Bollettino_Salesiano_201711

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IL
NOVEMBRE
2017
Il messaggio
del Rettor
Maggiore
Il coraggio
missionario
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Un anno con
don Bosco

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Un missionario torna
altri 34 partono
Ho scelto questo titolo vagamente enigmatico
perché voglio riferirmi a un missionario salesiano
che è stato rapito ed è rimasto in balia dei
sequestratori per 18 mesi e ad altri 34 salesiani
di don Bosco e Figlie di Maria Ausiliatrice che quasi
contemporaneamente sono partiti per le missioni.
D all’11 novembre del 1875, sono state 148
le spedizioni missionarie della Famiglia
Salesiana. Un numero che suscita in noi
un profondo sentimento di gratitudine.
Un “grazie” che ho sentito forte e vero
per un avvenimento che è stato una toc-
cante “Grazia” e un Dono di Dio. La sera del 12
settembre scorso ricevemmo una chiamata che ci
comunicava che padre Thomas Uhzunnalil era
stato liberato ed era già in volo verso Roma su un
aereo del Sultanato dell’Oman.
La notizia, dopo 18 mesi di sequestro, mesi di
speranza e di trepidazione, fu un annuncio me-
raviglioso. Corremmo a riabbracciare il nostro
fratello salesiano Tom. Era fisicamente debolissi-
mo; aveva perso trenta chili e il 38% della massa
corporea, era incerto nel camminare perché era
stato immobilizzato per tutto il tempo, ma di
spirito era forte, sereno, lucido e pieno di pace e
di letizia. Tutto questo mi ha fatto pensare alla
benevolenza di Dio capace di trasformare ciò che
è debole e fragile nella voce della sua presenza e
della sua forza.
Padre Tom ci raccontava che aveva vissuto quei 18
mesi con serenità e pace, ringraziando Dio ogni
sera per il giorno che gli era stato donato, anche
se non aveva potuto uscire dalla stanza dove era
relegato né vedere la luce. Ogni volta diceva a
Dio che se all’indomani fosse stato l’ultimo gior-
no della sua vita sarebbe andato sereno incontro
a Lui. Il nostro fratello Tom pregava ogni giorno
per i suoi carcerieri e per la sua vita. Pregava per
le suore missionarie della Carità di Madre Teresa
che erano state assassinate davanti a lui. Pregava
per le sue persone care, per la famiglia salesiana e
per i giovani.
«Il sacrificio eucaristico ero io stesso,
il mio stesso corpo era un sacrificio
vivente gradito a Dio»
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Il salesiano racconta di aver vissuto e trovato for-
za, durante il sequestro, dalla “comunione spi-
rituale”: «Ho celebrato spiritualmente la messa
ogni giorno, ricordando a memoria le letture e le
parti della liturgia, non avendo né i testi liturgici,
né le specie del pane e del vino per celebrare il
sacrificio eucaristico». Ma in quel momento, in
mano ad aguzzini che avrebbero potuto porre
fine alla sua esistenza terrena, «il sacrificio eu-
caristico ero io stesso, il mio stesso corpo era un
sacrificio vivente gradito a Dio», nota.
Così è tornato tra noi pieno di pace e di tranquil-
lità. Naturalmente questa dolorosa esperienza lo
ha fatto crescere molto nella vita interiore. Ora
non pretende niente. Non si aspetta alcun rico-
noscimento. Vuole soltanto continuare a servire
lavorando serenamente.
Ci parla semplicemente della sua condizione di
missionario. Stava in Yemen come missionario e
continuò a sentirsi missionario più che mai nei 18
mesi di prigionia, anche se non poteva “far nien-
te”, ma era “tutto”, perché ogni giorno consegna-
va se stesso, con assoluta innocenza.
La grande missionarietà eroica
della Chiesa
Negli stessi giorni, mentre padre Tom riceveva le
prime cure a Roma, altri 21 Salesiani e 13 Figlie
di Maria Ausiliatrice ricevevano il crocifisso del-
la partenza come missionari.
Tutti con il cuore pronto per servire là dove c’è la
necessità più bruciante. Lasciano il mondo cono-
sciuto, spezzando il cerchio delle amicizie e degli
affetti familiari, per abbracciare la vita di altra
gente, altre sensibilità, altre lingue e altri volti.
C’è un ponte di fede e di coraggio tra padre Tom
e i nuovi missionari. Il messaggio del nostro fra-
tello Tom ai nuovi missionari è quello di una
vita donata.
Ricordo la storia di una suora missionaria che
stava accuratamente curando le piaghe ripugnanti
di un lebbroso. Faceva il suo lavoro sorridendo e
chiacchierando con il malato, come fosse la cosa
più naturale del mondo.
A un certo punto chiese al malato: «Tu credi in
Dio?».
Il pover’uomo la fissò a lungo e poi rispose: «Sì,
adesso credo in Dio».
Faccio mio il messaggio del Papa: «Annunziare
Gesù Cristo con la propria vita! Io mi rivolgo ai
giovani: pensa a che cosa vuoi fare tu della tua
vita. È il momento di pensare e chiedere al Si-
gnore che ti faccia sentire la Sua volontà. Ma non
escludere, per favore, questa possibilità di diven-
tare missionario, per portare l’amore, l’umanità,
la fede in altri Paesi. Non per fare proselitismo:
no. Quello lo fanno quelli che cercano un’altra
cosa. La fede si predica prima con la testimonian-
za e poi con la parola. Lentamente».
Questo mi hanno detto i fatti di settembre, nella
loro vivida realtà. I missionari donano la loro vita
in modo assoluto e radicale. Nessuno li chiama
“eroi”, ma la loro testimonianza scuota i nostri
cuori.
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