Bollettino_Salesiano_202310

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NOVEMBRE 2023
ISl OnoGstNro O
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
La memoria del futuro
Abbiamo un sogno.
Ed è la nostra più grande ricchezza.
Duecento anni fa, un ragazzino di nove
anni, povero e senza altro futuro se non
quello di fare il contadino, fece un sogno.
Lo raccontò al mattino a madre, nonna
e fratelli, che la presero sul ridere. La nonna con-
cluse: «Non bisogna badare ai sogni». Molti anni
dopo, quel ragazzo, Giovanni Bosco, scrisse: «Io
ero del parere di mia nonna, tuttavia non mi fu mai
possibile togliermi quel sogno dalla mente».
Perché non era un sogno come tanti altri e non
morì all’alba.
Tornò e tornò altre volte. Con una carica trasci-
nante di energia. Era fonte di gioiosa sicurezza e
di forza inesauribile per Giovanni Bosco. La fonte
della sua vita.
Al processo diocesano per la causa di beatifica-
zione di don Bosco, don Rua, suo primo succes-
sore, testimoniò: «Mi raccontò Lucia Turco,
appartenente a famiglia, ove D. Bosco reca-
vasi sovente a trattenersi coi di lei fratelli,
che un mattino lo videro arrivare più giu-
livo del solito. Interrogato quale ne fosse la
causa, rispose che nella notte aveva avuto un
sogno, che tutto l’aveva rallegrato. Pregato
a raccontarlo, espose che aveva visto a
venire verso di lui una Signora, che
aveva dietro di sé un gregge mol-
to numeroso, e che avvicinata-
si a lui, lo chiamò per nome e
gli disse: – Ecco Giovannino:
tutto questo gregge lo affido
alle tue cure. Intesi poi da al-
tri che egli chiese: – Come
farò io ad aver cura di tante
pecore? E tanti agnelli? Dove troverò i pascoli per
mantenerli? La Signora gli rispose: – Non temere,
io ti assisterò, e poi sparì.
Da quel momento i suoi desideri di avvicinarsi
agli studi per riuscire prete divennero più ardenti;
ma gravi difficoltà si opponevano per le strettezze
della famiglia, ed anche per opposizione che faceva
il fratellastro Antonio, il quale avrebbe voluto che
egli pure attendesse ai lavori di campagna come
lui…»
Effettivamente tutto sembrava impossibile, ma il
comando di Gesù era stato “imperioso” e dolce-
mente sicura l’assistenza della Madonna.
Don Lemoyne, il primo storico di don Bosco, in-
fatti riassume così il sogno: «Gli era parso di vedere
il Divin Salvatore vestito di bianco, raggiante per
luce splendidissima, in atto di guidare una turba
innumerabile di giovanetti. Rivoltosi a lui aveagli
detto: – Vieni qua: mettiti alla testa di questi fan-
ciulli e guidali tu stesso. – Ma io non sono capace,
rispondeva Giovanni. Il Divin Salvatore insistette
imperiosamente finché Giovanni si pose a capo di
quella moltitudine di ragazzi e cominciò a guidarli
giusto il comando che eragli stato fatto».
In seminario, don Bosco come motivazione della
sua vocazione scrisse una pagina di umiltà am-
mirevole: «II sogno di Morialdo, mi stava sempre
impresso; anzi si era altre volte rinnovato in modo
assai più chiaro, per cui volendoci prestar fede do-
veva scegliere lo stato ecclesiastico, cui appunto mi
sentiva propensione: ma non voleva credere ai so-
gni, e la mia maniera di vivere, e la mancanza asso-
luta delle virtù necessarie a questo stato rendevano
dubbioso e assai difficile quella deliberazione».
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Noi possiamo essere sicuri: egli aveva riconosciu-
to il Signore e sua Madre. Nonostante la sua mo-
destia, non dubitava affatto di essere stato visitato
dal Cielo. Non dubitava nemmeno che quelle vi-
site fossero destinate a svelargli il suo avvenire e
quello della sua opera. Lui stesso l’ha detto: «La
Congregazione salesiana non ha fatto un passo
senza che un fatto soprannaturale glielo avesse con-
sigliato. Non è arrivata al punto di sviluppo in cui si
trova senza un ordine speciale del Signore. Tutta la
nostra storia passata, noi avremmo potuto scriverla
in anticipo nei suoi più umili particolari...».
Per questo le Costituzioni salesiane cominciano
con un “atto di fede”: «Con senso di umile grati-
tudine crediamo che la Società di san Francesco di
Sales è nata non da solo progetto umano, ma per
iniziativa di Dio».
Il testamento di don Bosco
Il Papa stesso ordinò a don Bosco di scrivere il so-
gno per i suoi figli. Lui cominciò così: «A che dun-
que potrà servire questo lavoro? Servirà di norma a
superare le difficoltà future, prendendo lezione dal
passato; servirà a far conoscere come Dio abbia egli
stesso guidato ogni cosa in ogni tempo; servirà ai
miei figli di ameno trattenimento, quando potran-
no leggere le cose cui prese parte il loro padre, e
le leggeranno assai più volentieri quando, chiamato
da Dio a rendere conto delle mie azioni, non sarò
più tra loro».
Don Bosco lascia trasparire chiaramente l’inten-
zione di coinvolgere il lettore nell’avventura narra-
ta, fino a renderlo partecipe di essa come una storia
che lo riguarda e che egli, trascinato nel racconto,
è chiamato a proseguire. La narrazione del sogno
diventa chiaramente il “testamento” di don Bosco.
Qui c’è la missione: la trasformazione del mondo
incominciando dai più piccoli, dai più giovani, dai
più abbandonati. C’è il metodo: la bontà, il rispet-
to, la pazienza. C’è la sicurezza della protezione
forte della Santa Trinità e quella tenera e materna
di Maria.
Nelle Memorie dell’Ora-
torio, don Bosco raccon-
ta che vent’anni dopo il
primo sogno, nel 1824,
fece «un nuovo sogno
che pare un’appendice
di quello fatto ai Bec-
chi quando avevo nove
anni. Sognai di vedermi
in mezzo ad una moltitudine di lupi, di capre e ca-
pretti, di agnelli, pecore, montoni, cani ed uccelli.
Tutti insieme facevano un rumore, uno schiamaz-
zo o meglio un diavolio da incutere spavento ai più
coraggiosi. Io voleva fuggire, quando una Signora,
assai ben messa a foggia di pastorella, mi fece cen-
no di seguire ed accompagnare quel gregge strano,
mentre ella precedeva…
Dopo avere molto camminato mi sono trovato in
un prato, dove quegli animali saltellavano e man-
giavano insieme senza che gli uni tentassero di
nuocere agli altri.
Oppresso dalla stanchezza voleva sedermi accan-
to di una strada vicina, ma la pastorella mi invitò
a continuare il cammino. Fatto ancora un breve
tratto di via, mi sono trovato in un vasto cortile
con porticato attorno, alla cui estremità eravi una
chiesa. Allora mi accorsi che quattro quinti di que-
gli animali erano diventati agnelli. Il loro numero
poi divenne grandissimo. In quel momento so-
praggiunsero parecchi pastorelli per custodirli. Ma
essi fermavansi poco e tosto partivano. Allora suc-
cedette una meraviglia. Molti agnelli cangiavansi
in pastorelli, che crescendo prendevano cura degli
altri. Io voleva andarmene, ma la pastora mi invitò
di guardare al mezzodì. «Guarda un’altra volta», mi
disse, e guardai di nuovo. Allora vidi una stupenda
ed alta chiesa. Nell’interno di quella chiesa era una
fascia bianca, in cui a caratteri cubitali era scritto:
Hic domus mea, inde gloria mea.
Per questo, quando entriamo nella Basilica di Ma-
ria Ausiliatrice, entriamo nel sogno di don Bosco.
Che chiede di diventare il «nostro» sogno.
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laVITA
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