Bollettino_Salesiano_201412

Bollettino_Salesiano_201412

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IL
DICEMBRE
2014
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Don Jaime Reyes
Don Bosco
a rotelle
Conoscere
la Famiglia
Salesiana
Comunità
Canção Nova
Le case di
don Bosco
Firenze

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La cestdai Mamma
Margherita
E ro la cesta preferita di Mamma Marghe-
rita. Il mio corpo è formato di vimini
intrecciati con grande cura. Ho sempre
avuto l’onore di soggiornare nella stanza
della mia proprietaria che, di persona, mi
ha foderato con delle belle stoffe colorate.
Trasportavo i graziosi corredini per i nipotini di
Mamma Margherita e qualche volta anche un
nipotino piccolo piccolo, delle fragranti pagnotte
appena sfornate e qualche torta e i regali di Na-
tale per tutti e la biancheria profumata di pulito.
Poi, un giorno, tutto rapidamente cambiò.
Arrivò da Torino Giovanni, il figlio prete di
Mamma Margherita, che secondo me aveva
chiaramente un debole per lui. Questo prete
aveva messo su una baracca in una zona brutta e
malfamata della periferia di Torino per accoglie-
re i ragazzi e i giovani
che la città maltratta-
va e aveva bisogno di
qualcuno che
gli facesse da
madre.
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
3 novembre 1846. Don Bosco e la mamma scendono dai
Becchi a Torino per accogliere i giovani abbandonati del-
la città. Avevano con loro il corredo da sposa di Mamma
Margherita, due anelli e un ciondolo d’oro, con cui riem-
pirono la cesta di Mamma Margherita. Con questi pochi
beni riuscirono a fare fronte alle prime necessità del loro
Oratorio. (Memorie dell’Oratorio, terza decade, n. 5)
Figurarsi Mamma Margherita che aveva un
cuore grande come tutte le colline dell’astigiano.
Disse subito di sì! Così dovevamo partire per la
capitale, Torino.
Ricordo ancora l’ultima notte. Mamma Marghe-
rita mi riempì con il suo corredo da sposa, atten-
tamente ripiegato e, nel mezzo, depositò alcuni
mazzolini di lavanda. Nel fondo, ben nascosto
sotto il rivestimento della stoffa, nascose il suo
piccolo tesoro: un pacchettino di velluto con due
anelli e un ciondolo d’oro.
Mi ero immaginata una bella casa di città e,
invece, mi ritrovai davanti ad una casupola di
periferia.
Con quanta lena, lavorarono Mamma Marghe-
rita e Giovanni nei giorni seguenti. Riuscirono a
rivestire di tenerezza quelle stanze vuote e piene
di polvere. Qualcosa però iniziò ad andare male.
Notai che con il passare del tempo la bianche-
ria che era stata accuratamente piegata al mio
interno, iniziò a sparire. Ero ormai rimasta vuota
e conservavo solo più quei due umili anelli d’oro e
il ciondolo.
Inutilmente mi misi a protestare il giorno in cui
Mamma Margherita decise di attingere anche a
quel piccolo tesoro che era rimasto.
E fu così fino a quando, una notte, aguzzando
i miei manici che mi fanno da orecchie, ascoltai
una conversazione tra Giovanni e sua madre…
la biancheria, gli anelli e il ciondolo che avevo
custodito con grande attenzione, erano servi-
ti per fare di quelle misere stanze un focolare
accogliente. Ascoltai con quale tenerezza diceva
i nomi di ognuno di quei poveri ragazzi che
avevano avuto modo di ospitare.
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Dicembre 2014

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IL
DICEMBRE 2014
ANNO CXXXVIII
Numero 11
IL
DICEMBRE
2014
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Don Jaime Reyes
Don Bosco
a rotelle
Conoscere
la Famiglia
Salesiana
Comunità
Canção Nova
Le case di
don Bosco
Firenze
Natale: il cielo negli occhi
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina : Natale è la festa di un Bambino che ha
portato il cielo sulla Terra (Foto Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Siria
10 L'INVITATO
Don Bruno Zamberlan
14 FINO AI CONFINI DEL MONDO
16 FMA
Suor Cangià
18 CREATIVITÀ SALESIANA
Don Bosco
sulla sedia a rotelle
21 NATALE ORATORIANO
22 NATALE
24 LE CASE DI DON BOSCO
Firenze
28 SALESIANI PER IL SOCIALE
30 CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
Comunità Canção Nova
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D'OMBRA
Una vita in salita
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Maria Antonia Chinello,
Roberto Colameo, Sergio Da
Silva Coutinho, Roberto Desiderati,
Ángel Fernández Artime, Cesare Lo
Monaco, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Munir El Rai,
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Linda Perino, O. Pori Mecoi,
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Fabrizio Zubani.
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n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Da questa finestra che il Bollettino
Salesiano mi dà ogni mese, mi
affaccio per salutare i miei fratelli
Siamo tutti salesiani, tutti gli appartenenti alla
nostra famiglia allargata nel mondo,
e i tanti amici e amiche di don Bosco
che gli sono vicini e lo amano in molte
missionari casesalesiane
Ancora una volta il Signore ci chiama
per nome, ci consacra e ci invita
a essere come il suo figlio diletto,
Gesù Cristo e ad annunciarlo.
Io vi invito, e vi chiedo di: essere retti
secondo Dio, servi senza privilegi
e compiere sempre la volontà del Padre.
Don Bosco ha voluto avere delle Congre-
gazioni e Istituti “in uscita”. Siamo una
Famiglia che ha avuto un Padre con un
cuore così grande e appassionato che non
riusciva a smettere nemmeno di sognare
e così ci ha regalato tanti sogni missiona-
ri che sono ancora oggi i nostri sogni.
Valdocco, Maria Ausiliatrice, Spedizione Missio-
naria: una triade preziosa da offrire all’umanità,
soprattutto ai giovani e più bisognosi del nostro
villaggio globale, il nostro carisma condiviso del
quale tutti noi siamo corresponsabili. Una triade
che ci fa giungere fino alla fine del mondo! In-
fatti, il nostro amato don Bosco ha fatto arrivare
i suoi fino alla lontana e quasi sconosciuta Terra
del Fuoco, al sud del sud della non meno inesplo-
rata Patagonia, terra di coraggiosi popoli molto
aperti alla trascendenza e all’amore per la terra,
per il creato. Quella fu un’impresa che ha avu-
to bisogno di tanti sacrifici e fatiche delle nostre
sorelle e fratelli, e che ha aiutato a far crescere e
sviluppare non solo la fede, ma anche la cultura
e la società nei paesi della regione. Oggi abbiamo
un Papa venuto da lì e che, nell’udienza con il Ca-
pitolo Generale, ci ha espresso questo mandato-
desiderio: “Les pido, no me dejen la Patagonia! ”, “Vi
chiedo, non lasciate la Patagonia!”.
Vi voglio lasciare tre ricordi, come faceva don
Bosco. Il primo si ispira al profeta Ezechiele ed è
questo: Essere retti secondo Dio.
Essere retti significa essere trasparenti, non avere
dei doppi linguaggi né delle intenzioni nascoste.
Siamo chiamati a essere sinceri, qualche volta
furbi nel senso evangelico che ci insegna Gesù,
ma sempre uomini e donne in cui non c’è falsi-
tà, come Natanaele. Essere retti significa essere
chiari nelle nostre motivazioni, essere capaci di
dirci la verità di noi stessi a noi stessi e agli altri.
Non si va in missione (qualsiasi tipo di missione,
anche quella di Rettor Maggiore) se uno cerca se
stesso, se uno cerca il potere o di imporsi agli al-
tri, se uno crede nel profondo che quello che porta
non solo è di un grande valore – che certamente
e sicuramente lo è! – ma che è superiore, migliore
di quello che troverà negli altri e nei luoghi dove
arriva. Essere retti secondo Dio è tuffarsi piena-
mente nel cuore di Dio misericordioso che ama
il peccatore e gli dà sempre un’altra opportunità
e sempre è disposto a riceverlo e ad abbracciarlo
come figlio amatissimo che viene da lontano...
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Per aiutarci, il salmo 23 ci insegna a pregare con
tutto il cuore: “Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
/ insegnami i tuoi sentieri. / Guidami nella tua fedel-
tà e istruiscimi...”.
La lettera di Paolo ai Filippesi mi ispira una se-
conda parola: Essere servi senza privilegi.
L’apostolo lascia alla storia uno degli inni cristo-
logici che sicuramente i primi cristiani recitava-
no nella liturgia. Un inno che è anche un atto di
fede: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di
Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma
svuotò se stesso assumendo una condizione di servo...”.
Carissimi tutti, il nostro privilegio più prezioso
è essere chiamati a vivere come Gesù, che svuo-
tò se stesso assumendo una condizione di servo!
Ognuno di noi è, anche se in diversi modi, servo
o serva degli altri. Anche qui, la naturale tenta-
zione del potere viene guarita dall’esempio chia-
ro e stravolgente di Gesù. Metterci al servizio di
quelli ai quali siamo inviati, metterci al servizio
anche di quelli che sono indifferenti, ci rifiutano
oppure ci combattono. Essere saggi e prendere
cura di noi stessi, delle nostre comunità,
dei nostri fratelli e sorelle... ma essen-
do disposti a dare tutta la vita. Andare
in missione è rispondere alla chiamata
di donare la propria vita fino all’ulti-
mo respiro, come don Bosco per i suoi-
nostri giovani. Il nostro privilegio sia
sempre il servizio a quelli che
hanno più bisogno, i giovani
più in pericolo e le popola-
zioni più povere.
Infine, arriviamo alla
terza parola che io vo-
glio condividere con voi:
Compiere la volontà del
Padre.
Compiere la volontà del
Padre è l’unico orizzon-
te valido della nostra vita
come battezzati e consacrati. Non c’è altro. E la
volontà del Padre non si compie da soli, autono-
mamente, credendosi i redentori versione rin-
novata. Mai! Nessuno di noi viene chiamato ad
essere il Messia! Nessuno di noi viene chiamato
a prescindere dal discernimento comunitario, dal
lavoro di insieme, dall’impegnarsi gomito a go-
mito con gli altri educatori pastori, e, al di là delle
distanze, di non essere in comunione profonda
dell’anima e di intenzioni, di preghiera e affetto.
Fratelli e sorelle, il Signore ci chiama e ci invia ad
essere discepoli missionari che vivono non solo
il grande comandamento di Gesù di amarci gli
uni gli altri, ma di far realtà il sogno-desiderio
di Gesù che lui stesso ha fatto preghiera nel suo
congedo: “Padre Santo, custodisci nel tuo nome co-
loro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come
noi” (Gn 17,11).
Compiere la volontà del Padre è testimoniare al
mondo che siamo capaci di essere fratelli e sorelle
tra di noi e tra tutti gli uomini e donne di buona
volontà al di là delle credenze, fede, religione o
costumi.
Ancora una volta il Signore ci chiama
per nome, ci consacra e ci invita a essere
come il suo figlio diletto, Gesù Cristo e
ad annunciarlo. Io vi invito, e vi chiedo
di: essere retti secondo Dio, servi senza pri-
vilegi e compiere sempre la volontà
del Padre.
Solo con la protezione ma-
terna e tenera di Maria, la
Maestra di don Bosco, e
con il suo insegnamen-
to quotidiano, pos-
siamo diventare veri
discepoli missionari
e aiutare in modo
tale che “... ogni lingua
proclami: ‘Gesù Cristo è
Signore!’ a gloria di Dio
Padre ”.
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SALESIANI NEL MONDO
ABUNA MUNIR EL RAI
Siria I figli di don Bosco
sono sempre qui
L’ispettore del Medio Oriente ci
presenta la situazione dei salesiani
nella martoriata terra siriana.
In Siria, dopo ormai tre anni di conflitto arma-
to, le persone e i giovani sono rassegnati e han-
no perso molta della loro speranza e fiducia, ma
non hanno perso la fede pur essendo provata. È
molto difficile andare avanti perché è quasi im-
possibile prevedere quando la guerra finirà e so-
prattutto è difficile capire che cosa succederà dopo e
quanto tempo ci vorrà per ricostruire tutto. E, come
se non bastasse, si ha grande paura degli estremisti
islamici e di quello che potrebbe accadere.
Per questo motivo moltissime persone, senza al-
cuna distinzione religiosa, stanno emigrando. La
percentuale di cristiani che è partita è molto ele-
vata e questo fenomeno ha gettato nello sconforto
le persone che hanno deciso di rimanere. Pur di
partire, intere famiglie sono pronte a vendere tut-
ti i loro averi e a correre rischi enormi.
La perdita del lavoro, il caro-vita e una situazione
politica molto complessa sono sicuramente tra le
Bambini siriani. La
morte è diventata
una compagna di
giochi.
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cause di questo fenomeno migratorio massiccio.
Non dobbiamo, poi, dimenticare tutto ciò che sta
accadendo attorno alla Siria. Si pensi alla situa-
zione dei Cristiani in Iraq, o a ciò che sta acca-
dendo in Libano.
Il problema dell’emigrazione è un dramma da
conoscere e da affrontare e tutti, a partire dalla
Comunità Internazionale e dalle Nazioni Unite,
dovrebbero contribuire a risolvere questa grande
catastrofe.
È difficile continuare a mantenere viva la speran-
za, ma ci sono segnali positivi che fanno capire che
le persone che restano in Siria fanno affidamento
sul loro grandissimo coraggio. La vita continua, ci
si sposa, si organizzano feste. I giovani continua-
no ad andare a scuola e all’universita e chi può si
inventa un nuovo lavoro, svolgendo anche attivi-
tà molto umili. C’è forte spirito di adattamento e
ogni occasione è buona per poter festeggiare. Chi
rimane, non ha alcun timore a mettersi in gioco,
ma fino a quando questa forza di volontà durerà?
Salesiani di Kafroun
Mercoledì 2 luglio 2014 sono entrato in Siria dal
Libano e ho immediatamente visitato la comunità
di Kafroun. La strada che ho percorso era relati-
vamente tranquilla, ma sono rimasto impressio-
nato dalle numerose foto, poste ai lati della stra-
da, che sono lì a ricordare i tanti caduti di questa
guerra che dura ormai da tre anni.
La comunità di Kafroun accoglie gli sfollati pro-
venienti soprattutto dalla famiglia Salesiana di
Aleppo. Gli sfollati sono prevalemente familiari
dei cooperatori, parenti dei salesiani o familiari
di qualche collaboratore.
La casa è meravigliosamente diretta da un unico
missionario italiano, don Luciano Buratti, che
può contare sul prezioso aiuto dei cooperatori
salesiani, tutti laici che portano avanti le attività
presso l’oratorio e il Centro Giovanile.
Durante la mia visita ho avuto il piacere di par-
tecipare alle attività dell’oratorio e, in particola-
re, all’inizio dell’Estate Ragazzi che ha visto la
partecipazione di almeno 300/350 ragazzi di cui
molti sono sfollati. La zona di Kafroun è una del-
le più tranquille della Siria. Per questo motivo
molte famiglie provenienti da Homs, Damasco e
Aleppo sono venute a vivere in questa vallata.
Salesiani di Aleppo
Sabato 5 luglio 2014, accompagnato da una fami-
glia, siamo partiti in auto per raggiungere Alep-
po. Abbiamo percorso una strada relativamente
sicura, ma che mi ha permesso di vedere la grande
distruzione che questa lunga guerra ha provocato.
Ho pensato a quante persone hanno combattuto,
hanno sofferto e sono morte. Ho visto i segni di
una guerra feroce un po’ dappertutto. Ho visto
villaggi completamente vuoti, case diroccate o
completamente distrutte. La distruzione fa pian-
gere il cuore e la brutalità della guerra ha profon-
damente colpito la vita quotidiana delle persone.
È sempre molto emozionante arrivare al Centro
Salesiano dove io sono nato, sono cresciuto e ho
vissuto da salesiano. Ho gioito molto nel vedere i
salesiani, i ragazzi e giovani. Sono stato accolto
molto calorosamente da tutti. Mi hanno abbrac-
ciato, baciato e gettato addosso dell’acqua, ovvero
il loro bene più prezioso. È da almeno quattro
mesi che manca l’acqua potabile!
Abbiamo cantato, abbiamo gioito e ci siamo ab-
bracciati. Il centro salesiano è veramenre un’oasi
di pace e di speranza!
Prima di andare a dormire sono rimasto colpito
dal cartello che ho trovato affisso sulla porta di
Ragazzi di
una scuola
salesiana ad una
manifestazione.
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SALESIANI NEL MONDO
I giovani del
Movimento
Giovanile
Salesiano di
Aleppo. Dove
saranno tutti, ora?
camera mia. C’era scritto: “Benvenuto ad Aleppo
che resiste pur essendo considerata una delle città
più pericolose al mondo”.
La domenica mattina ho celebrato una messa in
ricordo di Jacques, un ragazzo di 11 anni morto
mentre veniva da noi al catechismo nel gennaio
2014.
Durante la mia permanenza ad Aleppo ho cer-
cato di visitare diverse zone della città e ho visto
solamente distruzione e dolore. La quotidianità è
caratterizzata dai combattimenti e dalla mancan-
za di elettricità e acqua. Si è cercato di sopperire
alla mancanza d’acqua scavando alcuni pozzi, ma
parte della popolazione si è ammalata perché l’ac-
qua è infetta. In alcuni casi è possibile comprare
acqua di pessima qualità a prezzi molto alti e que-
sto fa soffrire molto le persone.
Ogni famiglia ha un parente ferito, morto o ra-
pito. I giovani non ce la fanno più e vorrebbero
partire, sarebbero disposti ad andare ovunque. I
giovani hanno perso la speranza. Negli ultimi due
anni non sono mai usciti dalla città e ogni giorno
convivono con la morte, uscendo di casa senza sa-
pere se saranno in grado di tornarci a causa delle
continue esplosioni.
Le persone sono stanche, stressate e depresse.
Ecco perché molti di loro hanno lasciato Aleppo
per spostarsi in altre zone o per emigrare all’estero.
I salesiani, assieme alla chiesa locale e a tutti gli
uomini di buona volontà non cristiani, stanno
facendo veri e propri miracoli per sostenere in
tutti i modi la popolazione. All’Estate Ragazzi
si sono iscritti più di 600 ragazzi e giovani. La
popolazione ha ringraziato i salesiani per tutto
ciò che stanno facendo attraverso il sostegno eco-
nomico alle famiglie e l’organizzazione di attività
spirituali e ricreative per tutti. Il direttore don
Georges Fattal, assieme a don Simon Zakarian
e al diacono Pierre, che li ha aiutati nel periodo
estivo, hanno dato una grande testimonianza di
generosità, amore e dedizione per i giovani.
Ho avuto un bell’incontro con gli animatori che,
nonostante tutte le varie difficoltà, danno gra-
tuitamente il loro tempo per stare con i ragazzi
e trasmettere loro gioia e un po’ di serenità. Ho
incontrato anche i salesiani cooperatori che sono
indispensabili e ho infine avuto modo di incon-
trare singolarmente alcune famiglie e alcuni gio-
vani.
Il Signore poi ci ha benedetti e ci ha donato
una nuova vocazione, l’unica di tutta l’ispettoria
MOR proviene da un luogo di grande sofferenza.
Salesiani di Damasco
Arrivato alla Casa di Damasco ho avuto la gioia
di incontrare i confratelli, ovvero il Direttore don
Alejandro Leon, il suo vicario don Munir Hanasci
e don Felice Cantele. I tre confratelli sono stati coa-
diuvati dal prenovizio siriano Mehràn, delle zone
della Mesopotamia, che quest’anno parte per il suo
periodo di noviziato a Genzano di Roma.
Ho avuto il piacere di partecipare alle attività
dell’Estate Ragazzi che hanno visto l’afflusso di
più di 350 ragazzi e giovani provenienti da zone
abbastanza lontane dal centro, a circa un’ora di
macchina. È stato bello vedere come i ragaz-
zi abbiamo voluto partecipare alle attività, pur
dovendo rischiare a causa dei molteplici posti di
blocco sulla strada. Per aiutarli i salesiani li vanno
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a prendere e li riportano a casa in pullman e ga-
rantiscono loro almeno un pasto presso il Centro.
I ragazzi partecipano con gioia alle tante attività
preparate dagli animatori e sono entusiasti di po-
ter vivere qualche momento di tranquillità, pace
e spensieratezza.
Abbiamo celebrato una messa in cortile perché
la chiesa non riusciva a contenere tutti i presenti
e l’abbiamo terminata con una processione e l’o-
stensione del Santissimo a cui abbiamo affidato
la pace in Siria.
Ho poi incontrato entrambe le comunità delle
Figlie di Maria Ausiliatrice. Nella prima le suore
gestiscono una scuola per l’infanzia e organizzano
corsi di taglio e cucito per le donne, mentre l’altra
comunità gestisce l’ospedale italiano di Damasco.
Anche qui a Damasco, come succede a Kafroun
e Aleppo, i nostri salesiani portano avanti attività
di supporto socio-economico per alcune famiglie.
Ho incontrato alcune di loro in diversi quartieri
della città. Una di queste famiglie, che vive in una
zona di frontiera e il cui padre è appena morto per
malattia, mi ha fatto capire che cosa sia la rasse-
gnazione. Pur essendo in zona di guerra nessuno
di loro vuole lasciare la propria casa, perché con
la morte del loro padre per loro la vita è finita.
Continuavano a ripetermi Inte u hàzzak, dipen-
de tutto da quanto sarai fortunato. Perciò, biddna
na’ìsh, vogliamo vivere! Nonostante tutto, anche
se solamente in alcuni quartieri, la vita quotidia-
na continua e negozi e ristoranti sono aperti.
I salesiani, infine, sono riusciti a organizzare un
bel campeggio e hanno portato i ragazzi e i gio-
vani nel nostro centro di accoglienza di Maarra e
hanno passato diversi giorni tutti insieme in un
clima di fraternità e di serenità.
Da Damasco sono tornato nuovamente in Libano
per visitare e incontrare i nostri confratelli sale-
siani a Al Houssoun dove abbiamo un oratorio/
centro giovanile e a Al Fidàr dove c’è invece una
scuola tecnica. Anche in questa comunità i sale-
siani, insieme con i cooperatori, portano conforto
e assistenza ai nostri profughi siriani che vivono
in situazioni difficili e possono contare su un so-
stegno spirituale e socio-economico.
E dopo la bufera?
Ciò che sta capitando in Siria è molto comples-
so, poiché operano varie componenti e potenze
interne ed esterne, ed è difficile capire quale sarà
la soluzione di tutto ciò. Ad oggi non c’è alcun
segnale che faccia percepire la volontà di arrivare
a una pace duratura. Ci sono molti interessi in
gioco e a pagarne le conseguenze sono le persone
comuni e i ragazzi, i giovani e in modo speciale
anche le minoranze cristiane.
È un momento particolare per tutto il Medio
Oriente, è un momento delicato e di grande tra-
sformazione storico-politica. Le conseguenze di
queste guerre porteranno alla costruzione di un
altro Medio Oriente che sarà ferito, debole e di-
viso, ove sono a rischio le comunità cristiane ed
altre minoranze.
Per questo motivo chiediamo al Signore di darci
la vera pace e di purificare il cuore degli uomi-
ni, affinché ne possano capire il senso e ambire a
una convivenza il più possibile pacifica. Che il Si-
gnore conceda forza, coraggio, costanza ai nostri
fratelli cristiani in questi momenti drammatici
della nostra storia, e a tutto il popolo “dell’amata
Siria”.
Il Rettor Maggiore
con l’Ispettore
del Medio Oriente
Munir El Rai
(autore del nostro
articolo ).
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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Don Bruno Zamberlan
“Sono missionario salesiano
da tutta una vitaDaHwange,
Zimbabwe, Africa.
Com’è stato il suo
“itinerario” salesiano?
“Sognai” le missioni dell’Africa
quando avevo appena nove anni.
Scherzavo su questo sogno con i miei
amici e con i miei stessi genitori,
perché volevo vedere le loro reazioni
a questo mio progetto: sarei andato
in Africa! In realtà volevo “essere un
salesiano in modo radicale”, “pren-
dendo distanza” dalla mia famiglia,
che tanto amavo e dove avevo impa-
rato l’arte di amare senza riserva e
gratuitamente. L’Oratorio Don Bo-
sco di San Donà di Piave (l’Oratorio
più bello del mondo) mi faceva vivere
tutti i fine settimana una spensierata
e sana allegria in compagnia di molti
amici della frazione di Fiorentina. Lì
mi inserivo nella catechesi domeni-
cale, nelle attività sportive, teatrali,
associative e liturgiche. La vicinanza
di quei salesiani e la loro amicizia mi
avevano conquistato: don Domenico
Moretti, don Giuseppe Scaranto, il
“Signor Toni” (salesiano Coadiu-
tore), don Antonio Bernardinis, tra
i molti, vivevano in mezzo a noi ed
erano lì per noi ragazzi. Cosicché
quando ho manifestato loro di voler
essere salesiano, si sono mossi per la
mia causa: assieme ai miei genito-
ri mi hanno portato in macchina (a
quel tempo!) al Manfredini di Este
tra i “Figli di Maria” e poi all’aspi-
rantato di Trento, in Via Barbacovi
e finalmente al Noviziato di Albarè
di Costermano. Lì mi sono trovato
con tanti amici, futuri salesiani della
Veneta: Babetto, Busolin, Canova,
Bonato, Zuppini, Breda, Ganassin,
Tolomio, Disegna, Roccaro, Ruffa-
to, Garbari, Stevanato, e molti altri.
Era l’anno 1959: 42 novizi. Quell’an-
no, il 16 Agosto, il Rettor Maggiore
don Zigiotti a pranzo annunziò uf-
ficialmente la divisione dell’Ispet-
toria Veneta. E noi, nuovi novizi,
abbiamo fatto un grande applauso!
Nel fratempo, alla fine del noviziato
avevo chiesto di partire per le mis-
sioni, però mio padre si era opposto.
Non ero “maturo”: ed aveva ragione!
Ho fatto così gli studi di filosofia
ed il magistero al Castello di Cisòn
di Valmarino, che apriva le sue por-
te proprio quell’anno 1960, essendo
don Ugo Uguccioni il suo primo di-
rettore.
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2.1 Page 11

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Avevo ripetuto la domanda per parti-
re per le missioni ed era arrivata sullo
scrittoio dell’allora Consigliere per le
Missioni, don Modesto Bellido. Ho
ricevuto il Crocifisso Missionario da
don Albino Fedrigotti nel Settembre
del 1964. Il 5 dicembre di quello stesso
anno arrivavo a Montevideo, all’Ispet-
toria dell’Uruguay. Qui ho fatto il mio
tirocinio nell’Aspirantato del Manga e
poi la Teologia a Montevideo, dove la
Conferenza Episcopale e le Congre-
gazioni Religiose aprivano nel 1967
un centro di studi teologici in comune.
Erano gli anni della teologia della li-
berazione in America Latina. Abbia-
mo ricevuto e studiato i documenti del
Concilio Vaticano II e preparavamo
i documenti del CELAM in Medel-
lìn (1968) e dopo in Puebla (Messico:
1978). Nel 1967, come studente di teo-
logia, avevo avviato un Centro Giova-
nile a Sayago (Montevideo): era il pri-
mo centro giovanile misto del Cono
Sur. I Superiori lo avevano visto con
buon occhio e lo hanno accompagna-
to a livello locale ed interispettoriale.
Don Edmundo Vecchi era allora l’in-
caricato della Pastorale Giovanile del-
la regione. Qui, a Sayago, periferia di
Montevideo, ho condiviso con i giova-
ni la mia vita salesiana per più di 10
anni. I ragazzi e la gente del “barrio”
mi hanno circondato di affetto e tra
loro mi sono sentito felice. Il Centro
Giovanile di Sayago era “l’Oratorio
più bello dell’America Latina”! I ra-
gazzi d’allora si riuniscono ancora tra
loro. In Montevideo ed in Rivera, sul-
la frontiera con il Brasile, ho vissuto
gli anni della dittatura dell’Uruguay
(1975-1985) e gli anni della “libera-
zione” (1985-1993). Il contatto con la
gente, specialmente con i giovani, il
lavoro apostolico organizzato e portato
avanti in comunione con la Diocesi e
con la Congregazione mi hanno por-
tato a vivere “intensamente” e “gioiosa-
mente” il mio sacerdozio salesiano, an-
che nei momenti più difficili. Dopo 6
anni nella frontiera con il Brasile, sono
ritornato a Montevideo, al Collegio
Pio (scuola elementare e liceo: 1985-
1990) e alla pre-università salesiana del
“Giovanni XXIII” (1990-1993).
Don Bruno Zamberlan con alcuni dei suoi amici
piccoli e grandi.
Dicembre 2014
11

2.2 Page 12

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L’INVITATO
Com’è arrivato in Africa?
Nel 1980 mi trovavo alla Casa Gene-
ralizia a Roma per un corso di Spi-
ritualità Salesiana. Ho goduto della
compagnia di molti santi salesiani:
don Aubry, don Dho, don Viganò,
don Fiore, il “Cavaliere” (il barbie-
re), il Signore Celato, tra molti altri.
Un giorno, durante questo soggiorno,
ho avuto l’occasione di parlare con il
Rettor Maggiore don Viganò il quale
mi conosceva da quando lui era Ispet-
tore del Cile. È stato proprio lui che
mi ha invitato a partecipare al pro-
getto Africa. Seguendo il suo consi-
glio ho “fatto la domanda” nella festa
dell’Assunta ed ho affidato il tutto a
Maria. Solamente 13 anni dopo ho
potuto andare in Africa: i miei supe-
riori in Uruguay non “trovavano nes-
suno che mi sostituisse” o “io ero già
missionario”. È stato don Edmundo
Vecchi, per mezzo di don Luciano
Odorico, che ha insistito presso il mio
Ispettore: la Congregazione voleva
aprirsi a un nuovo paese africano, lo
Zimbabwe, ed aveva bisogno di un
“salesiano”. È stato così che a 53 anni
ho cominciato a studiare l’inglese,
che non avevo mai digerito! Il gior-
no di san Francesco di Sales del 1995
sono arrivato a Lusaka per proseguire
fino ad Harare. Qui ho studiato lo
Shona (lingua locale parlata dal 75%
della popolazione) ed ho cominciato
a lavorare nella parrocchia affidata
ai salesiani, però nella stessa casa dei
salesiani hanno aperto un centro gio-
vanile, un oratorio: lì si faceva cate-
chesi per tutte le età e si svolgevano le
attività culturali, sportive e religiose
per i giovani. Mi sentivo nell’oratorio
più bello dell’Africa! Dopo sette anni
i superiori mi hanno mandato a con-
tinuare la seconda opera, che doveva
essere una scuola tecnica a 80 km
vicino alle cascate Vittoria del fiume
Zambesi. Dopo solo tre anni l’Ispet-
tore mi ha chiesto di aiutarlo nell’ani-
mazione dell’Ispettoria che già si era
estesa in 4 paesi: Zambia, Zimbabwe,
Malawi e Namibia. Mi inserivo così
nella formazione dei giovani futuri
salesiani, lavorando nel prenoviziato,
nel noviziato e nel filosofato in Mo-
shi, Tanzania. Il presente Ispettore un
anno fa mi ha chiesto di ritornare a
Hwange, in Zimbabwe per terminare
la scuola professionale e lavorare nella
parrocchia.
Don Bosco può avere
un “volto africano?”
Quando sono arrivato in Zimbabwe
nella festa di Maria Ausiliatrice del
1995 don Bosco c’era già da più di 50
anni! Un missionario svizzero, don
Luigi Haene, della Congregazione
dei Betlehemiti, exallievo di don Bo-
sco in Svizzera, aveva creato la par-
rocchia Don Bosco nel 1943, per i neri
Don Bruno durante una processione.
che, nella città di Masvingo dovevano
vivere separati dai bianchi. Eravamo
in pieno “apartheid”. Qui più tardi
sono state introdotte le scuole serali
per adulti, un orfanotrofio per bam-
bini disabili, ed una congregazione di
suore locali.
Questo prete più tardi è stato vescovo
di una nuova diocesi, Gueru, che ha
messo sotto la protezione di Maria
Ausiliatrice. Quindi don Bosco era
conosciuto, però non i salesiani. La
catechesi e la maniera di lavorare in
mezzo ai giovani ci hanno fatto co-
noscere!
Hwange è un’opera
giovanissima.
Qual è la sua missione?
Ci sono due opere salesiane in Zim-
babwe, nella periferia di Harare e
nella zona delle miniere di carbone in
Hwange. In ogni presenza ci sono tre
salesiani.
Qui in Hwange don Bosco ha un pro-
getto ambizioso e molto atteso dalla
12
Dicembre 2014

2.3 Page 13

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Chiesa e dal governo: la posta in mar-
cia di una scuola professionale, per i
giovani della zona rurale del Mate-
beleland. Lo Zimbabwe, come mol-
ti paesi dell’Africa, ha molte risorse
naturali, una grande attrazione turi-
stica e si era distinto per una grande
preparazione intellettuale e tecnica
dei suoi abitanti. Basti pensare che in
soli due anni, tra il 1982 e 1984, sono
state costruite 1700 scuole secondarie
dando a tutti istruzione gratuita. Lo
Zimbabwe era l’unico paese africano
con solo il 2% di illetterati.
Nella produzione agricola era consi-
derato il “granaio” dell’Africa! Al mio
arrivo nel ’95 Harare era stata dichia-
rata la città più pulita di tutta l’Africa.
Allora costava meno andare a pranzo
al ristorante che preparare da man-
giare in casa. Oggi la situazione eco-
nomica e sociale è cambiata del tutto.
I bianchi sono stati mandati via e con
loro sono anche andati via i capitali. Il
paese è soggetto alla classe politica di
turno. Questa situazione si può man-
tenere in piedi perché il presidente
è anche capo delle forze armate. Lo
Zimbabwe, come tale, non ha mai
avuto una guerra, ma si sa che oggi
più del 50% della popolazione attiva
fa parte delle forze armate. È bene sa-
pere che le forze armate votano nelle
caserme il giorno prima delle elezioni
nazionali! Per la maggior parte della
gente oggi è difficile “sopravvivere”.
La classe dirigente si è presa il paese
come se fosse la sua “farm” e si ar-
ricchisce a spese dei poveri. Il dollaro
zimbabwiano è sparito dalla circola-
zione: un dollaro americano valeva 3
trilioni di dollari locali. Oggi si usa
il dollaro americano. Sembra pro-
prio che tutto valga un dollaro! Qui
in Hwange le miniere non pagano il
salario da febbraio dell’anno scorso.
I minatori ricevono alla settimana 5
kg di farina, 750 cl di olio e 2 kg di
kapenta (pesciolini secchi). Per questa
situazione di precarietà e molte volte
di disperazione quasi metà della po-
polazione (13 milioni) è in diaspora,
specialmente in Gran Bretagna, Au-
stralia ed America.
Ed i giovani? Le scuole anche ele-
mentari adesso si pagano! Però non
c’è da mangiare in casa e quindi si
rimane a casa da scuola. Pochi man-
giano tre volte al giorno.
Com’è vista la Chiesa
in Zimbabwe?
Sfortunatamente la Chiesa
in molti casi “non può par-
lare” ed è messa a tacere!
Alcuni cristiani e “clero” ne
hanno approfittato durante
Qui i bambini sono la sorridente
speranza di una nazione che non
riesce più a sperare.
la distribuzione delle terre e ricevet-
tero favori! Non si può parlare con lo
stesso linguaggio del Vangelo.
Qual è il sogno
dei salesiani che operano
in Zimbabwe? E don Bosco?
Il progetto della scuola professionale
si inserisce proprio qui: dare ai gio-
vani un “tool” per rimanere sul po-
sto, rimanere in famiglia e non emi-
grare senza futuro. In poche parole
la futura scuola professionale offrirà
un futuro ai giovani e alle loro fa-
miglie.
Che si può fare dall’Italia?
Aiutarli! Non dare “tutto e gratis”,
ma accompagnarli nel loro sforzo di
essere se stessi! Alcuni di voi possono
pensare di venire a trovare i giovani
e godere della loro semplice presen-
za. Vi arricchirete dal contagio della
loro amicizia e gioia. Venite a trovare
i giovani! Venite a trovarci. Ci aiute-
rete e ci aiutiamo.
Dicembre 2014
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2.4 Page 14

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
HONDURAS
Una Chiesa
in uscita:
campagna di
evangelizzazione
a Comayagüela
(ANS - Comayagüela) – Attorno alla
parrocchia “Maria Ausiliatrice” di Coma-
yagüela sorgono delle colonie dove violenza,
sovraffollamento e bande hanno allonta-
nato le famiglie dalla vita della Chiesa. È
pensando a queste persone che i Salesiani
hanno preparato la “Campagna d’Evange-
lizzazione 2014”, un’iniziativa che serve a
condividere con i parrocchiani la missione
di annunciare Cristo. Oltre 500 persone –
bambini, giovani, adulti e anziani – hanno
deciso di partecipare a questa esperienza.
Il gruppo si è preparato per tre settimane
prima dell’inizio; poi la prima domenica di
ottobre sono iniziate le visite missionarie:
molte delle persone beneficiate, abituate a
restare ai margini della società, sono state
stupite dalla visita, ma poi hanno ascoltato
con attenzione i missionari e in certi casi
hanno pregato con loro. Le visite missio-
narie sono state sostenute dalla preghiera
davanti al Santissimo di altri parrocchiani e
si sono concluse con la messa comunitaria.
HAITI
Saponette
per giovani
e famiglie a
rischio colera
(ANS - Port-au-Prince)
– Grazie ad una recen-
te donazione da parte
della “Soapbox Soap”,
coordinata dalla Procura
Missionaria Salesiana di
New Rochelle, oltre 10 000
saponette sono finite nelle
mani dei bambini e delle
famiglie in difficoltà ad
Haiti. Il paese caraibico,
a seguito del terremoto
del 2010 conta il più alto
numero di casi di colera al
mondo (698 893 contagi
e 8540 decessi in 4 anni,
secondo i dati ONU).
“I salesiani lavorano
ad Haiti con i minori in
difficoltà; per questo sono
stati in grado di fornire
un percorso ben delinea-
to per portare il sapone
direttamente dai donatori
ai beneficiari – spiega
Jessica O’Connor, della
Procura Missionaria di
New Rochelle. – Questa
donazione è vitale per i
nostri programmi ad Haiti.
INDIA
Una nuova vita
per Sumati,
grazie a BOSCO
(ANS - Bangalore)
– L’ong salesiana bosco cambia la vita di
molti giovani in difficoltà. Così ha fatto con
Sumati, una ragazza indiana originaria di
un piccolo villaggio, figlia di una casalinga
e di un agricoltore che ha perso tutti i suoi
beni dopo un contenzioso con il fratello.
Essendo Sumati la figlia maggiore, i fami-
liari l’hanno convinta a lasciare gli studi e
cercare lavoro a Bangalore. Ed è proprio
alla stazione della città che gli operatori di
bosco l’hanno incontrata, sola e scoraggia-
ta, dopo che era stata abbandonata anche
dall’amico che doveva aiutarla a trovare
lavoro. bosco le ha allora offerto l’opportu-
nità di frequentare il centro di riabilitazione
per ragazze “Vatsalyabahvan” dei salesiani,
dove Sumati ha ricevuto sostegno psicolo-
gico per superare i traumi subiti e ha potuto
riprendere gli studi. Grazie alle competenze
informatiche acquisite, oggi Sumati lavora
in un call center e può aiutare economica-
mente la famiglia; e soprattutto ha riacqui-
stato la fiducia in se stessa.
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Dicembre 2014

2.5 Page 15

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GHANA
Strutture
accoglienza
bambini
ETIOPIA
La missione
salesiana
di Pugnido
(ANS - Ashaiman) – I salesiani dell’Ispet-
toria Africa Occidentale Anglofona (afw)
hanno recentemente inaugurato una nuova
presenza specialmente rivolta ai minori più
bisognosi: il “Don Bosco Child Protection
Centre”. La nuova opera, composta da vari
edifici e cortili, offrirà educazione integrale
e percorsi di riabilitazione emotiva e psico-
logica ai bambini vittime della tratta, abusi
sessuali, bambini di strada e orfani. La sua
inaugurazione, avvenuta nell’ambito delle
celebrazioni per il Bicentenario della nascita
di don Bosco, testimonia una volta di più
come l’Anno Bicentenario debba essere non
solo occasione di cerimonie e festeggiamenti,
ma soprattutto uno stimolo per un rinnovato
impegno in favore dei minori più bisognosi, i
più amati da don Bosco.
SPAGNA
Ebola: 4000.
Fame: 3 milioni
“In 10 mesi 4000 persone
sono morte per via della
peggiore epidemia di ebola
mai registrata, ma in 3 mesi
circa 3 milioni di persone
sono morte per mancanza
di risorse e di cibo e nes-
suno parla dell’epidemia
della fame e della povertà”.
Così riporta un comunicato
delle Procura Missionaria
Salesiana di Madrid, per
ricordare che la lotta contro
la povertà e per lo sviluppo
sta a fondamento di
qualsiasi forma di impegno
umanitario. Intanto, nei
teatri in cui il virus continua
maggiormente a mietere
vittime – Liberia, Sierra
Leone e Guinea Conakry –
i salesiani compiono azioni
di sensibilizzazione e pre-
venzione, si prendono cura
degli orfani, distribuiscono
cibo e prodotti sanitari.
“Ma soprattutto, continuia-
mo ad accompagnare la
popolazione. Restiamo
al loro fianco e loro ci
sentono vicino” dicono i
religiosi.
(ANS - Pugnido) –
“La missione è molto
bella e grande: al centro c’è la chiesa, rotonda,
a forma delle loro capanne; poi l’asilo per 200
bambini e l’ostello per 70 studenti dei villaggi
più lontani; l’oratorio con i campi e la grande
sala; quindi i pozzi, l’orto, un terreno coltivato
e infine la casa del parroco”. Così riporta don
Filippo Perin, missionario salesiano da poco
giunto nella missione di Pugnido, Etiopia.
La presenza di Pugnido, nata 8 anni fa, è
cresciuta nel tempo e conta ora 11 stazioni
missionarie periferiche, 3 chiese in un campo
profughi e 4000 nuovi battezzati. Don Perin
è entusiasta delle sue giornate feriali aperte e
chiuse dalla preghiera e vissute tra catechismo,
incontri con i bambini e i giovani nelle classi
e all’oratorio, lezioni di lingua locale… ma
ancor più gli piacciono le attività festive, con le
messe a rotazione nelle varie stazioni missio-
narie e l’incontro con le comunità più lontane.
Il suo pensiero va a chi rende possibile tutto
ciò: “vorrei potervi ringraziare facendovi arri-
vare il sorriso di questi bambini”.
Dicembre 2014
15

2.6 Page 16

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FMA
MARIA ANTONIA CHINELLO
I consigli di
La dinamica suor Caterina
Cangià, Figlia di Maria
Ausiliatrice, ha raccolto
papa Francesco lepiùbelleparoledipapa
Francesco sull’amore di
Dio, l’amore per gli altri
e, soprattutto, l’amore
in DVD-Rom infamiglia,partendoda
quando si è fidanzati fino a
quando si è nonni.
C aterina Cangià, Figlia di
Maria Ausiliatrice, cono-
sciuta anche come Sisternet,
ideatrice e coordinatrice della
Bottega d’Europa, la scuola
dove si impara l’inglese usan-
do il computer e facendo teatro parla
della sua ultima produzione, ha, tra le
sue molteplici attività, anche Multi-
dea, una piccola casa editrice. Con un
gruppo di giovani, e in collaborazio-
ne con la Libreria Editrice Vaticana,
hanno raccolto i consigli che papa
Francesco ha rivolto alla famiglia
nel suo primo anno di pontificato. Si
tratta di «un DVD-Rom dei consi-
gli più belli riferiti all’amore di Dio,
all’amore per gli altri e, soprattutto,
all’amore in famiglia, partendo da
quando si è fidanzati fino a quando…
si è nonni!», precisano entusiasti.
Quello su papa Francesco è l’ultimo
lavoro di una serie di prodotti di ele-
vata qualità, tra i quali il film su santa
Maria Domenica Mazzarello “Maìn.
La casa della felicità”.
Il prodotto, il primo di una serie che,
si auspica, sia ricca di numerosi altri
contributi, è uscito pochi giorni prima
dell’inizio della terza Assemblea Ge-
nerale Straordinaria del Sinodo dei
Vescovi, che si è svolto in Vaticano
dal 5 al 19 ottobre sul tema: «Le sfide
pastorali sulla famiglia nel contesto
dell’evangelizzazione».
Come dire, una risposta concreta
all’invito rivolto alle diocesi, alle co-
munità parrocchiali, agli Istituti di
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Dicembre 2014

2.7 Page 17

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vita consacrata, alle associa-
zioni e ai movimenti di pre-
Suor Caterina e il team di Multidea. A
pagina precedente: la copertina del DVD.
gare, sostenere, tenere desta
l’attenzione sulla famiglia e sui
Le due sezioni centrali sono
lavori sinodali.
dedicate ai fidanzati e alle fa-
I problemi sono tanti, tante
miglie.
sono le domande e le questio-
«Cari fidanzati – ci dice il
ni aperte. Negli ultimi decenni
Papa – voi vi state preparando
la realtà delle famiglie è note-
a crescere insieme, a costruire
volmente mutata, come ha ben
questa casa per vivere insieme
presente chi vive immerso nella
per sempre. Non volete fondar-
quotidianità delle società con-
la sulla sabbia dei sentimenti
temporanee. Il fine ultimo di
che vanno e vengono, ma sulla
qualsiasi dibattito, di qualsiasi
riforma, di qualsiasi decisione
Il DVD-Rom è reperibile scrivendo al sito
www.multidea.it o all’indirizzo info@multidea.it
roccia dell’amore vero, l’amore
che viene da Dio».
dovrebbe essere soltanto quella
Ed ecco il consiglio alle fami-
«salvezza delle anime» alla quale ha musicale il bellissimo brano di Arvo glie: «Questo è il vero tesoro dell’uomo:
fatto riferimento il cardinale Bergoglio Pärt, Spiegel im Spiegel».
andare avanti nella vita con amore, con
nel suo intervento alle congregazioni
quell’amore che il Signore ha seminato
pre-conclave.
«È come averlo in casa!» nel cuore, con l’amore di Dio».
È il tempo dell’ascolto e del «cammi- Pagando i diritti per i brani video e «All’interno delle sezioni del DVD si
nare insieme», o meglio, dell’ascolta- per le immagini di papa Francesco incontrano contenuti correlati: sono
re e vedere insieme. Questo ci viene scelte, è stato possibile inserire nel ancora le parole del Papa, le sue rifles-
permesso dal bellissimo DVD-Rom, DVD-Rom, possiamo dire, dal vivo, sioni che diventano come un vademe-
tutto da guardare e da interiorizzare papa Francesco che entra così nelle cum per la famiglia, spunti di catechesi
perché ha, in alta risoluzione, il vol- nostre case. «È come averlo accanto spicciola per i genitori, pensieri per la
to di papa Francesco che ci parla e ci a noi – sorride Cristina, che si è oc- vita quotidiana» continua Sisternet, che
sorride, perché ha la significativa me- cupata dell’aspetto realizzativo del conclude dicendo: «Parlare di famiglia
tafora di un fiore che fa volare i suoi DVD – parla in modo così semplice, è importante e urgente. È il nucleo
semi nel mondo, perché raccoglie le con immediatezza, con tanta bontà, generativo e generatore dell’amore, che
parole più belle e, soprattutto, i consi- proprio come se fosse un padre o una raccoglie il passato, illumina il presen-
gli più significativi per il nostro quo- mamma, o come preferirebbe lui stes- te, orienta il futuro delle nuove genera-
tidiano.
so definirsi, un nonno».
zioni e del mondo di domani».
«Il DVD ha una struttura molto sem- Con lei scorriamo le immagini e indi- La decisione di papa Francesco di
plice – spiega suor Caterina –. Sono viduiamo le sezioni del prodotto. Le convocare due assemblee sinodali sul-
sei sezioni in cui, a partire da brani prime due e le ultime due sono una la famiglia per gli anni 2014 e 2015
di omelie, interventi, discorsi di papa riflessione sull’amore di Dio per noi e ne ribadisce la centralità, soprattutto
Francesco, abbiamo ricavato sei con- sul nostro lasciarci amare da Lui, per- se si tiene conto della speciale insi-
sigli per le famiglie, per i genitori, per ché egli non aspetta che andiamo da stenza sulla missione evangelizzatrice
i fidanzati, per i figli. È come un libro Lui, ma è Lui che si muove verso di della Chiesa, accompagnata da una
interattivo con immagini evocative, noi, senza calcoli, senza misure. Dio forte istanza di apertura dialogica agli
parole e video. Ha come sottofondo è così: Lui fa sempre il primo passo. uomini del nostro tempo.
Dicembre 2014
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2.8 Page 18

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CREATIVITÀ SALESIANA
LINDA PERINO
Don Bosco a rotelle
Nessuno si salva da solo
Questo movimento,
ideato dal salesiano don
Jaime Reyes Retana,
dell’Ispettoria di Messico-
Guadalajara, percorre
case e strade in cerca
di giovani persone che
sono in una sedia a rotelle
a seguito di infortunio
o malattia per aiutarle
a capire che non sono
condannate a disperazione
e isolamento, ma possono
riconquistare autonomia
e aiutare gli altri:
nessuno si salva da solo.
«Lesione grave al mi-
dollo spinale», le dis-
sero i medici quando
riprese conoscenza.
Araceli, una bella ra-
gazza messicana ven-
tenne, era caduta per 30 metri in un
burrone mentre percorreva in moto
la Sierra di Mazamitla (Messico) e si
spezzò la vertebra T12. Quando uscì
dall’ospedale, trasformarono la sua
casa in una specie di sala ospedaliera,
solo che ora la sua stanza era al pia-
no terra accanto alla cucina e non più
al secondo piano. I suoi fratelli e sua
madre la assistevano in tutto: la cari-
cavano in auto, la mettevano a letto,
la portavano in bagno. La sua camera
cessò di essere l’abitazione di una gio-
vane e divenne una piccola replica di
un ospedale, infermiera inclusa.
Tre anni dopo, Araceli vide entrare in
casa sua Jaime Reyes, un sacerdote sa-
lesiano, che era accompagnato da José
Mario Hernández, un giovane che
aveva la stessa invalidità di Araceli.
Quando José Mario entrò nella stan-
za della ragazza, rimasero tutti a boc-
ca aperta: il giovane guidava l’auto, si
muoveva da solo e saliva da solo sulla
sedia. «Ma come fai?» chiese Araceli.
Un paio di mesi dopo, lei sapeva fare
Araceli, oggi, è una ragazza felice e autonoma,
grazie a Don Bosco Sobre Ruedas.
A sinistra: Il logo del Bicentenario con
l’inserimento di un giovane in carrozzella.
le stesse cose. Aveva lasciato il letto e
si muoveva per le strade da sola.
Sulle prime, i suoi erano diffidenti:
aveva speso somme enormi per pa-
gare una cura a base di cellule stami-
nali che prometteva di farla di nuovo
camminare, cosa impossibile per il
tipo di lesione di Araceli.
«Il letto usalo come tutti, per dormi-
re o fare la siesta» le disse don Jaime.
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Dicembre 2014

2.9 Page 19

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«Non hai bisogno di tutto questo,
devi essere indipendente. Tu non sei
malata!». Sgombrarono il letto con i
suoi tubi e tutte le attrezzature ospe-
daliere e la sua cameretta tornò ad
essere uguale a tutte le altre della fa-
miglia. Solo un apparecchio poco in-
gombrante in un angolo le permette
di fare le terapie giuste per mettersi in
piedi e rinforzare le sue gambe.
L’apparecchio le è stato prestato
dall’Associazione Don Bosco Sobre Rue-
das, fondata da don Jaime Reyes. Oggi
Araceli si trucca come tutte le ragazze
della sua età, si veste alla moda, cura la
sua immagine: «Avere una invalidità,
non significa non potersi lavare o non
potere fare il maquillage giusto».
«Questa potrebbe essere
una nuova frontiera»
«Sono un sacerdote felice di esserlo:
appartengo ad una bella comunità,
quella di san Giovanni Bosco» spiega
don Jaime. «Quello salesiano è uno
spirito semplice, di lavoro, di alle-
gria, di studio, di pietà. È uno spirito
quotidiano. Noi salesiani portiamo il
sorriso di Dio e troviamo il sorriso
di Dio nei giovani che incontriamo.
Mettiamo insieme l’educazione con
l’evangelizzazione. I salesiani s’impe-
gnano a servizio dei giovani. Ho sco-
perto che i giovani portatori di han-
dicap nel nostro paese erano i meno
serviti. Un vecchietto mi ha detto:
“Questa potrebbe essere una nuova
frontiera”».
È un prete con i capelli perennemente
scompigliati e gli occhi azzurri dietro
le lenti degli occhiali, parla in modo
appassionato e convincente. Ha la
personalità di un detective, la capar-
bietà di un allenatore, la pazienza di
ascoltare di uno psicologo e le com-
petenze di un terapeuta e di un infer-
miere. Soprattutto vuole ridare la vita
ai giovani che per colpa di qualche
handicap, si sono rannicchiati in casa.
Lui porta l’autonomia fisica e la vo-
glia di ripartire.
Snocciola le cifre del problema, im-
pressionanti: «Il 5 per cento della po-
polazione soffre di disabilità motoria:
trecentosettantamila persone almeno.
Molti sono giovani. Dove sono? Quasi
tutti vivono in una situazione crude-
le, imprigionati nell’immobilità, nella
disperazione, preda di piaghe, infe-
zioni, peggioramento continuo della
situazione. Soprattutto nessuno spiega
loro che cosa succede nel loro corpo e
quali terapie sono veramente efficaci.
Nessuno insegna loro come ricuperare
le funzioni fisiche normali».
Presente in varie città del paese, Don
Bosco su ruote è andata crescendo e fa-
cendosi presente negli spazi pubblici
per aiutare la gente comune a pren-
dere coscienza della poca attenzione
normalmente prestata ai disabili mo-
tori; una carenza di sensibilità che si
traduce spesso in una mancanza di
rispetto verso quei pochi spazi a loro
dedicati, come i parcheggi riservati, le
rampe dei marciapiedi e degli edifici.
Il sogno di don Jaime
Anche se non ha alcuna disabilità, don
Jaime ha imparato a muoversi con la
sedia a rotelle, a curvare con disinvol-
tura, a salire le scale, a muoversi ve-
locemente su qualunque tipo di terre-
no. La usa come un’estensione del suo
Don Jaime Reyes Retana impegnato nella
serigrafia in cui lavorano alcuni del suoi giovani.
Dicembre 2014
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2.10 Page 20

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CREATIVITÀ SALESIANA
Don Jaime tra due dei suoi giovani. Ogni
carrozzella è costruita su misura dell’individuo
come un paio di scarpe o di occhiali.
corpo e su di essa celebra la Messa. A
volte i giovani del movimento gli chie-
dono: «Fai il miracolo». Lui ascolta il
grido e, mentre tutti lo guardano in
silenzio avviene il miracolo: don Jaime
si alza dalla sedia. Una cascata di risate
di solito conclude la scena.
Questo salesiano è capace di viaggiare
per ore da uno stato all’altro, bussare
alle porte per sapere se ci sono giovani
che hanno bisogno di questi tipi di in-
tervento. È capace di fermare la gente
per strada e chiedere che cosa fanno,
dove vivono. «Sono un buon compa-
gno di strada per chi cammina e per
chi va a ruote» dice.
Angel è stato uno dei giovani che
don Jaime ha intercettato per la stra-
da. «Ehi! Che tipo di lesione hai? Sei
quadriplegico?» gli chiese mentre era
in compagnia dei suoi amici nell’A-
venida Chapultepec, a Guadalajara.
«Sì», rispose Angel. La domenica se-
guente, era già uno dei partecipanti
della “ruotata” che i ragazzi del Don
Bosco Sobre Ruedas organizzano nel-
la Via Recreativa e alcune settimane
dopo frequentava un corso per impa-
rare a manovrare la sedia a rotelle.
«La sedia a rotelle deve essere costrui-
ta sulle misure dell’individuo, come
gli occhiali o le scarpe» afferma don
Jaime «altrimenti produce soltanto
piaghe e altra sofferenza».
Prima dell’incontro con lui, Angel,
che aveva avuto un incidente auto-
mobilistico a 18 anni, riceveva solo
consigli medici e terapia. «Era isolato,
totalmente isolato, non usciva di casa
quasi mai». La sua casa non aveva
rampe di accesso e lui si crogiolava nel
suo dolore, rifiutandosi di accettarlo,
dimenticato, depresso, in piena auto
consunzione. Tutto è cambiato dopo
l’incontro con don Jaime. Il motto
dell’associazione è proprio Nadie se
salva solo (Nessuno si salva da solo).
«Dove sono i giovani disabili? Perché
non vengono? Si stanno consumando,
stanno morendo, sono chiusi in ca-
mera, non hanno una sedia a rotelle,
soffrono per le piaghe e la sporcizia».
Per questo i volontari dell’associazio-
ne vanno di porta in porta, di ospeda-
le in ospedale.
Una costante è che quando gli ospe-
dali dimettono i pazienti disabili, essi
non hanno gli strumenti necessari per
adattarsi a vivere in modo indipenden-
te. Le sedie ortopediche negli ospedali
non sono adeguate: sono troppo pesan-
ti perché consentano una vera indipen-
denza. Oltre a causare altri problemi
come piaghe e deformità. Isaias Men-
dieta ha trascorso quasi due anni senza
uscire di casa dopo l’incidente che lo
ha reso disabile. «Quando cadi, cadi
giù. Se avessi incontrato subito don
Bosco, avrei vissuto anche quei due
anni». Adesso fabbrica sedie a rotelle,
coprendosi le gambe e le braccia con
grembiuli di cuoio per saldare i pezzi.
Si protegge perché non ha sensibilità
e potrebbe ferirsi senza accorgersene.
Un altro grosso problema che devono
affrontare i giovani disabili è la disoc-
cupazione. Per loro don Jaime ha idea-
to un progetto che cerca tutti i lavori
possibili ai ragazzi e favorisce il loro
inserimento.
Il sogno del Don Bosco Sobre Ruedas
è quello di consolidarsi come asso-
ciazione, di contare su più volontari
e fare del loro lavoro un “processo
educativo” per i ragazzi disabili e le
loro famiglie. E anche per la gente.
Don Jaime sogna di creare un centro
di riabilitazione completa per tutto
quello che veramente serve a ridare
vita e speranza a migliaia di giovani.
Anche loro, in perfetto stile salesiano,
diventano “apostoli” dei loro coetanei
e “rollano” con loro, perché nessuno si
salva da solo.
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Dicembre 2014

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3.1 Page 21

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NATALE ORATORIANO
PATRIZIA TORCHIO
Il presepe meccanico
del Michele Rua Organizzatodal
Laboratorio Uomini
dell’oratorio salesiano
Michele Rua di Torino
si distingue ogni anno
per la sua unicità.
Ipreparativi natalizi al Michele
Rua di Torino iniziano già a luglio
e questo ci fa capire che dietro al
presepe meccanico c’è un ampio
lavoro artigianale di costruzione,
assemblaggio e rifinitura che de-
termina la necessità di iniziare l’opera
con così largo anticipo di tempo.
Se il presepe meccanico della comuni-
tà è così bello, conosciuto e visitato lo
si deve al grande lavoro e pazienza de-
gli instancabili Claudio, Pasquale, Va-
lerio, Enzo, Lorenzo, Carlo, Sergio,
Gian Mario ed il loro coordinatore
Pasqualino Zanatta responsabile del
Laboratorio Uomini del Monterosa.
Realizzato per la prima volta per il
Natale del 2003 nell’attuale sede di
Via Paisiello 44, il presepe negli anni
si è arricchito di nuove figure mecca-
niche e ammodernato con una nuova
scenografia.
Disposto su un’area di 35 metri qua-
drati il presepe meccanico si ispira fe-
delmente alla Palestina del tempo di
Gesù e ai personaggi tipici dell’epoca.
Si possono ammirare castelli, torri,
grotte, torrenti, il mulino, accompa-
gnati da artigiani all’opera, contadi-
ni, animali da cortile inseriti in uno
splendido ambiente che non si può
descrivere, ma solamente ammirare.
Il vasaio, la filatrice ed il pastorello
che attorniano la grotta della Nati-
vità unitamente alla presenza di tutte
le altre figure ed il tempio ebraico e
l’accampamento romano, realizzati
nei minimi dettagli, creano un’atmo-
sfera affascinante che invita i visitato-
ri a non tralasciare di osservare ogni
minimo particolare.
È sicuramente un’opera unica nel suo
genere che, grazie anche al passaggio
dal giorno alla notte, rapisce il visitato-
re lasciando a bocca aperta i bambini.
Infatti i papà, nonni e persone che
dedicano il loro tempo per la realiz-
zazione di quest’opera ogni anno ela-
borano nuove figure ed elementi di
rinnovo, peculiarità del presepe.
Ad accogliere quest’anno il visitatore
si aggiungono figure (ad altezza d’uo-
mo) che lo accompagneranno verso
la meta. È un itinerario di riflessione
sullo spirito del Natale.
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NATALE
Caro Gesù Bambino Nelle lettere
dei piccoli la gioia
e l’attesa del Natale
Caro Gesù Bambino,
grazie per il fratellino
ma io veramente avevo
pregato per un cane.
Gianluca
CpafarelrratroInfoNnaoGavnpmetosaoerùlc’ z’eeèdzBiemonaLvPmieaeaetaontdbscineiaqtnseunua.sonrazo,d.e o
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Dicembre 2014
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LE CASE DI DON BOSCO
ROBERTO COLAMEO
Firenze
La città amata
da don Bosco
Una parrocchia, un oratorio,
una scuola mantengono vivace
il carisma salesiano nella città
dove don Bosco aveva molti cari
amici e benefattori.
La magnifica
chiesa
parrocchiale
della Santa
Famiglia della
comunità
salesiana
di Firenze.
24
Guardando alla nostra storia
Don Bosco venne a Firenze ben 23 volte, dal
1865 al 1887. Nel 1865, la prima volta, venne di
proposito reclamato da alcune nobildonne fioren-
tine intente ad opere benefiche e atteso da emi-
nenti personaggi del clero, che lo conoscevano
come sacerdote dotato del carisma dell’educatore,
capace quindi anche di operare beneficamente a
Firenze, se non altro consigliando vie e metodi di
educazione e di redenzione giovanile.
Le Memorie Biografiche ricordano così una visi-
ta di don Bosco nel 1879: «Nella capitale tosca-
na son nomi che appartengono agli annali della
cooperazione Salesiana i Nerli, gli Uguccioni, il
domenicano padre Verda, men conosciuto, ma
gran propagatore delle Letture Cattoliche e della
Biblioteca dei classici italiani. Il Beato fu con i suoi
due compagni di viaggio ospite della marchesa
Nerli, che li mandò a prendere con la sua carroz-
za. Alla pietà della marchesa Uguccioni inferma
soddisfece, andando a celebrare nella sua cappel-
la domestica e visitandola e ragionandole di cose
spirituali. Celebrò pure nel monastero di Santa
Maria degli Angioli, dove si conserva il corpo di
santa Maria Maddalena de’ Pazzi, e dopo la Mes-
sa volle dire alcune parole di conforto alle povere
monache, vittime delle spogliazioni settarie. In
casa Nerli lo visitarono molte persone, fra cui la
contessa Digny. Si diè premura di recarsi dall’Ar-
civescovo monsignor Cecconi, che lo ricevette
con molto piacere e gli disse: – Io mi metto nelle
sue mani riguardo alla casa per poveri ragazzi da
aprirsi in Firenze. Mi dica che cosa debbo fare,
ed io farò tutto ciò che mi dice».
Solamente nel 1881 fu concreta la presenza di
un’opera di don Bosco a Firenze. Singolare il
motivo della decisione quasi improvvisa di don
Bosco. Passando per Firenze nel 1880, nel tor-
nar da Roma, «don Bosco si era imbattuto in una
lunga processione di giovinetti, che seguivano
una bandiera. Chiese chi fossero e dove andasse-
ro; e un sacerdote fiorentino che l’accompagnava,
sospirando, gli rispose: «Sono bambini cattolici
che escono dalle scuole protestanti e si portano
al così detto sermone, che tiene il ministro». A
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quelle parole e a quella vista il Santo restò pro-
fondamente commosso, si recò dall’Arcivescovo,
e decise senz’altro l’apertura di un Oratorio in
quella città».
Le buone radici
All’inizio una vita stentata e difficile, con ospizio
per giovani di famiglie disagiate a cui si offriva
educazione primaria, scuole elementari, e scuole
ginnasiali. Raccontano ancora le Memorie Bio-
grafiche di don Bosco, che nell’anno 1881, lui e
don Rua «fecero una fermata di tre giorni interi a
Firenze, dove arrivarono la sera del 16 aprile, vi-
gilia di Pasqua. Dal 4 marzo don Faustino Con-
fortóla abitava là in via Cimabue un’umilissima
casetta, alla quale si studiava di attirare il mag-
gior numero possibile di ragazzi per catechismi
quotidiani e per l’oratorio festivo. L’abitazione era
tanto angusta, che non aveva spazio per alberga-
re chicchessia; laonde il Beato continuò a usare
dell’ospitalità offertagli cordialmente dalla con-
tessa Girolama Uguccioni. La mattina di Pasqua,
trattenuto in palazzo da visite, mandò il suo com-
pagno di viaggio a celebrare la Messa nella povera
cappelletta dell’oratorio; ma nel pomeriggio vi si
recò egli stesso. Assistito da don Rua e da don
Confortóla diede la benedizione eucaristica; poi
fece ai ragazzi una larga distribuzione di confetti,
regalati a tal fine da una ragguardevole coopera-
trice. Si valse naturalmente dell’ottima occasione
per amicarsi quella turba giovanile. Visitò nelle
ore pomeridiane l’Arcivescovo monsignor Euge-
nio Cecconi, non essendo stato possibile presen-
targlisi prima a motivo delle funzioni pasquali
in duomo. Impiegò quindi gli altri due giorni in
visite a benefattori e nella trattazione di affari,
come vedremo più innanzi. L’ultimo giorno, resi-
stendo a ogni invito, pranzò con i suoi Salesiani.
Durante quella dimora avvicinò persone in gran
numero lasciandosi dietro quasi una scia lumino-
I giovani
dell’Oratorio
salesiano per
le vie cittadine.
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LE CASE DI DON BOSCO
sa, non sapremmo qual più, se di ammirazione
per la sua affascinante amabilità o di venerazione
per la santità che gli traspariva dal volto, dal par-
lare, da tutto il contegno».
Via Gioberti!
Presto in via Gioberti nacque una piccola chie-
setta, che preludeva alla concessione della parroc-
chia, avvenuta nel 1911. Contemporaneamente,
sempre in via Gioberti, la Libreria salesiana, l’O-
ratorio festivo e quotidiano.
Oggi la scuola è articolata in Superiore di primo e
secondo grado, negli indirizzi Scientifico ed Eco-
nomico-Sociale, quest’ultimo intrapreso lo scorso
anno al fine di raggiungere le diverse esigenze
formative dei giovani. La serietà d’insegnamento,
la disciplina scolastica e l’ambiente sereno e fami-
liare, come don Bosco indicava ai suoi salesiani,
fanno della scuola un bacino privilegiato di edu-
cazione capace di formare onesti cristiani e buoni
cittadini.
Accanto alla proposta scolastica si muove nell’o-
pera salesiana un’attività parallela di carattere
culturale nella Sala Esse, che è una specie di ci-
nema d’essai, e nell’aula magna, dove convergono
raduni vari sociali, religiosi, congressi di vario ge-
nere, aggiornamenti scolastici, conferenze su pro-
blematiche attuali. Esuberante è lo svolgimento
delle attività della Società Sportiva, la Sales, con
molte centinaia d’iscritti nei vari settori sportivi.
La Parrocchia della Sacra Famiglia in via Gio-
berti poi, è espressione privilegiata dell’azione
evangelizzatrice della Chiesa nel nostro territo-
rio, una comunità di fedeli che in stretta sinergia
con l’Oratorio Don Bosco – prima espressione
della spiritualità salesiana – accoglie, educa ed
evangelizza decine di giovani, accompagnandoli
negli itinerari di educazione alla fede e aprendo-
li al servizio nei cammini dei gruppi e nel volon-
tariato.
L’esperienza di Reach
Attraverso le attività dell’Oratorio, il servizio
educativo della scuola, le proposte culturali della
Sala Esse l’opera ha, di fatto, un orizzonte più
ampio dei confini parrocchiali e può porsi sem-
pre più nel futuro, in modo consapevole, come un
“polo di riferimento educativo” per la città e la
Diocesi di Firenze.
Effettivamente tanti giovani, frequentando l’am-
biente hanno trovato una casa, così racconta la
sua esperienza Reach, un giovane universitario
cresciuto nell’Oratorio: “Sono cresciuto nell’ope-
ra salesiana di Firenze. Il mio primo approccio in
Una panoramica
di scuola, oratorio
e famiglie in festa.
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Dicembre 2014

3.7 Page 27

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questa realtà risale nei miei anni di catechismo,
quando ho conosciuto catechisti e animatori che
mi hanno accolto con grande affetto. Iniziando
il cammino del dopo-cresima, imparai progres-
sivamente che cosa voleva dire essere animatore
secondo lo stile di don Bosco, del suo sistema pre-
ventivo che ancora oggi non smette di stupirmi.
Molto importanti in questo periodo sono stati i
salesiani che mi hanno accompagnato nel mio
cammino di crescita spirituale: nella quotidianità
delle giornate capisco quanto il Signore mi abbia
fatto crescere in questa famiglia, e come mi chia-
mi, nel servizio, a condividere i doni ricevuti”.
Accanto ai giovani tanti laici, nel corso degli anni,
hanno sostenuto la missione dell’Opera prenden-
dovi parte attivamente. Tra questi, nella scuola,
il Coordinatore Educativo-Didattico descrive la
sua esperienza in questo settore: “La scuola rap-
presenta un’occasione preziosa per i salesiani (e
dunque per la Chiesa) permettendo d’incontrare
molti giovani che non potrebbero essere intercet-
tati in altro modo (né con gli Oratori né con le
Parrocchie). Ragazzi e ragazze spesso lontani dal
mondo ecclesiale, ma con cui, grazie alla scuola,
è possibile entrare in dialogo, accompagnandoli,
attraverso esperienze spirituali e di carità, a sco-
prire quell’Oltre che dà senso a tutto. Inoltre in
quella quotidianità fatta di lezioni (e perché no)
interrogazioni si può davvero unire fede e cultu-
ra: un sapere che non viene illuminato dalla fede
rischia di rimanere zoppo e, allo stesso tempo,
una fede che non si fa cultura rischia di rimane-
re disincarnata. La scuola consente quest’opera-
zione di sintesi. Personalmente la vedo come un
avamposto irrinunciabile nel mondo dei giovani
con cui incontrarli lì dove sono, così come sono.
I ragazzi e le ragazze con cui ho condiviso questi
ultimi due anni scolastici (ma in generale tutti i
giovani) spesso chiedono di essere ascoltati, cer-
cano adulti autorevoli e coerenti, dei testimoni.
L’opera salesiana di Firenze è una realtà pastoral-
mente molto vivace, che offre molte occasioni di
crescita e formazione: a noi educatori il compito
di saperle cogliere ed indirizzarle per il bene dei
nostri giovani”.
Cogliere ed indirizzare, facendo risuonare in
ogni giovane le corde più sensibili del suo cuore,
è la missione della nostra presenza, chiamata a
gettare ponti che portino i giovani a Dio e Dio
ai giovani.
Guardando al futuro
Indubbiamente in questi ultimi anni la realtà di
Firenze, come la maggior parte delle presenze
salesiane in Italia, è andata incontro ad un ridi-
mensionamento, che ha toccato la comunità reli-
giosa e la proposta pastorale. Ma la diminuzione
nel numero rende il nucleo animatore ancor più
consapevole che la vera grandezza della vita e
missione salesiana non risiede tanto nella “quan-
tità”, quanto in quel “dove due o tre sono riuniti
nel mio nome” (Mt 18, 20), con cui il Signore
ci chiama ad una risposta autentica, possibile e
feconda in ogni luogo e tempo, perché fedele al
suo insegnamento.
Lo sguardo al futuro allora, quando è credente,
non può che essere carico di speranza, perché sa
che ogni salesiano, ogni laico, ogni giovane è tas-
sello di un’opera d’arte che il buon Dio va facen-
do. Così anche l’Opera di Firenze, fintanto che
non perderà la sua passione pastorale per i giova-
ni, continuerà ad essere un “angolo della grande
Valdocco” che il Signore ha donato alla Chiesa e
al mondo.
Un cordiale
incontro tra don
Pascual Chavez,
Rettor Maggiore
emerito, e l’ex
sindaco di Firenze
Matteo Renzi,
oggi Presidente
del Consiglio
dei Ministri.
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SALESIANI PER IL SOCIALE
ILARIA MARIA NIZZO
Bambini poveri oggi,
adulti a rischio di
esclusione sociale domani
Da oltre vent’anni i Salesiani per il Sociale lottano
per “dare di più a chi dalla vita ha avuto di meno”.
I n Italia su 10 milioni di minori
quelli in stato di indigenza sono
passati da 723mila a 1 milione e
434mila, in due anni. Altri bam-
bini vivono in una zona grigia e
sono ad alto rischio di emargina-
zione: mancano luoghi d’integrazio-
ne, trascorrono la maggior parte del
tempo da soli e rischiano violenze,
malattie e incidenti.
La storia di Matteo
Matteo, ultimo di quattro figli, con
due fratelli residenti in comunità
psichiatrica e una sorella conviven-
te separata, madre di una bambina,
è orfano di entrambi i genitori. Un
ragazzo giovanissimo con un grande
desiderio: essere protagonista della
propria vita. A 17 anni viene inserito
nella comunità per minori della Fe-
derazione SCS/CNOS. Quando en-
tra in comunità è un ragazzo pieno
di solitudine, semplice, desideroso di
creare relazioni forti, particolarmen-
te sensibile e attento alle difficoltà
altrui specialmente dei più piccoli,
che lo portavano spesso ad assumere
ruoli e responsabilità troppo grandi
per lui. Delle presenze fisiche e co-
stanti che hanno saputo accoglierlo
pienamente, insieme alla capacità di
ascolto degli educatori, sono state le
“cure” che il ragazzo ha trovato nella
casa famiglia. Un sostegno fatto di
attenzioni e semplici gesti d’affetto
che hanno permesso a Matteo, gra-
zie all’aiuto di uno psicologo, di ri-
percorrere il suo passato per dare più
significato al suo presente. Matteo
è riuscito così a mettere da parte la
tristezza dei primi mesi, aprendosi al
mondo, anche quello lavorativo ar-
rivando fino a svolgere un tirocinio,
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Dicembre 2014

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come operatore meccanico presso
un’azienda. La dimensione lavorati-
va, insieme a quella della comunità,
hanno permesso a Matteo di cresce-
re e iniziare un percorso per diven-
tare un ragazzo, protagonista della
propria vita!
Crisi economica
e crisi della famiglia
Problemi economici e di disagio che
si potrebbero attutire se ci fosse “una
rete che impedisce loro di cadere o di
non farsi male”. La rete, però, non c’è
più: sono diminuiti i servizi sociali e
di assistenza per i tagli statali, dei Co-
muni, degli enti locali.
Da oltre vent’anni i Salesiani per il
Sociale hanno trasformato le parole
di don Bosco «Volete fare una cosa
buona? Educate la gioventù. Volete
fare una cosa santa? Educate la gio-
ventù. Volete fare una cosa santissi-
ma? Educate la gioventù. Volete fare
una cosa divina? Educate la gioven-
tù. Anzi questa tra le cose divine è
divinissima» nella propria mission:
“Dare di più a chi dalla vita ha avuto
di meno”.
Le attività degli 85 soci dei Salesia-
ni per il Sociale (Federazione SCS/
CNOS) sono rivolte a promuovere
la qualità della vita dei minori. Solo
lo scorso anno sono stati attivati
152 servizi che vanno dagli interventi
di rinforzo scolastico a quelli educa-
tivi (come doposcuola o scuola po-
polare) ai progetti per la prevenzione
dell’abbandono scolastico.
Ora ci sono tante forme di disagio e a
pagare per primi sono loro, i più picco-
li. Ma per i bambini o giovani in dif-
ficoltà, ci sono sempre le case famiglia
dei Salesiani ad accoglierli.
ANCHE TU SE VUOI PUOI SOSTENERE L’INFANZIA CHE SOFFRE
Le bomboniere dei Salesiani per il Sociale
sono un gesto concreto, a favore dei gio-
vani, poveri ed emarginati. In occasione di
Matrimoni, Battesimi, Cresime, Comunioni,
Anniversari, Lauree e Nascite, festeggia la
tua gioia con le bomboniere, pergamene,
sacchettini, ceramiche e tableau dei Sale-
siani per il Sociale.
Nelle nostre bomboniere solidali è nasco-
sto un gesto di solidarietà… Trasforma la
tua festa in un gesto di amore per i “ragaz-
zi di don Bosco”.
Se volete ricevere informazioni
potete contattare Sara,
presso i Salesiani per il Sociale.
Tel. 06/4940522
e-mail:
sara@salesianiperilsociale.it
www.salesianiperilsociale.it
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3.10 Page 30

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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
SERGIO DA SILVA COUTINHO
Comunità Canção Nova
Un altro modo
di essere salesiani
Cominciamo con questa magnifica e giovane
“comunità” la presentazione dei trenta
gruppi che compongono la Famiglia Salesiana.
I n principio vi fu un’esperienza
di incontro personale con Gesù.
Jonas Abib, un chierico salesia-
no, nato in Brasile nel 1936, a 19
anni, durante gli studi si amma-
lò. Dovette lasciare il seminario
che si trovava al Collegio Pio XI, a
San Paolo, e fu trasferito a Lavrinhas
(San Paolo - Brasile), nella Valle del
fiume Paraíba. Non percependo nes-
sun miglioramento fu inviato all’o-
spedale di Piquete, un piccolo paese
sempre all’interno di San Paolo. Non
lo sapeva, ma Dio lo stava guidando.
Un momento
di catechesi
di un giovane
di Cançao Nova.
In quel periodo fu invitato a parteci-
pare ad una Mariapoli (incontro del
Movimento dei Focolari) a Lorena
(San Paolo). Il chierico Jonas, all’in-
contro, sentì una testimonianza ri-
guardo alla presenza di Dio nella
malattia. Quella stessa notte, da solo
nella sua stanza, Jonas Abib prese un
Vangelo dalla copertina nera, lo aprì
e i suoi occhi si fissarono su quella
domanda che Gesù fece a Pietro ed
ai suoi discepoli: “E voi, chi dite che
io sia?” (Mt. 16,15b). Fu il momento
del suo primo incontro personale con
Gesù. Lui stesso testimonia: “Non rie-
sco a spiegare tutto ciò che mi è successo in
quel momento! In verità, era un brano
che già conoscevo, ma, in quell’esatto mo-
mento è stato come una luce! Come quella
che ha illuminato san Paolo in cammino
verso Damasco. Alla fine, inginocchiato
per terra, mi sono consacrato a Dio! Fu
una spinta nella mia vita; un momento
chiave. Il mio trasferimento nella Valle
del Paraíba era solo un pretesto di Dio”.
I primi passi
Da quest’esperienza, lo Spirito Santo
ha fatto sorgere il Carisma Canção
Nova (Canto Nuovo). È l’esperienza
che si ripete in tutti coloro che si
sentono chiamati nella Comunità
Canção Nova e che sono inviati per
la missione di evangelizzare comuni-
cando Gesù e la vita nuova che Lui ci
ha portato.
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4.1 Page 31

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Ordinato sacerdote nel 1964, padre Jo-
nas Abib fu inviato a lavorare al Liceo
S. Cuore di Gesù (San Paolo). Lavo-
rando con i giovani, progettò degli in-
contri per loro. Il primo di tanti si in-
titolò “Costruendo”. Alla fine del 1969,
padre Jonas scoprì di avere la tuberco-
losi. Fu trasferito a Campos do Jordão
(San Paolo) per le cure e poi a Lorena,
nella Valle del fiume Paraíba. Lì fece
un proposito: non andare a dormire
senza prima recitare il “Veni Creator
Spiritus”. Testimonia: «La Provviden-
za Divina ha preso cura di tutto! Ho avu-
to l’opportunità di sentire una conferenza
di P. Irineu Danelon, oggi vescovo della
Diocesi di Lins (Brasile) sull’azione dello
Spirito Santo. Dissi a me stesso: è questo
che mi manca!».
Nel novembre 1971, padre Jonas en-
tra in contatto con il Rinnovamento
Carismatico Cattolico. Afferma: «La
mia vita cominciò a cambiare. La mia
preghiera e la mia maniera di celebra-
re la Messa e la mia comprensione per
la Parola di Dio presero un nuovo sa-
pore. Il mio sacerdozio diventò un’al-
tra cosa. Divenni un vero pastore, più
vicino alle persone, più allegro. Qual-
cuno che accoglie. Ho ancora molto
da camminare, ma posso dire che il
mio ingresso nel Rinnovamento Ca-
rismatico Cattolico mi ha fatto più di
Gesù. Mi ha spinto ad andare avanti.
Voglio essere ancora di più di Gesù e
per il popolo, perché la gente non ha
bisogno di me, ma di Gesù: ha biso-
gno di Gesù in me».
La Comunità Canção Nova si inse-
risce nel contesto del Rinnovamento
Carismatico Cattolico e ha come fi-
nalità formare uomini e donne nuovi
L’ordinazione
sacerdotale
di don Jonas Abib
nel 1964
a San Paolo
(Brasile).
per un Mondo Nuovo, tramite l’evan-
gelizzazione.
Nel 1972, padre Jonas cominciò le
prime “Esperienze di Preghiere nello
Spirito Santo” con i giovani a Lorena.
I giovani a loro volta contagiarono gli
adulti. Si sentì la necessità di avere un
luogo per gli incontri. Tramite Luzia
Santiago de Assis Ribeiro, riconosciu-
ta da padre Jonas Abib come cofon-
datrice dell’opera, i proprietari di una
fattoria chiamata “Morata del Sole”
ad Areias (San Paolo), nella Valle del
Paraíba, concessero in prestito la loro
proprietà per un tempo indeterminato.
Nacque l’Associazione Canção Nova.
Nell’anno 1976, l’Associazione rice-
vette in donazione a Queluz (San Pao-
lo) un pezzo di terra. A dicembre in
quello stesso anno, su quel terreno fu
celebrata la prima Messa. Wellington
Silva Jardim, anche lui riconosciuto
come cofondatore, cominciò i lavori
di una costruzione adatta. Nella festa
di san Giovanni Battista, nel giugno
1977, venne fatto il primo incontro
nella nuova sede: un Maranatha per
le ragazze. La casa riceve il nome di
Canção Nova, la Casa di Maria. La
Comunità Canção Nova è la Casa di
Maria, luogo dove le persone nasco-
no per una vita nuova. È nella Casa
di Maria che nascono i figli di Dio.
Nel 1976, il vescovo della diocesi, colpi-
to dall’esortazione apostolica Evangelii
Nuntiandi di papa Paolo VI, chiamò
padre Jonas e gli disse: «Questo docu-
mento è molto serio. Bisogna metterlo
in pratica». E subito gli segnalò il nu-
mero 44 del documento: «Si osserva che
le condizioni attuali rendono sempre più
urgente l’insegnamento catechistico sotto
la forma di un catecumenato, per numerosi
giovani e adulti, che, toccati dalla grazia,
scoprono a poco a poco il volto di Cristo e
provano il bisogno di donarsi a lui». E
aggiunse: «I battezzati non sono evan-
gelizzati. Siccome lei lavora con i giova-
ni, cominci con loro perché sarà più facile».
L’invito del Vescovo diede inizio ad un
lavoro intenso chiamato “Catecumena-
to”. I giovani cominciarono a ricevere
una solida formazione della dottrina
della Chiesa e del Vangelo.
Oggi, monsignor Jonas testimonia:
«Quando mi sono incontrato per la pri-
ma volta con papa Francesco in piazza
San Pietro gli ho detto che siamo nati
dall’Evangelii Nuntiandi e i suoi oc-
chi sono diventati brillanti e lui mi ha
detto in portoghese: “Questo documento è
totalmente attuale e bisogna riprenderlo
e metterlo in pratica perché esso riguarda
il presente”. E veramente noi stiamo, con
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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
la grazia di Dio, realizzando l’Evange-
lii Nuntiandi nella sua totalità, con il
nostro modo di evangelizzare, il nostro
lavoro con i giovani ed il nostro lavoro
tramite i mezzi di comunicazione».
La sfida
Trascorsi due anni di “Catecumenato”,
quei giovani erano pronti per un ulte-
riore passo. Padre Jonas Abib, quindi,
lanciò la sfida: «Chi è disposto a la-
sciare la sua casa per vivere in comu-
nità, per realizzare con me questo tipo
di lavoro che stiamo facendo adesso?»
Il 2 febbraio 1978, un gruppo comin-
ciò a vivere in Comunità, con il per-
messo e la benedizione del vescovo.
Il primo nucleo era composto da 12
persone: otto giovani, tra ragazzi e
ragazze, padre Jonas Abib e tre reli-
giose. Fin dall’inizio, Dio ha disposto
lo stile della Comunità Canção Nova:
un gruppo molto diversificato. Uomi-
ni e donne, di differenti stati di vita,
che vivono in comunità con una fina-
lità apostolica.
All’inizio, la chiamata era “vivere in
comunità”. Poco a poco si è scoperto
che il vivere in comunità non era un
fine in se stesso, ma un mezzo per la
realizzazione della Missione. La vita
comunitaria fa parte dell’essenza del-
la chiamata. Essa è il supporto per la
vita dei suoi membri e per l’efficace
realizzazione della Missione che Dio
ha affidato loro.
Presto la Comunità Canção Nova si
rese conto del collegamento tra il nume-
ro 44 ed il 45 dell’Evangelii Nuntiandi
che indicava l’utilizzazione dei mezzi di
comunicazione per evangelizzare. An-
che qui si trovò un segno di Dio.
Padre Jonas indicò così un modo
specifico di evangelizzazione: incon-
tri, ritiri e in maniera preferenziale,
ma non esclusiva, i mezzi di comu-
nicazione sociale. Oltre questo, nel
cammino di crescita la Provvidenza
Divina ha condotto la comunità a
impegnarsi nei settori di educazio-
ne, sanità, arti, cultura e promozione
sociale. Tutto ciò con l’obiettivo di
contribuire concretamente alla tra-
sformazione delle strutture umane e
sociali con il Vangelo.
All’inizio degli anni ’80, fu creata la
Fondazione Giovanni Paolo II, isti-
tuzione senza scopo di lucro, che si è
trasformata nella più grande partner di
Canção Nova nella missione di evan-
gelizzare utilizzando i mezzi di comu-
nicazione. Si è dato l’inizio a quello
che oggi si chiama Sistema Canção
Nova di Comunicazione composto da
radio, TV, internet, rivista, webtv, ecc.
Sopra e accanto: Membri della Comunità e
a pagina seguente: Un raduno di Cançao Nova.
Una delle caratteristiche fondamentali del carisma
è l’entusiasmo.
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Dicembre 2014

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IL CANTO DEI REDENTI
Nella Famiglia Salesiana
Successe un fatto importante. Raccon-
ta padre Jonas: «Quando per la prima
volta mi trovai nella Casa Generalizia
dei Salesiani a Roma, incontrai don
Antônio Carlos Ferreira, che lavora
sugli scritti di don Bosco. Incontran-
domi, mi chiese: “Come va la Canção
Nova?” Io risposi in modo normale:
“Bene…” Lui disse: “No! La Canção
Nova va molto bene!” E cominciò
a descriverla come io non avrei mai
immaginato. Là, nella casa generali-
zia dei salesiani era conosciuta e co-
nosciuta molto bene. Alla fine della
conversazione mi disse: “La Canção
Nova è nata dal tronco della Famiglia
Salesiana. È nata dalla radice del cari-
sma di don Bosco. Voi siete della Fa-
miglia Salesiana e un giorno il Rettor
Maggiore lo riconoscerà ufficialmente
e con un decreto di riconoscimento
entrerete nella Famiglia Salesiana”.
Don Ferreira fu profeta: nel gennaio
del 2009, Canção Nova entrò uffi-
cialmente a far parte di questo grande
movimento per la salvezza dei giovani
che è la Famiglia Salesiana.
«Nella mia vita» continua monsignor
Abib «Maria è stata sempre molto
discreta, ma molto presente. Non
riesco a ricordare un solo momento
della mia vita in cui Maria non
sia stata presente. Soprattutto nei
momenti di sofferenza. Anche
recentemente, quando fui colpito
da una malattia inspiegabile, Lei
era chiaramente presente. Quanto a
Canção Nova vorrei dire che è stata
Lei a fare tutto: dalla prima casa che
abbiamo usato ad Areias, alla prima
costruzione, la Canção Nova Casa de
Nome: Il termine “Canção Nova” corrisponde al Canto Nuovo che si trova in tutta la storia
della salvezza: è il canto dei redenti, degli uomini e donne nuove.
Carisma: è una forma rinnovata e prioritaria per favorire l’esperienza personale dell’incon-
tro con Gesù Cristo nell’efficacia dello Spirito Santo.
Finalità: la formazione di uomini nuovi per un mondo nuovo, attraverso l’evangelizzazione
affinché si possa affrettare la venuta gloriosa del Signore.
Fondamento: il Vangelo. Viverlo e comunicarlo in maniera integrale nell’efficacia dello
Spirito Santo, mentre si aspetta la venuta gloriosa del Signore (cf. 2Pietro 3s,12).
Missione: evangelizzare, comunicare Gesù Cristo e la vita nuova che Lui è venuto a por-
tarci, tramite incontri e, in maniera preferenziale, ma non esclusiva, tramite i mezzi di comu-
nicazione sociale.
Giuridicamente: Associazione Internazionale Privata di Fedeli di Diritto Pontificio.
È sparsa in varie città del Brasile ed è presente anche in Italia, Francia, Portogallo, Israele,
Palestina, USA e Paraguay.
Essa, con i suoi circa 1400 membri, vuole cantare nel mondo una “Canção Nova”, un Canto
Nuovo fino alla venuta gloriosa del Signore, alla maniera di don Bosco.
Maria a Queluz (San Paolo). La Ma-
donna ha fatto consolidare e crescere
la Comunità».
Monsignor Jonas Abib, fondatore di
Cançao Nova, festeggia l’8 dicem-
bre di quest’anno i cinquant’anni di
sacerdozio. Questa la sua preghiera:
«Imploro da Dio la fedeltà. Che io
sia fedele, molto fedele, ogni volta più
fedele e che possa continuare attiva-
mente, nei limiti delle mie possibilità,
e che non mi manchi l’entusiasmo.
Che anche con il corpo spezzato, io
abbia il cuore pieno di fuoco e possa
incendiare quello degli altri. E quan-
to a Canção Nova, abbraccio tutti i
membri della comunità e dico loro:
viviamo il carisma, perché vivere il
carisma è molto importante.
E viviamo la missione. Perché così
come io chiedo a Dio di non spegner-
mi, nessuno si spenga. Al contrario,
che anche nelle fatiche di un lavo-
ro attivo, possiamo sempre avere un
cuore ardente, perché questa opera di
Dio continui e si perpetui».
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Ricominciare
da Betlemme
Abbiamo imparato a nuotare come i pesci,
abbiamo imparato a solcare i cieli come gli uccelli…,
quando impareremo a camminare sulla Terra come Uomini?
La risposta c’è! Una risposta molto precisa e motivata:
perché la Terra continui a sostenere Uomini (e non solo ‘gente’!),
la terapia sta nel ripartire da Betlemme!
Lo diciamo senza presunzione e con il più grande rispetto
dell’intelligenza del lettore. Davvero: nella grotta di Betlemme
si trovano i plinti più sicuri per rimettere l’Uomo in piedi.
Entrare in quella grotta significa, infatti, scoprire i quattro
Valori fondanti l’Uomo riuscito. I quattro plinti di ogni personalità
d’alto fusto! Vediamoli, sia pure molto brevemente.
Il plinto-silenzio
Tutto attorno tace, Gesù nasce!
È sempre così: solo nel silenzio na-
sce qualcosa: solo nel silenzio nasce
l’Uomo. L’Uomo profondo, l’Uomo
interiore.
Il rumore sfilaccia l’‘io’, il silenzio lo
compatta.
Il rumore è dispersione, il silenzio è
coesione.
Il rumore fa superficiali, il silenzio fa
densi.
Fino a questo momento nessuno è riu-
scito a smentire queste tre afferma-
zioni!
Resta sempre valida quella che era la
convinzione della nostra grande pe-
dagogista Maria Montessori (1870-
1952): “È impossibile che in una scuola
fracassona, circolino grandi idee!”.
Il plinto-sobrietà
In quella grotta tutto è ridotto all’os-
so. Tutto è sobrio. Essenziale.
È vero. Non c’è miseria, ma povertà.
La miseria degrada, la povertà educa.
Ormai possiamo dire che è ‘scienti-
ficamente testato’: troppo benessere
finisce con l’uccidere l’essere!
Lo psichiatra Paolo Crepet (1951)
coglie pienamente nel segno: “Trop-
po benessere genera il mal-essere, genera
i gaudenti scontenti, genera il disagio
dell’agio”.
Il plinto-pace
Per un momento tutto il mondo è in
pace. Persino l’Impero romano è in
pace… Gesù nasce!
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QUESTO DICO AL FIGLIO ADOLESCENTE
La festa è nel cuore non nel liquore.
Se vuoi cogliere la rosa, non devi temere le spine.
La vita è splendida solo se è donata.
Chi saluta per primo ha sempre ragione.
Vedi nero solo quando è buio.
È l’Amore che fa funzionare la vita.
Chi spacca le carrozze è rozzo.
La differenza non la fanno i soldi: la fanno le idee.
NATALE PARLA CHIARO
“Il primo compito della vita è dare alla luce se stesso”
(Erich Fromm, psicanalista tedesco).
“Rispondi al suo Natale con il tuo natale!”
(Giuseppe De Luca, scrittore).
“Chi parla semina. Chi tace raccoglie”
(Pitagora, filosofo).
L’Amore non è colui che dà, ma Colui che viene!
“Nutrire un bambino affamato è più urgente che andare a
salutare il Messia”
(Elie Wiesel, scrittore).
Chiaro, no? Il conflitto è morte, la
pace è vita. Ecco: per crescere, il figlio
ha bisogno di pace!
Le inchieste parlano chiaro: il più bel
regalo che tutti i bambini (davvero
tutti!) chiedono per Natale è che papà
e mamma la smettano di bisticciare!
La pace nella quale Gesù è nato con-
ferma la validità del bel proverbio
africano: “Quando due elefanti si com-
battono, chi ci rimette è l’erba del prato”.
Mazzolari (1890-1959): “Se il mon-
do vorrà avere ancora uomini liberi, se
vorrà avere uomini giusti, se vorrà ave-
re uomini che sentono la fraternità, biso-
gna che noi non dimentichiamo la strada
del presepio! ”.
Il plinto-tenerezza
In quella grotta tutto è tenero: tenero
è il Bambino, tenera è la Madonna,
tenero è san Giuseppe, teneri sono
persino gli animali che, secondo la
tradizione, riscaldano Gesù e lo ten-
gono in vita.
Già, perché è il calore (più ancora che
le calorie!) che permette di vivere!
Tutti gli studiosi arrivano alla stessa
conclusione: la mancanza di tenerez-
za è più insidiosa della fame!
La conclusione del nostro breve ragio-
namento corre logica: teniamo pre-
ziosa la nostra Betlemme con la sua
grotta! Smarrirla, è perdere la stella
polare della nostra umanizzazione!
Di anno in anno appare sempre più
profetico il pensiero di don Primo
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4.6 Page 36

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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Una vita
in salita
Così preoccupati
di arrivare primi nella corsa
a ostacoli dell’esistenza
da dimenticare quanto siano
importanti, per arrivare
alla meta, il sostegno
reciproco e la cooperazione.
S alite impervie e impraticabili da cui si fa
fatica a scorgere la vetta. Terreni aspri
e paludosi in cui è facile rimanere im-
pantanati. Baratri profondi che danno
le vertigini solo a guardarli. Cortine di
nebbia fitta e impenetrabile in cui è dif-
ficile orientarsi e individuare punti di riferimento.
Il cammino verso l’adultità è spesso costellato di
ostacoli, irto di difficoltà, segnato da inevitabi-
li rallentamenti, cambi di direzione, momenti di
stanchezza e interminabili attese. Un itinerario
tortuoso, complesso, impegnativo, perennemente
in salita, che chiama in causa tutte le risorse cul-
turali, affettive, esistenziali di cui ognuno dispone.
Disteso sul fianco passo il tempo, passo il tempo
fra intervalli di vento e terra rossa.
Cambiando, cambiando prospettive
cerco di capire il verso giusto,
il giusto slancio per ripartire...
e intanto aspetto, aspetto, aspetto
che il fango liberi le mie ruote,
che la pianura calmi la paura,
che il giorno liberi la nostra notte,
tutti insieme, tutti insieme.
Ma tutti insieme siamo tanti, siamo distanti
siamo fragili macchine che non osano andare più avanti
siamo vicini ma completamente fermi
siamo famosi istanti divenuti eterni...
Ma soprattutto un percorso interiore che sollecita
a mettersi in gioco, a rivedere le proprie certezze, a
sperimentare nuove prospettive e punti di vista da
cui guardare il mondo e la propria vita.
In questo continuo e faticoso peregrinare è forte il
rischio di divenire viaggiatori solitari: troppo con-
centrati su se stessi e sui propri problemi per accor-
gersi dei propri compagni di viaggio; talmente im-
pegnati nella spasmodica ricerca di una direzione
di marcia da non riuscire più a godere della bellez-
za del camminare insieme; così preoccupati di ar-
rivare primi nella corsa a ostacoli dell’esistenza da
dimenticare quanto siano importanti, per arrivare
alla meta, il sostegno reciproco e la cooperazione.
Avviene così che, lungo il sentiero che conduce
alla condizione adulta, si moltiplichino i muri e
scarseggino i ponti. Barriere fisiche, psicologiche,
affettive che, come invisibili barricate, frantuma-
no quella genuina complicità propria dell’infan-
zia e dell’adolescenza e pongono una distanza
apparentemente incolmabile tra un io sempre più
spaurito e chiuso in se stesso e un’anonima mol-
titudine di altri avvertiti come estranei e doloro-
samente distanti. E il cammino della vita, affron-
tato in solitaria, non può che apparire ancora più
difficile e sfibrante.
Eppure, a volte, basta guardarsi intorno per ram-
mentarsi di non essere da soli ad affrontare que-
sto viaggio. Basta distogliere lo sguardo dai pro-
pri passi e farlo spaziare lungo l’orizzonte, al di là
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Dicembre 2014

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di quei muri e di quelle fortezze che si ergono a
opprimente protezione della propria privacy, per
scorgere i tanti ponti gettati sul mare della pro-
pria solitudine e riscoprire il valore salvifico del-
la condivisione, del confronto costruttivo, dello
scambio di esperienze, della sincera sollecitudine
l’uno verso l’altro.
Perché è vero che camminare in compagnia spes-
so è più faticoso, costringe ad adeguare la propria
andatura a quella del prossimo, a rallentare lungo
il tragitto per aspettarlo o ad affrettare il passo
per stargli dietro, ma non c’è gioia più grande di
condividere con chi si ha accanto la fatica dell’an-
dare e l’entusiasmo del procedere insieme verso
un traguardo comune, nella consapevolezza che
anche la salita più ripida diviene più dolce se si
può contare sul sostegno e l’incoraggiamento dei
propri compagni di viaggio.
Un ponte lascia passare le persone,
un ponte collega i modi di pensare,
un ponte, chiedo solamente
un ponte per andare, andare, andare.
E non bastava già questa miseria,
alzarsi e non avere prospettiva...
E continuare non è soltanto una scelta,
ma è la sola rivolta possibile,
senza dimenticare che dopo pochi chilometri
ci dovremo di nuovo fermare...
Da qui passeranno tutti o non passerà nessuno
con le scarpe nelle mani, in fila ad uno ad uno.
Da qui passeranno tutti fino a quando c'è qualcuno,
perché l'ultimo che passa vale come il primo.
Life is sweet!
(Fabi-Silvestri-Gazzè, Life is sweet, 2014)
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Quella drammatica stagione
del 1879 a Valdocco
“Amico sempre carissimo, l’uomo onesto, quando
non è creduto, deve porsi in rigoroso silenzio.
Non mi hai inteso e non rispondi ad una delle cose
esposte nella mia lettera. Lo sprezzo poi con cui tu
parli dei preti di questa casa mi impedisce di spiegarmi
coi dovuti vocaboli. Perciò in questo fatto è inutile
di parlare, come io vivamente desiderava […]
Aff.mo amico, Sac. Gio. Bosco”.
A bituati come siamo allo stile
amichevole e dialogico delle
lettere di don Bosco, ad ec-
cezione, s’intende, di quelle
relative al contenzioso con
l’arcivescovo di Torino, può
sorprendere trovare la sua firma in
calce ad una lettera così dura, che non
ammettere repliche, rivolta per di più
ad un sacerdote; ma tant’è.
L’antefatto
Per comprendere il contenuto e il tono
perentorio della lettera, bisogna rifarsi
al momento in cui don Bosco la scrive-
va, ossia al 24 luglio 1879, ad un mese
esatto dal momento in cui gli venne
consegnato il decreto governativo di
chiusura del ginnasio di Valdocco.
Motivo: inosservanza delle leggi sulle
scuole ginnasiali. Don Bosco appena
avuto sentore della tempesta in arrivo,
si era attivato immediatamente per far
ritirare il decreto o per lo meno so-
spenderne l’esecutività. Inutilmente. Il
30 giugno il ginnasio fu formalmente
chiuso e don Bosco ne dovette dare
comunicazione al Prefetto di Torino,
Giovanni Minghelli Vaini, al Provve-
ditore di Torino, Gioacchino Rho e al
ministro della Pubblica Istruzione, on.
Michele Coppino.
Nell’occasione il teologo Giacomo
Margotti, direttore de L’Unità Catto-
lica, prese posizione in favore di don
Bosco, non risparmiando pesantissi-
me critiche allo stesso ministro Cop-
pino. Il fratello poi del Provveditore
di Torino, il succitato teologo Angelo
Rho, già compagno di studi di don
Bosco a Chieri, con una lettera aperta
al giornale il 13 luglio aveva giusti-
ficato il provvedimento governativo
e accusato il ginnasio di Valdocco di
varie inadempienze legali. Chiamato
pubblicamente in causa, don Bosco
gli aveva risposto il 20 luglio in questi
precisi termini:
“Se tu fossi passato all’Oratorio ti
avrei detto essere un falso supposto
l’affermare che i nostri Maestri non
son patentati. Lo stesso tuo fratello
Provveditore nel suo uffizio ha la nota
del nome, cognome e titoli legali dei
medesimi […] tutti muniti del loro di-
ploma. Quindi appoggia sull’errore il
decreto di chiusura quando adduce per
motivo di quella disposizione il difetto
di Professori muniti d’idoneità legale.
Tu dici che mi servo di allievi anziani
per fare scuola etc. Tu vorrai chiama-
re anziani i mentovati Professori, che
realmente furono miei anziani allievi.
Tali pure sono il Prof. Rinaudo all’U-
niversità di Torino, Marco a quella
di Roma, ed altri altrove. Non potrei
servirmi di costoro nelle nostre classi?
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Dicembre 2014

4.9 Page 39

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Siccome poi gli istituti privati hanno
libertà di orario, niuno può preten-
dere che l’insegnamento non si faccia
quando e come torna possibile e co-
modo agli Insegnanti. Poi la legge dice
chiaro che un Istituto non può essere
chiuso, se non quando è gravemente
turbato l’ordine sociale, l’ordine mo-
rale, o la salute degli allievi. Nissuno
di questi motivi si può addurre contro
le scuole dei nostri poveri giovanetti,
anzi il medesimo Provveditore nella
relazione fatta al Consiglio Scolastico
Provinciale dopo la sua visita dichiara
che per la pulizia, disciplina, morali-
tà e profitto eravi niente a desiderare.
Inoltre esistendo uno di questi abusi,
la legge dice che prima di venirsi alla
chiusura di un Istituto qualunque,
devono attendersi le osservazioni del
Capo di quello da presentarsi al Con-
siglio Scolastico Provinciale. Di que-
sto nulla si fece. Il Signor Provveditore
venne in tempo di mia assenza […] Al
mio ritorno in Torino ho trovato let-
tera del Provveditore che insisteva do-
vessero rimanere in classe permanen-
temente i Professori titolati secondo
l’orario pubblico. La legge non voleva
questo […] Tu ti appelli alla legge che
è superiore a tutti e a tutto. Io direi che
la giustizia deve regolare tutte le leggi.
Quale articolo di legge fu violato? Ho
sempre chiesto e atteso invano una ri-
sposta. E poi il Provveditore od altri
può ordinare lo sfratto dei poveri gio-
vanetti raccolti in un ospizio, come si
pretende sul caso presente? Tu aggiun-
gi che sono tre anni che il Sig. Prov-
veditore insiste che io mi uniformi alla
legge. Io risposi che tutti i Provvedi-
tori, tutti i Ministri di Pubblica Istru-
zione sempre hanno lodato, approvato,
aiutato e sussidiato questo Istituto per
oltre a trent’anni. Ci voleva un amico,
un compagno di scuola, a proporre la
chiusura […] Come tu vedi, ho scritto
col cuore alla mano e mi farai un vero
favore se tu leggendo la legge Casati
mi dirai quali articoli siano stati violati
[…].
Cresce la tensione
L’articolata e precisa risposta di don
Bosco non soddisfece però il teologo
Rho, che il 22 luglio giustificò nuo-
vamente sui giornali la legittimità
del decreto governativo e due giorni
dopo privatamente negò a don Bosco
di aver parlato male dei salesiani. A
suo giudizio aveva solo criticato la
troppo rapida carriera scolastica di
alcuni di loro.
Don Bosco a questo punto, come
s’è visto, ritenne inutile continuare
il personale confronto dialettico con
lo sprezzante interlocutore, tuttavia
non rinunciò alla difesa, lasciandola
nelle mani del professore don Giu-
seppe Bertello. La posta in gioco era
troppo alta per non reagire con forza.
La chiusura delle scuole ginnasiali di
Valdocco e lo scandalo che ne sarebbe
seguito avrebbero certamente avuto
una ricaduta molto negativa sulle tan-
te opere salesiane già aperte o in via di
apertura in Italia, Francia, America
Latina; inoltre la figura di don Bosco
fondatore di istituzioni educative ne
avrebbe risentito pesantemente. Ecco
allora don Bertello intervenire a più
riprese sullo stesso giornale cattolico,
suscitando ovviamente altrettante rea-
zioni dagli avversari sui giornali libe-
rali ed anticlericali.
Verso la conclusione
La polemica oltrepassò il Ticino e le
stesse Alpi, finendo su altri giornali
nazionali e internazionali. Sullo sfon-
do del caso particolare di Valdocco si
stagliava infatti un problema generale
e sempre attuale: la libertà di inse-
gnamento e di educazione contro uno
statalismo opprimente.
Due anni dopo il Consiglio di Stato
respinse il ricorso di don Bosco. Ma
nel frattempo questi si era adegua-
to a tutte le esigenze di legge, anche
a quelle di cui pensava dovesse essere
esentato il suo “Istituto di carità”.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di dicembre preghiamo il beato Stefano
Sándor nel centenario della sua nascita
Stefano Sándor, salesiano coadiutore nato a Szolnok (Ungheria) il
26 ottobre 1914, fu ucciso in odio alla Fede a Budapest (Unghe-
ria) l’8 giugno 1953. Conosciuto don Bosco attraverso il Bollettino
Salesiano, si sentì subito attratto dal carisma salesiano. Frequentò
nella tipografia “Don Bosco” i corsi di tecnico-stampatore. Iniziò il
noviziato, ma dovette interromperlo per la chiamata alle armi. Nel
1939 raggiunse il congedo definitivo e, dopo l’anno di noviziato,
emise la sua prima professione l’8 settembre 1940 come salesiano
coadiutore.
Quando lo Stato nel 1949, sotto Mátyás Rákosi, incamerò i beni
ecclesiastici e iniziarono le persecuzioni nei confronti delle scuo-
le cattoliche, anche Stefano
dovette abbandonare la sua
tipografia e “sparire”, ma
anziché rifugiarsi all’estero
rimase in patria per continua-
re a lavorare per la gioventù
ungherese. Nel luglio del
1952 fu catturato sul posto
di lavoro e non fu più rivisto
dai confratelli. Un documen-
to ufficiale ne certifica il pro-
cesso e la condanna a morte
eseguita per impiccagione l’8
giugno 1953. È stato beatifi-
cato a Budapest il 19 ottobre
2013.
PREGHIERA
O Dio onnipotente,
Tu hai chiamato il beato Stefano Sándor
a far parte della grande famiglia di san Giovanni Bosco.
L’hai guidato, con Maria Aiuto dei cristiani,
nella sua difficile missione per la salvezza delle anime
e nel sacrificio della sua vita per la gioventù ungherese.
Egli Ti ha testimoniato nel tempo della persecuzione della Chiesa;
ha promosso la stampa cattolica,
il servizio all’altare e l’educazione della gioventù.
Col suo spirito fedele e leale
indica anche a noi la via del bene e della giustizia.
Ti chiediamo di glorificarlo
e concedi a noi la grazia che per sua intercessione chiediamo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ringraziano
san Domenico Savio
Esattamente un anno fa ho ri-
chiesto l’abitino di san Do-
menico Savio e ho affidato la
bimba che portavo in grembo
alla sua protezione. I dottori in-
fatti dicevano che la mia bimba
poteva essere talassemica e
mi avevano invitato a valutare
la possibilità di un aborto. Il 9
gennaio 2014, all’ospedale di
Soverato è nata Caterina Ida.
La bimba non era talassemica.
Il parto è stato difficile e con
molte complicazioni ma io ho
continuato ad affidarmi al mio
Santo. Dopo 3 giorni ci dimetto-
no dall’ospedale. Sembrava tut-
to a posto, ma il mio cuore di
mamma mi diceva che qualcosa
non andava. Ripongo l’abitino
nella culla di mia figlia e in ogni
istante chiedevo a san Dome-
nico Savio e al Sacro Cuore di
Gesù di aiutare la mia bimba. A
10 giorni dalla nascita porto mia
figlia ad un controllo all’ospeda-
le di Catanzaro. Diagnosi: me-
ningocele al vertice della testa.
La bimba doveva essere operata
con urgenza e poteva avere gravi
problemi neurologici e celebrali.
Partiamo immediatamente per
Roma. Veniamo ricoverati al Ge-
melli il 23 gennaio; il 29 gennaio
viene eseguita la risonanza che
miracolosamente non evidenzia
alcun danno neurologico. Il 31
dello stesso mese (ricorrenza di
san Giovanni Bosco), viene ese-
guito l’intervento. Tutto è andato
bene. L’abitino di san Domenico
Savio è sempre stato vicino alla
mia bimba e l’ha accompagna-
ta sia durante la RM sia in sala
operatoria. Il giorno della di-
missione ho regalato l’abitino al
bimbo che era in stanza con noi.
Oggi Caterina Ida ha 4 mesi, sta
bene, cresce bene ed è una bim-
ba sempre sorridente. Ringrazio
Nostro Signore Gesù Cristo e
san Domenico Savio.
Immacolata Garretta - Badolato
Ringrazio san Domenico per
tutte le grazie ricevute: la nascita
dei miei due gemelli Giuseppe e
Mariantonina, dopo una gravi-
danza a rischio, avvenuta 18 anni
fa; la nascita di Anna Rita, figlia
di un’amica; la nascita della mia
terzogenita Martina, avvenuta
nel 2008 quando avevo quasi
quarant’anni e non ho voluto
fare l’amniocentesi; per Martina,
quest’inverno durante una notte
in cui aveva la febbre molto alta;
nel 2009 per la nascita del mio
nipotino Giuseppe Pio.
Antonina Bellina - Burgio
Nonna Maria di Trapani per la na-
scita della nipotina Alice.
Maria e Diego da Lecce ringra-
ziano don Bosco e Domenico
Savio per la nascita di Giovanni
Domenico.
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
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Dicembre 2014

5 Pages 41-50

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
I sei meravigliosi fratelli Tardivo
«Vedete, anche la macchina fotografica si è incantata
davanti ad un simile spettacolo» disse sorridendo san
Giovanni XXIII al momento della foto con i sei fratelli
missionari salesiani.
Il ricordo di una nipote.
L’annuncio del ritorno degli zii
missionari, don Michele dal Cen-
tro America, don Giovanni dal
Salvador, don Giuseppe da San-
tiago, don Pietro dall’Argentina,
don Severino dal Cile, don Ago-
stino dall’Egitto era per tutta la
nostra grande e numerosa fami-
glia, ma soprattutto per noi bam-
bini, quasi l’inizio di un’avventura.
La routine quotidiana cambiava
un po’ e tutti si davano da fare per
farli sentire a casa, per dimostra-
re loro l’affetto, la stima, la voglia
di condividere in qualche modo
la loro scelta coraggiosa. Con
loro arrivavano in casa i profumi
e i sapori del mondo... qualche
frutto esotico, qualche manu-
fatto dell’artigianato locale, ma
soprattutto i racconti di terre e di
popoli di cui spesso ignoravamo
anche l’esistenza, dal momento
che i mezzi di comunicazione del
tempo non erano certo quelli di
oggi. Quando la sera ci riunivamo
intorno a loro, amavano anche ri-
cordare la loro infanzia e la loro
adolescenza. Parlavano del loro
papà che, una volta all’anno, la-
sciava i campi, inforcava la bici-
cletta e percorreva 135 chilometri
all’andata e altrettanti al ritorno
per recarsi a Penango a trovarli
in Seminario. A chi glielo do-
mandava, il papà rispondeva che
non sentiva la fatica del viaggio
perché, affermava, “È don Bosco
che mi spinge”. Ricordavano con
venerazione la loro mamma che
aveva saputo offrire volentieri alla
Chiesa sei figli missionari e che
era solita dire che erano lontani
fisicamente ma non dal cuore.
Questo aveva spinto don Ago-
stino, il più giovane dei missio-
nari, ad affermare che dopo Dio,
dovevano alla mamma la loro
vocazione. In questa loro voca-
zione aveva avuto, però, un ruolo
importante anche il papà che, an-
dato in pellegrinaggio al Santua-
rio di Vicoforte, avendo visto un
gruppo di chierici intorno all’alta-
re aveva pregato così: “Signore,
fa che almeno uno dei miei figli
senta la vocazione al sacerdozio”.
E il Signore ha moltiplicato il suo
desiderio per sei.
Di se stessi gli zii parlavano molto
poco, le notizie delle “meraviglie”
che il Signore operava in loro in
terra di missione sono sempre ar-
rivate da altri. Ad esempio, l’amore
e la dedizione di don Pietro per i
poveri e gli ammalati dell’Argenti-
na sono emersi quando, lui anco-
ra vivente, gli abitanti della città di
Caleta Olivia in Patagonia – dove
si era speso per 27 anni – non
hanno avuto dubbi sul nome da
scegliere per il nuovo ospedale.
L’hanno intitolato a padre Pedro
Tardivo che, sono parole del sin-
daco della città, con la sua intensa
carità apostolica e con la sua na-
turale simpatia ha saputo guada-
gnarsi l’affetto e la stima di tanta
gente. Di don Giovanni, per tanti
anni missionario in Centro Ameri-
ca, con un’esperienza variegata di
professore e direttore del Semina-
rio, maestro dei novizi, consigliere
scolastico, tanti hanno sottolinea-
to come il fondamento della sua
vita fosse l’Eucarestia, quella che
gli ha permesso anche di accetta-
re e di offrire il lungo e difficile cal-
vario di sofferenza prima del ritor-
no alla casa del Padre. L’impronta
che ha lasciato in tanti giovani e
in tanta gente, è stata testimoniata
dalla straordinaria partecipazione
di popolo ai suoi funerali, giovani,
sacerdoti, suore, famiglie che da
lui si erano sentiti amati, guidati,
protetti. Don Giuseppe, all’età di
97 anni, ha da poco raggiunto i
suoi fratelli don Michele, che è
stato il primo della famiglia a par-
tire e ha speso la sua vita in Gua-
temala, don Pietro e don Giovanni,
sui sentieri del cielo. Professore di
Latino ma soprattutto missionario
tra la gente delle parrocchie del
Cile, di lui l’ispettore del luogo ha
detto: «con il padre José se ne va
il patriarca dell’lspettoria, un pa-
triarca che ha saputo trasmettere
speranza in modo allegro e sere-
no, patriarca per la sua vita ricca di
esperienza e di umanità. Un vero
maestro di vita».
Di quelli ritratti nella foto con
papa Giovanni, rimangono tra noi
don Severino – che, in uno dei
suoi ritorni a Caraglio, ha sfida-
to la scalata del Monviso con le
scarpe da ginnastica – tuttora in
Cile e don Agostino, il più giova-
ne della famiglia, che svolge la
sua missione in Egitto.
A proposito di quella foto appesa
nella “sala bella”, pare che il foto-
grafo ufficiale, a suo tempo, abbia
avuto qualche difficoltà tecnica
negli scatti. Si dice che di fronte a
questo, il Papa con il suo prover-
biale sorriso bonario, indicando i
sei fratelli missionari abbia detto:
“Vedete, anche la macchina foto-
grafica si è incantata davanti ad
un simile spettacolo”. Uno spet-
tacolo per cui in tante occasioni
noi nipoti, tra cui una Figlia di
Maria Ausiliatrice, abbiamo can-
tato e canteremo il Magnificat!
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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
I PIÙ PICCOLI TRA I PICCOLI
Don Giovanni Cocchi si potrebbe definire, per un certo verso,
il precursore dell’opera assistenziale ed educativa a favore dei
giovani di don Bosco. Don Cocchi, pochi anni prima, infatti,
ispirato dai padri di san Filippo Neri, aveva aperto un oratorio
a Torino, l’Oratorio dell’Angelo, per dedicarsi ai giovani disa-
dattati e per fornire loro istruzione e un’educazione cristiana.
I dati di quel periodo erano impressionanti: nelle carceri vi-
vevano ragazzini dai 12 ai 18 anni sopravvivendo a malattie e
parassiti, bambini anche di 7 anni lavoravano come spazzaca-
mini o garzoni di bottega e circa settemila fanciulli sotto i dieci anni risultavano impiegati nelle fabbriche,
senza contare quelli che vagabondavano senza meta alla ricerca di un tozzo di pane. Anche don Bosco,
quindi, decise di fare qualcosa. Ben sappiamo che organizzò un oratorio, quello di san Francesco di
Sales, dotato di laboratori di artigianato, di classi scolastiche, e di quanto potesse servire all’accoglienza
e alla cura dello spirito. Il primo ragazzo che don Bosco chiamò a sé fu Bartolomeo Garelli, nel dicembre
del 1841, e subito dopo si aggiunsero i fratelli Buzzetti, seguiti da amici e giovani compaesani. Quello
fu il primo gruppo di ragazzi che popolò ed animò l’oratorio.
Qualche anno dopo, quel gruppo divenne così folto che era-
no già più di cento e don Bosco dovette farsi aiutare da tre
giovani preti e da altri ragazzi più grandi per seguire e tenere
a bada i più impulsivi, e ne arrivavano di continuo. L’epide-
mia di colera peggiorò la situazione a Torino lasciando tanti
orfani di tutte le età senza che nessuno badasse a loro. I più
piccoli accolti da don Bosco erano una ventina, gli “orfani del
colera”, e formavano quella che spiritosamente era chiamata
la XXX per via della piccola statura dei componenti.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Sfera di vetro
per pesciolini - 7. Il Christopher che
fu l’immortale Highlander - 12. Fine
delle trasmissioni - 14. Carrozza a
due ruote col mantice - 16. Diede i
natali a Pergolesi - 17. Insieme a
- 19. XXX - 20. La Santa Jeanne
che fu arsa viva - 21. Le ha uguali il
crostaceo - 23. Il Brian ideatore della
musica ambient - 24. Messina - 25.
Colpevolezza - 26. Propria della valle
dell’Adige - 29. È acida… senza testa!
- 31. L’Adolf pioniere dell’architettura
moderna - 32. Il primo sex symbol del
Cinema - 34. Figlio di Isacco e fratel-
lo di Giacobbe - 36. Nostro in breve
- 37. Fa coppia con labor - 38. A
noi - 39. Giunti senza preavviso - 42.
Tornare a voler bene - 45. Una guida
per apprendere on-line - 47. Le vocali
in festa - 48. Svolgere un’attività pro-
fessionale - 49. No per sempre.
VERTICALI. 2. L’antico “sì” pro-
venzale - 3. Il jazzista Calloway - 4.
XXX - 5. Trieste in centro - 6. Dare il
proprio consenso - 7. Il celebre gioco
coi mattoncini - 8. La maggiore città
della Florida - 9. L’acqua con cui ci si
“segna” in chiesa - 10. Prefisso che
vale sei - 11. Rendono carini i cani
- 12. Un noto antivirus per pc - 13.
L’entrata giornaliera del negozio - 15.
Vi salì Mosè - 17. Si nomina con
Tizio e Sempronio - 18. È quel che
fanno tutti i minatori - 20. Quando
vengono meno le aspettative si resta
così - 22. È anche detta leone marino
- 27. Il nome della Morante - 28. Fu-
rono soggiogati da Pizarro - 29. Non
bisogna farli senza l’oste - 30. Il Piaz-
zolla che lanciò il nuevo tango - 33.
L’Imbruglia cantante (iniz.) - 35. Aria
poetica - 40. Una “o” nei telegrammi
- 41. Sono pari nel disarmo - 43.
Particella pronominale - 44. La fine
di Custer - 46. Mi seguono a Milano.
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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Non c’è posto
«No!» ripeté Guido automaticamen-
te. «Andate via!».
Rattristato, Giuseppe strinse a sé
nella
locanda! Maria,chegliappoggiòsconsolata-
mente la testa sulla spalla, e comin-
ciò ad allontanarsi con lei. Invece di
richiudere la porta, però, Guido il
locandiere rimase sulla soglia con lo
sguardo fisso sulla miseranda coppia.
Guido Purlini aveva 12 anni e
frequentava la prima media.
Era già stato bocciato due
volte. Era un ragazzo grande
e goffo, lento di riflessi e di
comprendonio, ma benvolu-
«Signore, abbiamo chiesto ovunque
invano. Viaggiamo da molto tempo
e siamo stanchi morti».
«Non c’è posto per voi in questa locan-
da», replicò Guido con faccia burbera.
«La prego, buon locandiere, mia mo-
Aveva la bocca aperta, la fronte
solcata da rughe di preoccupazione, e
i suoi occhi si stavano riempiendo di
lacrime.
Tutt’a un tratto, quella recita divenne
differente da tutte le altre.
to dai compagni.
glie Maria, qui, aspetta un bambino «Non andar via, Giuseppe» gridò
L’avvenimento più importante della e ha bisogno di un luogo per riposa- Guido. «Riporta qui Maria». E,
scuola, ogni anno, era la recita natali- re. Sono certo che riuscirete a trovar- con il volto illuminato da un grande
zia. A Guido sarebbe piaciuto fare il le un angolino. Non ne può più».
sorriso, aggiunse: «Potete prendere la
pastore con il flauto, ma la signorina A questo punto, per la prima volta, il mia stanza».
Lombardi gli diede una parte più im- locandiere parve addolcirsi e guardò Secondo alcuni, quel rimbambito di
pegnativa, quella del locandiere, perché verso Maria. Seguì una lunga pausa, Guido Purlini aveva mandato a pallino
comportava poche battute e il fisico di lunga abbastanza da far serpeggiare la rappresentazione. Ma per gli altri,
Guido avrebbe dato più forza al suo un filo d’imbarazzo tra il pubblico. per la maggior parte, fu la più natalizia
rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria. «No! Andate via!» sussurrò il sugge- di tutte le rappresentazioni natalizie che
La sera della rappresentazione
ritore da dietro le quinte.
avessero mai visto.
c’era un folto pubblico di genitori
e parenti. Nessuno viveva la magia
della santa notte più intensamente
di Guido Purlini.
E venne il momento dell’entrata
in scena di Giuseppe, che avanzò
piano verso la porta della locanda
sorreggendo teneramente Maria.
Giuseppe bussò forte alla porta di
legno inserita nello scenario dipinto.
Guido il locandiere era là, in attesa.
«Che cosa volete?» chiese Guido,
aprendo bruscamente la porta.
«Cerchiamo un alloggio».
«Cercatelo altrove. La locanda è al
completo».
Dicembre 2014
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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il Messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Muchachos y Muchachas
con Don Bosco
Il meraviglioso progetto
di don Juan Linares
L‘invitato
Monsignor
Jesus Tirso Blanco
Vescovo “coraggio”
Conoscere
la Famiglia Salesiana
Le Salesiane Oblate
del Sacro Cuore
La discrezione
dell’eroismo
Come Don Bosco
Le malattie
dell’educazione
Il Rachitismo
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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