Bollettino_Salesiano_201612

Bollettino_Salesiano_201612

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IL
DICEMBRE
2016
Salesiani
nel mondo
Marocco
L'invitato
Radio
Don Bosco
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case di
don Bosco
Testaccio
A tu
per tu
Don
Vittorio
Pozzo

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Il panettone
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
22 dicembre 1845. Il comune di Torino proibisce a don
Bosco di continuare a riunirsi, con i suoi ragazzi, presso
i Mulini della Dora. Don Bosco, stracarico di preoccupa-
zioni, festeggia quindi il Natale insieme ai suoi giovani.
In questo momento di grande difficoltà, affidandosi alla
Divina Provvidenza, descrive ai suoi giovani amici come
sarà il futuro Oratorio: una casa che accoglie tutti i giova-
ni (Memorie Biografiche, volume II, 260-261)
Nacqui dalle mani esperte di un abile
panettiere che si vantava di sfornare i
migliori panettoni di tutta la città di
Torino. Ricordo ancora molto bene
quella fredda notte d’inverno: era la
vigilia del Santo Natale. Si aprì la porta
della panetteria ed entrò un giovane prete di bassa
statura. I suoi capelli ricci brillavano per qualche
fiocco di neve.
Dopo qualche minuto il giovane sacerdote
lasciava la panetteria stringendo un sacchetto di
carta marrone con all’interno proprio due di noi
panettoni.
Un’ora dopo eravamo su un tavolo rozzo in una
piccola stanzetta dell’Ospedaletto di Santa Filo-
mena, luogo per ragazze abbandonate, dove quel
giovane sacerdote lavorava come cappellano. Mi
guardai intorno e rabbrividii: mi trovavo in un
magazzino pieno zeppo di roba. C’erano corde,
cerchi di ferro, trampoli, bocce. Il mio nobile e
morbido cuore di panettone era desolato. Non
era certo quello il Natale che avevo sognato.
Giunta la sera, quella stanzetta a mano a mano
iniziò a riempirsi di ragazzini. Arrivavano mura-
tori, spazzacamini, tutti orfani o lontani da casa,
che venivano lì per passare insieme la vigilia del
Santo Natale.
Ma c’era preoccupazione nell’aria: “Dove ci tro-
veremo domenica prossima?”. L’inverno stringe-
va tutti nella sua morsa gelida. Sognavano una
casa. Don Bosco non possedeva nulla; poteva
offrire loro solo la propria persona e tutto il suo
amore. Ma non bastava.
Ma, all’improvviso, don Bosco balzò in piedi.
Soffocando le preoccupazioni, iniziò a raccon-
tare a quei ragazzi le meraviglie di una casa che
li avrebbe ben presto accolti. La descriveva nei
dettagli, sebbene per il momento esistesse solo
nella sua mente e nei suoi sogni. I giovani si rin-
francarono e in loro tornò a germogliare il seme
della speranza.
A un cenno di don Bosco, tutti quei ragazzi si
misero a correre verso quell’oscuro angolo della
stanza in cui mi trovavo avvolto in quella grande
borsa marrone. Non ci potevo credere: stavo di-
ventando molto più di un semplice dolce di Natale.
Ero diventato il segno vero e proprio di un futuro
di felicità promesso a quei giovani da don Bosco.
Don Bosco iniziò a dividermi in tante belle fet-
te, una per ogni ragazzo. Mi sentivo accarezzato
da quelle mani ruvide e piene di calli per il duro
lavoro. E gli occhi? Quelli brillavano di vera
gioia. Fu in quel momento che capii che stavo
finalmente portando a termine la missione per
cui ero venuto al mondo: portare sorrisi e felicità
proprio il giorno in cui il Bambino Gesù era
venuto al mondo.
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Dicembre 2016

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IL
DICEMBRE
2016
Salesiani
nel mondo
Marocco
L’invitato
Radio
Don Bosco
A tu per tu
Don
Vittorio
Pozzo
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case di
don Bosco
Testaccio
Poster
Come
alberi

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Natale:
Dio nasce anche in Siberia,
in Mongolia e in Myanmar
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Dicembre 2016
«Grazie, perché siete venuti
a condividere la fede con noi.
Credevamo che Dio si fosse
dimenticato di noi. Voi ci avete
fatto capire che non è così».
Con affetto e amicizia saluto i lettori del
Bollettino Salesiano nella luce di questo
Santo Natale che già comincia a brillare
nell’aria. Il Figlio di Dio nasce, per tut-
ta l’umanità, in tutti i luoghi e in tutti i
cuori del mondo, ma voglio sottolineare
quanto questo sarà vero e sentito anche in Siberia,
Mongolia e Myanmar, che ho avuto la grazia di
visitare recentemente.
Il primo appuntamento l’ho avuto a Mosca, gior-
ni fa, con un missionario salesiano che, insieme ad
altri 4 salesiani, compie la sua missione in Siberia.
Gli chiesi per pura curiosità qual era la differenza
di escursione termica che gli toccava sopportare
tra il freddo e il caldo. Mi spiegò che approssi-
mativamente era di 90 gradi: passava dai 52 sotto
zero del periodo più crudo dell’inverno, ai 38-40
gradi nei giorni più caldi dell’estate. E aggiunse:
«Ma siamo felici di condividere in tutto la vita
di questa buona gente, centocinquanta persone

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in tre località». Sono stato intimamente toccato
e ancor di più per le parole della gente che mi ha
riferito: «Grazie, perché siete venuti a condividere la
fede con noi. Credevamo che Dio si fosse dimenticato
di noi. Voi ci avete fatto capire che non è così».
E non c’è da meravigliarsi sapendo che la distanza
più breve dal luogo più vicino in cui queste per-
sone possono incontrare qualcuno è un viaggio di
2400 chilometri attraverso un abbacinante deserto
di ghiaccio. Mi sono detto: «Certamente il Figlio di
Dio nasce, con un affetto speciale, in questi luoghi ‘per-
duti’ per il mondo, ma non certo perduti per Lui».
La settimana dopo ho visitato le nostre sorelle
Figlie di Maria Ausiliatrice e i nostri fratelli sale-
siani in Mongolia. Il freddo era ancora pungente,
anche se si trattava solo di quattordici gradi sotto
zero, ben lontano dai meno quarantotto cui può
arrivare il termometro. Ma il freddo era ben miti-
gato dal calore del cuore di quella gente semplice,
di quelle comunità cristiane ospitali, tanto povere
e modeste, in tutti i sensi, anche per il numero,
che per decine di anni difficili hanno custodito la
fede come il tesoro più prezioso.
Celebrando l’Eucaristia domenicale nella comu-
nità cristiana di Darham con la neve che ci as-
sedia, con un gruppo di anziani, alcuni giovani
genitori e molti bambini, che pregavano e can-
tavano con una fede che mi toccava il cuore, ho
sperimentato vivissima in me la convinzione che il
Figlio di Dio di lì a pochi giorni sarebbe nato anche
in Mongolia, con una predilezione speciale.
Sono poi passato dal freddo della Mongolia alle
piogge del Myanmar, con la sua magnifica e lus-
sureggiante vegetazione e centinaia di adolescen-
ti, poveri, molto poveri, ma con il sorriso e gli
occhi incantevoli.
Diverse volte ho celebrato l’Eucaristia e le voci e
le canzoni erano di una bellezza e una suggestio-
ne tali che non aveva nulla da invidiare ai canti
degli indiani Guaranì nel film “The Mission”. E
ho pensato che il Natale presto avrebbe inondato
i loro volti e i loro sorrisi di gioia per la nascita del
Figlio di Dio. Perché Dio nascerà anche in Myanmar.
Il nostro Dio che con questa meravigliosa follia ha
amato e ama i suoi figli e le sue figlie di tutti i tem-
pi continua a farlo. Come sempre con un affetto
particolare per gli ultimi, i più piccoli, umili, sem-
plici e poveri del mondo. Il bambino nella mangia-
toia mostra come Dio abbia sognato il suo arrivo
nella casa dell’uomo in maniera del tutto diversa da
come ci saremmo aspettati. Il bambino non nasce
in un palazzo, ma in una stalla. Non ha un soffice
lettino, ma una dura (e poco profumata) mangia-
toia. Non lascia trapelare nulla della sua dignità
divina. È impotente. Ha bisogno di tutto. Lì dove
siamo, dove ci sentiamo incompresi, dimenticati e
rifiutati, proprio lì Dio vuole nascere in noi.
Per questo il cuore dei poveri è preparato come
nessun altro a riceverlo nella purezza della sua
semplicità.
Nella luce di queste esperienze, chiedo a Dio nella
preghiera di non permettere che io mi abitui a ve-
dere “tanti miracoli e prodigi” senza meravigliarmi
e stupirmi di essi. Che io non veda come ordinario
ciò che proclama l’aspetto essenziale, bello e pre-
zioso della vita umana: la dignità personale di cia-
scuno e l’amore donato, vissuto e condiviso.
Non dimentichiamo che il Natale è il mistero di
Dio Amore che si fa uno di noi.
Buon Natale, cara Famiglia
Salesiana, con la benedizione di Dio
che è Amore. E il mio vivo augurio
di felicità, grazia, salute e ogni bene
per ciascuno di voi.
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I GRANDI AMICI
C. M. PAUL
Madre Teresa
e i Salesiani
Traduzione di Marisa Patarino
Nel corso di quasi 50 anni durante i quali compì la sua
missione al servizio dei più poveri tra i poveri, Madre
Teresa incontrò molti Salesiani. Un rapporto di stima
e affetto che dura nel tempo.
Don Attilio Colussi incontrò
per la prima volta Madre Te-
resa il 7 ottobre 1950, nella
Cattedrale del Santissimo
Rosario di Calcutta, all’inizio
della missione della Madre.
Fino alla sua morte, avvenuta nel 1988
quando aveva 81 anni, don Colussi
continuò a offrire la sua assistenza spi-
rituale alle Missionarie della Carità.
Nel corso di ritiri spirituali e confe-
renze per religiosi, don Colussi era so-
lito ricordare le origini della chiamata
di Madre Teresa a servire i più pove-
ri e abbandonati. A suo nipote, don
Luciano Colussi, che aveva fondato a
Calcutta il “Don Bosco Catechetical
and Multimedia Centre (Centro Ca-
techistico e Multimediale Don Bosco,
ora chiamato ‘Nitika’)”, Madre Teresa
aveva affidato la “formazione catechi-
stica” delle sue consorelle più giovani.
Don Joseph Thelekkatt:
il Figlio della Madre
I Salesiani della vicina Ispettoria di
Guwahati, nello stato indiano dell’As-
sam, cominciarono a lavorare con Ma-
dre Teresa quando nel 1977 il preside
dell’Istituto “Don Bosco School” di
Guwahati, don Joseph Thelekkatt,
mandò un gruppo di studenti al termi-
ne del loro corso di studi a compiere un
viaggio a Calcutta. Don Thelekkatt li
invitò a recarsi in visita da Madre Te-
resa, la quale illustrò loro il suo desi-
derio di aprire una casa a Guwahati,
anche in un immobile in affitto. Gli
studenti riportarono il desiderio di
Madre Teresa a don Thelekkatt, che si
attivò coinvolgendo varie persone nel
progetto. Don Thelekkatt riferì che
nel 1978 il dottor K.C. Das offrì una
delle sue case a Guwahati a Madre Te-
resa perché avviasse la sua attività.
Il primo ministro dello stato indiano
di Assam, Golap Borbora, e alcuni
funzionari diedero allora un calo-
roso benvenuto alla Madre presso la
6
Dicembre 2016
Un gruppo di salesiani indiani prega sulla tomba
di Madre Teresa.

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AI SALESIANI
“District Library” di Guwahati. Le
Suore Missionarie della Carità spes-
so definiscono don Thelekkatt, che
in seguito diventò Ispettore ed è ora
preside del “Don Bosco College” di
Bongaigaon, “Figlio della Madre”.
Oggi a Guwahati vi sono tre case di
Madre Teresa.
Un altro sacerdote italiano, don Stro-
scio Rosario, che era stato Ispettore
dell’Ispettoria di Calcutta tra il 1967 e
il 1972, fu una figura controversa du-
rante l’attività missionaria che compì a
Maliapota (Nadia District), quando il
governo emanò un ordine di espulsio-
ne contro di lui con l’accusa infondata
di aver operato “conversioni”. Madre
Teresa intervenne e domandò al go-
verno di permetterle di nominarlo
cappellano delle Suore Missionarie
della Carità a Prem Dan Tengra, un
grande convalescenziario per pazienti
affetti da tubercolosi. Le autorità ac-
consentirono, revocarono l’ordine di
espulsione e don Stroscio, che ha ora
94 anni, lavora presso la parrocchia
Auxilium dal 1979.
Con i bambini di strada
a Calcutta e nello Yemen
Madre Teresa incoraggiò i Salesiani a
lavorare per i bambini che vivevano per
le strade. «Noi ci prenderemo cura del-
le ragazze. Voi impegnatevi al servizio
dei ragazzi», disse quando don An-
thony Thaiparambil avviò il progetto
Ashalayam nella stessa stanza presa
in affitto nel 1985 nella baraccopoli di
Howrah Pilkhana da Dominique La-
pierre, l’autore di “La città della gioia”.
Don Lukose Cheruvalel, fondatore
17 aprile 1984, la Santa parlò ai salesiani del CG22. Le sue parole sono come
un messaggio per la Congregazione oggi.
«San Giovanni Bosco deve essere molto contento nel vedere che la sua Congregazione con-
serva questo onore per i più poveri tra i poveri. Custodite con la vostra vita, con il vostro lavoro
questo, che è il più grande dono di Dio alla vostra Società: l’amore, il lavoro per i poveri. Non
lasciate che nessuno o niente separi il vostro amore per Cristo dall’amore per i poveri! È così fa-
cile permettere che qualcuno o qualcosa porti via la gioia di amare e servire i poveri. Essi sono
il più grande dono di Dio per noi! Oggi la fame non è solo per un pezzo di pane… è anche quella
di essere amato, di sentirsi benvoluto. Il contributo del sacerdote è di dare quella pace e quella
gioia che sgorgano dall’amore. La nudità non è solo questione di un panno per vestirsi, ma è
anche la mancanza di dignità, la perdita della
purezza, la mancanza di rispetto: molti tratta-
no i poveri come se fossero niente! La gente
ha fame di amore, fame di stima; spesso non
ha più tempo nemmeno per sorridere. C’è
molta sofferenza nel mondo, appunto perché
tutti sono indaffarati. Per questo dobbiamo
essere presenti con la nostra preghiera, inse-
gnare alla gente a pregare, perché le famiglie
che pregano insieme rimangono insieme, e se
rimangono insieme saranno in grado di amar-
si tra loro, come Dio ama ciascuno di loro…
Aiutiamoci a vicenda con la preghiera e i sa-
crifici, perché possiamo continuare ad essere
l’amore di Dio e la sua compassione per tutti
quelli che ci incontrano; possiamo condivide-
re con loro la gioia di amare e servire Dio».
e direttore della Casa Snehalaya per
bambini di strada, ricorda che il suo
desiderio di lavorare al servizio di que-
sti bambini nacque nel 1991, quando
era preside dell’Istituto “Don Bosco
School” della città di Guwahati. Don
Lukose invitò Madre Teresa a incon-
trare gli studenti e, quando condivise i
suoi pensieri con la Madre, fu rassicu-
rato con queste parole: «Collaborere-
mo con voi. Le mie consorelle vi affi-
deranno tutti i ragazzi». Quel desiderio
diventò una chiara chiamata quando
don Lukose si trovava nello stadio Ne-
taji Indoor di Calcutta per assistere ai
funerali di stato celebrati per Madre
Teresa, il 13 settembre 1997. Quando
tornò a Guwahati, don Lukose lasciò
il suo incarico di segretario dell’arcive-
scovo e cominciò a lavorare al servizio
dei bambini di strada.
I Salesiani indiani furono invitati a ge-
stire la missione nello Yemen nel 1987
e hanno continuato a prestare la loro
opera tramite i sacerdoti Salesiani di
Don Bosco dell’Ispettoria di Bangalore
fino al 5 marzo 2016, quando l’ultimo
Salesiano rimasto nello Yemen, don
Tom Uzhunnalil, è stato rapito. Don
Kuzhipala Sebastian, ex parroco di
Auxilium, era uno stretto collaboratore
di Madre Teresa. Nei primi anni 1990
fondò la comunità cristiana Hathga-
chia, che le autorità municipali di Cal-
cutta cercarono di demolire lasciando i
cristiani poveri privi di un rifugio. Don
Kuzhipala domandò a Madre Teresa
di intervenire con grande decisione per
fermare le ruspe che erano arrivate per
sbarazzarsi della colonia.
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SALESIANI NEL MONDO
HÉLÈNE BOISSIÈRE-MABILLE
Traduzione di Marisa Patarino
Marocco A Kenitra, in Marocco, c’è una scuola
gestita dalla Congregazione salesiana.
Come si manifesta il carisma del Fondatore
don Bosco in un paese musulmano?
Una scuola salesiana
in un paese musulmano
Il sorriso molto
“salesiano” del
direttore della
scuola.
Se vi perdete all’altro capo della città e
chiedete: «Scusate, dov’è la scuola Don
Bosco?», i passanti vi risponderanno su-
bito. Eppure Kenitra è una grande città,
vicina a Rabat, la capitale. È una città
moderna, in piena espansione. Nel rag-
gio di decine di chilometri a partire dal centro si
vedono edifici in costruzione.
In rue Mohamed Abduh il volto di don Bosco
è raffigurato all’esterno della grande struttura
bianca in cui ha sede la scuola. Spicca il grande
logo rosso. E già a partire dal cortile, centinaia di
annunci appesi che invitano a partecipare a ini-
ziative culturali e sportive danno il tono.
Don José Antonio Vega, il direttore dell’istituto,
di origine spagnola, è circondato da tanti ragazzi,
mentre accoglie i nuovi arrivati. Conosce perfet-
tamente la storia: «Questa scuola esiste dal 1937.
All’epoca si dedicava principalmente all’istruzio-
ne degli allievi francesi. Dopo l’indipendenza,
nel 1956, i Salesiani hanno ridefinito il suo orien-
tamento, inserendo il progetto nella mentalità
del Marocco; sono stati realizzati percorsi post-
diploma per rispondere alle necessità del Paese.
È stata aperta anche una scuola superiore. Oggi
l’Istituto è frequentato da oltre milleduecento
giovani».
La scuola offre un percorso in linea con i pro-
grammi ufficiali: le lezioni sono tenute sia in
francese sia in arabo, i docenti sono tutti mu-
sulmani, i corsi sull’Islam sono obbligatori. Sia-
mo lontani dagli standard di una scuola europea
cattolica. Il carisma salesiano, però, si diffonde
grazie alla presenza costante del direttore tra i
giovani. Non c’è un momento di ricreazione in
cui non lo si veda in cortile. Il vicedirettore della
scuola, Nouâman Haddouch, spiega: «Tra tutte le
parole della pedagogia salesiana, che il direttore
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conosce a memoria, quella della presenza è la più
significativa».
Il direttore, don Vega, dice che il momento più
importante è la riflessione del mattino: «Oggi
abbiamo parlato della risposta non violenta alla
violenza. Ho citato una frase del Corano che par-
la del perdono: “Devi difenderti dalla violenza.
Devi perdonare”». Don Vega aggiunge: «A volte
prendiamo frasi tratte dal Corano, ma non citia-
mo mai la Bibbia con riferimenti. Se presentia-
mo parabole, scegliamo frasi di Gesù che hanno
una portata universale, non diciamo mai che sono
sue. Non possiamo parlare di Gesù, ma parliamo
spesso di don Bosco».
Quest’anno il sacerdote ha scelto il tema propo-
sto dall’Organizzazione delle scuole cattoliche
per elaborare un programma annuale: “No alla
violenza”. Questo tema riguarda tutte le attività
didattiche della scuola: la sensibilizzazione dei
genitori, laboratori per i ragazzi, conferenze sul-
la gestione dei conflitti. Nella guida distribuita a
tutti i genitori, ad esempio, molti testi incorag-
giano lo spirito del dialogo all’interno delle fa-
miglie. «Dialogo non è sinonimo di debolezza»,
è scritto nella guida. «Una giusta fermezza deve
educare i ragazzi all’obbedienza e al rispetto».
Questo volumetto è una miniera di idee, di ri-
chiami ai punti-chiave salesiani e di risorse peda-
gogiche: racconti, canti...
Ogni anno don Antonio Vega organizza una
settimana di laboratori denominata “Settimana
Il “Buongiorno” del
mattino sempre
molto partecipato.
Sotto: Un clima di
gioia contagiosa.
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SALESIANI NEL MONDO
Una festa
nel Centro
di formazione
femminile.
Culturale”. Per qualche giorno genitori e ragaz-
zi possono scoprire la pedagogia e la vita di don
Bosco. Le lezioni curricolari vengono sospese.
Mentre i ragazzi partecipano a giochi riguardan-
ti l’infanzia di don Bosco, gli adulti, genitori e
docenti, assistono a conferenze di carattere pe-
dagogico. Quest’anno don Jean-Marie Petitclerc
è venuto a parlare del suo libro “Les douze mots
clés de la pédagogie de Don Bosco (Le dodici parole-
chiave della pedagogia di don Bosco)”.
Per aggregare il corpo insegnante intorno ai rife-
rimenti della pedagogia di don Bosco, don Vega
non esita ad avvalersi delle competenze e del ca-
risma di docenti impregnati di questi valori. È il
caso di Mohamed Habhoud, docente di arabo,
musulmano, poeta nel tempo libero e appassiona-
to di don Bosco. Secondo lui: «Lo spirito di don
Bosco può esistere tra ebrei, cristiani, musulma-
ni. Don Bosco è una proposta».
Mohamed lavora in cinque scuole della zona, in
cui opera come formatore coordinatore. Il suo
entusiasmo sorprende i colleghi. Quando gli do-
mandano quale sia il suo segreto, risponde che
si tratta della gioia e non esita a parlare di don
Bosco. «Io agisco e penso da salesiano. Sono un
salesiano musulmano!». Mohamed è autore di un
libro su don Bosco in arabo che il direttore ha
fatto pubblicare per distribuirlo ai genitori degli
allievi in occasione del bicentenario della nascita
del Santo.
Una scuola aperta al quartiere
Per dare un’idea del lavoro realizzato dall’Istituto,
si dovrebbe parlare anche dei numerosi progetti
che accrescono i legami tra la scuola e il quartie-
re: il centro culturale e sportivo aperto ai giovani
che non frequentano la scuola, la biblioteca per
tutti, il progetto Passerella rivolto gratuitamen-
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DUE PERCORSI DI FORMAZIONE POST-DIPLOMA
Di fronte alla scuola si trova la struttura di formazione per giovani adulti ge-
stita da don Isidore Mbokalo, sacerdote salesiano originario della Repubblica
Democratica del Congo: JukSpel (Joyeuse unione de Kenitra - Unione felice di
Kenitra), che forma operatori specializzati nel campo dell’elettricità industriale.
Gli allievi sono incoraggiati a intraprendere varie iniziative: giornate di acco-
glienza organizzate da loro, formazione alla mediazione, educazione tramite
progetti... Presso la scuola JukCff, ubicata a pochi metri di distanza, anche Fa-
tima Amhaouch spende grandi energie per fare in modo che le allieve ricevano
una formazione di qualità per svolgere professioni di assistenza all’infanzia.
Alla fine del corso di studi non di rado le allieve che l’hanno frequentato diven-
tano responsabili di una classe della scuola d’infanzia.
Un esempio per gli Istituti francesi
L’Ispettoria salesiana della Francia e del Belgio conta circa settantacinque isti-
tuti scolastici e sociali e comprende anche questa importante attività a Kenitra,
in Marocco. Tutti i docenti sono musulmani, ma sono attenti alla pedagogia
salesiana, che applicano con i loro allievi. Ragione, religione, amorevolezza
sono i pilastri del sistema preventivo, ma in questo contesto marocchino il
riferimento religioso è quello dell’Islam. La pratica dell’educazione secondo lo
stile di don Bosco nel mondo musulmano mostra il carattere universale della
sua pedagogia e mette in luce aspetti interessanti in merito al tema dell’acco-
glienza nelle scuole francesi dei giovani musulmani. E la comunità salesiana,
presente all’interno di quest’opera e che accompagna la piccola minoranza
cristiana costituita da Africani dell’area sub-sahariana, è un’importante testi-
monianza della presenza della Chiesa nel mondo musulmano. In un momento
in cui in Francia sorgono tensioni tra comunità diverse, è importante insistere
su questa presenza. Il riferimento a don Bosco può essere condiviso da tutti.
Jean Marie Petitclerc, Salesiano
Don Antonio Vega, direttore della Comunità salesiana, in mezzo
ai ragazzi.
te ai bambini che non hanno mai frequentato la
scuola, la palestra Don Bosco utilizzata da tutte
le associazioni sportive locali.
La molteplicità di progetti dà ovviamente lustro
all’Istituto Bosco. Tra il direttore e i suoi collabo-
ratori, cristiani e musulmani, che lavorano nella
scuola e nei centri di formazione professionale
esiste una vera e propria complicità. È una roccia
solida, che conferisce all’Istituto di Kenitra, al di
là delle differenze religiose, un vero spirito di fa-
miglia.
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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Don Vittorio Pozzo
La mia vita sul vulcano
mediorientale
Come ha conosciuto
i salesiani?
La mia avventura con don Bosco si
può dire che sia cominciata con l’in-
fanzia, perché il papà era originario
di Buttigliera d’Asti, dove Giovanni
Bosco, all’età di 18 anni, ricevette il
sacramento della cresima. Ne fu pa-
drino il sindaco del paese, Giuseppe
Marsano (oggi Marzano e Marsàn
in dialetto), nostro trisavolo a quanto
si diceva in famiglia. Benché non si
vivesse a Buttigliera, ci si recava an-
nualmente in visita alla nonna e agli
zii, e non mancava mai una visita ai
Becchi – non si usava allora il nome
“Colle Don Bosco” – su un carretto
trainato da un cavallo.
Com’è nata la vocazione?
Terminate le classi elementari nel
paese natale, Ottiglio Monferrato,
dove il papà era segretario comunale,
sembrava naturale l’avviamento al sa-
cerdozio, suscitato dall’esempio di un
ottimo viceparroco, sacerdote zelante
e amico di famiglia, e dall’appoggio
Don Vittorio Pozzo con il Rettor Maggiore.
«Mi trovo in Medio
Oriente senza interruzione
dal 1952». Don Vittorio
Pozzo racconta la sua vita
e la sua missione salesiana
in Terra Santa e nei paesi
sempre dolorosamente
presenti sulle prime
pagine. Con vero affetto e
tanta speranza.
incondizionato dei genitori, cristiani
esemplari. Noi tre fratelli eravamo
chierichetti e la messa quotidiana o
quasi, sia per i genitori sia per noi,
sorelle comprese, prima di andare a
scuola, era prassi abituale.
Perché è partito
per le missioni?
Ad un primo orientamento verso il
seminario diocesano successe quello
verso l’aspirantato salesiano di Mi-
rabello Monferrato, grazie all’inte-
ressamento di don Luigi Ricaldone
che, con un altro salesiano, aveva
predicato le missioni in parrocchia.
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2.3 Page 13

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E così nel 1948, a 11 anni, misi pie-
de in quel collegio dove già si trovava
il fratello maggiore. L’aspirantato di
Mirabello aveva la funzione di pre-
parare giovani leve missionarie per
l’ispettoria del Medio Oriente (chia-
mata allora Ispettoria Orientale) che
era stata dissanguata dalla guerra e
contava su pochissime vocazioni lo-
cali. La conoscenza del futuro campo
di lavoro era favorita dalla lettura in
pubblico del giornalino “Don Bosco
in Egitto e nel Medio Oriente”, che
riportava pure occasionalmente brani
in arabo, stimolando quindi in modo
inconscio il desiderio di conoscere
quella lingua misteriosa. Altre let-
ture in pubblico riguardavano lettere
e relazioni di chi era già partito, ma
pure libri o racconti ambientati nel
Medio Oriente. A ciò si aggiungeva
la visita occasionale dell’ispettore e di
altri missionari di quell’ispettoria o
di altre parti del mondo i quali, con
i loro racconti, non solo suscitavano
interesse, ma vero entusiasmo e ansia
di poterli raggiungere al più presto ed
imitare. Anche l’attrattiva della Terra
Santa esercitava il suo fascino.
È partito molto giovane
Con il passare degli anni, il progresso
negli studi e nella maturazione, grazie
a una formazione fin troppo rigorosa,
severa e selettiva, ma accettata paci-
ficamente, si avvicinava l’agognato
giorno della partenza, prevista prima
del noviziato. Nonostante la giovane
età dei candidati con i rischi che essa
comportava, questa scelta della con-
gregazione sembrava la più efficace
per favorire l’inculturazione dei gio-
Rappresentanti della Famiglia Salesiana
del Libano con il Vicario del Rettor Maggiore,
don Francesco Cereda.
vani missionari, e lo fu realmente per
non pochi di loro, tra i quali sento di
potermi annoverare, avendo sempre
provato una profonda passione per le
lingue, la storia e la cultura di questi
paesi.
Il giorno fatidico della partenza fu il
1° novembre 1952, a poco più di 15
anni, con l’apparenza di un ragazzino
vestito da prete, secondo i commenti
dei passeggeri sulla nave che da Ge-
nova mi portava verso Beirut. Da lì
proseguii via terra verso Betlemme,
passando per la Siria e la Transgior-
dania. La sede del noviziato infatti
era a Tantur, tra Betlemme e Gerusa-
lemme. Conclusi il ciclo della forma-
Dicembre 2016
13

2.4 Page 14

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A TU PER TU
guerra del 2006, anzi il mio diario
di quei giorni ebbe l’onore di venire
pubblicato (Se il grano non muore. Li-
bano: 34 giorni di guerra, Alberobello,
Poiesis Editrice 2007).
I giovani di El Housson in Libano.
Sotto: La chiesa della comunità.
zione iniziale con l’ordinazione sacer-
dotale a Gerusalemme nel 1964. Mi
trovo quindi in Medio Oriente senza
interruzione dal 1952.
Una terra santa,
ma molto turbolenta
La mia esperienza salesiana nei vari
momenti è scandita dall’obbedienza
religiosa, ma pure dalla travagliata
storia dei paesi del Medio Oriente,
vulcano in eruzione permanente, nei
confronti del quale – a dire di un an-
ziano salesiano piuttosto pessimista e
ormai defunto – “a prevedere il peg-
gio non si sbaglia mai”. Ma come lui
ci aveva fatto il callo, credo di aver-
celo fatto anch’io, avendo attraversa-
to incolume – almeno finora – tutte
le guerre e rivoluzioni nelle quali mi
trovai coinvolto: dalla guerra del Sinai
(1956), a quella dei Sei giorni (1967)
e di Kippur (1973), alla Rivoluzione
islamica in Iran (1979) e al Terrore
rosso in Etiopia mentre ero ispetto-
re (1979-1984), alla guerra civile in
Libano (1975-1990). In questo paese
dove mi trovo dal 1986 ho vissuto
la fase finale della guerra (1989-90),
la più scandalosa perché conclusasi
con la guerra intercristiana. Succes-
sivamente fui ancora testimone della
Quali sono i suoi
ricordi più belli?
Come in ogni esperienza umana,
quelle che lasciano il segno non sono
necessariamente le più piacevoli, ma
queste non sono mancate accanto
a quelle più dolorose. Tra le prime
vorrei ricordare l’apertura dell’aspi-
rantato e del noviziato in Etiopia,
nell’unica casa salesiana (Makallé) al-
lora esistente in quel paese, benedetto
effettivamente da numerose e buone
vocazioni. Benché in un contesto di
guerra, fu pure positiva ed arricchente
la convivenza con centinaia di sfollati
cristiani, rifugiatisi nella casa salesia-
na di El Houssoun, in Libano, per
sfuggire alla distruzione sistematica
delle loro abitazioni, in città e nei vil-
laggi (1989-90). È proprio in queste
situazioni, a volte drammatiche, che
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Dicembre 2016

2.5 Page 15

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la mia identità salesiana e sacerdotale
trovò modo di esprimersi non con ge-
sti clamorosi, ma con la condivisione
e la semplicità e quotidianità di ge-
sti umili. Altra esperienza dolorosa e
sofferta fu l’espulsione della maggior
parte dei salesiani residenti in Iran
nel 1980, a seguito della Rivoluzio-
ne islamica. Fu lenita dalla paterna
accoglienza riservataci dal papa, san
Giovanni Paolo II, pochi giorni dopo
nella residenza estiva di Castelgan-
dolfo.
Come vede il rapporto
con i musulmani?
La mia lunga e ricca esperienza sale-
siana e mediorientale è stata sempre nando in qualche modo la memoria
per me uno stimolo a condividerla storica dei salesiani nel Paese dei Ce-
con gli altri, sia con i miei confra- dri, ho scritto il libro come atto di
telli salesiani nelle varie mansioni amore e di riconoscenza. Con il volu-
che ho occupato sia con gli altri. Mi metto sull’Islam invece ho voluto ri-
sono curvato con passione sulla storia spondere in modo semplice ad alcuni
dell’ispettoria, ma anche sul mondo interrogativi che la gente comune, in-
dell’Islam e i due volumi usciti re- quieta, disorientata e a volte sconvol-
centemente sono un ulteriore passo ta, si sta ponendo di fronte a quanto
in questa direzione. Con il libro sulla sta accadendo non in paesi lontani,
storia dei salesiani
in Libano ho vo- 28
luto tramandare il
ricordo non solo
ISTITUTO STORICO SALESIANO – ROMA
STUDI – 28
ma – si direbbe – fuori
della propria
porta. Aiutan-
do gli altri a
di un’opera ormai
Vittorio Pozzo
capire non mi
scomparsa (Bei-
rut), ma dei sale-
siani che vi hanno
lavorato, uno dei
I dsianpleIreeplssrepinimazaain1evs9eais5nl2eedt-i1sci9idia7nn7DeqauioiencnaLeninBdbiaroniosco
azzardo a fare
pronostici sul
Medio Oriente,
pur esprimendo
quali, don Aldo
la mia convinzio-
Paoloni, ha ir-
ne, per esperienza
rorato la terra
personale, che con
del cortile con
i musulmani “nor-
il suo sangue
mali” non solo è
(1976). Incar-
LAS – ROMA
possibile convivere,
Una vetrina del Museo Archeologico creato
da don Vittorio a El Houssoun.
Sotto: La copertina del suo libro.
ma che si possono pure annodare for-
ti e durature amicizie e che lo stato
di crisi permanente e incancrenita nel
quale si dibatte quest’area del mondo
non è il frutto del caso, né colpa uni-
camente dei suoi abitanti o dei suoi
governanti, della loro cultura e reli-
gione, come spesso si sente dire, ma
pure, in gran parte, dell’insipienza e
dell’arroganza dell’Occidente.
E oggi?
Mi piace infine segnalare che la mia
passione per la cultura e la storia di
questi paesi si è concretizzata pure
con la creazione, nella casa di El
Houssoun (Libano) dove mi trovo,
di un piccolo museo archeologico che
raccoglie una collezione di reperti
e monete che vanno dalla preistoria
fino all’epoca islamica.
Dicembre 2016
15

2.6 Page 16

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MONDO
3
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
4
1
FINO AI CO
MALAWI 1
I miei successi
grazie a don Bosco
INDIA 2
Una seconda casa per i migranti
Edna Chimpeni, un giovane del
Malawi, afferma con orgoglio che sta ottenendo molto
nella sua carriera professionale. “Ogni cosa che faccio,
ogni premio che ottengo... non è solo per me, va anche
per don Bosco” dichiara questo giovane impiegato presso
la Banca Mondiale in Malawi ed exallievo dell’Istituto
Tecnico Giovanile Don Bosco di Lilongwe, dove ha
frequentato i corsi di Tecnologia e Informatica. “Ovun-
que vada e qualsiasi risultato ottenga – ribadisce – tutto
questo accade solo grazie a quest’istituto”.
In effetti, pur molto giovane, Edna ha già conseguito di-
versi risultati di prestigio. Alla base di tutto questo Edna
individua l’educazione ricevuta presso l’istituto salesiano
di Lilongwe, non solo dal punto di vista accademico, ma La Comunità Cristiana del Meghalaya a Bangalore
anche spirituale, fisico e mentale. “All’istituto Don Bo- (bccm, in inglese) è un innovativo programma di Pasto-
sco non s’insegnano solo delle materie, ma ci si concentra rale che i Salesiani realizzano da 10 anni in favore dei
sull’intero benessere fisico e spirituale dell’allievo”.
migranti interni che dallo Stato di Meghalaya hanno
“Questi giovani di successo sono i veri premi viventi di raggiunto la città di Bangalore. Il 2 ottobre, per le ce-
cui siamo veramente orgogliosi”, affermano i Salesiani lebrazioni dell’anniversario, circa 230 ragazzi e ragazze
della Visitatoria Zambia-Zimbabwe-Namibia-Malawi
(zmb).
provenienti dallo stato del Meghalaya, appartenenti
principalmente alle tre tribù Khasi, Jaintia e Garos,
hanno riempito il campus “Don Bosco Skill Mission”
di Bangalore.
L’arcivescovo di Bangalore, monsignor Bernard Moras,
ha presieduto una solenne Eucaristia e poi si è congratu-
lato con don T.C. George e gli altri Salesiani per la loro
opera pastorale.
Guidata dal motto “Lontani dalle nostre colline, ma
sempre tra le braccia di Dio”, la bccm lavora per riunire
i cristiani immigrati dal Meghalaya per celebrare la loro
identità culturale e cristiana, aiutare i giovani a tenere
viva la fede attraverso la Parola e i Sacramenti, e affron-
tare insieme le sfide dei giovani immigrati a Bangalore.
“Quando arrivai a Bangalore 5 anni fa mi sentivo molto
solo, perché non avevo amici qui. Nella bccm ho incon-
trato fratelli, sorelle e molti amici. La bccm è la mia se-
conda casa” ha affermato l’attuale Presidente Amedwent
Kyndait.
16
Dicembre 2016

2.7 Page 17

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MESSICO 3
Haitiani a Tijuana
Makena Morego ha 14 anni e non smette di ridere. Parla,
gesticola e poi torna a ridere. È arrivata 10 giorni fa a
Tijuana da Haiti, perché il suo paese natale “ha molti
problemi”. Makena è in attesa del suo turno per entrare
negli Stati Uniti. In attesa di quel momento, dice che la
stanno trattando molto bene “grazie a Dio” e non smette
di ballare e ridere.
Ogni giorno, centinaia di migranti haitiani arrivano a
Tijuana per cercare di entrare negli Stati Uniti. E da
quando è iniziata questa situazione i Salesiani offrono
la migliore assistenza possibile a tutte queste persone.
Don Felipe Plascencia, Direttore del centro salesiano,
spiega che la situazione appare confusionaria: “il Senato
degli Stati Uniti aveva annunciato che avrebbe dato un
trattamento preferenziale agli haitiani per dare loro la
residenza. Ogni giorno, però, circa 400 persone rag-
giungono il confine con il Messico, mentre le autorità
statunitensi lasciano entrare solo 90 persone. Così, circa
4 500 migranti haitiani sono ora bloccati”. “Abbiamo dato
accoglienza e aiutato tutti quelli che potevamo” racconta
ancora don Plascencia, pur riconoscendo che la situazione
non è ottimale.
EL SALVADOR 4
2
L’Università Don Bosco
per le ragazze
L’Università Don Bosco (udb) è una delle più prestigiose
istituzioni di educazione superiore nel paese, in partico-
lare nel settore tecnico e tecnologico. La Facoltà di Tec-
nologia è frequentata in gran maggioranza da ragazzi e
per questo l’Università ha realizzato l’iniziativa “Science
Girl Camp” (Campo Scientifico per Ragazze). Studen-
tesse che, terminata la scuola, sono convinte di poter far
bene i loro studi nelle materie tecnico-scientifiche e che
vi si appassionano, mentre prima calcoli e numeri non
erano affatto attraenti per loro: il cambiamento in molte
ragazze non è stato fortuito, ma è emerso proprio dopo
la partecipazione al “Science Girl Camp”, un programma
che la udb ha creato nel 2013 e che negli ultimi due anni
ha goduto del sostegno dell’Agenzia Statunitense per lo
Sviluppo Internazionale (usaid).
“Lo scopo di questo innovativo progetto è avvicinare le
ragazze di San Martin, Soyapango, Ciudad Delgado e
Apopa e realizzare campi di studio perché si appassionino
alle aree della Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matema-
tica”, ha detto José Humberto Flores, Rettore della udb.
“Si tratta davvero di un’esperienza molto bella. All’inizio
tutto sembrava così difficile, ma quando man mano poi
progredisci ti rendi conto che, sì, ce la puoi fare. Nes-
suno può dirmi che non posso fare alcunché, perché sì,
posso farlo”, dice Jennifer, che vuole studiare Ingegneria
Meccanica.
Dicembre 2016
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
LUCA TREGLIA
Radio Don Bosco
La radio più ascoltata e amata
“Plus je l’écoute et plus
je l’aime” (più l’ascolto
e più mi piace) è lo slogan
che è stato scelto e che
ha accompagnato Radio
Don Bosco durante questi
suoi primi 20 anni.
È il 27 giugno 1996, il giorno
dopo la festa nazionale della
Repubblica del Madagascar.
È una giornata fredda ad Iva-
to (località a 15 chilometri
dalla capitale del Madaga-
scar), perché è incominciato da poco
l’inverno tropicale con il suo freddo
pungente sull’esteso altopiano cen-
trale del Madagascar. Alle ore 12.00,
l’arcivescovo di Antananarivo, mon-
signor Armand, schiaccia un pulsante
nella regia di controllo e subito, come
per magia, il ricevitore radio che sem-
brava muto, incomincia ad animarsi e
dagli altoparlanti si può ascoltare di-
stintamente la sigla della Radio Don
Bosco. È una giornata storica per la
Congregazione Salesiana, per i Sale-
del Madagascar
radio più ascoltate e amate del Ma-
dagascar. “Plus je l’écoute et plus je
l’aime” (più l’ascolto e più la amo)…
è lo slogan che è stato scelto e che ha
accompagnato la Radio Don Bosco
durante i suoi primi 20 anni: il 27
giugno scorso infatti si sono celebrati
i 20 anni di attività.
Il sogno di don Bosco
continua
Don Luca Treglia, già anima e direttore
di Radio Don Bosco e fondatore del Progetto
Media Don Bosco del Madagascar.
siani del Madagascar, per la Chiesa
Locale, per tutta la gente: Radio Don
Bosco Madagascar comincia ufficial-
mente le sue trasmissioni che sono
diffuse ad Antananarivo, capitale del
Madagascar. È l’inizio di un lungo
cammino appassionante, avvolgente,
bello, ma a volte anche doloroso, che
fa della Radio Don Bosco una delle
I salesiani, provenienti da ben cinque
ispettorie italiane (Ispettoria Veneta,
Romana, Meridionale, Sicilia e Sar-
degna) sono arrivati in Madagascar
nel 1981, sotto la spinta del progetto
Africa. E si sono distribuiti sull’in-
tero territorio del Madagascar, dal
nord al sud, mettendo le loro forze e
competenze all’interno della pastora-
le delle singole chiese locali, portando
il carisma di don Bosco attraverso le
scuole, i centri professionali, gli orato-
ri, le parrocchie e le numerose chiese
sparse nelle aree remote. È l’inizio di
18
Dicembre 2016

2.9 Page 19

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un lungo cammino che porterà i mis-
sionari inviati a rendere visibile alla
massa dei giovani malgasci il sogno
di don Bosco che aveva visto il Ma-
dagascar cento anni prima nel famoso
sogno missionario, quello della linea
tracciata da Santiago fino a Pechino:
“Ti abbiamo aspettato tanto. Final-
mente sei tra di noi e non ti lasceremo
andare…”. E questo sogno continua
ancora oggi con fecondità: sono or-
mai cento i salesiani che lavorano nel-
le varie missioni… e la maggior parte
di essi è ora malgascia.
Una delle priorità su cui i primi sa-
lesiani erano d’accordo fin dall’ini-
zio, era l’impegno nel campo della
Comunicazione Sociale: per essere
efficaci nell’annuncio del Vangelo e
nell’educazione, era necessario far uso
dei mezzi di comunicazione che all’e-
poca facevano capolino in Madaga-
scar, come la stampa (libri, riviste,
fumetti per i ragazzi) e perché no, la
radio. Don Luigi Zuppini, il primo
Ispettore della nascente ispettoria del
Madagascar, incoraggiò un giovane
missionario, don Luca Treglia, ad
occuparsi in maniera particolare di
questo aspetto. E così nacque il pro-
getto Media Don Bosco Madagascar,
che nel suo sviluppo prevedeva una
casa editrice per fornire i testi per la
catechesi, l’animazione dei giovani e
la scuola; un centro audiovisivo per la
produzione di supporti audio e video;
e infine la radio, considerata come
uno degli strumenti privilegiati di
evangelizzazione e di educazione.
Creare la radio fu un’impresa diffi-
cile, non soltanto dal punto di vista
burocratico, ma anche tecnico. La
legge di allora non era contraria alla
creazione di radio private… ma il
lungo iter burocratico spesso scorag-
I collaboratori della radio sono preparati
e di assoluto livello professionale.
giava chi voleva aprire una qualsiasi
emittente. Oltre alla Radio Naziona-
le, nella capitale erano presenti altre
quattro-cinque emittenti, per lo più
di ispirazione politica. (Da notare,
che al giorno d’oggi, solo nella capita-
le Antananarivo sono più di quaran-
ta le radio private che trasmettono).
Giornate intere spese nei bui corridoi
del Ministero della Comunicazione;
inchieste a non finire; pile di docu-
mentazione di ogni tipo; risposte che
non arrivavano mai… ma alla fine la
testardaggine di don Luca la spuntò
sulla burocrazia estenuante: il Mini-
stero diede il suo parere favorevole per
la creazione della Radio Don Bosco.
Il primo ostacolo era superato. Ma se
ne presentava uno nuovo. Per fare una
radio occorreva avere delle persone
capaci di gestire le varie attività: gior-
nalisti, animatori, tecnici, marketing,
… Dove trovare queste persone? In
Madagascar, all’epoca, non esisteva
nessuna scuola di giornalismo (solo
Dicembre 2016
19

2.10 Page 20

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L’INVITATO
qualche sporadico corso all’Università
di Antananarivo). Quindi occorreva
rimboccarsi le maniche e formare il
proprio personale. Si è incominciato
così un lungo periodo di formazione
durato quasi un anno e mezzo, sot-
to la guida di un altro salesiano, don
Rosario Salerno. A queste formazioni
hanno preso parte una sessantina di
giovani; e da questo gruppo si è scel-
ta poi la prima “squadra” della Radio
Don Bosco.
La forza di una voce
La novità di Radio Don Bosco fu su-
bito apprezzata dalla maggior parte
degli ascoltatori della capitale. Una
radio agile, giovane, con contenuti
educativi adatti alle varie fasce ma
anche con tanti programmi di diverti-
mento, che la distingueva nettamente
dalle altre radio le quali erano più im-
pegnate sul campo politico. Una radio
cattolica che ha saputo, fin dall’ini-
zio, preparare dei momenti di rifles-
sione e di preghiera ben accolti anche
dai non credenti o da altre confessioni
religiose, come i protestanti. Una ra-
dio attenta alle reali condizioni cultu-
rali, sociali ed economiche della gente
che, per mezzo dei suoi programmi,
cercava di dare il suo contributo allo
sviluppo del Paese, considerato tra
i più poveri al mondo: programmi
sull’insegnamento scolastico, sull’e-
ducazione affettiva dei giovani, sulla
condizione sociale della donna, sulla
salute, sullo sviluppo agricolo, sull’e-
conomia familiare e tanti giornali
radio giornalieri che presentavano la
realtà della vita politica-sociale-eco-
nomica del Paese.
Radio Don Bosco diventò subito par-
te integrante della vita delle persone
attraverso la sua “forza di opinione
pubblica”: presentare le difficoltà quo-
tidiane della gente e non aver paura
di denunciarle. E questo le creò non
pochi problemi, soprattutto da parte
delle autorità competenti e perfino
del governo. Uno dei suoi programmi
mattinali più ascoltati e amati dalla
gente, il programma Karajia (la voce
degli ascoltatori), venne pesantemente
A livello nazionale, Radio Don Bosco è ascoltata
da più di sei milioni di persone. Particolarmente
seguiti sono i programmi giornalistici.
Nelle foto: La redazione.
sanzionato dal Ministero della Co-
municazione e resta tutt’oggi sospeso.
Ma questa decisione attirò ancora di
più le simpatie della gente verso Ra-
dio Don Bosco, e per molti mesi dopo
la sospensione del programma, quasi
giornalmente alcuni giornali pubbli-
carono articoli e caricature a sostegno
del programma sospeso. Ma fu duran-
te la crisi politica del 2008 che Radio
Don Bosco ha conosciuto momenti
di grave difficoltà. Già qualche tem-
po prima della crisi, nel 2006, c’erano
pesanti attriti tra il Presidente della
Repubblica, Marc Ravalomanana, e la
Conferenza Episcopale del Madaga-
scar, la quale denunciava la corruzione
presente nel governo della Nazione.
E siccome Radio Don Bosco veniva
considerata dagli ascoltatori come la
“voce ufficiale della Chiesa Malga-
20
Dicembre 2016

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

▲back to top
scia”; questo fatto attirò ancora di più
l’attenzione del governo sulla radio.
E quando la crisi politica si manife-
stò, Radio Don Bosco, proprio per la
sua connotazione “cattolica”, venne
accusata a più riprese dai partigia-
ni del Presidente Ravalomanana di
sostenere l’azione del colpo di stato.
Per ben tre volte dei gruppi estremisti
organizzarono dei cortei verso la sede
della radio con l’intenzione di bruciar-
la… ma senza riuscire nel loro intento:
il nome di don Bosco era più potente
della loro protesta.
don Cosimo Alvati che, coadiuvato
da don Rosario Salerno, si preoccupò
della formazione delle future “équipes”
delle singole radio diocesane. Durante
tre anni, centinaia di giovani sono stati
formati nella sede centrale della Radio
Don Bosco ad Ivato, per essere capaci
a loro volta di gestire le differenti atti-
vità nascenti nelle radio. Alla fine del
periodo di formazione, nel 2007, una
ventina di radio diocesane incomincia-
rono a loro volta a trasmettere nelle dif-
ferenti regioni del Madagascar, attin-
gendo una parte dei loro programmi,
soprattutto programmi educativi e di
informazione, dalla Radio Don Bosco
attraverso un collegamento satellitare
permanente che si era creato. E questo
ha permesso alla Radio Don Bosco di
estendere la sua voce al di fuori del-
la capitale del Madagascar portando
i suoi programmi fino nelle zone più
remote. Al giorno d’oggi, questo pro-
getto di network è considerato uno dei
più importanti della congregazione
salesiana, ma anche del Continente
Africano. Secondo i sondaggi, Radio
Don Bosco è ascoltata giornalmen-
te nella capitale da 400 000-700 000
persone. Mentre, soprattutto per certi
programmi, come i giornali radio e i
programmi educativi trasmessi a li-
vello nazionale, Radio Don Bosco è
ascoltata da più di 6 000 000 (sei milio-
ni!) di persone. E non solo: i numerosi
malgasci residenti all’estero possono
ascoltarla anche su internet. Cifre im-
pressionanti che riflettono l’amore di
questa radio da parte della gente: “Plus
je l’écoute et plus je l’aime”.
Progetto network
Uno dei principali successi della Radio
Don Bosco fu il suo coinvolgimento
nel progetto voluto dalla Conferenza
Episcopale del Madagascar, di crea-
re una rete di radio in tutte le dioce-
si del Madagascar, per assicurare la
“voce cattolica” sull’intero territorio
nazionale. Chi si fece carico di questo
progetto fu un altro giovane salesiano,
originario dell’Ispettoria Meridionale,
Dicembre 2016
21

3.2 Page 22

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3.3 Page 23

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Un albero non volterà mai
le spalle a qualcuno.
Giragli attorno, e l'albero starà
sempre di fronte a te.
Così fanno anche gli amici veri.
L'albero è ombra che protegge.
Come gli amici.
Chi pianta alberi crea radici.
Anche chi coltiva buone amicizie.
Dicono i cinesi: albero piantato
con amore, nessun vento abbatte.
Neppure una vera amicizia.
Gli alberi offrono bellezza agli occhi
e dolcezza alle orecchie.
Come gli amici.
Gli alberi sono sinonimo
di eternità.
E anche una vera amicizia
è tale per sempre.
Foto Shutterstock

3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
LUCA RIVELLI
Il futuro sboccia
al Testaccio IncontrocondonGiorgioZevini
direttore dell’opera salesiana
del Testaccio di Roma
«Oggi l’Opera Salesiana Testaccio è formata da
confratelli che lavorano in una grande Parrocchia
(12 mila anime) e nell’Oratorio con un Centro
giovanile. Inoltre comprende una Comunità di
40 giovani preti salesiani provenienti da tutto
il mondo che quest’anno festeggia i 50 anni
di presenza in questo popolare quartiere di Roma».
Don Giorgio
Zevini, direttore
dell’opera. È un
biblista conosciuto
a livello
internazionale,
insegnante
all’Università
e autore di
pubblicazioni
e studi molto
apprezzati.
Qual è la storia del “Testaccio”
e delle sue radici popolari?
Le radici popolari del rione Testaccio in Roma
affondano in un’antica leggenda secondo la quale
Enea vi arrivò con i suoi Troiani risalendo il Te-
vere. I Salesiani, invece, ci vennero a piedi dalla
Basilica del Sacro Cuore a Castro Pretorio. Nel
1901 vennero per fare opera di evangelizzazione
e quindi di autentica promozione umana alla gen-
te del posto. Li guidava don Giovanni Battista
Barberis, un salesiano fatto apposta per le opere
rischiose. Si ricorda che nell’ottobre del 1900 una
carrozza che portava due superiori salesiani e un
prelato di Curia romana a visitare il Testaccio fu
presa a sassate. Era un gesto che per don Bosco
equivaleva a un permesso di soggiorno. E i Sa-
lesiani capirono che bisognava venire a stabilirsi
proprio al Testaccio. Vi presero alloggio e apri-
rono subito l’oratorio festivo e la scuola popola-
re. In questo periodo “eroico”, quante difficoltà
ambientali incontrò l’Opera salesiana. Sassate,
aggressioni, atti vandalici, intolleranza, ostruzio-
nismo erano comunque espressioni di quella si-
tuazione sociale emarginata che, soprattutto con
riguardo all’infanzia e alla gioventù, i Salesiani
operavano per risollevare. Ma in breve tempo i
Salesiani giunsero ad un equilibrio con l’ambiente
sociale esterno, che nel frattempo si era arricchito
di nuovi insediamenti attorno all’attività salesia-
na dal carattere tipicamente popolare con scuola,
oratorio e Chiesa parrocchiale.
Come sorse la Parrocchia?
Per la Chiesa parrocchiale ci pensarono Pio X e
don Rua dedicandola a santa Maria Liberatrice,
24
Dicembre 2016

3.5 Page 25

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il cui titolo e culto risalivano al Santuario di S.
Maria Antiqua già situato al Foro Romano e poi
demolito. Alcuni storici pensano che tale Santua-
rio fosse il primo tempio dedicato in Roma alla
Madre di Dio. Ed è appunto a S. Maria Antiqua
che cominciò a riferirsi quel concetto di liberazio-
ne dal male che troviamo oggi esaltato nel titolo
della nostra Chiesa di S. Maria Liberatrice. La
nostra Chiesa fu consacrata nel 1908, anno del
giubileo sacerdotale di Pio X, e onorata dalla pre-
senza di don Rua. Ne fu parroco dal 1910 mon-
signor Luigi Olivares, creato vescovo nel 1916 da
Benedetto XV, di cui è in corso la causa di beati-
ficazione. Nel 1912 vennero al Testaccio le Figlie
di Maria Ausiliatrice completando in tal modo
la presenza della Famiglia Salesiana con oratorio,
scuole e associazioni per la gioventù femminile.
Tradizione di lavoro e di apostolato assai signifi-
cativa che dura ancora oggi affiancandosi a quella
dei Salesiani.
Da chi è formata adesso la
comunità? Perché è diventata casa
ideale per i sacerdoti salesiani?
Oggi l’Opera Salesiana Testaccio è formata da
confratelli che lavorano in una grande Parrocchia
(12 mila anime) e nell’Oratorio con un Centro
giovanile. Inoltre comprende una Comunità di
40 giovani preti salesiani provenienti da tutto
il mondo che quest’anno festeggia i 50 anni di
presenza al Testaccio. L’Opera si trova nel cen-
tro storico di Roma e questo permette ai giovani
confratelli di frequentare le Università Pontificie
Romane per qualificarsi nelle scienze ecclesia-
stiche, come: Bibbia, teologia, liturgia, morale,
diritto, storia, missiologia, sociologia, vocazione
cristiana e famiglia. Questi poi ritornano, termi-
nati gli studi, come docenti dei Centri universi-
tari salesiani sparsi nei vari continenti e a servizio
della formazione e dell’educazione dei giovani.
La nostra comunità è internazionale ed ha preti:
africani del Congo, Kenya, Tanzania, Cameroun,
Uganda, Etiopia, Eritrea,
Togo; asiatici dell’India,
Corea, Sri Lanka, Viet-
nam; latino-americani del
Brasile, Messico, Haiti,
Uruguay… usa ed euro-
pei da Spagna, Slovacchia,
Slovenia... La Comunità ha
come patrono san Giuseppe
Cafasso, la guida spiritua-
le che don Bosco ebbe nei
primi anni di sacerdozio e
che lo accompagnò negli
studi di morale e soprattutto nell’orientarlo nel
suo apostolato a servizio dei giovani.
Come vivono insieme tanti giovani
preti salesiani di tutto il mondo?
Naturalmente ci unisce la stessa vocazione e mis-
sione salesiana. La varietà e la ricchezza umana
dei giovani salesiani di tutti i continenti è un pa-
trimonio che arricchisce la comunità e la rende
aperta al dialogo con le varie culture e allo scam-
La bella chiesa
di Santa Maria
Liberatrice. Fu
fortemente voluta
da san Pio X e dal
beato don Rua.
Dicembre 2016
25

3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
formazione e sensibilità vivere insieme, fraterniz-
zare e pregare da veri fratelli. Abbiamo il mondo
intero in casa. Certo si cerca di dare una risposta
concreta, personale e comunitaria alle sfide che
toccano la nostra vita di Salesiani oggi, secondo
lo spirito che ci ha lasciato don Bosco, aperti alle
nuove esigenze della società, della Chiesa e dei
giovani.
bio di esperienze pastorali e salesiane. La dimen-
sione più qualificante e arricchente della nostra
vita comunitaria è costituita dall’ambiente di fa-
miglia e di gioiosa fraternità tra noi. Si dà gran-
de importanza all’“autoformazione”, che mette a
fuoco la responsabilità personale e la libertà evan-
gelica ispirata alla Parola di Dio. È stimolante ve-
dere giovani salesiani di varie culture e di diversa
Qual è la tua più bella
soddisfazione?
Certo come formatore mi piace vedere questi Sa-
lesiani gioiosi e con un cuore come quello di don
Bosco; appassionati dei giovani e aperti alle sfide
del mondo d’oggi, ma pienamente ricchi di valo-
ri umani e fedeli alla Chiesa dei poveri, come ci
richiama papa Francesco. E poi, lasciamelo dire,
essendo io un biblista che per oltre 40 anni ha vis-
suto come docente all’Università Pontificia Sale-
siana a contatto con tanti giovani in formazione,
mi piacerebbe sempre più che questi giovani preti
fossero amanti ed esperti della Parola di Dio da
comunicare ai giovani, specie con la testimonian-
za della loro vita.
La comunità
è formata in
maggioranza da
giovani salesiani
di varie culture e
nazioni: «Abbiamo
il mondo intero in
casa».
In alto: Lo
splendido mosaico
della facciata.
26
Dicembre 2016

3.7 Page 27

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Dopo
75 anni
di liete
armonie
IL MAGNIFICO ORGANO
DELLA BASILICA
DI MARIA AUSILIATRICE
HA NECESSITÀ DI
UN URGENTE
E COSTOSO RESTAURO
AbAidbsIUeboliTgatOnmuooo
È uno stupendo organo con più di 5000 canne che ha accompa-
gnato con la sua voce potente e calda i più grandi avvenimenti
della Congregazione Salesiana.
Posto sulla cantoria accanto all’altar maggiore, fu costruito da
Giovanni Tamburini nel 1941 su progetto di Ulisse Matthey ed è
uno dei più grandi e preziosi d’Italia.
PUOI INVIARE IL TUO CONTRIBUTO:
POSTE ITALIANE
CCP 36885028 (allegato alla rivista)
IBAN IT93 X0760 1032 0000 0036885 028
BIC BPP IIT RR XXX
BANCA PROSSIMA S.P.A.
IBAN IT24 C033 5901 6001 0000 0122 971
BIC BCI TIT MX
INTESTATI A:
Fondazione DON BOSCO NEL MONDO
Via Della Pisana 1111 - 00163 Roma
CAUSALE:
Restauro Organo Maria Ausiliatrice
In caso di bonico si raccomanda di indicare nella causale anche
i dati completi (nome, cognome e indirizzo) del donatore.

3.8 Page 28

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STORIE SALESIANE
ADRIANO M. BUCALO
Miracolo a Firenze
Sono passati oltre 50 anni, ma
ricordo tutto con una preci-
sione sbalorditiva: potrei fare
il ritratto dei miei compagni
di viaggio, non perché li in-
contrassi spesso quando mi
recavo all’università, ma perché la mia
memoria si è come fermata a quel 20
maggio 1944.
Avevamo passato da poco la stazio-
ne di “Campo di Marte”, penultima
stazione prima di Firenze S.M.N.
della Roma-Firenze, ad appena 8 km
da questa, ed avevo notato i segni del
bombardamento.
Intorno a me giovani studenti delle
superiori facevano la solita baldoria,
ma quella volta non mi fecero ridere
per le loro birichinate innocenti: ero
preoccupato: temevo che anche “Por-
ta a Prato”, all’estremità Nord di Fi-
renze, fosse stata colpita dalle bombe
e mi riservavo di vedere di persona
i disastrosi effetti di una guerra che
volgeva al termine e si faceva più
aspra e più sanguinosa.
Senza rispetto umano
Chi ti ispirò, caro fratino, di affac-
ciarti al mio scompartimento, non
lo so e non voglio gridare al mira-
colo. Era solo solo, giovane giovane
ed offriva un’immagine in cambio
di un’elemosina per il suo convento.
Rimase male quando dal gruppo dei
Ferma a due metri dinanzi
a me, nell’uniforme
militare del Reich, c’era
una figura femminile.
Vide il mio spavento, vide
l’immaginetta cadere, notò
forse la preghiera che
stavo formulando.
giovani studenti uscì la frase volgare e
ingiuriosa: «È un frate pistun!» e ciò
per distinguerlo da quelli che dicono
Messa. Era cioè un fratello laico. Ri-
mase male e avrebbe certamente fat-
to dietro front se non l’avessi invitato
ad entrare: «Venga padrino e mi dia
un’immagine!».
Il frate entrò e i giovani tacquero. Era
un’immagine di Maria Ausiliatrice
che io, senza ostentazione ma anche
senza vergogna, baciai devotamente,
e feci la mia offerta. Tutti i presenti
mi imitarono.
Il frate mi ringraziò con un sorriso: per
lui ero un amico e tale sono rimasto,
gloriandomi dell’educazione appresa
dai salesiani di via Fra Angelico.
Era finita
Eravamo già arrivati in stazione e i
giovani, come un nugolo di rondini,
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Dicembre 2016

3.9 Page 29

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si sparpagliarono cinguettando alle-
gramente prendendo l’uscita.
Fu una cosa improvvisa e imprevi-
sta: tedeschi col soggolo e col mi-
tra spianato ci spinsero tutti fuori
stazione e ci misero al muro. Gri-
davano come ossessi, avevano una
faccia feroce e ci davano colpi allo
stomaco con la canna del mitra gri-
dando: “Caput!”. Il motivo? Chi lo
sa!? Neppure ora dopo tanti anni
son venuto a conoscerlo. Ho sempre
pensato che ci fosse stato qualche
atto di sabotaggio.
Non mi resi subito conto del perico-
lo, ma quando vidi a poca distanza
da noi piazzare le mitragliatrici, ca-
pii che era finita: chi piangeva, chi
Disegno di Stefano Pachì
Dicembre 2016
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3.10 Page 30

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STORIE SALESIANE
implorava, chi si diceva innocente,
chi imprecava, chi, cosa strana in
simili frangenti, trovava il fiato per
scherzare, come un giovane alla mia
destra che diceva: “Oh, questa è bel-
la! Finirà bene?... ci credo poco!”.
Ricordo che avevo ancora in mano
l’immagine di Maria Ausiliatrice e
che dalla paura (il viso non me lo ve-
devo ma doveva essere quello di un
cadavere) lasciai cadere la valigia e
l’immagine sacra. In quei brevi at-
timi, che sono frazioni di secondo,
pensai a tante cose e alla mia pros-
sima fine.
«Salvami! Salvami!»
L’immagine mi era caduta ai piedi. La
guardai e dal cuore mi salì alle labbra
l’invocazione: «Maria Santissima Au-
siliatrice, salvami, salvami!». Ferma a
due metri dinanzi a me, nell’unifor-
me militare del Reich, c’era una figu-
ra femminile. Vide il mio spavento,
vide l’immagine cadere, notò forse
la preghiera che stavo formulando. Si
avvicinò fissandomi e nel più schietto
italiano mi chiese: «È caduta a te que-
sta immagine?».
Non ricordo il timbro della mia voce,
ma deve essere stata un filo se tu,
bionda Rosefrieda, ridendo soggiun-
gesti: «Non aver paura, non ti faran-
no niente: raccogli l’immagine e vie-
ni». Così dicendo mi condusse fuori
dalla fila. Ingaggiò un serrato dialo-
go con gli altri due ufficiali: non li
capivo, ma litigavano di certo: erano
parole taglienti e rapide, poche, ma
sortirono l’effetto, perché i due su-
balterni la salutarono di scatto, ed io,
tenuto per mano come un bambino,
mi allontanai con le gambe che mi
tremavano.
«Credi in Dio?»
«Dove vai?» mi chiese.
«Dai miei zii in via S. Reparata».
Mi fece salire su di una vetturetta
che guidava abilmente. La osservai
meglio: aveva i gradi di maggiore
dell’esercito tedesco. Capii subito che
faceva parte del controspionaggio
germanico.
Dopo alcuni istanti udii il crepitio
delle armi automatiche. Anche Fi-
renze pagava il suo tributo di sangue.
«L’hai scampata bella davvero!» mi
disse.
E io: «Ringrazio la Madonna e lei».
Non rispose subito. Si fermò a pen-
sare.
Dopo un po’, mi chiese: «Credi in
Dio?».
«Io sì, e lei?».
«No. Io credo in Hitler, nella razza
tedesca, nella vittoria del Reich: in
questo credo e mi basta».
Azzardai: «Ma perché mi ha salvato
la vita?».
«Così. Mi hai fatto pietà! e poi ho
sentito un forte impulso, un qualcuno
che mi diceva insistentemente: “Sal-
valo, salvalo, è innocente!”»
Tacque di nuovo. Dopo un po’ volle
sapere chi ero, che cosa facevo, dove
avevo studiato. Fu a questo punto che
mi disse che era austriaca e che anche
suo fratello aveva studiato dai salesia-
ni a Vienna.
Eravamo arrivati. La invitai a salire
ma non accettò: aveva fretta. Ma pro-
mise che sarebbe tornata a trovarmi
a casa mia, al mio paese. La ringra-
ziai con effusione e si commosse. Nel
partire mi salutò con la mano e mi
sorrise.
Una chiamata notturna
Tornò quando meno me l’aspettavo.
Quando non speravo più di riveder-
la. Tornò quando per lei e per i suoi
commilitoni era finita davvero, e do-
veva far presto.
Venne di notte a bussare alla mia por-
ta ed io temetti che fosse la visita dei
partigiani. Ci facemmo tanta festa.
Era triste e non voleva apparire ed io
sentivo un’immensa pena per lei. La
supplicai di rimanere. Le dissi che
l’avrei nascosta, che l’avrei salvata. Le
dissi di non tornare a casa sua in quel
momento e la esortai ad attendere qui
gli eventi: fu irremovibile.
Ma quando entrò nel mio studiolo e
vide appesa al muro l’immagine di
Maria Ausiliatrice che mi aveva salva-
to, le uscì dal cuore un “Oh!” grande
e gioioso. Rimase alcuni istanti muta.
Quando se ne andò, ed avevamo en-
trambi la certezza di non rivederci
più, non pensava più alla vittoria del
Reich: aveva subito anche lei un crollo
pauroso delle sue convinzioni e, dan-
domi la destra, mi disse: «Tu credi in
qualcosa. Ti invidio. Prega per me la
Madonna, chi sa!?».
Non l’ho più rivista e sento un desi-
derio sconfinato di saperla viva. Non
può essere morta. Quando ancor oggi
il mio sguardo si posa sul quadro di
Maria Ausiliatrice, penso che la Ver-
gine, almeno per quel suo atto di bon-
tà, non solo le avrà conservato la vita
ma le avrà dato quel che le mancava:
la fede.
30
Dicembre 2016

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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La Fondazione DON BOSCO NEL MONDO si prepara alla
XXIV Edizione del Concerto di Natale, nato ventiquattro
anni fa in Aula Nervi in Vaticano e diventato un
appuntamento immancabile per chi ama il fascino dei
motivi musicali tradizionali di ogni parte del mondo
insieme agli evergreen più amati del repertorio
internazionale.
Le star della musica s’incontrano proponendo un mix di
brani di ogni genere musicale, dal pop al rap, dal Gospel
al jazz, dalla lirica al rock, dal soul alla carola natalizia,
brani accomunati dallo spirito della festa che, al di là dei
significati religiosi, è festa di pace, di armonia, di buoni
sentimenti e di accoglienza. Le esibizioni, rigorosamente
live, sono accompagnate da una grande orchestra diretta
dal Maestro Renato Serio.
Questa edizione del Concerto di Natale, prodotto dalla
Prime Time Promotions, sostiene il progetto solidale
“Betlemme: Casa del Pane Casa di Pace” attraverso una
raccolta fondi. Obiettivo del progetto è salvaguardare e
garantire l’accesso al cibo e ai percorsi educativi offerti
dal Forno e dalla Scuola Tecnica Salesiana alle famiglie e
ai giovani di Betlemme in maggiore difficoltà.
I beneficiari diretti sono circa 150 famiglie (450 persone),
residenti nell’area del Distretto di Betlemme, bisognose
di aiuto alimentare quotidiano; circa 100 bambini orfani o
con disabilità ospitati presso le strutture della “Crèche”
(asilo-nido) delle Suore della Carità di Betlemme e presso
la struttura ‘Effetà Paolo VI” di Betlemme e circa 30
ragazzi e giovani che riceveranno borse di studio per
i corsi della Scuola Tecnica Salesiana.
Il BOLLETTINO SALESIANO si stampa nel mondo in 57 edizioni, 29 lingue diverse e raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo numero:
Agenzia Ans, Hélène Bossière-Mabille,
Adriano M. Bucalo, Pierluigi Cameroni,
Roberto Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, Cesare Lo
Monaco, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, C.M. Paul, Pino
Pellegrino, O. Pori Mecoi, Luca Rivelli,
Luca Treglia, Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
In copertina: foto Shutterstock. In seconda coperti-
na (p. 3): kafeinkolik/shutterstock.com
Diffusione e Amministrazione: Tullio
Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Banca Prossima
IBAN: IT 24 C033 5901 6001 0000 0122 971
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Progetto grafico: Andrea Morando
Impaginazione: Puntografica s.r.l. - Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino n. 403
del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana
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4.2 Page 32

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Regalare
Il Vides, Volontariato
Internazionale Donna
Educazione Sviluppo,
è un’associazione di
per scoprire volontariatogiovanile,
voluta dalle Figlie di Maria
Ausiliatrice, nata
il 30 novembre del 1987,
per la promozione
della donna, dei giovani
e dei bambini in condizioni
di svantaggio e povertà.
L’opportunità
di imparare molto
“… e suor Leonor con tutta la sua dol-
cezza mi ha accolto a braccia aperte,
prima a Bologna poi nella Casa ge-
neralizia di Roma, mi ha ascoltato,
mi ha consigliato, mi ha dedicato il
suo tempo prezioso, mi ha guidato nel
mio cammino per diventare educatri-
ce di pace”. Così scrive Federica, una
giovane che l’estate scorsa, ascoltando
i racconti di alcuni amici che hanno
vissuto un’esperienza missionaria, ha
maturato il desiderio di iniziare il
corso di volontariato internazionale.
Suor Leonor Salazar, responsabile
del Vides, lascia ancora a lei la parola:
“Il Vides, Volontariato Internazio-
nale Donna Educazione Sviluppo, è
un’associazione di volontariato gio-
vanile, voluta dalle Figlie di Maria
Ausiliatrice, nata il 30 novembre del
1987, per la promozione della donna,
dei giovani e dei bambini in condi-
zioni di svantaggio e povertà. Ogni
anno organizza per i nuovi volontari
un percorso formativo specifico, con
lo scopo di fornire gli strumenti e le
conoscenze necessarie per realizzare
positivamente l’esperienza di missio-
ne internazionale. Questo percorso
prevede tre incontri nell’arco di circa
6 mesi, intervallati dalla formazione
a distanza (fad) che consiste nell’in-
vio, via e-mail, di 17 schede mono-
tematiche. Le schede sono mirate a
preparare il volontario all’esperienza
di missione all’estero, puntando sul-
la conoscenza di sé, del volontaria-
to Vides, delle tematiche legate allo
sviluppo sostenibile, diritti umani,
educazione, dello stile salesiano, del
contesto socio-politico-culturale della
realtà in cui si opera. La parte più dif-
ficile è stata forse quella sulla cono-
scenza di sé, perché quelle domande
mi hanno obbligato a leggermi den-
tro, cosa che non faccio molto spesso.
Ma non smetterò mai di ringraziare
il Vides, perché mi ha dato l’oppor-
tunità di imparare molto. Mi sono
posta molte domande, sono entrata
in contatto con realtà e argomenti che
ignoravo totalmente, ed è stato bello
32
Dicembre 2016

4.3 Page 33

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soffermarsi a ragionare, a riflettere
e a rispondere. Purtroppo i miei im-
pegni lavorativi non mi permettono
quest’anno di partire in missione. In
attesa di partire, ho deciso di sostene-
re un bambino a distanza. Sento più
che mai il bisogno di donare, di aiuta-
re, di fare di più, anche qui da casa. E
grazie a loro tutto questo è possibile!”
Protagonisti
di solidarietà
L’associazione permette d’arrivare ai
cuori dei giovani e di condividere con
loro il carisma educativo, è una stra-
tegia che rende i giovani protagonisti
di solidarietà e di generosità, cittadini
responsabili che si ispirano ai valori
evangelici ed agiscono nella società in
forma critica e propositiva. Affermano
alcuni giovani volontari: “noi cerchere-
mo di fondare il nostro lavoro di edu-
catori sulla fiducia nelle risorse di ogni
persona e sulla ricerca del punto acces-
sibile del bene di ogni bambino, per-
ché il volontario educatore cerca scin-
tille di positivo negli altri!”. Abbiamo
chiesto a Chiara, una giovane univer-
sitaria, di raccontarci la sua esperien-
za: “La decisione di partire l’ho presa
quasi d’istinto: avevo concluso da poco
il corso di formazione e mi era stato
consigliato come meta il Messico. Così
una settimana dopo avevo il biglietto
e all’inizio di settembre sono arrivata
alla casa Maria de Nazareth di Tuxt-
la. Qui vivono 25 ragazze dai 12 ai 17
anni, ognuna delle ragazze ha una sto-
ria di violenza, di abusi o addirittura
di prostituzione alle spalle, ma la cosa
che mi ha fatto tanto riflettere è la loro
voglia di riscatto: il percorso psicolo-
gico è molto duro, rivivere traumi così
profondi è per tutte molto doloroso,
ma il loro desiderio di diventare don-
ne forti e indipendenti, con un lavoro,
una casa, una famiglia, è così deciso
da farle andare avanti con coraggio e
determinazione. Non nego che per me
ci siano stati giorni difficili, sono pur
sempre ragazze adolescenti, con i loro
capricci e le loro convinzioni, ma alla
fine del mio viaggio quello che por-
to nel cuore sono i loro sorrisi, le loro
risate, i canti con loro, le volte in cui
ci mettevamo in giardino a ballare, i
consigli con i ragazzi, l’affetto che mi
hanno regalato anche se sono stata con
loro solo per due mesi. Alla fine del
mio viaggio ho capito che non è sem-
pre necessario sporcarsi le mani per
fare qualcosa, certe volte basta un sor-
riso, una carezza, regalare un po’ del
mio tempo, per scoprire quanto gli al-
tri, nella loro povertà materiale, hanno
da regalare a me”.
L’associazione Vides permette d’arrivare ai cuori
dei giovani e di condividere con loro il carisma
educativo.
Dicembre 2016
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4.4 Page 34

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4.5 Page 35

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LA POESIA DEL NATALE 2016 GLI AUGURI PER IL NATALE 2016
Se comandasse
Se comandasse il pastore
del presepe di cartone,
sai che legge farebbe
firmandola con il suo lungo bastone?
Voglio che non pianga
nel mondo un solo bambino,
che abbia lo stesso sorriso
il bianco, il moro, il giallino”.
Sapete che cosa vi dico io
Che non comando niente?
Tutte queste cose belle
accadranno facilmente.
Se ci diamo la mano,
i miracoli si faranno
e il giorno di Natale
durerà tutto l’anno.
(Gianni Rodari)
Natale ci liberi dallo spirito di
fuga, dallo spirito rinunciatario
che, a forza di insistere su que-
sta ‘valle di lacrime’, ci fa dimen-
ticare il compito di trasformare
la terra in un soggiorno di felici-
tà e di gaudio!
Natale abbatta la cultura dello
scarto e faccia trionfare la cultu-
ra dell’inclusione. Natale è festa
universale.
Natale aggiusti i cuori, molti-
plichi i sorrisi, rottami tutte le
parole che avvelenano i cuori e
rigano le anime!
Rispondi al suo Natale con il tuo
natale! È per nascere che siamo
nati! Per maturare, giorno dopo
giorno, fino all’ultima sera.
LA STORIA DEL NATALE 2016
La pecora nera alla grotta di Gesù Bambino
C’era una volta una pecora diversa da
tutte le altre.
Le pecore, si sa, sono bianche; lei, in-
vece era nera. Nera come il carbone.
Quando passava per i campi, tutti la
indicavano con il dito e sorridevano
di compassione: “Guarda la pecora
nera! Che animale originale! Farebbe
bene a non uscire mai dalla stalla!”.
Anche le compagne pecore le grida-
vano dietro: “Pecora sbagliata, non
sai che le pecore devono essere tutte
uguali, tutte avvolte di lana bianca!”.
La pecora nera non ne poteva proprio
più! Quelle parole erano come pietre.
E così decise di uscire dal gregge
e andarsene sui monti. Almeno là
avrebbe potuto brucare l’erba in pace
e dormire all’ombra dei pini.
Ma nemmeno in montagna trovò pace.
“Che vita è mai questa? Sempre sola,
tutta sola!” si diceva quando il sole
tramontava e la luna arrivava. Una
sera, con gli occhi pieni di lacrime,
vide lontano una grotta.
Decise: “Dormirò là dentro”.
Si mise a correre come se qualcuno
l’attirasse.
“Chi sei?” domandò una voce mentre
stava entrando.
«Sono una pecora nera che nessuno
vuole: una pecora nera! Mi hanno
buttata fuori dal gregge…!»
«La stessa cosa è capitata anche a noi!
Anche per noi non c’era posto nell’al-
bergo. Abbiamo dovuto riparare qui,
io Giuseppe e mia moglie Maria.
Proprio qui ci è nato un meraviglioso
bambino. Eccolo!»
La pecora nera aveva la gioia che le
usciva dalla lana. Prima di tutte le al-
tre poteva vedere Gesù!
«Avrà freddo, lasciate che mi metta
vicino per riscaldarlo!»
Maria e Giuseppe le dissero sì con un
sorriso. La pecora si avvicinò stretta
stretta al Bambino e lo accarezzò con
la sua lana calda.
Gesù si svegliò. Aprì gli occhi e le bi-
sbigliò: «Proprio per questo sono ve-
nuto: per le pecore smarrite!».
La pecora si mise a belare di felicità.
Dal cielo gli angeli risposero intonan-
do il Gloria.
Immagine Shutterstock
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
na scalata faticosa lungo un sentiero
ghiacciato. Non c’è forse metafora più ef-
ficace per descrivere il percorso verso l’a-
dultità, con le sue impervie salite e i suoi
Come i fiori improvvisi dirupi, la neve compatta che
Uappesantisce il cammino e il fondo sci-
voloso che rischia ad ogni passo di mandare fuori
strada. Per quanto si cerchi di equipaggiarsi al
di marzo meglio e di pianificare accuratamente l’itinerario,
(esistenze resistenti) la quotidianità dei giovani adulti è – oggi più che
mai – irta di ostacoli, slavine, cadute rovinose,
inevitabili momenti di stanchezza e di delusione,
che mettono a dura prova la capacità di resistenza
È indispensabile imparare a conciliare la
fermezza con la flessibilità, il coraggio della
anche del viaggiatore più attrezzato.
Di fronte a tutte queste difficoltà, c’è chi sceglie
la via della resa, della rinuncia incondizionata
perseveranza con la disponibilità a riprogettare
“in corso d’opera” il proprio itinerario
ad ogni sforzo di progettualità esistenziale, e si
lascia semplicemente trasportare dal corso degli
eventi, in balia della contingenza e dei capricci
esistenziale, la capacità di resistenza con una del caso: spettatore passivo più che protagoni-
giusta dose di duttilità e apertura al nuovo. sta consapevole della propria vita. Ci sono altri,
invece (e per fortuna non sono pochi), che per-
severano nella salita, che si armano di tenacia e
Ad un'ora da qua
pazienza per fronteggiare anche gli ostacoli più
c'è una vecchia città
insormontabili, che vanno avanti con caparbietà,
dove il sole non sorge mai
e il silenzio che c'è
fa tremare, anche se
nel silenzio ci vivi già.
Ci son stata, lo sai,
dentro quella città
e qualcosa ho lasciato là,
ma lo sai cosa c'è?
Che la parte più forte
l'ho portata via con me...
Mi ricordo, lo sai,
quella vecchia città
dove il tempo non passa mai
e i riflessi che vedi
dentro gli angoli bui
sanno farti compagnia...
36
Dicembre 2016

4.7 Page 37

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Siamo fiori d'acciaio,
il freddo della notte non ci spezzerà.
Siamo fiori d'acciaio,
siamo grandi ormai
e come i fiori di marzo
la luce della luna ci illuminerà.
Siamo fiori d'acciaio,
siamo grandi ormai.
E non vorrai mai guardarti indietro,
e non dovrai mai guardare indietro mai,
indietro mai, non lo farai...
Siamo fiori d'acciaio,
il freddo della notte non ci spezzerà.
Siamo fiori d'acciaio,
siamo grandi ormai
e come i fiori di marzo
resisteremo al freddo dei ghiacciai,
come i fiori di marzo...
(Noemi, Acciaio, 2014)
passo dopo passo, nonostante il fiato corto e le
gambe stanche. Esistenze resistenti, che non si
lasciano scoraggiare dalla fatica dell’arrampicata,
né dal buio della notte che confonde i loro passi.
Anche in questa resistenza “a oltranza” è, però,
insito un rischio non meno pericoloso della ras-
segnazione. Per uscire indenni dalle tempeste
della vita molti giovani finiscono con il rivestirsi
di una corazza di cinismo, di disincanto, di riso-
lutezza talmente coriacea da far loro smarrire il
lato più “sensibile” della loro umanità. Lo spirito
di sopravvivenza li rende indifferenti a qualsiasi
delusione; la volontà di apparire “forti” a tutti
i costi li porta a rinnegare la propria intrinseca
fragilità; la paura di essere travolti dai cambia-
menti li spinge ad irrigidirsi su posizioni stati-
che e conservatrici che mal si sposano con il loro
naturale dinamismo.
È allora indispensabile imparare a conciliare la
fermezza con la flessibilità, il coraggio della per-
severanza con la disponibilità a riprogettare “in
corso d’opera” il proprio itinerario esistenziale, la
capacità di resistenza con una giusta dose di dut-
tilità e apertura al nuovo. Essere resistenti non
vuol dire circondarsi di un muro di gomma su
cui far rimbalzare tutto ciò di negativo che at-
traversa la propria vita. Non vuol dire arroccarsi
su posizioni di principio per non ammettere un
fallimento o per non rimettere in discussione i
propri progetti. Significa, piuttosto, vincere la
tentazione di “tagliare la corda” e “buttare tutto
all’aria” di fronte alle difficoltà; mettere nel conto
i momenti bui che inevitabilmente costelleranno
il proprio cammino, senza consentire loro di scal-
fire le motivazioni più vere alla base delle proprie
scelte; opporre un rifiuto deciso alla possibilità
di lasciarsi trascinare dalla corrente e dotarsi, al
contrario, degli strumenti esistenziali per gestire
consapevolmente la transizione, in modo da esse-
re sempre responsabili della direzione di marcia
che si sta seguendo. Soprattutto, significa restare
fedeli a se stessi e ai propri ideali, accettando che
anche gli ostacoli e le delusioni contribuiscano a
temprare la propria identità.
Come i fiori di marzo, che resistono impavidi al
freddo dei ghiacciai, senza perdere mai la propria
delicatezza e la freschezza genuina del loro pro-
fumo.
Dicembre 2016
37

4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Salesiani e
prima guerra
mondiale
Un modo alternativo ma indispensabile
di servire la patria in armi
V ista la grande presenza dei
salesiani italiani in unifor-
me, ci si può chiedere qua-
le sia stata la loro posizione
nell’ampio ventaglio dei giu-
dizi politici in ambito catto-
lico: da quelle patriottiche, nazionali-
stiche, a quelle lealiste nei confronti
del governo, a quelle di accettazione
della guerra come castigo di Dio, fino
a quelle rare, di neutralismo.
Punto di partenza per loro fu il prin-
cipio di saggezza che don Bosco aveva
lasciato: quello di “non fare politica”
(attiva, partitica). Nel 1914-1918 tale
principio si declinò immediatamente
con il ripetuto invito rivolto loro dai
superiori di evitare, nelle conversa-
zioni delle comunità spesso interna-
zionali “qualsiasi apprezzamento che
in qualunque modo possa contristare
qualcuno dei nostri confratelli e tur-
bare quell’intima unione che deve
starci sommamente a cuore”. Ma tut-
to ciò, tenuto presente il clima di so-
spetto che circondava chi si mostrava
tiepido verso l’intervento, evidente-
mente non poteva bastare al di là delle
mura salesiane.
Allora i salesiani, evitando di farsi
troppe domande sulla “guerra giusta”
o meno e sulla legittimità di un pa-
triottismo che sfociasse in un nazio-
nalismo bellico, assunsero una loro
particolare posizione: politicamen-
te più defilata, ma socialmente non
meno impegnativa.
Anzitutto nel clima generale di con-
senso patriottico alla guerra, nella sua
prima lettera circolare ai salesiani in
armi, nel marzo 1916, il rettor Mag-
giore don Albera, dopo aver elogiato
quanti di loro fin allora avevano dato
“alla patria terrena” le migliori energie
intellettuali e morali con le loro “sante e
pacifiche battaglie dell’insegnamento
delle scienze e delle arti”, si compli-
mentò con quelli che nella difficile ora
presente rispondevano “con la consue-
ta ilarità e disposizione ad ogni sacri-
ficio” alla stessa patria che domandava
loro anche le energie fisiche.
Era una presa d’atto di una situazione,
ma non ancora una presa di posizio-
ne politica sulla guerra in corso, come
invece fu quella pochi mesi dopo di
don Francesco Cerruti, Consigliere
per gli studi e membro influente e
intellettualmente ben preparato del
Consiglio Superiore Salesiano. In una
circolare ad ispettori e direttori scris-
se testualmente:
“Noi non ci rifiutiamo, né ci rifiute-
remo mai ad alcun possibile sacrifizio
per la nostra diletta Italia; no mai.
Cattolici ed Italiani, i figli di don
Bosco uniscono insieme l’amore alla
religione cattolica e l’amore alla pa-
tria, il culto della fede e lo slancio del
38
Dicembre 2016

4.9 Page 39

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patriottismo, il quale però nel concet-
to cristiano non precede, ma segue il
Cristianesimo, di cui è naturale svol-
gimento, giacché la carità cristiana
è per sua natura ordinata; cristiani e
patrioti, non già patrioti e cristiani.
Ma alla patria si serve in tanti modi;
noi la serviamo in modo particolare
con l’educazione della gioventù, spe-
cialmente di quella che nell’ora pre-
sente richiede le maggiori cure ed i
maggiori aiuti; ciò che costituisce lo
scopo nostro particolare. Chiusi i no-
stri istituti, dove andrebbero a finire
le migliaia di figli del popolo che fre-
quentano i nostri oratori o ricreatori
festivi e quotidiani e le nostre scuole
serali e festive? Dove gli orfani e se-
miorfani pe’ terremoti, calabro-siculo
ed abruzzese e per tante altre ignorate
miserie che i salesiani di don Bosco
tuttora accolgono e mantengono nelle
loro case? Dove i figli di tante povere
famiglie che hanno il padre, o chi loro
fa da padre sotto le armi; reclamanti
anch’essi, non meno de’ primi, carità
materiale, morale, educativa? […] La-
vorando dunque perché i nostri istitu-
ti educativo-scolastici continuino ad
essere aperti […] rendia-
mo ancora un segnalato
servizio al Governo, alla
patria”.
In tal modo, difendendo
il proprio carisma edu-
cativo, i salesiani non si
Tre immagini dello stesso
importante personaggio: il
grande missionario salesiano
monsignor Luigi Mathias.
In alto: Un altro futuro vescovo
missionario: monsignor Stefano
Ferrando.
estraniavano affatto dalle
vicende del proprio Paese,
come del resto aveva fatto
don Bosco ai suoi tempi,
ma davano un loro speci-
fico ed insostituibile ap-
porto al bene comune.
In molti comunque, come abbiamo
visto, dovettero vestire l’uniforme,
perché se essi non contrapponevano il
loro essere nello stesso tempo religiosi
e cittadini, cristiani e patrioti, pur pri-
vilegiando il primo, era stata la stes-
sa Chiesa dell’epoca a sposare fra il
1914-1915 le posizioni patriottiche, a
chiedere lealtà dei cattolici alle auto-
rità di governo, favorevoli che fossero
alle sue scelte o semplicemente accet-
tando il fatto compiuto.
I mesi precedenti
l’entrata in guerra
dell’Italia
Nel 1916 era previsto il XII Capitolo
Generale dei salesiani, cui dovevano
partecipare ispettori e delegati di tut-
to il mondo. Don Albera chiese ed ot-
tenne dalla Santa Sede di anticiparlo,
onde farlo coincidere con
la celebrazione di due im-
portanti centenari: quello
dell’istituzione della fe-
sta di Maria Ausiliatrice
e quello della nascita di
don Bosco, che cadevano
entrambi nel 1915. Solo che lo scop-
pio della guerra il 28 luglio 1914 fece
saltare i piani (anche se l’Italia rimase
neutrale fino al maggio seguente).
Le conseguenze furono immediate:
Capitolo Generale sospeso e alcune
decine di salesiani mobilitati in vari
paesi. In novembre il Consigliere
generale don Piscetta, incaricato dei
confratelli sotto le armi, invitò i di-
rettori delle case salesiane in zona di
guerra ad accoglierli fraternamen-
te nei momenti di libera uscita, nei
periodi di licenza, ad accettarli alla
mensa comune, a vigilare paterna-
mente su di loro. Intanto pensava a
redigere un Regolamento specifico per
loro.
Nelle singole case poi si assistette
con dolore al calo degli allievi, alla
diminuzione degli educatori per la
chiamata alle armi e all’urgenza di
accogliere i terremotati
dell’Abruzzo e del Ca-
sertano (13 gennaio). In-
tanto pure i Cooperatori
venivano messi nell’im-
possibilità di aiutare eco-
nomicamente le opere
salesiane, specialmente
missionarie.
Ma venne il 24 maggio
1915, allorché l’Italia en-
trò in guerra.
[continua]
Dicembre 2016
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati,
venerabili e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di ottobre preghiamo per la beatificazione del venerabile Andrea Beltrami,
di cui ricorre il 50° di Venerabilità (15 dicembre 1966) e del venerabile monsignor
Vincenzo Cimatti di cui ricorre il 25° di Venerabilità (21 dicembre 1991).
PREGHIERA AL VENERABILE BELTRAMI
Dio, nostro Padre,
che hai fatto risplendere un raggio di infinito amore
nel tuo sacerdote Andrea Beltrami, salesiano,
noi ti ringraziamo.
Sostenuto da grande fervore eucaristico,
egli ti ha offerto generosamente
la sua giovane vita nel lavoro apostolico
e nella sofferenza dei suoi ultimi anni,
vissuta con Cristo sulla croce.
Tu gli hai donato di sperimentare gioia
nell’abbandono filiale alla tua volontà.
Concedi a noi di seguire il tuo Figlio Gesù,
nei giorni della gioia e in quelli della prova,
con lo stesso amore che ha caratterizzato
la breve e intensa vita di questo tuo fedele ministro.
Ti supplichiamo di voler glorificare questo tuo servo
e di concederci, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA AL VENERABILE CIMATTI
O Gesù, mite ed umile di cuore,
che mediante il tuo fedele servo,
il venerabile Vincenzo Cimatti,
hai voluto manifestarci la bontà del Padre celeste,
concedici a sua imitazione una santa allegria,
fedeltà nell’esecuzione del nostro dovere
e un’attiva unione fra noi e con te
nella carità e nella preghiera.
Ti supplichiamo, per l’intercessione della tua
Santissima Madre Maria Ausiliatrice,
di affrettare la glorificazione del tuo servo fedele
e di concederci, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Amen.
Ringraziano
Ringraziamo san Domenico Sa-
vio per la nascita di Gabriele.
Marco e Donatella
Ringrazio ogni giorno di cuo-
re san Domenico Savio per
avermi fatto provare la gioia della
maternità con la grazia della na-
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
scita delle mie gemelline Giorgia
e Sofia. Gli abitini del Santo li
ho messi nelle loro cullette così
le accompagnano ogni notte nei
sogni.
Simona Reitano,
Wuerzburg (Germania)
Desidero ringraziare di tutto cuo-
re san Domenico Savio. Le
mie figlie sono nate a distanza di
cinque anni una dall’altra, nel ’90
e nel ’95, e da allora le ho sem-
pre affidate a lui. Quest’anno sia
Selenia sia Jessica sono diven-
tate mamme di due maschietti,
Nathan e Aiden, affidati al santo
delle culle tramite l’abitino che
per loro avevo richiesto. Arrivò
prima delle ecografie con nastro
azzurro, un chiaro segnale, e per
la quale non smetterò mai di rin-
graziarlo.
Salvatore Serratore, Lentini (Sr)
Mi sento in dovere di ringra-
ziare testimoniando una grazia
ricevuta per intercessione della
beata Alexandrina Maria da
Costa. Mio marito, dopo aver
subito due operazioni al cuore,
si ammalò di artrite addominale.
In seguito gli si chiuse l’uretere
sinistro. Essendo infermiera, mi
resi conto che la situazione era
grave e c’era pericolo che fosse
necessario asportare il rene. Una
sera, prima di addormentarmi,
con fervida preghiera mi rivolsi
a Maria. Nell’ultima parte della
notte m’è parso di vedere il volto
sorridente della beata Alexan-
drina. Al mio risveglio mi sono
ricordata di avere una sua imma-
gine con la preghiera alla beata;
così dissi a mio marito di pregare
la Alexandrina. Trascorsi quattro
mesi, il medico mi confermò che
l’uretere era ritornato morbido:
si poteva avere ormai la certez-
za che il rene e l’uretere erano
guariti. Una successiva ecogra-
fia praticata dal medico ne dava
conferma. Io e mio marito siamo
onorati d’essere stati graziati dal-
la beata Alexandrina; per questo
preghiamo il Signore affinché sia
proclamata santa.
De Paoli Antonietta,
S. Giustina Bellunese (BL)
40
Dicembre 2016

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
ROBERTO LORENZINI E OCTAVIO SABBADIN
Luigi Sarcheletti
Primo Coordinatore Mondiale dell’Associazione
dei Salesiani Cooperatori
Morto il 9 maggio 2013 a 92 anni
La sua conoscenza e il suo amore
per don Bosco lo hanno portato a
diventare Salesiano Cooperatore
a soli 16 anni per inserirsi nel-
la Chiesa e nella società a tutto
campo, come uno dei primi so-
stenitori del ruolo essenziale dei
laici così come l’aveva delineato
il Concilio Vaticano II.
Per i Salesiani Cooperatori Lui-
gi è sempre stato un punto di
riferimento nel suo percorso di
servizio all’Associazione in diver-
si momenti e ai vari livelli come
Coordinatore del suo Centro a
Verona, della provincia del Tri-
veneto Ovest, della nazione Ita-
lia fino a diventare un apripista
come primo Coordinatore Mon-
diale dell’Associazione.
La sua preparazione ecclesiale
e sociale, la sua passione per i
giovani e le fasce deboli della so-
cietà gli hanno dato una chiarezza
di obiettivi e di vedute da essere il
tessitore della stesura del “Nuovo
Regolamento” dell’Associazione
in linea con il Concilio, fino ad ar-
rivare alla formulazione definitiva
del “Progetto di Vita Apostolica”
dell’ultimo Congresso Mondia-
le del novembre 2012 dove, nel
giorno del suo 91° compleanno
e del 75° anniversario della sua
appartenenza associativa, ha po-
tuto cogliere, a fianco del Rettor
Maggiore, il frutto delle sue gran-
di intuizioni di un laicato maturo
capace di rispondere alle grandi
sfide giovanili di oggi.
E non si è accontentato di essere
lui in prima linea: ha forgiato nuo-
ve vocazioni di impegno laicale
da vero talent-scout dello Spirito
Santo, capace di stimare e voler
bene con discrezione e profondità,
di incoraggiare con delicatezza e
forza, di tracciare con la sua fede
e il suo amore a Maria un sentiero
verso la misura alta del cristiane-
simo e della salesianità.
Con responsabilità ed equilibrio
ha saputo intessere rapporti, dai
più semplici e familiari fino ai li-
velli più alti e qualificati della Fa-
miglia Salesiana, della Chiesa e
della società civile, portando sti-
moli che scaturivano dalla ricerca
ferma della verità nella linea della
crescita dei giovani.
È bello ricordarlo così: con il suo
registratorino e la sua macchina
fotografica intento a fissare il bel-
lo e il buono che scaturiva da ogni
incontro importante, capace, an-
che in età avanzata, di diffonderli
utilizzando da esperto i mezzi di
comunicazione informatica.
Mamma Anita
La volontaria che decise di restare per sempre
nella “Casa Don Bosco”
Morta in Bolivia a 92 anni
Anita è il nome di una volonta-
ria. Ha vissuto a Trieste fino a 70
anni. Moglie e madre di un figlio,
gestiva un negozio, ma una volta
rimasta vedova perse interesse
per il commercio. Aspettava solo
di seguire il marito nella mor-
te. Ma una lettera dalla Bolivia,
pubblicata su un giornale della
città, la convinse a donare tutto
il denaro messo da parte; prima,
però, decise di fare un lungo
viaggio e di stabilirsi presso Casa
Don Bosco in Bolivia.
Una lettera di ringraziamento da
parte salesiana, con l’invito a
conoscere la casa, la fece par-
tire per la Bolivia. Andò, vide, si
fermò per circa 3 mesi e alla fine
decise di restare per sempre. I
bambini della Casa le avevano
conquistato il cuore.
Era il 1994 quando iniziò la sua
“missione” tra i bambini del “Pro-
yecto Don Bosco”. Si dedicava al
servizio della casa, prendendosi
cura del vestiario dei bambini.
Raccoglieva donazioni di abbi-
gliamento e le sistemava, lavava
e riparava, conservando tutto
ciò che sarebbe potuto servire.
Si portò dietro tutto quello che
aveva a casa sua, dalle lenzuola
alla cucina.
Parlava una lingua speciale, un
miscuglio di Italiano, Spagnolo
e Sloveno – la sua origine infat-
ti era slovena – ma tutti la ca-
pivano perché era il linguaggio
dell’amore.
Nutriva la sua vita di servizio con
la preghiera: era un membro ag-
giunto della comunità salesiana,
con la quale partecipava ogni
mattino alla meditazione, alla
preghiera delle Lodi e l’Eucari-
stia. La corona del rosario l’ac-
compagnava tutto il giorno. Era
felice quando, di sera, qualche
gruppo di bambini partecipava
alla recita del rosario.
Venne dichiarata “Cruceña d’Oro”
(cittadina di Santa Cruz) dagli
Amici del Circolo italiano. Una
sola volta tornò in Italia, per la ma-
lattia e morte del suo unico figlio.
Tornò dicendo: “Non voglio tor-
nare in Italia, voglio morire qui ed
essere sepolta tra i miei figli della
Casa”. Il suo desiderio si è realiz-
zato il 10 settembre di quest’anno.
Aveva da poco compiuto 92 anni,
ma continuava a partecipare alla
messa quotidiana.
Una breve, violenta malattia l’ha
portata via. Siamo sicuri che il
suo sorriso accompagna ancora
Casa Don Bosco.
Dicembre 2016
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
IL SANTO E TANTE PICCOLE STORIE
Don Bosco, al pari di sua madre, mamma Margherita, aveva un ca-
rattere allegro e pratico, ed era molto saggio e assennato. Quando
si prefissava un obiettivo lo raggiungeva con la tenacia, e se non
poteva raggiungerlo allora gettava il seme della sua sapienza rac-
contando a chi gli stava vicino le sue famose storie e XXX. Ne
ha riportati tantissimi nei suoi scritti e altrettanti ne hanno scritti i
suoi contemporanei. Ecco qualche perla della sua vita. Un giorno
due signori chiesero a don Bosco, con un po’ di insistenza, dei numeri del lotto. Il Santo, non poté
fare a meno di rispondere così: “Ebbene, giocate questi numeri: 10-5-14”. Quelli, contenti, fecero per
andarsene, ma don Bosco soggiunse: “Non ne volete la spiegazione? Altrimenti non saprete giocarli”.
“Ce la dia, dunque” dissero quelle persone e don Bosco: “Il numero 10 sono i dieci comandamenti,
il numero 5 i cinque precetti della Chiesa e il numero 14 le quattordici opere di misericordia. Gioca-
teli e farete fortuna”. Ogni volta che gli capitava di incontrarsi con qualche suo allievo o conoscente
che, per trascuratezza o per inavvertenza, non lo salutava, gli diceva (come faceva san Filippo Neri):
“Amico, perché quel chiodo sul cappello?”. L’amico prendeva in mano il cappello, e girandolo e ri-
girandolo, rispondeva alquanto smarrito “Quale chiodo?”. Il
Santo, sorridente e buono: “Scusa, sai! Mi pareva di vedere
un chiodo che ti fermasse il cappello, perché, passando, non
mi salutavi”. Tanto bastava per accattivarsi la benevolenza
di tutti perché tutti, passandogli innanzi, lo salutassero con
premura, affinché non si vedesse il “chiodo” sul cappello.
Interrogato su come riuscisse a farsela con tutti, nobili e
signori, parlamentari e re, rispose: “Guardate, miei cari, io
non avrei difficoltà a fare di cappello al diavolo, purché mi
lasciasse passare per andare a salvare un’anima”.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Un imperato-
re romano ricordato da famose terme
- 9. Gli fu fatale un iceberg - 16. I
primissimi uomini - 17. Attiva come
un’ape - 18. Breve appunto - 19. Il
più lungo fiume spagnolo - 21. Il
verso della cornacchia - 22. Prefisso
che moltiplica per tre - 23. Il nome
di Boito, compositore del Mefistofele
- 25. Ha 20 regioni - 28. Governa
assiso sul trono - 29. XXX - 31.
Nuovo Testamento - 32. Avellino -
33. Le parti di un edificio a livello
della strada - 34. Vi si consumano
caffè e cornetti - 35. Zingari - 37.
Picchiare brutalmente - 38. Dolore
muscolare - 40. Raganella - 41. La
fine del viaggio - 42. Il …, capitale
sul Nilo - 44. Le hanno porti e golfi
- 45. Io e te - 46. La densità della
popolazione che, quando è alta, rende
difficile la vita in città.
VERTICALI. 1. Chi non è favo-
revole - 2. Le “cure” della mamma
premurosa - 3. Cerimonie del cul-
to - 4. La parità nelle ricette - 5. A
noi - 6. Combaciare - 7. Mantenersi
sospeso in aria - 8. Una particolare
lampada ad incandescenza - 9. La
sigla della tisi - 10. In una tragedia
dannunziana ne è la figlia - 11. Ri-
storante alla buona - 12. Agio senza
pari - 13. Il Natale per i francesi -
14. Lo scrittore Silone (iniz.) - 15.
Il Santiago famoso autore di moderne
architetture organiche - 20. Tornato
a nuova vita - 23. Millenaria città si-
riana - 24. Attraversa la Repubblica
Ceca, la Germania e la Polonia per
poi sfociare nel Baltico - 26. Al… al
plurale - 27. Precedette l’INPS - 29.
Gran Turismo - 30. Si conta sull’ul-
timo dito - 34. È bene metterli avanti
e non dietro il carro! - 36. Esprime
dubbio - 39. È certo al centro - 43.
Un po’ di attenzione.
42
Dicembre 2016

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
La candela riottosa
Q uesto non si era mai visto:
una candela che rifiuta di
accendersi. Tutte le candele
dell’armadio inorridirono.
Una candela che non voleva
accendersi era una cosa
inaudita! Mancavano pochi giorni a
Natale e tutte le candele erano ecci-
tate all’idea di essere le protagoniste
della festa, con la luce, il profumo, la
bellezza che irradiavano e comunica-
vano a tutti.
Eccetto quella giovane candela rossa
e dorata, che ripeteva ostinatamente:
«No e poi no! Io non voglio bruciare.
Quando veniamo accesi, in un atti-
mo ci consumiamo. Io voglio rima-
nere così come sono: elegante, bella,
e soprattutto intera!».
«Se non bruci è come se fossi già
morta senza essere vissuta» replicò
un grosso cero, che aveva già visto
due Natali. «Tu sei fatta di cera e
stoppino, ma questo è niente.
Quando bruci sei veramente tu
e sei completamente felice».
«No, grazie tante» rispose la candela
rossa. «Ammetto che il buio, il fred-
do e la solitudine sono orribili, ma è
sempre meglio che soffrire per una
fiamma che ti brucia».
«La vita non è fatta di parole e non si
può capire con le parole, bisogna pas-
sarci dentro» continuò il cero. «Solo
chi impegna il proprio essere cambia
il mondo e nello stesso tempo cambia
se stesso. Se lasci che solitudine, buio
e freddo avanzino, avvolgeranno il
mondo».
«Vuoi dire che noi serviamo a
combattere il freddo, le tenebre
e la solitudine?»
«Certo» ribadì il cero. «Ci consumia-
mo e perdiamo eleganza e colori, ma
diventiamo utili e stimati. Siamo i
cavalieri della luce.»
«Ma ci consumiamo e perdiamo
forma e colore.»
«Sì, ma solo così possiamo vincere il
buio della notte e il gelo del mondo»
concluse il cero.
Così anche la candela rossa e dorata si
lasciò accendere. Brillò nella notte con
tutto il suo cuore e trasformò in luce
la sua bellezza, come dovesse scon-
figgere da sola tutto il freddo e il buio
del mondo. La cera e lo stoppino si
consumarono piano piano, ma la luce
della candela continuò a splendere a
lungo negli occhi e nel cuore degli
uomini per i quali era bruciata.
La più bella preghiera che
conosco:
«Signore, fa’ di me una lampada:
brucerò me stesso,
ma avrò dato luce agli altri».
Dicembre 2016
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L‘invitato
«Io vivo con
il Rettor Maggiore»
Incontro con don
Horacio Adrián López
segretario personale
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Quelli che hanno detto “sì”
A tu per tu
«Lavoro con due cuori»
Don Johann Kiesling
Missionario in Congo
Le case di don Bosco
«Sogni e miracoli…
continuano»
San Benigno
I nostri santi
Deciso a farsi salesiano...
e santo
Don Andrea Beltrami
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.