Bollettino_Salesiano_197303


Bollettino_Salesiano_197303

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eIllETTIN I SALESIAN I ORGANO DELLA FAMIGLIA SALESIANA
ANNO XCVII N. 3 1° FEBBRAIO 1973
Spediz. ln abbon. posL - Gruppo 2° (70) - 1• quindicina

1.2 Page 2

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IN U~'-T lii 111Ert>
2. È tempo di missione:
Essere missionari oggi, che cosa
significa?
4. Rapporto da Managua;
I Salesiani e le FMA nel terremoto
6. Sotto la veste del vescovo la tuta
dell'operalo:
M ons. Marcelino Olaechea
1O. Dall'Ecuador:
I lunghi sentieri dei Shuar
12. Tre Salve Regina in riva al Ku-
sutkaim
14. Don Orione: un prete per i sotto-
poveri
18. Dal Guatemala:
Il grande medico dei M aya rac-
conta
20. Le FMA si affacciano al 2000.
Intervista alla Superiora delle FMA
23. Hanno concluso il centenario
24. Un'estate diversa
26. Costruttori d'un mondo nuovo
9. Educhiamo come Don Bosco
Come ricevere le critiche
27. Pubblicazioni Salesiane
28. Nel mondo salesiano
32. Grazie per intercessione di M . Au-
siliatrice e dei nostri Santi
34. Salesiani e Cooperatori defunti
35. Crociata M issionaria
Bambina dell'Ecuador (foto De
Censi). Vedi servizio « I lunghi
sentieri dei Shuan> a pag. 1O.
BOLLETTINO SALESIANO
Anno XCVII • N. 3 • Febbraìo 1973
Direttore Responaablle
DO N TERESIO BOSCO
Redaiione
DON PIETRO AMBROSIO
DON CARLO DE A M BROGIO
Impaginazione
Luigi Zonta - Ufficio Tecnico SEI
Direzione e Amministrazione
Via Maria Ausiliatrice. 32
10100 Torino
Officine Grafiche SEI
ESSERE MISSIONARI
èt
La strenna che il Rettor Maggiore ha dato alla fami-
glia salesiana per il 1973 dice : « La famiglia salesiana
ritrova la vitalità delle origini impegnandosi a vivere
un intenso clima missionario».
Il Bollettino Salesiano pubblicherà alcuni articoli per
commentare e rendere concreto questo impegno.
Iniziamo pubblicando il condensato di uno studio di
Pietro Gheddo: che significa « essere missionario oggi?».
La risposta a questa domanda appare assai importante.
Perché molti di noi hanno di « missione » un'idea non
esatta, non completa. Chiarire fino in fondo il concetto
di « missione», è il primo passo per vivere un intenso
clima missionario.
Sono trascorsi solo dieci anni
dal 1962, eppure l'inizio del Vati-
cano II pare oggi tremendamente
lontano nel tempo. I giovani sotto
i 20-25 anni non se ne rendono
conto, ma chi ha vissuto momento
per momento l'evoluzione della
Chiesa nell'ultimo decennio co-
glie, guardandosi alle spalle, tutta
la vastità e la profondità dei cam-
biamenti avvenuti.
Quando incominciava il Concilio
si celebrava ancora tutta la Messa
in latino, l'ecumenismo e il dia-
logo con i non cristiani erano
quasi sconosciuti, non .esisteva un
Sinodo dei Vescovi, e le Confe-
renze episcopali erano poco nu-
merose e di scarsa importanza. I
preti-operai venivano tollerati in
poche diocesi all'estero, i semi-
nari si presentavano come citta-
delle chiuse con una rigida disci-
plina di tipo monastico. E po-
tremmo continuare: non si erano
ancora avute né la 11/Iater et Ma-
gistra, né la Pacem i11 Terris,
la Populorum Progressio; il Papa
non era mai uscito dal Vaticano;
Ja pietà cristiana, più che nel-
l'ascolto della Parola di Dio, era
basata su devozioni popolari e tra-
dizionali.
La Chiesa appariva, a chi la
guardava dall'esterno, un blocco
compatto, coerente, disciplinato.
Noi ci sentivamo, all'interno, un
esercito schierato contro il 1Ylale,
sicuri di essere nella verità e
pronti a lottare contro chiunque
volesse toglierci la nostra sicurezza.
Le missioni assumevano, in tale
contesto, una chiara fisionomia:
era la << Clùesa delle frontiere >),
l'<< avanguardia del pacifico eser-
cito di Cristo »che tracciava nuove
vie per la <i conquista dei popoli
pagani 1). Noi ci eravamo fatti mis-
sionari per << portare ai poveri in-
fedeli la luce del Vangelo >> ( q ual-
che volta si diceva anche (< la ci-
viltà cristiana 1>, ma d i questo si
incominciava a dubitare) : tutto
era chiaro e la netta d ifferenza,
quasi contrapposizione, fra Chiesa
costituita e missione per fondare
la Chiesa, dava ai missionari ed
alla cooperazione missionaria un
senso profondo d'identità.
Poi, in dieci anni, tutto questo

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OGGI: CHE COSA SIGNIFICA?
I- - s-ione
caro e vecchio universo di fede e
di sentimenti è crollato o ci sta
crollando addosso: non in un se-
colo, in mezzo secolo, ma in soli
dieci anni. Ci troviamo a vivere
in una Chiesa diversa, capovolta,
squassata dalle polemiche, dalla
contestazione, dai dubbi.
Dopo la grande lievitazione del
Vaticano II, il Popolo di Dio ha
compiuto un cammino in gran
parte positivo, ma è indubbio che
non ha ancora trovato il ritmo
giusto di marcia, dà l'impressione
di mancare di stabilità, di convin-
zioni, di unità almeno nelle cose
essenziali. Crollano le antiche isti-
tuzioni e convinzioni, le nuove
stentano ad affermarsi.
tiamo sempre più profondamente
nella vita concreta di ogni giorno:
chi oserebbe negare che nelle
grandi metropoli dell'Occidente,
abitate in maggioranza da cristiani
battezzati, vi sono delle situazioni
missionarie ? Chi può onestamente
sostenere che certe categorie e
classi, anch'esse formate da cri-
stiani battezzati, il mondo ope-
raio, studentesco, della cultura,
della scienza e dell'arte, non ab-
biano urgenza d'un intervento mis-
sionario da parte della Chiesa ?
Se la missione è unica, lo sche-
ma : il <• mondo cristiano>> s'impe-
gna a convertire il <• mondo pagano >>,
non funziona più. Dove sono i
confini del mondo cristiano ? E
dove quelli del paganesimo? La
concezione geografica e territo-
riale della missione ha fatto il
suo tempo: oggi s'impone una
concezione che tenga conto non
tanto delle aree geografiche, quanto
di quelle sociali e culturali.
È certamente bene, come dice
il Concilio, mantenere una certa
Uno schema
che non funziona più
Per quanto riguarda la missione,
un gran cambiamento di menta-
lità è avvenuto: ci siamo accorti
che il mondo è ben più com-
plesso di quanto noi lo immagi-
navamo. 11 Vaticano II ci ha
aperto gli occhi: non c'è una
Chiesa stabile e costituita e una
Chiesa missionaria; non c'è un
<• mondo cristiano•> convertito, che
parte alla conquista del <• mondo
pagano >l da convertire, al di
delle nostre frontiere geografiche.
La. missione è ovunque, la Chiesa
è òvunque missionaria, anche al-
i'interno di quelli che noi ritene-
vamo i sicuri confini della «società
cristiana ,> (o <• civiltà cristiana •>).
La missione dunque è unica.
Lo dice il Concilio, ma lo sen-
Pet jzione firmata da analfabeti de l Kenya
con l 'Impronta del pollice. « Alfabetizzare,.
pub essere il pri mo passo di un'azi.one mi s-
sionaria.
3

1.4 Page 4

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distinzione fra la missione univer-
sale della Chiesa e l'c attività mis-
sionaria» volta e all'evangelizza-
zione e fondazione della Chiesa
in quei popoli e gruppi in cui
ancora non esiste 11. Ma è errato
pensare che esiste una Chiesa
m issionaria (in Asia e Africa) e
una non missionaria, stabilmente
costituita che ha l'unico compito
«missionario » di aiutare la Chiesa
di altri continenti.
Quattro punti
per un rinnovamento
Ci pare che qui sia il nocciolo
di tutto l'auspicabile rinnovamento
dell'animazione missionaria in Ita-
lia, che soffre oggi di una crisi di
idee. Ecco alcuni punti per il
rinnovamento, da cui scendono
importanti conseguenze pratiche.
1. Non esiste una Chiesa mis-
sionaria ~ e una «Chiesa che aiuta
le missioni~-
La missione della Chiesa, come
abbiamo detto, è unica: non c'è
una «Chiesa missionaria >> (Asia-
Africa) e una << Chiesa che aiuta le
missioni, (Italia). Tutte le Chiese
debbono essere missionarie nel
proprio ambiente, e nello stesso
tempo non chiudersi in se stesse,
ma aprirsi alla comunione Con le
altre Chiese e aiutare quelle in
maggior necessità.
La missione è andare agli altri,
aprirsi agli altri, vivere per gli
altri, per portar loro la testimo-
nianza e la parola di Cristo. La
missione è superare la «tentazione
delle strutture>> della Chiesa co-
stituita, per guardare a << quelli di
fuori>►.
2. La Chiesa italiana stmta ad
essere missionaria in questo se11so.
La Chiesa italiana presa nel suo
assieme, stenta ad essere missio-
naria in questo senso. La si vor-
rebbe più viva nell'evangelizza-
zione, più aperta, più proiettata
\\'erso i «lontani•• non chiusa in
difesa del piccolo gregge dei pra-
ticanti. I tentativi nuovi d'aposto-
lato sono guardati sovente con so-
spetto, perché a volte stn1menta-
lizzati da fazioni politiche estre-
miste, ma anche perché rompono
certi schemi tradizionali.
4 Eppure (!missionaria» è quclia
RAPPORTO DA MANAGUA
I SALESIANI E LE F.M.A.
NEL TERREMOTO
Appena appresa la notizia del tremendo terremoto di
Managua, U Rettor Maggiore inviò laggiù don Cappel-
letti, della procura salesiana degli Stati Uniti, per dare
ogni soccorso possibile.
Di laggiù egli ha mandato il seguente cablogramma:
cc Residenza Salesiani intatta. Laboratori della scuola
professionale interamente distrutti. Danno per 1 SO mila
dollari. Nessun salesiano tra la vittime. Figlie di Maria
Ausiliatrice estratte tutte incolumi dalle rovine. L'arci-
vescovo, mons. Bravo, dirige l'opera di soccorso. Col-
laboriamo con lui ».
I sei Salesiani che lavorano nella capitale vi avevano
aperto una scuola professionale, una scuola elementare,
un oratorio e corsi di catechismo. Le opere sorgevano
in zona povere della periferia.
Le F .M .A., presenti a Managua dal 1962, vi avevano una
scuola elementare di benaficienza, un oratorio, e atten-
devano alla scuola di catechismo nella periferia.
L'arcivescovo di Managua è il salesiano mons. Miguel
O. Bravo, appena da due anni promosso a quella sede.
Chiesa, come quel sacerdote, quel
cristiano, che sa essere disponi-
bile, che ha coraggio nel tentare
vie nuove, che non s'accontenta
mai di quel che ha fatto ma sa
<< andare oltre ».
Nei • paesi di missione», dove
i cristiani sono infima minoranza,
si può dire che i giovani cristiani
e le giovani chiese sentono quasi
naturalmente lo spirito missionario,
realizzano più facilmente che da
noi il dovere di testimoniare ed
annunciare Cristo aj loro fratelli
non cristiani. Certi aspetti clelle
nostre Chiese che oggi vengono
contestati perché ostacolo alla mis-
sione (giuridismo, burocrazia, cle-
r.icalismo, paternalismo del clero),
esistono anche nelle Chiese mis-
sionarie, ma vengono quotidiana-
mente superati senza creare pro-
blemi o conflitti: sono piccole
scorie bruciate dall'ansia di por-
tare Cristo ai lontani.
3. Bisogna essere pronti a dare,
ma anche a ricevere.
Alla Chiesa italiana, finora, si è
chiesto aiuti e vocazioni per le
missioni lontane. E questo va
bene. Ma non la si è impegnata
con uguale vivacità a <1 ricevere
qualcosa,, dalle Chiese io missione.
Bisogna presentare la coopera-
zione missionaria come un dare e
un ricevere, ed insistere forse più
sul ricevere che sul dare.
Noi diamo vocazioni e mezzi
alle giovani Chiese di missione,
ma dobbiamo essere disposti ad
<1 andare a scuola da loro 11, per
apprendere lo spirito missionario
di apertura agli altri che qui forse
abbiamo perso.
La missione è comunione e
scambio fra le Chiese e i popoli,
è uscire da se stessi ed essere
disposti a dare ed a ricevere.
Fa pena, ad esempio, vedere che
oggi tornano in Italia per vacanza
molti missionari e missionarie, ri-
manendoci sei-sette mesi: in que-
sto lungo periodo, parecchi di
loro non sono mai invitati a par-
lare. Nelle loro parrocchie non si
ha la sensibilità di impegnarli per
presentare al Popolo di Dio la
loro testimonianza, per sentirli

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raccontare << quanto grandi cose
Dio abbia operato per mezzo loro,
in particolare come abbia aperto
ai pagani la porta della fede ».
Queste parole sono degli Atti de-
gli Apostoli, e dicono ciò che ac-
cadeva quando il missionario Paolo
tornava dai suoi viaggi e raccon-
tava ciò che aveva fatto ai primi
cristiani. Gli Atti dicono che il
suo racconto «procurava grande
gioia a tutti i fratelli >l. Oggi, pur-
troppo, il missionario reduce è
visto spesso come un seccatore
che viene a battere cassa. Egli è
invece un uomo ricco di espe-
rienza nel contatto con gli altri,
e può trasmettere ai cristiani quello
spirito di generosità, di donazione,
che è indispensabile alla vita delle
nostre diocesi e parrocchie.
4. Azione missionaria vuol dire
andare verso i << nostri lontani >>.
La animazione missionaria nella
Chiesa italiana ha la funzione di
rendere questa Chiesa missionaria,
anzitutto nei confronti dei suoi
<< lontani>>. È lo spirito di dialogo, non basta aiutare il m1ss1onario
di apertura agli altri che bisogna che va a portare Cristo agli indù,
trasmettere, non semplicemente ma bisogna impegnarsi a portare
cercare di strappare un po' di Cristo agli atei di casa nostra.
soldi e di vocazioni a comunità Se la missione è ovunque, sia
che non sono missionarie. Occorre pur con caratteristiche e necessità
innanzitutto «svolgere un'opera diverse, essere missionario significa
educativa alla missione •>, non pro- esserlo dovunque, realizzare la
curare aiuti alle missioni: questi missione qui in casa nostra e aiu-
sono indispensabili, naturalmente, tare la missione universale della
ma verranno come conseguenza Chiesa fra i popoli non ancora
dello spirito missionario vissuto. sfiorati dal messaggio di Cristo.
Vorremmo spiegarci bene: que- Questi due aspetti sono insepa-
sto nostro discorso non va inteso rabili, mentre oggi assistiamo ad
nella linea del <1 perché vai lon- uno sdoppiamento assurdo: da un
tano, quando c'è tanto bene da lato la cooperazione missionaria
fare qui? •>, ma in questo senso: s'interessa solo alla missione fra
<< io, missionario vado, ai lontani gli africani e gli asiatici, senza
geograficamente, come segno af- rimettere in causa la scarsa mis-
finché voi cristiani d'Italia andiate sionarietà della Chiesa italiana in
ai lontani della nostra patria •>.
patria; dall'altro i gruppi, le rivi-
Dobbiamo far capire ai cristiani ste, le iniziative più vive della
d'Italia che, per essere missionari, missionarietà in Italia ignorano
non basta aiutare i profughi del le missioni tra i popoli lontani, o
Bangla Desh, ma bisogna interes- le vedono come un perditempo,
sarsi agli emigranti meridionali un'evasione, oppure come un «co-
delle grandi metropoli del nord; lonialismo spirituale>> superato dai
...,- ... tempi.
•7
•..,,,.
Penso che il compito principale
dell'animazione missionaria sia di
mettere in contatto i due tipi di
missione, dare ad ambedue la co-
.....
' .,
I
scienza di dover imparare qual-
cosa dall'altro, soprattutto stimo-
,,·~ ,; ~-i::
'•.J
. . . . .-:;,;
lare la Chiesa italiana ad essere
missionaria ovunque.
Un uomo per disturbarci,
non per tranquillizzarci
Il missionario, su questa linea,
non va più presentato come l'uomo
che ci chiede una preghiera, un
pensiero di ammirazione, un'of-
ferta. Egli è l'uomo che s'è messo
in viaggio per incontrare gli altri,
affinché anche noi abbandoniamo
la tranquilla pace della nostra
casa, e ci mettiamo in cammino
all'incontro del prossimo. Il mis-
sionario come uomo da imitare,
non solo da aiutare; come uomo
che viene a disturbarci, non a
tranquillizzarci.
PIETRO GHEDDO
Condensato di Teresio Bosco
Perù, lndios Tacua. « Il missionario va ai
lontani geograficamente, come segno affin•
chè noi cristiani d'Italia andiamo al lontani
della nostra patria
5

1.6 Page 6

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Nel dopoguerra anche in Spagna
c'era la fame. Per i poveri il pane
era nero e molto misurato. Un
giorno il generalissimo Franco vi-
sitava Valencia, e a pranzo volle
avere accanto a l'arcivescovo.
Sulla mensa c'era in abbondanza
fragrante pane bianco. Monsignor
Marcelino Olaechea a un tratto
disse:
- Eccellenza, noi qui mangia-
mo bene, oggi. - Portò una mano
alla tasca, cavò una pagnotta di
pane nero e la posò sul tavolo:
- Questo però è il pane che
mangiano gli operai di Valencia.
Nella sua città Io chiamavano
semplicementeDon Marcelino, con
la _ç~nfidenza che si riserva agli
arme,.
Era nato nella Biscaglia il 9 gen-
naio 1889, e della rude gente ba-
sca conservò sempre lo stile - ad-
dolcito daJla carità del Vangelo -
formato di poche parole e molti
fatti. Figlio di un operaio delle
fonderie, Marcelino non nascose
mai le sue modeste origini. Dive-
nuto vescovo, collocherà nel suo
stemma i fumosi camini degli al-
tiforni.
A Baracaldo, vicino a Bilbao,
dove visse da ragazzo, c'era un col-
legio e un oratorio dei Salesiani.
Marcelino fu affascinato dalla loro
bontà. A r6 anni era già salesiano.
Riuscl a far tutto molto in
fretta : a 23 anni era sacerdote, a
32 venne nominato ispettore, cioè
superiore provinciale. Resse que-
sta carica piena di responsabilità
per 12 anni. Ne aveva 44 quando
Pio XI lo nominò << visitatore pon-
tificio » dei seminari diocesani di
Spagna. Due anni dopo gli giunse
la nomina a vescovo di Pamplona.
·Era'-il 193"5·. All'orizzonte della
Spagna si affacciavano i torbidi e
sanguinosi ano.i della guerra civile.
In quei durissimi tempi, don Mar-
celino sostenne la sua diocesi nella
fede, e si prodigò per ripararne
le rovine materiali e morali.
Undici anni dopo, nel grigio
dopoguerra che vedeva tutta l'Eu-
ropa nella miseria e nella fame, fu
nominato arcivescovo di Valencia.
Le opere di carità che lasciava a
Pamplona erano tante - Scris-
sero i giornali - che nella diocesi
non c'era più un solo povero che
6 non fosse debitamente assistito.
- Ho pianto poche volte nella
vita - dirà in un'intervista. -
Una, quando ho lasciato Pamplona.
Così profondo, così fanciullo
Valencia: seicentomila abitanti,
industrie, proletariato inquieto, fe-
rite aperte dalla guerra civile, pe-
sante crisi economica. Don Mar-
celino mise a disposizione tutta la
sua ricchezza interiore.
Hanno scritto di lui: <• Era pru-
dente ma odiava l'astuzia; aveva
una vasta cultura ma anche la
piena coscienza dei suoi limiti; era
un grande sognatore ma con i
piedi ben piantati in terra. Fu
uomo dal dialogo aperto, che ri-
spettava e amava tutti, anche
quelli che combattevano le sue
idee. Aveva il dono incomparabile
dell'amicizia. Che strano tipo di
uomo: cosi profondo e cosi fan-
ciullo, così esigente e cosi remis-
sivo, così superiore e così amico ))_
Tutti accettavano di collabo-
rare con lui: clero e operai, reli-
giosi e aristocrazia, azione catto-
lica e autorità civili, imprenditori
e contadini.
Citiamo dal quotidiano di Va-
lencia Las Provincicis: << Le preoc-
cupazioni di Don Marcelino fu-
rono: dare un tetto a chi ne era
senza, dar da mangiare agli af-
famati, ravvivare la speranza di
chi non poteva confidare nel fu-
tmo, insegnare agli analfabeti, as-
sistere gli infermi, prendersi cura
dell'unità dei cittadini. Tutto que-
sto non rimase nel campo delle
buone intenzioni, ma si tradusse
in realtà concrete: fece costruire
case popolari e le fece assegnare
a chi viveva in baracche, fondò
e fece funzionare istituzioni di
soccorso sociale, progettò opere di

1.7 Page 7

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Il generalissimo Franco visitava Valencia e
volle a pranzo l'arcivescovo. Sulla mensa c'era
fragrante pane bianco. Monsignor Marcelino
a un tratto cavò di tasca una pagnotta di pane
nero e la posò sul tavolo: « Eccellenza, questo
è il pane che mangiano gli operai di Valencia ».
sotto la vest
de vescovo
la tuta
dell'operaio
Lungo il fiume 'furia c'erano
grumi di baracene abitate da fa-
miglie poverissime. Don Marce-
lino partiva verso mezzogiorno,
portava in un sacchetto il suo
pranzo, entrava in una baracca e
si sedeva a tavola. Non era una
esibizione paternalista. Voleva pro-
vare il più sovente possibile sulla
sua pelle la miseria dei poveri,
per capire l'urgenza di venir loro
in aiL1to. E voleva che la città co-
noscesse l'esistenza di quelle ba-
racche.
Nell'ottobre del r957 un'allu-
vione spazzò la zona del fiume
Turia, distrusse tutto. Ma nessuna
persona fu travolta: pochi mesi
prima i baraccati avevano potuto
trasferirsi i:n un gruppo di abita-
zioni fatto costruire dal vescovo.
Don Marcelino conosceva il
detto cinese: <• Regalare un pesce
è bene, insegnare a pescare è me-
glio 1>. Perché la sua azione non
si esaurisse in una carità spicciola
che lenisce le piaghe ma non gua-
risce la malattia, fondò l'Istituto
sociale, che ha per scopo di ap-
profondire le dottrine sociali, e vi
organizzò corsi di studio per varie
categorie di persone: operai, diri-
genti, imprenditori.
Liberi di dire la verità
previdenza quando la previdenza
era ancora scarsa e infrequente,
creò centri di insegnamento, fondò
dispensari e centri per la forma-
zione di personale sanitario, riuscì
a fondere una società spaccata da
schieramenti contrapposti».
A pranzo coi poveri,
sul fium e Tu.ria
La più pittoresca delle iniziative
di Don Marcelino fu la Tombola
della carità. Due volte all'anno si
vendevano i biglietti e si sorteg-
giavano ricchissimi premi. Ma la
adesione entusiasta della popola-
zione aveva un motivo più pro-
fondo delle automobili che toc-
cavano ai vincitori: sapevano che
ogni peseta della lotteria veniva
investita in opere sociali: case per
i senzatetto, ospedali e scuole.
Un'iniziativa che gli economisti
accusarono di «poca ortodossia fi-
nanziaria i> fu la Banca di Nostra
Signora dei Derelitti. Svolgeva solo
due tipi di operazioni: riceveva
dai possidenti, dava ai bisognosi.
Con questa banca non contem-
plata in nessun manuale di eco-
nomia, Don Marcelino coordinò
tutta L'azione assistenziale, che ab-
bandonata a se stessa diventa so-
vente caotica.
Le cifre sono a dirci la con-
cretezza di queste iniziative: co-
struzione di r 86 scuole elemen-
tari, 8 scuole magistrali, 6 scuole
secondarie, centri di perfeziona-
mento per insegnanti, 1433 alloggi
per operai costruiti dal << Patronato
case popolari •>, 3000 alloggi divisi
in 50 gruppi di abitazioni costruiti
dal «Patronato Filippo Rinaldi •>,
colonie estive per ragazzi poveri,
mense gratuite, ospedali, case di
cura.
Don Marcelino ebbe anche al-
t1ss1me cariche civili: per r5 anni
fu (< procuratore delle Cortes >>, per
7 << consigliere del Regno 1>, e per 4
<< membro del consiglio di reg-
genza,>, eh.e aveva l'incarico di no-
minare il capo dello Stato nel caso
che il Generalissimo fosse dece-
duto. Un salesiano racconta: << Mi
trovavo con amici in casa di Don
Marcelino, ed egli ci fece vedere
un progetto di legge sulla scuola
che veniva discusso in quei giorni.
Ci elencò gli emendamenti eh.e
avrebbe proposto, e poi volle che
gli dicessimo il nostro parere. Gli
feci osservare che un emenda-
mento proposto era troppo dra-
stico, espresso con parole forti.
Poteva offendere qualcuno. Lo in-
vitai alla prudenza insomma. Al-
lora lui sorrise, fece il gesto di
afferrare qualcosa sul suo capo e
di gettarla via, e disse:
- La preziosa mitria di arcive-
scovo per me non è niente. Se 7

1.8 Page 8

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Uno dei f a stosi, caratteristici palaz:rl d i Valencla, il pa lazzo Dos Aguas.
mi faranno dare le dimissioni, tu
me lo darai un piatto di minestra ?
Risposi di sl, e lui:
- Se abbiamo un piatto di mine-
stra, siamo liberi di dire la verità•>.
444 sacerdoti uccisi
L'impegno maggiore Don Mar-
celino lo dedicò alla costruzione
spirituale della sua Chiesa. Il clero
era uscito decimato dalla guerra
civile: 444 sacerdoti erano stati
uccisi nelle feroci repressioni delle
milizie rosse. Occorreva reinte-
grare le file con nuove leve di sa-
cerdoti.
Per prima cosa, Don Marcelino
riorganizzò il seminario. Volle nuo-
ve costruzioni, compresa la piscina.
Giovani candidati lo affollarono fin
dai primi anni.
Si impegnò io lunghe accurate
visite pastorali alle parrocchie, a
cui affidava quattro consegne: culto
evangelico, devozione mariana,
cura dei poveri, diligente istru-
zione religiosa ai bambini.
Per le masse dei fedeli organizzò
le \\< Missioni al popolo >>. Alla
a << Grande Missione di Valencia •>
indetta nel 1949 presero parte
trecento predicatori organizzati in
decine di centri. Gli esperti dicono
che fu la << prima fra le Missioni
moderne, modello imitato in tutto
il mondo>).
Don Marcelino ebbe sempre
paura di limitarsi alla coreografia
esteriore. Puntò deciso alla forma-
zione della fede adulta attraverso
l'istruzione religiosa. Le scuole
cattoliche, il (< Segretariato per gli
Esercizi Spirituali » e il <( Segre-
tariato per la Catechesi 1> contri-
buirono alla maturazione di una
fede saldamente motivata.
I risultati si videro nel << Sinodo
diocesano 1> da lui indetto, che
affrontò con molta responsabilità
i problemi della fede comune,
decise la creazione di 1 50 nuove
parrocchie, e ridistribul il territorio
diocesano secondo criteri pasto-
rali moderni.
Nel r966 il Papa invitò i ve-
scovi di oltre 75 anni a rassegnare
le dimissioni. Don Marcelino non
ci pensò due volte. Aveva 77 anni,
e fu il primo vescovo di Spagna
a dimettersi. Scrisse ai suoi fe-
deli una lettera pastorale di com-
miato, e in punta di piedi lasciò
l'incarico.
Nell'uscire dal palazzo arcive-
scovile disse:
- Sono entrato povero, e po-
vero me ne vado.
Di tanto denaro che era passato
per le sue mani, non aveva trat-
tenuto nulla per sé.
La città d i Valencia gli conferì
la medaglia d'oro, ma già nel 1952
gli aveva dato il titolo di << figlio
adottivo e prediletto della città •>.
Don Marcelino affitto un al-
loggio in Calle P intor, e condusse
una vita sempre più ritirata. Ri-
ceveva continue visite di amici,
che andavano per un consiglio 0
anche solo per la gioia di rivederlo.
Il 21 ottobre scorso il Signore
lo chiamò. Aveva 83 anni. Le
autorità e i semplici fedeli sfila-
rono per ore e ore, a dargli l'ulti-
mo saluto.
Nel suo testamento Don Mar-
celino aveva chiesto di essere se-
polto in segreto, nel piccolo ci-
mitero comune dei Salesiani. Non
voleva disturbare nessuno. Solo
dopo il funerale chiedeva di dare
la notizia perché pregassero per
lui. Per la prima volta, i suoi dio-
cesani furono tutti d'accordo nel
disobbedirgli. La cattedrale di Va-
lencia si riempi come nelle gran-
dissime occasioni .
Gli avevano domandato in una
intervista :
- Perché si è fatto prete ?
Disse:
- La risposta è nel mio stem-
ma vescovile. Canta tutta la mia
nobiltà. Nella parte superiore la
Congregazione Salesiana, in quella
inferiore il mio popolo: alcune
alte ciminiere, un fiume, una ruota
dentata.
Sono nato in fabbrica. Sono en-
trato come allievo dai Salesiani.
Mi accolsero con tanta paternità
che mi conquistarono. Volli essere
uno di loro: padre dei figli del
popolo. Tutto il resto lo ha fatto
il Signore.
Sento sotto la mia veste di ve-
scovo la tuta del figlio di operai.
Gli domandarono ancora:
- Può dire di essere stato felice
nella vita?
Rispose:
- Sicuro, sono stato e sono
molto felice.

1.9 Page 9

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EDUCHIAMO
COME
DON
ncocmeveere
le critich
Don Bosco era appena rientrato in sa-
crestia, al termine della celebrazione di
una Messa. FinUo tutto, fece con fa
mano un cenno al ragazzo che glie-
l'aveva servita e, chinandosi, dolcemente
lo avverti di uno sbaglio da lui fatto.
Il ragazzo, che era vivacissimo e schietto,
reagi subito rimbeccando:
- Anche lei ha fatto uno sbaglio.
- Quale? - domandò Don Bosco,
sempre tranquillo.
Il ragazzo l'annunciò vivacemente. Per
inavvertenza Don Bosco aveva benedetto
l'acqua da mettersi nel calice all'offer-
torio, azione che non si doveva fare
perché la Messa era dei defunti. Don
Bosco sorrise e rispose:
- È vero. Che cosa vuoi? Siamo due
"schiappini", due "brocchi".
Bastò questo perché il sorriso ricompa-
risse sul volto del ragazzo.
Ecco in Don Bosco una maniera ele-
gante di ricevere le critiche. La maggior
parte di noi non vuole far soffrire. Ciò
nonostante, a ognuno può capitare di
far soffrire anche le persone che ama
rilevando in loro un qualche sbaglio.
Non è facile presentare una giusta la-
gnanza; più difficile ancora è saper
ricevere una critica. Alcuni suggeri-
menti possono aiutare ad assumere
l'atteggiamento più appropriato quando
qualcuno ci muove un giusto rimprovero.
Insegnate ai ragazzi che quando
sono sottoposti a una critica, de-
vono conservare la calma e ascol-
tare. Se il ragazzo è d'accordo o meno
su quanto qualcuno gli sta dicendo è
cosa da discutere in un secondo tempo.
Occorre insegnare al ragazzo a
non attaccarsi al minimo pretesto
per rimbeccare o aver da ridire sul
conto della persona che lo sta cri-
ticando. Se chi lo rimprovera ha fatto,
per esempio, un errore di grammatica,
parlando, non bisogna farglielo notare
subito. Caso mai aspetti una mezz'ora;
allora l'osservazione sarà pi.ù serena.
Occorre insegnargli a non esa-
gerare quanto gli vien detto. Se
una persona gli dice che è stato «scor-
tese e maleducato». non deve attri-
buirgli l'affermazfone di avergli detto
«mascalzone e delinquente»; non va
bene quindi difendersi da un'accusa
che non gli ha fatto. Esagerare delibe-
ratamente un'accusa equivale a respin-
gerla.
Occorre che il ragazzo dimostri
a chi lo rimprovera di aver capito
il rimprovero e la critica. Un modo
facile per farlo è quello di parafrasare
quanto gli è stato detto: è come dirgli
di aver ricevuto e captato perfettamente
il messaggio e di averne preso nota.
Insegnategli a non voltare altrove
la faccia ma a guardare bene in
volto la persona che lo sta rimpro-
verando. In questo modo il ragazzo
dimostra che sta seguendo quanto gli
vien detto.
Ditegli che non prenda per scher-
zo il rimprovero che gli vien rivolto.
Lo scherzo in tal caso diventa fastidioso,
anzi irritante.
Il ragazzo non deve insinuare
che chi lo critica ha un motivo se-
greto per farlo. Ciò rivela in partenza
una volontà assoluta di non accettare
osservazioni e nemmeno sentire il rim-
provero e la critica.
«Mia madre mi ha allevato cosl; domi-
narsi, vincersi sempre più, accettare e
ascoltare i rimproveri - scrisse un uomo
nei ricordi della sua fanciullezza. - Bi-
sogna che tu divenga un uomo e non
un cencio, e tu lo puoi, Francesco, mi
ripeteva spesso. Non contavo che tre
o quattro anni e già essa mi esercitava
nel sacrificio». Santa mamma I Come
Don Bosco, aveva innata l'arte di educare.
CARLO DE AMBROGIO 9

1.10 Page 10

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Visto che illanguidisce anche J'ul-
tirno moccoletto che mi resta, dor-
mirò qui.
Il vecchio zaino (eredità di un
confratcUo che ne ha trovato uno
migliore) da diciassette ore mi è in-
collato alle spalle. Fatico a sfilarlo.
T iro fuori faticosamente il piede sini-
stro e poi il destro dal ruscello nu-
mero roz o 103 che ho appena gua-
dato. Ruscello è un nome improprio.
Sarebbe meglio chiamarlo <• bealera >>,
come quelle del mio Piemonte, che
guadavo andando a caccia verso la
metà degli anni quaranta.
Scruto le lancette fosforescenti del
Mi do la buona notte da solo, ma
i pensieri continuano a girare per la
testa.
È ridicolo, ma ho perso
la strada
Stamattina, quando sono partito
da Macas prima dell'alba, ero sicuro
di arrivare prima di sera a Chi-
guaza, per celebrare l'Eucarestia. È
ridicolo perdersi lungo un itinerario
conosciuto, in una zona battuta quasi
continuamente da coloni, a pochi
chilometri dal capoluogo della pro-
tempo non provavo. Dovevo dire la
Messa a un gruppo di giovani shuar.
Mi hanno certamente aspettato tutta
la sera, mi stanno ancora aspettando
adesso, forse. Avrei ricordato l'an-
niversario di ordinazione del mio
caro amico Silverio, << Jintiach •>, co-
me lo chiamano i giovani shuar,
cioè sentitrino. Lui che è un cam-
minatore I La distanza che io faccio
in un giorno, lui se la divora in sei
ore. Un po' come la gioventù di oggi:
credi, con un po' di fatica, di tenergli
dietro, e invece ti distanzia sempre
più, lasciandoti nella polvere delle
loro motorette.
mio eterno orologio « Invicta ». Un
quarto alle nove. Mi getto giù alla
meglio. Alcune foglie secche per ri-
posare le scapole, tre rami incrociati
sulla testa nell'eventualità di qualche
ramata di pioggia verso la mezza-
notte. Nei racconti missionari che
leggevo da ragazzo, a questo punto
il missionario cadeva in un sonno
di piombo. Io invece, quando sono
così stanco (e oggi ho passato molti
limiti) finisco per passare la notte
in dormiveglia. Un rosario di sup-
plemento a quelli che ho seminato
durante il viaggio.
- Kuré, kuré - mi saluta in ki-
varo un rospo filosofo. Tric! La
chiusura-lampo della giacca a vento
(regalo dell' ispettore a cui onore e
gloria) si ferma a pochi millimetri
dal naso. 11 casco le cade quasi so-
1O pra, baluardo contro le zanzare.
vincia di l\\lorona-Santiago. È ridi-
colo, ma io mi sono perso.
Al momento di scendere i fara-
glioni dell'Opano, il fiume che at-
traversa maestoso la valle, ho sba-
gliato strada e ci ho rimesso tre ore.
Ho dovuto guadare uno per uno
parecchi bracci del fiume, prima di
trovare la rudimentale teleferica in-
stallata dai coloni sul braccio di
fiume più pericoloso. Così ho perso
la coincidenza con il ragazzo che mi
veniva i.ncontro da Chiguaza per in-
segnarmi la strada più corta. Ho fi-
nito per smarrirmi completamente in
un labirinto di tronchi tagliati dai
coloni, che stanno aprendo un varco
nella selva per fare spazio ai <• po-
treros >\\, i pascoli dall'erba alta per
e le loro mandrie. L'unica cosa che
oggi. non ho perso, la calma.
Ma ho un vuoto dentro, che da

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Qui fra i shuar (o kivari, come
preferiscono chiamarli gli europei),
la motoretta non è ancora di moda :
si può usare solo sulla strada Macas-
Cuenca, fuùta da poco. Ma il shuar
ha dei mezzi pii1 veloci ancora: salta
da un tronco all'altro, si afferra alle
liane e si slancia da conquistatore al
di là di un lago fangoso o di un tor-
rente impetuoso. Segue la traccia
con la stessa vigile astuzia del gia-
guaro.
Anche solo questo particolare fa
vedere come sia grottesco voler im-
porre all'indio schemi europei. For-
mule valide nelle grandi città di
Una notte nella
selva con tre rami
sulla testa.
I pensieri di un prete
vagabondo che gira
e rigira i 38 mila
chilometri quadrati
della zona shuar.
La riscoperta della
civiltà degli indios e
la difesa appas-
sionata della nuova
generazione.
Lo scontro drammatico
tra i shuar e i
coloni che disbo-
scano la foresta per
fare spazio ai pascoli
dalle erbe alte.
ciale >> per i giovani della loro razza.
1 miei superio ri approvarono la de-
cisione e mi affidarono questa mis-
sione.
Dal 1969 ad oggi se ne è fatto
del cammino, in tutti i sensi. Molti
giovani shuar sanno che costituiscono
un'unità; che il loro destino non è
isolato; che nella marcia verso lo
sviluppo possono e debbono dire la
loro parola, come i piL1 autentici figli
dell'Oriente equatoriano.
Quito e (:;uayaquil, si rivelano qui
assurde come è assurda una moto
lanciata io uo lago di fango.
Quando i shuar vendono o com-
p rano sul mercato di Sucùa, quando
accompagnano i figli alla scuoletta
costruita con i propri sforzi, quando
lavorano nelle cooperative agricole,
quando la famiglia di Tentets o
quella di Kayap (che pure vivono ai
margini dello stradone) preparano il
pranzo secondo le loro antichissime
usanze, manifestano una loro sensi-
bilità, la loro cultura, come dicono
gli antropologi. E sono felici. Perché
allora dovrebbe ro scimmiottare noi
bianchi? Perché imporre loro schemi
di vita tanto diversi, tanto assurdi
per loro? Se non permettiamo loro
d i conservare e sviluppare la loro
cultura, non siamo forse razzisti ?
Queste idee si sono fatte strada.
....
Basta vedere l'opera titanica che
svolge la << Federazione dei centri
shuar >>.
38 mila chilometri quadrati:
zona india
La stanchezza lentamente se ne va,
ma il sonno non arriva. Sbirciando
tra le palpebre vedo la luna tra ramo
e ramo. Sono più tranquillo : sta-
notte non pioverà.
Sono due anni che giro e rigiro
i 38 mila chilometri quadrati della
provincia : in aereo, in autobus, a
cavallo, e soprattutto a piedi per in-
terminabili sentieri fangosi. Me Io
chiesero gli stessi shuar quando
- anni addietro - in piena assem-
blea generale della loro Federazione,
reclamarono un << assistente provin-
Da Chiguaza a Cualaquiza, <la
T aisha a Santiago, si è diffusa la
consapevolezza che la nuova gene-
razione sbuar sta scrivendo la storia
contemporanea del proprio popolo,
vi partecipa come attore responsa-
bi lc. Io sono umi le testimone di
questo movimento vigoroso, il << Mo-
\\·unento giovanile shuar »: Natsa
Slmar Imtkamu.
Uno di loro, prendendo la pa.rola
nella prima Assemblea Giovanile,
l'anno scorso a Mendez, affermò:
<< :'Joi non siamo per la violenza. Ma
vogliamo pacificamente d ire la no-
stra parola giovane nel processo di
sviluppo della Patria. Abbiamo di-
ritto di perfezionare il nostro origi-
nale modo di vivere, per proporre
un tipo di sviluppo nell'avanzata
socioeconomica della Regione ».
Uno studente del 6'' corso del-
l'Istituto Magistrale, nella sua tesi
di lictnza ha scritto: «La scuola
shuar deve valorizzare gli elementi
culturali del nostro ambiente. Un
maestro che venga da fuori non può
entrare in sintonia coi nostri bam-
bini, se non si decide a studiare (e a
vivere!) la nostra lingua e la nostra
mentalità. Se lo fa, ci troverà disposti
a sentirlo come nostro fratello, e a
Da sinistra a destra, Don Alfredo Germani.
M amma e bambina shuar. Anziana s huar.
Bambino carico di canne da zucchero. Bimbi
shuar giocano con le tessere del domino. 1 1

2.2 Page 12

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nostra volta ci sforzeremo di com-
prender lo e amarlo. Questa è l'inte-
grazione come l'intendiamo noi: esi-
giamo rispetto per l'originalità della
nostra cultura, come noi rispettiamo
la cultura dei bianchi •>.
Per conto mio, questi ragazzi ve-
dono chiaro e lontano, e saranno i
capi di una profonda rivoluzione pa-
cifica.
La riscoperta
della civiltà shuar
Sono definitivamente tramontati
tempi romantici delle missioni t ra i
<< cacciatori di teste •>. Ora sappiamo,
per uno studio molto più profondo,
che sotto le apparenze di un mondo
<<selvaggio~ (certe volte chiamiamo
cosl quello che non conosciamo o
conosciamo solo in forma tremenda-
mente superficiale) si è sviluppata in
Equatore e in Perù una delle più
originali e interessanti civiltà ame-
ricane.
I shuar (kivaros, achuar, awajùn,
wampìs) hanno vinto per secoli
l'ambiente inospitale e si sono adat-
tati a esso, sviluppando tutto un
sistema di vita che ha loro permesso
di sopravvivere compatti dove le
spedizioni dei conquistadores spagnoli
uscivano decimate, e dove programmi
di colonizzazione delle repubbliche
Libere di America hanno tardato un
secolo e mezzo prima di penetrare
in forma organizzata.
Si deve riconoscere ai shuar di
aver frenato l'invasione degli incas
(nel lontano r450) quando nitti gli
altri popoli indigeni non furono ca-
paci di tanto; di non aver tollerato
i metodi di sfruttamento che i co-
loni spagnoli applicarono agli altri
popoli indios.
Ogg.i sappiamo che il loro sistema
di «agricoltura itinerante >l è il pre-
1'111 SALVE REGINA IN RIVA AL KUSUTKAIM
È andata così. Come assistente pro-
vinciale della gioventù shuar (kivari),
stavo facendo un giro di visita attra-
verso le missioni e i villaggi del versante
orientale della cordigliera di Kutukù.
Dopo tre giorni di sentieri di montagna,
guadi di torrenti, scalate e discese a
non finire, arrivai alla missione di Tsuirmi
dove assistetti all'esame dei bambini
che passavano dalla scuoletta dei centri
a quella della Missione centrale. Quindi,
accompagnato dal "sindaco" Wisum, ml
diressi a Taisha a marce forzate.
Alle dieci del mattino arrivammo al
guado del Kusutkàim. « Mangiamo qui»,
mi disse Wisum. Lo facemmo in gran
fretta, perché cominciò a piovere, e per
non trovare il fiume in piena avremmo
dovuto fare una gran corsa. Accettai un
pezzo di pollo da Wisum, ma nella fretta
una scheggia d'osso appuntito, quasi
della lunghezza di un pollice, mi si con-
ficcò in gola. Mi sentivo soffocare.
Che fare? Senza medico, senza niente,
con il fiume che ingrossava a vista
d'occhio... Wisum che non s'accorse di
niente mi trascinò per un braccio verso
il fiume e cominciò a guadare. « Don
Bosco ha detto che dobbiamo aver fede
in Maria Ausiliatrice per vedere che cosa
sono i miracoli - pensai mentre un su-
dore freddo mi copriva la fronte e la
gola ostruita mi faceva un male da mo-
rire. - Maria Ausiliatrice. per favore,
aggiustami tu la faccenda. lo non ne
ho proprio il tempo)).
Continuammo a passo svelto tra fango
e pietre. Sudavo e pensavo: « Don Bo-
sco consigliava la novena, ma io non
posso assolutamente aspettare nove
giorni. Dirò tre Salve Regina». Pregavo,
saltavo sulle pietre tra scrosci di pioggia,
mi toccavo la gola rigida e dura, mi
sforzavo di deglutire... Niente da fare.
« Per ora non mi ha ancora soffocato
- pensavo. - Si vede che Lei mi dà
una mano». Mentre finivo la terza Salve
Regina, il senso d'oppressione e la ri-
gidità della gola sparirono all'istante.
Non so se la grossa scheggia fini
nello stomaco o se sparl. Maria Ausilia-
trice lo sa. Certo è che sono già passati
dodici giorni e non ho più sentito Il
minimo fastidio, né alla gola né allo
stomaco. A mezzogiorno di quella gior-
nata potei celebrare la Messa per i
shuar nella cappellina del ' Kànkaim, e
predicai. Passai con loro una meu'oretta
scherzando e sorbendo chicha. Poi.
quasi correndo, raggiunsi Taisha alle
sei e mezzo di sera.
Due sere dopo non potei più stare
zitto, e raccontai il fatto ai ragazzi di
Taisha. Fui cosi comico nel mio gesti-
colare che la chiesa si riempì di risate.
Se volete. ridete pure voi. Ma vi assi-
curo che sulle rive dei Kusutkàim io
non riuscii proprio a ridere.
12
cursore dell'attuale rotazione delle
semine. Hanno vissuto per secoli un
magnifico cooperativismo di clan: le
cosiddette kivar/e erano in realtà au-
tentici gruppi di lavoro, specie di_
kibbutzim, di fattorie collettive con
50-70 persone. Nelle cooperative esi-
steva una esemplare divisione del
lavoro e uno sfruttamento comune
delle risorse della terra e dei fiumi.
La riduzione delle teste:
un rito per fare la pace
Il sistema di poligamia era fun-
zionale a questo sistema di vita:
essa era segno di potenza, procurava
abbondante mano d'opera familiare,
consentiva la totale assenza di servi
e di schiavi. La morale familiare,
dentro il sistema poligamico, era seria
e rigida, al punto che una infedeltà
coniugale era punita con la morte,
e l'adulterio poteva essere causa di
guerra.
In questa luce bisogna collocare
anche il tanto deprecato rito reli-
gioso della riduzione a piccolissime
dimensioni della testa del nemico
ucciso, comune ad altre tribù della
zona. Non era una raffinata forma di
crudeltà, ma un rito con cui si in-
tendeva fare la pace con l'anima
del!'ingiusto aggressore giustamente
punito.
Questa cultu~a s'è andata trasfor-
mando e impoverendo a contatto con
i coloni bianchi. Con l'avanzata nella
selva dell'agricoltore serrano è pre-
valsa la necessità di impiantare un
regime di vita sedentaria, che sal-
vasse la terra per la sussistenza del
gruppo.
Ma il colono viene da un'altra
cultura, ha un'altra mentalità e altre
usanze, e tende a imporle all'indio,
che considera di razza inferiore.
Tutto questo spiega la tensione
drammatica fra i due gruppi, con
reazioni violente di difesa, oppure
con la resa incondizionata del più
debole.
La soluzione è l'integrazione, cioè
un clima di comprensione e di dia-
logo tra uguali, perché il gruppo
shuar non venga emarginato. È
quello che cerchiamo di realizzare.
Tra gli adulti la Federazione dei centri
shuar prom~1ove il rispetto dei prin-
cìpi culturali dell'indio. Tra i gio-
vani conduciamo un'azione parallela:
Don Giacomo Calero è il delegato
della pastorale giovanile tra i figli
dei coloni, e io ho la stessa missione
tra i figli dei shuar. Stiamo program-
mando attività comuni tra i due
gruppi di giovani, perché si incon-

2.3 Page 13

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VICARIATO APOSTOLICO DI
M ÉNOEZ
~f;~ogo di pro-
t S.d• viur1a l1.
gnava di essere la sposa di un bianco,
anche a costo cli essere la sua terza
o quarta moglie, purché i suoi figli
non sentissero il complesso d'infe-
riorità che sentiva lei di fronte ai
conquistatori della zona...
È ur~ente che si riconosca ai Centri
shuar il diritto di proprietà delle
zone circostanti, altrimenti La mag-
gioranza degli indios fuggirà verso la
foresta a morire di stenti. È urgente
una riforma scolastico-educativa che
tenga conto della lingua locale, della
struttura socioculturale dei Centri
shuar, e anche della distanza che
oggi i bambini shuar devono per-
correre per recarsi a scuola.
La nostra grande speranza è il
fermento che germo~lia nella nuova
generazione. I giovaru shuar sono co-
scienti che contribuiranno alla gran-
dezza della Patria non imitando pas-
sivamente i coloni, ma offrendo le
loro energie e la Loro originalità alla
costruzione dell'Oriente equatoriano.
« Yus atùmjai pujustì »
A~I-Of.1•z. gloNr,(11,
fO,.rT\\&C..
Coop-e.•.-uv• !lr w.t.
9 l p v. - n t l o t
IJomboiza
Coo~f'~t:va g>ov.
1n fo~~.
Questa cartina, con i principali centri del Movimento giovanile shuar, è stata disegnata
da don Alfredo Germa ni.
trino, si comprendano a vicenda e
rispettino la reciproca originalità cul-
turale.
Le trappole in cui cade
il giovane indio
Ce n'è urgente bisogno. Il shuar,
abbagliato dalle novità occidentali,
s'impoverisce per comprare cose inu-
tili, col vago miraggio di «diventare
come il bianco ». Giunge a rubare
il piatto smaltato del bianco, mentre
disprezza le stoviglie artistiche di
terracotta che fabbricava sua madre.
li bambino, sotto l'influsso di una
educazione scolastica alienante che
non lo tiene in nessun conto per
magnificare solo il mondo dei bian-
chi, finisce per disprezzare la sua
libertà e ridursi a schiavo di un co-
lono. È attratto dal nuovo idolo
della civiltà occidentale: il denaro. E
abbandona la famiglia per un salario
da fame. Il giovane e la giovane emi-
grano lontano, vogliono conoscere di
più, guadagnare di più, godere di
più. Quando tornano, profondamente
disillusi, sono esseri abbrutiti dal
vizio, con pesanti esperienze che
non gli permettono più di essere una
persona libera e felice.
Certe scene che ho visto tra queste
selve mi riempiono ancora di an-
goscia: un vecchio shuar che vendette
il suo ultimo pezzetto di terra per
fuggire lontano dal colono che lo
tormentava; un altro vecchio che
vendette il suo podere per comprare
le medicine per la famiglia amma-
lata; il bambino shuar che succhiava
un'arancia fra le lezioni scolastiche
del mattino e quelle del pomeriggio,
un'arancia che era colazione l! pranzo,
mentre i suoi antenati vissero pro-
speramente in questa terra che era
la Loro terra; una giovane che so-
Ho dormito o è stato un lungo
dormiveglia? Non lo so. Non ha
importanza. Ciò che importa è che
a Chiguaza, dove arriverò fra cinque
ore se tutto va bene, si sono stabiliti
due giovani del quinto corso magi-
strale. Mentre riprendo il mio cam-
mino indeciso fra pozze fangose, so
che adesso (sono le otto) essi stanno
dialogando coi giovani di laggiù,
dove s'è appena formata la prima
<< cooperan:va agropecuaria juvenil ».
A me chiedono solo una testimo-
nianza: quella di raggiungerli, tra
fango e pioggia (perché adesso ha
cominciato a piovere) per dire loro
che non guardino più indietro, che
non si stanno sbagliando nel cam-
mino intrapreso, perché Cristo è
con loro.
Queste stesse cose dirò stasera,
celebrando per loro la Messa in
idioma shuar, simbolo e realtà di
questa presenza. Dirò loro che Cristo
è venuto a liberarci non solo dal
peccato, ma dalla disperazione, dallo
sfruttamento, dall'egoismo che ci
spinge a calpestarci a vicenda. E
Cristo Eucaristia verrà a darci la
forza per continuare questa nostra
missione, dura, a tratti pesantissima,
che quasi ci schiaccia.
Quante volte ancora parlerò e
chiamerò Cristo sul nostro povero
altare) In quanti luoghi diversi!
Finché sia uno di loro, uno shuar,
a poter dire: (( Yus atùmjai pujustì ~,
(< IL Signore sia con voi •>.
DON ALFREDO GERMANI
Missionario salesiano
13

2.4 Page 14

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13 gennaio 1915. li candore
ùclla ne,·e copre i paesini semi-
nati sui contrafforti della :Vlaiella
e nella piana del Fucino. A un
tratto è come se la mano di un
gigante scuotesse tutta quella po-
,·erissirna regione. Le case ùei
contadini e dei montanari si sfal-
dano, crollano come castelli di
carte in un gioco di bambini.
~ il terremoto. In pochi minuti,
nella regione della Marsica, cen-
tinaia di morti; piccole folle di
adulti e bambini che vagano soli,
terrorizzati. J\\ notte i lupi scen-
dono dalla montagna carica di
neve e vagano affamati per i vil-
laggi.
C'è un ragazzo di , 5 anni, che
ha "isto il soffitto della casa ve-
nire giù, seppellire mamma, papà,
fratelli. È rimasto solo. Si chiama
Secondo Tranquilli. Sui libri che
scriverà si firmerà Ignazio Silonl!.
Scrive così d1 quei terribili giorni:
ii La maggior parte dei morti
giacevano sotto le macerie. Gli
atterriti superstiti vi,·cvano nelle
,·icinanze delle case distrutte, in
rifugi provvisori. .:--Juove scosse di
terremoto e burrasche di neYc ci
minacciavano.
'Cna mattina grigia e gelida,
dopo una notte insonne, assistetti
a una scena assai strana. Un pic-
colo prete sporco e malandato
con la barba di dieci giorni, si
aggirava tra le macerie attorniato
da una schiera di bambini e ra-
gazzi rimasti senza famiglia. In-
vano chiedeva se vi fosse un
qualsiasi mezzo di trasporto per
portare quei ragazzi a Roma.
In quel momento arrivarono e
si fcnnarono cinque o sci automo-
bili. Era il re, con il suo seguito,
che visitava i comuni de,·astati.
Appena gli illustri personaggi sce-
sero dalle loro macchine e si al-
lontanarono, il piccolo prete, senza
chiedere il permesso, cominciò a
caricare sopra una di esse i bam-
bini da lui raccolti. l\\la, come era
prevedibile, i carabinieri rimasti
a custodire le macchine vi si op-
posero; e poiché il prete insisteva,
ne nacque una vivace collutta-
zione, al punto di richiamare l'at-
tenzione dello stesso sovrano.
Affatto intimidito, il prete si
fece allora avanti, e col cappello
14 in mano, chiese al re di lasciargli

2.5 Page 15

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don
un prete per 1
per un po' di tempo la libera di-
sposizione di una di quelle mac-
chine, in modo da poter traspor-
tare gli orfani a Roma, o almeno
alla stazione più prossima ancora
in attività. Date le circostanze,
il re non poteva non acconsentire.
Assieme ad altri, anch'io os-
servai, con sorpresa e ammira-
zione, tutta la scena. Appena il
piccolo prete col suo carico di
ragazzi si fu allontanato, chiesi
attorno a mc:
- Chi è quell'uomo straordi-
nario?
Una vecchia che gli aveva atfi-
dato il suo nipotino mi rispose:
L:n certo Don Orione, un
prete piuttosto strano ,1.
rello per non
sotto la pioggia
33 anni prima, 1882. Yittorio
Orione è un selciatore di strade.
Ore e ore con le ginocchia affon-
date nella sabbia umida, la schiena
curva, a zappettare, a porre i sassi
uno dopo l'altro, a spingerli nel
terreno con piccoli colpi di mar-
tello. Suo figlio Luigi ha dicci
anni, e viene a inginocchiarsi ogni
giorno accanto a lui, con zappt:tta
e martello. Comincia pure lui a
fare il selciatore. Si lavora anche
quando pioviggina, e la nebbia
rende grigie e tristi le giornate.
Mamma gli ha comperato un
ombrello, perché a dicci anni è
duro i",iyorare sotto la pioggia. Ma
una sera si vede tornare il suo ra-
gazzo bagnato fino alle ossa.
- E l'ombrello? DO\\•e l'hai
messo:
- Mamma - balbetta arros-
sendo un poco, - ho incontrato
un vecchio che andava per la
strada tutto bagnato di pioggia, e
ho pensato di darglielo.
I sotto-poveri. Luigi li incontra
in quegli anni, per la prima \\lolta,
e ne rimane sconvolto. Sta pic-
chiettando sulle pietre quando pas-
sa per la strada un essere deforme,
quasi mostruoso. Più che cammi-
nare si trascina. l i ragazzetto lo
fissa con pen;i, ma non con paura.
Quello si ferma, e gli chiede un
pezzo di pane per amor d.i Dio.
Luigi ,•a a tirar fuori dalla tasca
della giacca la sua colazione, e
glie la dà tutta. Quando ha finito
lo aiuta a rimettersi io piedi e lo
accompagna sulla strada.
Papà ha visto tutto. Ora vede
il suo ragazzo lontano, sempre più
lontano, e gli grida di tornare in-
dietro. Quando ce l'ha accanto
brontola:
- ì\\Ia dove volevi andare ?
li ragazzo non sa. :\\la dietro
quei sotto-poveri andrà per tutta
la vita.
Ottobre 1886. Luigi Orione ha
14 anni, e viene accettato all'Ora-
torio di Don Bosco, in Valdocco.
La vita austera, il molto lavoro,
non gli fanno paura. Primeggia
presto negli studi e nella bontà.
È affascinato, incantato da Don
Bosco, il grande educatore ormai
al tramonto della sua esistenza.
Quando il Santo scende io cor-
tile - sempre più raramente or-
mai - i giovani a decine, a cen-
tinaia si serrano attorno conten-
dendosi i posti più vicini, gioiosi
di ricevere da lui una parola.
Orione si sping<! avanti più che
può. Don Bosco lo fissa, gli sor-
ride, gli domanda se la luna al
suo paese è grande come a To-
ri no, e quando lo vede ridere
gli dice con amichevole ironia:
~T'ses propi 'nfn fiuché» (Sei pro-
prio un (t fa nevicare », un sem-
pliciotto). Ha un grande Jesiderio,
Orione: vorrebbe confessarsi da
Don Bosco. l\\Ia come fare?
erni di peccati
Don Bosco è allo stremo delle
forze. Confessa soltanto alcuni sa-
lesiani e gli alunni dell'ultima
classe. In modo quasi inspiega-
bile Luigi Orione ottiene questo 1 5

2.6 Page 16

▲back to top
singolarissimo privilegio. Bisogna
che si prepari seriamente.
Lo narrò Don Orione stesso:
«Nell'esame di coscienza che feci,
riempii tre quaderni •>. Per non
tralasciare nulla aveva consultato
alcuni formulari. Ricopiò tutto,
si accusò di tutto. A una sola
domanda aveva risposto negativa-
mente: alla domanda « hai am-
mazzato r •>, (< Questo no! •► scrisse.
Poi, con i quaderni in tasca, una
mano sul petto, occhi bassi, si
accodò agli altri attendendo il suo
turno. Trema\\'3 per l'emozione.
Toccò a lui. Si inginocchiò.
Don Bosco lo guardò sorridendo.
- Dammi i tuoi peccati.
I l ragazzo tirò fuori il primo
quaderno. Don Bosco lo prese,
sembrò soppesarlo un attimo, poi
lo stracciò.
- Dammi gli altri.
Anche gli altri due fecero la
stessa fine: stracciati. Il ragazzo
stava a guardare disorientato.
- E adesso la confessione è
fatta - disse il Santo. - Non
pensare mai più a quanto hai
scritto.
sulla patena
E gli sorrise. Luigino non potrà
mai più dimenticare quel sorriso.
A quella confessione seguirono
altre. Un giorno Don Bosco lo
guardò fisso negli occhi: «Ricor-
dati che noi due saremo sempre
amici >>. Luigi Orione non di-
menticò quella promessa.
Nel gennaio del 1888 Don Bo-
sco era alla fine. Si temeva di per-
derlo da un momento all'altro.
L'Oratorio era caduto in un si-
lenzio fatto di trepidazione e di
attesa.
La mattina del 29 gennaio l'an-
tico segretario di Don Bosco,
don Gioacchino Berto, usci dalla
sacrestia accompagnato da sei ra-
gazzi. Serd la l\\Iessa Luigi Orione.
Yicino al calice, un foglio con
queste parole: <1 O Gesù Sacra-
mentato, Maria SS. Ausiliatrice
dei C ristiani, S. Francesco di
Sales nostro patrono, i poveri
16 sottoscritti (seguivano i nomi dei
sei giovan.i e del celebrante, al
secondo posto veniva quello di
Orione) al fine di ottenere la con-
sen,azione del loro amatissimo pa-
dre e Superiore Don Bosco, of-
frono in cambio la propria vita.
Deh! vi supplichiamo, degnatevi
di gradire l'offerta ed esauditeci>►.
SulJa patena, intorno all'ostia
grande del sacerdote, facevano co-
rona sei ostie piccole.
Don Bosco mori il 31 gennaio,
all'Ave Maria.
. dal Cielo
Giun o al termine del corso
ginnasiale, Luigi Orione con nu-
merosi altri compagni si recò a
Valsalice per un corso di esercizi
spirituali che avrebbero dovuto
prepararlo ad entrare neUa Con-
gregazione Salesiana.
Al riguardo, non aveva mai
avuto alcun dubbio: il suo sogno
era di rimanere sempre con Don
Bosco. I compagni e i superiori
erano tutti del parere che nes-
s uno era <t più salesiano)) di Luigi
Orione.
Ebbene, proprio durante gli
esercizi quella certezza cadde. «E
se a ndassi in Seminario?>► gli ba-
lenò per la mente. * La ritenni una
tentazione del demonio - rac-
contò poi. - E la combattei con
tutte le forze. Ma non c'era niente
da fare... Volli consultare Don
Bosco, la cui tomba era proprio
li, a Yalsalice. L'ultima notte restai
a piangere e a pregare sulla tomba
del padre amato. E restammo d'ac-
cordo cosi: se proprio dovevo
entrare i.n Seminario, avrebbero
do,'Uto realizzarsi tre segni. Fu
una ragazzata, ma tant'è... ,,.
I tre segni si verificarono a bre-
vissima scadenza: Luigi Orione
fu accettato in Seminario senza
averne fatto domanda; gli fu re-
capitata la veste da chierico senza
che nessuno glie ne avesse preso
le misure; e suo padre, che non
era mai andato in chiesa, divenne
un cristiano praticante. _,Doveva
proprio entrare in Seminario.
Gli anni trascorsi all'Oratorio
furono per Don Orione la miniera
inesauribile a cui attinse sempre
a piene mani. La sua gratitudine
per Don Bosco non ebbe limiti:
«Tutto quello che voi ,·edete in
me, è il frutto di tre anni passati
all'Oratorio di Don Bosòo. La
mia vocazione si è sviluppata in
quell'atmosfera satura di pietà e
di amore di Dio. D on Bosco ci
faceva trovare attorno a noi un
soffio di affetto santo>>.
Un giorno, con malinconica te-
nerezza, mormorò: «Don Bosco.
Camminerei sui carboni accesi per
vederlo ancora e dirgli grazie ! >>.
1892. Il selciatore di strade Vit-
torio Orione muore all'improv-
viso. Luigi, dopo aver pianto il
papà, capisce che sua mamma non
potrà mai mantenerlo al Seminario
con i suoi magri risparmi. Decide
di darsi da fare. Ottiene un po-
sto di aiuto-sacrestano nel duomo
di 'l'ortona. Gli danno un piccolo
mensile (22 lire), e gli permettono
di dormire in una stanzetta rica-
,·ata sopra la volta del duomo.
Un giorno, in sacrestia, il chie-
rico incontra un ragazzo, Mario
I valdi, che piange. Ha disturbato
durante l'ora di catechismo, e il
viceparroco gli ha mollato uno
scappellotto e l' ha cacciato fuori.
Luigi Orione lo calma, lo fa sa-
lire alla stanzetta sul voltone del
duomo e riprende il catechismo
interrotto. Poi gli ficca in tasca
una manciata di carrube e di
fichi secchi (le caramelle dei po-
veri), e gli dà l'appuntamento
per il giorno dopo. «Vedrai che
getteremo un buon seme per te
e per me ».
sotto la volta
o
Il giorno dopo Mario ritorna,
ma non è più solo. Porta degli
amici. Il chierico Orione mette a
disposizione di quei ragazzi tutto
quello che ha: la sua stanzuccia,
i suoi libri, alcuni attrezzi da gin-
nastica. Costruisce persino una
altalena.
Cinque, dieci, venti, cinquanta.
Un putiferio indiavolato tra i voi-
toni del duomo. Grida, corse, ca-
priole sul letto. Qualche vetro co-
mincia a saltare. Tutto questo

2.7 Page 17

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baccano fa venire la mosca al
naso a certi canonici che vogliono
star tranquilli. Cominciano le voci
cattive, velenose. «Quel chierico
che gira per Tortona con una
banda di ragazzi che fanno un
chiasso della malora, sarà del
tutto centrato ? >>.
Orione dovette sgomberare la
sua stanzetta. << Ragazzi - disse -
devo darvi una brutta notizia.
Siamo sfrattati. Preghiamo la Ma-
donna che ci faccia trovare pre-
sto un altro locale per radunarci •>.
Intanto li riunisce in una piaz-
zetta, dove giocano, cantano, pre-
gano.
11 vescovo, che non vede più i
ragazzi per le sacrestie, domanda:
- Che ne è dei ragazzi di
Orione?
- Li hanno cacciati dal duomo,
e si radunano in piazza.
La risposta è uno spillo nella
poltrona del vescovo. Mons. Baldi
vuol bene ai giovani, cerca di ca-
pirli. Ordina:
- Chiamatemi il chierico 0-
none.
- Luigi - gli dice - tu cer-
chi un posto per i tuoi ragazzi,
e io ho un giardino che non
serve a niente. Te lo regalo, tra-
sformalo in un oratorio. Domenica
voglio che lo inauguriamo insieme.
Luigi Orione cerca di non pian-
gere dalla gioia. Il suo sarà il
primo oratorio della diocesi di
Tortona. Ci fosse qui Don Bosco
a vederlo...
Ottobre 1893. Orione ha 21
anni. Gli mancano ancora tre anni
di Seminario per diventare prete.
Ma tra i ragazzi che affollano il
suo oratorio c'è già qualcuno che
gli dice: (< lYli piacerebbe diven-
tare come te >>. Diventare chieri-
co, prete. Sono ragazzini poveri.
Le loro famiglie non possono per-
mettersi di pagare la retta del Se-
minario. Orione pensa: perché
non fondare una scuola, un col-
legio per i ragazzi poveri che vo-
gliono diventare sacerdoti ?
Ne parla al vescovo. Monsi-
gnore lo guarda e scuote la testa:
- Caro Luigi, per mandare
avanti un collegio come dici tu
ci vogliono soldi, tanti soldi. E
bisognerà prendersi sulle spalle un
sacco di fastidi.
- A lei, Eccellenza, domando
solo l'approvazione e la benedi-
zione. Al resto ci penserà la Prov-
videnza.
- Va bene. Ti do l'una e
l'altra. Vediamo cosa combinerai.
Uscendo con le tasche vuote,
ma con l'approvazion e e la bene-
dizione del suo vescovo, Orione
ne combinò molte di cose. Dopo
due ore aveva affittato un locale
per il primo collegio, pagato · il
fitto per un anno, accettato i
primi due ragazzi.
E con un crescendo incredibile
fondò durante la sua vita qual-
cosa come duecento case: scuole
apostoliche, orfanotrofi, case di ri-
poso, centri di addestrarn.ento pro-
fessionale, missioni, eremitaggi, co-
lonie agricole...
Nel giorno in cui dice la prima
Messa, il 13 aprile 1895, Don
Orione conferisce l'abito da chie-
rico ad alcuni dei suoi ragazzi.
Nasce cosi Ja sua Congregazione,
la Piccola Opera della Divina Prov-
videnza.
Nel 1915 fonda una Congrega-
zione femminile, a cui affida il
servizio dei malati respinti dagli
altri ospedali. La gente chiama
le nuove case << Piccoli Cottolen-
go >>, perché a somiglianza del
grande Cottolengo di Torino, vi
vengono accolte le creature più
derelitte, quelle che la società de-
finisce << irrecuperabili)). Ma non
c'è nulla, secondo Don Orione,
che non possa essere recuperato
nella luce dell'amore dì Dio.
o di Don Orione
Dove prende questo pretino la
forza di reggere tutte queste opere
gigantesche ? Il suo segreto lo
scopre un ragazzetto, rimasto or-
fano nel terremoto della Marsica.
Racconta: << Sul camion che ci
trasportava, pigiati, verso la fer-
rovia, ad un tratto mormorai:
"Sono stanco, ho sonno". La
grande mano di Don Orione sci-
volò dietro le mie spalle, mi
trasse più vicino, e mi disse:
"Dormi pure tranquillo". Aprii
un momento gli occhi e vidi tra
le sue dita la corona del Rosario.
Mentre mi addormentavo, sentii
Don Orione bisbigliare le "Ave
Maria". Da quella notte conservai
sempre quella sua immagine: .
l'azione senza riposo ispirata dal-
l'amore, sorretta dalla preghiera».
Quel ragazzo, Gaetano Picci-
nini, divenne sacerdote e fu per
molti anni consigliere generale della
Piccola Opera della Divina Prov-
videnza.
mplicemente:
Don Orione se ne andò, quasi
in punta di piedi, nella sera del
12 marzo 1939. Aveva chiesto di
andare a morire tra i poveri del-
l'istituto di Borgonuovo: «Là ci
sono tanti ragazzetti senza nes-
suno, abbandonati. Voglio morire
tra quei figli, in una casa che vive
e pratica la povertà 1>. Don Sterpi,
invece, il suo vicario, volle che
andasse in una Casa di San Remo,
per tentare di guarire. Fece l'ob-
bedienza come il più piccolo dei
confratelli.
Nella sera del 12 marzo l'infer-
miere che l'assisteva lo sentl mor-
morare: << Gesù, Gesù >>. Poi Don
Orione lo guardò e disse sempli-
cemente: «Vado>>. E si spense.
Nel giorno della sua prima
Messa aveva scritto: << Preservami,
Signore, dalla funesta illusione, dal
diabolico inganno che io prete
debba occuparmi solo di chi viene
in chiesa e ai Sacramenti, delle
anime dei fedeli e delle pie donne.
Certo, il mio minjstero riuscirebbe
più facile, più gradevole; ma io
non vivrei di quello spirito di
apostolica carità verso le peco-
relle smarrite, che risplende in
tutto il tuo Vangelo >>.
TERESIO BOSCO 17

2.8 Page 18

▲back to top
Gabriel Canoniga è un
giovane salesiano spa-
gnolo. Non è sacerdo-
te, ma religioso laico.
Per servire i fratelli
poveri ha lasciato una
splendida vita a Bilbao
e si è cacciato nella
foresta del Guatemala,
tra gli indigeni Kekchi.
Come Schweitzer pre-
dica il Vangelo e usa
il bisturi del chirurgo:
è il « grande medico»
delle tribù. Attorno al
mento gli è fiorita una
forte barba che dà au•
torità ai suoi verdi
26 anni.
scritto Gabriel Canoniga, coadiu-
tore spagnolo. Siamo tutti giovani.
Nessuno ha ancora toccato il tetto
dei quarantacinque. E io, con i
miei ventisei, sono il bambino della
compagnia. La nostra residenza non
è una reggia, ma ci si può vivere
benino: I.: una capanna, più che una
casa, e ci stiamo bene perché è in
tutto simile alle abitazioni degli
indios. Vogliamo essere in tutto co-
me loro.
Ferita da machete,
in una rissa di ubriachi
Io sono l'incaricato del piccolo di-
spensario. Tutte le mattine, dalle
otto fino alle tredici, mi metto al
servizio degli indios che già stanno
facendo coda davanti alla porta. Ri-
chiamo energicamente alla memoria
tutte le no:iioni imparate a Bilbao,
nei due anni di corso per infermieri
missionari, mi rimbocco le maniche.
che la fame ha ridotto a piccoli
scheletri coperti cl.i pelle. Avrete visto
tante fotografie, di questi piccoli de-
nutriti, durante la guerra del Biafra
o sulle riviste che parlano del Terzo
Mondo. Forse non vi impressio-
nano più. Ma dovreste provare a
vederli entrare nel vostro dispen-
sario, le gambette ridotte a due pic-
cole canne dì bambù, la pancia
gonfia, gli occhi spenti. E la madre
che li porta in braccio non dispe-
rata, ma indifferente, rassegnata alla
fatalità. Do pastiglie di vitamina,
latte in polvere, quando ce n'ho.
Ma ci vorrebbe ben altro. Ci vor-
rebbero tutti i soldi che nella nostra
beata Europa sciupiamo per mante-
nere cani e gatti...
Iniezione, rito magico
Ogni giorno faccio qualche decina
di iniezioni: vitamine, vaccini contro
il paludismo e la malaria, penicillina.
Il
Il
l
Gli indios Kekchi sono discendenti
dei favolosi Maya. Vivo tra loro ormai
da due anni. Un giorno mi banno
portato, attraverso sentieri avvilup-
pati di liane secolari, fino ad una
loro antica città: un insieme di mo-
numenti fantastici e misteriosi, divo-
rati lentamente dalla selva. La zona
si chiama Tikàl: è il più vasto, e
forse il più antico centro abitato di
discendenti dei Maya. Attorno, spun-
tano dal verde le strane piramidi
dalla punta piatta. La più alta tocca
i 70 metri. Fanno corona le impassi-
bili e beJijssime sculture in legno.
La nostra missione ha il suo centro
in Carcbà. Ma io risiedo a Campur,
una stazione missionaria che si spinge
verso l'interno per 50 chilometri.
Siamo in quattro salesiani, ci voglia-
mo un bene dell'anima, e quando
siamo insieme facciamo cagnara co-
me scolaretti in vacanza. Faccio le
presentazioni: Padre Pacheco costa-
ricano; Padre Miguel messicano;
18 Padre Luis, guatemalteco; il sotto-
I malanni più diffusi sono l'ane-
mia, d.i cu.i quasi tutti soffrono, il
paludismo e la fame. Stamane (come
tante altre mattine) ho dovuto curare
una ferita aperta da un colpo di
<< machete» menato durante una rissa
di ubriachi. C'era un cerchio di
gente attorno che mi osservava,
mentre preparavo le pinze e gli aghi
chirurgici sul tavolo fasciato di nai-
lon. Ho fatto l'iniezione. anestetica,
poi mi sono messo a ricucire quello
che il << machete~ aveva squarciato.
U paziente (un uomo color rame su.i
45 anni) non ha fatto una piega,
come se stessi cucendo il nailon del
tavolo. i 'indio pone un grosso punto
d'onore nel sopportare con stoicismo
il dolore. Alla fine si è alzato, mi ha
fatto un inchino e se n'è andato.
Tornerà un paio di volte per la me-
dicazione, finché gli toglierò j punti.
E poi via, a ubriacarsi e a rissare di
nuovo...
I momenti in cui mi assale la tri-
stezza è quando mi portano i bambini
L'iniezione, per molti, è diventata
quasi un rito magico. La vogliono
a tutti i costi. Una pillola è rifiutata
come cosa da niente. C'è una vec-
chietta che arriva ogni settimana già
con la camicia arrotolata sul braccio,
e fa segni energici per avere la sua
inie:iione endovenosa. Un giorno
quasi ci rimetteva la pelle: forse era
troppo debole per la reazione che
il preparato le causò. Dovemmo
salvarla con la respirazione bocca a
bocca. Eppure una settimana dopo
era di nuovo li, con la camicia arro-
tolata sul braccio, e il dito che indi-
cava energicamente il suo diritto
ali' iniezione.
Nella stagione calda gli indios
danno fuoco ai campi, per prepararli
alla semina del mais. È un momento
molto difficile: le serpi velenose,
stanate dal fuoco, invadono le ca-
panne, e assalgono adulti e bambini.
Faccio sempre una grossa provvista
di siero antiofidico per quelle occa-
sioni, e riesco a salvare molta gente.

2.9 Page 19

▲back to top
Campur è un centro in cui ogni
mese gli i1ulios convergono. C'è il
mercato della zona, che dura alcuni
giorni. Arrivano, i mariti con i
bambini in spalla, le donne cariche
di tacchini, polli, gatti. Cedono tutto
(a prezzi a volte che sono un vero
strozzinaggio) per avere riso, farina
di mais, zucchero. È l'unico mercato
aJ mondo dove ho visto vendere un
gran numero di gatti. Non crediate
che le signore li comprino per avere
un ornamento in più nel loro salotto,
tutt'altro I Le capanne degli indios
sono infestate da topi che mole-
stano anche i bambini, e un buon
gatto è più utile di un cane da guar-
dia. Spesso arrivano gli incaricati
civili, che per disinfestare le capanne
dai pidocchi e dalle zanzare spruz-
zano tutto con abbondanza di DDT.
Il gatto di famiglia a volte finisce
anche lui ucciso dal DDT, e allora
si ricorre al mercato, dove in certi
periodi il prezzo dei gatti è altissimo.
Le visite mediche e le medicine
che distribuiamo agli indios non
sono completamente gratuite: fac-
ciamo pagare una monetina simbo-
lica: cinque centesimi. Non ne ri-
caviamo alcuna utilità, ma è una
maniera per educarli ad apprezzare
ciò che diamo. Più volte abbiamo
osservato cht: ciò che si regala non
viene stimato.
Cade la pioggia
sulle capanne dei poveri
Nel pomeriggio continuo il mio
lavoro di medico girando per la
zona, a visitare gli ammalati che non
possono venire al dispensario. Ho
una potente moto giapponese Suzuki,
ammirata da tutti i ragazzi, e presa
d'assalto da tutti i cani, che deb-
bono averla scambiata per un àni-
maJe rumoroso e stupido.
Devo stare attento quando i cani
mi si gettano contro ringhiando e
cercando di addentare i pneumatici.
Tutti i ragazzi delle capanne sono
miei amici. Mi vengono incontro, e
con profonda umiliazione dei miei
26 anni mi salutano: <i Buon giorno,
nonno 1>. La causa dev'essere la barba,
che mi è fiorita bene attorno al
mento, e dà parecchia autorità ai
miei verdi anni. Mentre i bambini,
vestiti di niente, curiosano devota-
mente attorno alla inia Suz uki, en-
tro nella capanna.
I malati sono distesi negli angoli
scuri, su assi o stuoie. Immobili,
con la fatalistica rassegnazione della
razza, attendono la morte. Faccio
ciò che poss9, e non è molto. Ma
insieme alle medicine, porto a loro
la parola di Gesù, _parlo del Cielo,
d ella risurrezione. Qualche volta il
loro volto si apre ad un sorriso di
speranza.
Quando mi congedo, la famiglia
mi offre il caffè, nel cavo di una
piccola zucca che essi adoperano per
tazza. La loro gentilezza è grande
come la loro resistenza al dolore.
Ora sono qui, che scrivo queste
righe ad un rozzo tavolo fatto di
due assi e due cavalletti. La lampada
a petrolio mi illumina come può.
Penso a tanti giovani della Spagna,
dell'Europa. Chissà se qualcuno pen-
sa a questi suoi fratelli poveri tra i
poveri? Anch'io, quand'ero a Bil-
bao, ci pensavo così poco... Che il
Signore cambi il nostro cuore di
pietra.
È caduta la notte tropicale. Ora
sta cadendo la pioggia sulla terra e
sulle capanne dei poveri. Il Signore
li aiuti e aiuti tutti noi.
GABRIEL CANONIGA 19

2.10 Page 20

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DOMANDA: Madre Canta, la sua Con-
gregazùme ha campiuto cent'anni. I
riferimenti di età con la vita umana
possono trarre in inganno. Lei che
vive in modo particolare questa espe-
rienza, ci dica : che cosa significa,
per una Congregazione come la sua,
compiere cent'anni? È segno di tra-
monto, di vecchiaia? o di giovinezza?
di pietrificazione o di capacità di
rinnovamento?
RJSPOSTA: Non mi pare che si possa
parlare di tramonto o di vecchiaia...
fl crescere progressivo dei membri
dell'Istituto; lo sviluppo delle sue
opere in tutto il mondo; le case, le
scuole, gli oratori, i centri giovanili
fiorenti; l'estendersi del lavoro mis-
sionario dal Medio all'Estremo Orien-
te, dalle Americhe all'Africa e al-
l'Australia; l'esplosione di santità
(da quella nascosta nell'umiltà del
favoro e del sacrificio quotidiano a
quella resa pubblica dalla Chiesa);
le numerose exallieve che testimo-
niano nella società e nella Chiesa,
con la vita e con l'azione apostolica,
un autentico cristianesimo: tutto di-
mostra chiaramente, mi pare, come
la storia di un secolo segni per il
nostro Istituto non una graduale
cristallizzazione di formule superate,
ma un cammino in salita che va
scoprendo orizzonti sempre nuovi.
Paolo VI, il 15 luglio scorso - nel-
l'udienza per le nostre celebrazioni
centenarie - diceva a circa 2000 Fi-
glie di Maria Ausiliatrice: << In voi
noi vediamo la continuità ininterrotta
della splendida fioritura ru un ideale
ru carità e di zelo ». Penso che queste
parole sintetizzino bene quanto ho
cercato di esporre.
DOMANDA: Ma che cos'è, nel suo pro-
fondo, una Figlia di Maria Ausilia-
trice? Della sua Congregazione si
sanno tante cose : che è stata fondata
da due Sami (Don Bosco e Madre
nta più di 18.000
INTERVISTA
ALLA SUPERIORA
DELLE F.M .A .
di ENZO BIANCO
1i'e';~!Ml'.wrii..- a forse il più im-
portante ci sfugge. E cioè, che cos'ha
di diverso, di tipicamente mo, la << Fi-
glia di Maria Ausiliatrice »?
RISPOSTA: La risposta più semplice
mi pare sia questa: la Figlia di
Maria Ausiliatrice si sforza ru in-
carnare lo spirito ru Don Bosco,
che è - come è stato detto - il
modo particolare con cui il Fonda-
tore h~ interpretato il messaggio
evangelico.
Questo stile inconfondibile - che
.ba segnato il pensiero, gli scritti e
la vita di Don Bosco - segna e
caratterizza la Figlia di Maria Au-
siliatrice che, totalmente consacrata
a Dio, in un'armonica sintesi di
azione e contemplazione, ne assume
e ne vive le componenti: pietà eu-
caristico-mariana; fedeltà al Papa e
alla Chiesa; gioioso spirito di fami-
glia << soffuso, come ci ha detto il
S. Padre, di composta ma sincera
letizia •>, e un grande amore-servizio
per la gioventù, specialmente la più
povera, attuando quel particolare me-
todo preventivo che Don Bosco rias-

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

▲back to top
sumeva nel caratteristtco trinomio:
ragione, religione, amorevolezza.
DOl\\lANDA: Sempre secondo il suo punto
di vista: qual è il risultato più i111-
porla11le che la sua Co11gregazio11e ha
conseguito nei cento lunghi a1111i della
suo esistenza?
RISPOSTA: Credo sia il suo vivo e
operante inserimento nella Chiesa e
nella società come una Congrega-
zione che, pur conservandosi fedele
alle sue Regole e Tradizioni, ha sa-
puto rc:-tare sempre attenta ai segni
dei tempi, rendendo i suoi membri
- in un graduale, continuo rinno-
vamento sempre più competenti
e disponibili per ogni forma di pre-
senza educativa, secondo le neces-
sità dei luoghi e gli inviti della
che indicava alle sue Figlie la via
che le avrebbe condotte verso mete
luminose e lontane: «Il vostro Isti-
tuto avrà un grande avvenire se vi
manterrete semplici, povere e mor-
tificate •. Ecco il nostro grande se-
greto.
DOJ\\ltANDA: Permetta che con uua
punta di irriverenza le domandi a
bruciapelo : c'è ancora posto per la
suora nella società di oggi? Per la
suora-i11seg11a11te?
RISPOSTA: I nostri quotidiani in-
contri con la gioventù di oggi in
Italia e all'estero ci danno un'ab-
bondante documentazione positiva
sulla utilità e per alcuni posti -
sulla necessità della presenza della
Suora nella società attuale.
di più moderno, di più vivo, di più
provvidenziale?... Benedico voi e le
vostre comunità scolastiche educa-
tive... ».
DOMANDA: Faccio appello ai suoi ri-
cordi, alle memorie. La Suora d'oggi
è diversa da com'era? Che cosa è
cambiato?
RISPOSTA: Non certamente la volontà
sincera di donarsi a Dio, l'impegno
di conoscerlo, di scoprirlo, specie
nello studio della Parola di Dio;
di incontrarlo negli altri. Sostanzial-
mente la disposizione del dono as-
soluto è la medt.-sima un tempo,
cd è naturale perché la risposta di
ogni anima alla chiamata di Dio,
almeno inizialmente, è sempre la
stessa.
Chiesa, in armonia con le finalità
del Santo Fondatore.
DOMANDA: È evidente clze In sua
Co11grega:::io11e rappresenta 11ella Chiesa
una realtà pienamente riuscita. Come
spiega questo successo? Qual è, ili
altre parole, il segreto clze la lllaz:::a-
rel/o e Don Bosco /ia11110 nascosto
nelle sue pirghe più profondr, quasi
come pietra di fondamento di tutto
l'edificio?
RISPOSTA: Mi pare che il segreto ddla
vitalità del nostro Istituto sia da ri-
c~carsi nel profondo • senso di Dio
dei nostri Santi Fondatori, anzi nel
loro «ascolto di Dio •· In sO!ltanza
la nostra Congregazione è « un'idea »
di Dio passata nella mente <li Don
Bosco e da lui realizzata con la
generosa. collaborazione di Madre
Mazzarello e delle nostre prime So-
relle <li Mornese. Un'idea di Dio
comunicata prodigiosamente a Don
Bosco per mezzo della l\\ladonna.
Don Bosco seppe ascoltare e ren-
dere operante la voce della \\'ergine
santa: «Tutto io bo fatto per mezzo
di l\\Iaria • andava ripetendo e, guar-
dando nel futuro, con parole profeti-
Oggi infatti, il mondo ha bisogno
di «vedere » attorno a sé appelli di
speranza e segni <li certezza dei beni
immortali. La vita religiosa è tale.
Ogni Suora ha un dono da <lare
agli altri. Anche se compie un lavoro
nascosto e silenzioso. Quando poi il
suo servizio educativo e la sua atti-
vità sociale sono compiuti con com-
petenza cd equilibrata apertura, la
società, anche quella di oggi, l'accetta.
Nel luglio scorso, una ventenne
d'oltre cortina, dopo un incontro di
5 giorni con le nostre suore assieme
a 58 sue compagne, esclamava: ,Ora
capisco molto bene che anche la
gioventù di oggi ha bisogno delle
Suore I ». Anche delle Suore inse-
gnanti, certo, ponendo che la scuola
sia funzionale.: in tutti i sensi e
quindi atta a sviluppare - in un
clima di libertà - la vera personalità
cristiana delle giovani.
Proprio parlando a un gruppo di
nostre Religiose insegnanti Paolo VI
diceva il 9 febbraio scorso: • Con-
tinuate, con la sicurezza cbe avete
scelto una via buona e tanto feconda
alla scuola di Don Bosco... che c'è
C'è piuttosto oggi, tra le Suore
che provengono da una società tanto
progredita, una certa insicurezza e
un maggiore senso critico. C'è un
modo diverso di interpretare la vita
religiosa e i suoi imperi. Tutto è
ripensato, re,•isionato e discusso, spes-
so però anche in senso costruttivo.
La Suora di o~gi ha molto vivo
il senso dcU'acnicizia, il bisogno di
lavorare in gruppo, di realizzare la
sua capacità di donazione specie ne1
settore sociale. 1n questo campo
però tende a realizzarsi prevalente-
mente nell'attività, sia pure aposto-
lica, col rischio di depauperare la
sua vita spirituale e quindi di non
scoprire e di non approfondire ab-
bastanza l'essenza e il valore della
consacrazione religiosa.
Però, grazie a Dio, molte raggiw1-
gono il desiderato equilibrio, che le
rende bene inserite in comunità,
capaci di iniziative personali, entu-
siaste, responsabili.
OO:\\I.A1'"DA: Quali trasformazioni han-
110 apportato alla sua Congregazio11e
il Concilio e il Post-Concili.o?
RISPOSTA: I nuovi orientamenti ec- 21

3.2 Page 22

▲back to top
clesiali sulla vita religiosa hanno
trovato fra noi piena rispondenza e
anche, per quanto ci è stato e ci
sarà possibile, concreta realizzazione.
La formazione biblico-teologica, la
pi.:tà liturgica, la vita comunitaria,
l'azione apostolica in genere e spe-
ciaJmentc la pastorale giovanile in
ogni suo settore hanno ricevuto
dalle norme della Chiesa forti im-
pulsi per un equilibrato aggiorna-
mento e quindi per un concreto,
graduale rinnovamento. Qui ci tro-
viamo pienamente nello spirito ec-
clesiale e in quello salesiano.
Ricordo le parole del 3° succes-
sore di Don Bosco, il Servo di Dio
Don Rinaldi: << Il giorno in cui la
nostra Congregazione non sentirà più
il bisogno di aggiornarsi, non sarà
più la Congregazione di Don Bosco ».
DOMANDA: L'attuale crisi della vita
religiosa si verifica anche nella Con-
gregazione delle Figlie di Maria Au-
siliatrice?
RISPOSTA: Più che di crisi della vita
religiosa nella Congregazione, prefe-
rirei parlare di crisi di alcune suore
e in particolari luoghi.
La crisi di fede, ormai general-
mente diffusa e resa più acuta qua
e là da forti pressioni da parte del-
l'ambiente esterno, può dirsi sostan-
zialmente la vera causa delle defe-
zioni. Da qui, l'affievolirsi dello spi-
rito cli pietà, lo sviluppo della di-
mensione orizzontale nella vita, l'in-
sofferenza dell'osservanza e della di-
sciplina comunitaria e infine lo sco-
raggiamento.
Però, tenuto conto delJ'estensione
del nostro Istituto e dell'alto numero
dei suoi membri, il fenomeno, grazie
a Dio, ha avuto ed ha dimensioni
modeste.
DOMANDA: Le ragazze d'oggi sono la
ragion d'essere delle Figlie di Maria
Ausiliatrice e del loro apostolato.
Sinceramente, lei- che ne pensa? Come
le giudica? Clze cosa rimprovera in
loro, in che cosa le ammira?
RISPOSTA: Sono in perenne situazione
di contrasto; le sentiamo precoci e
immature; insicure e contestatarie;
incapaci di ascolto e esigenti di com-
prensione; bramose dell'essenziale,
dell'autentico, dell'originale e paghe
poi di essere solo diverse; accanite
contro le strutture e pronte a crear-
sene delle nuove... Bisogna preparare
bene le educatrici di questa genera-
zione!
la compenso però troviamo in
loro tanto entusiasmo per i grandi
ideali, una forte esigenza di giustizia,
un vivo bisogno di contatti sociali,
il desiderio di approfondire i grandi
22 problemi... e un forte bisogno di Dio
anche se talora è inconfessato. Mi
piace guardarle come stupende forze
libere da orientare e guidare, non
mai da comprimere.
Un'educazione veramente libera-
trice, ecco ciò che urge per le nostre
giovani. Don Bosco ce lo ha inse-
gnato cento anni fa.
DOMANDA: Le ragazze d'oggi ri-sul-
ta110 più difficili da educare, da quelle
di un tempo?
RISPOSTA: li nostro Capitolo Gene-
rale Speciale ha studiato recente-
mente le giovani di oggi e la loro
inquietudine problematica. Esse sono
state viste, sentite ne!Ja tensione
apostolica della nostra vocazione sa-
lesiana e si è constatato che la loro
educazione è certamente oggi più
difficile di ieri.
Cc lo ha ripetuto ancora il Papa
nel luglio scorso: << ••• stare in mezzo
aJla gioventù e in mezzo alle opere,
oggi è meno facile•>.
Penso però che le parole dette da
Don Bosco 100 anni fa offrano una
soluzione, oggi ancora valida, a que-
sto difficile problema: <t Amate ciò
che i giovani amano, e loro accette-
ranno le vostre proposte educative•>.
DOMANDA: A questa gioventù quale
messaggio cerca di consegnare la sua
congrega:::ione? Di quali colori cerca
di tingere la speranza delle giovani
d'oggi, la loro fiducia nella vita?
RISPOSTA: Solo il colore dclJ'ottimi-
smo e della gioia, frutto della vita
di Grazia, può dare risultati positivi
oggi all'incontro col mondo giovanile.
La nostra azione educativa, che
vuole far scoprire gli autentici valori
terrestri e le certezze sop.rannaturali,
sarà rifiutata se certezze e valori si
presenteranno come austere verità da
ripensare e non come gioiose realtà
da vivere. Per questo nelle nostre co-
munità noi cerchiamo di creare quel
clima di gioia diHusa che è autentico
segno della speranza cristiana.
Alla gioventù la nostra congrega-
zione offre un messaggio giovane:
<< La gioia che voi cercate, scopritela
in Dio e, con Lui, in voì e attorno
a voi. Portate nelle famiglie e nella
società la realtà delle vostre con-
quiste, lavorate per fare penetrare
nel mondo la letizia perenne del
Vangelo I ►>.
DOMANDA: Come vede il posto della
donna nella soci.età attuale, e come
pensa che le Figlie di Maria Ausilia-
trice possano influire per la realizza-
zione del <• destino della donna >> nella
società e nella Chiesa ?
RISPOSTA: Certamente oggi la donna
è, o tende a diventare qualcuno in
ogni settore sociale. Il processo della
sua liberazione è in atto e irreversi-
bile. Purché essa risulti poi interior-
mente libera e non solo «liberata>►
dai vincoli di un sistema.
Penso che tutti debbano collabo-
rare per la reaJizzazione di questo
tipo di donna. Tutti e specialmente
chi, come noi, lavora in mezzo alla
gioventù seguendola fin dalla prima
infanzia. Infatti se questa educa-
zione verrà data con intelligenza e
competenza, in un clima di spon-
tanea apertura e di libertà, favorirà
certamente la formazione integrale
della giovane.
Ed è proprio questo l'impegno
vocazionaJe di ogni Figlia di Maria
Ausiliatrice: preparare per la fami-
glia, la società e la Chiesa, donne
ricche di valori umani e sopranna-
turali, socialmente valide, testimoni
convinte di un cristianesimo vivo.
DOMANDA: li problema della povertà
e della giustizia sociale è oggi all'at-
tenzione degli uomini più sensibili, e
il Papa stesso vi fa costante riferi-
mento. Qual è la risposta delle Figlie
di Maria Ausiliatrice a questo ap-
pello, che proviene sia dai paesi poveri
che dalla Chiesa?
RJSPOSTA: Sì, i problemi del sotto-
sviluppo sono complessi e gravissimi.
Nei miei recenti viaggi in Estremo
Oriente e nell'America Latina ho
avuto modo di vederli nella loro an-
gosciosa realtà. Don Bosco sacrificò
tutta la sua vita per la formazione
sociale e cristiana e per la prepara-
zione professionale di tanti giovani
poveri e abbandonati.
E noi sue Figlie cerchiamo di cam-
minare nella luce dt:I suo carisma.
È un numero immenso di fanciulle
e di giovani che - sotto tutti i
cieli - trovano nelle nostre case
assistenza materiale e educazione
cristiana. Ovunque, e specialmente in
zone particolarmente depresse, vo-
gliamo dare la precedenza ad opere
che offrano un servizio funzionale
per la promozione umana e cristiana
della gioventù e, ove è necessario,
anche degli adulti.
Allieve ed Exallieve, affascinate da
un ideale di fraternità cristiana, si
uniscono alle Suore e con loro af-
frontano veri sacrifici, rinunziando
spesso anche a vacanze riposanti, per
portare, dove più urge il bisogno,
la testimonianza cli una giovinezza
che sa sostare davanti alla povertà
e al dolore e concretamente aiutare.
Nelle terre di missione poi, le Fi-
glie di Maria Ausiliatrice sono pre-
senti da circa un secolo. Nel 1877
- appena 5 anni dopo la fonda-
zione dell'Istituto - partiva il primo
gruppo di giovani suore. Da allora

3.3 Page 23

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HANNO CONCLUSO IL CENTENARIO
Questi primi cento anni di vita del-
1'Istituto sollecitavano un «grazie fi.
nale » che sintetizzasse la gioia dell'aver
tutto ricevuto.
La funzione religìosa
La concelebrazione eucaristica sI
iniziò alle sedici nella chiesa del Pon-
tificio Ateneo Salesiano. Presiedeva
S. Em. Rev.ma il Card. Gabriel Maria
Garrone. Gli facevano corona il Rettor
Maggiore dei Salesiani, alcuni Supe-
riori del Consiglio. Direttori. Confra-
telli.
Al Vangelo 11 Cardinale rivolse aI
presenti parole calde e profonde.
«Slamo qui - disse - per elevare
al Signore la nostra ultima 'azione di
grazi&' a conclusione dell'Anno cen-
tenario.
Ringraziare il Signore come si con-
viene è solo di Cristo ohe un giorno
rase grazie prendendo nelle sue mani
11 pane ed offrendo a Dio non solo cl
più perfetto. ma runico ringraziamento
a Lui gradito per la salvezza dell'uma-
n11à. Ora Egli qui in mezzo a nor sta
per dire al Padre 11 nostro grazie...
Non si poteva trovare giorno più degno
e più propizio che la festa dell'Imma-
colata... Maria cl un esempio lu-
minoso di fede. Molte anime si sono
a Ler ispirate...
Ripetiamo insieme a Cristo il grazre
e chiediamo alla Vergine di esse1e
oggi, domani, sempre. la nostra luce I».
La processione offertoriale fu ricca
e significativa. Tra I doni simbolici più
toccanti ricordiamo:
la ostie provenienti dalle Case della
Chiesa del silenzio;
11 vino del Colle dei Becchr, ove
nacque Don Bosco;
l'acqua attinta al pozzo d1 Mornese.
testimone della quo11d1ana fatica di
Madre Mauarello.
La cerimonia civile
Si svolse. subrto dopo, la commemo-
razione ufficiale.
Il Rettor Magnifico don Javierre
presentò l'oratore, S. E. il Ministro
della Pubblica Istruzione on. Scalfare.
Prese l'avvio dalle parole di Don Bo-
sco alle prime Figlie dì Maria Ausilia•
trice· t Voi ora appartenete ad una
Famiglia religiosa che è tutta della
Madonna: siete poche, sprovviste d1
mezzi e non sostenute dall'approva-
zione umana Niente vi turbi; io vi
posso assicurare che l'lstltuto avrà un
grande avvenire se vI manterrete sem-
plici, povere, mortificate».
«Ecco - disse - l'impostazione che
Don Bosco diede all'Istituto: ogni
anima che si consacra, risponde alla
chiamata d1 Oro ed in questo amore,
forse è meglio dire per questo amore.
si dona alla gioventù. Non seopo pri-
mario, i giovani e le giovani. No, no I
Non avete sentito che la gioventù
aveva bisogno d1 voi ed avete rinun-
ciato ad un amore umano per formarvi
una famiglia diversa più ampia, più
drHicile. più sofferta. No I Avete rinun-
ciato a questa umana ricchezza solo
per rispondere a quella primissima chia•
mata di Dio... In quella luce i giovani,
in quella luce i malati, in quella luce
1 lebbrosi. in quella luce le scuole, in
quella luce qualunque altra realtà>>
Ebbe parole dì elogio per l'opera
svolta fra la gioventù ed esortò ad
educare le nuove generazioni alle
grandi virtù umane e cristiane: 11 sa-
crificio, la generosità, la purezza.
la serie di queste spedizioni è conu-
miata quasi senza interruzione.
Già le zone di vera missione
hanno di molto superato il centinaio
coi loro centri di assistenza sociale,
ospedali, ambulatori, dispensari, ecc.
L'evangelizzazione tra gli indigeni
dell'America Lalina si estende
dove ancora esiste il bisogno. Il la-
voro nei lebbrosari e tra i figli dei
lebbrosi è da molti anni una realtà.
All'appello della povertà e della
sofferenza di ogni genere, all'invito
pressante della Chiesa, la Figlia di
i\\laria Ausiliatrice risponde con la
sua presenza, col suo umile e sc:rcno
servizio.
00:'>1.-\\."-"I>A: Quali sono i traguardi per
l'nVlle11ire della sua Congrega::io11e?
RISPOSTA: Come ho già detto, il no-
stro Istituto ha una specifica attività
nel campo educativo, catechistico e
missionario.
A realizzarla occorrono suore reli-
giosamente mature e professional-
mente preparate. La formazione <lei
personale t: quindi un traguardo ur-
gente e necessario da raggiungere...
Già si è fatto tanto con l'istitu-
zione di Juniornll per categoria nei
vnri Centri lspeuoriali, con la rea-
lizzazione del 2•1 noviziato per le
suore temporanee e, nel settore più
specificamente culturale, con la crea-
zione, a Torino, delh1 Pontificia Fa-
coltà d1 scienze dell'educazione.
.:\\folto resta ancora da fare: dare
un incremento maggiore ai Corsi,
già numerosi, di aggiornamento ad
ogni livello, specie nel settore della
spiritualità religiosa-salesiana; curare
una preparazione professionalt: pi1'1
completa per le .l\\liss_ionaric: ridi-
mensionare le attività apostoliche,
dando la prcf1m·nza alle opere :,ocio-
caricativc; rcndcrl' più funzionale la
pastoralt: gio"anile non solo in senso
nttivo, ma anche e specialmente for-
mativo... restando sempre attente e
disponibili, secondo lo spirito della
nostra vocazione ;;alcsiana, alle esi-
genze e a1 bisogni attuali della società.
DO:'>tAXDA: Che cosa prcn:a 11el tr<lf.•arsi
a capo di una Ca11gregazio11e fondata
dn due Santi, che con le sue t8.ooo
suore si rolloca fra le forze più vive
della Chiesa?
RISPOSTA: La sua domanda mi fa
ricordare le parole di Paolo Vl
pronunziate il 21 iiugno u. s., an-
niversario del suo inizio cli Pontifi-
cato: «Sono a questo posto non
perché in ne abbia l'attitudine o
perché io salvi e difenda la Chiesa
nelle sue presenti difficoltà, ma per-
ché io soffra qualche cosa per Gesù
Cristo e perché sia chiaro che Egli
e non altri la guida e la salva •· 23

3.4 Page 24

▲back to top
Strane ferie
a Palma di Montechiaro
25 luglio 1972. A Palma di
Montechiaro, nella Sicilia Occi-
dentale, si danno convegno 14 gio-
vanotti, 9 ragazze, 2 preti. Co-
minciano le loro ferie. Non su una
spiaggia a crogiuolarsi al sole. Non
su pigre sedie a sdraio all'ombra
delle mimose. Si rimboccano le
maniche, e dicono al povero paese
siciliano che per il terzo anno
consecutivo sono a disposizione
per 35 giorni al servizio delle fa-
miglie e dei ragazzi.
Sono Giovani Cooperatori Sa-
lesiani. Come ritmo di lavoro
hanno adottato il sistema di Don
Bosco: (< Noi ci riposeremo in Pa-
radiso >). Come stipendio hanno fi-
ducia nella sua promessa: «Un
pezzo di Paradiso aggiusta tutto 11.
PRIMA INIZIATIVA: LA COLONIA.
Preferenza per i bambini privi di
affetto e abbandonati a se stessi.
Una faticosa iscrizione passando
di casa in casa, esaminando con
carità e benevolenza ogni domanda.
65 iscrizioni.
Il pullman che li porta ogni
giorno al mare ha solo 60 posti,
e ci devono stare anche le 5 as-
sistenti.
Ogni giorno, sulla sabbia e tra
le onde, non c'è un attimo di tre-
gua: giochi, bagno, ginnastica,
merendina, canti prima selvaggi
poi sempre più educati dietro la
chitarra che trascina.
E le cinque assistenti che, tra
un gioco e l'altro, cercano un rap-
porto di amicizia, parlano delle
cose grandi: della vita, della pre-
ghiera, di Dio.
Al ritorno, quando le mamme
si affollano al pullman per ritirare
I
24

3.5 Page 25

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i loro bambini, si cerca di aggan-
ciare i genitori, di interessarli ai
problemi educativi e cristiani, di
iniziare conversazioni che dovreb-
bero continuare nelle case. È il
momento più difficile. Molte fa-
miglie apprezzano la colonia, ma
non vogliono spingersi più in là.
Hanno altro da pensare.
SECONDA INIZIATIVA: IUPET1Z1O-
Nl SCOLASTICHE. Vengono impar-
tite nel quartiere più bisognoso
dal punto di vista culturale, al-
l'interno delle case per avvicinare
le famiglie.
Le richieste sono moltissime. Si
deve purtroppo scegliere. Soltanto
i più bisognosi: 26 ragazzini tra
i 6 e gli II anni, più tre donne,
quasi analfabete, che tornano :i
maneggiare la penna per scrivere
ai figli emigrati.
Si dedicano alle ripetizioni un
giovanotto e due ragazze. Iniziano
alle 8, finiscono alle 13.
TERZA INIZIATIVA: PREPARAZIONE
ALLA PRIMA COMUNIONE. Si iscri-
vono 25 bambini. A loro sono de-
dicate due ore ogni sera. Dopo
qualche giorno, questa si rivela
l'iniziativa più faticosa. La men-
talità del paese fa consistere la
prima Comunione con l'esterio-
rità della festa: il vestitino nuovo,
la foto-ricordo, il grosso regalo.
È molto faticoso smontare questa
facciata esterna e far capire i va-
lori profondi del primo incontro
con Gesù-Eucarestia, l'impegno
cristiano che viene assunto da
parte del ragazzetto e da parte
della sua famiglia.
Ma al termine della fatica c'è
il successo: I 6 ragazzi fanno la
prima Comunione assistiti da papà,
mamme e Giovani Cooperatori.
QUARTA INIZIATIVA: ANIMAZIONE
SOCIALE. Si dà una grossa fetta di
lavoro per finire la Sala della Co-
munità iniziata negli anni prece-
denti. I ragazzi sono divisi in due
gruppi, e si alternano in turni di
cinque-sei ore di lavoro. Il con-
tatto prolungato gomito a gomito
con i muratori del luogo, rompe
molti diaframmi tra i ragazzi e la
gente del luogo. Si parla dei la-
voratori, dei loro diritti, del loro
impegno politico. Si parla di que-
sta Sala della Comunità, che dovrà
diventare il centro per la eleva-
zione sociale e cristiana degli abi-
tanti della zona.
L'animazione sociale continua
nei momenti liberi, tra un lavoro
e l'altro. I ragazzi, divisi in grup-
petti, vanno a visitare le famiglie.
Cadono diffidenze, ostilità, pre-
giudizi. I giovanotti del luogo ve-
dono che si può essere amici tra
ragazzi e ragazze, in un clima di
serenità e di serietà, e non sol-
tanto per scivolare nel banale e
nell'equivoco.
U na stanz.etta per ricaricarsi
Cosi dal 27 luglio al 3I agosto.
Molte volte ci si è trovati al
limite delle forze, all'esaurimento
dell'entusiasmo. Ma si è sempre
ritrovato la forza nel contatto vivo
e quotidiano con il Signore Gesù.
Una delle stanzette in cui i ra-
gazzi abitavano fu adibita fin dal-
l'inizio a cappellina. L'idea si ri-
velò felice. Gesù-Eucarestia, con-
servato sull'altare di blocchi di
tufo, accoglieva tutti in un clima
di silenzio e di raccoglimento.
Momenti forti per ricaricare le
dinamo delle energie furono i ri-
tiri, le revisioni di vita, le cele-
brazioni penitenziali, e soprattutto
la celebrazione Eucaristica.
Gli appunti scritti dai 25 par-
tecipanti al lavoro di Palma di
Montechiaro mettono in evidenza
tante cose che bisogna migliorare,
perfezionare. Ma sottolineano la
fondamentale positività dell'espe-
rienza.
L'ha sottolineata anche il pianto
sconsolato di Angelo e di Toti,
due bambini che videro la par-
tenza dei giovani come la fine di
una cosa bella e cara.
Al termine della relazione, for-
mata da Gaetano, Antonio, Da-
niela e Lillo, ci sono due decisioni
importanti: ritornate a Palma, con
più forze, per non ridurre il
campo di lavoro ad un'evasione;
continuare nella vita di ogni giorno
il clima di impegno inaugurato a
Palma.
Un ciclostilato per 6 campi
Palma di Montechiaro non è
un'iniziativa isolata. Nell'estate
1972 sono stati sei i «Campi di
lavoro e di animazione i> organiz-
zati dai Giovani Cooperatori: a
Sadali (Nuoro), a Cerro al Vol-
turno (Isernia - Molise), a Gres-
soney-Wald (Aosta), a Biancavilla
(Catania), a Corigliano d'Otranto
(Lecce) e a Palma di Montechiaro
(Agrigento).
Le relazioni complete sono state
pubblicate in un grosso ciclosti-
lato a cura dei Giovani Coopera-
tori: non una pubblicazione per
auto-compiacersi, ma una maniera
di mettere a disposizione la pro-
pria esperienza perché altri si im-
pegnino in simili attività estive.
Nelle brevi pagine del Bollet-
tino non possiamo riportare ogni
diversa
25

3.6 Page 26

▲back to top
COSTRUTTORI DI UN
MONDO NUOVO
L'ultimo libro di Teresio Bosco con-
tiene il rapido prof ilo di t redici Sa-
lesiani, quasi tutti viventi. Figure
note come padre Mantovani e
don Cocco, don Acquistapace e
don Franco Delpiano, ma anche
eroi sconosciuti, scovati (magari di
persona) in qualche punto caldo
del mondo salesiano.
L'autore ha impostato il libro con
criteri modernamente educativi. An-
zitutto ha fatto ricorso senza sottìn-
tesì alla pedagogia dell'eroe. «Ogni
adolescente - sono le prime parole
della presentazione - quando esce
dal mondo dei sogni e si avvia de-
ciso verso la vita. cerca un modello
da imitare». Un'inchiesta scientifica
ha proposto a migliaia di giovani
la domanda: « A chi vorresti somi-
g liare nella vita?>>. Le risposte sono
allarmanti. I giovani stanno sce -
gliendo modelli negativi.
Le conseguenze di queste scelte
negative sono note a tutti: giovani
che «crescono fasciati di egoismo,
preoccupati soltanto della cilindrata
della loro auto e di collezionare
squallide avventure».
I modelli che questo libro presenta
sono invece carichi di quella obla-
tività nei confronti degli altri che è
segno sicuro di maturità spirituale.
« Perché ognuno di noi diventa
persona nel momento in cui scopre
gli altri. si apre, si dona. comincia
a provare il gusto di spendersi, di
rendere migliore il piccolo angolo in
cui vive».
1 tredici modelli sono « uomini veri,
gente che ha gettato dalla finestra
l"egoismo. E sono Salesiani. che
hanno realiuato a volte in modo
vertiginoso la loro vocazione. Così
li libro porta avanti un secondo in-
tento educativo: la pedagogia della
vocazione. sacerdotale, religiosa e
salesiana. Non astrattezze, non ra -
gionamenti. ma l'esempio caldo, gron-
dante di vita.
Messo in mano ai giovani (e il
pensiero va alle centinaia di migliaia
di giovani che roteano attorno al-
l'opera di Don Bosco), il libro di-
venta strumento: uno strumento con
cui i ragazzi più generosi scopriranno
la propria chiamata.
Uno strumento che gli educatori,
giustamente preoccupati della crisi
della vita religiosa, potranno utiliuare
per uno schietto contatto vocazionale.
DON GIOVANNI RAINERI
T. Bosco, COSTRUTTORI DI
UN MONDO NUOVO, LDC, pa-
26 gine 144, L. 850.
A Sedali (Nuoro) si è lavorato per regalare ai ragani un campetto da calcio che da tanto
tempo desideravano.
relazione, ma desideriamo segna-
lare alcuni brani delle migliori,
perché questa ci pare un'autentica
attività salesiana.
Un campetto da calcio a Sadali
A Sadali, in provincia di Nuoro,
dal 24 luglio al 22 agosto ha avuto
vita il Campo di lavoro e di
animazione cristiana. Partecipanti:
18 giovani e 2 sacerdoti.
Il lavoro manuale, che ha im-
pegnato a fondo i campisti, si è
concentrato nella sistemazione di
un'area comunale adiacente alla
scuola elementare, per regalare ai
ragazzi di Sadali un campetto da
calcio che da tanto tempo desi-
deravano.
La colonia diurna per _60 ~am-
bini Ila impegnato ogni giorno
4 assistenti e una direttrice. Sono
rimaste nella mente di tutti le
tre serate ricreative, allargate al-
1' intervento di tutto i_l paese. I
piccoli della colonia sono stati
protagonisti in quelle sere di gare
e di mini-esibizioni canore.
Una caratteristica di questo cam-
po sono state le conversazioni se-
rali: 5 alla settimana, che hanno
visto una notevole partecipazione
della gente. Ogni settimana due
conversazioni erano riservate ai
giovani, due agli adolescenti, una
agli adulti.
Il Campo ha organizzato ogni
giorno La S. Messa, a cui la gente
interveniva numerosa.
A mietere, sulla montagna
di Foci
Cerro al Volturno, nel Molise,
è un grosso paese che ha tredici
frazioni. 27 giovani Cooperatori si
sono inseriti nella vita di 5 di
esse, con un'attività varia che an-
dava dalla colonia diurna per 60
bambini agli incontri serali con
varie categorie di persone.
Originale l'esperienza che quat-
tro ragazzi e un prete hanno con-
dotto nella frazione di Foci. Ecco
La relazione:
<< Foci è la frazione più alta di
Cerro. La popolazione adulta com-
prende molti analfabeti. La gente
conduce una vita a sé, aliena da
ogni rapporto con quella delle
altre frazioni.
Unica occupazione e preoccu-
pazione: il lavoro nei campi. Un
lavoro duro e scomodo. Verso le
7 del mattino tutti (ragazzi, ra-
gazze, uomini, donne) partono per
i campi affrontando un cammino
di circa tre ore per una mulat-
tiera piena di pericoli, e ritornano
verso le 22-23.
L'igiene è molto approssimativa.
Gli adulti dedicano pochissimo
tempo all'educazione dei figli, i
quali vivono in totale libertà.
Molto sviluppata è l'emigra-
zione degli uomini verso Roma e
la Germania. Negli anziani si nota
una rassegnazione fatalistica. Nella
frazione non e'è farmacia, né me-
dico, né uffici di assistenza so-

3.7 Page 27

▲back to top
c1ale. Manca anche il sacerdote.
La fede che sopravvive è intrisa
di superstizione.
Prendendo in esame questa si-
tuazione, abbiamo deciso di svol-
gere un servizio sociale in maniera
diversa da come facevamo in pas-
sato. Essendo tempo di mietitura,
siamo andati su con loro in mon-
tagna, lavorando gomito a go-
mito, riposandoci quando essi si
concedevano una pau!-a, e divi-
dendo il pane con loro.
Durante il lavoro, nelle brevi
pause, cercavamo di suscitare la
discussione, di ordine sociale e
scopertamente religioso. Come il
Signore cercavamo gli spunti nella
realtà che ci stava intorno: le
spighe, il raccolto, le erbe cattive.
Difficoltà' ne abbiamo incon-
trate tante, dalla fatica a cui non
eravamo abituati all'atteggiamento
di qualche persona che usò del
nostro servizio per sfruttarci ma-
terialmente. Ma ci siamo accorti
che il nostro lavoro non è stato
inutile.
Nelle riunioni serali, che si te-
nevano al ritorno anche quando
eravamo stanchi morti, si è por-
tato avanti il discorso sulla Fede,
attraverso filmine quando erava-
mo troppo affaticati per discutere.
Ripensiamo a quella gente, in
particolare a quei giovani, che
pure stanchi erano H ad ascoltarci,
desiderosi di conoscere più a fondo
Cristo e il suo messaggio. Anche se
ci costa, ritorneremo
La famiglia del m edico
a S. Vittorino
Nella frazione di S. Vittorino,
insieme ai Giovani Cooperatori,
partecipò al campo un medico,
Ermenegildo. Era accompagnato
dalla giovane moglie che si por-
tava dietro due bambini: due anni
e quattro anni e mezzo. Ecco un
brano della sua relazione:
(1 Abbiamo fatto un po' di tutto:
aiuto a spegnere un incendio, la-
voro di trebbiatura, portare nelle
case sacchi di grano. Mia moglie
aiutava le donne nei lavori di casa
(riassettare, lavare), e io atten-
devo al lavoro professionale me-
dico.
Il lavoro ci dava modo di avere
la fiducia e la confidenza degli abi-
tanti, di conoscerli e di farci cono-
scere, per iniziare e sviluppare un
discorso di informazione e chiari-
ficazione sulla religione. Un di-
scorso spicciolo, personale, di grup-
po, sui più disparati argomenti re-
ligiosi, per poi concretizzarlo in
un più ampio discorso negli in-
contri serali.
Ne abbiamo fatti quattro:
uno sui rapporti tra giovani e
anziani;
un secondo su Cristo, l'Eucare-
stia e il comandamento "ama il
prossimo tuo come te stesso";
un terzo sulla bestemmia e sulla
superstizione;
l'ultimo sulla figura del sacer-
dote e la necessità della collabo-
razione laica.
Questi incontri hanno sempre
avuto una partecipazione notevole,
vorrei dire entusiasta da parte
della popolazione: presenza nu-
merosa, partecipazione attiva al
dialogo, desiderio di capire. .
Un gruppo di ragazze e di mam-
me della frazione, come frutto di
quelle conversazioni, si è impe-
gnato a fare il catechismo ai bam-
bini, poiché manca un sacerdote.
Dovrei ricordare mille altre cose:
confidenze, esperienze, decisioni.
on lo faccio per rispettare i
sentimenti più segreti e intimi)►•
Tirando le somme
di un'estate diversa
Al termine dell'esperienza esti-
va, il delegato dei Giovani Coope-
ratori Salesiani ha così riassunto
le indicazioni emerse:
<1 I campi di lavoro e di anima-
zione cristiana dei GG. CC. sono
validi:
nella misura in cui contribui-
scono alla maturaziont, umana,
cristiana e salesiana;
se in essi il "servizio ai giovani"
è prevalente sulle altre attività:
se non nascondono il loro vero
volto: giovani cristiani per un'ani-
mazione cristiana;
se offrono a.i partecipanti l'oc-
casione per una forte esperien.ia
di vi.ta salesiana;
se non sono parentesi o momenti
isolati nella vita.
L'impegno a proseguire dopo il
campo, rende testimonianza alla
validità del campo stesso •·
PUBBLICAZIONI
SALESIANE
NOVITÀ L.D.C.
F. Roqueplo, Esperienza del mon-
do : esperienza di Dio 7 Pag. 294.
L. 2200
Lo studio offre una sintesi, ottima-
mente riuscita, di una teologia delle
realtà terrestri. Tutta la visione teo-
logica tradizionale è ripensata in
questa chiave, per ricuperare un si-
gnificato pieno del valori perenni, in
un contesto di secolarizzazione. Il
sottotitolo con cui il volume si pre-
senta, per una teologia dell'impegno
politico, lo situa nel quadro d'un.3
urgenza che tutti avvertiamo.
Card. G M. Garrone, La Chiesa.
Pag. 224. L. 1500
Partendo da un presente pieno di
nubi, l'autore fa un bilancio preciso
e rassicurante della Chiesa d'oggi, In
cui si moltiplicano i segni di un rin-
novamento profondo e di una vita-
lità penetr;inte.
Card. L J. Suenens. Riscoprire
Gesù Crist o. Pag. 32. L 200
Mons. E. Bìancheri, La Chiesa di
fronte al mondo del la voro.
Pag. 32. L. 200
Due nuovi volumetti della collana
« Maestri della Fede».
T. Bosco, Ra oul Follereau. Pag. 32.
L. 120
Questo decimo volumetto della col-
lana e Campioni» presenta l'uomo
che ha ingaggiato una battaglia cri-
stiana contro la lebbra nel mondo.
T. Bosco, Don Orione. Pag. 40.
L 150
la collana «Eroi» dopo aver pre-
sentato Don Bosco, Domenico Sa-
vio, Maria Mazzarello, Don Rua,
presenta la splendida figura del fon•
datore dei «Piccoli Cottolengo ».
Don Bosco piccolo saltimbanco
Don Bosco amico dei giovani
Don Bosco un apostolo moderno
Tre albi illustrati a quattro colori sulla
vita di Don Bosco. Ognuno 68 pa•
gine. L. 200
ALTRE NOVITA
M. Molineris, Carismi di Don Bo•
sco. Istituto Colle D. Bosco (Asti).
Pag. 480. L 1500
È un secondo volume di «fioretti»,
sulla base dei doni soprannaturali di
Don Bosco. Diviso in «visioni•· «pre-
visioni•• introspezioni B. Fa parte
della collana « La vita di Don Bosco
in fatti •·
Sr. Lina Dalcerri. Un'anima di Spi-
rito Santo. F.M.A Roma.. Pag. 144.
È un profilo spirituale di S. Maria
D. Mazzarello: il filo conduttore della
sua vita, la povertà la semplioìtà
evangelica, la santità nel quotidiano
e altri 6 aspem caratteristici.
27

3.8 Page 28

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ORIZZONTI NUOVI
PER I COOPERATORI
Durante Il suo ultimo viaggio In Spa-
gna, il Rettor Maggiore ha tenuto a
Vigo una conferenza ai rappresentanti
della Famiglia Salesiana. Ne stralciamo
un brano che ci pare particolarmente
interessante:
« I Cooperatori. Questo ten:o ramo
della grande Famiglia Salesiana è stret-
tamente legato a noi. Sono nostri fra-
telli. Procediamo tutti da un unico tronco,
da un"unica radice, da un unico Padre.
La loro missione è come la nostra.
Statuto alla mano, essa è giovanile e
popolare.
In Australia si è arrivati a questo: ab-
biamo collegi totalmente in mano ai
Cooparatorl salesiani. Cooperatori co-
scienti e preparati, spiritualmente, peda-
goglcamante. didatticamente. E anche
amministrativamente. Hanno collegi di
500, 800 alunni, che ricevono forma-
zione completa: riunioni mensili. esercizi
sp1r11uah, incontri pedagogici, dldaui-
ci. ecc. Perché, mi domando. dovreb-
bero assere I Salesiani a occuparsi del-
l'amministrazione? I Salesiani Il s'inca-
ricano della parte spirituale, uno o due
salesiani in tutto. e ogni cosa va avanti
molto bene.
In alcune ispeuorie esistono oratori
dove. insieme con uno o due Salesiani,
ci sono otto, dieci, quindici Cooperatori
e Cooperatrici che vi prendono parte
attiva. Danno il loro tempo: quattro.
due, un'ora. secondo i casi.
Conosco un oratorio in cui quattro
Cooperatori sono Incaricati dello sport.
Oltre al lavoro lungo la settimana, alla
domenica accompagnano i ragazza alla
partite disputate fuori casa. Ne ho visti
alcuni a Messa alle sei del mattino, con
i loro ragani. che dovevano accompa-
gnare in trasferta in una città vicina.
E li ho visti anche in fila con loro, per
confessarsi, dando così un magnifico
esempio.
A Colonia, in Germania, abbiamo un
oratorio "sui generis". Si chiama "Porte
Aperte", perché tutti vi possono entrare.
~ situato nella periferia. dove prima la
polizia aveva molto lavoro e ora - il
fatto è sintomatico - ha ben poco
da fare.
Questo oratorio è aperto 14, 16 ore
al giorno. I Salesiani sono pochi, ma
quaranta laici d'ambo i sessi si alternano,
durante la giornata, per le molte attività
che si svolgono. Sono i Cooperatori
che portano avanti la maggioranza del
lavoro. E tengono anche le loro riunioni
di preparazione, giornate di ritiro, eser-
cizi spirituali. per potersi mantenere
sempre "caricatt".
Le possibilità, come vedete, sono Im-
mense».
MESSA 01 DIAMANTE
PER DUE ILLUSTRI SALESIANI
Don Cesara Alblsettl ha celebrato
60 anni di Mess.a nella missione di Me-
ruri (Mato Grosso). Quasi trecento Bo-
roro hanno circondato l"altare del « pa-
dre•• che ha speso la vìta per far loro
conoscere Gesù Cristo, e ora ne perpetua
la memoria con una monumentale Enci-
clopedia.
A notte fatta hanno posto sul capo del
missionario l'ampio e vistoso parico,
simbolo della massima autorità, e attorno
a lui hanno eseguito una serie di danze
e di canti tipici dei Bororo, nei loro ricchi
ornamenti di penne d1 araras e di pap-
pagalli. 1 Ammirazione, riconoscenza e
affetto per te - hanno augurato i Bo-
roro - . In te sia la grandezza dei nostri
eroi I».
Don Giuseppe Boursotty ha celebrato
la Messa di diamante nella chiesa della
Gratitud Nacional a Santiago.
È nato in Francia 90 anni fa. I suoi
genitori avevano conosciuto Don Bosco,
lo avevano anche sentito predicare. Giu-
seppino attinse dalle loro labbra l'entu-
siasmo per la vita salesiana.
Passò gli anni della sua formazione
in Italia. A Ivrea ricevette fa veste dalle
mani di Don Rua, e davanti a lui emise
la professione religiosa. Invitato da don
Costamagna, allora ispettore, nel 1904
parti per il Cile.
Vi è rimasto per sempre, e conserva a
90 anni l'entusiasmo giovanile della
prima generazione di missionari che ha
dato origine all'opera salesiana in Cile.
Il Governo lo ha onorato con la me-
daglia e il titolo di Cavaliere.
28

3.9 Page 29

▲back to top
aCoosigllo ts.oenonale
Cooperatori
f lrrnata casì :
r.,
.~., lfflaD1 #7111111
......... 8
.... IIPflltll
DIIIMlo
.a-._..a._......,......_...,,_
.... llmltWAU
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SALESIANI
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IIIU8IOII
.CO,NCOVOMTUI NII VITA
ESTERNI
COOfaATOII
IINZA VO'n I
ffll • C011M1
CINQUE LINEE
PER UN RINNOVAMENTO
A Barcellona, presso il Tempio del
Sacro Cuore «Tibidabo » si sono riu-
niti 230 Cooperatori e Cooperatrici della
Catalogna, tra cui tredici Consigli locali.
Ha presenziato all'incontro Don Gio-
vanni Aaineri, del Consiglio Superiore.
Scopo dell'incontro era stabilire una
linea comune di pastorale per i Coope-
ratori della regione.
Nelle due relazioni di quelle giornate,
e nelle conclusioni dei «gruppi di stu-
dio» - ha detto Don Aaineri - sono
emerse cinque linee da seguire per un
orientamento. Le indichiamo.
1. Un'opera di mentalizzazlone: nei
confronti dei Salesiani e delle Suore sa-
lesiane, perché assimilino quanto il Ca-
pitolo Generale Speciale ha detto alla
Famiglia salesiana e sulle loro respon -
sabilità verso i Cooperatori (animazione,
unione, formazione, integrazione nelle
comunità, collaborazione...); e nei con-
fronti dei Cooperatori per «ricuperarli»,
possibilmente tutti, a quanto il CGS
dice di essi.
2. Pastorale vocazionale. Il CGS dice
che quella dei Cooperatori è una voca-
zione: la vocazione laicale salesiana.
Ora le vocazioni devono essere:
ricercate tra i giovani delle nostre
ultime classi, degli oratorì, delle parroc-
chie, tra gli exallievi, i collaboratori...
formate: ci vuole un periodo di for-
mazione teorica e pratica, prima del-
l'ìmpegno;
impegnate con la scelta di un lavoro
concreto.
3. Organizzazione. Si dovrebbe pro-
cedere in queste direzioni:
formare gruppi di Giovani Cooperatori
(rispondono a esigenze psicologiche, for-
mative e apostoliche). Per questa attività
occorrono: assistenti e animatori propri;
ma i gruppi devono agire in armonia
con le Un,oni;
fondare l'Unione in tutte le case che
ancora non l'hanno, e possibilmente an-
che in quelle delle Suore Salesiane;
il Consiglio dell'Unione liberi il dele-
gato e la comunità salesiana da compiti
organizzativi e amministrativi, che de-
vono essere assunti dai cooperatori stessi;
sì tengano incontri ben programmati
e non saltuari, con i salesiani e le suore,
per la preghiera, la conoscenza reciproca,
il lavoro, la collaborazione.
4. La formazione. In questo campo si
fa già tanto, ma bisogna aiutare le unioni
1n difficoltà, creando una scuole dirigenti
che le animi e le organizzi.
5. Impegni concreti. Se ne svolgono
tanti: dal Terzo Mondo all'adorazione
perpetua. Alcuni sono di grande im-
portanza e vanno intensificati:
cura delle vocazioni sacerdotali e re-
ltg1ose;
impegno per la giustizia sociale: non
solo « fare qualcosa», ma infondere
(specialmente nei giovani portati agli
estremismi, alle contestazioni o al di-
sinteresse) i principi di una salda co-
scienza sociale cristiana.
RI CONOSCIMENTO
A U N SALESIANO ILLUSTRE
Un triplice riconoscimento ha ricevuto
in questi ultimi tempi il salesiano don Al-
fonso Stickler. Una laurea honoris causa
in Diritto Canonico gli è stata conferita
nel giugno scorso dall'Università Ludwig
Maximilians di Monaco di Baviera, che
in quei giorni celebrava il 5000 di fon-
dazione. Altra laurea honoris causa, in
Teologia, glt è stata conferita dall'Univer-
sità di lnnsbruck. Infine, lo Stato au-
striaco lo ha decorato con una onorifi-
cenza per « Meriti della Repubblica».
Don Stickler, insigne studioso nel campo
del Diritto, è Prefetto della Vaticana.
DAL VIETNAM CON ANGOSCIA
Da Tram Hanh il direttore del noviziato
don Matteo Tchong scrive: « Le cose
si mettono sempre più al peggio. Forse
dovremo emigrare. Dove? Dio lo sa.
Abbiamo dodici novizi, che custodiamo
come la pupilla dei nostri occhi, perché
dovranno essere domani la nuova gene-
razione salesiana in questa dolorante
nazione. Ma fino a quando, anche a
costo della nostra v,ta, riusciremo a pro-
teggerli ? la bufera, il rombo della
guerra è tutto attorno a noi. Anche la
vita spicciola, quella di tutti i giorni,
quella che a volte consiste nel cercare
il p1ne per le prossime 24 ore, si fa dura.
Pregate per noi, e se potete, aiutateci».
500 GIOVANI DIRIGENTI
CATTOLICI DEL NAGALAND
A Kohima, nella capitale del Naga-
land, sono convenuti circa 500 giovani
per il corso organizzato dal salesiano
P. V. Joseph. Le lezioni intendono for-
mare dirigenti per il movimento Catholic
Action Students of Nagaland. Sono pre-
senti tre gruppi linguistici principali:
Angami, Soma e Rengma. Le lezioni
sono svolte in inglese e in idioma An-
gami. la traduzione ciclostilata viene
distribuita prima di ogni lezione. Segue
un'ora di discussione.
Gli argomenti più approfonditi sono:
la Sacra Scrittura, Fede e Cultura, fede
nella vita del Cristiano. Tre salesiani gui-
dano e seguono le discussioni.
La volontà degli organizzatori è rin-
novare questo corso ogni anno. Il pro-
getto grosso per l'avvenire è riuscire a
mettere ,n contatto i giovani dirigenti
cattolici del Nagaland, di Manipur, di
Mizoram e dell'Assam. Sarebbe una so-
luzione favolosa per spezzare l'isola-
mento m cui ogni tribù del Nagaland
si sente imprigionata.

3.10 Page 30

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MONDO SALESIANO
I CREDO CLUBS IN AUSTRALIA
Padre Miller, a Melbourne, ha inven-
tato una nuova forma di associazionismo.
Ragazzi preadolescenti e adolescenti
hanno un loro locale in cui si sbizzar·
riscono con dischi, chitarre, giochi. Ma
dalle 20 alle 21 interrompono i giochi
e si siedono attorno a un tavolo per
ascoltare e discutere. L'avvio alla di-
scussione è spesso dato da una filmina
o da un film.
Questi gruppi sono stati battez.zati
u Credo Clubs » perché gli argomenti di
studio e di discussione sono fatti di
dominio pubblico che si vogliono ve-
dere e giudicare in maniera cristiana.
Le discussioni sono dirette da padre
Miller, da qualche adulto della parroc-
chia, o da qualche padre o madre dei
ragazzi.
Poiché la legislazione di stato fa
molte difficoltà alla scuola di religione,
molti sacerdoti e re ligiosi seguono con
interesse l'esperimento dei « Credo
Clubs ». e sperano di poterlo trapiantare
nelle parrocchie e negli oratori.
IL CINQUANTESIMO DELLA
PRIMA OPERA SALESIANA
DEDICATA A DON MICHELE RUA
L'oratorio torinese « Michele Rua » ha
celebrato cinquant"anni di vita in felice
coincidenza con la beauficaz1one del
Titolare.
Nell'agosto del 1917, l'anno doloroso
di Caporetto, nella borgata torinese
« Monterosa >> i salesiani inaugurano il
«Ricreatorio Margherita Bosco». Tre
anni dopo, esso non è più cspace di con-
tenere tutti i ragazzi ohe vi accorrono.
Ma arriva un dono provvidenziale: la mar-
chesa Clementina Tahon di Revel regala
un vasto terreno e nel 1921 il card. Ago-
stino Richelmy benedice la prima pietra
dell'Oratorio « Michele Rua ».
L'edificio cresce a vista d"occhio, aiu-
tato dalla generosità dei buoni. Il Papa
stesso, Benedetto XV, manda una co-
spicua offerta. Il 20 luglio 1922. fanfara
in testa, bandiere al vento. i giovani pren-
dono pacifico possesso del nuovo Ora-
torio.
Seguono anni memorabili. I salesiani
lavorano con entusiasmo, nonostante le
strettezze finanziarie e le difficoltà di un
periodo storico turbolento. I giovani con-
tinuano a crescere. Per loro, dopo la
guerra, costruiscono una scuola profes-
sionale capace di 250 alunni. Per le loro
famiglie danno vita alla Parrocchia
San Domenico Savio, più di 20.000 anime.
Poi è la volta dell'Oratorio femminile e
della scuola materna.
DON RUA IN POLONIA
Padre F. Kaminski scrive dalla Po-
lonia: et Il primo canto in onore del
Beato Michele Rua in Polonia è stato
scritto da un salesiano, ed eseguito da
21 O ragazzi e ragazze nella chiesa del-
l'Esercito Polacco, alla presenza di 5 mila
fedeli. I ragazzi. del nostro· Centro Ca-
techistico. hanno cantato durante la
concelebrazione di molti sacerdoti sale-
siani e diocesani, che hanno voluto ren-
dere omaggio al nuovo Beato per la
predilezione che egli ebbe verso la Po-
lonia ».
In Polonia si sta registrando un no-
tevole risveglio di vita religiosa e di
vocazioni. Nel 1971 i Salesiani hanno
avuto il più elevato numero di semina-
risti: un centinaio; i Gesuiti ne hanno
avuto 72 e i francescani 55. Sempre
nel 1971 sono entrati nei noviziati degli
ordini maschili 390 giovani. I Salesiani
hanno avuto 30 novizi.
30
.
- ~-
..
#'I.._
.... ..
.. •...• __.,.-~ii
~"' ~ _...-~ : ,-
PER VINCERE LA TIGRE NERA
Il salesiano laico F. Pancolini scrive:
«La carità dei buoni ci ha permesso
di costruire un bel numero di casette
per centinala di famiglie travolte dalla
trag edia pakistana. Abbiamo distribuito
quotidianamente tonnellate di frumento,
latte in polvere e olio. Occupiamo chi
è in grado di lavorare nella costruzione
di pozzi, piccoli ponti e strade. La nostra
opera non ha sosta: occorrono ancora
centinaia di casette per sostituire tende
di stracci e tuguri di mattoni sconnessi;
tonnellate di viveri per vincere la fame,
la " tigre nera" che divora».
Notizie dello stesso genere ci manda
dal Nord India l'Ispettore don Stroscio.
Ricostruzione delle casette distrutte dal-
l'inondazione del 71, ricerca di acqua
potabile e di viveri. I risultati raggiunti
finora sono la gioia e l'orgoglio di quella
gente, che continua con tenacia, incorag-
giata dall'aiuto di tanti fratelli generosi.
PRIMO BILANCIO DI UNA CASA
ECUMENICA PER RITIRI
SPIRITUALI
Fu inaugurata nel novembre 1971 a
West Haverstraw (New York). Il suo
scopo: offrire non solo ai cattolici. ma
a tutti gli uomini di bur,na volontà l'oc-
casione per riflettere seriamente sulla
propria vita. Nel suo primo anno di atti-
vità la << Casa Don Bcsco per Ritiri» ha
ospitato più di tremila persone: preti e
laici, caUolici e luterani, episcopaliani,
battisti, ebrei. Venivano per corsi di Eser-
cizi spirituali, per studiare i l rinnova -
mento della vita religiosa, per ritrovare la
fede e la preghiera, per riflettere sul senso
della vita.
Il direttore della Casa, che manda que-
ste notizie, aggiunge: «Vi invitiamo a
gioire con noi per questi risultati. E a
pregare perché possiamo continuare».

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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VIAGGIO POETICO
Radio Cairo manda in onda ogni
martedl mattina una trasmissione per il-
lustrare le bellezze naturali dell'Egitto.
Il titolo è «Viaggio Poetico». L'autore
è il salesiano P. Pietro Cosentino. La
sua non è una voce nuova alla radio
egiziana: ha già curato altri quattro cicli
di trasmissioni.
NUOVO EDIFICIO SCOLASTICO
PER 1500 THAILANDESI
Lungo 100 metri, alto quattro piani,
stile moderno, funzionale. ma semplice
e sobrio. Sostituisce un primitivo capan -
none di legno, ormai del tutto inadeguato
alle esigenze di una città come Haad Yai
dove i Salesiani lavorano da 25 anni.
Haad Yai è la città più importante di
tutto il sud della Thailandia. abitata per
metà da cinesi e per il resto da thai, ma-
lesi, indiani. Da due anni vi funziona una
modernissima università, e da quest'anno
anche un nuovo aeroporto civile con una
pista di tre chilometri, sulla quale pos-
sono atterrare anche i Jumbo Jet.
I Salesiani vi hanno aperto una mo-
desta scuoletta nel 1950. Ora essa conta
più di 1500 allievi. Le Figlie dì Maria
Ausiliatrice ne hanno un' altra con oltre
mille alunne.
Dove hanno trovato i soldi necessari
per una costruzione cosl costosa 7 Un
confratello olandese, don John Visser. si
rivolse al Governo d' Olanda. La richiesta
fu accolta: il Governo inviò un sussidio
pari ai due terzi della spesa; il terreno
era già stato donato anni fa da un be-
nefattore a mons. Carretto. allora Ispet-
tore. All"inaugurazione del nuovo edi-
ficio era presente l'ambasciatore d"Olanda.
Il Governatore della provincia ringraziò
nella sua persona il Governo olandese,
e manifestò ai Salesiani la gratitudine
della popolazione per il loro prezioso
contributo all'educazione della gioventù.
TERZO INCONTRO NAZIONALE
DI GIOVANI COOPERATORI
Nel dicembre 1972 si è svolto a Roma
i l terzo incontro nazionale dei giovani
cooperatori. Erano più di 200, prove-
nienti da tutte le parti d'Italia, rappre-
sentanti dei vari centri che operano al-
l'interno delle Chiese locali. In quattro
giorni di convegno hanno messo a
punto le modalità del loro apostolato.
Il problema dell'inserimento nella Chiesa
locale è stato illustrato da don Joseph
Aubry. Don Mario Picchi, del «Centro
Italiano di solidarietà», ha parlato del
problema della droga. Alcuni giovani
operai hanno presentato la realtà del
mondo del lavoro.
I vari «gruppi di studio» hanno poi
esaminato i modi concreti per una pre-
senza costruttiva a fianco dei giovani
nella loro situazione quotidiana.
Due particolari indicano la dimensione
nuova in cui si è svolto questo incontro
di giovani cooperatori. Negli stessi
giorni e nello stesso posto si sono riuni,i
anche I dirigenti dei Cooperatori adulti,
e questo ha permesso uno scambio di
prospettive diretto a saldare tra loro le
due generazioni.
Erano presenti il Rettor Maggiore dei
Salesiani, la Superiora Generale delle
Figlie di Maria Ausiliatrice e le rappre -
sentanti dell'i~tituto secolare « Volontarie
di Don Bosco», a indicare la volontà
di collaborazione tra i rami diversi della
stessa famiglia operanti nella stessa
Chiasa di Cristo.
MOLTI GLI AMICI DI
DOMENICO SAVIO NEL BELGIO
Domenico Savio è simpatico ai ra-
gazzi di tutto il mondo. Quasi duemila
nel Belgio e non meno di quattrocento
nello Zaire (ex- Congo Belga) si dichia-
rano «Amici di Domenico Savio>> e si
impegnano con tutta serietà a vivere
come lui nel mondo di oggi: a volersi
bene, a stare allegri, ad amare il Signore
e a fare agli altri tutto iI bene che possono.
Alla base di tutto c"è il contatt6 quo-
tidiano e filiale con Dio. Essi sono con -
vi nti che la frequenza alla Messa, ai
Sacramenti e la devozione alla Madonna
sono indispensabili per una vita cri -
stiana autentica.
Durante l'anno scolastico hanno fre -
quenti occasioni per riunirsi e riflettere
su se stessi e la loro attività; nei mesi
estivi frequentano campeggi. eserc1z1
spirituali, campi scuola per il consegui -
mento di brevetti diversi, in un profondo
spirito di gioia, di amicizia e di preghiera.
Molti giovani si sono cosi aperti a
una fede solida e lieta, a una vita di
generosa donazione; e sono anche nate
vocazioni alla vita sacerdotale, religiosa
e missionaria. Il movimento « Amici di
Domenico Savio)) raccoglie molte sim-
patie anche al di fuori degli ambienti
salesiani.
UN CORSO DI TEOLOGIA
PER ANIMATORI
È cominciato lo scorso ottobre a Torino
in piazza Maria Ausiliatrice 9. È frequen-
tato da una settantina di giovani con una
cultura di base a livello medio-superiore,
e già con qualche esperienza di gruppi
giovanili impegnati, o almeno fortemente
interessati a essa. Una scelta équipe di
docenti (sacerdoti salesiani e diocesani,
e laici) guida questi giovani ad appro-
fondire la conoscenza della propria iden-
tità cristiana e ad acquistare una precisa
formazione tecnica, per metterli in grado
di animare cristianamente situazioni, per-
sone, gruppi. Gli incontri (una ventina
in tutto) si svolgono ogni lunedi dalle
19,30 alle 22,30.
31

4.2 Page 32

▲back to top
UNA TR.AGEDIA NEL GIORNO DI PASQUA
Era il 2 aprile, giorno di Pasqua, quando avvenne la tra•
gedia. Viaggiavo in macchina con mia figlia e un nipotino
di sene anni, che dormiva sul sedile posteriore. Improvvisa•
mente ci trovammo sbalzati fuori strada. lo ebbi due costole
rone, mia figlia qualche lieve graffio, ma il ragazzo fu estratto
in condizioni gravissime. Un mese di cure intense in ospedale
non ottennero risultati che giustificassero la speranza. Fu te•
nuto per altri 40 giorni in camera di rianimazione. Avevo in-
vocato l'Ausiliatrice fin dal primo momento. e non cessavo
di pregare lei e Don Bosco. con tuua la popolazione, perché
me lo salvassero. Si cominciò a vedere qualche migliora-
mento, ma quando dopo 130 giorni lasciò l'ospedale, non
camminava e non parlava. Eppure non abbiamo perduto la
fiducia in Dio, e le nostre preghiere hanno ottenuto il mira-
colo: oggi il ragazzo è tornato del tutto normale. I professori
stessi non sanno spiegare come sia avvenuto. « Si vede che
c'è Qualcuno al di sopra della scienza I• hanno detto. lo sono
andata a Torino a ringraziare l'Ausiliatrice e a pregarla di vo-
lerci proteggere sempre.
Vigonovo Udinoso (Pordonono)
MARIA CEOLIN DE ROVERE
DUE MAMME FELICI
Dopo il matrimonio avevo tanto sperato la gioia di un bimbo.
Ma al sesto mese corsi serio rischio di perderlo. Dovetti stare
lungamente a letto. Pregai con fede Maria Ausiliatrice e f1•
nalmente tutto si risolse bene: oggi ho la gioia di stringere
tra le braccia un bellissimo bambino.
Anche mia cognata ha chiesto all'Ausiliatrice la grazia per
Il proprio bimbo, nato prematuro e in serio pericolo di vita;
e oggi anch'essa ha la gioia di un bel bambino del tutto sano.
Torre Archiraf/ (Cat•nl~)
EXALUEVA NUNZIA COSTANZO
UN INTERVENTO CHIRURGICO SCONGIURATO
Mio marito soffriva di feroci dolori alla gamba. Il medico
diagnost icò sciatica bilaterale. ma le cure non portarono alcun
miglioramento. Allora sì cominciò a sospettare che si trattasse
di ernia discale. Gli specialisti confermarono purtroppo tale
diagnosi e proposero urgente ricovero in ospedale per In-
tervento chirurgico.
Mi rivolsi piena di fiducia a Maria Ausiliatrice e a San Gio-
vanni Bosco perché tutto potesse risolversi senza intervento.
Sono stata esaudita. Dopo un mese di degenza, durante il
quale l'intervento venne rimandato da un giorno all'altro. mio
marìto poté alzarsi e riprendere gradatamente le sue normali
attività. Con viva riconoscenza,
Compob11/lo di Licaca (Agrigento)
MARIA TORNAMBÈ LAURIA
UNA PICCOLA BAMBINA È SALVA
La nostra piccola Loretta di tre anni si trovava in cucina
con le due sorelline quando, per un movimento falso, le si
rovesciò addosso una pentola di acqua bollente che le pro•
vocò ustioni di secondo grado. Al Pronto Soccorso la dia-
gnosi del dottore fu grave. Trasportata all'ospedale di Padova,
il professore confermò che si trattava di un caso molto grave.
32 Le prattcarono il cambio del sangue mentre noi. straziati, pre•
gavamo con fiducia Maria Ausiliatrice. Cinque giorni dopo 11'
professore ci disse che la piccola era salva; e dopo 25 giorni
lasciò l'ospedale tra la meraviglia di tuui. La Madonna ci
protegga sempre I
Thiene ( Vicsnu)
CONIUGI MILAN/
Giuseppina .Dl Rito (Roma) ringratia la Madonne per aver assistito
m modo parucoJare suo padre duranto uno grava malattia.
Cl HANNO PURE SEGNALATO GRAZIE
Abba Elida • Accomezzo Rosim • \\cqunronc Attilio . Alfieri An.gcln •
Andrcozzi Sr. Jole Antonclli Lina • Antonuttio Concetta • Bo1r11 Vuglin
,.,11 a.. Laura - Balestra C.tcrina - Jlallara Ern,onn,, Uarbero Robeno Dn,c,,llono
Tcttsa • o.,.chcn Oc Luca Ann•
Mari• • B.uislll Concc,uin11
- Bertìr.ini Ro. . . lknolazzi Eli$aberlll. Bcnolo Vit11l ina - Bctb.oz Albertino
• Biasi \\ 1r11ini• Uo.ri Alina • Bon.odto Enmo • Bonetti 0111■ 8on..io
Virgini,, 8 - Gord•no El~n:, . Brn:olll Vittorina . Brooadul• fann)' •
Brunetti Enea • llruno Giovanni • Druuon.o Jl,bria • Burzio Rouria .
C•= Amali• • Calcagno Cecilia Calvino Sol■ :\\I.arietta • Canc<iolo
Caterina - Carelh Rou • Coruso Cannd• Ca11dli Giovanni • Catini•
TI121 M11n& · C•rtanco Abrnminn • Crrchi,r Giuseppina - Ciapparclll Ernilt:1
Coffa Burdrri Angolo - Correnti ,\\nrut • Cortese Amabile • C:O..arim
Maria - Crapio Glu,eppe • Cumbo Roo,,oriu - !)al Mulin Ada - Della l'cr-
rera Ann11 - Oclzonno Fnm. - Mnrio Moria • De Rossi Maddoleno •
Oc Stefon.i Giocomo ed Elena - Di Hcn~ddll0 Solv•tore - Di Pc.rn11 C~r-
melo • Di Rict> Giu.,.,ppe - Dorio \\n1,ol• • Ericinl Giu.epplno • 1:onchinl
Morisu ved. l'avcrio - f'•rramola Emilrn - Ferrari Cluudià • Ferri Moria
Filippì M•triA • FriA<>n Romana Luisa • G,ali<Udi Ginn - Gallo Preatifino
Maria - Garzonio .\\lb,no Maria - Ghcrbu G,,nna Ghianda Mnr11 -
Giambanco Clan •
- Graci .\\ntomcn•
Gibclli
Gruio
lSicCrsaiirom.enGlo.G-arun.ccl,hnt~i cla..rrmù c-:nG-ouGawrdeih
Cornelia
\\'iramis
Guidu, :'-1ori• ln,am Geltrude - 1•• nn1 \\.tona La R<>S1l \\ngela • La1-
ruca Filomena l.en11111 .\\nge.lo - Lombordo C1L1Jdino Canina L.o Prn11
Francesco - Luciuno Enrica . Lupirutro ,\\11Hl0 :\\llnccario ,\\Jbin• M•-
gnani GiovannA - Ntagronc France5cn .. 1\\-bltc.e 'vhrfonm, - ~11nc\\.lzo
~aria As.auntil - M.-rc:mmnni Mnrt.a, - ~lnrro1 S.-nn.n Nenneddn - Mt1tiil•
iico Zcvola Mlt.l'Jll ... M ~,sutci Adri::mo .. M1turo Moria Pin .. Mazzullo Ho,n
- Meloni Curio • M,·..,fno G 1U$eppinu l\\ll11loo Sorelle • Milnrn,,,o ni111
-
NMalprnoblieOllila!\\-LirNio•
. Molozu
.,o Colom
i\\farl., • l\\lum...,
ba - Ne11ri 1'dl■
ni Teresina
~occo Ada
.
l\\,1.,..,1
Oblmu
Anno
Gool.o
l\\laria • 0..,111 Rooen• • Ononello Lcanc1m .\\ , Muia - Paganelli M•anono
lsolin:, - P•p• ConcçllA Parodi Lidi~ Pero.mo :'lfaria Pilo \\mcba
Pins Antontetl.• l'iu Giuseppa · Polverino Lucu - Prolilio Valeru
Ranien \\ 'aluia Rcnorc 1'1.•n• • Ricci CiUKppc - R1J!1U>O .\\uunto • Rc,mco
Dameniao Ro~I Ada • Rossi Carolin• - Rubon1 Pia • Russo G1'™'PJ><:
... Sain A.sunt..a. • S.du..•oJtlìa l ..inn - Sannn Simo~ • S_an:i Enrica .. Scaboro
c.,.ace . Schmvl Mnrm - Sernfini ,\\Jt:n,do - Servdlo Bruna • Solto Sii,
s.,,.., WtQre .
,\\n11d• • l:ipaRnoli Frun,·t'•c• • Spa11nolo Giuseppa - Spc.
rindé Anìt.i - ~h,d\\!ll"'l\\•Uln F'arn... SlèlfAMi Murfo • Tabacchinì ;\\ntonictttt
Tal:!monc• C..rmch, • Tomaru Luca Torri•i Angelina - Toallini Annn
\\Jaria • Tre,.o ~tnr!a Modd~lcnu • Tripud M•ro• Anweln Trotl• Mochck
.. Tunuud \\"inct-t,illl4 .. Y~caro Palmirr1 GiovannA • Vacc hini Attilio ..
zu. \\"'a.J.Lna M.in., .. Venie, tre:ne - Ye-ntun Fnanc:....co .. Vino Nurnra• \\"it•
Ione .-\\malia \\ 'ol11ct '>lllunzio • Zanni P;oohna • Zizìoli El.onora
nino Ril!l
NON VOLLERO NEMMENO PORTARLO
IN SALA DI RIANIMAZIONE
Il mio bambino all'età di due mesi dovette essere ricove•
rato d'urgenza all'ospedale per delle convulsioni, cui segui-
rono crisi tah da mettere in serio pericolo la sua vita. A un
certo punto I medici lo dichiararono clinicamente mono, e
non vollero nemmeno portarlo in sala di rianimazione. In
quei tristi momenti il mio immenso dolore fu sorretto da una
sconfinata fede 1n 010, e nell'intercessione di S. D. Savio.
Non fui delusa: 11 mio bambino si riprese, e otto giorni dopo
poté essere dimesso dell'ospedale, ove si parlò di vero mi•
racolo. Attualmente gode ottima salute. Non mi res1a che
ringraziare S. O. Savio, e pregare che continui a proteggerlo.
Torino
ASSUNTA CONSIGLIO VARLOTTA

4.3 Page 33

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E DI SAN DOMENICO SAVIO
UN ESSERINO FRAGILE
Sapevo che avrei avuto una gravidanza difficile a causa
del mio sangue RH negativo. I futuri padrini del nascituro
ml consigliarono di confidare in San Domenico Savio, por-
tandone l'abitino. Il sesto mese dovetti essere ricoverata in
ospedale per analisi, che rivelarono un preoccupante aumento
di anticorpi. Un mese dopo il professore mi convinse a sot-
topormi a un intervento, allo scopo di salvare la mia creatura.
Venne alla luce un esserino debole, con anomalie che lascia-
vano poche speranze di salveua. A questo punto io e mio
marito intensificammo la preghiera e la fiducia. Ora, a sei
mesi dalla nascita, la bambina gode ottima salute. Il profes-
sore, dopo averla visitata in questi giorni, è rimasto meravi-
gliato, ed ha assicurato che non si tratta di cosa ordinaria.
Con mio marito e gli altri due figli esprimo tanta riconoscenza.
Biella
RITA E FRANCO SIVIERO
VORREI SEMPLICEMENTE D I RE GRAZI E
Sono una mamma che scrive per ringraziare San Domenico
Savio. Mi avevano consigliata di ricorrere a lui nelle mie dif-
ficoltà, ma veramente io ero scettica. Credo fermamente in
Dio, ma certe forme di devozione mi sembravano bigottismo.
Tuttavia rivolsi il pensiero a Domenico Savio perché potessi
avere la gioia di una creatura. E ora mi è nata la piccola Sara,
e tante difficoltà sono state superate.
Non mi importa sapere fino a che punto ciò sia dovuto al-
l"intercessione di Domenico Savio, vorrei semplicemente dire
grazie.
Ivrea
MARGHERITA GALETTA
Molte altre mamme ci hanno scritto per ringraziare San Do-
menico Savio. pregandoci di pubblicare la grazia ottenuta.
Per mancanza di spazio non è possibile riportare integralmente
il loro iacconto: ci limitiamo a riferire i tratti essenziali.
« Il medico ci assicurò che il bambino sarebbe nato morto
o deforme. Ma io non persi la fiducia nel caro Santo. E il bam-
bino è nato sano e normalissimo» (Elvira Gaita Accomasso,
Torino).
« Sembrava andato tutto bene, quando la febbre sali a 40 .
I medici dissero che bisognava riaprire la ferita. Ero disperata,
anche perché il mio primo, di soli due anni, era stato ricove-
rato all'ospedale. Pregai tutta la notte. La temperatura co-
minciò a scendere, e dopo due giorni ero a casa. Il giorno
dopo anche il primogenito tornava guarito» (Giovanna Mila-
nesi, Torino).
« Ero sofferente con febbri altissime per una malattia sco-
nosciuta, da circa sei anni. In quelle condizioni mi trovai in
attesa di un figlio. Si temeva per la sua vita e anche per la
mia. Pregai con tanta fede, e tutto si è svolto felicemente, con
grande sorpresa anche dei medici: io sono guarita e mio
figlio cresce sano e robusto» (Gina Goldin, Orgiano. Vicenza).
« Diverse maternità si erano interrotte e la scienza medica
non mi dava nessuna speranza. Pregai con fervore, e ora ab-
biamo la gioia di un bel bimbo, che abbiamo chiamato Do-
menico)) (Coniugi Bruno. Milano).
« Mi sentivo tanto triste senza la gioia di un figlio. Ma la
nostra preghiera ha ottenuto il dono di Benedetto Domenico,
nostra gioia» (Modica Benny, Chicago).
« Ho pregato tanto perché mia figlia alla seconda mater-
nità non dovesse soffrire come per la prima, in cui si era reso
necessario l'intervento chirurgico. Tutto è andato felicemente.
Al bambino è stato imposto anche il nome di Domenico»
(Enrichetta Greco, Salerno).
<< Dopo averle tanto desiderate, abbiamo perduto due crea-
turine. Pregammo con viva fede. Ora ci è nata una bambina
sana e bella, che consideriamo sorellina di Domenico Savio,
eletto suo protettore» (Carola e Pepe Arteta, lima, Perù).
«Il ginecologo diagnosticava un evento difficile, con in-
tervento chirurgico e complicazioni per me e la mia creatura.
Pregai con fiducia. Ora io e il mio piccolo Luca godiamo ot-
tima salute» (Aldina Castaldo Granata. exallieva, Chiaiano
di Napoli),
« La seconda maternità si presentava assai complicata.
Con fiducia ci affidammo alla preghiera. La piccola Virginia
è venuta a rallegrare la nostra famiglia in ottime condii:ioni »
(Checcozzo Lina Meneghetto, Costa/unga, Verona),
« Una serie di gravi disturbi, a dire degli specialisti, minac-
ciavano seriamente la vita del mio bambino. Assieme a mio
marito ho pregato con grande fede. Ora ci è nato e sta bene
il piccolo Domenico Michele Adriano» (Elvira e Agostino
Rizzo/i, Brescia).
«Il neonato era stato colpito da grave disturbo, che mise
in pericolo la sua vita. Ora ringrazio San Domenico Savio che
me lo ha salvato. In suo onore l'abbiamo chiamato Mauro
Domenico» (Anna e Remo Ghiglione, lsoverde. Genova).
« La nostra piccola Lara era ammalata da parecchio tempo,
insensibile a tutte le cure. Si doveva aspettare l'età adeguata
per un intervento chirurgico molto delicato. Abbiamo prefe-
rito pregare con fede. Oggi la bambina è guarita benissimo))
(Marilena e Alberto Corti. Lecco, Como).
« In seguito a un grave incidente mio nipote stette pa-
recchi giorni tra la vita e la morte. Si pregò tanto. Ora è
guarito e ha superato altre gravi difficoltà» (Sr. Mercedes
Bietresato, Torino).
«Il mio bambino a soli 30 giorni fu colpito da meningite.
Pregammo in continuazione. Ora è tornato a casa guarito»
(Anna Maria Rossi, Novara).
<( Insieme a mio marito ho pregato tanto San Domenico
Savio, e ora siamo genitori felici di un bel bambino, Andrea
Domenico» (Rina e Pietro Gallinotti, San Salvatore. Ales-
sandria).
Ringraziano San Domenico Savio. alla cui lntercessione attribuiscono gua~
rlgionl attenute per o per I loro cari:
Natalina Caporale (Loano • Savona) Carmela Di Vita, (Palma Mon-
techiaro - Agrigento) Luigina Oddo (Torino) - Elisa e Carlo Gallo
(Osasco Torino) • Darina Scomparin (S. Oonà d, Piave - Venezia) -
Rina Campomenosl Cella (S. Stefano d'Avete - Genova) - Coniugi
Ferranti (Carini - Palermo) - Adele Rustici {Stamford • USA) Fran-
cesca Oglìna (Omegna - Novara) Mons. Domenico Squillaci (Ca-
tania) Raffaele Cerullo (S. Cipriano d'Aversa • Caserta) - Vincenz;o
Di Marco (Cammarata Agrigen10) Una Figlia di Marta Austl1a1rice
(Ecuador).
33

4.4 Page 34

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.
.
.
.
1
PREGt,IIAMO
(..
PER'
,r
I.
NOS_TRI'
MORT_I
- ::r
SALESIANI DEFUNTI
Sac:. Ange lo Fld c nl<lo t • Taranro • 94 anni.
Nato a Torino nel 18781 fu aJunno di Don
Desco all'Oratorio di Valdocco. A dieci annj
ne seguiva in lacrime il feretro. ConLinuò gH
studi
ero
sotto Don Rua,
tra i più birbanti
m
d
a,
el
confidò
l'Orntori
oe, gCliosnteaslstor1i
compagni avevo cosrituito un gruppo di ctia-
. voletti. Un giorno, cosi per c.aso, dissi: proviamo
un po' n {a.re j buoni, vediamo cosa succede.
Successe che si stava meglio. Non pe.nsavo
certo di fa.rm.i prete. Mn dopo un corso di
esercizi spirituali, decisi di fanni salesiano•· Fu
ordinato sacerdote dal card. Richelmy. Nel
tQ2.5, 11 ◄7 anni, fu mandatQ a Taranto n fon-
dare l'opera salesiana. e vi rima.se per la seconda
metA deità sua vita, a.ltri 47 anni esatti.
Gli iniz.i turono duri. A~itava in una spe-
cie di ~ottoscaht umido e non aveva nemmeno
i soldi per pagare l'affitto. Pli:r fonun1,1;, era
dotato di una fibra robu~rissima1 di ingegno
non comune, dJ corags;rio e di tenacia, oltre che
di un grun cuore e una grande fede. Pietra
su pietra, s-acrificio au sac..rificio, costrui una
casa per giovani studenti e operai. VoJcvano
tu1tt hene j questo sacerdote che parlava poco
mn lavorava sodo, che d~va confiden2s a tuni
specìe ai semplici e umHì, che aveva un3 grande
fiduciil nei giovani e nell'nvvenire. Glìel'nvevn
ispirata Don Rua con una lèttt)rn inviatagli
in un momento difficile, e che Don Fidenzio
conservò come una reliquia. L'ultimo suo
conforto, nelle sofferenze della malattia, fu la
~lorificazione di lJon Rua, c:-he poté seguire. per
televisione. La gente di T..tranto ric;,o rderà
Don J\\ngclo c<)m~ uno dei suoi più grandi
benefattori.
Sac:. Miche l e Suppo t a Honiz-Kon11 • 70 annì.
Questa grande figura di missionario "'errà
rievocata d.n.1 8olle.11ino pTo~simamenle.
Sac:. Er n esto Berta t a Genzano (Roma) n
R8 anrù.
Era nato ad Avigliana (Torino) da una famiglia
profondamente cristiana, benedena dn Dio
c::ol dono df sei vocazioni alla vita sacerdotale
e relij,Ji0$3 (tre sacerdoti e tre suore). Compi
i primj studi nll1Orntorio di Torino. dove non
si era a.nc:ont spento il ricordo del suo prozio,
Don r\\la.sonatti, uno dei primi coHaborntori
di Don Dosco. Era particolarmente con1piaciuto
di questa parentela, e non mnnc-ava di rilevare
che l'amore e lu fcddt:\\ a Don -8osco erano
una carA eredità di fami~lia.
Oèd1cò In sua virn ai giovani e 01 poveri. Spe-
cialm~nte durante. l'ultima guerrn, 0-ome
l•pettore delle Case del Lazio e dcllu Sar.jegne,
ti accolse un cuore generoso nei suoi istituti.
Era un lavoratore imuancabllc: fino all'ultirno
volte dedicare a l meno (lunlehe ora all'insc..
g-namento, che form:nn1 la sun passione, e al
minhacro, soprartuuo et vantaggio di molte
generazioni dl giovani chierici.
Sac. Antonio Cavoli t o Tokyo a 85 onn;.
Cappellano militare durante la prima ,:?uer-rn
mondiale, si fece s::tlesiano a trentatré anni.
Nel 19,z5 parcl per iJ Giappone, con la prirnn
spedizione missionarfa guidata da Don Cim3tti.
Carnuere forte cd esube.rante, di profonda
spirilualità, fo.,,orò per 25 anni nella zonA di
Miyazaki. dove fondò la Congregazione delle
• Suore de.Ila Carit.\\ per ragazze gijppooesi
che sceglieva no di dedicare la loro vita ai
vecchi. ai poveri e agli orfani, nella tradizione
di Snn Vincenzo dei Paoli e con lo spirito di
Don Bosco.
Dal 1950 continuò il suo lavoro nella nuova
sede cli Tokyo finché le forze glielo permiacro.
Passè; gli ultimi dieci anni immobili,:'uto u
letto, pregando e sacrìficandosi per le sue
figlie e pe.r rutti i salesiani.
Sac . carme.lo Pirolo t a Moclica Alta (Ragusa)
a 86 anni.
Dotaro di notevoli· quAlit2 artistic.he, mite i suoi
talenti a servizio dei ragazzi più poveri e degli
aspirnnti olla vita salesiana. Lavorò per 40
anni a Modica, molto ricercato anche come..
direttore spirituale da sacerdoti, da comunHà
religiose maschili e femminili e da molti laid.
Coad. Fo,ancuco Chlapello t a Bagnolo
(Cuneo) a 84 anni.
Quando si fece salesiano aveva già 43 nnni1
cpp1,1_rc partl con entusjasmo giovanile per le
miss.ioni del Brasile. 'l'ornato in ltaliai fu 11
Valdocco come autista, m-eccanico, elettri-
cista, Racrestano: un complesso di :1ttivilà
tanto umili quanto preziose. Sua caratteri -
stica eru l'assjdu.ità Alla preghiera, nella quale
chiedeva in modo speciale tante vocazioni
~acerdotalì e rdigiosc.
Sac. Cesa.-e Bald asso t a Pocdenone a 73 anni.
Fu per tanti nnni insegn~n:te, predicatore e
confessore. Aveva u.n cuore molto sensjbHe, e
prendeva viva parte al.le gioie e ai dolori di
quelli che avvicina\\'11, Per quesro si quadngnò
la stima e l'affetto degli allievi e Ja confidenza
ddle nn,me
Conclu3c la suR giornata terrena con u.n Sì,
P•dre dj accen•zione e di offerta delle lunghe
sofferenze. c he lo prepararono all'lncoatro con
Dio.
Sa c . Pie rre Conc oni t a Morges (Svizzera) •
6t anni.
Figlio di operaj italiani emigrati n Ginevra,
dedicò c:on entusiasmo e intelligenza le sue
non comuni doti a vantaggio dei giovani,
ne.Ilo sforzo costante di adeguarsi al ritmo
d•i tempi. Troppo presto, nel 1961, la Lorri-
bile scle-ro~i a placche co minciò Ja sua lenta ma
inesorabile opera di~trutrrice. Accertò la sof-
ferenza con fede e con serenità, di ventnndo ,
con un paradosso tiplc.amente cristiano, sor-
gente di coraggio e di gioia p er <1uegli stessi
c he venivano A fargli coraggio, La.sciò scrritto:
Off-ro la mia morte per il Papa Paolo V
e le sue grandi difficoltà attuali, per i mìssionar'i,
per j salesiani e le salesiane che aicercano l'at-
tunHtà dell-a loro missione
Sac. Vlctor Kolme.- t a Strasburgo a 84
anni.
Fu uno dei princip.ali artefici dell 'oper:::. saJe..
siana in Alsa2ia. Consacrò una parte importante
della suo vita alla stampa salesian~, con pro-
fondo spirito religioso e viva sensibilitCt pc.r i
giovani e per il rinnovamento dello Chiesa.
S;Jc. Leandro Altoè t a Rio de Janeiro •
32 anni.
Sac. Antoni o Dal Pos t a Bahìa Bianca
(Argentino) o 66 anni.
Coad. Enric o Flffi t a Rio d" Janeiro (Arg.)
u 82 anni..
Sac, Giov anni Kor ff de Gldts t a L "Aia
(Olanda) a 49 a.nni.
Sac. Roberto M a rsc hne r t ; Radkersburg
(Austrio) • 71 onni.
Sac. Gl u5'ppc Martlns t a San Paolo (Brasile)
il 73 anni.
z
COOPERATORI DEFUNTI
Anna Bcnso t a Vercelli.
Fu un1ottima insegnante, e generosa benefat-
trice deUe opere saJesiane, specialmente delle
missioni. Spese la ,-ita nel fa.re d~I bene, umile
e silenziosa, schiva di ogni ringra:tiamcntò.
Gasparlno Gra~io•l t a Retorbido (Pavia) a
65 anni.
Fu tra i primi a iscriversi t·ro i Cooperatori, cd
era puntualissimo a ogni in"cootro. Viveva senza
rispcuo umano la fede e la pietà, lieto di con-
tribuire con la sua bella voce allo splendore
delle funzioni religiose, 11 suo carattere schietto
lo rendeva amico di roni.
Mons. Ambrogio Tl"el<l<i t • Ved•no Olona
(Vo«se) a 91 aorù.
Aveva srudiato a Torino Valdocc·o sotto la
guida spirituale di Don Rua. Diventato sa-
cerdote, fu per un quarantennio parroco di
Vedano Olona, generoso, conciliativo, anl-
mato da entusiasmo giovanile, salesiano. Tra
le vttrie opcte. realii:zò un magnifico Oratorio
parrocchiale che volle dedicare a S. Giovanni
Bosco, il santo dei giovani che egli ave.va
scelto come suo particolare pouono e modello.
Sul suo esempio, avviò allo vìta sacerdotale e
religiosa un bel numero giovani, oggi sale-
siani, o diocesani, o $\\1orc.
·
Ultima sun grande gioia fu que.11-u di poter
pu.rtccipare a Roma 111Ja glorificazione del
suo Don Rua •. e di ricevere in <1uell'occQ-
•ione segr;1i di particolare affetto dal Papa.
Vitale Rosso t a Roppolo (Vercelli) a 52 anni.
Aveva pe:rduto la mamma anco ra in tenera
erà, e aveva trovato un'altra mammn nella
~1adonna. Mi è m11ncata presto la mamm.\\l
terren:i, voglio amare tanto la IvlammA dtl
Cielo•. Per vent'anni aiutò secondo le sue
possibiJita l'opera delle Figlie di Ma.ria Ausì-
liRtrice., e curò il decoro di una. cappella della
frazione. La l•nura assidua del Bolletti110
Saltsia110 lo ,mimava nella sua attività.
Maria Grandi ln Cardani t a Jeragò (Varese).
Era una donna animata dn. autentico spìrito
cristiano e da una grande fede. ''iveva pe.r ls
fami,qlia, 8 cui dedicava tutte le r isone del
suo jjrnode cuore, sotto la protezione di Mnria
Ausiliatrice e di Don Bosco, che amava tanto.
Prof. Giuse ppe Motta t a Roma a 76 anrù.
Unu vita lunga e onorata, stronc:U:Q improv-
vis.ame.nte d.a un incidente stradale. Aveva
servito la Pat.-ria combauendo con valore nelle
due guerre mondiali. ma l'aveva servita so-
prnnutto nella famiglia e nelln sc;:uo1a, in cui
ave.va portato la pedagogia di Don Bosco
apJ)r-esa dai salesiani a Pedara. Era l'anima
di convegni annuali con il suo ottimismo
sorridente e generoso che si fondava su una
(ede solid11 e ti:adotta nella vita quotidiana.
Miche le Jalong o t Itri (Lotian) 78 anni.
Un , servo buono e fedele , che Dio premiò
con la vocazione salesiana e missionaria del
figlio Don Pasquale. .\\i •uoi funcr•li poté
l'ssere presente. in rappresenranza del figlio
lontano, mons. Michele D'Aversa, ve-,eovo
di Humaira (Amazonas),
'
ALTRI COOPERATORI DEFUNTI
Ottavio f"arca - Giuseppe cov. Cnllo • Vin-
cenza suor Sciacca.
L'ISTITUTO SALESIANO PER LE MISSION I con sed~ in TORINO, eretto in Ente Morale con Decreto 12 gennaio 1924, n. 22, può legalmente ricevere
Legati ed Eredità. Ad evitare possibili contestazioni si consigliano le seguen1i formule:
Se trattasi d"un legato: « ... lascio all"lstitulo Salesiano per le Missioni con sede in Torino a titolo di legato la somma di Lire... (oppure) l'immobile s ito in... •·
Se lrattasi, invece. di nominare erede di ogni sostanza l"lstituto. la rormula polrebbe essere questa:
«... Annullo ogni mia procedente disposi,ione testamentaria. Nomino mio erede universale !"Istituto Sales/ano per la Missioni con sede In Torino, lasciando
ad esso quanlo mi appartiene a qualsiasi titolo •·
34 (luogo e data)
(firma per esteso)

4.5 Page 35

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S. Giovann i Bosco, /,i suffragio di
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Val di Taso (Parma), L. 50.000.
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S. Giovanni Bosco, in 1uffragio tif'i
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cura di Don Salvatore Znppulln,
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Centrale, Torino, L. 50.000.
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cura dcglJ ex allievi doll'I~pettoria
Centrale, Torino, L. so.ooo.
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Centrale, Torino. L. 50.000.
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mio figlio. :i curu di Tcrè-Sa Z.ngo.
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il mio J..iua, a cura di N.N"., Pi-accn.~u,
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di N.1'., Pordenone, L. 50.000.
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Don Michele Rua Beatificato,
pri>.g(l.fd per noi puc11iori adtrso ~
r,eU'ora dtlla llb-Jtra morte-. a cura di
Pia Re.bora, Cenovn, L, 50.000.
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S. Giovannl Bosco, i11 rin.grw:ia-
mento. o curo di Marfa Magna Ved,
Ccrioui, Mo,t<nto (Mìluno), L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Au,;iliatrice e
D o.o M ichele Ru.a, in n·nvozia-
mtnro td in 1u..ffrogio della defm1ta
(liu.s~ppi,ia Depe1legri11, o cura di
Poolìnu Ris•oli, Cavulesc (Trento),
L . 50.000.
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di Frane.a Marrinclli, l\\1inc.rvino
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Don Bosco, in suffragio dti miei
rari dt/umi ed i11uoea,1do grazie par
?lll', ~ cura di Cino Vidoni, S. Daniele
del Friuli (Udine), L. 50.000.
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S. Giova.noi Bosco, plt.r ri11grtv:iarll
1J chi~dertJ a Dtm Borcn la buona
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11 curn di N.N., (Rcp. di S. Marino),
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Giova_nni Bosco e S. D omen ico
Savio, per ottenere tma graziat a
cura di N.N., Volsovnmnc:hc (Aost•l•
L. 200.000 (pervenuta da Roma .
Borsa: Mario SS. Au111liatrice e
S. Giovanni Bosco, p,r la prouzio11e
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TOTALE MINIMO PER BORSA L. 50 .000 Avvertiamo c h e la p ub-
blic azione di una Bors a Incompleta s i effettua quando il vers amento
Iniz iale raggiunge la s omma di L. 2 5.000, o v ve ro quando tale somma
viene ragg iunta con o fferte successive. Non potendo fondare una Borsa,
sì può contribuire con qualsiasi somma a completare Borse g fondate
Borsa: Beato Don Michele Rua, a
cura d.i E"\\•enzjo Boccalattl", Dnun-
moyne (Au,trolia), L. 151.500.
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Beato Don Michele Rua, perché
mi otttngano 1er~nitd t for:o nt11a mia
mn.l«llin, n cura di Roi!I~ Giuglfano,
'l'er.<igno (Napoli), L. 50.000.
Borsa: Beato Don Michele Rua,
a cura di Pnlesandro Prof. Luigi,
Bngnara Calabra (Reggio Cnl.), Lire
50.000,
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Giovanni Bosco e Santi Salesiani.
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1,lliatrice e di S. Giovanni Bosco,
ptr otltmtrt u11t1 xra::io Ld iu ringrll-
::iamtnto, a curn tli Morç,:hcrit.n
M•r~ngo Snsao, Bra (Cuneo), Lìrc
50.000 (pttYonuta da Roma).
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lllfumi rd invutonda bent.,/i;:iom'. n
cum di 1\\ntonin Cnppa. Casttlvolonc
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Rnm").
dd 110s1,ifiati, cura di Adele e Lidia
l\\•fnggi, Roma, L. 50.000.
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cura di Clotilde Gilordon.i, Bcl-
loaio (Como), L. 50.000.
Borsa: Maria 55. Ausiliatrice, S .
Giovanni Bosco e Santi Salesiani,
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::fon• po il figlio, aurn di M. Sca-
~liotri, Carcsana (Verç•lli), L. 50.000.
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ricom,s.c.t·n::a p~r llltti i btn'./iti ri-
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anche per tHtlÌ i mir.i Gari, a cur~ Ji
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di Rosn Berrull, Bassano del Groppa
(Vkenu), L. 50.000.
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SS. Ausiliatrice e Beato Don
Mlc.hclo Rua, n cur-J di Teresa
Gobbi, Modena, L. 50.000 (por•
vcnulu da Roma).
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice e
S. Giovanni Bosco, per ara~io ri-
c,vuta, o <mm di Edoardo Alifredi,
Torino, L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Aus!llatrlce, S.
Giovanni Bosco e S. Domenico
SavJo, in rrnirn::iamfnlo per gra~Ìrl
ricevuta, i1111oca,idQ prott.ziont! t!d
tmcora gra::it per la figlia, 11 cura. di
M. E., Vignale l\\lonforrato (Ale•-
sandrfo), L. 50,000.
(c,o»T1h,,~

4.6 Page 36

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BOLLETTINO SALESIANO
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del mese per I Dirigenti dei Cooperatori
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siliatrice, 32 - 10100 Torino - Tel. 48.29.24
Direttore responsabile: Teresio Bosco
Autorlzz. del Trib. di Torino n. 403 del 16 f ebbraio 1949
Per Inviare offerte servirai del C. C. Poe tale n . Z-1355
Intestato a : Dlrez. Ge ne rale Opere Don Bosco • Torino
e C.C. P.1 -5115 lnteat . a Dir. Gen. O para D. Bos co . Roma
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Jean Cantinat
LA CHIESA
DELLA
PENTECOSTE
L. 1800
Un'esatta ricostruzione del-
la Chiesa primitiva, in base
al programma di chiarifica-
zione e approfondimento
lanciato dal Concilio Va-
ticano Il.
I fatti che hanno determi-
nato il sorgere della Chiesa,
i fermenti creativi della
Cristianità, il valore pe-
renne del messaggio evan-
gelico.
Jean Cantinat
SAN PAOLO
E LA CHIESA
L. 1600
La testimonianza di San
Paolo, una delle più grandi
personalità del Cristiane-
simo, come emerge dagli
Atti degli Apostoli e dalle
Lettere. La sua prodigiosa
esistenza e l' influenza da
lui esercitata sulla società
del tempo e sulla storia
dell'intera cristianità: un
fondamentale contributo
per capire, attraverso la
Chiesa delle origini, come
deve essere la Chiesa di
oggi.
Gerard-Henry
Baudry
IL CREDO
DI TEILHARD
L. 1400
Un'ampia sintesi di ciò in
cui credeva Teilhard de
Chardin, un autentico te-
stimone della fede catto-
lica.
Dalla sua eccezionale espe-
rienza, emerge l'impegno
costante per unificare ele-
menti che parevano incon-
ciliabili: passato e futuro,
fede e scienza, vita mistica
e vita nel mondo. Al di
là di ogni polemica, il vero
Teilhard de Chardin.
ozw Spett. SEI: Speditemi conuassegno (più spese postali)
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