Bollettino_Salesiano_198801


Bollettino_Salesiano_198801

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2 · I GENNAIO 1988
Rivista fondata da san Giovanni Bosco nel 1877
Quindicinale di i nformazione e cultura religiosa edito dal-
la Congregazione Salesiana di San Giovanni Bosco.
INDIRIZZO
Via della Pisana 1111 • Casella post. 9092 • 00163 Roma-
Aurelio • Tel. 06/69.31 .341.
Conto corr. post. n. 46.20.02 Intestato a Direzione Ge•
nerale Opere Don Bosco, Roma.
DIRETTORE RESPONSABILE
GIUSEPPE COSTA
Redazione: Giuliana Accornero • Marco Bongioannl -
Pierdante Giordano - Gaetano Nanetti - Angelo Paoluzi
Cosimo Semeraro.
Collaboratori: Nino Barraco • Sergio Centofanti • Paolo
del Vaglio - Umberto De Vanna - Monica Ferrar! • Maria
Galluzzo • Maurizio Niell a • Silvano Stracca.
Impaginazione: Ufficio Grafico SEI
Archivio: Guido Cantoni (Roma)
Diffusione: Arnaldo Montecchio (Torino)
Fotocomposizione, spedizione: Stabilimento Grafico
SEI - Torino
Stampa: ILTE• Torino
Registrazione: Tribunale di Torino n. 403 del 16.2.1949
IL BOLLETTINO SALESIANO SI PUBBLICA
Il primo di ogni mese (undici numeri, eccetto ago-
sto) per tutti.
Il 15 del mese per i Cooperatori Salesiani.
Collaborazlone: La Direzione invita a mandare notizie
e foto riguardanti la Famiglia Salesiana e s'impegna a
pubblicarle relativamente alle esigenze redazionali. Te-
sti e materiali Inviati non vengono restituiti.
Edizione di metà mese. A cura dell'Ufficio Nazionale
Cooperatori (Alfano, Rinaldini) • Via Marsala 42 • 00185
Roma • Tel. (06) 49.50.185.
IL BOLLETTINO SALESIANO NEL MONDO
Il BS esce nel mondo in 39 edizioni nazionali e 18 lin-
gue diverse (tiratura annua oltre 1O mìlioni di copie) In:
Antille (a Santo Domingo) • Argentina Australia
Austria Belgio (In fiammingo) - Bolivia Brasile Ca-
nada - Centro America (in Guatemala) • CIie Cina (a
Hong Kong) • Colombia - Ecuador - Filippine Fran-
cia - Germimla - Giappone • India (In inglese, malaya-
lam, tamil e telugu) - Irlanda e Gran Bretagna Italia
- Jugoslavia (in croato e in sloveno) • Korea del Sud
Lituania (edito a Roma) - Malta • Messico Olanda
- Paraguay - Perù - Poloni a - Portogallo • Spagna •
Stati Uniti - Thailandia Uruguay - Venezuela · Zaire
DIFFUSIONE
Il BS è dono-omaggio di Don Bosco a chi lo richiede.
Copie arretrate o di propaganda: a richiesta, nei limiti
del possibile.
Cambio di indirizzo: comunicare anche l'indirizzo vec-
chio.
SOMMARIO
3 QUESTO NUMERO
di Giuseppe Costa
4 ALLA FAMIGLIA SALESIANA E AGLI AMICI
di Don Egidio Viganò
6 SI apre l'anno del centenario nel segno di
Don Bosco vivo
servizio redazionale
1o Cento anni fa il doloroso annuncio Ira un
coro unanime di ammirazione
di Monica Ferrari
13 Nel suo tempo e nella sua città, ma già nel
futuro e nel mondo
di Francesco Traniello
16 Un secolo tra intimismo spirituale, impe-
gno sociale, e nuove consapevolezze
di Cosimo Semeraro
20 Da Castelnuovo a Valdocco (con tanti cam-
biamenti) lungo un itinerario ricco di mes-
saggi
di Piero Damosso
25 Una vita donata a Dio e all'uomo
di Joseph Aubry
29 La devozione a Maria Ausiliatrice
di Silvano Stracca
33 A cent'anni l'oratorio è sempre una scom-
messa
di Pierdante Giordano
36 Dal gioco dei bussolotti all'invenzione dei
media
di Luigi Accatto/i
39 Ma la missione continua
di Angelo Paoluzi
1 Gennaio 1988
Anno 112
Numero 1
In copertina:
Foto José Mena, Guido
Cantoni
Testa in bronzo di
don Bosco
opera degli scultori
Cesarino Vlncenzi e Carlo
Anlesi.
S ullo sfondo la città di
Torino (Foto Archivio SEI)

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1 GéNNA(O 1988 · 3
Il fascicolo del mese è interamente dedi-
cato al Fondatore della Famiglia Salesiana
alla cui intuizione e sensibilità apostolica
il Bollettino Salesiano deve la sua stessa
esistenza.
Don Bosco infatti ne fu l'ideatore ed il
primo direttore.
Attraverso le pagine della rivista comu-
nicò con cooperatori e amici, polemizzò
con avversari, informò sull'andamento
delle prime missioni .
Al fascicolo di gennaio ne seguiranno
altri finalizzati ad illustrare altri aspetti
della vita del Santo e della missione sale-
siana. Dopo l'intervento di don Egidio Vi-
ganò, settimo seccessore di Don Bosco al-
la guida della Famiglia Salesiana e una in-
tervista al presidente del comitato «Don
Bosco 88» don Gaetano Scrivo, seguono
tre articoli a firma di Monica Ferrari e dei
professori Francesco Traniello e Cosimo
Semeraro che descrivono l'eco della stam-
pa del tempo alla notizia della morte del
Santo e quell'Ottocento durante il quale
Don Bosco, dal 1815 al 1888, visse la sua
esperienza umana.
Si passa quindi alla descrizione dei luo-
ghi donboschiani affidata alla penna del
giornalista torinese Piero Damosso.
Al teologo Joseph Aubry è stato dato
il compito di tracciare lo specifico della
santità di Don Bosco a volte dimenticato
o ignorato da certa pubblicistica. Stretta-
mente legata a Questo appare anche la
particolare devozione del Santo alla Ma-
donna, argomento quest'ultimo trattato
da Silvano Stracca in una prospettiva di
attualità ecclesiale. Seguono ancora alcuni
interventi sull'oratorio, i mass-media, le
rmss1oni. Vengono affrontati con lo
sguardo ai problemi d'oggi oltre che guar-
dando le pagine di storia salesiana che ci
sono state tramandate.
In questa serie di articoli ci si è avvalsi
della penna di Pierdante Giordano, Luigi
Accattoli, vaticanista del Corriere della
Sera e di AngelÒ Paoluzi già direttore di
Avvenire ed oggi caporedattore di Popoli
e Missione.
Il fascicolo poi si è avvalso della colla-
borazione di una serie di personalità che
ben volentieri hanno accettato di «dire la
loro».
Compatibilmente con le nostre possibili-
soprattutto economiche - non si di-
mentichi che il Bollettino Salesiano è di-
stribuito gratuitamente mensilmente in
trecentotrentamila copie e questo numero
in trecentoottantamila copie - ne è venu-
to fuori, un fascicolo da conservare.
È l'omaggio filiale oltre che doveroso
del Bollettino al suo Fondatore a cent'an-
ni dalla morte.
Giuseppe Costa

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Alla Famiglia Salesiana
dalla cameretta di Don Bosco
Iniziamo l'anno di grazia delle celebrazioni
centenarie di Don Bosco: 31 gennaio 88 - 31
gennaio 89.
Credo non ci sia forma più raccolta e sugge-
stiva per cominciare che far memoria, insieme,
delle ultime ore della sua vita.
Siamo a Valdocco la domenica 29 gennaio
1888. Tutti pregano e sperano.
Dodici ragazzi (tra cui Orione Luigi) e il sac.
Gioacchino Berto firmano una supplica (posta
sotto il corporale durante una Messa celebrata
da Don Berto e servita da Luigi Orione) offren-
do la propria vita al fine di ottenere la cortser-
vazione del loro amatissimo Padre.
I. medici hanno già detto che a sera o l'indo-
mani Don Bosco non sarà più in vita.
Nella giornata egli ripete sovente: «Madre!
Madre!... Domani! Domani!». Verso sera bi-
sbiglia: «Gesù... Maria... Gesù e Maria, vi do-
no il cuore e l'anima mia... In manus tuas, Do-
mine, commendo spiritum meum... Oh Madre,
Madre... apritemi le porte del Paradiso».
Ripete anche alcuni testi della Scrittura pro-
fondamente radicati nel suo animo: «Amate...
i vostri nemici. .. Fate del bene a coloro che vi
odiano... Cercate il Regno di Dio... E dal mio
peccato... dal mio peccato... mondami... mon-
dami».

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I GENNAIO 1988 · 5
Il lunedì 30 don Rua permette che tutti passi-
no, silenziosi, a baciargli la mallo destra, ormai
paralizzata. Egli è là disteso sul suo letticciolo;
ha il capo alquanto rialzato, chino un po' sul-
1'omero destro; calmo il viso; gli occhi socchiu-
si. Gli han posto sul petto un crocifisso, un al-
tro ne stringe con la sinistra. Respira immobile
e con affanno.
Nell'archidiocesi di Torino ricorre l'ufficio
dell'Orazione di Gesù nell'Orto.
Nella notte volge un pochino il capo verso il
Salesiano coadiutore Enria, che lo assiste, e gli
dice: «Dì... ma... ma... ma... ti saluto!». Poi
molto adagio recita l'atto di contrizione. Più
d'una volta esclama: «Miserere nostri, Do-
mine».
Nel cuore della notte, alzando di tratto in
tratto il braccio al cielo, ripete: «Sia fatta la
vostra santa volontà... Sia fatta la vostra santa
volontà».
All'una e tre quarti del martedì 31 è in ago-
nia. Don Rua dice le preghiere degli agonizzan-
ti e fa chiamare i confratelli: una trentina tra
sacerdoti, chierici e coadiutori. Riempiono la
camera; inginocchiati pregano.
Sopraggiunge anche monsignor Cagliero; gli
dice all'orecchio: «Siamo qui noi, i suoi figli;
ci dia ancora una volta la sua benedizione. Don
Rua le condurrà la mano e pronuncerà la for-
mula della benedizione». Tutte le fronti si cur-
vano a questo eccezionale atto paterno.
Alle tre arriva un telegramma del cardinale
Rampolla con la benedizione apostolica per
Don Bosco.
Alle quattro e mezzo la campana della basili-
ca suona l'Avemaria: tutti recitano sommessa-
mente l'Angelus.
Il rantolo che si faceva udire da un po' più
di un'ora, cessa. Il respiro diviene libero e tran-
quillo; ma è cosa di pochi istanti: poi manca.
Emette tre respiri a breve intervallo, e mentre
gli suggeriscono la giaculatoria «Gesù, Giusep-
pe, Maria, spiri in pace con voi l'anima mia»,
muore (cf. MB 18, 538-542).
Giustamente la Chiesa chiama il giorno della
morte di un santo «dies natalis». Non la fine,
ma il coronamento di una vita; l'ultimo atto
che dà senso definitivo e completo al suo amo-
re; il totale dono di per essere per sempre
come l'ha voluto il Signore: l'Amico dei giova-
ni, segno e portatore per loro dell'amore di
Dio.
Meditiamo e confidiamo.
Don Egidio Viganò
La cameretta dove mori
s. G. Bosco Il 31
gennaio 1888 a Valdocco

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6 · I GENNAIO 1988
51 APRE L'ANNO
DEL CENTENARIO NEL SEGNO
DI DON BOSCO VIVO
Intervista a don Gaetano Scrivo,
vicario del Retto, Maggiore e
presidente della Commissione
centrale di coordinamento. Il
valore vero delle celebrazioni
che si svolgeranno in tutto il
mondo.
Roma, gennaio - Per
don Gaetano Scrivo, il 30 gennaio
1988 - giorno di avvio dell'Anno
centenario della morte di Don Bo-
►sco - segna ad un tempo la con-
clusione di un lungo periodo di la-
voro e l'inizio cli un altrettanto
lungo cammino di intensa attività.
«Finora - dice don Scrivo - ab-
biamo delineato e messo a punto il
quadro delle iniziative programma-
te in tutto il mondo per l'anno
centenario, abbiamo definito i
tempi di realizzazione, curato gli
aspetti organizzativi. Comincia,
con il 30 gennaio, la fase di attua-
zione, forse più impegnativa anco-
ra, perché si tratta di tradurre in
pratica i progetti che sono stati
preclisposth>.
Don Scrivo è il salesiano che più
di ogni altro ha tenuto sotto con-
trollo il polso della fase preparato-
ria del Centenario, a livello mon-
diale. Più di due anni fa, sul finire
del 1985, il Rettor Maggiore don
Viganò, del quale egli fu il vicario,
gli affidò l'incarico di presiedere la
Commissione centrale di coordina-
mento, composta da membri dei
Consigli generali e centrali dei vari
gruppi che formano la Famiglia
salesiana. Sul tavolo cli don Scrivo
sono arrivate tutte le proposte di
iniziative formulate a livello loca-
le, ispettoriale e nazionale, e a lui,
con la valida collaborazione della
Com°;Ussione, è ~occ_at.o va~liarle ~
coordmarle. A ciò s1 e aggiunto il
lavoro di contatti a vari livelli per
garantire la migliore riuscita delle
celebrazioni a Torino e a Roma.
È naturale, quindi, rivolgersi a
don Scrivo per fare il punto della
situazione alla vigilia dell'apertura
dell'Anno centenario. Ecco, di
fronte all'imponente numero di
iniziative, quale impressione ha ri-
cavato sotto il profilo dei conte-
nuti?
«La mia impressione di fondo è
questa: tutto il mondo salesiano è
impegnato a sottolineare in mille
mocli il significato vero dell'avve-
nimento. E non per rispondere al-
1'esortazione cli un superiore o per
ubbidire a una disposizione caduta
dall'alto. Al contrario, ci si è sfor-
zati di fare di ogni iniziativa una
testimonianza del sentimento e del-
le disposizioni radicate nel cuore
cli ogni salesiano.
Voglio dire che il terreno era
ben predisposto a ricevere e ad ap-
prezzare l'indirizzo impresso alle
celebrazioni, tutte - dalla più im-
portante alla più piccola - dirette
ad esprimere una realtà interiore
che impegna i membri della Fami-
glia salesiana a rendere Don Bosco
vivo nella realtà di oggi. In che
modo? Operando attraverso la ve-
rifica della vita dei singoli e delle
comunità e della stessa missione
salesiana nella Chiesa e nel mon-
do. Non c'è dubbio: Don Bosco è
vivo a cento anni dalla morte nella
misura in cui la Famiglia salesiana

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I GENNAIO 1988 7
concorre unitariamente a renderlo
vivo portando avanti il suo mes-
saggio e il suo progetto aposto-
lico».
Molte iniziativ(!, dunque, e so-
prattullo rivolte a centrare il senso
vero dell'Anno centenario. Ma
q1.1ale sarà il «clima» in cui queste
iniziative diventeranno operative?
«Memoria e impegno vanno
composti insieme, in modo da uni-
ficare tre aspetti: la celebrazione,
la verifica e il processo di crescita
dellél vocazione salesiana. Se si ot-
terr4 di realizzare questi tre aspet-
ti, il "clima" sarà quello giusto,
nel senso che saranno scansati due
possibili rischi: il trionfalismo e il
riduzionismo. Il trionfalismo sarà
evitato escludendo dalle celebra-
zioni toni oggi inaccettabili, ormai
incomprensibili e per di più di effi-
mera incidenza. U trionfalismo re-
sterà fuori dalla porta se l'attua-
zione delle iniziative sarà decifra-
bile come sforzo di tutta la comu-
nità salesiana diretto a rendere vi-
vo Don Bosco. A sua volta, il ri-
schio opposto, cioè il riduzionismo
o minimalismo, sarà evitato attri-
buendo il giusto peso e dando la
giusta evidenza a tutto ciò che
concorre a mettere in luce il valore
autentico di eventi destinati ad ap-
profondire il nostro lavoro di con-
tinuQtori dello spirito e delle opere
di Oon Bosco nel nostro tempo. »
Sotto il profilo organizzativo,
qua/I sono state le linee direttrici
impresse al lavoro di preparazione
dell'anno centenario?
«Fin dall'inizio - e mi referisco
alla prima riunione della Commis-
sione centrale nel dicembre 1985
- abbiamo scelto di muoverci su
due piani fra loro c.omplementari:
il decentramento e il coordinamen-
to. Con il decentramento si è dato
largo spazio all'iniziativa dei sin-
goli comitati, sia locali che ispetto-
riali, oltre che ad ogni gruppo del-
la F~iglia salesiana. Ciascun set-
tore ha cosi potuto esprimersi nel-
l'ambito della propria specificità,
all'interno dell'unica vocazione sa-
lesi1u1a. LI coordinamento esprime
a Sllll volta la necessità che taluni
aspetti delle celebrazioni coinvol-
gano l'intera Famiglia salesiana.
Sono i momenti "forti" che han-
no lo scopo di approfondire e raf-
forzare il senso della Famiglia sa-
lesiana. li binomio decentramento
- coordinamento ha consentito
inoltre di imprimere una specie di
movimento circolare al rapporto
fra centro e periferia, fra la Com-
missione centrale e commissioni
ispettoriali, per cui le informazioni
che affluivano dai singoli gruppi al
centro, venivano dal centro irra-
diate all'intera periferia. In tal
modo si è ottenuto che tutti rice-
vessero notizia di ciò che nel mon-
do salesiano si andava predispo-
nendo in vista dell'anno centena-
rio».
Il «Confronto Don Bosco 88»
che si svolgerà in settembre a Tori-
no vedrà la presenza di circa 2500
giovani provenienti da ogni parie
del mondo. Una presenza senza
dubbio qualificata. Tuttavia, con-
siderata la predilezione dei salesia-
ni per i giovani e dato l'epoca in
cui viviamo, che sembra privilegia-
re le manifestazioni di massa, può
colpire il fotto che l'incontro di
Torino risulti numericamente di
dimensioni rido/te. Don Scrivo,
perché si è scelto questo criterio?
«È vero che 2500 giovani posso-
no sembrare relativamente pochi.
Ma bisogna tener presente che il
"Confronto DB 88" sarà il mo-
mento culminante di migliaia di al-
tri "confronti" previsti nei prossi-
mi mesi a livello locale, ispettoria-
le, nazionale. Essi coinvolgeranno
una massa di giovani. Nelle scuo-
le, nei centri giovanili, nelle par-
rocchie, nelle associazioni ecc., i
giovani si interrogheranno sul loro
rapporto con il messaggio di Don
Bosco alla luce profetica del Con-
cilio. I 2500 giovani verranno dun-
que a Torino come protagonisti,
portatori di una realtà verificata a
livello mondiale. Ed è a livello
mondiale che essi invieranno il lo-
ro messaggio finale, destinandolo
alla gioventù per contribuire allo
sviluppo del vasto movimento gio-
vanile salesiano. Non ci sarà solo
un dialogo fra i partecipanti al
convegno di Torino, ma con tutti
i giovani».
In settembre è prevista anche la
visita di Giovanni Paolo Il o Tori-
no, nel quadro delle celebrazioni
centenarie. Quale significato attri-
buisce alla presenza del Santo Pa-
dre?
«Oltre al significato di un gesto
paterno per il quale abbiamo
espresso la nostra gratitudine, cre-
do che la visita del Papa abbia
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8 · 1 GENNAIO 1988
Lo speciale «Anno di grazia»
dono di Giovanni Paolo Il
Le modalità per lucrare
l'indulgenza plenaria
Come già è stato annunciato, il Santo Padre
Giovanni Paolo II ha voluto arricchire le celebra-
zioni dell'anno centenario della morte di Don
Bosco indicendo uno speciale «Anno di Grazia».
«Questo generoso e straordinario dono - ha
scritto il Rettor Maggiore don Viganò - è un se-
gno della particolare predilezione del Papa verso
i giovani e della sua profonda simpatia per Don
Bosco». Nel «breve apostolico» di indizione,
Giovanni Paolo 11 così si esprime: «Senza dub-
bio nel centenario della morte o meglio del "dies
natalis" di San Giovanni Bosco deriverà nuovo
incremento alla vita ecclesiastica dalla devota e
opportuna iniziativa, sorta per suggerimento del
nostro venerato fratello, il Cardinale Anastasio
Alberto Ballestrero, arcivescovo di Torino, e del
diletto sacerdote Egidio Viganò, Rettore Maggio-
re della Congregazione salesiana. Per tale inizia-
tiva speciali riti di riconoscente pietà saranno ce-
lebrati dai fedeli di tutto il mondo, ma special-
mente da queUi dell'archidiocesi di Torino e dai
membri della medesima Società salesiana e della
Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
nonché dall'immensa schiera affidata alla loro
attività apostolica».
(...) Volendo noi impreziosire tali celebrazioni,
che confidiamo ridondino a vantaggio della Chie-
sa universale, con la testimonianza della nostra
grande devozione verso San Giovanni Bosco, ab-
biamo deciso di arricchirle col dono delle Indul-
genze, desunte evidentemente dall'inesauribile te-
soro della. Chiesa; in esso, oltre agli infiniti meri-
ti di Cristo e la suprema virtù della beatissima
Vergine Maria Mediatrice e Ausiliatrice del popo-
lo cristiano, confluiscono anche i meriti dei
Santi.
«Pertanto, con l'autorità nostra apostolica, e
relativamente ai luoghi sotto elencati, nell'inter-
vallo di tempo che intercorre dal 31 gennaio
1988, giorno commemorativo del centesimo anno
della morte del Santo, al 31 gennaio 1989, a tutti
i fedeli che devotamente visiteranno una delle
chiese sotto segnate, concediamo l'indulgenza
plenaria lucrabile aJle solite condizioni della con-
fessione sacramentale e della Comunione eucari-
stica, aggiungendo una preghiera secondo le no-
stre intenzioni. E precisamente:
- nei giorni in cui saranno iniziate e concluse
le solenni celebrazioni in onore di S. Giovanni
Bosco, a coloro -che devotamente assisteranno aJ
sacro rito;
- in un giorno liberamente scelto da ciascuno,
aggiungendo la recita Padre Nostro e del Simbo-
lo della Fede;
- ogni volta che in gruppo devoto giungeran-
no pellegrini in chiesa e reciteranno parimenti
con religiosa pietà il Padre Nostro e il Simbolo
. della Fede.
Queste sono nominatamente le chiese:
- il tempio di San Giovanni Bosco, che si tro-
va a Castelnuovo Don Bosco, sul colle che da lui
ha preso il nome;
- la chiesa collegiata della BV Maria della
Scala in Chieri, dove Giovanni Bosco comprese
di essere chiamato da Dio aJ sacerdozio e decise
di seguire la divina chiamata;
- la chiesa cattedrale di Torino: Giovanni Bo-
sco era infatti incardinato nella diocesi di Tori~
no, e specialmente a Torino esercitò il suo mini-
stero apostolico;
- la chiesa di San Francesco d'Assjsi a Tori-
no: in questa infatti Don Bosco iniziò la sua mis-
sione di educare i giovani alla vita cristiana;
- la basilica di Maria Ausiliatrice in Torino:
fu costruita per volontà di Giovanni Bosco: ivi
si conservano le sue sacre spoglie, ed essa è in
certo modo iJ centro spirituale di tutta la Congre-
gaziòne salesiana;
- la basilica del Sacro Cuore dì Gesù in Ro-
ma, al Castro Pretorio: la fece costruire, con
grandi sacrifici, Giovanni Bosco, ossequiente alla
volontà del Sommo Pontefice Leone XIII: presso
di questa i salesiani ottennero il loro primo do-
micilio accanto alla sede di Pietro, al centro dellc1
Chiesa cattolica;
- la chiesa- di San Giovanni Bosco nella città
di Panama, ove si nota un'affluenza del tutto
straordinaria di oooolo devoto verso San Gio-
vanni Bosco.

1.9 Page 9

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una duplice chiave di lettura. [n-
nanzitutto essa sottolinea l'univer-
salità del carisma di Don Bosco,
sia a livello ecclesiale che mondia-
le. Don Bosco non è monopolio
dei salesiani. La presenza del Papa
alle celebrazioni, un Papa che si è
dichiarato in più occasioni grande
amico della gioventù, premia dun-
que l'ecclesialità di Don Bosco, il
suo carisma, il suo instancabile
spirito dj iniziativa tra i giovani.
In secondo luogo, la presenza di
Giovanni Paolo II vuole rimarcare
l'attualità del carisma di Don Bo-
sco e intende essere un incoraggia-
mento alla famiglia salesiana per-
ché sappia valorizzare l'attualità
del messaggio dj Don Bosco».
I GENNAIO 1988 · 9
Piccole •cose» per condire manifestazioni In ogni parte del
moodo
Un denso programma
fin dai primi giorni
Le celebrazioni dell'Anno centenario della
morte di Don Bosco si apriranno alle ore 16,30
di sabato 30 gennaio al Teatro Regio di Torino.
È prevista la presenza del Presidente del consiglio
Giovanni Goria. Interverranno inoltre autorità
civili ed ecclesiastiche, personalità del mondo del-
la cultura, rappresentanti di tutti i gruppi che
compongono la Famiglia salesiana. La comme-
morazione storica sarà tenuta dal prof. Pietro
Scoppola. Docente di storia contemporanea al-
i'Università di Roma, il prof. Scoppola è autore
U teatro Regio di Torino (Foto Archivio SEI)
di numerosi scritti, frutto dei suoi studi sui temi
di storia poHtico-religiosa dell'Ottocento e Nove-
cento. La puntualità dei giudizi gli ha guadagna-
to larga stima e considerazione. Già presidente
della società editrice «II Mulino», Pietro Scoppo-
la è stato senatore della Repubblica nella prece-
dente legislatura.
La cerimonia al Teatro Regio si concluderà
con un concerto di musiche odginali composte
per l'occasione dal maestro cecoslovacco Marek
Kopelent. Nato a Praga nel 1932, Kopelent ha al
suo attivo numerose composiz.ioni per orchestra,
musica da camera ecc.
Il giorno successivo, 31 gennaio, si svolgerà,
sempre a Torino, presso la cameretta di Don Bo-
sco, a Valdocco, un incontro di preghiera dei
Consigli generali della Famiglia Salesiana. Quin-
di, nella Basilica di Maria Ausiliatrice si svolge-
rà, alle ore 10,30, una solenne concelebrazione
presieduta daU'Arcivescovo di Torino card. Bal-
lestrero. Vi prenderanno parte i vescovi e i cardi-
nali salesiani di tutto il mondo. Sarà indetto, in
questa occasione, l'Anno speciale di grazia. Alle
ore 16 si aprirà al Palasport di Torino una mani-
festazione giovanile europea.
Lunedl I O febbraio al Colle Don Bosco sarà
inaugurato il museo missionario salesiano, inte-
ressantissima raccolta dj 7 mila oggetti etnico-
missionari, che testimoniano lo sviluppo delle
missioni salesiane nel mondo. Sarà inaugurato
anche il museo della vita contadina pi~montese
nel 1800, che raccoglie attrezzi, strumenti, oggetti
di uso domestico nella vita contadina del tempo
di Don Bosco.

1.10 Page 10

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10 · I GENNAIO f988
CENTO ANNI FA
IL DOLOROSO
ANNUNCIO
FRA UN CORO
UNANIME DI
AMMIRAZIONE
La stampa dell'epoca si rese
interprete del cordoglio di tutti, amici
e avversari.
Già allora ci fu chi lo vide santo.
L' «amnesia» di un foglio torinese.
Preceduta, negli ultimi
giorni .di gennaio, da alcuni brevi,
drammatici dispacci sull'andamen-
to della malattia («scriviamo con
lo strazio nel cuore e col presagio
di una catastrofe» - si legge sul
«Corriere Nazionale» del 30 gen-
naio - «La scienza si è ritirata
impotente ed ogni ragione di spe-
ranza è riposta in un miracolo del
cielo»), la not1Z1a della morte di
Don Bosco compare il 1° febbraio
su tutti i giornali italiani. L'im-
pressione suscitata nel Paese della
scomparsa del popolare sacerdote

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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è enorme e la stampa la raccoglie
nei giorni immediatamente succes-
sivi.
«Don Bosco è morto! Sono le
tre parole che questa mane corro-
no di bocca in bocca e riempiono
l'animo di infinita tristezza. Tori-
no si raccoglie sulla salma del
grande benefattore e sparge lacri-
me di dolore e fiori di riconoscen-
za», scrive «L'Osservatore roma-
no», aggiungendo che una folla
immensa è accorsa a visitare la sal-
ma «dal cui aspetto spira una sere-
nità straordinaria». Anche il
«Corriere della sera» mette in evi-
denza la serenità e la lucidità con
cui, nelle ultime ore, Don Bosco
ha atteso la morte. Alcuni giornali
escono in edizione listata a lutto
(tra questi il «Corriere nazionale»,
«quotidiano che propugna la ri-
conciliazione dello Stato con la
Chiesa»). In tutti, l'annuncio della
morte è occasione per ricordare le
opere e la vita del sacerdote pie-
montese.
«Il Diritto canonico» di Mode-
na definisce Don Bosco «atleta
della Fede» («con lui è morto un
vero eroe cristiano»), per il «Cor-
riere mercantile» di Genova si può
invece parlare di «angelo della ca-
rità». L'«Unità cattolica», para-
gonandolo a San Francesco di Sa-
les, prevede una futura canonizza-
zione di Don Bosco (<< migliaia di
figli educati, beneficati, salvati in-
cominciano fin d'ora quel serto di
lodi che forse non finirà più nella
Chiesa»), seguita sia dal «Pensiero
cattolico» di Genova, sia dal «Cit-
tadino di Brescia» («tratteniamo le
lacrime sulla tomba di Don Bosco:
sulle tombe dei santi non si pian-
ge, si invoca e si prega»). La «Di-
fesa di Venezia» scrive di «un nu-
mero stragrande di persone lascia-
te nella desolazione».
P olemiche
giornalistiche
Nel vasto panorama del cordo-
glio non mancano spunti polemici.
E «Il Berico» di Vicenza a dare il
«la», attaccando gli ambienti libe-
rali. «Assisteremo ora - si legge
1,.1. \\ IJ..- Rcùasi'"'"' Via,1' - cclA<l, -r~Bu-en-os
kaJb,oo. 'nQ,I , di il1
nel giornale veneto - a uno spet-
tacolo ben strano che ci offrirà lo
st~sso liberalismo. Adesso che Don
Bosco è morto udirete i panegirici
dell'apostolo della carità da quegli
stessi pulpiti che fino ad oggi han-
no imprecato al prete e che doma-
ni riprenderanno la loro nefasta
campagna. Ma queste confessioni
sono la più bella apologia della
Chiesa cattolica». La previsione
del «Berico>> risultò azzeccata: i
giornali dell'area liberale non si
sottrassero infatti al coro generale,
1 GENNAIO 1988 11
w
~'l
I La notizia dalla morte di
don Bosco andò in prima
pagina su molti gior11all del
tempo
offrendo la misura deUa vastità
dell'ammirazione che il sacerdote
aveva saputo suscitare in tutti gli
ambienti,
Scrive «L'Italia», quotidiano
fondato da Cavour: «Con lui si
spegne una vita tutta dedicata a
un'idea, anzi si può dire che si
spegne una potenza». E prosegue:
«Gli uomini come Don Bosco so-

2.2 Page 12

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12 · I GENNAIO 1988
no cli stampo antico e ai nostri
sono rari. L'aver voluto ferrea-
mente l'incarnazione del suo ideale
costituisce una caratteristica degna
di considerazione... Seppe crearsi
fama e considerazione pari a quel-
la dei più celebri apostoli». Il re-
sto dell'articolo insiste particolar-
mente sull'aspetto sociale dell'ope-
ra salesiana. Anche la «Nazione»
di Firenze dichiara la sua ammira-
zione, pur con qualche riserva:
«Potremo dissentire da lui nei me-
todi educativi, ma siamo costretti
ad ammettere che Don Bosco ba
dimostrato quanto possa anche nel
nostro secolo, la ferrea volontà cli
un prete cattolico congiunta a vir-
tù e alla carità del Vangelo». Ana-
logo giudizio formula «La gazzet-
ta di Torino», che evidenzia «una
vita tutta spesa nelle opere della
religione e della carità» e «una
mente davvero superiore, una
enorme forza di volontà e perseve-
ranza». Perfino il massone «Caf-
faro» di Genova si inserisce nel
coro parlando di fama mondiale
acquisita grazie «a mirabile opero-
sità».
Meno sfumati i toni della «Gaz-
zetta piemontese», che pur mani-
festando ammirazione per Don
Bosco preferisce premere sul tasto
della polemica verso il mondo ec-
clesiastico: «È stata una vita di
lotta tenace e gli va perdonato se
per lottare non poté sempre farlo
con armi leali, se qualche volta
quella Divina Provvidenza che al-
tri volle venisse sempre in aiuto al
suo buon volere, fu da lui, più che
implorata, costretta a servirlo. Al-
la mente di Don Bosco non soc-
correvano scarsi mezzi e la Divina
Provvidenza, si sa, è sempre con
quelli che per un verso o per l'al-
tro saano essere potenti. E potente
lo era tanto da far ombra alla stes-
sa Sede di Roma, che, se in Don
Bosco salutava l'intraprendente
ministro di opere pie, vedeva pure
in lui un temibile campione».
Vasta eco
anche in Francia
Unica fra tutti i giornali dell'e-
poca, «La gazzetta del popolo»
ccUn sacerdozio consacrato
ai giovani»
di Anastasio Bal/estrero
La storia del suo diventare prete che ebbe per viatico la saggezza di Mamma
Margherita, il pane duro della povertà e l'incrollabile fedeltà alla vocazione del
vivacissimo Giovannino è Il preludio coerente dell'essere prete di Don Bosco:
prete sostanziato di Cristo e della sua Chiesa, entusiasta della sua vocazione
e della sua missione, consapevole del suo carisma personale di un sacerdozio
consacrato agli adolescenti e al giovani per aiutarli a crescere e maturare come
veri cristiani e come cittadini probi ed operosi.
Le doti naturali e i doni speciali del Signore lo hanno reso educatore ecc.ezio-
nale, ricco di intuizioni pedagogiche originali e di fascino personale efficacis-
simo.
L'oratorio non fu per lui soltanto un metodo strumentale ma una realtà viva
che awolgeva i suoi ragazzi in una esperienza concreta di itinerario cristiano
globale dove i valori di natura e grazia si armonizzavano nel clima della fraterni-
tà e della gioiosa serenità.
l'Eucarestia, il sacramento che sostanzia di Cristo la vita del giovane è per
Don Bosco vn tesoro sempre offerto al di sopra di freddezze giansenistiche al
tempi suoi ancora non poco diffuse.
Altrettanto deve dirsi dell'amore e del culto a Maria che Il Santo fece vivere
ai ragazzi con il fervore sempre rinnovato di sentimenti profondamente filiali
espressi nena preghiera e nella devozione più costante.
Infine non saprei meglio complessivamente vederlo che come Il Padre della
grande famiglia salesiana che per la Chiesa e per il Papa ne continua il carisma
e la missione.
Card. Anastasio A. Ballestrero
Arcivescovo di Torino
ignora la notizia della morte di
Don Bosco. A tanto giungeva, in
quegli anni, il livore anticlericale,
fino a tacere ai lettori quella che
era comunque una «notizia ». li si-
lenzio del quotidiano piemontese è
sottolineato ironicamente dal
«Corriere nazionale»: «Non vo-
lendo parlarne bene, per sistem~ti-
co odio ai preti e non osando dir-
ne male per timore di suscitare
l'indignazione del popolo, hanno
preferito tacere. Fra i tanti elogi
fatti a Don Bosco è questo uno dei
più belli ed eloquenti, aver ridotto
al silenzio la petulante Gazzetta».
Anche all'estero la notizia deJla
morte di Don Bosco trovò largo
spazio sui giornali. Citiamo «La
Gazette de France» che definisce il
sacerdote piemontese «il San Vin-
cenzo de' Paoli di Torino» e ricor-
da il discorso che Don Bosco ten-
ne a Parigi nel 1880 e la sua capa-
cità cli conquistare l'uditorio. A
sua volta sulla «Defense», lo scrit-

2.3 Page 13

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- - - - - - - - - - - - - -~
-
tore Jules Auffray cosl esordisce:
« Volevo scrivere un articolo di lut-
to per la morte di questo sacerdote
mirabile, ma dopo tutto quello che
ho veduto della sua opera sento di
dover mutare espressione: com-
prendo ora come le istituzioni sale-
siane non possano venir meno».
À i funerali
marea di popolo
no anch'essi che quel grande era
un santo».
Aprivano il corteo le Figlie di
Maria Ausiliatrice, seguite dalle
cooperatrici salesiane, dai giovani
artigianelli, dai giovani studenti,
dagli alunni dell'Ospizio, dai coa-
diutori, dagli ex alunni. Dopo la
banda, venivano i chierici, i sacer-
doti, i parroci, i vescovi. Il feretro
era portato a spalla da otto sacer-
doti salesiani. Seguiva la marea di
popolo. Quello che poteva essere
I GENNJJJO 1988 13
un momento triste di dolore e di
rimpianto si trasformò per tutti in
una manifestazione di speranza e
di fede. «Perché sepoltura, se
quello fu un trionfo? - scrive il
"Corriere Nazionale" - Portava-
no a seppellire le spoglie di quel
grande, ma gli era più vivo che
mai nella venerazione della molti-
tudine, nell'ossequio alla sua me-
moria, nella grandezza delle sue
istituzioni».
Monica FerrarJ
A Torino, in attesa dei funerali,
la salma viene visitata quotidiana-
mente da un enorme folla. «Signo-
ri e popolani si accostano con pie-
tà riverente e avvicinano alla sal-
ma oggetti di devozione come si
usa per i corpi dei santi»: cosi
scrive il «Corriere nazionale» che
dà notizia anche dei numerosissimi
telegrammi giunti all'Oratorio e
pubblica quelli delle personalità
più in vista. Viene aperta una sot-
toscrizione per erigere un monu-
mento a Don Bosco, mentre sono
in corso a RoJ)"la trattative' con iJ
ministro dell'lnterno per ottenere
che il corpo del sacerdote sia se-
polto nella chiesa dedicata a Maria
Ausiliatrice e da lui eretta.
ln febbraio molti giornali pub-
blicano la cronaca dettagliata dei
funerali. I salesiani si sono sforzati
di rispettare la volontà del loro
Fondatore che aveva chiesto ese-
quie semplici, ma nulla possono
fare per arginare l'immensa parte-
cipazione del popolo al corteo.
«Per p·otersi fare un concetto della
lunghezza del corteo - si legge sul
«Corriere Nazionale» - basti dire
che mentre le prime persone entra-
vano in Chiesa, le ultime non si
erano ancora mosse da corso Prin-
cipe Addone. Mai si vide in Tori-
no un concorso di gente così nu-
meroso e spontaneo». Molti nego-
zi vengono chiusi, alcune fabbri-
che accordano agli operai il per-
messo di assistere al funerale. I
balconi delle case lungo il percorso
sono affollati. Viene interrotta la
circolazione delle vetture, caso ra-
ro a quei tempi. Scrive « L'Osser-
vatore romano»: «Molti venuti
per curiosità rimanevano colpiti da
quello spettacolo solenne e diceva-
l
I
I
i
i
I
~--_---·-----~ ...... ..._._.._ . ....... _______ ........ ........... ........ ::.r.r.:...==.,.:...-.;..-.;1-=1.-~.,...7....;...:.'.:..'....,..:-..".-,~t..=,.........-....'.i.
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2.4 Page 14

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14 · I GENNAIO 1988
NEL suo TEMPO
E NELLA SUA
CITTÀ
MA GIÀ
NEL FUTURO
E NEL MONDO
Nella 1brino di metà Ottocento,
«sconvolta» da profonde
trasformazioni sociali, Don Bosco ha
mediato tra forme e contenuti
tradizionali e modernizzazione
naturale.
I
Foto della città di Torino nel
1880
(Foto Archivio SEI • Chlambaretta)
Può sembrare, a prima
vista, una pura banalità ricordare
che don Bosco è figlio di un deter-
minato ambiente e di una peculia-
re epoca. li rilievo internazionale,
per non dire universale, della sua
figura, può indurre a dimenticare
questo dato di fatto, che invece
agli occhi di uno storico costituisce
l'indispensabile punto di partenza
per una pertinente riflessione criti-
ca e uno sforzo di interpretazione
su una figura indubbiamente pro-
blematica e ancora, in parte, sfug-
gente.
La verità è che, ove si sradichi
Don Bosco daJla Torino di metà
Ottocento, ci si lascia anche sfug-
gire le ragioni profonde del rilievo
ben superiore alla dimensione lo-
cale assunto dalla sua opera. Ciò
per il semplice motivo che nella ri-
cerca di risposte ai problemi pro-
pri del suo ambiente sociale, reli-
gioso, culturale, sta la matrice ori-
ginaria della successiva proiezione
della figura e dell'opera di Don
Bosco su un piano pili ampio. ln
altre parole, la fisionomia storica

2.5 Page 15

▲back to top
di Don Bosco è inseparabile dal-
l'incrocio, che sempre del resto
connota le personalità di grande
spicco, tra una congiuntura tem-
porale e ambientale specialmente
ricca di dinamismi interni e la ca-
pacità di lettura e di risposta sog-
gettiva aHe sfide che ne derivano.
Per tutte queste ragioni la rappre-
sentazione divulgata di Don Bosco
sotto la generica e oleografica eti-
chetta di santo sociale sembra la-
sciare da un canto aspetti e conno-
tazioni che costituiscono invece il
proprium della personalità e del-
l'opera donboschiana.
Porlala storica
della sua azione
Al contrario, se ricolleghiamo
Don Bosco al suo ambiente e al
suo tempo, e rinunciamo a classifi-
cazioni di maniera, non sarà diffi-
cile valutare la reale portata stori-
ca della sua azione.
La premessa necessaria di qual-
siasi accostamento che voglia esse-
re effettivamente comprensivo alla
figura di Don Bosco è costituita, a
mfo avviso, dal fatto che la sua at-
tività si situò in un momento e in
un contesto di passaggio o, se si
vuole, di transizione da tipo di so-
cietà complessivamente arretrata e
statica (per molti aspetti pre-
moderna) agli assetti sociali e cul-
turali che accompagnano e qualifi-
cano i processi di sviluppo e di
modernizzazione. Sotto questo ri-
guardo, lo sfondo o la cornice del-
l'opera di Don Bosco non è meno
importante da valutare della sua
stessa opera. Le verifiche di ciò
potrebbero essere molteplici. Mi li-
miterò qui ad indicarne alcune
possibili.
In primo luogo occorrerà presta-
re la dovuta attenzione al fatto che
l'opera sociale di Don Bosco non
ebbe ad estrinsecarsi in relazione a
fenomeni tradizionali di pauperi-
smo, tipici della società «ancien
régime», bensi di fronte a fenome-
ni di trasformazione della struttura
sociale che già portavano in sé e si
configuravano come caratteristici
del momento genetico di una so-
cietà a base industriale. La Torino
degli anni di Don Bosco non è un
luogo qualsiasi: è una città che da
un lato ha assunto (negli anni di
Cavour) una funzione di leader-
ship nel movimento nazionale e
nel decollo economico a base capi-
talistica; una città, dunque, segna'-
ta profondamente da eventi che la
superano per dimensioni e conse-
guenze; che vive anche drammati-
camente il suo ruolo di capitale,
prima dello stato sabaudo poi del-
lo stato nazionale, e della rapida
perdita di siffatto ruolo; una città
in rapidissima crescita demografi-
ca, che raggiunge alla metà del se-
colo XIX i 200.000 abitanti, cen-
tro di traffici, di vie di comunica-
zioni, di relazioni e di interessi an-
che internazionali; che fino al 1864
è sede del governo e del parlamen-
to, dotata di una vivace vita intel-
lettuale e politica; una città com-
I GENNAIO J988 15
posta, per un'aliquota rilevante
della sua popolazione, da immi-
grati (anche Don Bosco era del re-
sto a suo modo un «immigrato» o
per lo meno un « inurbato» dal
contado).
Ma anche una città che si pose,
dopo il compimento dell'unità na-
zionale e soprattutto dopo il tra-
sferimento della capitale a Firenze,
aJla ricerca faticosa e difficile di
un proprio ruolo nel contesto na-
zionale e internazionale. Si può
ben comprendere come la Torino
di quegli anni presentasse l'aspetto
di una città «sconvolta» sotto tutti
i punti di vista; in cui i fenomeni
di emarginazione sociale (rappre-
sentanti in primo luogo dagli im-
migrati dalle campagne piemonte-
si), da un lato, e la richiesta di
forza lavoro più qualificata da in-
serire nelle fabbriche si accostava-
no in modo com plesso e disordina-
cc Il suo carisma ha trovato
in Asia un terreno fecondo»
di Jaime L. Sin
uon ~osco ml ha sempre attirato con la sua missione e col suo modo di pro-
muovere I giovani poveri e abbandonati a farsi buoni cittadini di questo mondo
e dal cielo. In Asia, forse in modo particolare nelle FIiippina dova li 60 per cento
degli abitanti sono giovani, Il carisma apostollco di Don Bosco ha trovato un
terreno facondo. Perciò non c'è da meravigliarsi se anche nel mio paese viene
chiamato Padre del Giovani. Trovarmi in mezzo al Salesiani a ai giovani nei
centri giovanili, parrocchie e scuole di Don Bosco è per ma sempre un piacere.
Indubbiamente, questi ambienti educativi si fanno roccaforti contro il mala, e
sono, direi quasi giardini celasti, privilegiando la maturazione dei santi di do-
mani.
A me pare ohe In sintonia con Il progetto di ricostruzione nazionale attraverso
il recupero economico, promosso dalla Presidente delle Filippine Corazon Aqui-
no, l'opera salesiana si colloca all'avanguardia. La scuola professionali di Don
Bosco ormai sono divenute luoghi di alta praparaz.iona e qualificazione par i
migliori ingeniari, tecnici e lavoratori destinati a favorire l'Industrializzazione dal
paese. Siamo pianamente riconoscenti di questo contributo significativo dal sa-
lesiani a questo riguardo. Gli allievi ed ex allievi di Don Bosco non si possono
definire soltanto lavoratori o Impiegati. Si distinguono per le loro convinzioni mo-
rali e per la loro fedeltà al valori cristiani, maturalì appunto nella scuola di Don
Bosco.
Gli istituti di Don Bosco attuano anche una presenza incisiva nell'opera evan-
gelizzatrice dalla Chiesa locala. In modo particolare la Casa editrice «Salesiana
Publlshers• prepara e fornisce lesti di religione con competenza, per migliaia
di giovani. Adempia cosi al mandato della nuova Costituzione dal Paese riguar-
do all'Insegnamento a alla formazione ai valori cristiani, che diventa più raaflz.
zabila con l'aiuto della Famiglia Salesiana.
Don Bosco è veramente vivo oggi, grazia al salesiani ed alle Figlie di Maria
Ausllfatrice, che continuano a svolgere la sua missione. In occasiona dal cente-
nario della sua morte vorrei stringermi a tutta la Famiglia Salesiana: viva Don
Bosco! Prego a mi auguro che i suoi figli nelle Filippine continuino con zelo
ad Incarnare la sua missione e carisma provvidenziale nella Chiesa.
Card. Jalme L. Sin
Arcivescovo di Manlla

2.6 Page 16

▲back to top
16 · I GENNAIO 1988
to. Sotto questo aspetto, d unque,
l'opera di Don Bosco va corretta-
mente inquadrata nel più generale
processo di conversione di strati
sociali, specialmente giovanili, ab-
bandonati e dequalificati, in lavo-
ratori professionalmente attivi ca-
paci di in serirsi positivamente nel
più generale trend di sviluppo.
,. P rogetto»
di riconversione
È evidente che una trasforma-
zione di questa portata non poteva
avvenire senza una paralJela t ra-
sformazione di mentalità e, in sen-
so lato, di cultura. Questo proble-
ma, per molti versi ancora poco
indagato, è stato posto a l centro
del volume da me coordinato, e
appena pubblicato, «Don Bosco
nella storia de/fa cultura popola-
re». Don Bosco occupa un posto
altamente significativo in questa
particolare vicenda storica, come
colui che ha promosso un proget-
to, forse non del tutto consapevo-
le, di riconversione e di mediazio-
ne tra forme e contenuti marcata-
mente tradizionalistici e forme e
contenuti di modernizzazione cul-
turale. La sua opera acquista sen-
so e spessore ove la si collochi in
quel delicato punto di convergenza
tra la diffusione di valori etico-
religiosi (individuati in primo luo-
go nella religio ne tradizionale, ca-
rica di molti degli apporti che pro-
venivano dalla cultura teologica ed
ecclesiologica dell'Ottocento, intri-
sa di devozionalismo, di autoritari-
smo e non priva di forma magico-
superstiziosa), e le diffusioni di
nuovi valori etici, tra cui, prima di
tutto, una spiccata etica del lavo-
ro: un'etica Fatta di precisione, di
impegno personale, di sacrificio,
di solidarietà di grup po e di pro-
fessionalità. Al fondo delJ'etica di
Don Bosco sta un senso molto
moderno del «saper fare», nel
quale un'antica mentalità contadi-
na di dedizione al proprio campo,
di cura e amore dell'opera com-
piuta, di regole da seguire e di au-
stera disciplina, si convertiva nelle
nuove forme richieste e imposte
dàJ lavoro industriale, dai suoi di-
versi ritmi e dalla sua rivoluziona-
ria struttura.
Nuovi strumenti
di divulgazione
In tal senso, se è vero che l'ope-
ra di Don Bosco si qualifica essen-
zialmente come azione educativa e
formativa, ne deriva che essa deb-
ba essere studiata e valutata aven-
do l'occhio puntato non soltanto
alla s ua particolare «qualità», ma
anche alla sua estensione e alla sua
penetrazione, insomma a lla sua ca-
pacità di influenza e di efficacia.
Don Bosco condivide molte delle
caratteristi che d ella numerosa
schiera di educatori che ael secolo
scorso hanno dato l'impronta a
un'intera stagione di storia nazio-
nale; ma si distacca anche, in par-
te, da quella schiera per la sua
acuta percezione che i modi e le
forme dell'educazione popolare
dovevano, in un certo senso, com-
piere un salto di novità rispetto aJ
passato, affrontare senza titubanze
il mondo e le dimensioni di una
società dotata di nuovi strumenti
di divulgazione e di acculturazio-
ne. P enso ai testi scolastici, ai
giornali e alJe pubblicazioni educa-
tive; ma anche all'attenzione pre-
stata agli strumenti espressivi, co-
me l'uso della lingua italiana, alla
Piazza Vittorio a Torino in una
foto d 'epoca
(Foto Archivio SEI)
« drammatizzazione» come mo-
mento educativo (mediante i cosid-
detti teatrini), all'attività fisica e
allo sport: settori tutti in cui l'ope-
ra di Don Bosco ha lasciato una
traccia profonda e per molti versi
precorritrice.
1n conclusione è facile avvertire
come Don Bosco interpretasse
puntualmente e facesse propri gli
stimoli e le suggestioni che gli ve-
nivano dalle dinamiche socio-
culturali nelle quali egli si trovava
inserito; e intuisse come in una so-
cietà via via più «aperta», domi-
nata dalla concorrenza e dall'orga-
nizzazione, non solo economica o
politica, ma anche ideologica e
cultura le, occorresse accettare e
utilizzare gli strumenti e le regole
che i tempi imponevano. Mentre i
«contenuti » del messaggio del san-
to piemontese ci possono apparire
oggi indubbiamente datati, dal
punto di vista culturale, dipendenti
com'erano da una concezione del
cattolicesimo che portava i segni di
un'epoca o rmai conclusa, il suo
«metodo >> e il suo acuto sguardo
sui bisogni reali della società circo-
stante hanno ancora molto da dir-
ci e da insegnarci.
Francesco Traniello
Docente di storia contemporanea
all'Università di Torino

2.7 Page 17

▲back to top
UN SECOLO TRA
INTIMISMO
SPIRITUALE,
IMPEGNO
SOCIALE
E NUOVE
CONSAPEVOLEZZE
A nalizziamo la complessa
religiosità dell'Ottocento.
La letteratura spiritua-
le di questo secolo non presenta
grande originalità. Lo sforzo delle
società bibliche, nate in Germania,
viene seguito in altri paesi solo con
un certo ritardo. Esso permette di
correggere ciò che il romanticismo,
esaltatore del sentimento, può ave-
re di impreciso, e di rimediare a
quanto lo scientismo biblico pre-
senta di troppo razionalistico. Le
edizioni degli autori spiriruaJi clas-
sici si infittiscono. I libri di spiri-
tualìtà sacerdotale si molLiplicano
e guadagnano in profondità. I
messali, più devozionali che litur-
gici, aiutano a vivere la messa. Le
Vite di persone sante, più docu-
mentate e più esatte di quanto il
loro stile darebbe a credere, pre-
sentano l'ideale cristiano vissuto
concretamente. Bisogna anche te-
ner tonto di una enorme letteratu-
ra di volgarizzazione, di libretti, di
fogli, di opuscoli, di preghiere, che
hanno occupato più posto nella vi-
ta dei loro lettori che non nelle bi-
blioteche cui sono sfuggiti.
Piccoli trattati teologici, scritti
con ardore, manifestazioni entu-
siastiche di pietà (il cui rigore dot-
trinale lascia talvolta a desiderare),
controllate da una autorità eccle-
siastica benevola che impedisce le
esagerazioni troppo gravi, sono
stati uno strumento notevole di
formazione spirituale. In Inghilter-
ra, dove i cattolici sono stati per
lungo tempo emarginati e perse-
guitati, i racconti di conversioni -
celeberrima quella di J. H . New-
man, Apologia pro vita sua -
mostrano la grazia all'opera nel
cammino spirituaJe delle personali-
più varie.
li cristocentrismo continua ad
affermarsi nella devozione al sacro
Cuore, al preziosissimo Sangue e
aJl'eucaristia sotto molteplici for-
me: l'adorazione, che diventa taJ-
volta «perpetua», è esercitata da
confraternìte e inscritta nelle strut-
ture di nuovi istituti religiosi. Il
movimento della comunione fre-
quente si accentua fino alle note
decisioni di S. Pio X. La devozio-
ne al sacro Cuore penetra in nu-
merosi ambienti sociali. Le «con-
sacrazioni» delle famiglie e di va-
rie intere nazioni, preludono già
alla <<consacrazione dell'intero ge-
nere umano», annunciata dall'An-
num Sacrum di Leone XIII , e ac-
I compagnano altre pratiche (ora
santa, comunione, offerta dell'a-
postolato della preghiera). Molte
Santi dell'Ottocento:
Il Cottolengo, Domenico Savio,
don Cafasso

2.8 Page 18

▲back to top
18 I GENNAIO 1988
congregazioni religiose, dalle fina-
lità più varie, vengono istituite sot-
to il titolo della carità o del S.
Cuore, che esse onorano o a cui
ispirano le loro «opere di aposto-
lato», sul modello di Vincenzo de'
Paoli, Francesco di Sales, Filippo
Neri, Francesco Saverio. Quindi
una unione con Cristo mai conce-
pita in maniera intimista, ma
orientata verso un apostolato, che
vede Cristo in queJLi cui esso si ri-
volge: è Ja Caritas Christi urget
nos che può spiegare la straordina-
ria esistenza della PiccoJa Casa
della divina provvidenza cli Giu-
seppe Benedetto Cottolengo.
Anche la spiritualità e la devo-
zione mariana conoscono sviluppi
interessanti. Le apparizioni della
S. Vergine, che non sono solo
quelle di Lourdes, aiutano i fedeli
a ricorrere all'intercessione cli Ma-
ria. Le congregazioni religiose e i
pellegrinaggi sono gli agenti poten-
ti di tale devozione.
NotevoJi le devozioni ai santi,
che spesso occupano di fatto un
posto centrale. Da qui la preoccu-
pazione e l'intuizione liturgica di
Dom Guéganger, che preparò il ter-
reno ai futuri Wolter, Herwegen,
Case! e Marmion, che collocheran-
no al centro dell'esistenza cristiana
il mjstero pasquale, rinnovato ogni
giorno nell'eucaristia, come sarà
chiaramente ribadito dalla Media-
tor Dei di Pio Xll e dal Vat. Il.
U senso spirituale delle masse
cristiane si fa più cattolico. Le
sventure del papato, che precedo-
no e seguono la soluzione della
questione romana, conferiscono a
Pio IX e ai suoi successori un pre-
stigio che sarà posto in atto nel-
!'ordine dottrinale e spirituale per
mezzo di numerose encicliche dog-
matiche, spirituali e sociali, le qua-
li stimoleranno gli sforzi dei cri-
stiani. La definizione della infalli-
bilità contribuirà a far vedere nel
papa la guida spirituale indiscuti-
bile di tutti i cattolici.
Lo slando missionario è anima-
to da un ardente zelo di evangeliz-
zazione, che si manifesta in nuove
congregazioni religiose, nella Pro-
pagazione della fede, nonché nel-
!'interesse riservato alle missioni
nelle terre pagane e alle campagne
antischiaviste del card. Lavigerie.
La vita degli ordini e delle con-
gregazioni religiose, nonostante (o
forse grazie!) le ripetute devastanti
bufere di soppressione che caratte-
rizzano l'Ottocento, conosce inedi-
te energie dì riorganizzazione e cli
rinascita spirituaJe. Durante i sec.
XIX e XX saranno fondati 168
nuovi istituti religiosi maschili e
ben 1086 congregazioni femminili
con la comune preoccupazione di
«essere utili a Dio e alla società».
Il secolo abbonda, infatti, cli fon-
datori e fondatrici santi, i quali,
toccati da un bisogno grave deU'u-
manità del loro tempo e animati
dallo Spirito santo, creano istitu-
z.ioni e opere che testimoniano co-
me l'amore di Cristo sia insepara-
bile dall'amore per i fratelli: è il
secolo di Giovanna Antida Thou-
ret, Gaspare del Bufalo, Bartolo-
mea Capitanio, Giovanna E. Bi-
chier des Ages, Vincenzo Paliotti,
Emilia de Rodat, Emilia de Vìalar,
Sofia Barat, Eufrasia Pelletier,
Michele Gacicoi'ts, Pietro Giuliano
Eymard, Antonio Maria Claret,
Maddalena cli Canossa, Ludovico
da Casoria, Giacomo Cusmano,
Annibale di Francia, Domenica
Mazzarello, Giovanni Bosco,
Francesca Cabrini ecc.
1 laici non sono assenti. Nono-
stante si continui a identificare la
Chiesa con il clero e con la geràr-
chia, pure, con l'affermarsi del
pensiero democratico, già dalla fi-
ne del Settecento, sì fanno seltl.pre
più intensi i tentativi di rendere at-
tivo in seno alla Chiesa il laicato
cattolico. Non mancano gli avveni-
menti e le iniziative che documen-
tano il crescere dell'effettivo tico-
noscimeoto del sacerdozio univer-
sale dei fedeli e deUa maturazione
della coscienza cristiana del popo-
lo: i nuovi circoli del rinnovatnen-
to a Miinster, Monaco, Milano e
Vienna; il ruolo dei laici nei fatti
di Colonia, nel Kulturkampf, nel-
l'organizzazione dell'attività drga-
nizzativa svolta dei laici Battolo
Longo e Federico Ozanam, fonda-
tore delle conferenze di S. Vincen-
zo (l 833); i diversi riusciti tentativi
nel campo dei mezzi di comunica-
zione o dell'apostolato della stam-
pa; la formazione di un'Azione
cattolica, decisa a lavorare sulle li-
nee direttive, poi ribadite dalla Re-
rum novarum (1891), della colla-
borazione con la g.!rarchia per la
soluzione dei problemi esplosi con
l'industrialismo e la questione ope-
raia, che paralizzavano i vecchi
metodi dell'educazione e dell'assi-
stenza. L'opera del Murialdo, in-
fatti, getta le basi di quel movi-
mento caritativo-sociale che è
«Una carità O$tinata e aperta
necessaria al nostro tempo,l
di Giovanni Bianchi
Non ricordo di chi sia quel ritratto di Don Bosco che mi é rimasto poi fisllo
nella mente per sempre: un sorriso cordiale e due occhi affettuosi ed interllil
a rivelare una carità ostinata ed aperta. Personaggio straordinario in un tempo
di trasformazioni radicali in ogni senso. Cadeva il mondo antico con te sue cer-
tezze, I suoi valori e si apriva Il mondo moderno con nuovi conflitti, nuove misll-
rie, nuove povertà. Don Bosco ne rappresenta questo passaggio significativo,
un confronto alto con il moderno da parte di un prete impegnato con i ragazzi,
nell'educazione dei giovani. Un terreno difficile e drammatico.
La carità ostinata del suo sguardo è la stessa della sua azione, un'opera tll-
nace ed incessante, fino alla consumazione fisica, per stare insieme a loro, per
dare speranza. La sua carità diventa conoscenza, pratica educativa, istituzlorte
pedagogica, nel cuore del mondo moderno. Appunto: i salesiani e le loro scuo-
le. Una scuola cristiana nel moderno senza la ricerca dei recinti di appartenen-
za, senza chiusure timorose. La scuola di Don Bosco sa usare gli strumenti diti
mondo per una pedagogia cristiana, essa é una sfida aperta e continua, luoi;1b
di esperienza e di formazione. Il sorriso di Don Bosco è tutto questo, quanto
mai necessario nel nostro tempo che, come li suo, vede passaggi radicali.
Giovanni Bianchi
Presidente centrale delle ACLI

2.9 Page 19

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- - - - - - - - - - - - - - -~
-
1 GENNAIO 1988 19
Don Bosco ml è «rimasto dentro»
di cario Maria Martin/
Per me parlare di Don Bosco è rl•
portarmi alle memorie dell'Infanzia.
Una delle mete dei nostri passeggi di
bambini era, insieme al Santuario del•
la Consolata e alla tomba di San Giu•
seppe Cottolengo, la visita a Valdocco
e alla tomba di San Giovanni Bosco,
nella splendida chiesa di Maria Ausl•
!latrice.
Se anzl cerco di rifarmi a qualcuno
dei pìù lontani ricordi, rivedo la solen•
ne processione del corpo di San Gio-
vanni Bosco per le vie di Torino in OC·
casione della sua canonizzazione. Mi
pare che piovesse a dirotto, e che sta•
vo sotto I portici di via Cemaia accan-
to a mia mamma. Può darsi che non
tutti 1 partlcolarl di questo fallo siano
effettivamente stati cosi come li rlcor•
do ora, ma nelle memorie del bambini
si formano dei quadri del passato che,
anche se non perfettamente esalti
quanto al rigore storico, sono l'imma•
gine che essi si portano dentro di un
vissuto epico che continua ad agire In
loro come un misterioso messaggio.
È cosi che la figura di Don Bosco
mi è «rimasta dentro•, e che anche in
seguito ad ogni ritorno a Torino ml
sentirò spinto, non appena possibile,
ad andare a far "'5ita a Don Bosco a
Valdocco.
Quando cominciai, da adolescente,
ad essere attratto dalla Bibbia, e desi•
deravo tanto leggerla, pur non trovan-
do quella dovizia di edizioni e di com-
menti che ora sono disponibili, scoprii
nella biblioteca dei miei nonni, nella
casa di campagna, la •Storia Sacra•,
pubblicata da Don Bosco In prima edl·
zlone nel 1846.
Era una riduzione, per I ragazzi e
per il popolo, della storia narrata nella
Sacra Scrittura.
Come negli anni della mia giovinez-
za, per I laici, leggere direttamente la
Bibbia era quasi impensabile, cosi do-
veva essere al tempi di Don Bosco
che soffriva molto nel sentire I Prote-
stanti di allora accusare I Cattollcl di
non conoscere la Bibbia. Ed è anche
per questi motivi che egli aveva pen-
salo di saltare l'ostacolo componendo
una Storia Sacra fatta tutta di Sacra
Scrittura, ben riassunta, in uno s1ile
popolare e italìano corrente, con sem-
plici e brevi raccordi narrativi all'Inizio
dei capitoli e paragrafi, e con una
esortazione di carattere pedagogico,
al termine di ogni episodio, in forma
proverbiale di slogan, quasi sintesi
della meditazione suscitata dal sacro
testo.
Don Bosco, lo si nota in quel libro,
vede la Parola di Dio come una realtà
storica, segno umano di Dio Padre In
favore del suoi figli. Per renderla po-
polare il più possibile l'ha pure tradol•
ta In forma di dialogo. È un libro da
valutare nel contesto storico-culturale
del suo tempo, ma che esprime chla•
ramante una visione globale e sacra
della storia, e una spiccata sensibllltà
ai problemi della gente alla quale si
sentiva mandato.
Don Bosco era convinto che la Pa-
rola di Dio è viva, efficace, penetran-
te, «capace di illuminare le menti e di
migliorare I cuori•, come scrive nella
prefazione al testo.
Quando poi ho scoperto che Don
Bosco, alla scuola di un gesuita, pa-
dre Bini, aveva studiato Il Nuovo Te-
stamento in latino e greco, e che lo
sapeva tutto quanto a memoria nelle
due lingue, ho pensato che la sua
gioiosa speranza l' aveva ottenuta me-
diante la pazienza e la forza che ven-
gono dalle Scritture Sacre (Rm 15,4 e
Del Verbum). Due anni prima di mori-
re, nel 1886, reclìava ancora a memo-
ria, per intero alcuni capitoli delle let-
tere di San Paolo In greco e latino.
La seconda cosa che voglio ricorda-
re di Don Bosco, non certo disgiunta
dalla prima ma conseguenza pratica,
è la sua passione e arte educativa Im-
parata, egll dice, proprio alla scuola
della Parola di Dio.
•Ricordatevi, diceva, che l'educa-
zione è cosa del cuore, e che Dio solo
ne è il padrone, e noi non potremo
riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce
ne Insegna l'arte, e non ce ne mette
In mano le chiavi•. Ne ho tenuto con•
to scrivendo la lettera •Dio educa il
suo popolo• alla gente della chiesa
milanese. Mi pare che, definendo l'e-
ducazione «cosa del cuore•, Don Bo-
sco abbia centrato, insegnato e prati-
cato il nuovo e grande comandamento
dell'amore, vissuto e predicato da Ge-
sù: Dio è amore... è padre, fratello e
amico... Siate perfetti com'è il Padre
che ama buoni e cattivi... Amatevi gll
uni e gli altri come io vi ho amato...
La carità che vi raccomando è quella
che adoperava San Paolo verso i suoi
fedeli: paziente, benigna, che tutto co-
pre, lutto crede, lutto spera, lutto sop-
porta... L'amore per i ragazzi, I giova-
ni, per ogni persona, parte dal deside-
rio e progetto di volere per essi la vi•
ta. felice, etema; ha stima e fiducia
nelle loro persone; e per la loro sal-
vezza Integrale è sempre disposto a
qualsiasi sacrificio. E come dice l'anti-
fona d'inizio della sua Messa, Don
Bosco è certamente ancora disponibi-
le a Insegnarci l'amore di Dio e del
prossimo, se l'ascoltiamo.
Carlo Maria Card. Martl nl
arcivescovo di Milano
preannuncio delle unioni e dei sin-
dacati moderni: da un certo spiri-
tuaJismo che, a furia di idealizzare
religione e patria, s'era dimentica-
to dell'uomo sociale, si passò len-
tamente ad una religiosità in cui ìl
destino stesso della Chiesa era vi-
sto nello scenario delle fabbriche e
della campagna, della emigrazione
e della miseria coloniale.
Un cenno di rilievo merita, pu-
re, la spiritualità sacerdotale che,
superata l'erosione della crisi vol-
terriana e pur nel bel mezzo dei
trionfi del positivismo e del mito
della scienza del Renan, mostra
chiari segni di risveglio. I candida-
ti al sacerdozio, il cui bagaglio
teologico è relativamente esiguo
durante una gran parte del sec.
XIX, sono formati in una cena
austerità, che Li prepara diretta-
mente ad adempiere i loro doveri
pastorali. L'ideale del sacerdote è
esaltato in numerosi libri di pietà
e incarnato in misura notevole da
sacerdoti la cui vita e il cui zelo
colpiscono i fedeli. L' idea che il
sacerdozio si santifica attraverso il
suo ministero è percepibile solo in

2.10 Page 20

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20 · I GENNAIO 1988
qualche precursore, per il quale vi-
ta spirituale e attività pastorale so-
no intimamente unite.
Infine, ciò che riflette meglio,
almeno a grandi linee, i contenuti
e le modalità deJla spiritualità di
questa epoca sono le canonizzazio-
ni. Oltre i fondatori già citati, no-
tiamo, in Francia, Filippina Du-
chesne, il curato d'Ars Giovanni
Battista Vianney, Caterina Labou-
ré, la veggente di Lourdes Berna-
detta Soubirous e la celebre carme-
litana di Lisieux, Teresa, che con
la trasparenza cristallina deUa sua
infanzia spirituale riattualizzò in
piena epoca di industrializzazione
il messaggio di Francesco d'Assisi.
In Italia la schiera è ancora più
ampia e con più spiccata originali-
tà: ricordiamo appena la significa-
tiva terna dei santi piemontesi
Cottolengo, Don Bosco e il suo
maestro e confessore Giuseppe Ca-
fasso; i due apostoli romani delle
missioni popolari e dell'apostolato
cattolico Gaspare del Bufalo e
Vincenzo Paliotti, l'adolescente
Domenico Savio, il giovane abruz-
zese Gabriele del!'Addolorata e,
già agli albori del sec. XX, Fran-
cesca Cabrini, Gemma Galgani, e
Contardo Ferrini, noto docente di
storia del diritto romano ali'Ate-
neo di Pavia. I paesi di area tede-
sca vantano, fra gli altri, Clemente
Hofbauer e Konrad da Parzham.
Pur non avendo ancora dati de-
finitivi per elaborare tale fenome-
no, ciò che fin d'ora sl può rileva-
re è che il sec. X IX presenta tipi
di santi più numerosi e più vari
che nel passato: non si tratta di
una rottura con le epoche prece-
denti o di nuove vie delJa spiritua-
lità, ma d'un più ricco sviluppo
del medesimo ideale nelle più di-
verse situazioni della vita.
Anche se a noi oggi, alla soglia
del 2000, la vita di cent'anni fa
appare incredibilmente distante e
diversa, pure le forze che crearono
la vita odierna ebbero origine pro-
prio aUora. Ne risulta pertanto la
necessità di saper vedere la realtà
di oggi e di allora come un'unità
delle forze che la determinarono.
Cosimo Semeraro
Docente di Storia della Chiesa
all'Università Pontificia Salesiana di Roma
DA
CASTELNUOVO
A VALDOCCO
(CON TANTI
CAMBIAMENTI)
LUNGO UN
ITINERARIO
RICCO
DI MESSAGGI
La povertà dell'epoca di Don Bosco
non esiste più, ma il prezza è stato
alto. La ristrutturazione del Colle.
Restaurata la basilica di Maria
Ausiliatrice.
Torino, gennaio - Di
«Castelnuovo» o «Castelnovo» in
Italia ce ne sono più di 50, ma
nessuno come Castelnuovo Don
Bosco può annoverare tra i propri
concittadini tre santi e un beato.
«Qui Dio ha donato una grazia
speciale che dobbiamo riscoprire»
ammonisce don Giorgio Palazzin,
un salesiano veneto di 51 anni, da
tre parroco di questo comune del
Basso Monferrato, a metà strada
fra Torino e Asti, terra dove sono
nati san Giovanni Bosco, che dal
1930 anche il nome al paese,
san Giuseppe Cafasso, san Dome-
nico Savio, il beato Giuseppe Alla-
mano fondatore delle Missioni del-
la Consolata, senza dimenticare
cinque vescovi, Giovanni Cagliero
primo cardinale salesiano, il teolo-
go Giovanni Battista Bertagna, an-
cora un Cagliero, Francesco, mis-
sionario in Kenya, infine Giovanni
Battista Rossi e Matteo Filipello,
quest'ultimo anche arcivescovo di
Torino sul finire del1'800.
La campagna
sta morendo
Ai tempi di Don Bosco, Castel-
nuovo e le sue frazioni vivevano
sull'agricoltura e c'era una povertà
diffusa, talora estrema, tanto che
Don Bosco, nel rievocare la terri-
bile carestia del 1816-17, ricorda
quanto sua madre gli aveva rac-
contato degli uomini trovati morti
di fame nei campi con l'erba in
bocca, nell'ultimo disperato tenta-
tivo di nutrirsi. Gli abitanti erano
3 mila. Oggi sono 2600, ma iJ nu-
mero in dice poco. È cambiata
la composizione sociale, la qualità
della vita.
l contadini e i coltivatori diretti
non sono più la maggioranza. So-
no giunti immigrati da ogni parte
d'Italia, veneti, meridionali, oriun-
di dell'Italia centrale. Hanno preso
il posto dei castelnovesi attratti o
trascinati nella metropoli torinese
o nel capoluogo astigiano. In pae-

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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se si è sviluppata la piccola indu-
stria, l'artigianato, il commercio,
non pochi sono i lavoratori pendo-
lari. <<Al posto delle viti ora pro-
fumano i tigli delle seconde case»
incalza don Elio Scotti, il Rettore
del Tempio al Colle Don Bosco.
La povertà dell'800 non esiste
più. Ma il prezzo è stato alto. La
campagna sta morendo. Le uniche
coltivazioni che resistono allo spo-
polamento e alla boscaglia sono il
granoturco e la vite che produce
vini come il Freisa e il Malvasia.
Anche la religiosità si è modifi-
cata. Non è più il cemento che ag-
gregava tutta la popolazione. « ln-
tendiamoci - afferma il parroco
di Castelnuovo - , le vecchie fami-
glie continuano a venire in chiesa,
gli immigrati invece sono meno
presenti. Complessivamente, si
può dire che il 30-35 per cento del-
la gente partecipa alla Messa della
domenica». Quanto resta dello
spirito di Don Bosco? « La parteci-
pazione alla vita della parrocchia è
I GENNAIO 1988 21
viva. Abbiamo catechisti, animato-
ri, laici impegnati, gruppi giovani-
li, il Consiglio pastorale. Nei con-
fronti di Don Bosco, in particola-
re, c'è molta devozione. E il santo
più amato, ma oggi talvolta più
per orgoglio, forse c'è un po' d'a-
bitudine nei confronti di questa fi-
gura, che ora avremo modo di ri-
scoprire in occasione del centena-
rio con una predicazione straordi-
naria sul tema della vocazione alla
santità».
A Castelnuovo, Giovanni fu
battezzato, fece la prima Comu-
nione e frequentò il catechismo.
Tutto nella cbjesa parrocchiale, la
stessa dove Don Bosco, sacerdote
novello, celebrò la sua prima Mes-
sa solenne, dopo Torino. A Ca-
stelnuovo, Giovanni frequentò an-
che le scuole. Ogni giorno macina-
va una ventina di chilometri fra i
Becchi e Castelnuovo, per andare
e tornare quattro volte al giorno.
I
A sinistra veduta autunnale
della borgata del Becchi e in
basso la borgata Morialdo

3.2 Page 22

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22 I GENNAIO 11! 88
Naturalmente a piedi, anzi a piedi
scalzi, per non consumare le scar-
pe. Una faticaccia, specie d'inver-
no, quando la neve ricopre strade
e campi. Tanto che mamma Mar-
gherita ottenne di sistemarlo in
paese presso un sarto, dal quale
Giovannino imparò a usare ago e
f o r bici.
/t luogo natio
di Giovannino
Uscendo dall'abitato di Castel-
nuovo, a cinque chilometri ci si
imbatte nel colle Don Bosco, che
spunta all'improvviso, imponente.
È qui che Giovanni nacque nel
1815. Solo nel 1972 sj scoprì che il
vero luogo natio era la cascina dei
Biglione, una nobile famiglia tori-
nese. La cascina fu abbattuta
quindici anni fa, per far sorgere il
Tempio Don Bosco, formato da
due chiese sovrapposte, che è stato
inaugurato appena tre anni fa. Qui
intorno le ruspe hanno lavorato fi-
no a ieri, per sistemare il piazzale
davanti alla chiesa superiore desti-
nata aJle celebrazioni all'aperto.
La ristrutturazjone ha interessato
l'intera area storica, che compren-
de, tra l'altro, oltre alla casa che
il fratello di Don Bosco, Giuseppe,
costrul a vent'anni poco prima di
sposarsi, l'adiacente museo di vita
contadina con attrezzi, strumenti e
altri oggetti di uso domestico uti-
lizzati dai contadini al tempo di
Don Bosco, e che sarà inaugurato
il primo febbraio prossimo, il Sa-
nutarietto di Maria Ausiliatrice
edificato per iniziativa dei coope-
ratori salesiani con il contributo
dei ragazzi di tutto il mondo, l'i-
stituto Bernardi Semeria, voluto
da don Ricaldone, terzo successore
a di Don Bosco, inizialmente desti-
nato giovani orfani e poveri, og-
gi diventato scuola media e centro
di formazione professionale con
scuola grafica.
E, infine, la casetta di Don Bo-
sco. È, quest'ultima, un edificio
basso, umido, che il santo chiama-
va «la catapecchia», uno dei sim-
boli più evidenti della miseria sof-
ferta. L'aveva acquistata, con-
Una fede che guarda il futuro
di John R. Qulnn
Tutta la Chiesa è piena di gioia nel celebrare il primo centenario della morte
di San Glovannl Bosco. Quanti miracoli di santità e di grazie sono stati operati
dal buon Dio per mezzo di lui In questi dieci decenni dopo la sua morte! La
sua figura dominante cl sprona ad esaminare attentamente Il presente e pensa-
re al futuro. In fin dei conti, la nostra fede è fondalmente Indirizzata verso Il
futuro che Dio ci ha preparato.
Mal nel passato c'è stato un bisogno tanto grande dello spirito e dell'opera
di Don Bosco come al giorno d'oggi. Mal nel passato la famiglia ha dovuto af-
frontare delle sfide tanto profonde e di oosl larga portata, o è stata assalita da
pericoll tanto gravi. Ed è proprio in questo mondo che la gioventù ha un biso-
gno cosl estremo delle qualltà preziose che Don Bosco ha lasciato in eredità
al suol lìgll e alle sue figlie; la sua gioia robusta, la speranza allegra, la fede
Intrepida, la convinzione invincibile che •con Dio tutto è possibile•, e - quello
che riassume sempre tutto questo - Il suo sorriso affascinante.
Che tele spirito e grazia fiorisca tra di noi, e tocchi di nuovo il nostro mondo!
John R. Quinn
Arcivescovo di San Francisco
traendo un debito, Francesco Bo-
sco, per usarla come stalla. Ma nel
maggio 1917, quando Giovanni
aveva quasi due anni, Francesco
fu stroncato da una polmonite. Ri-
masta vedova e priva del sostenta-
mento che veniva dal lavoro del
marito, Margherita non ebbe altra
scelta che utilizzare la povera casa
come abitazione dell'intera fami-
glia: la vecchia nonna, mamma
Margherita, i figlioletti Antonio,
di 9 anni, Giuseppe, di quattro e
Giovanni di due. E nella stanzetta
dalla volta bassa e dalla minuscola
finestreUa dove aveva il suo letto,
che Giovanni, all'età di nove anni,
fece il famoso sogno che avrebbe
segnato la sua vita, indicandogli la
strada da percorrere.
L'intera area è stata concepita
come permanente oasi di silenzio e
di preghiera. Nella nostra epoca il
silenzio non è certamente facile ot-
tenerlo, almeno nella misura in cui
doveva esserci al tempo di Don
Bosco. Ma si è fatto il possibile,
compatibilmente con le esigenze
del giorno d'oggi. I nuovi parcheg-
gi per auto sono stati tenuti a de-
bita distanza e un anello stradale a
senso uruco attorno al colle facili-
terà la circolazjone nej momenti dj
punta. Il silenzio deve essere ri-
spettato anche dalla gente che abi-
tualmente affolla il colle, in media
4-6 mila persone ogni domenica
d'estate e in primavera, 2mila-2500
d'inverno. I v1s1tatori provengono
da ogni parte del mondo. E, ov-
viamente, una moltitudine è attesa
nel corso dell'anno centenario. I
visitatori hanno la possibilità di vi-
sitare un angolo dedicato all'arte:
il museo del Colle Don Bosco rac-
coglie circa 7mila oggetti etnico-
missionari, di cui 2500 esposti in
vetrinette, raccolti e inviati dai
missionari salesiani nel mondo,
daU'America Latina aJl'lndia, dal
Giappone alla Cina, ali'Africa.
Dal CoUe Don Bosco, il viaggio
di rivisitazione dei luoghi - ricchi
di messaggi - dove ha vissuto e
operato il Santo può proseguire in
più direzioni: Buttigliera, Morial-
do, Mondonio, Sussambrino, Ca-
priglio. Ma la mèta obbligata è
Chieri. Vi si fermerà anche Gio-
vanni Paolo ll quando nel settem-
bre 1988, visjterà Torino nel qua-
dro delle celebrazioni per il cente-
nario. In questa cittadina, Giovan-
ni trascorse dieci fondamentali an-
ni della sua vita. Con l'aiuto di
buoni sacerdoti studiò e con l'aiu-
to di un buon uomo, il signor
Pianta, proprietario di un bar, si
guadagnò l'alloggio facendo il ba-
rista. C'è ancora, nel retro dell'e-
sercizio, il sottoscala dove, sopra
un giaciglio di fortuna, Giovanni
trascorreva le notti. Sempre a
Chieri fece la sua prima esperienza
di guida dei giovani, fondando la
<<Società dell'Allegria», che aveva

3.3 Page 23

▲back to top
sede nella chiesa di Sant'Antonio,
dove i padri gesuiti impartivano
«st\\Jpende lezioni di catechismo».
Ma fu nello splendido duomo di
Chieri, frequentato abitualmente,
che Giovanni, a 19 anni, pregando
nella cappella della Madonna delle
Grazie, decise di diventare sacer-
dote.
G arzone
alla cascina Moglia
Ma non è da dimenticare neppu-
re la cascina Moglia, che dà il no-
me all'omonima frazione, tra
Mclllcucco e Mombello, a qualche
chilometro da Castelnuovo. È a
quèsta cascina che, nel febbraio
1827, Giovannj Bosco approdò do-
J)o aver abbandonato, a soli 11 an-
ni, la sua casa. Era stata mamma
Matgherita a indicargli, con peno-
sa decisione, quella meta. Vi sa-
rebbe andato, come usava a quei
tea1pj per le famiglie povere, a fa-
re Il garzone presso la famiglia di
Luigi Moglia.
È alla cascina che abbiamo in-
corltrato Giovanni Casalegno di 74
anrtl, e la moglie Domenica Gio-
rio1 di 63, entrambi agricoltori, di-
scehdenti diretti di quel Luigi Mo-
glill, trisavolo del Casalegno, che
ospitò per due anni il tredicenne
Giòvannino Bosco. Qui la sua ca-
lnetetta è rimasta come allora,
senza luce elettrica, irttoccata. Il
ge.lso ultracentenario nel cortile
J)robabilmente è lo stesso sotto il
t}uiUe Giovannino incontrava gli
amici per parlare di Dio.
Dice la signora Casalegno:
(<Giovannino ci ha già fatto alcune
~razie. lo sono stata più. di un me-
~e all'ospedale con la febbre a 40,
hessuno mi ha saputo dire la ma-
lattia. So solo che un giorno di
tolpo la febbre mi è andata via. l
tnedici non ci credevano e sono
guatita. Non basta. Mio marito è
caduto due volte dal tetto e un'al-
tra da un albero. È sempre soprav-
vissuto». Ora sognano dì incontra-
te il Papa e di donargli un po' di
vino Tokai coltivato nelle loro vi-
~e,
Cambiamo ambiente e geogra-
tia. Eccoci a Torino, anzi nel cuo-
re della Torino salesiana, a Val-
docco, dove Don Bosco ha inven-
tato iniziative e realizzazioni nel
settore della stampa, del teatro,
dello sport, dell'impegno missiona-
rio, ha fondato la Congregazione,
associazioni, scuole professionali a
tal punto che l'economista Piero
Bairati, docente all'Università di
Torino, ba definito il santo « uno
straordinario organizzatore taylori-
stico dell'amore cristiano».
È qui, dove ora sorge imponente
e splendida di restauri realizzati in
vista del Centenario e appena fini-
ti, la basilica di Maria A usiliatrice,
che Don Bosco trasferì il suo ora-
torio. 11 prato che i fratelli Filippi
gli avevano ceduto per radunare i
300 ragazzi che ormai Don Bosco
aveva intorno a sé non era più di-
sponibile. Ottenne, come è noto,
una tettoia dal signor Pinardi. La
I GENNAIO 1988 · 23
tettoia divenne poi la cappella Pi-
nardi, centro di tanti ricordi sale-
siani. È ancora qui a Valdocco che
si trovano le stanze di Don Bosco,
il suo scrittoio.
Sono, questi che abbiamo rivisi-
tato sia pure a volo d'uccello, i
luoghi che raccontano la storia e
la spiritualità salesiana. Ed è qui
che giungeranno da tutto il mondo
folle di pellegrini in occasione del-
1'anno centenario. «Per noi - ci
dice don Gianni Sangalli, Rettore
del Santuario di Maria Ausiliatrice
- questo anniversario è un ritor-
no alle origini. Ci siamo preparati
senza trionfalismo, ma cercando di
recuperare tutto lo spirito di Don
Bosco per farlo vivere oggi».
Piero Damosso
Giornalista deUa RAI di Torino
cc Itinerario
di educazione
per i giovani
emarginati>>
di Raffaele Cananzi
La storia non si ripete; ma nel mutare delle situazioni storiche alcune situazio-
ni umane, pur con accentuazioni e modalltà diverse, si ripresentano nelle loro
essenziali caratteristiche. Giovani marginali, perché emarginati o perché emargi-
natisi, sono in ogni tempo; sono certamente come drogati, disperati, diversi, di-
soccupati, poveri anche in questo periodo connotato dal post-moderno e dal
post-industriale. Se Giovaqni Bosco fosse vissuto oggi la periferia delle grandi
metropoli e i dedali dei centri storici delle antiche città sarebbero stati - come
la periferia di Borgo Dora nel 1844 - I luoghi della sua missione sociale ed
educativa, nel segno dell'amore cristiano e nella prospettiva di una promozione
umana che è gloria al Dio creatore e all'Uomo - Dio redentore.
Una organica missione sociale del cattolici nel nostro tempo non ha come
scopo le grandi opere dell'imprenditoria moderna, segno del grande capitale o
dell'educazione borghese; lo scopo, invece, è oggi, come per Don Bosco. quello
di una socialità popolare che non riproponga il mero assistenzialismo ma si attui
in un itinerario di educazione civica e professionale perché ogni giovane emar-
ginato, o più vicino all'emarginazione, venga riammesso con dignità ed amore
nel contesto sociale e si realizzi come persona e operoso cittadino.
L'augurio è, perciò, che oggi i figli e le flglie di Don Bosco, continuando la
magnifica opera cristiana e sociale del fondatore, realizzino anche per il nostro
tempo questa educazione popolare, testimoniando un cattolicesimo dal mezzi
poveri, ma dal risultati eccellenti per una grande fede che si fa speranza di pie-
na umanità e gioia di carità educàtlva.
Raffaele Cananzl
Presidente dell'Azione Cattolica Italiana

3.4 Page 24

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24 · I GENNAIO 1988
UNA VITA
DONATA
A DIO
E ALL'UOMO
Quale fu la santità di Don
Bosco? Quali le motivazioni
di fondo della sua
esistenza? La «caritas»
autentica chiave di lettura
della sua vita.
Don Bosco è una per-
sonalità complessa, ricchissima di
doni naturaJi e soprannaturali,
«uno degli uomini più completi e
più assoluti che abbia conosciuto
la terra», ha scritto il suo biografo
danese Joergensen (Don Bosco,
Torino SEI 1929, 8). 1mpressio-
nante è la lista, Ja somma delle sue
realizzazioni, compiute nel corso
di una lunga vita di 72 anni.
E tuttavia, Don Bosco è anche
una personalità non complicata,
non disordinata, un uomo sempli-
ce, limpido, di un solo blocco,
«chiaro come un mattfoo di mag-
gio, rubizzo come una mela», per
citare un altro autore, il poeta
francese PaµI CJaude.l (Oeuvre
poétique, .Paris I957, 785). La sua
figura colpisce per la sua unità.
Ha scoperto la sua vocazione all'e-
di nove anni e da allora l'ha
perseguita senza mai deviare. Dal-
l'inizio alla fine della vita si verifi-
ca in lui una linea direttrice chia-
ra, un asse forte, un unico cammi-
no che si apre e si allarga nella fe-
deltà alla prima direzione presa: il
servizio dei giovani. Dichiara don
Rua, quello che meglio lo conob-
be: «Non diede passo, non pro-
nunciò parola, non mise mano ad
impresa che non avesse di mira la
salvezza della gioventù» (Lettera
del 24 agosto 1894).
S o/o un filantropo
geniale?
Ecco: Don Bosco è il grande
educatore del secolo scorso, quel
sacerdote talmente dedicàto ai gio-
vani da divenire per loro e con lo-
ro un santo. Don Lemoyne, suo
primo biografo, ha osato dire:
«Non credo che al mondo vi sia
mai stato uomo che più di lui ab-
bia amato e sia stato riamato dai
giovanetti».
Allora viene la domanda: «Qual
è il segreto di questa correlazione
così forte tra Don Bosco e i giova-
ni?>> E potrebbero venire tentativi
di spiegazione puramente umana:
«Ah, questo Don Bosco! un uomo
straordinario: intelligente, genero-
so, realista! Ha capito i bisogni
del suo tempo e le attese dei giova-
ni entrati nella burrasca della nuo-
va civiltà industriale. Ha avuto il
genio dell'educazione e anche il
genio dell'organizzazione. E così
ba fondato una società di educato-
ri, un'altra di educatrici, e tutto
un insieme di istituzioni di benefi-
cenza!»
Chi ragionasse in questo modo,
non dico che ragionerebbe in ma-
niera falsa, perché tutto questo è
perfettamente vero. Ma condanne-
rebbe se stesso a una visione delle
cose molto superficiale e alla fine
dei conti a una incomprensione
profonda deJla realtà. Don Bosco:
solo un filantropo geniale? ... No.
Il suo agire e la sua opera vengono
da più lontano di lui: vengono dal-
l'alto. Se egli, direi, si è precipita-
to verso i giovani, non è fonda-
mentalmente perché questo gli pia-
ceva, né perché aveva percepito
l'urgenza di un'azione in loro fa-
vore, e nemmeno perché i giovani
stessi lo chiamavano. È perché un
Altro l'aveva gratuitamente scelto
e preparato e lo mandava verso i
giovani in suo Nome, diffondendo

3.5 Page 25

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IIl 9 giugno 1929 don Bosco
viene trasferito da Valsalic e a
Valdocco nella Basilica di
Maria Ausiliatrice. Una folla
imponente si è riversata nelle
vie a salutarlo
nel suo cuore qualcosa della Carità
misericordiosa divina.
S uscitato e
guidato da Dio
Questo fatto non è un'evidenza
per la semplice ragione, ma lo è
per la fede, appoggiata su segni e
su testimonianze irrecusabili. È
proprio il primordiale atLo di fede
che i Salesiani hanno posto all'ini-
zio delle loro Costitia,ioni: «Con
senso di umile gratitudine credia-
mo che la Società di S. Francesco
di Sales è nata non da solo proget-
to umano, ma per iniziativa di
Dio. Per contribuire alla salvezza
della gioventù, lo Spirito Santo su-
scitò con l'intervento materno di
Maria, san Giovanni Bosco. For-
mò in lui un cuore di padre e di
maestro... Lo guidò a dar vita a
varie forze apostoliche... » (art. 1).
Di questo triplice inter vento
Don Bosco per primo ha avuto la
convinzione più radicale, e penso
che possiamo fidarci alla sua chia-
ra testimonia nza. Tra tante affer-
mazioni che si potrebbero qui ac-
cumulare, cito solo queste due:
«Non diede passo la Congregazio-
ne senza che qualche fatto sopran-
naturale non lo consigliasse; non
mutamento o perfezionamento o
ingrandimento che non sia stato
preceduto da un ordine del Signo-
re... È necessario che le opere di
Dio si manifestino... Come si sia-
no fatte le cose, io appena saprei
dirvelo. Non me ne so dare ragio-
ne io stesso. Questo io so, che Dio
lo voleva» (ai direttori salesiani,
2-3 febbr. 1876, MB 12, 69.78).
Poco prima aveva scritto la mag-
gior parte delle Memorie dell'Ora-
torio, iniziando cosi: «A che potrà
servire questo lavoro? A far cono-
scere come Dio abbia Egli stesso
guidato ogni cosa in ogni tempo»
(MO ed. Ceria 16).
Teniamo dunque chfara questa
verità: tutta l'esperienza educativa
e pastorale di Don Bosco deriva in
primissimo luogo dalla sua pro-
fonda esperienza di un Dio che è
Misericordia salvatrice, di un Cri-
sto che è Buon Pastore fino al do-
no della vita. Ciò che chiaramente
I GENNAIO 1988 25
è stato primo e decisivo in lui non
è l'amore verso i giovani, ma l'a-
more verso un Dio del quale si è
sentito chiamato ad essere il servo
e il «cooperatore», essendo presso
i giovani li suo segno trasparente e
il suo strumento efficace.
Questa convinzione risale certa-
mente al sogno dei nove anni. Si
è definitivamente confermata nel
momento dell'ordinazione sacerdo-
tale: il prete e radicalmente un
«ministro» di Dio. Don Bosco an-
dò ai giovani dietro duplice man-
dato: carismatico e ministeriale.
L apercezione di fede:
Dio è Misericord;a
salvatrice
Chi è questo Dio che manda
Don Bosco a salvare i giovani? Co-
me lo ha percepito la sua fede vi-
va? Senza dubbio, la sua percezio-
ne fondamentale è stata quella del
disegno di salvezza universale,
quella dell'effettiva redenzione uni-
versale (anche se esprimeva que-
st'insondabile mistero in parole
semplici). Dio certo è creatore e
giudice, ma soprattutto è Padre,
«Padre amoroso», come scrive al-
l'inizio del Giovane Provveduto.
Chiama ogni uomo, ogni ragazzo
alla «salvezza», cioè alla libertà dei
figli, a un dialogo di amore, alJa
ccHa colto un'esigenza
anticipandone le soluziohi,,
di Chiara Lubich
Aveva un grande carisma, Infatti in un'epoca in cui la gioventù non contava
e i ceti popolari erano tenuti ai margini della società, Don Bosco ha rivolto la
sua attenzione proprio a questa categoria di persone. Ha colto un segno dei
tempi.
Egli aveva Intuito che nel Vangelo cl sono i semi del pieno sviluppo dell'uo-
mo, della sua dignità e dei diritti umani. E quindi educare i giovani ha significa-
to per lui rendere il Vangelo adatto al semplici: ai contadinelli, agli apprendisti,
agli operai. Attraverso lui lo Spirito Santo ha risposto ad una esigenza che si
sarebbe manifestata sempre più nella sua vastità, quasi anticipandone le solu-
zioni: Istruzione popolare, oratori ricreativi, contratti di apprendistato, ecc.
Oggi, a distanza di un secolo, I giovani sono invece al centro dell'attenzione
della società e della Chiesa. La stragrande maggioranza di essi però è ancora
senza punti di riferimento, anche se non priva di valori.
Don Bosco, attraverso la famiglia salesiana, a cui ha dato la vita e che rende
presente li suo carisma nel tempo e nello spazio su tutta la terra, continua la
sua missione educatrice, originale, attuale: formare I giovani come uomini e cri-
stiani, atti a costruire la Chiesa e la società.
Chiara Lubich
Fondatrice d el Movimento dei Focolari

3.6 Page 26

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26 · r GENNAIO 1988
felicità totale, terrestre e celeste, in-
tima ed esteriore, presente e futura,
nel contesto della Chl~a, «area di
salvezza».
Abbiamo troppo Ignorato che
Don Bosco giovane ptete (a 30 an-
ni) scrisse un opuscolo intitolato
Esercizio di divoziont alla miseri-
cordia di Dio (1846): vi è descritto
non il volto di un Dio giudice se-
vero, ma un volto cli tenerezza pa-
tema. Nelle sei meditdzioni, scritte
di getto, piene di llnfll biblica, egli
sfrutta le parabole delta misericor-
dia e il mistero della passione. In
particolare un•espressione tipica vi
è usata per caratteriuare l'atteg-
giamento di Dio, che più tardi
Don Bosco userà per descrivere
l'atteggiamento dell'educatore sa-
lesiano: «l'amorevolezza», cioè
l'amore dimostrato, ptemuroso e
paziente. Insomma «Olo è tutto
amabile, è tutto carità» (ibidem,
4a medit.).
Se Dio è il Padre delle miseri-
cordie, Gesù, Figlio incarnato, è
innanzitutto, per Ddtt Bosco, il
Buon Pastore che cohosce ciascu-
na delle sue pecore (rlcotdiamoci il
sogno dei nove anni) e ha dato la
vita per esse nelle citcostanze tra-
giche della passione. Lo chiama
abitualmente «il nostro divin Sal-
vatore». Quando dice «le anime»,
«salvare le anime», le vede concre-
tamente nella luce di quell'amore
che le ha riscattate a così alto
prezzo: «Non c'è cosa i,iù santa al
mondo che cooperare al bene delle
anime per la cui s11lvt:zza Gesù
Cristo sparse fin l'l.lltitna goccia
del suo preziozo sanaue» ( Vita di
Dom. Savio, cap. Xl). Alla mar-
chesa di Barolo che pretendeva
monopolizzare l'apostdlato presso
le ragazze, disse nel 1B62: << lo deb-
bo procurare che il sartgue di N.
Signore non sia sparso Inutilmente
tanto per i giovani (1Udnto per le
fanciulle» (MB 7, 218). Più tarcli
aggiungerà l'invito a guardare il
Sacro Cuore, cioè I'Atrtore perso-
nificato sempre vivo e palpitante
per noi nel mistero eucaristko.
Di conseguenza, Don Bosco si è
sentito chiamato ad entrare nel
movimento di quella Càrità divina
salvatrice, che certàmente tocca
tutti gli uomini, ma in tnodo parti-
colare i giovani.
L ' atteggiamento
del cuore: servire-salvare
con umiltà e zelo
La santità di Don Bosco è consi-
stita proprio nell'adesione totale a
questa chiamata, secondo il filo
delle indicazioni provvidenziali. È
consistita nella volontà decisa di
essere, tra i giovani, la presenza
trasparente di Dio Padre e di Gesù
salvatore, di essere il «servo buo-
no e fedele » che prolunga realist~-
camente l'atteggiamento di un Dio
veramente impegnato nella storia.
Nel profondo dell'anima di Don
Bosco, alla radice di tutta la sua
azione, troviamo (e questo può sor-
prendere chi lo conosce poco) l'u-
miltà e l'obbedienza. Alcuni hanno
giudicato che Don Bòsco era piutto-
sto orgoglioso: parlava molto delle
sue opere, vendeva la propria bio-
grafia e la propria fotografia per
avere qualche soldo in più! In real-
tà, sapeva di non essere che «un po-
vero figlio di contadini» (MB 10,
266), un servo di cui Il Signore, co-
me per Maria, aveva guardato la
bassezza per fare in questo mondo
grandi cose.
Quanto alla docilità e all'obbe-
dienza, le ha sempre stimate come
virtù fondamèntali per se stesso
come per i saJeslani e per i ragazzi.
Ha preso sul serio il fatto di aver
ricevuto dall'inizio una «maestra
di saggezza». Ha sempre detto che
«la più gran cosa in questo mondo
è di fare la volontà del Signore»
(MB 10, 1090), al punto che sul
letto di morte ripete decine cli vol-
te cli accettarla, e muore dicendo
la sua ultima parola): «Sia fatta
la vostra santa volontà!» (MB 18,
345). li suo timore pìù grande è
stato di fare opera sua piuttosto
che la sola opera di Dio, di lavora-
re per la propria gloria piuttosto
che per la sola gloria di Dio.
Ma entra anche nella santità ti-
«Ho visto nei suoi figli spirituali
la forza della sua eredità»
di J6zef Gl emp
Lasciando Il Seminario come sacerdote sapevo su S. Giovanni Bosco solo
quello che deve sapere un. prete che ha studiato la storia della Chiesa degli
ultimi secoli: il Fondatore dei Salesiani, l'amico dei giovani. L'anualltà di S. Gio-
vanni Bosco ho potuto scoprirla durante i miei studi a Roma. Alla Facoltà
«utriusque lurls• dell'Università Lateranense, il docente di diritto penale era il
prof. Corsanego. Fu uomo di profonda santità personale, a suo tempo molto
Impegnato nella vita politica italiana e. sino alla nne della sua vita, dedito al
servizio della Sede Apostolica In qualità di awocato concistoriale. E proprio
quel mollo stimato professore nelle sue lezioni sui rapporti tra Chiesa e Stato
nel secolo XIX, quando parlava di alcuni dotti giuristi I quali non sapevano che
cosa significa Corpus luris Canonici, indicava la persona di S. Giovanni Bosco,
che scoprendo i valori del cristianesimo nell'educazione svelava davanti al mon-
do degli lntellenuali di allora l'Infinita ricchezza del valori del pensiero della
Chiesa nelle diverse aree della scienza. Giovanni Bosco, trattando delle cose
semplici, pratiche, quotidiane ma viste nello spirito del Vangelo, apriva agli
scienziati e al politici una vera prospettiva della realtà.
Finiti gli studi, ho Incontrato· un salesiano, ed era l'arclvescovo Antonio Bara-
niak. Qualcuno potrebbe pensare, che il posto occupato da lui nella gerarchia
ecclesiastica avesse cancellato la sua appartenenza alla cerchia dei figli di s.
Giovanni Bosco. Proprio noi L'arcivescovo di Poznan, Baranlak, ha saputo man-
tenere la sempJlcità del religioso salesiano. Anche durante le vacanze che pas-
sava a Krynloa Gorska (in montagna) cercava di Incontrare i giovani. Proprio
lui svolgeva una pastorale Ira I giovani che lo seguivano. In quei momenti com-
prendevo come grande fosse staio Il fervore educativo di Don Bosco, che egli
stesso accendeva nel suol figli spirituali, la cui forza •ereditaria• era rimasta
viva nella persona dell'arcivescovo Baraniak.
Anche il cardinale Augusto Hlond che fu Primate di Polonia, era figlio spiritua-
le di Don Bosco. Del cardinale Hlond, nella sala delle udienze della residenza
degli arcivescovi di Varsavia, à rimasto uno splendido busto in alabastro di S.
Giovanni Bosco. Lo sguardo del Santo in quella scultura appare pieno di sorriso
sereno, ma insiemè rivela la preoccupazione di Cristo stesso verso Il giovane
uomo. E proprio cosi lo vedo oggll
Card. J6zef Glemp
Primate di Polonia

3.7 Page 27

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pica di Don Uosco il fatto di aver
accettato qUélto servizio con entu-
siasmo e gi<Jlt11 contento di mettere
a disposiziOl1El di Dio tutte le fot-
ze, pronto ad accettare tutte le fa-
tiche, perché aveva capito la gran-
dezza divina deUa sua chìamata. 11
servizio sai«islano dei giovani si
compie con <tze/o», cioè con una
sdai nftuaopcoas,sipoerttlt!l1t éc
on un dina
è in gioco
mismo
il san-
gue di Cristo, e la felicità terrerta
ed eterna di tanti ragazzi. È cosa
tanto beUa e tanto gtave! Pochi
santi hanno tteduto coh altrettan-
ta forza alla ttobiltà delle cause se-
conde, all'intlHita dignità del lavo-
ro per il regrtb di Dio, alla respon-
sabilità di ogtlJ intermèdiario uma-
no, alla reile influenza di ogni
sforzo dell'apostolo, ma anche agli
effetti terribllt di ogni sua negli-
genza.
Colpisce li fatto di sentire tante
volte Don Bosco proclamare que-
sta grandezzll dell'apostolato. Nel
suo famoso panegirico di san Fi-
UJ)po Neri, dove celebra «queJ
gtan fuoco di divina carità che
spinse il dlvltt Salvatore a venire
dal cielo iH terra», proclama:
«Niun sacri]tt.lo è tahto grato a
Dio quanto zelo per la salvezza
delle anime» (Scritti Sp. II 41). Il
«cooperare COh Dio aJJa salvezza
delle anime» attraverso l'opera
educativa (màgari cominciando col
dare pane o vestito se ce ne fosse
bisogno) è tltiamato la «cosa più
santa al mol:ldo», cosa «divina»,
anzi «delle ct,se divine la più divi-
na»: lo dice Ili Cooperatori di To-
rino, lo fa stdtfipare su ogni nume-
ro del Bollettlho Salesiano (Scritti
Sp. II, 14.60), li concetto a prima
vista è strartd: può esistere in Dio
una cosa pitl divina dell'altra? ...
Sl: è quellà lttsondablle tendenza
del suo An10te ad avere compas-
sione di noi e li salvarci. Chi dun-
que «coopetit con Dio» per il berte
dei fratelli ehtta nella corrente di
questa Misdtlcordia Salvatrice e
raggiunge Olt, nel più profondo
della sua vltll.
Si capisca allora che la reazione
di Don Bosct,1 quando si è sentito
chiamare, tl0f1 sia stata quella di
Geremia: «Ahimé! non so parla-
re! » (Ger 1, e), ma quella di Isaia:
«Eccomi, mlltlda me!» (Is 6, 8).
I
L'urna di cristallo con la salma
di don Bosco è scortata .dagli
ex-allievi verso Valdocco
La sua vocazione di libero, umile,
zelante e beato servo di Dio, l'ha
tradotta in modo sintetico nel suo
motto: «Signore, dammi le anime,
tieniti tutto il resto». Motto signi-
ficativo: il dialogo tra il re palesti-
nese ed Abraham di Genesi 14, 21
è trasferito nella persona di Don
Bosco che parla al suo Signore: la
domanda diventa una preghiera: le
anime sono proprietà divina, Don
Bosco le chiede affinché possa ri-
darle a Dio, effettivamente salvate
daJ suo intervento di umile servo.
h metodo pastorale:
esprime la Carità
salvatrice di Dio
È proprio questo «cooperare
con Dio», questo «entrare nella
corrente della sua Misericordia sal-
vatrice» che ha ispirato e dettato a
Don Bosco anche il suo metodo
i;,astorale a favore dei piccoli e dei
poveri. Il cosiddetto «sistema pre-
ventivo», il quale riassume tutto il
tnodo di essere e di fare di Don
Bosco in mezzo ai giovani, non è
altro che 1'esplosione delJ'Amore
tttisericordioso nel campo dell'edu-
cazione. Lo ha detto lui stesso in
I GENNAIO 1988 - 27
parole semplici e bibliche nel suo
Trattatello: «La pratica di questo
sistema è tutta appoggiata sopra le
parole di san Paolo che dice: La ca-
rità è benigna e paziente; soffre tut-
to, spera tutto... Perciò soltanto il
cristiano può con successo applicare
il sistema preventivo» (Opere edite
XX 53). Lo ha ripetuto il suo secon-
do successore Don Albera: «li suo
sistema preventivo non era altro che
la carità, cioè l'amor di Dio che si
dilata ad abbracciare tutte le umane
creature specie le più giovani e ine-
sperte» (Lettera del I8 ott. l 920).
Imitando Dio Padre che ci ha
amati per primo e Cristo buon pa-
store che conosce le sue pecore e
le chiama ognuna per nome, Don
Bosco ha fatto il primo passo ver-
so i giovani, prevendendoli con un
amore incondizionato e con un
apriori di simpatia, qualunque sia-
no i loro difetti. Si è fatto presente
a loro, condividendo al massimo
la loro vita e i loro interessi. Ha
amato con un amore personale,
cercando il dialogo diretto e lo
scambio di affetto, trovando il
tempo, l'occasione e il modo di
guardare e di trattare ogni adole-
scente come un essere unico, re-
dento da Cristo («questo fratellino
per il quale Cristo è morto» 1 Cor
8, 11), che bisogna aiutare, con in-
finita pazienza, nella scoperta del-
la propria personalità e del segreto
disegno di Dio su di lui.
E imitando Dio Padre che ci ha
amati con il dono del Figlio e Cri-

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28 · I GENNAIO 1988
sto buon pastore che ha sacrificato
per le sue pecore la propria vita,
Don Bosco ha lavorato instanca-
bilmente per i suoi giovani, accet-
tando fatiche, preoccupazioni, per-
secuzioni. Di lavoro e di fatica è
morto, «logorato», fedele alla
promessa fatta a Dio che «fin l'ul-
timo mio respiro sarà per i miei
poveri giovani» (MB 18, 258).
Una vita profondamente
unificata
Concludiamo queste brevi rifles-
sioni rilevando come tale prospet-
tiva mette in evidenza il valore
unificatore di quella «carità pasto-
rale dinamica» che, dicono le Co-
stituzioni salesiane, costituisce «il
centro e la sintesi» dello spirito sa-
lesiano, e che «trova il suo model-
lo e la sua sorgente nel cuore stes-
so di Cristo, apostolo del Padre»
(art. 10-11). Bssa orienta la mente
e fissa il cuore del salesiano inse-
parabilmente sui due poli correlati-
vi: Dio Amore che egli vuole servi-
re con umiltà e i giovani da salva-
re in suo Nome con amore di pre-
dilezione. Don Bosco insegna al
s uo discepolo il rifiuto di ogni di-
cotomia tra consacrazione e mis-
sione, tra contemplazione e azio-
ne, tra preghiera e lavoro, tra vita
religiosa e vita apostolica, tra
unione con Dio e servizio al pros-
simo. Lo rende incapace di pensa-
re a Dio senza vederlo come salva-
tore dei giovani e di trovarsi in
mezzo ai giovani senza volerli por-
tare a Dio. Lo invita ad essere, in
una armoniosa ,e vitale unità, un
figlio e servo di Dio tutto donato
ai giovani e un missionario dei
giovani tutto trasparente di Dio.
Anche la liturgia del 31 gennaio
riassume perfettamente questa pro-
spettiva: «O Dio, nella tua provvi-
denza, ci hai donato san Giovanni
Bosco padre e maestro della gio-
ventù, che, guidato dalla Vergine
Maria, lavorò con infaticabile zelo
per il bene della Chiesa, suscita in
noi la stessa fiamma di carità che
ci spinge (insieme) a salvare le ani-
me e servire Te solo».
Joseph Aubry
Teologo
LA DEVOZIONE
A MARIA AUSILIATRICE
Da Don Bosco ai nostri
giorni nella fedeltà ad un
carisma permanente.
Il 29 dicembre 1887,
già s ul letto di morte, Don Bosco
disse a don Rua, suo vicario gene-
ra.le e agli altri presenti: «Racco-
mando ai Salesiani la devozione a
Maria Ausiliatrice e la frequente
Comunione». E soggiunse: «Que-
sto sfa per tutta la vita».
Un secolo dopo, per una singo-
lare e felice coincidenza, la sua Fa-
miglia inizia le celebrazioni cente-
narie della morte del Fondatore in
pieno Anno Mariano. Un motivo
in più, dunque, per incominciare il
pellegrinaggio dal samuario dj Ma-
ria AusiJiatrice, chiesa madre e
centro spirituale dell'opera salesia-
na. Una basilica, tutti lo sanno,
nata dalla grande devozione di
Don Bosco alla Madonna; cui
amava attribuire tutte le sue realiz-
zazioni, perché si perpetuasse nel
tempo la venerazione della Madre
di Dio SOilo il titolo di «Aiuto dei
cristi a n i » .
Un titolo che riporta subito - e
riporterà quanti a partire dal 31
gennaio, passeranno da Torino -
all'epoca in cui visse Don Bosco e
al racconto fatto da lui stesso di
un «sogno» che aveva avuto nel
1844, quand'era ancora in cerca di
una sede stabile per il suo orato-
rio. La Signora, la stessa dei primi

3.9 Page 29

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sogni giovanili, gli aveva mostrato
una grande pianura piena di giova-
ni, lo sviluppo della casa di Val-
docco, la grande chiesa posta sul
luogo del martirio dei martiri tori-
nesi, «Molti edifizi tutto all'intor-
no e con un bel monumento in
mezzo».
Don Bosco iniziò la costruzione
della grande basilica senza mezzi,
ma con la fiducia nella Divina
Provvidenza e nell'aiuto di Maria.
Fu un'impresa segnata da difficol-
tà d'ogni genere. Quando, nel feb-
braio del 1863, fu presentato al
municipio di Torino il progetto
della «Nuova chiesa a Maria Ausi-
liatrice», l' ufficio degli edili non
lo approvò giudicando il titolo
«impopolare, inopportuno, tinto
di bigottismo». Nel clima acceso
delle vicende politiche del tempo,
il nome di «Ausiliatrice dei cristia-
ni» era diventato sinonimo di bat-
taglie e lotte significative per la li-
bertà sociale dei credenti.
Don Bosco non si scompose, ri-
presentò gli stessi disegni con la
denomfoazione «Chiesa io Valdoc-
co» e ottenne l'approvazione. Cin-
que anni dopo, il «sogno» era
realtà. Ma ai complimenti degli in-
tervenuti alla consacrazione, Don
Bosco rispondeva: « lo non sono
l'autore delle grandi cose che voi
vedete: è il Signore, è Maria SS.,
che degnarono di servirsi di un po-
vero prete per compiere tali opere.
Di mio non ci ho messo nulla. Ae-
dijicavit sibi donum Maria. È la
Madonna che si è costruita la sua
casa. Ogni pietra, ogni ornamento
segnala una sua grazia».
«Ogni casa, ogni vocazione sale-
siana segnala una sua grazia. Que-
sta era la convinzione di Don Bo-
sco», scrive don Adriaan van
Luyn in un documentato libro fre-
sco di stampa, «Maria nel carisma
salesiano». « In base a questa fede
e fiducia egli operava e agiva in
tutte le circostanze, di fronte a tut-
ti i bisogni e a tutti gU appelli che
gli si presentavano. Costruì l'ora-
torio di Valdocco, fondò due Con-
gregazioni, inviò i suoi Salesiani in
Francia, in Spagna, in America
Latina, con l'unica certezza della
Provvidenza divina e dalla prote-
zione di Maria».
«Don Bosco», scrive ancora
don Adriaan van Luyn, «Ha speri-
mentato la presenza materna di
Maria nella sua vita, vivendo in
una relazione personale con Lei
come Madre e Maestra e ricono-
scendone i numerosi interventi nel-
la propria vicenda e nello sviluppo
della sua opera. In base a queste
convinzioni è maturata in lui la
scelta di venerare e invocare Maria
sotto il titolo di "Ausiliatrice",
insieme all'altro, particolarmente
caro per la storia delle origini e si-
gnificativo per la missione educati-
va e pastorale affidatagli, di " Im-
macolata">>.
Don Bosco addusse due motivi
per il titolo di Ausiliatrice. Innan-
zitutto, le gravi difficoltà sorte nel
suo tempo contro la Chiesa: «La
Madonna vuole che noi La onoria-
mo sotto il titolo di Auxilium
Chrislianorum; i tempi corrono
cosi tristi che abbiamo proprio bi-
Il titolo di
Maria Ausiliatrice
Don Bosco nel 1862 confida-
va a don Cagllero: «La Madon-
na vuole che la onoriamo sotto
il titolo di Maria Ausiliatrice: I
tempi corrono cosi tristi che
abbiamo bisogno che la vergi-
ne Santa ci aiuti a conservare
e difendere la fede cristiana».
Il titolo non era nuovo nella
Chiesa: fin dal 1500 era pte-
sente tra le litanie lauretane; la
devozione a Maria Ausiliatrice
era già conosciuta all'epoca di
S. Pio V. Fin dal 1684 a Mona-
co dì Baviera era sorta l'Arei-
confraternita di Maria Ausilia-
trice.
Il Papa Pio VII, istitul la festa
di Maria Ausiliatrice, fissando-
ne la data al 24 maggio, gior-
no del suo ritorno a Roma, do-
po la liberazione della prigio-
nia napoleonica (1814).
Nel 1868 Don Bosco scrive-
va: «Un'esperienza di diciotto
secoli ci fa vedere che Maria
Santissima ha continuato dal
cielo, con il più grande succes-
so, la missione di Madre della
Chiesa e Ausiliatrice dei cri-
stiani che aveva cominciato
sulla terra•.
1 GENNAIO 1988 29
sogno che la Vergine Santissima ci
aiuti a conser vare e difendere la
fede cristiana». Parole che dimo-
strano come egli si sentisse coin-
volto con tutta la sua opera nelle
vicende della Chiesa, particolar-
mente in Italia. Il secondo motivo
riguarda esplicitamente la sua
Congregazione: «Maria SS. è la
fondatrice e sarà la sostenitrice
delle nostre opere».
« La devozione a Maria, Im-
macolata e Ausiliatrice», ricorda
nel suo volume don Adriaan van
Luyn, «Ha spinto Don Bosco ver-
so sempre nuove e sempre più au-
daci imprese a favore della gioven-
tù e della Chiesa. Egli era convin-
to che le sue iniziative erano volu-
te da Dio e che la Madonna, sua
guida sin dal primo sogno, gli in-
terpretava questa volontà divina
nelle circostanze concrete che gli si
imponevano, ispirandogli il corag-
gio necessario per affrontare tutte
le fatiche e i sacrifici che si presen-
tavano sui suo cammino».
C'è un'altra pagina illuminante
sulla dimensione mariana del cari-
sma di Don Bosco, che è in conso-
nanza singolare con la dottrina del
Concilio Vaticano Il. È uno scritto
del I868, intitolato « Le Meraviglie
della Madre di Dio invocata sotto
il titolo di Maria Ausiliatrice».
« Il titolo di "Aiuto dei cristia-
ni" attribuito all'augusta Madre
del Salvatore», sottolinea Don Bo-
sco, «non è cosa nuova nella Chie-
sa di Gesù Cristo, ma in questi ul-
limi tempi si è cominciato a pro-
clamarlo per la Beata Vergine per
un motivo tutto particolare. Non
si tratta tanto di invocare Maria
per interessi privati, ma per i gra-
vissimi e imminenti pericoli che
possono minacciare i fedeli.
«Oggi - continua il fondatore
della Famiglia salesiana, specifi-
cando tali pericoU - è la stessa
Chiesa cattolica che è assalita: È
assalita nelle sue funzioni, nelle sa-
cre sue istituzioni, neJ suo Capo,
nella sua dottrina, nella sua disci-
plina; è assalita come Chiesa cat-
tolica, come centro della verità,
come maestra di tutti i fedeli. È
appunto per meritarsi una speciale
protezione del cielo che si ricorre
a Maria come a Madre comune,
come speciale Ausiliatrice dei go-

3.10 Page 30

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30 I GENNAIO 1988
vernanti e dei popoli cattolici».
<<È un passo molto interessan-
te», dice Luis Gallo, argentino,
docente di teologia aJl'Università
di Roma dove l'abbiamo incontra-
to. <e Un passo che mi ha colpito la
prima volta che l'ho letto e che
continua a colpirmi ogni volta che
lo rileggo», insiste don Gallo che
ha avuto già occasione di proporre
approfondite riflessioni su alcuni
aspetti della Mariologia.
L'ecdesiologia di Don Bosco -
osserva - risente molto, a livello
esplicito, delle concezioni predomi-
nanti in un'epoca che precede il
Concilio Vaticano I e che culmine-
rà con l'affermazione del primato
di giurisdizione del Papa e la pro-
claqiazione dell'infallibilità ponti-
ficia. Ma, pur avendo assimilato
appieno un'ecclesiologia profonda-
mente segnata dalla preoccupazio-
ne per tullo ciò che è istituzione,
società, legge, Don Bosco viveva
una sorta di dualità ecclesiaolo-
gica.
ccAccanto all'ecclesiologia uffi-
ciale, fortemente sentita, difesa,
propugnata In tanti scritti, discor-
si, atteggiamenti, Don Bosco por-
tava avanti con la sua sensibilità
un'altra ecclesiologia, molto più
genuinamente evangelica, più affì-
ne a quella che sarà l'ecclesiologia
del Concilio Vaticano Il, contras-
segnata dalla dedicazione ai ragaz-
zi più poveri.
« Lo scritto del J868 prospetta
cosi un'interessante evoluzione del-
la devozione dell'Ausiliatrice. Non
si tratta tanto - sostiene infatti
Don Bosco - d'invocare Maria
per interessi privati, ma per un in-
teresse collettivo, sia pure di una
collettività ristretta qual è la Chie-
sa cattolica o quali sono i "popoli
cattolici'', come egli s'esprime se-
condo la "mentalità cristiana" del
suo tempo».
Luìs Gallo è convinto che oggi è
necessario un ulteriore ripensa-
mento della devozione ali'Ausilia-
trice cosi profondamente collegato
all'assetto ecclesiologico del cam-
mino del Concilio Vaticano Il.
<cSappiamo che ci sono stati tre
momenti di questo cammino. Pri-
mo: l'abbandono del modello uffi-
ciltle di Chiesa istituzionale. Se-
condo: la proposta, attraverso la
Il sogno di Don Bosco
Sentìamo da Don Bosco stesso il racconto di un suo «sogno» fatto
nel 1844, quando era ancora in cerca di una sede stabile per il suo
oratorio. La Signora che gH ~ apparsa gli dice: «Osserva. - Ed io
guardando vidi una chiesa piccola e bassa, un po' di cortile e giovani
in gran numero. Ripigliai il mio lavoro. Ma essendo questa chiesa di-
venuta angusta, ricorsi ancora a Lei, ed Essa mi fece vedere un'altra
chiesa assai più grande con una casa vicina. Poi, conducendomi ancora
un po' d'accanto, in un tratto di terreno coltivato, quasi innanzi alla
facciata della seconda chiesa, mi soggiunse: "In questo luogo dove i
gloriosi Martiri di Torino Avventore, Solutore e Ottavio offrirono il
loro martirio, io voglio che Dio sia onorato in modo specialissimo".
Cosi dicendo, avanzava un piede posandolo sul luogo dove avvenne
il martirio e me lo indicò con precisione... Intanto io mi vidi circonda-
to da un numero immenso e sempre crescente di giovani; ma guardan-
do la Signora, crescevano anche i mezzi ed il locale, e vidi poi una
grandissima chiesa, precisamente sul luogo dove mi aveva fauo vedere
che avvenne il martirio dei santi della Legione Tebea. con molti edifici
tutto all'intorno e con un bel monumento nel mezzo».

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Costituzione dogmatica "Lumen
Gentium", di una Chiesa all'inse-
gna della comunione. Terzo: l'ab-
bozzo, neJla "Gaudium et spes"
di una Chiesa comunione al servi-
zio della fraternità universale del-
1'umanità. Un modello di Chiesa
- quest'ultimo - che è stato vi-
sto, nella successiva riflessione teo-
logica delle giovani Chiese del Ter-
zo Mondo, soprattutto come servi-
zio privilegiato ai più poveri, ai
più deboli, ai più emarginati.
«Un analogo passaggio dovreb-
be verificarsi nella devozione ma-
riana della Famiglia salesiana», af-
ferma Luis Gallo. <<Da una Maria
invocata per i bisogni privati -
l'Immacolata - si è passati ad
una Maria invocata come ''Ausilio
dei cristiani"» prima - ai tempi
ancora di Don Bosco - per i biso-
gni collettivi ecclesiali e poi, dopo
il Vaticano II, ad una Maria invo-
cata per i bisogni collettivi delJ'u-
manità, ma senza prendere ancora
in considerazione i conflitti reali
che l'attraversano. Ora dovremmo
passare ad una Maria invocata co-
me Ausiliatrice della «non-umani-
tà», cioè di quella parte dell'uma-
nità - che è, del resto, la grande
maggioranza - che sono gli emar-
ginati, i poveri, gli ultimi.
«Mi sembra», prosegue don
Gallo, «che questo sarebbe conna-
turale al carisma salesiano, all'ec-
clesiologia che Don Bosco ha vis-
suto esistenzialmente più che tema-
ticamente. Tutta la sua preoccupa-
zione era, di fatti, polarizzata at-
torno ad una missione di servizio
ai giovani più bisognosi ed emargi-
nati. E se a tale scopo ha suscitato
anche una congregazione, allora la
I A sinistra: interno della
Basilica di Maria Auslllatrice.
Sotto: la facciata
(Foto Archivio SEI - Canavera}
1 GENNAJO 1988 31
presenza cli Maria Ausiliatrice do-
vrebbe essere proposta oggi come
quella di Colei che sorregge, assi-
ste, spinge, incoraggia, anima la
Cortgregazione e la Famiglia sale-
siana perché siano totalmente al
servizio dei giovani delle classi po-
polari.
«Maria Ausiliatrice», conèlude
Luis Gallo, «dovrebbe essere come
un pungolo costante nella carne
della Congregazione per non la-
sciarla mai tranquilla. 11 program-
ma che la Madonna propone ai
Salesiani dovrebbe essere quella
trasformazione radicale che pro-
clama nel Magnificat. Una triplice
"rivoluzione": culturale: "disper-
se i superbi nella loro mente"; po-
litica: "depose i potenti dai tro-
ni"; socio-economica: "i ricchi li
mandò a mani vuote e i poveri li
saziò di beni". Una devozione a
Maria Ausiliatrice intesa come Co-
lei che viene a sedare i bisogni pri-
vati o a risolvere i problemi intra-
ecclesiali o intra-congregazionali
non sarebbe ormai sufficiente».
In questa linea, inserendosi nella
genuina traclizione ecclesiale e sale-
siana don Egidio Viganò ha voluto
che il capitolo generale 22 si apris-
se il 14 gennaio 1984 con l'atto cli
affidamento della Congregazione
ali'Ausiliatrice. «L'affidamento a
Maria - commenta don Adriaan
van Luyn - non è un rifugiarsi
intiùistico o pauroso nelle mani di
una madre, ma è un affidarsi al-
truistico o coraggioso in vista del
servizio al vangelo di Cristo. La
motivazione dell'affidamento non
si limita alla speranza della pro-
pria salvezza ma è anche missiona-
ria».
«L'affidamento ali'Ausiliatrice
- scriveva allora don Viganò -
vuole assicurare in noi un quoti-
diano impegno contro ogni super-
ficialità spirituale che ci toglie la
potenza dello Spirito Santo; vo-
gJiatno avere la forza di vivere, vi•
vere con costanza, lavorare con in-
stancabilità, testimoniare con co-
raggio e lottare evangelicamente
nelJa più esplicita realtà all'origi-
nale e molte volte incompresa mis-
siorte pastorale della chiesa cattoli-
ca in religiosa sintonia con i suoi
pastori».
Silvano Stracca

4.2 Page 32

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32 r GENNAIO 1988
A CENT'ANNI L'ORATORIO
È SEMPRE UNA SCOMMESSA
Quali sono i problemi dell'oratorio?
E possibile ripensandolo rispondere alle esigenze.
dei ragazzi d'oggi? Sembra di sl.
È notoria l'ìnstabiJità
della temperatura giovanile. Molte
stagioni della vita sociale ed eccle-
siale sono state determinate e defi-
nite dagli sbalzi della febbre dei
giovani. E se per gli educatori è
importante impugnare un termo-
metro per controllare direzioni e
intensità delle variazioni termiche,
tale strumento di verifica non può
certo mancare in un Oratorio.
Qui, infatti, la febb.re dei giovani
ha sussulti amplificati, che spesso
sconcertano gli stessi addetti ai la-
vori.
Superata la morbida fase dell'o-
ratorio-culla per bambini e ragazzi
o quella svagata delle masse par-
cheggiate in cortile, da qualche tem-
po l'Oratorio, spesso aggiornato in
«Centro Giovanile», pulsa delJa va-
riegata e inquieta presenza dei gio-
vani. E i nodi vengono al pettine:
non sono pochi né facili da scioglie-
re e, spesso, uno fra i vari tentativi
di soluzione determina la fisiono-
mia dell'Oratorio. Così, sul merca-
to, compare una varietà accentuata
di tipologie e di modeJJi, ognuno
con caratteristiche di labilità, di
provvisorietà, di incertezza.
L'Oratorio-contenitore che trabor-
da di iniziative scollegate e avulse
da tln progetto unificante.
L'Oratorio-palestra che ruota ai rit-
mi degli allenamenti sportivi.
L'Oratorio-dancing tutto feste,
complessi e musica. L'Oratorio-
cenacolo chiuso nel gfro di pochi in-
timi s\\ntonizzati su pratiche devo-
zionali. L'Oratorio-week end che

4.3 Page 33

▲back to top
soddisfa variamente l'annoiatp fine
settimana della gioventù-bene.
L'Oratorio-fritto misto che miscela
confusamente attività e spiritualità
attinte all'ACI, ai GBN, a CL, al-
1'AGESCI, alle ACLI, a MCL.
L'Oratorio-Bronx che si fa succube
delle scorribande di chi vuol impor-
re la legge del più forte. L'Oratorio-
azienda che articola cinema, tçatro,
sala-giochi inzeppata di flipper e vi-
deogames, per esaltare l'effimero
purché ci sfa un congruo rien~o fi-
nanziario...
L'elenco potrebbe continuare. For-
se con evocazioni dalle tinte meno
cineree. Ma, a guardare freddamen-
te, quanto appare ingiallita l'imma-
gine di quell'oratorio, nato da
un'Ave Maria!
R ipensare l'Oratorio
l'Oratorio il luogo privilegiato,
nelle scelte educative di Don Bo-
sco, per una «salvezza» umana e
cristiana offerta e condivisa con i
giovani, soprattutto quelli pm
esposti o condizionati da difficol-
tà, impegna la Famiglia Salesiana
ad atti di coraggio, di inventiva, di
volontà riconquistata per operare
efficacemente in questa zona di
frontiera dove si fa più delicato,
ma anche più promettente e fecon-
do, il dialogo tra giovani e società,
tra giovapi e Vangelo, tra giovani
e comunità ecclesiale.
È la ragione che ha spinto i sale-
siani a ripensare e rilanciare l'Ora-
torio.
L ' Oratorio: missione
aperta sul continente
Giovani
1 GENNAIO 1988 . 33
Si è sentita l'esigenza di gl\\arda-
re meglio, di controJlare, di capire.
È sintomatico quanto si sta regi-
strando in Italia in questi µltimi
mesi. Convegni diocesani, inçontri
zonali, conferenze nazionali hanno
voluto riconsiderare realisticamen-
te e con uno sguardo critico la si-
tuazione degli Oratori. Ancona,
Milano, Torino, Roma sono state
le sedi di recenti incontri. Anche
all'interno della Famiglia Salesiana
il problema è diventato scottante.
Avviato in un primo incontro av-
venuto a Castellammare (giugno
'86) e ripreso nella Conferenza ro-
mana di metà dicembre '87, iJ te-
ma «Oratorio» ha visto accapi-
gliarsi più di un agguerrito e~perto
di pastorale giovanile e numerosi
responsabili di Oratori-Centri Gio-
vanili. Gente con le mani in pasta.
Sono stati momenti utili a ripensa-
re ciò che spesso si vive co11 pas-
sione ma senza l'opportunità di un
sano vaglio critico.
Tanto fervore di incontri, di in-
dagini, di puntualizzazioni, di con-
fronti di esperienze è sintomo che
la patata è molto bollente. Ma an-
che molto amata. Se l'argomento
non toccasse profondamente la
sensibilità dei salesiani e la co-
scienza di impegno verso i giovani
di tanti validi laici, non suscitereb-
be tanto interesse. Sapere, invece,
Quali siano le linee di tendenza,
i problemi meglio definiti, le zone
d'ombra da illuminare, gli atteg-
giamenti con cui affrontare l'argo-
mento, lo abbiamo chiesto a don
J. Vecchi, responsabile del Dica-
stero mondiale della Pastorale
Giovanile salesiana. -Nel suo inca-
cclntuizioni basilari
della pedagogia cristiana»
di Roçco Buttìgllone
Nella esperienza del nostro movimento abbiamo avuto modo molte volte di
reincontrare e riscoprire alcuni aspetti essenziali della •pedagogia salesiana•.
li loro principio fondamentale si può forse sintetizzare nell'affermazione che
«salva I giovani solo chi li ama•. Davanti alla situazione del giovani del nostro
tempo (ma sarebbe più giusto dire di ogni tempo) non servono le analisi sociolo-
giche né le indignazioni moralistiche. Bisogna prima di tutto stare con loro par-
tendo da una gratuita simpatia per la loro umanità. Solo questo atteggiamento
consente di condividere le loro attese e le loro speranze e dl pronunciare parole
cariche di senso perché generate nell& loro stessa situazione esistenziale.
Tutto questo però sarebbe inutile e, forse, perfino dannoso, se questa totale
immanenza nella condizione dei giovani non fosse accompagnata, anzi in un
certo senso parlino preceduta, da una radicale consegna di sé stessi (biblica-
mente del proprio cuore) a Cristo. Solo questo consente di stare nella situazione
senza lasc:ìarsene assorbire, con una forza che la trascende e proprio per que-
sto la apre alla speranza ed alla presenza attuale della salvezza. Un terzo ele-
mento è, direi, che I giovani li salvano i giovani. Bisogna, fra l giovani, costruire
amicizie che abbiano chiaro l'orientamento verso il destino ultimo dell'uomo e
valorizzare coloro che, magari contingentemente e tentatlvamente, comprendo-
no e vivono questo orientamento al destino.
Leggendo la vita di S. Giovanni Bosco è stato per noi una grande gioia vede-
re confermate e chiarificate queste Intuizioni che stanno, lo credo, alla base dl
ogni pedagogia autenlicamente .cristiana.
Rocco Buttigllone
Docente universitario, esponente di «Comunione e liberazione•

4.4 Page 34

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34 · I GENNAIO 1988
rico c'è anche la preoccupazione di
dare un volto nuovo e di garantire
funzionalità educativa ai più di
800 oratori che i salesiani banno
nel mondo (cui andrebbero ag-
giunti quelli deUe FMA e quem le-
gati all'iniziativa e generosità ope-
rativa degli altri membri della Fa-
miglia Salesiana).
«L'Oratorio è sempre stato un
interesse fondamentale della con-
gregazione salesiana. Anche molte
chiese locali cercano di rifondare
qualche luogo di incontro e di ag-
gregazione giovanile come stimolo
alla crescita umana e a/l'evangeliz-
zazione. Per noi, oltre il carisma
che appartiene alla tradizione, l'in-
teresse appare rinnovato dalla co-
scienza di dover essere presenti nel
territorio con iniziative di condivi-
sione, di incontro, di corresponsa-
bilità, di miglioramento generale
de/l'ambiente, e in secondo luogo
do/l'urgenza di riagganciare la gio-
ventù con proposte formative.
Uno dei problemi che la pastorale
avverte in un tempo largamente se-
colarizzato è quello di avviare dei
processi di socializzazione religio-
sa. Ora, l'Oratorio è una propqsta
interessante in tal senso. L 'Orato-
rio è da considerarsi nell'Ottica del
tempo libero: tempo in cui i giova-
ni elaborano il senso della vita.
Così l'Oratorio diventa il luogo
che non fa da riempitivo o com-
pletamento alle altre istituzioni più
organizzate (come la scuola, ecc.),
ma addirittura permette una sintesi
vitale».
Domandiamo se l'Oratorio non
stia rischiando la ripetitività di un
modello, efficace ai tempi di Don
Bosco, ma consumato dall'usura,
spiazzato da agenzie laiche più agi-
li e affascinanti, inadeguato di
fronte ai nuovi bisogni giovanili
indotti dalla cultura odierna.
«Ci sono oratori - afferma d.
Vecchi - che si ripetono e non
agganciano più, perché non sono
eritrati nella dinamica del territorio
o perché non inseriti nella vita della
Chiesa locale o perché non corri-
spondono più al livello e ai conte-
nuti di un 'età adolescenziale e gio-
vqne. Vedo, però, molti segni di
vivacità. Un punto qualificante de-
gli ultimi tempi è stato il rinnova-
mento dei processi di evangelizza-
zione che partono dalla situazione
dei giovani. Sono esperienze non
cosi socializzate da produrre un
modello esportabile. Bisognerà ar-
rivarci. li riferimento a Don Bosco
richiama gli elementi ispiratori:
l'Oratorio come missione aperta
nel continente giovanile; l'Oratorio
come spazio di crescita umana, di
educazione e di evangelizzazione
che partono dai bisogni e dalle do-
mande dei giovani; l'Oratorio co-
me luogo dove si attua la metodo-
logia educativa della partecipazio-
ne, del protagonismo dei giovani,
della costruttività offerta da/l'am-
biente. Sono elementi che la <<me-
moria» di f)on Bosco rilancia cari-
chi di attualità e di profezia».
Sul versante dei problemi e delle
urgenze, don Vecchi accenna: «La
gestione di alcuni oratori è im-
provvisata e discontinua. Bisogna
prendere coscienza che si tratta di
ambienti globali, come la scuola, e
che non sono solo un cortile da
riempire con qualunque attività.
Occorre un progetto educativo
preciso negli obiettivi, nella quali-
tà, nelle proposte. Occorre una ri-
flessione globale e sistematica che
sappia riprendere le possibilità de/-
l'Oratorio connesse con la dinami-
ca del territorio, la dinamica eccle-
siale e legate ad una conoscenza
più precisa della mentalità giovani-
le e della condizione dei giovani».
Sembra in atto la volontà di ri-
pensare e rivitalizzare una intuizio-
ne di Don Bosco che ha fatto sto-
ria e che continua ad essere una
esperienza educativa qualificata,
almeno dove non soffre incro-
stazioni dovute a stanchezza, di-
sinteresse, scoraggiamento, perdita
deUa propria ispirazione profonda.
Non si vuole più l'Oratorio «usa e
getta», l'Oratorio «dove lo sport è
l'ultimo a morire», dove «il mio
bambino è educato e non lo
mando», dove «l'Oratorio è la tua
casa» che spalanca indistintamente
le porte anche agli «ultimi», la-
sciandoli, però, nella situazione di
partenza...
Emerge la ricerca di una strate-
gia rinnovata che parte da un ac-
corto rilevamento della situazione
giovanile, da un adeguamento del-
le strutture, dalla riqualificazione e
dall'ampliamento del personale
educativo. Ma, forse, il punto de-
terminante è l'appropriazione con-
vinta, da parte dei salesiani e dei
loro collaboratori, della passione
educativa di Don Bosco, che nasce
dalla stima e dall'amore verso i
giovani. Insomma: un fatto di
cuore.
Pierdante Giordano

4.5 Page 35

▲back to top
1 GENNAIO 1988 35
Si chiamava Garelli la «prima pietra»
dell'oratorio salesiano
La nascita e lo sviluppo dell'Istituzione
voluta da Don Bosco, come ce l'hanno
narrata "antichi allievi» sul ,,Bollettino
salesiano» a partire dal gennaio 1879.
La nascita e gli sviluppi dell'Oratorio
salesiano sono raccontati a puntate •da
antichi allievi interni ed esterni, eccle-
siastici e laici•, sul •Bollettino salesia-
no» a partire dal numero del gennaio
1879. Don Bosco è ancora alla testa
dell'ormai grande famiglia saleslana,
circondato dalla venerazione dei suoi fi.
gli. La storia dell'Oratorio è dunque un
atto dì riconoscimento all'opera del
Fondatore, che dell'oratorio stesso è il
protagonista. Ma proprio perché è ancc>-
ra tra loro, i narratori temono quasi di
violarne la modestia e perciò la narra-
zione si apre con una premessa che di-
ce: •Il protagonista cl perdoni se cc>-
strettl dalla natura delle cose, noi lo fac-
ciamo sbvente venire in scena suo mal-
grado. Ormai non si tratta più di Don
Bosco, ma di un fatto, di cui si rese già
padrona la i.torla, e a cuì non solo ì po-
steri, ma anche I presenti hanno diritto
di conoscere appieno, per meglio ammi-
rare la condotta della Divina Prowlden-
za nelle opere sue•. Da quel racconto
raccogliamo qui alcunl brani che voglia-
mo, benché essi siano largamente noti,
riproporre come cenni storici dell'awlo
dell'oratorio salesiano.
•Don Caffasso prese a condurre Don
Bosco nelle prigioni di Torino. Il vedere
turbe di giovinetti sull'età dai 12 ai 18
anni, inoperosi, rosicchiati dagli insetti,
espiare in quei luoghi di pena, con una
trista reclusione e più ancora coi rimor-
si, le colpe dì una precoce malizia, fece
Inorridire il giovane prete. Egli vide In
quegli infelici personificato l'obbrobrio
della patria e il disonore della famiglia;
vide soprattutto anime redente e franca-
te dal Sangue di un Dio gemere invece
schiave del vizio; e nel più evidente pe-
ricolo di andare eternamente perdute.
Osservò ancora che il numero di quei
disgraziati andava ogni giorno crescen•
do; e quelli stessi che, scontata la pe-
na, erano restituiti a libertà, ben presto
tornavano in quel luogo carichi di nuovi
delitti e di una nuova condanna. Cer-
cando poi la causa di tanta depravazic>-
ne In quei miseri giovani, gli parve di
trovarla nei loro allontanamento dalle
pratiche religiose nei giorni festivi. Con-
vinto di ciò, Don Bosco andava dlcen•
do: "Chi sa se questi giovinetti avesse-
ro avulo un amico, che si tosse presa
amorevole cura di loro, Il avesse assisti-
ti ed Istruiti nella Religione nei giorni cli
festa, chi sa se non si sarebbero tenuti
lontani dal mai fare, e se non avrebbero
evitato di venire e di ritornare In questi
luoghi di pena? Non sarebbe questa co-
sa della più grande Importanza per la
Religione e per la civile Società il ten-
tarne la prova per l'awenire a vantag-
gio di centinaia di migliaia di altri?" Egli
comunicò questo pensiero a don Cal•
fasso e con suo consiglio e i suol lumi
prese tosto a studiare Il modo di effet-
tuarlo•.
•(...) L'8 dicembre 1841, Don Bosco,
nella sagrestia di San Francesco di As-
sisi, stava in procinto di vestirsi del sa•
cri paramenti per celebrare Messa. Il
sagrestano, vedendo un giovinetto in un
canto lo invita a venirgliela a servire. -
Non so, egli rispose tutto mortificato -
non l'ho mal servita. - Bestione che
sei, gridò il sagrestano infuriato, se non
sai servir Messa perché vieni In sagre-
stia? E in men che non si dice dà piglio
allo spolverino e giù colpi sulle spalle e
sulla lesta del poveretto. Mentre questi
se la dava a gambe, "che fate?" gridò
Don Bosco al sagrestano, "perché bat-
tete quel giovinetto? che cosa vi ha tat-
to? ... chiamatelo all'istante, è un mio
amico". (...) Celebrata la Messa, Don
Bosco fece venire a sé il giovane e con
faccia allegra, ed assicuratolo che non
avesse più timore di percosse, prese a
interrogarlo cosi: - Mio buon amico,
come ti chiami? - Mi chiamo Bartolo-
meo Garelli. - Di che paese sei? -
Sono di Asti. - Vive ancora tuo padre?
- No, mio padre è morto. - E tua ma-
dre? - Mia madre è anche morta. -
Quanti anni hai? - Ne ho sedici. - Sai
leggere e scrivere? - Non so niente.
- Sei stato promosso alla Santa Comu-
nione? - Non ancora. - Ti sei già
confessato? - SI, ma quando ero pic-
colo. - Vai al catechismo? - Non oso.
- Perché? - Perché i miei compagni
più piccoli sanno la dottrina e io sl gran-
de non so nulla: per questo ho verg<>-
gna di mettermi tra loro. - Se ti facessi
io stesso un catechismo a parte, verre-
sti ad ascoltarlo? - Cl verrei di buon
grado. - Verresti volentieri anche in
questa cameretta? - SI, purché non mi
si diano bastonate. - Sta tranquillo che
nessuno ti maltratterà più. Anzi d'ora in
avanti sarai mio amico, ed avrai a da
fare con me e con nessun altro. Quan-
do vuoi dunque che incominciamo? -
Quando a lei piace. - Stasera? - Si.
- Vuol anche adesso? - SI, con molto
piacere. (...) Dopo circa mezz'ora egli lo
licenziò con grande benevolenza, fa-
cendogli promettere che sarebbe ritor-
nato la seguente domenica. (...) A que-
sto giovane allievo, che pu0 chiamarsi
la prima pietra dell'Oratorio, altri se ne
aggiunsero in appresso•.
(...) L'anima del nostro oratorio, il no-
stro impareggiabile amico, anzi teneris-
simo padre, era sempre Don Bosco.
Egli consacrava a noi non solamente il
giorno festivo, ma si può dire tutta la
settimana. Quando sapeva che taluno
di noi era dlslmplegato, o stava presso
a cattivo padrone, ei sl adoperava con
sollecitudine affettuosa a trovargli un la-
voro, ed affidarlo a un padrone onesto
e cristiano. Di ciò non pago egli quasi
ogni giorno veniva a visitarci In mezzo
ai nostri lavori, nelle officine e nelle fab•
briche. In queste visite, Don Bosco ri-
volgeva una parola ad uno, una doman-
da ad un altro, dava un segno di bene-
volenza a questo, faceva un regalo a
quello, e tutti ci lasciava con una gioia
indicibile•.

4.6 Page 36

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36 · I GENNAIO 1988
DAL GIOCO
DEI BUSSOLOTTI
ALL'INVENZIONE
DEI MEDIA
Don Bosco «comunicatorf! nato»,
« moderno e antico, geniale ed
enigmatico». Nelle sue mani ogni
oggetto è un messaggio che si
trasforma in una proposta di vita.
Don Bosco fu un co-
municatore nato. Cioè di razza,
incontenibile. Nella comunicazione
modificava se stesso, diventava più
moderno delle sue idee, inventava
pedagogie. Mostrava d'aver capito
bene la civiltà industriale, di cui
per principio era nemico. E come
lulli i grandi comunicatori, aurac-
va e faceva paura. Cent'anni dopo
la morte, continua quell'effetto.
Se dovessi studiare il rapporto
tra Don Bosco e i mass media par-,
tirei da qui: il conversatore, e poi
il saltimbanco e il prestigiatore, il
prete che organizza i giovani fa-
cendoli «schiamazzare a piacimen-
to», che fonda scuole e pubblica-
zioni, organizza spettacoli. E infi-
ne il suo capolavoro di comunica-
zione: la reinvenzione, a misura
della citlà industriale, dell'Oralo-
rio. Che è un sistema integrato di
scuola e lavoro, tempo libero e re-
ligione: «Una macchina perfetta in
cui ogni canale di comunicazione,
dal gioco alla musica, dal teatro
alla stampa, è gestito in proprio su
basi minime, e riutiliz1.ato e di-
scusso quando la comunicazione
arriva da fuori» (Umberto Eco).
Ma io non ho competenze spe-
ciali per trattare questo argomen-
to. Posso solo dire la mia impres-
sione: di uomo dei media, che si è
appassionato alla lettura delle
«Memorie dell'Oratorio». E che
ha cercato di capire il senso gene-
rale delle ultime dispute sulla figu-
ra di Don Bosco: che banno se-
gnalato quanto fosse moderno e
antico, geniale ed enigmatico il
fondatore dei Salesiani. O meglio:
quanto egli appaia ancora tale,
contraddilloriamente, un secolo
dopo.
L ' identikit
di un «piemontese
moderno»
Don Bosco comunicatore, dun-
que. So che Don Bosco è stato de-
fiajto «un amìco dei giovani»
(cardinale Montinì), un «grande
educatore dei giovani» (Giovanni
Paolo ll). Un « filantropo eroico»
(Giovanni Semeria), «evangelizza-
tore nel senso più profondo della
parola» (Jan Joergensen), un «vi-
vo esempio di santità in azione»
(Henri Daruel Rops), «uomo prati-
co per eccellenza» (Joris Karl
Huysmans), un santo che «si tra-
sforma in vero e proprio sindacali-
sta» (Piero Bargellini), un mistico
che «sj preoccupa di operare con
senso evangelico in seno alla socie-
tà» (Gaetano Salvemini). infine,
in modo forse più di ogru altro
riassuntivo, Italo Alighiero Chiu-
sano ha scritto che Don BoH·o in-
carna, tra i grandi santi, la figura
del «piemontese moderno».
Queste definizioni, lette im 1eme,
ci danno il seguente identikit: un
piemontese moderno, che si f.t tut-
to a tutti, per amore dei giovani e
della loro evangelizzazione. Ebbe-
ne: alla base dell'avventura salesia-
na io vedo l'istinto di comunicato-
re di Don Bosco. li suo «sorriso
furbo». La sua magica percezione
degli uomini: «Era ancora piccoli-

4.7 Page 37

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no assai e studiava già il carattere
dei compagni miei. E fissando ta-
luno in faccia, per lo più ne scor-
geva i progetti che quello aveva in
cuore. Per questo in mezzo ai miei
coetanei era molto amato e molto
temuto». Lo dice lui, di quando
aveva dieci anni. Così successe in
tutta la sua vita. Così, sembra,
succede ancora. Dunque il sorriso
furbo, l'occhio che vede. E terza
la parola: «Ciò che li raccoglieva
attorno a me e li allettava fino alla
follia, erano i racconti che loro fa-
ceva». Una parola che diventerà
potente e capace di effetti pratici
prima d'essere pronunciata: «Un
giorno un carabiniere, vedendomi
con un cenno di mano ad imporre
silenzio ad un quattrocento giova-
netti, che saltellavano e schiamaz-
zavano pel prato, si pose ad escla-
mare: se questo prete fosse un ge-
nerale, potrebbe combattere con-
tro al più potente esercito del
mondo».
All'origine della forza di parola,
decisiva nel comunicatore Don Bo-
sco, c'è qualcosa di più elementare
del contenuto deJJe parole. Il mes-
saggio viene dopo: in principio c'è
la meraviglia di una parola che
l'interlocutore avverte jmmediata-
mente come rivolta a se stesso. Le
testimonianze su questa magia del-
la parola personalizzata, che segue
alla magia dello sguardo conosci-
tore, sono innumerevoli. Citerò
quella di Papa Ratti, il Pontefice
che canonizzò Don Bosco e che
nell'autunno del 1883 era stato
ospite di Don Bosco, nella Casa
Pinardi: «Eccolo a rispondere a
tutti: e aveva la parola esatta per
tutto, così proprio da meravigUa-
re: prima infatti sorprendeva e poi
troppo meravigliava».
/1 segreto
dell'oratorio salesiano
La meraviglia può essere iruzio a
molte cose. In Don Bosco dava
IIlJZlO a un processo di comunica-
zione che non si fermava più:
1 GENNAIO 1988 37
coinvolgendo tutto l'uomo, sia il
trasmettitore che il destinatario e
tutti gli oggetti intorno; e lo spazio
che li conteneva, dal prato alla cit-
tà; e il tempo in cui quella scena
di comunicazione si svolgeva, che
finiva con l'estendersi a tutta la
giornata, reclamando anche la not-
te. Ed ecco che seguendo questo
tracciato della comunicazione ab-
biamo indicato il segreto di quella
macchina geniale di comunicazione
globale che è l'oratorio: che tende
a rifare tutta la giornata dei «gio-
vanetti» che in esso si inseriscono,
volendone rifare la vita.
Ecco dunque il corpo: <do face-
va i giuochi dei bussolotti, il salto
mortale, la rondinella, camminava
sulle mani; camminava, saltava e
danzava sulla corda, come un sal-
timbanco di professione». Tutto il
Don Bosco comunicatore è un sal-
timbanco, che salta tutta la vita. E
muovandosi tutto fa muovere tut-
ti: «Una turba di fanciulli seguiva
ovunque i miei passi», in una
<<smodata ricreazio.ne» che spaven-
tava i benpensanti.
Ed ecco gli oggetti: «lo era peri-
tissimo ad uccellare colla t rappola,
colla gabbia, col vischio, coi lacci;
pratichissimo delle nidiate. Fatta
raccolta sufficiente di questi ogget-
ti, io sapeva venderli assai bene. I
funghi, l'erba tintoria, il treppio
erano eziandio per me una sorgen-
te di denaro». Sono i materiali po-
veri del ragazzo contadino che si
fa ciarlatano di professione. E che
trovano continuazione nei materia-
li poveri di uno sfratto di sagre-
stia: «Si prendono panche, ingi-
nocchiatoi, candelieri, alcune se-
die, croci, quadri e quadretti». E
in quelli di una scuola dormitorio:
«Costui portava legna, quell'altro
acqua; secchia, molle, palette;
brocca, catinella, sedia, scarpe, li-
bri». In mano a Don Bosco, ogni
oggetto è un messaggio: « Mi reca-
va nelle carceri colle saccocce pie-
ne ora di tabacco, ora di frutti,
ora di pagnottelle». Alcune oggetti
sono già un messaggio in partenza
e Don Bosco li trasforma in pro-
poste cH vita: « Il buon teologo
Guala e don Cafasso mi davano
volentieri immagini, foglietti, li-
bretti, medaglie, piccole croci da
regalare. Talvolta mi dièdero mez-

4.8 Page 38

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38 · I GENNAIO 1988
I Al lavoro presso n Centro
Salesiano di produzione di
Belo tforlzonte In Brasile e
nella pagina precedente presso
Il reparto stampa della SEI di
Torino
(Foto Archivio SEI)
zi per vestire alcuni che erano in
maggior bisogno, e dar pane ad al-
tri per più settimane».
Ecco: abbiamo forse toccato il
punto focale da cui nasce quella
grande rappresentazione che è l' O -
ratorio salesiano. Con materiali
poveri, dati in mano a ragazzi po-
veri, Don Bosco compone il suo
discorso: « In generale l'Oratorio
era composto di scalpellini, mura-
tori, stuccatori, selciatori, quadra-
tori e di altri che venivano lon-
tani paesi». Sarebbe Facile - ora
- seguitare in questa esposizione
e mostrare come i materiali poveri
da cui parte Don Bosco, che sono
spesso « mezzi» di sussistenza, di-
ventino a poco a poco mezzi di co-
municazione di massa. Essendo il
numero dei ragazzi «cresciuto fuo-
ri misura». Ed inventando Do n
Bosco, per istinto di comunicato-
re, nuovi metodi di scuola e un'in-
tera nuova pedagogia. Sarebbe fa-
cile mostrare il progressivo ampia-
mento, nello spazio e nel tempo,
dell'iniziale Oratorio festivo. Il
tutto per naturale crescita della co-
municazione iniziale: « lo mi tro-
vava un mucchio di attrezzi di
chiesa e di ricreazione, me ntre io
non aveva un palmo di terreno do-
ve poterci raccogliere>>.
Fermiamoci qui, invece. Ché
forse abbiamo detto tutto. Ag-
giungendo un solo esempio. Di co-
me nasce la componente musicale
d ell' Oratorio, che presto diviene
anch'essa nuova pedagogia musi-
cale, tale da interessare gli esperti
della materia: « In mezzo a quei
trambusti avevamo la nostra musi-
ca, che consisteva in un tamburo,
in una tromba ed in una chitarra.
Era tutto disaccordo; ma, serven-
do a far rumore, colle voci dei
giovani bastava per fare una mera -
vigliosa armonia». E si arriverà al-
la «scuola di canto fermo e di mu-
sica vocale». E sarà « la prima vol-
ta che la musica era insegnata in
classe a molti allievi contempora-
neamente». E «i famosi maestri
venivano ansiosi ad assistere ogni
sera le mie lezioni» e « che non
sapeva un milionesimo di quanto
sapevano quelle celebrità, la face-
va da dottore in mezzo a loro».
L ' «invenzione»
delle scuole serali
E lo stesso procedimento, di co-
municazione-invenzione-mass me-
dia, vale per le scuole serali: « Era
la prima volta che nei nostri paesi
avevano luogo tali scuole». Le
pubblicazioni divulgative e periodi-
che, fino alle « Letiure Cattoli-
che»: « I molti impetml che io ave-
va nelle carceri, nell'Ospedale Cot-
tolengo, nel Rffugio, pell'Oratorio
e nelle scuole facev1u-1P si, che do-
vessi occuparmi di nc)He per com-
pilare i Librntti che ml erano asso-
lutamente necessari ». )l le « decla-
mazioni, i dialoghi, I teatrini». E
commedie per divertiro, com e «Un
caporale di Napoloape»; o per
combattere i Valdesi, come quella
del 1853, che il giormue valdese
« La buona novella» gondanna co-
si: «Chi avvilisce la religione fino
a quel punto di ric:llcolo, è segno .
che non la crede. Chi trascina il
nome adorabile del nostro Salvato-
re Gesù Cristo sui LCtltrl, noi lo rl-
tenjamo per un sacrllogo».
Don Bosco comu11fçatore non si
ferma mai. Non teorizza, non ha
un piano che non sia l'ansia evan-
gelizzatrice e l'istinto comunicato-
re combinati insieme. Distribuendo
immaginette e polent4 Inventa l'O-
ratorio: « Pane, polenta, fagiuoli,
riso, patate, cacio, rrnua, ogni co-
sa fu acconciata e loro somrninj-
strata». Con una tromba e un
tamburo arriva alla c<Ncuola di pia-
no e di organo e l14 ~tessa musica
istrumentale». E tuttQ serve per la
comunicazione esse11zjale, che è di
muovere la gente per rifarne la vi-
ta: « li caino per via, la musica in
chiesa trassero innumerabile folla
di gente».
Forse una sola reaoJa segui Don
Bosco nel muoversi dai mezzi di
sussistenza ai mezzi di comunica-
zione: « Abbandonare, la lingua e
l'orditura dei classlol, parlare in
volgare dove si può, od anche in
lingua italiana, ma i:wpolarmen te,
popolarmente, popolllrmente». E
da quella regola vennero giornali e
libri «da mettere nolle mani del
basso popolo ». I «c1n1elli)) intito-
lati « Ricordi pei cattolici». li « li-
brettino» col titolo c<Avvisi ai cat-
tolici>>. Fino a lle « Letture Cattoli-
che» che nascono noi 1853 ed ban-
no lo scopo di prochure « libri pel
popo.lo», in <cstile semplice, dicitu-
ra popolare». E anoh~ gli avversa-
ri gli riconosceranno il « gran do-
no» dj «farvi capire e farvi leggere
dal popolo»,
l,ulgi Accattoll
Vaticanista del Ccmlere della Sera

4.9 Page 39

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MA LA MISSIONE
CONTINUA
«Rispondiamo con ge-
nerosità all'appello di Cristo: an-
date e fate dei discepoli in tutte le
nazioni (Mt 28, 19). Siamo tutti
missionari». Questo richiamo al
dovere, che si pensa connaturale al
cristiano, verso l'evangelizzazione
è contenuto n~lla parte finale del
«Messaggio al Popolo di Dio» che
è stato rivolto alla conclusione del
recente Sinodo dei Vescovi, tenu-
tosi in ottobre a Roma, su «Voca-
zione e Missione dei Laici nella
Chiesa e nel Mondo, a ·vent'anni
dal Conciliq Vaticano n». «Lo
spirito - era detto in precedenza
nello stesso Messaggio - ci fa
scoprire più chiaramente che oggi
la santità non è possibile senza im-
pegno per la giustizia, senza soli-
darietà con i poveri e gli oppressi.
li modello di santità dei laici deve
integrare la dimensione della tra-
sformazione del mondo secondo il
piano di Dio».
Missione, quindi, «ad intra», e
«ad extra»: oggi, qui e altrove.
Fra i dannati della terra, dai negri
del Sudafrica alla periferia di Ro-
ma con gli zingari invisi, spiritual-
mente uniti con i fedeli perseguita-
ti nel Nordeste brasiliano e in
Vietnam o in Cambogia. Dovun-
que sia territorio di 111Ìssione: a co-
minciare dalle nostre stesse società
europee, di civilizzati, benestanti,
sfamati e soddisfatti. Senza pensa-
re alle grandi mutazioni in corso,
anche di tipo strutturale. In Italia,
ad esempio, operano suore india-
ne. L' America Latina si appresta a
cogliere il senso di un ammoni-
mento affinché, a cinquecento an-
ni dall'inizio dell'evangelizzazione,
ora «si levi in piedi» e restituisca
i valori che le sono stati offerti in
passato. ln alcuni Paesi d'Africa
- come la Nigeria - funzionano
1 GENNAIO 1988 39
In questi vent'anni è cresciuta
con la consapevolezza d'essere
chiesa anche quella d'essere
tutti missionari.
Don Bosco pensò di
coinvolgere tutti per «salvare
anime».

4.10 Page 40

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40 · 1 GéNNA10 1988
seminari destinati alla preparazio-
ne di missionari. Persino alcune
.comunità cattoliche dell'Est euro-
peo - Polonia, Jugoslavia -
sfornano evangelizzatori.
«Vidi che ora i salesiani semina-
no soltanto, ma i nostri posteri
raccoglieranno. Uomini e qonne ci
rinforzeranno e diverranno predi-
catori»: così San Giovanni Bosco
nel celebre sogno che accompagna-
va la prima attività missionaria
della congregazione in America
Latina. Un'opera anche qi «pro-
mozione umana» quasi profetica
per il contesto temporale e i luoghi
in cui si svolgeva, tale da dar ra-
gione, a termine, a tanti incompre-
si pionieri assimilati spesso a me-
statori e perturbatori della quiete
dei benpensanti. La storia del
mondo rigurgita cli episodi di cat-
tolici - sacerdoti e laici, religiosi
e suore - cacciati, imprigionati,
torturati, processati, «giustiziati»
o assassinati con rito sommario
soltanto per essersi schierati dalla
parte di chi chiedeva giustizia, ge-
neralmente e naturalmente j mjseri
e gli oppressi.
L~ nuove frontiere della missio-
ne non richiedono, comunque, più
di una moderata apologia, 1 risul-
tati infatti possono essere apprez-
zati sul campo. lntere conferenze
episcopali cli territori un tempo
considerati da evangelizzare sono
oggi composte da presuli locali
(dai quali, sia detto dj passaggio,
si reclutano anche capaci ministri
della Chiesa universale); altre si
apprestano a diventarlo. Paesi in
cui la persecuzione ha creduto,
espellendo i sacerdoti stranieri
(spesso assai benemeriti), di sradi-
care la pianta della fede, ha pro-
dotto frutti di un clero indigeno
altrettanto preparato e saldo. Nel
Sinodo dei Vescovi sul laicato, due
terzi degli interventi sono stati di
rappresentanti, orclinati o no, del
Terzo Mondo.
La missione, quindi si trasforma
da evento esotico, con caratteristi-
che di meraviglia e avventura, in
uno «status», una dimensione esi-
stenziale per chi, cristiano, non
può, non deve dire cli non sapere.
Come nella semplice risposta di un
parroco durante una celebrazione,
quando uno dei presenti obbiettò
che non vedeva la necessità di
mandare missionari in terre lonta-
ne, mentre c'era tanto da fare nel-
la zona circostante: «Ebbene, fac-
cia».
L'ignoranza talvolta è soltanto
pigrizia, non certamente una giu-
stificazione. Bisogna chiedersi
quanti fedeli sappiano, oggi in Ita-
lia, che il programma pastorale
della nostra Chiesa locale per que•
sto triennio 1986-1988 si intitola
<<Comunione e Comunità mjssio-
naria», in quanto sviluppo di quel-
lo precedente dedicato a «Comu-
nione e Comunità». AJlo stesso
modo ci si può interrogare sul gra-
do di informazione ecclesiale - se
vogliamo su un piano puramente
nozionistico - dei cattolici allor-

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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-------~-
ché, ogni volta, ci si meraviglia ed
è come nuova la notizia che diciot-
tomila nostri compatrioti fra preti,
religiosi, suore e laici, servono co-
me missionari in ogni parte del
mondo. Ci si chiede come possa-
no, \\questi nostri fratelli, sentirsi
sostenuti dall'aiuto e dalla preghie-
ra della comunità se non si abbia
la consapevolezza del loro impe-
gno di vita.
«Mentre - afferma il citato do-
cumento dei Vescovi italiani - la-
vora ed opera per far sorgere nuo-
ve comurùtà nel mondo, la missio-
ne promuove anche una salutare
rigenerazione delle Chiese e comu-
nità cristiane del nostro Paese. Il
generoso impegno verso le giovani
Chiese e la forte testimonianza che
esse offrono avrà un effetto positi-
vo per le nostre comunità aiutan-
I GENNAIO r98B · 41
dole a ritrovare slancio evangelico,
iniziativa e fiducia nella forza del-
la Parola di Dio, ricchezza di vo-
cazioni e ministeri».
Il cristiano «non è un navigato-
re solitario», dice ancora il docu-
mento che si rifà al precedente Si-
nodo dei Vescovi del 1985~sull'e-
vangelizzazione e che indicava nel-
la « "opzione preferenziale" per i
poveri, gli oppressi e gli emargina-
Lettere dalla Patagonia al e.carissimo superiore~~
I primi missionari salesiani raccontavano a Don Bosco le loro
«awenture;; nelle terre quasi Inesplorate dove Lui Il aveva Inviati.
I primi salesiani Inviati da Don Bosco
missionari In America Latina furono co-
stretti dalle condizioni ambientali diffici-
lissime ad affrontare Inauditi sacrifici.
Sorretti dall'Incoraggiamento costante
di Don Bosco, dalla volontà ferrea di
soccorrere i bisognosi e di salvare ani-
me, essi superarono ogni ostacolo, si
aprirono la strada in terre Inesplorate, si
dedicarono soprattutto all'assistenza
degli lndios, le popolazioni indigene che
I conquistatori europei scacciavano dal-
le loro terre e massacravano senza pie-
tà. Per ricordare I primi anni delle mis-
sioni volute da Don Bosco, stralciamo
dal •Bollettino salesiano• degli anni
1879-82 alcuni brani delle relazioni che
i missionari erano solttl Inviare dalla Pa-
tagonia, l'estrema punta meridionale
del Continente latino-americano, al loro
•carissimo Superiore e padre• a Torino.
Dalle rive del Aio Negro, in Patago-
nia, le mando I nostri saluti insieme a
un forte grido di "viva Maria Ausiliatri-
ce"... Non posso dirle ciò che abbiamo
patito lnslno adesso, la fame e la sete
furono I nostri compagni fedelissimi in
questo arrischiosissimo cammino. La fa-
me, specialmente, che saziammo con
carne di fiere e di poledro... Dobbiamo
però ringraziare il Signore lddio d'averci
sempre dato bel tempo: guai se si fos-
sero scatenate le solite "tormente" di
questo deserto. Mentre gli altri compa-
gni di missione sono in arrivo io sto ca-
techizzando alcune povere indiane, alle
quali furono uccisi (dai soldati argentini
n.d.r.) i fratelli, i padri, i mariti. Non è
da meravigliare quindi se talvolta arma-
to della carità di Gesù Cristo io gridi
contro questa barbariel nè posso dirle
tutto... Dico solo che per dormire a cie-
lo scoperto, mangiar carne di cavallo e
bere acqua di ruscelli quando la si tro-
va, non basta una vocazione ordinaria,
cl vuole una vocazione di ferro...•
Il governo argentino ha annunziato
che gli indli della pampas sono stati
sterminati. Fra I prigionieri, gli atti a
portare armi furono Incorporati nell'e-
sercito, altri Internati nelle province. E
le loro famiglie, i loro flglioll? Come fos-
sero oggetto di acquisto, preda o botti-
no, vennero distribuiti a chi ne faceva
richiesta. La parola "sterminio" e que-
sta " distribuzione", contraria alle leggi
e al sentimenti di natura, sollevò un gri-
do unanime di riprovazione, lamentando
gli uni che fossero per tal modo violati
I diritti e rotti I vincoli della famiglia, e
gll altri che Invece della Croce slasi fat-
to uso della spada, al solo scopo di di•
struggere i poveri selvaggi... Per prov-
vedere a questi disgraziati e per comu-
nicare con le rimanenti tribù, I nostri
missionari salesiani si sono messi In
viaggio...•
In Patagonia si recarono anche le
suore di Maria Ausiliatrice. Ecco un bra-
no della relazione Inviata a Don Bosco
da una di esse:
«Stiamo preparando delle vestine ed
altri abiti per le nostre povere indiane e
cl pare che Il Signore ci stia apparec-
chiando molto lavoro. Noi lo desideria-
mo ardentemente, onde salvare tante
povere anime, che giacciono sepolte
nelle tenebre dell'Ignoranza. Ah, reve-
rendo Padre, se vedesse quante india-
ne cl sonol Cl fanno veramente com-
passione e ci duole grandemente di non
poterle aiutare tutte, perché noi siamo
troppo poche e molto povere. Questa
nostra scuola di Carmen conta ora tren-
ta ragazze e due educande. Se avessi-
mo di che mantenerle, potremmo rice-
verne, istruirne e salvarne moltissime.
Tutte le domeniche andiamo alla par-
rocchia a fare Il catechismo alle fanciul-
le cristiane, una volta al mese le faccia-
mo confessare e un buon numero si ac-
costa alla Santa Comunione con un
contegno molto devoto•.
Il Rio Negro nel pressi di Vledma In Argentina
(Foto Cristina Abbondi de Vega)

5.2 Page 42

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42 · I GfiNNAIO 1988
Don Bosco, vieni in Africa!
di Alessandro do Nascimento
la casa dove vivo prowlsorlamente si affaccia su un cortile abbastanza am-
pio. È del salesiani, I quali da pochi anni hanno assunto la Parrocchia •San
Paolo•: tra le più popolate e popolari del luogo. la borghesia coloniale aveva
altre chiese In Luanda con più di quattrocento anni di vita.
la situazione privilegiata In cui ml trovo mi permette di osservare con discre-
zione ed a lungo il metodo ormai rinomato dei Salesiani, come educatori. L'af-
flusso continuo di gente sconosciuta che viene, spontaneamente, a parlare col
salesiani è Interrotto soltanto dalla necessità di riposo.
Come la Chiesa predilige I poveri, cosl i Salesiani preferiscono la gioventù
povera. Vorrei che notaste il fati.o che i giovani fin dal mattino presto vengono
dai sacerdoti ed è sera Inoltrata, quando rl\\ornano e si separano da loro. C'è
sempre chi gioca al pallone, chi corre, chi salta, chi fa prove di canto. Tempo
fa ho assislllo ad una accademia allestita da questi giovani che crescono sotto
l'Influsso educativo dei figli di Don Bosco. Durante questo mese di ottobre, alle
otto e mezza della sera, si riuniscono una cinquantina di giovani di entrambi
I sessi, I quali passeggl~ndo avanti e Indietro per Il cortile, recitano Il rosario.
Alla fine, poi, c' è una breve esortazione di carattere spirituale, dopo di che se
ne ritornano, rispettosamente e in ordine, alle loro case. Osservando questo
spettacolo provo un po' di consolazione anch'Io che vivo angustiato per il pro-
blema della gioventù in una città che supera il milione di abitanti e dove, indi-
scutibilmente, la maggioranza della popolazione ha meno di trenl'annì. L'atmo-
sfera di Incertezza che la guerra prolungata ha finito per lstaurare: l' aumento
della orlmlnalltà minorile, l'awlllmento, la seduzione dell'ateismo. Chi non vede
che tutto questo toglie il sonno a noi che amiamo la Chiesa ed abbiamo un'Idea
di Patria? E se volgo lo sguardo all'Intero continente africano, non penso che
Il grido possa essere altro se non questo: •Don Bosco, vieni In Africa! Vieni
per aiutarci e darci una mano per questa gioventl'.4 di qualità (valori) esimie. Veri
diamanti che hanno bisogno d'essere levlgatll• E chi meglio farebbe se non
quelli che nutrono per Il giovane un affetto disinteressato, rispettoso, ed eslgen•
te? loro che In un clima di reciproca fiducia tra educatore ed allievo, infondono
Il senso della dignità eminente di cui si riveste Il lavoro professionale e che pos-
seggono la gioia come attitudine perenne? Don Bosco ricevette dal Signore
quello sguardo pieno di affetto esigente con cui Crlst.o rimirò il giovane, il quale
voleva scoprire le vie della perfezione. Vengano, perciò, I figli di questo santo,
padre della gioventù, in numero più significativo. I migliori lo seguiranno e con
lui seguiranno Cristo.
Alessandro do Nascimento
Cardinale Arcivescovo di Luanda (Angola)
Presidente •Carltas• Internazionale
ti uoa delle vie che il Concilio ha
aperto alla Chiesa per una sua ef-
ficace presenza missionaria». Per
« ripartire qagli ultimi», come con-
tenuto concreto di ogni evangeliz-
zazione. Concreto, diciamo. E
pensiamo, fra gli altri, ai S.U.B.
che, dove arrivano, installano un
laboratorio, una scuola professio-
nale, un oratorio, per insegnare e
testimoniare.
Nel 1987 si sono celebrati i venti
anni dalla pubblicazione dell'Epci-
clica <<Populorum Progressio» e la
Giornata delle Comunicazioni so-
ciali del I988, la XXI, è dedicata
alla « promozione della solidariet4
e della fra~ernità tra gli uomipi e
tra i popoli)): un richiamo evidente
all'analoga Giornata del 1968, che
aveva per tema « La stampa, la ra-
diotelevisione e il cinema per il
progresso <tei popoli», a forte con-
tenuto evangelizzatore. A testimo-
niare una continuità di interesse, il
filo rosso cli una sollecitudine mis-
sionaria che ormai si è fatta con-
suetudine nella vita della Chie!la e
nella consapevolezza cli ogni cri-
stiano attento al richiamo dell'im-
pegno comune.
Dovrell1qlo forse sentire in noi
quel senso di disagio che un mis-
sionario te111poraneamente tornato
dal Bangladesh confessava di pro-
vare in una società come la nostra,
apparentemente senza memoria de-
gH alLri e senza solidarietà. Meptre
siamo ammoniti che « Lo spi.tito
missionario è l'anima della quoti-
eliana attività pastorale della Ct,ie-
sa» (44, CCM). «La Missione -
dice il documento alla conclusione
- apre la Chiesa a una prospetti-
va cli letizia pasquale che è carica
cli sper~ per il futuro. ll Signo-
re risorto quando manda i suoi li
accompagna sempre con le parple:
"Non temete" e "Io sono con
voi"... E guardando all'immensa
folla deU' 4manità che attende la
Parola, la Chiesa sente tutta la sua
umana impotenza, ma prega e
canta come Maria il suo "Magni-
ficat" perché sa che la s ua povertà
sarà colmaia dalla ricchezza cli Dio
e la sua debolezza dalla forza di
Colui che compie meraviglie».
Angelo PaoJuzl
rcdauore capo dl
«Popoli e Missione»

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