Bollettino_Salesiano_201712

Bollettino_Salesiano_201712

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IL
DICEMBRE
2017
A tu per tu
La storia
di don Tom
Salesiani
nel mondo
Don Bosco
nella terra
di Gesù
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
B. F.
I bulli di Chieri
La storia
L’importante e bella amicizia tra Giovanni Bosco e Lui-
gi Comollo che durò cinque anni e fu spezzata dalla
morte di Luigi il 12 aprile 1839, è raccontata da don
Bosco nelle Memorie dell’Oratorio (Seconda decade
1835-1845 ).
Sono ormai una semplice stanza di un
condominio come tanti. Nessuno si
ricorda che ero un’aula scolastica onorata
e frequentata dal fiore della gioventù
chierese. Son passati quasi duecento
anni, credo, ma mi ricordo tante storie
di quei giovani.
Una in particolare.
C’era un giovane studente molto popolare. Era
agile, forte, intelligente. Un vero “capitano” della
scuola. Si chiamava Giovanni Bosco. Era anche
gentile e generoso. Sorprendente e meravigliosa
fu perciò la sua amicizia con il ragazzo più timi-
do e remissivo della scuola.
Quell’amicizia nacque in una delle tante gaz-
zarre a scuola. Entrando da me, i giovani più
squinternati si divertivano ad un gioco brutale.
Uno solo non vi partecipava. In disparte, in un
angolo, studiava serio. Insolita serietà che non
poteva passare inavvertita. Lo videro, lo chiama-
rono, lo invitarono al gioco. Rifiutò. Un ragaz-
zotto gli inflisse due sventole.
Mi accorsi che a Giovanni ribolliva il sangue
nelle vene. Aspettava che l’offeso si vendicasse
giustamente, tanto più che era più alto e più
forte. Invece niente. Con la faccia rossa, quasi
livida, la vittima diede uno sguardo di compas-
sione a quel farabutto e gli disse: «Sei contento?
Allora lasciami in pace. Ti perdono».
Giovanni Bosco, testimone della scena, mera-
vigliato da tanta pazienza e dolcezza, domandò
il nome di quel compagno: «Luigi Comollo».
Diventarono amici, e come accade nelle vere
amicizie, uno imparava dall’altro.
Luigi era troppo dolce e troppo inoffensivo per
non attirarsi altre brutalità. Ma da quel momen-
to le cose cambiarono. I primi ad accorgersene
furono i bulli.
Un giorno due ceffoni volarono sulla faccia di
Luigi. Non avevo mai visto il Giovanni Bosco
così arrabbiato. Si guardò attorno e, non poten-
do avere tra mano un bastone o una sedia, con le
mani afferrò uno di quei giovanotti per le spalle,
e usandolo come una clava cominciò a menare
botte agli altri. Quattro caddero a terra, abbat-
tuti come birilli, gli altri se la diedero a gambe
urlando».
Credete che il buon Luigi lo abbia ringraziato?
Macchè! Solo io sono testimone del saggio e
delicato rimprovero che gli sussurrò dopo quella
veemente esibizione di forza: «Basta, Giovanni.
La tua forza mi spaventa. Dio non te l’ha data
per massacrare i tuoi compagni. Perdona e resti-
tuisci bene per male, per favore».
Giovanni imparò così non solo come si perdona,
ma quanto sia importante dominare se stessi.
Non lo dimenticherà mai. E Giovanni Bosco
porterà sempre dovunque il soffio del mite e
nessuno saprà quanto gli costerà.
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Dicembre 2017

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IL
DICEMBRE 2017
ANNO CXLI
Numero 11
IL
DICEMBRE
2017
A tu per tu
La storia
di don Tom
Salesiani
nel mondo
Don Bosco
nella terra
di Gesù
Mensile di
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: Dicembre è il mese dell’attesa.
E degli occhi rivolti al Cielo (Foto iStock)
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Don Bosco nella terra di Gesù
12 LE CASE DI DON BOSCO
Molfetta
15 INIZIATIVE
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 A TU PER TU
Padre Tom
22 TEMPO DELLO SPIRITO
Vivi, ama, sogna, credi
24 L’INVITATO
L’ultimo testimone
27 LIBRI
28 FMA
30 I NOSTRI EROI
“Nascondi la tua croce”
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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24
30
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
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Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
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Emilia Di Massimo, Ángel
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Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Marcella Orsini, Giuseppe Pansini,
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O. Pori Mecoi, Ute Suppa, Christina
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Registrazione: Tribunale di Torino
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Il Natale Ho visto in tutto il mondo Salesiani che
difendono i ragazzi e i giovani dai tanti Erode
dei nostri giorni. E che continuano a sognare,
guidati dagli angeli, come don Bosco.
secondo don Bosco
Uno spettacolo così, i buoni torinesi del
1842 non l’avevano mai visto. Nelle ele-
ganti vie del centro città, un gruppetto di
ragazzi cantava una canzoncina natalizia
e a dirigerli c’era un prete! La musica era
un po’ ingenua, ma quei ragazzi la canta-
vano così affettuosamente da commuovere.
Don Bosco non aveva un posto per fare le prove
di canto con i ragazzi e così le faceva per le stra-
de. Quelle strade che i ragazzi conoscevano bene.
Anche la canzone era stata scritta sul davanzale
di una finestra.
Quei ragazzi vivevano
il Natale camminando,
come i genitori di Gesù che
avevano dovuto mettersi in
viaggio e da Nazareth spo-
starsi a Betlemme. E là spe-
rimentarono che cosa
significa essere in
terra straniera: per
loro non c’era
posto nell’albergo. Le case degli uomini erano
chiuse per loro.
Maria e Giuseppe condividono la sorte di molti
profughi e lavoratori stranieri, che cercano una
casa e vengono respinti, oggi come duemila anni
fa. Anche i ragazzi di don Bosco cercavano uno
spazio protettivo per poter crescere, lontano dai
pericoli. Don Bosco lo cercò insieme a loro e im-
pegnò la vita per trovarlo.
Nelle mie visite ai Salesiani del mondo, ho incon-
trato tantissimi ragazzi e giovani che trovano casa
e protezione nelle braccia e nell’affetto dei figli di
don Bosco. E ho visto in tutto il mondo ragazzi e
ragazze cantare felici insieme.
Gesù nacque in una stalla. Gli uomini non
l’avevano accolto, degli umili animali divisero
con lui il loro riparo. Don Bosco incominciò da
una tettoia sporca e malandata. La stalla, con la
nascita di Gesù, si riempì di luce, una luce calda e
tenera e tutto ciò che era povero e disprezzato di-
venne prezioso. E una mangiatoia per gli animali
divenne il trono dell’Altissimo.
La povera tettoia Pinardi avrebbe scoraggiato
chiunque. Testimoniò don Giovanni Battista
Francesia: «Quando don Bosco visitò per la pri-
ma volta quel locale, che doveva servire pel suo
oratorio, dovette far attenzione per non rompersi
la testa, perché da un lato non aveva che più di un
metro di altezza; per pavimento aveva il nudo ter-
reno, e quando pioveva l’acqua penetrava da tutte
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le parti. Don Bosco sentì correre tra i piedi grossi
topi, e sul capo svolazzare pipistrelli».
Ma per don Bosco era il più bel posto del mondo:
«Corsi tosto da’ miei giovani; li raccolsi intorno
a me e ad alta voce mi posi a gridare: – Corag-
gio, miei figli, abbiamo un Oratorio più stabile
del passato; avremo chiesa, sacristia, camere per
le scuole, sito per la ricreazione. Domenica, do-
menica, andremo nel novello Oratorio che è colà
in casa Pinardi. – E loro additava il luogo. Quelle
parole furono accolte col più vivo entusiasmo. Chi
faceva corse o salti di gioia; chi stava come immo-
bile; chi gridava con voci e, sarei per dire, con urli
e strilli» (MO, 168).
Perché Giovanni Bosco sognava. L’an-
gelo del Natale si manifesta in modo diverso nel
vangelo di Matteo. Qui non è lo splendore a cir-
condare la nascita. L’angelo appare a Giuseppe in
sogno. E gli ordina a nome di Dio di prendersi
cura di quel Bambino. L’angelo gli apparirà in
sogno altre volte ancora. E Giuseppe farà esatta-
mente quello che gli dirà, fino a quando il figlio
di Maria avrà raggiunto un’età in cui nessuno po-
trà più attentare alla sua vita.
Nei sogni, don Bosco è invitato a prendersi cura
dei ragazzi e dei giovani, ad aiutarli a crescere con
l’affetto e la bontà, a far sì che nessun Erode più
li insidi. Ho visto in tutto il mondo Salesiani che
difendono i ragazzi e i giovani dai tanti Erode dei
nostri giorni. E che continuano a sognare, guidati
dagli angeli, come don Bosco.
«Fate come i pastori»
Lascio che sia don Bosco stesso a concludere il
mio augurio natalizio. Nella “Buonanotte” che
precedeva una novena di Natale all’Oratorio
disse: «Domani incomincia la novena del santo
Natale. Due cose io vi consiglio in questi giorni.
Ricordatevi sovente di Gesù Bambino, dell’amore
che vi porta e delle prove che vi ha dato del suo
amore fino a morire per voi. Al mattino alzan-
dovi subito al tocco della campana, sentendo il
freddo, ricordatevi di Gesù Bambino che tremava
pel freddo sulla paglia. Lungo il giorno animatevi
a studiar bene la lezione, a far bene il lavoro, a
stare attenti nella scuola per amore di Gesù. Non
dimenticate che Gesù avanzava in sapienza, in età
e in grazia appresso a Dio ed appresso agli uomi-
ni. E sovra tutto per amore di Gesù guardatevi
dal cadere in qualsivoglia mancanza che possa
disgustarlo. Fate come i pastori di Betlemme: an-
date spesso a trovarlo. Noi invidiamo i pastori che
andarono alla capanna di Betlemme, che lo vide-
ro appena nato, che gli baciarono la manina, gli
offersero i loro doni. Fortunati pastori, diciamo
noi! Eppure nulla abbiamo da invidiare, poiché
la stessa loro fortuna è pure la nostra. Lo stesso
Gesù, che fu visitato dai pastori nella sua capanna
si trova qui nel tabernacolo. L’unica differenza sta
in ciò, che i pastori lo videro cogli occhi del cor-
po, noi lo vediamo solo colla fede, e non vi è cosa,
che possiamo fargli più grata, che di andare spes-
so a visitarlo. E in qual modo andare a visitarlo?
Primieramente colla frequente Comunione. Al-
tro modo poi è di andare qualche volta in chiesa
lungo il giorno, fosse anche per un sol minuto».
Ovunque c’è un’opera salesiana, ho visto chiese
piccole e grandi, ma tutte con l’immagine di Ma-
ria con il Bambino Gesù in braccio. Proprio come
a Betlemme duemila anni fa.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Fuga di cervelli stareinquestoPaeserappresenterebbe
un vero suicidio per chi non trovasse
sbocchi professionali e occupazionali.
Certo, fortunato è chi il lavoro lo trova
e la posizione se la crea attorniato da
Partire o restare? quellecondizionidivitachehoelenca-
to sopra che rendono la vita dell’indi-
viduo molto “gradevole”, ma purtroppo
non tutti hanno questa fortuna. In po-
che parole bisogna restare sicuramente
Se in altre parti del mondo il dilemma per eccellenza
ma, a mali estremi, partire. Consi-
glierei comunque di tornare in Italia
è “Essere o non Essere?”, in Italia il dilemma
che affligge gran parte della popolazione,
a tutti coloro che sono stati costretti a
lasciarla solamente quando le cose ini-
soprattutto quella giovanile, è “Partire o restare?”.
Che cosa ne pensano i giovani italiani a riguardo?
Lorenzo, 22 anni:
Non si tratta solamente di fuga
di cervelli, ma soprattutto di
“fuga di forza-lavoro”.
Purtroppo spostarsi oggi non rispec-
chia solamente una moda ma una
vera e propria necessità (se qualcuno
lo facesse per moda, sarebbe, a mio
parere, solo una minima percentuale).
Spostarsi, purtroppo, oggi, credo sia
una condizione quasi necessaria per
potersi realizzare e soprattutto per po-
ter iniziare a costruire la propria vita.
La fuga di cervelli è dettata prevalen-
temente dalle condizioni ostili in cui
questi “cervelli” sono costretti a vivere,
e non parlo solo di idee o di astrattismo
ma di lavoro, che è la cosa essenziale
per poter vivere. Non posso dir nulla
a riguardo delle altre Regioni d’Italia,
ma, essendo io calabrese, andarsene
dalla mia Regione non può che esse-
re una moda perché nel posto in cui
viviamo si gode dei migliori paesaggi,
del miglior cibo, del miglior clima, dei
migliori costi di vita e delle migliori
condizioni a 360 gradi rispetto ad altre
regioni d’Italia, e sarebbe da sciocchi
volersene andare. Non fraintendetemi,
ovviamente viaggiare serve. Quello
che cerco di dire è che se ci fossero le
condizioni economico-lavorative ade-
guate, nessuno se ne andrebbe via da
qui e la fuga di cervelli sarebbe molto
ma molto ridotta. Sono poi convin-
to che non si tratti solamente di fuga
di cervelli, ma soprattutto di “fuga di
forza-lavoro” nel senso letterale del
termine: fuga di braccia possenti capa-
ci di adeguarsi a lavori manuali anche
pesanti, braccia appartenenti spesse
volte persino a ragazzi laureati, ragazzi
disposti ad adeguarsi a qualsiasi condi-
zione pur di poter lavorare solo per po-
ter sopravvivere e andare avanti. Re-
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zieranno ad andare meglio, solamente
quando si riprenderà a vivere e non a
sopravvivere.
Alessandra, 21 anni:
Restare è fondamentale per
dimostrare che con l’impegno
e la passione si possono
raggiungere i propri obiettivi
anche senza fuggire.
Un paese non può crescere senza
la forza motrice che sono i giovani,
come l’economia non gira senza in-
vestimenti. Restare è fondamentale
per dimostrare che con l’impegno e
la passione si possono raggiungere
i propri obiettivi anche senza fug-
gire, per dimostrare che il nostro
paese ha ancora qualcosa da dare e
ognuno ha ancora qualcosa da dare
al proprio paese. Non si può nega-
re che dal punto di vista soprattutto
economico, tornare in Italia adesso
non è sicuramente la via più facile.
I laureati italiani sono considerati
esperti all’estero, vengono chiamati
a svolgere compiti importanti e ben
retribuiti (in particolare nel campo
scientifico e medico), mentre in pa-
tria sono enormemente sottovalutati.
Per questo la decisione di vivere per
sempre all’estero o fare ritorno, prima
o poi, non può che essere solo perso-
nale. Intraprendere e portare avanti
una carriera solida qui è complicato
e richiede un grande sforzo fisico e
mentale che solo chi crede ferma-
mente nelle proprie convinzioni può
sopportare. Tornare non è certo fa-
cile, ma chi dice che non sia giusto?
Nella, 26 anni:
Di certo nessuna delle due scelte
esclude difficoltà, sacrifici,
impegno, forza e coraggio,
ma ciò che più conta è non
perdere mai di vista l’obiettivo.
Penso che il merito dell’Italia sia
quello di essere un grande paese
esportatore di talenti, ma non quello
di essere una meta ambita dai vicini
esteri, e si neghi, così, la possibilità
di accumulare risorse, andando in-
contro a una rilevante perdita in ter-
mini economici e di capitale umano.
Stando a ciò credo che i motivi per
restare, poiché costretti a respirare
un clima soffocante, non siano più
forti e non predominino su quelli che
spingono noi giovani a lasciare le no-
stre famiglie, il nostro Paese in cerca
di un futuro. Di certo nessuna delle
due scelte esclude difficoltà, sacri-
fici, impegno, forza e coraggio, ma
ciò che più conta è non perdere mai
di vista l’obiettivo che ognuno di noi
si è prefissato. In una società dove il
mercato del lavoro è fortemente in-
ternazionalizzato e il Dio Denaro ha
preso il sopravvento, la necessità di
emigrare all’estero è diventata una
scelta quanto mai normale. Penso ai
tanti casi di suicidi avvenuti negli ul-
timi quattro anni nel nostro Paese;
una strage silenziosa che ha registra-
to un’accelerazione con l’esplosione
della crisi economica. Dunque, il pri-
mo consiglio lo darei alle istituzioni
che rappresentano l’Italia, affinché
non rimangano impassibili di fronte
a tutto ciò e affinché si mobilitino
per un cambiamento, per una scossa
in positivo, provvedendo ad incenti-
vare e concretizzare gli obiettivi dei
giovani che sono la società di do-
mani. Infine il consiglio che darei a
chiunque, a prescindere che si tratti
di qualcuno che è partito per l’estero
o che è rimasto in Italia o che an-
cora sta intraprendendo una carriera
da studente, è quello di trovare ogni
giorno il coraggio, l’entusiasmo e gli
stimoli giusti per affrontare la miria-
de di scogli che la vita riserverà sem-
pre a ciascuno di noi, anche quando
appaiono insormontabili.
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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON - info@missionidonbosco.org - www.missionidonbosco.org
Don Bosco
nella terra
di Gesù
Viaggio nelle opere salesiane
presenti in Israele e Palestina.
«Noi qui ci impegniamo a far
crescere una nuova generazione».
Nazareth
Nazareth è la città simbolo della vita umana che
sboccia. Il pensiero che su quel terreno la Vergine
Maria ha camminato, ha giocato, ha lavorato, si
è innamorata di Giuseppe ed ha detto sì al ma-
trimonio con lui, fa’ venire i brividi. Proprio nella
parte alta della cittadina, visibile a chiunque arri-
vi dalla pianura di Esdrelon, noi salesiani abbia-
mo un bellissimo istituto scolastico.
I quattro salesiani della comunità di Nazareth
vengono da paesi diversi: il direttore è italiano di
origine vicentina, l’economo è indiano, l’incaricato
dell’Oratorio è libanese e poi c’è un sacerdote spa-
gnolo che sta imparando l’arabo per potersi inseri-
re attivamente nella pastorale giovanile salesiana.
I salesiani gestiscono una grande scuola con circa
500 studenti, che vanno dalla primaria al liceo
tecnologico con diversi settori professionali. Gli
studenti sono di nazionalità arabo-israeliana, in
gran parte musulmani, e per la restante parte
sono cristiani. È la migliore scuola di tutta la Ga-
lilea. Le iscrizioni sono sempre molto superiori
ai posti disponibili, tanto che è necessaria una
selezione all’ingresso. Gli studenti poi che ter-
minano la maturità presso la nostra scuola vanno
nelle più prestigiose università tecniche (soprat-
tutto ingegneria) di Israele, e d’Europa, compreso
il Politecnico di Torino. È commovente sentire la
testimonianza dei giovani, specialmente dei mu-
sulmani, che definiscono don Bosco un “padre,
maestro ed amico”.
Offrire loro comunque una seria preparazione
affinché nella vita possano inserirsi al meglio
nel campo del lavoro e così mantenere le radici
nel proprio paese senza ascoltare la “sirena” che
li invita ad emigrare per evitare tutte le piccole
umiliazioni e continue sottolineature che appar-
tengono ad una minoranza, crediamo sia per noi
salesiani, un buon e serio motivo per stare lì dove
la Provvidenza ci ha chiamato.
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Betlemme
Anche noi come Maria siamo scesi dalla Galilea
alla Giudea e ora ci troviamo a Betlemme. A Na-
zareth Maria concepisce il figlio e a Betlemme,
nove mesi dopo, lo dà alla luce. A Betlemme sia-
mo ospiti in casa salesiana. Una casa molto bella
e particolare. Si tratta di un grande edificio tutto
costruito in pietra bianca a metà dell’Ottocento,
come orfanotrofio, da don Antonio Belloni. Era
un prete diocesano originario della Liguria che si
era trasferito per il suo ministero pastorale nel Pa-
triarcato Latino di Gerusalemme e che, sensibile
ai giovani poveri ed abbandonati, aveva iniziato a
mettere in atto per loro le medesime attività che
a Torino stava iniziando a fare anche don Bosco.
Don Belloni raccoglie attorno a sé altri sacerdo-
ti che desiderano donarsi totalmente ai giovani
orfani, ma sente parlare anche di don Bosco e di
quanto la congregazione salesiana inizia a svolge-
re non solo in Piemonte, anche in Francia, Spa-
gna, Argentina.
Intuisce la portata dell’opera iniziata da don Bo-
sco e, con grande amore per i giovani e umiltà,
chiede di poter diventare salesiano lui e i suoi
sacerdoti che aiutavano i ragazzi poveri. Ci vuo-
le fede, coraggio ed amore sincero per staccarsi
dalla propria creatura per affidarla ad altri che
la possano far crescere. Don Belloni scrive di-
rettamente a don Bosco invitandolo ad inviare i
suoi salesiani in Palestina, che a quel tempo era
territorio sotto il protettorato inglese. Non sarà
don Bosco ad esaudire la richiesta del Belloni, ma
il suo successore, don Rua. I salesiani arrivano a
Betlemme nel 1891 e subito don Belloni chiede di
far parte della congregazione salesiana e apporta
al servizio dei figli di don Bosco il bello e gran-
de orfanotrofio che aveva costruito nel 1863, con
l’annessa chiesa del Sacro Cuore.
Da allora i salesiani non hanno più abbandonato
questo luogo così particolare e suggestivo per la
cristianità intera. Dall’orfanotrofio si è passati alla
scuola professionale, che funziona tutt’ora e che
prepara i giovani palestinesi al lavoro, e all’oratorio
salesiano com’è tipico di ogni opera di don Bosco.
La casa del pane
L’etimologia del nome Betlemme significa “casa
del pane” e per una felice coincidenza di fatti noi
salesiani a Betlemme abbiamo un panificio. Che
strano, direte voi. Effettivamente le cose nel tempo
Per offrire
occasioni di
lavoro ai giovani
palestinesi,
i salesiani hanno
aperto a Betlemme
un laboratorio
artistico per
oggetti ricordo
e soprammobili.
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SALESIANI NEL MONDO
La bottega
“show room”
del laboratorio
raccoglie oggetti
di assoluto buon
gusto e preziosità.
sono andate così. Dal tempo dell’orfanotrofio, che
accoglieva fino a cento bambini, per risparmiare
sul costo del vitto, funzionava dentro la casa un
piccolo forno per il pane. Il forno gestito da un
salesiano coadiutore continua a funzionare sempre
per l’uso interno, prima dell’orfanotrofio e poi del-
la comunità salesiana e della scuola.
Durante il periodo della seconda Intifada, all’ini-
zio degli anni 2000, nei periodi di più forte scontro
tra palestinesi e israeliani, il coprifuoco imposto
dall’autorità israeliana aveva portato alla fame la
popolazione locale di Betlemme, che non poteva
uscire di casa per andare a comprarsi da mangiare.
I salesiani hanno il forno, hanno sacchi di farina
in dispensa, la gente ha fame... non si può stare
a guardare volgendo lo sguardo dall’altra parte.
Cominciano a produrre molto più pane di quanto
ne serve al fabbisogno interno e, approfittando dei
cortili interni e dei passaggi nascosti fra casa e casa,
il pane arriva alle porte delle famiglie più povere.
Intanto la farina cala rapidamente, ma quando or-
mai sta per finire il clima politico si stempera e ci
si può muovere nuovamente per approvvigionare
altra farina... la fame è stata scongiurata! Da allora
il forno di Betlemme gestito direttamente dai sa-
lesiani non ha più smesso di produrre pane per la
popolazione locale. È diventato un negozio a tutti
gli effetti, il più rinomato panificio di Betlemme.
Perché nel frattempo dall’Italia sono scesi maestri
panificatori che hanno insegnato a produrre diver-
si tipi di pane e, con l’aiuto delle Procure Missio-
narie salesiane, si è potuta rinnovare l’attrezzatura.
Oggi il forno dei salesiani impiega cinque operato-
ri a tempo pieno che lavorano ogni notte quintali
di farina e al mattino, già dalle sei, apre il negozio
che vende il pane fino a quando ce n’è... alle dieci,
massimo alle undici del mattino, il negozio chiu-
de perché ha venduto tutto il pane fresco prodotto
in giornata. Ben quattordici tipi di pane, davvero
squisito!
Non si sono però dimenticati dei poveri. Il con-
tatto con le famiglie bisognose, generato nel pe-
riodo dell’Intifada, ha portato a stilare un elenco
di poveri che ogni giorno ricevono il pane ad un
prezzo simbolico, qualcuno lo riceve quotidia-
namente gratis. E sono un terzo di tutti i clienti
del panificio. Il ricavato del pane venduto ogni
giorno permette di pagare i salari dei lavorato-
ri, coprire le perdite generate dal pane donato ai
bisognosi e contribuire anche all’economia della
casa salesiana. Davvero i salesiani a Betlemme
sono buoni... come il pane!
Gerusalemme
In questa città, unica al mondo per tanti motivi,
ma sicuramente per essere la città santa per le tre
grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesi-
mo e islam, noi salesiani abbiamo uno studentato
teologico internazionale. È una casa di formazio-
ne per i salesiani che si preparano al sacerdozio.
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Attualmente sono 39 i giovani che si preparano
al ministero sacerdotale nello studentato di Rati-
sbonne. Il nome di Ratisbonne viene dal cogno-
me francese del fondatore di questo bell’edificio,
in centro a Gerusalemme, che la Santa Sede ci ha
dato in gestione dal 2004. Le lezioni di teologia e
Sacra Scrittura sono frequentate anche da religio-
si di altre congregazioni più piccole della nostra
che, non disponendo di un proprio studentato, si
appoggiano alla nostra struttura formativa per il
cammino di preparazione al sacerdozio.
Un po’ in periferia dalla città di Gerusalemme,
in territorio appartenente alla Palestina, ma peri-
colosamente circondata dal muro che Israele con-
tinua a costruire per delimitare i propri confini,
abbiamo un’altra opera nella valle di Cremisan. È
stata quest’opera per lunghissimo tempo la casa di
formazione dei salesiani in Terra Santa, cioè fino
al trasferimento del teologato a Ratisbonne. La
casa di Cremisan si trova al centro di una vasta
estensione di terreno agricolo coltivato a vigneto
ed uliveto. Vi si produce dell’ottimo vino bianco
e rosso, che ha preso anche dei premi a livello in-
ternazionale. L’olio poi è di una qualità superiore
e la spremitura a freddo ne garantisce il sapore e
l’integrità fino alla tavola. Cremisan quindi non
è solo sinonimo di spiritualità e cammino di for-
mazione, ma è anche una bella azienda agricola.
È bello terminare con le parole di Khader, un
musulmano che lavora nella casa salesiana di
Betlemme: «Noi qui ci impegniamo a far cresce-
re una nuova generazione, più istruita, più con-
sapevole: ragazzi e ragazze capaci di camminare
mano nella mano. Certamente esistono differen-
ze tra musulmani e cristiani, tuttavia possediamo
principi comuni: la moralità, la legge di Dio».
I giovani che
gestiscono il
laboratorio di
Betlemme. Anche
qui i salesiani
cercano di
costruire speranza.
Dicembre 2017
11

2.2 Page 12

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LE CASE DI DON BOSCO
GIUSEPPE PANSINI
Molfetta
Fede, semplicità, allegria e cortile. Questi sono
gli ingredienti che da sempre caratterizzano
l’opera salesiana di Molfetta. Presente
sul territorio da ben 70 anni, l’opera respira,
vive e si nutre della presenza e del carisma
di don Bosco grazie all’impegno costante,
fedele ed instancabile dei suoi figli salesiani.
L’allegria e il
sorriso dei
ragazzi segnano
l’identità salesiana
dell’opera di
Molfetta.
E ra il 1884 quando il canonico Lorenzo
Apicella aveva chiesto, con una lettera
direttamente a san Giovanni Bosco, di
mandare i suoi Salesiani per gestire l’I-
stituto Apicella per sordomuti di Mol-
fetta. I nostri fratelli più sfortunati erano
seguiti, oltre che nell’Istituto molfettese, anche
a Napoli.
Quella lettera, alla quale don Bosco in persona
risponderà “per ora non possiamo”, fu invece una
promessa. I Salesiani
arrivarono molti anni
più tardi; era il 1945,
quando su sollecita-
zione di monsignor
Achille Salvucci, ve-
scovo di Molfetta, ap-
prodò nella nostra città
un sacerdote salesiano, mandato per creare la fu-
tura Opera di Molfetta.
Tra mille difficoltà, don Giuseppe Piacente, ni-
pote del Presidente della Regione Sicilia, ebbe il
difficile compito di realizzare dal nulla un gran-
de sogno di don Bosco.
Un grande pranzo
Per l’insediamento, il vescovo Salvucci scelse un
quartiere periferico della città, il Rione Sedelle-
Tombino, dove don Piacente riuscì a mettere in-
sieme tante sinergie: giovani, adulti, cooperatori
con lo scopo di far conoscere l’opera educativa
di san Giovanni Bosco anche a Molfetta. Tra le
tante iniziative di don Piacente, ci piace ricor-
dare il primo pranzo offerto per un centinaio di
12
Dicembre 2017

2.3 Page 13

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giovani. Erano gli anni del secondo dopoguerra
e la situazione finanziaria delle famiglie era di-
sastrosa.
In realtà, l’ammirazione per il Santo dei giova-
ni era già molto sentita a Molfetta prima di quel
6 novembre 1945. Si racconta, per esempio, che
ci fosse un sacerdote diocesano, il canonico don
Giuseppe Pansini, che aveva fatto l’abbonamen-
to al Bollettino Salesiano, proprio per seguire le
tante attività della Congregazione. All’interno
del Seminario Vescovile, inoltre, era nato il Ri-
creatorio don Bosco in quanto si riteneva che don
Bosco fosse un riferimento importante anche per
le vocazioni al sacerdozio. Insomma, l’impegno
del Santo dei giovani non era passato inosservato.
L’avvio dell’Opera fu molto difficile. Tuttavia,
pur tra mille problemi, nel 1953 il sogno si fece
realtà. Una chiesa non completa nelle strutture
dedicata al Patrono della Chiesa Universale, san
Giuseppe, prese vita. Ci furono anche le prime
vocazioni molfettesi e la presenza salesiana si av-
vertiva forte in città.
Non è un caso che ben presto questa presenza
salesiana si tradusse in edifici scolastici intito-
lati a santi salesiani, come la scuola media san
Domenico Savio o la scuola elementare san Gio-
vanni Bosco. Nella città marinara di Molfetta,
che contava la terza flotta peschereccia dell’A-
driatico, fu varato anche un peschereccio intito-
lato a don Bosco.
Da don Piacente, si sono avvicendati tanti sale-
siani, tanti laici cooperatori, exallievi, che hanno
contribuito a realizzare e rafforzare questa grande
Opera. Il culto per Maria Ausiliatrice, la nasci-
ta dell’associazionismo salesiano, le polisportive
giovanili e l’Oratorio Salesiano sono solo alcune
facce di questa medaglia.
Oggi, l’Opera di Molfetta dispone oltre che
di una bella Chiesa, anche di un teatro-audi-
torium, di una palestra, di un campo sportivo
regolamentare e di tanti ambienti dove si sono
formati giovani.
L’opera di
Molfetta offre
teatro, palestra,
campi sportivi,
ma soprattutto
cordialità,
accoglienza
e parole di
entusiasmo,
coraggio e fede.
A tutto clacson
È curioso che tra gli eventi da segnalare nella sto-
ria di questi settant’anni di presenza salesiana a
Molfetta, ce ne siano alcuni, che per la loro origi-
nalità ci piace in questa sede raccontare.
Per far conoscere negli anni Ottanta la figura
di don Bosco, si pensò a una processione con le
macchine. Un quadro che lo raffigurava fu col-
locato su di una autovettura seguito da tantissi-
me altre auto che, con i clacson, inneggiavano al
Santo dei giovani. Chi scrive ha vissuto in prima
persona questa esperienza, voluta dall’allora di-
Dicembre 2017
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2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
L’opera dei
Salesiani a
Molfetta è
un punto di
riferimento per
la città e per la
diocesi.
rettore don Pietro d’An-
giulli, e posso assicurare
che l’effetto benefico fu
notevole. Molti si chie-
devano chi fosse la figura
rappresentata nel quadro,
altri corsero in parrocchia
per capire che cosa stesse
avvenendo. Il risultato fu la
curiosità di molti di cono-
scere la vita e il carisma di
san Giovanni Bosco.
Le iniziative in questi anni
sono state tante, dalla Stra-
donBosco, marcialonga non
competitiva per le strade di Molfetta, alla Sa-
vio in Bici che attualmente si svolge nel mese
di maggio. Tornei, conferenze su tematiche di
grande attualità, Falò della Stampa cattiva, re-
cital, momenti di socializzazione per i giovani
e tante altre. Come nella tradizione voluta da
don Bosco, lo sport, il teatro e le varie attività
culturali diventarono le attrazioni principali
con cui i salesiani poterono avvicinare i gio-
vani di Molfetta alla fede e al carisma di don
Bosco.
L’Opera Salesiana di Molfetta,
attualmente animata dalla co-
munità salesiana, diretta da don
Giovanni Monaco, è un punto
di riferimento per la città e per
tutto il territorio diocesano. Un
evento che ha rafforzato ancor
di più il rapporto dei giovani
con don Bosco è stato quello
dell’arrivo a Molfetta dell’Ur-
na di don Bosco il 30 settem-
bre e 1° ottobre 2013; una
visita che l’intera città ha vis-
suto con profonda emozione.
Alle numerose celebrazioni,
si sono uniti anche i tanti giovani del Pontificio
Seminario Regionale Pio XI di Molfetta.
Tante vocazioni sono nate in quest’Opera e tra
queste non si può non annoverare quella del car-
dinale Angelo Amato, che proprio grazie a don
Piacente ebbe modo di conoscere don Bosco.
Questi anni sono stati un pullulare di eventi e
manifestazioni, di momenti di approfondimento
e di festa nel nome del Santo dei Giovani, ormai
entrato nella storia della città di Molfetta e della
sua Diocesi.
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2.5 Page 15

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INIZIATIVE
A cura di MARCELLA ORSINI - FONDAZIONE DON BOSCO NEL MONDO
Il sangue dei bambini
nei nostri cellulari
La XXV Edizione del Concerto di Natale,
organizzato dalla Fondazione don Bosco nel mondo,
che andrà in onda su Canale 5 la sera della Vigilia,
ha come obiettivo di liberare dallo sfruttamento
4000 bambini e adolescenti del Congo.
In Congo, una guerra crudele ha generato milioni di rifugiati e la
violazione dei diritti umani fondamentali anche di bambini e ragazzi,
molti dei quali finiti nella morsa dello sfruttamento e della violenza.
Insieme a ex agricoltori e allevatori, sfollati e altre componenti della
popolazione più vulnerabile, vengono utilizzati per l’estrazione di oro
e altri minerali, come il coltan che serve alla produzione dei cellulari.
I bambini lavorano sotto il rigido controllo militare, sotto minaccia e con
nessuna protezione per le mani e le vie respiratorie, in un vero e proprio
stato di schiavitù.
Si stima che ogni chilo di coltan estratto costi la vita a due bambini. Cau-
sa della morte sono le frequenti frane. I bambini “reclutati” per questa
forma di sfruttamento estremo abbandonano la scuola, vivono nelle aree
boschive e sono esposti a qualsiasi violenza e privazione.
Nel Nord Kivu, Sud Kivu e Katanga i Salesiani di don Bosco offrono la
loro opera missionaria nella lotta allo sfruttamento del lavoro minorile.
Quest’anno la Fondazione don Bosco nel mondo affiancherà i Salesiani
dello Stato africano con la realizzazione del progetto “Lotta allo sfrutta-
mento dei bambini lavoratori nelle miniere della Repubblica Democrati-
ca del Congo Orientale”.
Il progetto è legato alla XXV Edizione del Concerto di Natale che
andrà in onda su Canale 5 la sera della Vigilia, e intende raggiungere
tra beneficiari diretti e indiretti 4000 bambini e adolescenti attraverso
accoglienza, istruzione, formazione professionale e riabilitazione all’in-
terno dei centri salesiani.
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MONDO
2
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
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GHANA 1
FINO AI CO
Il bambino che
ha imparato a ridere
Shata è un ragazzo di strada
che è stato abbandonato alla nascita dai genitori quando
si resero conto che era disabile. Shata non parla inglese,
ma capisce la lingua locale e riesce a farsi capire. Ha una
deformazione alla testa e problemi alle gambe, ma corre
e salta come qualsiasi bambino. È stato incontrato e tolto
dalle strade di Sunyani da don “Uba”, come viene chiama-
to da centinaia di ragazzi il salesiano Ubaldino Andrade.
Don Andrade ha dato inizio quest’anno ad una nuova
tappa nella vita della “Don Bosco Boys Home”, l’opera
salesiana di cui è Direttore, una casa per i ragazzi di
strada di Sunyani. “Ogni ragazzo – dice don Andrade –
è come un libro in cui la copertina è già attraente e ogni
capitolo mi coinvolge sempre più man mano che conosco
le loro vite e mi raccontano le loro gioie e dolori, i loro
piani, le loro speranze e i loro sogni”.
Da quando si conoscono, Shata si è fatto volere bene per
la sua generosità. “Più di una volta l’ho visto condividere
con i suoi compagni ciò che ha, e quando ritorna dalla
scuola, si cambia i vestiti
e pulisce tutto quello che
trova, senza che nessuno
glielo chieda” racconta il
salesiano.
“Shata – prosegue il
religioso – ha un tesoro:
è un piccolo specchietto
spezzato, non più grande del palmo della sua mano e lo
cura come se fosse la cosa più preziosa del mondo. Mi
ero proposto di farlo ridere e ci sono riuscito, non senza
sforzo”.
Poche settimane fa, don Andrade ha accompagnato
Shata nella città in cui era stato abbandonato inizialmen-
te, per individuare sua madre e avere qualche documento
che dimostrasse la sua età. Con sorpresa del salesiano,
“molte persone lo hanno riconosciuto e sono rimasti
sorpresi, forse perché lo consideravano morto. Shata li ha
riconosciuti e li ha salutati”.
BELGIO 2
Saidi, un bambino rifugiato afghano
Saidi ha 14 anni e un anno fa ha lasciato la sua casa a
Kabul, Afghanistan. Ha fatto di tutto per fuggire dai
talebani. Ha viaggiato migliaia di chilometri ed ha
attraversato il mare. Non si domandava dove andare.
Oggi Saidi è assistito dal programma per minori non
accompagnati dell’Istituto Don Bosco di Tournai,
Belgio. “Qui i giovani rifugiati trovano un posto dove
vivere, ricevono cibo, vestiti, attenzioni e, la cosa più
importante, educazione”, spiegano i salesiani. “Ricevono
corsi di francese e inglese, matematica, scienza, educa-
zione fisica, musica, disegno… I più grandi vogliono un
lavoro subito e la maggior parte vuole vivere in Belgio”,
spiega Flore Dubois, insegnante dell’Istituto. Il cammi-
no dei giovani rifugiati come Saidi non è facile. Deve
confrontarsi con una cultura e costumi diversi. Tutta-
via “la maggior parte dei giovani arriva con la voglia
di apprendere e di aiutare”, spiega l’insegnante Annie
Michel.
“Vorrei non aver mai dovuto abbandonare il mio paese.
Ma senza dubbio sono molto grato per le opportunità che
mi stanno dando”, conclude Saidi.
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Dicembre 2017

2.7 Page 17

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BENIN 3
Migliori opportunità per i bambini
di strada di Cotonou
REPUBBLICA DEMOCRATICA
DEL CONGO 4
Il bambino e la piroga
Il Benin è uno dei paesi più poveri del mondo: più del
30% della sua popolazione vive al di sotto della soglia di
povertà. Nonostante sia uno dei modelli più forti della
democrazia in Africa occidentale, il Benin deve ancora
sviluppare progetti che proteggano i diritti del bambino.
I salesiani continuano a contribuire all’educazione. Nella
casa “Mamá Margarita”, i bambini possono dormire,
avere una formazione che permette loro di migliorare le
possibilità e di sentirsi al sicuro. Grazie ad un progetto
sviluppato in altre parti del mondo, è stato attrezzato il
laboratorio per la cucitura e per la meccanica di motoci-
cli, che sta funzionando e offre una formazione professio-
nale che consente loro di entrare nel mondo del lavoro e
migliorare le loro condizioni di vita. Le camere sono state
anche attrezzate per aumentare la capacità di presenza
durante la notte.
“Solidaridad Don Bosco” ringrazia le istituzioni e le
persone che hanno collaborato alla campagna “Cambia la
storia”. “Continueremo a lavorare con i salesiani di Co-
tonou per rispondere a questa complessa situazione che
tanti bambini vivono in Benin”, hanno sottolineato.
Ci sono tre bambini rimasti orfani di madre e abbando-
nati dal padre; c’è Bora, una giovane che in 28 anni di
vita ha affrontato più sfide di quante capitino normal-
mente in una vita intera; ci sono i Pigmei Bambuti, che
pur essendo i più antichi abitanti della regione, quando
venne creato il Parco Nazionale di Kahuzi Biega, dichia-
rato Patrimonio dell’Umanità dall’
, sono stati
espulsi e ora vivono ai margini: c’è tanta povera gente che
abita nelle aree rurali vicino Bukavu, dove Lydie Maso-
ka, una Salesiana Cooperatrice, ha fondato con alcuni
amici l’associazione “Mwana Bwato” (che in lingua locale
significa “il bambino e la piroga”).
Racconta Lydie: “Se ci prendiamo cura del bambino
come di una piroga, il bambino svilupperà le sue qualità,
potrà attraversare il lago della vita, svolgere attività utili
a lui e agli altri”.
Come prima cosa Lydie, con il sostegno a distanza del
Centro Don Bosco, ha aiutato i bambini della scuola
elementare e media, che non avrebbero finito l’anno sco-
lastico a causa della povertà delle loro famiglie, incapaci
di pagare le tasse scolastiche. “I bambini non hanno un
abito pulito, non hanno tutti i quaderni, spesso capita che
l’uno o l’altro svenga in classe per la fame, ma fanno di
tutto per finire l’anno scolastico ed essere promossi”.
Dicembre 2017
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
HARRIS PAKKAM
La storia di don Tom
Con Gesù
nel bagagliaio
dell’auto AssegnatoadonTom
il Premio Madre
Teresa 2017
Quei militanti dell’Isis
avevano un solo scopo:
strappare ogni minima
traccia di cristianesimo.
«Aden, Yemen. Era il
4 marzo 2016, ve-
nerdì. Dopo l’ado-
razione eucaristica
e la benedizione
eucaristica mattu-
tine per le cinque suore, ho fatto cola-
zione. Poi ho passato un po’ di tempo
nella cappella in preghiera personale.
Verso le ore 8.40, appena uscito dalla
casa delle suore, ho sentito un colpo
di pistola e quasi immediatamente
dopo uno degli aggressori mi ha bloc-
cato le mani e gli ho detto di essere
indiano. Mi ha fatto sedere su una
sedia, vicino alla sala di sicurezza, vi-
cino alla porta principale dell’istituto.
Le sorelle erano già ai loro posti di
lavoro con gli anziani. Il capo degli
aggressori è andato dove loro lavo-
ravano ed è tornato con due suore;
quindi è andato di nuovo a cercare ed
è tornato indietro con altre due suore,
che ha lasciato vicino al cancello prin-
cipale. È andato e ha cercato ancora la
quinta suora, ma non è riuscito a rin-
tracciarla. Quindi è tornato vicino al
cancello principale, dove aveva lascia-
to due suore, le ha portate fuori dalla
mia vista e ha sparato loro; è tornato
e ha preso le altre due suore che erano
vicino a me e le ha uccise. Tutto que-
sto è avvenuto all’interno dell’istituto.
Ho solo pregato Dio di essere miseri-
cordioso con le sorelle e di avere pietà
dei persecutori. Non ho pianto, né ho
avuto paura della morte.
Poi mi ha preso e mi ha messo nel ba-
gagliaio della macchina, che era par-
cheggiata vicino all’istituto delle suo-
re, e ha chiuso il portellone. Quindi è
entrato nella cappellina della casa, ha
preso il tabernacolo con il Santissimo
e lo ha gettato nel bagagliaio dell’au-
to, dove ero rinchiuso anch’io. E mi
hanno portato via così».
Così racconta padre Tom, spossato
dalla lunga prigionia, ma incredibil-
mente sereno.
Nel 2015, il paese più ricco del mon-
do arabo, l’Arabia Saudita, è entrato in
guerra con il paese più povero del mon-
do arabo. Da allora lo Yemen, con una
popolazione di 25 milioni di abitanti, è
stato sostanzialmente distrutto. Le Na-
zioni Unite hanno rilevato passo passo
la portata della tragedia. I numeri sono
sbalorditivi. Questa guerra ha provoca-
to la morte di più di 20mila persone, di
18
Dicembre 2017

2.9 Page 19

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cui almeno la metà civili. Il numero dei
feriti non può essere precisato perché
metà degli ospedali e dei centri medici
dello Yemen non sono operativi.
Nel frattempo il Consiglio di sicu-
rezza delle Nazioni Unite ha taciuto
sull’assedio medievale che ha stran-
golato il popolo yemenita, e nessuna
delle numerose risoluzioni dell’Onu
ha condannato l’Arabia Saudita per
la sua guerra e per l’embargo imposto
allo Yemen che in pratica lo condanna
a un genocidio.
Come tutte le mattine, le suore hanno
ascoltato la messa e poi hanno fatto co-
lazione. Secondo consuetudine, il sa-
cerdote è rimasto in cappella a prega-
re, e poi ha iniziato a sistemare le cose
rimaste in sospeso nella struttura. Alle
8 del mattino le suore hanno recitato
l’apostolato della preghiera secondo le
intenzioni e poi si sono dirette verso
la casa di accoglienza. Alle 8.30 un
gruppo di miliziani dello Stato islami-
co vestiti di blu hanno fatto irruzione,
uccidendo una guardia e l’autista.
Cinque giovani etiopi, di religione
cristiana, hanno iniziato a correre in
direzione delle suore per dire loro
che membri dell’Isis avevano fatto
irruzione ed erano lì per ucciderle. I
cinque sono stati uccisi uno ad uno.
I miliziani li hanno legati agli alberi,
gli hanno sparato alla testa e poi gli
hanno fracassato il cranio a colpi.
Le suore hanno iniziato a correre, a
due a due, in direzioni diverse dato
che all’interno della struttura vi era-
no in quel momento ospiti uomini e
donne. Quattro donne che lavoravano
nel ricovero hanno iniziato a urlare:
“Non uccidete le suore! Non uccidete
le suore!”. Una di loro è stata la cuo-
ca per 15 anni del centro. I miliziani
hanno ucciso anche loro.
Essi hanno preso per prime suor Ju-
dith e suore Reginette, le hanno legate,
hanno sparato loro alla testa e hanno
fracassato loro il cranio. Mentre le suo-
re correvano in direzioni diverse, la su-
periora è corsa all’interno del convento
per cercare di avvertire padre Tom.
In un secondo momento hanno cat-
turato suor Anselm e suor Margue-
rite, le hanno legate, hanno sparato
loro alla testa e poi le hanno sepolte
sotto la sabbia.
I miliziani dell’Isis volevano accede-
re al convento, per questo suor Sally
Il racconto di suor Sally
Unica sopravvissuta, suor Sally, la su-
periora, ha raccontato l’attacco, le vio-
lenze dei miliziani, le violenze perpe-
trate in nome e a causa della fede.
Il momento felice dell’incontro tra don Tom
e il Rettor Maggiore.
Dicembre 2017
19

2.10 Page 20

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A TU PER TU
ha cercato riparo nella cella frigorife-
ra, perché in quel momento la porta
era aperta. Vi erano membri dell’Isis
dappertutto, in cerca della superiora,
perché sapevano che le suore presen-
ti nella struttura erano cinque. Sono
entrati almeno tre volte nella stanza
frigorifera. Suor Sally non si è nasco-
sta, ma è rimasta in piedi, dietro la
porta, e loro non l’hanno mai vista.
Questo è un vero e proprio miracolo.
Nel frattempo, al convento, il sacer-
dote, sentendo le urla, ha consuma-
to tutte le ostie. Egli non ha avuto il
tempo di far sparire anche l’ostia più
grande e ha disperso l’olio della lam-
pada gettandolo nell’acqua. Un vici-
no ha visto gli assalitori gettare padre
Tom all’interno della loro auto. E di
lui non si è più ritrovata alcuna traccia.
Tutto il materiale sacro e gli oggetti di
carattere religioso erano gettati a terra
e distrutti – la Madonna, il crocifisso,
l’altare, il tabernacolo, il sostegno per
il libro delle letture – e anche i libri di
preghiera e le Bibbie, completamente
devastate. Suor Sally ha raccontato che
padre Tom diceva loro ogni giorno:
“Siamo pronti al martirio”.
Aden è una città portuale e ricca, vo-
leva crearsi una propria autonomia
statale e amministrativa, per questo
i sauditi hanno favorito l’ingresso
dei miliziani dell’Isis per combat-
tere contro le autorità dello Yemen.
Ecco perché l’Isis ha vinto ad Aden.
Questo è stato il risultato della guer-
ra dello scorso anno, con tutti quei
bombardamenti. Hanno vinto, è fi-
nita così, ma l’Isis non se ne andrà.
Essi vogliono impadronirsi del potere
e sradicare la presenza cristiana. Essi
non hanno ucciso le suore nel conte-
sto della guerra, perché non avevano
alcun interesse politico a perdere tem-
po con loro. Ma oggi, che sono l’unica
presenza cristiana, l’Isis vuole sbaraz-
zarsi di ogni minima traccia o pre-
senza della cristianità. Ecco perché le
suore sono delle vere martiri, perché
sono morte per il solo fatto di essere
cristiane. Avrebbero potuto morire
molte volte durante la guerra, ma Dio
ha voluto così perché fosse chiaro che
esse sono delle martiri per la fede.
Suor Rio racconta che suor Sally si
è completamente lasciata andare. La
polizia ha cercato di farla andare via,
perché i miliziani resteranno sulle sue
tracce fino a che non l’avranno ucci-
sa. Si è lasciata andare e ha detto a
suor Rio che Dio faccia di lei ciò che
vuole. Ha detto anche che gli altri
musulmani le trattavano con rispetto.
Ha detto anche di pregare perché il
loro sangue sia germoglio di pace per
il Medio oriente e perché serva a fer-
mare l’Isis.
Ha detto anche che se hanno rapito
padre Tom di aspettare un paio di
Le suore di Madre Teresa sono venute incontro
al loro eroico cappellano.
A pagina seguente: La prima conferenza stampa
di don Tom.
giorni, e poi avrebbero chiesto un ri-
scatto in denaro per liberarlo oppure
il rilascio di alcuni miliziani detenuti
in prigione. Invece è stato un lungo
martirio di 18 mesi di silenzio e ansia.
In tutto il mondo migliaia di perso-
ne pregavano e speravano per padre
Tom. È stato liberato il 12 settembre
di quest’anno. Nella Famiglia Sale-
siana è stata un’esplosione di gioia.
Il racconto di padre Tom
Come hai passato questi
18 mesi di sequestro
e come ti hanno trattato
i tuoi rapitori?
È stata davvero una lunga attesa e
non sapevo che cos’altro fare se non
pregare. Ho avuto gambe e mani le-
gate solo per pochi giorni.
Ho trascorso il tempo a pregare quan-
to più possibile, per quante più inten-
zioni possibili. Di solito dormivo,
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Dicembre 2017

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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pregavo, pensavo alle lezioni di tec-
nica che ero solito dare, mentalmente
ne preparavo qualcuna… E alla sera
mi addormentavo. Ogni giorno anda-
va così e non avevo alcuna comunica-
zione con il mondo esterno, né sapevo
dove mi trovavo.
I miei rapitori non mi hanno fatto del
male, né mi hanno torturato. Mi da-
vano da mangiare 3 volte al giorno e
una volta mi hanno chiesto dettagli su
di me, la mia famiglia, i luoghi visitati,
le persone che conosco… Ero loro pri-
gioniero e stavo tutto il giorno seduto a
terra su un cuscino spugnoso e quando
mi sentivo stanco mi mettevo a dormi-
re un po’ o quantomeno mi sdraiavo, e
i miei giorni sono passati così.
Che cosa hai provato
quando hai saputo
della morte delle suore
e delle altre persone
nell’attacco ad Aden?
Ho sentito una grande angoscia. Ho
pregato Dio di essere misericordioso
verso le suore e le altre vittime e di
perdonare gli assassini. Ho pregato il
Signore di darmi la grazia e la forza
di accettare la sua volontà e rimanere
fedele a Dio, affinché fossi fedele alla
missione per cui Lui mi ha voluto qui,
su questa terra.
scuna delle suore uccise, e poi conti-
nuavo a pregare per la mia Ispettoria,
la Congregazione, la parrocchia, la
famiglia, ricordando quante più per-
sone e intenzioni potevo e pregando
per loro. Pregavo anche per i miei ra-
pitori, chiedendo al Signore di perdo-
narli e di convertirli. Non avevo ostie
o vino, né un messale o lezionario,
ma celebravo la messa spiritualmen-
te ogni giorno. La offrivo al Signore
ogni giorno e per le letture ricordavo
qualche episodio del Vecchio o del
Nuovo Testamento, e per il Vangelo
qualche miracolo, parabola o episodio
nella vita di Gesù, e li meditavo. Pre-
gavo anche per tutti i Salesiani mor-
ti, i miei famigliari, i parrocchiani e
tutte le persone che conoscevo. Ho
continuato a pregare per moltissime
intenzioni. Pregavo anche che, se fos-
se stata la volontà del Signore, venissi
liberato. Spesso pregavo anche il ro-
sario. Qualche volta invece non sono
riuscito a pregare perché parlavano in
arabo e non potevo concentrarmi su
niente, nella mia mente.
Come avvenivano le riprese
video dei tuoi appelli?
Era tutto ben progettato da loro. Mi
avevano detto in anticipo che avreb-
bero fatto un video appello per otte-
nere un riscatto, non potevo fare altro
che obbedirgli. Strillavano e facevano
rumori come se mi stessero colpendo,
ma non mi hanno mai fatto del male.
Speravano che questi video avrebbe-
ro portato rapidamente al pagamento
del riscatto.
Come ti senti dopo aver
incontrato il Santo Padre?
Questa è un’altra grande grazia che
mi è stata concessa a causa della mia
prigionia. Ho pianto profondamente
davanti a lui, ho condiviso con lui la
mia esperienza. È stato così empatico,
compassionevole e preoccupato per
me e ha baciato le mie mani due volte.
Non mi sarei aspettato nulla di tutto
questo, mi è stata data una nuova vita
e ho chiesto al Santo Padre di ringra-
ziare tutti per le preghiere offerte in
mio favore in tutto il mondo.
Quanto ti hanno aiutato
la preghiera e il carisma
salesiano?
La maggior parte del tempo, quand’e-
ro sveglio, di giorno o di notte, era
dedicato alla preghiera. Iniziavo la
giornata con l’Angelus, seguito da un
Padre Nostro e un’Ave Maria per cia-
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3.2 Page 22

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TEMPO DELLO SPIRITO
PAPA FRANCESCO
Vivi, ama, sogna, credi.
Non arrenderti alla notte,
ricorda che il primo nemico da
sottomettere non è fuori di te: è
dentro. Pertanto, non concedere
spazio ai pensieri amari, oscuri.
Questo mondo è il primo miracolo
che Dio ha fatto, e Dio ha messo
nelle nostre mani la grazia di nuovi
prodigi. Fede e speranza procedono
insieme. Credi all’esistenza delle
verità più alte e più belle. Confi-
da in Dio Creatore, nello Spirito
Santo che muove tutto verso il
bene, nell’abbraccio di Cristo che
attende ogni uomo alla fine della
sua esistenza; credi, Lui ti aspet-
ta. Il mondo cammina grazie allo
sguardo di tanti uomini che hanno
aperto brecce, che hanno costruito
ponti, che hanno sognato e creduto;
anche quando intorno a sé sentiva-
no parole di derisione.
Ovunque tu sia, costruisci!
Se sei a terra, alzati! Non rimanere
mai caduto, alzati, lasciati aiutare
per essere in piedi.
Opera la pace in mezzo agli uomini,
e non ascoltare la voce di chi sparge
odio e divisioni. Non ascoltare queste
voci. Gli esseri umani, per quanto
siano diversi gli uni dagli altri, sono
stati creati per vivere insieme. Nei
contrasti, pazienta: un giorno scopri-
rai che ognuno è depositario di un
frammento di verità.
E, con la grazia di Dio,
non disperare mai
Ama le persone. Amale ad una
ad una. Rispetta il cammino di
tutti, lineare o travagliato che sia,
perché ognuno ha la sua storia da
raccontare. Anche ognuno di noi ha
la propria storia da raccontare. Ogni
bambino che nasce è la promessa
di una vita che ancora una volta si
dimostra più forte della morte. Ogni
amore che sorge è una potenza di
trasformazione che anela alla felicità.
E soprattutto, sogna! Non avere pau-
ra di sognare. Sogna! Sogna un mon-
do che ancora non si vede, ma che
di certo arriverà. Gli uomini capaci
di immaginazione hanno regalato
all’uomo scoperte scientifiche e tec-
nologiche. Hanno solcato gli oceani,
hanno calcato terre che nessuno
aveva calpestato mai. Gli uomini che
hanno coltivato speranze sono anche
quelli che hanno vinto la schiavitù, e
portato migliori condizioni di vita su
questa terra. Pensa a questi uomini.
Sii responsabile di questo
mondo e della vita di ogni
uomo. Pensa che ogni ingiustizia
contro un povero è una ferita aperta,
e sminuisce la tua stessa dignità. E
ogni giorno domanda a Dio il dono
del coraggio. Ricordati che Gesù
ha vinto per noi la paura. Lui ha
vinto la paura! La nostra nemica più
infida non può nulla contro la fede.
E quando ti troverai impaurito da-
vanti a qualche difficoltà della vita,
ricordati che tu non vivi solo per te
stesso. Nel Battesimo la tua vita è
già stata immersa nel mistero della
Trinità e tu appartieni a Gesù. Ed
è Lui che, attraverso di te, con la
sua mitezza vuole sottomettere tutti
i nemici dell’uomo: il peccato,
l’odio, il crimine, la violenza;
tutti nostri nemici.
Abbi sempre il co-
raggio della verità,
però ricordati: non sei
superiore a nessuno.
Ricordati di questo:
non sei superiore a
nessuno. Se tu fossi
rimasto anche
l’ultimo a credere
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Il messaggio di
papa Francesco
nella verità, non rifuggire per questo
dalla compagnia degli uomini.
Anche se tu vivessi nel silenzio di un
eremo, porta nel cuore le sofferenze
di ogni creatura. Sei cristiano; e nella
preghiera tutto riconsegni a Dio.
E coltiva ideali. Vivi per qualcosa
che supera l’uomo. E se un giorno
questi ideali ti dovessero chiedere
un conto salato da pagare, non
smettere mai di portarli nel tuo
cuore. La fedeltà ottiene
tutto.
Se sbagli, rialzati: nulla è più umano
che commettere errori. E quegli stes-
si errori non devono diventare per
te una prigione. Non essere ingab-
biato nei tuoi errori.
Il Figlio di Dio è venuto non per i
sani, ma per i malati: quindi è venuto
anche per te. E se sbaglierai ancora
in futuro, non temere, rialzati!
Sai perché? Perché Dio
è tuo amico.
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L’INVITATO
TESTO E FOTOGRAFIE: CHRISTINA TANGERDING
Traduzione di Marisa Patarino
L’ultimo testimone
Don Medard Stepanovsky nato nella ex Cecoslovacchia,
sotto il regime comunista, non avrebbe mai potuto
diventare sacerdote. È invece riuscito a seguire la sua
vocazione grazie a un Salesiano dichiarato beato alla
fine di settembre: don Titus Zeman. Don Stepanovsky,
recentemente scomparso all’età di 90 anni, ha portato
la sua testimonianza al processo di beatificazione
del suo confratello.
Don Medard Stepanovsky era di
costituzione minuta. Quando
rideva, e lo faceva spesso, ci
sembrava di rivedere in lui il
ragazzo di campagna con i
capelli biondi come la paglia
che era stato. I suoi occhi brillavano
dietro gli occhiali con la montatura di
corno marrone. Il suo volto era attra-
versato da numerose rughe sottili.
Nella casa dei Salesiani di don Bo-
sco di Buxheim, un comune di 3000
abitanti nei pressi di Memmingen, in
Alta Svevia (Germania), il sacerdote
novantenne camminava con il deam-
bulatore o, come lo chiamava lui, “la
mia Mercedes”.
Faceva parte della Comunità Salesiana
di Buxheim da oltre 60 anni. Aveva
insegnato latino e letteratura al liceo
“Marianum” ed era stato educatore
presso il centro diurno per giovani. Per
dodici anni aveva anche lavorato come
parroco in una comunità vicina. A
72 anni era andato in
pensione, ma ave-
va continuato a
prestare il suo
aiuto nell’am-
bito della pa-
storale fino
al 2012.
Nei mesi scorsi don Stepanovsky era
stato interpellato da referenti della
sua Congregazione e del Vaticano.
Don Stepanovsky è stato testimone
al processo di beatificazione di don
Titus Zeman.
Era l’ultimo ancora in vita di un
gruppo di giovani Salesiani che don
Zeman nell’estate del 1950 aiutò a
fuggire dalla Cecoslovacchia e a sta-
bilirsi in Italia. Se non avesse lascia-
to il suo Paese, senza l’aiuto di don
Zeman, la vita di don Stepanovsky
sarebbe stata diversa.
Un professore umano
e gentile
Medard Stepanovsky era nato
il 7 giugno 1927 a Oreské,
un piccolo paese dell’allora
Cecoslovacchia, nella par-
te occidentale dell’attuale
Slovacchia. «Ero un ragaz-
zo come tanti altri,
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TITUS ZEMAN MARTIRE PER LE VOCAZIONI
abbastanza grazioso e molto intelli-
gente», diceva di sé don Stepanovsky.
Dopo la scuola elementare si sarebbe
potuto iscrivere al ginnasio dei Sale-
siani di don Bosco a Šaštín come al-
lievo interno, ma non volle. «I ragazzi
del mio paese dicevano che si doveva
andare in chiesa tre volte al giorno.
Per me era troppo», ricordava il sa-
cerdote. Alcuni mesi più tardi, però,
un giovane Salesiano celebrò la fun-
zione di Natale a Oreské e parlò del
suo lavoro e della sua vita all’interno
della Congregazione. Medard decise
allora di iscriversi alla scuola dei Sa-
lesiani. A 18 anni entrò in Noviziato.
Un anno dopo emise la prima profes-
sione. Completò poi gli studi liceali
frequentando per tre anni l’istituto
vescovile di Tyrnau. Qui incontrò
don Titus Zeman, che era il suo do-
cente di chimica. «Spiegava con tanta
chiarezza che anche gli allievi meno
preparati comprendevano. Ed era
così umano e così gentile che tutti lo
apprezzavamo. Non ha mai alzato la
voce, non si è mai mostrato adirato o
irritato» ricordava don Stepanovsky.
Negli anni in cui frequentò il liceo, il
giovane Salesiano non ebbe occasione
di condividere molte esperienze con
quello che in seguito sarebbe diventa-
to il suo salvatore. La situazione pro-
cedette così fino all’estate del 1950,
quando i comunisti assunsero il pote-
re nella Repubblica Cecoslovacca.
«Nella notte tra il 13 e il 14 aprile
1950, tutte le Congregazioni religio-
se maschili furono sciolte. I religiosi
furono arrestati e gli istituti vennero
chiusi. Anche la nostra casa subì la
stessa sorte. Don Titus Zeman quella
Aprile 1951. Nei boschi che circondano il corso del
fiume Morava, tra Slovacchia e Austria, il giovane
sacerdote salesiano Titus Zeman viene arrestato dal-
le forze di polizia della Cecoslovacchia comunista.
Catturano, con lui, alcuni sacerdoti diocesani perse-
guitati dal regime e molti chierici, che egli accompa-
gnava a Torino per sottrarli alla rieducazione ideolo-
gica e permettere loro di raggiungere il traguardo del
sacerdozio.
Titus era nato a Vajnory – allora piccolo paese agri-
colo alle porte di Bratislava – nel 1915. Sarebbe mor-
to – dopo 18 feroci anni di torture, vessazioni fisi-
che, psichiche e morali – l’8 gennaio 1969. Era stato
marchiato come «uomo destinato all’eliminazione»,
condannato per alto tradimento e spionaggio (ma
assolto con formula piena pochi mesi dopo la morte,
in un Processo di revisione); e trattato infine come
«cavia da esperimento». Aveva vissuto nelle carceri
più dure, accanto ad assassini e altri ergastolani. Buono sportivo, chimico e professore di
materie scientifiche, animo coraggioso e intrepido che non temeva i pericoli di un itinerario
tra i boschi e le montagne, dalla Slovacchia sino all’Alto Adige, Titus amava la Chiesa come
una madre, «dando se stesso per lei anima e corpo». La sua vicenda – che si intreccia a
quella di molti altri testimoni sofferenti della fede del Secolo dei Totalitarismi cui, pure,
queste pagine danno voce – si configura come un vero e proprio martirio per il sacerdozio e
la salvezza delle vocazioni. Uomo di confine e di frontiera, sempre presente dove si giocava
la “Grande Storia”, Titus Zeman interpella oggi ciascuno di noi. Chiedendoci per che cosa
siamo disposti a vivere, e sino a che punto la verità, la bontà, la bellezza di Cristo e del Suo
vangelo meritino una testimonianza fino al supremo sacrificio della vita.
notte si trovava fuori di casa e sfuggì
all’arresto.
Noi giovani Salesiani, che non stu-
diavamo ancora teologia, fummo
rilasciati dopo qualche mese. Dove-
vamo essere “rieducati” all’ideologia
marxista-leninista. Tornai al paese
dei miei genitori e decisi di prestare
servizio militare e nello stesso tempo
di cominciare a studiare teologia pri-
vatamente. In seguito un sacerdote mi
avrebbe sottoposto all’esame.
Un giorno stavo tagliando la legna
in cortile. Mia cognata mi portò un
telegramma che diceva: “Raggiungici
in fretta. Wilhelm è molto malato”.
Don Wilhelm era un Salesiano, un
sacerdote che si trovava in un ospeda-
le di Bratislava gestito da suore della
Congregazione. Misi una camicia, un
asciugamano e il rasoio per la barba
in una piccola borsa e partii per Bra-
tislava».
Quando arrivai in ospedale, riscon-
trai che don Wilhelm stava benissi-
mo. Il telegramma era stato solo una
scusa. Arrivarono in ospedale altri
giovani Salesiani e un sacerdote dio-
cesano. Arrivò anche don Zeman e
spiegò il suo progetto: ci avrebbe fatto
attraversare illegalmente l’Austria e
ci avrebbe accompagnati in Italia. La
partenza era prevista il giorno dopo.
Oltre il fiume
«Era il 31 agosto 1950. Verso sera
noi sei giovani Salesiani, il sacerdote
diocesano e don Titus andammo alla
stazione ferroviaria e acquistammo i
biglietti in un luogo lontano dal confi-
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L’INVITATO
ne. Di là corremmo nel bosco e aspet-
tammo due uomini che ci avrebbero
accompagnati. Quando scese l’oscu-
rità, attraversammo di corsa i campi,
in particolare campi di mais, perché
permettevano di nascondersi bene,
finché arrivammo alla diga sul fiume
Morava. La situazione era rischiosa,
perché là c’erano le guardie. Scru-
tavano la diga con il binocolo. Tra il
bosco e il fiume c’era una distanza di
circa 50 metri. Ci togliemmo i vestiti,
perché dall’altra parte avremmo avuto
bisogno di indumenti asciutti, e attra-
versammo il fiume di corsa, reggendo
le borse sulla testa. Intorno alle cinque
del mattino ci recammo in una stazio-
ne. I nostri due accompagnatori ci ave-
vano procurato i biglietti per il viaggio
in treno fino a Vienna».
Scesero vicino a Vienna e si recarono
in tram in una locanda in cui pote-
rono trascorrere la notte. «Un taxi ci
condusse infine dai Salesiani della
Hagenmüllergasse. Eravamo a casa!»,
ricordò don Stepanovsky. Là potero-
no dormire e mangiare qualcosa. Poi
un Salesiano li accompagnò a Linz e
di là si recarono a Innsbruck.
«Il percorso attraverso il Brennero fu
pericoloso e faticoso. Abbiamo però
sempre incontrato persone che ci han-
no aiutato, che ci hanno dato qualcosa
da mangiare e un riparo. Ci recam-
mo in treno a Verona dai Salesiani. Il
giorno dopo, il 12 settembre, festa del
Santo Nome di Maria, arrivammo a
Torino. Dalla stazione ferroviaria an-
dammo direttamente alla Basilica di
Maria Ausiliatrice per ringraziare la
Madonna».
Già nel mese di ottobre don Stepa-
novsky e i suoi confratelli comincia-
rono a studiare filosofia e teologia.
Il 1° luglio 1956 il Salesiano fu or-
dinato sacerdote a Bollengo, vicino a
Torino.
In merito alla sorte di don Titus Ze-
man dopo il terzo tentativo fallito di
espatrio clandestino, don Stepanov-
sky negli anni successivi apprese solo
il poco che venne reso pubblico.
Don Stepanovsky era felice per l’im-
minente beatificazione di don Titus
Zeman. È un grande onore per il
mio Paese di origine e per i Salesiani
di don Bosco», disse.
Don Medard avrebbe voluto essere pre-
sente insieme a due confratelli alle cele-
brazioni in programma in Slovacchia
alla fine di settembre. Non gli è stato
possibile. Il Salesiano è mancato il 12
agosto dopo un ictus.
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I NOSTRI LIBRI
LA PSICOLOGIA DEL ROCK
Crescere con la musica in adolescenza
Quali motivazioni psicologiche sono alla
base dell’ascolto di musica rock? Che cosa
accade quando il mondo della musica
incontra quello dell’adolescenza? Perché
a livello psicologico la musica contatta le
nostre emozioni e si lega così alle relazioni
importanti che abbiamo? Perché un
concerto rock è un atto di trasgressione
in adolescenza? Perché sperimentiamo
piacere quando ascoltiamo musica?
A queste e ad altre domande cerca di
rispondere il volume accompagnando il
lettore alla riscoperta del perché la musica
è così importante quando si è adolescenti.
L’autore, Andrea Montesano, 24 anni,
songtherapist e una Laurea Specialistica in
Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione
è un chitarrista e uno psicologo.
Contatto: and.montesano@gmail.com
LE BELLE STORIE DI NATALE
I racconti arricchiscono il calore e la gioia
della festa per piccoli e grandi
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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Jaramter ”, un termine
coreano che significa
luogo di crescita, è il
“Jaramter” nomediunaCasafamiglia
di Seul, dove le Figlie
di Maria Ausiliatrice
cuore salesiano condividonolavita
con i bambini provenienti
«Perché mi fai male?» Finalmente ho potuto liberare la mia
Stavo preparando la merenda per i ra- mano dalla sua violenza.
da vari Paesi dell’Asia.
gazzini, quando ho visto che uno di loro Il dolore che provavo fisicamente non era
era agitatissimo; il bambino, piangendo, più grande e più forte di quello che sen- ed io non so niente, anche se il dito mi fa
mi cacciava via e mi faceva male alla tivo nel cuore. Il fanciullo, dopo avermi male, il tuo cuore soffre molto di più. A
mano sinistra. Aveva solo sei anni. Vo- lasciata, piangeva e guardava a terra. che serve preparare il cibo per te, se non so
levo fermarlo, poiché correva per uscire Gli ho chiesto con dolcezza: Perché hai perché vivi tanto dolore nel cuore?
dalla stanza, ma non ho potuto: mi chie- fatto così, perché ti senti così infastidito? Il bambino è scoppiato in lacrime, poi un
deva solo di stare in disparte.
Potresti dirmelo? Tu non sei un fanciullo sussurro: ora ti parlo! E il fanciullo mi
Perché ti senti così infastidito? Dimmi cattivo.
ha parlato, più con un gesto: mi ha preso
perché!
Sì, lo sono.
la mano sinistra e mi ha chiesto se mi fa-
Lui mi ha guardato con uno sguardo No, non sei così! Avrai qualche ragione per ceva male. Poi ha esclamato: perdonami,
fermo e ha cercato di spezzarmi un dito comportarti in un certo modo; dimmi cosa ed ha soffiato sul mio dito.
della mano.
ti è capitato. Perché lo vuoi sapere, suora? Io l’ho accarezzato e l’ho rassicurato: era
Sei arrabbiato e stai facendo così, neppu- Tu mi hai detto che mi vuoi bene e anch’io tutto a posto perché mi aveva curato. Gli
re ti dispiace che mi hai fatto del male. che ti voglio bene, ma tu stai soffrendo ho detto di promettermi di non torcere la
Istantanee di vita nella Casa famiglia di Seul. Qui domina un vero spirito di famiglia.
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mano a nessuno, anche se si sentisse in-
fastidito.
Perdonami, suora.
L’ho abbracciato e stretto al cuore.
La luna ci ha visto giocare insieme agli
altri bambini, sereni e riconciliati.
Così scrive sul suo diario una suora,
ed è “Jaramter”, un termine che in
coreano significa luogo di crescita; è il
nome di una Casa famiglia di Seul,
dove le Figlie di Maria Ausiliatri-
ce condividono la vita con i bambini
provenienti da vari Paesi dell’Asia. È
il luogo dove maturano i sogni, i pen-
sieri e il cuore di chi vi abita, il quale
batte con quello di don Bosco; con-
tinuiamo a sentirlo ascoltando suor
Cho Young-Ju Agata.
I fanciulli, ci spiega, sono affidati
alle suore dal Comune e, prevalente-
mente, sono figli di donne immigra-
te, sposate in Corea, ma rimaste sole
con i loro bimbi a causa delle violenze
subite dai loro mariti o perché il loro
matrimonio è fallito. Il termine “ ja-
ramter” racchiude il desiderio di far
crescere i bambini integralmente, di
dar loro una cultura sia per evitare che
conducano la loro vita nella pericolosa
realtà della strada sia perché possano
inserirsi protagonisti nella società.
Accogliendo i figli delle donne immi-
grate, si fa pastorale familiare pren-
dendosi cura delle donne che ovvia-
mente non possono allo stesso tempo
lavorare ed educare i loro figli, quin-
di, mentre le giovani mamme sono al
lavoro, i loro bambini sono nella Casa
famiglia, dove svolgono attività edu-
cative, sono custoditi, protetti ed edu-
cati ma, soprattutto sono amati e sen-
tono di esserlo, incondizionatamente.
Educare bambini
che hanno sofferto
Secondo la statistica del Governo co-
reano circa 120.000 su 150.000 degli
immigrati sono donne, perlopiù spo-
sate, ma il 37,8% arriva alla rottura
matrimoniale entro i cinque anni. La
maggior parte di esse ha la difficoltà
di imparare il coreano e di inserire i
loro figli nella vita sociale e scolasti-
ca, pertanto le , diventate esper-
te nella pastorale per gli immigrati,
sono riuscite ad ottenere dal Comune
di Seul la gestione del Centro di au-
tonomia per le donne immigrate. In
base alla situazione sopra descritta, la
Casa famiglia “Jaramter” è stata inau-
gurata il 7 marzo 2016, dopo che una
mamma, con le lacrime agli occhi, ha
chiesto aiuto per sé e per i suoi figli. I
fanciulli che la frequentano hanno la
possibilità di apprendere la lingua co-
reana dialogando con le suore, con gli
altri educatori e, soprattutto, imparano
a rapportarsi, un insegnamento peda-
gogico fondamentale in quanto l’espe-
rienza della violenza paterna non ha
permesso loro di sviluppare la capacità
di gestire correttamente le relazioni.
L’educazione è veicolata dallo svol-
gimento dei compiti, dal gioco, dalla
cena, da una vita familiare dentro la
quale i bambini si esprimono come
vorrebbero fare con le loro mamme.
Inoltre, la pedagogia di ambiente, lo
spirito di famiglia, elementi portan-
ti della spiritualità salesiana, dan-
no spessore all’educazione. Educare
bambini che hanno sofferto non è
semplice; hanno vissuto per alcuni
anni senza regole e senza una presen-
za adulta significativa; spesso i mass-
media sono stati i loro unici educatori.
La violenza è per loro la sola risposta,
ma ogni trasformazione è possibile
quando vivono l’esperienza di essere
amati e si sentono finalmente parte
importante di una famiglia perché
“Jaramter” è uno stile di vita, un modo
di essere, di educare e di amare: è il
cuore di don Bosco!
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I NOSTRI EROI
TESTO E FOTO: UTE SUPPA. DAL DON BOSCO MAGAZIN
“Nascondi
la tua croce”
Traduzione di Marisa Patarino
Nel distretto indiano
di Kandhamal nel 2007
e nel 2008 sono stati
compiuti massacri
ai danni di cristiani.
La situazione della zona
non pare più così grave,
ma i cristiani assistono
ora a una preoccupante
radicalizzazione in tutto
il Paese. Essere cristiani
è coraggio ed eroismo.
Manju e i suoi familiari sono rima-
sti in un accampamento per circa tre
mesi, poi sono tornati al loro paese
e hanno costruito una nuova casa. Il
timore, però, li ha sempre accompa-
gnati. Solo alcuni dei colpevoli sono
in carcere. L’associazione per i popoli
minacciati ha evidenziato le carenze a
livello di giustizia da parte dell’India
Sangeeta dormiva quando fu
afferrata dai suoi genitori
e trascinata fuori della loro
casa. La famiglia corse nella
foresta vicina e tutti si na-
scosero tra i cespugli e gli
alberi. «Gli indù incendiarono case e
chiese», ricorda Sangeeta, che, come i
suoi genitori, è cristiana. Furono date
alle fiamme Bibbie e statue, vennero
uccisi sacerdoti e suore. Sangeeta ave-
va dieci anni. Oggi ne ha 18 e vive
al sicuro nell’Istituto Don Bosco Au-
xilium di Barasat, vicino a Calcutta.
Quando parla di quei momenti ricor-
da ancora lo spavento che ha provato.
La giovane seduta accanto a Sangeeta
è Manju, che proviene da un picco-
lo paese vicino. «Sono rimasta nel-
la foresta per due giorni con la mia
famiglia, poi abbiamo trascorso due
giorni in un altro paese», racconta la
diciottenne con voce accorata, mentre
compie gesti con le mani a indicare le
armi usate dagli assalitori per uccide-
re le loro vittime.
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4.1 Page 31

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UN CAPITOLO CRUDELE DELLA PERSECUZIONE CONTRO I CRISTIANI
Le ragazze provengono da Kandhamal, un distretto dello stato federale di Odisha (il cui
nome fino al 2011 era Orissa), nell’India orientale, che è stato lo scenario di un capitolo
crudele della persecuzione contro i cristiani. I primi attacchi avvennero a Natale del 2007 e
nell’estate del 2008 una folla si scatenò nuovamente dopo che un eminente predicatore indù
rimase vittima di un attentato, di cui furono accusati cristiani. Secondo i difensori dei diritti
umani, i nazionalisti indù hanno ucciso circa cento cristiani in azioni organizzate. Migliaia
di case sono state bruciate, quasi 300 immobili e negozi di cristiani sono stati saccheggiati
e distrutti. Più di 50 000 persone sono dovute fuggire. Molti di loro vivono ancora in rifugi
improvvisati.
nei confronti delle violenze compiute
ai danni di questi gruppi di persone.
Molti accusati sono stati prosciolti e
le vittime delle violenze sono state ri-
sarcite in modo inadeguato.
«La paura
ci accompagna»
Apparentemente la situazione a Odi-
sha si è normalizzata, ma nelle picco-
le circostanze della vita quotidiana si
riscontra come i cristiani continuino
a essere discriminati. «Quando salu-
tiamo, molti indù non rispondono. E
non possiamo entrare nelle loro case»,
dice suor Sunita. La minuta venti-
seienne proviene da Odisha e ha la-
vorato là per diversi mesi. Nel corso
della sua prima visita nei vari paesi, fu
accompagnata da due ragazzi del luo-
go. «Quando ci siamo avvicinati a un
gruppo di indù, uno dei ragazzi mi ha
detto: “Sorella, nascondi la croce che
porti al collo, altrimenti quegli uomi-
ni ti picchieranno”», ricorda Sunita.
Dato che la suora non volle togliere la
croce, il ragazzo gliela nascose sotto
l’abito. «Questi bambini conoscono
la violenza in senso molto concreto»,
spiega Sunita.
Kandhamal è una regione particolar-
mente povera. I suoi abitanti lavorano
come braccianti nei campi o spaccano
pietre. Gli adivasi, abitanti originari
del luogo, e i dalit, i cosiddetti “in-
Suor Sunita ha passato alcuni mesi ad Odisha.
Ciò che la ferisce di più sono le discriminazioni
quotidiane nei confronti dei cristiani.
Ma le Figlie di Maria Ausiliatrice continuano
senza paura il loro apostolato.
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I NOSTRI EROI LA SPERANZA, NONOSTANTE TUTTO
toccabili”, sono particolarmente po-
veri e socialmente esclusi. «Non c’è la
possibilità di studiare, le scuole sono
carenti», spiega suor Sunita.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice con-
centrano dunque la loro attività
nell’aiuto all’apprendimento e si as-
sicurano che i bambini consumino
pasti caldi. Quando le è stato doman-
dato se avesse paura di andare nel di-
stretto di Odisha e se temesse nuovi
attacchi, Sunita ha sorriso, ha scosso
«Questi bambini conoscono la violenza
in modo molto concreto. Ma le suore danno
la vita per proteggerli».
Per la prima volta dopo due anni, l’estate scorsa Sangeeta e Manju sono tornate a Odisha
dalle loro famiglie. “Le case che abbiamo costruito sono più belle di quelle che avevamo
prima”, dice Sangeeta. “E la gente vive insieme tranquillamente”, aggiunge Manju. La fede di
queste giovani non è stata scossa da questa esperienza; al contrario, dopo aver completato
gli studi medi superiori Sangeeta e Manju vogliono seguire la loro vocazione e diventare
Figlie di Maria Ausiliatrice.
il capo e ha detto: «La paura ci ac-
compagna, ma non permettiamo che
ci condizioni».
Attacchi violenti
I cristiani hanno paura anche in al-
tre regioni. Secondo la Costituzione,
l’India è uno Stato democratico laico
e, di fatto, è considerata un Paese in
cui si professano molte religioni. Dei
suoi circa 1,3 miliardi di abitanti,
oltre l’80% sono indù, i musulmani
costituiscono tra il 13 e il 14% della
popolazione, i cristiani il 2%, i sikh
sono pure presenti in misura pari al
2% e ci sono poi buddhisti, giainisti
e altri. Da quando però è stato nomi-
nato primo ministro Narendra Modi
e il suo partito nazionalista indù Bha-
ratiya Janata Party ( ) è salito al
potere, nel maggio del 2014, la vio-
lenza contro i cristiani e i musulmani
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4.3 Page 33

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LE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE IN INDIA
è sensibilmente aumentata, come ri-
feriscono diverse organizzazioni che
lavorano nell’ambito dei diritti uma-
ni. «I nazionalisti indù attaccano con
frequenza sempre maggiore ministri
del culto, bruciano chiese ed eserci-
tano una forte pressione sui conver-
titi affinché tornino alla fede indù»,
dice Open Doors, un’organizzazio-
ne impegnata in tutto il mondo per
combattere la persecuzione a danno
dei cristiani. I responsabili di questi
atti rimangono sempre più spesso im-
puniti.
Secondo l’Associazione per i popoli
minacciati, tra il mese di maggio del
2014 e il mese di settembre 2015 sono
stati documentati oltre 760 attacchi
violenti contro le minoranze religiose.
«Il numero effettivo di attacchi è pro-
babilmente molto superiore», dichiara
il rapporto presentato dall’Associa-
zione intitolato “India: i nazionalisti
indù minacciano la libertà religiosa”.
Le persone colpite non si sono potute
avvalere dell’aiuto da parte della po-
lizia, anzi: “I poliziotti di solito non
arrestano gli assalitori, ma le vittime
degli attacchi, a torto sospettate di
proselitismo”.
In India vivono e lavorano approssimativamente 1300 Figlie di Maria Ausiliatrice in circa
180 case. Attualmente sono distribuite in sei Ispettorie. Odisha fa parte dell’Ispettoria di
Calcutta, dove 144 suore e 2 novizie vivono in 23 case. Le Figlie di Maria Ausiliatrice lavo-
rano soprattutto in scuole, pensionati, case per bambini di strada e per donne in difficoltà e
nell’ambito dell’assistenza familiare. Compiono opera di evangelizzazione, animano gruppi
nelle parrocchie e si impegnano in vari centri che forniscono assistenza medica di base e
istruzione sanitaria.
ministro Modi, dopo la netta vittoria
del suo partito, ha conferito l’incarico
di leader del distretto al predicatore
indù Yogi Adityanath, che prima del-
le elezioni si era fatto notare soprat-
tutto per le sue dichiarazioni razziste
che avevano come bersaglio musul-
mani e cristiani.
Nel distretto di Odisha, gli attivisti e
la Chiesa sono particolarmente atten-
ti alla situazione di sette cristiani che
sono stati condannati all’ergastolo
con l’accusa di aver ucciso un monaco
indù nel 2008. Nel frattempo, alcuni
maoisti hanno ammesso di aver com-
piuto il reato e sono emersi gli errori
compiuti dagli agenti di polizia, ma i
sette cristiani continuano a rimanere
in carcere. Il presidente della Confe-
renza episcopale indiana ha sostenuto
la petizione “Release 7 Innocents of
Kandhamal (Liberate 7 innocenti del
distretto di Kandhamal)”; la Missio-
ne che si presta a favore delle vitti-
me di queste situazioni ha lanciato la
petizione #freeourhusbands a nome
delle mogli e delle famiglie di questi
detenuti.
Paura del futuro
Ufficialmente, il primo ministro
Modi è laico, dinamico, progressi-
sta, ma molti cristiani, musulmani e
indù moderati temono che promuova
un’India in cui debbano esserci solo
indù. “Anche la libertà di espressione
è sempre più limitata”, dice una suo-
ra che non vuole essere nominata. È
preoccupata come molti altri, nello
stato di Uttar Pradesh, dove il primo
Dicembre 2017
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Bambini
Pezzi di Paradiso
da salvare
ad ogni costo
Ai bambini, oggi, succede tutto troppo presto: troppo
presto assistono a scene di violenza, a scene erotiche;
troppo presto sentono parole che sanno di fogna,
troppo presto sono costretti a fare le ore piccole.
Il bambino è accelerato: a tre anni deve leggere,
a quattro deve ballare, a cinque deve suonare, sciare,
nuotare e smanettare sul tablet.
Il secolo che abbiamo chiuso appe-
na sedici anni fa doveva essere “il
secolo del bambino”.
Lo aveva annunciato la pensatri-
ce svedese Ellen Key all’inizio
del 1900; in realtà si è rivelato il
secolo della “Scomparsa dell’infanzia
come nota Neil Postam nell’omonimo
libro e come sottolinea Marie Winn
autrice di “Bambini senza infanzia”.
Con ciò non vogliamo negare che
il 1900 sia stato anche il secolo del-
la “Scoperta dell’infanzia” (1950) per
usare il titolo di una famosa opera di
Maria Montessori.
Neppure vogliamo negare che il 1900
sia stato il secolo dei diritti del fan-
ciullo proclamati nel 1959 nella “Di-
chiarazione dei diritti dell’infanzia”.
Però la scoperta dell’infanzia fu pre-
sto dimenticata, però i diritti del fan-
ciullo vennero presto calpestati.
Il bambino “accelerato”
Per farla breve, ci pare di non sba-
gliare a sostenere che mai come oggi
si sono consumati tanti misfatti nei
confronti dei piccoli.
E così, dopo la “morte di Dio” an-
nunciata dal filosofo tedesco Friede-
rich W. Nietzsche e dopo la “morte
dell’uomo” proclamata dal saggista
francese Michel Foucauld oggi si può
parlare della “morte del bambino”.
Sì, “morte del bambino” perché la no-
stra è una società adultocentrica: cen-
trata sull’adulto.
Ai bambini, oggi, succede tutto trop-
po presto: troppo presto assistono a
scene di violenza, a scene erotiche;
troppo presto sentono parole che san-
no di fogna, troppo presto sono co-
stretti a fare le ore piccole. Il bambino
è accelerato: a tre anni deve leggere,
a quattro deve ballare, a cinque deve
suonare, sciare, nuotare.
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Dicembre 2017

4.5 Page 35

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È SOLO UN BAMBINO... AMATE I BAMBINI!
Uno studioso dei problemi dell’infan-
zia un giorno ha terminato la sua con-
ferenza dicendo: “Se andiamo avanti
di questo passo, i bambini della Scuola
dell’Infanzia finiranno con il giocare in
Borsa!”.
Le conseguenze?
Pesantissime, dal punto di vista sia
personale sia sociale.
Dal punto di vista personale, la scom-
parsa dell’infanzia ci regala bambini
spenti, senza giochi, senza sogni;
bambini stanchi, stressati.
Un piccolo di sette anni alla doman-
da: Che cosa farai da grande?” ha ri-
sposto: “Da grande mi riposo!”.
Non meno pesanti sono le conse-
guenze della “morte del bambino” sul
piano sociale.
Ormai tutti gli studiosi sono concor-
di nel dire che un’infanzia riuscita è
il miglior modo di partire per la vita.
Un bambino tutto bambino oggi, sarà
tutto uomo domani; un bambino fal-
lito sarà un uomo mal riuscito!
Già il noto padre della psicanalisi lo
aveva intuito benissimo: “Il bambino è
il padre dell’uomo”.
Un indovinato proverbio persiano re-
cita: “Se hai piantato un cardo non aspet-
tarti che nasca un gelsomino”. Sulla stes-
sa linea è la psicanalista svizzera Alice
Miller: “Tutto ciò che capita al bambino
nei suoi primi anni di vita si ripercuote
inevitabilmente nella società: psicosi, dro-
ga, depressione e criminalità sono l’espres-
sione cifrata delle primissime esperienze”.
Riassumiamo: investire sul bambino
è creare civiltà.
A questo punto arriviamo al Natale,
la Festa del Bambino e dei bambini.
Un giorno il grande pittore Marc Chagall
accompagnò il nipotino in libreria per
comprargli un libro sugli animali.
L’anziano pittore voleva acquistare una
lussuosa edizione di alcune tavole di Al-
bert Dürer.
Non ne vale la pena”, intervenne la madre,
le sciuperebbe subito! ”, e acquistò un al-
bum di disegno da colorare.
Arrivati a casa, Chagall invitò il nipotino
a pranzo.
Al momento della frutta, scelse la mela più
piccola e più brutta e la mise sotto il naso
del nipotino.
La madre si mostrò contrariata.
È solo un bambino! ”, commentò ironica-
mente Chagall.
Natale ci manda a dire che tutti i pic-
coli sono importanti.
Dio stesso
ha iniziato da bambino!
Ecco: aprire la mente al Natale signi-
fica ripulire le nostre idee sull’infan-
“Fratelli, amate tutta la creazione divina,
nel suo insieme e in ogni grano di sabbia.
Amate ogni fogliuzza,
ogni raggio di sole.
Amate le piante,
amate ogni cosa.
Amate le bestie, ma specialmente
amate i bambini
perché essi vivono per purificare
e commuovere i nostri cuori”
(Feodor Dostoevskij).
zia, a partire da quella che riteniamo
la più importante: essere un bambino
non è un difetto, non è un peccato,
non è un gioco per i grandi.
Essere bambino è un’occasione unica
che non si ripeterà mai più per tutta
la vita.
L’infanzia è la parte buona dell’esi-
stenza umana. Guai a sprecarla, guai a
sporcarla! Sporcare l’infanzia è sporca-
re la sorgente. I bambini sono pezzi di
paradiso da salvare ad ogni costo!
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Il giardino segreto
dell’interiorità
È fondamentale per i giovani adulti del terzo
millennio impegnarsi nella costruzione
di una nuova “ecologia del cuore”
per proteggere e far fruttificare i propri doni
e la bellezza che si cela nel cuore di ciascuno.
Nel cuore di ogni uomo c’è un territorio
misterioso in cui facciamo esperienza
di un’autenticità senza residui. Un luo-
go privilegiato in cui scopriamo i nostri
doni e, prendendo le distanze dalle tan-
te maschere che indossiamo ogni gior-
no, riusciamo a riconoscere il nocciolo duro della
nostra identità. Una dimensione spirituale dove
Uomo interiore quante emozioni ti scrolli,
uomo interiore vieni un po’ fuori,
scrivi o dipingi qualche impressione,
trovi le note e canti l’amore
e la vita può anche ingannare,
dietro l’artista c’è un animo gentile.
Uomo interiore hai la tua parte,
quella più bella che ti assomiglia,
giubili, canti dentro la mente,
ti fan sentire importante.
Financo l’aspetto sereno si mostra,
l’intuito agisce e la voce interiore che grida
e quando si avvera rimembri a memoria
i fatti vissuti che fanno la tua storia...
abita il nostro Sé più vero e dove trovano cittadi-
nanza le nostre attese più profonde, al di là di tut-
te quelle sovrastrutture, imposte o auto-imposte,
che ci inchiodano ai nostri ruoli e travestimenti.
È il “giardino segreto” dell’interiorità: uno spa-
zio spesso chiuso sotto chiave per proteggerlo da
sguardi indiscreti o protetto da un fitto groviglio
di filo spinato per tenere lontani i visitatori inde-
siderati. Talvolta sconosciuto persino a noi stessi
che ne siamo i custodi gelosi, troppo preoccupati
a renderne impenetrabile l’accesso per trovare il
tempo necessario – o, forse, soltanto il coraggio –
ad esplorarlo nei suoi angoli più remoti, battendo
palmo a palmo ogni sentiero o anfratto nascosto.
La costruzione dell’identità adulta non sempre,
infatti, coincide con una più matura conoscenza
della propria interiorità, con un’accresciuta capa-
cità di dialogare cordialmente con se stessi, la-
sciando cadere passo dopo passo tutte quelle fin-
zioni e barriere invalicabili che tengono nascosti
– ai propri occhi prima che a quelli degli altri –
i tratti originali del proprio vero volto.
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4.7 Page 37

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L’ecologia del cuore
Molto spesso, anzi, è vero il contrario. Man
mano che progrediamo nel cammino verso l’età
adulta, tendiamo a ergere muri sempre più alti
a difesa della nostra interiorità, ci aggrappiamo
con forza crescente alle nostre maschere esteriori
e lasciamo sempre meno spazio alle nostre emo-
zioni più autentiche, all’espressione trasparente
e genuina dei nostri sentimenti, all’intimo
desiderio di veracità che dimora nel nostro
cuore. A volte, più semplicemente, sia-
mo talmente occupati ad assecondare
le tante esigenze della vita materiale
che trascuriamo del tutto la nostra
anima, dimenticandoci di innaffiare
quotidianamente i germogli delicati
delle nostre attese e di prenderci cura
della nostra vita interiore, mentre la-
sciamo che i nostri talenti languisca-
no incolti tra rovi ed erbacce.
Diventa, allora, fondamentale per i gio-
vani adulti del terzo millennio (ma, in
verità, per ogni uomo ed ogni donna in
ogni tempo) impegnarsi nella costruzio-
ne di una nuova “ecologia del cuore” che
li incoraggi a coltivare con pazienza e solle-
citudine la propria interiorità, a proteggere e a
far fruttificare i propri doni e la bellezza che
si cela nel cuore di ciascuno, a liberarsi di ogni
sterile finzione per far spazio alla propria iden-
tità e riuscire a fare discernimento sulle scelte
decisive della propria vita. Perché se è vero che
la possibilità di dare senso al proprio romanzo
personale passa attraverso la capacità di risco-
prire l’essenziale e restituire valore alla dimen-
sione contemplativa dell’esistenza, in una so-
cietà schiava dell’esteriorità come quella attuale
abbiamo più che mai bisogno di educarci a dare
il giusto peso alla nostra interiorità, alle nostre
invocazioni più profonde e al nostro radicale
– per quanto spesso trascurato – desiderio di
felicità.
Uomo interiore tu non segui le mode,
ma l’impronta rimane nelle parole
che ancora si dovranno scrivere...
Quanti quadri si dovranno contemplare,
quanta musica si dovrà ascoltare,
quante giornate dovranno passare,
ma dentro l’uomo quanto mistero rimane:
giù la maschera attore, sei l’uomo interiore...
(Salvatore Bongiovanni, Uomo interiore, 2011)
Dicembre 2017
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Antonio Sala Unpersonaggiodi
rilievo, ma praticamente
sconosciuto, nella storia
dei primi anni della
Congregazione salesiana.
Un grande collaboratore Ha speso tutta
la sua vita salesiana
di don Bosco nell’ambito economico.
Infanzia e giovinezza
Nacque il 29 gennaio 1836 nel-
la Brianza lecchese, a Monticello di
Olgiate Molgora, diocesi di Milano.
Il padre Pietro ed il fratello, gestori
Ne presentiamo la
luminosa figura in due
successive puntate sul
Bollettino Salesiano.
di una filanda, avevano sposato due
sorelle. Famiglie molto religiose en-
trambe con un figlio prete (il salesiano
Antonio e il cugino Federico, teologo
e futuro vescovo Ausiliare a Milano) e
Studente-lavoratore
e sacerdote-educatore
un figlio religioso: Ambrogio, fratello
Arrivato a Torino il 5 marzo 1863 il
di Antonio, salesiano per alcuni anni e
Sala iniziò gli studi ginnasiali. A Val-
suor Maria Serafina, sorella di Fede- sacerdote. Se ne fece interprete il par- docco si trovò a suo agio, e come “fi-
rico, religiosa di clausura a Bergamo. roco don Nava che all’inizio del 1863 glio di Maria” non solo recuperò gli
Antonio, compiuti gli studi elementa- scrisse a don Bosco, magnificando le anni scolastici persi, ma, disinvolto
ri, adolescente forte e robusto, si mise doti di natura e di grazia del giovane nel tratto e pratico di affari commer-
subito al lavoro nell’ambito familiare. e chiedendogli di accoglierlo a Val- ciali, nei tempi liberi aiutava il mala-
Come animatore dell’oratorio parroc- docco. Alla risposta immediatamente ticcio economo don Alasonatti, dava
chiale dimostrava attitudini alla vita positiva di don Bosco, don Nava lo una mano ai provveditori della casa,
sacerdotale, con la sua capacità di at- ringraziò e gli assicurò che il venti- andava lui stesso al mercato ed assi-
trarre i ragazzi, organizzarne i diverti- seienne Antonio, riconoscentissimo, steva ai primi lavori della costruzio-
menti, portarli alle funzioni di chiesa. sarebbe arrivato a Valdocco quanto ne della chiesa di Maria Ausiliatrice.
Tornato dal servizio militare nell’e- prima. Il generosissimo parroco si L’esperienza gli sarebbe servita per le
sercito austro-ungarico, assunse re- impegnò a pagare in anticipo per cin- varie chiese e costruzioni salesiane
sponsabilità nella gestione dell’azienda que anni non solo la “troppo modi- che avrebbe seguito personalmente
familiare, dove rivelò eccellenti doti ca” pensione richiesta da don Bosco, nei decenni successivi.
amministrative e grande senso pratico. ma in caso di morte dava in garanzia Il 22 maggio 1869 don Sala era sacer-
Morta la mamma, il giovane Anto- mobili, posate d’argento e oggetti di dote, ormai da quattro anni presente
nio maturò il desiderio di diventare valore in suo possesso.
nella casa di Lanzo.
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Dicembre 2017

4.9 Page 39

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Economo a Valdocco
(1869-1880)
Prima ancora della fine dell’anno sco-
lastico, il 3 luglio 1869 don Bosco gli
chiese, riservatamente, se era dispo-
nibile a trasferirsi per qualche tem-
po a Valdocco perché vi era assoluto
bisogno di un economo della casa in
quanto l’economo generale don Savio
era sovraoccupato. Don Sala accettò,
scese a Valdocco. Vi sarebbe rimasto
per 26 anni, fino alla morte.
Colà poté approfondire i suoi affret-
tati studi teologici frequentando per
tre anni al Convitto le lezioni di mo-
rale: gli sarebbero state utilissime nel
ministero pastorale che avrebbe svolto
per tanti anni come confessore ordi-
nario nella chiesa di Maria Ausiliatri-
ce, cappellano dell’Istituto del Buon
Pastore, confessore straordinario del
collegio degli Artigianelli, e succes-
sivamente anche assistente spirituale
dei laboratori femminili di S. Giusep-
pe al rifugio Barolo.
Nella seduta del Consiglio Superiore
dell’11 dicembre 1869 don Savio ven-
ne confermato economo generale, ma
parecchi voti li ebbe pure don Sala,
che nel gennaio successivo, nel Capi-
tolo dell’Oratorio venne formalmente
eletto economo. Avrebbe svolto una
formidabile attività economico-am-
ministrativa all’interno della mega
opera di Valdocco, con varie centinaia
di giovani, suddivisi fra studenti, ar-
tigiani, oratoriani, chierici, con tanto
di aule, cortili, laboratori, refettori,
camerate, sale, chiesa di Maria Au-
siliatrice, cappelle; vi si aggiungano
lotterie, costruzioni, manutenzione
generale, problemi fiscali, notarili…
Non gli mancarono momenti diffici-
li, tant’è che il 27 gennaio 1870 don
Bosco da Firenze invitò don Rua a
fargli coraggio.
Nel gennaio 1873, avviata una piccola
lotteria con primo premio una prezio-
sa copia della Madonna di Foligno
di Raffaello, don Bosco gli affidò lo
smercio dei biglietti, previsto soprat-
tutto in Lombardia. Don Sala per-
corse particolarmente le province di
Milano, Como e Varese, dove poteva
offrire cartelline di beneficienza alle
più cospicue famiglie, che in qualche
modo sentiva a lui vicine e che forse
erano già in contatto con don Bosco.
Smerciò molti biglietti, ma molti altri
gli vennero restituiti, per cui andò a
cercare altri benefattori fino a Roma.
Salesiano della prima ora, don Sala
svolse molti altri umili servizi, com-
presi la classica assistenza in cortile e
nei laboratori e qualche insegnamen-
to ai giovani coadiutori. Nel 1876 a
Roma si occupò di alloggiare tanto i
salesiani destinati alle nuove fonda-
zioni di Albano, Ariccia e Magliano
quanto i missionari venuti a ricevere
il mandato dal Papa. Il 17 dicembre
1876 per la prima volta partecipò alle
sedute del Consiglio Superiore: lo
avrebbe fatto per quasi 20 anni. Nel
1878 fece sopralluoghi a Mornese
e Chieri per provvedere ai necessari
lavori di adattamento delle case del-
le . In ottobre fece lo stesso per i
salesiani di Randazzo in Sicilia e poi
di Este e Mogliano Veneto. Così al-
tre volte per oltre quindici anni. Don
Bosco si fidò di lui e lui ne ricambiò
la fiducia fino sul letto di morte, anzi
ancora dopo, come vedremo il prossi-
mo mese.
UNA TAVOLA ROTONDA AD ALTO LIVELLO
Promossa dall’ing. Nicola Barone, dirigente nazionale di Telecom Italia, e dal prof. don Fran-
cesco Motto, noto storico salesiano, si è tenuta nella casa salesiana di Arcinazzo Romano
una due giorni di studio sull’enciclica “Laudato si’” di papa Francesco.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati, venerabili
e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
Nel mese di dicembre preghiamo per la beatificazione del servo di Dio Costantino Ven-
drame, salesiano sacerdote, missionario.
Costantino Vendrame nacque a San Martino di
Colle Umberto, nella diocesi di Vittorio Veneto (TV)
il 27 agosto 1893. I suoi genitori Pietro ed Elena Fiori
gli insegnarono ad amare il lavoro e il sacrificio e so-
prattutto il Signore. Fin da piccolo Costantino si di-
stingueva per la sua intelligenza e la sua bontà. Com-
pletò gli studi liceali nel seminario di Vittorio Veneto
e nel 1913 mise in atto il suo sogno di farsi salesiano
ed entrò nel noviziato di Ivrea. Dopo una prima espe-
rienza nell’oratorio di Chioggia, fu chiamato a servire
la patria, partecipando alla prima guerra mondiale
(1915-18) con altri confratelli salesiani che, come lui,
uscirono da questa dura esperienza ulteriormente
temprati nel corpo e nello spirito. Ordinato sacerdote
a Milano, nel marzo del 1924, ricevette in ottobre il
crocifisso missionario a Valdocco, nella Basilica di
Maria Ausiliatrice e il 30 novembre partì per l’India.
Il 23 dicembre è a Shillong, nell’Assam, zona monta-
gnosa a nord-est dell’India, sotto il Tibet, ai confini
con la Cina, tra le tribù Khasi e Yaintia. Ebbe l’in-
carico di accostare gli abitanti della zona e in meno
di un anno fu nominato parroco della città. Visitare
i villaggi, raggiungere “le periferie” per sentieri di
montagna aspri e faticosi, incontrare le famiglie e i
bambini senza distinzione di etnia e di religione, ini-
ziare con gli oratori salesiani per far conoscere Gesù
e il suo Vangelo è stata la sua missione, vissuta con
il dono totale di sé per la gloria di Dio e la salvezza
delle anime, fino alla fine della sua vita avvenuta il 30
gennaio 1957 a Dibrugarh. Sembra leggendario non
solo il numero delle conversioni e dei battesimi da
lui amministrati, ma anche il frutto della sua straordi-
naria missione che continua ancora oggi a riempire
di stupore. La preghiera è stata il segreto della sua
forza, l’amore al Sacro Cuore di Gesù e a Maria Ausi-
liatrice l’ispirazione di ogni sua opera.
PREGHIERA
Ti ringraziamo, Signore, per il tuo servo don Costantino Vendrame,
testimone e missionario generoso del tuo Vangelo tra i fratelli
più piccoli e lontani nel mondo.
La tua Parola è risuonata fortemente nel suo cuore,
ed egli ha risposto prontamente al tuo Amore
e l’ha fatto conoscere con il dono totale della sua vita.
Rendi anche noi testimoni generosi della fede
che abbiamo ricevuto nel Battesimo,
e fa’ che i nostri cuori ardano dal desiderio
di farti conoscere ed amare nelle nostre famiglie,
nelle nostre comunità, nei nostri ambienti di vita, in tutto il mondo.
Fa’ che sia presto riconosciuta dalla Chiesa la santità della sua vita,
e per intercessione di don Costantino
concedi a noi la grazia che fiduciosi ti domandiamo…
Maria Ausiliatrice sostieni la nostra preghiera.
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
Ringraziano
Il 9 giugno scorso due medici (un
radiologo e una endocrinologa)
ci avevano molto preoccupato
per il risultato di una ecografia.
Poco dopo, in luglio, ho trovato
per caso in una Chiesa Cattolica
il “Bollettino Salesiano” del mar-
zo 2016 dove vi è la biografia di
suor Laura Meozzi, che ho ini-
ziato a pregare (devo ammettere
però in modo non propriamente
costante, ma con piena fiducia).
Lo scorso 1° settembre, al nuo-
vo esame ecografico in struttura
CRONACA DELLA
POSTULAZIONE
Il 7 settembre 2017 la Congre-
gazione delle Cause dei Santi
ha comunicato a monsignor
Protógenes José Luft,
S.d.C., vescovo di Barra
do Garças (Brasile), il nul-
la osta da parte della Santa
Sede alla causa di martirio
dei servi di Dio, Rodolfo
Lunkenbeim, sacerdote
salesiano, e Simão Boro-
ro, laico, uccisi in odio alla
fede il 15 luglio 1976 nella
missione salesiana di Meruri.
Mato Gorsso - Brasile
ospedaliera, il risultato è “privo
di importanza” a livello medico.
Ringrazio di cuore. Sentendomi
protetta da suor Laura continue-
rò a pregarla per le altre fonda-
mentali e urgenti necessità che
affliggono da molto tempo la mia
famiglia.
V.G. - Firenze
Scrivo per comunicare con gioia
che la mia nipotina Miriam ha
compiuto un anno. Anche lei,
come la sorella Alice, è stata
battezzata nella chiesa salesiana
Maria Ausiliatrice di Trapani, in
onore di san Domenico Sa-
vio, ed anche lei è nata per Sua
intercessione, sana e bellissima.
Grazie a san Domenico Savio ab-
biamo ricevuto tanta gioia nella
nostra famiglia e voglio esprime-
re pubblicamente la nostra devo-
zione verso di Lui.
La nonna di Miriam ed Alice -
Alcamo (TP)
Il 16 settembre 2017 è nata Su-
sanna. Ringraziamo san Do-
menico Savio a cui abbiamo
chiesto la grazia per questa na-
scita.
Barbara e Cristiano di Arese
40
Dicembre 2017

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
LA COMUNITÀ
DON CORRADO BETTIGA
Morto a Torino, il 27 agosto 2017, a 85 anni
Era il “sorriso” di Valdocco. Sem-
pre in movimento qualunque
fosse la sua carica (e ne ha avute
tante), aveva il dono di mettere a
suo agio chi lo incontrava. Dopo
quindici giorni nei quali la salute
declinava sempre più, don Cor-
rado è nato al cielo domenica 27
agosto al tramonto. Molti di noi lo
hanno incontrato in questi giorni,
unitamente ai suoi famigliari. Era-
no incontri molto sereni, perché
gli ultimi giorni di don Corrado
sono stati come il riflesso della
sua vita: amore per la vergine
Maria e la nostra congregazione,
senso grande del dovere e della
comunità, desiderio di donare la
carità del suo cuore di pastore con
discrezione e fortezza, coniugate
sapientemente insieme.
Don Corrado nasce a Sueglio in
provincia di Como nel maggio del
1932. Forte della fede ambrosia-
na già a 17 anni sceglie con en-
tusiasmo la vita consacrata, con
la professione religiosa nel novi-
ziato di Montodine. Dopo il post
noviziato triennale a Nave ed il ti-
rocinio a Varese, sempre a Mon-
todine si consegnerà per sempre
al Signore con i voti perpetui.
Studia teologia a Monteortone
e diventa diacono all’inizio del
1959 e dopo sei mesi sacerdote.
Sono gli anni colmi di fermento
che prepararono il Concilio Vati-
cano II: di quegli anni don Cor-
rado custodì sempre il desiderio
della ricerca, dell’aggiornamento
e anche l’amore per la semplicità
e la verità del pregare e del ben
celebrare insieme.
Dopo l’ordinazione è a Roma per
studiare Diritto Canonico che in-
segnerà per molti anni a Castel-
lammare dal 1963 al 1979 e poi
alla facoltà teologica della Cro-
cetta di Torino. A Castellamare fu
anche direttore dello studentato
teologico (a partire dal 1973): al-
cuni confratelli lo ricordano for-
matore attento e paterno, capace
di accompagnare con prudenza,
in quegli anni di cambiamento
sociale ed ecclesiale.
Nel 1979 sarà qui a Valdocco
economo e vicario prima, poi di-
rettore dal 1985 al 1989. Dopo un
quadriennio come parroco di To-
rino San Paolo, per la sua parti-
colare sensibilità spirituale viene
scelto come Assistente centrale
dell’Istituto Secolare delle Volon-
tarie di don Bosco, incarico che
ricopre fino al 1999.
Così viene ricordato dall’attuale
Responabile Maggiore Olga Kri-
žová: «Lui è stato per ognuna di
noi il modello del salesiano fede-
le, il padre e il fratello. La sua pre-
senza ai nostri consigli centrali
era caratterizzata da una grande
delicatezza e attenzione; i suoi in-
terventi erano sempre costruttivi
e incoraggianti e mostravano una
chiara comprensione della nostra
secolarità consacrata salesiana.
Quando è stato pubblicato il nuo-
vo Codice di Diritto Canonico, lui
ci ha aiutate a scoprire le novità
che si riferivano agli Istituti Seco-
lari e a riflettere sulla specificità e
originalità della nostra vocazione.
Il suo sorriso instancabile diceva
la sua unione con Dio. Sempre
disponibile, era pronto ad offrirci
il suo servizio anche in momenti
per lui difficili, come quando si
era rotto la gamba e si muoveva
con difficoltà».
Sempre presso la casa genera-
lizia di Roma-Pisana sarà anche
direttore dal 1999 al 2005.
Don Corrado torna poi a Valdoc-
co, ancor più ricco di amore per
la nostra congregazione, con uno
sguardo che sa abbracciare volti
e problemi ampli, che ha cono-
sciuto bene la vitalità del carisma
salesiano in tutto il mondo, con
laboriosità umile ed instancabi-
le per nove anni si occupa della
biblioteca della Casa Madre e
come vicario della comunità Ma-
ria Ausiliatrice è premurosissimo
nell’accompagnare i confratelli
anziani nella loro malattia. Rimane
sino alla fine segnato da un tratto
umano molto semplice ma molto
signorile, che permette a ciascuno
di accostarsi a lui con desiderio
di ascolto e talvolta permette di
accogliere anche qualche amabile
richiamo, che don Corrado offriva
con delicatezza.
Così lo ricorda con finezza il no-
stro segretario ispettoriale:«Forte
come le sue montagne e dolce
come il lago di Como ai piedi del
suo paesello. Quando lo incrocia-
vi, era sempre pronto a rifilarti una
delle sue battute. Era il suo abitua-
le e faceto approccio per farti sen-
tire accolto, amico, complice della
sua volontà di vivere un rapporto
sereno e confidenziale. A Valdoc-
co gli abbiamo voluto molto bene
e lo abbiamo apprezzato ed ammi-
rato. Era un salesiano forte, voliti-
vo, fedele, generoso e sacrificato.
Nessuno ormai pensava al suo
glorioso passato di insegnante di
Diritto Canonico a Salerno e Ca-
stellamare: una “carriera” di quasi
16 anni. Ma chi ricorda quei suoi
anni vissuti tra Castellamare e Sa-
lerno, parla con ammirazione della
sua simpatica e costante presenza
nell’oratorio di Castellamare dove
il canonista lasciava il posto al
salesiano scherzoso, amichevole
e buon pastore.
A Valdocco è stato un Vicario
d’oro: lo abbiamo visto fedele alla
preghiera e, soprattutto, dedicato
agli ammalati come nessun fra-
tello saprebbe fare: medici, am-
bulatori, visite all’ospedale anche
più volte al giorno, in tram, in
macchina (alla ricerca di un au-
tista). Sempre disponibile, sem-
brava che non sentisse la fatica,
eppure anche lui era ammalato,
ma non lo faceva pesare.
La malattia lo avrebbe stroncato
già da tempo, ma lui, con quel
suo carattere forte ereditato dalle
sue montagne, si rialzava, ritor-
nava alla comunità, lavorava».
Don Pierluigi Cameroni, postula-
tore della Congregazione: «Di don
Corrado Bettiga ricordo l’umanità
e la familiarità con cui mi ha sem-
pre accolto, sempre disponibile
per ogni esigenza e richiesta. L’ho
visto come un vero salesiano in-
namorato di don Bosco e interes-
sato alla vita della Congregazione
e della Famiglia Salesiana, di cui è
stato un grande promotore e ani-
matore in diversi dei suoi gruppi.
Ci lascia la testimonianza di una
fede operosa, di una carità attenta
e squisita, di una speranza ferma
e gioiosa».
Dicembre 2017
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
DOVE SGORGANO I BUONI SENTIMENTI
Ai tempi di don Bosco le persone avevano abitudini molto diverse da quelle
di oggi, soprattutto se c’erano ristrettezze economiche. Molte cose che noi
consideriamo normali un tempo erano considerate dei lussi e fare picco-
le rinunce non provocava insoddisfazione. A Valdocco, tra i poveri ragazzi
dell’oratorio la fame era una compagnia fissa difficile da placare. A colazione,
per esempio, non c’erano i biscotti (le merendine di cui vanno matti i ragazzi
del nostro tempo non esistevano nemmeno) e non ci si poteva permettere
neanche il latte. Don Bosco faceva quel che poteva per dare le energie con
cui iniziare la giornata ai numerosi, piccoli ospiti. Innanzitutto, tanti sorrisi e
buon umore, poi delle belle pagnotte – quelle c’erano ed erano desiderate da
tutti. E se il pane non era fresco di forno lo si ammorbidiva bagnandolo con l’acqua della fontana. Del
primo oratorio resta ben poco in quanto la tettoia e la casa Pinardi furono demolite e il cortile è stato
completamente trasformato. Ma la vecchia fontana, quella che dissetava chi aveva sete, che dispensava
refrigerio nelle giornate calde o durante i giochi all’aperto, quella intorno alla quale si assiepavano i
ragazzi per scherzare con gli spruzzi e bere sorsate, quella esiste ancora. Un pilastro, una colonna, un
arco sono cose senz’anima, ma una fontana è viva. Quella
fontana, la XXX, allora azionata a mano, era il centro del
cortile. Questo ben lo sapeva don Bosco. Al giovane don
Vespignani, segretario di Michele Rua, preoccupato di non
riuscire a portare avanti il suo compito di educatore, don
Bosco disse: “Vuole conoscere i ragazzi? Vada alla fontana:
là, all’ora di colazione, troverà tutti i giovani riuniti per bere,
a discorrere della scuola, dei giuochi, di tutto. Si intrometta
anche lei, si faccia amico di tutti, e poi andrà alla rivincita e
ci riuscirà”.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. La sigla del
codice postale - 4. Benessere, agia-
tezza - 13. Lo scrittore Calvino (iniz.)
- 15. Un particolare stile di acconcia-
tura - 17. Apprendere - 18. In mezzo
- 19. XXX - 21. Consonanti d’Italia
- 22. Erano ministri del Negus - 23.
Cappa, coltre - 24. Concepimento di
un’idea - 28. Il nome della Fallaci -
29. Sta per lei - 30. Sua Maestà (si-
gla) - 31. L’isola con Nicosia - 33.
XXX - 36. Le ha dispari la Scozia
- 37. Un biblico profeta - 39. Una
lingua indonesiana - 40. La decima
parte del chilo - 41. Audace, ardito
- 43. Gli spiazzi delle fattorie - 44.
Nei templi era l’atrio con colonne an-
tistante la cella della divinità - 45. Un
personaggio per piccoli lettori creato
da Altan.
VERTICALI. 1. Corrente Alter-
nata - 2. Speculano e fanno affari
senza farsi scrupoli - 3. Figlio di un
nipote - 5. Perfida, infida - 6. Pre-
fisso che vale per tutti, ogni - 7. Le
impugnavano i guerrieri - 8. Colpo
dato con un utensile da cucina - 9.
Articolo romanesco - 10. Poco ra-
pido! - 11. Pieni di difficoltà o di
aculei - 12. Ci si avvolge in quello
da bagno - 13. Collera improvvisa
- 14. Un tipo di fortificazione - 16.
La provincia del Canada con Ottawa
- 18. Il TG regionale - 20. Timbro
di voce - 23. L’esame che misura la
densità dei minerali nelle ossa (si-
gla) - 25. Un ruolo nel calcio - 26.
Ne hanno quattro i quadrupedi - 27.
Ninfe delle acque - 30. La sillaba
che afferma se accentata - 32. Gas
per dirigibili - 34. Breve filmato
musicale o pubblicitario - 35. L’o-
biettivo a focale variabile - 38. Im-
portante fiume che attraversa Svizze-
ra, Austria e Germania - 40. Vocali
di sera - 42. Rovigo (sigla).
42
Dicembre 2017

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Vieni da me
L a piccola Arianna era passata
dal seggiolone ai primi passi
con la sua bella dose di cadute
e ginocchia sbucciate, come
succede a tutti i bambini.
In quelle occasioni di solito la
mamma apriva le braccia e le diceva:
«Vieni da me».
Allora lei andava a gattoni verso di
lei, le saliva sulle ginocchia e mam-
ma e bambina si abbracciavano.
La mamma le chiedeva: «Sei la mia
bambina?».
Piangendo, Arianna faceva “sì” con
il capo.
Poi aggiungeva: «La mia dolce ne-
spolina Arianna?».
La bambina annuiva ancora, ma con
un sorriso.
E infine la mamma diceva: «E io ti
voglio bene, sempre, in eterno e ad
ogni costo!».
E la stringeva forte.
Dopo una risata e un abbraccio, la
bambina era pronta per un’altra sfida.
Anche a cinque anni, Arianna conti-
nuava a ripetere la scenetta del “Vieni
da me” per le ginocchia sbucciate e
i sentimenti feriti, per scambiarsi il
“buon giorno” e la “buona notte”.
Un giorno capitò alla mamma di
avere una giornataccia.
Era stanca, irritabile e stressata
dall’impegno che richiede il prender-
si cura di un marito, di una bam-
bina di cinque anni, di due ragazzi
adolescenti e del lavoro che svolgeva
da casa.
Ogni volta che squillava il telefono o
che suonavano alla porta arrivava del
lavoro che l’avrebbe impegnata per
un giorno intero e che doveva essere
fatto immediatamente.
Raggiunse il punto di rottura nel
pomeriggio e si rifugiò in camera
per piangere in santa pace.
Arianna corse subito a cercarla
e disse: «Vieni da me».
Si accoccolò vicino alla mamma,
mise le manine sulle sue guance
bagnate dalle lacrime e disse: «Sei la
mia mamma?».
Piangendo la mamma fece “sì” con il
capo.
«La mia dolce nespolina mamma?».
Sorridendo la donna fece “sì” con il
capo.
La bambina la strinse forte e disse:
«E io ti voglio bene, sempre, in eter-
no e ad ogni costo!».
Una risata, un abbraccio e anche la
mamma era pronta per la prossima
sfida.
Chi ama sarà amato
(don Bosco)
Dicembre 2017
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Le case di don Bosco
La prima scuola
salesiana
La scuola di Valdocco
è più viva che mai
Speciale
Il poster della strenna
«Signore, dammi
quest’acqua»
A tu per tu
Parroco dei Filippini
a Torino
Don Giovanni Benna
Incontri
“Ana Jahan”
Il più giovane paese
del mondo sull’orlo
del baratro
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.