Bollettino_Salesiano_201312

Bollettino_Salesiano_201312

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IL
DICEMBRE
2013
L'invitato
Don
Luigi
Melesi
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani
nel mondo
Betlemme
Come
don Bosco
Il presepio
Poster
Don Bosco dorme e sogna con noi

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Il canto di Natale
Sono nato nel mese di dicembre. I miei
occhi si sono aperti per la prima volta
quando per le strade di Torino tirava
un gelido vento, di quello che arriva
dalle Alpi. La gente in quel momento
si stava preparando alla festa del Santo
Natale. Non sono nato sulla tastiera di un pia-
noforte, e non sono stato scritto sulle linee di
un elegante pentagramma. Quel giovane sacer-
dote aveva scritto il testo su un foglio ingiallito
e, come punto di appoggio, aveva invece usato
una delle ringhiere della chiesa di San France-
sco d’Assisi. Subito pensai a quello che sarebbe
stato il mio futuro: sarei stata intonata da un
gruppo di voci adulte nel coro di una chiesa,
avrei avuto una vasta gamma di timbri, mi
avrebbe accompagnato il suono di un organo
così da poter essere ascoltata fin nel più remoto
angolo della chiesa.
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Natale del 1842. L’oratorio è solo un’idea, ancora vaga.
Don Bosco però compone una canzone natalizia per un
piccolo gruppo di ragazzini, tutti operai e manovali, che da
qualche tempo aiutava e con cui si riuniva. Tutti insieme,
come coro, la cantano nella chiesa della Consolata ed han-
no un grande successo (Memorie Biografiche II, 107-108).
Il giorno dopo però, tutti quei sogni di gloria
andarono in frantumi. Al posto di un coro di
persone adulte, vidi arrivare una dozzina di
ragazzini, anche un po’ rozzi nelle maniere. No-
nostante le pazienti indicazioni che don Bosco
dava loro, stavano letteralmente maltrattando le
note che mi componevano. E non finisce qui. Il
luogo delle prove non era nemmeno una chiesa.
Stavano cantando e provando mentre passeggia-
vano per le vie del centro di Torino.
I passanti guardavano stupiti quel sacerdote che,
tra risate e burle, ripeteva il ritornello: “Cantate
con voce gioiosa grati canti d’amor, è nato un
dolce Bambino, vostro Dio e Salvator”.
E arrivò il giorno di Natale. Quando ormai
avevo perso ogni speranza, ecco invece una cosa
del tutto inaspettata. Quei ragazzi, dopo aver
spolverato con attenzione le proprie giacche
sgualcite, con in mano i loro cappelli da ma-
novali, stavano cercando di mantenere calmi i
nervi e si trovavano in un coro. Nel coro della
chiesa della Consolata, la chiesa più importante
che in quel momento c’era a Torino. Don Bosco
sedeva all’organo. Finita la comunione, guardò
i ragazzi, fece un piccolo sorriso di complicità,
alzò le braccia e iniziò ad appoggiare le dita sui
tasti dell’organo. I ragazzi iniziarono quindi a
cantare. Spaventato, chiusi per alcuni secondi
gli occhi, temendo il peggio. Sbagliavo. Le voci
di quei ragazzi s’innalzarono chiare e sicure e si
potevano capire tutte quante le mie parole.
I fedeli che assistevano alla messa si voltarono,
stupiti, verso il coro. E vidi negli occhi di alcuni
di loro le lacrime. Quei ragazzi, con le loro voci,
avevano fatto di me qualcosa di più di un sem-
plice canto di Natale.
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Dicembre 2013

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IL
DICEMBRE 2013
ANNO CXXXVII
Numero 11
IL
DICEMBRE
2013
L'invitato
Don
Luigi
Melesi
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani
nel mondo
Betlemme
Come
don Bosco
Il presepio
Poster
Don Bosco dorme e sogna con noi
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 DON BOSCO EDUCATORE
6 LETTERE
8 RICONOSCIMENTI
Premio Cuore Amico
12 SALESIANI NEL MONDO
Betlemme
14 L'INVITATO
Don Luigi Melesi
18 FINO AI CONFINI DEL MONDO
20 A TU PER TU
Giovanni Mandrella
22 POSTER
24 ITINERARIO DOMENICO SAVIO
28 EVENTI
Il concerto di Natale
30 FMA
32 COME DON BOSCO
Il presepio
34 NOI & LORO
36 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
38 TESTIMONI
40 I NOSTRI SANTI
41 RELAX
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
8
14
20
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina :
Un bambino,
per ricordare il
miracolo della vita,
il miracolo del
Natale, della strada
scelta da Dio per
venire in mezzo
ai suoi figli (Foto
Shutterstock).
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Renato
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Cameroni, Maria Luisa Casella, Maria
Antonia Chinello, Roberto Desiderati,
Eligio Ermeti, Cesare Lo Monaco,
Alessandra Mastrodonato, O. Pori
Mecoi, Francesco Motto, Marianna
Pacucci, José J. Gomez Palacios,
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Periodica Italiana

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DON BOSCO EDUCATORE
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Don Bosco racconta
«Mettiti immediatamente
a fare loro un’istruzione
sulla bruttezza del peccato
e sulla preziosità della virtù»
Così ordina a Giovannino Bosco l’uomo misterioso nel sogno dei nove anni
A l giorno d’oggi, parlare di Gesù Cristo,
farlo “vedere” è difficile, ma non è im-
possibile. I giovani sembrano distratti
da mille cose, ci sembrano quasi inab-
bordabili su temi religiosi. Ma è una
impressione solo superficiale. Ai miei
tempi, come oggi, il problema non era tanto par-
lare di Gesù, quanto il modo, il tono, l’aggancio.
Ti potrà sembrare strano, ma alcuni dei miei con-
tatti con i ragazzi non sono avvenuti in sacrestia o
all’ombra del campanile. Tutt’altro! Molti incon-
tri sono cominciati nelle piazze di Torino, o in
qualcuna delle tante viuzze del suo centro storico.
Agli inizi del mio apostolato sacerdotale don Ca-
fasso, un prete amico che avevo scelto come diret-
tore spirituale, mi aveva dato un consiglio d’oro:
Andate per la città, guardatevi attorno”. I giova-
ni dovevo incontrarli nel loro ambiente, trovarli
dove essi si raggruppavano. Se li avessi aspettati
in chiesa, avrei perso tempo prezioso e mille oc-
casioni. Dovevo raggiungerli nel loro “territorio”,
allo scoperto. Valeva la pena tentare…
Una tonaca nera
Erano sguaiati, a prima vista, scanzonati, talora
violenti, portati facilmente alla rissa e all’uso del
coltello. “Guardandomi attorno” incontrai molti
giovani. Mi sembrava che andassero in cerca di
qualsiasi forma di divertimento perché in fondo
non sapevano gioire. Sghignazzavano, ma non
ridevano. Dopo una parolaccia o una bestem-
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mia, dopo una bravata che scatenava momentanei
schiamazzi di urla e di risate, piombava d’im-
provviso un silenzio irreale, il vuoto. Allora, dopo
un inizio in cui dovevo sorvolare su atteggiamenti
e parole, toccava a me intavolare la chiacchierata.
Si sentivano incuriositi ma non mi sembravano a
disagio per la presenza di una tonaca nera; spesse
volte, si finiva in una bettola davanti ad una o più
bottiglie di vino. Quello che agli occhi dei ben-
pensanti era mancanza di decoro ecclesiastico, era
per me un’occasione meravigliosa che non potevo
perdere per niente al mondo. Mi interessavo della
loro vita, domandavo notizie delle loro famiglie,
venivo a sapere se e dove lavoravano; poi buttavo
là una domanda sulla vita cristiana e conclude-
vo invitandoli a venire all’oratorio, magari anche
solo per dare un’occhiata. Il più delle volte la cosa
funzionava. La domenica successiva me li ritrova-
vo tutti o quasi tutti, chi nella fila per ricevere la
pagnotta con l’immancabile fetta di salame, chi
per salutarmi o dirmi una parola; chi addirittura
per confessarsi. Sapevo di andare controcorrente
e di creare un certo disagio anche tra alcuni miei
colleghi preti. Ma io avevo bisogno dei giovani,
non perché – e alcuni lo dicevano già ai miei tem-
pi – essi erano il futuro della società, e nemmeno
a causa di un paternalismo annacquato perché mi
facevano pena e meritavano qualcosa di meglio.
Ne avevo bisogno per amarli, ascoltarli, dedicare
loro attenzione e rispetto.
Vivendo in mezzo a loro, mi convincevo sempre
più che i giovani cercavano risposte, volevano
un confronto vero e serio con il mondo adulto;
non cercavano solo persone con il dito già punta-
to contro di loro, in segno di disapprovazione o,
peggio, di condanna. Cercavano adulti capaci di
“provocarli”, di stuzzicarli. Ma soprattutto, capa-
ci di capirli e di amarli. Per questo, volevano gli
adulti nel loro quotidiano, non per un momen-
to; esigevano tempo, molto tempo. Senza fretta.
Senza etichette. Con i giovani imparavo ad essere
loro amico, come ai tempi del Convitto Ecclesia-
stico avevo imparato a “diventare prete”. Lavorare
con e per i giovani significava per me realizzare
un ideale appassionante che accarezzavo da una
vita.
Dio lo voleva
Ai migliori, ai più generosi soggiungevo: “Non
perdete tempo, fate del bene, fatene tanto e non vi
pentirete mai d’averlo fatto. Io correvo qua e là
dietro ai giovani più discoli, più dissipati; ma essi
non volevano saperne di ordine e di disciplina, si
ridevano delle cose di religione, delle quali erano
ignorantissimi, bestemmiando il nome santo di Dio,
ed io non potevo far nulla… Un povero prete, solo,
abbandonato da tutti, anzi peggio che solo, perché
disprezzato e perseguitato: avevo un vago pensie-
ro di fare del bene, qui, proprio in questo luogo e
fare del bene ai poveri ragazzi. Questo pensiero era
quello che dirigeva ogni mio passo, ogni mia azione.
Io volevo far del bene, fare molto del bene, ma farlo
qui. Sembrava allora un sogno il pensiero del povero
prete, eppure Iddio realizzò, compì i desideri di quel
poveretto… Come si siano fatte le cose non me ne so
dare ragione io stesso. Questo io so, che Dio lo vo-
leva”. E fu questa la speranza, fatta di fiducia e
di prudenza, che mi sorresse in quegli inizi così
delicati e difficili.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Dov’è finita la bella
musica salesiana?
Caro Bollettino, mi è sempre pia-
ciuto andare a Messa “dai salesia-
ni”, per il calore, il clima, la gioio-
sità della celebrazione e soprattutto
per i bei canti, i pueri cantores, le
voci giovanili. Mi pareva davvero
di pregare il doppio. Da qualche
tempo però mi sembra che qual-
cosa stia cambiando. Non sento
più nelle celebrazioni la gioia del
pregare cantando. In chiesa è finita
la musica salesiana?
Angelo P., Roma
L a musica, a ben vedere,
c’è, ed è voracemente
consumata. C’è attraver-
so una quantità enorme
di brani, spesso banali,
che però in tanti altri casi
continuano a far sognare; e questo
sogno deve interessare anche noi,
figli spirituali ed amici di don Bo-
sco, perché il suono non è soltanto
ascoltato dalle orecchie, ma anche
vissuto dal cuore. Sto pensando,
ad esempio, a come Jovanotti (uno
dei più significativi guru del mondo
discografico italiano) sia riuscito
lo scorso 16 luglio, a Torino, ad
infiammare uno stadio strapieno
di entusiasmo e di generazioni,
trasmettendo idee e messaggi che
vanno ben oltre la ripetizione di un
ritornello cantato. Si tratta di un
linguaggio comunicativo così coin-
volgente che potrebbe contribuire
in maniera significativa al rinno-
vamento dell’evangelizzazione, per
rispondere alle sfide che il tempo ci
consegna e trasformarle in oppor-
tunità vincenti.
Affinché questo accada è necessa-
rio prendersi cura di questa sublime
forma d’arte, incrementandone la
conoscenza, il repertorio (mi riferi-
sco soprattutto all’ambito liturgico)
e l’applicazione, con la creatività
e l’originalità che ci contraddistin-
guono da sempre nell’apostolato
giovanile. Ed il bicentenario della
nascita di don Bosco può diventare
non solo occasione per riscoprire i
“luoghi” dove lui è nato ed è vissuto,
ma anche per riflettere sui “luoghi”,
meno geografici ma altrettanto reali,
dove hanno riposato le sue intuizio-
ni, febbrilmente alla ricerca di campi
proficui per la missione. Tra questi
“luoghi” la musica dovrebbe esserci.
Don Bosco, nonostante la mole im-
pressionante di attività praticate nel-
la propria vita, sapeva suonare vari
strumenti, anche se non in maniera
professionale, ed aveva il dono di
una voce gradevole ed ampia, pro-
babilmente educata attraverso l’ap-
poggio di metodi didattici dell’epoca.
Ha sempre mantenuto un’attenzione
sincera per il canto, che insegnava
con amore ai ragazzi (le lezioni era-
no impartite in oratorio due volte al
giorno nei giorni festivi; in quelli fe-
riali una volta sola, la sera, insieme
ad altri corsi formativi, di strumento
musicale, di lingua straniera, ecc.).
La sua sensibilità liturgica lo portò
a prediligere le celebrazioni cantate,
perché conferivano solennità al rito
e permettevano una degna lode a
Dio, vissuta e partecipata con spi-
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
rito giovanile e non superficiale (ne
fanno prova anche le iniziative per
organizzare o fondare scuole musi-
cali di buon livello tecnico, come ad
esempio la “Scuola commerciale di
Musica posta sotto il patrocinio di
S. Cecilia”). E. Ceria, negli “Annali
della società salesiana”, sottolineò
il valore di quest’arte, potentemente
benefica per la maturazione della
sfera emotiva ed immaginativa dei
giovani, in tal modo “educati”, cioè
condotti, a livelli spirituali più evoluti
attraverso un graduale ingentilimen-
to dell’anima.
I successori di don Bosco hanno se-
guito l’orientamento da lui tracciato,
a partire da don Rua, il quale scrisse
in una circolare del 1890: “nostra
santa ambizione deve essere quella
che le sacre funzioni, ordinarie e stra-
ordinarie, siano eseguite con decoro
riguardo al canto ecclesiastico…”.
Si deve almeno accennare qui all’ap-
porto dei tanti salesiani, arricchiti
dal Signore di efficace talento crea-
tivo, i quali con la loro sensibilità e
capacità seppero successivamente
incrementare un patrimonio artistico
e carismatico ancora oggi invidiabi-
le. Restano indimenticabili le figure
di autori come il cardinale Cagliero,
don Costamagna, don Pagella, don
Grosso, don Lasagna, don Borel-
lo, don Sobrero, fino a giungere al
contributo creativo ed organizzativo
di don D. Stefani, don Manente e
don Fant: quest’ultimo per quasi
trent’anni è stato direttore della rivi-
sta salesiana “Armonia di Voci”, che
ha reso concrete le istanze del Con-
cilio Vaticano II attraverso efficaci
proposte di repertorio.
E i pronipoti di don Bosco?
Si impegneranno a sostenere una
strategia per il consolidamento,
anche attraverso la musica, dell’i-
dentità carismatica salesiana?
Permetteranno che gli incontri, i
congressi, le celebrazioni ufficia-
li che vedranno la musica come
ospite d’onore incrementino la con-
sapevolezza del valore che questa
arte ha per la formazione umana
e spirituale di noi tutti? Verranno
proposte nuove idee per la comuni-
cazione e diffusione del Vangelo at-
traverso questo mezzo di comuni-
cazione, così affine alla pedagogia
della gioia di cui siamo portatori?
Si creeranno le condizioni per una
produzione musicale/liturgica più
seria e sistematica ?
Per la famiglia salesiana vedrei
bene un movimento ispirato dalla
musica: con lo scopo di accendere,
anche attraverso i suoni, la parte
più nobile del nostro cuore, ed im-
pedire l’annientamento, per colpa di
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DON BOSCO È UN MARCHIO!
Offerta di
esercizi spirituali
Il prossimo anno sarà il terzo
e ultimo in preparazione al
bicentenario della nascita di
don Bosco.
Sarà anche l’anno della spiri-
tualità salesiana e in quest’ot-
tica offro alla Famiglia sale-
siana (in primo luogo ai SDB
e FMA) questa proposta di
esercizi spirituali. Con 5-6
giorni interi a disposizione,
ecco i temi: uno al giorno:
amicizia, zelo pastorale (da
mihi animas), confidenza in
Dio e senso della Provvidenza,
abbandono alla volontà di Dio,
umiltà e pazienza, dolcezza e
bontà, Maria (mattina con-
clusiva). Lo stesso tema sarà
trattato in due tempi: matti-
no e pomeriggio. Al mattino
guardando alla figura di san
Francesco di Sales e al po-
meriggio quella di don Bosco.
Le comunità interessate pos-
sono chiedere a don Gianni
Ghiglione:
uni.gianni@gmail.com
E significa fiducia
In tutto il mondo “Don Bosco” è diventato un brand che significa qualità e garanzia. Cominciamo a pub-
blicarne alcuni esempi. In questa pagina: Torino, Rodeo Del Medio (Argentina), Asti.
Mandate quelli che conoscete al Bollettino Salesiano: biesse@sdb.org.
atteggiamenti consumistici e poco
elevati, del sacro che è in noi.
La musica è una potente bandie-
ra, che unisce e crea contatti sulla
terra, oltre che far volare i cuori nel
cielo. Ce la possiamo fare, nel ri-
cordo di una tradizione che anche
oggi merita di dire qualcosa. Nel
rispetto delle forze creative di nuovi
compositori che hanno sicuramen-
te delle proposte interessanti ed in-
novative. Nella certezza che l’inse-
gnamento di quell’uomo venuto dai
Becchi, nato da un passato umile
ma cresciuto in un futuro glorioso,
non svanirà dalla storia dei giovani
che verranno.
Maestro Maurizio Palazzo
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RICONOSCIMENTI
O. PORI MECOI
Il Nobel dei
missionari
a due salesiani e mezzo
I vincitori del Premio Cuore Amico quest’anno,
in maniera diretta o indiretta, appartengono
alla Famiglia Salesiana e testimoniano
la grandezza della sua dimensione missionaria.
I “vincitori”. Da sinistra : Piera
Tortore (Volontaria di don
Bosco), don Giorgio Nonni,
Suor Paola Battagliola (Figlia di
Maria Ausiliatrice).
Istituito ventitré anni fa, il Premio Cuore
Amico, “Nobel missionario”, frutto dell’As-
sociazione Cuore Amico Fraternità Onlus, fon-
data da don Mario Pasini nel 1980, nasce
spontaneamente dal cuore delle mamme ita-
liane. Infatti, grazie all’appello della mamma
di un missionario comboniano, pubblicato sulla
rivista “Madre”, di cui don Pasini era direttore,
e alla generosa risposta delle lettrici, si decise di
costituire un’associazione dedita al sostegno delle
necessità dei missionari.
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Piera Tortore (VDB) Lamissionecome
un “colpo di fulmine”
Piera Tortore è nata a Savi-
gliano in provincia di Cuneo.
Nel 1971, si laurea a Torino
in Medicina e Chirurgia,
specializzandosi poi in Me-
dicina nucleare a Pisa presso
il cnr, in Ecografia interna presso
l’Università di Genova e in Medicina
tropicale a Brescia. Prende servizio in
Medicina nucleare presso l’Ospedale
Santa Croce di Cuneo, dove lavora
per vent’anni.
Nel 1977, fa una breve esperienza da
medico in una zona di missione del
Messico, nella foresta dei Mixes, in
America Latina. Nel momento in
cui si prepara al concorso da prima-
rio del servizio di Medicina nuclea-
re dell’Ospedale di Novara, riceve la
proposta da parte del Consigliere del-
le missioni salesiane di Roma, di an-
dare a Lubumbashi in Zaire (attuale
Repubblica Democratica del Congo),
dove manca un ecografista per il nuo-
vo ospedale salesiano, il Polyclinique
Don Bosco.
Decide di andare in pensione in Italia
e parte per lo Zaire, dove comincia la
propria attività come ecografista vo-
lontaria nel Policlinico Don Bosco.
In quel 1990, lo Zaire, poi divenuto
Repubblica Democratica del Congo,
è un Paese che versa in una situazione
drammatica, principalmente a causa
delle continue guerre civili che, dal
1960 al 1997, hanno devastato questo
territorio con violenze continue. Una
delle conseguenze più tragiche di tale
realtà è la condizione in cui versano
i bambini che, assoldati spesso come
soldati (maschi e femmine), non ven-
gono risparmiati dalle ferite di guerra.
L’onu stima oggi la presenza di
70.000 bambini non accompagna-
ti, detti “bambini stregoni”: sono ex
bambini soldato, bambini poveri ed
orfani senza alcuna assistenza e ri-
ferimento familiare, completamente
abbandonati al loro destino.
Da medico missionario, Piera Tortore
viene a contatto con storie familiari
tragiche, che hanno come esito finale
l’abbandono di neonati, segno della
miseria e della povertà in cui versa la
popolazione congolese.
Trova neonati abbandonati nei luoghi
e nei momenti più impensati: li cura
e li fa crescere come figli, arrivando a
raccogliere attorno a sé venti bambini.
Utilizzando le proprie risorse e quelle
che le giungono da amici e conoscen-
ti, raccolte sotto l’egida dell’Associa-
zione “Compartir”, realizza il Centro
di Sanità e lo amplia inserendo un
reparto per malati terminali (30 posti
letto). Ristruttura il dispensario me-
dico esistente.
Nel 1998, su richiesta dei colleghi del
Policlinico viene iscritta all’Ordine
nazionale dei medici del Congo, con
numero d’ordine definitivo, evento
eccezionale per una persona stra-
niera. Nel 2006 crea a Lubumbashi
una casa di accoglienza per bambini
abbandonati e disabili, denominata
“Foyer Cancan” (focolare), piccola co-
munità dove ha in affidamento bimbi
che vengono curati, seguiti e istrui-
ti. Nel 2012, le viene consegnato in
Congo un riconoscimento di merito
per l’attività svolta.
Attualmente Piera Tortore è direttri-
ce sanitaria dell’Ospedale Polyclini-
que Don Bosco Afia, formato da due
padiglioni e una clinica di degenza,
due sale operatorie, una rianimazione
a sei letti, servizi di radiologia, eco-
grafia, laboratorio analisi, banca del
sangue. Il Policlinico Don Bosco è un
ospedale di riferimento, molto stima-
to nel Paese. Ha 200 posti letto e 150
dipendenti, tutti congolesi. Qui Pie-
ra insegna l’ecografia a molti giovani
medici congolesi, a cui cerca di tra-
smettere la passione per la professio-
ne medica, continuando ad occuparsi
anche dei suoi bimbi.
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RICONOSCIMENTI
Don Giorgio Nonni Trentatréanni
nel Mato Grosso
Giorgio Nonni è nato a Faen-
za (ra). Nel 1973 decide di
optare per il servizio civile
e parte per due anni per il
Sanatorio Sao Juliao, un leb-
brosario diretto da suor Silvia
Vecellio ubicato nella città di Campo
Grande, capitale del Mato Grosso do
Sul nella zona sud occiden-
tale del Brasile.
È una missione che fa parte
dell’Operazione Mato Gros-
so, movimento volontario di
cui fanno parte tanti giovani
che nel tempo libero lavora-
no per mantenere le missioni
dell’America Latina (in Perù,
Bolivia, Ecuador, Brasile).
Nel 1975 rientra in Italia e
fonda per il Mato Grosso
il “Gruppo Operazione” di
Faenza, del quale entra a far
parte anche Daniele Badiali,
che anni più tardi diventerà sacerdote e
partirà per il Perù dove morirà assassi-
nato nel 1997 (attualmente è Servo di
Dio ed è in atto il processo per la sua
beatificazione).
In questo periodo conosce don Ugo De
Censi, salesiano e fondatore dell’Ope-
razione Mato Grosso, che diventa la
sua guida spirituale. Nel 1980 parte
per il Perù per accompagnare don De
Censi, che si trasferisce lì ed inizia una
missione a Chacas, un paesino situato
a 3400 m d’altezza nella povera e isola-
ta valle sulla Cordillera Blanca.
Ritorna poi in Italia e continua a la-
vorare nel gruppo di Faenza. Ma il
Signore non lo molla e riparte per il
Perù con la decisione di studiare per
diventare sacerdote. Nel 1987, Gior-
gio diventa sacerdote a Chacas. Il ve-
scovo lo manda a Llamellin, una sier-
ra del Perù molto vasta e povera, dove
presta la propria opera a favore della
popolazione locale.
Comincia la sua missione con spirito
ed energia, portando con sé la vir-
tù fondamentale acquisita lavorando
come volontario nell’Operazione Mato
Grosso: la Carità, che dopo 25 anni è
ancora alla base della sua missione.
Nel tempo, per rispondere alle richie-
ste di sopravvivenza e di istruzione
della gente e dei giovani del posto,
fa nascere accanto a Llamellin altre
missioni: Aczo, Chambara, Chaccho,
San Martin, Aco, le cui attività sono
numerose, ma hanno tutte in comune
la regola fondamentale di voler “edu-
care i ragazzi ed esercitare la carità
verso i più poveri”.
Nella parrocchia di Llamellin ha at-
tualmente aperto cinque scuole pro-
fessionali completamente gratuite
per i giovani: tre femminili, dove le
ragazze imparano maglieria,
tessitura e ricamo; due ma-
schili, una di falegnameria e
intaglio e l’altra edile.
Inoltre ha avviato un al-
levamento di mucche con
annesso caseificio, un am-
bulatorio parrocchiale per
aiutare i malati più bisogno-
si, due asili pre-scolari e al-
tre opere sociali.
Ma l’opera più impegnativa
ed importante è l’Oratorio
delle Ande: un’opera che
non ha muri ed edifici, ma
è un costante lavoro di catechesi ed
educazione alla vita cristiana rivolto a
tutti i bambini, ragazzi e genitori dei
villaggi di tutta la parrocchia.
Un’opera che viene svolta dai ragazzi e
ragazze di buona volontà, per la mag-
gior parte formati nelle scuole profes-
sionali, che ogni sabato e domenica si
preoccupano di riunire nei villaggi i
bambini e i genitori per santificare il
giorno del Signore, catechizzare, gio-
care e aiutare chi sta peggio: i vecchi
soli ed abbandonati, le vedove, le fa-
miglie in difficoltà.
10
Dicembre 2013

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Suor Paola Entusiasmo
e passione
Battagliola (FMA)
Paola Battagliola nasce a Ma-
nerbio (Brescia). Nel 1974
diventa religiosa delle Figlie
di Maria Ausiliatrice (fma-
Salesiane). Nel 1988 viene
inviata a Timor Est, una
piccola isola ai limiti dell’arcipelago
indonesiano, dove assume il compi-
to di animatrice della prima comu-
nità di Figlie di Maria Ausiliatrice,
situata nel paese di Venilale, e di un
orfanotrofio di 150 bambini. L’anno
dopo apre il primo ambulatorio locale
“Maria Ausiliatrice”, che offre assi-
stenza alla popolazione di Venilale e
dei villaggi circostanti.
Con l’obiettivo di dare una prospetti-
va di vita migliore e consapevole del-
le proprie scelte alle giovani timoresi,
tradizionalmente non integrate nella
società e relegate solo a svolgere atti-
vità domestiche, dà vita ad una Scuola
Professionale Triennale in Venilale. A
questo progetto segue l’apertura, dal
’95 al ’99, di altre tre comunità salesia-
ne, sempre sotto la sua guida. In parti-
colare, nel ’97 viene aperto il noviziato.
Nel 2006 è di nuovo a Timor Est, che
nel frattempo ha ottenuto l’indipen-
denza dall’Indonesia, e collabora alle
attività della missione rivolte ai ra-
gazzi timoresi: in questi anni vengo-
no infatti costruite la scuola materna
e la scuola elementare nel quartiere di
Comoro, in Dili.
Nello stesso periodo nasce, sempre
nel quartiere di Comoro, un Centro
Formativo per la formazione degli
animatori, catechisti, insegnanti ed
un convitto per le giovani timoresi
che, concluso il loro periodo di studio
presso l’istituto professionale di Veni-
lale, approdano nella capitale in cerca
di lavoro.
La nascita del Centro de Formação
João Paulo II dà grande impulso alle
attività delle fma in città: infatti, oltre
ad ospitare tutte le attività sopra elen-
cate, il Centro rappresenta un fonda-
mentale punto di riferimento per molti
congressi e attività seminariali di ong
locali e internazionali, gruppi di studio
e incontri inter-congregazionali. In se-
guito le Figlie di Maria Ausiliatrice
progettano la costruzione di una Scuo-
la Professionale a Dili sul modello di
quella già realizzata a Venilale, che
prepari meglio le giovani al lavoro e
permetta anche l’autosostenibilità del-
la scuola stessa attraverso la gestione di
piccole attività artigianali.
Nel 2009 suor Paola viene nominata
Superiora dell’Ispettoria “S. Maria
Mazzarello” di Timor e Indonesia.
Segue tutte le attività presenti nelle
diverse comunità e realizzate a favore
della crescita e dell’autonomia eco-
nomica dei giovani di quei territori,
coadiuvata dall’entusiasmo e dalla
passione di tutte le fma presenti nel-
le missioni dei due Paesi (in tutto 71
suore, 60 autoctone e 11 missionarie).
Alle opere già esistenti si sono ag-
giunte da ultimo una panetteria e un
ampio laboratorio di sartoria (2010)
e un piccolo negozio di panetteria e
pasticceria, gestito da exallieve della
scuola professionale (2011).
Dicembre 2013
11

2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
MARIALUISA CASELLA - volontaria VIS nei territori palestinesi
L’arte di Betlemme IlCentroArtisticoSalesianoe
il Museo Internazionale della Natività
Quando si evoca Betlemme, la prima immagine
che viene in mente è il presepio, che rappresenta la
Sacra Famiglia con Gesù in fasce, riscaldato dal bue
e l’asinello. Questo simbolo, diffuso ormai in tutto
il mondo, viene riprodotto secondo le tradizioni e i
costumi locali. E quale posto migliore di Betlemme può
essere concepito per realizzare un museo che raccoglie
200 presepi provenienti da tutto il mondo?
per i pellegrini, il Museo costituisce uno stimolo
e una inesauribile fonte di idee per tutti gli ar-
tisti di Betlemme, mettendo a disposizione del
pubblico anche i materiali di documentazione e
informativi sulla produzione artistica riferita ai
presepi e non solo.
Questo è il caso del
Museo Internazionale
della Natività, inaugura-
to alla vigilia di Natale del
1999 con la promozione dell’u-
nesco e il supporto dell’Autorità
Nazionale Palestinese e del governo italiano in
collaborazione con il vis-Volontariato Internazio-
nale per lo Sviluppo. Nonostante gli eventi della
Seconda Intifada abbiano costretto il Museo a so-
spendere le sue attività, dal 2010 il Museo ha ri-
preso a lavorare a pieni ritmi e ancora oggi è aperto
al pubblico tutti i giorni (dalle 16.00 alle 22.00 e
su prenotazione ogni giorno tra le 8.00 e le 16.00).
Oltre a rappresentare un’importante attrazione
Una scuola unica
Il Museo Internazionale della Natività è intima-
mente connesso all’opera del Centro Artistico
Salesiano, l’unica scuola in Palestina che insegna
“formalmente” le tecniche di lavorazione del-
le manifatture tradizionali del legno di ulivo, della
madreperla e della ceramica. Oltre a costituire un
polo di attrazione per i pellegrini di tutto il mon-
do, il Museo, con i suoi proventi, sostiene il Centro
Artistico e costituisce una sorta di miniera di idee,
stili, tecniche ed espressioni artistiche da cui i gio-
vani artisti ed artigiani palestinesi possono attin-
gere per costruire la propria formazione artistica.
Agli studenti del centro è preclusa la possibilità di
viaggiare e conoscere nuove forme di arte a causa
della situazione politica in cui versano i Territori
Palestinesi. Nonostante questa difficile situazio-
ne, il Museo permette loro di entrare in contatto
12
Dicembre 2013

2.3 Page 13

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con altri stili e tecniche di lavorazione, sia attra-
verso la presenza stessa di opere d’arte provenienti
da 52 paesi del mondo (il Museo è stato visitato
nel 2012 da oltre 900 studenti palestinesi di di-
verse età) sia attraverso l’organizzazione di corsi
e workshop tenuti da artisti internazionali presso
l’adiacente Centro Artistico. Questi corsi sono te-
nuti circa tre volte l’anno e coinvolgono ogni vol-
ta almeno 25 giovani artisti ed artigiani locali. Il
risultato più tangibile di questi incontri è spesso
un’ulteriore opera d’arte, che rimane esposta pres-
so il Museo o il Centro Artistico mostrando una
forma di eclettismo ogni volta diverso, memo-
ria dell’incontro culturale di cui è frutto.
Il Centro Artistico Salesiano di Betlemme è nato
nel 2005 dalla collaborazione tra la Comunità Sa-
lesiana di Betlemme e il vis, con il supporto del
Ministero degli Affari Esteri italiano. Il centro si
pone l’ambizioso obiettivo di coniugare la conser-
vazione del patrimonio artigianale palestinese con
lo stimolo alla creatività dei giovani artigiani. In
particolare le attività del centro sono indirizzate a
giovani appartenenti a gruppi svantaggiati come i
rifugiati, donne vittime di violenza, ragazzi affetti
da sordità prelinguistica, ex detenuti politici.
Con la forza della speranza
L’obiettivo principale del Centro è di valorizzare
la tradizione locale e di formare dei buoni arti-
giani, così da facilitare il loro ingresso nel mondo
del lavoro e creare nuove opportunità di impiego
nel settore. Per questo motivo il Centro Artisti-
co sta portando avanti diverse attività finalizzate
ad agevolare l’inserimento degli ex studenti nel
mondo del lavoro, quali la donazione di macchi-
nari e strumenti per le lavorazioni, l’assistenza
nell’avviamento di piccole manifatture domesti-
che e attività di microcredito. Per molti studenti
questo supporto ha rappresentato una spinta im-
portante, che ha permesso loro di superare l’osta-
colo della mancanza dei mezzi iniziali, necessa-
ri all’avviamento di una piccola attività.
Le storie e i successi dei ragazzi che hanno fre-
quentato il centro sono una speranza per i pale-
stinesi, e sono la forza che sostiene i Salesiani e i
volontari del vis a impegnarsi sempre di più di
fronte a tutte le difficoltà economiche e sociali
derivanti dal contesto locale e internazionale. Si
può fare e si può dare di più: una volta in Ter-
ra Santa non si può perdere l’occasione di visitare
queste strutture e incontrare le persone che tanto
si impegnano per sostenerle.
Il Centro dei
Salesiani di
Betlemme cerca
di valorizzare
la tradizione
locale e formare
giovani artigiani
per facilitare il
loro ingresso nel
mondo del lavoro.
Per info:
http://www.salesianbethlehem.com WWW.VOLINT.IT
International Nativity Museum
48, Salesian St. Bethlehem – Palestine | P.O. Box 10377 - 91102 Jerusalem
Phone: 00972 0598911511 - Fax: 00972 02 2760076
nativitymuseum@salesianbethlehem.com
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
RENATO BUTERA
(da notizie UPS)
Undpargetaelera
Don Luigi Melesi
«Subito mi sono messo
dalla parte del colpevole.
Anche in questo Gesù
Maestro ce ne dà
l’esempio. Non è infatti
possibile aiutare una
persona a cambiare la sua
vita in meglio, se non ci si
mette dalla sua parte,
se non si prende a carico
la sua vita e la sua storia»
L’Aula Paolo VI dell’Univer-
sità Salesiana, il 24 maggio
2013, era superaffollata e
molte persone avevano gli
occhi lucidi mentre don
Francesco Cereda, consi-
gliere generale dei Salesiani di don
Bosco per la formazione, a nome del
Rettor Maggiore e Gran Cancelliere
dell’ups, don Pascual Chávez, confe-
riva il titolo di dottore a un salesiano
segnato dagli anni e dalla sofferenza,
che però lasciava trapelare da tutto il
suo essere una fiamma mai sopita e
più viva che mai.
L’Università Salesiana riconosceva in
lui le doti del comunicatore ed educa-
tore, evangelizzatore salesiano di pre-
giata fattura, conferendogli il titolo
di dottore Honoris Causa in Scienze
della comunicazione sociale per la sua
opera educativa e di recupero attra-
verso il teatro. “Dal 1978 al 2008 –
recitava il decreto di conferimento del
titolo – ha svolto il compito di cap-
pellano presso il carcere milanese di
San Vittore ascoltando, consolando e
dando fiducia a donne e uomini sen-
za speranza”. Don Luigi Melesi ha
saputo sempre offrire a tutti ascolto e
consolazione “impegnandosi a com-
battere con vigore ogni forma di in-
giustizia”, e in conformità piena con
lo stile e lo spirito di don Bosco che
riconosceva anche nel peggiore dei
delinquenti un punto su cui far leva
per farne rinvenire la parte buona e
avviare il processo di recupero. Al
centro della sua azione pastorale l’uo-
mo e mai il reato, convinto che “una
persona, per diventare buona, deve
sentirsi amata”.
Nel suo intervento conclusivo, don Lui-
gi dichiarò semplicemente di essersi
schierato dalla “parte del colpevole”.
Prete degli ultimi
Chi è Luigi Melesi? Nato a Cortenova
(Como) il 4 gennaio 1933. Entra a far
parte della congregazione salesiana nel
1944 iniziando a frequentare le scuole
e nel 1955 emette i voti perpetui. Stu-
dia Teologia a Torino e nel 1960 vie-
ne ordinato sacerdote. Due anni dopo
(1962) si laurea a Milano in Lettere e
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Dicembre 2013

2.5 Page 15

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nel ’71 ottiene l’abilitazione per l’inse-
gnamento delle materie letterarie.
La prima esperienza di contatto con il
mondo del carcere e di impegno edu-
cativo con i ragazzi difficili avviene
al riformatorio “Ferrante Aporti” di
Torino, ancora studente al teologato
salesiano della “Crocetta”, allievo del
venerabile don Giuseppe Quadrio.
Primi passi da insegnante e animato-
re spirituale presso la casa di rieduca-
zione di Arese (Milano), dove rimane
sette anni a contatto con i 250 ragazzi
inviati dai tribunali minorili italiani.
Sua caratteristica costante è la di-
sponibilità: non si limita al contatto
con i ragazzi in difficoltà ma instaura
rapporti con le famiglie, dove spesso
sta il problema vero del malessere di
questi giovani. Così farà, più avanti,
anche con i detenuti più adulti. Nel
1967, insieme a don Ugo De Censi e a
don Bruno Ravasio, crea l’Operazione
Mato Grosso, movimento impegnato
per il Terzo Mondo sulla linea della
Populorum progressio.
Sotto: Don Luigi Melesi con don Mauro Mantovani,
don Cereda e don Carlo Nanni durante la consegna
della Laurea ad Honorem. In alto: Un giovanissimo
don Luigi ad un picnic con il venerabile don
Giuseppe Quadrio (primo a sinistra) .
Di ritorno dal Brasile, dove accompa-
gna una spedizione di giovani volon-
tari, rientra dopo alcuni mesi in Italia
dove l’attende l’incarico di direttore
della comunità di Darfo (bs) per tre
anni, sino al 1970. Quindi ancora
ad Arese stavolta come direttore dal
1970 al ’76.
E poi l’esperienza di cappellano pres-
so il carcere milanese di San Vittore.
Qui, facendo leva sul “linguaggio del
cuore”, indirizza dalla strada della
violenza a quella della pacificazione
la vita di molti che hanno creduto di
trovare la forza per le loro ragioni, così
come si legge nelle testimonianze di
numerosi detenuti, tra i quali anche
ex-terroristi, alcune lette durante l’At-
to Accademico. Fu don Melesi che in
quel triste periodo della storia italiana
conosciuto come gli “Anni di piom-
bo”, convinse i brigatisti a consegnare
le armi facendole recapitare alla porta
dell’arcivescovado, sventando così più
di un attentato. “Che cosa ho fatto?”,
spiega don Luigi senza mai fare riferi-
mento a se stesso in prima persona
(mai l’uso eccessivo dell’io o mio, nes-
suna autoreferenzialità) ma mettendo
avanti gli altri con straordinaria natu-
ralezza. Gli altri sono Gesù, don Bo-
sco, il cardinale Martini, i suoi amici e
gli stessi carcerati che lo hanno aiutato
a capire e a capirli.
Dice don Luigi: “Don Bosco ricorda-
va ai Salesiani, citando gli Atti degli
Apostoli, che Gesù prima faceva poi
insegnava. Subito mi sono messo dalla
parte del colpevole. Anche in questo
Gesù Maestro ce ne dà l’esempio. Non
è infatti possibile aiutare una persona
a cambiare la sua vita in meglio, se
non ci si mette dalla sua parte, se non
si prende a carico la sua vita e la sua
storia. Solo così lo si può capire intera-
mente, si può collaborare con lui a dia-
gnosticare i mali che lo affliggono, e a
trovare insieme i rimedi, per aiutarlo a
riconquistare la vera libertà”.
È l’amorevolezza di don Bosco e del
suo Sistema Preventivo che si com-
pleta, arricchendosi, con la Ragione
e la Religione. Questa filosofia ha
guadagnato tutti, compresi tantissi-
mi studenti che, colpiti dalla testi-
monianza di vita di questo “grande
uomo semplice e cordiale”, hanno
voluto che sulla copia del fascicoletto
in cui è pubblicata un’intervista da lui
rilasciata anni fa a un giornalista, ci
fosse impresso il suo autografo. Que-
sto è don Luigi Melesi, il prete degli
ultimi.
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2.6 Page 16

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L’INVITATO
ALL’IMPROVVISO UN MIRACOLO
L’INTERVISTA
Don Luigi, per quanti anni
è stato Cappellano
di San Vittore?
In tutto trent’anni, dal 1978. Il Car-
dinale di Milano aveva chiesto al su-
periore dei salesiani uno di noi. Già
avevo un’esperienza similare con i
ragazzi della casa di rieducazione di
Arese, l’ex Beccaria, dove avevo in-
segnato per circa vent’anni; perciò
mi considerava abilitato anche per gli
adulti. Dovevo starci per tre mesi che
invece si sono moltiplicati sino a di-
ventare trent’anni.
Che cosa faceva
tra i detenuti?
Vi svolgevo il duplice lavoro della bo-
nifica della persona e della semina-
zione della Parola di Dio. La bonifica
contempla interventi tecnico-agrari,
necessari per risanare, prosciugare e
migliorare terreni improduttivi, acqui-
trinosi, acidi, slavati, infestati da erbe
cattive. In carcere, per me, era un lavo-
Ho trascorso circa 25 anni di carcere per reati legati alla criminalità organizzata (per al-
cuni giustamente, per altri ingiustamente). Oggi sono un uomo completamente rinnovato,
reinserito nella vita civile e sociale e dalla fine della pena (1999/2000) ho sempre lavorato
onestamente. All’età di 18 anni ho perso mia madre di anni 43. Mio padre era da 10 anni
paralizzato a seguito di un ictus cerebrale. Frequentavo la quinta ragioneria. La mia famiglia
era di un’onestà superlativa, di principi e valori dei quali a tutt’oggi sono onorato. Valori
che pensavo di aver assimilato nella mia gioventù. Non riesco ancora oggi a capacitarmi
di quello che mi è successo all’improvviso a circa vent’anni: la deviazione, trovarmi a fre-
quentare persone di dubbia moralità con gravi conseguenze. Ero perso! Non credevo più in
nulla. Ho girato le peggiori carceri di tutt’Italia e ho conosciuto detenuti di gravi reati. Poi
all’improvviso un “Miracolo”. Negli anni ’70/’80 ero rinchiuso al centro clinico di San Vittore
per una grave infezione alla gamba destra a causa di un intervento effettuato nel carcere di
Perugia. Il “Miracolo” è scaturito dalla conoscenza del nuovo cappellano del carcere. Credo
fosse la prima Messa che celebrava a San Vittore. Nell’ascoltarlo e fissarlo negli occhi ho
avuto come un trauma. Sembrava che mi parlasse come un padre a un figlio perso. Con lui
sono nati una grande amicizia e un affetto indissolubile che tutt’ora esiste. Se ho riacqui-
stato la Fede lo devo a lui oltre che a Dio. Mi ha ritrovato una figlia mai vista che non avevo
voluto riconoscere e con la quale oggi, dopo vent’anni, ho un rapporto più che amorevole (la
madre ora è suora di clausura presso le Clarisse di Bologna). Di cappellani nelle carceri ne
ho conosciuti a decine, eppure di uomini di grande Fede e veramente “Pastori” non credo
di averne conosciuti come il caro don Luigi. Grazie a don Melesi, che mi aveva trovato un
lavoro all’esterno, sono riuscito a uscire prima della fine pena (2020) e ho continuato il mio
percorso da uomo rinnovato rimuovendo completamente il mio passato. Don Luigi mi è
sempre stato vicino con grande conforto spirituale e materiale. Lo considero come un fratel-
lo, un Padre, un grande uomo e a mio modesto parere, un Santo.
Ugo Bossi
ro di bonifica della mente, del cuore,
della volontà, dei sentimenti, insomma
dello spirito umano e delle sue facoltà
offuscate, deturpate, danneggiate, pe-
ricolose, antisociali, delinquenziali. È
un lavoro educativo della persona, di
azione pedagogica: un lavoro di libera-
zione e promozione integrale.
Ed era veramente possibile
tale lavoro con simili
obiettivi con detenuti
come quelli di San Vittore?
Perché no? L’uomo può convertirsi.
La persona umana è educabile, può
evolversi e trasformarsi, nel bene o
nel male, può aprirsi alla verità ed es-
sere illuminata, può addomesticare la
propria aggressività, orientare verso il
bene le sue forze e l’intera vita. Era
ed è ancora possibile perché questo è
già avvenuto e avviene ancora oggi.
L’uomo malvagio torna a essere buo-
no, diventa uomo di Dio. Potrei testi-
moniarlo con nomi e cognomi. Era ed
è possibile con la Parola di Dio, con
Cristo Verbo di Dio, con il suo spirito
d’amore.
Come avviene l’incontro
con i detenuti?
È un incontro che deve essere in-
terpersonale, sincero, significativo.
Perché questo avvenga è importante
avere coscienza del valore grandissi-
mo del prigioniero che ho davanti:
è un uomo! Mi deve stare a cuore la
sua persona, non la sua imputazione
giudiziaria, la religione che pratica,
il paese d’origine. Cerco di amare la
persona che incontro per quello che
è, e non per quello che è stato, che
ha detto o fatto. Questo mio atteg-
giamento fa nascere in lui una certa
stima per me e per chi rappresento, e
anche la sensazione confortante che
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Dicembre 2013

2.7 Page 17

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PARLAVA AL CUORE DI TUTTI
io sono con lui e lo sarò sempre, né
mai sarò contro di lui. Ascolto con
viva attenzione la sua storia, le sue
ragioni, le motivazioni che l’hanno
portato «dentro». Cerco di vedere le
cose dal suo punto di vista: mi metto
dalla sua parte. Rivivo dentro di me
i suoi sentimenti, le sue emozioni e
anche le sue angosce e paure. Que-
sto atteggiamento sinceramente ac-
cogliente fa nascere in lui l’autostima
indispensabile per qualsiasi impegno
riabilitativo. È proprio nell’incontro
che il detenuto riesce a fare chiarez-
za dentro di sé, a ricuperare un po’ di
tranquillità, a riaccendere la speranza
nel proprio futuro.
Nel gennaio 1980 fui arrestato per reati gravi e portato a San Vittore. Dopo 5 mesi di sof-
ferenza lontano dai miei cari, i miei affetti, il mio lavoro, la Direzione mi affidò un incarico:
lavorare come Sagrestano accanto a don Luigi Melesi. Uno dei lavori più ambiti. Nulla ac-
cade per caso: Iddio, vera giustizia umana, in un luogo infernale mi mise in condizione di
conoscere e lavorare vicino a una persona speciale che cambierà la mia vita. Nell’ufficio di
don Luigi ogni giorno c’era una processione di detenuti che chiedevano d’incontrarlo. Un
gesto, una parola d’affetto per tutti, dai più poveri (e per questi aveva un’attenzione partico-
lare). Fratello-Padre per tutti, banchieri, imprenditori, farmacisti, nonché quei detenuti con
reati e condanne pesantissime. Davanti a don Luigi si presentavano con umiltà ed educa-
zione. Restavo senza parole nel vedere questi ultimi che, davanti a Don Luigi, cambiavano e
dimostravano tanta umanità. Ogni mattina arrivava con una borsa piena di indumenti nuovi,
scarpe e regali di ogni genere. Ricordo un anziano solo e tanto povero che, davanti al gesto
di don Luigi di dargli delle maglie e dei sandali in pelle, al momento di calzarli piangeva di-
cendo che mai aveva ricevuto dei sandali tanto belli. Nella piccola chiesa accanto all’ufficio,
due volte alla settimana don Luigi celebrava la Messa: era sempre stracolma. Tutti volevano
ascoltarlo perché nella predica parlava ai cuori di tutti. Io gli raccontavo dei miei cari, delle
mie due Meravigliose Bimbe, del mio lavoro di artigiano. Senza dirmi nulla si recò alcune
volte dal Presidente della IX sezione del Tribunale di Milano. Dopo 2 anni fui assolto. Nell’ab-
bracciarmi mi disse di non dimenticarmi dei “fratelli detenuti”. Sono uscito e tornato ai miei
cari, ai miei affetti e al mio lavoro. Non mi scordai di quella richiesta di don Luigi: insieme
ad altri amici ex detenuti, nel 1997 fondammo una Associazione di Volontari con lo scopo di
dare ospitalità e integrazione al lavoro.
Angelo lacona
Gli incontri sono solo
individuali o avvengono
anche in gruppo?
L’incontro di gruppo lo viviamo so-
prattutto nella celebrazione della Mes-
sa. Nelle domeniche e nelle feste a San
Vittore si celebrano diverse Messe in
diversi luoghi. A volte anche nei giorni
feriali, a piccoli gruppi, nelle cappel-
line molto accoglienti e liturgiche. In
queste Messe feriali i detenuti parteci-
pano al commento della Parola di Dio
ascoltata con verità e consapevolezza.
La Messa è un sacramento profonda-
mente coinvolgente. Per un’ora si vive
con Dio al centro del mondo.
La presenza pastorale
del Cappellano era ridotta
al solo carcere?
Ritengo che il cappellano del carcere
debba rendersi presente dove si trova
il prigioniero, con i suoi problemi, i
suoi desideri, i suoi interessi, se vuoi
far sì che il detenuto senta che il Prete
è con lui. Quindi andavo in tribuna-
le, dai magistrati, presso gli avvocati,
nelle loro famiglie, nelle parrocchie
che hanno detenuti in carcere, sul
posto di lavoro... e anche con gli ex-
detenuti. Alcuni di questi li incontro
tutte le domeniche.
Don Luigi con le giovani “hostess” dell’Università
Salesiana.
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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
INDIA
Prenovizi
di Sirajuli,
insegnanti per
500 bambini
EL SALVADOR
Oltre 400
missionari in
una parrocchia
salesiana
(ANS - Sirajuli) –
A partire dallo scorso mese di settembre
una ventina di giovani prenovizi salesiani
ha iniziato a dare lezioni d’inglese gratuite
a circa 500 bambini bisognosi. Per tre mesi
i prenovizi hanno perlustrato vari villaggi
nell’area circostante l’aspirantato salesiano di
Sirajuli, raccogliendo i dati sull’abbandono
scolastico e invitando alle lezioni i bambi-
ni che volevano imparare l’inglese. In 500
hanno accolto la proposta e deciso di parteci-
pare assiduamente. Le lezioni si svolgono nei
corridoi, nel cortile o sotto gli alberi, durano
75 minuti e si aprono sempre con una breve
riunione collettiva, un canto e una preghiera.
Successivamente i bambini vengono distri-
buiti in 5 grandi gruppi, sulla base dell’età e
del livello delle conoscenze, e proseguono le
attività imparando la grammatica, canti e fi-
lastrocche oltre a nozioni d’educazione civica,
morale e d’igiene.
SPAGNA
Accesso
al lavoro: gli
ottimi risultati
dei salesiani
di Saragozza
(ANS - Saragozza) –
Nell’attuale contesto di
crisi lavorativa e occupa-
zionale presente in Spa-
gna, l’istituto salesiano di
Saragozza si segnala per
la sua capacità di formare i
giovani al lavoro e di aprire
loro concrete opportu-
nità per l’impiego. Fiore
all’occhiello dell’istituto
è il corso di Formazione
Superiore in Informatica.
Degli allievi che lo hanno
frequentato nel 2012, e
che hanno poi svolto il ti-
rocinio nelle imprese nello
scorso giugno, il 71% ha
già trovato un lavoro; degli
studenti restanti, il 18%
sta proseguendo la forma-
zione attraverso dei corsi
superiori di Ingegneria e
appena l’11% è ancora alla
ricerca del primo lavoro. In
totale, perciò, 9 allievi su
10 stanno già beneficiando
del corso frequentato dai
salesiani.
(ANS - San Salvador) – Nel mese missio-
nario di ottobre 410 operatori pastorali
della parrocchia “Maria Ausiliatrice” di
San Salvador sono stati inviati a portare il
Vangelo in ogni famiglia della popolazione
parrocchiale. La moltitudine di evangeliz-
zatori, con età comprese dai 17 anni fino ad
oltre i 70, si è preparata al servizio missio-
nario per un mese, al termine del quale ha
iniziato a visitare gli abitanti casa per casa.
Il primo annuncio cristiano è stato così
portato, o ribadito, a tutta la popolazione e
a chi si è mostrato interessato è stato anche
proposto un processo di integrazione nella
vita parrocchiale attraverso degli itinerari
differenziati di maturazione cristiana. “È
stata una risposta all’insistente appello di
papa Francesco a uscire e a portare Cristo
per le strade” hanno detto gli organizzatori
del progetto.
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Dicembre 2013

2.9 Page 19

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URUGUAY
Inaugurate
13 case
per le famiglie
bisognose
SENEGAL
Il centro
professionale
di Tambacounda
(ANS - Montevideo)
– Nello scorso ottobre sono state inaugurate
e consegnate 13 case ad alcune famiglie del
quartiere “La Manchega” di Montevideo,
realizzate dalla società “Ñande”, espressione
dei Salesiani dell’Uruguay, in collaborazione
con il Movimento Tacurú, il Comune e il
Ministero per le Abitazioni. L’impresa ha
messo in campo le risorse tecnico-pratiche,
lavorando nel rispetto dei suoi elevati pro-
tocolli tecnologici; il Movimento Tacurú ha
fornito la manodopera, composta da giovani
partecipanti ad un progetto educativo-
lavorativo; e il Ministero e il Comune di
Montevideo hanno finanziato e coordinato
la gestione dell’opera. In futuro si prevede
di dare seguito a quest’iniziativa edificando
altre 28 case per altrettante famiglie della
stessa zona della città.
STATI UNITI
La solidarietà
dei giovani
del MGS verso
i migranti
(ANS - Los Angeles) – Il
Movimento Giovanile
Salesiano (MGS) di Los
Angeles ha deciso
d’impegnarsi a sensibiliz-
zare l’opinione pubblica
sul tema della tutela dei
migranti. Tale scelta è
maturata dopo aver ascol-
tato i racconti di 4 giovani
messicani, immigrati negli
Stati Uniti 15 o anche 20
anni fa, che però, essendo
privi di documenti statu-
nitensi, hanno rischiato di
non poter avere accesso
agli istituti di istruzione
superiore e che non sono
mai potuti tornare a saluta-
re i propri cari rimasti in
Messico, nemmeno in
occasione dei funerali dei
propri cari, per la paura di
non potere poi rientrare
negli Stati Uniti. Dopo
aver sentito le loro storie,
i giovani del MGS hanno
partecipato a sfilate di sen-
sibilizzazione e rilasciato
interviste alle TV.
(ANS - Tambacounda) – Il centro di forma-
zione professionale di Tambacounda, uno
dei tre di tutto il Senegal, ha avviato nello
scorso settembre la costruzione di un polo
d’eccellenza nelle nuove tecnologie dell’in-
formazione e della comunicazione. Nato il
10 novembre 1980, con appena 4 studenti
che si esercitavano all’aperto, il centro di
Tambacounda è divenuto un istituto pio-
nieristico della formazione tecnico-profes-
sionale nel paese, si è man mano ampliato
e qualificato e in questi anni ha formato
oltre 2280 studenti nei corsi di meccanica
automobilistica ed elettrica. Da vari anni
ha avviato anche un servizio di autoscuola,
correlato al corso di meccanica, che mira
ad insegnare agli allievi l’importanza della
sicurezza stradale. Il nuovo polo tecnologico
servirà anche a favorire l’accesso all’istru-
zione delle ragazze, finora poco rappresen-
tate nei corsi tradizionali.
Dicembre 2013
19

2.10 Page 20

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A TU PER TU
LINDA PERINO
I missionari sono come le scintille luminose di un falò che non si spegne mai.
«Prenderanno il crocifisso» e lasceranno la loro terra per portare il Vangelo in tutte
le parti del mondo. Tra quelli che sono partiti quest’anno da Valdocco c’era anche
don Giovanni Mandrella
«L’Oriente è un sogno meraviglioso»
Qual è la tua
“carta d’identità”?
Mi chiamo Giovanni Mandrella,
nato a Roma, ho 44 anni e come se-
gno particolare posso dire che non mi
stanco mai di rimettere tutto in gioco.
Che cosa significa per te
questa volta “partire”?
Significa tanto, significa tutta la mia
vita di nuovo nelle mie mani e con-
segnata ancora al Signore con la fre-
schezza e l’entusiasmo dell’inizio. Per
me questo è un sogno che va realiz-
zato.
Attualmente qual è
il tuo compito?
Mi trovo al “Pio XI” dove coordino
le attività pastorali del liceo classico e
scientifico, insegno Religione e seguo
qualche gruppo in oratorio.
Come hai sentito
la vocazione? Perché hai
preso questa decisione?
Quando entrai in noviziato il maestro
mi chiese di leggere la vita dei martiri
salesiani in Cina: monsignor Versi-
glia e don Caravario e poi mi chiese
di raccontarla ai miei compagni e da
lì ho cominciato a pensare che l’oriz-
zonte della missione in oriente sareb-
be stato un sogno meraviglioso, ma
ancora troppo lontano. Il colpo finale
è stato a Macerata dove ho conosciu-
to la figura del padre gesuita Matteo
Ricci, il più grande missionario in
terra cinese, un uomo e un’esperienza
da far perdere la testa. “Si iste et ille
cur non ego?” diceva sant’Agostino e
allora anch’io mi sono detto: “se lo
hanno fatto loro perché io no?”. Come
tutte le vocazioni anche quella mis-
sionaria non avviene all’improvviso
ma ci sono anni in cui qualcosa ti sca-
va dentro fin quando non rimane un
esile muro che viene giù all’improv-
viso in un preciso istante e vedi tutto
chiaramente, cioè vedi e sai quello
che vuoi con una lucidità impressio-
nante. Poi, su questa ispirazione va
fatto un serio e sincero discernimento
con l’aiuto di qualcuno che ti guida.
Ho preso questa decisione, ma non è
corretto dire che ho scelto io perché è
come se tu venissi scelto.
Che cosa ne pensa
la tua famiglia?
Qualcuno a casa mia ha pianto per-
ché ha capito che quello che dicevo
20
Dicembre 2013

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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lo avrei realizzato ma come per ogni
scelta importante della mia vita tut-
ti mi hanno detto che se questa è la
chiamata del Signore e rappresenta
la mia felicità dovevo fare quello che
sentivo. Grande lezione di umanità e
di fede: i figli non appartengono ai
genitori ma sono parte di un progetto
più grande.
Chi per primo
ti ha raccontato
la storia di Gesù?
Tutto nasce in casa, i miei genitori
hanno sempre rivolto i loro occhi e
il loro cuore al Signore con una fede
semplice e concreta e questo è quello
che mi hanno insegnato a fare e poi
mio padre mi ha portato per la pri-
ma volta all’oratorio prendendomi per
mano.
Quali sono i momenti
più belli in famiglia
che ricordi?
Quando ho detto che sarei entrato in
noviziato e quando ho visto piangere
i miei in varie tappe della mia consa-
crazione al Signore.
Sentirai la nostalgia?
Di che cosa soprattutto?
Quale rinuncia ti pesa di più?
Sì, sentirò nostalgia, ma prima vor-
rei mettere piede sulla terra della mia
missione e poi lo saprò. Ma oggi per
il missionario è un po’ diverso, ci
sono tanti modi per comunicare tutti
i giorni e velocemente: skype, e-mail,
facebook ecc… non è come essere
presenti di persona ma è meglio che
ricevere una lettera dai tuoi cari ogni
3 mesi o anche più come accadeva ai
missionari in altri tempi.
Quale sarà
la tua destinazione?
Sarò ad Hong Kong, non
so quale sia il progetto in
cui sarò impegnato, pertan-
to dovrò parlarne con il mio
futuro Ispettore.
Quali difficoltà ti aspetti
di dover affrontare?
Come ti sei preparato?
La lingua sarà il primo scoglio ma mi
sto preparando frequentando un corso
di cinese all’università. Tutto cambia
andando in un paese così lontano: il
modo di pensare, di vivere e di relazio-
narsi tra le persone, però posso dire che
il vangelo deve essere annunciato ancora
a tantissime persone in tutto il mondo
e questa spero sia la lingua che parlerò.
C’è molto coraggio
in questa tua scelta.
Dove lo attingi?
Non credo di avere così tanto coraggio,
io sento soltanto che devo andare, al-
largare i miei orizzonti e fare di questo
sogno una realtà. Del resto è don Bo-
sco che ha sognato tutto tanto tempo
fa, non mi sto inventando niente, ho
solo dato la mia disponibilità.
Vale la pena dedicare
la vita agli altri in questo
modo così radicale?
Man mano che vado avanti nella vita
mi rendo conto che dedicare la vita
agli altri è il senso e ciò che ti riempie
ed è qualcosa che rimane, come un
conto in una banca dove “né tignola
né ruggine” guasteranno il tuo tesoro.
Don Giovanni con
il Rettor Maggiore:
«Sento che devo
andare, allargare i
miei orizzonti e fare
di questo sogno una
realtà. Del resto è
don Bosco che ha
sognato tutto tanto
tempo fa».
Che messaggio vorresti
lasciare ai giovani
della Famiglia Salesiana?
È troppo facile: ai giovani direi che
non solo non bisogna accontentarsi
mai nella vita, ma che bisogna sempre
puntare al meglio, al massimo, e chi è
meglio di Dio?
Dicembre 2013
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ITINERARIO DOMENICO SAVIO
O. PORI MECOI
I luoghi di
san Domenico
Savio
L’ITINERARIO
13. San Giovanni
di Riva presso Chieri
14. Morialdo
15. Mondonio
14. Morialdo
12. Cascina Moglia
STATALE PER CHIERI
Castelnuovo D. Bosco
15. Mondonio
PER ASTI
11. Capriglio
13. S. Giovanni di Riva
STRADA PER RIVA DI CHIERI
Buttigliera
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Dicembre 2013
Colle D. Bosco
S
E PER CAPRIGLIO La Cecca

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13. San Giovanni di Riva presso Chieri
Qui è la casa dove Domenico
è nato il 2 aprile 1842. I ge-
nitori, Carlo Savio di Ranel-
lo di Castelnuovo e Brigida
Gagliate di Cerreto d’Asti,
erano persone semplici, labo-
riose, oneste e di profonda sensibilità
religiosa. Carlo era fabbro e Brigida
sarta. Ma la necessità di trovare la-
voro li aveva portati a San Giovanni.
La loro famigliola viene allietata dalla
nascita di Domenico. Subito dopo la
nascita il bimbo riceve il battesimo
nella Chiesa parrocchiale di Riva. In
questa casa i Savio restano poco più
di un paio d’anni e quindi si trasferi-
scono a Morialdo, nel comune di Ca-
stelnuovo don Bosco.
Negli anni ’80 la casa, con il vicino
cascinale, viene rilevata dalla Fami-
glia Salesiana che ne realizza un cen-
tro di spiritualità frequentato da nu-
merosi gruppi, soprattutto giovanili,
disponibili a confrontarsi con i valori
che hanno alimentato la vita umana
e cristiana di Domenico e della sua
famiglia.
14. Morialdo
In questa casa i Savio trascorro-
no quasi dieci anni. Domenico
apprende qui una sana e profon-
da educazione cristiana in fa-
miglia. A 5 anni viene coinvolto
dal cappellano, don Zucca, come
chierichetto. Domenico è attento e
affidabile, la sua fede semplice gli fa
crescere il desiderio di ricevere la pri-
ma comunione nel 1849, ad appena 7
anni. I propositi presi in quell’occasio-
ne segneranno in modo meraviglioso
la sua vita spirituale. In particolare
l’ultimo, “la morte, ma non peccati”,
sollecitano la riflessione di quanti ne
conosceranno la vita e cercheranno di
imitarlo. Sempre a Morialdo Dome-
nico ha la possibilità di frequentare i
primi corsi elementari, completati poi
a Castelnuovo e a Mondonio.
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ITINERARIO DOMENICO SAVIO
15. Mondonio
Nel febbraio del 1853 Do-
menico e la sua famiglia
traslocano nuovamente e
vengono a Mondonio, dove
il padre aveva imparato
giovanissimo il mestiere di
fabbro dallo zio. L’inizio non è faci-
le, soprattutto a scuola. Una brava-
ta fatta da un paio di compagni che
avevano messo della neve nella stufa,
pone il ragazzo, accusato ingiusta-
mente, al centro dell’episodio. La sua
umiltà e sopportazione colpiscono il
maestro don Cugliero. Ma vengono
scossi anche i compagni che inizia-
no gradualmente ad ammirarlo e ad
essere conquistati dalla sua disponi-
bilità e generosità. Da qui nel 1854
Domenico parte per incontrare don
Bosco ai Becchi: è l’incontro di un
“sarto e di una stoffa” che diventerà
“un bellissimo abito per il Signore”.
Da Torino, durante le vacanze, Do-
menico torna a Mondonio: sarà apo-
stolo tra i compagni, benvoluto da
tutti. Nel settembre 1856 il ragazzo
interviene misteriosamente accanto
alla mamma che portava avanti una
gravidanza difficile. Il benefico in-
tervento di Domenico e del “suo abi-
tino” al collo della madre, porterà a
promuoverne la devozione presso le
mamme come santo delle culle, dopo
la sua beatificazione. L’allestimento
attuale della casetta contestualizza
molto bene la vita familiare dei Savio
a metà del 1800: cucina, stanza dei
bambini, laboratorio della mamma,
officina di papà Carlo. Cuore della
piccola casa-santuario è la cameretta
al piano terra dove Domenico spirò il
9 marzo del 1857. È meta accoglien-
te di numerosi gruppi e famiglie, de-
siderose di affidare al “piccolo anzi
grande gigante dello spirito” le loro
speranze di una vita sana, serena,
virtuosa.
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Dicembre 2013

3.7 Page 27

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I dintorni
11. Capriglio
Casa nativa
di mamma Margherita
A due chilometri circa dai
Becchi troviamo Capriglio
(230 metri sul livello del
mare), un piccolo paese com-
posto da frazioni e borgate sparse tra
il verde delle colline. Alla frazione
Cecca (sulla destra per chi dai Becchi
va verso il paese), esiste ancora la casa
ove Margherita, la mamma di don
Bosco, nacque il 1 aprile 1788.
Una costruzione molto semplice, di
struttura rurale, oggi ben restaurata
e nuovamente abitata. Sulla facciata
una lapide ricorda l’evento. Nel corti-
le un pozzo, tutt’ora esistente, forniva
l‘acqua per il fabbisogno quotidiano.
Qui abitò Margherita fino al gior-
no delle nozze e qui, probabilmente,
continuò ad abitare suo fratello, lo zio
Michele (1795-1867), valido aiuto nei
momenti difficili. Fu lui a condurre
via dalla Cascina Moglia Giovanni,
ad appoggiarlo nel suo desiderio di
frequentare le scuole e a trovargli si-
stemazione in Chieri.
12. La Cascina Moglia
Nel freddo febbraio del 1827
un ragazzino di dodici anni,
proveniente dalla frazione
dei Becchi di Castelnuovo
d’Asti, si dirigeva solitario
verso Moncucco, col cuore
gonfio di malinconia sia per aver lascia-
to l’amatissima mamma Margherita sia
perché vi era stato costretto dall’atmo-
sfera carica di tensione che da qualche
tempo si era venuta a creare in casa,
dovuta all’avversione crescente che il
fratello maggiore Antonio provava ver-
so di lui, che amava tanto lo studio, pur
non trascurando il lavoro nei campi.
Dopo essersi rivolto a varie cascine,
Giovannino arrivò a quella di Luigi
Moglia, cui chiese insistentemente la
sola ospitalità in cambio del suo la-
voro come garzone di stalla. Vedendo
la disperazione del giovane, la moglie
Dorotea convinse Luigi a prenderlo
con loro e gli assegnarono una piccola
stanzetta, pulita e con un buon letto,
presso la loro cascina. Giovanni si fece
subito apprezzare per il suo lavoro in-
tenso e svolto bene e amare per il suo
buon carattere e, durante il lungo pe-
riodo trascorso presso i Moglia non
trascurò mai né lo studio e la lettura
né la preghiera e la frequentazione set-
timanale, presso la chiesa di Moncuc-
co, dei Sacramenti della Confessione
e della Comunione, costantemente
incoraggiato dal parroco don Cottino.
Giovannino lasciò la cascina dei Mo-
glia, con i quali si era instaurata un’a-
micizia che sarebbe durata tutta la
vita, nel novembre del 1829 quando,
grazie all’intervento e all’aiuto dello
zio Michele, riuscì a superare l’ostilità
del fratello Antonio e a intraprende-
re la strada che, alcuni anni dopo, lo
avrebbe condotto al sacerdozio.
Desta una particolare emozione vi-
sitare la cascina Moglia e la camera
dove colui che sarebbe poi diventato
il “Santo dei giovani” trascorse alcuni
anni della sua giovinezza lavorando e
leggendo durante le ore notturne ed
è stata certamente una bella notizia
apprendere che, la cascina, acquistata
nel 2011 dall’Associazione giovanile
di volontariato “Don Bosco 2000”,
a seguito dell’approvazione da parte
del Comune di Moncucco e del suap
dell’Alto Monferrato, sarà oggetto di
importanti lavori di ristrutturazione,
il cui termine e la cui inaugurazione
sono previsti per il 2015, anno in cui
ricorrerà il bicentenario della nascita
di don Bosco.
Sulla scia della storia di calorosa ospi-
talità che la lega a un periodo della
vita di Giovannino Bosco, la cascina
Moglia dovrebbe diventare una strut-
tura di accoglienza messa a disposi-
zione di gruppi giovanili per un pe-
riodo massimo di 7 giorni.
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3.8 Page 28

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EVENTI
ELIGIO ERMETI
La nostra fondazione va in TV
con musica e sport
Al servizio delle attività missionarie salesiane
la Fondazione Don Bosco anima la Corsa dei Santi
e il Concerto di Natale che sarà trasmesso da Raidue
“Una goccia per la vita.
Aiutaci a ridurre
l’estrema povertà a
Kandi, nel Benin,
dove la difficoltà
maggiore è la man-
canza d’acqua”. È questo l’appello che
la Fondazione Don Bosco nel Mondo
lancerà ai telespettatori che la not-
te della Vigilia di Natale seguiranno
su Raidue, dalle 21, il tradizionale
“Concerto di Natale”. Sul telescher-
mo verrà indicato un numero telefo-
nico al quale si potranno inviare sms
da cellulare personale o chiamate da
telefono fisso. Ogni sms così come
ogni chiamata avrà il valore di 2 euro.
L’obiettivo specifico della Fondazione,
in Benin, è quello di ridurre la mortalità
infantile, dovuta alla dissenteria, grazie
a nuovi pozzi d’acqua potabile e nuove
pratiche igienico-sanitarie.
Utilizzare una trasmissione televisiva
come il Concerto di Natale per racco-
gliere donazioni fa parte di uno sfor-
zo operativo che la Fondazione già da
otto anni ha deciso di affiancare alle
attività tradizionali.
Questa strategia operativa si è artico-
lata su due tipologie di eventi perfet-
tamente in linea con la tradizionale
operatività educativa salesiana: lo
sport e la musica.
L’evento sportivo cardine è stata “La
Corsa dei Santi”. Di questa iniziativa,
nata per dare visibilità di festa popola-
re alla celebrazione di Ognissanti, così
importante nel calendario liturgico e
così cara ai cristiani, si è svolta lo scor-
so primo novembre la sesta edizione.
Organizzata dalla asd Corsa dei Santi
in collaborazione con il cnos Sport e
con l’assistenza tecnica di Ro-
maratona, la Corsa dei
Santi è diventata nel
tempo una sorta
di festa dello sport
salesiano non solo
Una partenza della
“Corsa dei Santi”:
è diventata nel tempo
una sorta di festa
dello sport salesiano
e della solidarietà con
i missionari.
per i valori sportivi che promuove, che
sono quelli insegnati da don Bosco,
ma anche perché chiama anch’essa alla
solidarietà additando al grande pub-
blico televisivo (viene regolarmente
ripresa in diretta da Canale 5) un pro-
getto missionario da sostenere. Quello
di quest’anno, intitolato “Un aiuto ai
confini del mondo”, riguardava le lon-
tanissime Isole Salomone dove i mis-
sionari salesiani intendono allestire un
motoscafo-ambulanza per intervenire
in soccorso degli isolani disseminati
nelle mille isole sparse in un tratto di
Oceano Pacifico lungo 1500 chilome-
tri. Benché esistano alcune strutture
sanitarie nelle isole principali, sono
troppo difficili da raggiungere per chi
abita lontano centinaia di miglia ma-
rine e ha bisogno di soccorso medico
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Dicembre 2013

3.9 Page 29

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– o anche solo di preven-
zione – contro la malaria,
l’aids, la tbc, la bakwa
(un’infezione cutanea mol-
to diffusa).
La corsa ha avuto come
madrina la giovane cantan-
te svizzera Alice Mondìa
che ha composto e inter-
pretato per l’occasione il brano “Run”,
un insieme di pensieri, di riflessioni e
di sensazioni sulla corsa vissuta come
emblema del viaggio verso la ricerca di
sé e di un equilibrato rapporto con gli
altri. Tutto il ricavato dalla vendita del
brano andrà alla Fondazione Don Bo-
sco per i suoi progetti missionari. Chi
è interessato può scaricare il brano da
i-Tunes al costo di 2 euro o chiedere il
cd alla Fondazione al costo di 5 euro.
Il “Concerto di Natale” che stiamo
preparando, il ventunesimo della sua
storia, si terrà a Roma, all’Auditorium
Conciliazione, la sera del 7 dicembre.
Nato come “Concerto di Natale in Va-
ticano” in Aula Paolo VI, amato e in-
coraggiato da papa Giovanni Paolo II,
l’evento musicale è stato apprezzato
anche da papa Ratzinger e si propone
con i suoi valori al nuovo Pontefice,
papa Francesco, che incontrerà artisti
e collaboratori il mercoledì preceden-
te lo spettacolo.
L’evento si è poi trasferito nelle più
prestigiose location musicali di città
italiane e non: il Grimaldi Forum di
Monte Carlo, il Teatro Filarmonico
di Verona, il Teatro Massimo Bellini
di Catania, il Mediterranean Confe-
rence Centre di Malta, e poi ancora,
negli ultimi tre anni, l’Auditorium
Conciliazione di Roma.
Trasmesso inizialmente da Canale 5 e,
successivamente da Raiuno e da Rai-
due, il Concerto è diventato negli anni
l’evento più amato della tradizione
musicale natalizia televisiva.
Nonostante i suoi passaggi da una cit-
tà all’altra, esso ha mantenuto intatto
lo spirito originario che è quello di
radunare prestigiosi artisti di diverse
nazionalità, culture, religioni, forma-
zioni musicali, per esprimere lo spiri-
to del Natale nel piacere di accettarsi
reciprocamente e di stare insieme al
di là di ogni diversità.
Il cast di quest’anno ha già
dei nomi sicuri di grande
prestigio nazionale e in-
ternazionale: Patti Smith,
la grande artista poliedri-
ca americana – musicista,
cantante, scrittrice, pittri-
ce, fotografa – considerata
da Time una delle 100 persone più
influenti al mondo; Anggun, la più
celebre artista indonesiana, natura-
lizzata francese, punto d’incontro,
per grazia e ispirazione, tra la cultura
asiatica e quella europea; Asaf Avi-
dan, cantante israeliano dalla voce
originalissima, arrivato alla musica
dopo essere passato dall’esperienza di
autore cinematografico d’animazione;
Natasha St-Pier, star musicale cana-
dese del momento. Ad essi si aggiun-
geranno via via nuovi nomi ad arric-
chire un cast che si presenterà, come
sempre, prestigioso e variegato, dove
ai singoli si uniranno un coro gospel
americano, un coro sinfonico e un
coro di voci bianche.
In alto: Il Concerto di Natale ha mantenuto lo
spirito originario di radunare prestigiosi artisti di
tutte le nazioni e trasformare tutto in realizzazioni
a favore dei più poveri. A destra: Quest’anno il
ricavato andrà per le popolazioni africane che più
soffrono per la mancanza d’acqua.
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3.10 Page 30

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FMA
MARIA ANTONIA CHINELLO
Figlie sorelle Sièsvoltoal«Salesianum»
di Roma, nello scorso mese
di settembre, il Seminario
internazionale su Filialità.
Categoria che interpella
e madri
l’identità mariana delle Figlie
di Maria Ausiliatrice.
Organizzato dall’Istituto
Figlie di Maria Ausiliatrice
e dalla Facoltà di Scienze
dell’Educazione «Auxilium»,
ha radunato 221 FMA dei cinque
continenti per comprendere
che cosa significhi oggi essere
“figlie” di Maria Ausiliatrice.
nità/maternità educativa che, renden-
dolo “umile, forte e robusto”, assume
la tenerezza di madre, il coraggio di
combattere nelle difficoltà, la speran-
za che fa alzare gli occhi verso il cielo.
Il Seminario è stato un picco-
lo contributo al ripensamento
del principio mariano accanto a
quello petrino, auspicato da papa
Francesco nella conferenza stam-
pa sul volo di ritorno dal Brasile
nel luglio scorso.
Dopo l’ascolto della testimonian-
za di vita di tre fma si è passati ad
approfondire la categoria della fi-
lialità interpellando l’antropologia,
la filosofia, la psicologia, la teologia
e la mariologia. Infine, si è cercato
di focalizzare il legame esistente tra
Maria e l’educazione. A partire dal-
la loro provenienza interculturale, le
partecipanti hanno cercato di indivi-
duare linee operative per la formazio-
ne, l’educazione delle e dei giovani,
l’animazione di gruppi mariani, la
promozione della donna.
Abbiamo dialogato con alcune delle
partecipanti.
«Di tutto siamo debitori a Maria». È
questa la chiave per comprendere don
Bosco e la sua opera. L’esperienza
mariana è il filo rosso che orienta
tutta la sua vita: dal sogno dei nove
anni alla fondazione dell’oratorio.
Da Maria e dalla sua sollecitudine
materna scaturiscono il sistema pre-
ventivo ed il paradigma di una pater-
Una genealogia
al femminile
È immediata la “connessione” con la
vita di tre Figlie di Maria Ausiliatrice
significative nel progetto educativo sa-
lesiano: «Una corretta interpretazione
delle fonti – sostiene suor Grazia Lo-
parco – dimostra come il culto ma-
riano abbia attivato il protagonismo
femminile all’interno della chiesa e,
dunque, della nostra congregazione
religiosa: ha sostenuto la soggettività
e il coraggio per superare difficoltà e
condizionamenti, ha aperto l’aspetto
devozionale alla missione educativa,
ha determinato risposte inedite alla
povertà culturale e sociale soprattutto
30
Dicembre 2013

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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femminile. La situazione esistenziale
in cui hanno vissuto Maria Romero,
Laura Meozzi e Nancy Pereira le spin-
se a rileggere e interpretare la missione
di un Istituto di “figlie” e, pertanto, di
“madri”: divennero religiose lungimi-
ranti e molto concrete nell’azione, so-
lidali, apripista audaci e tenaci, capaci
di osare per il bene dei giovani e delle
loro famiglie, responsabili e intrapren-
denti per la fede viva nell’aiuto poten-
te di Maria che le sorreggeva. E sono
nate idee nuove, coinvolgenti, non di
rado rischiose, che hanno generato
vita. Sorge spontanea una domanda:
l’esperienza della figliolanza oggi quali
soglie inedite potrebbe ancora aprire?».
Compagne di viaggio
Noemi Bertola, Coordinatrice Mon-
diale dei Salesiani Cooperatori, Pao-
la Staiano, Presidente Confederale
delle Exallieve/i delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice, Pina Bellocchio, del
Consiglio mondiale dell’Istituto delle
Volontarie di don Bosco con il compi-
to della vita salesiana e della Famiglia
salesiana sono state le special guest al
Seminario. Secondo Noemi, «L’ec-
comi di Maria, il suo riconoscere la
volontà del padre e il suo silenzio sono
Noemi Bertola, Coordinatrice mondiale
dei Salesiani Cooperatori e Paola Staiano,
Presidente confederale delle Exallieve.
tre atteggiamenti che, oltre ad essere
eloquenti, tracciano un percorso per i
Salesiani Cooperatori e Cooperatrici,
un invito per noi, chiamati a vivere
ogni giorno la statura alta della santi-
tà. E mi piace ricordare Attilio Gior-
dani, la sua parola che ci ricorda di
essere nel mondo, ma non del mondo,
un esempio per vivere la nostra vita
familiare e associativa costantemen-
te riferiti alla dimensione evangeli-
ca e mariana». Anche per Paola, «è
indispensabile sentire Maria “dentro”
la vita: madre, maestra, guida: nulla
possiamo senza di lei. Mi sono impe-
gnata ad avviare uno studio all’inter-
no delle varie Federazioni per vedere
“come” le exallieve/i vivono questa
dimensione della filialità nella loro
vita, non solo come devozione, ma
nel concreto di tutti i giorni». Infine,
Pina accenna al percorso che va dalla
filialità, alla sororità, alla maternità:
«Per noi Volontarie è importante svi-
luppare relazioni materne per aprirsi
alla missione».
Maria è di casa qui
Madre Yvonne, Superiora generale
delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ha la
certezza che «ogni giorno nel silenzio
del quotidiano molte fma tessono una
vita intensamente mariana e missiona-
ria. Con lo slancio del da mihi animas,
Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice
stanno aprendo nuove frontiere mis-
sionarie in situazioni anche difficili,
forti della testimonianza di chi li ha
preceduti». E, infine, un invito a tut-
ta la Famiglia salesiana: «Essere casa,
perché dove c’è Maria c’è confidenza,
c’è famiglia. Lei, la Madre, abita il
nostro spazio quotidiano di relazioni,
lo fa luogo di incontro e di letizia, ge-
nera vicinanza e cura, soprattutto nei
confronti di quell’umanità ferita, che
da non lontane periferie esistenziali
chiede attenzione educativa. Acco-
gliamo Maria in casa! Scopriremo che
lei stessa ci viene incontro, lasciandosi
incontrare da noi e guidandoci verso il
suo Figlio Gesù».
Un gruppo di sorridenti Figlie di Maria Ausiliatrice
al lavoro.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Un presepio
per educare
Fare il presepio
non è un gioco da bambini
F are il presepio è costruire uno
straordinario Trattato visivo di
pedagogia.
No, non scriviamo sopra le ri-
ghe! Abbiamo tutte le carte in
regola per provare che il pre-
sepio racchiude in sé alcuni pilastri
fondamentali dell’arte di educare.
Intanto il presepio evoca emozioni
e gioie intense.
Preparare il presepio in famiglia,
tutti insieme, è un’esperienza di
vita affettiva, di calore umano
che non ha riscontri in nessun’al-
tra attività, come, ad esempio, nel
giocare, nel biciclettare...
In una società sempre più fredda
come la nostra, un sussulto di sen-
timenti è, immediatamente, uno
dei primi benefici del presepio!
Il presepio sveglia il lato buono che
dorme in ogni uomo, anche nel più
slabbrato!
Solo chi è mite, come san France-
sco, chi è in pace con se stesso, può
fare il presepio.
Ancora. Il presepio ri-
concilia la famiglia, oggi
sempre più disgregata.
Non basta. Il presepio
può rappresentare una
scuola di bellezza.
Il che non è poco: il
bello è l’introduzione al
buono!
Li avete contati?
Quattro preziosi contribu-
ti pedagogici nascosti nel presepio!
Ma andiamo più a fondo.
Il presepio ricorda una nascita, una na-
scita assoluta: quella di Cristo.
Dunque il presepio tiene viva l’idea
del ‘venire alla luce’, idea oggi troppe
volte dimenticata con pesanti conse-
guenze negative.
Aveva ragione il poeta cileno Pablo
Neruda (1904-73) a dire che “è per
nascere che siamo nati!”.
Sulla stessa linea era lo psicanalista te-
desco Erich Fromm (1900-80) quan-
do sottolineava che “il primo compito
della vita è dare alla luce se stesso!”.
Insomma, il Natale è un invito a cre-
scere: a pensare di più, ad amare di
più, a volere di più…
Attenzione!
Il bello del presepio sta qui: non solo
ricorda il dovere di nascere, ma indica
anche quali sono i segreti della nostra
vera nascita umana.
Tutti sanno che sono i Valori che fan-
no diventare ‘grande’ l’uomo e non
solo ‘grosso’.
Ebbene, basta entrare anche nel più
semplice presepio di carta pesta per
scoprire una manciata di Valori:
il valore delle cose semplici,
il valore dell’essenziale,
il valore del silenzio,
il valore della pace,
il valore della gioia,
il valore della tenerezza.
Tutti Valori che fanno sì che chi nasce
uomo, diventi umano!
A questo punto nessuno darà più
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Dicembre 2013

4.3 Page 33

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STELLE DI NATALE
LA PREGHIERA DELL’ASINO
L’ASINO ED IL BUE
“Ho ancora nostalgia del presepe. Con
mia sorella ed i suoi figli, ogni anno,
partecipo alla preparazione di un prese-
pe in tutto simile a quello di casa mia”
(Renzo Arbore).
“Se c’è un sogno che coltivo, questo
sogno è di entrare nella memoria dei
miei figli associato all’immagine di un
Natale di tenerezza e di amore” (Vittorio
Gassman).
“Natale è più che un racconto: è una ca-
rezza, è un abbraccio, è un sorriso, è un
cibo” (Luigi Santucci).
Un giorno un’insegnante, durante la
lezione sulle invenzioni moderne, do-
mandò ai bambini: “Chi di voi mi sa dire
qualcosa di importante che non esisteva
cinquant’anni fa? ”. Un piccolo alzò la
mano ed esclamò: ‘Io! ’.
Risposta perfetta!
I bambini sono importanti! Dio stesso ha
iniziato da bambino!
Il primo ministro inglese Winston Chur-
chill (1874-1965) era solito dire che “non
vi è, per nessuna comunità, investimento
migliore che mettere latte nei bambini”.
dell’esagerato ad uno dei più impegna-
ti ed intelligenti sacerdoti del secolo
scorso, don Primo Mazzolari (1890-
1959) quando un giorno ha detto a
tutto tondo: “Se la Terra vorrà avere an-
cora uomini liberi, se vorrà avere uomini
giusti, se vorrà avere uomini che
sentono la fraternità, bisogna
che non dimentichiamo la stra-
da del presepio”.
Davvero: il presepio
va protetto, va dife-
so, va valorizzato!
Il noto regista Er-
manno Olmi (1931)
è sempre stato affe-
zionato al presepio
(“il primo spettaco-
lo della mia vita!”).
Ogni anno, immanca-
bilmente, lo costrui-
va in casa con la mo-
Signore, ormai stiamo per scomparire…
Mi han detto che in Italia siamo rimasti
in soli cento mila.
È vero. Siamo solo asini…
Però il grande Omero ci ha cantati
in versi sublimi.
Però tu stesso uno di noi hai cavalcato!
Conservaci, Signore!
Che sarebbe il presepio senza asino?
Che sarebbe il mondo?
C’è sempre bisogno
di qualche asino
che tiri avanti in silenzio,
senza mostrarsi in televisione;
c’è sempre bisogno di qualche asino
che sappia solo dare,
e mai prendere, mai rubare…
Signore, salva questi asini!
Saranno essi che salveranno il mondo.
glie Loredana e con i figli.
Un anno, quando ormai questi erano
grandi, per vedere come avrebbero
reagito, disse con aria indifferente:
Stavolta lasciamo perdere: non lo fac-
ciamo il presepio, al massimo un alberello
di Natale!”.
Al che i figli – il ragazzo con la barba
e la ragazza donna – subito reagirono:
Eh, no! Il presepio si fa, non si può non
fare!”.
Il presepio si fa, non si può non fare: è
troppo prezioso!
Salverà non solo il Natale cristiano,
ma anche i più alti valori del vero
umanesimo.
Mentre Maria e Giuseppe stavano andan-
do a Betlemme, l’angelo radunò gli animali
per scegliere i più adatti a stare nella grot-
ta con Gesù Bambino.
Per primo ruggì il leone: “Io mi piazzerò
all’entrata e sbranerò tutti quelli che si av-
vicinano al bambino! ”.
L’angelo gli disse: “Sei troppo violento! ”.
Si avvicinò la volpe e con aria astuta insi-
nuò: “Per il Figlio di Dio, io tutte le mattine
ruberò il miele più dolce e il latte più pro-
fumato! ”.
L’angelo replicò: “Sei troppo disonesta! ”.
Arrivò il pavone: spiegò la sua magnifica
ruota: “Io trasformerò quella povera ca-
panna in una reggia! ”.
L’angelo gli rispose: “Sei troppo vanitoso! ”.
A questo punto l’angelo cominciò a preoc-
cuparsi: temeva di non trovare animali
degni di entrare nella grotta accanto al
Bambino.
Ad un tratto vide un asino ed un bue che
lavoravano, lavoravano, a testa bassa, nel
campo di un contadino.
Li chiamò.
E voi non avete niente da offrire? ”.
Il bue, timidamente, rispose: “Noi potrem-
mo, di tanto in tanto, cacciare le mosche
con le nostre code…! ”.
L’angelo, finalmente, sorrise: “Voi siete
quelli giusti! ”.
Corse da Maria e le disse: “Ecco il bue più
mite del mondo! ”.
Chiamò Giuseppe e gli sussurrò: “Ecco
l’asinello più umile della Terra! ”.
Gesù Bambino, che aveva sentito ogni
cosa, aprì gli occhi e li
chiamò accanto a sé.
Adesso il primo
presepio era al
gran completo!
Le statuine
del presepio
sono spesso
una forma
stupenda
di “eredità
familiare”
come un
piccolo
scrigno di
ricordi e
rituali felici.
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4.4 Page 34

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Il pranzo
di Natale
Sarebbe bello se ogni pasto
consumato in famiglia fosse
vissuto con la stessa attesa e
spensieratezza del pranzo di Natale
Il Natale è alle porte e già fervono i preparativi
per le grandi abbuffate in famiglia. La tavola
imbandita, l’arrosto speziato a dovere, il pro-
fumo del torrone fatto in casa: ogni dettaglio
contribuisce a rendere magica e accogliente
l’atmosfera della casa in attesa del pranzo di
Natale, occasione ormai più unica che rara di riag-
gregazione della famiglia intorno al focolare do-
mestico, momento per eccellenza di condivisione e
di allegra convivialità, in cui trovano ristoro tutte
le diaspore familiari, tutte le smagliature e le lace-
razioni di una famiglia sempre più spesso segna-
ta dalla dispersione, dall’isolamento, dalla logica
frettolosa del “mordi e fuggi”, da una distanza esi-
stenziale prima ancora che geografica.
Quanta differenza rispetto ai pasti consumati abi-
tualmente nelle nostre famiglie, nella quotidianità
di giornate fatte di solitudine, di anonimato, di
corse contro il tempo, di mille impegni da inca-
strare! Spesso non si riesce nemmeno ad incon-
trarsi tutti quanti intorno a un tavolo e il pranzo
in famiglia si trasforma in una sorta di “mensa a
ciclo continuo”, in cui ognuno ad un orario diverso
consuma frettolosamente il proprio pasto frugale
e subito scappa via, risucchiato dalle tante incom-
benze che scandiscono la sua giornata.
Persino nelle rare occasioni in cui ancora si riesce a
condividere il momento del pranzo con il resto del-
la famiglia, persino la domenica o nei giorni di fe-
sta, la bellezza dello stare insieme lascia il posto alla
distrazione, all’assenza di dialogo, ad un silenzio
assordante, vanamente mascherato dalla televisio-
ne sempre accesa, triste surrogato delle chiacchiere
scambiate in armonia, dei racconti di vita condivisi,
del confronto genuino e costruttivo.
Ma la responsabilità è solo dei ragazzi, che mal
sopportano il tempo trascorso in famiglia e pre-
feriscono vivere rintanati nella propria stanza, o
forse sarebbe il caso che anche i genitori riflettes-
sero sul loro modo di “fare famiglia”, sulla qualità
del tempo dedicato ai pasti.
Sarebbe bello se, invece, ogni pasto consumato in
famiglia fosse vissuto con la stessa attesa e spen-
sieratezza del pranzo di Natale, se si riuscisse a
dedicare alla sua preparazione almeno un decimo
della cura e dell’attenzione che generalmente si
riservano al giorno della festa, seppure nella fru-
galità e nella sobrietà di un giorno qualunque.
Solo così il momento del pranzo potrà forse tor-
nare ad essere un’occasione per restituire senso e
valore alla bellezza dello stare insieme, per risco-
prire, nella ferialità di un pasto condiviso, il gusto
autentico della condivisione e del dialogo.
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Dicembre 2013

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MARIANNA PACUCCI
E’ stato, da sempre, il grido delle mam-
me a mezzogiorno e alla sera, segnale
di una quotidianità forse misera dal
punto di vista alimentare, ma ricca
di affetto nel ritrovarsi puntuale del-
la famiglia per condividere i pasti e
la vita; è ancora l’annuncio ora gioioso, ora quasi
rassegnato, del pranzo della festa, momento sem-
pre più raro di incontro e di dialogo fra i parenti,
per confermare e rinnovare legami forse un po’
usurati o dimenticati.
Se gli adulti portano ancora nella memoria il ri-
cordo del pranzo della domenica, di Natale e di
Pasqua vissuto insieme a nonni, zii, cugini e ami-
ci, dove parole e risate esprimevano una ricchezza
di gioia semplice e genuina, cosa potranno tenere
a mente le nuove generazioni?
Qualcuno dirà che restituire importanza e cen-
tralità al momento dei pasti rappresenta un det-
taglio marginale per le famiglie che hanno una
valanga infinita di problemi da risolvere, alcuni
dei quali molto gravi; che non serve rimettere
in moto un’esperienza resa insignificante dalla
crisi strisciante o conclamata dei rapporti affet-
tivi fra i generi e le generazioni; che il pranzo di
famiglia è sempre più rischioso, perché rischia
di esplicitare situazioni di estraniazione o di
conf litto.
Ma in tempi difficili, che impongono sobrietà e
cambiamenti sostenibili che restituiscano la spe-
ranza di un’esistenza degna di essere vissuta, pro-
prio ripartire dalla tavola può significare un’op-
portunità importante, che dichiara la voglia e la
disponibilità di rimettere in piedi le relazioni fa-
miliari; che impegna tutti – mariti e mogli, geni-
tori e figli, nonni e nipoti – a piccoli ma eloquenti
gesti di cortesia reciproca e di condivisione; che
contribuisce a restituire un ritmo armonioso alle
giornate, facilitando la possibilità di incontri da
desiderare ardentemente, costruire pazientemen-
te, vivere responsabilmente.
Sarà un caso, ma lo stesso Gesù ha realizzato
A tavola!
Proprio ripartire dalla tavola
può significare un’opportunità
importante, che dichiara la voglia
e la disponibilità di rimettere
in piedi le relazioni familiari
cose molto importanti proprio lì, a tavola: ha
manifestato per la prima volta la sua identità e
la sua vocazione ad un pranzo di matrimonio;
ha tante volte condiviso il cibo con i suoi disce-
poli, perché la loro amicizia potesse divenire più
forte ed intima; ha celebrato la festa di Pasqua
con una cena rimasta memorabile per l’eterni-
tà e capace di rinnovare ogni giorno la capacità
di amare e servire il prossimo; ha dato confer-
ma della sua resurrezione a chi era incredulo e
sfiduciato gustando insieme un buon piatto di
pesce. La tavola come profezia e annuncio di
tempi migliori: si può provare, a partire da que-
sto Natale.
LA MADRE
Dicembre 2013
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Bosco
Un 70° da non dimenticare:
giovani ebrei salvati nelle
case salesiane del Piemonte
padre per sempre
di tutti i giovani a rischio
Si sa, don Bosco è stato il pre-
te dei giovani, soprattutto di
quelli “poveri e abbandona-
ti”, di quelli che oggi chia-
meremmo a rischio, tanto
dell’anima quanto del corpo.
E chi più a rischio di giovani ebrei
che negli anni 1943-1945 erano sem-
plicemente destinati “per motivi di
razza” ai campi di sterminio nazisti?
Certo all’epoca della seconda guerra
mondiale don Bosco era già morto
da oltre mezzo secolo, ma i salesiani
non potevano dimenticare la loro vo-
cazione in favore dei giovani, di tutti i
giovani, ebrei compresi.
Nella terra di don Bosco gli ebrei non
erano numerosi come a Roma; solo
poche migliaia; ma se è vero, come
dice il Talmud, che “chi salva una vita
salva il mondo intero”, allora per i sa-
lesiani non ci potevano essere troppe
remore per resistere all’appello della
propria coscienza di uomo, di cristia-
no, di salesiano, a costo di bypassa-
re il quadro di riferimento religioso
ancora piuttosto negativo, anche per
il tradizionale antigiudaismo di tipo
religioso, non facilmente dimentico
dell’interminabile polemica clericale
contro il Risorgimento, visto come
ispirato, fra gli altri, dagli ebrei stessi.
Del resto in prima fila a chiedere di
salvare i “condannati a morte” stava
la Chiesa nella persona dei suoi pa-
stori, dei vescovi locali e del cardinale
Maurilio Fossati di Torino.
Una rete salesiana
di protezione
Se altrove, in Francia, in Ungheria e
in Italia, e particolarmente a Roma,
le case salesiane in tale “opera di ca-
rità” agirono un po’ singolarmente,
in Piemonte i salesiani, quasi senza
avvedersene, misero in piedi una rete
di protezione costituita dalle numero-
se case presenti sul territorio. E così
mentre alcuni degli ebrei rimasero per
vari mesi nella stessa casa, mimetiz-
zandosi per quanto era possibile con
gli altri convittori interni, altri furono
invitati o preferirono spostarsi da una
casa all’altra, approfittando anche dei
continui sfollamenti a causa dei bom-
bardamenti e delle informazioni che i
direttori si potevano di persona scam-
biare nei vari raduni a Valdocco con
il Rettor Maggiore don Ricaldone,
l’anima e il promotore di tutto.
E così furono varie decine gli ebrei,
soprattutto bambini, ragazzi, giovani,
ma anche alcuni adulti, che poterono
sfuggire all’inevitabile arresto e agli
altrettanti inevitabili vagoni blindati
per le camere a gas e i forni cremato-
ri. Molti di loro sono stati identificati
grazie ai documenti fortunosamente
recuperati negli archivi e alle pur tar-
dive testimonianze dei “salvati” e dei
“salvatori”; altri, forse la maggior par-
te, rimarranno anonimi per sempre di
fronte agli uomini, non certo a Dio.
“Ciò che avete fatto ad uno di questi
miei fratelli più piccoli l’avete fatto a
me”, ci dice Gesù (Mt 25,40). E Gesù
era ebreo!
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Dicembre 2013

4.7 Page 37

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Una segretezza
conservata a lungo
La responsabilità di tale rischiosissi-
ma opera di accoglienza e protezione
dei ragazzi ebrei fu sempre del diret-
tore della casa, il quale cercò in tutti
i modi di farlo segretamente, all’in-
saputa dei confratelli, con l’eccezione
dell’economo, che doveva provvedere
al sostentamento degli ospiti in tem-
pi di tessere annonarie, di miseria, di
fame vera e propria.
Il fatto è sorprendente. Fra le deci-
ne di salesiani di tutto il mondo che
ancora negli anni duemila sono stati
contattati a riguardo di ebrei nascosti
nella casa dove essi si trovavano negli
anni 1943-1945, solo pochi all’epoca
lo avevano saputo o se ne erano ac-
corti; la gran parte di loro è stata in-
formata della presenza di ebrei in casa
solo nel dopoguerra.
Si dirà che era piuttosto facile nascon-
dere qualche ragazzo ebreo in mezzo
a decine e decine di altri; ma va an-
che detto che era altrettanto facile che
qualche ingenuo ragazzino potesse
parlare, riferire ad altri compagni di
classe, di cortile, di camerata, di chiesa
che alcuni collegiali non sapevano fare
il segno della croce, non conoscevano
l’Ave Maria o il Padre nostro… Se poi
si pensa che le case salesiane non sono
“di clausura”, ma una sorta di “porto
di mare”, un continuo andirivieni di
persone, allievi, genitori, professori,
fornitori, manutentori, autorità civili
e religiose, allora è evidente che si è
cercato di mantenere la massima se-
gretezza. E così tutti i ragazzi e gli
adulti ebrei ospitati dai salesiani del
Piemonte, gli Algranti, Bechis, Jona,
Lattes, Tedeschi, Viterbo, Zabban,
Zargani…, tornarono a casa loro.
Forse nessun direttore del Piemonte,
come invece altrove in Italia e all’este-
ro, riceverà dallo Yad Vashen, il sacra-
rio della Memoria di Gerusalemme, il
titolo di “giusto fra le nazioni”; ma per
apprezzare il valore della loro “opera di
carità” basta la testimonianza di uno
di loro, il noto filologo Cesare Segre
nascosto sedicenne nella casa salesia-
na di Avigliana (Torino): «Ho provato
che cosa significhi vivere con l’orecchio
teso a cogliere il passo, sulla strada, de-
gli stivaloni tedeschi. Ho vissuto, come
qualunque animale, la fuga davanti al
cacciatore; ero pronto a rimpiattarmi in
qualche nascondiglio. In effetti, quan-
do gli ufficiali nazisti vennero a ispe-
zionare il collegio, feci a tempo a corre-
re giù verso il lago e a nascondermi tra i
cespugli; tornai quando mi parve tutto
tranquillo. Ma dalla cucina, tendendo
l’orecchio al saliscendi del refettorio, si
sentivano ancora nella stanza superiore
il direttore e il prefetto che, tra frasi di
ossequio, cercavano di convincere gli
sgraditi visitatori di non avere ospi-
ti illegali. Andò bene, e dopo un’altra
mezzoretta risalii, sotto lo sguardo
complice del cuciniere [...] Scoprii che
la frontiera che mi pareva di aver in-
dividuato non era tra Avigliana e Gia-
veno, ma tra Avigliana ed Auschwitz.
Ripenso spesso alle infinite volte in
cui solo per un pelo non ho varcato
quella frontiera: null’altro che capric-
ci del caso. E mi rimase e mi rimane
l’impressione di essere stato anch’io
rinchiuso in un vagone piombato, di
essere sceso alla pensilina del Lager
fra urla e spintoni, di aver attraversato
il fatidico cancello, di essere stato sele-
zionato per il gas e di essermi avviato
rassegnatamente verso la morte».
Per saperne di più, si veda l’ultimo nume-
ro di “Studi Piemontesi” (giugno 2013).
La casa salesiana di Avigliana (Torino). Qui si
nascose il sedicenne Cesare Segre per sfuggire
alla caccia dei nazifascisti.
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TESTIMONI DELLA FEDE
FRANCESCA CAGGIANO
Don Canelli “felice”
con il cuore di don Bosco
Il 30 novembre 2013
si è conclusa la fase
diocesana della Causa
di Beatificazione e
Canonizzazione del Servo
di Dio don Felice Canelli,
espressione luminosa di
quella vocazione secolare
tipica dell’associazione dei
Salesiani Cooperatori che
inserisce a pieno titolo
nella Famiglia Salesiana
il clero diocesano
V erso la fine del 1902, tra i
ragazzi di San Severo, una
cittadina delle Puglie, cor-
reva voce che sarebbero
venuti i figli di don Bosco.
Nel luogo dove sorge at-
tualmente l’ex istituto salesiano, un
giovane diacono, don Felice Canelli,
insieme a tanti ragazzi, aveva costrui-
to una baracca come punto di rac-
colta per tanti di loro, con l’intento
di coinvolgerli nel gioco, incontrarli
per le adunanze e la preghiera e na-
turalmente anche per la distribuzione
delle immancabili caramelle, in attesa
dei Salesiani. Il tutto per strappar-
li alla strada e ai non pochi pericoli
che da essa potevano venire. Mentre
nella vita politica e civile si affermava
il movimento socialista, che trovava
nella cittadina di San Severo la sua
roccaforte, don Felice, scommettendo
sulla gioventù, puntava alla realizza-
zione di un movimento cattolico vera-
ce di cui sarebbe stato l’anima.
Prete “apostolico”
Quel piccolo, esile giovane prete era
nato nel 1880 da una famiglia po-
verissima. Orfano all’età di 6 anni,
era entrato in seminario all’età di 12
anni come semiconvittore, crescen-
do all’ombra del vescovo cappuccino
monsignor Gargiulo, dei maestri di
seminario don Luigi Cardillo, che,
vistane la sensibilità, lo versò nel-
la conoscenza del pensiero politico e
sociale della Chiesa, e l’arc. Angelo
Maria La Monaca che, da direttore
diocesano dei salesiani cooperatori, si
interessò di tenere la corrispondenza
con il beato Michele Rua per la fon-
Il volto sereno di don Felice Canelli. Veniva
definito “il don Bosco di San Severo”.
dazione della casa salesiana. Divenuto
prete il 6 giugno 1903, aveva nel cuo-
re l’ideale di vivere il suo sacerdozio
alla maniera degli apostoli: voleva la-
vorare, lottare, vivere e soffrire per la
costruzione del Regno di Dio tra gli
ultimi, il popolo, la gente semplice,
testimoniando una fede viva, operosa
e illuminata dalla carità: e questo gli
fu causa di solitudine ed incompren-
sione anche tra i suoi stessi confratelli.
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Dicembre 2013

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I salesiani arrivarono nell’ottobre del
1905 e pochi mesi dopo don Felice
chiese a don Caramaschi, il primo
direttore dell’Opera Salesiana, di
collaborare a pieno nel multiforme
apostolato salesiano, vivendo con
loro la passione per la gioventù, lo
spirito di iniziativa e il loro slancio
nel lavoro. Nel 1906 ebbe un incon-
tro decisivo per il suo fecondo e ra-
dicale innesto nel carisma salesiano:
fu quello con il Beato Michele Rua
nel quale vide la “reliquia vivente di
don Bosco”.
Quell’incontro lo portò, prima, a di-
ventare il padre e il maestro di tutti
gli exallievi dell’opera, dei figli e delle
figlie di don Bosco, giunte nel 1925,
e, in seguito, nel 1930, direttore dio-
cesano dei Salesiani Cooperatori e
Cooperatrici, previa nomina da parte
del beato Filippo Rinaldi. La semi-
nagione dell’amore a don Bosco e del
suo Sistema Preventivo poteva così
avvenire a larghe mani sia nella chiesa
locale sia nelle chiese limitrofe. Vis-
se con loro tutti i giorni fino al 1927,
anno in cui venne nominato parroco
di una nuova parrocchia, quella di
Croce Santa, in un quartiere di con-
fine abitato da famiglie numerose di
braccianti avventizi. Maestro di scuo-
la elementare al seminario, dal 1909
al 1927, divenne Rettore della Chiesa
di S. Antonio Abate. Affermava che
l’Oratorio Salesiano e la Rettoria di
S. Antonio Abate erano “due fonti
di vita del medesimo zampillo, della
medesima irrorazione, della medesi-
ma fecondità ubertosa ed operante”:
l’amore a Dio, alla Chiesa con il cuore
salesiano.
Il “don Bosco”
di San Severo
La Rettoria divenne un pullulare
di associazioni giovanili di stampo
socio-politico, una “seconda opera
del carisma salesiano” nella diocesi,
che don Felice definiva il cenacolo
di ogni forma associativa di cristia-
nesimo sociale, che dall’Eucaristia
si irradiava in ogni settore della vita
sociale, tra la gente. I circoli catto-
lici giovanili maschili e femminili
con le sezioni di canto, di cultura, di
teatro, di sport, il partito popolare
locale e provinciale, gli esplorato-
ri don Bosco 1, le Dame e Damine
della Carità, l’Azione Cattolica furo-
no attuati sotto il perentorio invito
del “Da mihi animas” per svegliare
dal torpore i cattolici, per avvicinare
la Chiesa al popolo e il popolo alla
Chiesa, per difendere la fede catto-
lica, per riportare i principi cattolici
nelle realtà sociali. Con gli exallievi
e gli adulti dell’Opera Salesiana nel
1911 diede vita al “Circolo don Bo-
sco” con il quale partecipò agli eventi
meridionali e provinciali della Gio-
ventù Italiana di Azione Cattolica
(g.i.a.c.) ed animò ed incrementò
il movimento dei circoli giovanili
Cattolici. Don Felice, animatore di
tutto il movimento giovanile locale e
provinciale veniva definito “l’aposto-
lo della gioventù”, il “don Bosco” di
San Severo, il “piccolo san Vincen-
zo” per la sua carità smisurata per gli
esclusi e gli abbandonati.
Ultranovantenne ebbe ad organizza-
re ed animare nel 1972 il centenario
dell’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice che aveva accolto, aiuta-
to e sostenuto fin dal primo giorno di
presenza nell’Asilo Trotta e per diver-
si anni nell’animazione catechistica
della sua Parrocchia di Croce Santa.
Si spense il 23 novembre 1977, all’età
di 97 anni, consumato dal fuoco della
carità e dallo zelo per la Gloria di Dio
e la salvezza delle anime.
Don Felice Canelli, terzo da destra nella prima
fila, con i suoi collaboratori della Rettoria.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Grazie a san
Domenico Savio
Dopo la nascita della mia prima
bambina, desideravo tantissimo
un altro figlio, ma non arrivava.
Trascorsero ben sette anni ed io
ero molto preoccupata perché
privata della gioia di una nuova
maternità. Nel settembre 2011
scoprii di essere incinta; ero mol-
to contenta, ma la mia esultanza
dopo otto settimane si trasformò
in enorme dispiacere, poiché per-
si il bambino. Nel gennaio 2012
mi regalarono un abitino di san
Domenico Savio. Con grande
piacere e devozione lo indossai
e recitai ogni giorno la novena.
Nel mese di maggio scoprii di
essere nuovamente incinta. Feli-
ce e insieme preoccupata per la
trascorsa brutta esperienza, affi-
dai subito la mia creatura a san
Domenico Savio e alla Vergine
Maria. Dopo nove mesi di ansia
e sofferenze trascorse tra ospe-
dale, letto e poltrona, nel febbraio
2013 è nata la mia bambina Ma-
ria. Rendo grazie a san Domenico
Savio e alla Vergine Maria che mi
hanno sostenuto in ogni istante.
Onnis Daniela,
Gonnosfanadiga (VS)
Un vivo ringraziamento
Intendo ringraziare pubblicamen-
te san Domenico Savio per la
nascita di una bellissima bambi-
na, chiamata Sofia. Data la situa-
zione veramente compromessa,
il lieto evento è stata una grazia
davvero sorprendente, che ha
illuminato la vita di questa fami-
glia di amici, che ora è diventata
anche la mia famiglia. Tutto è da
attribuire alla preghiera costante,
fatta con fede e per l’intercessio-
ne di san Domenico Savio.
D.R., Torino
Riconoscenza
I nonni esprimono sentita ricono-
scenza al Signore per la nascita
della loro nipote Alice, avvenuta
alla ventisettesima settimana
di gestazione. Avendo affida-
to all’intercessione di Maria e
particolarmente a quella di san
Domenico Savio la gravidanza
della figlia, giudicata a rischio,
hanno ottenuto che questa si è
conclusa positivamente.
Soster Giovanni e Nichele Leda,
Breganze (VI)
Tumore sparito
A mio figlio è stato diagnosticato
Cronaca della Postulazione
Il Congresso Ordinario della Congregazione delle Cause dei Santi
il 28 luglio 2013 ha emanato il Decreto di validità giuridica dell’In-
chiesta Diocesana del Servo di Dio Tito Zeman, Salesiano di don
Bosco (1915-1969), martire delle vocazioni in terra slovacca.
un tumore maligno alla prostata,
perciò era necessario entro breve
tempo un intervento chirurgico.
Avendo in casa una immaginet-
ta del Servo di Dio Francesco
Convertini, sacerdote missio-
nario, mi sono rivolto a lui per
ottenere la grazia della guarigione.
Dagli esami clinici successiva-
mente praticati è emerso che i va-
lori erano entro i limiti. Ringrazio il
Servo di Dio per la grazia ricevuta.
R.E., Pavia
Protetti mamma e figlio
Voglio ringraziare san Dome-
nico Savio perché, grazie alla
sua intercessione Andrea, primo
figlio di mio fratello, è nato sano
e sta bene. Durante la gravidanza
era stato diagnosticato un virus
pericoloso, che poteva nuocere al
sistema neurologico del piccolo.
Mi sono rivolta con fede al San-
to perché proteggesse mamma e
figlio. L’8 luglio, giorno in cui era
stato programmato il parto cesa-
reo, ho indossato l’abitino di san
Domenico Savio per tutta la per-
manenza in ospedale e ho pregato
con fervore. Dopo una settimana
dalla nascita di mio nipote Andrea,
è stato effettuato un controllo circa
la presenza del virus già diagno-
sticato; l’esito fu del tutto negati-
vo. Ancora ringrazio.
Zappella Concetta,
San Nicola La Strada (CE)
Situazione completamente
risolta
Desidero ringraziare pubblica-
mente san Domenico Savio
per la guarigione di mio figlio.
Essendogli comparsa improvvi-
samente una ghiandola al collo e
non sapendo quale fosse la sua
natura, mi sono rivolta a san Do-
menico Savio, affinché si potesse
risolvere questa triste situazione.
Ed ecco che, dopo una settimana
anche grazie all’uso di medicinali,
tutto si è risolto.
Gremmo Sandra, Biella
Esame superato
Ho raccomandato mio figlio a
don Bosco, affinché riuscisse
a superare un difficile esame che
lo abilitava alla sua professione.
Ritengo di aver ottenuto da don
Bosco questa grazia, poiché mio
figlio ha superato brillantemente
questo esame alla prima prova.
B.G., Cuorgné (TO)
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
40
Dicembre 2013

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
PROTETTORE E PASTORE DI OGNI FEDELE
Don Bosco era particolarmente convinto della presenza,
costante ed efficace, dell’XXX e, a conferma della sua de-
vozione, alcuni straordinari episodi segnati da un comune
denominatore lo videro protagonista o gli furono riportati
direttamente. Don Bosco ne parlava spesso soprattutto ai ra-
gazzi dell’oratorio e consigliava di invocarne l’aiuto. Qualora si
fossero trovati in pericolo per il corpo o l’anima e ne avrebbe-
ro subito ricevuto beneficio. Il primo episodio, tra quelli rac-
contati, riguarda un ragazzo dell’oratorio che stava lavorando
come muratore sull’impalcatura di un fabbricato insieme ad altri due giovani. L’impalcatura cedette all’im-
provviso e i tre operai, insieme agli attrezzi e ai materiali, precipitarono dall’altezza del quarto piano. Il gio-
vane in questione riuscì ad esprimere un’invocazione allo spirito celeste, formulata all’istante nella mente
allenata dalle preghiere insegnate da don Bosco, prima di rovinare al suolo. Lo schianto fu fortissimo ma
dalle macerie ne uscì vivo e illeso solo lui. Dopo questo fatto straordinario don Bosco sentì la necessità
di scrivere un libretto contenente dieci considerazioni, utili a tutti i cristiani, sugli angeli e sulle loro opere.
In un’altra occasione, una donna, moglie dell’ambasciatore del
Portogallo, si trovò in un grave frangente dato che i cavalli del-
la carrozza su cui viaggiava si erano imbizzarriti. Ricordando
quanto le aveva suggerito in confessione don Bosco, si rivolse
al proprio spirito protettore e, calmatisi immediatamente i ca-
valli, scampò al pericolo. Da questi e da altri fatti simili, don
Bosco concludeva che era naturale rivolgersi e chiedere inter-
cessione perché la guida e l’aiuto angelico sono sempre pronti
per noi. Con l’aiuto dei versi scritti appositamente da Silvio
Pellico, compose una canzoncina che divenne molto popolare.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Una delle set-
te meraviglie del mondo antico - 15.
La penisola che comprende anche la
Danimarca (i=j) - 16. Iniziali della
Rossellini - 17. Il biblico primo re
d’Israele - 18. Fate senza testa - 19.
L’acqua che non defluisce - 23. La
madre della miss... in breve - 24. Le
hanno gatto e topo - 26. Guardiani
di armenti - 28. I confini dell’Esto-
nia - 29. XXX - 33. Lo segnala la
bussola - 35. Dipinse Les Demoisel-
les d’Avignon - 36. I loro clienti non
sono astemi - 38. Quantità smisura-
ta - 39. La fine dei rinvii - 40. Ap-
prensione - 41. Lo è l’anulare - 43.
Nel golf, è il campo da gioco - 44.
Una risposta che non lascia speranze
- 45. Felici, liete - 46. Il mare di
Taranto.
VERTICALI. 1. Viene dopo una
corsa - 2. La si riporta nel box - 3.
Sono dispari in rotte - 4. Il Lionello
che doppiava Woody Allen (iniz.) - 5.
Famosa pasta per modellare inventa-
ta da Dario Sala - 6. Audaci, arditi
- 7. Villa e parco pubblico di Roma
- 8. Uno a Berlino - 9. Schematico
riassunto di un’opera scritta - 10.
Ingannevole, forzoso - 11. Abbrevia-
zione di destra - 12. Una memoria
del computer - 13. “De ...” vale per
“secondo la legge” - 14. La regione
con Strasburgo - 20. Ingannati -
21. Quelli edilizi a volte si possono
condonare - 22. Seguì la sorte di
Leandro - 25. De ... indimenticato
cantautore ligure - 27. Adatto, ap-
propriato - 29. È detto anche gichero
- 30. Il più leggero dei metalli - 31.
Cagliari (sigla) - 32. Città tedesca
nella regione della Ruhr - 34. La ca-
valca il surfista - 37. I recipienti dove
fermenta il mosto - 40. In mezzo alla
carie - 42. Risultato calcistico a reti
inviolate.
Dicembre 2013
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON FRANCO
SACCO
Morto a Lecce il 29
ottobre 2008, a 50 anni
Nell’omelia del funerale, l’Arci-
vescovo di Lecce, commosso,
ha detto: «Per don Franco, la
morte è arrivata all’improvviso,
il Signore l’ha preso subito, l’ha
preso giovane; doveva appena
iniziare la sua giornata… eppure
l’ha reso già pronto per il cielo.
La Basilica stracolma è la dimo-
strazione più evidente che don
Franco è stato amato e stimato da
tutti, non solo in parrocchia, ma
anche in tutta la diocesi di Lecce.
Uomo di esperienza, di cultura,
aperto alle scienze naturali, si
dimostrava sempre sereno, sor-
ridente e soprattutto paziente ed
equilibrato. Ha lasciato, ovunque
l’obbedienza l’abbia destinato, un
patrimonio inestimabile di fedeltà
alla Chiesa e alla Congregazione
Salesiana. Si è presentato da-
vanti a Dio, che l’ha chiamato,
con in mano la lampada della
fede accesa. Questa morte non
è soltanto un invito alla medita-
zione, ma vuole essere anche una
grande lezione per noi fratelli nel
sacerdozio e per voi tutti, fratelli
cristiani laici, ad essere pronti,
perché quando il Signore verrà,
possa trovarci soltanto con la no-
stra fede in Lui e con la speranza
nella vita eterna».
Franco Sacco era nato a Matera
l’11 dicembre del 1957. Sono toc-
canti gli inizi della sua vocazione.
All’età di sei anni, Franco, inizian-
do le scuole elementari, incontrò
la signora Padula che, ogni mat-
tina lo conduceva in chiesa per la
Santa Messa. Constatata la pre-
senza assidua di questo bambino,
il sacerdote don Domenico Mele
invitò il piccolo Franco a servire
la Messa. Felice di questa espe-
rienza, Franco raccontò tutto alla
mamma, pregandola di svegliarlo
in tempo, ogni mattina, perché do-
veva andare in chiesa per servire
la santa Messa. A conclusione del
ciclo delle scuole elementari, don
Domenico propose a Franco di
andare a continuare gli studi alle
scuole salesiane, dove si trovava-
no già i cuginetti. Candidamente
il piccolo, tornando a casa, disse
alla mamma: “Mamma, voglio an-
dare a studiare dai Salesiani. Fai la
domanda al direttore!”. La mamma
gli rispose: “Perché vuoi andare a
studiare dai Salesiani, non puoi
studiare a Matera?”. Mortificato,
Franco tornò da don Domenico,
dicendo: “Mamma si rifiuta di fare
la domanda. Presentala tu!”. E don
Domenico: “Franco, se papà e
mamma non vogliono presentare
la domanda, io non posso! Però,
verrò a casa tua e parlerò con i tuoi
genitori”. Così Franco finalmente
ebbe il via libero per l’ingresso alla
scuola media salesiana di Cister-
nino (BR). Era veramente felice!
E quando, ogni domenica, incon-
trava i genitori, abbracciandoli,
diceva loro: “Io sono veramente
contento!”. E don Matteo Marucci,
direttore della comunità salesiana,
aggiungeva: “Franco è il primo
della classe. È bravissimo! Fatelo
continuare negli studi”.
Conclusi brillantemente gli studi
liceali, inoltrò ai suoi superiori
la domanda per l’ammissione
all’anno di noviziato, che con-
cluse con la prima professione
religiosa, nel 1977, nella casa
salesiana di Lanuvio. Dopo gli
anni di formazione e teologia fu
consacrato presbitero a Bari il 26
ottobre 1985.
Don Franco trascorse i suoi pri-
mi otto anni di sacerdozio nella
casa salesiana di Bari “Redento-
re”, con compiti di responsabili-
tà nell’animazione dell’Oratorio
Centro Giovanile, insegnante di
cultura generale nel Centro di
Formazione Professionale e, con-
temporaneamente, impegnato nel
completare gli studi universitari,
conseguendo la laurea in Scienze
Naturali, all’università di Bari. Nel
settembre del 1994, l’obbedienza
lo destina a Manduria con l’in-
carico di direttore-parroco, dove
resterà fino all’anno giubilare del
Duemila. Anche qui, lascia una
scia luminosa di vita pastorale
a servizio dei fedeli, rivelandosi
un sacerdote zelante, autentico
“uomo di Dio”, a servizio degli
altri, soprattutto i giovani.
Innumerevoli sono state le testi-
monianze di quelli che lo hanno
conosciuto. Una catechista ha
lasciato scritto: «Caro don Fran-
co, stento ancora a credere che
tu non sia ancora con noi, perché
continua ad affascinarmi il tuo en-
tusiasmo, la tua passione, la tua
dedizione alla chiesa e, in modo
particolare, alla nostra comunità
parrocchiale, il tuo amore totale,
gratuito e fedele per essa, il tuo
modo di vivere sobrio e semplice.
Il tuo solo cruccio era quello di far
amare a tutti, ma specialmente ai
bambini del catechismo, Gesù,
tanto da portarlo fuori dalle mura
della chiesa per farlo conoscere
altrove. Tutta la nostra comunità
avverte il grande vuoto, lasciato
da te, don Franco, vero “servo
umile e fedele”, proprio come
Gesù, venuto sulla terra non per
essere servito, ma per servire. Sul
tuo cammino terreno hai cercato
di incarnare e testimoniare la Pa-
rola nella vita quotidiana, nel si-
lenzio e nel servizio. Ora, dal cielo,
certamente continuerai a guardare
la tua amata comunità parrocchia-
le “San Domenico Savio”, in modo
speciale i prediletti bambini del
catechismo, e pregherai per loro
perché possano crescere nella
pratica delle virtù».
42
Dicembre 2013

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Le scarpe di Natale unascarpinadaballo,unavecchia
ottantenne aveva una scarpa bullonata
da calcio, un bambino di cinque anni
aveva una scarpa numero 43, e così di
seguito. Non c’erano due scarpe ugua-
C’era una volta una città in
cui gli abitanti non si di-
cevano mai «buongior-
no»; nessuno diceva mai
«per piacere»; quasi tutti
avevano paura degli altri
ma molti non sapevano più di chi o
di che cosa. Sapevano soltanto che in
quei giorni si doveva mangiare bene
e bere meglio. E soprattutto, la sera
della vigilia di Natale, tutti dovevano
mettere le proprie scarpe davanti al
li in tutta la città! Allora si aprirono
porte e finestre e tutti gli abitanti sce-
sero in strada. Ciascuno brandiva la
scarpa non sua e cercava quella giusta.
Era una confusione allegra e festo-
sa. Quando i possessori delle scarpe
e si guardavano sospettosamente.
camino, per trovarle piene di doni il scambiate si trovavano, avevano voglia
Il capo della polizia non aveva mai giorno dopo. Una cosa questa che, di ridere e di abbracciarsi.
abbastanza poliziotti per punire... La nella città, facevano tutti, ma proprio Si vide il commendator Bomboni pa-
sera, rientravano tutti a casa corren- tutti. Così fu anche quel Natale.
gare la cioccolata a una bambina che
do e poi sprangavano le porte.
All’alba, tutti guardarono le scarpe, non aveva mai visto e una vecchietta
Ma c’era Cristiana, detta Cricrì.
per trovare i loro regali. Ma... che a braccetto con un ragazzino.
Cricrì aveva i capelli biondi come
era successo? Non c’era l’ombra di Quando però il commissario sentì
il sole, gli occhi scintillanti come
un regalo. Neanche un torrone o un il gran trambusto che veniva dalla
laghetti di montagna e non pensava cioccolatino!
strada, pensò a una rivoluzione e corse
mai: «Chissà che cosa dirà la gente». E poi... le scarpe! In tutta la città, le a prendere le armi che teneva sul ca-
Nella città si facevano molte dice-
scarpe risultavano spaiate. Il com-
mino. Immediatamente il suo sguardo
rie sul suo conto. Perché Cristiana mendator Bomboni si trovò con
cadde sulle scarpe che aveva collocato
aiutava tutti quelli che avevano
davanti al camino. E anche lui
bisogno di aiuto, consolava
si bloccò, sorpreso. Accanto alla
i bambini che piangevano e
sua pesante scarpa c’era... una
anche i vecchietti rimasti soli,
pantofola di Cricrì. Stringendo
perché accoglieva tutti coloro
la pantofola in mano, il com-
che chiedevano un po’ di denaro
missario corse alla prigione. La
o anche solo qualche parola di
cella dove aveva rinchiuso Cricrì
speranza.
era ancora ben chiusa a chiave.
Tutto questo era scandaloso per
Ma la ragazza non c’era. Ai pie-
la città. Non potevano soppor-
di del tavolaccio, perfettamente
tare ulteriormente quel modo
allineate c’erano l’altra scarpa
di vivere così diverso dal loro.
del commissario e l’altra panto-
E un giorno il commissario
fola. Dal finestrino, protetto da
con venti poliziotti andò ad
una grossa inferriata, proveniva
arrestare Cricrì. E per essere
una strana luce: era bionda e
sicuro che non combinasse altre
calda come il sole e aveva dei
stranezze, la fece mettere in
luccichii azzurri, come succede
prigione. Perché era la vigilia
nei laghetti di montagna.
di Natale. Natale era una festa,
E incominciò a capire.
Disegno di Fabrizio Zubani
Dicembre 2013
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
La spiritualità salesiana
Don Bosco racconta
Per me Dio è sempre
stato un buon papà
Salesiani nel mondo
Maestro Luiz
Da oltre cinquant'anni
cerca acqua pulita
L'invitato
Don Frank De Lorenzi
«Ora sono thailandese»
Invito a Valdocco
L'itinerario delle lapidi
Quando i luoghi
raccontano la storia
Le case di don Bosco
Pavia
Santa Maria delle Grazie
A tu per tu
Odise Lazri
Dalla terra di Madre Teresa
all'Africa del Sud
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.