Bollettino_Salesiano_201710

Bollettino_Salesiano_201710

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IL
OTTOBRE
2017
SYM:
giovani con don Bosco
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
B. F.
Le castagne
Quelli erano i nostri giorni. Quando
ancora non c’era la “festa della Santa
Zucca”, i cristiani celebravano la festa di
Ognissanti e la Commemorazione dei
Fedeli Defunti. In Piemonte c’era una
bella tradizione: nel periodo di Ognis-
santi le famiglie festeggiavano con caldarroste e
vino nuovo.
E anche don Bosco lo voleva fare.
Nel 1849, quando il suo Oratorio era nuovo nuovo,
don Bosco portò tutti i giovani interni ed esterni
dell’Oratorio al cimitero a pregare per i defunti.
«Al ritorno, castagne per tutti!» aveva promesso
don Bosco. Mamma Margherita ne aveva com-
perati tre sacchi, ma pensando che il figlio ne
volesse solo una manciata per divertire i giovani,
ne aveva messe a bollire solo poche.
I ragazzi si stavano già accalcando alla porta
della Chiesa di S. Francesco. Don Bosco si mise
alla soglia per fare la distribuzione. Buzzetti ver-
sò la pentola dentro un cestello e lo teneva fra le
sue braccia. Don Bosco credendo che sua madre
avesse fatto cuocere tutte le castagne comperate,
riempiva il berretto che ogni giovane gli spor-
geva. Buzzetti, vedendo che ne dava troppe a
ciascuno, gridò: «Don Bosco, se continua così,
non ce n’è neanche per metà!».
«Ma va» rispose don Bosco «ne abbiamo
comperati tre sacchi». Tuttavia don Bosco,
rincrescendogli diminuire le porzioni, gli disse
tranquillamente: «Continuiamo fin che ce ne
sarà». E continuava come prima. Finché nel
canestro non vi fu più altro che la porzione
per due o tre. Solo una terza parte dei giovani
aveva ricevute le sue castagne, ed erano almeno
600. Alle grida di gioia successe un silenzio di
La storia
Nacque così la castagnata. In memoria di questo prodigio
don Bosco volle che si distribuissero alla sera di Ognis-
santi, come asserisce il canonico cav. Anfossi, le castagne
lessate a tutti quelli dell’Oratorio. «Noi abbiamo esposta
fedelmente questa moltiplicazione delle castagne, secon-
do la narrazione che ascoltammo da Giuseppe Buzzetti
confermata per iscritto da Carlo Tomatis, e riconosciuta da
tutti gli antichi allievi di quei tempi come autentica» (Me-
morie biografiche volume III, pp. 576-578).
ansietà, poiché i più vicini si erano accorti che
il cesto era quasi vuoto.
Che fare? Don Bosco non si sgomentò:
«Le ho promesse ai giovani e non voglio mancar
di parola». E riprese la distribuzione.
Qui incominciò la meraviglia. Buzzetti era
come fuori di sé. Don Bosco calava il mestolo
nel canestro e lo ritraeva traboccante; mentre la
quantità che rimaneva nel cesto sembrava non
diminuisse. Ne ebbero tutti a sazietà. Quando
Buzzetti portò il canestro in cucina vide che
dentro c’era ancora una porzione, quella di don
Bosco. La Madonna gli aveva tenuto la sua
parte.
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Ottobre 2017

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IL
IL
Mensile di
informazione e
OTTOBRE
Rivista fondata da
2017
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
OTTOBRE 2017
ANNO CXLI
Numero 9
SYM:
giovani con don Bosco
In copertina: Ricaricarsi dello spirito di don Bosco
per poi trasmetterlo ai propri coetanei: è l’esperienza
vissuta in estate da circa 250 giovani animatori
del Movimento Giovanile Salesiano (MGS) d’Europa
e del Medio Oriente. (Foto Andrea Cherchi)
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Sri Lanka
12 LE CASE DI DON BOSCO
I Ladri di Carrozzelle
15 INIZIATIVE
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 A TU PER TU
Don Pampinella
22 TEMPO DELLO SPIRITO
Un bicchiere d’acqua
24 L’INVITATO
Padre Roca
27 LIBRI
28 FMA
30 I NOSTRI EROI
Cinque giovani martiri
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Valerio Del Croce,
Roberto Desiderati, Emilia
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Artime, Claudia Gualtieri,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Marcella Orsini, Pascual Chavez,
Pino Pellegrino, Linda Perino,
O. Pori Mecoi, Claudia Klinger,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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- Torino
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Avere radici profonde, Nell’incanto
della foresta
di Vallombrosa,
essere flessibili
non dimenticherò
mai la lezione
di vita e di
e ricchi dell’essenziale sapienzache
mi hanno dato
gli abeti.
Dal cuore, come sempre, nasce questo
messaggio, miei cari amici, lettori del
Bollettino e membri dell’amata Famiglia
Salesiana. Questa volta voglio comuni-
carvi una riflessione che è sbocciata in
una circostanza della mia vita. Una ri-
flessione che mi ha donato la natura.
In mezzo all’insistente e turbinosa girandola
d’impegni, incontri, viaggi e assilli quotidiani, ho
potuto godere di uno di quei momenti che piace-
vano anche a Gesù e che i Vangeli ci ricordano:
«Se ne andò sul monte o in un luogo deserto a
pregare».
Il mio luogo particolare è stato il monastero di
Vallombrosa, vicino a Firenze, dove ho avuto
l’opportunità di una settimana di serenità e di
pace per gli Esercizi Spirituali, insieme agli altri
membri del Consiglio Generale.
Vallombrosa è un luogo molto semplice, sobrio,
immerso nella natura, a mille metri di altitudine.
Solo essere là era un invito alla preghiera, in quel-
la ombra fresca, come dice il nome stesso, offerta
da migliaia e migliaia di abeti, dritti e alti anche
più di venti metri. La foresta di Vallombrosa è
uno dei “polmoni verdi” più importanti d’Italia e
con alberi considerati tra i più longevi d’Europa.
Ma proprio quegli alberi mi hanno impartito una
lezione sapienziale e spirituale che non dimenti-
cherò. Avevo notato che erano abeti molto alti,
ben dritti verso il cielo. Ma con una chioma stri-
minzita, con pochi rami e poche foglie. Come se
si accontentassero dell’essenziale per poter respi-
rare, vivere e crescere.
Incuriosito da queste particolarità, interrogai
un esperto. Mi confermò che gli abeti di quel-
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la zona avevano caratteristiche speciali. Queste:
erano alberi con le radici molto profonde,
un tronco molto flessibile e un fogliame
(rami e foglie) ridotto all’essenziale.
Il perché di tutto questo mi incantò ancora di più.
Le radici profonde sono necessarie per cercare
umidità e acqua, anche quando in superficie ca-
pitano periodi di siccità o estati roventi, che ina-
ridiscono anche la montagna.
Il tronco è alto perciò deve essere molto flessibi-
le per poter oscillare e neutralizzare la pressione
del vento. Se fosse rigido correrebbe il rischio di
spaccarsi quando imperversano le bufere, non in-
frequenti da queste parti.
La chioma ridotta è anch’essa un frutto della sag-
gezza naturale. Se fosse ampia e con molti rami
le grandi nevicate invernali potrebbero stroncarla
sotto il loro peso, mettendo in pericolo l’albe-
ro intero. Rimasi sorpreso e anche meravigliato
dall’evidenza della spiegazione.
Le tre caratteristiche
«Che incredibile metafora, che lezione di vita im-
partisce la natura a noi esseri umani» mi dissi e
pensai immediatamente a noi. Quanta sapienza
“salesiana” nelle tre caratteristiche dell’albero.
La prima ci insegna a vivere con profondità e
interiorità, cercando le Sorgenti della Vita, per
scoprire l’«acqua pura» della serenità, della cal-
ma, della pace anche nei giorni difficili, nei mo-
menti di dolore e di dispiacere. Questa sorgente
per noi non è senza nome. Le nostre radici af-
fondano nella “terra” di Dio, dove troviamo il
senso di tutto. Così questo mondo non riuscirà
mai a inaridirci e prosciugare le nostre energie
vitali.
La seconda qualità è la flessibilità. Significa op-
porsi alle energie distruttive, resistere al disfa-
cimento, piegandosi. Significa essere elastici e
versatili quando è in gioco ciò che è veramente
importante. Quando cambiamo l’intransigenza
in dialogo, in ascolto, in pazienza e vicinanza,
tutte qualità che nascono dall’amore, non sare-
mo “spezzati” facilmente. Siamo figli di un pa-
dre che, in seminario a Chieri, per distinguersi
da un altro chierico che aveva lo stesso cognome
e che diceva di sé «Io sono Bosco di nespola (legno
duro e nodoso)», disse semplicemente «Ed io mi
chiamo Bosco ’d sales (in piemontese “di salice”,
legno dolce e flessibile)». E tale fu sempre per
tutta la vita.
La terza qualità ci invita a ricercare solo ciò che
è veramente essenziale, ciò che ci basta per essere
felicemente in armonia con noi stessi, gli altri e
le cose. Alleggeritevi dei fardelli inutili, ritrovate
la semplicità, eliminate la competitività in ogni
campo della vostra esistenza. La ricchezza di un
uomo si misura da quello di cui non ha bisogno.
La lezione della natura è decisamente opportuna
in quest’anno in cui invitiamo le famiglie
a riflettere per essere «scuola di vita e
di amore». È una lezione che vale per le rela-
zioni personali, i vincoli familiari, l’educazione e
l’accompagnamento dei figli. È utile per ogni af-
fetto e amicizia e anche negli ambienti di lavoro.
Ovunque sia in gioco chi siamo, come siamo e
come ci sviluppiamo.
Non dimenticherò la lezione degli abeti di Vallom-
brosa. Ascoltateli anche voi. Sono una delle infini-
te orme che il Creatore ci ha lasciato quaggiù.
Vi saluto con affetto e siate felici.
Foto Shutterstock.com
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Quando la vita è La musica allontana o no
i giovani dalla realtà?
una colonna sonora
Antonio, 25 anni:
«È una seconda mamma per me»
Pensando alla mia infanzia la musica
è stata in un certo senso una seconda
mamma per me. Sempre lì, pronta a
consolarmi quando serviva, pronta a
sgridarmi quando ne avevo bisogno.
Mi ha accompagnato fin dai primi
passi che ho mosso, quando, curioso,
osservavo mio padre premere le dita
su degli strani cilindretti di un tubo
lungo, che poi crescendo ho imparato
essere una tromba. Da lì, ho comincia-
to dapprima ad amarla, poi a studiarla,
infine a farla diventare il mio lavoro.
È stata anche una parte fondamentale
della mia crescita quando, per supera-
re la balbuzie di cui soffrivo, la musica
è diventata una vera e propria terapia,
che, attraverso degli esercizi, ha fatto
in modo che io mi liberassi dalla gab-
bia delle parole. Guardandomi intorno
noto che i giovani hanno bisogno della
musica per vivere, così come hanno bi-
sogno dell’aria. È il veicolo che riesce
a superare qualsiasi differenza di na-
tura sociale, etnica o religiosa che sia.
Inoltre, fa sì che i ragazzi riescano più
facilmente a socializzare (non posso
fare a meno di pensare ai falò con le
chitarre in riva al mare) in un’epoca
in cui sono sempre più “schermo-di-
pendenti”. Tuttavia, se i giovani sono
così oggi, la colpa è anche un po’ della
società che li ascolta sempre meno. I
“grandi” sono sempre presi da mille
cose e i giovani sono costretti a rifu-
giarsi in coloro i quali non fanno altro
che regalare emozioni. Diceva Marco
Masini qualche anno fa che la “loro
(dei ragazzi) religione è di credere ai
cantanti”. Mai frase fu più azzeccata
da Masini, il quale, in maniera velata,
metteva in guardia i suoi colleghi per
i messaggi che potevano mandare. La
musica è l’unico rifugio sicuro dei gio-
vani d’oggi, un rifugio a prova di bom-
ba che li protegge dalle delusioni della
vita e li sprona a ribellarsi a esse. Così
sono convinto che la musica, come ho
sperimentato sulla mia pelle, abbia un
potere fondamentale ovvero quello di
insegnare a lottare per i propri sogni,
gli unici a “dare forma al mondo”.
Valeria, 18 anni:
«È amica, confidente, connessione
con un ente superiore»
Il valore che la musica ha per me è in-
spiegabile, ma ci proverò. Sono nata
e cresciuta in una famiglia in cui era
inevitabile che la musica diventasse
il centro della mia vita, essendo mia
madre una musicista, e ora la musica è
tutto ciò che mi aiuta ad andare avanti.
Anche di fronte alla mia missione di
animatrice spesse volte ho pensato che
la musica fosse più importante. Ogni
tanto mi capita di sentirmi egoista per-
ché, se dovessi scegliere tra gli amici o
altro a discapito della musica, io sce-
glierei sempre la musica. Io la tocco,
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la sento, la percepisco quasi fosse una
persona. La musica è continuamente
necessaria per me e non posso farne
a meno. Se dovessi definire la musica,
la definirei amica, confidente, con-
nessione con un ente superiore. Infat-
ti, la musica è per me anche il modo
più profondo di pregare. Come me, i
giovani di oggi hanno bisogno della
musica per tanti motivi. La musica è
in grado di entrarti dentro, di far ri-
flettere, di far sfogare, di far diverti-
re. Soprattutto sono convinta che per
i giovani la musica sia il mezzo at-
traverso cui capire il vero senso della
bellezza intesa come la cosa più pura.
Per questo credo che i giovani vengano
sia allontanati sia avvicinati alla real-
tà per mezzo della musica. Il giovane
che crea musica lo fa principalmente
per rinchiudersi in se stesso ma quan-
do si lega alla musica succede che non
può fare a meno di sentirsi anche parte
di un tutto. In qualità di giovane c’è
una cosa in particolare che mi sento di
dire a tutti, ma specialmente agli adul-
ti: non sottovalutate mai il potere e la
bellezza della musica.
Andrea, 24 anni:
«ha tirato fuori il meglio di me»
Educare vuol dire tirare fuori e la mu-
sica è stata in grado di tirare fuori il
meglio di me in tutto ciò che faccio e
continuo a fare. Non riesco a dare un
valore preciso al ruolo che ha la musi-
ca per me, perché la musica per me è
uno dei tanti valori. Il valore è orien-
tamento delle nostre azioni e la musica
mi orienta, mi invita a riflettere, mi fa
sperimentare la capacità di saper fare
dono di questa relazione intima fra me
e lei, grazie alla quale si possono fare
delle cose meravigliose per sé e per gli
altri. Per i giovani sono convinto che
la musica sia “una scusa” che contri-
buisce, in maniera inconsapevole, alla
formazione dell’identità personale dei
ragazzi. La necessità di ascoltare mu-
sica è collegata a diversi bisogni come
comunicare qualcosa, stare in contat-
to con la propria emozione, evadere
dal quotidiano. L’ascolto musicale ha
inoltre una forte funzione psicosociale:
ascoltare musica ti può rendere par-
te di un gruppo nella condivisione di
valori, modalità e prospettive; oppu-
re semplicemente farti sentire “quello
fuori dal coro” che conosce qualcosa
che gli altri non conoscono e che si
distingue perché ascolta qualcosa che
gli altri ancora non hanno scoperto. La
musica si inserisce perfettamente fra
gli adolescenti e i loro bisogni profondi
di vivere emozioni, ma emozioni forti.
La musica può avere entrambe le fun-
zioni di scappatoia dalla società o di
porta che conduce ad essa. Ascolta-
re e vivere la musica in adolescenza è
correlato alla partecipazione ad eventi
di massa e a volte all’uso di sostanze.
Così la musica penetra in maniera
prepotente nella quotidianità di un ra-
gazzo, non c’è tempo, luogo, o barriera
che possa impedirgli di viverla attra-
verso le modalità che sente più adatte
a sé. Ecco perché l’ascolto di musica
in adolescenza è correlato alla parte-
cipazione ad eventi di massa, all’uso
di sostanze psicoattive o alla ricerca
di adulti che possano prestare tempo
e volontà ad ascoltare i loro bisogni
nascosti nel brano di un artista. I ge-
nitori o gli insegnanti, conoscendo le
passioni musicali dei ragazzi, possono
cercare di “accompagnarli” e impedire
che scelgano strade sbagliate.
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SALESIANI NEL MONDO
O. PORI MECOI
Don Bosco
nell’isola risplendente
Don Joseph Giaime: «Per i Salesiani, lo Sri Lanka è una grande speranza».
Don Joseph
Giaime è in Sri
Lanka dal 1992:
«Dopo la guerra
civile, abbiamo
pace e sicurezza».
Può autopresentarsi?
Sono un povero vecchio missionario da 50 anni
nel mondo salesiano dell’Oriente. Nacqui in Pie-
monte nel 1936 in una povera famiglia di affitta-
voli, che riuscì a sopravvivere alla grande guerra
del 1939-1945 lavorando sodo e faticando molto.
Dopo le elementari, per interessamento del mio
parroco fui mandato a fare il ginnasio nell’aspi-
rantato missionario di Penango (Asti) negli anni
1948-53, dopo di che andai direttamente al novi-
ziato di Villa Moglia. Dopo la prima professione
nel 1954 per tre anni fui a Foglizzo per gli studi
di filosofia e del liceo, dopo di che feci il tiro-
cinio pratico per tre anni a Ivrea, seguiti da un
anno a Roma per la “propedeutica” e poi 4 anni di
teologia alla Crocetta (Torino). Ricevetti l’ordi-
nazione sacerdotale a Valdocco l’11 febbraio 1965
e lo stesso anno partii per le missioni nel Bhutan.
Così cominciò la mia avventura missionaria.
Perché ha scelto le missioni?
Posso dire che l’interesse per le missioni inco-
minciò molto presto nella mia vita. Avendo fatto
una casuale lettura di episodi missionari (ricordo
un racconto sui Martiri dell’Uganda e sul grande
missionario il cardinale Massaia) sentii uno stra-
no desiderio di diventare missionario anch’io. Ma
poi dimenticai tutto non vedendo alcuna possi-
bilità pratica. Ma la divina provvidenza volle
che fossi mandato all’aspirantato missionario di
Penango, dove lo spirito missionario era di casa.
Mi entusiasmava la lettura di “Gioventù Missio-
naria”. Ogni anno la partenza per le missioni di
nostri compagni che finivano il ginnasio e le visi-
te di missionari di passaggio rinfocolavano questo
desiderio. Ancora ricordo la visita del grande mis-
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sionario padre Luigi Ravalico, che per un paio di
giorni non fece che parlarci dell’India.
Anch’io feci la domanda alla fine del ginnasio,
ma non fu accettata, la ripetei quando ero chieri-
co ed ebbi la stessa sorte. Dopo la mia ordinazio-
ne ripetei la domanda per la terza volta e questa
volta fu accettata e fui mandato nell’incipiente
missione nel Bhutan. Così incominciò la mia av-
ventura missionaria.
Com’è arrivato nello Sri Lanka?
Alla fine di un lungo e tortuoso giro, per cui
qualcuno potrebbe pensare che sono un gira-
mondo. Il fatto è, con una sola eccezione, che i
superiori mi hanno mandato sempre più lonta-
no. La mia avventura mi portò prima in Bhutan,
dove avevamo la prima opera, ma dopo tre anni
fui mandato nelle Filippine, dove arrivai nel gen-
naio 1969, e dove rimasi felicemente e direi anche
fruttuosamente fino al 1992, con una sola paren-
tesi di un anno e mezzo in Papua Nuova Guinea.
L’ispettoria di Manila aveva, e ha ancora, missio-
ni in e nel 1987 fui mandato in quel paese
come parroco in Araimiri, ma vi potei rimanere
solo un anno e mezzo perché la malaria, l’ulcera
e altre malattie mi ridussero in fin di vita, e quin-
di fui richiamato nelle Filippine, dove continuai
il mio lavoro fino al 1992. Nel 1992 ancora una
volta mi fu richiesto di cambiare rotta e venire in
Sri Lanka.
Perché lo Sri Lanka?
La cosa fu molto semplice. Il Consigliere Regio-
nale di quel tempo, P. Thomas Panakhezam, vi-
sitò le Filippine e venne anche nella nostra casa,
e quando stava per partire, mi guardò e mi disse:
“Preparati ad andare nello Sri Lanka”. E così fu.
Una nuova vita incominciava per me, una vita to-
talmente differente.
In Sri Lanka, a fare che cosa? A quel tempo Sri
Lanka faceva parte dell’ispettoria di Madras ed
aveva 4 piccole case con un totale di 17 confratelli
«È così bello
essere qui in Sri
Lanka!». Sono
state queste le
prime parole del
Rettor Maggiore,
Don Ángel
Fernández Artime,
al suo arrivo nel
paese asiatico.
Qui nell’Istituto
salesiano di
Ingegneria Civile
di Metiyagane,
il primo Istituto
di Educazione
Superiore eretto
nella Visitatoria
dello Sri Lanka,
situato in una
delle principali
città dell’isola.
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SALESIANI NEL MONDO
e i Superiori di Roma pensarono di darle nuova
vita facendola delegazione ispettoriale, e P. Tho-
mas ebbe l’ispirazione improvvisa di mandare me
a fare il primo delegato ispettoriale in questo pae-
se. E all’età di 80 anni passati sono ancora qui.
Qual è la situazione attuale
di questa nazione?
Dopo la fine della guerra civile sei anni fa, ab-
biamo pace e sicurezza in tutto il paese e la gente
può vivere e lavorare dove più conviene. Il Nord,
che era l’arena principale della guerra, si sta svi-
luppando, la gente ritorna nei villaggi, il nuovo
governo, dal gennaio scorso, è più conciliante e
sta ritirando buona parte dell’esercito dal nord e
restituisce le terre confiscate ai legittimi proprie-
tari. Quindi si può lavorare tranquillamente in
tutto il paese.
In alto:
Don Joseph
(a destra) durante
una Messa.
Sotto: Il Rettor
Maggiore con
i salesiani
della Visitatoria.
Com’è vista la Chiesa Cattolica?
La Chiesa Cattolica rappresenta circa il 7 per 100
della popolazione del paese ed è concentrata so-
prattutto lungo la costa occidentale tra i pescatori.
È molto rispettata e ben organizzata e può lavo-
rare in tutta libertà. Forse avrebbe bisogno di un
po’ più di zelo missionario per portare il vangelo
tra i non-Cristiani. Ci sono 12 diocesi con circa
1 700 000 fedeli.
Dove e come lavorano i Salesiani?
I Salesiani arrivarono in Sri Lanka nel 1956
quando il missionario francese P. Henri Remery
venne dall’India e dopo grandi difficoltà poté in-
cominciare la prima opera a Negombo, sul mare
35 km a nord di Colombo nel 1962. Sfortunata-
mente P. Remery si ammalò e nel 1972 ritornò
in Francia da dove non ritornò più, pur aiutando
sempre l’opera salesiana fin che visse.
Nel 1993 quando io diventai il delegato ispetto-
riale, c’erano 17 confratelli in 4 case, 3 lungo la
costa occidentale e una a Kandy, nel centro. Dei
17 confratelli 8 erano sacerdoti, un coadiutore
italiano, 5 studenti di teologia, un diacono e un
paio di tirocinanti.
Cercando di potenziare la formazione, l’arrivo di
qualche missionario soprattutto dall’India, l’or-
dinazione dei 5 studenti di teologia rese possi-
bile un primo sviluppo e alla fine del mio man-
dato nel 1999 c’erano 9 case e una cinquantina
di confratelli. La crescita continuò sotto la guida
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Ottobre 2017

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LA PERLA D’ORIENTE
del mio successore, don Beniamino Puthota, di
modo che nel 2004 i Superiori poterono creare la
Visitatoria.
Fino a questo tempo eravamo concentrati lungo
la costa occidentale, prevalentemente tra la po-
polazione cattolica. Ma con la venuta della pace
fu possibile andare anche nel nord, dove adesso
abbiamo 4 opere. Attualmente siamo presenti in
14 posti e stiamo espandendoci nel nord e all’est.
Che futuro ha don Bosco
in questa nazione?
Il futuro si prospetta glorioso. Siamo adesso una
novantina, i superiori ci stanno mandando pa-
recchi nuovi missionari, abbiamo tutte le case di
formazione fino al postnoviziato: 2 aspirantati, il
prenoviziato, il noviziato e lo studentato di filo-
sofia. Quindi il futuro è pieno di speranza e di
sviluppo.
Pur essendo un’isola così piccola Sri Lanka si è guadagnata tanti nomi:
Serendib, Ceylon, Lacrima dell’India, Isola Risplendente, Isola del Dharma,
Perla d’Oriente... Tanto assortimento è un segno della sua ricchezza, bellezza
e dell’intensità del richiamo che ha suscitato in quanti l’hanno visitata. Da
secoli essa seduce i viaggiatori, che tornano a casa portando con sé incan-
tevoli immagini di una languida
isola tropicale densa di tanta
spiritualità e serenità da essere
diventata, nella fantasia degli
occidentali, la Tahiti d’Oriente.
La capitale Colombo era già co-
nosciuta dai mercanti romani,
cinesi e arabi oltre 2000 anni fa.
Con un alto tasso di alfabetiz-
zazione del 92%, e il 66% della
popolazione che ha frequentato
le scuole superiori, lo Sri Lanka
è la nazione sud-asiatica con
il maggior numero di abitanti
in grado di leggere e scrivere,
e può vantare un primato fra
i paesi in via di sviluppo. La
scuola dell’obbligo, della durata
di nove anni, è completata dal
90% degli studenti.
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NELLE CASE DI DON BOSCO
VALERIO DEL CROCE
I Ladri di Carrozzelle
stravedono per la vita
Nato nel nome di don Bosco,
è il più singolare complesso
musicale del mondo. Dopo ventotto
anni continua a sognare.
Abbiamo incontrato Paolo Falessi, fon-
datore dell’ormai celebre gruppo mu-
sicale i Ladri di Carrozzelle, apparso
al Festival di Sanremo 2017, che ha
ripercorso insieme a noi una storia me-
ravigliosa che dura ormai da 28 anni.
Un’esperienza dal profondo contenuto sociale e
soprattutto Salesiano il cui fondamento è rico-
noscibile nel metodo preventivo di don Bosco.
Lo stesso Falessi ammette: “È un metodo edu-
cativo fondamentale nella mia esperienza, mi
aiuta nel mio lavoro quotidiano con i ragazzi.
Questo progetto si fonda sul concetto di allegria
e sulla capacità di fare gruppo. La disabilità non
è vissuta come ‘problema’ poiché alla tristezza
infatti noi sostituiamo l’allegria e soprattutto
autoironia. Punto di forza del mio trascorso con
i ragazzi è senza dubbio la mia esperienza con i
Salesiani. Tale formazione è consolidata in me
perché sono cresciuto nell’oratorio Capocroce di
Frascati dove ho fatto l’animatore per poi fare
l’animatore nazionale e . Un momen-
to importante è stato poi il servizio civile come
obiettore di coscienza al Borgo Ragazzi Don
Bosco di via Prenestina a Roma”.
Un progetto ambizioso quello dei Ladri di Carroz-
zelle, che negli ultimi anni è evoluto in qualcosa di
ancora più grande, aprendosi a nuove forme di fra-
gilità non soltanto fisiche ma anche mentali: grazie
alla collaborazione con la cooperativa Arcobaleno
12
Ottobre 2017

2.3 Page 13

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Accordi semplici, un gioco che parla di noi.
Si vuole raccontare la verità e non si impone ai ragazzi
uno stile particolare .
di Frascati sono stati accolti nuovi membri, cercan- “Stravedo per la vita” (che il gruppo ha portato al
do di tirar fuori le attitudini e i talenti di ognuno festival di Sanremo 2017) il leitmotiv è l’ironia,
di loro ponendo sempre al centro il rispetto, l’im- l’amore per ciò che si fa e la leggerezza che per-
pegno, la leggerezza e il buonumore.
mette di vedere la disabilità in un’ottica nuova,
Sempre Falessi aggiunge: “Il nostro ottimismo è svincolata da qualsiasi forma di luogo comune.
vissuto come scelta e questo aiuta i ragazzi a vi- E Falessi ci racconta poi l’esperienza al Festival di
vere la disabilità con forza interiore e a superare Sanremo: “Un’esperienza importante, significati-
le naturali difficoltà che incontriamo quotidiana- va, vissuta come gruppo. Ringrazio la dottoressa
mente. Cerchiamo di mettere al centro la qualità, Severini Melograni e la sua agenzia che hanno
cerchiamo di vivere tutti insieme in un gruppo potuto realizzare questo sogno: affrontare questa
nel quale non devono esserci personalismi, si la- nuova sfida con i ragazzi e le difficoltà di questo
vora in blocco. Il saper stare insieme è coltivato palco così prestigioso è stata un’esperienza indi-
al di là delle capacità dei singoli e la passione per menticabile. Ringrazio tutti coloro che hanno
la musica ci guida nel raggiungimento dei nostri
obiettivi formativi”.
È dunque chiaro come la preparazione di Paolo
Falessi unita al suo vivere la spiritualità salesiana
lo aiuti nello sviluppo di questo progetto umano,
artistico e musicale. Da “Distrofichetto” fino a
collaborato con noi nell’organizzazione di questo
grande avvenimento”.
Ma i Ladri di Carrozzelle non si fermeranno qui,
c’è un altro sogno da realizzare: una casa fami-
glia per i ragazzi. Un luogo tutto loro che li aiuti
e li tuteli e nel quale possano continuare a spe-
I Ladri di
Carrozzelle in
concerto. «Il mio
punto di forza è
l’esperienza fatta
con i Salesiani»
dice il fondatore
del gruppo.
Ottobre 2017
13

2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
«Si vuole
raccontare la
verità, nessun
stile è imposto ai
ragazzi. Ognuno
porta se stesso».
rimentare l’allegria e a sviluppare i loro talenti
musicali. Si pensa infatti alla costruzione di una
sala prove, una sala per le registrazioni e ad allog-
gi per il gruppo. E Falessi aggiunge: “In questi
anni abbiamo cercato di creare qualcosa di meno
professionistico ma più professionale in modo da
fornire ai nostri ragazzi un futuro. Una delle no-
stre preoccupazioni riguarda che cosa accadrà ai
membri del gruppo quando non ci saranno più le
famiglie, questo progetto è volto a garantir loro
un futuro il più sereno possibile”.
Allegria, ottimismo
e sistema preventivo
Programmazione, attenzione, allegria e metodo
preventivo come insegnava don Bosco: ecco la
forza dei Ladri di Carrozzelle. Altro elemento
caratterizzante sta nella varietà dei loro eventi e
nelle molteplici tematiche trattate. La disabilità
non è necessariamente al centro dei loro testi e un
elemento importante è rappresentato dall’alter-
nanza sul palco dei membri del gruppo volto pro-
prio al fine di non creare personalismi specifici.
Non meno importante aspetto dei Ladri di Car-
rozzelle è l’umorismo come stile: nei rapporti in-
terpersonali, nei testi e nei concerti il gruppo rie-
sce a non perdere mai la capacità di scherzare su
tematiche delicate, coinvolgendo il pubblico con
un repertorio estremamente brillante e “leggero”.
E come ha sottolineato Paolo Falessi: “Si vuole
raccontare la verità, nessuno stile è imposto ai ra-
gazzi. Ognuno porta se stesso”.
E potremmo aggiungere che si riesce a esterna-
re qualsiasi argomento, anche il più delicato, con
straordinaria efficacia: non soltanto problemati-
che di natura sociale ma anche integrazione, ri-
spetto e vita comune, prendendo volutamente in
giro il concetto stesso di normalità.
Paolo Falessi cerca di far capire questo nuovo
punto di vista che di fatto si ricollega ad alcuni
insegnamenti fondamentali su cui si basa la vita
salesiana con i ragazzi: “Amate ciò che amano i
giovani, affinché essi amino ciò che amate voi e il
demonio ha paura della gente allegra. Siate sem-
pre allegri”.
14
Ottobre 2017

2.5 Page 15

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INIZIATIVE
MARCELLA ORSINI
Per i ragazzi di strada
del Madagascar
ISalesiani di don Bosco sono pre-
senti in Madagascar dal 1981 e
oggi sono una solida e importante
presenza missionaria di riferimen-
to in tutte e cinque le Diocesi del
Paese. La Fondazione Don Bosco
nel Mondo opera sempre al fianco dei
missionari salesiani in Madagascar.
Grazie ai sostenitori della Visitatoria
del Madagascar dal mese di maggio
del 2016 e nel corso del 2017 la Fon-
dazione Don Bosco nel Mondo ha
fornito supporto a quattro opere sa-
lesiane, Bemaneviky, Ijely, Clairvaux
e Fianarantsoa con il progetto “Aiuto
per i ragazzi di strada” il cui obiettivo
specifico è stato assicurare a 990 mi-
nori privi di sostegno familiare cibo,
vestiario e cure mediche per un anno.
Il sistema preventivo di don Bosco ci
insegna che prima di tutto i bambini
e i ragazzi hanno bisogno di sentirsi
accolti e presi in cura per comincia-
re a sperimentare in concreto che è
possibile un’alternativa all’esclusione
e all’abbandono.
I 990 minori beneficiari del progetto
provengono da condizioni di sfrut-
tamento come manodopera nelle
campagne a causa della condizione
di estrema povertà delle famiglie
di appartenenza, sono diventati di-
pendenti da sostanze stupefacenti e,
nelle periferie delle città esposti al
La Fondazione Don Bosco
nel Mondo al fianco dei
missionari salesiani.
rischio, sono stati assoldati da bande
criminali.
Il loro avvicinamento e coinvolgi-
mento è stata la fase più delicata del
progetto, ma grazie alla competen-
za degli educatori e dell’équipe di
accompagnamento medico e psico-
pedagogico è stato possibile inter-
rompere il circuito di resistenze e
sfiducia in favore di un clima sereno
volto alla realizzazione del percorso
di sviluppo in strutture sostitutive
della famiglia, nella famiglia di ori-
gine, qualora possibile e nella comu-
nità intera.
Tutto questo grazie a voi!
Fondazione don Bosco nel Mondo
Tel. 06.656121 – 06.65612663
Email: donbosconelmondo@sdb.org
Ottobre 2017
15

2.6 Page 16

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MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
2
INDIA 1
CUBA 2
FINO AI CO
In gioco per la causa
dei migranti
Un recente censimento ha sti-
mato che in India sono circa 450 milioni le persone mi-
grate dai luoghi d’origine verso i centri urbani. I migranti
non sono sempre i benvenuti e spesso devono lottare
per ritagliarsi uno spazio nei nuovi contesti. Istituzioni
come il “Bosco Enhancement Services for Tribals” (
- Servizio Salesiano per la Valorizzazione dei Tribali)
si impegnano a offrire formazione ai migranti, così da
accrescere le loro possibilità professionali.
Nei mesi di luglio e agosto il ha organizzato per la
seconda volta un torneo di hockey esclusivamente dedica-
to ai migranti. La competizione è stata coordinata da don
Nobert Xalxo, direttore del .
“Il primo obiettivo del torneo è identificare i giovani da
poter aiutare affinché trovino un posto di lavoro; inoltre
cerchiamo di far sì che i ragazzi si conoscano e interagi-
scano tra loro. Lavorano tutta la settimana, così quando
la domenica giocano possono rilassarsi e socializzare” ha
spiegato don Xalxo.
“Ci sono due tipi di migranti. Quelli che si spostano
per studiare e quelli che lo fanno per lavorare. Noi ci
concentriamo su coloro che lo fanno per lavorare, ten-
denzialmente i più bisognosi. Li formiamo e li aiutiamo
a trovare un’attività lavorativa. Dalla prima edizione del
torneo abbiamo avviato al lavoro già 30 giovani” conclu-
de il salesiano.
Il Sistema Preventivo
per una vita nuova
A Cuba non esistono collegi religiosi, né collegi privati
dal trionfo della rivoluzione del 1959. Tutto è statale.
Però, i Salesiani hanno saputo trovare il loro posto e
mettere in pratica il Sistema Preventivo di don Bosco
raggiungendo i giovani attraverso il lavoro nelle
parrocchie.
Nelle parrocchie si svolge un’evangelizzazione sociale per
mezzo di corsi e laboratori educativi.
Camagüey, a Cuba, è una città di 300 000 abitanti, situa-
ta nella zona orientale: celebra quest’anno il centenario
dell’arrivo dei Salesiani (1917). È stata la prima presenza
salesiana a Cuba dove si stabilirono i missionari di don
Bosco e con la felice circostanza che tre dei quattro sale-
siani che arrivarono sono ora beati.
I tre Salesiani di Camagüey si prendono cura del
Santuario, tre cappelle e 24 comunità rurali visitate
settimanalmente. L’approccio con i giovani si compie
attraverso i laboratori, gli incontri di formazione setti-
manale, momenti di condivisione, i ritiri e nella pasto-
rale estiva.
Inoltre c’è anche l’oratorio, che si apre ai giovani dei
quartieri vicini. Dopo lo sport, si offrono loro momen-
ti di formazione umana e cristiana. I salesiani stanno
in mezzo ai giovani nonostante la situazione storica e
politica.
16
Ottobre 2017

2.7 Page 17

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PAPUA NUOVA GUINEA 3
Il coraggio di suor Theresa Trinh
La vita e il lavoro dei pescatori vietnamiti è sempre più a
rischio. Ciò che è molto inquietante è che molti giovani
pescatori vietnamiti potrebbero essere vittime della tratta
di esseri umani: vengono sfruttati da chi li impiega nella
pesca illegale, senza una corretta licenza, né garanzie di
protezione, né sicurezza da parte dei datori di lavoro.
Una volta catturati, vengono quasi totalmente dimenti-
cati e abbandonati. Questi giovani hanno diritto a essere
rispettati e ad un lavoro migliore, rispettoso della loro
dignità.
Centotrenta pescatori vietnamiti arrestati per pesca ille-
gale e raccolta di frutti di mare nelle acque della Baia di
Milne, in Papua Nuova Guinea, sono stati spietatamente
ignorati da chi li aveva ingaggiati.
L’unica persona che non li ha dimenticati è stata suor
Theresa Trinh Vu Phuong, Figlia di Maria Ausiliatrice
vietnamita, attualmente impegnata in Papua Nuova
Guinea. La piccola suora coraggiosa ha fatto come don
Bosco: è andata a cercare i pescatori nelle carceri. I
pescatori sono reclusi nelle carceri di Alotau, Giligili
e Bomana, in Papua Nuova Guinea, e suor Trinh Vu
Phuong si occupa delle loro necessità e funge da inter-
prete e mediatrice per loro durante le
udienze in tribunale.
1
3
La suora, che lavora nell’Istituto di For-
mazione delle di Alatou, si occupa
anche di informare e comunicare con le famiglie dei
pescatori, provvede a pagare le sanzioni, ad ottenere tutti
i documenti necessari e i biglietti per il loro rimpatrio in
Vietnam.
Suor Trinh Vu Phuong è già stata capace di ottenere il
rimpatrio di 87 pescatori vietnamiti, e altri 18 li se-
guiranno presto. Grazie al coraggio di questa suora e
al sostegno offerto dalla sua comunità , tutti loro
potranno rientrare a casa dalle loro famiglie.
Il Governatore della Provincia della Baia di Milne ha
espresso la sua profonda gratitudine a suor Trinh Vu
Phuong. Anche la diocesi è orgogliosa di lei.
Il capitano Dinh Van Tam è stato l’ultimo dei pescatori
vietnamiti a essere rilasciato. È scivolato in una pro-
fonda depressione ed è diventato molto debole, tanto
che era stato trasferito presso l’Ospedale Generale di
Alotau. “Credevamo che sarebbe morto – racconta
monsignor Rolando Santos, , vescovo di Alotau-
Sidea –. In quel momento suor Trinh Vu Phuong era
nelle Filippine. Fortunatamente, però, è tornata ad Alo-
tau in tempo per aiutare il capitano dell’imbarcazione
vietnamita. Ha servito
non solo come inter-
prete, ma anche come
infermiera, preparando
i pasti e anche imboc-
cando il capitano”.
Suor Teresa ha final-
mente ottenuto il rimpa-
trio per il signor Tam, il
quale ha promesso che,
una volta in Vietnam, si
sarebbe fatto battezzare.
“La carità non è sempre
facile, ma con la fiducia
nella Provvidenza Di-
vina e l’aiuto di Maria,
nulla è impossibile.
Ottobre 2017
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
LINDA PERINO
Pane, pallone
e preghiere
Sei stato un “numero 1”,
il portiere di una squadra
di calcio.
Puoi raccontarci la storia
della tua vocazione?
Sono cresciuto a “pane, pallone e pre-
ghiere” nel nostro Oratorio Salesia-
no di Civitavecchia, in provincia di
Roma, la mia città di nascita.
All’età di sette anni, per la prima vol-
ta, sono stato accolto in questa grande
famiglia salesiana attratto, soprattut-
to all’inizio, dalla possibilità di gioca-
re a calcio, la mia passione, con tanti
amici e ragazzi della mia età.
Il calcio è stato sempre un aspetto im-
portante della mia vita perché, oltre
a donarmi alcune gratificanti soddi-
sfazioni sportive, mi ha permesso di
incontrare tantissime persone, calcia-
tori, dirigenti, tifosi, comprese le loro
famiglie, con molte delle quali sono
ancora oggi in contatto.
Sono stato allenatore-educatore per
molti anni di una delle squadre di
calcio dell’oratorio salesiano di Ci-
vitavecchia continuando a giocare a
calcio fino all’età di 31 anni, a Blera
in provincia di Viterbo, il paese che è
stato la mia “seconda” famiglia, fino a
quando don Bosco non ha “acquista-
to” il cartellino della mia vita.
Il santo dei giovani mi ha sempre af-
fascinato per la sua capacità di aiutare
i giovani a crescere e a maturare come
uomini e come cristiani fin tanto che,
spinto dall’amore di Dio, ho sentito
che la famiglia salesiana sarebbe stata
“la mia famiglia” per sempre.
Come l’hanno presa la
tua famiglia e i tuoi amici?
Credo che, come spesso capita quan-
do una persona dice ai suoi cari che
vuole rispondere ad una “chiamata”
di Dio iniziando un cammino di for-
mazione per essere come nel mio caso
salesiano e sacerdote, le reazioni sono
emotivamente diverse.
Mia mamma Anna, mio fratello Bru-
no (mio papà già da qualche anno era
volato in cielo), i salesiani, gli amici
dell’oratorio, i compagni di squadra,
mi hanno manifestato la loro gioia
per questa scelta.
Alcuni parenti e amici invece non
sono stati contenti, credo soprattutto
per la preoccupazione ed il dispiacere
A Blera gli volevano tutti
bene e divenne per diversi
anni anche il portiere
della squadra del paese.
Era altissimo. Aveva le
mani giganti e un sorriso
coinvolgente da riempire
qualunque posto in cui si
trovasse: uno spogliatoio o
il bancone di un bar.
Oggi Francesco Pampinella
è diventato don Francesco
Pampinella. È parroco
e direttore dell’Oratorio
Salesiano di Vasto.
18
Ottobre 2017

2.9 Page 19

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di credere erroneamente che, andan-
do via da Civitavecchia, non ci sa-
remmo più frequentati o rivisti.
Ma inevitabilmente, grazie a Dio, la
mia gioia è diventata la gioia di tutti
quelli che mi conoscono ed i rapporti
umani ed affettivi si sono ulterior-
mente, definitivamente, fraternamen-
te saldati.
Perché proprio salesiano?
È stata la conseguenza “inevitabile”
della testimonianza di una vita felice
e serena ricevuta dai salesiani e da
tanti exallievi dell’Oratorio di Civi-
tavecchia, che mi hanno educato con
lo “stile” di don Bosco in un ambien-
te di famiglia che sempre è stato casa
che accoglie, parrocchia che evangelizza,
scuola che avvia la vita, cortile per in-
contrarsi in allegria.
Perché non approfittare di questo
grande dono per me e per gli altri per
tutta la vita? Così è stato: salesiano
per sempre!
Quali sono stati
i momenti più belli
di questa tua avventura?
I momenti belli vissuti sono tanti,
moltissimi. Tutta la vita è per me, e
sempre sarà, un’avventura fantastica.
Vivere con Gesù, per Gesù, incon-
trare tante famiglie, tanti giovani,
condividere con tutti la vita, momen-
ti belli e meno belli, tutto questo mi
rende felice e mi fa affermare che in
Paradiso c’è gioia senza fine ma an-
che sulla terra di gioia se ne può gu-
stare tantissima.
Com’è l’opera di Vasto?
L’opera salesiana di Vasto, presente da
più di cinquant’anni con la Parrocchia
e l’Oratorio, è ben inserita nel terri-
torio e nella Diocesi di Chieti-Vasto.
È una “casa” piena di bambini, di gio-
vani e di famiglie, una grande risorsa
e opportunità per tante persone.
C’è una forte realtà associativa giova-
nile (Azione Cattolica, Amici Dome-
nico Savio, Agesci, Sport, Catechesi),
ed il cortile dell’Oratorio è piacevol-
mente “invaso” ogni giorno da tanti
ragazzi e ragazze.
La Parrocchia, soprattutto nelle festi-
vità, è frequentata da molte famiglie,
anche di altre Parrocchie, “attirate”
dalla spiritualità salesiana, dalla pre-
senza di molti giovani e, aspetto im-
portante, dalla disponibilità dei con-
fratelli sacerdoti per le confessioni.
Accanto al titolo: Don Francesco.
Sotto: «L’oratorio è una ‘casa’ piena di bambini, di
giovani e di famiglie».
Ottobre 2017
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2.10 Page 20

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A TU PER TU
«I giovani di Vasto, quelli che conosco
maggiormente, sono generosi, buoni,
responsabili, amanti della vita».
Sotto: La comunità dei Salesiani.
Quali sono i suoi punti
di forza?
Il fondamento è certamente il fascino
educativo che ancora oggi suscita don
Bosco, attraverso la famiglia salesiana
e, di conseguenza, le tante persone che
collaborano per realizzare il progetto
educativo della nostra opera: tutti al
servizio dei giovani che Dio ci affida.
Sono fermamente convinto che i gio-
vani sono gli unici che hanno diritto
di “comandarci” che cosa dobbiamo
fare noi educatori salesiani: metterci al
servizio della loro crescita umana e spi-
rituale.
Quando questo si vive e si realizza,
don Bosco è contento di noi!
Come sono
i giovani vastesi?
I giovani di Vasto, quelli che conosco
maggiormente, sono generosi, buoni,
responsabili, amanti della vita.
È facile trovare in loro “quel punto
accessibile al bene” che permette di
coinvolgerli nelle attività, nel servi-
zio, nello stare “sempre allegri” che
conduce alla santità.
È inevitabile che quando i giovani
percepiscono, sentono, l’amore che
tutta la comunità educativa pastorale
dona loro, anche loro amano le cose
che noi amiamo: la vita, la vita con
Gesù.
20
Ottobre 2017

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Come sono visti i salesiani
in città?
La città di Vasto, i Vastesi, hanno
grande stima e riconoscenza nei con-
fronti dei salesiani. Siamo da molti
anni un punto di riferimento impor-
tante per l’educazione dei giovani.
Questo grazie anche al lavoro straor-
dinario compiuto dai confratelli fin
dall’inizio della nostra presenza.
Un servizio generoso, infaticabile,
amorevole, che è entrato e rimasto
nel cuore dei Vastesi e che oggi cer-
chiamo di portare avanti con lo stesso
impegno e stile di famiglia.
l’universo perché chi lotta per qualcosa
non sarà mai perso (F. Mannoia).
Qual è il tuo sogno?
Il mio sogno è che dopo tanti anni
il Milan rivinca lo scudetto. Chia-
ramente scherzo anche perché servi-
rebbe un miracolo! Il mio sogno vero,
che per me è anche l’impegno quo-
tidiano, è vedere i giovani (e tutte le
persone che Dio mi ha fatto dono di
incontrare nella vita), felici nel tempo
e nell’eternità. Come scritto nel testo
di una canzone “Questi sono e reste-
ranno per sempre i migliori anni della
nostra vita”! (R. Zero).
Fin da piccolo, entrando in una casa
salesiana, ho cominciato a sognare ed
oggi, dopo tanti anni, continuo a far-
lo, non più da solo, ma con tanti che
amano Gesù, don Bosco, i giovani…
la vita!
Due vedute del magnifico oratorio. La città
di Vasto ha grande stima e riconoscenza
nei confronti dei salesiani.
Quali sono le cose che
ti danno più soddisfazione?
La cosa che più mi dona soddisfazio-
ne è vivere “la normalità” della vita.
Provo a spiegarmi.
Come salesiano mi piace condividere
con tutti i confratelli, compresi i “di-
versamente giovani”, le scelte pastora-
li e tutti gli impegni comunitari che,
con la professione religiosa, abbiamo
scelto di vivere.
In conseguenza a questo mi dona se-
renità, felicità, soddisfazione, condi-
videre la vita con i giovani e con le
tante persone che collaborano con noi
alla realizzazione del progetto educa-
tivo salesiano.
Sono convinto che, come affermava
papa Paolo VI, il mondo non ha biso-
gno di maestri, ma di testimoni.
Mettere a disposizione degli altri i
doni, tanti, che Dio mi ha fatto “con-
diti” sempre da un sorriso e da tanto
affetto, questa è la mia soddisfazione,
questa è la “mia quotidiana lotta per
non perdermi”: è una regola di tutto
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3.2 Page 22

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TEMPO DELLO SPIRITO
B.F.
Vivete come l’acqua
(perché voi siete acqua)
10 umili meditazioni su un bicchiere d’acqua
e sulla misteriosa magica natura di questa
energia liquida che diamo per scontata.
Voi siete acqua. Gli esseri viventi sono fatti
d’acqua. Il settanta per cento del vostro corpo è
acqua. L’occhio e il cervello e tante vostre parti
preziose sono ricche d’acqua o circondate da ac-
qua oppure posate su un cuscinetto d’acqua. In-
somma, l’acqua che beviamo non ci disseta o ci
rinfresca solamente, ma svolge un grande numero
di funzioni insostituibili e per alcuni versi ancora
sconosciute.
per andare. Se si ferma, diventerà palude; se le è
concesso di scorrere, rimarrà pura. Non cerca di
raggiungere i punti alti, per stare al di sopra di
tutto, ma va verso i luoghi più bassi. L’acqua si
raccoglie nei fiumi, nei laghi, e nei ruscelli; scorre
in direzione del mare e poi evapora per cadere di
nuovo sotto forma di pioggia.
La sua natura è donare la vita. Essendo
semplicemente quello che è. Imparate dall’acqua:
essere al servizio degli altri con quello che si è.
Foto iStock.com
È la sorgente della vita. Noi e il mondo sia-
mo nati nell’acqua. All’inizio ci sono l’acqua e Dio.
La Bibbia incomincia così: «In principio… lo Spi-
rito di Dio aleggiava sulle acque». Grazie all’acqua
prendiamo contatto con la Sorgente della vita. Nei
primi nove mesi di vita dopo il concepimento avete
vissuto, e siete stati nutriti, dal liquido amniotico.
L’acqua vi ricordi quell’amore incondizionato da
cui siete nati e che scorre dentro di voi.
È un dono che viene dall’alto. Trattatela
con riguardo. È per tutti. Se cerchiamo di strin-
gerla, ci sfuggirà. Se facciamo una “culla” con le
nostre mani per accoglierla, si fermerà. Ma è fatta
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3.3 Page 23

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Sotto il cielo non c’è niente di più tene-
ro, eppure l’acqua è in grado di frantu-
mare qualsiasi cosa. È cedevole e tuttavia
non c’è niente che la superi nel vincere la durez-
za. Imparate da lei. Quando siete sul punto di
mostrare quanto forti sapete essere, trattenetevi.
Provate a utilizzare la pazienza, invece che cer-
care di controllare tutto rigidamente. Fidatevi
della natura delicata e della tenerezza che sono
in voi.
L’acqua è talmente flessibile che, se la
spingete via, troverà il modo di infiltrarsi sotto
ogni barriera, e con pazienza entrerà dove nien-
te di solido può ostruire il suo cammino. Erigete
Laudato si’, mi’ Signore, per
sor’aqua, la quale è multo utile
et humile et pretiosa et casta
(san Francesco)
barricate, innalzate argini e impermeabilizzate
tutto; dopo un po’ di tempo, la qualità flessibile
dell’acqua trionferà. «Il debole vince sul forte» è
un potente messaggio rivolto a voi.
L’acqua è così arrendevole che non può
essere rovinata, danneggiata o distrutta. Essa ri-
torna per essere riutilizzata più e più volte. Bolli-
tela fino a farla svanire, e i suoi vapori entreranno
nell’atmosfera e in ultimo ritorneranno. Bevetela,
ed essa, dopo aver dato nutrimento al vostro cor-
po, ritornerà. Inquinatela, ed essa, dopo il tempo
sufficiente per purificarsi, tornerà a nutrire.
Siate come il mare. L’Oceano è il re di tut-
ti i corsi d’acqua perché sta al livello più basso.
State attenti a non cercare per voi stessi un posto
d’importanza al di sopra degli altri. Siate ricet-
tivi verso chiunque, in particolar modo verso
coloro che abitualmente non ricevono rispetto,
come chi è privo di istruzione, i senza tetto, i
sofferenti. Andate nei «luoghi più bassi che tut-
ti detestano» e, quando vi ci trovate, mantenete
una mente aperta. Fate qualsiasi sforzo per cer-
care di non controllare le vite altrui. Così sarete
in pacifica armonia.
Come una serena bonaccia.
Persino il ruscello più piccolo, se lo lascia-
mo scorrere liberamente scava un alveo che con-
duce al mare. Anche voi avete una meta, il grande
Oceano che è Dio: lì ci dirigiamo. È così logico:
torniamo tutti alla Sorgente della vita.
Bevete acqua in silenzio, e a ogni sorso
ricordate a voi stessi di alimentare gli altri, così
come i ruscelli dissetano gli animali e la piog-
gia bagna le piante. Osservate in quanti luoghi
l’acqua è lì pronta a servirvi, scorrendo silenziosa.
Dite una preghiera di ringraziamento per questa
sostanza che sostiene la vita e che sempre scorre.
Fuori e dentro di voi.
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3.4 Page 24

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L’INVITATO
EL PAIS
Una “Roca”
per don Bosco
e per l’Etiopia
Padre Alfredo
Roca, missionario
salesiano ad
Adigrat, continua
a lavorare, ad 83
anni, con immutato
entusiasmo. E tutti
gli vogliono bene.
Non può uscire in strada senza
che qualcuno gli venga subi-
to incontro. Donne, anziani,
bambini… Non importa. Il
salesiano Alfredo Roca si
ferma e ascolta tutti. Così è
quasi impossibile conversare con cal-
ma e capire le ragioni per cui nel 1987
decise di trasferirsi nella dura e povera
Adigrat (Etiopia). In quel momento
era un sacerdote di 53 anni con una
bella carriera alle spalle e da allora,
nonostante l’età, continua con energia
e passione la sua missione.
«Mi sono affezionato molto a questa
gente e loro con me, fin troppo. Di
tanto in tanto mi sento stanco per-
ché sono molto insistenti» confessa
il buon padre. «Nethanet! Nethanet!
Grido quando esco per fare due passi,
perché ci sono sempre almeno venti
persone che mi aspettano alla porta».
E spiega sorridendo che questa parola
significa “libertà” nella lingua del Ti-
gray, la regione del Nord dell’Etiopia
in cui questo sacerdote salesiano vive
da trent’anni aiutando i più poveri ad
assicurarsi se non un futuro, almeno
un presente dignitoso.
24
Ottobre 2017
Padre Alfredo Roca, sacerdote salesiano, vive
da trent’anni aiutando i più poveri ad assicurarsi
se non un futuro, almeno un presente dignitoso.

3.5 Page 25

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«L’educazione dei giovani e la promozione sociale
vanno di pari passo. Noi salesiani dobbiamo
dedicarci a tutti quelli che sono qui fuori».
Padre Roca abita nella casa salesiana
di Adigrat, una costruzione graziosa,
in solida pietra, che ha il vago aspet-
to di una fortezza inespugnabile. Lì
vive anche una dozzina di giovani
salesiani che studiano filosofia e si
preparano al futuro sacerdozio. Padre
Roca era arrivato lì proprio per for-
mare i seminaristi, ma si rese conto
immediatamente che le necessità era-
no altre.
«L’educazione dei giovani e la pro-
mozione sociale vanno di pari passo.
Noi salesiani non possiamo tenere un
seminario solo per noi. Dobbiamo
dedicarci a tutti quelli che sono qui
fuori» spiega padre Roca.
«Parti per l’Etiopia»
Alfredo Roca ha sentito forte il de-
siderio di partire per le missioni
quando era un novizio di sedici anni.
«Ascoltavo incantato le esperienze dei
missionari che tornavano dall’India o
dall’America Latina e mi entusiasma-
vo. Mi offrii molte volte per le Mis-
sioni, ma non mi mandarono mai».
Intanto proseguiva nell’itinerario de-
gli studi ecclesiastici: Londra, Bar-
cellona, Roma. Professore, incaricato
di studi e poi direttore di una casa di
formazione per studenti salesiani a
soli 31 anni.
Fu nominato superiore della grande
ispettoria di Barcellona e i frequenti
viaggi che doveva fare risuscitarono lo
spirito missionario della gioventù.
Nel 1982, lo scenario della sua vita
cambiò. «Terminato il mio incarico
come ispettore, mi mandarono a Ter-
rassa, vicino a Barcellona, dove rimasi
tre anni come maestro». Sua madre
morì in questo periodo, mentre suo
padre era morto già da tempo. «Così
mi sentii più libero per offrirmi uf-
ficialmente per le Missioni, perché
se avessi dovuto dire a mia madre, di
ottant’anni, che partivo per l’estero,
sarebbe stato troppo duro per lei».
Il 24 giugno del 1986, il Rettor Mag-
giore lo chiamò per telefono: «La tua
domanda per le missioni era seria?
Perché in questo caso sei accettato:
parti per l’Etiopia». Padre Roca dove-
va essere il professore di filosofia del
seminario Don Bosco di Adigrat, una
cittadina nell’estremo Nord dell’Etio-
pia, nella regione del Tigrai. Il nome
Adigrat in lingua tigrina significa
“Paese dei campi” poiché essa giace in
mezzo ad una fertile conca tutta cir-
condata da alte colline.
«Essere fedele
alla tua vocazione
ti rende felice anche
nei momenti difficili»
Così il salesiano Alfredo Roca co-
minciò una nuova vita. Aveva 53 anni
e arrivava in piena guerra tra il Go-
verno di Mengistu (comunista) e i
gruppi che cercavano di eliminarlo, il
che successe finalmente nel 1991. In
quel momento, Adigrat straripava di
rifugiati. Nella città, che attualmen-
te conta 76 000 abitanti, in cui erano
presenti numerosi gruppi secessioni-
sti, la povertà era estrema: la gente
non aveva nulla da mangiare.
In quel contesto, padre Roca avviò un
programma di adozione a distanza di
bambini che continua anche oggi e
che ha aiutato in modo decisivo alme-
no mille bambini negli ultimi 25 anni.
«Non potevamo tenere una scuola per-
ché troppo impegnativa, facemmo un
Ottobre 2017
25

3.6 Page 26

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L’INVITATO
oratorio con attività per il tempo libe-
ro, educative e culturali. E anche una
biblioteca pubblica» spiega. Durante
questi primi anni, riuscì ad ottenere i
fondi per costruire un villaggio di 40
casette per le famiglie più disagiate,
che fu battezzato «Villaggio Spagna»
e diede inizio ad una rete di assistenza
per vedove, malati di Aids e ragazze
madri, grazie al denaro che gli man-
davano dalla Spagna gli amici e coloro
che credevano nel suo lavoro. Grazie a
lui, molte famiglie poterono educare i
figli e, soprattutto, trovare cibo.
Tutte queste attività contribuirono a
farlo conoscere e la sua fama lievitò,
come una buona forma di pane. «San
Paolo ricorda le parole di Gesù che
disse: “C’è più gioia nel dare che nel
ricevere”. Ne sono più che mai convin-
to. Riuscire a fare anche un po’ di bene
a questa gente mi riempie di gioia».
Risponde così quando gli chiedono il
perché di una vita così impegnata. «La
seconda idea che mi aiuta a vivere è la
felicità della fedeltà». E spiega: «Es-
sere fedele alla tua vocazione ti rende
felice anche se ci possono essere dei
momenti difficili. Se ti hanno mes-
so qui, fa’ quello che puoi qui. Ho i
miei peccati, imperfezioni e tentazioni
come tutti, però cerco di essere fede-
le alla mia vocazione come sacerdote,
come educatore, come componente di
una comunità. E questo mi rende fe-
lice». Crede in quello che fa, anche se
costa. «Ad una certa età, star dietro a
dei ragazzini che ti tirano di qua e di
là è stancante, ma fare quello che ho
promesso mi fa felice».
La giornata di padre Roca non ha
pause. Dai 53 anni fino ai 74 occupò
posti di grande responsabilità. Dopo
11 anni ad Adigrat, ne passò altret-
tanti nella capitale Addis Abeba. Sei
come provinciale. La sua missione fu
soprattutto di riunire e organizzare le
opere salesiane sorte nel Paese. Creò
scuole di formazione professionale,
di prima evangelizzazione, come a
Gambella e mandò i giovani semina-
risti a studiare in altri paesi.
«Quando arrivai a 76 anni cominciai
a sentire tutti gli acciacchi della vec-
chiaia e chiesi ai superiori un po’ di
“pensionamento”, come fanno anche i
vescovi. Il superiore mi suggerì di tor-
nare ad Adigrat. Era proprio la cosa
giusta».
Un cognome perfetto
Quando il missionario ritornò ad Adi-
grat aveva 76 anni e l’intenzione di ri-
manere finché il suo fisico avesse retto.
«Non ho pensato di tornare in Spagna,
sarebbe difficile per me adattarmi, che
cosa posso fare là? Un sacerdote della
mia età può celebrare la Messa, con-
fessare e poco altro. Se ritorno, sarò
solo un pensionato. Mi piacerebbe
stare vicino alla famiglia (ha tre fratel-
li che visita ogni due anni) ma ora mi
sento molto più utile qui. Ho già un
bel posto nel cimitero!»
Così continua a seguire i suoi proget-
ti di assistenza e un magnifico orto
dove coltiva verdure che in Etiopia
non si vedono spesso. La sua salute
è perfetta, proprio come suggerisce il
suo cognome: Roca, una roccia.
Passa la maggior parte del tempo li-
bero con i ragazzini di Adigrat, ascol-
tando le loro storie, insegnando loro
l’arte di coltivare, correggendo le loro
malizie.
Si prende cura di tutte le richieste
delle donne che gli si avvicinano in
strada per chiedere aiuto e, anche se
afferma di essere stanco, non perde
mai la pazienza ed è sempre gentile.
Quando può, partecipa alle attività
nel centro giovanile di don Bosco.
Durante le feste canta e balla, felice
in mezzo alla sua gente.
26
Ottobre 2017
«Cerco di essere fedele alla mia vocazione come
sacerdote, come educatore, come componente
di una comunità. E questo mi rende felice».

3.7 Page 27

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I NOSTRI LIBRI
LA TERZA VIA
POZIONI E INCANTESIMI
TRA PROFESSIONE
PER CONNETTERSI
E MISSIONE
CON GLI ADOLESCENTI
Lorenzo Ferraroli Marco Pappalardo
Educatori
si nasce
o si
diventa?
Questo volume, rivolto a chi – a vario titolo –
svolge un ruolo educativo, affronta le tematiche
più importanti legate a questo compito: profes-
sione o missione?; Chi sono i ragazzi “oggi”?; Le
fatiche dell’educatore; Come gestire l’affettività
nel rapporto educativo? Una lettura da cui, so-
prattutto i più giovani che intraprendono l’azione
educativa con entusiasmo e con passione, potran-
no trarre un aiuto prezioso.
Diario (quasi segreto)
di un prof.
Un prof. Un sogno. Una scatola
bianca. Gli studenti, la passione
educativa, un diario personale,
tanto divertimento. Questi, se
ben dosati come in una pozione,
possono essere gli ingredienti
per fare di un anno scolastico un
tempo speciale, persino magico
e creativo.
Marco Pappalardo, trentasette
anni, è Salesiano Cooperatore di Ca-
tania. Già membro della Consulta per
la Pastorale Giovanile della CEI e dell’Ufficio per le Comunica-
zioni Sociali dell’Arcidiocesi di Catania.
CARAMELLE PER L’ANIMA
Continua la serie di Piccole
Storie per la riflessione
e la meditazione
Disse il bambino: «A volte lascio cadere il cuc-
chiaio».
Disse il vecchio: «Succede spesso anche a me».
Il bambino sussurrò: «Ho bagnato i pantaloni».
«Lo faccio anch’io» sorrise il vecchietto.
Disse il bambino: «Io piango spesso».
Il vecchio annuì: «Anch’io».
«Ma la cosa peggiore di tutte» disse il
bambino, «è che nessuno presta attenzione a me».
In quel momento sentì il calore di una vecchia
mano rugosa sulla sua manina paffuta.
«So cosa vuoi dire», disse il vecchietto.
Ottobre 2017
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3.8 Page 28

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Sister’s relay
«Abbiamo visto la forza della vita!»
In seguito alle catastrofi
naturali, le varie Congregazioni
religiose presenti sul territorio
giapponese hanno organizzato
il “Sister’s relay”, un’iniziativa
mediante la quale le suore
hanno svolto una grande
opera di volontariato.
Hanno partecipato anche
le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Ritorno dopo cinque anni
Un arcipelago frastagliato e montuoso
composto da più di tremila isole. L’area
è geologicamente giovane, ancora in
fase di assestamento: i terremoti sono
frequenti e sono presenti numerosi
vulcani, diversi dei quali ancora atti-
vi. È uno Stato insulare dell’Estremo
Oriente il cui panorama potrebbe così
essere sintetizzato: l’azzurro del mare,
il bianco della sabbia e della roccia, il
verde dei pini e il blu del cielo. Uno
spettacolo che riempie di stupore lo
sguardo di chi lo osserva e che si chia-
ma Giappone. Ma da cinque anni lo
scenario è cambiato. L’11 marzo 2011,
alle 14:46, ci sono stati un grande ter-
remoto e un grande tsunami, calamità
che hanno sottratto la vita a numerose
persone, causando anche un ulterio-
re danno a Fukushima, in quanto è
esplosa la centrale nucleare. Dal gior-
no indimenticabile è difficile dire se
i cinque anni trascorsi possono essere
considerati un tempo lungo oppure
breve, ma si sa che l’evento che si è ve-
rificato continua a vivere nel cuore dei
sopravvissuti e a mandare silenziosa-
mente un eloquente appello al mondo,
all’umanità, a ciascuno di noi. La sof-
ferenza ha evidenziato la fragilità della
vita ma anche la sua bellezza e la sua
forza: nell’emergenza sono nate molte
relazioni tra le persone. Gli aiuti della
Chiesa giapponese sono giunti subito,
così come i volontari per aiutare e inco-
raggiare, ed in moltissime zone è stato
fondato il Centro Caritas per il volon-
tariato. Suor Maria Naoko Miyazawa,
suor Giovanna Chikako Nakajima,
suor Juliana Ikuko Onischi hanno vis-
suto in prima linea il dolore provocato
dal terremoto e dallo tsunami; oggi
desiderano coralmente testimoniare
la loro esperienza per evitare che ogni
accadimento colpisca nell’immediato
e principalmente come fenomeno me-
diatico, ma sia dimenticato dopo poco
tempo. Troppo poco tempo.
Sister’s relay
In seguito alla catastrofe naturale, le
varie Congregazioni religiose presenti
sul territorio giapponese hanno orga-
nizzato il “Sister’s relay”, un’iniziativa
mediante la quale le suore hanno svol-
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Ottobre 2017

3.9 Page 29

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Le Figlie di Maria Ausiliatrice con il loro carico
di aiuti: «Anche se è un piccolo granello rispetto
alla grande sofferenza, ma l’amore di Dio si rivela
in ciò che è piccolo e umile».
to il volontariato. Hanno partecipato
alla proposta di solidarietà anche le
Figlie di Maria Ausiliatrice: dieci sono
state inviate come volontarie, due sono
state mandate al Centro di sostegno del-
la diocesi di Tokyo per far parte dello
staff. Da parte dell’Istituto, messaggi e
tanta solidarietà, materiale e spiritua-
le, al punto da far nascere il “Centro
di sostegno”, a favore dell’Ispettoria
giapponese”, nella città di Ofunato,
la città più colpita dallo tsunami: ave-
va quarantasettemila abitanti, dopo
la calamità si calcola che una casa su
quattro sia andata distrutta. Un Cen-
tro per continuare a camminare anco-
ra ed insieme alla gente, per sostenere
facendosi vicinanza e prossimità, ma
anche per aiutare con i sostegni che
hanno donato di nuovo alle persone la
forza di vivere con speranza il proprio
quotidiano, guardando al futuro. Il
popolo giapponese ha ripreso il lavoro
dal quale sta ottenendo esiti positivi,
nonostante tante difficoltà ed ostacoli.
«Abbiamo visto la forza della vita, dico-
no le Figlie di Maria Ausiliatrice, più
grande della sofferenza, la fede che non
perde la fiducia in Dio davanti alle si-
tuazioni difficili».
Custodire il grido
Si chiama padre Siota, appartiene ai
Piccoli fratelli di Gesù, e dopo il terre-
moto è stato mandato come parroco
della chiesa di Ofunato; collaboran-
do con suor Maria Naoko Miyazawa
(originaria di Ofunato) e con suor Te-
resina Izumi Uchida, è stato possibile
riprendere la preparazione alla prima
comunione per tanti bambini filippi-
ni. Mediante la catechesi si è giunti
alle famiglie: la maggior parte non era
sposata. Padre Siota e le suore hanno
fondato una comunità per aiutare le
mamme filippine e i loro figli, anche
se spesso senza la comprensione del
proprio coniuge. Nella casa salesiana
le giovani donne e madri trascorrono
ore di allegria, molte volte cucinano
insieme i loro piatti tipici e vivono
esperienze che maturano la loro fede.
«Così, affermano le Figlie di Maria
Ausiliatrice, la nostra piccola attività
continua a collaborare con la comunità ec-
clesiale, anche se è un granello rispetto alla
grande sofferenza, ma l’amore di Dio si
rivela principalmente in ciò che è piccolo
ed umile. Vogliamo camminare con le per-
sone del posto che sono ancora nella soffe-
renza e nelle difficoltà, che ci chiedono di
non dimenticarle. Ecco, vogliamo custodi-
re questo grido, perlopiù inespresso, perché
il nostro desiderio di stare accanto a loro
non venga meno, perché possiamo conti-
nuare a lavorare per loro e soprattutto con
loro. Vogliamo esprimere la nostra ricono-
scenza per i messaggi di incoraggiamento
e per le espressioni di solidarietà che sono
giunti e giungono ancora oggi da tutto il
mondo. Ci fanno comprendere che Dio è
veramente un mistero perché ci dimostra
il Suo amore, la Sua grandezza, in parti-
colar modo nelle difficoltà e nel dolore tes-
sendo relazioni che vivranno per sempre
in noi».
Ottobre 2017
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3.10 Page 30

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I NOSTRI EROI
CLAUDIA KLINGER; Foto: RAFAEL LEDSCHBOR (DAL DON BOSCO MAGAZIN)
Cinque giovani
martiri
Traduzione di M. Patarino
Dresda, 24 agosto 1942. Nel cortile
dell’allora Palazzo di Giustizia, cinque giovani
dell’Oratorio dei Salesiani di Don Bosco di
Poznan´ sono uccisi dai nazisti. Erano stati
condannati a morte per “cospirazione all’alto
tradimento”. Chi erano questi cinque giovani?
Che cosa aveva dato loro il coraggio
di ribellarsi contro quel regime iniquo?
E perché ora sono venerati come beati?
Da molto tempo il ricordo di
Jarogniew Wojciechowski,
Czesław Jóźwiak, Franciszek
Kęsy, Edward Kaźmierski
ed Edward Klinik era vivo a
Poznań, la loro città natale.
La vicenda che vissero insieme ebbe
inizio presso l’Oratorio dei Salesiani di
I cinque giovani
martiri nella gloria
dei santi con
don Bosco.
don Bosco in Wronieckastraße. Negli
ambienti in cui ancora oggi i giovani si
incontrano con la guida dei Salesiani,
già oltre 75 anni fa c’erano ragazzi che
insieme ridevano, giocavano, scherza-
vano, cantavano e pregavano. Tra loro
c’erano anche i cinque giovani che oggi
sono venerati come beati.
Nel 1939, quando i tedeschi attac-
carono e occuparono la Polonia,
Edward Klinik, Czesław e Franciszek
frequentavano il liceo. Jarogniew ed
Edward Kaźmierski erano apprendi-
sti. Impiegavano il loro tempo libe-
ro soprattutto all’oratorio, con gite e
nell’animazione di gruppi giovanili.
Quando però la loro città fu occupata
dai nazisti, la loro vita cambiò bru-
scamente: i tre giovani che frequen-
tavano il liceo dovettero abbandonare
gli studi, perché l’istruzione superiore
30
Ottobre 2017

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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era vietata ai polacchi. Franciszek,
che sarebbe voluto entrare nel novi-
ziato dei Salesiani, dovette rinunciare
anche a questo sogno.
I locali dell’oratorio furono sequestrati
e utilizzati dalla Wehrmacht. In tutta
la Polonia furono compiuti retate e ar-
resti, deportazioni ed esecuzioni.
Le famiglie di Czesław, Franciszek,
Jarogniew e dei due Edward cerca-
rono di adattarsi e di continuare a
vivere una parvenza di normalità. Di
sera, però, gli amici si incontravano
in segreto in un piccolo giardino nel-
la parte orientale del centro storico.
Mantennero i contatti con i Salesia-
ni e quando nel mese di gennaio del
1940 un ex compagno di scuola invitò
Czesław a entrare a far parte di un
gruppo clandestino, anche gli altri
quattro amici dell’oratorio si avvici-
narono alla resistenza.
«Secondo gli atti processuali, furono
accusati di spionaggio in merito alle
posizioni dei militari tedeschi e di
aver letto e diffuso periodici proibiti»,
dice la dottoressa Birgit Sack, storica
e responsabile del monumento com-
Il cortile dove era collocata la ghigliottina.
Il luogo preciso è segnato dalla pietra nera.
Sotto: Altare dei Martiri nel cortile della chiesa
di Dresda.
memorativo che si trova a Dresda, in
Münchner Platz. Il monumento ri-
corda tutte le persone che furono con-
dannate a morte a Dresda in epoca
nazista, ma anche nei primi anni della
. L’esecuzione dei cinque giovani,
infatti, non fu un caso eccezionale.
Nella sola Dresda i nazisti decapi-
tarono 1343 persone. Il monumento
riporta un ricordo di ognuno di loro.
Di alcuni sono noti solo il nome e la
data dell’esecuzione, mentre di altri è
rimasto un ricordo più ampio, com’è
accaduto nel caso dei cinque giovani
di Poznań.
Non si sa invece dove
attinsero tanto coraggio
«Ciò che sappiamo di loro è frutto dei
documenti, delle lettere che scrissero
mentre erano detenuti e di testimo-
nianze», spiega la storica. Non si sa
invece dove attinsero il coraggio di
opporsi all’ingiustizia.
«Il coinvolgimento personale ha cer-
tamente avuto un ruolo», spiega Bir-
git Sack.
In definitiva, i nazisti avevano di-
strutto i progetti che questi giovani
avevano per il loro futuro e, vietando
loro di frequentare l’oratorio, li aveva-
no privati della loro seconda casa.
Un’altra cosa però impediva a questi
giovani di rimanere a guardare l’in-
giustizia senza agire: la loro fede. Il
vescovo Joachim Reinelt è fermamente
convinto che la fede cristiana, profon-
damente radicata nei cinque giovani,
abbia svolto un ruolo fondamentale:
«Sicuramente i Salesiani insegnarono
loro che i cristiani sono chiamati ad
assumersi responsabilità. Anche oggi
noi possiamo imparare ciò da questi
giovani martiri: non dobbiamo rima-
nere fermi e lasciare che la politica agi-
sca. La Chiesa non ha solo la funzione
di accompagnare lungo la strada verso
il cielo, ma ha anche una responsabilità
in questo mondo».
Questi cinque giovani, comunque, si
assunsero una responsabilità, anche
se la loro decisione ebbe conseguenze
fatali per loro: il 21 settembre 1940
Edward Klinik fu prelevato dalla Ge-
stapo mentre era al suo posto di lavoro.
Due giorni dopo furono arrestati an-
che i suoi quattro amici. Uomini della
Gestapo li portarono via dalle rispet-
Ottobre 2017
31

4.2 Page 32

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II NNOOSTSRTI RERI OEIROI
CZESŁAW JÓZ´WIAK
JAROGNIEW
WOJCIECHOWSKI
“Pensate come sono fortunato: me ne
vado unito a Gesù con la Santa Comunio-
ne. Ora vado via e vi aspetto in cielo.
Pregate tutti per me: ve ne sarò grato”.
Nacque il 5 novembre 1922. Crebbe in una
famiglia in difficoltà, perché il padre era al-
colista e i suoi genitori erano separati. Non
riuscì a terminare gli
studi liceali; fre-
quentò allora una
scuola professio-
nale e iniziò poi un
periodo di appren-
distato come far-
macista. Era molto
legato a sua madre e
alla sorella maggio-
re, da cui apprese la
devozione.
tive case nel cuore della notte. Furono
interrogati e torturati. Vennero portati
in carcere e furono trasferiti varie vol-
te. A volte si trovarono insieme a molti
altri prigionieri, a volte furono tenuti
in isolamento. Patirono la fame, furo-
no sottoposti a lavori forzati, subirono
violenze immotivate e umiliazioni.
«Signore, perché mi hai punito così
duramente? Ho davvero meritato
questo? Perché mi hai messo sulle
spalle una croce così pesante?», scris-
se Edward Klinik nel suo diario. Era
seduto in cella di isolamento, solo con i
suoi timori, quando scrisse: «Sono solo
in cella, la porta è chiusa. Quattro pa-
reti nude, sbarre alle finestre, la porta
di ferro nero: un’impressione terribi-
le, un’atmosfera opprimente». Subito
dopo però aggiunse: «Mi sono racco-
mandato alla divina provvidenza».
Di fronte a ogni ansia e dolore,
Edward e i suoi amici trovavano
conforto nella fede. Chi oggi legge il
diario o le lettere che i cinque giova-
ni inviarono ai loro cari mentre erano
detenuti può solo ammirare l’incrol-
labile fiducia che riponevano in Dio
e che emerge dai loro scritti. «Cara
mamma, vorrei consolarvi», scrisse
ad esempio Edward Kaźmierski nel
mese di marzo del 1942, «ma tutto è
nelle mani di Dio. Nulla accade senza
di Lui. Sento sempre la Sua protezio-
ne su di me. Dunque non possiamo
disperare. Dio è con noi. Lui ci ha
dato la croce e Lui ci darà la forza
per portarla». Edward aveva allora 22
anni. Lui e i suoi amici da un anno
e mezzo erano detenuti in condizioni
disumane, ma si affidavano a Dio, si
inchinavano alla Sua volontà.
«Tenga la croce in alto!»
Per la Chiesa cattolica, questa grande
fede è stata una ragione per dichiarare
beati i cinque giovani. Il vescovo Rei-
nelt dice che i giovani di oggi possono
imparare dalla storia di questi giovani
di allora che la fede offre un sostegno
anche nei momenti difficili. «Vale la
pena lottare e cercare un significato
più profondo dell’esistenza. Questi
cinque giovani avevano questo obiet-
tivo e non disperarono». E il vescovo
continua: «Dalle loro lettere emerge
chiaramente che non pensavano alla
propria sofferenza, ma a consolare i
loro famigliari. È un atteggiamento
cristiano, più che eroico».
Nelle loro lettere non c’è traccia di
vendetta o di odio, né in quelle uf-
ficiali, né in quelle portate in segreto
“Miei cari, vi dico che lascio questo
mondo con gioia. Arrivederci in cielo”.
Nacque il 7 settembre 1919 a Ła¸z˙yn ed era
il secondo di quattro figli. Nel 1930 la sua
famiglia si trasferì a Poznan´. Czesław fre-
quentò il liceo finché la scuola fu chiusa
dai nazisti. Cominciò allora a lavorare in
un negozio di cosmetici. Si formò all’in-
terno della sua famiglia, che condivideva
una fede molto
profonda e va-
lori patriottici,
e nell’oratorio
dei Salesiani,
che frequentò
fin da quando
aveva dieci
anni.
In epoca nazista, i corpi di molti prigionieri
giustiziati furono utilizzati a fini anatomici.
Altre salme, tra cui quelle dei cinque giovani,
sono state sepolte nel nuovo cimitero cattolico.
In loro ricordo c’è oggi una lapide.
32
Ottobre 2017

4.3 Page 33

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EDWARD KLINIK
FRANCISZEK KE¸SY
“Vado tranquillamente incontro all’eternità
con una grande fede nel cuore. Ho
compreso il significato della mia vita, la
mia vocazione e sono felice di poter espri-
mere la mia gratitudine in cielo”.
Nacque il 21 luglio 1919 a Werne bei Bo-
chum, in Germania. Era il secondo di tre
figli. I suoi genitori avevano una fede pro-
fonda ed erano impegnati nella comunità
di lingua polacca a Werne. Dopo la prima
guerra mondiale, la famiglia tornò in Po-
lonia, la loro terra di origine. Edward fre-
quentò dapprima il collegio dei Salesiani
di Don Bosco ad Auschwitz, poi il liceo di
Poznan´. Nel 1939 superò l’esame di ma-
turità, ma dopo
l’invasione della
Polonia a opera
dei nazisti dovette
rinunciare a pro-
seguire gli studi
e cominciò a lavo-
rare in un’impresa
di costruzioni.
EDWARD KAZ´MIERSKI
Ringrazio Dio per la sua immensa
misericordia. Mi ha dato la pace. Tra
poco lascerò questo mondo accogliendo
la Sua santa volontà”.
Nacque a Poznan´ il 1° ottobre 1919 e
aveva quattro sorelle. Persero presto il
padre. Per contribuire al sostentamento
della famiglia, quando frequentava ancora
la scuola Edward già lavorava per un arti-
giano nel pomeriggio. Nel 1938 cominciò
a seguire un corso di meccanica presso
una scuola professionale, ma a seguito
dell’occupazione della città da parte dei
nazisti dovette abbandonare gli studi per-
ché la Wehrmacht confiscò la struttura
che frequentava.
Edward aveva una
notevole attitudi-
ne per la musica
e coltivò il suo ta-
lento soprattutto
nell’oratorio dei
Salesiani.
fuori dal carcere. Nella maggior par-
te dei casi parlavano del conforto che
trovavano nella fede, della preoccu-
pazione che nutrivano per i parenti e
della speranza che la prigionia si con-
cludesse: «Ma non mi uccideranno e
che mi condannino a uno o a quindici
anni di detenzione per me non fa dif-
ferenza, perché starò in carcere fino
alla fine della guerra», scrisse Edward
Kaźmierski ai suoi genitori. Mentre
erano in prigione, i giovani ebbero
notizia del bombardamento avvenu-
to in Germania. Sperarono dunque
che la guerra stesse per finire. E poco
prima del loro processo arrivò un de-
tenuto a cui erano contestate accuse
simili e che era stato condannato a un
solo anno di detenzione.
Il 31 luglio 1942 i cinque giovani fu-
rono processati. Il processo fu breve,
la sentenza dura: «Pena di morte».
Tutti gli appelli alla clemenza pre-
sentati dai loro genitori furono re-
spinti. I giovani trascorsero le ultime
tre settimane che li separavano dalla
data dell’esecuzione in celle singole,
ammanettati, nel centro di detenzio-
ne presso l’allora palazzo di giustizia
di Dresda in Münchner Platz. La
storica Birgit Sack avanza un’ipotesi:
«Sicuramente volevano vivere. Nes-
suna persona così giovane va incontro
alla morte volentieri. Alla fine però
accettarono l’esecuzione, ritenendo
che quella fosse la volontà di Dio».
È noto che il 24 agosto 1942, gior-
no dell’esecuzione, i cinque giova-
ni testimoniarono ancora una volta
della profonda fede che aveva dato
loro il coraggio di resistere mentre
erano detenuti. Trascorsero le ultime
Il buon Dio mi
prende con sé.
Vado in cielo. Arrive-
derci. In cielo preghe-
rò Dio per voi”.
Nacque il 13 novem-
bre 1920 nel quar-
tiere Wilmersdorf di
Berlino da una coppia
di polacchi emigrati
per lavorare. Dopo la prima guerra mon-
diale, i genitori e i cinque figli tornarono
nella loro nazione di origine, dove Fran-
ciszek cominciò a frequentare la scuola.
Desiderava entrare nel noviziato dei Sale-
siani di Don Bosco, ma non poté realizzare
il suo progetto a causa dell’occupazione
nazista. Cominciò allora a lavorare come
imbianchino in un’azienda.
ore prima dell’esecuzione nella stes-
sa cella, insieme ad altri tre giovani
polacchi pure condannati a morte.
Ognuno scrisse una lettera d’addio
alla famiglia e poi pregarono insie-
me nella loro lingua madre, cercando
per l’ultima volta conforto in quelle
parole familiari, sostegno in quella
situazione di prigionia, speranza nel-
la fede cristiana. Nel cortile interno
del centro di detenzione fu allestita
la ghigliottina. È ancora oggi visibile
il luogo in cui era collocata: in quella
sede si trova ora una grande lastra in
pietra grigio chiara in mezzo alla pa-
vimentazione in calcestruzzo. «Poco
prima delle 21,30, gli otto detenuti
intonarono un canto religioso, a bassa
voce nella loro lingua madre», ricordò
l’allora cappellano del carcere, padre
Franz Bänsch, che accompagnò i
giovani nelle loro ultime ore di vita.
«Alla fine, poco prima che il primo di
loro fosse condotto fuori, mi chiesero:
“Tenga la croce in alto, in modo che
possiamo vederla!”. Ognuno di loro
andò in silenzio alla ghigliottina».
Ottobre 2017
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Che ne dite?
Solo una rivoluzione
ci salverà?
“L a pecora che bela per-
de il boccone”. Sì, lo
conosciamo bene il
saggio proverbio. È
vero che ‘belare’ fa
cadere il boccone dal-
la bocca, però, funziona! Avverte il
pastore del pericolo nel quale la peco-
ra si trova. Il fatto è che oggi ‘belare’
non basta più! Oggi occorre ‘gridare’!
Gridare perché è tempo di ferma-
re l’avanzata dello scardinamento
dell’uomo.
Il grande difensore dei diritti civi-
li della popolazione nera d’Ameri-
ca, Martin Luther King avvertiva:
«Siamo a mezzanotte nell’ordine
morale!».
C’era una volta la Rivoluzione Fran-
cese. Il suo grido di battaglia era
«libertà, uguaglianza, fraternità».
Oggi sembra sia stato sostituito da
«tempo libero, indifferenza, trascu-
ratezza».
La tendenza più sconvolgente nelle
sue ricerche demoscopiche di decen-
ni: «II fatto che per un numero sem-
pre minore di genitori è importante
trasmettere ai propri figli quei valori
che sono stati essenziali per loro stes-
si». Non vogliono più in alcun modo
influenzare (educare) i loro figli «men
Dobbiamo imparare
dai salmoni che vanno
controcorrente. Ci stiamo
preoccupando di dare
ai figli quello che non
abbiamo avuto noi.
Perché non pensare
anche a dare loro ciò
che avevamo:
il silenzio, lo stupore,
la tenerezza?
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Ottobre 2017

4.5 Page 35

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LA LEZIONE VIENE DAL PASSATO
che meno nella fede, nelle loro con-
vinzioni, nei loro valori. Una falsa
pista, triste sia per i genitori sia per
i figli».
In un tema un ragazzo liceale, par-
lando degli educatori attuali, ha
scritto: «Ci avete reso dei teppisti di
mezza tacca perché non siete forti ab-
bastanza. Non ci avete indicato nes-
suna strada che abbia un senso, per-
ché questa strada voi stessi non l’avete
e non siete riusciti a cercarla».
Ferruccio Parri nel 1945 fu il primo Presidente del Consiglio alla guida di un Governo di
unità nazionale in un’Italia in macerie dalla grande guerra.
Di Ferruccio Parri (1890-1981) il grande giornalista Indro Montanelli raccontò che da Pre-
sidente del Consiglio, dormiva su una branda da campo nella stanza vicina al suo studio;
per i pasti si accontentava di panini al salame, non voleva scorte, tanto meno auto blu di
rappresentanza. Ogni sera andava ad acquistare i francobolli per la sua posta privata. An-
che quando nel 1963 fu nominato senatore a vita, viaggiava di notte per risparmiare i soldi
dell’albergo.
Questa è l’Italia che piace. Questa è l’Italia da far conoscere ai giovani per dire che non
hanno tutti i torti coloro che sostengono che, per andare avanti, sovente bisogna tornare
indietro.
Ieri e oggi
Ben detto! Sempre meglio
detto, a mano a mano
che passano gli anni.
Prove alla mano.
Ieri essere ‘matto’ era
un disonore. Oggi lo è
essere ‘grossi’.
Ieri i baci erano brevi,
l’amore lungo. Oggi i
baci sono lunghi, l’amore
è breve.
Ieri si diceva ‘la mia maestra’.
Oggi si dice ‘la mia auto’.
Ieri ognuno aveva la sua faccia. Oggi
tanti hanno la faccia ciclostilata.
Ieri si diceva ‘la vita è un lampo’. Oggi
si potrebbe dire: «la vita è un tuono».
Ieri i giornali si leggevano. Oggi si
guardano.
Ieri ‘gente’ e ‘uomini’ pareggiavano.
Oggi la ‘gente’ è tanta, gli ‘uomini’
pochi.
Ieri solo gli asini si parlavano tiran-
dosi calci. Oggi è moda anche tra gli
uomini.
Ieri si conosceva il ‘valore’ delle cose.
Oggi si conosce solamente più il
‘prezzo’.
Il buco nel recinto
Una pecora scoprì un buco nel recinto
e scivolò fuori. Era così felice di andar-
sene. Si allontanò molto e si perse. Si
accorse allora di essere seguita da un
lupo. Corse e corse, ma il lupo conti-
nuava ad inseguirla, finché il pastore
arrivò e la salvò riportandola amore-
volmente all’ovile. E nonostante tutti
l’incitassero a farlo, il pastore non volle
riparare il buco nel recinto.
Non abbiamo il potere di spostare il
mondo, ma abbiamo il dovere di fer-
mare la deriva! Con quale strategia?
Secondo noi non vi è altra strategia
che quella dei salmoni che vanno
controcorrente.
Che ne dite? Non dobbiamo risalire
la corrente e riavvicinarci al punto
dal quale ci siamo allontanati?
Solo una rivoluzione pedagogica ci
salverà?
Ottobre 2017
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4.7 Page 37

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Foto iStock.com
Certi inverni freddi, certi guai
mi fan paura,
prego nel restare ancora qui,
mi illudo ancora.
Poi improvvisamente arrivi tu,
sorridi e penso che non ho più timore,
lascio correre il dolore, non c’è più
e niente muore...
Credimi, morire non è niente
se l’angoscia se ne va!
Parlami d’amore,
nonostante la stagione che verrà...
(Baustelle, La morte (non esiste più), 2013)
giovani adulti del terzo millennio, oggi più che
mai costretti ad ingaggiare una lotta impari con
lo spettro della precarietà, che logora e avvizzisce
ogni sogno o prospettiva futura, finendo con il
troncare sul nascere anche l’entusiasmo più te-
nace. Una guerriglia quotidiana ed estenuante –
come quella condotta dalla piccola, ma resistente
ginestra che ha l’avventura di nascere sul terreno
vulcanico – che rischia di togliere spazio alla stes-
sa speranza di riuscire a costruire una vita a misu-
ra delle proprie attese, circoscrivendo l’orizzonte
del possibile ad un ben misero campo di battaglia
fatto di rinunce, percorsi interdetti e scelte ob-
bligate.
Ma, talvolta, sono proprio le sfide che la vita ci
pone davanti a renderci più perseveranti e com-
battivi e ad innescare dentro di noi il cambia-
mento. Proprio come le ginestre, anche i giovani
adulti, di fronte agli ostacoli che incontrano sul
proprio cammino, imparano presto a cercare stra-
de alternative, a sfruttare ogni piccolo interstizio
tra le rocce per far germogliare i propri progetti,
a farsi largo persino nella pietra lavica a forza di
insistere nel perseguimento dei propri obiettivi.
E, come le ginestre, quando non si danno per
vinti e riescono ad opporre una resistenza efficace
alla rigidità dell’inverno e agli scossoni del vento,
danno vita a una fioritura generosa e profumata,
capace di infondere luce e coraggio anche a chi
ancora sta lottando per farsi strada tra i sassi.
Perché se è vero che la battaglia della vita chiama
ciascuno di noi a mettere in campo tutte le proprie
risorse per riuscire a rimanere in piedi senza la-
sciarsi travolgere e sopraffare dalle difficoltà e dal-
le tante preoccupazioni quotidiane, è solo grazie
alla presenza salvifica di chi ci sta accanto che pos-
siamo vincere l’angoscia che spesso ci accompagna
e ricominciare a guardare al futuro con rinnovata
speranza e determinazione. Una speranza che si
nutre della consapevolezza di non essere da soli ad
affrontare le nostre paure e i nostri affanni, ma an-
che della capacità di gioire intensamente dei piccoli
momenti di serenità condivisi con le persone che
amiamo come unico antidoto contro le tempeste
dell’esistenza e la fatica di diventare adulti.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Un fermo invito a “tirare
un po’ la cinghia” Perquantoèdato
di sapere, a Valdocco
non si era mai giunti
a raccomandare, anzi
Per don Bosco il fine anno
1881 non è stato terribile
unicamente per l’acuirsi del-
le vertenze con l’arcivescovo
Gastaldi di Torino ( mag-
gio 2017); a farlo soffrire fu
anche la critica situazione economica
dell’oratorio (e della Congregazione
in genere).
di studiare come agire in tal senso.
Ma in attesa delle proposte di tale
mini commissione, don Bosco in
quel fine dicembre 1881 ribadisce
anzitutto quanto richiesto dal Ca-
pitolo Generale appena concluso
(1880). Infatti nella “distinzione
quinta”, l’ultima, relativa all’Econo-
mia si erano indicate varie e anche
a prescrivere, ai salesiani
quello che si legge nella
lettera che don Bosco
consegnò il 22 dicembre
1881 al vicedirettore
di Valdocco.
Ora, che i conti di don Bosco siano minuziose modalità per l’economia
stati quasi perennemente in rosso è un nei viaggi, nei lavori e costruzioni, stintamente tutti, a cominciare da
fatto noto, dal momento che è risapu- nella cucina, nei lumi e nella carta. chi poteva magari legittimamente
to come le uscite superassero sempre Ecco come esordisce don Bosco nel- permettersi qualche eccezione. E
le entrate, per lo meno quelle sicure; la sua nuova missiva:
tali pressanti inviti cadono proprio
egli contava sempre sugli incerti della
– guarda caso – alla vigilia delle fe-
beneficenza privata e della liberalità Car.mo D. Leveratto,
stività natalizie, vale a dire nel tem-
di enti pubblici. Ma per quanto è dato Le strettezze in cui versiamo in finanze po dove le eccezioni diventano facil-
di sapere, a Valdocco non si era mai presentemente e il caro del vino e degli mente regola. Prosegue infatti don
giunti a raccomandare, anzi a prescri- altri commestibili ci consigliano a qual- Bosco nella sua lettera:
vere, ai salesiani quello che si legge che ragionevole economia che si possa
nella lettera che don Bosco consegnò introdurre senza variare quanto è ne- 1° Impedire lo spreco di pietanze, pane,
il 22 dicembre 1881 al Prefetto (vice- cessario alla vita. Per questo motivo ho vino nella cucina. Si faccia gran conto
direttore) di Valdocco, don Giuseppe raccomandato a te e a don Sala di fare delle rimanenze [gli avanzi]. Ciò fanno
Leveratto.
studi appositi, per ora cominciate a met- i ricchi, tanto più dobbiamo farlo noi che
Invero in quegli anni il problema ge- tere in pratica alcune deliberazioni prese abbiamo fatto voto di povertà.
nerale del risparmio – vista la crisi nel nostro Capitolo Generale.
2° Si tolga l’abuso delle merende e cola-
economica in corso nel Paese – si era
posto già da tempo a Valdocco, tan- Precise disposizioni
zioni particolari, specialmente dove si
faccia uso di vino, e perciò sia rigorosa-
to che don Bosco aveva chiesto con- Ma subito dopo questa generica ri- mente proibito d’introdursi in camera
giuntamente allo stesso don Leverat- chiesta aggiunge cinque precise altrui. Quando è stabilita qualche cosa
to e all’economo don Antonio Sala, disposizioni, che toccavano indi- sia uguale per tutti senza eccezione.
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3° Ne’ giorni solenni vi sia una pietanza
di più secondo le nostre deliberazioni ma
senza antipasto o postpasto se non frutta
oppure cacio, giusto il meglio per la sta-
gione, ma una cosa sola.
4° Il bicchiere della cosiddetta copa si dia
unicamente al giorno di S. Francesco di
Sales; ma non mai puro.
5° Si vada adagio nell’accettare a tavo-
la media e si seguano le regole antiche
nell’ammettere alcuno.
Come si vede, don Bosco, abituato
fin da piccolo ad un’alimentazione
modesta, propria del mondo contadi-
no da cui proveniva, data la situazione
d’emergenza, non si fa scrupolo di ri-
chiamare tutti alla sobrietà alimenta-
re, alla mortificazione in fatto di cibi
e bevande, alla stretta osservanza del
voto di povertà.
Anzitutto si trattava di eliminare
gli sprechi di cucina, al pari di tutte
le famiglie, comprese quelle ricche;
tanto più che lo richiedeva appunto
il voto di povertà. In secondo luogo
andavano soppressi alcuni piccoli
abusi alimentari, perpetrati da alcuni
salesiani, magari in luoghi apparta-
ti (camere private): non vi dovevano
essere confratelli privilegiati rispetto
ad altri. I pasti più abbondanti poi,
già previsti per le feste, dovevano es-
sere secondo le norme stabilite, senza
ulteriori supplementi. Anche il “vino
di ripasso” andava limitato alla festa
maggiore, quella di san Francesco di
Sales, e pure questo con aggiunta di
acqua. Nessuna eccezione neppure
per la festa di Maria Ausiliatrice il
24 maggio? Non credo proprio. Tale
festa era per altro molto più lontana
di quella di san Francesco di Sales a
fine gennaio. Infine si raccomanda-
va di limitare l’ammissione di estra-
nei alle tavole speciali o comunque
a mensa, giusto i regolamenti della
casa.
Un’economia ragionevole
L’economo però non doveva agire di
testa sua, magari esagerando nel far
tirar la cinghia a tutti; doveva sempre
accordarsi con il direttore della casa e
soprattutto non doveva assolutamente
lasciar mancare agli ammalati nulla
di ciò che potesse giovare alla loro sa-
lute: “In tutte queste cose procura di esse-
re inteso con D. Lazzero [direttore], e si
usino agli ammalati i dovuti riguardi”.
Pochi anni dopo nel suo testamen-
to spirituale ai salesiani così lasciava
scritto: “Procurate che niuno abbia a
dire: questo suppellettile non dà segno
di povertà, questa mensa, questo abito,
questa camera non è da povero […] Ciò
s’intende sempre da praticarsi rigorosa-
mente quando ci troviamo nello stato
normale di sanità, perciocché ne’ casi di
malattia devono usarsi tutti i riguardi
che le nostre regole permettono”.
Don Bosco concludeva la sua lettera
a don Leveratto richiamando nuo-
vamente tutti a vivere il voto di po-
vertà con la moderazione a tavola e a
custodire la virtù della povertà con
la temperanza ed il lavoro: “Ma non
si dimentichi mai che abbiamo fatto il
voto di povertà e che perciò dobbiamo
vivere da poveri. La temperanza e il
lavoro sono i due migliori custodi della
virtù”.
Lavoro e temperanza: erano le stesse
due realtà che, a giudizio della gui-
da del famoso sogno del settembre
1876, avrebbero fatto fiorire la Con-
gregazione salesiana, che don Bosco
avrebbe dovuto lasciar in eredità ad
essa e che ne sarebbero state la sua
gloria.
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4.10 Page 40

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON PASCUAL CHÁVEZ v. Rettor maggiore emerito
DON ADRIANO BREGOLIN
Morto a Cortina, il 23 agosto 2017, a 68 anni
E ravamo in montagna, quelle
montagne che tanto amava, e
a 200 metri prima di arrivare
al traguardo si è seduto, ci ha
chiamato dicendo mi fermo,
mi riposo e vi attendo. Subito
sono sceso e al mio arrivo ho visto at-
torno a lui un gruppo di volontari che
cercavano di rianimarlo. Presto è arri-
vato il Pronto Soccorso Alpino che ha
fatto tutto il possibile senza riuscirci.
Scrive don Guido Poier, grande ami-
co suo anche di salite su vette impe-
gnative, “sapevo che ci sono tanti sen-
tieri che portano al Signore: uno di
questi passa attraverso la montagna.
E lì Gesù gli ha fatto da guida fino
agli ultimi passi”.
Il suo decesso è, umanamente par-
lando, “una grande perdita” per tutti,
come ha scritto il Rettor Maggiore,
per i suoi cari, per la Congregazione
e la Famiglia Salesiana che ha servi-
to con grande passione, creatività e
competenza. Sono sicuro che Maria
Ausiliatrice, di cui era un figlio devo-
tissimo, e don Bosco, che considerava
vero suo padre, lo avranno accolto e
introdotto per mano in Paradiso e che
adesso esulta assieme a loro e a tutti
i santi della nostra Famiglia, nella di-
mora della luce, della pace, della gioia
e della vita di Dio.
Scrive Madre Yvonne: “Il Signore
conosce quello che è meglio per ogni
persona ed Egli ha voluto chiamare
don Adriano in un momento bello
della sua vita: nella bellezza della na-
tura in cui Lui è presente. Il fatto che
eravate insieme è stato una grazia per
don Adriano e anche per te.” Sono
convinto che per don Silvano, don
Guido e per me, questi ultimi gior-
ni e, ovviamente, questo suo ultimo
giorno tra noi, è stata infatti una ricca
esperienza spirituale.
Senza cedere alla tentazione di fare
dell’omelia un elogio della persona,
ma convinto al tempo stesso che in
questo caso ci sono molti elementi
della sua vita che illustrano la Parola,
non posso non fare della sua esistenza
consacrata al Signore dietro le orme
di don Bosco, e del suo messaggio,
uno spunto per la riflessione che con-
divido con voi.
Infatti, la vita di don Adriano è stata
– a giudizio di quanti lo hanno co-
nosciuto da vicino e hanno condiviso
con lui la sequela e imitazione di Cri-
sto, la fraternità e la missione, sogni e
lavoro, gioie e sofferenze, speranze e
preocccupazioni – una vita permeata
dal Vangelo, imparato a casa e svilup-
pato e maturato lungo gli anni della
sua vita salesiana. Mi azzarderei a
dire che ha fatto del Vangelo nel suo
insieme e delle Beatitudini, proprio
perché un programma di felicità, il
progetto della sua vita, con tutto lo
sconvolgimento di valori e di atteg-
giamenti che il
Vangelo e le
Beatitudini
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Ottobre 2017

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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comportano, ma che sono quelle che
rendono la nostra vita gioiosa, radian-
te e significativa, una vera alternativa
alla società imperante.
Come semplice confratello, come su-
periore – direttore e ispettore per sei
anni nell’Ispettoria di San Zeno di
Verona –, e infine come Vicario del
Rettor Maggiore per 11 anni, e ul-
timamente come Direttore di questa
casa di Firenze, ha saputo dimostrarsi
sempre un degno figlio di don Bosco,
un signore nelle relazioni interperso-
nali, un uomo retto e trasparente, un
sacerdote entusiasta e creativo in tut-
te le cose che gli sono state affidate,
buon pastore, zelante e generoso, che
aveva in mente la salvezza degli altri,
specialmente quella dei giovani, in-
somma, un salesiano secondo il cuore
di don Bosco.
Sono arrivati in questi pochi gior-
ni, dal momento in cui ci è venuto
a mancare, molti messaggi di cordo-
glio e tutti quanti hanno fatto vede-
re sfaccettature
nuove che
evidenzia-
no la ricca
«La mia vocazione ha delle origini molto
semplici. Grazie alle Figlie di Maria Ausilia-
trice sono stato indirizzato ad un aspirantato
salesiano. Una piccola casa nel veronese in
un piccolo paese di nome Bevilacqua! Non
c’erano molti allievi, ma lo spirito di famiglia
era vissuto in una forma intensa ed entusia-
smante. Un clima di grande gioia, uno studio
seguito con serietà e una preghiera semplice
e profonda nutrivano i nostri giorni e ci face-
vano sentire molto bene. In questo contesto,
assieme ad un Direttore, molto buono, ma
anziano, il grande animatore di noi tutti era
un nostro insegnante, don Mario Guariento... Quanto leggevamo nelle piccole biografie di
don Bosco, noi lo vedevamo in maniera viva nella figura di questo salesiano. Lui, per noi, era
tutto. Lui per noi era don Bosco. Da lui mi sono sentito attratto come una calamita verso la
vita salesiana. Dentro di me c’era un desiderio grande: voglio essere come lui, voglio essere
come don Bosco».
personalità di don Adriano, ma sem-
pre con un elemento che li accomuna
e li rende armonici: la sua ricca uma-
nità, la sua gentilezza e generosità,
la sua disponibilità per servire ed
accompagnare, il suo amore intenso
a Maria Ausiliatrice e a don Bosco,
la sua identità salesiana, la sua pa-
ternità.
Per don Adriano si adatta molto
bene il programma di vita tracciato
dalla lettera ai Filippesi, nella esor-
tazione che la Chiesa ha voluto sug-
gerire per celebrare la Festa di don
Bosco: «Prendete in considerazione
tutto quello che è vero, buono, giusto,
puro, degno di essere amato e onorato,
quel che viene dalla virtù ed è degno di
lode». Era appunto questa sua per-
sonalità che lo rendeva attraente,
simpatico, con un senso fine dell’u-
more che lo portava a scherzare per
far sentire bene le persone che lo
avvicinavano o che lui avvicinava e
accorciare le distanze senza cedere
mai alla banalità.
Don Adriano amava vivere in pro-
fondità, consapevole che i veri tesori
mai si trovano sulla superficie della
terra, ma che si deve scavare in pro-
fondità.
È proprio bello, anzi è una grazia tro-
vare confratelli come lui che diventa-
no amici, compagni di cammino, “un
amico spirituale sincero” con il quale
sognare e aiutarsi ad “essere” quello
che siamo chiamati ad “essere”.
Ci mancheranno molto la sua pre-
senza gentile e incoraggiante, il suo
volto tranquillo e sorridente, la sua
disponibilità ad aiutare chiunque, lo
sguardo sereno e il suo pensiero al
Paradiso.
Ci mancherà perché ogni persona è
irripetibile, ma ci lascia in eredità una
testimonianza e un messaggio di cui
fare tesoro. Questi si possono trova-
re nella sua spiccata e fine sensibilità
umana, nella sua capacità di amicizia
profonda, nella sua comunione spiri-
tuale, nel suo anelito di pienezza di
vita, di amore e di felicità in Dio, nel-
la sua forza interiore, nella sua espe-
rienza spirituale che voleva condivi-
dere e che sapeva proporre in forma
appassionata e convincente.
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
AGO, FILO E SANTITÀ
Don Bosco conosceva in prima persona i mestieri e le arti da
insegnare ai ragazzi dell’Oratorio. Si sa, infatti, che aveva appre-
so i rudimenti di stampa e legatoria, aveva scoperto i segreti del
calzolaio e quelli del falegname, le astuzie dell’allenatore sportivo
e così via. Inoltre, sappiamo che il nostro Santo fu un XXX che
se la cavava bene col filo e cotone sia materialmente che spi-
ritualmente. In che senso? Nel senso che imparò praticamente
il mestiere del sarto e spiritualmente si dedicò a confezionare
anime, come i vestiti fatti su misura, intravedendo le sottili trame dei disegni divini. Don Bosco si
avvicinò all’arte della sartoria già dai tempi in cui, nel 1830, era studente a Castenuovo ed alloggiava, a
pensione, presso il sarto Giovanni Roberto. Da questi imparò le basi del cucito, la differenza tra le stoffe
e l’uso degli strumenti. Qualche anno dopo fu a pensione a Chieri da un altro sarto, Cumino, dove poté
migliorare la tecnica e questo gli servì quando l’oratorio di Valdocco accoglieva i ragazzi poveri ed egli
si dedicava a rammendare e mettere in sesto, insieme a mamma Margherita, gli abiti logori dei piccoli
ospiti. Lui stesso raccontava che in un sogno, uno dei tanti, quand’era studente di filosofia, si vide già
prete con la stola ma che usava filo e ago in una bottega di
sartoria. Diciotto anni dopo questo sogno, nel 1854, un altro
episodio segnò nel bene la vita del Santo: si trovava ai Becchi
preparandosi a festeggiare la Madonna del Rosario. Di buon
mattino, un ragazzo si fece incontro a don Bosco chieden-
dogli di portarlo con lui a studiare a Torino: era Domenico
Savio, figlio di un fabbro e di una sarta, che per convincerlo
disse: “Dunque io sono la stoffa, ella ne sia il sarto, mi pren-
da con lei e farà un bell’abito per il Signore!”. L’oratorio è la
sartoria in cui da uno strappo si fa un ricamo.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Una parte
dell’elettrologia - 15. Il radar dei sot-
tomarini - 16. Stella di prima grandezza
della costellazione di Orione - 17. Leo-
ne senza testa né coda! - 18. Lo pseu-
donimo di Josip Broz, dittatore della
Jugoslavia - 19. Non bisogna metterlo
davanti ai buoi - 20. Patologie dovute
a mancanza di volontà ed affaticamen-
to - 22. Lunghissimi periodi di tempo
nella storia dei popoli - 23. Cappa, col-
tre - 24. Lo spazio in cui si propagano
le onde elettromagnetiche - 25. Il dio
egizio del Sole - 26-27. XXX - 28.
Adesso... a Napoli - 29. Contenitori
di vimini - 30. Il puledro appena nato
- 31. Lo stato con capitale Vientiane -
33. C’è quello esclamativo - 34. Il sim-
bolo del decalitro - 35. Insieme di navi
o aerei - 36. Sgorga dal Monviso - 37.
Nel caso in cui - 38. Fabbricano anche
barili - 40. Grosseto (sigla) - 41. Se c’è
ne consegue una scarsa efficienza.
VERTICALI. 1. Ci si va quando si
lascia la propria nazione - 2. Il fiume più
lungo di Francia - 3. Un istituto pubbli-
co - 4. Il principio vitale che, secondo
una concezione orientale, ha originato il
cosmo - 5. Il Roth attore (iniz.) - 6. Im-
merso nella preghiera - 7. Se ne ricava
un liquore popolare sardo - 8. Quello
pontino venne bonificato - 9. La Terra
nei prefissi - 10. Sigla dell’Olanda - 11.
Il Paese del Dalai Lama - 12. Fiume
campano - 13. “Io” a Parigi - 14. Gra-
vosa, pesante - 19. È melodioso quello
dell’usignolo - 20. Riduzione di massa
muscolare tipica degli arti immobilizzati
- 21. Specialisti dell’apparato urinario
- 23. Un particolare titolo accademico -
24. Le ha pari Renard! - 26. Lo è l’odo-
rato - 27. Un’acqua fortemente gassata
usata per i cocktail - 28. Mercato Tele-
matico delle Obbligazioni (sigla) - 29. Il
rame per il chimico - 30. Validi, ricono-
sciuti - 32. Cupo, tetro - 33. In seguito
- 34. Il titolo dell’Abbondio manzoniano
- 36. Padova (sigla) - 38. Il centro del
Libano - 39. Racchiudono l’alfabeto.
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Chi è il
Un uomo telefona al medico
di famiglia.
«Dottore, sono io, Carlo».
«Ah, ciao! Che cosa mi
racconti, Carlo?»
«Be’, ti telefono perché sono
preoccupato per Maria».
«Come mai?»
«Sta diventando sorda».
«Ma come sta diventando sorda?»
«Sì, davvero. Ho bisogno che tu
venga a visitarla».
«Be’, in genere la sordità non è una
malattia improvvisa e neanche acuta;
lunedì portala in ambulatorio e la
visiterò».
«Ma tu credi che possiamo aspettare
fino a lunedì?»
«Come hai fatto ad accorgerti che
non ci sente bene?»
«Be’... la chiamo e non risponde».
«Potrebbe essere una cosa da nien-
te, magari le si è formato un tappo
nell’orecchio. Facciamo così: provia-
mo a scoprire il livello di sordità di
Maria. Dove ti trovi adesso?»
«In camera da letto».
«E lei dov’è?»
«In cucina».
«D’accordo. Chiamala da dove ti
trovi».
«Mariaaaaa...! No, non mi sente».
«Va bene. Ora avvicinati alla porta
della camera da letto e grida il suo
nome dal corridoio».
«Mariaaaaa...! No, niente da fare».
sordo? «Avvicinatiancoradipiù».
L’uomo entra in cucina, si avvicina
a Maria, le mette una mano sulla
spalla e le grida all’orecchio: «Ma-
riaaaaaaaaaaaa...!».
La moglie si gira furibonda e lo
«Aspetta, non ti disperare. avvicinati apostrofa: «Che cosa vuoi? Che
a lei camminando lungo il corridoio cosa vuoi, che cosa vuoi, che cosa
e intanto continua a chiamarla, così vuoiiiiii...?! Mi avrai chiamato dieci
vediamo quando ti sente».
volte e dieci volte ti ho risposto “che
«Mariaaaaa...! Mariaaaaa...! Ma-
cosa vuoi?”. Stai diventando sempre
riaaaaaaa...! Sono davanti alla porta più sordo, perché non vai dal medico
della cucina e la vedo. È di spalle e una buona volta...».
sta lavando i piatti, ma non mi sente.
Mariaaaaaaaa...! »
Sei TU che non funzioni!
Ottobre 2017
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Un anno di
gioia salesiana
Gennaio 2018
per gtueinddaretIailpfmaerrieolaqauvDmiaaonodnrteoeBlppcoeoirseslcstoeoo.
DOMENICA
31
LUNEDÌ
1
Maria Santissima Madre
MARTEDÌ
2
ss. Basilio e Gregorio
Nazianzeno
MERCOLEDÌ
3
SS. Nome di Gesù
s. Genoveffa
GIOVEDÌ
4
s. Elisabetta Selon
s. Ermete
VENERDÌ
5
s. Amelia
s. Edoardo
SABATO
6
Epifania del Signore
s. Guerrino di Sion
di Dio
7
2ª del tempo di Natale
Battesimo di
s. Raimondo
Gesù
de Peñafort
s. Luciano
14
2ª del tempo ordinario
s. Felice da Nola
s. Bianca
8
s. Severino
s. Massimo di Pavia
15
b. Luigi Variara
ss. Mauro e Placido
21
3ª del tempo ordinario
s. Agnese
b. Cristiana di Assisi
22
b. Laura Vicuña
s. Vincenzo Pallotti
28
4ª del tempo ordinario
s. Tommaso d’Aquino
s. Giuliano di Cuenca
29
s. Valerio
s. Costanzo
4
5
9
s.
s.
Giuliano
Adriano
di
Canterbury
10
Ms. Aldo
s. Pietro Orseolo
11
s. Igino papa
s. Salvio
12
s. Modesto
s. Antonio M. Pucci
13
s. Ilario
b. Veronica
da
Binasco
1263Feb1b7 rai1o8 201198 s.MarcelloI
s. Tiziano
24 25 26 s. Emerenziana
s. Ildefonso
s. Antonio abate
s.
s.
Liberata
Margherita
d’Ungheria
s. Mario
s. Pia
s. Francesco di Sales
(patr. giornalisti)
Conversione di S. Paolo
s. Demetrio
ss. Timoteo e Tito
s. Paola
20
s. Sebastiano
s. Fabiano
27
s. Angela Merici
s. Marino
30 31 1
b. Bronislao Markiewicz
s. Martina
s. Giovanni Bosco
s. Ciro
b. Sebastiano V.
IU«««L«ÈÈnMQTuubuaAnnaanLmndreiEditsbsrosNeiaungatTnotnvoOorosòdtsiaanivDtncaeoiiortdmeo»iss.eiselasgdniniastaeefna.gtCdnthoooeeDloclio’osinsa»as.perrgaapnnapnnorettesuegtntltii!ad»?.i»s.se:
2
3
Accomchpeafganla’arletrseaigvpneerirssocoadnocaov, cneaaoscmishcdmeeirrpieinugianelr,tceopaiemsnrismtpireoiomntveoear.
Strenna
cuortleuotaptiomsnscViahdooéigaoltriDgeoirnoieclinhavgeoiBGosvotreornssiooùco.
SABATO
VENERDÌ
28 29 30 317 18 29 310 DOMENICA
LUNEDÌ
MARTEDÌ
MERCOLEDÌ
GIOVEDÌ
sb. V. AerndniaanMaichelotti
Psr.eCsaetnetrainziaodnee’dReiclcSiignore
s. Biagio
s. Oscar
s. Cinzia
ss..GGiuirsoelapmpionaE.Bakhita
b.
s.
EAupsoellboinaiaPalomino
ss. .SAcronlaasldtioca
4 111825 5 121926 6 132027 142128 15221 16232 17243 Strenna 5sªs..dGAeilnlb6CdtªeMeasrrdme.r.tePnaodplaeIiCsotsvQbL.eoqaoSo.murulAiusremaadiprnInrldIsioeegenissQeLo.e.saoIIsCuVn«llir-rAimLiaedeceCspoIrosr.aiilaensalhDiMbiscragmdaiiirmcoalniihioaoOtaamaeaelmvoNsbCofs.a.maAiLlATrnotgaolatvioaAcsrohat,se.ear.rGEsaiDlnoiuoaalfNzarsmaemslo.pis.taCtiA.a,MtrtToontoeéuaronrsrlnssal.eulit.saNodaRuanao:eoegms«nCtmmtonoonNoernaooeinfo,?amtdloaanesgsivsne.on.PratD,iaaonoDos,rlteso.oiip.FotMMDaoeo?asaidik.cisuo.s.ias.c.ruG&.aEoohSinlcoeipnal.sruvsdm.pat.lGaefnLaunaraaeoioboarstgrneteinedorslrieioiiedèscteeàolflbnaAsd.p.dttPTetiadeieaoioonLrsdlpIeo(dosiXops.riC.parraacCVoeatticeaasrnrssom.iloerle.oPlnrEonliaiilaieltaeedirrcsno’d?srMD.Eoon.aR»uiaCeonomrmmtaromoacnpidapldaoauninio)idnicosataear:gs«inIoianl,soccsi.hmsFoaieuaC:sssa.tateMitnleaoladargelralhmG’idemiorioisvt.panitPatrieaotgrvonvias!o»s:.b. G. Giuiuslis.sas.Pen.RopRaolpeimcneazaAronpllaoamano
ss.
s.
7 fondatori
Donato
OSM
ss. .SAedrgoilofo
Abbiamo bnicseholegl’naèroptediùidecishaeesrccsoeitlntaatrircreie,.
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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