Bollettino_Salesiano_201610

Bollettino_Salesiano_201610

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IL
OTTOBRE
2016
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GMG
2016

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Il
tavolo
da
biliardo
Ero il tavolo da biliardo più lussuoso di tut-
to il Caffè Pianta della città di Chieri.
I cittadini di Chieri frequentavano il locale
dove mi trovavo per prendere il caffè, con-
versare, giocare a biliardo “alla francese”,
come andava tanto di moda in quel periodo.
Il mio tappeto verde era come un’oasi del deserto
delle loro banali preoccupazioni.
La mia vita migliorò parecchio quando iniziò a
prendersi cura di me un giovane cameriere di nome
Giovanni Bosco. Ogni giorno spazzolava e puliva
il mio tappeto verde. Lucidava le biglie d’avorio
e trattava con grande gentilezza i clienti. Serviva
caffè, grappa e pasticcini di mandorla, le specialità
della casa. Studiava e lavorava. Nei suoi sorrisi c’era
sempre una grandissima dose di allegria.
Quando non c’erano clienti nel caffè, Giovanni
Bosco imparava a giocare a carambola sotto i vi-
gili occhi di Giona, un giovane che spesso fre-
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Chieri, anno 1835. Giovanni Bosco, studente e allo stesso
tempo cameriere presso il Caffè Pianta di Chieri, diventa
amico di Giona, giovane ebreo di ampia cultura ed esperto
nel gioco del biliardo. Giona un giorno chiese a Giovanni
di iniziare a insegnargli le basi della fede cristiana e, nono-
stante le varie resistenze da parte della famiglia, ricevette poi
il battesimo. (Memorie dell’Oratorio, prima decade, n. 10).
quentava il Caffè Pianta. Giona era così bravo
a giocare a biliardo che nessuno avrebbe potuto
essere più bravo di lui.
Le conversazioni tra Giovanni Bosco e Giona
erano distanti, per così dire, anni luce, da quelle
degli altri clienti. Parlavano, infatti, di musica, di
poesia, di storie lette nei libri che venivano ad en-
trambi prestati dal libraio Elia.
Ma un giorno tutto cambiò. Non parlavano più a
voce alta. Iniziai a sentire parole stranissime, mai
sentite pronunciare prima. Anche i chiari paesag-
gi dei loro racconti iniziarono a diventare sempre
meno chiari. Ricordo ancora quelle strane, anzi
stranissime parole… torà, menorah, hanukkà, ion
kippur
Preso dal timore, arrivai anche a pensare che i due
ragazzi fossero membri di una setta segreta. Inco-
minciai a immaginare dei riti macabri e la paura
iniziale si trasformò in vero e proprio panico. Sba-
gliavo persino le mosse più banali.
Ma, dopo alcune settimane, aguzzando un poco
l’udito, riuscii a svelare il mistero. La famiglia di
Giona era di religione ebraica. Lui però era deside-
roso di abbracciare la fede cattolica. Così, durante
le partite, Giovanni gli faceva un poco di catechi-
smo. Io quindi ero stato l’unico testimone di quelle
semplici lezioni sui principi della fede. Quelle pa-
role oscure non erano nient’altro che termini clas-
sici della fede di Giona: Legge di Dio, candelabro a
sette braccia, Festa della Luce, Giorno del Perdono
Giona in un giorno di grande festa ricevette il
Battesimo. Grazie a questi due giovani, sono sta-
to ben più che un semplice tavolo da biliardo. Il
mio tappeto verde è stata quella buona terra in cui
crescono i semi dell’amicizia, della cultura e della
fede.
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Ottobre 2016

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IL
OTTOBRE 2016
ANNO CXL
Numero 9
Il poster: I magnifici dieci Rettori
Maggiori successori di don Bosco
(Grafica e disegni di Luigi Zonta).
IL
Mensile di
informazione e
OTTOBRE
2016
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
GMG
2016
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: Due giovani alle giornate mondiali
della gioventù: amicizia senza confini nel
nome di Gesù (Foto Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Dai tombini alla felicità
10 GIOVANI
Piccoli atei crescono?
14 FMA
GMG 2016: noi c’eravamo
16 L’INVITATO
Don José Pastor Ramírez
19 ABBIAMO BISOGNO DI VOI!
20 FINO AI CONFINI DEL MONDO
22 POSTER
24 LE CASE DI DON BOSCO
Châtillon
28 LA MIA AFRICA
Cronaca di Moukondo
30 HANNO DATO LA VITA
Gloria per un cacico martire
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Teresio
Bosco, Pierluigi Cameroni, Silvio
Carlin, Luigi Compagnoni, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, Cesare Lo
Monaco, Jesus Jurado, suor Maria
Pia, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino,
O. Pori Mecoi, Kirsten Prestin, Luigi
Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Crediamo in voi,
cari giovani Misentoancorailcuorepieno
di gioia per la simpatia dei giovani,
la loro genuina allegria e la
straordinaria capacità di adattarsi
a qualunque situazione,
gradevole o sgradevole,
con il sorriso sulle labbra.
Mi sono convinto ancora una volta
che i nostri giovani, i giovani
del mondo, questi giovani,
sono veramente saggi e
appassionati e hanno molto
da offrirci e anche da insegnarci.
Miei cari amici e amiche, lettori del
Bollettino Salesiano. In questo mes-
saggio mi sento obbligato a parlare
in modo entusiasta dei giovani, dopo
aver vissuto la Giornata Mondiale
della Gioventù a Cracovia.
La giornata più preziosa per me, e per tanti di noi
educatori e amici dei giovani, è stata l’incontro con
quasi seimila giovani arrivati dalle case salesiane
di 52 paesi. Tanti altri non avevano ottenuto i per-
messi e i visti necessari per il viaggio o avevano in-
contrato altre difficoltà che avevano impedito che
questo bel sogno diventasse realtà.
Incontrarci con i giovani del Movimento Giova-
nile Salesiano del mondo è stato un regalo pieno
d’affetto e di intima soddisfazione per ogni cuore
salesiano. Abbiamo potuto dialogare e riflettere,
celebrare l’Eucaristia, condividere i pasti come
una famiglia, un po’ numerosa, ma vera famiglia,
e trascorrere una serata “oratoriana” sullo stile
delle serate di Valdocco con don Bosco o di Mor-
nese con Madre Mazzarello.
I giorni successivi sono stati una primavera, una
fioritura di festa e vitalità giovanile. In mezzo
alle premurose misure di sicurezza, nella città di
Cracovia si sono mossi in tutte le direzioni, fiumi
giovanili di tutti i colori, razze, bandiere, lingue
diversissime che in modo quasi miracoloso riusci-
vano a farsi ascoltare e capire. Tutti mossi da una
motivazione unica e straordinaria.
A mio parere, la maggior parte con un importan-
te, grande e forte motivazione di fede. Volevano
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Ottobre 2016

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vivere la fede ed esprimere la loro condizione di
giovani credenti cristiani, accanto ad altri giovani
del mondo, accompagnati da molti educatori, reli-
giosi e religiose, preti e vescovi, presenti in numero
di 850. E dare unità e senso a questa chiamata,
la figura, il messaggio, la preghiera condivisa e la
fede celebrata insieme a papa Francesco.
Tra le tante cose che potrei sottolineare, la più si-
gnificativa per me, quella che segna questi giorni
nella mia memoria è una convinzione. La fer-
ma decisione che dobbiamo continuare
a credere sempre di più nei giovani.
Sono stato molto impressionato dal silenzio nei
momenti di preghiera e dall’atteggiamento au-
tenticamente orante di quel mare di giovani.
Sintomatico e sorprendente il fatto che in tutti
quei giorni, sotto un sole, spesso cocente, o sotto
la pioggia scrosciante, anch’essa abbondante, non
ho udito una protesta, una reazione lamentosa,
un gesto sgradevole. È stata una testimonianza di
fraternità e convivenza nella diversità. Una vitale
lezione di educazione alla Pace Universale.
Mi sento ancora il cuore pieno di gioia per la
simpatia dei giovani, la loro genuina allegria e
la straordinaria capacità di adattarsi a qualunque
situazione, gradevole o sgradevole, con il sorriso
sulle labbra.
Mi sono convinto ancora una volta che i nostri
giovani, i giovani del mondo, questi giovani, sono
saggi e profondi e hanno molto da offrirci e anche
da insegnarci.
Ed è per questo che continua a risuonare nel mio
cuore l’eco viva della meravigliosa fiducia che don
Bosco aveva nei giovani. La sperimentava con i
ragazzi di Valdocco e sarebbe totalmente affasci-
nato da quelli di oggi, in qualunque continente.
Provo più che mai forte in me la ferma convin-
zione di don Bosco che ci ricorda che in ogni
ragazzo e ogni ragazza ci sono preziosi semi di
bontà. Tutti sono degni della nostra dedizione e
della nostra donazione totale. Ed io sono ancora
più convinto di quanto di solito dico ai giovani di
tutto il mondo salesiano, quando mi incontro con
loro: di non rinunciare ai loro sogni. Siano pro-
tagonisti e realizzatori dei loro sogni e della loro
vita. Abbiano fiducia in loro stessi e in Dio, come
noi l’abbiamo in loro, che sentano che li amiamo
e li vogliamo felici qui e nell’eternità, come diceva
don Bosco.
Grazie di esistere, cari giovani, a nome di tutta la
famiglia salesiana del mondo e degli adulti di que-
sto nostro mondo ferito e sanguinante. Abbiamo
fiducia in voi, crediamo in voi. Abbiamo bisogno
di voi. Il mondo ha bisogno di voi. Dio, che ha so-
gnato un mondo sempre più bello plasmato dall’a-
zione dell’uomo,
.
Con affetto
Il vostro don Ángel, Rettor Maggiore
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SALESIANI NEL MONDO
TESTO: KIRSTEN PRESTIN; FOTO: MARCO KELLER/DON BOSCO MISSION DI BONN Trad. di Marisa Patarino
Dai tombini alla felicità
Sonia e Vasile sono vissuti per anni sotto
i tombini accanto alle condutture sotterranee
della città di Constanta, in Romania.
Si aggiravano tra spazzatura, sporcizia
e parassiti. Poi hanno incontrato don Sergio.
L’incontro con il sacerdote salesiano li ha
aiutati a costruire una nuova vita.
Questa è una storia coronata dal successo
del lavoro compiuto con i bambini che vivono
per strada in Romania.
Vasile lavora
in un mercato
ortofrutticolo
e come
parcheggiatore.
La gente apprezza
la sua onestà e si
fida di lui.
A volte l’incontro con alcune persone in-
fluenza il destino e accompagna per
tutta la vita. È accaduto anche a don
Sergio. Il sacerdote salesiano incontrò
15 anni fa Sonia e Vasile, due bambini
che vivevano sotto i tombini della città
portuale romena di Constanta. «Li notammo nel
corso della nostra opera pastorale. Erano bambi-
ni completamente abbandonati. Anche d’inverno
calzavano solo pantofole, erano infreddoliti e ave-
vano fame. Portammo loro qualcosa da mangiare
e abiti caldi. Cominciammo così a parlare con
loro», ricorda il sacerdote, che oggi ha 62 anni.
Tramite Sonia e Vasile don Sergio cominciò a
conoscere il mondo sotterraneo dei bambini che
vivevano accanto alle condutture. Alcuni avevano
solo cinque o sei anni. Molti erano storditi dalle
sostanze stupefacenti che sniffavano per sfuggire
al freddo interiore. Don Sergio li ha incontrati, si
è fermato con loro accanto ai tubi caldi. Insieme
a loro sudava, mangiava e, soprattutto, parlava.
Nelle foto che ricordano quell’epoca, i bambini
ridono. Si vedono i loro denti consumati e gua-
sti, ma anche un lampo di allegria nei loro occhi.
Sono felici di vedere don Sergio. Si fidano di lui.
Che cosa è stato di questi ragazzi e di queste ra-
gazze? Sono riusciti a costruirsi una vita?
Per trovare una risposta a queste domande, l’anno
scorso don Sergio è tornato a Constanta e ha cercato
indicazioni. Si è recato nei luoghi che aveva impa-
rato a conoscere in passato: i posti più problematici
a livello sociale della periferia della città portuale.
Sonia aveva nove anni quando le condutture sot-
terranee della città diventarono la sua casa. Era
una bambina gracile, con i capelli biondi e corti.
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Vivere per strada è difficile. Per una ragazza lo è ancora
di più. Siamo stati picchiati spesso. Nessuno ci ha aiutati.
La paura ci accompagnava sempre
(Sonia, ex bambina dei sotterranei)
Così corti che poteva sembrare un ragazzo. Vive-
va per strada insieme a Vasile, il suo fratello mag-
giore. La loro madre era mancata, il patrigno era
contento che i bambini fossero andati via. Era più
interessato agli alcolici che ai figli di sua moglie.
I bambini cercarono rifugio per strada, perché
nessuno si occupava di loro. Nemmeno lo Stato.
Dopo il crollo del regime dittatoriale avvenuto
nel 1989, le strutture che accoglievano i bambini
erano sovraffollate. Molti ragazzi finirono a vive-
re per strada.
Quando nel 2007 la Romania entrò a far parte
dell’Unione Europea, la situazione dei bambini
diventò ancora più difficile. L’adesione all’Unio-
ne era infatti subordinata alla condizione che gli
orfanotrofi statali fossero chiusi. «Questa richie-
sta aveva un giusto fondamento, perché le condi-
zioni in cui versavano questi istituti erano molto
carenti», dice don Sergio. «Il problema è che non
c’erano alternative. Dunque i bambini e i ragazzi
che vi abitavano finirono a vivere per strada». Il
sacerdote salesiano cominciò ad aiutarli già prima
Sonia vuole
offrire a sua figlia
una vita migliore.
Una vita sicura,
con prospettive
per il futuro.
Il suo piccolo
appartamento è
un buon inizio.
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SALESIANI NEL MONDO
Sonia e Vasile
15 anni fa
nell’ingresso della
Casa Don Bosco a
Constanta.
A destra:
Il rispetto e la
disponibilità sono
importanti. Don
Sergio ritiene
che sia possibile
conquistare
la fiducia dei
giovani anche
condividendo
i momenti di
gioco. Il sacerdote
salesiano vanta
un’ottima forma,
per i suoi 62 anni.
Sonia e Vasile sono riusciti a costruirsi una vita.
Questo mi fa felice!
Don Sergio
dell’adesione della Romania all’Unione Europea. è importante. Sonia e sua figlia non vivono per
Insieme a collaboratori locali dell’Istituto Don strada e di notte non devono rifugiarsi accanto
Bosco, circa 15 anni fa acquistò una piccola casa alle condutture. Sonia non può cancellare il ri-
nella periferia della città di Constanta. In questa cordo di quei sotterranei bui e sporchi, ma riesce
casa c’erano docce, veniva data la possibilità di a superarlo. «Vivere per strada è difficile. Per una
dormire e di consumare pasti caldi. Sonia e Va- ragazza lo è ancora di più. Siamo stati picchiati
sile furono i primi bambini di strada accolti nella spesso. Nessuno ci ha aiutati. La paura ci accom-
Casa Don Bosco a Constanta.
pagnava sempre», dice. Non erano al sicuro nem-
Quei bambini sono cresciuti. Sonia è una gentile meno dagli attacchi da parte della polizia.
giovane donna, madre di una bambina di sei anni. Nell’appartamento di Sonia tutto è pulito e ordi-
Vuole offrire a sua figlia una vita migliore. Una vita nato. Alle pareti sono appese varie foto: sue, di sua
sicura, con prospettive per il futuro. Sonia e Vasile figlia e di suo marito, che è morto poco più che
sono molto felici quando don Sergio va a trovarli. ventenne per un tumore allo stomaco. Sonia, che
L’appartamento di Sonia sembra una scatola per ha 26 anni, deve dunque allevare la figlia da sola.
scarpe. Ha una superficie di nove metri quadrati, Riceve un piccolo sussidio mensile di circa 100
forse anche meno. L’ampiezza dell’alloggio non euro. L’affitto dell’appartamento costa 30 euro.
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è mai stato in carcere e non è così scontato, per
chi ha condotto una vita così difficile per strada».
Madre e figlia non hanno a disposizione grandi ri-
sorse. «Vorrei un lavoro stabile, ma appena emerge
da quale quartiere provengo sono congedata con
una scusa», dice Sonia, che però rimane ottimista.
«Sonia ha imparato ad assumersi le sue
responsabilità. Sua figlia è il dono più bello per
lei! Insieme riescono a vivere con dignità. Ne
sono molto felice!», dice don Sergio.
Anche Vasile, il fratello di Sonia, si è lasciato alle
spalle la vita accanto alle condutture sotterranee.
Il giovane, che ha trent’anni, durante il giorno la-
vora in un mercato ortofrutticolo o effettua acqui-
sti per persone anziane che non sono più in grado
di uscire di casa. Di notte lavora come parcheg-
giatore nel centro di Constanta. Vasile ha dunque
uno stipendio fisso. Non ha un appartamento.
«Dormo nell’auto del mio diretto superiore. Spe-
ro però che la mia situazione cambi presto», dice.
Don Sergio apprezza la determinazione e l’onestà
di Vasile. «La gente sa di potersi fidare di lui. È
una brava persona», dice il salesiano. «Vasile non
Niente casa niente documenti
Alcuni suoi amici sono morti. Altri non sono an-
cora riusciti a cambiare vita. Questo è ad esempio
il caso di Alex. Ha 29 anni e vive ancora nei sot-
terranei del centro della città di Constanta. Vive
per strada da quando aveva cinque anni. Alex ama
i libri, soprattutto quelli di Dostoevskij. In questo
momento sta leggendo “Delitto e castigo” sotto le
strade della città portuale. Non ha alcuna possibi-
lità di prendere in affitto una stanza perché non ha
documenti. Chi non ha fissa dimora non può avere
neppure documenti. È un circolo vizioso.
Don Sergio ascolta i giovani, li accoglie con rispet-
to e disponibilità. Dopo aver trascorso un periodo
di tempo in Moldavia, è tornato volentieri a Con-
stanta. È felice di trovarsi davanti alla Casa Don
Bosco, che è diventata una grande famiglia e un
centro educativo, in cui in estate fino a 350 giova-
ni trascorrono il tempo libero. Ma il salesiano non
ha tempo per riposare. «Dobbiamo prenderci cura
dei bambini svantaggiati. Non dobbiamo lasciarli
soli o accettare che siano esclusi», dice. La storia di
Sonia e Vasile insegna che il cambiamento è pos-
sibile. «Sonia e Vasile sono riusciti a costruirsi una
vita», dice il salesiano con fiducia. «Vivono mode-
stamente, ma non sono più per strada».
Spazi angusti
e bui: Alex, un
amico di Vasile,
ancora oggi vive in
questi sotterranei
opprimenti.
Spesso la
burocrazia
ostacola il
passaggio a una
nuova vita.
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GIOVANI
O. PORI MECOI
Piccoli atei crescono?
Incontro con il sociologo Franco Garelli
È senza dubbio il maggiore esperto italiano
di sociologia religiosa e, da buon exallievo
salesiano, ha sempre conservato
un occhio attento al mondo dei giovani.
La sua ultima fatica è il libro
“Piccoli atei crescono” edito da il Mulino.
Perché questo libro?
Questo libro è l’esito più rilevante di una recentis-
sima ricerca nazionale (che si compone di un’in-
dagine quantitativa e di molte interviste dirette)
che mette a fuoco la situazione in campo religioso
dei giovani dai 18 ai 29 anni che vivono nelle più
diverse zone della penisola, abitano
le nostre città e campagne, e – a se-
conda dei casi – sono ancora alle
prese con gli studi, già affacciati al
mondo del lavoro, oppure fanno
parte di quel mondo di precari e
inoccupati che è uno dei crucci
del paese. Si tratta della versione
nostrana dei Millennials, della
generazione Net o Next (e in
parte Neet), da molti descritta
come l’anello debole del siste-
ma, o con una preposizione
che sa di privazione: «senza
fretta di crescere», senza un
lavoro stabile e prospettive
certe, senza un’intenzione ravvicinata di famiglia,
senza le prerogative sociali possedute dai coetanei
del passato, senza spazi e ruoli di rilievo capaci
di offrire sicurezza e di far sentire la propria im-
pronta generazionale.
Il Dio dei millennials sta veramente
poco bene?
Il Dio dei millennials non sta troppo bene, ma
restiamo pur sempre il paese dove «anche gli atei
sono cattolici», si sposano in chiesa e preferisco-
no il funerale religioso. Il nostro zoccolo duro
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2.1 Page 11

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dei ragazzi non credenti (28%) resta poca cosa
rispetto a paesi come Svezia, Germania, Olanda,
Belgio e Francia, dove «il vento della morte di
Dio è già soffiato con forza» raggiungendo tra i
più giovani percentuali intorno al 50/65% (men-
tre nei fervidi Stati Uniti gli scettici non rag-
giungono quota 18%). Quel che da noi colpisce è
il ritmo di crescita degli agnostici (non arrivava-
no al 10% nel passaggio di secolo), forse favorito
dal mutato clima culturale. Oggi i ragazzi italia-
ni si sentono più liberi di negare Dio, avvertendo
«che è venuto meno lo stigma che prima colpiva
increduli e miscredenti». E poi la religiosità resta
comunque sullo sfondo, «anche se è un fondale
sempre più lontano dal palcoscenico della vita».
Al momento, in sostanza, non si registrano tra-
colli. In attesa di vedere come sarà il prosieguo
della recita.
Davvero una generazione senza Dio?
L’immagine è troppo forte, ma certo una nuo-
va realtà sta emergendo con grande vigore nelle
nuove generazioni.
C’è un grande movimento nel rapporto tra i gio-
vani e la religione nel nostro paese, che si ma-
nifesta – come s’è visto – in una forte crescita
(rispetto al recente passato) di quanti si ritengono
ormai «senza Dio» e «senza religione», nell’as-
sottigliarsi del gruppo dei credenti convinti e
impegnati, a fronte di una larga quota di soggetti
che mantengono un legame esile con la religione,
la tradizione, più per motivi culturali che spiri-
tuali. Si tratta di cambiamenti rilevanti rispetto
al recente passato, la continuazione di quella «se-
colarizzazione dolce» che da tempo sta interes-
sando la società italiana. Molti giovani ammet-
tono di credere di meno rispetto alle generazioni
precedenti, ma nello stesso tempo dichiarano di
essere alla ricerca di una fede religiosa o di forme
di spiritualità e percorsi di senso più in sintonia
con la coscienza moderna. E contrastano l’idea
diffusa di essere la prima generazione incredu-
la, in quanto ritengono che l’incredulità abbia
radici lontane, individuabili in genitori solo for-
malmente credenti e cattolici e in nonni la cui
religiosità rifletteva più un mondo di destino che
di scelte.
Quanto gli under 30 italiani sono
interessati ai valori dello spirito?
Una larga quota di giovani ha un’idea assai ne-
bulosa della spiritualità, come di una dimensione
difficile da decifrare o che non produce in essi una
particolare risonanza emotiva. Altri invece sem-
brano coinvolti in una tensione spirituale di im-
pronta profana, che si manifesta in forme diverse.
La maggior parte dei giovani tuttavia tende a vi-
vere i valori dello spirito all’interno della religione
in cui più si riconosce (nel cattolicesimo), pur rite-
nendo che la ricerca spirituale sia senza confini e
abbia nel singolo soggetto il suo protagonista. In
sintesi, la nozione di spiritualità divide l’insieme
dei giovani. Una parte sembra del tutto priva di
antenne per questa dimensione dell’esistenza, non
ne coglie il senso, preferendo concentrarsi sulla
I giovani della
GMG 2016
rivendicano la fede
come scelta libera
e matura.
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GIOVANI
I confessionali
della GMG di
Cracovia.
I giovani hanno
il forte desiderio
di incontrare
qualcuno che li
aiuti, li ascolti,
li consigli.
concretezza della vita; altri la valorizzano per mi-
gliorare se stessi dal punto di vista umano e in-
teriore; altri ancora la interpretano come una via
soggettiva e più autentica per credere in Dio ed
esprimere la propria fede religiosa.
Dicono «Portiamo a compimento
ciò che è stato seminato».
Che cosa significa?
Noi «la prima generazione incredula»? Non
scherziamo, risponde la maggior parte dei giova-
ni interpellati. Quella dell’età dell’oro della fede
– coltivata dai nonni, conservata dai genitori e
dissipata dai figli – è una rappresentazione fuor-
viante che mette su una strada sbagliata. Perché
a rompere il patto religioso, con i loro compor-
tamenti ondivaghi e improntati al conformismo
sociale, sono stati mamma e papà. E anche sul
terreno della religiosità si ripropone l’alleanza
generazionale con i nonni che spesso si verifica
nella politica o in altre zone dell’esistenza: quello
dei nonni è giudicato un modello criticabile e cul-
turalmente lontano ma nitido e coerente. Mentre
il comportamento dei padri e delle madri risul-
ta incerto, sfocato, intermittente. In una parola,
deludente sul piano della testimonianza. «Noi
portiamo a compimento ciò che è stato seminato
nel passato», dice un ragazzo non credente. La
rottura della tradizione è un’eredità, non una ela-
borazione originale. «La mia generazione non è
incredula quanto piuttosto arrabbiata per il senso
di abbandono profondo e viscerale», reagisce un
altro millennial. E la sintesi arriva da una ragazza
loro coetanea: la religione è mistero e fiducia, e
noi non possiamo permetterci né il mistero né la
fiducia.
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2.3 Page 13

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PAPA FRANCESCO
È un papa che può proprio fare la differenza, ci voleva. Tra Giovanni Paolo e
Francesco c’è stato papa Ratzinger, che secondo me era un buon papa, però
un po’ troppo timoroso, mentre questo papa può essere di nuovo uno spun-
to per noi giovani, per farci un po’ ricredere nei confronti della religione. C’è
sfiducia nella religione per tanti motivi, non necessariamente per colpa dei
preti: si è presi da tantissime altre cose e quindi si perdono un po’ i valori.
Questo papa, io lo vedo anche la domenica in televisione, quando lui fa le
sue messe e tutto, fa proprio venir voglia di pregare; io quando lo sento mi
dico «Dai, mi metto lì e prego con te», e quindi questo può essere un inno
per noi giovani a intraprendere questo cammino (F, 27, credente non troppo
praticante).
Credo che questo nuovo papa abbia fatto sì che molti giovani rivalutassero
la chiesa come istituzione e la necessità di avere una fede (F, 24, credente).
C’è spazio per una pastorale giovanile?
Certo. Un comune denominatore a molti dei gio-
vani intervistati è l’importanza da essi attribuita
a incontrare qualcuno che li aiuti, specificando
come la qualità dell’aiuto, dal loro punto di vista,
si misuri oggi innanzitutto sul piano comunica-
tivo: in primis capacità di ascoltare e poi di con-
sigliare nel rispetto dell’intelligenza, dei tempi e
della libertà di ciascuno.
Il rapporto con la parrocchia?
In questo scenario, tuttavia, le parrocchie e la
chiesa di base svolgono ancora un ruolo nella
socializzazione delle giovani generazioni, anche
se non sembrano più rappresentare un luogo di
riferimento né esclusivo né riconosciuto come ri-
levante per la vita religiosa e spirituale degli in-
dividui.
Ci sono possibilità di ricupero?
Un numero cospicuo di soggetti intende l’in-
credulità giovanile non tanto alla stregua di un
passaggio decisivo verso lo smantellamento della
fede religiosa, quanto piuttosto come una piatta-
forma di partenza per iniziare una riflessione e
un ripensamento dell’intera «questione religiosa»,
da condursi in forza dei maggiori gradi di libertà
e di facoltà riflessive di cui si dispone oggi, non-
ché alla luce di un bagaglio cognitivo ed espe-
rienziale per molti versi più ampio rispetto a un
passato anche recente.
Quindi servono ancora preti e suore?
Più del 40% dei giovani oggi di età compresa tra
i 18 e i 29 anni dichiara di aver conosciuto nel
corso della propria vita una o più figure religiose
di singolare rilievo. Si tratta perlopiù di sacerdoti,
religiosi, suore che operano nei vari ambienti o
gruppi ecclesiali o di persone che vivono in un
monastero, che per qualche tratto particolare (ca-
risma, sensibilità umana, dedizione sociale, capa-
cità di ascolto, qualità spirituali) hanno destato
una favorevole impressione in non pochi gio-
vani che li hanno incontrati, tanto da meritarsi
uno spazio nella loro memoria vitale. Una quota
dunque consistente di soggetti con dei trascorsi
adolescenziali negli ambienti religiosi conserva
un ricordo positivo, magari a fianco di momenti
e volti da dimenticare, e al di là del fatto di es-
sersi poi allontanata nel tempo da questo tipo di
esperienze. Chi ha beneficiato dell’incontro con
queste figure sono perlopiù giovani caratterizzati
oggi da livelli medio-elevati di religiosità.
Ottobre 2016
13

2.4 Page 14

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
GMG 2016
I giovani hanno dato la loro
risposta alle inquietanti
Noi c’eravamo problematichedell’oggi
vivendo una fraternità a
prescindere da ogni colore
della pelle e del cuore,
Kit universale
Provenienti dai più disparati luoghi
geografici, con una torcia, una ra-
diolina da cui ascoltare le traduzioni
dalle diverse lingue, un tappetino, il
libricino delle preghiere e l’imman-
cabile bandiera della propria nazione,
in viaggio tra pullman e treno, per
vivere una settimana spartana, per
fare lunghe camminate, per dormire
una notte all’addiaccio e, soprattutto,
per attendere sotto il sole un uomo.
È questo il kit comune agli innume-
revoli giovani che hanno partecipato
generando una festa di
colori, di razze, di lingue,
di storie, comunicando con
il linguaggio universale
dell’amore.
indossano una maglietta bianca con alla Giornata Mondiale della Gio-
scritto “ise”, una sillaba che da sola ventù a Cracovia, dal 26 al 31 luglio. festa di colori, di razze, di lingue, di
non ha significato ma, unita alle silla- Papa Francesco ha definito l’even- storie, comunicando con il linguaggio
be stampate sulle altre magliette, for- to “un segno profetico per la Polo- universale dell’amore. La fraternità
ma la parola “misericordia”. Ciò che nia, per l’Europa e per il mondo”, e è stata la declinazione della tematica
sanno è che vale la pena percorrere il davvero è stato così: i ragazzi hanno della : “Beati i misericordiosi,
viaggio ed avere il coraggio di met- dato la loro risposta alle inquietanti perché troveranno misericordia”.
tersi in cammino. Lo zaino del pelle-
grino contiene essenzialmente sorriso
e fraternità: bastano per stare 20 ore
problematiche dell’oggi vivendo una
fraternità a prescindere da ogni colore
della pelle e del cuore, generando una
Il grande gruppo dei giovani “salesiani” con
il Rettor Maggiore, madre Yvonne, don Attard
e il loro inesauribile entusiasmo.
14
Ottobre 2016

2.5 Page 15

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Sotto un’unica bandiera
Oltre un milione e mezzo di ragaz-
zi hanno dormito all’addiaccio nella
spianata del Campus Misericordiae
per partecipare sia alla veglia sia alla
celebrazione eucaristica, per testimo-
niare la propria fede, diventando la
forza travolgente di chi prega in silen-
zio ed invoca fraternità, a tal punto da
vegliare anche in preghiera per tutta
la notte. È questo il fotogramma della
giornata conclusiva della polac-
ca. Provenienti da circa 187 Paesi, i
giovani hanno salutato papa France-
sco sventolando le bandiere, forse già
scambiate con quella di qualche altra
nazione, un gesto che il Papa ha tra-
dotto in parole: “Bandiere di nazioni
in conflitto sventolano vicine e questo
è bello perché i giovani sanno costrui-
re ponti di fraternità!”. I ragazzi han-
no dimostrato di credere nella forza
umile che possiede chi è misericor-
dioso, nella possibilità di una umani-
tà che bandisce ogni discriminazione,
non vede i confini dei Paesi come del-
le barriere e custodisce le proprie tra-
dizioni senza egoismi e risentimenti.
È stata una profonda testimonianza
di credenti quella che i giovani han-
no dato, analoga alla capacità di fare
festa lungo il cammino e durante la
Giornata Mondiale del Movimento
Giovanile Salesiano ( ), la quale si
è svolta all’Expo di Cracovia.
La giornata mondiale salesiana è con-
tinuata nel pomeriggio con la festa
dell’ ; circa 6000 i giovani che in
un tripudio di colori, suoni, canti, ban-
diere, uniti nel nome di don Bosco e di
Madre Mazzarello, hanno raccontato
la bellezza del carisma della Famiglia
Salesiana nei diversi contesti geogra-
fici, nazionali e sociali. In seguito:
l’adorazione, un breve spettacolo sulla
vita di santa Faustina e su come com-
piere le opere di misericordia nella vita
quotidiana; un’“Ave Maria” recitata in
varie lingue ha concluso la serata.
Direzione obbligatoria
“Solo silenzio, rispetto e preghiera per
chi è stato privato di voce, speranza e
futuro”. Così scrive Martina sui so-
cial network dopo essere stata ad Au-
schwitz-Birkenau. Il campo di stermi-
nio è stata una direzione obbligatoria
per i giovani della ; senza il silen-
zio di Auschwitz, l’esultanza di Craco-
via rischierebbe d’essere fraintesa. Ad
Auschwitz gli interrogativi sul dolore
restano tali, ogni riposta confezionata
sarebbe superficiale; si attraversa solo
il Calvario, chiedendo, come ha detto
papa Francesco, “la grazia di versare
lacrime”. Visitare il campo di concen-
tramento è stato per i giovani la silen-
ziosa scelta della misericordia alla sfida
dell’odierna “guerra a pezzi”, ad ogni
forma di violenza. Dentro una pagina
storica così dolorosa, i giovani hanno
maggiormente rafforzato il messaggio
delle giornate vissute, come afferma
Carmine: «Si ritorna alla quotidianità.
Un grazie ed un pensiero ad ognuno
per la ricchezza di ogni passo fatto in-
sieme in questo lungo pellegrinaggio.
Si ritorna pellegrini nella propria vita.
Si ritorna come “seminatori di speran-
za” consapevoli di essere la “gioventù
delle scarpe” e non del divano!». Forse,
la è già oggi la realizzazione della
beatitudine della misericordia.
Anche lei c’era
La narrazione di quanto vissuto a Cra-
covia richiede un ricordo per Susanna
Rufi, colpita dalla meningite durante
il viaggio di ritorno. “Questa è
così piena di vita che è arrivata pure
la morte”, afferma Ilaria, “erano tutti
preoccupati per un atto di terrorismo
e invece la morte è arrivata da sola, in
treno”. Susanna c’era in Polonia, sape-
va che ne valeva la pena; la pensiamo
nell’eterno Giubileo del cielo.
Ottobre 2016
15

2.6 Page 16

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L’INVITATO
JESUS JURADO
Incontro con
José Pastor Ramírez
José Pastor Ramírez è nato nella Repubblica
Domenicana. Conobbe i salesiani a Jarabacoa, sua città
natale. Frequentò l’oratorio dai sette ai quattordici
anni. Entrò in Noviziato e, dopo la formazione filosofica
e teologica, si perfezionò in teologia spirituale,
psicologia clinica, terapia familiare sistemica e analisi
transazionale. In questi ultimi dieci anni è stato
Delegato mondiale degli Exallievi di don Bosco
con sede nella Casa generalizia di Roma.
Don José, com’è arrivato
a questo incarico?
Alla conclusione del mio servizio
come Ispettore, nel 2008, il Ret-
tor Maggiore Emerito, don Pascual
Chávez, mi ha nominato Coordina-
tore della Famiglia Salesiana e De-
legato Mondiale per gli Exallievi di
don Bosco. Il mio compito è termina-
to il 15 giugno di quest’anno.
Chi sono gli
“Exallievi di don Bosco”?
Gli Exallievi sono il frutto della mis-
sione salesiana, la ricchezza offerta
dai figli di don Bosco all’umanità,
come forza che fermenta il mondo.
Nascono dal cuore
di don Bosco anche loro?
Sappiamo quanto don Bosco amasse i
suoi allievi. Terminato il loro percor-
so educativo li seguiva, li invitava, li
accoglieva, li orientava ancora, li am-
moniva se fosse il caso, si preoccupava
del loro bene soprattutto spirituale.
«Colla vostra presenza mi assicurate
che stan saldi nel vostro cuore quei
principi di nostra santa religione che
io vi ho insegnati e che questi sono
la guida della vostra vita...». In altra
occasione, parlando agli Exallievi,
disse: «Una cosa più di ogni altra vi
raccomando, o miei cari figlioli, ed è
questa: dovunque vi troviate, mostra-
tevi sempre buoni cristiani e uomini
probi... Molti di voi hanno già fami-
glia. Ebbene, quell’educazione che
voi avete ricevuta nell’oratorio da don
Bosco, partecipatela ai vostri cari».
Qual è la realtà mondiale
degli Exallievi?
La realtà degli Exallievi nel mondo
è diversificata come sono diverse le
nazioni, le ispettorie e le regioni dove
l’Associazione è presente. Non c’è
omogeneità.
Quali sono le sfide attuali?
Tra le sfide principali c’è la necessi-
tà che hanno gli Exallievi di crescere
16
Ottobre 2016

2.7 Page 17

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nella loro identità, realizzandola come
laici responsabili nella Chiesa e nella
società; favorire e difendere i valori
umani e cristiani con l’impegno socia-
le, politico ed economico; rafforzare le
unioni locali; realizzare progetti edu-
cativi e di solidarietà; ringiovanire l’as-
sociazione promuovendo la registra-
zione di nuove generazioni di alunni.
Gli Exallievi iscritti attualmente sono
circa 100 000, associati attraverso una
cinquantina di federazioni.
Qual è il compito
del Delegato mondiale
degli Exallievi?
Come dice lo Statuto, il Delegato è
il rappresentante del Rettor Maggio-
re della Congregazione e l’animato-
Un gruppo di giovani exallievi ad un convegno.
Sotto il titolo: Don José Pastor.
re spirituale della Confederazione
Mondiale, in particolare della Pre-
sidenza Confederale e della Giunta
Esecutiva Confederale. Attua questa
animazione con interventi epistolari,
contatti personali e visite in cui stu-
dia le diverse situazioni locali di vita
e di lavoro. Ha naturalmente una
particolare attenzione a quelli giova-
ni. Tutto ciò lo fa insieme ai Consi-
glieri Regionali nelle loro Regioni e
ad altri laici qualificati. Si impegna
a elaborare le tematiche formative
dell’Assemblea mondiale che si riu-
nisce ogni sei anni e della Giunta
esecutiva che si incontra quattro vol-
te all’anno. È presente alle celebra-
zioni speciali delle Ispettorie.
È responsabile anche delle quattro
“scuole per leader” d’Europa, Asia ed
America.
Qual è stato
il suo piano formativo?
Un buon piano formativo deve essere
unitario e ben strutturato. Per questo
ho elaborato, in quasi otto anni di
servizio per gli Exallievi, un itinera-
rio educativo costituito da 31 temi,
suddivisi in dieci moduli.
Gli Exallievi sono il frutto più bello
della missione salesiana e una forza
che fa fermentare il mondo
Ottobre 2016
17

2.8 Page 18

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L’INVITATO
In quali aree ha concentrato
gli sforzi formativi?
Ho focalizzato l’attenzione sul bino-
mio identità e missione, perché sono
due dimensioni che si sostengono e
arricchiscono l’un l’altra e quindi de-
vono vivere in proficua complemen-
tarità. Perciò essere fedele alla propria
identità e alla propria missione è sem-
pre più urgente nel mondo di oggi,
segnato da tanta confusione e relati-
vismo. Gli Exallievi che hanno una
chiara identità e missione nella Chie-
sa e nella società, vivono pienamente
l’invito di don Bosco ad essere “onesti
cittadini e buoni cristiani”.
Come dovrebbe essere
un Exallievo di don Bosco
nella vita di tutti i giorni?
L’allievo che lascia la casa salesiana
deve sentirsi dotato di un’arma pode-
rosa: l’educazione ricevuta. Questa è
la sua password per il presente e per
il futuro. Con la convinzione che il
suo impegno e la sua responsabilità,
a fronte di tutte le difficoltà, cambie-
ranno il mondo, a partire da se stesso
e dalla sua famiglia. Proprio in virtù
dell’educazione ricevuta, l’Exallievo
di don Bosco deve assumere il valo-
re della solidarietà come stile di vita.
Cioè, deve essere un costruttore della
“carità sociale” o “carità politica” per-
ché solo la carità cambierà il mondo.
Quali sono le sfide
dei prossimi anni?
Secondo me sono: una vera cono-
scenza del nuovo Statuto della Con-
federazione mondiale; la conseguen-
te assimilazione e organizzazione di
un piano strategico a livello globale
e locale; il potenziamento e la pro-
pagazione delle Scuole per leader;
l’incremento delle unioni locali e
delle federazioni nazionali; una co-
municazione effettiva del centro con
le federazioni e delle federazioni tra
loro.
Momenti dell’“addio” di don José ai dirigenti degli
exallievi e ai confratelli della Casa Generalizia.
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Ottobre 2016

2.9 Page 19

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Dopo
75 anni
di liete
armonie
IL MAGNIFICO ORGANO
DELLA BASILICA
DI MARIA AUSILIATRICE
HA NECESSITÀ DI
UN URGENTE
E COSTOSO RESTAURO
AbAidbsIUeboliTgatOnmuooo
È uno stupendo organo con più di 5000 canne che ha accompa-
gnato con la sua voce potente e calda i più grandi avvenimenti
della Congregazione Salesiana.
Posto sulla cantoria accanto all’altar maggiore, fu costruito da
Giovanni Tamburini nel 1941 su progetto di Ulisse Matthey ed è
uno dei più grandi e preziosi d’Italia.
PUOI INVIARE IL TUO CONTRIBUTO:
POSTE ITALIANE
CCP 36885028 (allegato alla rivista)
IBAN IT93 X0760 1032 0000 0036885 028
BIC BPP IIT RR XXX
BANCA PROSSIMA S.P.A.
IBAN IT24 C033 5901 6001 0000 0122 971
BIC BCI TIT MX
INTESTATI A:
Fondazione DON BOSCO NEL MONDO
Via Della Pisana 1111 - 00163 Roma
CAUSALE:
Restauro Organo Maria Ausiliatrice
In caso di bonifico si raccomanda di indicare nella causale anche
i dati completi (nome, cognome e indirizzo) del donatore.

2.10 Page 20

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MONDO
1
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
FINO AI CO
GMG 1
O Dio, hai dimenticato
Aleppo?
Buongiorno, il mio
nome è Rand Mittri.
Ho 26 anni e sono
diplomata al Collegio
di Scienze Naturali in
Siria. Ora sto frequen-
tando il corso di laurea
( . .) presso l’Univer-
sità di Aleppo, sempre
in Siria.
Ogni giorno noi viviamo vite circondate da morte. Ma,
come voi, ogni mattina noi chiudiamo la porta di casa
per andare al lavoro o a scuola. È in quel momento che
siamo presi dalla paura che non ritorneremo a trovare le
nostre case o le nostre famiglie come le abbiamo lasciate.
Forse saremo uccisi in quel giorno. O forse saranno uc-
cise le nostre famiglie. È una sensazione dura e dolorosa
sapere che sei circondato da morte e uccisioni, e che non
c’è possibilità di scappare; non c’è nessuno che ti aiuti.
O Dio, dove sei? Perché ci hai abbandonato? Ma tu,
esisti davvero? Perché non hai pietà di noi? Forse che
tu non sei il Dio dell’amore? Noi ogni giorno passiamo
alcuni minuti ponendoci queste domande. E io non ho
una risposta!
È possibile che questa sia la fine e che noi siamo nati per
morire nella sofferenza? O siamo invece nati per vivere e
per vivere la nostra vita in pienezza? La mia esperienza
durante questa guerra è stata dura e difficile. Ma mi ha
fatto maturare e crescere prima del tempo, e mi ha fatto
vedere le cose sotto una prospettiva diversa.
Io presto servizio al Centro Don Bosco in Aleppo. Il no-
stro centro ospita più di 700 giovani, ragazzi e ragazze, che
vengono nella speranza di vedere un sorriso e di sentire una
parola di incoraggiamento. Essi sono anche alla ricerca di
qualcosa che manca nella loro vita: un trattamento umano
genuino. Ma è difficile per me dare gioia e fede agli altri,
mentre io stessa mi sento priva di queste cose nella mia vita.
Noi abbiamo perso tante persone al nostro Centro in
questa guerra. Jack, un ragazzo di 13 anni, morto mentre
aspettava il bus che lo avrebbe portato ad assistere a una
lezione di catechismo e a giocare con i suoi amici. Sfor-
tunatamente, l’amarezza della guerra e l’odio nel cuore
degli uomini hanno ucciso questo ragazzo. Anwar e
Michelle ci hanno lasciato una sera, e noi aspettavamo di
rivederli l’indomani di ritorno al Centro. Ma sfortunata-
mente, il loro sonno quella notte divenne eterno, perché
la loro casa fu distrutta e rovinò su di loro, ed essi sono
andati con gli angeli in cielo. Tra altri che sono morti, ci
sono i miei amici Nour, Antoine, William e molti altri
ragazzi e ragazze, la cui sola colpa è di aver osato credere
nell’umanità. Sono tutti martiri in questa guerra san-
guinosa e senza senso che ha distrutto le nostre anime, i
nostri sogni e le nostre speranze. La distruzione della vita
umana è una perdita infinitamente più grande in parago-
ne alla distruzione di mattoni e pietre.
Nonostante tutta questa sofferenza, la mia vita e la vita
dei miei amici nella chiesa hanno continuato ad essere
vite di servizio e di donazione gioiosa ai ragazzi e ai
giovani della nostra città. Noi seguiamo le orme di don
Bosco, il quale raddoppiava la sua gioia come risposta a
una sofferenza crescente. Noi vediamo la presenza di Dio
in un fanciullo che aiuta a portare l’acqua. Vediamo Dio
in coloro che lavorano per salvare gli altri che sono in
pericolo. Noi vediamo Dio nei genitori che non si arren-
dono finché non riescono a portare cibo ai loro figli.
Nella mia povera esperienza di vita, ho imparato che la mia
fede in Cristo supera le circostanze della vita. Questa verità
non è condizionata al vivere una vita di pace, senza diffi-
coltà. Io credo sempre di più che Dio esista nonostante la
nostra sofferenza. Io credo che a volte, attraverso la nostra
sofferenza, Egli ci insegni il vero senso dell’amore. La mia
fede in Cristo è la ragione della mia gioia e della mia spe-
ranza. Nessuno potrà mai rubarmi questa vera gioia.
20
Ottobre 2016

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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MONDO
Carisma salesiano e Smartphone
Un salesiano ha per missione quella di stare con i giova-
ni: in cortile, a scuola, in oratorio, in chiesa, nei cortili
digitali… e anche nello smartphone. Il fenomeno del-
le app salesiane è in costante crescita e rappresenta un
importante canale di trasmissione del carisma salesiano
tra i ragazzi. Uno studio realizzato da Mauricio Ponce,
di El Salvador, Salesiano Cooperatore e collaboratore
grafico del Bollettino Salesiano del Centro America, ha
iniziato ad approcciarsi a questo tema, scoprendo dati
molto interessanti.
Dal 2013 ad oggi in tutto il mondo sono state lanciate e
rese disponibili nelle principali piattaforme digitali (iOS,
Android) circa 80 app salesiane, con un “boom” nel 2015,
quando ne sono state rilasciate 45.
Il Brasile e l’Italia sono i paesi che ne hanno sviluppate
numericamente di più, mentre per quanto riguarda il
numero di utenti che le hanno scaricate
le punte d’eccellenza le raggiungono
l’editrice “Edebe” del Brasile, “Radio
Dom Bosco”, sempre in Brasile, e
“Universidad Don Bosco” di El Salvador, con oltre
10 000 download sulla piattaforma Android.
Per quanto riguarda l’origine e lo scopo di queste app,
quasi il 60% proviene da scuole e istituti educativi,
ma ce ne sono per tutti i gusti: app relative a singoli
eventi, come quella del “
2015” per
il raduno dei giovani a Torino in occasione del Bicen-
tenario; app inerenti delle campagne, come “Pasaporte
0%” in Spagna e “Una Stella” in Italia, rispettivamen-
te sul consumo di alcol e le migrazioni; altre riguar-
dano libri e riviste; 4 riguardano radio salesiane;
4 costituiscono la versione per i dispositivi mobili
del Bollettino Salesiano – edizioni del Brasile, Centro
America, Italia e Cina; e due di esse rappresentano
giochi.
Ottobre 2016
21

3.2 Page 22

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Don ALBERA
1910-1921
Don RUA
1888-1910
Don RINALDI
1922-1931
Don
RICALDONE
1932-1951
Don
ZIGGIOTTI
1952-1965

3.3 Page 23

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I SUCCESSORI
DI
DON BOSCO
Don
RICCERI
1965-1977
Don
VECCHI
1996-2002
Don VIGANÒ
1977-1995
Don CHÁVEZ
2002-2014
Don
FERNÁNDEZ
ARTIME
dal 2014

3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
SILVIO CARLIN
Châtillon
Nato come orfanotrofio, il “Don Bosco”
di Châtillon da settant’anni educa e forma
umanamente e cristianamente i giovani
valdostani, con una esemplare collaborazione
con le famiglie e il territorio.
La scuola di
Châtillon prepara
gli studenti con
professionalità e
competenza.
L’Istituto “Don Bosco” di Châtillon vanta
quasi 70 anni di storia in Valle d’Aosta.
L’attività dell’opera ha inizio nel dopo-
guerra allo scopo di accogliere ragazzi
bisognosi di sostegno morale, spirituale,
sociale ed economico. I salesiani vengo-
no chiamati in Valle nel 1947 dalla Società “Saif-
ta,” che gestisce lo stabilimento “Soie” di Châtil-
lon. È la stessa direzione dello stabilimento a
mettere a disposizione alcuni locali per accogliere
dapprima orfani e figli dei loro dipendenti ed in
seguito, tutti quei ragazzi che hanno bisogno di
imparare un mestiere e di ricevere un aiuto mate-
riale e spirituale.
Alla fine di agosto del 1948, 33 ragazzi costitui-
scono il primo nucleo di allievi. Inizia un regolare
corso di Avviamento Professionale di tipo Indu-
striale nelle due specializzazioni per Meccanici-
aggiustatori e Falegnami-ebanisti.
Con l’introduzione della scuola dell’obbligo,
l’Avviamento Professionale viene sostituito dalla
Scuola Media, e la Scuola Tecnica dall’Istituto
Professionale per l’Industria e l’Artigianato, nelle
due specializzazioni di Congegnatori meccanici e
di Ebanisti-mobilieri.
Iniziatore dell’opera e primo direttore dell’Istituto
è don Giovanni Gobber, un salesiano che, per la
sua lunga permanenza in Valle (53 anni), si è pro-
fondamente inculturato nella tradizione valdosta-
na ed ha profuso tutte le sue energie per il successo
dell’Opera e per la buona formazione degli allievi.
La “Châtillon-Montefibre”, terminata l’attività,
non può più sostenere economicamente l’Orfa-
notrofio e ne mette in vendita la struttura. La
Regione Valle d’Aosta, nel maggio 1980, consi-
derando fondamentale la presenza educativa dei
24
Ottobre 2016

3.5 Page 25

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Salesiani in Valle, acquista tutta la struttura sco-
lastica e ne affida la gestione, in Comodato gra-
tuito, ai Salesiani. Successivamente, con graduali
interventi, l’Amministrazione Regionale prov-
vede a moltiplicare gli ambienti, creando aule,
studi, cortile per la Scuola secondaria di primo
grado separata dal Professionale e trasformando
tutti gli spazi esistenti in strutture indispensabili
ad una scuola in pieno sviluppo.
Nel 1985 avviene lo sdoppiamento delle sezioni
nella Scuola media ed iniziano dei Corsi di post-
qualifica. Sullo spazio occupato dalle vasche che
servivano per la lavorazione della Soie viene crea-
to un cortile da gioco per i ragazzi che negli anni
seguenti (1992/3) è coperto da una solida struttu-
ra atta a permettere ai ragazzi di usufruire di tale
spazio per la ricreazione, gli intervalli e l’attività
motoria anche nel periodo invernale e nelle con-
dizioni atmosferiche meno favorevoli.
Nel 1996 vengono ristrutturate la cucina e la cap-
pella; nell’ambito della Scuola media vengono
inserite anche le ragazze in una scuola che, fino
a quel momento è stata pensata unicamente per
maschi.
Nel luglio del 2001, per interagire con l’Agen-
zia del lavoro e il Fondo sociale europeo, nasce
l’Associazione / Regione Valle d’Ao-
sta – Don Bosco. Ha come scopo la formazione
e l’aggiornamento professionale, la promozione
umana, civica e cristiana dei giovani avviati al
mondo del lavoro o bisognosi di conseguire com-
petenze o qualifiche nell’ambito dell’esercizio
della propria professione.
La Riforma scolastica del 2010 segna l’inizio del
percorso quinquennale di Scuola Secondaria di
Secondo Grado come Istituto Professionale del
settore industria e artigianato, nell’ambito della
falegnameria e della meccanica industriale.
Oggi possiamo contemplare ed usufruire di un
complesso scolastico e convittuale rispettabile
sotto tutti gli aspetti.
Una magnifica collaborazione
Il bacino di utenza dell’Istituto Salesiano non si
limita al territorio comunale, ma si estende a tutta
la Valle d’Aosta. Il convitto garantisce a coloro
che sono troppo distanti per viaggiare quotidia-
namente la possibilità di frequentare la scuola.
La motivazione fondamentale per cui gli alunni si
iscrivono presso il nostro Istituto è quella di cre-
scere in un ambiente sano e pulito come “buoni
cristiani ed onesti cittadini”; per gli alunni della
Scuola secondaria di secondo grado l’obiettivo è
anche quello di imparare un mestiere.
La situazione di partenza è molto variegata: al-
cuni alunni hanno situazioni e contesti familiari
difficili alle spalle e cercano qui un sostegno per
crescere come persone autonome e responsabili,
Gli allievi
respirano un felice
clima spirituale
ed educativo,
ricco di attività
e iniziative.
Ottobre 2016
25

3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
La vicinanza
delle stupende
vette valdostane
è l’occasione
per “imprese”
appassionanti e
formative.
per costruirsi un futuro; altri vivono situazioni
serene e desiderano prepararsi in modo eccellente
al proprio futuro.
Il principale scopo è l’attenzione per gli alunni più
bisognosi, più in difficoltà, più a rischio, quelli la
cui famiglia bisogna assistere e in qualche caso
sostituire o addirittura quelli per i quali rimanere
più a lungo possibile in un ambiente “sano” signi-
fica essere tolti dalla strada.
Tutto questo in collaborazione con i servizi socia-
li, con le scuole di provenienza, con le famiglie e
con il territorio. L’Istituto don Bosco ha instau-
rato rapporti sempre più stretti con le Istituzioni
e le aziende; la partecipazione a tutte le iniziative
promosse sul territorio è considerata una priorità.
che hanno ricevuto frequentando una scuola sa-
lesiana. La nostra associazione locale è ben or-
ganizzata. Il rapporto tra l’opera e gli exallievi è
monitorato dalla presidenza con incontri zonali
lungo l’anno e quello regionale nella sede dell’I-
stituto. A Pasqua e a Natale una lettera via mail
raggiunge tutti coloro che si sentono più vicini e
desiderano essere coinvolti. Il legame con l’Opera
è sentito con profonda riconoscenza.
La ripresa del Servizio Civile Nazionale ( )
con i Salesiani, organizzato dalla dell’Ispet-
toria, vede coinvolti in questo servizio ogni anno
tre exallievi.
La Parrocchia di Chamois (altit. 1815). Dal
1981 affidata pastoralmente alla persona di don
Benito Strizzolo in qualità di parroco, costitui-
sce un felice legame affettivo con la comunità di
Châtillon. Da un anno il testimone è passato a
don Bartolo Pirra sdb.
Le Attività formative
Il Buon giorno e la Buona sera, ora di anima-
zione, celebrazioni sacramentali (mensilmente
viene proposta la celebrazione dell’Eucaristia e la
possibilità del sacramento della Riconciliazione).
Giornate di riflessione, Ritiri.
L’ora di religione è un’attività proposta a tutti
i ragazzi (di ogni fede e in qualunque rapporto
con Dio) in cui ci si confronta in modo critico
I rami di un albero saldo
L’Associazione di Salesiani Cooperatori. È
uno dei gruppi della Famiglia Salesiana fondati
da don Bosco; vi prendono parte uomini e don-
ne che si sentono chiamati a vivere da autentici
cristiani lo spirito salesiano nell’ambiente in cui
operano, facendo propria la missione di don Bo-
sco. Il nostro è un gruppo piccolo ma ben affia-
tato e lavora prevalentemente nella nostra scuola.
L’Associazione degli exallievi ed exallieve
di don Bosco. Anche gli Exallievi fanno parte
della Famiglia Salesiana in virtù dell’educazione
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Ottobre 2016

3.7 Page 27

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TRE DOMANDE AL DIRETTORE DON SILVIO CARLIN
Qual è la cosa che ti dà più soddisfazione?
La gioia e la soddisfazione sono il risultato della concomitanza di tanti fattori. È
difficile che ci sia una sola realtà che produca uno stato di benessere psicolo-
gico, affettivo, interiore da determinare un senso di soddisfazione. Comunque
guardando all’Opera don Bosco di Châtillon mi esprimerei in questo modo: è la
stima e l’apprezzamento che la Scuola gode agli occhi delle autorità civili e reli-
giose, delle famiglie, dei servizi sociali, di quanti hanno modo di accostarsi alla
nostra realtà e di condividerne qualche aspetto. La ricaduta delle buone prassi,
dell’attenzione agli ultimi, della cura delle relazioni producono questo risultato di
cui siamo ampiamente soddisfatti.
Come sono i giovani valdostani?
I giovani della Valle d’Aosta hanno dei pregi e dei difetti come tutti i giovani di questo mondo. Quelli che conosco io e
frequentano la nostra scuola sono molto legati alla loro Valle, affezionati al paese, alla casa, alle tradizioni locali, amanti
della musica e del canto. Per la maggior parte la casa paterna è ancora un valore da conservare nel tempo. Sono molto
disponibili al lavoro, al pratico, generosi nel prestarsi quando si tratta di spendere le loro energie a favore di un’opera
di bene. Religiosamente sono fragili, piuttosto indifferenti alla proposta evangelica specie se non sono sostenuti dalla
testimonianza della famiglia. Talvolta faticano ad osservare norme disciplinari e proposte educative, ma con il passare
del tempo ne riconoscono il valore e l’importanza manifestando riconoscenza ed affetto.
Qual è il tuo sogno per l’opera salesiana di Châtillon?
Sogno che la nostra opera possa continuare a svolgere il suo servizio di complementarietà alle altre Istituzioni a favore
dei giovani valdostani, offrendo loro un cammino formativo che li porti ad essere, secondo il sistema educativo di don
Bosco, “buoni cristiani ed onesti cittadini”. Mi auguro che l’Amministrazione Regionale possa continuare a sostenerci
economicamente in modo da rendere possibile il servizio che offriamo ai ragazzi meno fortunati e meno abbienti della
nostra Regione. Il mio sogno è di mettere in atto tutti i mezzi possibili perché i giovani valdostani possano guardare al
futuro con più serenità e fiducia in sé e nelle istituzioni e diventare protagonisti alla luce degli insegnamenti che la Scuola
sta cercando di trasmettere loro.
con il pensiero della grande tradizione culturale e
religiosa cristiana.
Il Convitto
L’Istituto offre la possibilità ai ragazzi dell’Isti-
tuto Professionale, che abitano più distanti o che
hanno difficoltà di studio a casa, di risiedere du-
rante la settimana in convitto. È un’opportuni-
tà per i ragazzi più impegnati di sfruttare bene
i tempi di studio e di usufruire di più tempo per
il riposo, ma anche di fare una particolare e for-
mativa esperienza di vita. La possibilità di vivere
fuori casa, la richiesta di disponibilità nella col-
laborazione per il buon andamento del convitto,
l’aiuto offerto ai compagni e la responsabilizza-
zione nelle varie attività permettono ai giovani di
realizzarsi maggiormente nel desiderio di essere
protagonisti e di imparare ad assumersi con co-
scienza le proprie responsabilità maturando come
persone libere.
Il convitto offre accoglienza dal lunedì mattina al
venerdì a pranzo.
Ha a disposizione per i momenti di studio, di ag-
gregazione, di formazione e di refezione alcuni am-
bienti della scuola, mentre per la notte sono a di-
sposizione camerette a due, e camerate grandi dove
i ragazzi sono sempre assistiti da educatori.
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3.8 Page 28

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LA MIA AFRICA
SUOR MARIA PIA
Cronaca di Moukondo
Moukondo,
11 maggio 2016.
Fuori tira un piacevole
venticello, mi dicono che
sta arrivando la stagione
secca e il caldo smetterà
di essere così caldo. È già un bel rega-
lo a Moukondo!
Sono andata all’orfanatrofio di Mam-
ma Celeste. Un grappolo di bambini,
da 1 a 3 anni in un fazzoletto di corti-
le! Sono corsi “tutti” a ritagliarsi il loro
piccolo spazio di attenzione, di cocco-
le, di salti in braccio. In pochi secondi
mi sono sentita avvinghiata da quelle
manine, piccole morse, che a tutti i co-
sti non volevano mollare la presa.
Charles, Tomas, i più intraprendenti,
mi si erano già appesi al collo. Non
portavo nulla con me, in quel mo-
mento, ma cercavo i loro occhioni e mi
sorridevano! Prendevo tra le mie mani
i loro visetti neri, macchiati di terra e
altro! e li accarezzavo. Se mi spostavo
si spostavano, se mi fermavo si ferma-
vano. Erano troppo belli con i loro
pochi stracci su un corpicino libero ai
quattro venti. Per un attimo mi sono
rivista i nostri bambini strasazi di tut-
to e con le lacrime a telecomando per
ottenere capricci su capricci. Perché?
Chiediamocelo pure!
Sono entrata nella cameretta dei picco-
lissimi da 0 a 1 anno. Nelle loro culle
di legno povero, tendevano le bracci-
ne, spalancavano gli occhioni spauri-
Le prime toccanti
impressioni di una suora
che inizia la sua missione
in un villaggio del
Congo Brazzaville.
ti, sembravano supplicare: «Prendimi,
prendimi almeno per un attimo!» Ne
ho stretto due tra le mie braccia, pro-
prio come avrebbe fatto la loro mam-
ma se avesse potuto amarli! Vi assicuro
che la ‘maternità’ entra in circolo! Non
ha titoli, è innata, non ha bisogno di
lezioni speciali, perché solo l’ha
messa nel cuore della donna per farla
uscire al momento opportuno. E quel-
lo era il mio momento!
Ma è arrivata l’ora di staccarseli di
dosso. Una vera impresa. Charles,
Tomas e altri hanno capito benissi-
mo. Smettono di sorridere ed ecco
la disperazione. Lasciarli così vuol
proprio dire farti spezzare il cuore.
Non c’è altra scelta. Bisogna andare!
Fuori dal cancello, mi guardo intor-
no, mi sento più povera che mai, ma
mi si vedono stampati addosso i segni
di quelle manine imbrattate di terra e
di altro! Mi passo una mano sul viso
e mi appiccico tutta! È quanto di più
bello potessero lasciarmi quei visetti
impiastricciati di lacrime e di altro!
Ecco, ho trovato ‘un perché’ sono
entrata in questa ‘favola africana!’
“Qualunque cosa avrete fatto a uno di
questi piccoli, l’avrete fatta a me!” Ne
vale la pena? Certissimamente!
Moukondo, 17 maggio 2016
Qualche mattina fa, mentre esco
dal cancello, mi si inchioda davanti
un bambino tra i 7 e gli 8 anni. Mi
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Ottobre 2016

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sorride, aspetta da me qualcosa? Gli
dico: «Ciao!» Mi sorride. Gli chiedo:
«Come ti chiami?» mi sorride. Forse
non mi capisce, penso, glielo richiedo
in francese: «Comment tu t’appelle?».
Un sorriso birichino, scuote la testa
come a dirmi: «Non ho nome!». Ma
l’aria furbetta sembra dirmi: «Non te
lo dico!». Vorrei capirne di più. Chie-
do aiuto a suor Rosetta. Viene e si
intrattiene qualche minuto con lui,
poi il bambino si allontana. Rosetta
torna e mi racconta che quel matti-
no il papà l’aveva abbandonato lungo
la strada, se n’era andato, la mamma
non sa dove sia e il bambino che non
vuole dire il suo nome, non sa dove
andare. E noi non abbiamo dove ac-
coglierlo!!! E la rabbia ti grida dentro!
Che fai? Abbassi gli occhi, vedi solo
sabbia senza consistenza e ti senti
sprofondare come i tuoi piedi! Dove
sarà andato il bambino senza nome?
Non lo so. L’ho visto girare l’angolo
e regalarmi ancora un sorriso, triste,
ma pur sempre un sorriso!
E io? Ho cercato di trattenere almeno
quel sorriso per spedirlo al cuore di
che mi ha voluta qui e al Quale
chiederò con tutta l’anima di fare qual-
cosa per soccorrere tanti abbandoni!
Tanta solitudine! Tanta sofferenza!
E dovrà soccorrere pure la giovane
mamma che pochi minuti fa ha suo-
nato il campanello. Ho aperto. Pochi
secondi sono bastati per riversarmi
con tanta dolcezza e immensa tristez-
za il suo cuore gonfio. L’ho ascoltata,
l’ho abbracciata, sono entrata nei suoi
occhi segnati dal dolore! Purtroppo la
povertà della mia lingua francese ha
potuto ben poco!...
Moukondo, 26 maggio 2016
Una ragazzina del Corso di Alfabe-
tizzazione, 13 o 14 anni, stamattina,
all’inizio lezione, si è seduta sul suo
scanno, e facendosi scudo con una
mano, con l’altra continuava ad asciu-
garsi le lacrime che scorrevano a riga-
gnoli sulla guancia di un nero levigato.
Vergognosa, timida, cercava di sot-
trarsi alla vista delle compagne e della
stessa insegnante, ma era impossibile
per suor Rosetta non vedere quegli oc-
chi arrossati, quelle labbra tremanti.
Le va vicino, le chiede il perché di
quel pianto: labbra cucite, silenzio er-
metico! La invita ad uscire dal banco
e l’accompagna da noi, fuori dalla vi-
sta delle compagne. La vedo arrivare
asciugandosi gli occhi con il polsino
della divisa di scuola e mentre suor
Rosetta mi informa di quel pianto
inarrestabile, incrocio più volte quegli
occhi e non servono tante parole! Ma
ce lo facciamo raccontare da lei: il pa-
dre è un militare, ha abbandonato la
mamma con 4 figli; lei è la più gran-
de, il più piccolo ha due anni. Ogni
tanto questo padre torna ubriaco, pic-
chia la mamma e pretende soldi. E la
mamma non ha di che sfamare i figli.
Da ieri non toccano cibo e, con un
singhiozzo da rompere anche il cuo-
re più duro, ci dice: «Io posso ancora
farcela, ma il mio fratellino piange
e piange e piange!» Che fare? Come
rimanere sordi a tanto dolore? La in-
vitiamo a rientrare in classe e le assi-
curiamo che per oggi i suoi fratellini
avranno il pranzo. Poi vedremo!
Mentre il cancello è aperto, ne appro-
fitta una giovane mamma. Si appog-
gia su una stampella, perché la gamba
destra non è cresciuta abbastanza e il
piedino deforme penzola sotto la lun-
ga gonna che qui chiamano ‘le pagne’.
Le saltellano intorno due vispi bim-
betti: lei di 9 anni, lui di 7 anni. La
mamma chiede aiuto, perché il mari-
to che faceva il sarto in un botteghino
lungo la strada, ha rotto la macchina
da cucire, quindi non può più lavorare
e non sanno come trovare i soldi per
comprare qualcosa da mangiare.
Questa è ancora la mia Africa!
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3.10 Page 30

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HANNO DATO LA VITA
TERESIO BOSCO
Gloria
per un
Nella Missione Salesiana
del Mato Grosso (Brasile)
inizia il processo per
martirio di don Rudolf
Lunkenbein, ucciso a 37
anni. Nell’ultima lettera
aveva scritto: «Mamma,
non c’è nulla di più bello
che morire per Dio».
L’ultimo giorno di vita del
missionario salesiano don
Rodolfo Lunkenbein, 37
anni, era cominciato, come
al solito, con la preghiera e
la Messa. Poi il missiona-
rio era andato nella piantagione con
la vecchia jeep della seconda guerra
mondiale, sempre guasta.
Il capo tribù dei Bororo, di nome
Aidje-Kuguri (cioè «Piccolo Ippo-
potamo», ma per gli amici semplice-
mente Eugenio) stava ancora facendo
colazione nella sua casetta. In una
stanza della missione la direttrice
delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
martire
suor Rita, si apprestava a uscire per
sorvegliare i ragazzetti indigeni che
giocavano nel torrente.
La bufera che covava da tempo scop-
piò alle nove di quel mattino, quando
i fazendeiros arrivarono a Meruri.
Non attaccarono subito la missio-
ne. Fermarono due agrimensori a
quattro chilometri dal villaggio.
Disarmarono i quattro indigeni che
li accompagnavano, li minacciaro-
no con le loro stesse armi, li fecero
salire come prigionieri sulle auto
e ripartirono. Raggiunsero alcune
case coloniche dove si fermarono per
mangiare un boccone e bere cachaça e
rum. Eccitati, puntarono decisi sulla
missione.
Era in corso la lotta antica per la ter-
ra. Due organizzazioni collegate con
il Ministero degli Interni, la Funai e
l’Incra, tutelano gli interessi rispetti-
vamente degli indigeni e dei coloni;
ma nello svolgimento dei loro compiti
incontrano non poche difficoltà.
Centinaia di piccoli possidenti slog-
giati dalle grandi fattorie dei ricchi
latifondisti, invadevano i territori
degli indigeni e lì si fissavano, in si-
tuazioni a volte di estrema indigenza.
Era il caso di Meruri. La presenza
degli agrimensori della Funai venuti a
ripartire i terreni aveva d’improvviso
rinfocolato il furore.
Quando i fazendeiros arrivarono (in
tutto erano 62, armati di pistole e
coltelli) desiderosi di sfogare la loro
rabbia, trovarono solo un piccolo
missionario, padre Ochoa. Comin-
ciarono a malmenarlo, gridando che
i missionari erano tutti ladroni, che
volevano per sé le terre degli indi-
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Ottobre 2016

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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geni. I guerrieri bororo erano parti-
ti una settimana prima per la caccia
all’arara (il grosso pappagallo iridato)
e al pecari (una specie di cinghiale).
Il piccolo missionario spintonato e
insultato non sapeva come difender-
si, quando arrivò padre Rudolf. Era
accalorato per la fatica, e sorridente.
Aveva le mani sudice di grasso, per-
ché aveva dovuto riparare ancora una
volta la jeep.
«Padre diretor, vai para
a casa do Pai»
Gli invasori erano uomini conosciu-
ti nel villaggio. Il capo Eugenio, che
aveva finito colazione e si stava avvi-
cinando, riconobbe subito Joào, Preto,
e molti altri. Joào e padre Rudolf par-
lavano di terre e di misurazioni, e il
missionario cercava di dare spiegazio-
ni. «Non è così» diceva. «Queste mi-
surazioni sono cose ufficiali, coman-
date dalla Funai...». I coloni invece si
sentivano defraudati.
Allora padre Rudolf propose di fare
l’elenco di tutti coloro che intendeva-
no protestare: egli in persona avrebbe
raccolto la loro protesta e l’avrebbe
inoltrata alla Funai, l’organizzazione
governativa che protegge gli indige-
ni. Così entrarono nella direzione,
e padre Rudolf si sedette. Scrisse su
un grande foglio uno dopo l’altro 42
nomi. Quel foglio è rimasto sul tavo-
lo: la grafia evidentemente nervosa.
Padre Rudolf non immaginava che
scriveva per l’ultima volta, e che ver-
gava i nomi dei suoi uccisori.
Sembrava tutto accomodato. Il ca-
cico, i nove indigeni, gli agrimenso-
ri, i fazendeiros tornarono all’aperto
e padre Rudolf strinse a ciascuno la
mano. Gli agrimensori scaricarono
da un’auto le loro attrezzature, per
ricuperarle. Vennero estratte anche le
armi sequestrate agli indi bororo. Al
vedere quella strana operazione, pa-
dre Rudolf uscì in un’esclamazione di
stupore e di rimprovero. Gli fu fatale.
João Mineiro subito lo percosse con
una manata. Gli indigeni accorsero al
suo fianco. Joào estrasse di tasca una
rivoltella Beretta. Stava prendendo la
mira quando Gabriel, uno dei Bororo,
gli afferrò il polso. Nello stesso istan-
te Preto estrasse la sua pistola e fece
fuoco sul missionario. Dalla veranda
suor Rita vide padre Rudolf portare
le mani al petto, e la sua figura alta
e robusta barcollare. Preto sparò altri
quattro colpi sul missionario, che ro-
vinò al suolo.
L’indio Simão che aveva tentato di
difendere il missionario fu colpito in
pieno. La madre del giovane indio, Te-
reza, corse presso il figlio per soccor-
rerlo, e ricevette una pallottola al petto.
E finalmente gli assalitori fuggirono.
Saltarono sulle auto. Quattro di loro,
a piedi, afferrarono il povero Luis
Bispo, sedici anni, uno dei loro col-
pito per errore, e se lo trascinarono
dietro per un centinaio di metri; poi
lo abbandonarono dietro una siepe.
Morto.
Suor Rita corse dove padre Rudolf
giaceva nel sangue. Era vivo, ma agli
estremi. Poté offrirgli solo una parola
di conforto: «Padre diretor, vai para
a casa do Pai» (Padre direttore, tor-
ni alla casa del Padre). Il missionario
abbozzò un sorriso, poi il suo cuore
si fermò.
Il sacrificio era compiuto. La Messa
di Rudolf Lunkenbein era finita.
Nella notte la polizia, sopraggiun-
ta, arrestava sette persone. Poi altre
quattro. Tra esse, l’assassino di padre
Rudolf.
Il Pesce Dorato
Lunke! Così lo chiamavano sua ma-
dre e gli amici, sin dai tempi di scuola
in Germania, sua terra natale. Il suo
nome era Rodolfo e chi lo avvicinava
per la prima volta rimaneva impres-
sionato dalla sua imponente altezza di
1 metro e 92, come una certa diffi-
coltà per pronunciare il suo cognome
tedesco: Lunkenbein!
Tuttavia, subito dopo l’impatto ini-
ziale, chiunque si sentiva accolto dalla
Ottobre 2016
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4.2 Page 32

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HANNO DAT0 LA VITA
I Bororos preparano padre Rudolf e un altro
confratello salesiano per una festa. Il sorriso
allegro e affettuoso del gigante buono aveva
conquistato tutti.
bontà contagiosa e dal sorriso allegro
ed affettuoso di quel prete salesiano
missionario. I fieri indigeni della sua
missione, i Bororos, più poeticamente
gli avevano messo nome “Koge Eku-
reu” (Pesce Dorato).
Don Rodolfo era nato il 1º Aprile del
1939, a Döringstadt, in Germania,
poco prima dell’inizio della Seconda
Guerra Mondiale. Sentì il desiderio
di essere missionario quand’era anco-
ra adolescente, leggendo le pubblica-
zioni salesiane.
Sicuro della sua vocazione, don Ro-
dolfo sbarcò in Brasile come missiona-
rio, fece il noviziato a San Paolo ed il
post-noviziato a Campo Grande, come
prima esperienza compì il tirocinio a
Meruri, dove rimase fino al 1965.
Ritornò in Germania per gli studi
teologici e la specializzazione in mis-
sionologia.
Ordinato sacerdote il 29 giugno 1969,
poté ritornare a Meruri, dove i Bororos
lo ricevettero con grande affetto.
Il difensore dei Bororos
Il missionario sovente aveva fatto ap-
pello alle autorità perché intervenisse-
ro. «Negli ultimi due anni era andato
con frequenza a Brasilia, alcune vol-
te accompagnato dal cacico Eugenio
e dal figlio Lorenzo. «L’anno scorso
Lorenzo aveva convocato un incontro
di capi indigeni, svoltosi a Meruri, in
cui i rappresentanti delle varie tribù
avevano affrontato il problema della
difesa delle loro terre».
Per conto suo padre Rudolf aveva
scritto diverse lettere alla Funai e al-
trove, «chiedendo l’adozione di misure
urgenti per evitare scontri pericolosi
tra bianchi e indigeni». Per esempio
nel dicembre 1974 «avvertiva le auto-
rità degli atti ostili che venivano mes-
si in pratica contro gli indigeni da un
noto fazendeiro». E nel gennaio 1975
«lamentava che alcuni coloni avevano
invaso le piantagioni degli indigeni,
mettendo in libertà decine di buoi, che
avevano distrutto gran parte dei campi
coltivati dalla comunità bororo».
E soprattutto, scrivevano i giorna-
li: «Si deve a lui se Funai da qual-
che tempo aveva iniziato il lavoro di
demarcazione della riserva Bororo».
Infatti una commissione del Funai,
seguita passo passo da padre Rudolf,
aveva compiuto i necessari rilevamen-
ti, in base ai quali si era giunti a un
inequivocabile Decreto sull’assegna-
zione amministrativa dell’area dei
Bororos. L’ultimo passo, quello della
demarcazione dei terreni compiuta da
appositi agrimensori, risultò fatale a
padre Rudolf.
Monsignor Thomas Balduino, presi-
dente del Cimi (Consiglio missiona-
rio per gli indigeni), dichiarò: «Padre
Rudolf non si trovava per caso dalla
parte degli indigeni. Sapeva che an-
dava a morire, che una volta o l’altra
sarebbe caduto. Ma diceva che non
sarebbe tornato indietro neppure di
un passo».
Vivo nelle Terre Fertili
L’albero è il campanile. Nel cortile
della missione salesiana, nel villaggio
dei Bororo, c’è un immenso albero,
un mango, da cui pendono tre o quat-
tro spezzoni di rotaia. Percossi con
una sbarra di ferro dalle suore della
missione, essi suonano come campa-
ne. L’albero del mango è il campanile
della missione. All’ombra di questa
pianta solenne sono soliti riunirsi, alla
fine di ogni settimana, gli indigeni.
I loro capi dapprima conversano con
i padri. Si scambiano informazioni,
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Ottobre 2016

4.3 Page 33

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prendono decisioni. Poi riuniscono
gli altri in cerchi, a piccoli gruppi, e
lì, nella lingua Bororo discutono.
Ma quel venerdì 16 luglio 1976, men-
tre le ombre della sera cadevano velo-
ci, il cortile della missione offriva un
altro spettacolo. Era pieno di donne
indigene che piangevano con i bebè
al collo, e di cani che gironzolavano
senza scopo. Nella chiesa della mis-
sione si vegliavano i corpi di padre
Rudolf e del bororo Simão.
Sul fare della sera, i capi bororo che
presiedono alle consuetudini e alle
tradizioni, compirono per Simào il
«bari-tuxene», la cerimonia in canto
con cui si augura al defunto di rag-
giungere le Terre Fertili e molta pace.
I missionari avevano officiato una
Messa, ora tutti si preparavano al
seppellimento. L’orizzonte del cielo
era cinto dalla fascia vermiglia del
tramonto quando il corteo prese la
via del cimitero passando lungo le
case dai colori sbiaditi del villaggio.
Un polverone si sollevava dal suolo
soffice. I Bororos piangevano con il
loro pianto dai toni strani, gutturali,
mentre l’uccello quero-quero gracida-
va lì vicino. Padre Mario Gosso, della
«Colonia Xavante» San Marcos, re-
citò le ultime preghiere leggendo alla
luce di una lanterna.
All’indomani, sabato, la luce del pie-
no meriggio entrava dalle ventidue fi-
nestre della chiesa di missione quan-
do cominciò la messa funebre per
padre Rudolf. Sopra la cassa c’era un
fantastico diadema di penne d’arara,
e il morto aveva sul capo il «tiwaba
etoiaba», l’ornamento riservato ai ca-
cichi. Poco prima quattro Bororo ave-
vano intonato gli stessi canti già ese-
guiti per Simão. Agitando le maracas
avevano cantato e pianto. Le donne
indigene sedute attorno all’altare ave-
vano accompagnato i cantori con il
contrappunto dei loro acuti lamenti.
La cassa venne poi portata lungo il
cammino polveroso; apriva la marcia,
tenendo alta la croce, l’indio xavante
Ronema, con le orecchie attraversate
da due «wed-hu», i grandi orecchini
di legno. Sull’orlo della fossa, uno dei
tredici missionari presenti pregò, e un
Bororo, con un ornamento identico a
Padre Rudolf dopo aver conseguito il brevetto di
pilota per aerei.
Sotto: La tomba di don Rodolfo al centro del
villaggio.
quello del missionario morto, intonò
il canto funebre.
«O o o o o o, ro-ro-ro». Così piangono
tutti gli indigeni.
«Koge Ekureu» era stato ucciso perché
agli indigeni Bororo fosse concesso di
possedere ancora le loro terre, quelle
dei loro padri, dei loro antenati. Ma
essi si confortavano perché sapevano
che questo cacico venuto da un pae-
se lontano era vivo per sempre, nelle
Terre Fertili dove c’è molta pace.
“Sono venuto per
servire e dare la vita”
Il motto sacerdotale che aveva scelto
per l’Ordinazione era “Sono venuto
per servire e dare la vita”. Nella sua
ultima visita in Germania, nel 1974,
sua madre lo pregava di fare atten-
zione, perché l’avevano informata
dei rischi che correva suo figlio. Lui
rispose: «Mamma, perché ti preoc-
cupi? Non c’è niente di più bello che
morire per la causa di Dio. Questo
sarebbe il mio sogno”.
Ottobre 2016
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Un’impresa possibile!
Come connettersi
con un figlio adolescente
Il problema c’è. L’adolescenza è il periodo che esige
un supplemento pedagogico e, nello stesso tempo,
è il periodo della massima opposizione del figlio
ad ogni nostra proposta. Connettersi con i ragazzi
adolescenti è un’impresa!
Un rebus con la soluzione
«Proprio ora, quando avrebbe bisogno
d’essere aiutato, disprezza e rigetta con
spavalderia ogni nostra parola, anche
quella che ci sembra la più ovvia e la più
giusta!»
Sì, avete ragione. L’adolescenza (11-
18 anni) è il periodo della più forte
opposizione e, nello stesso tempo, del
massimo bisogno di aiuto.
Incominciamo dal bisogno d’aiu-
to. L’adolescente vive un periodo di
grande confusione mentale.
Confonde amore con infatuazione,
libertà con arbitrio, critica con criti-
cismo, intimità con mutismo. Insom-
ma, massimo disordine mentale che,
se non viene corretto, può avere in
futuro conseguenze pesantissime. Il
guaio è che in nessun altro periodo
della vita troviamo un’opposizione
tanto dura e sicura.
Gli psicologi parlano di autoafferma-
zione oppositiva per dire che l’adole-
scente afferma se stesso opponendosi
a tutto e a tutti. L’adolescente si pone
in quanto si oppone: esiste in quan-
to resiste! Non stiamo gargarizzando
parole: stiamo fotografando le realtà.
Due fatti.
Il padre dice a Richy (13 anni) che il
che si è appena comprato, piace
anche a lui. Da quel momento Richy
smette di ascoltarlo.
Soraya (15 anni) va a comprarsi un
paio di jeans. Prima di pagarli, do-
manda alla commessa: «Se decides-
si, potrei cambiarli?». La commessa:
«Perché cambiarli?». «Non si sa mai,
qualora piacessero a mia madre».
A questo punto è facile tirare la som-
ma: da un lato l’urgenza dell’aiuto e
dall’altro il totale rifiuto!
In breve: un gran bel rebus connetter-
ci con i nostri ragazzi, trovare ospita-
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Ottobre 2016

4.5 Page 35

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lità nella loro mente e nel loro cuore.
È impossibile intercettare i nostri ra-
gazzi digitali?
Pensiamo di avere la soluzione al pro-
blema in una proposta. Una proposta
che ha due momenti.
Il primo, quello della confezione delle
parole in sintonia con il modo di pen-
sare dell’adolescente d’oggi.
Il secondo, quello della presentazione
garbata di tali parole in modo da non
urtare la loro ipersensibilità.
Le parole
ridotte all’osso
Per quanto riguarda la confezione del-
le parole è presto detto: oggi i ragazzi
amano le spremute. È sotto gli occhi
di tutti: i nostri ragazzi twittano, cin-
guettano. Il loro è un parlare secco,
breve, crocchiante, energico. Andia-
mo sul sicuro quando diciamo che
mai come dal 1991 (anno dal quale
si fa iniziare l’era del Web) gli ado-
lescenti sono stati così allergici alle
“prediche”. Dunque messaggi ridotti
all’osso.
Il metodo indiretto
Per quanto riguarda, poi, la loro pre-
sentazione, non pensiamo vi sia altra
via più indovinata che quella del me-
todo indiretto. Parlare in modo fronta-
le, prendere di petto il ragazzo, equi-
vale ad ingaggiare una lotta a pugno
di ferro, lotta nella quale il vincitore
sarà sempre lui, più giovane di noi e
forse anche più dialettico. Il metodo
frontale non solo non approda a nulla,
ma aggrava la situazione.
Decisamente meglio è praticare il me-
todo indiretto.
Un esempio.
La famiglia è in auto. Il padre guida, la
madre gli è accanto, dietro siede il fi-
glio adolescente. Ad un tratto il padre
(senza coinvolgere il ragazzo!) doman-
da alla madre: «Che ne dici del film
che abbiamo visto ieri sera alla televi-
sione?» La madre risponde: «Non mi è
spiaciuto, però tutte quelle parolacce!
Credono d’essere grandi, in realtà le
parolacce non sono che volgari!»
Il padre conclude: «D’accordo! Hai
tutta la ragione dalla tua parte: le pa-
rolacce sono come un raglio d’asino
nel bel mezzo di un concerto!».
Ecco: il figlio non è stato interpellato,
però ha sentito. Ha sentito e, se vuo-
le, apre la sua mente alla nostra opi-
nione sulle parole grossolane. Questo
è il metodo indiretto al quale va tutta
la nostra simpatia. Metodo indiretto è
anche, ad esempio, abbandonare un li-
bro adatto al ragazzo nella cucina, nel
salotto, nella camera da letto del figlio.
Metodo indiretto è parlare del più e del
meno durante il pasto (particolarmente
a cena), raccontando come è andata la
giornata, dando un giudizio sulle cose
lette sul giornale, sulle cose viste sul
lavoro, il tutto senza salire in cattedra,
ma con la massima spontaneità.
Le parole dette senza preavviso so-
vente hanno un fortissimo impatto
sul figlio perché rivelano senza filtro
i nostri pensieri, le nostre opinioni, i
valori che ci portiamo dentro.
Il noto pedagogista italoamericano
Leo Buscaglia era solito dire che a co-
struirgli il suo codice di vita erano sta-
te le parole che il padre lasciava cadere
a tavola durante la cena con una spon-
taneità tale che lo rendevano credibile.
Il padre gli diceva: «È fondamentale
amare. Non tradire mai te stesso. Se vin-
ci gli altri sei muscoloso, se vinci te stesso,
sei forte. Il portafoglio non soddisfa tutto.
Si può essere imbalsamati a 16 anni: ba-
sta arrendersi».
Una proposta non miracolosa, ma una
proposta alla quale ci pare di dover ri-
conoscere due meriti: non danneggia
mai l’educazione del figlio e (ciò che
più conta!) sovente funziona.
Ottobre 2016
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
In corsa
contro il
tempo
Le giovani generazioni sono costantemente
stimolate, pressate, sollecitate a riempire
le proprie giornate di occupazioni e impegni
di ogni genere, a programmare nel dettaglio
ogni istante della propria vita, a bruciare
il tempo che hanno a disposizione, come
in una affannosa corsa a ostacoli.
«Chi ha tempo non aspetti tem-
po!». La cosmologia dei gio-
vani adulti del terzo millennio
sembra essere
improntata alla
logica incalzante
della rapidità e dell’accelerazione espo-
nenziale, al pragmatismo del rendimento e
dell’efficienza produttiva, al prevalere della
quantità sulla qualità e sulla pregnanza del
tempo vissuto.
Le giovani generazioni sono costantemen-
te stimolate, pressate, sollecitate a riempire le
proprie giornate di occupazioni e impegni di ogni
genere, a programmare nel dettaglio ogni istante
della propria vita, a bruciare il tempo che hanno
a disposizione, come in una affannosa corsa a
ostacoli in cui vince chi corre più in fretta
ed è disposto a saltare a piè pari gli
scogli che incontra sul proprio
percorso.
Ridotto a dimensione me-
ramente quantitativa dell’e-
sistenza, il tempo viene così
sezionato, misurato, atomizzato, spezzettato in
infiniti segmenti tutti uguali e indifferenti che si
inseguono febbrili e senza sosta, in modo da non
lasciare alcuno spazio vuoto. Ogni momento “li-
bero” viene convulsamente occupato, colonizzato,
saturato da innume-
revoli esperienze e
attività, mentre l’hor-
ror vacui, il “terrore del
vuoto”, è elevato a criterio
esistenziale su cui modellare
il proprio stare al mondo.
In questa sfibrante corsa
contro il tempo è forte il ri-
schio di lasciarsi fagocitare
dal monotono succedersi di
giornate “piene” di cose
da fare ma “vuote” di
significato, di in-
vestire le proprie
energie nell’in-
fruttuoso tentativo di
aggiungere tempo ai propri
giorni, come se l’accelerazione dei
ritmi di vita e l’abolizione di tutti i
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Ottobre 2016

4.7 Page 37

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tempi “morti” potessero rallentare l’inesorabile
metamorfosi del futuro in passato e mettere al
riparo dalla sgradevole sensazione di stare “spre-
cando” il proprio tempo. L’ansia di realizzare i
propri progetti e toccare con mano che cosa ri-
serva il domani, il timore di non riuscire a vivere
appieno il tempo a propria disposizione spingo-
no spesso i giovani adulti a confondere il dina-
mismo e l’intraprendenza con lo stachanovismo e
a porsi in modo ambiguo di fronte alla finitezza
del tempo, costantemente in bilico tra una pro-
spettiva consumistica e strumentale e lo spettro
sempre incombente del rimpianto.
A farne le spese è senza dubbio la “qualità” del
tempo vissuto, la consapevolezza che come si im-
piega il tempo vale molto più di quanto se ne ha
a disposizione. Il tempo, infatti, acquista valore
quando ci vede protagonisti, anziché semplici
fruitori, di esperienze realmente appaganti e si-
gnificative per la nostra vita; quando non ci co-
stringe a rincorrerlo come schegge impazzite o
ad arrancare stancamente attraverso lo scorrere
impetuoso degli eventi, ma è calibrato sul
nostro ritmo interiore; quando lascia il giu-
sto spazio alla riflessione e ci apre alla dimensio-
ne dell’eternità; quando ci consente di coltivare il
rapporto con noi stessi, ma soprattutto quando è
condiviso con le persone a cui vogliamo bene.
In un certo senso si può affermare che il valore
del tempo aumenta proporzionalmente alla con-
sapevolezza con cui lo si utilizza e che quest’ulti-
ma dipende, a sua volta, dalla coscienza del fatto
che tale risorsa non ci appartiene e rappresenta un
dono gratuito e immeritato di cui siamo chiamati
a fare buon uso.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Metà salesiani in guerra,
metà a casa a sostituirli
Un centenario nazionale da non dimenticare anche in congregazione
L a prima guerra mondiale, che
ha sconvolto dal 1915 al 1918
la vita quotidiana di milioni
di famiglie italiane, ha visto
un fortissimo coinvolgimen-
to pure dei duemila Salesiani
che operavano in Italia. Suddivisi in
sei ispettorie costituite da centotre-
dici case sparse su tutto il territorio
nazionale, essi erano dediti a tempo
pieno all’educazione di alcune deci-
ne di migliaia di giovani. I figli (e
le figlie) di don Bosco un secolo fa
diedero il loro contributo di sangue,
di fatiche e di generosità al proprio
paese tanto sulle frontiere esterne (al
fronte o negli ospedali) quanto sul-
le frontiere interne (ospizi, collegi,
oratori, parrocchie…). Ne tratteremo
in alcune puntate di questa nostra
rubrica, sempre sulla base di sicure
fonti d’archivio.
Tre semplici citazioni ci collocano
immediatamente nella drammatica
situazione in cui i salesiani vennero
improvvisamente a trovarsi. La pri-
ma è quella del caporale di fanteria
Gioachino Richiero, un ventunenne
meccanico, coadiutore. Scriveva al
Rettor Maggiore don Paolo Albera il
23 luglio 1915, a due mesi dall’entrata
in guerra dell’Italia:
«Sono distante dalle trincee tede-
sche un 200 metri di giorno e di
notte andiamo persino alla distan-
za di 15 o 20 metri, lavorando in
trinceramenti a gran forza. Vedete
che gran contrasto c’è tra noi e loro:
loro sparano giorno e notte con fu-
cili, mitragliatori, bombe a mano,
cannonate e a noi è proibito spara-
re un colpo di fucile. Perciò biso-
gna cercarli come topi e infilzarli».
In simili condizioni non vi era via di
scampo, ed in effetti 20 giorni dopo
egli moriva dalle parti di Tolmino. Il
salesiano coadiutore di 24 anni Pietro
Bracco per altro era morto a Mon-
te Nero quindici giorni prima, il 21
agosto venne poi la volta del chierico
sottotenente Domenico Zucco, il 24
agosto quella del chierico Vincen-
zo Barberis e in settembre quella del
venticinquenne coadiutore Benedetto
Mammana: 5 confratelli morti in soli
40 giorni di guerra!
Una seconda citazione. Sei mesi dopo
il 21 novembre 1915, il Rettor Mag-
giore così descriveva la situazione di
sofferenza della società salesiana:
«Un numero stragrande di carissimi
, fra cui molti giovani sacerdo-
ti, si trovano nella dura necessità di
smettere l’abito religioso per rivestire
le divise militari; dovettero lasciare
i loro diletti studi, per maneggiare
la spada e il fucile; furono strappati
dai pacifici loro collegi e dalle scuole
professionali per recarsi a vivere nelle
caserme e nelle trincee, o, quali in-
fermieri, furono occupati nella cura
degl’infermi e dei feriti. Ne abbiamo
pure non pochi al fronte, ove alcuni
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Ottobre 2016

4.9 Page 39

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già lasciarono la vita, e altri ritornaro-
no orribilmente malconci».
Diversa invece, ma sempre struggen-
te, la situazione altri sei mesi dopo per
l’orfano di guerra Pinot accolto nella
casa salesiana di Pinerolo.
“Cara mamma, qui si sta bene, si
mangia bene, si gioca, si va a pas-
seggio e si sta allegri. Dunque non
piangere più come quando che ero a
casa, che tutte le sere a cena piangevi
pensando al babbo morto in guerra.
Quando che sarò grande voglio farti
star più bene che quando c’era papà.
Fatti coraggio. Io sto meglio che a
casa. Ci hanno dato a tutti un bel letto
di ferro verniciato, un catino, un pez-
zo di sapone, un tavolino da notte…
Addio, sta’ allegra. Ogni mattina nel-
la messa e comunione io prego per te
e per il babbo. I superiori sono buoni
e mi vogliono bene. Addio, mille baci
affettuosi dal tuo Pinot.”
Ma vediamo di procedere con ordine.
Anzitutto indichiamo le forze sale-
siane in campo.
I numeri
La guerra all’Austria fu dichiarata il
24 maggio 1915. Esclusi i sacerdoti
“in cura di anime”, gli altri sacerdoti
e soprattutto seminaristi, novizi, frati
e religiosi laici appartenenti ai diversi
Ordini religiosi furono chiamati alle
armi. La maggior parte di loro (circa
10 000 su 24 000 ecclesiastici, di cui
2500 cappellani militari) fu inserita
a pieno titolo nei reparti combattenti
senza distinzione di sorta dagli altri
soldati.
Ora da un nostro minuzioso controllo
risultano con precisione 893 salesiani
Due foto degli stessi personaggi al fronte: il futuro Rettor Maggiore
don Renato Ziggiotti e i coadiutori Giovanni Marenco e Giovanni Macrino.
chiamati alle armi, di cui 272 sacerdo-
ti, 9 diaconi, 11 suddiaconi, 362 chie-
rici (di cui 71 novizi) e 239 coadiutori
(di cui 24 novizi), 1 aspirante. In per-
centuale fu chiamato alle armi il 54%,
oltre la metà dei confratelli.
Ovviamente il periodo in cui furono
chiamati a vestire l’uniforme risulta
diverso nel corso dei tre anni e mezzo
di guerra. A fine anno 1915 i salesiani
militari erano 382, nel 1916 il numero
crebbe fino a 682, nel 1917 raggiunse
il massimo con 794, per poi discendere
nel 1918 a 609 persone. Nel 1919 non
erano ancora stati congedati 63 sale-
siani ed uno era di fresca chiamata alla
leva. La sola ispettoria piemontese, con
30 case, ebbe ad un certo punto più di
240 salesiani in servizio militare.
Quanto alla durata del loro arruola-
mento, se fu di sei anni per tre sa-
lesiani chierici, e di cinque anni per
una quarantina di loro, fu invece di
quattro anni per oltre duecento con-
fratelli, così come per altrettanti fu
di tre o di due anni. Solo poco più di
cento salesiani vestirono la divisa per
un unico anno di guerra.
Tutto ciò, come è ovvio, privò le case
salesiane d’Italia del personale più
giovane, costringendo i più anzia-
ni ad enormi sacrifici per sostituirlo
senza dover chiudere case. Non solo.
Per evitare infatti la requisizione per
scopi militari (varie di esse furono di
fatto trasformate in ospedali o caser-
me) tennero con sé il maggior numero
di ragazzi, spesso figli di richiamati e
orfani di guerra anche nei mesi estivi.
Ovviamente si azzerò quasi completa-
mente il numero dei nuovi missionari,
abitualmente costituito da varie decine:
nessuno nel biennio 1915-1916, solo
otto nel 1917 e nove nel giugno 1918.
Terminata la guerra, nel 1919 il flusso
riprese con la partenza di 31 salesiani.
Se l’Italia salesiana dal maggio 1915
piangeva, soffriva e moriva, non stava-
no certo meglio le centinaia di salesiani
degli altri paesi europei in guerra, vale
a dire in Belgio, Francia, Gran Bre-
tagna, Austria, Slovenia, Ungheria,
Croazia, Polonia, Turchia. Essi stava-
no vivendo sulla propria pelle “l’inutile
strage” già dall’estate 1914.
[continua]
Ottobre 2016
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati, venerabili
e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di ottobre preghiamo per la beatificazione della venerabile Laura Meoz-
zi, Figlia di Maria Ausiliatrice
Nata a Firenze il 5 gennaio 1873 da una agiata famiglia, che qualche anno dopo, a motivo di difficoltà
amministrative, dovette trasferirsi a Roma. Qui Laura frequentò i corsi scolastici nel collegio delle Suore
di Santa Dorotea. In quegli anni divenne chiara in lei la chiamata del Signore alla vita consacrata, così
che, superati alcuni ostacoli familiari, nel 1896, iniziò il suo cammino formativo presso l’Istituto delle
Figlie di Maria Ausiliatrice.
Dopo aver emesso i voti religiosi, suor Laura svolse una intensa attività come insegnante, molto ap-
prezzata soprattutto per uno spiccato senso di maternità fra le alunne dei collegi e fra le giovani dei ceti
popolari che affollavano gli oratori, i laboratori e le varie forme di aggregazione che la sua sollecitudine
andava organizzando. Per le suore, insegnanti e non, riservava i tesori del suo innato tatto formativo e
della sua esperienza didattica e spesso le ammoniva: «Siate prima madri, poi insegnanti».
Nel 1922 in occasione del Capitolo generale dell’Istituto, si decise un programma di nuova espansione
missionaria. Suor Laura, alla soglia dei cinquant’anni, fu inviata a guidare la prima comunità in terra po-
lacca: a Róz˙anystok. Dietro invito del Vescovo di Wilno, nel 1924, la comunità religiosa iniziò a prendersi
cura anche di ragazze con particolari problemi sociali e caratteriali. Si aggiunsero, nel corso degli anni,
un collegio per studenti, diverse scuole, corsi di taglio e confezioni per le adolescenti, un grande oratorio
per la collaborazione con le attività parrocchiali, il primo noviziato a Róz˙anystok.
«Amare e cercare solo Gesù; vivere e lavorare solo per Lui» era il suo programma spirituale: e in questa
comunione con il Signore ella visse una costante pratica delle virtù e dei consigli evangelici.
Nel 1931 tutte le comunità costituite in Polonia furono erette in Visitatoria. Ma sopraggiunse la seconda
guerra mondiale che, tra l’altro, comportò l’occupazione tedesca e poi sovietica delle case del centro-
sud. Suor Laura, rinunciando a tornare in Italia, decise di rimanere accanto alle sue figlie polacche e
di condividerne rischi e sofferenze. Al termine del conflitto iniziò l’opera di ricomposizione delle varie
comunità, con sistemazioni di fortuna, attraverso il ricupero
di quanto era rimasto delle case un tempo avviate e dando
nuovo impulso all’opera di ricostruzione materiale e morale
della popolazione. In un definitivo atto di fiducioso abbando-
no consumò la sua offerta al Signore, alle cui mani miseri-
cordiose consegnò il suo spirito la notte del 30 agosto 1951.
Il 27 giugno 2011 papa Benedetto XVI l’ha dichiarata vene-
rabile.
PREGHIERA
O Dio Padre,
tu hai colmato di bontà il cuore della tua figlia,
la Venerabile Laura Meozzi,
che consumò la vita nell’assistere gli orfani,
nel consolare gli afflitti e nel soccorrere i bisognosi.
Affretta, te ne preghiamo, l’ora della sua beatificazione
e concedi a noi, che ci affidiamo con fede alla sua intercessione,
le grazie che umilmente ti domandiamo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere non firmate e senza
recapito. Su richiesta si potrà omettere l’indicazione del nome.
Ringraziano
Desidero comunicare una grazia
che ho ricevuto, per l’intercessio-
ne di san Giovanni Bosco e
san Domenico Savio, che ho
invocato come miei protettori e che
hanno esaudito le mie preghiere.
Cantoni Silvia - Livigno (SO)
Il 28 settembre 2015 si è avvera-
to il mio desiderio più grande e
per cui ho tanto sofferto, prega-
to e sperato: la nascita di Gem-
ma, una bambina sana, piena di
gioia di vivere e sempre sorri-
dente. Ringrazio san Domenico
Savio per aver ascoltato le no-
stre preghiere.
Lara e Nicola - Recoaro Terme (VI)
Vorrei poter ringraziare san Do-
menico Savio per la grazia che
ha concesso a me e mio marito,
dopo una novena, di ricevere il
dono della maternità/paternità.
Con sincera gratitudine.
Ele e Emmanuel
Non smetteremo mai di ringra-
ziare san Domenico Savio,
san Giovanni Bosco e Maria
Ausiliatrice per aver protetto ed
interceduto per la guarigione del
nostro bambino durante la gra-
vidanza. Il riscontro di una tran-
slucenza nucale elevatissima che
faceva ipotizzare malattie gravis-
sime e la diagnosi di un idrotora-
ce che avrebbe compromesso la
formazione del polmone del bam-
bino ci hanno gettato nel panico e
nello sconforto. Solo la preghiera
e il rifugio in Maria ci hanno sal-
vato. L’idrotorace si è riassorbito
rapidamente e, a fine gestazione,
è nato Mauro Domenico Savio,
un dono meraviglioso.
Margherita, Luciano Ippolito e
Mauro Domenichino
Ringrazio S. Maria Domenica
Mazzarello per una grande gra-
zia ricevuta.
Giuseppina Pisoni - Busto A.
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Ottobre 2016

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
LUIGI COMPAGNONI
Signor Annibale Gurini
Salesiano Coadiutore
Morto sul Monviso - Crissolo (CN)
il 13 settembre 2014, a 67 anni
Annibale ha dedicato la sua
vita come Salesiano educatore
nell’insegnare un mestiere a tanti
giovani con impegno e profes-
sionalità, passione, entusiasmo,
ma soprattutto con amicizia ma-
nifestando particolarmente la sua
vicinanza a chi si trovava in diffi-
coltà, con ottimismo accoglienza
e semplicità. Stando con loro,
dava fiducia e li aiutava a credere
in se stessi.
Ecco alcune testimonianze.
Ing. Ezio, exallievo: «Ero molto
legato spiritualmente ad Anni-
bale, perché è stato il Salesiano
educatore che mi è stato vicino
nel periodo della mia adolescenza
e perché attraverso lo sport, ma
soprattutto attraverso la sua pro-
fonda giovialità e umanità, mi ha
insegnato a credere in me stesso
e ha davvero contribuito alla mia
formazione di credente e persona
impegnata nella vita sociale.
Pratico come era lui, ciò che inci-
deva di più era il donare se stesso.
In poche parole, nella sua vita ha
messo in pratica l’insegnamento
di don Bosco: “studia di farti ama-
re piuttosto che farti temere”.
Riusciva a creare intorno a sé un
clima di amicizia, di ottimismo
e di simpatia che
superava tutte le
formalità in uno
spirito di famiglia
tipico del sistema
preventivo di don
Bosco».
Da vero salesiano
ha aiutato intere
generazioni di gio-
vani a diventare de-
gli “Onesti cittadini
e buoni cristiani”
come voleva don Bosco facen-
dosi: “segno dell’amore di Dio”
in cui credeva profondamente e
che manifestava più con il suo
modo di essere che con le parole.
Era tenace e un po' testardo, da
vero montanaro, ma raggiungeva
tutti gli obiettivi che si prefiggeva
senza mai entrare in contrasto
con gli altri. La sua originalità nel
combinarne di tutti i colori non
era mai motivo di fastidio ma di
allegria e simpatia, impossibile
vederlo arrabbiato.
Aveva una particolare attenzione
per chi per qualche motivo nel
gruppo era emarginato e con poca
autostima, in laboratorio li aiutava
con tutti i metodi possibili a volte
anche un po’ drastici. Avvicinava
chi vedeva solo e isolato e con il
suo modo allegro e sbrigativo cer-
cava di inserirlo nel gioco.
Per aiutare i ragazzi nell’appren-
dimento, utilizzava la metodologia
del fare; prima le cose le faceva lui
e poi per incoraggiare diceva: “se
ce l’ho fatta io ce la puoi fare an-
che tu.” In questo modo li rendeva
protagonisti facendo sperimentare
loro il successo.
Aiutava i confratelli specie se
malati o anziani, anche nella cura
della persona, con molta discre-
zione, sensibilità e carità senza
far pesare la sua disponibilità.
In modo insuperabile si prestava
per qualsiasi lavoro all’interno
dell’istituto, ma anche per chiun-
que ne facesse richiesta, incu-
rante della fatica e del rischio,
volentieri come se il piacere lo si
facesse a lui.
Dotato di grande vitalità e doti
sportive, il tempo libero lo ha
dedicato oltre che ad aiutare
chiunque ne facesse richiesta,
allo sport. La corsa è stata una
sua grande passione. Fin da gio-
vanissimo ha fondato la squadra
podistica “PGS Reba” dove era
un entusiasta animatore e tra-
scinatore, inserendo centinaia di
persone di tutte le età.
Epiche erano le “100 km Torino
Saint Vincent“ con tutta una ca-
rovana folcloristica di amici che
lo seguivano. Le gare non erano
solo uno scherzo: nel 2012 a Se-
regno, Annibale ha conquistato
anche il titolo di campione ita-
liano dei 100 km nella sua cate-
goria; ha ottenuto ottimi risultati
anche in altre occasioni.
Oltre alla corsa un’altra grande
passione era la montagna che
aveva nel suo DNA, anche per-
ché in montagna ci era nato, in
Alta Valtellina. Su un poster di
montagna aveva scritto: «Le
cime come mete ideali da rag-
giungere... sempre ed in ogni
luogo con un ampio orizzonte da
Paradiso in terra».
Proprio sulla vetta del Monviso,
Annibale ha incontrato ed è stato
accolto definitivamente nell’ab-
braccio misericordioso del suo
Signore che ha cercato e dal
quale si è sentito amato per tutta
la vita. Questa chiamata improv-
visa non l’ha colto impreparato;
infatti aveva scritto: “vivrò come
se ogni giorno fosse l’ultimo”.
Ottobre 2016
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
QUANDO DON BOSCO SCONFISSE TARZAN
Pochi sanno che le “gesta” di san Giovanni Bosco, raccontate con quel lin-
guaggio fresco e diretto dei racconti a fumetti, sono le più lette al mondo, tra i
fumetti religiosi. Ma, come disse Gesù: Nemo propheta in patria, e a quest’av-
viso non sfuggì neanche il caro don Bosco. Infatti, con duecentomila copie, la
storia di don Bosco, pubblicata per la prima volta nel 1948, fu edita in decine
di nazioni e tradotta in altrettante lingue tranne che in Italia od in italiano. Per
questo, dicevamo all’inizio, sono pochi (qui in Italia) a sapere della riduzione
a fumetti della vita del Santo. E ci sono voluti quasi settant’anni per vedere
pubblicate con i dialoghi della nostra lingua quelle bellissime tavole disegnate
in bianco e nero dal grande artista belga Joseph Gillain detto Jijé. Nel secondo
dopoguerra, quando tutte le energie della gente erano protese per rimettere in piedi la società civile,
l’editore francese della rivista di ispirazione cattolica “Spirou” si trovò di fronte ad una scelta: pubblicare
una nuova serie, la XXX del prete fondatore dei Salesiani, oppure proseguire con i racconti di Tarzan, il
forzuto uomo semi-selvaggio alle prese con bizzarri problemi nella giungla inestricabile. Anche questa
sfida fu vinta da don Bosco, le cui “strisce” a fumetti erano già comparse sette anni prima in Belgio con
il titolo “Don Bosco, ami des jeunes”. Quindi, la monumen-
tale storia a fumetti, in ben 99 tavole, vide la luce per intero
nel 1948 sulla stessa rivista che ospitava altri grandi artisti
del calibro di Hergè (il creatore di Tintin) e di Peyo (papà dei
Puffi). Il risultato fu sorprendente quanto l’apprezzamento dei
lettori sui quali ebbe una tale presa e una capacità di evange-
lizzazione da attribuirgli, come fu riconosciuto in seguito, “un
certo numero di vocazioni”. E pare che fu proprio il successo
di questa storia a fumetti a salvare, oltre le anime che lo les-
sero, la casa editrice dalla bancarotta.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Lo è John
Kerry per gli USA - 15. Il musicista
Clapton (iniz.) - 16. Scheggiare il
bordo delle stoviglie - 17. Digni-
tario etiope - 18. 1051 nell’antica
Roma - 20. Fasi geologiche - 21.
Difendevano il Santo Sepolcro - 24.
XXX - 27. L’Istituto che produceva
popolari cinegiornali - 29. Una rete
di telecomunicazioni digitale - 30.
Il celebre... Man dei videogiochi in-
seguito da fantasmini - 31. XXX -
33. Antiche divinità nordiche - 34.
Città boema famosa per la birra - 35.
Località della Val di Non - 36. Mac-
chia della pelle - 37. Arena senza
pari - 38. Il passato che si studia -
40. I confini del Sudan - 41. Iniziali
della Arcuri - 43. Un moderno esame
clinico - 45. Leggendaria pozione di
immortalità.
VERTICALI. 1. Fattezze, aspetto
- 2. Temporaneo oscuramento di un
astro - 3. In mezzo alla corsia - 4. Un
biblico pronipote di Noè - 5. Si stabi-
liscono per guarire - 6. Lo è la Nike di
Samotracia - 7. Reggio Calabria - 8.
Regola il trasporto aereo (sigla) - 9.
Le batte il pendolo - 10. Democratici
in breve - 11. Vi si vendono pane ed
affettati - 12. Si richiedono all’edito-
re - 13. Il Chi stile di arte marziale
cinese - 14. Poco ossigeno - 19.
Una tintura disinfettante - 22. Il cane
di Topolino - 23. Alberi simbolo del
Canada - 25. Il centro di Avignone
- 26. Incognita matematica - 28.
Scienza dei fenomeni naturali - 31.
Città industriale belga - 32. Bevanda
che fu oggetto di una storica rivolta
- 34. Vennero moltiplicati insieme
ai pesci - 39. Dieci a Londra - 40.
Un’organizzazione della Germania di
Hitler che seminò il terrore in Europa
- 41. A me - 42. Il Pacino di Hol-
lywood - 44. Antico Testamento.
42
Ottobre 2016

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
aDbobvi’aèmDoipoiùqubainsdoognneo?
Il chirurgo disse: «Mi spiace.
Abbiamo fatto tutto quello che
potevamo». La madre capì, ma
non aveva più lacrime, disse solo
con amarezza: «Perché i bambini
si ammalano per il cancro? Forse
che Dio non si interessa di loro?
Dio, dov’eri quando mio figlio aveva
bisogno di te?».
La madre chiese all’infermiera che la
accompagnasse mentre dava l’ultimo
saluto alle spoglie del figlio. Ac-
carezzò con la mano i suoi capelli.
L’infermiera le chiese se voleva
conservare uno dei riccioli. La madre
assentì. L’infermiera tagliò il ricciolo,
lo collocò in una busta di plastica e
gliela diede.
Spiegò con semplicità: «È stata
un’idea di Jimmy quella di donare i
suoi organi. Aveva detto che avrebbe
potuto aiutare qualcun altro. È questo
che voleva. Io, all’inizio dissi di no,
ma egli mi disse: “Mamma, non
userò più il mio corpo dopo essere
morto, e in questo modo farò sì che
un bambino resti un giorno di più con
sua mamma”. Il mio Jimmy aveva un
cuore d’oro, pensava sempre agli altri
e desiderava aiutarli come poteva».
Quella sera, pianse fin quando il
sonno la sorprese, abbracciata al
cuscino di Jimmy. Si svegliò verso
mezzanotte e vicino a sé trovò un
foglio di carta ripiegato. Lo aprì.
Diceva: «Cara mamma: so che non
mi vedrai più, ma non pensare che ti
abbia dimenticato o che abbia smesso
di amarti solo perché adesso non sono
lì a dirti ti amo. Ti penserò ogni gior-
no, mammina, e ogni giorno ti amerò
sempre di più. Un giorno torneremo a
vederci. Se vorrai adottare un bam-
bino per non restare così sola, potrà
vivere nella mia cameretta e giocare
con tutte le mie cose. Se decidi che
sia una bambina, probabilmente non
le piaceranno le cose che piacciono ai
bambini, e dovrai comperarle bam-
bole e cose per le bimbe. Non essere
triste quando pensi a me; dove mi tro-
vo è stupendo. I nonni sono venuti ad
accogliermi quando sono arrivato. Gli
angeli sono molto amichevoli. Gesù è
ben diverso dalle sue immagini viste
sulla terra, ma ho capito che era Lui
appena lo vidi. Gesù mi ha portato a
vedere Dio Padre! Ma ci pensi, mam-
mina? Mi sono sentito di famiglia e
gli ho parlato e Lui mi ha ascoltato
con molta pazienza; mi ha anche det-
to che io sono una personcina molto
ma molto importante. A Dio dissi che
ti volevo mandare una letterina per
ringraziarti e dirti tutto quanto hai
letto, benché sapessi che non era per-
messo. Dio mi diede il foglio e la sua
penna personale per scrivere questa
lettera. Credo che si chiami Gabriele
l’angelo che te la farà trovare. Dio
mi disse che risponderà a quanto hai
chiesto quando dicevi: “Dove era Lui
quando io ne avevo bisogno?”. Dio mi
disse che era nello stesso luogo, dove
si trovava quando l’altro suo Figlio,
Gesù, agonizzava in croce. Mamma,
Egli era proprio vicino a me, mi con-
solava e mi donava forza e incorag-
giamento, così come fa con tutti i suoi
figli. Non sento più dolore; il cancro è
scomparso. Ne sono felice, non sarei
riuscito a sopportare di più il dolore e
soprattutto Dio non poteva resistere a
vedermi soffrire in quel modo, perciò
mandò l’Angelo della Misericordia
per prendermi. L’Angelo mi disse che
io ero un Incarico Speciale!
Firmato: con amore, Dio e Jimmy».
Ottobre 2016
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Il calendario 2017
GENNAIO
2017
Dio non
abbandona mai nessuno
Don Bosco
1 Dom 2a del tempo di Natale
Maternità di Maria
17 Mar s. Antonio abate
2 Lun ss. Basilio
e Gregorio Nazianzeno
18 Mer s. Liberata
s. Margherita d’Ungheria
3 Mar SS. Nome di Gesù
s. Genoveffa
19 Gio s. Mario
s. Pia
4 Mer s. Elisabetta Selon
s. Ermete
20 Ven s. Sebastiano
s. Fabiano
5 Gio s. Amelia
s. Edoardo
21 Sab s. Agnese
b. Cristiana di Assisi
6 Ven Epifania del Signore
s. Guerrino di Sion
22 Dom 3a del tempo ordinario
b. Laura Vicuña - s. Vincenzo Pallotti
7 Sab s. Raimondo de Peñafort
s. Luciano
23 Lun s. Emerenziana
s. Ildefonso
8 Dom Battesimo di Gesù
s. Severino - s. Massimo di Pavia
9 Lun s. Giuliano
s. Adriano di Canterbury
10 Mar s. Aldo
s. Pietro Orseolo
FEBBRAIO
11 Mer s. Igino papa
s. Salvio
12 Gio s. Modesto
s. Antonio M. Pucci
s. Giuliano di Cuenca
13 Ven s. Ilario
b. Veronica da Binasco
14 Sab s. Felice da Nola
s. Bianca
b. Markiewicz Bronislao
s. Martina - b. Sebastiano V.
15 Dom 2a del tempo ordinario
b. Luigi Variara - ss. Mauro e Placido
16 Lun s. Marcello I
s. Tiziano
LA STRENNA
AMORIS LAETITIA
SIAMO FAMIGLIA!
La Famiglia è quella realtà umana molto concreta
dove si impara l’arte della Vita e dell’Amore.
La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie
è anche il giubilo della Chiesa.
M2A0R1ZO7
Studia
di farti amare
1 Mer s. Verdiana
b. Anna Michelotti
2 Gio Presentazione del Signore
s. Caterina de’ Ricci
3 Ven s. Biagio
s. Oscar - s. Cinzia
4 Sab s. Gilberto
s. Andrea Corsini
5 Dom 5a del tempo ordinario
s. Agata - s. Alice
6 Lun s. Paolo Miki e compagni
s. Dorotea
7 Mar b. Pio IX
s. Teodoro
8 Mer s. Giuseppina Bakhita
s. Girolamo Emiliani
9 Gio b. Eusebia Palomino
s. Apollonia
10 Ven s. Scolastica
s. Arnaldo
11 Sab M. di Lourdes
s. Pasquale I - s. Dante
12 Dom 6a del tempo ordinario
s. Eulalia - s. Damiano
13 Lun s. Fosca
s. Maura
14 Mar ss. Cirillo e Metodio
s. Valentino
(Patroni
d’Europa)
Don Bosco
15 Mer ss. Faustino e Giovita
16 Gio s. Giuliana
b. Giuseppe Allamano
17 Ven ss. 7 fondatori OSM
s. Donato
18 Sab s. Simeone
b. Angelico
7a del tempo ordinario
19 Dom s. Corrado Confalonieri - s. Mansueto - s.Tullio
s. Giordano
20 Lun s. Eleuterio - s. Silvano
21 Mar II Quaresima
s. Pier Damiani - s. Eleonora
22 Mer Cattedra di s. Pietro
s. Margherita
23 Gio s. Policarpo
s. Romana - s. Renzo
24 Ven s. Sergio
s. Adolfo
25 Sab ss. Versiglia e Caravario
s. Cesario
26 Dom 8a del tempo ordinario
s. Nestore - s. Romeo
-
Carnevale
27 Lun s. Gabriele dell’Addolorata
s. Leandro
28 Mar s. Romano
s. Candida
LA STRENNA
lsdLaSaiaIcvAprfiateMiafmricOspioagrnnloFioaeAp, rcplMoiheaIersGeaagpLdmlpiIeAiaaailn!mtloorio,r,podbaiecfreanlanrendi,oeaè,dncfdaootongtsandiiidevciioddvoosiftenlotnoi.,deensdi o
AMORIS LAETITIA
cnalLuonuaoscoafghvaoeevmodsriggeiisllisiodaaoreesnsvtseoeep.ngoHrnepraoirun,ebòvdieisirnopaintrgcaouncrnpooecrmdiiiapfisriugapelgoria.noidasmmpeeesettsnoteatdroreie,edaitrcgohuveidaar,e
Ncnoneloslioisfsattecarceriealasmesmoanprteitaàllegri
Don Bosco
Le
s.
DCaevniedri--ss..SAillvbiiono
1 Mer ss..QPuroinstpoero
2 Gio ss..MCaurnineogonda imp.
3 Ven ss..CLauscimioiIro
4 Sab IsQ. Audarreiasnimo a- s. Cirano
5 Dom ss..CGoiloertdtaano
67 LMunar ss. Perpetua e Felicita
8 Mer s.ss.G.FiGroarvneagcneonsricioadidRDioNimo.ana
9 Gio ss..DSiiomnpigliicmio.
1101 VSeanb ss..ICbIB.oQeGsuntiaaernordelteaisntimtmoooared-asR. Mecaasnsaimtiiliano
12 Dom ss..ECurfirsatisniaa
V.
m.
-
s.
Patrizia
13 Lun ss..MPaaotillidneareg.
14 Mar ss..LLuoisnagino
1156 LA STRENNA MGeiro ss..EDriabmeritaono
SPaIieAlcrsMueqrOnuasaroenFAtdeoMeplplIraoGosgmLsioIiubAioai!levdecerolel’nAntmreilbloeuriefra.emmigolie
ss..PGaetrlitzriuode
1178 VSeanb ss..ICsICIsir.rQiiQlsultouaiairnnetosoim-easc.o-Smas.lpvGaaigtuonsrieeppe sposo di M.V.
19 Dom ss..CAlaleusdsaiandra m.
20 Lun s. Benedetto
Mar s. Elia
2212 Mer ss..sLs.B.TeeuVanritivbteoionriuadtniooMongrovia
2234 GVieon ss..ARsCn.oanUmtumeonrblcionieaarztidooin-Sesv.deIezsilaaSccigonore
25 Sab IV
s.
QEmuaarneusiemlea-
s. Teodoro
26 DLoumn ss..AAulegsussatandro
27 Mar ss..SGisotnotrano re
28 s. Secondo
29 Mer ss..AQmueirdineoo m.
30 Gio s. Beniamino
31 Ven s. Amos
AMORIS LAETITIA Lnlepoeolrsocslousmoroonliesodsciovoaventedteroeeldriecidhaiielieumdstavuorocnelagdrgooelni iaoatflituugrnlnain.vaDiefrauosncvozrreieloosbncbseeegrurveoaitrcaedolseomsendereielaald’mianuscolstoirisertmaedgarigetiuGairtegiesecùnnh.eietlolari
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.