Bollettino_Salesiano_202211

Bollettino_Salesiano_202211

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L’invitato
Monsignor
Roberto
Repole
In prima linea
Don Daniel
Antunez
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
DICEMBRE 2022
BUON
NATALE
con Maria
e Gesù
Le case
di don Bosco
Lombriasco

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Il ramo scolpito
I
l giovedì di ogni settimana,
Margherita va al mercato di
Castelnuovo. Porta con sé
due fagotti con i formaggi, i polli, le
verdure da vendere. Torna con la
tela, le candele, il sale, e qualche
piccolo regalo per i figli, che quando
il sole comincia a tramontare le
vanno incontro, al galoppo giù per il
sentiero.
Un giovedì, durante una tiratissima
partita alla «lippa», il piccolo cilindro
di legno finisce sul tetto.
«Sull’armadio della cucina ce n’è
un altro» dice Giovanni. «Vado a
prenderlo.»
Parte di corsa. L’armadio però è alto
per lui, e deve montare su una sedia.
Si alza sulla punta dei piedi,
tende bene il braccio, e
patatrac. Il vaso dell’olio che
stava sull’armadio cade sul
pavimento, si rompe, l’olio
si allarga sulle mattonelle
rosse.
Giuseppe, non vedendo
tornare il fratello, arriva
lui pure al galoppo. Vede il
disastro, si porta la mano
alla bocca:
– Chissà la mamma, stase-
ra...
Tentano di rimediare. Pren-
dono la scopa. I cocci si fa
in fretta a raccoglierli. Ma la
macchia d’olio è sempre lì, e
si allarga come la paura.
Giovanni passa una mezz’ora in
silenzio. Poi tira fuori di tasca il
suo coltelluccio, va alla siepe, taglia
un bel ramo flessibile e si mette in
un canto a lavorarlo. Intanto lavora
anche con la mente: studia le parole
che dovrà dire alla mamma.
Alla fine la corteccia del ramo è
tutta lavorata a fregi e disegnini.
Al tramonto, vanno incontro alla
mamma. Giuseppe, incerto, rimane
un po’ indietro. Giovanni invece
corre:
– Buona sera, mamma. Come state?
– Bene. E tu, sei stato buono?
– Uhm mamma, guardate – e le
porge il ramo tutto fregiato.
– Cos’hai combinato?
– Questa volta merito proprio che mi
picchiate. Per disgrazia, ho rotto il
vaso dell’olio.
Le racconta tutto d’un fiato, e con-
clude:
«Vi ho portato un bastone perché le
merito proprio. Prendetelo, mam-
ma.»
E le porge il ramo guardandola di
sotto in su, con quegli occhi mezzo
pentiti e mezzo furbi.
Margherita lo guarda qualche
istante, poi scoppia in una risata. E
ride anche Giovanni. La mamma lo
prende per mano e vanno verso casa.
«Lo sai che mi stai diventando un
furbone, Giovanni? Mi dispiace per
il vaso dell’olio, ma sono contenta
che non sei venuto a contarmi bugie.
Però stai attento un’altra volta, per-
ché l’olio costa caro.»
LIPPA
Il gioco è effettuato con due pezzi
di legno, generalmente ricavati dai
manici di una scopa, uno di circa
15 cm di lunghezza con le estremità
appuntite, l’altro lungo circa mezzo
metro. La tecnica consiste nel colpire
con il pezzo lungo il pezzo piccolo su
un’estremità per farlo saltare (que-
sto il motivo delle estremità appun-
tite), quindi colpirlo. Il gioco consiste
nel lanciare il pezzo piccolo quanto
più lontano possibile.
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DICEMBRE 2022

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L’invitato
Monsignor
Roberto
Repole
In prima linea
Don Daniel
Antunez
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
DICEMBRE 2022
BUON
NATALE
con Maria
e Gesù
Le case
di don Bosco
Lombriasco
DICEMBRE 2022
ANNO CXLVI
NUMERO 11
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Maria Immacolata: quadro di Paolo
Emilio Morgari (Torino, 1815 – Torino, 1882).
Una tela magnifica che si trova nel Museo Casa
Don Bosco a Valdocco (Foto Antonio Saglia).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Salveremo la TERRA!
10 L’INVITATO
Il nuovo Arcivescovo di Torino
14 TEMPO DELLO SPIRITO
16 LE CASE DI DON BOSCO
Lombriasco
20 IN PRIMA LINEA
Don Daniel Antunez
24 FMA
Il futuro oltre l’uragano
26 LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE
I due altari
30 I GRANDI AMICI
Il teologo Borel
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
Quanto “pesano” i ricordi?
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
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20
24
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://bollettinosalesiano.it
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati, Emilia
Di Massimo, Ángel Fernández Artime,
Antonio Labanca, Carmen Laval,
Arthur J. Lenti, Cesare Lo Monaco,
Marina Lomunno, Natale Maffioli,
Alessandra Mastrodonato, Francesco
Motto, Pino Pellegrino, O. Pori Mecoi,
Giorgio Rossi, Luigi Zonta, Fabrizio
Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Alberto Rodriguez M.
Fondazione
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che la materia
prima per la
produzione della
carta deriva da
foreste gestite
in maniera
sostenibile secondo standard rigorosi riconosciuti a
livello internazionale che tutelano le foreste, l’ambiente
e i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
La forza di quel bambino
impotente sconfigge
tutte le potenze del mondo
Quest’anno, sentiamo più vere
che mai le parole di Isaia:
«Il popolo che camminava nelle
tenebre vide una grande luce;
su coloro che abitavano in terra
tenebrosa una luce rifulse».
Cari amici del Bollettino Salesiano, in que-
sto tempo c’è più luce nelle nostre città.
Stelle e vetrine annunciano l’arrivo della
festa di Natale. Nel profluvio di Babbi
Natale, renne e pupazzi di neve, fa raramente capo-
lino qualche immagine di Gesù Bambino, anche se
è Lui il re della festa. Come ricordava papa Bene-
detto XVI, «La gloria di Dio non si manifesta nel
trionfo e nella potenza di un re, non risplende
in una città famosa, in un palazzo sontuoso,
ma prende dimora nel grembo di una vergi-
ne, si rivela nella povertà di un bambino.
L’onnipotenza di Dio, anche nella nostra
vita, opera con
la forza spesso
silenziosa della
verità e dell’amore. La
fede ci dice, allora, che la forza
indifesa di quel Bambino vince
finalmente le voci delle potenze
del mondo. E nella notte del
mondo, lasciamoci sorpren-
dere e illuminare di nuovo da questo atto totalmen-
te inaspettato di Dio: Dio diventa Bambino. La-
sciamoci sorprendere e illuminare dalla Stella che
ha inondato l’universo di gioia. Che Gesù Bambi-
no, quando viene a noi, non ci trovi impreparati,
intenti solo ad abbellire la realtà esterna».
Non possiamo nasconderci che stiamo vivendo
davvero “una notte del mondo”. Viviamo nella not-
te, viviamo in un tempo di dolore, di disperazione,
di guerra, di morte.
Non possiamo ignorare la guerra che si sta combat-
tendo in Ucraina.
Non dimentichiamo le migliaia e migliaia di vite
stroncate dal peccato della guerra e dalla morte che
essa semina ovunque.
Non ignoriamo che migliaia e migliaia di persone
sono sfollate in Ucraina e che centinaia di migliaia
di altre vivono in condizioni subumane in clande-
stinità, senza luce e calore e con poco cibo.
Oltre all’Ucraina, nel mondo ci sono altri 29 fo-
colai di guerra e guerriglia con gli stessi effetti di
morte e desolazione.
Ogni anno, in alcune nazioni dell’America Latina,
vengono uccise più di 35 000 persone.
Il numero di poveri in Europa (quelli di noi che
pensavano di essere al sicuro da tutto) è più che
raddoppiato rispetto a due o tre anni fa.
Non siamo riusciti ad arginare la fame nel mondo,
che è addirittura aumentata.
Le catastrofi di incendi e inondazioni, conseguenza
dei cambiamenti climatici in un pianeta malato, ci
mettono in guardia sempre più spesso.
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All’ultimo vertice sul clima le nazioni che inquina- i frutti dell’Incarnazione, del Natale di oltre 2000
no di più non sono state nemmeno presenti, come anni fa e della Vita che ci viene dalla Risurrezio-
se il problema non riguardasse anche loro.
ne del Signore? Abbiamo motivi di speranza o la
Non si può definire questa una “notte dell’umani-
notte buia non ci permette di
tà”? Papa Francesco ha dichiarato:
«Quest’anno la nostra
La rivoluzione preghiera è diventata
un accorato appello,
perché oggi la pace è
SPERANZA stata gravemente violata,
aggredita e calpestata, e
trovarli?
Il Bambino ha le mani vuo-
te, perché il dono di Dio, il
dono supremo all’umanità,
è Lui. Non un superuomo,
ma un essere fragile, piccolo, indife-
so come noi. Per dirci: ripartiamo da questo, ripar-
questo in Europa, proprio nello stesso continente tiamo dalla tenerezza. Guardiamoci negli
che nel secolo scorso ha subito gli orrori di due occhi e riscopriamo la vita identica che
guerre mondiali. E ora stiamo vivendo una Terza pulsa in noi. Agli occhi di un certo
guerra mondiale».
mondo può sembrare una cosa ridi-
La manifestazione della bontà di Dio in Gesù Cristo cola, calpestabile, eliminabile, ma
e il suo amore per gli uomini ci hanno tratti fuori da noi sappiamo di possedere una
una situazione del genere. Dio ci ha salvato, come forza che può sconvolgere le te-
dice la lettera a Tito. Ci ha liberato dalle catene che ci nebre. Gesù è la piccola luce che
tenevano legati. Ha posto fine alle nostre lacerazioni ci è stata affidata.
e ai nostri traviamenti e ci ha riportato sulla retta Ora tocca a noi.
via. Ci ha liberati dall’ossessione dell’odio. Quando Un bel dono vale se lo usi! Come
la sua umanità si manifestò in Cristo, questa vera tutti i doni, c’è un modo per “ricicla-
immagine dell’uomo ha cambiato qualcosa anche in re” il dono di Dio: ridonando la vita! E
noi. Ci ha messo in contatto con l’immagine origi- senza dubbio è così: di fronte a tanta notte,
naria che Dio si era fatto di noi e ha fatto brillare di c’è anche tanta vita. La vita che Maria di Naza­reth
una nuova bellezza l’immagine originaria.
ci porta nel suo figlio appena nato e la vita di tanti
Papa Francesco è tornato più volte in questo pe- bambini che le loro madri, con immenso amore,
riodo a parlare di speranza, esortandoci a guardare fanno nascere, nel nome di Dio. La vita di tanta
la nostra esistenza con occhi nuovi, soprattutto ora generosità anonima di milioni di persone che ogni
che stiamo attraversando una dura prova, e a guar- giorno si rivolgono al prossimo, ai bisognosi, agli
darla con gli occhi di Gesù, “autore della speranza”, anziani soli. La vita è quella donata da tante per-
per aiutarci a superare questi giorni difficili, con la sone anonime che lottano silenziosamente contro
certezza che le tenebre si trasformeranno in luce. tanta oscurità e pessimismo. La vita, mi sembra, è
La speranza è «una virtù che non delude mai: se quella che viene seminata ogni giorno in migliaia
speri, non sarai mai deluso» ha detto papa Fran- e migliaia di presenze salesiane nel mondo, dove
cesco. È una virtù che, in una poesia del grande un gesto, un sorriso, un pezzo di pane o un pi-
scrittore cattolico francese Charles Peguy, sorpren- atto di riso, un momento di incontro seminano
de anche Dio, perché l’autore gli fa dire: “La fede luce e speranza. Tutto questo, credo, è il frutto del
che amo di più, dice Dio, è la speranza. Quello che Natale, dell’Incarnazione del Figlio di Dio, della
mi sorprende... è la speranza”.
Risurrezione e del Dio della Vita che ha sempre
Dove possiamo trovare, scoprire, toccare con mano l’ultima parola.
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DON BOSCO NEL MONDO
Missione Don Bosco Bonn / Nishant Ratnakar / ichtv
Salveremo
la TERRA!
Le conseguenze della crisi climatica
sono nettamente percepibili nello stato
meridionale indiano del Tamil Nadu.
I responsabili della scuola Don Bosco
vorrebbero sensibilizzare soprattutto
i giovani al tema della sostenibilità
ambientale. Negli eco-club, ragazzi
e ragazze imparano a intraprendere
azioni pratiche ed efficaci finalizzate
a salvaguardare l’ambiente.
Il futuro è
nelle mani
dei giovani.
Sembra un normale martedì mattina. Oggi
però la “Don Bosco School of Excellence”
di Sayalgudi, nello Stato indiano del Tamil
Nadu, propone un programma diverso. Un
gruppo di allievi e allieve della scuola superiore si
è radunato nel grande auditorium. Tutti ascoltano
con attenzione un docente che parla di un argo-
mento che finora non aveva fatto parte del pro-
gramma scolastico: la sostenibilità. Gli allievi sono
ripartiti in tre gruppi, ognuno dei quali prende il
nome da un’erba in lingua tamil e viene scelto un
responsabile per ogni gruppo. Tutti riceveranno poi
magliette e cappelli colorati. C’è grande gioia tra i
ragazzi e le ragazze. Finalmente fanno parte della
comunità.
Gli eco-club sono stati avviati dalla scuola Don Bo-
sco nella provincia di Trichy, nello Stato del Tamil
Nadu, nell’India meridionale. «Abbiamo avviato il
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progetto degli eco-club nel 2016. Il nostro obiettivo
è sensibilizzare bambini e giovani ai temi ambientali
fin da quando sono piccoli. In futuro potranno così
assumersi la responsabilità della salvaguardia della
natura», spiega don Amalorpavaraj Annappan, che
tutti chiamano semplicemente don Amal.
Ogni eco-club è composto da 20 giovani di età
compresa tra 11 e 18 anni e si riunisce ogni mese
per parlare di temi ambientali. Un episodio della
storia di don Bosco serve come base per la discus-
sione. Ogni animatore sovrintende fino a cinque
eco-club e proviene dallo stesso villaggio da cui ar-
rivano gli allievi o è un docente della scuola. «Vo-
gliamo aiutare i giovani a cambiare atteggiamento
e comportamento nei confronti dell’ambiente. Le
giovani generazioni sono il futuro di questa nazio-
ne e pensiamo costituiscano un buon catalizzato-
re per realizzare il cambiamento», sottolinea don
Amal. «Se riusciremo a sensibilizzare i giovani ai
temi ambientali, il futuro sarà in buone mani. I
giovani daranno un contributo straordinario alla
lotta contro il riscaldamento globale e i cambia-
menti climatici».
L’orto sostenibile
Lo Stato più meridionale dell’India, il Tamil Nadu,
deve affrontare numerose sfide. La maggior par-
te dei giovani che fanno parte degli eco-club vive
in zone “all’ombra della pioggia”, nelle quali piove
molto raramente e regna una forte dipendenza dal-
la regolarità del monsone. I cambiamenti climati-
ci hanno però determinato la parziale assenza del
monsone, che mostra precipitazioni insufficienti e
irregolari. Questo ha un impatto negativo sulle col-
tivazioni su larga scala nella regione.
«La coltivazione di orti è una delle attività più im-
portanti che svolgiamo negli eco-club. Mostriamo
ai bambini come possano coltivare frutta e verdura
in modo sostenibile in un piccolo spazio utilizzan-
do fertilizzanti biologici. Nei nostri centri abbiamo
giardini modello e diamo ai bambini gratuitamente
semi e piantine da coltivare sul terrazzo o nel cor-
tile», spiega Arokiaraj, coordinatore degli eco-club.
«Ho piantato un orto, in cui ora crescono guaiave,
banane, melograni e alberi di mango. Sono molto
contenta di avere questo piccolo spazio verde», dice
Jyothika, una dodicenne che fa parte di un eco-club
di Sayalgudi.
Jaison, un ragazzo di dodici anni, proviene da un
villaggio di pescatori che fa parte del comprensorio
della città di Sayalgudi. La sua famiglia testimonia
Nella scuola
dei salesiani
i ragazzi
imparano
il rispetto
per la Terra.
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DON BOSCO NEL MONDO
direttamente degli effetti dell’inquinamento idrico.
Alcuni anni fa suo padre riusciva a catturare mol-
to pesce con le sue reti a tre miglia nautiche dalla
costa. Ora i pescherecci devono percorrere quasi 25
miglia nautiche per riuscirci. «Mio padre ora deve
spendere molto di più per il carburante, perché le
distanze da percorrere per pescare sono aumenta-
te. Ora coltivo verdure e foglie di curry nel nostro
giardino. Posso così dare un piccolo aiuto economi-
co alla nostra famiglia», spiega il ragazzo.
Agastin ha dodici anni e ama molto il suo orto e
le sue capre. «Sono orgoglioso quando i miei ami-
ci vengono a vedere le zucche che ho coltivato nel
mio giardino. Le mie capre non possono mangiare
la zucca, ma sembra che apprezzino le foglie di me-
lanzana. Tutte le volte in cui si avvicinano alla pianta
le devo legare per mettere le melanzane al sicuro».
Gli alberi sono serbatoi d’acqua
«Ci incontriamo una volta al mese e abbiamo sco-
perto che le attività e le campagne che proponiamo
hanno un impatto positivo sui ragazzi. La consa-
pevolezza di questioni ambientali come l’inquina-
mento, la sostenibilità e il cambiamento climatico
è aumentata tra i partecipanti a questo progetto»,
afferma Muneeswaran, animatore di eco-club nella
città di Vilathikulam.
Tra le importanti attività proposte si annoverano
la piantumazione di alberi e le operazioni di pu-
lizia. «Individuiamo aree pubbliche in condizioni
igieniche non adeguate ed effettuiamo opera di
La gioia e
l’entusiasmo
degli
eco-club.
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Gli alberi sono piantati in zone
risistemate, in particolare lungo i bordi
delle strade, su terreni incolti e vicino
a specchi d’acqua naturali. Si protegge
così il suolo dall’erosione.
pulizia, ad esempio raccogliendo e differenziando
i rifiuti. Coloro i quali hanno partecipato a questa
azione collocano in quell’area ripulita un bidone
della spazzatura e se possibile piantano un albero».
Gli alberi vengono piantati principalmente ai bordi
delle strade, su terreni incolti e nelle immediate vi-
cinanze di specchi d’acqua. L’obiettivo è salvaguar-
dare il suolo dall’erosione e proteggere i serbatoi
d’acqua.
Gowthami, una ragazza di dodici anni che fa parte
di un eco-club di Vilathikulam, ha detto: «Tengo
puliti l’ambiente e i dintorni della mia scuola e del-
la mia casa. Innaffiando e coltivando piante, cerco
di contrastare l’inquinamento atmosferico». Balaji
Venkataraman, di undici anni, aggiunge: «Cerco di
evitare la plastica, perché non è biodegradabile. A
casa ora utilizziamo i rifiuti biodegradabili come
compost per il giardino».
Secondo don Amal le campagne di piantuma-
zione degli alberi sono vitali per questa regione.
«Gli spazi verdi si riducono costantemente a causa
dell’urbanizzazione e dell’esplosione demografica.
Ciò aggrava ulteriormente il riscaldamento globale.
Piantando regolarmente alberi riduciamo la perdita
di zone verdi e dunque l’incremento dell’anidride
carbonica», spiega don Amal. Entro il 2023 do-
vrebbero essere piantati 15 000 alberi su un terre-
no arido. L’anno scorso ne erano già stati collocati
10 385. «Se quest’anno piantiamo circa 5000 albe-
ri, avremo persino superato il nostro obiettivo. E
potremmo riuscire a piantarne 30 000 entro la fine
del progetto», dice il sacerdote salesiano. «Tutte le
nostre attività sono orientate alla sostenibilità. Con
l’attività di piantumazione si salvaguardano i serba-
toi d’acqua naturali costituiti dagli alberi. La scarsa
pioggia che cade può essere immagazzinata più a
lungo. Promuoviamo così la coltivazione biologica
per i piccoli proprietari e riduciamo l’emigrazione
da queste aree. Uno stile di vita sostenibile migliora
la qualità della vita delle persone. Questa è la mia
visione a lungo termine».
Un progetto esemplare
L’opera dei Salesiani di Don Bosco in India iniziò
nel 1906 a Chennai, la capitale dello Stato del Ta-
mil Nadu, nell’India meridionale. In questo Paese
sono stati istituiti anche 274 eco-club, di cui fanno
complessivamente parte 5475 tra ragazzi e ragaz-
ze. Entro la fine del progetto, prevista per il 2023,
dovrebbero essere stati avviati 600 eco-club. Nelle
comunità dei villaggi ci sono anche eco-club per gli
adulti, ora in numero pari a 79, di cui fanno parte
soprattutto donne: 1027 su un totale di 1580 ade-
renti.
«Tengo puliti
l‘ambiente e i
dintorni della
mia scuola e
della mia casa.
Innaffiando
e coltivando
piante, cerco
di contrastare
l‘inquinamento
atmosferico».
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L’INVITATO
Marina Lomunno
È giovane e preparato
Il nuovo Arcivescovo
di Torino
Monsignor Roberto Repole,
conosciuto e stimato come
teologo, nella sua formazione
scolastica giovanile è stato
anche allievo dei salesiani:
ha frequentato il ginnasio
a Valdocco e ha conseguito
la maturità classica presso
il Liceo Valsalice di Torino.
Già dal primo incontro Lei si
è soffermato sulla necessità
dell’attenzione ai più giovani e
all’emergenza educativa. Come fare
per far ritornare i giovani alla Chiesa?
C’è un’attenzione particolare al mondo giovanile
che si disegna su due orizzonti, il primo è quel-
lo sociale e antropologico. Viviamo in una società
anziana con una forte denatalità e questo fa sì che
i giovani rischino di non essere visti e di non essere
apprezzati per la carica e la novità che essi han-
no: tutti i progetti sociali e i discorsi politici spesso
sono tarati su altre generazioni. Secondo me occor-
re invece ritornare ad avere un’attenzione alle nuove
generazioni in una società occidentale che è ten-
Il nuovo arcivescovo
con il suo predecessore
monsignor Nosiglia.
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denzialmente vecchia e che pensa da vecchia. Poi
però – e questo evidentemente si interseca con il
secondo orizzonte – da pastore ho la preoccupazio-
ne o, meglio, una forte attenzione dal punto di vista
della Chiesa. La Chiesa esiste per vivere e annun-
ciare il Vangelo ed è chiaro che i primi destinatari
di questo Vangelo sono le nuove generazioni con le
quali la trasmissione «normale» e assodata del Van-
gelo e della vita cristiana si sta velocemente inter-
rompendo. Mi sembra allora che ci sia necessità di
una Chiesa che ritorni a mettere al centro, appunto,
l’annuncio evangelico e quindi, di conseguenza, i
giovani come primi protagonisti. Ho l’impressione
che i giovani abbiano sete di senso e di spiritualità
ma anche che la Chiesa venga percepita tutto fuor-
ché una risorsa spirituale. Su questo credo che ci sia
bisogno di interrogarci e che la necessità di parlare
di giovani debba andare proprio in questa direzio-
ne. Ed è anche l’occasione per chiederci: «che ci
stiamo a fare come Chiesa, perché esistiamo»?
Perché gli oratori e il catechismo
sono un po’ in crisi?
Metterei due accenti. Il primo: possiamo ridiven-
tare significativi e anche attraenti nella misura in
cui diventa chiaro e viene testimoniato che c’è una
bellezza, una gioia nel vivere la vita evangelica, nel
seguire il Signore, nel consegnarsi a lui, nell’ap-
partenergli. Quindi credo che la grande questione
oggi sia veramente la fede dei cosiddetti credenti…
Forse siamo troppo poco significativi perché ormai
il cristianesimo è diventato tutto meno che l’appar-
tenenza in forza della fede.
Il secondo punto, e richiamo la canzone di Celen-
tano, «neanche un prete per chiacchierar»: ci siamo
abituati o abbiamo pensato troppo e un po’ super-
ficialmente che gli unici a dover annunciare il Van-
gelo, gli autorizzati a farlo anche in maniera com-
petente e con l’ascolto che questo richiede, siano i
preti. Ma non è così: questo richiede persone anche
laiche che abbiano la passione per l’annuncio evan-
gelico ma abbiano anche la competenza dell’an-
nuncio evangelico. E qui dobbiamo farci un esame
di coscienza e camminare: al di là delle etichette, il
problema è che il cristianesimo spesso è sconosciu-
to agli stessi cristiani: come vogliamo testimoniarlo
e annunciarlo ai più giovani? E soprattutto c’è ur-
genza di una passione che faccia sì che li si vada ad
incontrare e a cercare: è un atteggiamento che na-
sce da persone che veramente si sentono responsa-
Monsignor
Repole nella
Basilica
di Maria
Ausiliatrice
durante
l’ordinazione
dei nuovi
diaconi
salesiani.
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L’INVITATO
Come eredità «salesiana» ho in mente alcuni insegnanti, anche anziani, che avevano
ancora il gusto di intrattenersi, di spendere del tempo con noi allievi.
All’ordinazione
del nuovo
vescovo erano
presenti
moltissimi
giovani.
bili del Vangelo e che non può valere soltanto per i
preti perché, in un momento in cui siamo di meno,
è chiaro che questo non verrà più fatto.
Come parlare di Gesù ai giovani
di oggi, ai giovani torinesi di oggi?
Lei come parlerà di Gesù ai giovani
che incontrerà da Arcivescovo?
Non penso che esista una risposta-ricetta ma che
ci possano essere alcune attenzioni decisive. La
prima: la coltivazione di una conoscenza della fede
che la renda anche plausibile rispetto alle grandi
sfide della secolarizzazione. Non possiamo pensa-
re di parlare di Gesù ai giovani se le domande che
probabilmente loro si pongono non sono anche le
nostre e, soprattutto, se noi non ci siamo dati delle
risposte. Ma per far questo bisogna essere mol-
to seri nel cammino della fede e della conoscenza
della fede. Io sono un teologo e penso, purtroppo,
che nella Chiesa molto spesso si ritenga che la teo-
logia sia un optional: se la pensiamo così quella che
noi chiamiamo «la pastorale» che cos’è? In passato
ai miei studenti dicevo che la pastorale «sembra
lo starnazzare delle galline che fanno tanta aria
però non si sollevano di mezzo metro»… Che
cosa vogliamo annunciare, quando noi stessi non
siamo all’altezza delle domande che ci vengono
poste, perché non le abbiamo interiorizzate e non
proviamo costantemente a dare risposte con tutta
la passione e l’intelligenza che questo richiede? I
giovani ci chiedono che cosa è la preghiera, come
interviene Dio nella mia vita, ci dicono «io prego
ma tanto non vengo ascoltato»: sono questioni se-
rissime e noi che cosa rispondiamo? Se noi adulti
rispondiamo con stereotipi e non siamo all’altezza
di quelle domande che cosa vogliamo annunciare
in questo nostro mondo?
Le omelie, talvolta, non sono un po’
difficili?
Secondo me i giovani (e non soltanto loro) si accor-
gono se ciò che gli comunichi è ciò per cui tu ve-
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DICEMBRE 2022

2.3 Page 13

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MONSIGNOR ROBERTO REPOLE
Arcivescovo giovane, insegnante, teologo. Tori-
nese, classe 1967, dal 7 maggio scorso, giorno del suo
ingresso solenne e della sua ordinazione episcopale,
monsignor Roberto Repole è Arcivescovo di Torino e
Vescovo di Susa, successore di monsignor Cesare Nosi-
glia. Cresciuto con la sua famiglia a Druento e Givoletto,
è entrato in Seminario a 11 anni e nella sua formazione
scolastica giovanile hanno avuto un ruolo importante
i salesiani: ha frequentato il ginnasio a Valdocco e ha
conseguito la maturità classica presso il Liceo Valsalice
di Torino. Dopo gli studi di filosofia e teologia è stato
ordinato prete nella cattedrale di Torino il 13 giugno
1992. Viceparroco in due parrocchie cittadine, ha poi
proseguito gli studi di Teologia sistematica presso l’U-
niversità Gregoriana a Roma, conseguendo la licenza
nel 1998 e il dottorato nel 2001. Ha insegnato Teolo-
gia sistematica a Torino nella sezione parallela della
Facoltà teologica dell’Italia settentrionale (di cui è stato
anche preside fino all’ordinazione episcopale), è stato
docente alla sede centrale di Milano e in altre Facoltà
teologiche d’Italia. Tra i numerosi incarichi anche in
diocesi, dal 2011 al 2019 è presidente dell’Associazio-
ne teologica italiana e dal 2016 membro del consiglio
di amministrazione dell’Agenzia della Santa Sede per
la valutazione e la promozione della qualità delle uni-
versità e Facoltà ecclesiastiche (Avepro). All’attività di
docente don Roberto ha affiancato il lavoro di ricerca
sui temi dell’ecclesiologia e della
teologia sistematica, docu-
mentata da una vastissi-
ma bibliografia tra cui
il Commentario ai
documenti del Con-
cilio Vaticano II, in
8 volumi (Edizioni
Dehoniane), a cui
hanno lavorato ol-
tre 30 teologi.
ramente vivi. Lo vedo esistenzialmente nell’omelia,
uno dei momenti di comunicazione della fede…
Alla fine passa quello che veramente dici perché è
passato nella tua vita, perché è passato nel tuo cuore
e credo che questo sia uno dei deficit nell’annuncio
oggi: a volte continuiamo a dire cose che non corri-
spondono davvero alla vita, chi le annuncia non le
vive e i giovani se ne accorgono…
za che poi ho cercato a mia
volta di trasfondere con i miei
studenti nella mia esperienza di insegnante. Inoltre
– anche se è stato faticoso – mi è rimasto anche il
rigore del lavoro nello studio: la serietà e la profon-
dità del lavoro sono cose importanti anche per il
lavoro intellettuale.
Lei è stato allievo a Valdocco e poi a
Valsalice. Che cosa le è rimasto del
carisma salesiano nella sua vita di
sacerdote, di insegnante, di teologo ed
ora di Arcivescovo di una delle città che
oggi ha molte analogie con la Torino dei
santi sociali (povertà, disoccupazione,
emigrazione, giovani «pericolanti»)?
Mi è rimasta l’attenzione alle persone più giovani
– anche perché ho passato molti anni ad insegna-
re – e come eredità «salesiana» ho in mente alcuni
insegnanti, anche anziani, che avevano ancora il
gusto di intrattenersi, di spendere del tempo con
noi allievi. E mi è rimasta viva questa testimonian-
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Lettera a Maria
Sul filo di una lettera scritta a
Maria scopriamo con lei il dolce
senso e la spiritualità dell’attesa.
Santa Madre Teresa ha scritto: Non ho mai
dimenticato di quando visitai una casa dove si
trovavano tutti gli anziani genitori di figli e
figlie che dopo averli messi in istituto, li ave-
vano abbandonati. Mi recai in quel luogo e vidi che
avevano di tutto, belle cose, ogni comodità, ma ognuno
stava con lo sguardo fisso alla porta. E non vidi
alcuno con sul volto un sorriso. Allora mi ri-
volsi alla Sorella e dissi: «Come mai?
Perché questa gente cui non manca
nulla guarda sempre verso la porta?
Perché non sorridono?».
Sono così abituata a vedere il
sorriso sul volto della no-
stra gente... anche i mo-
ribondi da noi sorridono.
Mi rispose: «Questo
capita quasi ogni gior-
no. Stanno aspettando,
sperano che un figlio o
una figlia venga a tro-
varli».
Nelle nostre vite l’at-
tesa non è un atteggia-
mento molto popolare.
La maggior parte di
noi considera l’attesa una
perdita di tempo. Forse
perché la cultura nella quale
viviamo ci dice: “su, dai! Fa
qualcosa! Non stare lì seduto ad
aspettare”. Nella nostra situazione
storica particolare, l’attesa è anche più difficile per-
ché viviamo nel timore. La gente ha paura. Paura
dei sentimenti interiori, paura degli altri, paura del
futuro. Perché è così insopportabile?
Perché siamo diventati intolleranti, perché non
sappiamo guardare al tempo futuro, perché non
sappiamo differire. La verità è che l’attesa ha a che
fare con l’unica cosa che ci spaventa davvero: la no-
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DICEMBRE 2022

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stra morte. Acceleriamo per questo, riempiamo il
tempo perché temiamo il vuoto.
In Aspettando Godot dice Vladimiro: «Questo ci
ha fatto passare il tempo».
«Sarebbe passato lo stesso», gli risponde Estragone.
Possiamo imparare da Maria di Nazaret la spiri-
tualità dell’attesa? Magari con una semplice lettera
che qualche angelo di buona volontà potrà recapi-
tare.
Cara Maria,
dopo la tua visita a Elisabetta, dopo l’annuncio
dell’angelo a Giuseppe, resta questo lungo tempo,
sei mesi, in cui con il tuo sposo ci insegni ad atten-
dere colui che sta per venire. Insieme a te, anche
noi aspettiamo.
Ogni anno aspettiamo la sua venuta nel presepe, a
Natale, e gli occhi dei bambini si riempiono di luce.
Ma più in profondità attendiamo davvero che il cielo
si apra, e che la pace, mai definitiva di questi tem-
pi, regni per sempre tra i popoli, tra gli uomini
e in noi stessi. In questo lungo tempo dell’at-
tesa, ci apri la tua casa e il tuo silenzio per
farli nostri, insieme a te. È il tempo della
maturazione del frutto, il tempo che ne-
cessita a un uomo per arrivare a ciò che
è. Il lungo tempo della convalescenza
e della guarigione. Il tempo dell’in-
vecchiamento, della crescita, il tempo
della vita che non si può né allungare
né accorciare, nemmeno strattonan-
dolo. Con te, non è un’attesa indefi-
nita che ci tiene vigili. No, con te noi
aspettiamo Qualcuno.
Aspettare qualcuno
significa credere che stia
per arrivare, anche se non
si sa bene quando
Nel caso dell’attesa di un bambino, è posto
un termine che ci permette di tenerci pron-
ti. Vorrei che tu mi insegnassi a essere pronta
come lo fosti tu, pronta anche ad affrontare l’im-
possibile, perché sei dovuta partire per Betlemme
nel momento meno opportuno. Lo sai, a me non
piacciono gli imprevisti, e ho davvero molto da im-
parare da te, perché di situazioni impreviste ne hai
dovute affrontare un bel po’.
Questa sera, tuttavia, all’approssimarsi del Natale,
ho voglia di fare un po’ di silenzio e di guardare il
presepe che abbiamo allestito qua e là per la casa.
In cappella, un grande presepe è posto al riparo di
qualche mazzo di fiori. La culla è vuota. Anche se
corriamo per gli ultimi preparativi della festa, in
fondo attendiamo.
La nostra vita è vuota finché tuo
figlio non viene ad abitarla
Tutto il mondo attende, senza sapere bene chi.
Dovremmo abbandonare la pretesa di proporre il
nostro modo di credere come risposta a questa at-
tesa. Forse ci sono più modi di ricevere tuo figlio?
I racconti di Natale narrati in maniere molteplici
in molteplici culture hanno saputo esprimere l’e-
mergenza dell’inaudito. Di che cosa hanno biso-
gno il nostro tempo, la nostra cultura, per udire il
mormorio quasi impercettibile della nascita di tuo
figlio? Come una voce alla fine del silenzio. Come
aiutarci gli uni gli altri e aiutare la nostra genera-
zione ad ascoltare questa voce? Tu, Maria, potresti
sostenerci e illuminarci?
Nell’attesa di domani, vorrei ascoltare il vento in-
sieme a te e il rumore della pioggia sulla mia fine-
stra. Dietro il rumore del mondo, vorrei ascoltare
il silenzio su cui questo rumore fa leva per esistere.
Ascoltare l’attesa del mondo e lasciar sfilare i visi,
vicini o lontani, che la mia memoria lascia scorrere
davanti ai miei occhi. Vedi, te li presento a uno a
uno. I piccoli e i grandi della mia famiglia, le sorelle
e i fratelli del mio ordine, i miei amici, le donne
della prigione, le mie colleghe e molti altri. Insieme
a loro, e con te, vorrei sperare che Cristo, nel suo
modo sempre singolare e unico, trovi dove nascere
in ciascuna delle nostre vite.
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LE CASE DI DON BOSCO
La comunità
Ritorno al futuro
Lombriasco
Il film sulla vita di don Bosco era
intitolato “Il contadino di Dio”.
Don Bosco ha sempre amato
la terra e ha sempre voluto
a portata d’occhi una vite.
I Salesiani, in tutto il mondo
continuano ad educare i giovani
alla sostenibilità ecologica e
alimentare.
Gli inizi
Il paese era un po’ piccolo, ma non tanto. Allo-
ra tutti si conoscevano. Si sapevano le avventure,
i malumori, la vita degli altri. Ma la povertà era
grande. Nessuno buttava via una briciola. La fine
del secolo xix segnò, in quest’angolo di Piemon-
te, il periodo rispondente alla massima depressione
economica dopo la Rivoluzione francese.
Tra il 1890 e il 1900 i Salesiani di don Bosco sono in
forte espansione. Nella sola provincia di Torino danno
inizio a ben sette Opere. Proprio in questo periodo di
tempo e in questo ambiente di vita rurale, si inserisce
l’invito ai Salesiani da parte del prevosto di Lombria-
sco, don Pietro Zaffiri. Verso la fine del secolo scorso
il vecchio Castello di Lombriasco viene acquistato da
don Rua, il primo successore di don Bosco.
La prima destinazione della nuova opera è di dare
una sede adeguata in Italia a tanti giovani Polacchi
che decidono di avviarsi alla vita salesiana e agli
studi ecclesiastici. I Salesiani si inseriscono anche
attivamente nel paese. Nel 1901 don Giovanni
Battista Grosso assume la direzione della scuola di
canto parrocchiale per addestrare nel canto grego-
riano le giovani del paese.
Con la sistemazione a Torino dei giovani polacchi,
il vecchio Castello diventa Noviziato.
Tra il 1905 e il 1908 la casa si evolve lentamente
verso un’organizzazione che diventerà con gli anni
esclusivamente agraria e scolastica.
Nel 1912 infatti a Lombriasco fortunate circostan-
ze permisero di acquistare un podere di 17 ettari (la
cascina Macra) confinante con l’Istituto.
Il vecchio Castello con il terreno circostante di-
venne così “Colonia agricola Sant’Isidoro e Scuola
di Agricoltura”. Colonia Agricola e Comunità che
accolse giovani in carenza familiare ed affettiva, a
volte anche difficili, e nel periodo bellico orfani, oc-
cupandoli nelle attività dei campi. In quegli anni si
sviluppò anche un altro tipo di accoglienza, quella
di un buon numero dei cosiddetti “famigli”: persone
giovani e meno giovani, sole, ancora autosufficienti
che oggi sarebbero raccolte in ospizi e case di riposo
e che davano anch’esse un contributo prezioso.
La funzione di colonia agricola fu completata dal-
la formazione professionale fornita dalla Scuola di
Agricoltura.
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Il riconoscimento della Scuola Teorico-Pratica di
Agricoltura diventa un incentivo di progresso per
il paese e per una vasta zona attorno. La casa or-
ganizza pertanto la propria azienda, si attrezza di
macchinari e di bestiame di prima qualità. Anche
polli, conigli, api diventano cura e attrattiva del
pae­saggio di Lombriasco.
Con la trivellazione del pozzo nel 1913, viene co-
struita una vasca di irrigazione. La Cascina Macra
è trasformata in un’azienda modello. Dal 1912 al
1919 dalla Scuola di Lombriasco partono l’incre-
mento allo spirito associativo e cooperativistico, la
diffusione della meccanizzazione, il miglioramento
zootecnico, la propaganda delle concimazioni chi-
miche, la dimostrazione dell’enorme valorizzazione
che l’acqua apporta ai terreni.
La riforma dell’insegnamento agrario trasforma la
Scuola Teorico-Pratica in Avviamento Professio-
nale e Scuola Tecnica. Nel 1937 il Direttore don
Giovanni Pellegrino, con intelligenza e ampiezza
di vedute, completa il quadro scolastico mediante
l’apertura dell’Istituto Tecnico Agrario.
Sono gli anni della crescita della Scuola Agraria
Salesiana, con quella grandiosità tipica del regi-
me. Vengono a visitare la scuola agricoltori, mas-
saie rurali, autorità scolastiche, gerarchi e lo stesso
Principe Umberto. La guerra impone un periodo di
raccoglimento, ma le scuole funzionano abbastanza
regolarmente. Si vive tra attese, speranze e bollet-
tini dal fronte.
Nell’immediato dopoguerra, con l’evolversi delle
scelte scolastiche, viene a cessare la scuola tecnica,
praticamente assorbita dall’Istituto Agrario. In sua
vece viene aperto l’istituto Tecnico per Geometri.
Nuove costruzioni sorgono per accogliere gli studen-
ti sempre più numerosi, dei nuovi indirizzi scolastici.
La riforma della Scuola Media negli anni Sessanta,
che fa tramontare il vecchio e glorioso Avviamento
Agrario, l’apporto di nuove forze da parte di inse-
gnanti laici, attivamente impegnati nell’educazione
dei ragazzi, e l’affidamento della Parrocchia ai Sale-
siani nel settembre del 1993 sono già storia recente.
La terra, il nostro futuro
Le nuove tecniche produttive, la sostenibilità am-
bientale e l’innovazione in agricoltura sono gli
ingredienti fondamenti del nuovo incubatore for-
mativo dedicato agli studenti della Scuola Agraria
Salesiana in Italia e nel mondo. Il progetto del-
la Scuola Agraria Salesiana di Lombriasco e di
“Net4Grow” è nato grazie alla collaborazione tra
Il Campus
AgriCultura
Lombriasco ha
la disponibilità
di strutture
destinate
ad aree
sperimentali
per la parte
didattica,
laboratorio
per la ricerca,
circa 12 ettari
di terreno
per la parte
produttiva,
aule per la
formazione
frontale ed
a distanza,
sale riunioni,
Auditorium per
Congressi e
Seminari.
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
rizzando le proprie produzioni sia economicamente
sia qualitativamente.
I graditi
“ospiti” della
scuola (foto di
Mike Pace).
docenti dell’Istituto, allevatori, produttori, ricer-
catori e tecnici del settore agrario, i quali hanno
deciso di definire unitamente un metodo per la sal-
vaguardia di colture, animali e ambiente.
Il progetto “Agricoltura per la Vita” nasce da
Net4Grow – Scuola Agraria Salesiana Lombriasco
con l’obiettivo di proporre alle Scuole Agrarie Sa-
lesiane della rete mondiale, un tipo di agricoltura
fondamentale per dare a tutti l’opportunità di ge-
nerare nuove attività in ambito agricolo mirate alla
sostenibilità produttiva, all’ambiente ed a colmare
la necessità di produrre cibo sano per la sussistenza
dell’uomo.
L’Agricoltura Sostenibile è un sistema di produzione
agroalimentare che mira al ripristino, mantenimen-
to, miglioramento della biodiversità e funzionalità
microbica dei suoli e all’aumento della resilienza
degli agro-ecosistemi attraverso dei microorganismi
dei suoli; valorizza e arricchisce gli elementi natu-
rali nel suolo, negli allevamenti, nel cibo e di con-
seguenza la salute e il benessere
dell’uomo. Con questo sistema, le
aziende agricole, da semplici for-
nitrici di materie prime e in balia
di un mercato poco remunerativo,
possono diventare fornitrici di
servizi, con un impegno diretto
nella tutela del territorio, dell’a-
ria, dell’acqua e del suolo, comu-
nicabile al consumatore finale, valo-
La scuola
Oggi l’attività didattica, educativa e formativa è
portata avanti quotidianamente da insegnanti e
formatori (salesiani e laici), che dedicano le loro
energie migliori all’educazione e all’evangelizza-
zione, continuando la missione di san Giovanni
Bosco. Da oltre 120 anni tutta la Comunità Edu-
cativa tende alla costruzione di un ambiente che
dia forma a tutte le dimensioni del giovane: è una
Casa che accoglie, una Scuola che educa alla vita,
una Parrocchia che evangelizza, un Cortile per
incontrarsi tra amici. Oggi tutto questo si realiz-
za in spaziose aule, dotate di Monitor Interattivi
Multimediali che sono di ausilio al docente e agli
allievi, e in ampi cortili, sale, palestre, luoghi privi-
legiati di incontro e di gioco. Il percorso scolastico
proposto è articolato sia per gli allievi della Scuola
Media sia per quelli della Secondaria di Secondo
Grado nell’indirizzo Agrario, con l’articolazione
Produzione e Trasformazione dei Prodotti. Non
manca il servizio mensa, con piatti prelibati pre-
parati quotidianamente nella cucina della scuola. Il
pomeriggio è sempre occupato da ore scolastiche o
dallo studio assistito e guidato dai docenti, oltre ad
una vasta possibilità di scelta tra laboratori sportivi,
linguistici, hobbistici, espressivi.
La Parrocchia e l’Oratorio
In questo paese, in cui il numero degli abitanti su-
pera di poco il migliaio di persone, la composizione
è alquanto eterogenea: vi è ancora un discreto nu-
mero di famiglie di antica e stabile resi-
denza, affiancate da una rilevante
presenza di nuovi nuclei fami-
liari, a volte caratterizzati da
forte mobilità lavorativa. Qui
l’Opera salesiana di Lombria-
sco si esprime anche attraverso
la cura pastorale della Parrocchia,
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DICEMBRE 2022

2.9 Page 19

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a quelli utili a formare la figura dell’animatore.
Queste riunioni iniziano durante l’inverno per poi
intensificarsi man mano che ci si avvicina all’esta-
te. In queste occasioni sono presenti anche giovani
provenienti dai paesi limitrofi.
inserita in un ampio territorio comprendente altre
cittadine: Carignano, Piobesi, Virle, Osasio, Pan-
calieri e Casalgrasso. Negli anni il senso di appar-
tenenza e la collaborazione nell’unità pastorale sono
cresciuti anche attraverso una serie di iniziative co-
muni. Con cadenza mensile si incontrano i parroci
delle varie parrocchie e un consiglio, composto an-
che da laici, anima l’unità pastorale.
La parrocchia costituisce un centro di evangeliz-
zazione e di educazione alla fede, offre a tutti una
proposta di catechesi, di testimonianza della carità,
di preghiera e di liturgia. Promuove il primo an-
nuncio ed ha un’attenzione particolare per i giovani
e le famiglie del suo territorio e coltiva le relazioni
fra le persone e nei gruppi, per una maturazione
umana e religiosa specialmente dei più deboli e bi-
sognosi.
La sua presenza è arricchita dall’oratorio: aperto
durante la settimana in occasione degli appunta-
menti di catechismo e nel fine settimana con atti-
vità ludiche libere o organizzate e brevi momenti di
preghiera. D’estate è aperto tutte le sere dei giorni
feriali e diventa un punto di ritrovo per giovani e
famiglie. Ciò che impegna più tempo ed energie
è l’Estate Ragazzi, che occupa quattro settimane
all’inizio delle vacanze estive. Per gli animatori
l’impegno inizia già durante l’anno con gli incon-
tri finalizzati all’organizzazione pratica, abbinati
Unione degli exallievi
di Lombriasco
L’Unione degli exallievi di Lombriasco (circa
8000), così sentita in questo Istituto, nasce dal cli-
ma di famiglia che si è creato tra i Salesiani, i do-
centi e gli allievi ai tempi della scuola. Nasce anche
dall’interessamento fattivo verso i ragazzi da par-
te di alcuni insegnanti sia salesiani sia laici, che si
esprime nel condividere i problemi nel lavoro, nella
famiglia, i più personali, e nell’organizzare gli in-
contri di festa per ritrovarsi e ricordare. Anche i
più vecchi exallievi ancora ritornano alla “casa” di
Lombriasco, sebbene non trovino più gli antichi
insegnanti, poiché li unisce lo spirito forte della fa-
miglia salesiana.
Don Capellari, l’anima autentica di questa Unio-
ne, diceva: «Exallievi, amate la vostra Casa di
Lombriasco: i Salesiani passano ma il Signore e don
Bosco restano».
L’attività
didattica,
educativa e
formativa è
portata avanti
quotidiana­
mente da
insegnanti e
formatori.
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2.10 Page 20

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IN PRIMA LINEA
Antonio Labanca di Missioni Don Bosco • Foto di Ester Negro
Don Daniel Antunez
Tra i piccoli senza domani
Il presidente di Missioni
Don Bosco ha visitato
le presenze salesiane in
una delle zone più povere
del Congo Brazzaville.
Don Daniel
con uno
dei piccoli
“clienti” di
Missioni
Don Bosco.
«Non c’è differenza tra me e tuo figlio,
signore. Non c’è differenza tra me e
tuo figlio, signora»: così canta An-
dré (lo chiamiamo così), rapper
che – nella “Casa dei bambini di strada” di Poin-
te Noire nel Congo Brazzaville – ha trovato molti
anni fa chi si prendesse cura di lui. Ora è un gio-
vanotto che, sicuro di essere testimone credibile,
racconta – a voce alta e con una base musicale che
squarciano il silenzio – la sua esperienza di lotta
contro un destino segnato.
Tanti come lui hanno trovato nella “Casa” dei sa-
lesiani una via di uscita dalla condizione di scartati
in cui si sono trovati. «La strada non è mia madre, né
mio padre è colui che mi aiuterà nella vita d’inferno».
È una denuncia pesante rivolta alla società che non
gli ha dato genitori in grado di occuparsi di lui, di
essere responsabili della sua venuta al mondo.
Don Alcide Baggio dirige la “Casa dei bambini di
strada” e la comunità salesiana collocata nella zona
periferica della città, dove vive la popolazione più
svantaggiata. Don Daniel Antunez, presidente di
Missioni Don Bosco, è andato a incontrare lui e
gli altri confratelli nell’agosto scorso, insieme con
la fotoreporter Ester Negro. «Abbiamo potuto vedere
e ascoltare la reale povertà del luogo: la disoccupazione,
la mancanza di istruzione e di formazione generano
situazioni sociali molto tristi, come la violazione dei
diritti dell’infanzia e delle donne e la delinquenza»
racconta don Daniel nel suo diario. I missionari
lavorano quotidianamente per portare un cambia-
mento: un compito tutt’altro che semplice, ma svol-
to con tutto il cuore e la dedizione. E osserva: «Sono
convinti di quello che fanno e di come lo fanno».
Ne dà un riscontro André in una delle strofe del-
la sua canzone: «La gente del quartiere prende la
strada come esempio / io invece prendo il Cielo pro-
prio vicino a me come esempio»: un riconoscimento
all’impegno che i Figli di Don Bosco profondono
in questa struttura che oggi dà accoglienza a circa
50 bambini. Gli spazi sono sempre insufficienti per
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DICEMBRE 2022

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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La missione dei salesiani è un motivo
di fiducia nel futuro, forse l’unico.
Daniel Antunez
l’impossibilità di dire di no ai tanti che bussano, la
struttura rispecchia la condizione di povertà gene-
rale del Paese.
La minuta delegazione di Missioni Don Bosco si è
spinta ancora oltre nella periferia di Pointe Noire,
in un’area dove è cresciuta una discarica incontrol-
lata: «È una montagna di rifiuti che sembra faccia
parte del paesaggio» ricorda don Antunez, «un’im-
magine davvero sconvolgente». Lì c’è un edificio
quasi vuoto, poco più di una tettoia, che funge da
chiesa, da sala riunioni, da grande aula di studio.
Poco più avanti è la sede salesiana. Un gruppo di
bambini stava aspettando i visitatori; quando questi
sono arrivati, li hanno circondati con grida e ap-
plausi di benvenuto.
Molti ragazzi che frequentano questo oratorio non
vanno a scuola perché è troppo lontana: una situa-
zione che prefigura analfabetismo, emarginazione,
povertà. «La sensazione di impotenza è forte, la preoc-
cupazione per la sopravvivenza e per la crescita di quei
bambini è grande» rileva il presidente di Missioni
Don Bosco, «non hanno una vita, non possono nep-
pure immaginare come sarà, non possono pensare a un
domani!». Il giorno della visita era domenica. Sotto
gli alberi del cortile un gruppo di madri stava pro-
vando alcuni canti per la celebrazione eucaristica
che si sarebbe svolta di lì a poco. Questo appunta-
mento settimanale è ciò che costituisce la speranza
per questa comunità. Quel giorno è “rinforzato”
dalla partecipazione di chi rappresenta il mondo
lontano dei benefattori. «La missione dei salesiani è
un motivo di fiducia nel futuro, forse l’unico».
Anita Perez e Malanie
Pointe Noire nella Repubblica del Congo (Braza-
ville) è stata l’ultima tappa di una visita di due set-
timane, che ha costituito il “battesimo” dell’Africa
per don Daniel Antunez, al secondo viaggio mis-
sionario dopo quello in Ucraina nel marzo 2022.
Anche l’altro Congo, quello della Repubblica De-
mocratica (Kinshasa), ha prodotto impressioni for-
ti. Il tratto comune ai due Stati è l’uso del francese
«La sensazione
di impotenza
è forte, la
preoccupazione
per la
sopravvivenza
e per la crescita
di quei bambini
è grande».
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3.2 Page 22

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IN PRIMA LINEA
La volontaria
venezuelana
Anita Perez
Duqye che
anima la casa
per bambini
orfani e
abbandonati.
Sotto: Malanie
è una delle
mamme
affidatarie. Ha
grandi braccia,
tiene gli ultimi
arrivati sulle
sue ginocchia.
come lingua generale, derivante dalla colonizza-
zione da parte rispettivamente della Francia e del
Belgio. Sono numerosi i centri che hanno accolto
i rappresentati di Missioni Don Bosco, è difficile
determinare una scala di valutazione delle opere
in corso poiché vivono tutte ai limiti della soste-
nibilità. Dall’incontro a tu per tu con i confratelli
insieme con p. Kaya Muhema Ghislain, responsa-
bile dell’Ufficio Progetti dell’ispettoria congolese,
don Antunez ha ricavato tre elementi importanti:
il radicamento della Congregazione nel cuore del
continente grazie alla fioritura di vocazioni locali;
la condivisione da parte dei confratelli della
condizione ordinaria della gente; l’opero-
sità delle comunità e l’affidamento alla
Provvidenza per affrontare gli impegni.
A Mbuji-Mayi, nella provincia del Kasai
Orientale, c’è un’altra casa per
bambini orfani e abbandonati.
Una volontaria venuta dal Ve-
nezuela, Anita Perez Duqye,
sorella del missionario p.
Mario Perez, spiega sen-
za mezzi termini: «Le
famiglie non hanno
da mangiare, le ma-
dri muoiono di fame
e i loro figli finiscono
sulla strada». Ep-
pure a pochi chilometri dalla città si trova uno dei
centri minerari più ricchi di diamanti del Congo.
Ma questa industria non fa ricadere i benefici sul
territorio, anzi è la ragione di un lavoro che vede
i minori fra i più sfruttati. P. Mario raccoglie dai
bordi di questa conca di schiavitù chi ne viene via
liberato da ogni illusione. A loro si uniscono i ra-
gazzi e le ragazze considerati stregoni per qualche
“anomalia” nel loro fisico o nel loro comportamen-
to. Il primo soccorso è l’affetto, poi il cibo e qual-
che capo di vestiario.
Con i salesiani anche le famiglie si investono della
loro accoglienza. Nel periodo estivo in cui capi-
tano i visitatori, gli ospiti sono da più settimane
nelle famiglie della zona per consentire i lavori di
manutenzione della struttura e le ferie egli addet-
ti. Malanie è una di queste mamme affidatarie.
Ha grandi braccia, tiene gli ultimi arrivati sulle
sue ginocchia. Li presenta con nome e cognome e
condizione nella quale si sono presentati all’opera
salesiana: lasciati sulla porta subito dopo il parto,
portati quando la situazione economica diventa
insostenibile, abbandonati quando la malattia e la
superstizione li colpiscono in modo stigmatizzante.
Una bambina con le ginocchia impolverate di ter-
ra ha una maglietta macchiata dalla caduta libera
di una zuppa e la mutandina slabbrata che le
scivola; un bambino neanche questa, mentre
ogni tanto lancia un colpo di tosse. Ma sono
tranquilli in braccio a Malanie – che per
l’intervista ha messo l’abito del-
la festa – giudicando impor-
tante questa occasione
per raccontare i tanti
“miracoli” di cui è
consapevole. Arriva-
no feriti nel corpo
e nello spiri-
to «ma Dio
è grande»
testimonia
questa mamma.
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DICEMBRE 2022

3.3 Page 23

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«Bonjour, papa»
C’è una gamma di servi-
zi di soccorso “obbligati”
nelle quotidiane emergen-
ze che a volte sembra toglie-
re ai missionari la possibilità di
guardare oltre e di investire per ri-
muovere le cause della marginalità e della pover-
tà. Nella Repubblica democratica del Congo tuttavia
essi riescono anche a lanciare il cuore oltre l’ostacolo.
Fra le varie sfide colpisce molto quella raccolta a
Tshikapa. Il viaggio dalla capitale a questa locali-
tà, che si trova a sud-est e dista 865 chilometri di
strada statale per 16 ore almeno di percorrenza, già
contiene l’idea di una frontiera da raggiungere. Par-
tenza alle 4 del mattino: «Mentre avanzavamo lungo
il percorso, il sole ha cominciato ad illuminare il paesag-
gio con un’alba davvero bellissima: è di un rosso intenso
che non abbaglia, anzi dà un senso di pace» riporta don
Antunez. Pian piano ci si rendeva conto della pre-
senza di piccole capanne di fango e canne dalle quali
uscivano i bambini che andavano a scaldarsi accanto
al fuoco; la strada stessa si animava gradualmente
di ragazzini scalzi che vendevano piccole cose e di
madri con grandi canestri di manioca da vendere
al passaggio. Una giornata intera di percorrenza su
una carreggiata asfaltata solo a tratti, vicino ai grossi
centri, per il resto polverosa e pronta con le piogge a
trasformarsi in un’incognita per le sospensioni delle
ruote. Si arriva che è di nuovo notte, l’esplorazione
della missione inizia il giorno seguente.
Usciti per via la mattina seguente, i due “bianchi”
venivano visti con un po’ di timore dai più piccoli,
che si nascondevano o scappavano; gli adulti salu-
tavano con un gentile “Bonjour, papa”. Nel corti-
le dell’oratorio circa cento bambini, alcuni di loro
portati in spalla dalle sorelle non molto più grandi,
erano raccolti in cerchio per dare un saluto festo-
so. È il preludio alla tappa successiva: un’area fuori
dall’abitato, in mezzo al nulla. È qui che i salesiani
hanno stabilito un nuovo plesso scolastico. I lavori
sono già iniziati dopo che, con gli aiuti finanziari
pervenuti, è stato possibile
acquistare 6 ettari di ter-
reno. Si vede la struttura
che ospiterà un centro di
formazione professionale:
non si perde tempo, il mese suc-
cessivo le aule e i laboratori dovranno
essere pronti per gli allievi. A fianco ci sono le
fondamenta della scuola primaria: l’obiettivo è di
rendere possibile la frequenza dei bambini della
zona, troppo distanti da qualsiasi sede di insegna-
mento pubblico o privato.
Nei pressi della scuola è stato scavato un pozzo che
potrà dare acqua alla rete di distribuzione.
A garantire il completamento della struttura e l’av-
vio dell’attività si è formata una comunità di quat-
tro salesiani che si stabiliranno nella casa adiacen-
te. È l’inizio di una nuova
esperienza, il primo passo
per confermare la presen-
za tra i più poveri, che si
è festeggiato con Missioni
Don Bosco che ha dato la
sua spinta per far cammi-
nare questo progetto. Nel
pomeriggio si avvicinano
alcune mamme che vo-
gliono unirsi ai presenti
per pregare insieme, rin-
graziando la Provvidenza
di questo “messaggio”. Poi
un po’ di conversazione e
infine canti e balli. «Mi è
piaciuto ascoltarle, veder-
le vestite di quei bei colori,
così semplici ed espressivi
allo stesso tempo» commen-
ta don Antunez, «le donne
sono il pilastro di tutto, han-
no una forza incredibile, una
gioia interiore che si manife-
sta in modo tangibile».
In mezzo
al nulla,
i salesiani
hanno
progettato un
nuovo plesso
scolastico.
I lavori sono
già iniziati
dopo che,
con gli aiuti
finanziari
pervenuti, è
stato possibile
acquistare
6 ettari di
terreno.
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FMA
Emilia Di Massimo
Il futuro oltre l’uragano
Una crisi cronica di bande,
economica e politica ha portato
a una catastrofe umanitaria
ad Haiti, ha dichiarato l’inviata
delle Nazioni Unite per il Paese.
Eppure anche qui le figlie di don
Bosco continuano senza paura
la loro opera educativa.
«Sento
una gioia
grandissima
facendo parte
di questa
bella famiglia
valida pro­fes­
sional­mente
e soprattutto
educativa­
mente!»
“In questo periodo sto vivendo una del-
le esperienze più belle della mia vita.
L’ehma ha riempito un vuoto che esiste-
va da molto tempo nella formazione pro-
fessionale qualificata. Non bisogna andare lontano
per vedere la differenza con gli altri: l’ambiente
di lavoro, la presentazione, l’abbigliamento, il lin-
guaggio, tutto questo contribuisce a rendere ehma
un sicuro punto di riferimento. Lo stile di ehma
sta iniziando a trasformarmi, perché sto studiando
grazie all’insegnamento che ricevo, utile alla mia
vita. Tuttavia non dobbiamo fermarci perché chi
“non avanza regredisce”; continuiamo a cammina-
re ricordando che “non c’è successo guadagnato se
non è costruito sull’eccellenza”. (Jean Michel Sop-
poni, 22 anni)
“Ho la felice opportunità di parlare della mia scuo-
la, l’Ecole Hôtelière Marie Auxiliatrice (ehma)
senza inventare parole lusinghiere ma dipingendo
fedelmente un’istituzione: spazio essenziale, arioso
ed attraente che facilita l’apprendimento, costru-
zione antisismica che ispira fiducia. Il persona-
le direttivo è serio e saggio, gli insegnanti molto
qualificati, ci sono anche i materiali di lavoro, ciò
che generalmente manca nei vari settori educativi
di Haiti, mentre nella scuola salesiana non solo non
se ne è privi ma si ha persino la sensazione di essere
già sul posto di lavoro. In passato ho avuto tante
promesse di formazione di qualità che in seguito
non si sono rivelate tali, quindi ora sento una gioia
grandissima facendo parte di questa bella famiglia
valida professionalmente e soprattutto educativa-
mente!”. (Barreau Tonino, 27 anni)
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DICEMBRE 2022

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Ripartire dal lavoro
Siamo ad Haiti, nel 1935 le prime suore arriva-
rono a Port-au-Prince, su richiesta del presidente
della Repubblica Stenio Vincent, per occuparsi
delle ragazze più povere della capitale. Oggi l’o-
pera comprende due scuole elementari, una scuola
secondaria di primo grado, un centro giovanile, l’o-
ratorio, molteplici gruppi della Famiglia Salesiana
e la scuola alberghiera. Vogliamo soffermarci su
quest’ultima ascoltando suor Monique Bellegarde,
direttrice dell’opera: “La formazione professiona-
le è stata sempre una caratteristica distintiva della
prima opera delle suore ad Haiti. Lungo gli anni
è migliorata adattandosi ai bisogni lavorativi dei
giovani. Nel 1993 è stato aperto il Centro Giova-
nile, che offre una serie di attività professionali ed
è frequentato ogni anno da circa 1000 giovani che
vogliono imparare un mestiere per trovare lavoro.
Dopo il terremoto del 2010 è stato avviato il pro-
cesso di ricostruzione, sono iniziate una serie di
attività finalizzate a ridare dignità ai bambini e ai
giovani dei centri educativi, soprattutto mediante
la formazione professionale, le attività, i progetti e
la creazione di posti di lavoro. Il contributo di tanti
benefattori, particolarmente di actec (Associa-
tion for Cultural, Technical and Educational Coo-
peration) e Via Don Bosco (Education changes the
world) i quali si occupano del settore lavorativo e
professionale, ha permesso di istituire la scuola al-
berghiera ehma e il laboratorio Prosolma, rispon-
dendo alle aspettative di migliaia di giovani che
potevano finalmente ritrovare il gusto della vita e
osare di credere in un futuro migliore. Il progetto
è un’oasi situata tra Bel Air e Cité Soleil, dove si
toccano con mano le conseguenze della crisi socio-
economica e politica del paese. La formazione im-
partita richiede agli studenti uno sforzo intellettua-
le, una frequenza costante e l’impegno creativo; si
rivolge ai giovani tra i 18 e i 30 anni che hanno
completato la scuola secondaria”. L’obiettivo è for-
mare i futuri tecnici della ristorazione e dell’indu-
stria alberghiera capaci di assumere con responsa-
bilità e creatività i diversi compiti della professione,
così da contribuire alla qualità della forza lavoro nel
relativo settore. Gli studenti hanno la possibilità di
realizzare il tirocinio sia nei più prestigiosi alberghi
del paese sia fuori; i giovani più dotati, al termine
del corso, hanno l’opportunità di insegnare nei cen-
tri professionali salesiani, nelle scuole alberghiere.
Scommettere sui giovani
La creazione del laboratorio di produzione permet-
te di offrire lavoro ad alcuni giovani diplomati in
cerca di occupazione, di coinvolgere gli studenti
nella produzione locale, di proporre un orienta-
mento specifico per i giovani che desiderano intra-
prendere una loro micro-impresa. Dopo due anni
di attività il laboratorio di produzione ha fatto im-
piegare 5 ex studenti e vende i suoi prodotti in 7
supermercati. Un responsabile delle vendite è stato
assunto per guadagnare più quote di mercato e svi-
luppare una strategia di marketing per assicurare
la commercializzazione di 14 prodotti sviluppati.
Alcuni dirigenti del paese hanno apprezzato la rea­
lizzazione del progetto e gli hanno fatto pubblicità:
in pochissimo tempo la scuola è diventata un punto
di riferimento per l’intero paese. Attualmente ci
sono 5 scuole, molti centri professionali ma il sogno
è quello di aumentare le strutture per continuare a
scommettere sui giovani!
Nel 1993 è
stato aperto
il Centro
Giovanile che
offre una serie
di attività
professionali
ed è
frequentato
ogni anno da
circa 1000
giovani che
vogliono
imparare un
mestiere per
trovare lavoro.
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LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE
Natale Maffioli
I due altari
della basilica di Maria Ausiliatrice
Generazioni di salesiani e di artisti hanno fatto crescere lungo
gli anni la bella e tanto amata Basilica, vero dono di fede
e venerazione a Maria.
C ontemporaneamente alla consacrazione
del santuario di Maria Ausiliatrice lo fu
anche l’altare maggiore, di cui il parti-
colare più rimarchevole doveva essere la
pala, dipinta dal pittore Tommaso Lorenzone nel
1865. Don Bosco non aveva disponibilità econo-
miche, doveva pensare anche al mantenimento
dell’Oratorio e a tutte le sue incipienti iniziative,
per cui la decorazione delle mura della chiesa e la
realizzazione degli apparati liturgici penso che li
abbia rimandati a momenti più propizi.
Le pareti della chiesa erano decorate con pitture
trompe-l’æil e la grande pala doveva essere circon-
data da contorni dello stesso stile.
Bisognerà aspettare qualche de-
cina d’anni perché il suo succes-
sore, don Michele Rua, dia il via
ad un rinnovamento dell’aspetto
esterno e interno della chiesa.
Altrove abbiamo accennato alle
variazioni della facciata, ora ci
soffermeremo sulle migliorie ap-
portate all’elemento più impor-
tante del santuario: l’altare mag-
giore.
Nel 1890, don Michele Rua af-
fidò la progettazione del nuovo
altare all’architetto Crescentino
1
Caselli, l’architetto era alessan-
drino, di Fubine; era nato nel novembre del 1849,
si era trasferito a Torino dove aveva frequentato la
scuola per gli ingegneri, dove si era laureato. Allie-
vo di Antonelli, si trasferì a Roma, viaggiò molto
e ritornò a Torino: la sua realizzazione più nota in
città fu l’Istituto di Riposo per la Vecchiaia (Poveri
Vecchi) e per la città di Cagliari progettò il Palazzo
Civico. Morì nell’agosto del 1932.
Arrivano gli artisti
Di sicuro la realizzazione dell’altare del santuario
di Valdocco fu preceduta da numerosi disegni, pur-
troppo andati tutti dispersi, si è salvata unicamente
la foto del bozzetto (fig. 1) perché
pubblicata sulle pagine del Bol-
lettino Salesiano dell’agosto del
1890; la didascalia che accompa-
gna l’illustrazione contiene delle
inesattezze. Si scrive che l’altare
doveva essere corredato di due
statue una di san Francesco di
Sales l’altra di san Vincenzo de
Paoli, sappiamo però che le scul-
ture affidate a Giacomo Ginotti
non andarono oltre i bozzettoni
in gesso e anche questi finiro-
no non a Maria Ausiliatrice, ma
sull’altare della chiesa della casa
salesiana di Valsalice, una era de-
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2
3
dicata, com’è scritto, a san Vincenzo de Paoli (fig.
2) e l’altra a san Filippo Neri (fig. 3).
Alla realizzazione dell’altare collaborarono diversi
artisti: il pittore Enrico Reffo realizzò i cartoni del
mosaico apicale con l’eterno Padre (fig. 4), dei due
angioletti del triangolo di risulta (fig. 5) della pala
del Lorenzone (riutilizzati nell’altare successivo)
e la serie di splendidi cherubini alati (fig. 6-7), su
lastra di rame, nei triangoli di risulta delle due fac-
ciate della galleria sotto la pala.
La grande ancona fu realizzata con marmi pregiati:
la breccia africana servì per le coppie di colonne
che inquadrano la pala maggiore, le colonnine del-
la galleria sono di marmo rosso antico, capitelli e
cornici sono tutti in bianco di Carrara; una nota sui
capitelli (fig. 8-9) delle colonne maggiori: conten-
gono scolpiti gli elementi dello stemma salesiano.
Alcuni particolari: i clipei con i santi fondatori e
l’esterno del tabernacolo faranno la loro comparsa
nell’altare successivo del Valotti.
8
4
5
7
6
9
L’anno 1911 fu per il santuario un anno memorabile:
fu elevato a dignità di basilica minore, questo onore
e la rinomanza che era accresciuta in meno di un
secolo di vita avevano fatto nascere
nel cuore del Rettore Maggiore di
allora, don Filippo Rinaldi, il de-
siderio di ampliarlo; fu interpellato
l’architetto Mario Ceradini, che ap-
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LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE
10
prontò alcuni progetti per ingrandirlo (fig. 10), ma le
soluzioni da lui prospettate non furono bene accolte
dai salesiani: le sue erano eccessivamente invasive
perché prevedevano la demolizione di buona parte
della fabbrica voluta da don Bosco e, non ultima dif-
ficoltà, la penuria di fondi fecero desistere i salesiani
dall’impresa. L’occasione per riprendere in mano la
progettazione si presentò successi-
vamente, nel 1934, pochi anni dopo
la beatificazione di don Bosco. Non
si ripresero i disegni del Ceradini,
ma si incaricò della progettazione
l’architetto salesiano Giulio Valotti.
La soluzione da lui presentata non
prevedeva drastiche demolizioni: si
sarebbero dovuti abbattere l’antico
presbiterio e la cappella del coro e si
dovevano costruire, oltre al nuovo
presbiterio, le due ampie cappelle
ai suoi lati: quella del Crocifisso e,
dirimpetto, quella dell’organo mi-
nore; i due ambienti erano delimi-
tati da maestose colonne di ordine
composito in marmo verde issorie e
11 arabescato orobico (fig. 11).
adeguato, alle sue spalle non c’era altro ambiente
se non la grande galleria che circondava tutto il
presbiterio e collegava le due cappelle laterali. Fu-
rono impiegati i marmi colorati più preziosi, forniti
dalla ditta Remuzzi di Bergamo. Il marmo predo-
minante è il diaspro rosso di Garessio, una pietra
semipreziosa di colore rosso acceso su pasta rosso
chiara con screziature di quarzo, che si cava a Vil-
larchiosso presso Garessio (cn).
Dalle cave giunse una gran quantità di pietra che
servì a costruire parte dell’altare maggiore; ol-
tre ai due montanti, che racchiudono la pala, si
realizzò il dossale con le teste dei cherubini in
marmo carrarino (opera del Luisoni) (fig. 13) rac-
chiusi in cornici di bronzo dorato e la trabeazione
12
Il nuovo altare
Al Valotti fu anche richiesta la progettazione del
nuovo altare maggiore che avrebbe dovuto esaltare
l’antica pala del Lorenzone (fig. 12). Purtroppo non
sono giunti a noi né bozzetti, né disegni del manu-
fatto; il nuovo altare presupponeva un presbiterio
13
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14
culminante con un timpano (come si diceva che
racchiude l’Eterno Padre a mosaico su cartoni di
Enrico Reffo). Alcuni particolari dell’altare: il ta-
bernacolo contiene taluni elementi del preceden-
te, quello del Caselli è sormontato da un croci-
fisso in bronzo dorato con due mistici cervi (fig.
14) (realizzato dalla ditta Barenghi di Milano), e
questo supportava il tronetto, per l’esposizione del
Santissimo, affiancato da due angeli, in marmo
bianco di Carrara (opera del Luisoni) (fig. 15) che
un tempo sostenevano una corona dorata, attual-
mente collocati sul gradino inferiore a reggere le
lampade del Santissimo. L’altare è affiancato da
due coppie di balaustri in alabastro mentre la
mensa è sostenuta da due
angeli in bianco di Car-
rara, opera dello scultore
Luisoni (fig. 16), al centro
del paliotto; a completa-
mento della specchiatura
centrale vi è un’Ultima
Cena, in bronzo (fig. 17).
I salienti che racchiudono
la pala sono ornati con
17
le statue di otto santi e
quattro sante che
hanno maggior-
mente venerato
la Madonna e
sono opera dello
scultore torinese
Vignali, realiz-
zati in legno e
stucco. Le due
fasce laterali han-
no inferiormente
il monogramma
della Vergine in
bronzo dorato su
16
fondo di marmi
pregiati e superiormente, sopra i due finti coretti,
sono scolpiti gli stemmi dei salesiani e delle figlie
di Maria Ausiliatrice.
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I GRANDI AMICI
Arthur J. Lenti
Il teologo Borel
La lapide commemorativa
nell’Oratorio di Valdocco così
recita: «Teologo G. Battista
Borel – insigne cooperatore
e benefattore – del nascente
Oratorio – ebbe dal Beato
Don Bosco la lode – di amico
intrepido e di sacerdote santo.
Un rarissimo
ritratto di
Giovanni
Battista Borel.
Era piccolo di statura, tanto che lo chiamava-
no “l’ previot”, il pretino. Ma a Torino tutti
gli volevano bene.
A Torino, Giovanni Borel era nato il 1° lu-
glio 1801, in una famiglia profondamente cristiana.
Seguì le scuole primarie quando il Regno Sabaudo
era sotto il regime napoleonico, a sedici anni pre-
se l’abito da chierico e, frequentando la chiesa del
Corpus Domini, la chiesa del Miracolo Eucaristi-
co, conobbe san Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Era universitario quando, nel 1821, scoppiarono i
primi moti risorgimentali. Il 21 maggio 1824 fu
proclamato dottore in teologia, il 18 settembre, a
soli 23 anni, fu ordinato sacerdote e per far pratica
di ministero si iscrisse al biennio di una Conferen-
za Morale. Fu nominato “chierico della cappella
del re”, partecipava così alle accurate funzioni per
Re Carlo Alberto e la Regina Maria Teresa che si
tenevano nella cappella della Sindone o nella cap-
pella di Palazzo Reale. D’umile statura, di belle
maniere, era amato da tutti. Nel 1831 fu promosso
cappellano regio. Dieci anni dopo, però, rinunciò
al prestigioso incarico per appagare maggiormen-
te il proprio zelo sacerdotale. Il suo apostolato si
intrecciò con l’attività dei santi che hanno reso To-
rino famosa nel mondo. Fu amico e collaboratore
del Cottolengo, di don Bosco e di sua mamma, del
B. Marcantonio Durando. Conobbe il B. Federico
Albert, S. Leonardo Murialdo, il B. Michele Rua,
la B. Enrichetta Dominici, S. Domenico Savio, il
B. Francesco Faà di Bruno. Il 29 dicembre 1840
fu nominato direttore spirituale del Rifugio della
Marchesa Giulia di Barolo, una casa di accoglienza
per ex-detenute e ragazze a rischio: fu il più impor-
tante impegno della sua vita. Per anni seguì nume-
rose giovani, alcune delle quali si fecero religiose.
Instancabile
Giovanni Borel fu un sacerdote instancabile: svolse
il suo ministero in conventi, collegi e parrocchie.
Fu impegnato tra i poveri abitanti di Borgo Dora e
nelle “missioni” fuori città, anche d’inverno. Ebbe
una profonda amicizia con S. Giuseppe Cafas-
so, anche don Borel infatti svolse per lunghi anni
assistenza ai carcerati. Faceva loro catechismo e li
confessava, conquistandoli con l’aria gioviale che
lo contraddistingueva. Predicarono insieme, alcune
volte, gli esercizi spirituali: il Cafasso lo conside-
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4.1 Page 31

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rava tra i migliori oratori della
città, le sue omelie erano pro-
fonde ma semplici, se necessa-
rio faceva uso del piemontese.
In Borgo Dora, poco distante
dalle Opere della Marchesa di
Barolo, nel 1832 san Giuseppe
Benedetto Cottolengo fondò
la “Piccola Casa della Divina
Provvidenza”. Borel fu testi-
mone privilegiato della sua isti-
tuzione e vi collaborò per oltre
dieci anni, finché gli impegni
glielo permisero. Le sue testimonianze al processo
di beatificazione del Santo, nel 1866, furono pre-
ziose. Altro suo grande amico fu Giovanni Bosco,
fin dai tempi del seminario di Chieri quando Borel
andò a predicarvi gli esercizi spirituali. Era l’autun-
no 1837, don Bosco annotò: «Dal primo momento
che ho conosciuto il teologo Borel ho sempre osser-
vato in lui un santo sacerdote, un modello degno
di ammirazione e di essere imitato. Ogni volta che
poteva trattenermi con lui aveva sempre lezioni di
zelo sacerdotale, sempre buoni consigli, eccitamen-
ti al bene».
Don Bosco grazie al Cafasso e a Borel, nell’autun-
no 1844, fu assunto come cappellano per l’erigendo
Ospedaletto di S. Filomena. Don Bosco ebbe per
alloggio una camera a fianco di quella di Borel.
Il Santo pensò di radunarvi i
ragazzi che in San Francesco
non poteva più accogliere: la
domenica il giardino del Rifu-
gio venne festosamente invaso
da tanti giovani, ma non era
lo spazio adatto. Si trasferi-
rono provvisoriamente presso
la cappella di San Martino ai
Molini dove don Bosco conob-
be Michelino Rua, un ragazzo
di otto anni che sarebbe stato
il suo successore. San Giovanni
Bosco cessò d’essere cappellano dell’Ospedaletto
di S. Filomena, Giulia di Barolo però negli anni
non mancò di fargli pervenire generose offerte per
la sua opera.
La Pasqua del 1846 fu memorabile: don Bosco poté
festeggiarla con i suoi ragazzi tra i prati di Valdoc-
co dove gli era stata offerta in affitto la tettoia Pi-
nardi. Borel stipulò il contratto assumendosene la
responsabilità.
Con i birilli in piazza
Nel luglio 1846 don Bosco cadde gravemente am-
malato e tornò ai Becchi, tra le natie colline asti-
giane, lasciando tutto nelle mani di don Borel che
lo sostituì nella direzione dell’oratorio. Al suo ritor-
no, in autunno, trovò tanti nuovi ragazzi che poté
aiutare grazie alle generose offerte del Cafasso e di
Borel. In novembre si trasferì a Valdocco Mamma
Margherita che trovò in quest’ultimo il suo padre
spirituale. Molte volte don Borel giocava ai birilli
sul piazzale di Valdocco e con qualche espediente
faceva in modo che i ragazzi varcassero il cancello
affinché don Bosco li avvicinasse.
Carissimo per le sue rare qualità a monsignor
Fransoni, arcivescovo di Torino, era stato da que-
sti prescelto all’ufficio di direttore spirituale nelle
istituzioni fondate dalla Marchesa Barolo, e fu ap-
punto a lui che si rivolse il Cafasso perché volesse
accettare presso di sé, nella Pia Opera del Rifugio,
La lapide
voluta da don
Bosco che
definisce il
teologo Borel
“grande amico
e sacerdote
santo”.
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4.2 Page 32

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I GRANDI AMICI
don Bosco che, per aver finito ormai gli studi al
Convitto Ecclesiastico, correva pencolo di venir
destinato vice-parroco in qualche parrocchia con
rovina dell’Oratorio festivo che egli aveva così bene
avviato nella chiesa di San Francesco d’Assisi.
Quanti ricordi del teologo Borel potrebbe rievocare
la cappella Pinardi, dov’egli teneva quelle sue istru-
zioni piene di brio, con cui incatenava l’attenzione
del suo irrequieto uditorio! Egli, che vedeva cre-
scere ogni domenica le falangi giovanili nelle adia-
cenze di casa Pinardi, fu il primo ad approvare il
progetto della fondazione del secondo Oratorio di
San Luigi a Porta Nuova, e fu pure il primo ad ave-
re le intime confidenze di don Bosco sull’avvenire
dell’opera sua: per questo egli rimase fedele a lui
in quel memorabile 1848 quando tutti gli altri lo
avevano abbandonato.
«Cipollae cipollarum!»
Lo zelo del teologo Borel si spingeva più oltre. «Vi-
veva parcamente. Gli faceva la cucina un servitore
bramoso di studiare da prete: appunto per secon-
darne il desiderio egli l’aveva preso con sé, nascon-
dendo la propria carità sotto quell’insignificante
servigio e mandandolo alle scuole dell’Oratorio.
Orbene, una veneranda suora delle Maddalene,
diceva che talvolta le suore domandavano al buon
uomo che cosa avesse ordinato per pranzo il suo
padrone, e quegli invariabilmente rispondeva: – Ci-
pollae cipollarum! – Un giorno costui si azzardò a
muovergli qualche osservazione su tanta parsimo-
nia di mensa, e il virtuoso sacerdote: «Quanto più
si risparmia a tavola, disse, tanto più si può aiutare
don Bosco!».
Quanto amasse don Bosco lo dimostrò la sera del 25
marzo del 1869. Don Bosco tornava da Roma dopo
lunga assenza. Il teologo Borel, gravemente infermo
nell’ospizio del Rifugio, sentendo nell’Oratorio il
suono della banda e gli evviva e i battimani, capì che
era arrivato don Bosco e profittando del momento
che chi lo custodiva l’aveva lasciato solo, balzò dal
letto, si vestì, scese le scale tenendosi alle pareti e ap-
poggiandosi ad un bastone, uscì dal Rifugio, percor-
se il tratto di via Cottolengo ed entrò nell’Oratorio.
Attraversato a stento e barcollando il cortile, giunse
sotto i portici mentre don Bosco, attorniato da tutti
ì giovani, metteva il piede sul primo gradino della
scala che conduceva alle sue camere.
«Oh don Bosco! Oh don Bosco!» si sforzava di gri-
dare con voce fioca il teologo. I giovani fecero largo.
«Oh teologo!» rispose don Bosco vol-
tandosi prontamente.
«La Pia Società è approvata?»
«Sì, è approvata!»
«Deo gratias! Ora muoio contento!»
Non aggiunse parola, ma, voltandosi,
tornò com’era venuto, rientrò in casa
sua e si rimise a letto.
Ben presto riprese a deperire e la sera
del 9 settembre del 1873 rese la sua
bell’anima a Dio.
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Quanti ricordi del teologo Borel potrebbe
rievocare la cappella Pinardi, dov‘egli
teneva quelle sue istruzioni piene di brio,
con cui incatenava l‘attenzione del suo
irrequieto uditorio!

4.3 Page 33

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I NOSTRI LIBRI
Giuseppe Costa
Girovagando tra cronache ed eventi.
Quarant’anni di giornalismo Nemapress Edizioni
73 articoli sui temi più svariati – reportage, brevi saggi, vere e
proprie cronache – che presentano nitidamente la professione, o
meglio ancora, la missione, del giornalista. Questo è il contenuto
del libro “Girovagando tra cronache ed eventi. Quarant’anni di
giornalismo”, di don Giuseppe Costa, SDB, salesiano sacerdote,
giornalista, editore e co-portavoce della Congregazione Salesiana.
colonnino_Layout 1 28/08/2022 12:12 Pagina
Bruno Ferrero
25 storie di Natale + una
Elledici
Le storie di questo libro illustrato, una per ogni giorno a
partire dal primo dicembre, servono per donare ai bambini,
e a coloro che lo sono rimasti dentro, la gioia e il mistero che
circondano l’evento più grande e importante della storia. Non
hanno bisogno di spiegazioni: molte di esse meritano soltanto
il silenzio e il rispetto del segreto che ciascuno degli ascoltatori
sente dentro di sé.
Bruno Ferrero Anna Peiretti
La famiglia raccontata ai bambini
Elledici
Con la garanzia di due affermati autori di libri di successo nel
campo della catechesi e dell’educazione. Piacevoli racconti,
brevi riflessioni, semplici preghiere da leggere in famiglia
e un linguaggio comprensibile e immediato, per analizzare
vari aspetti della vita familiare e i suoi protagonisti principali:
mamma, papà, nonni, fratelli… Alla base di tutto, un grande
messaggio: la pace, l’armonia, la serenità, derivano dall’impe-
gno di tutti a coltivare un unico valore: l’amore.
Bruno Ferrero Anna Peiretti
L’alfabeto dello Spirito
raccontato ai bambini
Elledici
Questo libro propone un cammino alla scoperta di segni,
oggetti e gesti che rendono la chiesa un luogo di vita e di
fede, sempre attuale. L’acqua, la luce, la cenere, l’olio, i colori
liturgici, l’incenso, gli anelli… ogni oggetto è visto e analizzato
in tutti i suoi aspetti, a partire da quelli più naturali e semplici,
per aiutare i ragazzi a vederli e interpretarli come simboli
parlanti dell’incontro tra l’uomo e Dio.
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DICEMBRE 2022
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Le malattie dell’educazione 10
La frenesia
Oggi si impone la “filosofia
dell’acceleratore”: lavoriamo,
mangiamo, guadagniamo e
spendiamo talmente di corsa
che tutto ci scorre addosso
senza sapore e senza difesa.
È una malattia pericolosa e fatale.
Un giornalista un giorno intervistò un uomo
ormai adulto: “Qual è il più bel ricordo
che ha dei primi anni della vita?».
L’uomo rispose: “Mi ricordo quando una
sera eravamo soli io e mio padre e mio padre si è
fermato». L’adulto di oggi aveva allora cinque anni.
L’intervistatore proseguì: «Perché si ricorda di
questo?”.
“Perché non pensavo che mio padre si sarebbe
fermato a prendermi le lucciole al bordo della stra-
da, invece si è fermato!”.
I figli si ricordano delle fermate!
La fretta insidia l’educazione. È questo che ci
interessa in modo particolare. Vediamo, dunque, che
gli ambiti nei quali la frenesia attenta l’educazione ci
pare siano, oggi, soprattutto tre.
II primo è quello di portare a scavalcare l’infan-
zia. La frenesia è nemica del verbo ‘aspettare’. Ecco
perché in tempi veloci come i nostri si pensa che
esser bambino sia tempo perso: solo l’adultità ha
valore! Bruciare l’infanzia è scardinare la vita. Lo
affermiamo con la massima tranquillità psicologica
e pedagogica per più ragioni.
Perché il bambino è il padre dell’uomo. Perché pas-
sati i dieci anni è difficile mutar panni. Perché chi
ha piantato un cardo non può aspettarsi che nasca
un gelsomino. Perché i primi anni della vita sono
i più sensibili: gli ‘anni fatali’, come dicono alcuni
nipiologi (gli studiosi del lattante).
Lo psicologo statunitense Arnold Gesell non ha
dubbi: “La maturità psicologica che viene raggiunta
nei primi cinque anni di vita è prodigiosa!”. Il mae­
stro Mario Lodi conferma: “Nei primissimi anni
dell’infanzia il bambino impara l’80% di quanto gli
servirà per tutta la vita”.
La psicanalista Alice Miller conclude: “L’opinio-
ne pubblica è ancora ben lontana dall’avere con-
sapevolezza che tutto ciò che capita al bambino
nei primi anni di vita si ripercuote inevitabilmen-
te nella società: psicosi, droga, e criminalità sono
l’espressione cifrata delle primissime esperienze».
Altro che tempo perso, l’infanzia! Essere bambino
è un’occasione unica che non si ripeterà mai più.
Dunque, lasciamo che il bambino sia (non che re-
sti!) bambino.
Lasciamo che giochi, corra, sogni, fantastichi, ri-
fiuti il brodo e vada matto per le patatine fritte, che
pensi di toccare la Luna con il dito, che creda a
Gesù Bambino, a Babbo Natale, che faccia schiz-
zare l’acqua delle pozzanghere, che voglia andare a
pescare quando nevica, che si incanti davanti alle
bollicine di sapone, che calpesti le foglie secche in
autunno, che si imbratti... Un bambino tutto bam-
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DICEMBRE 2022

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bino oggi, sarà un ragazzo tutto ragazzo domani;
un giovane tutto giovane; un adulto tutto adulto!
Paolo Crepet: Se amassimo davvero i nostri figli,
non li costringeremmo a passare le giornate tra scuo-
la, piscina, lezioni di piano, di violino, palestre, corsi
di computer con il solo scopo di annichilirli”.
Il secondo campo in cui la fretta colpisce l’edu-
cazione è quello del privilegiare il pensiero veloce
rispetto al pensiero riflessivo. Il pensiero veloce ha
oggi la massima espressione nel pensiero televisivo:
rapido, pirotecnico, spettinato, secco, frammenta-
to, saltellante; un pensiero che fa venire in mente i
cani dei pastori. Li avete presenti? Se non sono ben
addestrati, appena vien dato il largo alle pecore,
si mettono a rincorrere una pecora, poi l’altra, poi
una terza, senza concludere nulla. Lo stesso avvie-
ne per chi fruisce della televisione: la velocità delle
sequenze non dà tempo per capire, per riflettere:
tutto scorre, senza essere assorbito.
Se il pensiero veloce trionfa in televisione, il pen-
siero riflessivo è protetto dalla lettura. Mentre l’e-
lettronica impone il suo ritmo dall’esterno, senza
che nessuno possa cambiarlo, nella lettura ognuno
può fermarsi quando e quanto vuole, può tornare
indietro per approfondire, sottolineare, ripensare.
Tra il leggere ed il guardare un display vi è la
differenza che c’è tra l’andare a piedi e l’andare in
treno. Chi va in treno ‘guarda’, ma non ‘vede’; chi va
a piedi oltre a ‘guardare’, può anche ‘vedere’ e ‘capire’.
È acuto il proverbio che recita: “In fatto di strada, la
lumaca ne sa più della lepre!”. La frenesia che privile-
gia il pensiero rapido a scapito del pensiero riflessivo,
è la responsabile della presunzione dei tanti che si
illudono di sapere senza conoscere!
Finalmente, il terzo danno che la fretta provoca
all’educazione è il fatto di impedire di logorare le
poltrone di casa.
Danno più grave di quanto non appaia in prima
battuta. La casa che non ha le poltrone logore è
una casa senz’anima! Non avere le poltrone logore
significa che in quella casa si corre sempre, nessuno
si ferma, nessuno trova il tempo di guardare negli
occhi dell’altro, nessuno trova il tempo d’essere fe-
lice! La casa ove le poltrone non sono logore è uno
spogliatoio per cambiare abiti, un dormitorio per
dormire, una trattoria ove si mangia brontolando e
si esce senza aver pagato il conto! La casa ove non vi
sono le poltrone logore è tutto, tranne che famiglia!
Già, proprio a questo può portare la frenesia: alla
distruzione della famiglia! Perché la «famiglia» (da
non confondere con «casa»!) vive di pause. Vive della
pausa della cena consumata tutti insieme; della pau-
sa della chiacchierata; della pausa caffè; della pausa
dell’ascolto; della pausa domenicale; della pausa delle
coccole...
Lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro afferma:
“L’attacco più grande alla famiglia oggi non viene
solo dall’esterno, ma anche dall’interno, dalla fre-
nesia della vita, dalla mancanza di tempo per stare
insieme, ascoltare i figli, parlare”.
DICEMBRE 2022
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Quanto “pesano”
i ricordi?
Tutti i miei ricordi / saranno
la mia schiena contro il
vento; / tutti i miei ricordi
«Iricordi sono il tessuto dell’identità».
Così scriveva ormai diversi anni fa Nel-
son Mandela, riconoscendo esplicita-
mente il valore essenziale della memoria
nella costruzione del sentimento di appartenenza a
/ saranno un’ancora
agganciata al cielo
(Marco Mengoni)
una comunità.
con la trama del passato, quale antidoto efficace
Le sue parole, lungi dall’essere applicabili esclusi- contro il rischio sempre in agguato della “dimenti-
vamente ai popoli, trovano un riscontro tangibile canza di sé” e dello sradicamento.
anche nel vissuto individuale, nella misura in cui I ricordi rappresentano, infatti, un solido anco-
ogni uomo e ogni donna fanno esperienza dell’im- raggio nella nostra storia personale e familiare, un
portanza di tenere bene annodati i fili del presente legame indissolubile con affetti e tradizioni che,
seppure un po’ sbiaditi dall’usura del tempo, ci re-
I miei occhi sono l’unica cosa che intravedi
e sono sufficienti a dirti tanto:
chissà che cosa credi, cosa pensi?
Mentre cammino e non mi vieni incontro,
stituiscono intatte le nostre radici, una mappa delle
strade che abbiamo percorso e delle relazioni che
abbiamo costruito per arrivare ad essere ciò che sia-
mo. Un serbatoio di riferimenti significativi sulle
un punto di domanda sulla mia testa
cui fondamenta poter costruire l’appartenenza a noi
e sul mio percorso:
cosa credi, cosa pensi?
cosa chiedi? Non rispondi più...
Forse io ho troppi strappi ancora da coprire,
forse io sto per tornare al punto di partenza,
se ho messo in pausa la mia vita
era soltanto per capirla,
e non mi importa di star bene...
Ho visto cose per quello che sono davvero,
scambiato spesso acciaio e argento per oro.
stessi.
In questa prospettiva, la dimensione del ricordo
non si riduce a un nostalgico ripiegamento sul pas-
sato, ma diventa un bagaglio prezioso da custodire
e da portare con noi nel cammino della vita, quasi
una riserva energetica da cui trarre risorse utili per
andare avanti nei momenti di disorientamento e in
tutte quelle occasioni in cui ci sentiamo schiacciati
da un presente faticoso e poco gratificante.
Mi chiedo: cosa credi, cosa chiedi?
Non si tratta, tuttavia, di un’operazione semplice o
cosa pensi? Non ci sei più...
Forse io ho fatto viaggi nelle notti insonni,
forse io ho spalle forti, ancora gli occhi stanchi,
se ho chiesto troppo alla mia vita
era soltanto per capirla
e accontentarmi di star bene...
scontata: soprattutto per i giovani adulti, che non
di rado vivono sulla propria pelle la tentazione di
trasformare la memoria in rammarico per la spen-
sieratezza perduta o, al contrario, di rimuovere dal
proprio orizzonte di senso un passato doloroso con
cui non riescono a riconciliarsi.
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DICEMBRE 2022

4.7 Page 37

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Nel percorso verso l’adultità, la dimensione tempo-
rale del passato può, infatti, costituire, più che una
bussola che orienta il cammino, un fardello pesante
che, con le sue delusioni e i suoi traumi, condiziona
le nostre scelte e ci appesantisce il passo, finendo
fatalmente con il fiaccare anche la nostra capacità
di proiettarci verso il futuro. E anche quando rap-
presenta il luogo sereno di un’esistenza vissuta come
dono e non come fatica comporta talvolta la diffi-
coltà di guardare in avanti, prigionieri di un rim-
pianto che ci impedisce di cogliere quel che di posi-
tivo e appagante ogni età della vita ci può regalare.
Di fronte a questi cortocircuiti nel rapporto con il
passato, la soluzione non può essere, tuttavia, una
intenzionale amnesia e la rinuncia a coltivare il va-
lore fondativo della memoria. Senza i nostri ricordi
perdiamo una parte essenziale di noi stessi, un tas-
sello decisivo della nostra storia, i pilastri affettivi
ed esperienziali sui quali abbiamo costruito la no-
stra identità.
Dobbiamo allora allenarci a guardare all’indietro
con amore e indulgenza, a discernere che cosa è
opportuno recuperare e rinnovare e che cosa, in-
vece, possiamo bypassare per evitare che il cam-
mino verso la condizione adulta ne risulti incep-
pato, ma soprattutto a restituire
il giusto “peso” alla nostra
memoria, con la speranza
che essa possa aiutarci a
Tutti i miei ricordi
saranno la mia schiena contro il vento;
tutti i miei ricordi
saranno un’ancora agganciata al cielo.
Tu c’eri quando, tu c’eri quando
correvamo contro il tempo;
ora siamo fuori tempo...
Tutti i miei ricordi
saranno luce sotto un cielo appeso;
tutti i miei ricordi
saranno i tuoi, da te non mi difendo.
Tu c’eri quando, tu c’eri quando
correvamo contro il tempo;
ora siamo fuori tempo...
Prendo un quaderno a quadretti
e coloro caselle come fossero dubbi.
Quante ore passate a togliere
tutti i chiodi dai migliori pensieri andati distrutti:
te li ricordi?
Tutti i miei ricordi
saranno la mia schiena contro il vento;
tutti i miei ricordi
saranno un’ancora agganciata al cielo...
(Marco Mengoni, Tutti i miei ricordi, 2022)
raccordare efficace-
mente il presente
e il passato e, nel
contempo, alimen-
tare anche il senso
del futuro.
DICEMBRE 2022
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
a cura di Francesco Motto e Giorgio Rossi
Il titolo di Basilica
al tempio del S. Cuore di Roma
Veduta
laterale della
Basilica del
Sacro Cuore.
A lla chiusura dell’anno centenario del-
la morte di don Paolo Albera (2021-
2022) – di cui sono appena usciti gli
Atti del Convegno internazionale – è
interessante ricordare come il secondo successore di
don Bosco abbia realizzato quello che si potrebbe
definire un sogno di don Bosco. Difatti trentaquat-
tro anni dopo la consacrazione del tempio del S.
Cuore di Roma, avvenuta presente l’ormai esausto
don Bosco (maggio 1887), papa Benedetto XVI
– il papa della famosa ed inascoltata definizione
della prima guerra mondiale come “inutile strage”
– conferì alla chiesa il titolo di Basilica Minore (11
febbraio 1921). Per la sua costruzione don Bosco
aveva “dato l’anima” (e anche il corpo!) negli ultimi
sette anni di vita. Aveva per altro fatto lo stesso un
ventennio precedente (1865-1868) con la costruzio-
ne della chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino-Val-
docco, prima chiesa salesiana elevata alla dignità di
basilica minore il 28 giugno 1911, presente il neo
rettor Maggiore don Paolo Albera.
Il ritrovamento della supplica
Ma come si è arrivati a questo risultato? Chi ne
è stato all’origine? Ora lo sappiamo con certezza
grazie al recente ritrovamento della minuta datti-
loscritta della richiesta di tale titolo da parte del
Rettor Maggiore don Paolo Albera. È inserita in
un fascicoletto commemorativo del 25° del Sacro
Cuore curato nel 1905 dall’allora direttore don
Francesco Tomasetti (1868-1953). Il dattiloscritto,
datato 17 gennaio 1921, ha minime correzioni del
Rettor Maggiore ma, ciò che è importante, porta la
sua firma autografa.
Dopo aver descritto l’operato di don Bosco e l’atti-
vità incessante della parrocchia, desunte probabil-
mente dal vecchio fascicolo, don Albera si rivolge al
Papa in questi termini:
Mentre la divozione al Sacro Cuore di Gesù va ognor
più crescendo ed estendendosi in tutto il mondo, e sempre
nuovi Templi vanno dedicandosi al Divin Cuore, anche
per nobile iniziativa dei Salesiani, come a S. Paolo nel
Brasile, a La Plata nell’Argentina, a Londra, a Barcello-
na e altrove, pare che il primario Tempio-Santuario de-
dicato al S. Cuore di Gesù in Roma, ove così importante
divozione ha un’affermazione tanto degna dell’Eterna
Città, meriti una speciale distinzione. Il sottoscritto per-
tanto, udito il parere del Consiglio Superiore della Pia
Società Salesiana, supplica umilmente la Santità Vostra
a volersi degnare di accordare al Tempio Santuario del
Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio in Roma il Tito-
lo e i Privilegi di Basilica Minore, ripromettendosi da
tale onorifica elevazione accrescimento di devozione, di
pietà e di ogni attività cattolicamente benefica”.
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DICEMBRE 2022

4.9 Page 39

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La supplica, in bella copia, a firma di don Albera,
venne inviata con ogni probabilità dal procuratore
don Francesco Tomasetti alla Sacra Congregazione
dei Brevi, che la accolse con favore. Stese in tempi
rapidi la minuta del Breve Apostolico da conserva-
re negli Archivi vaticani, la fece trascrivere dagli
esperti calligrafi su ricca pergamena e la passò alla
Segreteria di Stato per la firma del titolare del mo-
mento, cardinal Pietro Gasparri.
Oggi i fedeli possono ammirare ben incorniciato
nella sacrestia della Basilica tale originale della
concessione del titolo richiesto (v. foto).
Non si può che essere riconoscenti alla dott.ssa Pa-
trizia Buccino, cultrice di archeologia e storia, e allo
storico salesiano don Giorgio Rossi, che ne hanno
divulgato la notizia. A loro il compito di portare a
termine l’indagine avviata ricercando negli Archivi
Vaticani l’intero carteggio, da far conoscere anche
al mondo scientifico attraverso la nota rivista di
storia salesiana “Ricerche Storiche Salesiane”.
Sacro Cuore: una basilica
nazionale a raggio internazionale
Ventisei anni prima, il 16 luglio 1885, su richiesta
di don Bosco e con il consenso esplicito di papa
Leo­ne XIII, monsignor Gaetano Alimonda, arci-
vescovo di Torino, aveva calorosamente sollecitato
gli Italiani a partecipare alla riuscita della “nobile
e santa proposta [del nuovo tempio] chiamandola
voto nazionale degli Italiani”.
Ebbene, don Albera nella sua richiesta al ponte-
fice, dopo aver ricordato il pressante appello del
cardinal Alimonda, ricordava che a tutte le nazioni
del mondo era stato chiesto di contribuire economi-
camente alla costruzione, decorazione del tempio
e opere annesse (compreso l’immancabile oratorio
salesiano con tanto di ospizio!) cosicché il Tempio-
Santuario, oltreché voto nazionale, era divenu-
to “manifestazione mondiale o internazionale
della devozione al S. Cuore”.
Al proposito, in uno scritto storico-ascetico edito
in occasione del 1° Centenario della Consacrazione
LA SECONDA BASILICA
In Roma esiste una seconda basilica parrocchiale sale-
siana, più grande e artisticamente più ricca di quella del
Sacro Cuore: è quella di San Giovanni Bosco al Tuscolano,
diventata tale nel 1965, a pochi anni della sua inaugura-
zione (1959). Dove si trova? “Ovviamente” nel Quartiere
Don Bosco (a due passi dai celebri studi di Cinecittà). Se la
statua sul campanile della basilica del Sacro Cuore domina
la piazza della stazione Termini, la cupola della basilica di
don Bosco, di poco inferiore a quella di San Pietro, la guar-
da però frontalmente, sia pure da due punti estremi della
capitale. E siccome non c’è il due senza il tre, a Roma vi è
una terza splendida basilica parrocchiale salesiana: quella
di Santa Maria Ausiliatrice, al quartiere Appio-Tuscolano,
accanto al grande Istituto Pio XI.
della Basilica (1987) lo studioso Armando Pedrini
lo definiva: “Tempio dunque internazionale per la
cattolicità e universalità del suo messaggio a tutte le
genti”, anche in considerazione della “posizione di
primissimo piano” della Basilica attigua alla rico-
nosciuta internazionalità della stazione ferroviaria.
Roma-Termini non è dunque solo una grande sta-
zione ferroviaria con problemi di ordine pubblico
e un territorio difficile da gestire, di cui sovente si
parla sui giornali e come per altro le stazioni fer-
roviarie di moltissime capitali europee. Ma è anche
la sede della Basilica del Sacro Cuore di Gesù. E se
alla sera e alla notte
la zona non trasmette
sicurezza ai turisti, di
giorno la Basilica di-
stribuisce pace e se-
renità ai fedeli che vi
entrano, vi sostano in
preghiera, vi ricevono
i sacramenti.
Se lo ricorderanno i
pellegrini che pas-
seranno dallo scalo
ferroviario di Termini nell’ormai non lontano anno
santo (2025)? Basta che attraversino una strada… e
il Sacro Cuore di Gesù li aspetta.
Oggi i fedeli
possono
ammirare ben
incorniciato
nella sacrestia
l’originale
della
concessione
del titolo di
Basilica alla
chiesa che
tanto era
costata a don
Bosco.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di dicembre preghiamo per la beatificazione
del Venerabile Attilio Giordani, Laico, Salesiano
Cooperatore di cui ricorre il 50° della morte
Attilio Giordani nasce a Milano il
3 febbraio 1913. Si distingue fin
dai primi anni per la sua grande
passione per l’oratorio salesiano
Sant’Agostino e, già sui diciot-
to anni, per la sua dedizione ai
giovani che lo frequentano. Per
decenni è un solerte catechi-
sta ed un animatore costante
e geniale, con tanta semplicità
ed allegria. Cura la liturgia, la
formazione, il gioco, il tempo
libero, le ferie dei suoi giovani,
il teatro. Ama Dio con tutto il
cuore e trova nella vita sacra-
mentale, nella preghiera e nella
direzione spirituale la risorsa per
la vita di grazia. Durante il servi-
zio militare che inizia nel 1934
e termina, con fasi alterne, nel
1945 dimostra senso apostolico
tra i suoi compagni. È impie-
gato nell’industria della Pirelli
a Milano dove pure diffonde
allegria e buon umore, con il
più profondo senso del dovere.
Il 6 maggio 1944 si sposa con
Noemi D’Avanzo. Avranno tre
figli: Piergiorgio, Mariagrazia,
Paola. Nella propria famiglia è
un marito ricco di grande fede
e serenità, un padre amorevo-
le e attento alla vita dei figli, in
una voluta austerità e povertà
evangelica a vantaggio dei più
bisognosi. Ogni giorno è fedele
alla meditazione, all’Eucarestia,
al Rosario ed entra a far parte
dell’Associazione dei Salesiani
Cooperatori. Senza nulla toglie-
re alla famiglia, fa dell’oratorio
la sua seconda famiglia, metten-
do a servizio dei ragazzi la ricca
inventiva ed una straordinaria
arte educativa. Suo capolavoro
pedagogico fu la “Crociata della
bontà”. Attento alle vicende del-
la sua famiglia (i tre figli erano
già in Brasile per un periodo di
volontariato missionario) de-
cide egli stesso, d’accordo con
la moglie Noemi, di partire per
condividere la scelta dei figli
nell’impegno missionario. An-
che in Brasile egli continua ad
essere catechista ed animatore.
Il 18 dicembre 1972 nel corso di
una riunione, mentre sta parlan-
do con entusiasmo e con ardore
del dovere di dare la vita per gli
altri, improvvisamente si sente
venir meno. Fa appena in tempo
a dire al figlio: “Pier Giorgio, ora
continua tu” e muore stroncato
da un infarto. Il suo corpo ripo-
sa nella Basilica di S. Agostino a
Milano. Viene dichiarato Vene-
rabile il 9 ottobre 2013.
Preghiera
Ti rendiamo grazie Padre Santo,
per i doni concessi al tuo servo fedele Attilio Giordani,
padre di famiglia, salesiano cooperatore,
catechista e animatore dell’oratorio, maestro di santità.
Donaci la gioia di vederlo glorificato
come protettore e modello delle nostre famiglie
e dell’apostolato fra i giovani.
Per sua intercessione concedi a noi la grazia
che ti chiediamo con cuore fiducioso.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Quarto meeting di Arcinazzo
Dopo due anni di sosta a motivo del Covid-19, sono ripresi gli
autunnali meeting di Arcinazzo (Roma) del nutrito gruppo
di professionisti (magistrati, medici, ingegneri, avvocati…)
coordinati dal vulcanico exallievo salesiano ingegner Nicola
Barone. Il tema di riflessione del quarto meeting, ospitato
appunto nella casa salesiana dell’altopiano romano il 1° ot-
tobre u.s., è stato offerto dall’enciclica di papa “Francesco
tutti” sulla fraternità e l’amicizia sociale. Nella mattinata ha
così avuto luogo la presentazione del documento da parte
del docente della Pontificia Università Salesiana, prof. Paolo
Carlotti, cui è seguita una condivisione di considerazioni
e riflessioni da parte dei presenti. Nella sedu-
ta pomeridiana invece, anche alla luce
della firma del documento sulla fratel-
lanza umana ad Abu Dhabi da papa
Francesco, è stata presentata una
particolare iniziatica ispirata proprio ad una “fratellanza”
universale che diviene azione concreta: si tratta dell’Asso-
ciazione Bambino Gesù del Cairo impegnata da tempo nella
costruzione di un orfanotrofio e di un ospedale pediatrico
della nuova capitale egiziana, con l’assistenza specialistica
dall’analogo ospedale di Roma. Il gruppo di professionisti
si era anche incontrato il 18 luglio precedente per la visita
alla Basilica di don Bosco nell’omonimo quartiere romano,
la presentazione delle case salesiane della città e i festeg-
giamenti per i 45 anni di fedeltà alla propria impresa Sip-
Telecom-Tim a parte del “capogruppo” ingegner Barone.
Fra i tanti messaggi di congratulazioni non
era mancato quello del Rettor Maggiore,
don Ángel Fernández Artime e dell’E-
parca di Lungro (CS) monsignor Do-
nato Oliverio.
40
DICEMBRE 2022

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Raffaele Antonelli
Don Giuseppe Valente
Morto a Buen Retiro-Santa Cruz-Bolivia,
il 4 ottobre 2014, a 80 anni
Il giorno dell‘apoteosi è stata
la prima domenica di ottobre,
quando migliaia di persone,
allertate da stampa, radio e
televisione, si sono riversate
in chiesa, per dare l‘addio alle
spoglie di don Valente.
Nel piccolo paese chiamato
“Povolaro Due Ville”, in provin-
cia di Vicenza, nel 1934 nasce
Giuseppe, il quarto di sette
figli, quattro maschi e tre fem-
mine, in una famiglia semplice
e piena di donne e di amore per
Dio e per la Vergine Maria.
Nel paese erano numerose le
vocazioni alla vita religiosa. Se
qualcuno chiedeva al piccolo
Giuseppe che cosa volesse
fare da grande, lui rispondeva
«essere un prete!» Ordinato sa-
cerdote l‘8 aprile 1963, padre
Valente ricorderà spesso que-
sta data e la celebrerà sempre
come il ricordo più bello della
sua vita. Nella malattia finale
ringraziando Dio ha esclamato:
“Il sacerdozio è stato il miglior
dono che il Signore mi ha fatto
nella mia vita!»
Per dieci anni è stato tra gli
aspiranti alla vita salesiana a
Castello di Gódego. Qui è stato
un abile economo e insegnan-
te. In seguito, ha trascorso cin-
que anni nel Collegio Astori di
Mogliano Veneto-Treviso.
Nell’Ispettoria salesiana della
Bolivia intanto il direttore del-
la casa di San Carlos, don Tito
Solari, fu eletto provinciale.
L’Ispettoria del Veneto “gemel-
lata” con la Bolivia pensò di
sostituirlo con padre Valente.
Immediatamente – uomo di-
sponibile e generoso – obbedì.
Fece le valigie e disse addio alla
sua gente. Rimarrà in Bolivia
33 anni. Nello stesso anno, il
1981, lo troviamo nella comu-
nità di San Carlos in Bolivia,
dove iniziò subito la sua attività
apostolica e missionaria, che
gli diede un respiro apostolico
molto più ampio. Nuova realtà,
nuova lingua, nuovi costumi,
nuove persone, nuova cultu-
ra... tutto. Cominciò come par-
roco al Buen Retiro.
Don Valente viene anche ricor-
dato come un imprenditore
geniale. Lo confermano le nu-
merose opere che in Bolivia ha
saputo ideare e realizzare, dimo-
strando di possedere un grande
spirito di iniziativa, una buona
dose di coraggio, una forte de-
terminazione e, evidentemente,
una spregiudicata confidenza
nella divina provvidenza.
Il suo grande cuore individuò
subito molti fronti su cui impe-
gnarsi: sostenere le scuole; or-
ganizzare centri religiosi nelle
zone più popolate, dove costruì
cappelle, organizzare la forma-
zione per i sacramenti, corsi di
religione nelle scuole. E natu-
ralmente la necessità di visita-
re le comunità in luoghi remoti
e molte altre attività urgenti da
svolgere. Si prese a cuore l’am-
ministrazione dell‘Ospedale
“Ichilo”. Procurò nuove attrez-
zature per moderni servizi me-
dici, andò alla ricerca di denaro
per coprire i costi dei malati,
che ricordano la sua dedizione,
il suo lavoro e la sua creatività.
Ideò la fabbrica “Confecciones
La Guayaba” per le ragazze
bisognose della zona, cercò
“padrini” italiani per i bambini
poveri boliviani. Grazie al suo
dinamismo fu nominato anche
economo dell’Ispettoria.
Durante uno dei suoi viaggi in
Italia, gli capitò di arrivare a To-
rino, proprio quando la “Sacra
Sindone” era esposta alla devo-
zione dei fedeli. Incoraggiato
da un buon impulso apostolico,
acquistò una rappresentazione
delle stesse dimensioni dell‘o-
riginale. La pose nel tempio
del Divino Bambino. E a tutti
spiegava che la devozione del
Bambino Divino ha il suo punto
di arrivo nel Cristo morto.
Lo ricordano ancora in tanti.
Uno che l’ha conosciuto bene
attesta: «Chi era veramente
don Valente? Forse, un uomo
senza tempo e senza età, che a
42 anni, nonostante l’impegno
dell’insegnamento e l’attività
sacerdotale, è stato capace di
laurearsi in lettere a Padova e
che, cinque anni dopo, a quasi
cinquant’anni d’età, ha saputo
dare una svolta significativa alla
propria esistenza, accettando di
fare il missionario in Bolivia».
E ancora: «Ma non ci si può li-
mitare a dire che don Valente
è stato un buon imprenditore,
perché p. Josè Valente è stato
prima di tutto un prete, e con-
vinto per giunta, oltre che di
“sicura formazione spirituale”,
come lo avevano valutato i suoi
superiori, quando era ancora
studente di teologia. Nella Car-
ta mortuoria, viene evidenziato
con quanta fede don Giuseppe
abbia vissuto la propria vita,
sfociata nella esaltante “Devo-
zione al Divino Nino”, e quan-
ta fiducia egli abbia riposto in
Dio, soprattutto negli ultimi
mesi della sua esistenza, quan-
do spesso ripeteva: “Sono nelle
mani di Dio. Egli mi ama. Ma
quanto ci ama il Signore.”
Quando suor Maria Vargas affer-
ma che “padre Valente non mi-
surava il tempo della celebrazio-
ne eucaristica. Si concentrava su
ciò che stava celebrando”, credo
che essa abbia saputo cogliere
la sua vera essenza.
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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
Parole di 3 lettere: Cat, Che, Don,
Tom, Top.
Parole di 4 lettere: Aria, Coop, Iper,
Lari, Leso, Ring, Test.
Parole di 5 lettere: Gleba, Orata,
Ossia, Stein, Zorro.
Parole di 6 lettere: Impero, Ossidi,
Suarez.
Parole di 7 lettere: Etrusco,
Ginseng, Kiloton, Strappo.
Parole di 8 lettere: Opulenza,
Uppercut.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto
in basso, compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle
caselle gialle le parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero.
? Parole di 10 lettere: Culturista,
Gorgonzola, Isolamento.
Parole di 11 lettere: Sottocodice.
Parole di 15 lettere:
?
La soluzione nel prossimo numero.
Accompagnamento.
L’INFORMAZIONE CHE UNISCE
Don Bosco aveva capito qual era la natura della società industriale, che comunqe criticava e osteg-
giava. Aveva inventato l’Oratorio proprio a misura di città moderna ma il cui fulcro erano le scuole,
integrate in un perfetto e funzionale sistema con i laboratori che insegnavano i mestieri, con il
tempo libero, lo sport e la religione. Questa sua “invenzione” fu un capolavoro di comunicazione,
che attraeva, insegnava, arricchiva e coltivava animi e anime. Ma, come sappiamo, don Bosco
scriveva, e molto, libri e saggi. E quando i tempi furono maturi, sentì immediata la necessità di
raggiungere tutti i salesiani, cooperatori e sacerdoti, anche in luoghi lontanissimi con la parola
scritta, con un Bollettino che doveva diffondere la conoscenza dello spirito e dell’azione salesiana,
interessarsi ai problemi dei giovani, incoraggiare la collaborazione e dare quel senso di unità a
chi lo leggeva dei vari gruppi della grande famiglia salesiana. Questo “bollettino”, il cui primo
numero ufficiale fu pubblicato nell’agosto del 1877, fu ideato e preparato dal Santo stesso che ne
fu anche il primo Direttore. La pubblicazione si apriva con una lettera di don Bosco «Ai Cooperatori
Salesiani» e nel regolamento scrisse: “Ogni mese con un Bollettino o foglietto a stampa, si darà ai
soci un ragguaglio delle cose proposte, fatte o che si propongono a farsi”. Al
Soluzione del numero di ottobre suo Consiglio della Congregazione, don Bosco parlò del “Bollettino Salesiano
come di un XXX per i miei scopi”, ossia conseguire la gloria di Dio. Nel 1879
è stato pubblicato per la prima volta in lingua francese e nel 1881 a Buenos
Aires fu pubblicato il primo “Boletín Salesiano”, in lingua spagnola. Oggi è
presente in tutti e 5 i continenti, con 59 sedi in tutto il mondo ed è edito in
29 lingue diverse ed è distribuito in 131 nazioni. Dopo don Bosco si sono
succeduti altri 15 direttori incluso quello attualmente in carica.
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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
L’arancia dell’orfano
U n anziano e ricco signore inglese racconta:
«Avevo perso i miei genitori da ragazzo e
all’età di nove anni ero stato mandato in
perché non si aprisse. Che cosa era successo?
Dieci ragazzi si erano riuniti in cortile e avevano
deciso che anch’io dovevo avere la mia arancia per
un orfanotrofio vicino a Londra.
Natale. Ognuno di essi aveva tolto uno spicchio
Sembrava una prigione. Dovevamo lavorare 14 ore dalla sua arancia e i dieci spicchi erano stati ac-
al giorno, in giardino, in cucina, nelle stalle, nei curatamente messi insieme per creare una nuova,
campi.
rotonda e delicata arancia.
Così tutti i giorni. C’era un solo giorno di festa: Quell’arancia è stato il più bel regalo di Natale
il giorno di Natale. L’unico giorno in cui ogni ra- della mia vita.
gazzo riceveva un regalo: un’arancia. Niente dolci. Mi ha insegnato quanto
Niente giocattoli. Per di più l’arancia veniva data può essere confortante
solo a chi non aveva fatto nulla di male durante la vera amicizia». 
?
l’anno ed era sempre stato obbediente. Questa
arancia a Natale rappresentava il desiderio dell’an-
no intero.
Ricordo il mio primo Natale all’orfanotrofio. Ero
tristissimo. Mentre gli altri ragazzi passavano
accanto al direttore dell’orfanotrofio e tutti riceve-
vano la loro arancia, io dovevo stare in un angolo
del dormitorio. Questa era la mia punizione per
aver voluto scappare dall’orfanotrofio, un giorno
d’estate.
Finita la distribuzione dei regali, gli altri ragazzi
andarono a giocare in cortile.
Io dovevo stare in dormitorio tutto il giorno. Pian-
gevo e mi vergognavo. Mi ero messo una coperta
fin sulla testa e stavo rannicchiato là sotto.
Dopo un po’ sentii dei passi nella stanza. Una
mano tirò via la coperta. Guardai. Un ragazzino di
nome William stava in piedi davanti al mio letto,
aveva un’arancia nella mano destra e me la tendeva
sorridendo. Non capivo. Le arance erano contate,
da dove poteva essere arrivata un’arancia in più?
Guardai William e il frutto e improvvisamente
mi resi conto che l’arancia era già stata sbucciata e,
guardando più da vicino, tutto mi divenne chiaro.
Sapevo che dovevo stringere bene quell’arancia
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Con i l o occhi
vedrai il FUTURO.
Un lascito è un gesto d'am e
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