Bollettino_Salesiano_197502


Bollettino_Salesiano_197502

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1.1 Page 1

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BOLLETTINO SALESIANO ORGANO DELLA FAMIGLIA SALESIANA
A. XCIX N. 2-4 GENNAIO-FEBBRAIO 1975
Spediz. in abbon. post - Gruppo 2° (70) - 2• quindicina
-
Vogliamo portare i Cooperatori Salesiani a diventare collaboratori coscienti,
Integrali, a fianco di noi, non sotto di noi: non solo, quindi, fedeli e docili esecutori,
ma capaci di responsabilità apostoliche, pur sempre d'accordo e In sintonia col Sacerdote.
DON LUIGI RICCERI
DIREZIONE GENERALE 10100 TORINO VIA MARIA AUSILIATRICE, 32 TEL. 48.29.24
NUMERO
SPECIALE
Tutto sul
IV CONVEGNO NAZIONALE
GIOVANI COOPERATORI
Grottaferrata-Roma, 1-4 novembre 1974
sul tema:
«CONVERSIONE-LIBERAZIONE»
Una revisione per un maggior impegno
nella missione giovanile e popolare

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1975: ANNO DI GRAZIA!
ANNO SANTO
Conversione e Riconciliazione
CENTENARIO DELLE MISSIONI SALESIANE
Risveglio della coscienza missionaria
F.M.A. - CAPITOLO GENERALE
Formarsi per conquistare la propria identità
50° dell,Ordinazione Sacerdotale del Rettor Maggiore
...,/ _: I 1
I
J
Nel febbraio del 1875 Don Bosco in-
dirizzava ai suoi Salesiani una circolare
(nella foto a lato la minuta). nella quale
tra l'altro scriveva: «Fra le varie pro-
poste che vennero fatte per l'apertura
di una missione, nei paesi esteri. parve
potersi di preferenza accettare quella
della Repubblica Argentina. Quivi oltre
la parte già civilizzata si hanno delle
estensioni interminabili abitate da po-
poli selvaggi... I Salesiani che si sentono
di recarsi, devono fare domanda per
iscritto... ».
L'invito è attuale anche oggi per
2
i nostri Giovani Cooperatori I

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CONVERSIONE- LIBERAZIONE
Una revisiòne per un maggior
impegno nella missione giovanile
e popolare
È stato il tema del IV Convegno Giovani Coo-
peratori svoltosi a Grottaferrata-Roma dal 1°
al 4 novembre u. s.
Qui sono riportati atti e cronaca in una forma
libera da manipolazioni e da retorica.
Il fascicolo è offerto a quanti parteciparono
al convegno e a quanti ne furono impediti;
ai Cooperatori giovani e agli adulti; ai Sale-
siani e alle F.M.A.
Non è però destinato a restare negli archivi,
ma a stimolare e a rendere inquieti quanti,
singoli e gruppi, amano l'Associazione e per
questo ne chiedono una «svolta» e una pre-
senza più audace tra i giovani del nostro
tempo.
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ ____, 3

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COSÌ A GROTTAFERRATA
Giornate fondamentali per la nostra piccola storia
IL PERCHÉ DEL CONVEGNO
Sulla parete della sala, lato destro, la nota frase
del Vangelo: <t E gli fu dato il libro di. Isaia _e lesse:
Lo spirito mi ha mandato ad annunciare a1 poveri
la Buona Novella, a rimettere in libertà i prigio-
nieri&. Un'altra scritta, in alto, annunciava il tema
dell'incontro<< C<mversione-Libera::iione 1>. Il program-
ma a stampa nelle mani di tutti completava: q Una
revisione per un maggior impegno nella missione gio-
vanile e popolare t . Nei discorsi poi tornava, con
una certa frequenza, questo slogan: l'Associazione
deve operare una svolta nel suo modo di essere nella
Chiesa, e partecipare maggiormente a trasformare
la società da ingiusta a giusta...
UNA DISCRETA PREPARAZIONE
A Como, Roma e Messina, da febbraio ad aprile,
eravamo già convenuti a centinaia per affro~t~re il
tema verificare la realtà della nostra assoc1az1one,
prep~rarci insomma al convegno nazionale. Un
questionario a suo tempo .di~uso dal . Grul?po
centrale riportava dalla periferia suggenmentl e
contributi che si rivelarono veramente validi. In-
fine un «Gruppo di animatori», composto di 23
giovani di varia provenienza, riunitisi a Grotta-
ferrata nei giorni 7-8 settembre, preparò il piano
di svolgimento del Convegno e fissò i criteri di par-
tecipazione.
PORTE APERTE A TU1TI?
Questa volta no, djsse il gruppo di animatori.
Bisognava infatti rispettare la scelta già fatta dalla
base. Volevamo fare un discorso tutto nostro e
prendere di petto e subito il te.ma. Il poco tempo
disponibile andava usato bene. Quindi un convegno
per soli GG.CC. e per chi, pur non essendo for-
malmente tale, aveva già inoltrato la domanda di
iscrizione. Il criterio non fu seguito al cento per
cento. Ma si sentiva nell'aria e negli inten•enti
che lo scopo era stato raggiunto: i circa 200 parte-
cipanti si comprendevano benissimo.
IL RITMO DEI LAVORI
Avevamo a disposizione due giornate intere e
metà del 4 no,rembre. Ma l'arrivo in sede di quasi
tutti i convegnisti la sera precedente l'inizio, per-
mise di amalgamarci, conoscerci e iniziare senza
tanti preamboli organizzativi, i nostri lavori.
4 Questi possiamo riassumerli cosi:
Una conferenza, di circa due ore, di Don Michele
Mouillard, gruppi di studio per quattro ore abbon-
danti, in due tempi, su una pista, non del tutto
vincolante, preparataci dal conferenziere: due ore
di relazione dei gruppi in assemblea. Tre ore fu-
rono dedicate all'esame delle proposte co11crete emerse
nei gruppi. Sul terreno del concreto ci tennero in-
chiodati una denuncia della nostra situazione di
non convertiti e della oppressione cui è soggetta
la gioventù, offertaci da Carla Busato prima della
conferenza, e le testimcmian:::e (nota stimolante) pre-
sentateci da carissimi fratelli e sorelle che, pur
non essendo tutti della nostra associazione, ci aiu-
tarono moltissimo.
PROTAGONISTI FURONO...
anzitutto i convegnisti: una gioventù viva, che ti
metteva in cuore gioia e speranza. Circa zoo, al-
,+,

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cuni venuti da molto lontano, tutti m armonia
come se si fossero conosciuti da sempre. E subito
dopo don Michele Mouillard, il conferenziere, un
ispettore francese originalissimo, sprizzante vita-
lità da ogni poro, salesiano completo, ricco di una
carica umana eccezionale, lucido nelle idee, persua-
sivo nel modo di presentartele, estroso e allegro
quant'altri mai.
In posizione diversa, ma essenziali alla riuscita
del convegno, coloro che presentarono le 'testi-
monianze', tutti efficaci e concreti. Da Nino Mi-
lazzo, lavoratore in ospedale, immediato e quasi
brutale nel parlare ('perché non ci sono operai tra
di noi? Che segno è questo?...'), a suor Maria
Renata delle Piccole Sorelle di Gesù ('se Gesù
non fosse qualcuno che vive nella mia vita, penso
che questa non avrebbe senso...'); da don Silvio
Turazzi, che dalla carrozzella ci trasfondeva tanta
gioia ('per me la malattia è stata una grossa sco-
perta!...'), a Dante Dossi, un salesiano coadiutore
che si è messo al servizio dei carcerati ('essi sono
l'ultima frontiera dell'amore. Ero carcerato!... Gesù
li enumera per ultimi...'). Paola Spada, coopera-
trice, mamma di tre figli, età media, ha associato
la sua vita a quelle delle ragazze-madri per le quali
ha fondato una casa-famiglia. Tra l'altro ci dice:
<< Queste persone aspettano di non essere giudicate
T
ma di essere amate. Vi invito a collaborare!. .. >>.
Lillina Attanasw si è servita della voce della sorella
per farci sentire la sua. Gli stralci delle lettere
dell'Ecuador, ove da un anno opera come mis-
sionaria laica, ci hanno scossi << ••• Abbandoniamo
le belle sale dei convegni, facciamo i seri, lavoriamo
concretamente da autentici salesiani!. .. >>. Daniela
Marletta, partendo da una ormai lunga e sofferta
esperienza dei nostri campi estivi, ci stimola a
fare di tutta la vita un vero campo di liberazione.
Non meno efficace Carla Busato, alla quale era
stato affidato un compito non lieve, quello di pre-
sentare, se pure ve ne era bisogno, il quadro non
certo roseo dell'attuale situazione, in riferimento
al tema del convegno. La sua parola viva e suasiva
preparò benissimo il terreno al conferenziere.
La presenza di salesiani e di Figlie di M. Ausi-
liatrice, la visita del Rettor Maggiore, di Don
Raineri, Don Fiora, Don Cogliandro e del Se-
gretario nazionale Giannantonio, in alcune parti
del convegno, non creò pesantezza e imbarazzo;
testimoniò anzi, e bene, della bellezza dell'unica
famiglia a cui apparteniamo. Ne avemmo conferma
il pomeriggio del 3 novembre: i centoquaranta
partecipanti alla 'Settimana di studio sulla forma-
zione del cooperatore' si unirono a noi, in una
forma quanto mai spontanea: inseriti con sempli-
cità nei nostri lavor1 (al momento delle relazioni
dei gruppi di studio), uniti nella solenne conce-
lebrazione, vivaci e... persino scatenati nella 'cena
fredda', trascorsero circa sette ore con noi, quasi
a volersi disintossicare dalle teoricizzazioni del loro
:onvegno...
UNA LITURGIA VIVA
Forse dimenticheremo tanti momenti del con-
vegno; ma le Liturgie della Parola e quella eucari-
stica certamente no, pei:ché furono esse a darci
sostanza e soluzioni ai problemi suscitati dal con-
vegno. (<< Per me riesce difficile credere che facevo
parte di tutti quei giovani e adulti che ti lodavano,
Signore... In quei momenti la tua Chiesa era dav-
vero come tu la volevi!>>, scrive M. I. da Tor-
tona). Il primo giorno presiedette l'Eucaristia don
Giovanni Raineri, il secondo il Rettor Maggiore,
in una concelebrazione alla quale presero parte
circà novanta sacerdoti. In questo contesto va vista
la significativa cerimonia dell'impegno, nella quale
ventisette convegnisti divennero GG.CC., e l'of-
fertoria straordinario per i bisognosi, frutto di ri-
spanni. La liturgia del giorno 4 fu presieduta da
Mons. Abramo Alangimattathil, vescovo indiano.
La sua presenza ci richiamò l'evangelico 'andate
ed evangelizzate...'.
Per tutto il buon esito dobbiamo essere ricono-
scenti a non poche persone: a quanti ci fecero dono
delle loro omelie, agli animatori (straordinario don
Josè !), e ai novizi di Lanuvio, venuti con il loro
complessino musicale (ma per nulla complessati;
ci sono veramente piaciuti).
5

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RIUSCITO O FALLITO?
<< Ho percepito nei giovani l'ansia di fare qualcosa.
È stato bello l'ultimo giorno, nel momento degli im-
pegni da assumere. Queste idee non si debbono lasciar
dormire... » (Josè Gonzales).
«Pretendere in tre giorni cli 'convertirci e liberarci',
dal momento che ci sentiamo tali, è un'illusione; è
già molto aver trovato il coraggio per ammetterlo con
il desiderio di cambiare per il meglio>> (Carla Grassi).
<< Si è notata una maturazione spirituale e una mag-
giore presa di coscienza... 1> (Don .A. Broggiato).
«... Mi sono fatta l'idea che la Chiesa e la Congre-
gazione non sono morte... » (Nilo Mondin).
<< Non vorrei apparire troppo disfattista, ma ciò che
mi è rimasto del convegno è la delusione. Una volta di
più è stato prevalentemente battuto il sentiero della
prudenza, della paura, invece di tentare strade nuove,
invece di parlare della necessità di mettersi urgente-
mente al lavoro come nostra unica preoccupazione... >>
(Daniela Marletta).
~ ... Ne siamo usciti con una forza nuova... Abbiamo
deciso di essere come Don Bosco ci ha visti... La gran
parte di noi ha paura di non farcela! >> (Cecilia Fuso).
«Àvrei tanto voluto che fossero li con me tutti i
confratelli dell'Ispettoria per vedere, rendersi conto
e comprendere che ci si apre dinanzi una nuova strada
di impegno apostolico e di crescita salesiana>> (Don
G. Ferri).
Con più realismo si potrebbe dire cosi: fra due
anni al V Convegno daremo un giudizio, o meglio
saranno i fatti a darlo, non le nostre chiacchiere o
le impressioni di ora, frutto più o meno di emoti-
vità. Resta però al positivo almeno questo:
Abbiamo tentato di fare sul serio e di matu-
rarci di più; i presenti al convegno erano pjù << se
stessi 1> (le fasce anonime dei precedenti convegni
erano ridotte al minimo, il discorso salesjano si
poté fare a pieno nostro agio); la liturgia è stata
6 vissuta veramente bene e con buon respiro.
Il· rischio di finire per essere, dibattendo un
tema <<trappolai> (per dirla con don Mouillard), i
conformisti dell'anticonformismo e di cantare...
l'Internazionale dei lavoratori, non ci ha neppure
sfiorati, volendo fare cose più serie. Questo però
non significa che nel dramma della Liberazione
faremo la parte dei generici. Vogliamo invece essere
protagonisti, anche se silenziosi, appunto perché
più operosi.
Non va dimenticato poi che a Grottaferrata non
si doveva decidere un bel nulla, ma solo rafforzarsi
nella scelta già nostra di camminare con passo più
sicuro e più svelto nel sentiero della Liberazione.
È ora, a livello di centro e d i gruppo, che si deve
attuare con tenacia e costanza la Conversione-
Liberazione. È qui che si misura il nostro essere
Giovani CC.

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LE CONCLUSIONI
E GLI IMPEGNI PRESI
Non vi furono mozioni, né proclami, né cose del genere. D'altra parte l'arti-
colo 10 del nostro N. Regolamento sull'« impegno per la giustizia>> è coraggioso e chiaro.
Basterebbe attuarlo.
Sono state p~rò ribadite delle SCELTE vere e proprie, che dovranno orientarci
d'ora in poi, e accolte alcune proposte, emerse nei gruppi di sµidio, che ci sforzeremo
di attuare.
Il discorso conclusivo del Convegno in sostanza fu questo: Per noi parlare di Con-
versione-Liberazione e di << svolta >> dell'Associazione significa:
1. - Un'adesione personale e totale a Cristo e alla sua parola di Liberazione;
Uno sforzo per essere sempre più Chiesa e con la Chiesa, _ma con la nostra
originalità di salesiani;
Un modo di vivere personale che testimoni Cristo povero che annuncia
la Buona Novella di Liberazione ai poveri.
2. - La gioventù sarà sempre e in primo luogo oggetto delle nostre preoccupa-
zioni e del nostro « impegno per la giustizia». Per questo dobbiamo lottare
contro tutte le forme di oppressione di cui essa è vittima, in primo luogo
contro ciò che genera il peccato, e contro le strutture che ne sono all'ori-
gine. E questo con audacia, e senza titubanza. « Nelle cose che tornano a
vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime a Dio,
io corro avanti fino alla temerità» (Don Bosco - MB 14, 662).
3. - Questa lotta sarà efficace, e quindi non sarà una sconfitta, solo a patto che
siamo forti nei nostri ideali, ben formati - anche con lo studio dei docu-
menti conciliari e del magistero -, ben consolidati nella preghiera e nella
vita di Grazia.
4. - Solo così potremo (talvolta sarà necessario) collaborare, per obbiettivi con-
creti che ci interessano, con gruppi di ideologie lontane e opposte alla no-
stra Fede; solo così può essere eliminato o almeno attutito il pericolo di
farci strumentalizzare o addirittura catturare.
5. - Dobbiamo essere presenti sempre, dovunque, nell'opera di Catechesi che
consideriamo primaria, nei Comitati di quartiere, tra gli operai e gli ap-
prendisti, nel mondo della scuola e nelle Missioni (laicato missionario).
A queste condizioni soltanto potremo dire di essere GG.CC. di fatto e non
a chiacchiere.
Come strumento indispensabile per questo nostro impegno, l'Assemblea ha chiesto
dei sussidi formativi, pratici, ma chiari nelle idee e nel linguaggio.
L'attuazione della << Microrealizzazione >> (progetto Shuaras) propostoci da Lillina
ed accolto dalla maggioranza, vuole essere solo un segno che desideriamo fare qualcosa
e subito.
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LA RELAZIONE DEL CONVEGNO
SUL TEMA
CONVERSIONE-LIBERAZIONE
di Don MICHELE MOUI LLARD
Testo completo integrato dai brani «spontanei» inseriti du-
rante la lettura e ripresi dal registratore
SCHEMA DELLO SVOLGIMENTO
INTRODUZIONE
La riflessione conciliere sul compito dei laici
• sulla comunità politica
ha provocato. nella Chiesa, la presa di coscienza della
dimensione politica dell'uomo.
L'impegno per la liberazione è già conversione...
' I. GLI OSTACOLI ALLA LIBERTÀ OSSIA LE VIO-
LENZE ALL' UOMO :
a) La Libertà, b) Le Costrizioni, e) Le dimensioni col-
lettive degli attacchi alla libertà, d) ... E Don Bosco 7...
Il. CONVERTIRE: a) 1. sguardo, 2. mente. 3. cuore
... accostandosi al mondo...
b) Necessi tà di una «liberazione-con-
versione » INTERIORE.
lii. PUNTO DI PARTENZA E SUPERAMENTO DELLA
LIBERAZIONE :
GESÙ CRISTO E IL SUO LIETO ANNUNCIO
a) Il fermento evangelico si oppone a tutte ie schiavitù;
b) La liberazione di Cristo che annunciamo è e altra
cosa che le liberazioni temporali... »;
e) La vocazione carismatica del Cooperatore non può
essere in una linea diversa da quella della Chiesa...
IV. AGI RE . Nell'agire liberamente uno SI converte, perché
liberare è liberarsi.
Contemplare e pregare;
Agire;
Agire insieme: cogli ALTRI (rispettare la nostra spe-
cificità e quella degli altri);
come Cooperatori;
siamo impegnati, in quanto Cooperatori, in questa
azione 7
V. NELLA LINEA : delloSpiritosalesianodiDonBosco...
della Chiesa;
colla «libertà dei figli di Dio»...
MB M11morle Biografiche di Don Bosco
Reg. Regol•m•nto CC. SCJll/o d• Don Bosco
N. Regol. Nuovo RegolamtJnro CC. promulg•to ad espsrlmMto da/l·at-
tuale Rstlor Maggiore.
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CARI AMICI,
t1e lo co,ifesso per lealtà : sono un po' preoccupato :
r0 perché sono 1111 cosiddetto «ispettore saleriano », e
non ho avuto tutta la libertà di tempo e di spirito per
prepararmi cot1vem~11teme11tt;
perclié sono di una generazione diversa dalla t·ostra,
e, si sa, questa 110n aspetta gra11ché, per no11 dire nulla,
dalla nostra, e comu11que non aspetta affatto 1m insegna-
me11to. Vero o falso? A mmo che voi siate di un'altra
stoffa, o che la mia qualità di salesiano mi dia qualche
din'tto o quald1e privilegio o un'atte11.zwne molto desta
da parte vostra... Per essere chiaro: tenterò di essere
sincero, i1 m11 stesso>>; vi farò piuttosto partecipi delle ri-
flessio11i alle quali mi ha condotto il lavoro che mi è stato
richiesto; il mio disegno è piuttosto di corulurvi ad u11a
ricerca comu,ie su un pu11to di attualità die sollecita la
11osfra coscienza di cristiani;
perché io sono Francese e voi, italiani... Non an-
date a sospettare per questo 11110 qualsiasi traccia di raz-
z1".smo... Voglio solo dire che è pericoloso per me, indiriz-
zanni a voi che siete inseriti - senza alcun dubbio, anche
se Le nostre nazio11i sono sorelle o cugine! - in un altro
ambiente, in tm'altra situazione politica, sociale, economica,
a11che culturale, un'altra mentalità, un'altra se11sibilità...
Per comprmderci bene bisognerebbe che t:oi ed io, a faccia
a faccia, ri11scissimo a collocarci bene ciascu110 11el rispet-
tivo contesto. Ciò almeno spiugerebbe me alla modestia,
alle sfumat11re, alla necessaria vigila11za, e voi alla com-
prensione...
infine, e questa è la ragione più profonda, perché il
tema che atJete scelto è 1111 «tema-trappola ». Ciò significa
che ad og11i passo che si fa, nella esposizione o nella rifles-
sione, si rischia di farsi dare la «bastonata dagli uni
e poi dagli altri, 11110 per wlta. Se io parlo trttppo di
«libera,."ione •• guai a me, sarò certamente ttll «cripto-
marxista » travestito da buon apostolo»!... E se insisto
sulla «conversio,ie », si dirà: guarda che rea!4ionario ! Un
po' •retrogrado• q11ello ! Veramente è tm tema che sa
di rogo.
Per questo - come già ho detto - io non avrò la pre-
tPsa di dire 11111/a di definitivo... Se stt temi come «La
Liberazio11e de/l'U()mo e la Salvezza in G. C. u oggetto
della sesrione pastorale dei Vescwi di Francia del set-
tembre scorso, i nostri VescO'lJi patentali JI 11011 furo,zo
COllCordi, convenendo che un lavoro di vero approfondi-
mento ancora non è stato avviato, allora io sto lra11q1tillo
in coscie11:;;a a non voler giocare al «dottore >>.
Forse quanti siamo nella Chiesa, st'amo troppo spwt1
sooente a trovare delle defi11.iziot1i che teng0110 il posto
tklle incerte::::e e quando ciò non è di Fede. Ma la Fede
è ricerca. Accettiam01ie l'iter pa::ie11te, sassoso e cupo...
È a questo studio comrme che io vi invito adesso. E se
fJOi domani avrete da rimpiangere che abbia osato presen-
tarmi a t1oi, pre11detevela con i vostri responsabili, religiosi
t> laici...
Una osservazione : citerò più volte tre docummti ita-
liani che ho dcevuto: si tratta del documento, che chia-
merò A, «resoconto dei Convegni inte"egionali svoltisi
a Como, Roma, Mestino •; del documento B, numero
39/40 di "Presenza Giovani"»; e del documento C, • sus-
1o sidio o ùi preparazione a questo Convegno.
INTRODUZIONE
Nel dicembre 1967, il Padre Duvallet, primo colla-
boratore dell'Abbé Picrre, il fondatore del movimento
Emmaus, ,Predicava gli Esercizi ai giovani salesiani di
Lione che si preparavano all'ordinazione sacerdotale.
Un giorno disse loro: Voi avete delle opere, dei col-
legi, delle case, ma avete un solo tesoro: la pedagogia
di Do,, Bosco. Rischiate tutto il resto - sono soltanto
mezzi - ma salvate questa! Vent'anni di ministero
nella rieducazione mi obbliga a dirvi: voi siete respon-
sabili di questo tesoro dinanzi alla Chiesa e al mondo.
(Cfr. N. RegoJ., 19). In un mondo in cui l'uomo e il
ragazzo sono schiacciati, stracciati, triturati, classificati,
psicanalizzati, e i ragazzi e gli uomini servono da ma-
teria prima e fanno e.la cavia, il Signore vi ha affidato
una pedagogia in cui trionfa il rispetto del giovane,
della sua grandezza e della sua debolezza, della sua
dignità di figlio di Dio. Custoditela, rinnovatela, rin-
giovanitela, arricchita dalle scoperte moderne, adattata
a questi giovani bombardati dal XX secolo e da drammi
quali Don Bosco non conobbe mai. Cambiate tutto,
perdete le vostre case, che importa? ma custoditeci,
battendo in migliaia di cuori, il modo di Don Bosco
di amare e di salvare i giovani». (Cfr. N. Reg. 20).
Se io cito queste parole è perché mi sembrano con-
densare ottimamente i due aspetti della riflessione nostra,
~cessità di un impegno per la Liberazione e la Conver-
sione dell'uomo incatenato, realizzato da donne, da uo-
mini, da giovani, in particolare, da voi stessi, affascinati
da quel cristiano ammirevole che fu S. G. Bosco.
Che l'uomo non abbia ancora compreso questa e li-
bertà dei figli di Dio di cui parla Paolo, sbalordisce.
Che egli abbia bisogno di essere liberato - anche se
talvolta ama le sue catene - è evidente; fra poco ten-
teremo di precisare di quali legami si parla.
Nel febbraio del 1969, un enorme annuncio pubbli-
citario usciva, lo stesso giorno, nei principali giornali
francesi: Vivi da capitalista! •· Ecco l'ambizione, gli
orizzonti che si propongono, senza pudore, all'uomo
oggi I E Saint-Éxupéry, nel suo famoso libro «Terra
degli Uomini•• dopo aver ammirato in uno scompar-
timento del treno un bambino adorabile nato da geni-
tori poveri e miseri che erano davanti a lui, piange,
non << sulla miseria, nella quale dopo tutto ci si adagia
così bene come nella pigrizia D, ma su II Mozart assas-
sinato un po' in ognuno di questi uomini •·
Un Uomo, ciò che si chiama Uomo, chiunque esso
sia, a più forte ragione noi Cristiani, non possono
esitare: bisogna liberare Mozart, bisogna ridare al-
l'Uomo la sua dignità... E tutti quelli che hanno capito
ciò uniscano le loro forze per raggiungere lo scopo!
La principale ragione di questo impegno, non sarà
proprio l'incarnazione del Cristo, del Verbo, della «Pa-
rola-Buona Novella i>, ma il fatto che ciò diviene Buona
Novella, appunto perché il Verbo non è rimasto Parola,
ma è divenuto un essere di carne, radicato nell'Umanità,
che ha dato la sua vita per questa l\\Ietamorfosi del-
l'Uomo. Nelle antiche religioni era l'uomo che si offriva
in sacrificio a Dio; nel Cristianesimo, è Dio che si offre
in sacrificio per l'Uomo!... Lo sceneggiatore del celebre
film t 1\\lonsieur Vinccnt •• Jean Anouilh, mene nella
bocca di S. Vincenzo de' Paoli delle parole straordinarie
in cui vibra una santa collera. Vincenzo ha raccolto
un bambino illegittimo trovato nelle strade di Parigi,
abbandonato dalla sua madre. Una delle Dame della
CarJtà si azzarda a dire che Dio forse vuole che muoiano
questi bambini: (• Sono i figli del peccato•). Allora
Vincenzo si erge repentinamente: ~ Quando Dio vuole

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2.1 Page 11

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che qualcuno muoia per riscattare il peccato è il suo
Figlio, signora, che Egli manda! Dio non ha voluto
che un solo innocente morisse in nome del peccato,
signora! È la vigliaccheria, l'incuria, l'indifferenza, il
vizio nascosto degli uomini che permettono questo! ».
Quando si apre il Vangelo si ha perfino l'impressione
che Cristo non aveva che una sola cosa da dirci: il suo
Comandamento nuovo: «Amatevi gli uni gli altri ».
L'amore cristiano lega essenzialmente l'amore di Dio
e l'amore degli uomini; ne fa una sola e una stessa cosa.
l\\fa io credo che rischieremmo, continuando così, di
cadere in un facile lirismo e di tranquillizzarci, a buon
conto, la coscienza. Non sarà male situare il problema
almeno rapidamente nel contesto conciliare, per acco-
starci di più alle cose e in maniera adatta al nostro tempo.
Allorché questo problema si presenta a voi, giovani
laici cristiani, constatiamo che il Concilio vi fissa come
compito il rinnovamento dell'ordine temporale (AA. 7).
Siete voi, laici, che rendete la Chiesa presente nel cuore
di queste realtà temporali (AA. 29). Ed è il Concilio
che vi chiede di collaborare con quelli che costruiscono
la città temporale (GS 31) (AA, 14) e lavorano allo
sviluppo dell'Umanità (AA, 8). L'Uomo ha una dimen-
sione politica, in seno aJla Comunità politica, che la
«Gaudium et Spes >) (Chiesa-mondo) definisce e di cui
indica la finalità (n. 7+); e la stessa Costituzione vi
invita a uno sforzo concertato in favore di un ordine
politico che protegga i diritti delle persone in seno alla
vita pubblica... E famoso il passo dell'allocuzione di
Paolo VI alla IV sessione del Concilio: «... pervaso
tutto da una simpatia immensa )) per l'uomo che dava
valore alle realtà temporali. E l'11 ottobre '62 Gio-
vanni XXIII, rivolgendosi ai 2500 Padri Conciliari,
affermava: << Poiché la dottrina abbraccia i molteplici
campi dell'attività umana individuale, familiare e sociale,
è necessario che la Chiesa non distolga mai il suo sguardo
dall'eredità sacra di verità che essa ha ricevuto dagli
Antichi, ma bisogna anche che si rivolga verso i tempi
presenti che trascinano nuove situazioni, nuove forme
di vita e aprono nuove strade dell'apostolato cattolico».
Credo che possiamo sottolineare qui la novità della
presa di coscienza, nella Chiesa, della dimensione politica
dell'uomo, alla q11ale il laico non può rimanere ind(fferente.
E questa presa di coscienza coincide con tutto ciò di
cui l'wnanità risente oggi e che esprime a tutti i livelli...
Come quel giovane, Gian Fran~co, che in una riu-
nione diceva: << Io non ammetto le strutture della società
attuale, perché le trovo ingiuste... La società nella quale
vivo è troppo inumana>>. Questa società nella quale,
aggiungiamo noi, i giovani sono troppo sovente condotti
a domandarsi se un uomo non è più importante per
quello che ha che per quello che è. E Paolo VI, fa-
cendo eco, il 30 dicembre '68 affermava: ~ Ribelle e
disperata, la gioventù oggi nasconde nel suo intimo un
desiderio di sincerità, di giustizia e di rinnovamento,
desiderio che non è disconosciuto, ma interpretato piut-
tosto come un'evoluzione legittima, e irreprensibile sotto
certi aspetti, verso forme più spinte di coesistenza so-
ciale ». (Cfr. Le Monde, 3-L-r969). Il pastore Delteil
al sinodo della Chiesa riformata di Francia, nel 1970,
dichiarava che è nella solidarietà con l'<< uomo schiac-
ciato che vede uno dei compiti più scottanti dell'Ecu-
menismo, che purtroppo sovente si affonda in Settimane
dell'Unità >>••• Si poteva leggere il 12 giugno 1970 una
dichiarazione del Cardinale Silva Enriquez di Santiago
sul giornale << La Croix 1> molto chiara, << La chiesa del
Cile spera che la necessità di una distribuzione più
giusta... sarà compresa da tutti e dai Cl'istiani in parti-
colare. Difendendo il diritto di proprietà, la Chiesa
non voleva difendere la proprietà per alcuni ma per
tutti... Oggi, noi vogliamo compromettere la Chie.sa
non solo a parole, ma a fatti nella lotta del mondo
operaio e del mondo rurale per la loro liberazione e
il loro henessere >>. (Cfr. Retraite, IO p. r3). Un prete
brasiliano, uscito di prigione, interpellava così a Mar-
siglia, nel 1970, i partecipanti a un convegno catechi-
stico sul tema del <1 tempo libero >) del giovane cristiano:
<< Come osate continuare a domandarvi in q ualc maniera
i giovani cristiani devono vivere il loro tempo libero
come fi_gli di Dio, mentre i 2/3 dell'umanità crepa di
fame? E tempo perso. Ormai la nostra Catechesi deve
insegnare ai giovani cristiani, e in primo luogo a quelli
dei paesi supersviluppati, a contestare questo mondo
ingiusto. Questo vuol dire essere nella Storia della
Salvezza. Sta qui la Speranza! Altrimenti cosa significa
l'incarnazione se non un vigliacco compromesso con la
società materialistica e dei consumi?>>. (Cfr. Retraite II,
p. 67). E Garaudy diceva nello stesso anno '70: (< La
Chiesa ha come missione di difendere la Chiesa o di
difendere l'Uomo? >>.
Ed è appunto perché crediamo che la Chiesa deve
difendere l'Uomo che noi siamo qui oggi; questo fa
parte della nostra Fede. E la vostra Fede voi volete
viverla di più; volete convertirvi; voi riconoscete di
vivere sovente (come è detto nel documento prepara-
torio C, p. 2) ~ una vita stile borghese>>... Vi fu un
tempo in cui Gesù Cristo costava la galera o le mi-
niere di sale a vita. Il nome di Gesù Cristo non si
beveva allora tra un doppio scotch e lo champagne secco.
(Cfr. Li11guaggio degli uomini, c. 28). Mentre noi do-
vremmo «osare » con audacia, << tentiamo dì farci per-
donare Gesù Cristo >) (id.). E il virus cristiano si è
trasformato in un vaccino perché divenuto nelle nostre
vite meno virulento che l'ambiente nel quale è inoculato
(Paul Xardel, Retraile 9, p. II)... Attraverso questo
Convegno voi volete sottolineare la volontà di prendere
le cose sul serio, di dire, <, basta ad una presenza debole
nel mondo giovanile >>, «partecipare... a trasformare la
soci.età da ingiusta a giusta... partecipare all'opera di
liberazione degli oppressi )) (cfr. documento C, p. I).
E non avete torto, sotto la spinta conciliare dello Spi-
rito Santo, di voler fare la vostra parte di Chiesa nella
liberazione dell'uomo.
Il mondo ha tremato e continua ancora a tremare,
davanti alla crisi dell'energia... Ma c'è nella Chiesa una
crisi dell'Energia di cui dovremmo occuparci di più.
Per molto tempo si è creduto che l'Energia, nella Chiesa,
stava «nelle donne e negli uomini di Chiesa >>, come
sì diceva, cioè i pretì, i parroci, le religiose, i religiosi.
Ed ecco che è venuta la crisi: mancano le vocazioni I
Passato il primo momento di panico, un po' come per
il petrolio, si cominciano a trovare delle situazioni. Ci
sì rende conto con gioia che la potenza evangelizzatrice
della Chiesa sarà decuplicata se si sapranno risvegliare
le energie di tutti i battezzati.
Don Bosco aveva capito bene questo, già 100 anni
fa, quando inventava i Cooperatori la cui missione è
di fare di tutti gli uomini cristiani per la Chiesa e onesti
cittadini per la società civile (cfr. Reg. III, 9), vale
a dire dei battezzati che siano uomini completi, e dun-
que anche uomini politici, vale a dire uomini ai quali
la «città » non è indifferente.
Non ci si può lanciare nell'opera di liberazione umana,
(e liberazione totale), senza impegnarsi attraverso le
solidarietà che ognuno di noi possiede con la natura
umana, in un processo personale di liberazione che è
la conversione. Così mi si concederà che in questa
esposizione non mi impegni, nel modo di trattare, in 11

2.2 Page 12

▲back to top
un dualismo nocivo: conversione-liherazione... o con-
versione prima, liberazione dopo, ecc. Voler intrapren-
dere con sincerità e decisione la Liberazione dell'Uomo
è già fare un primo passo nella Conversione. Le due
cose sono assolutamente e strettamente legate: Libe-
rare l'uomo è Convertirlo, e Convertirsi è già L iberare
l'Uomo!
I - GLI OSTACOLI ALLA LIBERTÀ
E LE VIOLENZE ALL'UOMO
Questa liberazione, di cui abbiamo la bocca piena,
suppone dunque che c'è violenza all'Uomo in ciò che
ha di più caro, la libertà. Su questo capitolo della Li-
bertà beffata il cristiano deve, se non lo è, essere iper-
sensibile.
E non è Don Bosco che mi contraddirà; però non
sono sicuro che i SaJesiani della sua Famiglia - a cui
voi appartenete - associno spontaneamente Don Bosco
e Libertà. Però personalmente rimango persuaso che
in lui l'i.nsieme del suo metodo pedagogico poggia an2Ji-
tutto sulla libertà e non sulla costrizione. Egli non
vuole forzare i cuori. Nel r863, una sera, s'indirizza
ai suoi ragazzi: « Ho da dirvi una cosa di molta impor-
tanza e questa si è che mi aiutiate in un'impresa che
tanto mi sta a cuore: quella di salvare le vostre anime...
:\\Ia senza iJ vostro aiuto non posso far nulla. Ho bi-
sogno che ci mettiamo d'accordo e che fra me e voi
regni vera amicizia e confidenza~. (,'VJB. VII, p. 504).
E qui mi piacerebbe dimostrare come quella colonna
del suo sistema educativo che è il Sacramento della
Riconciliazione è tutto l'inverso di un tentativo di alie-
nazione. E si può perfino dimostrare che la devozione
alla :\\ladonna Ausiliatrice è da interpretare come un
mezzo per fare maturare ed espandere la libertà dei
giovani. Quando dunque parliamo di liberazione e lot-
tiamo contro tutte le costrizioni che alienano la persona
umana, siamo persuasi di avere Don Bosco con noi,
anzi di averlo come capo fila!
Le violenze fatte all'essere umano sono innumerevoli.
La libertà è tradita a tutti i livelli, individuale, inter-
personale, sociale... «Scri,·ere la storia della violenza è
scrivere la storia e basta: dai bassorilievi egiziani o
assiri, rapp resentanti sovrani vittoriosi circondati da
prigionieri torturati, passando per le 'miserie della
guerra' di Callot nel XVII secolo, o per il Goya al
tempo di Napoleone, fino alla 'Guemica' di Picasso,
o all'ultima fotografia della guerra del Vietnam pubbli-
cata in 'Paris Match', la ,iolenza è di tutte le epoche,
di tutte le civilizzazioni, è il tessuto della storia umana ~.
(Jean Godei, Centre de théologie de Meylan). Che si
tratti della violenza attiva (gli schiavi dell'antichit.à, il
proletariato nato nella società industriale e dalla rivo-
luzione francese), o della violenza di reazione, quella
degli oppressi {brutale come quella di Spartaco o pas-
siva come quella degli scioperi); che si tratti della
costrizione che può esercitare un ordine sociale verti-
cale, che si dice democratico, in cui tutto è fortemente
gerarchizzato a danno so,·entc dell'espressione e della
creatività indi,iduali; che si tratti delle tirannie che
il g-ruppo orizzontale può esercitare sui suoi membri,
o che si tratti delle tirannie che ognuno nutrisce o porta
in se stesso: sul piano psicolo~ico (ognuno d i noi ha
il suo piccolo o grande grano d1 follia), morale (il pec-
c;ato), intellettuaJe (l'ignoranza), fisica (la malattia)...
È veramente un intreccio straordinario che tiene l'Uomo
12 prigioniero... ~on pensiamo solo a Hitler o Stalin...
Ognuno di noi e ogni gruppo umano lo manifesta
questo Hitler o questo Stalin o lo dissimula di volta
in volta. E sì sono visti • uomini e donne di Chiesa
esercitare, sovente a loro insaputa, ma realmente, un
potere dispotico nascosto sotto apparenze che si vole-
vano soprannaturali. Deviazioni pericolose e per l'inte-
ressato e per quelli che le subiscono!... Ubbidienza non
vuol dire schiavitù, e essa non è più una virtù, ma
è la più grave delle tentazioni, il più oscuro attentato
alla dignità dell'uomo, quando ubbidire significa ri11uneia
a giudicare i potenti, alibi per addormentare la propria
coscienza, accettazio11e di restart: eternamente minore,
rifiuto di assumere le proprie responsabilità, rassegna-
zione alla «fatalità », là dove esilltono al contrario delle
colpe precise e delle omissioni di persone precise, pro-
gettate nelle leggi e nelle istituzioni ~ (M. Gozzi11i,
Confer. maggio I970 a Frascati). Stati, società, grup-
puscoli esercitano in mille maniere il potere tirannica-
mente, oon il denaro, l'imbottitura del cervello, l'« Or-
dine »- (con una grande O), le strutture; e neppure la
Chiesa. (perché di questa terra: siamo noi la Chiesa,
dunque), è rimasta esente dalle tentazioni del potere.
(Quando si visita S. P ietro a Roma, si resta colpiti
dal numero di statue o di pitture di Papi dal gesto
fermo, dallo sguardo dominatore, dall'indicemagistcriale:
come sembrano sicuri! Sono certo che oggi l'espressione
artistica sarebbe di,,ersa...). Il clericaJismo, se è stato
recepito dai laici stessi, è stato più o meno ingenua-
mente p raticato dalla gente di Chiesa che era giunta
fino al punto di presentare il Signore stesso come un
super-ecck:siastico di fronte ai laici, dopo averlo cleri-
carizzato (cfr. Retraile I, p. I9) .
Questi diversi ostacoli interni cd esterni all'uomo,
sono stati percepiti dai Santi, come Don Bosco, Vin-
cenro De' Paoli, e dalla Chiesa. Però quello che sembra
nuovo oggi è che si tenta di comprendere la dimensione
collettiva di queste mancanze di libertà, e conseguente-
mente la dimensione collettiva della Liberazione e della
Conversione. Ciò che è apparso al Sinodo dei Vescovi
del '71, sulla ~ Giustizia nel Mondo», è che la libe-
razione non è estranea aJla Liberazione realizzata nella
Pasqua di Cristo. L'uomo destinato, nella creazione,
come immagine di Dio, a dominare e umanizzare, è
chiamato dopo il peccato a liberarsi personalmente e
collettivamente, i11 e per la ~lorte e Resurrezione di
Cristo, da tutto ciò che ostacola la sua umanizzazione
e la sua divinizzazione. Alla radice vi è sicuramente
il peccato che lo oppone a Dio e ne lo separa come
un dio anti-dio, ma il peccato non è soltanto l'opzione
interiore di una coscienza isolata, è questa azione ricol-
locata nel suo tessuto di solidarietà, di interdipendenza;
è anche questo tessuto stesso che struttura nello spazio
e riel tempo lo svolgimento dt!lle storie personali e
collettive. Tutti questi ostacoli alla libertà sono leçati a
delle slrufturt della società, tutti. «Al momento 1n cui
gli uomini prendono collettivamente coscienza che il
mondo è inaccettabile cosl com'è, e che non c'è un
altro compito più urgente che trasformarlo, la Chiesa
accede dal canto suo ad una 11uot:a i11tellige11:::a del pec-
cato e della redmzùme: essa intravede in una nuova
luce la dimensione colletti,·a del peccato, la realtà di
un 'mondo di peccato'; scopre che la trasfonnazione
del mondo e anche il luogo della redenzione, della
liberazione in atto in una Pasqua a dimensio11e della
storia, dove ogni uomo è misteriosamente associato al
Cristo Figlio di Oio, che vive, nell'umiltà totale che è
il suo Corpo, la liberazione in atto nella storia: è chia-
mare ogni uomo a convertirsi da questo mondo di

2.3 Page 13

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peccato, non fuggendolo, ma partecipando alla sua tra-
sformazione». (Cosmao, Mission de l'Eglise, n. II, I972).
Don Bosco non sembra aver messo in questione
l'ordine socio-politico; ma alcuni suoi modi di agire
e atteggiamenti, alcune sue espressioni, sembrano indi-
care che era convinto che bisognava agire sopra le
strutture per far progredire la giustizia. Come inter-
pretare altrimenti il << contratto di lavoro J> per gli ap-
prendisti, i suoi controlli quando li aveva collocati a
lavoro ? E queste parole autografe che si leggono nel
Regolamento dei Cooperatori: «Educati questi fanciulli
poveri e abbandonati... nel Santo timor di Dio, si ri-
forma l'umana società?». È il buon senso di Don Bosco
che prevedendo chiaramente le violenze sociali, invitava
i borghesi cli Lione a ùare volentier1 ciò che sarebbe
stato loro preso altrimenti, con il coltello. È il suo
atteggiamento verso i benefattori che non denota nessun
servilismo, ma che ricorda loro che sono solo ammi-
nistratori dinanzi a Dio e non proprietari, e che anzi
il vero benefattore è lui, Don Bosco I Si obietterà forse:
E il << Da mihi animas, coetera tolle - dammi delle
anime, il resto non mi interessa ►>? Ma veramente se
ne infischiava D on Bosco del resto? Tutto il suo modo
di fare dimostra che non pensava di poter evangelizzare
i giovani, far loro incontrare Cristo se avevano lo sto-
maco vuoto, se erano senza mestiere. (Cfr. Retraite 5,
p. 6).
Certo Don Bosco non era impegnato come noi
- quando lo siamo - con la nostra sensibilità e... la
nostra suscettibilità, ma fu impegnato sicuramente, e oso
dire che alla sua maniera ha fatto politica, quella del
<i Padre Nostro ►> che era forse in lui il desiderio, con-
cretamente vissuto, di fare di tutti gli uomini, di tutti
i giovani, figli uguali di uno stesso Padre. Affermare
che la politica del «Padre Nostro>> sta nel non farne,
mi sembra una interpretazione contraria ai fatti della
vita di Don Bosco. Perché allora si insinuava che egli
seminava la rivoluzione, occupandosi dei suoi << mascal-
zoni>>? Perché voleva riformare la società! E quando
vuole riformare la società, obbligatorian1ente ci si fa
dei nemici! Continuare a proclamare che la Chiesa
non fa politica è non rendersi conto che è proprio
quando non dice niente o non fa niente, che ne fa di più!
Come partecipazione allo sforzo collettivo, la libera-
zione concerne tutti gli uomini. « Nostro Signore, di-
ceva già S. Leone Magno, distruttore del peccato e
della morte, non avendo trovato nessun essere umano
esente da colpa, è venuto per la liberazione di tutti>>.
Ma, secondo Paolo VI, essa è anche lo «sviluppo di
ogni uomo e di tutto l'uomo »!... Ma questo discorso
ci porterebbe molto lontano. Si è potuta accordare
molta importanza alla «Humanae vitae,>, che ci ricorda
i diritti della persona umana fin dalla sua apparizione,
dal suo nascere, ma passando sotto silenzio la << Pacem
io terris » o la «Populorum progressio 1>. Perché?
Perché due pesi e due misure? Perché tanto chiasso
intorno ali'<< Humanae vitae l) e niente intorho alla
«Populorum progressio »? In realtà la vita umana è
tutto in un pezzo: uno ha cliritto di essere intransi-
gente sulla vita umana nel suo nascere solo a condizione
di essere intransigente sulla vita umana, tutte le vite
umane, nel loro sviluppo, nella loro crescita, nel loro
progresso. (Cardonnel T. C. I4, II, 68).
Riassumendo: l'opera di liberazione riguarda l'uomo
singolo e l'uomo collettivo; è un'opera condotta dal-
l'uomo singolo e dall'uomo collettivo; vuole liberare
tutte le dimensioni dell'uomo. E dunque l'uomo intero,
totale che deve essere liberato.
Il - CONVERTIRE E CONVERTIRSI
Per entrare in queste prospettive la maggior parte
di noi deve, dobbiamo ammetterlo, cambiare menta-
lità, modo di fare, il nostro «a priori» e i nostri senti-
menti. Sarebbe senza dubbio più semplice isolarsi da
questo mondo di peccato anziché impegnarsi a parte-
cipare alla sua trasformazione, dopo che esso stesso è
divenuto il luogo della Liberazione pasquale, il luogo
dell'Amore trasformatore. Anche per noi il mutamento
che c'è richiesto, questa conversione, questa rivoluzione
interiore, questa morte, è una questione di Amore,
come per il Cristo. Questa volontà di cambiamento è
imposta dall'Amore. Allora, come diceva frate! Roger
Schutz, a Taizè, nel·settembre scorso : « Felice chi muore
di amare! ». La conversione è certamente una specie
di morte, ma, con il Cristo essa è la soglia del rin-
novamento...
Noi conosciamo tutti i pretesti che mettiamo avanti
per non cambiare. Come i bambini che si scusano
accusando gli altri I È colpa sua I... «È colpa della donna
che mi hai dato•>, diceva Adamo; «è colpa del ser-
pente ►> diceva Eva; è colpa degli atei, è colpa dei co-
munisti, è colpa dei fascisti, dei padroni, degli operai,
diciamo noi. Sempre colpa di un altro. << Quando dun-
que cessei;emo di pensare che il diavolo è il Maestro
del Mondo, e che lo Spirito di Dio non è per niente
obbligatoriamente negli avvenimenti che contraddicono
le nostre vedute, i nostri progetti ? » (J. Jsaac, Révaluer
les voeux, p. I67). di male sono gli altri!... >). Questo
modo di agire è tanto comodo per evitare di mettere
in discussione se stessi con tutto il proprio passato!
Ma se vogliamo raggiungere le basi vive del mondo
moderno, industriale io particolare, nella sua realtà
tecnica, urbana e rurale, bisogna che ognuno converta
il suo «sguardo >>, la sua «intelligenza >>, il suo << cuore >>,
si converta profondamente.
Una prima conversione da effettuare, mi sembra, è
quella dello sguardo. C'è una maniera di vedere il mondo
che non è indifferente alla vita cristiana. I criteri di
analisi di questo mondo sono da ricercare nelle realtà
proprie di ogni campo (politica, economia, psicologia,
medicina...). Il processo intellettuale di un cristiano è
anzitutto un processo umano. Su questo piano esso
raggiunge tutti gli uomini. (Qui bisognerebbe rileggere
il discorso di P aolo VI all'ONU, o la lettera del card. Roy
sull'impegno dei cristiani nella società). Egli non lo
disprezza questo processo, non può farne a meno. Egli
non ha la scienza infusa perché è cristiano... Non può
calarsi nel mondo operaio o rurale con la sua inge-
nuità, le sue buone intenzioni o le sue pretese; lo af-
ferma, per esempio, Padre Loew: «l'evangelizzazione
nel mondo operaio è l'evangelizzazione di una società
strutturata che esige una conoscenza del suo patrimonio
proprio >> (Loew, La sfida evangelica, p. 33). Bisogna
prima di tutto conoscere l'uomo nella sua struttura
concreta. Il nostro primo maestro deve essere il fatto
concreto da cui bisogna partire come «dalla perso11a
che vive in una sottomissione paziente alla realtà•> (id.),
rigettando << ogni sistema fondato su una ideologia pre-
stabilita >l (id.). Ogni azione di liberazione - sociale o
politica, sessuale o di altro genere - esige che io porti
uno sguardo realista e oggettivo su ciò che è e in cui,
stavo per dire, la Fede non ha gran che da dire I...
13

2.4 Page 14

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Ma questo non è sufficiente. Muniti delle nostre
analisi e delle nostre conoscenze, temo ancora di piu
tm atteggiamento che bisogna vincere con forza. Senza
mettere in causa le nostre buone intenzioni, (ma l'in-
ferno ne è pavimentatò), noi soccombiamo troppo spesso
alle nostre tendenze paternalistiche di possidenti che
<< vanno verso•> i poveri, che «s'inchinano sui disere-
dati 1>, che« portano» le loro elemosine. Si dice sovente:
<< il mondo, i poveri, i lavoratori, i giovani aspettano
da noi questo o quello o. Forse è brutale: ma essi non
aspetta110 nie11te da noi! Con la nostra maniera di agire
dal di fuori, noi rimaniamo con il nostro tesoro nelle
mani, tesoro che non è accolto. La «pedagogia dello
sguardo >> dei veri apostoli è illumù1ante. Quando Pietro
sale al tempio per la funzione sacra (vedi Atti degli
Apostoli), allo zoppo che era alla << Porta Speciosa>>
non dà nulla di quanto invece si aspettava per abitu-
dine! Gli dice:« Guardami!>>. E in quel lungo sguardo
reciproco che si scambiano ecco che l'infermo prende
coscienza che dopo anni e anni diviene qualcuno di
cui si interessa qualche altro. Pietro lo ha scoperto
lui stesso, e può, soltanto allora, rivelare a lui l'autore
di questa attenzione per l'uomo, che è Dio stesso...
Come ha fatto l'Abbé Pierre per lanciare «Emrnaus »?
Non è venuto coi pacchi in mano dai suoi barboni.
Ha detto loro: «Ho bisogno di voi per trarre d'impaccio
un tizio; come facciamo? >). E tutto è partito da Ii.
Ha ridestato in loro la dignità dell'uomo ancora capace
di fare qualcosa da sé, anche se molto poco. Se noi
ci impegniamo in qualsivoglia attività, mettiamoci bene
in testa che non siamo i distributori di un tesoro; ogni
uomo deve fare il passo; in ogni uomo sta questo te-
soro; tocca a lui scoprirlo; noi collaboriamo soltanto
alla grazia di questa scoperta. (Non se se mi sono fatto
ben capire; ma si tratta, vedete, di un atteggiamento
totalmente diverso dal normale).
E se si passa sul piano collettivo, la stessa riflessione
ci porta ad affermare che la liberazione del povero,
dello sfruttato, del piccolo, non può farsi che dall'in-
terno, dal piccolo, dallo sfruttato, dal povero, e che
gli interventi del tipo <• dame patronesse>> non hanno
più nessuna probabilità di successo. Il Cristo per sal-
varci. si è fatto uno di noi. Per lavorare alla liberazione
dei poveri, bisogna che ci sia inserimento vero nella
loro condizione concreta di esistenza, e sempre con lo
stesso atteggiamento interiore di modestia.
Per lavorare alla liberazione dell'uomo, senza dubbio
parecchi di voi si impegneranno o sono già impegnati,
in un'opera di educazione salesiana. Questa cqnversume
dello sguardo, questo atteggiamento interno di cui ho
parlato, è importantissimo e mi sembra nella linea di-
ritta della pedagogia salesiana.
Non s i gioca al Superiore ma al fratello, non si sfor-
zano i cuori né gli spiriti; si vive con i giovani e questo
è il senso della presenza salesiana tra i poveri.
Vorrei aggiungere una osservazione: vivere, noi «fa-
miglia salesiana», nell'idea di gioventù povera, a livello
di azione, non mi sembra che sia in armonia con questa
conversione dello sguardo. Mi spiego: in realtà, nessun
uomo si dice povero, ma dice: sono contadino, sono
operaio... Nell'avvicinarsi all'uomo bisogna raggiungerlo
nel suo esprimersi e in ciò in cui egli si riconosce.
(Cfr. N. Regol., I6). Altrimenti restiamo nel vago dei
buoni sentimenti si va ad occuparci dei poveri!»),
e mettiamo l'accento sull'aiuto che andiamo a portare
a questi << infelici i>, e al contrario dimentichiamo il
14 senso della dignità «dell'uomo in p iedi >>, capace di
organizzarsi da per reclamare suoi diritti. (Cfr.
Retraite 5, p. I5).
Convertire la propria i11tellige11za. L'Assemblea dei
Vescovi francesi (Lourdes, novembre 1972) ha affer-
mato che (( l'attività politica deve essere affrontata e
praticata in uno spirito di serietà, di lucidità, di rigore
e con immaginazione >>. Bisognerebbe hen capire in
particolare ciò che capita attorno a noi, nella nostra
epoca di mutamenti e di accelerazione. (Cfr. Doc. A,
p. 8), e che dobbiamo << inventare & sotto pena di morire...
Per passare dall'invenzione scientifica al suo sfrutta-
mento industriale ci son voluti:. II2 anni per la foto-
grafia (1727-1839), 56 per il telefono (1820-1876), 35
per la radio (r867-1902), 15 per il radar (1925-1940),
12 per la TV (1922-1934), 6 per la bomba atomica
(1939-1945), 5 per il transistor (1948-1953), 3 per il
circuito integrale (1958-1961). (Dip. americ. JJ. SS.).
E notiamo che questi tempi di passaggio dalla scoperta
allo sfruttamento, che vanno sempre accorciandosi,
sono ottenuti mediante sforzi costanti di ricerca della
novità. È la concorrenza per l'innovazione che è la più
determinante. << Solo le finne capaci di svilupparsi e di
mantenere una leadership tecnologica potranno conti-
nuare a svilupparsi >> (id.).
Rischio ora un parallelo: noi siamo condannati a
vegetare o a sparire se ci ostiniamo a vivere sopra
un'isola sempre più satellizzata in rapporto a un mondo
che ci lascerà sul posto. Bisogna allora reinventare per
oggi i «mezzi salesiani » di lavorare per la liberazione
degli uomini. Quando un Don Bosco domanda ai suoi
figli di i< amare ciò che amano i giovani •>, li costringe
a questa agilità di spirito, a meravigliarsi di continuo,
alla no,i-installazione. Ma è stata presa abbastanza sul
serio questa regola d'oro di Don Bosco? Così come
le seguenti parole, che non mi stanco di ripetere, tanto
audaci e dinamiche di Don Bosco, e che ci rivelano
quanto egli avesse il senso dell'incompu,to. Una sera
del 1875, dunque, quando poteva dirsi: << Ecco, adesso
sono arrivato, ho già un mucchio di strutture, di scuole,
di case, ho già più di un centinaio di salesiani con
me, ecco ho trovato la mia via... >), dice questo a Don
Barberis: << Voi (Salesiani che verrete) compirete l'opera
che io incomincio; io faccio un abbozzo, voi stende-
rete i colori... ecco; adesso io faccio la brutta copia
della congregazione e lascerò a coloro che vengono dopo
di fare la bella... •> (MB-XI, p. 309).
Credo sinceramente che oggi, l'immobilismo dell'in-
sieme dei cristiani è uno dei più gravi ostacoli alla
Liberazione Pasquale dell'Uomo.
AL dovere di immaginare, ascoltare, capire, informarsi,
cercare di risolvere i problemi del linguaggio per essere
intesi e capiti, di approfondire e farsi un giudizio cri-
tico e chiaro, in una parola di convertire la propria
intelligenza, si aggiunge quello di convertire il proprio
cuore. Bisogna portare nel nostro agire, un cuore d'uomo,
vale a dire sensibile alla dignità, alla rkchezza, ai valori
della persona umana, un amore vero che non sia né
possessivo, né dominatore, ma disinteressato, un amore-
dialogo, un amore rispettoso che osa compromettersi
(una delle critiche fatte al cristianesin10 è che genera
degli individualisti; e perché il comunismo ha avuto
tanto successo ? È perché ha tentato di oce11pare lo
«spazio comunitario'> lasciato vuoto dai cristiani). (C.fr.
Retraite IO, pp. I2-IJ), un amore che sia costruttore
di unità, artefice di amicizia, che è fermamente contro
tutto ciò che divide, poi.ché il disegno finale di Dio

2.5 Page 15

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GRUPPI DI STUDIO -
LE DIECI RELAZI.ONI
Originali - Un po' di spregiudicatezza le arricchisce
Nei «gruppi di studio>) si ha una partecipazione veramente personalizzata al convegno; è Il che ognuno, più
che altrove, può dare il suo contributo ai lavori: è dai gruppi che scaturiscono soluzioni e proposte concrete. - Qui
di seguito le relazioni dei dieci gruppi. Ci sembrano ricche di spunti per una riflessione serena, e tali da farci co-
noscere veramente l'animo genuino di molti di noi. - Il testo è integrale e nella formulazione originale che, volu-
tamente, è stata conservata. Esso è fatto precedere dalla ((traccia» offerta dallo stesso conferenziere.
QUESTIONI PROPOSTE Al GRUPPI 01 STUDIO
Per liberare, siamo noi stessi liberi 7
Di cosa abbiamo bisogno per essere liberati, sia come
individui sia come gruppo?
• Quale posto può e deve occupare la preghiera-contem-
plazione nello sforzo di Liberazione-Conversione?
• Quali sono le condizioni per non essere << strumentaliz-
zati» in una cooperazione con altri gruppi i quali non
dividono con noi la nostra Fede, ma sono desiderosi essi
stessi di lavorare alla Liberazione Umana?
• Come, concretamente, noi stessi scendiamo a compro-
messi con le disuguaglianze e le ingiustizie7 Quali sono le
nostre compromissioni con il potere, la potenza del denaro?
Come accettiamo noi stessi di essere evangelizzati ?
I GG. CC. quali mezzi possono usare per «ritrovarsi»
tra loro se si ammette la diversità e dunque l'opposizione
di impegni politici, e la presa di coscienza delle loro di-
versità culturali o sociali 7
• Quasono i mezzi per cambiare («tradire») il Cristia-
nesimo in «Oppio dei Popolo?». E non vi cooperiamo
noi stessi sovente 7
Cosa significa essere impegnati al servlZIO degli altri?
La nostra mentalità è quella di «benefattori», che di-
spensano un tesoro, oppure quella di semplici cristiani
che ricevono essi. attraverso gli altri , una chiamata di Dio?
Siamo noi sufficientemente preoccupati di ben conoscere
le situazioni, le persone. i giovani. i I loro proprio ambiente.
prima di impegnarci in qualche azione, qualunque essa sia?
21

2.6 Page 16

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GRUPPO I (15 partecipanti)
e La liberazione non uno stato di cose, ma tensione,
graduale conquista che si attualizza nel quotidiano con-
fronto con la Parola di Dio e nello svincolarsi da schemi
egoistici e contrari alla volontà di Dio; è un progressivo
cambiamento di mentalità, una quotidiana rivoluzione
culturale che riporta sempre ai veri valori; è un travaglio
che si concluderà soltanto con la morte.
Consapevoli che Dio solo dà l'incremento alla nostra
operosità, rinnoviamo l'impegno di curare la nostra
vita interiore in un dialogo semplice e cordiale con
Cristo vita e con il Padre che sentiamo vicini. Di con-
seguenza l'Eucaristia deve essere il centro e l'apice della
nostra vita come singoli e la forza coesiva e dinamica
dei vari gruppi.
Consideriamo la Liberazione Cristiana come la forza
rigeneratrice che rende noi e gli altri più buoni, più otti-
misti, più agili, più generosi nell'operare per il Regno
di Dio in chiave di amore cristiano.
Per evitare confusioni, dualismi e dicotomie, noi con-
sideriamo la promozione umana nella sua dimensione
totalitaria e lievitata dai valori cristiani, in modo che in
ogni nostra operosità sociale e politica, noi intendiamo
proporre i contenuti della Bibbia e della Chiesa, me-
diante un'evangelizzazione e una catechesi adeguata
ai livelli diversi, nel rispetto della libertà della persona
ed evitando, quindi, di strumentalizzare gli altri a qua-
lunque struttura.
Diamo credibilità alla nostra azione restando in que-
sta società, anziché uscirne, presentandoci ad essa con
una vita povera, senza violenza, rifiutando i falsi valori
sociali (come sensualismo, arrivismo...), servendoci
quindi dei mezzi sociali come strumenti a servizio della
persona.
Collaboriamo alla promozione del nostro ambiente,
ai diversi livelli, partecipando ai vari organismi e gruppi
sociali e politici, senza mai perdere la nostra identità di
Cristiani. Essa non vuol creare barriere ma essere occa-
sione d'incontro. Ciò che qualifica il nostro cristianesi-
mo non è tanto il dich,iararci Xni, quanto vivere da Xni.
Ad evitare di venire strumentalizzati e per una veri-
fica continua della nostra azione riteniamo necessario
un aggiornamento adeguato sugli ultimi docwnenti del
Magistero della ~hiesa relativi all'evangeliz~azi?ne e~
allo sviluppo sociale, ad una conoscenza ob1ett1va dei
problemi dei giovani d'oggi.
Poiché talvolta riscontriamo difficoltà di collabora-
zione in qualche ambiente ecclesiastico, ci impegniamo
ad aun1entare la sensibilizzazione ai nostri problemi eon
stile salesiano.
TRE IMPEGNI - TRE AIUTI
1. Preghiera e Grazia; 2. Evangelizzazione e Cate-
chesi (Preparazione tecnica e contenutistica); 3. Appro-
fondimento degli ultimi documenti del Magistero della
Chiesa sui problemi sociali.
GRUPPO II (14 partecipanti)
Ci siamo espressi tutti concordemente nel senso che
non ci sentiamo completamente liberi, capaci di realiz-
zare pienamente il Vangelo; e questo sia per la società
in cui viviamo e per le sue strutture, sia per mancanza
di idee chiare e di base per agire in tutte le situazioni
in cui ci veniamo a trovare, o peggio per la scomodità
di essere primi, di andare contro tutto e tutti, se ne-
22 cessario.
Per essere liberati individualmente e a livello di gruppo
abbiamo quindi bisogno di maggiore comunione fra
noi cristiani e, particolarmente, del coraggio di essere
segni di contraddizione, il coraggio di pagare di persona
per cercare di rompere finalmente la catena che segue
la massa di chi si adegua alle circostanze.
Si è battuto molto, e ne abbiamo trovato conferma
nella celebrazione della Parola di questa mattina, sulla
necessità della testimonianza personale, del rimboccarsi
le maniche cioè, per realizzare singolarmente e nel
gruppo, anche nel nostro piccolo, qualcosa di con-
creto: non rinunciare alla propria identità di Coopera-
tori, ma prima presentare il nostro lavoro.
·
- Dare prova concreta del nostro amore; sarà allora
che potremo anche parlare di chi ci aiuta (Cristo).
- Rimboccarsi le maniche e lavorare: molto spesso
si resta delusi, ma bisogna perseverare, continuare:
chiudersi in se stessi non può che creare una nuova
barriera da superare, un nuovo impedimento alla nostra
missione.
Quindi abbiamo visto la necessità di fare della nostra
vita <• lotta e contemplazione»: lotta come cambiamento
di certe realtà, non con la violenza fisica, ma con l'im-
pegno personale. Abbiamo constatato l'importanza
enorme della preghiera, come ricarica dopo aver dato
o cercato di dare, come confronto fra la nostra vita e il
Vangelo, come presenza viva di Cristo fra noi, come
trampolino di lancio ed ispiratrice delle azioni.
Importante è il concetto di vita che si fa preghiera,
ma più importante per noi è trovare il tempo da dedicare
esclusivamente alla preghiera come contemplazione;
in quanto il lavoro è preghiera ma non supplisce la
medesima.
Non possiamo che insistere sulla frase: << le cose con-
template le portiamo agli altri >>, cioè una preghiera che
ci coinvolge. A questo punto, nella discussione, abbiamo
collegato strettamente il terzo con l'ottavo punto. In-
nanzitutto abbiamo molto riflettuto all'ultima frase del
terzo punto: << desiderosi essi stessi di lavorare per la
liberazione umana>>. Quanti sono i gruppi che, pur
professando come ideologia la liberazione umana, si
impegnano veramente per essa oppure non mirano al
potere, al successo, a nuovi sfruttamenti ? Con questo
non vogliamo assolutamente dire che non desideriamo
un contatto con altri gruppi, anche se nella collabora-
zione si trovano difficoltà per i differenti metodi di
lavoro, sempre che essi siano sinceri nel loro intento.
Come ha detto Don Michele ieri, per aiutare uno che
affoga, dobbiamo sapere se abbiamo i mezzi necessari
la preparazione, ciac, per aiutarlo e per non affogare
in due.
In conclusione, proponiamo di impegnarci a vivere
il nostro essere Cooperatori in tutte le circostanze della
nostra vita: nel lavoro, nello studio, in famiglia, ecc.
Poi; secondo le esigenze e le aspirazioni personali, se
possibile, impegnarsi in diversi campi, ma sempre se-
guendo il carisma del nostro Fondatore.
GRUPPO m (12 partecipanti)
Riteniamo di non potere essere soddisfatti della nostra
realtà di cristiani e di cooperatori; constatiamo che nello
sforzo di convertirci e liberarci siamo spesso incapaci
di vincere il nostro egoismo e la nostra pigrizia. Siamo
infatti convinti che giustificare il nostro immobilismo
con i condizionamenti della società in cui viviamo, è
spesso un alihi per continuarlo.
Certo, riconosciamo i difetti del nostro mondo, le cui
strutture permettono che esistano oppressori ed op-

2.7 Page 17

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matico, la Fede è prima di tutto un'azione, è fatta
- la fede - per agire; bisogna buttarcisi dentro deci-
samente, voler spostare la montagna, l'albero, anche
con un granello di fede. Il Signore ci interpella: Quale
montagna c'è da spostare in ognuno cli noi, attorno a
noi? e la Fede verrà e si svilupperà nell'azione». È il
P. Loew eh.e scrive: << Si è visto sovente operare per
la promozione umana senza finire per parlare di Cristo;
ma non abbiamo mai visto, se si condivide veramente
la vita degli. uomini, parlare del Cristo senza trovarvi
promozione umana •> (Loew, p. 77). La Fede in Cristo
ci lega obbligatoriamente agli uomini. << Un cristiano
non può evitare la politica. Egli deve avere delle idee
sull'organizzazione della vita futura o sulla guerra nel
Vietnam... È impossibile vivere con i poveri, essere
cristiani e non prendere posizione in alcuni momenti.
Tutti i grandi recenti documenti della Chiesa, quelli
del Concilio e quelli delle ultime encicliche, ci invitano
a questo e ci indicano le vie da seguire. È la carat-
teristica delle chiese cristiane che sono le chiese del-
l'Incarnazione ►> (G. Hourdier, Loew, p. I8). Ma non ci
basta sentire le parole semplici e potenti di S. Gio-
vanni: << Figlioli miei, non amiamo a parole e con la
lingua, ma con atti e in verità. Da questo conosceremo
di essere nella verità>>? (r Giov. lll, I8-r9).
Allora, quando io indico - solo apparentemente in
modo paradossale - la Preghiera come primo mezzo
di azione, non è certamente perché vogliamo rifugiarci
in un angelismo senza efficacia... Un senatore di Caja-
marca, nel Perù, voleva presentare un progetto cli legge,
nel '63, per ottenere il restauro della cattedrale. Da
Roma il suo Vescovo gli scrisse: «Date le circostanze
attuali stimo che si dovrebbero realizzare i seguenti
lavori pubblici: costruire una prigione (attualmente è
un porcile), costruire la canalizzazione del Rio San Lucas
che appesta la popolazione, assicurare il funzionamento
del nuovo ospedale e la modernizzazione dell'antico.
È molto importante e molto nobile che vi preoccupiate
del restauro della cattedrale, centro spirituale della dio-
cesi, ma i cristiani sono anche essi templi dello Spirito
Santo >>... Non si tratta, in realtà, di fraintendere a
proposittJ dei sacrifici e degli olocausti che piacciono
a Dio. Ma nella preghiera e nella contemplazione si
trova la sorgente e la radice di un'azione che non si
appoggia soltanto sui condizionamenti dei fattori socio-
economici, ma prima di tutto sul ruolo dello Spirito
Santo, agente di ogni Liberazione. L'intuizione ispira-
trice dell'azione, si trova nella contemplazione.
Preghiera e contemplazione si nutriscono principal-
mente della Parola di Dio e dell'Eucaristia. .Bisogna
ascoltare prima di tutto e gustare la parola cli Dio che
esprime -appunto il messaggio cli Liberazione del Si-
gnore. È appunto il suo messaggio che pretendiamo
annunciare. Non è colpa della Parola di Dio se gli
uomini stimano che Dio non serve a niente per fare
abbassare il prezzo alla bistecca! Siamo noi che abbiamo
clorurato quest'« ac9.ua viva>>, che l'abbiamo diluita,
facendone solo un libro da biblioteca o cli pietà. Ma
se la Parola svela il Disegno rivoluzionario di Dio,
un cristiano non può non volersene nutrire, e il con-
templarla, l'assimilarla, nella preghiera, desta alla cono-
scenza e alla responsabilità, educa ad un'azione lucida
e purificata dalle ambizioni umane, prepara dei mili-
tanti coraggiosi e audaci per i mutamenti da apportare.
<< Si tratta cli divenire familiari con la lingua e la men-
talità di Dio, di lasciarsi penetrare dalle certezze cli
fondo, che cambiano l'angolo di visualità senza fare
soluzioni prefabbricate» (Loew, p. IO<J). Bonhoeffer, nel 17

2.8 Page 18

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1933, osava scrivere: «Là dove l'Ebreo e il Tedesco
si trovano insieme messi a confronto con la Parola di
Dio, Il c'è la Chiesa, è che si verifica se la Chiesa
è ancora Chiesa o ha cessato di esserlo>> (Gesammelte
Schriften II, 52). La Parola di Dio fu per questo cri-
stiano coerente il cammino che lo condusse al sacri-
ficio della sua vita... (Possano tutti i passi biblici che
vi sono stati dati nel Doc. C p. 9-10, essere tutt'altra
cosa che un contribtlto scientifico).
L'Eucaristia è senza dubbio il luogo in cui il supe-
ramento delle pure liberazioni umane si realizza meglio.
Non soltanto la contemplazione del Liberatore, Egli
stesso presente, ci conduce a fare delle nostre Euca-
ristie una contemplazione di quelli che devono bene-
ficiare della Liberazione totale, ma ci permette «d'affer-
mare in faccia al mondo, in un momento di festa, che
arriverà il termine finale in cui i nemici si muteranno
in compagni, in cui gli avversari si riconosceranno
fratelli ~ (VescO'Vi francesi a Lou,·des, 1972). I cristiani
non sapranno «accettare di sentir dire che è impossi-
bile celebrare l'Eucaristia con le nostre diversità poli-
tiche, culturali e sociali: questo sarebbe .rigettare lo
stesso Cristo che fa vivere ciascuno di noi, questo si-
gnificherebbe rinnegare la Chiesa che è segno di unità
già data e sempre da costruire» (Mons. Etchegaray,
Doc. Cat. 1660).
La preghiera, per l'azione liberatrice, è insieme sor-
gente e compimento, perché essa nasce anche dalla parte-
cipazione alle preoccupazioni e alle speranze dell'Uomo l
Bisogna vivere in comunione con gli uomini e vivere
<< in società con Gesù Cristo, affiuché il dono di Dio
possa essere offerto ad ognuno, oggi o (Loew, p. 126).
Insomma, il cristiano che si impegna per la liberazione
politica, sociale, sessuale, di promozione umana, di
liberazione della donna, perché possa raggiungere il
suo scopo difficile ed esaltante, è sempre più rimandato
alla meditazione dei misteri del Cristo.
Noi siamo in pieno nel pensiero salesiano. Una pietà
incarnata: forse non è stata questa una delle preoccu-
pazioni di Don Bosco? Ne porto come prova l'idea
che l'animò quando fece il famoso libro di pietà per
i suoi giovani e che intitolò: << Il Giovane Provveduto >),
cioè provvisto, equipaggiato, munito per le realtà vitali
che l'aspettano.
Allora questo giovane << provveduto il dovrà essere in
grado di agire, perché la Fede e la Buona Novella di
Gesù non sono soltanto una dottrina giusta (ortodossia),
ma una rettitudine di vita (ortoprassi), pur non essendo,
come abbiamo già detto, una dottrina politica. «La
fede sviluppa non una organizzazione sociale, ma una
ispirazione: essa ispira gli uomini che agiscono e tra-
ducono in strutture sempre provvisorie, l'ideale che
li anima ». << La Chiesa è il luogo dove la vita dei cre-
denti si interpella attraverso la Parola di Dio. Senza
sosta, essa chiama e provoca alL'impegno nei posti che
il servizio dell'uomo secondo la giustizia reclama. La
Chiesa, in questa visuale, accetta di correre dei rischi:
essa si sforza di dire al cuore delle situazioni umane
quello che il Vangelo vuole dire oggi, in un atteggia-
mento critico che dimostra la relatività di ogni realiz-
zazione che si prendeva in senso assoluto >> (Atelier 4,
Sessione dei Vescovi di Francia, sett. 1974).
Sarò breve sul come del vostro impegno. Ciò che
dovete fare non tocca a me dirvelo; tac.ca a voi, per-
sonalmente e collettivamente, studiare concretamente la
logica della vostra fede nel campo della giustizia e della
promozione umana. Voi vorrete agire attraverso una
18 presenza effettiva, una testimonianza, dei servizi, l'opera
di educazione, la catechesi, i mass-media. (Cfr. Doc. il,
pp. I2-I3), ma non senza interrogarvi spesso sulla vali-
dità di quanto fate. Non basta dire: << Io vado a fare
il catechismo ai ragazzi! >>. Forse qualche volta sarebbe
meglio non farlo... Non basta fare qualche cosa, bi-
sogna anche farlo bene.
Credo più importante parlare del nostro agire i11sieme.
L'impegno in certe iniziative di liberazione, non è
senza pericolo, e se alcl.l!)i cristiani vi perdono la fede,
ciò lascia supporre che le Comunità di cui erano membri,
non li hanno abbastanza sostenuti. Ma se è importante
lavorare insieme lo è soprattutto perché è una esigenza
della nostra Fede, per rendere percettibile il Cristo Gesù
che ha detto: «Quando siete riuniti due o tre, anche
io ci sono l). «La fraternità è sempre il segno della
presenza del Signore e dell'invio in missione da parte
sua, come pure lo strumento per suscitare la ..:omu-
nione » (Loew, p. 143).
In questo senso voglio evidentemente parlare del-
l'azione in seno alla vostra organizzazione. Il priore di
Taizé ha scritto: «Ciò che non è maturato assieme
non può essere imposto, altrimenti noi carichiamo gli
altri dei nostri particolarismi)> (La vwlenza dei pacifici,
p. r23). Regola d'oro per un'azione concordata. Se
Don Bosco insisteva a ragione sulla vocazione perso-
nale, non diceva però <• individuale ~- La persona è
sempre collegata agli altri e la santità personale non si
oppone all'impegno in una dimensione collettiva.
Avrebbe altrimenti inventato i CC? In effetti, in tanti
campi l'azione individuale non basta, bisogna unirsi
agli altri nello sforzo collettivo di liberazione. li n. 4,
ultimo paragrafo, e l' u, primo paragrafo, del vostro
N. Regolamento sono molto espliciti a questo pro-
posito.
Il fare <• insieme l> esige il (! dialogo ; terapeutico che
costituisce il nerbo, il legame e il nodo del gruppo.
Quando all'aurora della nostra avventura umana, il pec-
cato è venuto a guastare il bel lavoro del Signore, cosa
è che fece, Lui? Una riunione. I tre si sono messi
a discute.re sulla situazione. Come riparare i guasti ?
Come reintegrare l'uomo nella famiglia? Come, mal-
grado tutto, fargli acquistare liberamente la statura di
figlio di Dio ? Fu avviato un vero dialogo terapeutico
che aveva per oggetto l'uomo malato... Un gruppo di
Cooperatori deve lavorare secondo questo modello:
prima di un'azione, prevederla; dopo, revisionarla. E
così nella Fede, per imparare a vedere il mondo, a
giudicarlo e ad agirvi con gli occhi, l'intelligenza e il
cuore di Cristo.
Ma c'è anche l'azione dei CC. condotta con altri,
quelli di cui parlano i paragrafi 3 e 4 del n. 10 del
N. Regolamento. I movimenti apostolici riconosciuti
dalla Chiesa, in primo luogo. Ciò sembra evidente, ma
purtroppo il nostro campanilismo inveterato costituisce
un ostacolo più frequente di quello che può sembra1e.
Noi siamo portati a vedere subito dei concorrenti là
dove dovremmo rendere grazia di trovare altri credenti,
organizzati per agire nel mondo nel nome di Cristo?
Pertanto vorrei dire, rapidamente, una parola su
questa collaborazione con gli altri: compresi gli atei,
i comunisti, i protestanti, non senza sottolineare, di
passaggio, il necessario approfondimento della nostra
identità specifica se vogliamo conservare e sviluppare
la nostra originalità cristiana di cooperatori.
Nella collaborazione con altre organizzazioni dobbiamo
anzitutto difenderci da certi atteggiamenti deleteri come
quello dell'integrismo tutto ciò che non è cristiano
è automaticamente satanico, negativo o), o del lassismo

2.9 Page 19

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purché uno sia sincero, tutto è valido! •>), o ancora
dell'autodifesa, che, davanti alle necessarie conversioni
o rimesse in causa, invoca una solidarietà di gruppo,
assai equivoca, per non cambiar nulla!
Per esempio nel caso dell'incontro col marxi.smo, o
partecipando alla promozione umana, il giovane coope-
ratore è spinto ad approfondire la maniera con la quale
vuole essere solidale con gli uomini? Forse adottando
successivamente diverse dottrine e utilizzando non im-
porta quali mezzi, perché simile agli altri? Come espri-
mere la sua solidarietà senza nascondere sotto il moggio
la sua fede in Dio, la salvezza portata da Cristo, la
Speranza evangelica rivelata soltanto ai Cristiani ? Se
vi può servire un paragone {non si tratta di identifi-
cazione assoluta), «per salvare uno che sta affogando,
bisogna che mi butti in acqua con lui; non gli griderò
dalla sponda: fa così per salvarti! Occorre sl che mi
butti in acqua con lui, ma occorre anche che sappia
nuotare meglio di lui, se no vi saranno probabilmente
due annegati anziché uno » (Loew, p. 78). Non si tratta
per noi di cercare di aUinearsi ad ogni costo; ciò signi-
ficherebbe la perdita deUa nostra specifica identità cri-
stiana. Davanti, per esempio, ai tentativi di assorbi-
mento-fagocitazione da parte del partito comunista, non
si tratta di ripiegarci su noi stessi, ma di saper discernere
(e questo è un dono dello Spirito Santo e se .siamo
in legame con Lui...): portare avanti un'azione precisa
con un gruppo di sinistra, per esempio, non significa
che prendiamo l'analisi mar.,cista come punto di riferi-
mento in fatto di azione a livello di strutture, o che
.noi confondiamo la novità del Vangelo con gli obiettivi
temporali di liberazione politica o sociale, identificando
l popoli poveri con il Popolo scelto da Dio, o ancora
che noi avalliamo il principio dello scontro delle
classi, chiudendo gli occhi sulla dialettica di odio nella
quale ci trascina... L'assimilazione totale - voluta o
inconsapevole - è un'alienazione e equivale ed un
rifiuto dJ comunione con tutti. li giovane cooperatore
- o l'anziano! - nel suo desiderio di trasparenza,
necessario per un dialogo rispettoso di altre opzioni,
non dimentica, secondo la parola di Mons. Ancel, che
«vi sono molte cose buone nel marxismo >>, rna che
«v' è una menzogna che guasta tutto: l'ateismo».
Rimanere se stessi è una legge e una via per la Libe-
razione umana, ed è questa che permette di collaborare
senza complessi e con profitto: << Per me, diceva il
Padre Six, nell'aprile del '68, i cristiani che sono in
dialogo con gli increduli approfondiscono la loro fede,
vale a dire che quando non hanno contatto con gli
increduli, molti cristiani oggi perdono la fede». (Ma
bisogna essere cristiani!...).
Così è importante, nella logica stessa delle proposte
del nostro Regolamento, di domandarci: Siamo noi
impegnati come Cooperatori Salesiani, nell'azione di
Liberazione-Conversione totale dell'uomo e non sol-
tanto a titolo individuale? Cioè in virtù deUa missione
specifica che Don Bosco ha voluto affidare a questo
ramo della Famiglia Salesiana?
V - NELLA LINEA
- dello Spirito salesiano di Don Bosco senza «sale-
sianismo *
- della Chiesa
- della «libertà dei figli di Dio •>.
Agire come Cooperatore significa agire nella linea
stessa dello Spirito salesiano vissuto dopo Don Bosco
e fino a oggi dalla I; amiglia Salesiana.
Nel corso del mese di febbraio 1973, due scioperi
della fame, hanno avuto per cornice i locali di due
delle nostre parrocchie dell'ispettoria di Lione. I Sale-
siani di queUe due comunità hanno portato, anche
d'accordo con il Vescovo locale, ma con molta convin-
zione, il loro pieno appoggio ai lavoratori tunisini e
marocchini emigrati, facendo manifestazioni per otte-
nere il diritto legittimo al Libretto di lavoro, senza c1ù
questi sono troppo sovente abbandonati allo sfrutta-
mento e all'abuso. Mi sembra di riconoscere in questi
due fatti l'eredità di Don Bosco e di Don Rua che
denunciarono, con vigore e senza compromesso, le in-
giustizie nel mondo del lavoro. Il primo «seguiva>>
con cura gelosa i giovani che sistemava come appren-
disti. Il secondo, Don Rua, intervenne per esempio,
in modo decisivo, in uno sciopero di cinquanta giorni
che colpì 1500 impiegati della ditta Poma di Torino.
La Strenna del Rettor Maggiore per il 1975: (< Con-
versione-Riconcili-azione-Evangelizzazione >>, non ha lo
scopo di avviare sul cammino deUa Liberazione Evan-
gelica ciascuno di noi e le nostre organizzazioni?...
Il Capitolo Generale dei Salesiani (1971-72), con tutto
il dinamismo che implica una vera fedeltà al Fonda-
tore, non si poteva esprimere più chiaramente sul-
l'impegno dei Salesiani per la Giulltizia nel Mondo
(Atti, 67). Con lo stile proprio di Don Bosco « noi
Salesiani scegliamo la linea del progresso dei popoli o
(id., 72), rifiutiamo ogni compromesso con ogni forma
di ingiustizia sociale e << ogni collusione con la ric-
chezza e il potere 1> (Do,i Ricceri, ACS 26I, pp. 22-
23) (73), collaboriamo alla promozione del mondo operaio
e degli emigranti (74), adottiamo uno stile di vita po-
vero (75), poniamo alcuni gesti profetici (76)... E non
è da me che voi imparerete quanto il vostro Nuovo
Regolamento, particolarmente al n. 10, sia della stessa
vena che le Costituzioni degli SDB, quando afferma
che i CC «rimanendo estranei a ogni politica di partito,
rifiutano tutto ciò che provoca e alimenta L'oppressione,
la miseria, la viole11za, e operano coraggiosamente per
rimuoverne le cause e vogliono lavorare specialmente alla
liberazione dei giova,ii più sfavoriti e dèll'ambiente popo-
lare, alla maniera di Don Bosco ».
Ci sarebbe da dire molto sul ruolo del Religioso
salesiano che è delegato per i Cooperatori. Malgrado la
parte attiva, appassio113:ta che prende egli stesso alla
riforma del temporale, alla promozione umana, alle
operazioni liberatrici, intuisce subito che si tratta qui
di un compito prioritario proprio del laico cristiano
impegnato.
Egli deve essere, prima di tutto, un ~ testimone del-
l'Invisibile •>, che porta la Parola e l'Eucaristia, rive-
lando il vero senso di ogni azione politica o sociale nel
Cristo, restando aperto a tutti, come uomo dell'unità,
affinché il centro cooperatori sia un luogo di riconci-
liazione. (Cfr. N. Reg., II).
Eviterà, in particolare, e farà evitare sempre, ogni
salesianismo, ogni spirito di bottega, ogni ripiegamento
su noi stessi, (le nostre case, i nostri giovani, le nostre
opere, le 11ostre scuole, le nostre chiese, le nostre mis-
sioni, le nostre attività), perché - lo dice anche il
Rettor Maggiore, nella lettera di presentazione del
N. Regolamento - i CC. sono il << ramo secolare del
grande albero, da Don Bosco piantato, per ispirazione
dello Spirito Santo, nella Chiesa di Dio, per fruttifi-
care apostolicamente nel tempo e nello spazio», Pian-
tato nella Chiesa! Lavorando con la Chiesa! Concilio,
Sinodi, Conferenze episcopali, orientamenti pastorali
locali ci indicano, ancora qui, il cammino sicuro. «La 19

2.10 Page 20

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dimostrazione primaria e fondamentale della nostra Fede,
scrive il Padre Loew, è l'agire nell'unità e nella comu-
nione con la Chiesa. D imenticare o disprezzare questa
verità è per se stesso fabbricare moneta falsa e dare
una parvenza di evangelizzazione ad un assegno a vuoto >>
(Come se vedesse l'invisibile, p. z64). Non abbiamo da
presentare UD nuovo Vangelo. La missione salesiana
non è accanto alla missione della Chlesa, ma dentro,
inglobata. Non si può d'altronde essere più espliciti
di Don Bosco: << Il vero scopo diretto dei Cooperatori
non è quello di coadiuvare i Salesiani, ma di prest:µ-e
aiuto alla Chlesa, ai Vescovi ai parroci... )) (MB XVII,
25). E questo incondizionatamente, quali che possano
essere gli errori, gli sbagli, i passi falsi, le rughe della
nostra Cruesa di cui noi siamo chiaramente coscienti.
Ma un gruppo di Cooperatori, che vuole essere fedele
alla << devozione 1> ( come si diceva) che Don Bosco
aveva per 1a Chiesa e per il Papa, cercherà innanzitutto
di contestare il volto che oggi si ha o che si offre della
Chiesa - o che la Chlesa stessa si dà - senza con-
testare la Chiesa...
Questo riferimento unico e fondamentale ci consen-
tirà di non prenderci troppo sul serio: il fanatismo ci
minaccia tutti quanti, particolarmente gli appassionati
e i generosi. La nostra associazione è solo un mezzo
relativo nella Chiesa; non facciamone quindi un asso-
luto. Conserviamo sufficientemente flessibilità e libertà
- quella promessa ai figli di Dio - e originalità, per
non restringere i nostri orizzonti e diventare schiavi
delle nostre istituzioni... E poi, abbiamo la fortuna di
fare parte di UD insieme: la Famiglia Salesiana, nel-
1'interno della quale noi possiamo già uscire dalle nostre
vedute ristrette e dalle nostre etichette, sentendoci
sufficientemente liberi gli uni in rapporto agli altri,
dicendoci che ciascun gruppo è una ricchezza per l'altro
e che il progresso di uno fa avanzare anche l'altro.
È Don Bosco stesso che diceva ai Salesiani nel loro
Capitolo Generale del 1877: «Un'associazione importan-
tissima che è l'anima della nostra Congregazione, è
l'opera dei Cooperatori Salesiani>). La missione sale-
siana io favore dei poveri e dei piccoli è il legame il
più solido che ci unisce: essa cristallizza la nostra co-
mune vocazione.
CONCLUSIONE
Al termine di questa conversazione so bene quanto
sono stato inferiore al compito e alla vostra attesa.
Però mi stimerei molto soddisfatto se, con queste J?arole,
avessi potuto infondervi la brama di andare piu lon-
tano, con lo studio e con la pratica attiva e inventiva, -
nella scoperta della liberazione portata da Cristo per
il capovolgimento e la rivoluzione del cuore dell'Uomo.
L'originalità della Salvezza cristiana è sempre da defi-
nire meglio e di più, innanzitutto affinché non sia
dimenticata da quelli che lottano per una realizzazione
veramente concreta del Regno, e inoltre perché la paura
di non essere più fedeli ai dati della Fede, non sia 11na
scusa alla tentazione di rifugiarsi in una concezione
troppo spiritualista o individuale della Liberazione por-
tata d.a Cristo (Pierre Castel, JCJ 1:. 465, 46), (cfr.
Doc. A, p. 4).
Sì, impegnarsi per la liberazione totale dell'Uomo,
affinché ci siano meno Mozart assassinati, è senza alcun
dubbio il miglior modo di essere fedele alla vocazione
salesiana dei GG. CC., la cui preoccupazione è di
aiutare per la Salvezza della Gioventù. Ciò si può
20 attuare attraverso alcune vie; quest'Anno Santo ce ne
indica una: quella della Riconciliazione. Per liberare
l'adolescente dai suoi demoni, lavoriamo a riconciliarlo
con se stesso prima, dandogli l'occasione di creare, di
esprimersi, di giudicarsi; poi a riconciliarsi con l'adulto,
che rappresenta la società così come è, attraverso il
dialogo, la partecipazione, la corresponsabilità; poi con
il mondo che si costruisce, dandogli la parola per cam-
biare il corso delle cose; con il 1w.mdo della Fede inte-
grata nella vita.
Queste indicazioni, esposte troppo brevemente, meri-
terebbero di essere sviluppate. Ciò che è certo, è che
la Salvezza dell'Uomo non si farà senza gli uomini,
senza di noi ... Vi ricordate la storia di Bartimeo, il
cieco del Vangelo? Come spiegare che all'avvicinarsi
di Cristo, egli aveva sentito un gridare molto lontano:
È Gesù il Cristo! - come spiegare che si alzò così
d'un tratto e corse verso di Lui? Ve lo dirò io. Vi fu
un tale di cui non parla il Vangelo, - ma bisogna
saper leggere tra le righe - , che da parecchio tempo
gli aveva parlato di Gesù in UD certo modo e con tanta
passione; gli aveva detto che Eg1i poteva far tutto per
lui, guarirlo e salvarlo; cosicché quando ne ebbe final-
mente l'occasione, balzò verso il Salvatore...
Se noi potessimo essere per tanti che sono nella
situazione di Bartimeo: uomini o giovani oppressi, schiavi
infelici, essere come quello sconosciuto del Vangelo che
fa desiderare il solo vero Salvatore!... Nella crisi di
oggi, noi dimentichiamo troppo spesso che siamo una
Chiesa imperfetta perché è in marcia, perché non è
arrivata, e che dobbiamo vivere seriamente, serenamente
e gioiosamente una Speranza <'tonica» se vogliamo che
gli uomini scoprano, dalla parte di Gesù, un barlume
di salvezza... Alcuni ce lo gridano con una specie di
aggressività rivelatrice: Garaudy ha detto questo: t Voi
(noi), gli occultatori della grande Speranza che ci ha
rubato Costantino, gente di Chiesa, riconsegnatecela!
La sua vita e la sua morte (per noi anche la sua resur-
rezione), appartengono anche a noi, a tutti quelli per
i quali hanno un senso. A noi che abbiamo appreso
da lui che l'uomo 'è creato-creatore!'» (Garaudy, Le
Jli/onde, 25-z2-z969). Allora noi che possediamo questo
Risuscitato, questo Vivente, non custodiamolo per noi,
Lui che ci fa andare pacifici in mezzo all'affollamento
universale, Lui che ci fa restare in piedi mentre tutti
si piegano, Lui che ci fa resistere contro la corrente
universale.
Questa Speranza, di cui Don Bosco rimane per noi
un modello straordinario - (1 Ha sperato conu:o ogni
speranza » - , è la sorgente di questo dùiamismo del
provvisorio che spinge al largo, attento a tutte le spe-
ranze umane, disponibile e lucido. È Paolo Vl che
ce lo dice: «Non c'è niente di veramente umano che
non trovi eco nel cuore dei discepoli del Cristo •>, e
ancora: ~ Lo studio, il lavoro, il progresso, la contesta-
zione e la stessa rivoluzione sono altrettante speranze
per un cristiano in azione» (24-5-r970).
Allora non bisogna leggere questa evoluzione di oggi,
nell' Uomo, nel Mondo e nella Chiesa, come un'inter-
pellanza del nostro Dio, che all'inizio ha affidato la
terra a tutti noi, donne e uomini, affinché ci sforzassimo
con il suo aiuto, di farne un luogo di giustizia· e di
fraternità? (Am:mhlea dei Vescovi fra11cesi, 'Lourdes,
nov. z972).
Chi può rispondere a questa interpellanza meglio di
voi Giovani Cooperatori salesiani?
San Tommaso osservava già che la Speranza abbonda
nei giovani.
Voi ne siete i custodi!
MICHELE MOUILLARD

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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è questo grande raduno dell'Umanità per vivere eter-
namente un amore insondabile.
Bisogna allargare alle dimensioni del mondo il nostro
cuore, come quello di Don Bosco che l'.aveva «grande
come le spiagge del mare >l, e che aveva in permanenza,
sulla sua scrivania a Torino, a modo cli richiamo e di
segno, un globo terrestre (che ancora si può ammirare
nella mostra <i Don Bosco '68 >> a Torino). Farsi un
cuore e uno sguardo e uno spirito internazionali, nella
linea dell'intervento del Papa all'ONU. (Cfr. Doc. A,
p. II). E io penso che ciò è particolarmente importante
oggi per quelle persone che pensano di svolgere una
missione presso i giovani. Ho avuto dei contatti, negli
anni passati, con giovarn Russi, così come con dei
giovani del Brasile, cli Haiti o dell'Algeria. Quella gio-
ventù, e non solo quella, possiede questa sensìbilità
internazionale, ma credo di poter dire che press'a poco
è dappertutto cosl. Come, allora, degli educatori po-
trebbero penetrare nel cuore e nello spirito con menta-
lità ristretta e in nazionalismi gretti?
Questo tentativo necessario di convertire il proprio
sguardo, la propria intelligenza, il proprio cuore, non
riesce senza una profond.a Liberazione interiore. Co-
scienti che gli ostacoli non sono solo nel campo tem-
porale, che gli uomini sono alle prese con una povertà,
una prigionia, un accecamento, un'oppressione di altro
ordine che vive alla superficie di se stessi, che Gesù
Cristo è venuto a portare la Buona Novella anche e
prima di tutto a questi prigionieri, a questi accecati,
a questi oppressi disattenti alla loro condizione inte-
riore, i cristiani conoscono l'interdipendenza di questi
due ordini di realtà e come la sorgente profonda di
tante miserie della vita sociale e temporale sta nella
scelta che gli uomini fanno sul piano morale e spirituale.
Il destino dell'umanità è legato alla correlazione tra
questi due ordini, «di modo che è totalmente vano,
illusorio, irreale, di sognare una liberazione che ci por-
terebbe la felicità in un senso senza cambiarci prima
nell'altro. Finché il male umano non è colpito e vinto
a questa profondità interiore, ci corrompe tutti, restiamo
vittime del nostro accecamento e di conseguenza siamo
fatalmente condannati alla nostra condizione miserevole o
(Grelot, Il Cristo liberatore, pp. 2-3).
Per cambiare la vita bisogna capovolgere l'uomo.
«Le scienze sociali, quelle morali di libertà e di soli-
darietà, le utopie di ogni specie, non saranno che una
canzone cli più, dopo tante altre, per cullare la miseria
umana >l (id.), se noi non lavoriamo a questo capo-
volgimento -interno e principalmente in noi stessi. Lot-
tare contro le conseguenze del peccato, senza lottare
contro il peccato sarebbe di un enorme illogismo.
(Cfr. Doc. C. Mons. ll.ncel). Nel nostro universo tecnico,
si costeggiano una corsa gigantesca allo sviluppo e un
deserto spirituale invadente. È per far indietreggiare
tutto questo che noi siamo chiamati alla lotta contro
il peccato, radice del male.
È qui che mi sembra interessante ribadire il ~ Sii
allegro >> di Don Bosco. A noi stessi che talvolta siamo
tristi per le ricadute o debolezze o continui sbagli biso-
gnerebbe anche ricordare l'importanza deJl'Amore di
nella vita cristiana. Esso è misura e condizione del-
)'Amore agli Altri : << Tu amerai il prossimo tuo come
te stesso o (Chalendar, 25 lettere, p. 82). Ognuno di noi
deve imparare ad amarsi e ad accettarsi umilmente con
pazienza e abbandono... Questa forse non è la più
piccola delle conversioni!
Noi lo sentiamo bene: impegnarsi nell'avventura della
Liberazione umana è prima di tutto un appello perso-
nale ad un cambio di vita profondo e interiore. E infine
ricordiamolo: dovremo ogni giorno convertirci. Allorché
crederemo di aver trovata la formula buona, acquisite
delle certezze, allora dovremo diffidare. Dio è I.a sor-
presa continua. «Egli viene come un ladro!... ». J1 guaio
e che noi cerchiamo sempre la sicurezza. Forse pen-
siamo che alfine il Popolo di D io - e con lui i giovarn
cooperatori - con questa scoperta della Liberazione
hanno trovato finalmente la soluzione. E così facciamo
q il fondo del pannello >l e ne facciamo un dogma, e ci
congratuliamo... Mantenersi nell'atteggiamento di rimet-
tersi ogni giorno in discussione, convertirsi: questa e
la liberazione interiore permanente.
ID - PUNTO DI PARTENZA E SUPERAMENTO
DELLA LIBERAZIONE: GESÙ CRISTO E LA SUA
BUONA NOVELLA
Liberazione totale dell'uomo, ma liberazione cristiana;
cosa significa ?
Un giorno, in una riunione della JOC (Gioventù
Operaia Cristiana), si chiese ad un ragazzo di 19 anni:
«Come fai a pregare ? Vediamo: se Cristo fosse qui,
cosa gli diresti? 1>. Risposta: << Perché dite se fosse qui?
Cosa stiamo a fare noi qui, se Egli non c'è? >l.
Ecco: è qui l'essenziale! È perché noi crediamo che
il Cristo sta nel cuore delle liberazioni umane, e loro
qualche cosa di speciale e di unico, che noi vogliamo
impegnarci in esse. Anche se i cristiani abbracciano
sovente le stesse lotte Liberatrici di altri uomini (mate-
rialisti, atei, per esempio), la liberazione evtmgelica è
altra cosa che la semplice liberazione uma11a. Essa dà
a questa altri orizzonti, un altro soffio, altri criteri.
Riveste insieme un senso temporale e un senso eterno,
un senso spirituale e un senso materiale, un supera-
mento di ogni asservimento e la creazione dell'Uomo
Nuovo. Non ,spinge l'uomo soprattutto a possedere di
più, ma ad essere di più, attaccando le strutture ingiuste
che sono cli ostacolo. (Cjr. Doc. A, p. 6). Non cerca
cli fare dell'uomo un << proprietario >>, ma un << Signore >>
nel senso in cui lo intende la Bibbia!
Oggi l'Uomo finisce in un vicolo cieco. All'ottimismo
scatenato dalla filosofia del progresso nel XVI secolo,
che è poi fiorito nel XVIII e X!X, succede un'onda
di profondo pessimismo: IA liherazione dell'uomo attra-
verso l'uomo, può assicurare la salvezza dell'umanità?
I fatti sono qui: liberazione materiale, per esempio,
per mezzo del progresso?... Già nel 1917 Paul Valery
aveva denunciato la (< scienza come disonorata dalla cru-
deltà delle sue applicazioni». Cosa direbbe oggi di
Auschwitz o di Hiroshima? E le alienazioni dei nostri
tempi di pace? nella produzione: lavoro strappato a
morsi; nel consumo: pubblicità abusiva; nella vita stessa:
trasporti difficili... E la corsa agli armamenti ? 800 mi-
liardi di dollari per questi e 35 miliardi di aiuto per
il Terzo Mondo! E non è da credere che si parli qui
soltanto dei paesi capitalisti; lo stesso asservimento alle .
cose si ritrova nei paesi socialisti... L iberato nell'ambito
del materiale, l'uomo è affondato nel materialismo. Non
si finirebbe mai di elencare, nel ramo della Liberazione
morale-politica-sociale - che si pretende aver rag-
giunto - le alienazioni tanto nuove quanto impreviste;
libertà di pensare, parlare, scrivere? In realtà la pres-
sione dei mass-media dove la mettiamo ? Libertà del
palcoscenico o dello schermo ? Cosa ne fanno i Paso-
lini e gli altri ? Libertà imprenditoriale ? E le piccole
ditte ridotte a morire ? Libertà di essere se strssi ?
Questo ci regala una società che non fu mai così << per-
missiva>> dalla decadenza di Roma: alienazione all'ero- 15

3.2 Page 22

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tismo, all'istinto, alla droga. E là dove queste cose
non sono pem1esse, come nei paesi socialisti, si hanno
altre oppressiorù, per esempio le « liquidazioni>> delle
persone, la <e dittatura del proletariato diventata la dit-
tatura sul proletariato >> (Trotsky). Ai padroni si sono
sostituiti dominatori•>, e si è potuto scrivere: <e Ovun-
que si instaura il marxismo, il tributo pagato a Cesare
è prima di tutto quello della coscienza >> (Piettre, Marx
e il Marximzo). Le liberazioni hanno migliorato, sotto
alcuni aspetti, la sorte dell'uomo, ma non hanno portato
la salvezza all'umanità. Ecco la sfida buttata oggi in
faccia ai cristiani. (Cfr. Piettre, Le Man.de, I4-9-I974).
Solo Cristo e il suo messaggio di Liberazione-Con-
versione dell'Uomo superano tutte le alienazioni, com-
presa l'enorme sconfitta della morte: in effetti, la Llbe-
berazione pasquale trascende l'umanizzazione perché è
divinizzazione attraverso la morte. Sì! Essa si gioca
tiella Storia, ma ciò le permette di contestare tutte le
schiavitù che vi proliferano. «Il fermento evangelico
si oppone a ogni schiavitù, tanto la schiavitù che sof-
foca la coscienza personale sotto il peso del collettivo,
che quella che pretende liberar.e tramite il culto del-
l'individualismo•>. (Cfr. ICI, 465, p. 5). Certo, la Chiesa
è a servizio dell'uomo, ma non per << istallarlo ~ sulla
terra. Questo non significa, come scrive Don Girardi,
che <e amare .per amore di Dio voglia dire non amare
'umanamente ... Questo amore non è sterile quaggiù,
perché si esprime necessariamente prima di tutto sul
piano umano, se vuole sperare la Comunità sopran-
naturale. Non si possono amare i poveri in Dio senza
dare l'assalto alle cause della povertà >>. (Note di don
Girardi). Anzi Cristo solo può permettere nelle lotte
di Liberazione, di non tradire la propria <e classe •> e
nel medesimo tempo ricercare la comunione universale
senza schiacciare nessuno. Si esperimenta quale pane
secco diviene la giustizia quando la carità di Cristo non
gnerebbe rileggere da una parte l'introduzione al« Nuovo
la precede o non la completa.
Regolamento CC•> e dall'altra alcuni passi caratteristici
Ed è appunto perché non si può <e confondere il de-
stino soprannaturale del Regno e la novità del Vangelo
con gli obiettivi temporali di liberazione politica o
di esso: !{li articoli ro, 14, 19; le parole di Don Bosco
citate all'mizio del cap. IV: «II vero scopo diretto dei
Cooperatori non è quello di coadiuvare i Salesiani, ma
sociale & (Loew, o.e., p. 75) che non si può far credere
di prestare aiuto alla Chiesa, ai Vescovi, ai parroci,
a noi cristiani che delle regole di azione o una politica
sotto l'alta direzione dei Salesiani... Soccorrere i Sale-
precisa possono essere ricavate immediatamente dal
Vangelo. Come si esprimevano i Vescovi di Francia
a Lourdes: «la nostra fede non ci dà nessuna infalli-
siani non è altro che aiutare una delle tante opere che
si trovano nella Chiesa cattolica ».
bilità in un campo così contingente quale quello della
politica, che dipende dalla nostra competenza solo per
IV - AGIRE
via di conseguenza evangelica». (Cfr. Le Monde, JI-
Nell'autografo citato del Regolamento dei Coopera-
IZ-I972). Cosi si trova legittimato, come inevitabile e
tori, Don Bosco ci dice: <e Adoperarsi di fare del bene
anzi necessario, il pluralismo politico dei cristiani.
a se stessi con l'esercizio della carità verso il pros-
Ciò detto, senza pretendere di estrarre dalla Bibbia
simo >l. Don Bosco stesso viene a rafforzare ciò che
un trattato di economia, né un manuale di sociologia
dicevamo all'inizio: Amare gli altri è amare se stessi.
o di politica, <e non si ha il diritto di dimenticare le
Non si può logicamente voler q liberare» gli altri senza ,
incidenze sociali dei principi religiosi che vi sono dati.
lavorare alla propria conversione-liberazione. Agire dun-
Gesù non ha preteso organizzare la terra, ma si è aper-
que per liberare gli altri, implica l'impegno di lavorare
tamente indirizzato a degli uomini di carne e ossa e
alla propria liberazione. <1 Si può dire che finché uoo
noi sappiamo da quale lato andava la sua preferenza >> non si mette all'azione, non ha operato un vero capo-
(A. Gelin, Lectures, p. 6I).
volgimento, un'autentica conversione. Una condizione
Don Bosco non è venuto meno a questa regola. Il
per la propria conversione è di agire per la liberazione
suo specifico carisma, neUa Chiesa, è stato suscitato
degli altri. E non va intesa in· questo senso l'afferma-
dallo Spirito Santo che non si contraddice mai nella
storia. li carisma nella vocazione del Cooperatore rag-
zione di S. Tomaso - nulla è nuovo sotto il sole! -
il quale scrive che la politica è l'espressione più alta
giunge, attraverso quello di Don Bosco, la sorgente
della carità? È la nostra stessa Fede che ci obbliga
iniziale che ha dato l'avvio, oggi, nella Chiesa all'im-
ad agire.
pegno politico e sociale dei cristiani. E anche se Don
Nel Vangelo della X,-XVII domenica dell'anno ve-
Bosco non ha avuto mai in vista un'azione <e collettiva >>,
diamo gli Apostoli domandare una formula, una ricetta
questa appare oggi come una missione ecclesiale nella
magica a Gesù: 'Signore dacci la Fede', (passaci la
quale non c'è dubbio che egli s'impegnerebbe piena-
chiave!)... Gesù non si lascia abbindolare. La sua ri-
16 mente come figlio dichiarato della Chiesa. Qui biso-
sposta è significativa. La Fede non ha niente di auto-

3.3 Page 23

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pressi, ma crediamo di poterle cambiare nella misura
in cui riusciamo a cambiare noi stessi. Si tratta di assu-
mere un atteggiamento di umiltà nel riconoscere i no-
stri limiti, ma senza rinunciare.
Riteniamo di dover prendere coscienza della nostra
~ealtà di cristiani_ e cooperatori, che è quella di persone
impegnate a realiz.zare un mondo << a misura di uomo >>.
Per questo diamo alla preghiera e alla meditazione un
posto essenziale. Esse sono mezzo per entrare in con-
tatto, attraverso Dio, con il nostro prossimo e costi-
t~cono pertanto il primo mezzo per porsi al suo ser-
vJZ10.
L'atteggiamento di preghiera è, secondo noi, compo-
nente essenziale per la realizzazione del nostro cristia-
nesimo. ~ da essa che attingiamo il coraggio per agire
senza odio, pe_r cambiare una realtà alienante o ingiusta
o comunque lllumana.
In questa opera non possiamo non essere solidali con
tutti coloro che operano per la giustizia: non essere pre-
senti dove si.c~m~atte per u~a giusta causa, significa
non essere cnst1am. Ma dobbiamo far sapere e dimo-
strare ai gruppi non cattolici e anche ai molti cattolici
poco informati, che il problema sociale l'ha -posto Cristo
molto pr:ima ~i Marx. Occ_or:re che i cristiani che spesso
se ne dimenticano, lo gndlllO a tutti.
1\\!Ia per non essere strumentalizzati, dobbiamo rifiu-
tare la violenza, come strumento per cambiare la realtà
e assumere ~n prima persona l'impegno di operare in
concreto ogru volta che è offeso l'uomo nella sua dignità,
perché ogni uomo sia riconciliato con se stesso, cioè
con la realtà di figlio di Dio.
Noi crediamo che accettare la realtà così com'è, senza
tentare di cambiarla, significa rendersi complici dell'in-
giustizia. ~ con la nostra passività, indifferenza e apatia,
che scendiamo a compromessi ! Purtroppo, nella stessa
f~i_glia salesiana esist?no limitazioni da parte di reli-
g1~s1 ~OPP? preoccupati a ?On far invadere il loro campo
dai g10vam e dalla loro innovazione.
(Crediamo opportuno demmciare la realtà di due
r~gioni, Sicilia ~ Calabria, dove l'ostacolo maggiore al
nnnovamento d1 certe strutture e mentalità è stato e
continua ad essere la presenza in questi ambienti di un
salesiano e di un gruppo di F.M.A.).
Occorre, dunque, avere il coraggio di cambiare que-
sta realtà, rivedendo, se necessario, quelle norme che
onnai no~ risp_ondon? più alle esigenze del_ nostro tempo.
. In_ mento a1 _mezzi per operare nella vita quotidiana,
ntemamo che t1 cooperatore debba inserirsi in quelle
strutture già esistenti, anche se altri le hanno avviate.
Intendiamo dire, che egli non può disinteressarsi dei
comitati di quartiere né del lavoro di parrocchia, perché
queste sono due realtà del mondo in cui vive e non può
ignorarle.
~01: bisogna,.inoltre, dimenticare che come coopera-
ton sum1:o anzitutto catechisti e, quindi, dobbiamo
prepararci a questo compito, attraverso lo studio dei
documenti più recenti, e l'apprendimento dei nuovi
metodi di insegnamento e non con classiche << lezioni >>.
GRUPPO IV (13 partecipanti)
_La li~1erazi,one va intesa in una prospettiva finale.
L1beraz1one e un momento «unico»; non esiste un
momento di liberazione personale distinto da un mo-
mento di liberazione degli altri, ma è solo attraverso la
liberazione degli .altri che liberiamo noi stessi e vice-
versa_. _La liberazione passa attraverso la piccola azione
quotidrnna. Per essere liberati abbiamo bisogno di
Gesù Cristo che è l'unico veramente libero. Da qui
nasce_ l'esigenza di un'intensa vita spirituale e di una
preghiera-contemplazione che è legame immediato col
Cristo, conoscenza del piano di Dio su di noi e confronto
della nostra vita con la sua Parola.
Impegno concreto : Dedicare un momento forte alla
preghiera-meditazione che guidi le azioni della gior-
nata. Alcuni suggeriscono, essendo la meditazione della
Parola (preghiera-meditazione) il momento essenziale
della vita ~i ogn~no di noi,e quindi anche della vita del
gruppo, d1 dedicare nel! arco della programmazione
delle riunioni momenti indispensabili di preghiera-
meditazione-contemplazione.
lmpeg110 politico del gruppo dei GG.CC. nell'ambiente
in cui vive : si suggerisce ove è possibile, l'impegno nei
comitati di quartiere, forma istituzionale democratica
(popolare). Per svolgere un'azione veramente efficace
?CCOrre cono~cere le situazioni, le persone, i giovani,
11 loro propno ambiente (quartiere o parrocchia). Per
quanto riguarda l'impegno missionario che ogni coope-
r~tore _ha in quaot_o t:ùe, alcuni suggeriscono un mag-
gmr:e_unpegno unitari? del gruppo per la Catechesi .
lnv1ttamo per questo I Centri ad organizzare corsi di
formazione alla catechesi.
GRUPPO V (17 partecipanti)
Dalla nostra conversazione sono emerse le seguenti
opinioni:
La maggioranza di noi non si sente libera, perché
oppressa dal comodismo, dalle strutture e soprattutto
dalla paura di rischiare. Altri invece hanno fatto notare
che si sentono già liberi perché agiscono al massimo
delle proprie possibilità, vivendo momento per mo-
mento l'~pir~zione _dell? Spirito. Si è rivelato però che
t momenti: liberarsi e liberare, non devono essere dis-
sociati, in quanto liberando gli altri liberiamo noi stessi.
La conversione, personale e di gruppo, si fonda soprat-
tutto. nel coma~dam_ento dell'amore, c di conseguenza
dobbiamo cambiare 11 nostro modo di pensare nel con-
fronto con gli altri. Siamo dei credenti che hanno Cristo
per centro e quindi come Cristo dobbiamo morire
(accettare_ la_ croce), per poi risorgere convertiti. li so-
stegno pnnctpale del nostro operato è quindi la preghiera
nelle sue forme diverse ed inoltre una riflessione evan-
gelica approfondita sugli avvenimenti del mondo.
N~lla scelta tra impegno politico attivo e una testi-
monianza come gruppo impegnato, ci siamo orientati
s~l fatto che, ogn_i imp~gno responsabile, vissuto in
piena lt?ertà, e valido se e basato sul rispetto della per-
sona, nurante alla sua completa realizzazione. I Giovani
~o?peratori s~ devono (<svegliare ~ per essere disponi-
b1h _nel propno ambiente, nelle varie situazioni in cui
necessita una liberazione dell'uomo: nella scuola1 nel
lavoro, in famiglia, ecc. Infine alcuni di noi si sono
espr~~si a. ~a:7ore di un impegno. di cooperazione con
part1t1 poht1c1, che portano avanti un discorso di libe-
razione dell'uomo, mantenendo sempre la nostra iden-
tità di cristiani. Si propone inoltre di costituire dei
gruppi_ di studio che approfondiscano questi argomenti
nella linea del metodo preventivo di Don Bosco: analisi
sociologica, psicologica, strutturale, per scoprire all'in-
terno della storia nuove vie per la liberazione dell'uomo.
GRUPPO VI (12 partecipanti)
. li v~ro principio di. conversione è guardare se stessi
m faccia e confrontarsi con la parola di Dio, e liberarsi 23

3.4 Page 24

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dai tre grandi peccati della superbia, dell'avarizia e
della lussuria. Perché ciò avvenga è indispensabile la
preglùera-contemplazione, come contatto con Dio vera
fonte di liberazione. Perciò, per noi, la preghiera-con-
templazione deve occupare il primo posto nello sforzo
di liberazione-conversione.
Oggi si parla molto di liberazione e a questo termine
si attribuiscono vari significati. Per noi <•Liberazione•>
non è solo libertà da schiavitù materiali o fisiche: è libe-
razione dal nostro egoismo. Ciò di cui dobbiamo libe-
rarci, quindi, è qualcosa che è dentro di noi e l'unico
che può aiutarci in ciò è Cristo.
Liberare significa promuovere lo sviluppo di tutto
l'uomo e di tutti gli uomini, sviluppo cioè dell'uomo
in ogni sua dimensione, non solo materiale ma anche e
soprattutto spirituale. È per questo che non ha senso
per noi promuovere un cambiamento di strutture s~nza
promuovere la liberazione dell'uomo. Qualunque siste-
ma politico, infatti, sarà sempre ingiusto, finché saranno,
' ingiusti, cioè non liberi, gli uomini che l'hanno ideato.
Non è da escludere una forma di collaborazione con
coloro che lottano per questo fine, ma è indispensabile
la preparazione (quindi idee chiare) per non essere
strumentalizzati.
·
Le proposte scaturite alla fine della discussione sono:
- Per quanto riguarda la conversione personale e di
gruppo : una formazione spirituale e un maggior appro-
fondimento della Parola di Dio, mediante meditazione,
personale, gruppi del Vangelo, esercizi, ritiri e l'Euca-
ristia intensamente vissuta.
- Per quanto riguarda la liberazione degli altri:
1. la pubblicazione di sussidi, opuscoli, articoli, ecc.,
che ci diano delle direttive chiare e facilitino una pre-
parazione precisa che ci consenta un concreto impegno!
politico-sociale, permettendoci nello stesso tempo d1
rimanere noi stessi, di mantenere cioè la nostra identità
di GG.CC.;
2. una presenza attiva della nostra associazione nella
scuola, nell'imminente applicazione dei decreti delegati;
3. affrontare il problema «ecologico spirituale>>, cioè
educare i ragazzi al giusto uso dei mezzi di comunica-
zione sociale;
4. una preparazione più approfondita e aggiornata
alla catechesi.
Non bisogna più aspettare: ciò che veramente deve
distinguerci e che deve caratterizzarci è: sacrificio, di-
sponibilità, gioia e carica d'entusiasmo.
GRUPPO VII (1 1 partecipanti)
Punto di discussione: Quale posto deve occupare
la preghiera contemplazione nello sforzo di libe-
razione-conversione?
Se compito del cristiano e della Chiesa non è di farsi
un proprio progetto di liberazione, ma di collaborare
a realizzare quello in cui sono coinvolti tutti gli uomini
di buona volontà, come e dove noi GG.CC. realizzeremo
questa missione? Nella preghiera-contemplazione? Ma
quale posto essa occupa e deve avere nello sforzo di
liberazione e conversione ?
Siamo partiti dalla considerazione di 3 realtà: Pre-
ghiera-Contemplazione-Eucaristia.
Preghiera = Non solo come rapporto interpersonale
Io-Dio, ma lo-Dio-Gli altri.
Contemplazione = Non come isolamento (nonconsi-
24 derazione degli altri), ma come momento di rifles-
sione e solitudine in cui nel silenzio, da poveri, meglio
si incontra Dio perché si è in ascolto.
Eucaristia = Il culmine della preghiera: Comunione:
Xto Parola e Xto Eucaristia. Vi può essere una Euca-
ristia senza politica? Abbiamo pensato di poter rispon-
dere tenendo presente la parola del Xto: << Senza di me
nessuno può fare>>. C. Carretto nel suo libro Il Dio che
viene, analizza una spiritualità in cui l'Eucaristia è senza
politica. Un fatt? ,gr~ve e reale ~e_l nostro tempo _che
si prega poco, c10e s1 fa una politica senza Eucanst1a e
viceversa. Ma il rimedio deve essere cristianamente
vero e non proporre di trovare Dio in un disincarnato
deserto. Spesso noi troviamo Dio al di là della storia
degli uomini. Questa tendenza è riscontrabile in molti
movimenti di spiritualità che, preoccupati di ritrovare
la preghiera, si avviano inconsapevolme~te ad una pre-
ghiera di tipo orientale, veramente al d1 là ~ella Pale-
stina, cioè in un preciso luogo e popolo stonco, dentro
e attraverso il quale si è rivelato Dio che ci ha chiamati
all'Alleanza. Se prendiamo come metro di misura la
Bibbia e l'Incarnazione, vediamo che Dio viene dentro
e attraverso la storia degli uomini, e non al di là di essa.
L'inizio della << Gaudium et Spes » attualizza con una
felice espressione, che ripete spesso e volentieri, q~esto
incontrare Dio nel realismo, nella sua I ncarnaz1one,
che sarà poi da noi imitata e vissuta con Lui: <• Le gioie
e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini
d'oggi... sono le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce dei discepoli di Cristo! >).
La soluzione può essere veramente cristiana solo
quando va alla ricerca di un Dio non al di della storia
degli uomini, perché sarebbe cercare Dio al di_ dcli~
Bibbia, della rivelazione, ma quando va alla ncerca d1
Dio al di dentro, nel profondo della storia umana.
Dicendo «al di dentro 1>, esprimiamo: impegno-
incarnazione, fare nostri i problemi e i peccati dei fra-
telli, le angosce, le speranze...
Dicendo <• nel profondo •!, esprimiamo quella dimen-
sione di preghiera, meditazione, contemplazione
(art. 6 N. Reg.), lettura della Bibbia, che d,~v~ preoc-
cupare noi GG.CC. e senza la quale non ce incarna-
zione del Figlio di Dio, attraverso noi, ma c'è solo l'agi-
tarsi umano, c'è politica senza Eucaristia, c'è eresia
dell'azione.
I GG.CC. non possono e non devono, dunque, mai
fare politica senza Eucaristia: intendiamo dire cioe che
Eucaristia non è solo quella dimensione di profondità,
di contemplazione, di preghiera nel profondo, ma è
anche l'altra dimensione, quella dell'al di dentro, cioè
l'impegnarsi, il morire con tutte le morti umane e il
risorgere con tutti i germi di cose buone. Pregare e con-
templare significa dunque andare dove si è rivelato
Ges.ù, cioè «dentro >> i fatti umani, ma fino in fondo.
Significa ritrovare l'Eucaristia in modo biblico, in
quanto l'incarnazione è nella storia sociale degli uomini
e nelle realtà umane nella cui profondità s'incontra il
vero Dio.
GRUPPO vm (19 partecipanti)
Siamo partiti dalla constatazione, analizzando la
prima domanda del questionario, che ogni membro
del gruppo sostanzialmente si sente «persona libera •>,
pur avvertendo questa profonda esigenza di liberarsi.
Questo perché la Liberazione è una conquista gra-
duale che si attua in un continuo confronto con noi
stessi, alla luce del Vangelo, e anche con gli altri in una
continua ricerca della verità.

3.5 Page 25

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Questa domanda mette, inoltre, a nlJ'!o una grossa
pecca di coloro che si definiscono cristiani: noi cre-
diamo di conoscere la verità, di aver tutto chiaro in
testa e partiamo per operare; siamo invece sullo stesso
piano deç-li altri e non dobbiamo sentirci superiori. La
ricerca d1 questa liberazione è fortemente condizionata
da fattori strutturali e riteniamo, pertanto, di fonda-
mentale importanza una seria analisi socio-politica,
sia a livello nazionale che internazionale, per enucleare
le cause che determinano l'ingiustizia (Art. IO). (Que-
sta analisi che il nostro gruppo propone come primo
impegno concreto sia a livello personale che a liveUo
di associazione, una volta effettuata, consente di ri-
spondere anche in parte all'ottava domanda del que-
stionario).
Per superare questi condizionamenti abbiamo bisogno
di porci in atteggiamento di umiltà nei confronti degli
altri, unito a una profonda convinzione riguardo a ciò
che facciamo. Questo, porta necessariamente a fare
delle scelte, non operando le quali scendiamo a compro-
messi con le disuguaglianze e le ingiustizie (vedi do-
manda 11. 4), venendo così meno a quello che è il vero
messaggio cristiano.
In una società nella quale, oggi specialmente, si fa
sempre più radicale il contrasto tra il ricco e il povero,
l'oppressore e l'oppresso, il padrone e l'operaio, s'im-
pone per noi cristiani una chiara presa di posizione.
li gruppo si è dimostrato unanime nella scelta in
favore dell'oppresso, del quale dobbiamo condividere
1~ sofferenze, i bisogni, le lotte, le speranze. Questa
scelta implica necessariamente una rottura totale con
l'altra parte, cioè con l'oppressore? A questo punto,
dopo un acceso dibattito, sono emerse due differenti
posizioni: la prima è per una lotta non violenta a fianco
dell'oppresso, la seconda pone come ultima alternativa
il ricorso alla violenza armata. Quest'ultima alternativa
è condivisa solo da una piccolissima minoranza. Le due
tesi in apparenza contrastanti, si giustificano con la
libertà di coscienza e di scelta propria di ogni cristiano.
Ma in questa scelta di liherazione umana si è ostacolati
dalla posizione conservatrice della gerarchia della Chiesa,
manifestamente compromessa con il potere economico.
In questa missione liberatrice siamo quindi per forza
portati a collaborare con altri gruppi i quali non condi-
vidono con noi la nostra Fede (vedi domanda ll. 3).
Come fare però per non essere strumentalizzati ? Bi-
sogna essere se stessi: come ? avendo le idee chiare;
solo che non possiamo perdere altro tempo a prepararci
e dobbiamo maturare e crescere nel confronto con gli
altri insieme ai quali operiamo.
Passando ad occuparci del posto che deve avere la
preghiera in questo sforzo di liberazione e conversione
(domanda 11. 2), siamo stati unanimi nell'affermare la
massima importanza del momento di preghiera. Pur
non trascurando la necessità della preghiera come rap-
porto personale con Dio, abbiamo soprattutto posto
la nostra attenzione sulla preghiera-lavoro, sécondo lo
spirito di Don Bosco. Quando io aiuto ii mio vicino,
quando lo sopporto, quando sciopero con il debole, io
prego. Abbiamo più volte citato a questo proposito
l'art. 6 del N. Regolamento, che ci dà le linee direttive
del nostro impegno di conversione e liberazione. Lo
stesso articolo fa riferimento alla ii revisione di vita*
come momento di verifica della nostra Fede, come con-
tinuo cammino verso la conversione.
Come proposta concreta, oltre all'analisi socio-
politica cui accennavamo prima, il nostro gruppo ritiene
importante l'inserimento negli organismi civili e sociali
del paese. Come uno degli impegni immediati da realiz-
zare nei nostri centri appena tornati a casa, c'è la par-
tecipazione alla gestione democratica della scuola (decreti
delegati), sia come opera di sensibilizzazione sia come
responsabilità diretta per i più capaci e disponibili tra
noi. A questo proposito per un'azione unitaria si pro-
pone ai Cooperatori di collaborare con gli altri gruppi
cattolici.
Si è accennato inoltre ad un possibile inserimento nei
vari comitati di quartiere, come già fanno in alcuni
nostri centri.
GRUPPO IX (7 partecipanti)
Conversione e liberazione non possono essere deli-
neati entro schemi ben detenninati ma sono conquiste
che vengono attuate in modo soggettivo da ogni persona
e sono legate alle situazioni, agli ambienti, agli individui
a contatto con dei quali ognuno vive ed opera.
Liberazione personale e conversione non si possono
disgiungere, non portano ad una soluzione definitiva:
continuamente, nel confronto con gli altri e con la Pa-
rola di Dio, ci convertiamo e sviluppiamo ulteriormente
la nostra liberazione.
Questo ci porta ad una continua lotta contro il nostro
egoismo e i condizionamenti che provengono dal-
l'esterno. Essa si può sostenere soltanto con l'appoggio
e la forza che ci viene data dalla preghiera e dalla me-
ditazione sulla Parola di Dio.
Fra le altre cose è emerso il problema del nostro im-
pegno di cristiani cooperatori all'interno dei rispettivi
ambienti di studio e di lavoro. Si corre il rischio di essere
strumentalizzati da gruppi partitici che dietro il pretesto
di soddisfare le giuste aspirazioni dei loro ambienti,
operano solo per ragione d1 potere, ragioni quindi asso-
lutamente inaccettabili dal punto di vista cristiano.
Questo, spesso, ci blocca e impedisce la nostra testi-
monianza. Da ciò è emerso il proposito di un vero im-
pegno di sensibilizzazione e responsabilizzazione di tutti.
Non è possibile formulare una proposta concreta
attuabile da tutti: tutt'al pil'.1 si può dare una base co-
mune, cioè: i convegnisti, ritornati ai loro ambienti,
porteranno una carica nuova di entusiasmo e una mag-
giore volontà di impegno nel tentativo di liberare se
stessi e di liberare gli altri.
GRUPPO X (10 partecipanti)
Da questo nostro convegno si vorrebbe una svolta
decisiva, una riscoperta di noi stessi, e diverse proposte
concrete. Tutta,•ia nel nostro gruppo è emersa una certa
perplessità nell'affrontare il questionario ricevuto, molto
globalmente, per iJ fatto che non era chiaro, e forse non
lo è·ancora completamente, il significato di Conversione-
Liberazionc. Molti di noi si sentono cristiani, cristiani
all'interno ma hanno difficoltà, non tanto ad avvicinare
gli altri, quanto a portare un discorso reHgioso.
Bisogna ammettere che noi cristiani abbiamo paura
di iniziare un discorso, specialmente con gruppi inseriti
politicamente. Siamo spesso condizionati dai pregiu-
dizi e dal giudizio degli altri, da ciò che potrebbero pen-
sare di noi; spesso e volentieri l'egoismo è più forte
dell'amore per gli altri, le nostre azioni sono condizionate
dal senso di comodo. A questo punto non possiamo che
ammettere di non essere liberi, di non ~ire secondo
la nostra coscienza. Si riscopre sempre piu il bisogno
di pregare; abbiamo bisogno del dialogo col Signore
attraverso il Vangelo, per trarre la forza per raggiungere
quel maggiore impegno nelle nostre specifiche missioni. 25

3.6 Page 26

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Per essere liberati, il gruppo ha bisogno di una guida,
con cui confidarsi, discutere e seguire, sempre, però,
col senso della libertà individuale, dettata dalla nostra
morale, dalla nostra vocazione.
Non è stata notata alcuna differenza tra la liberazione
dell'individuo e quella del gruppo, constatato il fatto che
la comunità ha bisogno del singolo in egual misura di
come l'individuo ha bisogno del gruppo.
Principalmente è stato considerato l'ultimo problema
del questionario, perché consideriamo di vitale impor-
tanza il cercare di conoscere con molta attenzione le
situazioni, le persone e i giovani inseriti nel loro ambiente,
prima di im.pegnarci nel nostro lavoro di apostolato.
Questo fatto e da tener presente anche nei nostri centri,
per cercare di non imporre le nostre idee, affinché
ognuno si prenda ed abbia una propria responsabilità.
A tal proposito, occorre dare un preciso compito ad
ogni componente il gruppo, per poter avere un in1pegno
costante e per non farlo sentire troppo solo.
Le condizioni per non essere strumentalizzati si pos-
sono riassumere in una sola: avere tanta convinzione e
conoscere bene la pedagogia di Don Bosco. (A tal pro-
posito sono stati accusati i Salesiani per il fatto che
spesso e volentieri ai giovani non viene insegnato lo
stile di Don Bosco, non si cerca di conoscere insieme
la sua psicologia. Addirittura nelle loro scuole, maschili
e femminili, è carente la presentazione della sua figura,
illustrata talvolta solo attraverso fatterelli isolati de-
seritti nelle diapositive).
Per ultimo il gruppo non si è trovato d'accordo sulla
collaborazione con altri movimenti: la maggioranza è
d'accordo sul fatto che con tali movimenti è possibile
soltanto una collaborazione nel lavoro, ma non certa-
mente spirituale. Molti hanno paura della strumenta-
lizzazione da parte di tali gruppi, ben provvisti di par-
lantina e di scuola politica, contro cui ben poco può fare
anche la nostra convinzione. Si è ritenuto perciò pro-
blematico ammettere che diversità e opposizione di
impegni politici possano avere un rapporto completo
di lavoro con i GG.CC.
L'OMELIA DEL RETTOR MAGGIORE:
un parlare lucido
e concreto
«Don Bosco aveva una norma:
poche parole, molti fatti. - ... per 'fare di più'
occorre prima 'essere di più'... JJ.
Permettete che, anzitutto qui dall'Altare, vi faccia
riudire, spero con lo stesso suo cuore, quella parola di
Don Bosco: <( Carissimi, qui con voi mi trovo bene))
(MB: IV, 654). E i motivi di questa affermazione qui
si assomma.no, si moltiplicano addirittura: voi siete
giovani, Cooperatori Salesiani, raccolti in fraterna ri-
flessione di identificazione e di autenticità in vista di
un'azione più incisiva, in un momento delicato e pur
così ricco per la Chiesa, per la società, per la stessa
nostra famiglia.
So che in questo vostro Convegno nazionale vi siete
dati come compito quello di rispondere ad una istanza
acutamente sentita « ... per una revisione profonda e
per una autocritica costruttiva... » (Sussidio al Convegrzo,
p. I); avete voluto evitare il pericolo di quietarvi in
forme che si esauriscono in un certo dilettantismo ver-
bale, o in tornate e convegni che non hanno poi gli svi-
luppi operativi esigiti dalJo stile del nostro Padre di cui
sappiamo bene la norma: poche parole, ma molti fatti.
È così che voi "i siete mossi quasi in risposta alle
parole che poco tempo fa diceva Paolo VI: <• ••• noi,
come- credenti, come lontani e tanto prossimi seguaci
di Cristo, come membri della Chiesa Cattolica post-
conciliare (e qui possiamo aggiungere - come figli
26 spirituali di Don Bosco), noi dobbiamo fare di più 1)
j
(ud. gen. 4-IX-1974). Voi dunque vi siete mossi, per
individuare che cosa per voi potesse valere e comportare
questo «fare di più,>. Don Bosco non può che gioire
della gioia dei santi e dei sapienti dinanzi a questo
vostro obiettivo e proposito, così carico di salesianità.

3.7 Page 27

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rila voi comprendete senz'altro che per • fare di più••
occorre prima e essere di più », e cosl vi siete decisa-
mente proposti «... di operare una svolta ncl-vostro-
modo di essere >> (I.e.), attraverso una rinnovata vera
«conversione» che fosse premessa ad una autentica ed
efficace «liberazione ».
Conversione, liberazione: due parole di attualità
nella Chiesa, si direbbe quasi di moda, per cui rischiano
di essere abusate sino alla vanificazione: conversione,
liberazione, due valori che ne richiamano un altro ad
essi inscindibi.lmente legato: Evangelizzazione. Questa
interdipendenza l'avete avvertita certamente nei giorni
scorsi leggendo le cronache del recente Sinodo. ~1i
premo anzi far notare qui quale spazio i Padri sinodali
han voluto dare a voi giovani, per questa azione tanto
urgente quanto impegnativa, e in termini che si addicono
magnificamente a voi, giovani Cooperatori. «Noi - di-
cono i Padri col Papa - in modo speciale ci volgiamo
ai giovani che non vogliamo considerare soltanto come
oggetto di evangelizzazione, ma anche come particolar-
mente adalli ad evangelizzare gli altri e soprattutto i
coetanei» (Dichiara::. dei PP. S11wdali). Inoltre: e siamo
persunsi che i giovani, in quanto ricerchino i valori
fondamentali del Vangelo e reclamino la vera autenti-
cità nell'intendere la fede e nel testimoniarla, provo-
chino noi adulti e ci spingano a rinnovare incessante-
tmente il nostro impegno di evangelizzazione~ (i.e.).
un grande elogio, carissimi, che importa un deciso
impegno di azione e di equilibrio. Ma è anche vero che
una missione di tale portata come l'am1u11cio della sal-
vezza, l'evangelizzazione, trova l'uomo inadeguato,
incapace con le sole sue forze. « Una tale opera, - di-
cono i Padri Sinodali nella loro dichiarazione finale -
esige una incessante co1iversùme intel'iore dei singoli
cristiani e il continuo rinnovamento delle nostre comu-
nità e istituzioni. In tale modo la fede si fa più ferma,
più puro, più intima, e noi diventiamo idonei e _più cre-
dibili testimoni della fede mediante la coermza della
nostra vita individuale e sociale col Vangelo che dob-
biamo annunciare i>. «... Di qui risulta chiaramente la
necessità di una unione intima con Dio, fomentata
mediante la preghiera assidua, la meditazione della
parola di Dio, la contemplazione, e fortificata e soste-
nuta dalla partecipazione frequente ai sacramenti (I.e.).
Come vedete, carissimi, risulta evidente dalle logiche
sequenze del discorso sinodale che per essere, in grande
o in piccolo, nella scuola, nell'officina, nella famiglia,
nel mondo in cui siete chiamati ad operare, portatori
efficaci, del Vangelo, la strada obbligata è quella della
co11versi.011e n1cessante, i11teriore; e diciamo incessante
perché l'uomo per sua natura è incline alla di-versione,
arrivando talvolta fino alla diserzione dal Padre e da
Cristo e dalla sua legge di amore; per questo ha bisogno
continuo di verificare la sua rotta evangelica, i suoi
rapporti con l'Invisibile, ha bisogno di rafforzare la
sua naturale fragilità al contatto filiale ed amoroso con
Colui che è via, verità, vita e fortezza, di far luce alla
sua vista spesso offuscata e confusa al contatto di Colui
che è luce e fonte della luce.
È con questa strategia interiore che voi, carissimi, vi
renderete sempre più capaci di farvi, specialmente tra
i vostri coetanei, portatori in tutta la sua integrità, del
messaggio di Cristo, che è messaggio di liberazione. So
che voi in questi giorni vi siete fermati a riflettere su
questa parola così carica di suggestione, specie per voi,
giovani aperti e sensibili al richiamo della libertà e
alJ'insie.me di valori che questa parola sottende; ma vi
siete pure certamente resi conto - con la sensibilità e
con l'equilibrio tutto salesiano - degli equivoci e delle
ambiguità che attraverso questa parola si possono con-
trabbandare.
La liberazione di cui parla il Vangelo, e con esso la
Chiesa, è la più radicale; è la salvez::;a i11tegrale, anche
e perché colpisce la matrice di ogni forma di oppressione
e di ingiustizia, e la colpisce nella sua vera sede che
il cuore dell'uomo.
È appunto dal Vangelo che dobbiamo prendere gli
argomenti più profondi e impulsi sempre nuovi per pro-
muovere una generosa dedizione al servizio di tutti gli
uomini, e specialmente dei più deboli (e i giovani sono
tra questi!) degli oppressi e per eliminare le conseguenze
sociali del peccato che si trovano nelle ingiuste strutture
sociali e politiche» (Dichiarazio11e Si11odo). Così la
Chiesa, e quanti con essa collaborano, e non rimane nei
limiti puramente politici sociali economici, clementi
di cui certo deve tener conto, ma conduce alla libertà,
sotto tutte le sue forme, libertà dal peccato, dall'egoismo
individuale o collettivo, e quindi alla piena comunione
con Dio e con gli uomini fratelli» (I.e.).
La liberazione dunque, di cui ci parla la Chiesa sulla
linea evangelica e a cui siamo invitati a cooperare, come
dice Paolo VI nel discorso ai Sinodali • non si confonde
mai con l'una o l'altra liberazione, dovrà conserva.re
tutta la propria originalità di salvezza totale; quella di
un Dio che ci salva dal peccato e dalla morte e ci intro-
duce nella vita divina; per questo non si può accentuare
troppo, a livello temporale, la promozione umana e iJ
progresso sociale, a scapito del significato essenziale che
riveste per la Chiesa di Cristo l'evangelizzazione, l'an-
nuncio di tutta la buona 110'/Jella •· Questa è la libera-
zione totale a cui ci invita la Chiesa, che ho. umi sola
strategia, quella dell'amore più forte dell'odio e della
violenza, la strategia di Cristo.
Carissimi, vi ho ricordato alcuni chiari ed autorevoli
principi che servono a guidarvi nella realizzazione dei
generosi propositi che certamente portate quale frutto
di queste giornate. :.\\1a so bene come sia facile accettare
i princìpi e quanto sia duro tradurli nella realtà quoti-
diana in cui ognuno vive e deve operare. Ma non ci si
può fermare di fronte alle difficoltà: Don Bosco ci
spronai
E qui ritorna il richiamo alla •conversione• che, a
guardar bene, è un'operazione permanente di grazia,
che integra la nostra volontà e illumina la nostra intel-
ligenza, è l'intervento divino a conforto e supplenza
della nostra debolezza, dei nostri limiti: è Divento onni-
potente quando mi tuffo e mi immedesimo in Cristo )>,
diciamo con S. Paolo.
Appunto nell'Eucaristia che questa sera ci appre-
stiamo a celebrare .e vivere insieme, troveremo la forza
e la costanza per una conversione continua e feconda
che faccia di noi instancabili anche se umili operatori
di liberazione per noi anzitutto e per i fratelli che il
Signore mette sul nostro cammino.
27

3.8 Page 28

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CORAGGIOSO
IL NUOVO REGOLAMENTO
Tutte le nostre aspirazioni per una maggiore
giustizia nel mondo sono presenti. Un pericolo:
che tutto resti sulla carta. Leggi attentamente:
ART. 4 - Il Cooperatore è testimone di
Cristo...
- con l'impegno a risanare e rinnovare le
mentalità, i costumi, le leggi e le strutture dei
gruppi in cui vive e opera, per renderle più
conformi alle esigenze evangeliche di giustizia,
di fraternità e di libertà. A questo fine si preoc-
cupa di qualificarsi e di svolgere il suo lavoro
con intraprendenza, per contribuire all'edifica-
zione e al progresso della comunità umana.
ART. 5 - La povertà evangelica ci guida
ad amministrare i beni materiali e spirituali
con criteri di semplicità e di servizio generoso
ai fratelli, e a rifuggire da ogni forma di lusso
e di ostentazione.
ART. 8 - La m1ss1one del Cooperatore:
- anzitutto i giovani, specialmente dei ceti
popolari, e gli emarginati esposti all'ateismo,
al vizio, alla droga, alla delinquenza;
- i problemi sociali, culturali e religiosi dei
giovani emigrati;
- i problemi della famiglia, dell'educazione
dei giovani, della loro preparazione al matri-
monio;

3.9 Page 29

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- la cooperazione all'evangelizzazione dei
cristiani, la promozione del laicato missionario
e delle iniziative della Chiesa.
ART. 10 - L'Associazione rimane estranea a
ogni politica di partito. Tuttavia, ispirandosi
al Vangelo e seguendo le indicazioni della
Chiesa;
- aiuta i Cooperatori a formarsi una co-
scienza retta sul proprio impegno per la giu-
stizia;
- rifiuta ciò che provoca e alimenta l'op-
pressione, la violenza e la miserijl, e opera
coraggiosamente per rimuoverne le cause;
- si impegna a costruire una società più
umana e più giusta, e collabora con quelli che
lavorano a questo fine;
- è presente, tramite Cooperatori qualificati,
in movimenti apostolici e in organismi civili
e sociali che si prefiggono specialmente il ser-
vizio alla gioventù e alla famiglia, la solida-
rietà con i popoli in via di sviluppo e la pro-
mozione della pace.
ART. 20 - Il Cooperatore:
- sviluppa le proprie doti umane;
- particolare importanza ad una conve-
niente preparazione alle proprie responsabilità
cristiane nella famiglia e nel lavoro, e ai propri
doveri sociali e civili.
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - -- - - - - - - ' 29

3.10 Page 30

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DALLA <<DENUNCIA
DELLA
SITUAZIONE>>
Brani di CARLA BUSATO
T>alle mie parti raccontano che una volta la notte
di P,tsqua, al Gloria, tutte le persone abbandonavano
le cl iese e correvano alle fontane dei paesi a lavarsi
gli occhi. Per me è estremamente significativa que-
sta tradizione: in fondo mi dice che forse in questo
conwgno ci laveremo un po' gli occhi per guar-
darci in faccia, guardarci dentro, per guardare la
realtà, per guardare Dio con gli occhi che siano
sempre più degli occhi lavati.
Tn realtà la sintesi delJa conversione e della libe-
razione è la Ri-eo11cilia::i.<me, cioè è la promessa di
Dio di un'umanità che sarà riconciliata in se stessa,
che !'arà riappacificata, che sarà capace di amare,
che non avrà più le divisioni, le ingiustizie, non
avrà più odio. Cioè di una umanità che veramente
sarà l'umanità della festa, l'umanità delle persone
che sono capaci di volersi bene.
Siamo degli uomini peccatori, nel senso che an-
cora non esprimiamo tutte le nostre possibilità.
Siamo limitati, paralizzati, bloccati da un sacco di
problemi, dall'egoismo, siamo paralizzati dalia stan-
chezza, dalla pigrizia, dalle gelosie, dall'im,;dia, dal
nostro tornaconto.
i, Convertiti 't'UOI dire uomini salvi, uomini che oltre
a vedere bene e giusto, sono capaci di fare la giu-
stizia, di fare la verità, di fare il bene. Ecco, pongo
questo discorso alla vostra riflessione e vorrei ag-
ganciarlo alla situazione del popolo di Israele, che
staYa in schiavitù. Potete immaginare che cosa
significa aver padroni, essere sfruttati, poi si può
applicare al nostro tempo. Stava in schiavitù e
riceve questa promessa di liberazione, questo bat-
tesimo, questo uscire per andare verso una terra
che sarà loro data, dove non vi saranno più gli
sfruttamenti. Questo popolo si mette in viaggio,
abbandona le certezze, viaggio terribilmente diffi-
cile, fatto d'infedeltà, di idoli. A un certo punto
ha nostalgia delle cipolle d'Egitto, di ritornare nella
10 comunità, perché m fondo è più sicuro essere
schiavi, è più tranquillo anche essere sfruttati che
sporcarsi le mani, che mettersi in una situazione
di cambiamento, di conversione. Però essere schiavi
vuol dire morire... Che cosa significa questo per
la nostra esperienza? Credo che in fondo anche
noi cerchiamo una valanga di sicurezze, ci co-
struiamo un sacco di alibi per non cambiare. Pre-
feriamo rimanere schiavi delle nostre comodità, del
nostro egoismo, di tutte queste cose che sono una
schiavitù, però sono una schiavitù comoda perché
mettersi sulla situazione dell'Esodo, vuol dire cam-
biare, vuol dire mettersi in una strada 1in cui ci
si sporca le mani, non si è neanche più dei puri.
Si diventa dei fuorilegge, delle persone che rischiano
e allora io sento, per lo meno per la mia esperienza,
che la nostalgia delle cipolle d'Egitto è sempre
estremamente forte...
• La denuncia più grossa che noi ci dobbiamo
fare, è a questa nostra comunità, a questo nostro
non comprometterci nella storia, e questo nostro
costruirci un Dio a nostra immagine e somiglianza,
che ci fa restare comodi, tranquilli, che ci pensa
anche buoni perché noi facciamo le opere caritative,
perché noi magari, preghiamo. :Ma leggete nella
Bibbia, leggete quanto è esigente la preghiera!...
In fondo Cristo non mi ha ancora toccata, perché
se .Cristo mi avesse toccata, io allora dovrei fare
delle cose v.'eramente nuove, e invece continuo a
ripetere quello che fanno tutti, quello che hanno
sempre fatto, e continuo a parlare che si devono
fare nuove tutte le cose...
• Anche le persone che non sono sfruttate, che
non sono emarginate o in situazione di miseria o
povertà estrema, sono delle persone povere, percbé
non inventano la storia, perché la storia è inventata
da pochi e il Cristo ci chiama tutti a inventare la
storia, tutti a partecipare alla storia, tuni a fare
l'umanità nuova, l'umanità riconciliata. Tutti noi
dobbiamo dire: io farò le cose nuove proprio in
nome del Cristo.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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STRALCI DALLE TESTIMONIANZE
Ripresi dal registratore risentono di tutta la freschezza
della spontaneità e della immediatezza con cui furono
pronunciati.
NINO MILAZZO
(Giovatte Cor,peratore Lavoratore)
<< ••• Io lavoro in un ospedale di Roma, come allievo
infermiere; questo significa senza paga per fare due
anni di corso, per avere un pezzo di carta con sopra
scritto: "infermiere professionale'', questo solo. Allora
in questo caso noi siamo gli sfruttati. All'ospedale è
chiaro che si vedono tutte le sofferenze, c'è quello di-
sperato e c'è quello che se ne frega, e allora bisogna
aiutare tutti quanti; è un lavoro terrificante, veramente,
alcuni dicono tu sei un eroe, ma non è vero, ci vuole
tanta passione e tanto amore per questa gente che soffre
perché ad un certo punto, se c'è il vecchietto, oppure
quello che non si può muovere, se gli devi mettere anche
la padella, devi farlo pensando che Gesù Cristo ha
detto: "Quello che fate ai vostri fratelli lo fate a me,
non pensate che lo fate ad un altro".
... Perché tra noi CC. ci sono ben pochi operai e
se ci guardiamo bene intorno vedo che ci sono moltis-
simi studenti, qualche professionista c basta? Allora
io penso: Ma se Don Bosco lavorava per i ragazzi, i
meccanici, gli apprendisti, allora i collaboratori di
Don Bosco dove sono? Perché Don Bosco li attirava
t..1.nto che diventavano suoi collaboratori. Noi dobbiamo
lavorare per la gioventù povera e abbandonata e biso-
gnosa, e intanto veruamo che qua al Convegno vengono
soltanto gli studenti... Comunque è chiaro che è diffi-
cilissimo avvicinare il mondo degli operai perché hanno
una mentalità diversa da voi studenti e poi non piac-
ciono neanche le discussioni interminabili e dotte, come
ieri sera, per dire, che si voleva polemizzare sulla pre-
ghiera-contemplazione. Io mi son scocciato e ho detto:
Guarda, a me non me ne importa niente della contem-
plazione come preghiera, come voi dite. Noi ci sentiamo
insieme, leggiamo il Vangelo, cerchiamo di metterlo in
pratica, preghiamo con i salmi, preghiamo con il canto,
p reghiamo con la nostra vita e se è contemplazione non
lo so e non me ne frega niente... È inutile che facciamo
sempre discorsi sulla carità, sull'amore e tutto quanto.
Ci dobbiamo mettere d'impegno e lavorare, lavorare
lottando ognuno nel nostro quartiere, nel nostro am-
biente, per i problemi e le persone che stanno male,
quelle che sono emarginate, lavorare sul serio, ma non
tanto per quella volta, faccio un'esperienza, vado al
campo di lavoro per un mese, per una settimana, vado
a fare un incontro a carattere educativo, e ho finito. Il
nostro impegno di Cooperatori deve essere totale, da
cristiani, pe.r tutta la vita, quindi un impegno saltuario
non vale a niente, vale a mettersi la coscienza a posto,
quello solo, ci sentiremo tranquilli, ma poi-ci sentiremo
vuoti. Invece dobbiamo impegnarci giorno per giorno
nella nostra situazione in cui viviamo, senza aver bisogno
d'andar a fare convegni e sentir prediche... ».
DON SILVIO TURAZZI
(Sacerdote, sulla quarantina, da qualche a1wo paralizzato
alle gambe, v ive nella Comunità degli ex baraccati di
Ost i a- Roma).
La prima parola che mi sento di dire è che mi sem-
bra che la vita sia bella, questa è una cosa che sento
molto, e sento che questo lo attribuisco al fatto che in
qualche modo il Signore ha avuto un legame anche con
me, una chiamata anche con me, come ce la può avere
con tutti i suoi figli, questo per me è una cosa grande.
... Ho avuto un incidente d'auto e sono rimasto in car-
rozzina; una cosa che mi è sembrata anche abbastanza
semplice, perché non c'è stato nessun cambiamento
fondamentale nella mia vita, cioè io mi sentivo già legato
ad una vicenda, a una persona, a Gesù in modo parti-
colare, e mi è sembrato che la mia vita dovesse conti-
nuare cosi, ma direi in modo diverso: pensavo di dover
scrivere lettere, di dover star chiuso in una stanzetta,
di fare la vita del pensionato, poi dopo h.o visto che non
era proprio così. Ho sentito molto l'amicizia e la serietà
nella vicenda dell'uomo in una situazione dolorosa.
Sono fatti che portano ad entrare molto di più nell'essen-
ziale e a capire la sofferenza intorno a noi che non deve
essere un fatto solo personale, ma una vicenda di gruppo.
Per me la malattia è stata una grossa scoperta direi, di
esistenza naturalmente, perché a livello dinamico;
l'avevo sentito dire altre volte ma ora ho veramente
provato in modo profondo il legame che l'uomo sem-
plice ha con me e che io ho con lui e con i miei fratelli,
perché scopriamo che vivere non è camminare soltanto,
che vivere è tenersi per mano in modo totale. E poi lo
31

4.2 Page 32

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stare in ospedale mi ha portato a vivere in contatto col
mondo del lavoro, con quelli con la schiena rotta insom-
ma, e stavano insieme a me tante ore, e a me ha impres-
sionato molto che una cosa cosi bella che per me era la
Chiesa, per loro fosse una cosa tanto brutta. Nella Chiesa
che è il mio legame con loro, loro ci vedevano come una
parte separata. Io sentivo molto questo e loro ci avver-
tivano come un corpo estraneo. Soltanto che in quel
luogo il denominatore comune era quello dello stare
a letto, del non camminare, e così via, e dicevano: << TI
tuo Cristo che ha fatto per te ? Tu che sei prete, anche
tu sei qui i . A me questo piaceva tanto perché dicevo
che il mio Cristo era morto in croce e che il mio re non
era quello delle cose che andavano bene, era il re che
faceva la proposta di un regno che non era di questo
mondo. E dirci che questa vicenda mi ha un po' posto
un problema in modo piuttosto forte, cioè quello di
essere più dentro nell'annuncio del Vangelo alla mia
città. Quindi stare insieme a quel gruppo umano che
maggiormente portava il peso di una mancanza di
società, di una mancanza di pienezza, di una mancanza
di amore, quindi per me vivendo a Roma, mi è sembrato
normale scegliere la baracca, ma non come una cosa
molto strana e particolare; mi sembrava che li ci fosse
un luogo delle contraddizioni che fanno si che l'uomo
sia felice e non felice, cioè se gli uomini si vogliono
bene, se gli uomini costruiscono insieme la loro città
è chiaro che le cose sono molto diverse ed è tutto una
grande scoperta, e dove quindi si colloca la piaga
avrei preferito inserirmi...
... Ecco mi sembra che la nostra giornata se non c'è
la presenza di Lui, del!'Assoluto, di Dio, per me non
vale niente: sarebbe privarmi di una gioia che ho in-
contrato e che ora sento. ieri sera, un ragazzo mi accu-
sava un po' perché ci appartavamo a pregare. Figlio mio,
dico, ma perché? Tu hai la tua ragazza, ti piace stare
insieme; a me sembra aver capito qualcosa del mio Dio.
Perché devo sentirmi handicappato, dico, qui nell'ora
della preghiera? Ma non mi sembra giusto... Anche
questo è un atto di maturità reciproca...
PAOLA SPADA
(Cooperatrice, madre di famiglia, si occupa di ragazze
madri per le quali ha i.stituito una casa-famiglia).
... Io mi occupo con altre signore di ragazze madri.
Precedentemente mi occupavo nella nostra associa-
zione di corsi prematrimoniali. Ad un certo punto mi
sono staccata materialmente, ma non nella sostanza,
{lerché ho incominciato a lavorare in questo settore,
curando queste madri con i loro bambini. Sono passata
attraverso questo iter quasi che Don Bosco mi ci avesse
tirato per i capelli. La conferma la ebbi quando abbiamo
dovuto pagare la seconda rata del mutuo. È stata pagata
proprio il giorno di Don Bosco, mancavano alcuni mi-
lioni, quando una persona a cui avevo telefonato mi
disse: Guarda non ce la faccio per domani a trovarli.
Le dissi: Domani è la festa di Don Bosco, vedrai che
li troverai. Ed infatti fu così.
... Tutto il nostro lavoro si basa su un rapporto
d'amore, un rapporto affettivo. Queste ragazze-madri
hanno bisogno di una figura .materna, paterna, fraterna,
e devono credere in queste persone. Hanno bisogno
tanto di fiducia, di affetto, di rispetto e di aiuto con-
creto, e questo lo possono trovare in ogni persona che
le ami veramente, che le avvicini in un certo modo. I
giovani, i meno giovani possono e devono veramente
32 intervenire in questo campo come in tutti gli altri...
I giovani possono far tantissimo, appunto, per esem-
pio studiando assieme, cercando loro un lavoro, aiutan-
dole un po' a dimenticare iJ loro stato e proponendo una
vita migliore, in mille modi... È un lavoro magnifico,
in fondo affascinante, ma richiede una disponibilità
totale...
... Gesù ha giudicato in un certo modo, ossia ha per-
donato sia quelli che volevano scagliare la prima pietra
sia la persona che aveva peccato. Questo è veramente
eccezionale e dobbiamo tenerlo sempre presente con
queste persone che aspettano di non essere giudicate,
e di essere amate...
SUOR MARIA RENATA
(delle Piccole Sorelle di Gesù)
... dal momento in cui ho incontrato Gesù come una
persona vivente ho capito che non potevo fare a meno
di vivere che soltanto per Lui. Allora, come diceva Nino,
per me la contemplazione è veramente la vita con Gesù,
è qualcosa di molto semplice, è un po' come il bimbo
del Vangelo che aspetta tutto da Lui, e del povero che
è li con le mani vuote e che sa che non è capace di nulla
se non ha la forza del suo amore. Difficile esprimere ciò
che è una vita, quando si pensa alla preghiera; è una
cosa astratta, eppure è essere semplicemente ll con
Gesù; amandolo, chiamandolo, ... anche attraverso i
o
nostri colleghi, i nostri fratelli più poveri... Gesù io
mezzo ai più poveri: so che è in mezzo a loro particolar-
mente, è questo lo scopo, proprio ogni giorno, della
mia vita, quando vedo queste mamme con tanti bam-
bini che hanno il coraggio di vivere in certe situazioni...
Ho vissuto cinque anni a Vienna in un quartiere povero
di lavoratori emigrati, dove abitano lavoratori jugoslavi,
e ho seguito tutta la sofferenza di quei poveri che non
si sentono accettati e rispettati cosl come sono; per me
è come se fosse Gesù in loro che incontro. ... Prima di
tutto è opera di Gesù e del suo Vangelo se sono Piccola
Sorella, se Gesù non fosse qualcuno che vive nella mia
vita penso che questa non avrebbe senso. Gesù è tutto
per me, è da Lui che ricevo tutta la forza di cui ho con-
tinuamente bisogno per essere come un bimbo piccolo
nelle sue mani o un piccolo strumento, e poi perché è
una persona che vive, che mi ama, e che io amo sempli-

4.3 Page 33

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cemente e che quando sono con Lui con me ci sono
tutti quanti i nostri amici, coloro che noi vediamo con
la loro vita, le loro sofferenze. Per me sono certa che è
stato proprio un dono di Dio, non è perché abbia avuto
un certo carattere o una certa capacità a questa vita
contemplativa, al contrario. Perché nel momento in cui
stavo cercando la ragione vera della mia vita e che mi
son sentita incapace veramente di tutto, in quel mo-
mento ho capito, attraverso il Vangelo, che questa ri-
sposta era li, è attraverso il Vangelo che mi si è rivelata
come un grande amore. Lui più si ama e più si vorrebbe
conoscerlo attraverso appunto queste preghiere silen-
ziose, e attraverso gli infelici. S1, perché veramente
devo dire che per me è stata una scoperta tanto grande
di aver incontrato Gesù attraverso loro e in una maniera
così semplice e umanamente. ... Per me la preghiera
non è qualcosa a parte della mia vita; è vero che sento
il bisogno di rimanere un'ora al giorno ll in contempla-
zione. Ma per noi è vita, e poi c'è la nostra vita di lavoro;
ma io non posso fare una separazione: vita di preghiera
e vita di lavoro; per noi tutta la nostra vita è contem-
plazione perché è la misura in cui noi viviamo con Gesù.
... Quando siamo inserite in un quartiere operaio,
lavoriamo in fabbrica, come gli operai, quando siamo
in un ambiente rurale lavoriamo nei campi, come loro,
non ci distinguiamo dai nostri amici. Ci sono delle
Piccole Sorelle che vivono in mezzo ai nomadi, e li
seguono e si accampano con loro...
DANTE DOSSI
(Salesiano Coadiutore, cinqua11ten1te. Si occupa, fra
l'altro, dei carcerati ed ex-carcerati).
... Sono salesiano coadiutore, felicissimo di essermi
consacrato al Signore. Ho nel cuore una grande cosa:
mia mamma è stata quella che me l'ha stimolata, me
l'ha fatta nascere, crescere, una gran voglia di ama.re il
Signore e di manifestarlo ai giovani, perché il Signore
mi ha chiamato per i giovani. Voi sapete che quando
un uomo sbaglia sia in carcere, sia fuori del carcere, o
perché ha fatto qualcosa, o perché vive anche in certi
quartieri e che si sente isolato, quando c'è uno che gli
dice: ma io ti voglio bene, ma io ho fede in te, non
m'interessa se tu sei drogato, sei figlio di una prostituta
o tu stessa donna o ragazza sei prostituta o sei stata in
carcere, o sei un ladro o sei un comunista o sei fascista
o sei maoista, per me tu sei un fratello, io ti voglio bene!
Cercherò di dare la mia vita, il mio amore, il mio ser-
vizio come posso, perché anch'io sono un uomo che
valgo una cicca, sapete... , ecco allora la persona che io
-I
avvicino sente la presenza di Dio. Ricordo un carcerato,
alla vigilia di Natale, un carcerato che era innocente e
venne fuori il colpevole dopo due anni che stava sof-
frendo, ma non diedero la grazia perché doveva essere
giudicato quello che diceva di essere il colpevole, e lo
era veramente, e dovevano passare gli anni per avere
la causa definitiva, era disperato, bestemmiava, tirava
giù il cielo, la moglie che era scappata con due bambini;
poi era giovane, aveva 26 anni, e mi dicono i carcerati
di Padova: << Dossi prova a parlargli tu! l>. Mi dico: io
dinanzi ad un caso del genere? Mi tremavano le gambe,
che posso fare?... lo lo amerò, cercherò di dirgli che il
Signore gli vuole bene... Gli sono stato vicino, l'ho con-
fortato, l'ho aiutato, mi sono anche interessato deJla sua
situazione, ma non c'era niente da fare, e quando arri-
viamo a Natale, dopo tre mesi, mi dice: Dante, ti vo-
glio fare anch'io un regalo. Ma non disturbarti, so che
anche tu hai tanto bisogno! Dice: Ma è un regalo molto
bello: io adesso credo in Dio! Io sono rimasto... Dico:
io non voglio che tu creda in Dio soltanto per essermi
amico o per adeguarti alla mia fede. Dice: Sei tu che
mi hai fatto credere in Dio, perché Dio ha mandato te
nel momento più tragico della mia vita!...
... Ho capito una grande cosa: che i giovani sanno
amare. Don Bosco aveva ragione: non esistono ragazzi
cattivi l Alla nostra opera di Arese stetti 12 anni. Là ho
visto ragazzi che ne hanno combinate di tutti i colori:
che hanno rubato, che hanno ucciso, che hanno vissuto
esperienze deleterie, ma amandoli con pazienza., con
fede, con perseveranza, con umiltà, con semplicità,
quando ci hanno visto al servizio umile, silenzioso,
quotidiano, di ogni giorno si sono aperti in maniera
stupenda, meravigliosa. Ho fiducia nei giovani, credo
nei giovani veramente, potentemente, so che h,umo dei
valori magnifici, so che credono al Vangelo, all'amore di
Cristo che si manifesta ogni giorno, ogni momento, in
ogni istante, con ogni persona. Ecco questo è lavoro
per voi: non vi sono solo i carcerati, ma gli ex-carcerati,
le famiglie, il dramma delle mamme, dei figli, dei poveri
bambini, e molte volte anche nelle vostre parrocchie
che vengono isolati, emarginati. Ma come è possibile
che vi sia una povera mamma che ha il figlio in carcere
e non riesce a mangiare perché tutti non la salutano e
nessuno va a trovarla? I carcerati sono l'ultima fron-
tiera dell'amore. Gesù li ha messi per ultimi... << Ero
carcerato! >>. È Lui, è Lui dentro che vive il supremo
atto di fede.
LILLINA ATTANASIO
(24 anni, missionaria laica, cooperatrice. S tralci di lettere
dall'Ecuador, lette al co11vegno). .
... Per il progetto della sovvenzione che ho mandato,
credetemi, ne vale la pena, soprattutto perché si tratta
di un lavoro per i giovani, e soprattutto per quelli poveri
e abbandonati. Sarebbe un lavoro propriamente Sale-
si.o.no, nostro e risponde in pieno all'ideale dei coope-
ratori .
... Qui va tutto bene, sto sperimentando tutta la po-
tenza della Provvidenza (vengono giorni che da mangiare
non c'è niente, ma ti arriva qualche signora che ti regala
un po' di juta o qualcuno, avendo ammazzato un ani-
male, ti regala un pezzo di carne e così non passa giorno
senza sperimentare e toccare con mano il ~ Non preoc-
cupatevi di che mangerete, ecc., che il Padre vostro
sa già di cosa avete bisogno>>...). Mi accorgo sempre di
più che per comprendere veramente la gente e i loro 33

4.4 Page 34

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problemi, ti devi spogliare di tutto il bagaglio che ti
porti dietro e dentro, devi condividere la vita attimo
per attimo. Questo è difficilissimo, non si può diventare
di colpo una shuar... e questo è l'handicap più grande:
anche nella foresta, nella situazione più assurda ti
accorgi che sei sempre Lillina con le tue abitudini e le
tue idee... e i tuoi costumi.
... «Proprietà privata; vietato l'accesso >>: ..• di questi
cartelli tanto frequenti in Italia, qui ad Ujuntsa, dove
vivo e negli altri centri dintorno, non se ne incontrano,
anzi non è cosa rara svegliarsi di mattina e trovarti da-
vanti qualcuno che ti chiede, familiarmente, qualcosa.
Non esistono chiavistelli o altro per chiudere le porte
(queste ultime servono solo per i:ipararsi dal freddo e
dalle visite notturne di qualche animale). Questo senso
comunitario si incontra anche per quanto riguarda il
cibo: se qualcuno riesce a caccia.re qualche animale non
si tappa certo dentro per mangiarlo da solo, ma ne fa
partecipe tutti. Sembra quasi di essere al <(Comunismo>>
dei primi Cristiani: la moltitudine dei credenti non
avevano che un solo cuore e una sola anima. Nessuno
chiamava suoi i suoi beni: tenevano tutto in comune.
Tra di loro non c'era nessun bisognoso perché quelli
che possedevano case o campi li vendevano e il guadagno
lo mettevano ai piedi degli Apostoli e si divideva a cia-
scuno secondo le proprie necessità... >> (<< Atti degli
Apostoli... traduzione in proprio>>). Mi viene spontaneo
ripensare alla situazione nostra italiana. Facciamo pro-
prio cosl ? Mangiamo ogni giorno tutti le stesse cose?
Condividiamo forse le stesse situazioni di fame o di
festa insieme? O forse non ci tappiamo (e con doppio
giro di chiave) in casa a mangiare avidamente la nostra
bella fetta di torta senza preoccuparci, magari, che i1
nostro vicino sta mangiando solo pane e pasta (tanto
per riempire lo stomaco)? Eppure ci diciamo Cristiani,
andiamo a messa tutte le domeniche, facciamo riunioni
interminabili in nome di Cristo, credendo di tranquil-
lizzare così la nostra coscienza... La situazione diventa
ancora più penosa per queUe persone cfoamate da Cri-
sto ad un compito ben preciso /er l'avvento del suo
Regno, come noi cooperatori... inutile, non si può
servire a due padroni, a Dio e al nostro io. Cristo non
ama le mezze misure, vuole tutto. È ora di smettere di
sbandierare il nostro essere impegnati, i1 nostro essere
Cristiani; non servono a niente tutti i convegni, le grandi
celebrazioni della Parola, le revisioni di vita strappala-
crime, se non sono seguite da fatti concreti (e per fatti
concreti non si può intendere il campo di lavoro estivo
o l'oratorio domenicale, cose che pur hanno la loro
validità. No! L'unico fatto concreto, quello che solo
Cri.sto vuole è il comprometterci in pieno, compromet-
tere la nostra vita, la nostra professione, finanche il
nostro diritto al riposo; un compromesso quotidiano,
un compromesso che trovi ciascuno di noi coinvolto nei
problemi dei nostri fratelli, in particolare di quelli che
soffrono. E questo compromesso si può realizzare in
varie forme, modi; luoghi: basta guardarsi attorno...
«lasciare la porta aperta 1> senza preoccuparsi di difen-
dere ciò che abbiamo (e non solo beni materiali ma
anche la propria dignità di persone che non si spor-
cano le mani).
La porta aperta è stata la lezione più grossa per me;
abituata a1 mio modo di essere Cristiana (modo che
escludeva questo senso di comunione cosi forte) devo
abbassare La testa con vergogna di fronte a questa gente
che generalmente crediamo bisognosa di evangelizza-
zione, e concludere che da evangelizzare sono io, siamo
noi occidentali che abbiamo adattato Cristo alla nostra
34 vita. Pensiamoci su e... tiriamo le somme...
GLI ISPETTO
Nella Conferenza autunnale (Ca-
stellammare di Stabia, 16- 78 no-
vembre), gli ispettori, in riunione
congiunta con i Delegati ispetto-
riali CC.• hanno esaminato la situa-
zione de/l'Associazione e diramato
poi la seguente importante ,1di-
chiarazione JJ:
I COOPERATORI SALESIANI
La CISI nella riunione del 16-18 novembre 1974
ha approfondito insieme ai Delegati Ispettoriali e Re-
gionali Cooperatori alcuni aspetti pratici del rapporto
tra Salesiani e Cooperatori, in vista di un impegno più
concreto ed efficace per La promozione della realtà della
Famiglia Salesiana. La CISI presenta alle Comunità
e ai· responsabili le riflessioni e gli orientamenti emersi.
x. Approfondimento del dono dello Spirito Santo
a Don Bosco
È stata riaffermata la necessità di recuperare il signi-
ficato e l'ampiezza del dono dato dallo Spirito Santo a
Don Bosco a vantaggio della Chiesa intera per la sua
missione giovanile.
Alla luce del progetto di Don Bosco i Cooperatori non
sono da considerare <! destinatari •> della nostra missione,
ma veri <<corresponsabili>), al nostro fianco.
I Cooperatori - operatori insieme - vivono lo spi-
rito salesiano non da consacrati. ma da «secolari » al-

4.5 Page 35

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RI SALESIANI D'ITALIA
E I COOPERATORI
l'interno delle strutture, situazioni ed eventi della loro
vita nel mondo.
Si invitano le Comunità ad approfondire tale aspetto,
che pensiamo fecondo di conseguenze pratiche.
Si chiederà un contributo di riflessione anche agli
esperti di teologia e di salesiamtà..
2. Esecuzione dell'Art. Costituzioni N. s
La riattualizzazione del progetto di Don Bosco
domanda tra i membri della Famiglia Salesiana reci-
procità di rapporti, comunione e corresponsabilità e
cooperazione. I Salesiani hanno il dovere di rendere
un servizio prioritario di formazione e di animazione
nei confronti dei membri della Famiglia Salesiana; i
Cooperatori esercitano nei confronti dei Salesiani quella
funzione di illuminazione e di stimolo che è necessaria
nella Congregazione e nella stessa vita ecclesiale
(L.G., 37).
Perciò vi siano durante l'anno momenti comunitari
tra Salesiani e Cooperatori, come qualche ritiro mensile,
conferenze annuali, cerimonia dell'impegno, giornata
della Famiglia Salesiana, ecc.
3. Impegno dei responsabili delle Comunità:
Ispettori e Direttori
L'Ispettore nell'Ispettoria e il Direttore nella Comu-
nità riconoscano i Cooperatori come essenzialmente
respo11sabili, considerando la loro presenza nelle nostre
Comunità e la nostra presenza nei loro Centri non
come opera, o settore, o attività che si aggiunge ad
altro, ma come prospettiva salesiana totale da realizzare.
Ispettori e Direttori partecipino personalmente al-
l'impegno di formare l'essere del Cooperatore non
meno che agli orientamenti operativi.
Promuovano incontri di ricerca sugli spazi d'inter-
vento dei Cooperatori assicurando nel contempo tutto
l'aiuto necessario.
L'Ispettore e il suo Consiglio studino per il 1975 un
programma di iniziative per la preparazione dei Dele-
gati Cooperatori, cominciando dai giovani Salesiani
studenti, in linea con la riattualizzazione di questa
componente della Famiglia Salesiana.
Il Direttore provveda ad inserire i ConfratelJi in atti-
vità organizzate dai Cooperatori.
4. Il ruolo dei Delegati
Il Delegato - sia ispettoriale sia. locale - , in qualità
di animatore della formazione dei Cooperatori, curi
anche il collegamento della Comunità dei Salesiani
con i Centri Cooperatori.
Si tratta di collegamento a livello di informazione, di
comunione, di programmazione, di missione.
Si senta responsabile degli aspetti missione, spirito,
formazione, lasciando al Segretario Coordinatore del
Centro l'aspetto organizzativo.
lo un'Opera salesiana complessa i Delegati Coope-
ratori potranno essere anche vari secondo i diversi set-
tori, e preferibilmente il responsabile diretto del settore;
mentre in un'Opera piccola potrà esserlo conveniente-
mente lo st<.-sso Direttore.
L'esperienza e la ricchezza di salesia11ità, la sensibilità
e l'apertura alla dottrina conciliare sul laicato e sulla
secolarità si ritrovino alla base della scelta dei Delegati
e della loro permanente formazione.
5. Impegoo comunitario
Il problema fondamentale rimane sempre l'interes-
samento e l'intervento dell'intera Comunità locale:
manca la necessaria mentalizzazione. I Cooperatori
siano oggetto di conversazione e di dialogo da parte del
Direttore. Le riunioni del Consiglio della Comunità
locale, le Assemblee dei Confratelli, la Visita ispetto•
riale siano momenti di program.m,azione e di verifica
della sensibilità dei Confratelli.
Per un'utile sensibilizzazione comunitaria, sia ispet-
toriale sia locale, venga assicurata la presenza del Dele-
gato · Cooperatori nei Consigli, almeno nei momenti
principali delle scelte operative.
Anche la prc..-senza dei Cooperatori nei nostri vari
e organismi comunitari da incoraggiare e realizzare fino
a sentirne l'esigenza per una naturale completezza mis-
sionaria. I Confrate!lj impegnati nei vari settori delle
nostre Opere (Parrocchie, Centri Giovanili, Oratori,
Scuole, Associazioni varie) si impegnino per una edu-
cazione cd una formazione capace di maturare la voca-
zione cristiana aperta all'accettazione responsabile del
carisma salesiana, per passare da una collaborazione
ad una vera cooperazione.
Si metta allo studio la possibilità di realizzare un
Corso di fonnazione in vista dell'essere cooperatore, a
favore dei nostri collaboratori.
35

4.6 Page 36

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Spediz. in abbon. postale - Gruppo 2° (70) - 2• quindicina
BOLLETTINO SALESIANO
Quindicinale di informazione e di culwra rellglosa
S'Invia gratuitamente ai Cooperatori, Bene-
meriti e amici delle Opere di Don Bosco
Direzione e amministrazione: via Maria Au-
siliatrice, 32 - 10100 Torino - Tel. 48.29.24
Direttore responsabile: Teresio Bosco
Redattore: Armando Buttarelli
Autorizz. del Trib. di Torino n. 403 del 16 febbraio 1949
C. C. Postale n. 2 -1355 Intestato a : Direzione Generala
Opere Don Bosco - Torino
C.C.P. 1-5115 lntest. a Dir. Gen. Opere D. Bosco. Roma
Per cambio d'lndlrluo Inviare anche l'indirizzoprecedente
È USCITO il sussidio per il tema annuale di studio, sulla « VITA SPI-
RITUALE DEL COOPERATORE»
NEL MONDO CON DIO
di Don Carlo Colli
Titoli dei capitoli:
L'ALTRA FACCIA DI DON BOSCO
e PRIMO BILANCIO E ATTUALITÀ D' UNA TRADIZIONE SPIRITUALE
ALLA SORGENTE DELLA NOSTRA VITA SPIRITUALE : LA NOSTRA VITA NASCOSTA CON
CRISTO IN DIO
INCONTRO CON DIO NELLA VITA E NEL LAVORO QUOTIDIANO
e INCONTRO CON DIO NEI FRATELLI
INCONTRO CON DIO NELLA SUA PAROLA
INCONTRO CON DIO NELLA PREGH IERA E NEL SACRAMENTO
SFUMATURE SALESIANE DELLA NOSTRA VITA SPIRITUALE
ASCESI SALESIANA
• IL RUOLO DI MARIA NELLA NOSTRA VITA SPIRITUALE
Un contributo alla formazione del Cooperatore.
Molto adatto per la meditazione personale.
Pagg. 156 - Lire mille la copia.
Edizioni Cooperatori - Ufficio Nazionale - Viale dei Salesiani, 9 - 00175 Roma
ANNO SANTO A ROMA
VIENI ANCHE TU AL PELLEGRINAGGIO NAZIONALE
COOPERATORI
10-11 Maggio
Un itinerario di penitenza «segno» di Conversione e Riconcilia-
zione.
Iscriviti al più presto presso il tuo Centro.
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