di talune sue esuberanze di
carattere. Don Cavoli si profuse
in scuse, cercò di giustificarsi
ricorrendo alle difficoltà del mo-
mento e delle situazioni. Il Ret-
tor Maggiore don Ricaldone tagliò
corto: ~ Ma va' là. Di' piuttosto
che sei un romagnolo, e tutto è
spiegato». Poi lo consolò facen-
dogli l'elenco di tanti Salesiani
romagnoli che a dispetto del loro
caratteraccio avevano compiuto co-
se egregie a servizio della Con-
gregazione e della Chiesa. Lui
era uno di quelli.
Tornato in Giappone, l'impe-
ratore e l'imperatrice un giorno
lo chiamarono: volevano cono-
scerlo e dirgli la loro stima. Poi
il principe Takamatsu lo invitò
a un rinfresco, che fu servito
dalla principessa in persona. Come
nelle fiabe orientali.
Intanto la sua congregazione
cresceva. Nel '56 entrò in Corea,
nel '64 apri una casa in Bolivia
per assistere i giapponesi emigrati
a Santa Cruz. Poco dopo apri una
casa simile a San Paolo del Brasile.
E per lui venne il tramonto.
Chiuso ormai in una stanzetta,
imprigionato nel suo letto, fu
tenace e fedele sino in fondo.
Fedele alla confessione. Quando il
confessore al sabato non veniva
o semplicemente tardava, lo si
vedeva soffrire. Fedele alla Messa.
Quando la sua vista s'indeboll si
fece portare i1 vecchio messale
latino dai caratteri grossi. Poi
non riusci più a leggere neppure
quelli, e si aggrappò al rosario.
Non lo abbandonava mai, era
divenuto una parte del suo corpo,
del suo cuore.
Ora l'ospizio della catapecchia
si è trasformato in una cittadella
con quasi duemila persone fra
ricoverati, suore e postulanti. Le
Suore della Carità sono più di
400, io una quarantina di case.
Tutto per il pugno di quel
focoso romagnolo picchiato forte
sopra un tavolo, quarant'anni fa.■ 25

3.6 Page 26

▲back to top
Per descrivere il ruolo speci-
fico delle Salesiane Oblate del
Sacro Cuore nell'ambito generale
della famiglia salesiana, devo ne-
cessariamente riferirmi alle circo-
stanze provvidenziali e ai motivi
che determinarono il sorgere della
nostra istituzione, 1'8 dicembre
1 933·
Il nostro Fondatore - meglio
il nostro Padre - è un figlio di
Don Bosco, il vescovo salesiano
mons. Giuseppe Cognata. Nella
primavera dell'anno giubilare 1933
egli fu eletto vescovo da Pio XI e
destinato alla cura della diocesi
di Bova in Calabria.
Le condizioni della diocesi erano
tutt'altro che floride: povertà in
ogni senso e in ogni campo.
Molte parrocchie si trovavano in
zone di montagna impraticabili,
senza acqua, senza pane, senza
energia elettrica, senza strade, senza
scuole, senza asili per l'infanzia,
senza sacerdoti. I pochi sacerdoti
risentivano molto delle condizioni
ambientali.
In queste circostanze di urgente
bisogno, il vescovo cercò la colla-
borazione di religiose che si de-
dicassero all'insegnamento della
dottrina cristiana e alla assisten-
za dell'infanzia. In qualche paese
montano, dove i genitori erano
costretti a recarsi lontano per il
loro lavoro, i bambini venivano
lasciati incustoditi, insieme agli
animali, legati a un palo o a un
chiodo per evitare che cadessero
in qualche burrone. Questi bam-
bini erano denutriti, nudi o semi-
nudi... in uno stato qualche volta
quasi selvaggio. Descrizioni che
fanno pensare al Terzo Mondo.
I tre colori di una divisa
Il nostro Fondatore si rivolse
perciò ad alcuni istituti di suore
per trovare collaborazione in questo
urgente bisogno di assistenza spi-
rituale e materiale. Ma nessuna
superiora da lui interpellata si
senti di accettare un campo tanto
difficile e veramente pieno di
rischi. Quarant'anni fa, le suore
vivevano piuttosto chiuse: tanta
era l'insicurezza, la povertà dei
mezzi, il pericolo a cui sarebbero
andate incontro l
26 Mons. Cognata non pensava
e.
saIes1ane
oblate
7
287 piccole suore spar-
se in parrocchie diffi-
cili di 31 diocesi italia-
ne, nel nome di Don
Bosco servono i p1u
piccoli, i più umili, i
più poveri. La loro Su-
periora, madre Bice Ca-
rini, intervenuta alla
« settimana di spiritua-
lità salesiana » svoltasi
a Roma e quasi costret-
ta a parlare del suo isti-
tuto, ne ha tracciato un
quadro commovente.
di dover fondare lui una famiglia
di suore per la sua diocesi, ma
in un'udienza privata ebbe da
Papa Pio XI quasi la spinta.
Quando presentò le condizioni di
urgente bisogno della sua diocesi
e l'impossibilità di potervi prov-
vedere, il Papa con paternità gli
mise le mani suJ capo, gliele calcò,
e gli disse: << Pensaci tu >>. Così
ebbe quasi un'investitura divina, e
cominciò a pensare a queste suore,
a chi sarebbero state queste nuove
suore.
Le prime furono exallieve delle
Figlie di Maria Ausi liatrice, loro
ex novizie dimesse per motivi
di salute, oppure altre giovani che
erano state dirette dal nostro Fon-
datore negli anni precedenti alla
sua elezioni episcopale. Cosl nac-
quero le nuove suore. Esse do-
vevano seguire l'ispirazione sale-
siana (la spiritualità di San Fran-
cesco di Sales e i metodi di San
Giovanni Bosco), ma con un colore
spiccatamente missionario: dove-
vano andare nei luoghi più biso-
gnosi di aiuti spirituali, là dove
le altre istituzioni non vanno.
Occupare cioè i posti vuoti, gli
spazi vuoti.
La divisa speciale della nostra
istituzione ha questi tre colori :
dev'essere ricca di molta sempli-
cità, di molta umiltà e di molta
generosità. Noi abbiamo pochi
mezzi, ci fidiamo molto della
Provvidenza. E con uno stile molto
semplice ci rivolgiamo ai più pic-
coli, ai più umili, ai più bisognosi,
ai più poveri.
Le nostre opere principali sono
le scuole materne (gettare i primi
semi cristiani nelle anime dei
più piccoli), poi l'insegname11to del
catechismo nelle parrocchie, gli ora-
tori, e, dove sono richiesti, anche
i laboratori, doposcuola, corsi e
cantieri di Lavoro, colonie estive.
Qualche apostolato è un po'
occasionale, come capitò durante
l'ultima guerra. Le nostre suore
della provincia di Trapani, insieme
a un salesiano, aiutavano i soldati
dei campi di concentramento, in-
teressando anche le giovani a
cercare dei viveri e della buona
stampa da distribuire tra i reti-
colati. .Ma è una forma, ripeto,
occasionale.
A noi è proibito aprire collegi,

3.7 Page 27

▲back to top
scuole, e qualunque opera «inter-
na ». Il nostro apostolato tipico è
<' nella parrocchia, per la parroc-
chia, per gli esterni, per j poveri 1>.
Cinque domande sulle Suore
Salesiane Oblate
Domanda. Madre Carini, quante
sono oggi le Salesiane Oblate, e
dove lavorano ?
Madre Carini. Sono 287 e la-
vorano in 78 case o - come le
clùamiamo noi - Missioni, sparse
in 3 r diocesi d'I talia (in Calabria,
Sicilia, Sardegna, Lazio, Puglie,
Marche, Toscana, Emilia, Lom-
bardia e Veneto). Svolgono il loro
apostolato nei luoghi più bisognosi
d i aiuti spirituali, nelle parrocchie
che non hanno sufficiente coope-
razione di altre religiose.
L'Istituto è stato eretto cano-
nicamente in Congregazione di
diritto diocesano nel 1959, e in
cc Ci rivolgiamo a r più piccoli, al più umlll,
ai più bisognosi, al più pove ri. Andiamo
dove le altre lstltuzcioni non vanno. A no i
è proibito aprire collegi, scuole n.
seguito ha acquistato completa
autonomia. Oggi gode di persona-
lità giuridica e ha avuto il «de-
creto di lode» da parte della Santa
Sede il 29 gennaio 1972.
Domanda. Quali sono stati gli
esordi del suo Istituto?
Madre Carini. Una buona gio-
vane, ex novizia delle Figlie di
Maria Ausiliatrice dimessa per
motivi di salute, fu il primo sas-
solino della nostra opera. Io pochi
anni l'Istituto fiori di vocazioni
generose, si diffuse in tutte le
parrocchie della Diocesi di Bova,
in Sicilia e nel Lazio, prediligendo
i paesi più poveri e abbandonati.
Veri eroismi sono stati compiuti
dalle nostre prime sorelle, in tutta
semplicità, di nascosto, e senza
saperlo. Vivevano in grande po-
vertà, con privazione anche degli
alimenti necessari, in abitazioni
malsicure, a volte senza chiavi ma
chiuse con un semplice paletto,
compiendo lunghe marce per andar
a trovare le anime giovanili nelle
frazioni più lontane, in mezzo a
persecuzionj e pericoli di ogni
genere ... Ma il nostro Fonda-
tore ci dava l'esempio: si privava
continuamente della sua bianche-
ria, e in inverno anche delle maglie,
per darle di nascosto ai poveri.
Anche lui si arrampicava per i sen-
tieri scoscesi, con pericolo della vi-
ta, alla ricerca delle sue pecorelle...
Domanda. Che cosa rappresenta
per voi mons. Cognata?
Madre Carini. È il nostro Fon-
datore e Padre, che con l'insegna-
mento, e più con l'esempio e col
martirio morale, ha dato vita e
impulso all'Istituto.
Egli sentiva profondamente, in
modo non ordinario, la paternità
spirituale per ogni anima che la
Provvidenza gli avesse fatto incon-
trare, ma non si considerava né
voleva essere chiamato da noi Fon-
datore. Soleva dire: <1 Il vostro fon-
datore è il Sacro Cuore di Gesù >>.
Nel periodo della sua prova
(le singolari dclorose vicende di
mons. Cognata sono state rievocate
sul Bollettino Salesiano del no-
vembre r972), l'Istituto ha cer-
cato di conservare i valori tra-
smessi dal Fondatore, con la ferma
fiducia che un giorno si sarebbe
fatta luce sulle vicende dolorose
e umilianti, che associavano il
Padre alle figlie e le figlie al Padre.
Domanda. Quale legame unisce
le Suore Salesiane Oblate alla
Famiglia Salesiana?
Madre Carini. Hanno il comune
carisma dato dal Signore a Don
Bosco. Per noi assume una forma
particolare: un carattere spiccata-
mente missionario verso i più
piccoli e più poveri. I nostri
patroni sono San Francesco di
Sales e San Giovanni Bosco.
Il 24 marzo scorso, la salma di
mons. Cognata è stata trasportata
dal cimitero di Tivoli alla casa ge-
neralizia delle sue suore, e tumu-
lata sotto una grande vetrata in cui
spiccano le figure di San France-
sco di Sales, San Giovanni Bosco,
e San Domenico Savio.
Le cerimonia commovente si è
conclusa il 31 marzo, quando
mons. Giaquinta, amministratore
apostolico di Tivoli, concelebrò
con i salesiani e il clero locale,
evocando la figura del grande ve-
scovo salesiano che attende l'ora
di Dio.
27

3.8 Page 28

▲back to top
NEL MONDO SALESIANO
v
ales1ano, ctie sor-
geva alta iferia della città ed era uscito
gravemente danneggiato dal terremoto del
23 dicembre lentamente riprende le sue
attività Giunge notizia che nei locali ri-
cuperati e riadattati i Salesiani già in feb-
braio hanno riaperto due corsi di salda-
tura elettrica per apprendisti e operai, e
si apprestano ad aprirne altri per elenri-
cisti, muratori, falegnami, installatori di
impianti eleurici.
I corsi - che incontrano larga appro-
vazione e incoraggiamento presso le au-
torità civili e religiose - sono accelerati.
di soli due mesi, e mirano ad abilitare
in tutta fretta giovani senza mestiere a
svolgere un lavoro, perché s, rendano
presto capaci di collaborare nella rico-
struzione della capitale distrutta.
A poco a poco i giovani tornano a fre-
quentare il Centro Giovanile, e in maggio
verranno riaperte anche le scuole (l'opera
salesiana aveva una scuola elementare
parrocchiale gratuita, e una scuola pro-
fessionale). (ANS)
quei giovani che sono sensibili a un la-
voro missionario "diverso" (per esempio
OMG, Volontari delle Missioni. ecc.)•
La realizzazione dei documentari è af-
fidata ai salesiani Enzo Spin e Antoruo
Scaglia della SAF. che già negli anni
scorsi hanno lavorato in questo settore.
Chiamati nei mesi estivi del 1968 e '69
ad aprire une scuola fotografica a Belem
in Brasile. presero gli opportuni accordi
e l'anno seguente girarono tre documen-
tari sulle missioni del Rio Negro· «Ago-
nia di un popolo che canta». « Gente di
Amazzonia » e II Più del pane».
Nel 1972 hanno girato un altro docu-
mentario sulla Rondonia, e per il 1973
hanno in programma due nuovi soggetti:
i Kivari dell'Ecuador, e le attività dei gio•
vani dell'Operaz,one Mato Grosso. (ANS)
Nuovi
ro Professionale
salesiano Selargius (Cagliari). sono
stati inaugurati 11 6 febbraio scorso. pre-
senti il card Bagg10 e le autorità civili.
Il Centro. che prepara professional-
mente 400 giovani, è ora dotato di am-
bienti rispondenti alle esigenze dell'educa-
zione moderna: non più cameroni tradi-
zionali ma camere a sei posti, sale per
giochi. televisione, audizioni musicali e
lettura, campi di gioco all'aperto. Quanto
occo"e per una convivenza familiare e
serena.
Il Direttore del Centro, don Giovanni
Pinna. dopo aver ringraziato le autorità
intervenute (le nuove opere infatti sono
state realizzate dall'amministrazione re-
gionale). ha auspicato che tanto il go-
verno centrale come quello regionale non
cedano al disimpegno nei riguardi della
formazione professionale, ma si adope-
rino perché i vari Centri professionali del-
l'isola possano continuare a preparare
tecnicamente e umanamente i giovani.
Sarà anche questo un modo - ha fatto
notare - per evitare sdegno e malumore
nei giovani e disagi e preoccupazioni nelle
famiglie. e per stimolare l'autentica ri-
nascita della Sardegna. (ANS)
AT ECHETICA
SUOR ENRICA ROSAN NA, Figlia di Maria Ausiliatrice. è la prima donna
che abbia consegurto la laurea presso la Pontificia Università Gregoriana.
(ANSfoto)
~ st '1~1i!,,dai Salesiani delta
Ispettori ubalpina (Torino). Il Centro
si propone di girare documentari filmati
suite missioni salesiane, che i tecnici delta
SAF (Scuola Applicazioni Fotografiche)
di Torino realizzeranno con la collabora-
zione dei missionari e aiuto finanziario di
diversa provenienza.
n- L'iniziativa s1 propone una doppia
nalità. «Primo, documentare l'attività di
promozione umana e di evangelizzazione
dei missionari salesiani tra popolazioni
primitive. Cosi, mentre si evita la perdita
di un patrimonio ricchissimo di tradizioni,
si testimonia per la storia l'apporto delta
Congregazione all'elevazione umana di
quelle popolazioni.
Secondo, documentare alcune attività
missionarie che hanno avuto come cen-
tro propulsore i Salesiani, per dimostrare
28 come ci sia spazio di azione anche per

3.9 Page 29

▲back to top
organizzato due corsi biennali estivi per
sacerdoti. religiosi. religiose e laici. re -
sponsabili della catechesi. I corsi sI svol-
gono al Passo della Mendola, presso il
Centro di Cultura dell'Università Catto•
lica. durante il mese di agosto.
Un corso. per operatori della catechesi
dei fanciulli. ha come denominazione
«Corso estivo di aggiornamento cate-
chetico per le scuole elementari, 1973-
1974 ». SI propone una doppia finalità :
1) affrontare i problemi posti dall'inse-
gnamento della religione nell'ambito
delle scuole elementari; 2) offrire ai re -
sponsabili della catechesi dei fanciulli gli
strumenti indispensabili per un serio ag-
giornamento in campo teologico, antro-
pologico e pedagogico. Nell'estate 1973
il corso avrà luogo dal 19 al 26 agosto.
l'altro corso. per operatori della cate-
chesi di soggetti con 11 -20 anni, ha
come denominazione « Biennio estivo
di pedagogia catechetica. 1973-74». Si
propone di qualificare alla catechesi sia
nell'ambito scolastico che all'interno delle
comunità giovanili cristiane. Si dirige
perciò a insegnanti di religione, a opera-
tori nelle comunità giovanili. ad anima-
tori di gruppi di catechisti e insegnanti.
a responsabili zonali e diocesani della
catechesi. Nell'estate il corso avrà luogo
dal 5 al 31 agosto.
Questi corsi comportano: al mattino
quattro ore di lezfone; nel pomeriggio,
gruppi di studio o conferenze; alla sera,
incontri di preghiera, e «serate fraterne».
Inoltre: colloqui con i docenti, letture gui-
date, lavori di ricerca.
I partecipanti che abbiano superato le
prove stabilite nel piano di studio. e pre-
sentato e discusso una «tesina», con -
seguiranno un «diploma di qualifica-
zione» riconosciuto dalla « Conferenza
Episcopale per la Dottrina della Fede e
la Catechesi>, della CEI.
RUA
Ektachrome
, sonorizzazione musicale
e commento, durata 30 minuti) è già
pronto nell'edizione in lingua Italiana, col
titolo « Don Rua un cuore eroicamente
fedele». Richieste presso l'Ufficio Stampa
Salesiano.
Si prevedono edizioni nelle principali
lingue.
Il libro è ancora allo studio. Racco-
glierà sotto il probabile titolo Attualità di
Don Rua le più importanti commemora-
zioni tenute in Italia nella circostanza
della Beatificazione.
Il 22 febbraio del c. a. compi cento
anni Suor Giusep
Russo FMA,
a San Cataldo
er spirito di
sacrificio e
e IzIone, oggi trascorre
nella preghiera e nell'offerta silenziosa al
Signore.
Il suo esempio è ancora scuola per
quante le vivono accanto.
VENTI CASE CHE I MONSONI NON ABBATTERANNO PIO. Il nuovo
villaggio; costruilo ad Azimganj (Bengala) per venti famiglie profughe dal
Bangla Desh, è una realizzazione del missionario salesiano don Jesus Jiménez.
(ANSfoto)
PUBBLICAZIONI
SALESIANE
NOVITA SEI
Marcato-Novellì, Il commfsaario di
Torino. Pag. 256. L 1800
Un incalzante racconto di fatti e di
episodi veri che offrono un inedito e
polemico ritratto di Torino. Ricco di
suspence e di colpi di scena come un
giallo.
E. Fiorentini, Generazione Infranta.
Pag. 21 O. L. 1800
Vengono affrontati temi di estrema at•
tualità: la società consumistica, la con-
dizione femminile, la mercificaiione
dell'erotismo, i veri e i falsi impegni
politici, il cristianesimo come forza di
autentica liberazione.
Egidio Sterpa, La rabbia del Sud.
Pag. 296. L. 3000
Il lungo dramma del Sud dell'Italia ha
le sue radici in mali secolari, e au-
menta dì fronte a nuove ingiustizie,
tramutandosi in aperta protesta con-
tro lo Stato. Sterpa cerca le ragioni di
questo fenomeno nei fatti e nelle te-
stimonianze.
NOVITA LDC 10096 TO- Leumann
Piana-Fiore, Una speranza per
l'uomo. Pag. 168. L. 1000
Presenta le linee essenziali della «teo-
logia della speranza» e i maggiori
esponenti di questa corrente teolo-
gica; Bloch, Moltmann, Metz, Pan-
nenberg, Schillebeekcx. Questi pen-
satori (che Interessano marxisti e cri-
stiani} si sono posti l'interrogativo:
qual è il futuro del mondo e dell'uo-
mo 7 c'è un impegno politico per il
cristiano 7
P. Gariglio, La stagione di Dio.
Pag. 116. L. 800
Una parrocchia in un quartiere di case
popolari, a Torino, senza chiesa, né
oratorio, né associazioni. Solo una
baracca in un prato. Il parroco puntò
tutto sui giovani e sugli Esercizi spi-
rituali. Fu una meravigliosa espe-
rienza, qui raccontata.
ALTRE NOVITA
E. Valentini, Il messaggio del•
l'amore infinito. Ed. Pro Sanctitate.
Pag. 496. s. p.
Il volume :si apre con l'autobiografia
di L. M. Ctaret de la Touche, prosegue
con la biografia della restante parte
della sua vita, e si conclude con il
suo Messaggio lanciato al mondo at-
traverso l'Alleanza Sacerdotale Uni-
versale.
D. Luise, Tu aei la mia sete. Les
Roma. Pag. 232. L. 1400
Poesie-preghiere per un rapporto più
personale e profondo con il Cristo. 29

3.10 Page 30

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NEL MONDO SALESIANO
cc NOI PER
COOPERA
MONDO
TERZO
Nel 1967 si effettuò un viaggio in
India da parte di un gruppo di Coopera-
tori. Servi a «gettare un ponte di colla-
borazione», che si concretizzò in uno
schema di iniziative decise prima di par-
tire dall'India. Nel Bengala occidentale
si puntò a realizzare piccoli impianti di
irrigazione, casette in mattoni, una scuola
elementare di otto aule. Nell'Assam ci si
impegnò alla costruzione di aule scola-
stiche a Maligaon. A Madras l'impegno
tu di costruire casette per famiglie di leb-
brosi. A Calcutta i Cooperatori adotta-
rono 36 bambini nell'opera fondata da
Madre Teresa.
Una seconda visita si effettuò nel 1971 .
Il bilancio di queste due visite - scrive
don Buttarelli, delegato nazionale dei
Cooperatori - è una sensibilizzazione e
partecipazione intensa alla vita dei nostri
missionari. La cifra inviata per le inizia-
tive adottate è di lire 34.090.930, frutto
di risparmi e di sacrifici.
Ora l"Ufficio Nazionale Cooperatori ci
comunica che è stata decisa una Terza
Visita alle missioni detrlndia, con itine-
rario Roma Delhi - Agra - Benares
Gauhati Shillong (Assam) - Calcutta
Krishnagar (Bengala) Madras• Bombay.
Informazioni e programmi dettagliati ven-
gono forniti dall"U.N.C., Viale dei Sale-
siani 9 - 00175 Roma.
È un grande edificio nuovo, che si
estende fra corso Cadore e via Grazia
Deledda. Ospita gitl 900 scolaretti delle
elementari. e presto. nelle aule che si
stanno portando a termine, riceverà anche
ragazzi della media. La ricerca del « no-
me>> da dare alla nuova scuola è stato
laborioso. Se ne proponevano vari. tutti
validissimi. In quei giorni, Torino festeg-
giava la beatificazione del suo concitta-
dino don Michele Rua. Alcune insegnanti
GLI EXALLIEVI SALESIANI IN ANGOLA. In Angola non ci sono i Sa-
lesiani, ma i toro Exallievi sono numerosi. Alcuni sono sacerdoti impegnati
nel ministero; ma in maggioranza sono laici dediti all'insegnamento. Ci sono
scuole a Luanda, la capitale, che questi Exallievi mandano avanti da soli,
applicando il metodo d1 Don Bosco.
proposero il suo nome. e lo sostennero
illustrando al corpo insegnante la figura
di don Rua. Nel marzo scorso il nome è
stato accettato. I 900 scolaretti hanno
acquistato cosi non soltanto un titolare.
ma un amico protettore.
Il 17 marzo rimarrà una data storica
per il lavoro salesiano In Irlanda. Perché
il 17 marzo è avvenuta l'apertura uffi-
ciale di una Fondazione Salesiana nel
Campus del St. Patrick's College-Se-
minary a Maynooth. È la realizzazione di
un sogno che ebbero tanti Salesiani nel
passato, e che sembrava impossibile ve-
dere compiuto. Ora è una realtà, e giu-
stamente i Salesiani dell'Irlanda gioi-
scono, sicuri che questa loro presenza
al St. Patrick's sarà di grande vantaggio
per la Chiesa e la Congregazione, e
per il lavoro missionario.
Il Presidente del Maynooth College,
mons. Newman. all'inaugurazione, diede
il benvenuto ai Salesiani: «Come stu-
denti hanno sempre dato un largo con-
tributo intellettuale e morale al College.
Ora desidero che presto. grazie alla loro
presenza nel Campus, entrino a far
parte del corpo insegnante di questo
College Universitario».
Il Maymooth College venne fondato
dal ooverno britannico 180 anni fa, per
dar possibilità ai sacerdoti cattolici di
conseguire i loro titoli di studio in Irlan-
da, senza dover emigrare. L'Università.
fino al Concilio Vaticano Il, accolse solo
clero diocesano; poi accolse anche mem-
bri di Ordini religiosi, maschili e fem-
minili. e anche un certo numero di laici.
Cinquant'anni fa, dall'India, un sale-
siano missionario irlandese in una let-
tera chiedeva alle autorità del Maynooth
di ammettere i Salesiani al College Uni-
versitario. per dar loro la possibilità di
conseguire lauree che sarebbero state di
grande vantaggio al lavoro missionario
in India. « Si dovette purtroppo atten-
dere ancora molto - ha detto mons.
Newman. - Ora il Signore conceda
che tanti Salesiani diano un forte aiuto
morale e intellettuale al Maynooth ».
et CARTE I
DIOCESI
(THAI LAN
NELLA
HANI
La notizia è stata ripresa con interesse
anche da agenzie giornalistiche specia -
litzate: « Il Vescovo di Surat Thani,
mons. Pietro Carretto, accogliendo il de-
siderio del suo consiglio presbiterale ha
reso nota la situazione finanziaria della
sua diocesi».
Questo vescovo missionario. che ha
30
avuto «il coraggio delle carte in tavola »,

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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non si è limitato a fornire aride cifre.
Nella suo relazione parla delle « opere
completate o in cantiere» nel 1972. Ecco
qualche esempio: « Costruzione del con-
vento per le monache Cappuccine a
Ban Seng Arun; completate la chiesetta
di The Se e la chiesa canonica di Ranong;
terminate sei aule scolastiche a Phanom;
acquistati due terreni per opere aposto•
liche a Pattani e a Vali; ampliate le
scuole di Thida Me Phra Badon e Ton
Phibul... Il massimo impegno della dioce-
si è stato quello di aiutare i coloni del
villaggio « Maria Ausiliatrice» di Phanom
con case, strumenti agricoli, piantine».
Quella di mons. Carretto è una dio-
cesi ai primi passi stata costituita
nel 1969), e c'è tutto da fare. Sopra
una superficie di 84.000 kmq vivono
quattro milioni di thailandesi, e solo
l'uno per mille (4341 in tutto secondo
l'ultima statistica) sono cristiani.
La diocesi occupa una parte lunga
e stretta della Thailandia (quasi un'ap-
pendice del paese) che si srotola dal-
l'alto in basso per 900 km, tra due mari,
verso la Malaysia.
Per tutta la sua lunghezza è percorsa
da una ferrovia di importanza vitale.
« Bisogna - ha scritto mons. Carretto
ai suoi missionari - che ogni 50-60 km
si costruisca una residenza, anche senza
missionario fisso, ma con un incaricato
che regolarmente, con programma mis-
sionario ben studiato, si lanci nell'evan·
gelizzazione della zona». Ne risulterà
così come un « rosario i> sgranato lungo
tutta la penisola, nel quale la ferrovia
sarà come il filo che ricucisce i «grani»
delle residenze missionarie.
Le residenze sono in fase di allesti-
mento, alcune sono ancora solo nel
UNO cc SCOIATTOLO D' ORO » A CASERTA. l'Oratorio della città è
giunto alla settima ·edizione di una manifestazione canora che assegna il sim-
patico premio a piccoli campioni della canzone. Le dodici canzoni migliori
sono raccolte in un LP. Nella foto: un particolare del « concorso maschere»
che ha accompagnato la manifestazione canora.
(ANSfoto)
«sogno» del vescovo. Qualcuna. come
il villaggio « Maria Ausiliatrice» (con
case e campi distribuiti tra povere fa-
miglie cristiane), si avviano a diventare
oasi di testimonianza cristiana; qualche
altra conta la scuoletta e il missionario
stabile; qualche altra ha solo una tet•
toia-cappella; qualche altra ancora è poco
più che un desiderio (a Thab Sake.
scrive mons. Carretto, «già data la ca·
parra per comperare un terreno con
casa... »).
Sono « minuscole cellule, alle volte
di una, due o tre famiglie cristiane».
Tutto attorno. il terreno è da dissodare.
E gli operai della vigna sono 21 Sale-
siani, 7 Stimmatini. 11 Figlie di Maria
Ausiliatrice e 8 Cappuccine. (ANS)
UNA CARTINA INESATTA
Nel Bollettino Salesiano di
febbraio, pubblicammo una
cartina del!'Ecuador disegnata
dal missionario don Alfredo
Germani alcuni anni fa, e che
portava una scritta inesatta,
come ci ha fatto gentilmente
notare l'Ambasciata del Perù.
A rettifica, pubblichiamo la
cartina del confine Ecuador-
Perù fornitaci gentilmente dal·
l'Ambasciata peruviana.
31

4.2 Page 32

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USCIRONO ILLESI DALLA MACCHI NA SFASCIATA
Il pomeriggio di domenica 2 gennaio, con una consorella
e una aspirante, andavo in macchina, guidata da un gentile
signore del luogo, per ìl con·sueto servizio apostolico all'ora-
torio di un piccolo paese alla periferia di Conegliano.
Era vicina la festa di San Giovanni Bosco, e avevamo
organizzato un bel programma per far parte della nostra
gioia alle care oratoriane.
Ma durante il breve percorso, a un certo punto da una
strada laterale alla nostra sinistra sbucava una macchina di
grossa cilindrata e si poneva come ostacolo imprevedibile
sulla nostra corsia di marcia. Per evitare l'urto, il nostro au-
tista operò una brusca frenata. Paurosamente, la vettura co-
minciò a sbandare a destra e a sinistra dell'intera strada (una
statale di grande traffico), sfiorando platani e macchine,
senza riuscire a bloccarsi.
Dopo un ultimo urto di striscio contro un platano, la la-
cerazione di due gomme compromise ancor di più la stabi-
lità della macchina. Conscia della gravità del momento, ci
usci spontaneo a più riprese un grido di invocazione: «Maria
Ausiliatrice, aiutaci, salvaci I».
Una provvidenziale stradicciola laterale, che conduceva a
un bar, fu per noi la salvezza. la vettura, deviata prodigiosa-
mente da quella parte, fini la sua corsa addosso a una rete
metallica di cinta, al di là della quale c'era un deposito di fer-
ramenta. Uscimmo tutti e quattro illesi dalla macchina ridotta
a un ammasso informe. Alcune persone, accorse per dare
aiuto, rimasero meravigliate della nostra incolumità. Noi era-
vamo come sbalordite, commosse, e piene di riconoscenta
verso la Madonna e Don Bosco. Raccolte alla meglio le no-
stre forze, ripartimmo con un altro mezzo verso l'Oratorio,
per esprimere il nostro grazie nella concretetza del dono di
noi stesse alla gioventù.
Conegliano (Treviso)
Sr. REGINA ZAMPERETTI. F.M.A•
QUANDO ORMAI LE SPERANZE DIMINUIVANO
Mi trovavo sul balcone di casa, quando sentii un grido.
Rientrai di corsa, e trovai il mio caro marito bocconi a terra:
era caduto e si era fatta una grave ferita al capo. Chiamai il
dottore d'urgenta, gli furono praticate le cure del caso, ma
il caro paziente andava perdendo di giorno In giorno la
conoscenza. Il dottore ci consigliò di trasferirlo all'ospedale,
ove gli furono praticate le cure più assidue. Il malato però
non migliorava, le sperante diminuivano. Le nostre Suore,
Figlie di M . A., che fin dal principio avevano seguito con
affettuosa preghiera il nostro dramma, ci invitarono a rivol-
gerci con fede a Maria Ausiliatrice. Ed essa ci esaudl. Al
caro ammalato tornò a poco a poco la salute, freschezta di
mente e conoscenza piena.
Torino
MARIA CRAVERO
LA GIOIA DI UN BAMBINO
Da tre anni mio figlio si lamentava per un dolore alla gamba
destra. Dopo ripetute visite, si scopri che aveva un ascesso
dentro il midollo con un grosso alone di infiammazione.
Ci voleva un delicato intervento chirurgico, ma il professore
32 e i suoi collaboratori decisero di provare con applicazioni.
Intanto, noi cominciammo novene a Maria Ausiliatrice e a
San Domenico Savio.
Finita la cura delle applicazioni, il bambino fu sottoposto
a un controllo radiografico. Con immensa gioia appren-
demmo che l'ascesso era quasi scomparso, e che non c'era
più bisogno di altra cura che tanta esposizione al sole. A
distanza di tre anni rendo pubblica la grazia con infinita
riconoscenza.
Torino
LILIANA ARROBBIO
« Rendo grazie a Maria Ausiliatrice perché mi ha visibil-
mente aiutata a continuare nel Suo Istituto. Sono stata In
pericolo di dover tornare a casa per motivi di salute. Ma la
Vergine mi ha voluta pietra vivente del suo monumento.
Grazie I Camminerò con fede e amore» (Sr. Elena Bevi/acqua,
Maglio di Sopra, Vicenza).
« Guarita da grave indisposizione, il 31 gennaio ho po-
tuto ringraziare in chiesa la mamma Ausiliatrice, invocata
con la novena consigliata da Don Bosco» (Giuseppina To-
noni, Bergamo).
UNA BELLA BAMBINA Cl HA FATTO FELICI
Sono cresciuta in un paese della provincia dell'Aquila.
Ho sempre frequentato l'Oratorio delle Suore Salesiane. Poi
mi sono sposata, e sono venuta col marito a Bolzano. Qui
sono cominciate le mie difficoltà. Ho sentito molto il di-
stacco dai genitori e dalle mie abitudini di vita. Il lavoro di
mio marito lo teneva spesso lontano da casa, anche venti
giorni, e io mi sentivo tanto sola. L'unica cosa che poteva
rallegrarmi era la nascita di un figlio. Ma non veniva. Ogni
volta che andavo dai familiari di mio marito era un tormento,
come se fosse stata colpa mia. Tornavo a casa col cuore
gonfio. Anche mio marito, forse per lo stesso motivo, si al-
lontanava sempre più da casa e da me. Mi dissi: cercherò
un lavoro, mi farò una vita mia. Ma no, non volevo a tutti
Cl HANNO PURE SEGNALATO GRAZIE
Addio Brundo - Aiello Carmelo Alciati Pierino - Aldcghi Mario - Alle-
granzi Angelina - Alloisio Ada - Ange.leui Patrizia - Ansaldi Fam. - An-
1oncllJ Maria - Antonini Alessandra - Anveru Maria - Arcadia Angela -
Azzarone Maria - Balbi Giovanni e Teresa - Baldo Ester - Ballati Franco -
Banle Eusebia - Barberis prof. Raimonda - Bordini Arpalice - Bartoli Fam. -
Battoc:chetù Caterina - Bcchis Maria - Belforte Alberto - Bellino Luciana -
Beltrame Augusta - Bergni Teresina - Berse Chiarina - Benello Letizia -
Benocco Giovanna - Betazzi Savina - Bettoni Bosco Giova!IIII • Bian-
chini Maria e Angelina - Bicutri AdJJ - Bigio,to lnCI - Biscari Agatina -
Bl:mdini Tcreu - Boglioli Rosa ved. Rlz:zini - Boi Eva - Bonanlo Capello -
Bosoli Giovanni - Bovio Giovanni - Bressi Adalgisa - Brugooli Maria -
Brusùo Francesca . Buffa Giu.seppe - .Busnito Concetta - .Butera (vano
Causato Maria - Calcio Gandiru> Marianna - Calegaris Maria - Calicaote
Laurn - Cameroni Teresa - Campati Teresa - CampOdonico Maria - Cana-
vese Olma - Capomacclùa Carmela - Capurro Pierina - Caregnato Luil!i -
Cani Felicita - Conoinati Alessandro - Caroti Antonima - Casag111nde
Moria - Castellanem Maria - Castelli Rodolfo e Beatrice - Cataldi Fauota -
Cavagliano Domenica - Cavaglìano Domenico - Cavallotto Salina - Cera-
te!li Chiarn - Cenedese Mario. - Charles Geromina - C hiarlonello E. - Ciani
Giovanna - Cincelli Carlo e Maria - Cittcrio Giovanni - Civera Giuoeppe -
Colla Giovanna - Colombo Adele - Col%ani Teresa - Cominauo Emilio -
Conigliaro Concetta - Contardi Irma - Coppo Bisoglio Lui11ina - Coppola
Adalgisa - Cordier Clementina - Corrado Prato Te,.,.ina - Cosentino .Fnn-
c..co - Couu Murietta - Costanzo Nwuio - Cotta Romasino Pina - Cre-

4.3 Page 33

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i costi che il mio matrimonio naufragasse. Rinuncio a tutto,
dissi, pur di salvare il mio matrimonio.
Un giorno non ne potevo più. Sola. abbattuta, caddi in
ginocchio per terra con le braccia poggiate sul letto davanti
all'immagine di San Domenico Savio. Non pregai, non ne
avevo la forza; offersi la mia angoscia, chiedevo solo un
po' di pace e di serenità. Piansi a lungo in quella stanta
che anni prima mi aveva vista sposa felice e piena di entu-
siasmo. In ginocchio per terra, mi addormentai. non so per
quanto tempo. Mi svegliai più sollevata, ritrovai la gioia di
vivere, la fiducia in Dio. la decisione di salvare il matrimonio.
Amavo tanto I bambini, mi contentavo di fare sorrisi e ca-
rette a quelli degli altri. specialmente quando le mamme li
trascuravano per il lavoro o per egoismo.
Poi accadde che cominciai a non stare bene. Ero preoc-
cupata, temevo di avere un brutto male. Invece... mi trovai
in attesa di un bambino I Otilasi non ci credevo, ormai ero
sfiduciata, non ci pensavo più a una creatura mia. Invece
ci è nata una bella bambina. sana e robusta, che ci ha fatto
tutti felici. Chiedo a San Domenico Savio di pregare Dio
per noi che ci doni sempre la forza di affrontare ogni cosa
con serenità.
Bolzano
Lettera firmata
LA SORELLINA E I CUGINETTI
HANNO OTTENUTO IL M IRACOLO
Assolviamo il nostro debito di riconoscenza verso il Santo
dei bambini per la completa guarigione del nostro ado-
rato Mauro.
Il piccolo andò presto soggetto alle ben note complicazioni
del fattore RH. Ma non eravamo preoccupati, perché oggi
la medicina sa rimediare bene. Quando invece si costatò
che Mauro non riteneva il sangue delle trasfusioni e che
deperiva a vista d'occhio, più nessun dottore ci dava spe-
ranza di vita.
La miracolosa ripresa la costatammo dopo che ci siamo
rivolti con grande fiducia al Padre celeste attraverso l'inter-
cessione di San Domenico Savio. La sorellina e i cuginetti
hanno davvero ottenuto il miracolo. Il miglioramento fu ra-
pido. Ora, a distanza di un anno, Mauro è vispo e paffutello.
sembra l'immagine della salute.
S. Giuseppe di Sommariva Perno (CN) TERESA e GIUSEPPE TORASSO
UNA FRAGILE CREATURINA RIESCE A VIVERE
Nel mese di giugno scorso in mia figlia si manifestarono
sintomi che facevano presagire un' interruzione di maternità
prima del sesto mese. Pregai tanto San Domenico Savio.
Il 2 luglio nacque una bambina di appena 900 grammi, ma
sana e vivace. Mia figlia chiese a San Domenico Savio di
completare la grazia. La piccola fu tenuta due mesi e metto
in incubatrice; nei primi giorni ebbe crisi che parvero mor-
tali, ma le ha superate tutte. Oggi è bella, sana e vispa.
Napoli
GENOVEFFA SMITTI
«In seguito a un incidente dovetti sottopormi a intervento
chirurgico sebbene fossi in attesa di una creatura. Mi ri•
volsi al caro San Domenico Savio che già altre volte mi aveva
esaudita, e tutto andò bene: un mese dopo l'intervento è
nato un bel maschietto» (Flesia Mariagrazia, Torino).
(< Era tutto pronto per il battesimo, quando per un rigur-
gito la mia piccola Sara rimase come morta. Fu portata d'ur-
genza all'ospedale, ove arrivò in tempo per essere salvata.
Ringrazio San Domenico Savio che non ho cessato di in•
vocare durante tutto il tragitto» (Uliana Maria Grazia, S. Maria
del Giudice, Lucca).
« Ero al settimo mese quando l'emozione per la morte di
mio suocero fece precipitare la situazione. Fui portata d'ur-
genza all'ospedale e operata. Venne alla luce la mia piccola
Domenica, e fu messa subito in incubatrice, dove rimase
per più di due mesi. Ho pregato tanto San Domenico Savio
e tutto è andato bene. Riconoscente, adempio la promessa
di rendere pubblica la grazia» (Pina Mangiapane in Lio,
Cammarata, Agrigento).
monesi Scotto Giuseppina. Crosetto Mari11- D•llc Nogarc fam. - D'Amico
Fnmceaco - Defend Maria - De Frumerl Fmnco - Deiana Egidio e M. Te-
resa - Oemartini T. - De Vecchi Silvana - Diomede Clcofc - Dionese Maria -
Domina Pino - Donato Rosaria - Faggioni Giuseppina - F:1ila ~ttina ...
Fallo Caterina - Fa1tori Maurizio - Favre Palmira - Felloni lda - Fcmu-io
Giuseppina • Ferrero Bartolomeo - Ferretti Roaa - Finotti Giovanni - Fio-
rello. Carmela - Fo11liatti Emcstina • Froro Dino e Anna - Fuma,alli Giu-
seppina • Fusa, Polli Mario - Galati Esposito El,:,na • Galla Gioconda -
Gallo Giuscp1>Ìna - Gallo Ines - Garan Libera - Gubarino Fontana Maria -
Gane.na frat. - Gotti Mar11herita • Gatto Guglielmo - Giannetto Giu•ep-
pioa • Giardino Artemia - Gicbno Virginia - Giorcelli Eld• - Giordono
Feman.cb - Gimrdone Gianni - Gori Amedea Goria Giusepi>C - Origgio
Grazioso - Grippa Benedetta - Gua-rcio Don Salvatore - Guasasco Giuseppe
- Gusmini Lucia - llllni Giusep1>e - Jorjnos Margherita - lvaldi M.adda-
lena - La Barca Provvidenza - Laffranchi Domenica • La Micela_ Salvatore
Langini Bianchi Gabriella - Lanzo Angela • La Vecchia M. Stella • Laz-
zauni Corrct1tina - Lemma Caterina - Lesa Bcl\\trice - Lio Sr. Cecilia -
Lomazzi Carmelina - Lombardo Tonina - Lo Porto M>lria - Lovuto Luigia -
Luperini Curzio ed Ernesta - Lupo Giuseppina - Maffeo Anna - Magnetto
Francaca • Moiso Bianco Alda - Mammi fam. - Mancini dou. Ces•re -
Mandioni Dora - Manini Rita - Manzini L. - Ma.nzocchi Giancarlo • M ar-
chiando Adele - Mariani Rosa - Masera Rina - Maaoero Angela - Massaglia
Letizia - Matteo Emilio - Mana Maria • Mazzola Anna - Mclis Pietro
Mcllano Gina - Messina Francesca - Milano Giuseppe - Modico Teresa -
Monaco Tina - Montecuc<:o Gfanna - Montuschf Antonio - Monca.le
Nunzia - Mosa Rosa. Mun Moria - Muaacchio Lelia - Nardì Fioletti Lino.
Negri Garnu Mari& • Nucci So.ndn Odoretti Antonietta • Olivetti Adele
Origlia Piera - Ottonello Leoncini A. M, - Pacilco Concetta - Pagliano
Maria - Palladino Dina - Pandolfo Elisabetta - Pasinati Linda - PassueUo
Gllbriella - Patroni Ester - Parinnoti Luigi - Pettiruilli Giulia - Pia Pasqua-
liDA - Piazza Lea - Piccobroaz Federica - Piliego .Anna - Pinna Mar·ia An-
tonia - Pio Umberto e Franca - Pìrro Maria Antonietta - Pistoia Ftli fam. -
Pizzi Fomrnato - Ponte!Jo Fernanda • Porotti Car91iruJ - Po~~lj Ci\\J1lsani
Luigia - Pretto Roncolato Rita - Prisca Fabrizio - Pulleo Mario - Quarta-
rone Maria Ragusu Adele - Ranieri A. - Raspini Vittoria ved. Consoli •
RiboJi fam. - Ricci Giuseppe - Ricc.obone Lina .. Richetto Giovanna ... Rivasi
M. Antonietta - Ri,zi Giovanna - Rì:!m Adriana - Rocca Gurini Elisa -
Romeo Amelia - Ronco Giuseppina - Rota Battistina • Sabntinl Nicolina -
Saettone Tina - Saia Concetta - Salu.sola Olp - Salvo T ecla - Sammarco
Franca - $androne Guido - Santì Bice - Sasao Maddalena - Scalas Maria -
Scarfagna Luigi • Schirato Sante • Serra Giulia Setti TiM - Silwgni
AleMandro - Sìsmondi Clelia • Solero Alessandra - Soressi Massimo - Spi-
nello Rita - Stocchi Maria - Surro Carolina - Tambocco Mario - T esta
Ignazia - Toffalorl Angelina • Tonon Ofela • Torrini Rota Luigina • Traìnitì
Albina - Traversa Maria - Trim.aglio Stefano - Tumino Giovanna - Uglione
Nuccia - Vacca Giuseppe - Vaccat0 Giovanna - Valtolina Giorgio - Vau-
dagna don Giuteppe - Veru:on Santa - Ver(PlanO Maria - Viberti Maria -
Vigliane Paolo - Vinci Rosalia - Vittw:e Cannino - Viz,àni Lina • Zallo
Caterina - Zàmbro.nc Cira - Zandonella Giovanni - Zanone Rosanna -
Zincone Anna • Zoccola Marisa.
33

4.4 Page 34

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~
PREGHIAMO PER I NOSTRI MORTI
SALESIANI DEFUNTI
Sac. Roberto Maria Ger llllllno t a Bogé
(Bnsil•) a <,>z anni.
Ern nato a Pa.y.sandù in Uru1ruay da genitori
ltalforu. Frequentll l'[stìtuto Salc.siAoo della
sua mtuì, e decise d1 farsi $ale:dano. AppenJ&
ordìnato sacerdote, partl per il Brasile con il
primo gruppo di sales-ian1 uruguaiani, e fu uno
dei fondatori del Collel(io Maria Ausiharrice
in Ilagé, citai dell'estremo sud del Brusii• ai
confini con l'Uruguay
Ci stette per tulto il resto della sua lunga vila,
qua.si 70 anni, esercitando gli incarichi più
svariati. Ciò che impre.ssionava 1n lui era la
sua allegria1 la sua cord.ialinl con tutti. Era il
sale.siano che per le i:trade della città saJutava
tutti agitando 11 braccio. Allievi ed cxallicvi
lo a.mavano ~ ricordavano come uo buon papà.
Per piò di -4-0 anni Fu Farnie.o e il consolatore
degli amm:tlati nell'Ospedale della città. Niente
di straordinario: semplice, allegro. sempre di~
sponibilc. La oìnt d, Bagé e il Governo lo
onorarono con varie decorazioni; .alla tiua morrc.
la clttA decretò tre giorni d1 lutto. 11 coneo
fun~bTc pilrve un trionfo pasquale.
Coad, cario Dell'Acqua t • S. Vittore Olona
( Milano) n 66 ann,.
Fu m1ssiooano in lndia e in BiI""nu1n13 per
34 anni, e s.i prodigò soprattutto durante la
au~rra e ~li s:convolgjmenri çhe..nt seguirono
per aiutare profughi, fugguschi, affamati e
amma.lan. Si ded.icava al lavoro con generosità
e intelligenza, portando ncll3 vita comunitaria
un esempio d1 osservonio e dt serenità_
Sac . Guldo Gi useppe Sbernlnl t a Chiari
(Breo.cia) a 83 anni.
Era di tempra forte. c.ollB.udara ne.Ilo gue.rra
del 'rs in cui militò comè tenentt di fanteria.
Con enrusiasmo e ferme-zz.a, donò tutta la aua
vita ai giovaru, Direttore per JO unni, economo
ìspettoriale per J, fu fèdelc e tenace nell'ad•m-
pimentQ del dovere, nello spirito dj Don Bosco.
IJC a.mic12.ìe che sepp~ coh,vaic e la forte?.i:a
c-ristiano gli furono di conforto nelle prove del-
l'ultima malattia.
Coad. Marcelllno Cheslnl t a Generai Pico
(Argentino) a <H onn,
Era na.to a Breomo, 10 provint 1a d1 Verona .
Pare\\ ancor giovane per la Pampa Argentina,
e collaborò all'opero ollss-ionariu con umile~
e obbed1cn~11. !:lOrn:ttO da vive pierà. Ridotto
all'inattività d=,gli Rnni e dagli acciacchi. pro•
fumò con In preghiera il •uo sacrificio.
Sac. LuJgJ M.lnson t a S . Paulo (Brasile) a
85 anni.
Nativo di Ene (Padova), parti per le mìssion,,
ru ove sopranutto I! sempre. sacerdote: nella
•Il• prediCàzione, nelle c-on,fessiom, nel preparare
i bambini
Comunione. I ragozz, gli vole-
vano un gnn bene, 1 wnfrntelh lo stimavano
per la sua osservanzA permeata d1 bont.à e dj
gioia fr-atern11.
Sac. .Ernesto Tomba t a Yerona • 69 unni
Pas!Ò quasi tuttw. la sua vita saltsiooa al Don
Bosco di Veroni. C-()rtte insegnante e direttoTe.
Conoscerlo e voleraH bent: ero la stess.a cosa.
Gli exallicv, lo ricordano com<: saleaiano di-
namico, innamorato della suu vocazione. ma.esrro
di vit11 e di sapere.
Sac. Giovanni Cetorla t a Tampa-Florida
(USA) • 68 nnni
ETa di Casorzo ~1onfe.rrato, ma cominciò 1.u
sua vita tale~ia.na ne.I noviz.iato di New Roc helle.
Durante lo 1tuerra fu direttore a No,-i Ligure,
ove riusci a nutrire e a vestire gli aspirnnti no-
nostllntc le aspre difficoltà di <1uegli anni. Tor-
nato negli Stati Uniti, •i dedicò soprattutto ai
poveri e a11li •bbandonari. I confratelli, che lo
ebbcru direttore per mulri anni, lo stimavano
per la bontà, la pietà e lo ,:elo sacerdotale.
Sac. Giacomo Bernardinis t a S. Domi di
Piave (Venezia) a 64 anni.
GU anni più belli della Vita li passò negli or11tor1,
ove spese le migliori energie. Suo segreto e
suo fa-scino era una inesauribile capacità di
amare, rutti. ma specialmente i più poveri e
bisognosi. Ptr tutn aveva una parola buona,
ricca di umanità e di fede, inesauribile neJJ'in-
vemare forme! sempre nuo\\le per manifestare
il sua affetto e la sua boraA.
COOPERATORI DEFUNTI
Marlettfna Rigo t a Todno.
Ha dedicato tutta la sua vita nel fare il bene,
animata dallo spLrito saJesiaoo che viveva e
manifestava. Il Centro , RegìJlJl Margherita•
ebbe in lei un esempio di bontà ~ di a.nivit,.
Domenico Bu tussl t a Gradisca (Corizia)
a. 66 anni.
Uomo rette:> e. onesro1 era s.nmato per la sua
dedizione al lavoro. alla (armglia, e. per la sua
fede! convinta negU ideali cristiani. Colpito
da un male lncurnbilè, seppe sopporto..re pél'
lunghi meoi la sofferen,,a, confortato dal suo
Don Bosco, al quale era tanto affe,;ionato.
An:aa Pedola ved. MugarUora t a Varese.
Aveva ricevuto il diplorru1 di cooperatrice nel
196t1 e aveva sempre collubunto con zelo e
affettò alle vane manifestazioni saJesiane.
Maria Mong lano t a Pontestura (Alessandria).
Donna amm1,1.ta da -autentico spinto crisri■no
~ th1 g.rande fede. La .sua vita fu un Ies.suttJ
sale$iano di preghJera e di lavoro.
On. Car lo Re_possl t :1 Como a So anni.
Scompare con IU1 unn uplca figurn di canoUco
milititntt che ha con.sacrnro rutta 1a vita :11l'1deele
cnstiano ne.Ila \\rite pubblica Allievo della
scuola di don Olphni. aderl ron entus1as-mo
all'.,\\ziune Cattolica, fu l'animatore delle a~o-
dazioni giovanili e ne divenne Consigliere na-
zionale. Nc1 gior-ni drlJa Resistenza partecipb
con generosa consapevolezza alla vita politica.
Fu deputato al Parlamento per ben t.re legiala.
ture, sottosegrct.odo. s:ensibile ai vari problemi
.sociali Era cooperatore salesiano entusiasta,
ommararore dì Don Bosco e della sua opera
Scrisse anche di versi lavori teatrali per le filo-
drammatiche dei nostri Oratori, ane.s-i e applau.
diti . Uomo di alrn ' Corm.uiunc c;rist1ana. hui:cia
un ricordo edificante di attività e d1 servizio
nei varj campi delb vita socillle..
Dott. lng. GJanru Bartoll t u Trieste• 72 anni.
Mihtante di Azione Cattolica, fu tra I fonda-
uni della DC triestina. Nel 1949, eleno •in-
daco di 1'1ries-tc, di\\lenne il padre deì p.rofughi
istriani. Fu per quasi 40 anni cooperatore de.i
salesi11.D.i, ehe ammirava e amava. Sensibilis-
simo ai problemi de1J1educazione cristiana. si
ispirb a Don Bosco ne.Ila sua azione di padre
e d1 profess-ionifìita La cittè lo ricorda come
• il sindnco de.gli anni difficiH •, che sapeva
{Brsi oro.a.re , , I cooperatori salesjooi ne bene-
dicono la memoria. com~ ne hanno ammirato
la fede solidà r operosa
Sac. G. Bartisra Freggl t Cloino (Como)
a 86 anni,
zz
Una lunga vita, tutta spesa a portare Dio tru
gli uomini, e gli uomini a Dio. Umilmente
crediamo - sarìve c.hi lo h• conosciuto a fondo
- che don Freggi debba essere annoverato
fra coloro i quali, eletti e prescelti, pur rin;ui-
nendo uomini, e come tal.i soggetti all'umano
errore. sorgono dalla mass a ad evangelizzare
con dedizione e fedeltà ,omma. La loro opera
è destinata a rimanere in molti cuori anche
dopo il loro ritorno alla L uce •.
Maria Sorato ved. Viotti t • Rivalta Bor.
mida • 85 anni.
Edu nella fede e nell'amore cinque figli,
uno dei quali, don Sebastiano, è diventato
sacerdote nella fa.miglia di Don Bosco. Forte
e buona insieme, prudente nel tacere e saggia
ne.I parlar.e, generosa nel viaitare e aasistere gli
ammalati, visse gli ultimi anru della sua lucida
a.nzia.nit.l nella preghiera e nell'attesa del premio.
Anna J>edoia ved, Marprltora t a Varese.
Aveva ricevuto il diploma di cooperatrice nel
1961. e collaborò sempre con zelo e affetto a.Ile
vorie rnanifesraiioni salesiane dellB città.
Angela PenncUl t a S. Giovanni Rotondo
(Foggia) a 90 anni.
Saggia e affettuosa, ebbe da Dio il dono di un
figlio saC!erdote .salesiano. Negli ultimi due anni
di vita, fece del suo letto di dolore un altare
di offerto. e di sacrificio, insegnando con la pa-
rola e e.on l'esempio l'amore per tutti.
Lutei Rlcaldone t a Valenza (Alessandria)
a 81 anni.
Coopentore fin dal 1937, devotissimo dì Maria
Ausiliatrice, di Don Bosco e dei Santi Salesiani,
spese la su.a vita nel lavoro e nel sacrificio per
il bene della famiglia. Chiuse serenamente la
,ua vita terrena, purificato dalla sofferenza.
lng, Antonio Bava t a Torino a 90 anni.
1-"u un uomo buono e generoso, tutto dedito
o.Ila numerosa fam,iglia. e al lavoro. Era ammira-
tore di Don Bosco e ne soste.neva le opere con
generosid.. Lo fece conoscere anche ai suoi
operai, che aiutava e incoraggiava.. La sua
generoS:ità verso tutti gli me.ritb simpatia,
-effetto e riconoscenza.
Andrea Bl'ussone t a Varazze (Savona) a
,,. unni.
Mori il giorno di S, Giuseppe, purificato dalla
sofferenza e preparato con fede cosciente.
Aveva speso la sun vita neU'oneatà del Lavoro
e nell'amore alla famiglia, lieto d'aver donato
il primogenito, don Pierino, a Don Bosco.
Or. uff. Primtno comm. Bersano t • Roma
a 86 annl,
Nativo di Lu Monferrato, fu prima alunno e
poi cooperatore e benef-attore dei salesiani.
Per tanti anoi fu nttivo e dlsintereuato colla-
borarore della sua parrocchia (SS. Marcellino
e Pietro al Laterano) come presidente di Giunta
e di ConsuJta1 animatore di attività liturgiche.
e di molteplici iniziative. Una famiglia sale ..
siana ln sua: la signori e la figlia e,xallieve e
zelatrici; un figlio, gìà defunto, cooperatore e
benefattore; uno zio, missionario in Brasile.
Marianna El'baggt ved, Boscariol t a Gruaro
(Venez,ia) a 86 anni,
Mamma piena di bontil, sposa Rolerte, ebbe il
dono dello Fede e della COTità di Crisro, e lo
riversò con generosità su tutti, La sua fu una
vita di lavoro, sorretta dalJa preghiera intensa
e dall'assidua partecipazione all'Eucarestia.
Sua gioia ero l'over donato ìl figlio Don Guer-
rino n Don Bosco, convinta e.be • alla sera
dcJla. vita saremo giudìcnti sull'amore•·
L'ISTITUTO SALESIANO PER LE MISSIONI con sede in TOR INO, eretto in Ente Morale con Decreto 12 gennaio 1 924, n. 22, può legalmente ricevere
Legati ed Eredità. Ad evitare possibili contestazioni si consigliano le seguenti formule:
Se trattasi d'un legato: • ... lascio all'Istituto Salesiano per le Missioni con sede In Torino a titolo di legato la somma di Lire... ( oppure) l'immobile silo in...,.
Se trattasi, Invece, dì nominare erede di ogni sostanza l'Istituto, la formula potrebbe essere questa:
«... Annullo ogn, mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale l'Istituto Salesiano per le Missioni con sedt1 In To,ino, lasciando
ad esso quanto mi appartiene a qualsiasi titolo».
34 (luogo II data)
(firma por esteso)

4.5 Page 35

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BORSE COMPLETE
Borsa; Don Rua in ringraziamento
e Jltrché contitlui tJ prot~n-tt la t1Mtra
fantiglia, 11 cura di Maria Grazia e
dott, Giovanni Terrundo, Cuorgné
(Torino), L. 50.000,
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice e
S. Glovann1 Bosco, liberateci dal
male tltll'anima 1:c dd corpo, a cura
di L .A., Torino, L. 150,000.
Borsa: Maria SS. Au•Ulalrlce e
Sa.ad Salesiani, ir1 suffragio delle
anfott same dtl Purgatorio, n c.ura di
N.N,1 Torino, L. 100.000.
Borsa: M aria SS. Auslllatrlce e
Don Fllippo Rinaldl, a cura di
Marina Bergandi, L . 60.000.
Boraa: Per grazia rJcevuta da Ma-
ria SS. Auslllatrice e dal Santi
Salesiani, a cura di Maria Ferrero,
Rivoli Torinese (Torino), L. 50,000.
Borsa: ln ringraziamento e prole•
zlone dti miti cari, cura di F.C.,
Genova, L. 50.000.
Borsa: Gesù Sacramentato, Maria
SS. Auslllatricc e S. Giovan ni
Bosco, per grazia ricevut.a ,: suppli-
Ganda protuiont. a curn Vittorina
Gonello, 'Porino, L . 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice e
S. Giovanni Bosco, pregate pu noi
aduso e in punto di nwrtt, a oura di
L.F., Torino, L. 200,000.
Borsa: S. Giovanni Bosco, in adtm-
pimvito dtlU! .vol.ontà di mio marito
t.d in suffragio dtlla sua tznim.a, a
cura di N.N., Torino, L. -zoo.ooo.
Borsa: S. Domenico Savio, per
grazia ricevuta ~ per oltenere p rot..e..
zione., a cura di N.N., Torino, lire
50.000.
Borsa: Don F ilippo R1naldi, cam•
da promessa fatta per ouenert gra;:io
e bu1edizio11i, n cura di N.N., To--
cino, L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice, S.
Giovanni Bosco e Beato Don Ml-
chele Rua, dift.ndttemi, a cura di
N.N., Pordenone, L. 50.000.
Borsa: In suffragio di Zav,rio F,r-
rarU, u CurJt di Maria Mosso ved.
Ferraòs, Santhià (Vercelli), L. 50.000.
Borsa: S. Giovanni Bosco e Beato
Don M ich ele Rua, ili mt.moria ,li
mia mamma e, p-rr la pact eterna di tutti
i miei dtfunti, a cura di GiuHo Dar•
tolinì, Volterra (Pisa), L. 50.000.
Bona: ln sufti'alllo di papà ~ mamma
dd nomù, n cura di Mllt'io C, Mui-
,;oni, S. Giorgio Lomellina (Pavia),
L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice, in
suffragio di Ida Martin~nga, a CIIJ'a
di Pietro Merli, Milano, L. 50.000.
Borsa: S. Giovanni Bosco, in ritt-
grtlziam.ento, a cura di Tancredi e Ma...
risa Brandone, Pezzolo Valle Uzzone
(Cuneo), L. 50.000,
Borsa: Maria SS. Auslliatrice, in
rirwraziamento, a cura di Tancredi e
Mari.sa Brandone, Pezzolo Valle Uz-
zone (Cuneo), L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Auslllatrice e
S, Giovanni Bosco, in ring,azia-
m~nto, a cura di Maria e Ta.ntted I
Brandone, Pozzolo Valle l.hzone
(Cuneo), L. 50,000.
Borsa: s. Maria Ianu a Coell, ;,. m,-
mori.a di, Magda R()Ssi Citm7u,. a cura
di Fabio De PaoH, Piove di Saceo
(Padova), L. 50,000,
Borsa: Maria SS. Auslllatrice e
s. GJovannl Bosco, invocando pro-
uzione su.i miei nz"poti, a cura di Cri-
stina Be.rtetto, L. 50.000.
Borsa: Per la causa di beatlHca-
zlone di Mons, Cimalti, Salmono
per/•llo t4 indi,n,nticabllt, a cur• dcll•
prof. Ruppen Rdfuellll, Maggiora
(Novllrll), L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice,
S. Giovanni Bosco, Beato Don Rua
e S. Domenico Savio, • cura di Te-
resa Boldi, Reggio Emilia, L. 50.000.
Borsa: Maria SS, Ausiliatrice e
Beato Don Michele Rua, per grazia
ricevuta ed in atùsa della mia guari-
gci.o.nter,ovailclunrria
di Alfon.aa
(Cosenzu),
Maria Samo,
L. 100.000.
Borsa: Beato Don Michele Ru.a,
a ruffragio dti coniugi Maddalena t
Carw Protti t dd coni111i Marglterila
4! Pt'ttro Massa, a curu di. Giacinto e
Maria M..sa, Chivasso (Toòno),
L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice e
S. Giovanni Bosco, fo ringrm:z"amrnto
t. s1JfJp/icando prott-"'Ìont, a cura di
Anno Colonnello Broell, Milano,
L. 50.000.
Borsa: Don Michele De Rito, 11</
deu111rale del riiorno alla Casa del
Padre, a CIIJ'a di don Natale Li V(gni -
Salesiani Trapani, .L. 50. 000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice e
S. Giovanni Bosco, aiulatui, o cura
del.la Parrocchia Don Bosco, Porde-
none, L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Auslllatrlce, im-
plorando aiu.to t prote:cio11~ td t'n suf-
fragio d;i dtfu·nti d,lla nastra famiglia,
a cura di Anna FenogLio, Bagnolo
Piemonte (Cuneo), L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Au slUatrice, per
attt,J.Ue conforto ~ Jollievo ntl~ 1offe..
renze e in 1u./fragìo dt.i nostri can' dt....
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siliatrice e S. Giovanni Bosco,
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