Bollettino_Salesiano_202111

Bollettino_Salesiano_202111

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Le case
di don Bosco
Macerata
L’invitato
Jean Paul
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
DICEMBRE 2021
Tempo
dello spirito
Mocellin

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Il Natale del 1842
S
ibilava un vento gelido nelle
strade di Torino nel dicem­
bre del 1842. Don Bosco
non lo sapeva, ma stava nascendo il
suo Oratorio. Era studente al
Convitto, in una via nobile del
centro città, ma ormai il suo cuore
era tutto dedito ai ragazzi carcerati,
poveri e sbandati che riusciva a
radunare tutte le volte che poteva.
Don Bosco cercava ogni mezzo per
rendere più amene che poteva le
radunanze domenicali.
Egli sapeva suonare discretamente
l’organo ed il pianoforte.
Avvicinandosi pertanto la festa del
Santo Natale, volle preparare una
canzoncina in lode di Gesù Bambino.
La poesia fu composta e scritta sul
davanzale di un coretto della Chiesa
di S. Francesco. Esso stesso la
mise in musica. Ecco i versi:
Ah! si canti in suon di giubilo,
Ah! si canti in suon d’amor.
O fedeli, è nato il tenero
Nostro Dio Salvator.
Oh come accesa splende ogni stella
La luna mostrasi lucente e bella
E delle tenebre squarciasi il vel.
Schiere serafiche, che il ciel disserra
Gridan con giubilo: sia pace in terra!
Altre rispondono: sia gloria in ciel!
La musica non era secondo le regole
del contrappunto, ma riusciva così
affettuosa da strappare le lacri­
me. La fatica più dura era farla
imparare a quei ragazzetti, privi
di ogni istruzione e ignari di canto
corale e di gentilezza con la melodia.
Nonostante le pazienti indicazioni
che don Bosco dava loro, stavano let­
teralmente maltrattando le note della
composizione. E non finisce qui. Il
luogo delle prove non era nemme­
no una chiesa. Stavano cantando e
provando mentre passeggiavano per
le vie del centro di Torino.
I passanti guardavano stupiti quel
sacerdote che, tra risate e burle, ripe­
teva il ritornello: “Ah! si canti in suon
d’amor. O fedeli, è nato il tenero Nostro
Dio Salvator”.
La solita perseveranza di don Bosco
superò ogni ostacolo.
E arrivò il giorno di Natale. Con
tutto il suo coraggio e la sua faccia
tosta, don Bosco portò i suoi ragaz­
zi nella chiesa della Consolata, la
chiesa più importante che in quel
momento c’era a Torino.
Li fece salire piano piano sul coro
e qui successe una cosa del tutto
inaspettata. Quei ragazzi, dopo aver
spolverato con attenzione le proprie
giacche sgualcite, con in mano i
loro cappelli da manovali, stavano
cercando di mantenere calmi i nervi
e dall’alto guardavano con un po’
di apprensione la chiesa affollata di
gente manierosa ed elegante. Don
Bosco sedeva all’organo. Finita la
comunione, guardò i ragazzi, fece un
piccolo sorriso di complicità, alzò le
braccia e iniziò ad appoggiare le dita
sui tasti dell’organo.
I ragazzi iniziarono quindi a canta­
re. Temendo il peggio, don Bosco
chiuse gli occhi. Sbagliava. Le voci
di quei ragazzi s’innalzarono chiare
e sicure e si potevano capire tutte
quante le parole.
I Torinesi, non assuefatti allora ad
udire in orchestra le voci bianche
dei fanciulli ne furono entusiasmati,
poiché solo i maestri, colle loro voci
robuste e talvolta poco simpatiche, a
quei tempi cantavano nelle funzioni
di Chiesa.
I fedeli che assistevano alla messa
si voltarono, stupiti, verso il coro. E
negli occhi di alcuni di loro fiorirono
le lacrime. Quei ragazzi, con le loro
voci, avevano fatto qualcosa di più di
un semplice canto di Natale.
LA STORIA
La storia è raccontata nel volume
secondo delle Memorie Biografiche
a pagina 129.
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DICEMBRE 2021

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Le case
di don Bosco
Macerata
L’invitato
Jean Paul
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
DICEMBRE 2021
Tempo
dello spirito
Mocellin
DICEMBRE 2021
ANNO CXLV
NUMERO 11
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: È così bello aspettare Qualcuno!
(Foto di Kichigin/ Shutterstock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Il cuore salesiano del Brasile
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 SENZA CONFINI
Malta
16 IN PRIMA LINEA
Innocenti nell’inferno
20 LE CASE DI DON BOSCO
Macerata
24 FMA
Una Madre Chiara
26 L’INVITATO
Jean Paul, Salesiano in Burundi
30 LA FAMIGLIA SALESIANA
Carlo Gastini
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Charles Cini, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, Carmen Laval,
Cesare Lo Monaco, Alberto Lopez,
Alessandra Mastrodonato, Francesco
Motto, Pino Pellegrino, Giampietro
Pettenon, O. Pori Mecoi, Sergio Rodri-
guez Lopez-Ros, Federica Spalletti,
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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livello internazionale che tutelano le foreste, l’ambiente
e i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
“Lasciamoci sorprendere
dal sorriso di Dio”
Shutterstock.com
V i mando il mio affettuoso saluto, amici
lettori del Bollettino Salesiano, con il
messaggio racchiuso nel titolo di questa
pagina, di cui non sono io l’autore. È
stato papa Francesco che, nel Natale dello scorso
anno, nel fare gli auguri alle famiglie del personale
della Città del Vaticano, ha scelto come messaggio
la realtà del sorriso. Così importante in questo tem­
po in cui spesso è assente, perché è assente anche
l’accoglienza umana e rispettosa.
Rifletto spesso su questa realtà sorprendente: sia­
mo consapevoli come umanità che l’affabilità, il
comportamento rispettoso, i segni di dolcezza e
attenzione, le espressioni di fraternità e solidarie­
tà, l’Amore vissuto nei diversi ambiti della nostra
vita ci riempiono profondamente il cuore e tuttavia,
socialmente, come gruppi umani, regioni, nazioni,
troviamo così difficile realizzarlo, creare comunio­
ne tra i popoli, unire le forze che contribuiscono a
renderci più umani.
Ma questo non accade solo nelle questioni della
‘grande politica’ o della ‘macroeconomia’, con in­
teressi spesso contrastanti, ma sovente anche tra
famiglie, tra fratelli, tra parenti...
Tutti sappiamo che è così.
Ebbene, pur riconoscendo questa realtà, il Natale,
la Nascita di Nostro Signore Gesù Cristo, il Figlio
di Dio, ci ricorda che la Salvezza ci è stata data, ci è
stata data in dono, e dobbiamo continuare a costrui­
re un mondo dove Dio sia sempre più presente e ci
circondi con il suo Amore. Certo, a volte è difficile
per noi, perché se c’è una cosa che abbiamo, è la pie­
na libertà di fare e disfare, di costruire e demolire,
di aggiungere e sottrarre, ed è così che ci stiamo fa­
cendo strada verso un’Umanità migliore, ma a volte
ci sembra di fare anche molti passi indietro.
Vi auguro per questo Natale, in cui stiamo impa­
rando a convivere con la minacciosa presenza del
Covid, di non rinunciare a lasciarci sorprendere dal
sorriso di Dio, che si traduce in tante cose semplici.
Un esempio meravigliosamente umano è il nostro
atteggiamento davanti ad un bambino: quando
sboccia il suo sorriso rimaniamo incantati e sentia­
mo una forte emozione per quel segno di bellezza
e innocenza.
Gesù, dice papa Francesco, “è il sorriso di Dio”, per­
ché è venuto a comunicarci l’amore del Padre. Il suo
messaggio fu accolto da Maria e Giuseppe, che ri­
conobbero nel suo sorriso la misericordia di Dio per
loro e per tutti coloro che aspettavano il Messia.
E noi, in questo Natale, davanti al Figlio di Dio
che nasce uomo, possiamo sentire che in Lui Dio
ci sorride e sorride a tutti i poveri della terra, a tut­
ti coloro che aspettano la salvezza, che aspettano
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un mondo più fraterno, un mondo dove le guerre e
la violenza siano superate, dove ogni uomo e ogni
donna possano vivere nella loro dignità di figli e
figlie di Dio.
Un tappeto a Valdocco
Ho nel cuore un’immagine serena che qualche set­
timana fa mi ha colpito al cuore. Ero a Valdocco,
ed erano le tre del pomeriggio. Stavo attraversando
il cortile e un’ombra discreta ha attirato la mia at­
tenzione. Ho guardato più da vicino e ho visto che
era un giovane che sotto il piccolo portico sotto le
camere di don Bosco stava pregando. Era musul­
mano: aveva steso il suo tappeto sul pavimento e,
rivolto verso la Mecca, si inginocchiava e si alzava
in piedi, secondo il rito della sua religione.
Non comunicava con il ‘suo Dio’, ma con l’Unico
Dio, nel modo e nella maniera in cui la sua fede lo
esprime. Era molto concentrato nella
sua preghiera e non si preoccupava
di chi passava e sicuramente non si
accorse che io, senza disturbarlo e
con molto rispetto, lo stavo guar­
dando.
Per caso, in quel momento ero appena
uscito dalla cappella Pinardi dove
il Santissimo Sacramento, il
Signore Gesù presente
nell’Eucaristia, è esposto
durante tutta la gior­
nata, e mi sembrava
bello che Valdocco e lo stesso portico dove don Bo­
sco era stato tante volte con i suoi ragazzi e dove ave­
vano pregato insieme, fosse il portico che raccoglieva
e ospitava la preghiera di quel giovane musulmano.
Perché il sorriso di Dio è un sorriso per tutti i suoi
figli e figlie in questo nostro mondo. Siamo tutti
frutto del suo Amore e della sua Creazione.
E proprio come il portico di Valdocco, le case sale­
siane di tutto il mondo accolgono ogni giorno deci­
ne di migliaia di ragazzi, ragazze e giovani di tutte
le religioni perché lì, nella casa salesiana, si prepa­
rano alla vita, crescendo in Umanità e anche nella
Fede, certamente vissuta ed espressa nella loro re­
ligione familiare, tribale o etnica, ma sempre come
figli e figlie dell’unico Dio.
Per questo, cari amici, vi dono i miei auguri di Na­
tale con tutta l’umanità e la fede di cui sono capace.
E continuo ad invitarvi tutti ad essere tra coloro
che credono che il mondo ha bisogno del nostro
piccolo contributo per un’Umanità che sia più
simile al sogno di Dio per noi.
Vi auguro un Santo Natale e faccio miei gli
auguri del Papa:
«Portate questo augurio ai vostri cari a casa,
specialmente ai malati e agli an-
ziani: che possano senti-
re la carezza del vostro
sorriso. Ogni sorriso è
una carezza. Sorridere
è accarezzare; accarez-
zare con il cuore, acca-
rezzare con l’anima.
E rimaniamo uniti
nella preghiera».
Dio vi benedica e
possiate avere un
santo e bellissi­
mo Natale.
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DON BOSCO NEL MONDO
Giampietro Pettenon
Il cuore salesiano
del Brasile
Oggi, in Brasile, i salesiani sono
una vera “potenza” educativa e
pastorale. Gestiscono una rete di
centinaia di scuole e opere sociali
a favore dei ragazzi più poveri,
che soprattutto in queste terre
non mancano.
gnor Lasagna – salesiano missionario in Argentina
– divenuto poi vescovo in quelle terre, fonderà la
prima opera in Brasile a Rio de Janeiro.
Ora in Brasile i salesiani sono una vera “potenza”
educativa e pastorale. Gestiscono una rete di centi­
naia di scuole e opere sociali a favore dei ragazzi più
poveri, che soprattutto in queste terre non manca­
no. Sono proprio i ragazzi più poveri economica­
mente, affettivamente, culturalmente che danno
senso alla presenza dei figli di don Bosco in questo
grande paese. E l’affetto dei giovani brasiliani per
don Bosco è davvero grande e si tocca con mano.
Don Bosco è per loro “padre” che offre una casa
e affetto a chi non ne ha, e “maestro” che educa a
diventare onesti cittadini e buoni cristiani.
Brasilia, la capitale del Brasile, è stata sognata
da don Bosco cent’anni prima che venisse
fondata. Ne parla in un suo sogno missiona­
rio assai singolare perché egli racconta che
gli sembrava di sorvolare a volo d’uccello tutta l’A­
Antonia, una giovane mamma
Un’altra esperienza molto bella l’abbiamo incontra­
ta nella periferia di Cruzeiro do Sul, una cittadina
nell’estrema parte occidentale del Paese, a pochi
merica Latina e ad un certo punto indica in modo chilometri dal Perù.
preciso le coordinate di posizione dove sarebbe poi
sorta la nuova capitale del Brasile, solo negli anni
’60 del ventesimo secolo. I fondatori della città ten­
nero conto di questa predizione del santo dei giova­
ni e proclamarono san Giovanni Bosco compatrono
della capitale, assieme alla Vergine Aparecida.
I salesiani vi sono arrivati assieme ai primi abitanti
proprio quando si costruivano le strade e le prime
case di quella che doveva diventare la nuova capi­
tale politico-amministrativa del Brasile. Abbiamo
due scuole con annessa la parrocchia. L’opera più
grande è gestita insieme alle suore salesiane, le Fi­
La magnifica
cattedrale
di Brasilia.
Nell’angolo a
sinistra c’è il
monumento
di don Bosco.
glie di Maria Ausiliatrice, e in essa vi è anche un
bellissimo santuario dedicato al compatrono della
città, il santo dei giovani, don Bosco.
La presenza salesiana in Brasile però è molto an­
tica. Con don Bosco ancora vivo, nel 1883 monsi­
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Molti quartieri fatti di baracche di legno con il
tetto in lamiera sorgono lungo l’alveo del grande
fiume Jurua, che attraversa la città. Queste case di
legno in realtà sono palafitte costruite su alti pali
perché quando viene la stagione delle piogge e il
fiume va in piena, tutti questi quartieri vengono
allagati, e per mesi non si esce di casa se non con
una barca o camminando su traballanti passerelle.
È una zona pericolosa perché gli abitanti sono sotto il
controllo e la “tutela” della mafia locale che controlla
il traffico di droga che viene dal vicino Perù. La po­
lizia locale in questi quartieri non entra. Ci entrano
però i volontari del Movimento Shalom coor­dinati da
Antonia, una giovane mamma, impiegata di banca,
donna cordiale e decisa, che dedica ogni pomerig­
gio al coordinamento di un piccolo ma significativo
centro di aggregazione post scolastica per bambini e
ragazzi dai sei ai dodici anni. In questa casa intito­
lata a Madre Teresa una cinquantina di piccoli tro­
vano educatori (tutti volontari) che li aiutano a fare
i compiti, danno ripetizioni ai più fragili e a tutti
una bella ed abbondante merenda a fine giornata,
che per molti di loro è anche l’unica cena che fanno.
Il vescovo salesiano, appena arrivato nella sua nuova
diocesi, si è reso conto che c’era bisogno di qualcu­
no che prendesse a cuore il futuro dei giovani in via
preventiva, così da evitare esperienze fallimentari e
cadute in vizi e pericoli che compromettono il futu­
ro. Ha chiesto quindi aiuto ai salesiani di Manaus.
Ne è nata una collaborazione che sta portando pian
piano il suo frutto: verrà aperta una nuova opera sa­
lesiana con oratorio e centro di formazione profes­
sionale (proprio come la Valdocco di don Bosco dei
primi anni).
È già pronta la casa per la comunità salesiana e una
parte dell’oratorio. Adesso bisogna trovare i fondi
per finanziare il completamento delle strutture ri­
creative del Centro Giovanile e creare, e poi alle­
stire, i laboratori professionali. Per cominciare si è
pensato di avviare dei corsi nel settore dell’alimenta­
zione: panificazione, pasticceria, pizze..., nel settore
della cura della persona: parrucchiera, estetista, co­
smesi... e nel settore degli impianti civili: idraulico,
elettricista, impianti fotovoltaici, condizionamento...
A Cruzeiro
do Sul nei
quartieri
più difficili
si aprono
gli oratori
salesiani.
Porto Velho
La terza tappa del nostro viaggio in Brasile è a Por­
to Velho (Porto Vecchio), al confine con la Bolivia.
Porto Velho è una media città brasiliana che conta
circa cinquecentomila abitanti, fondata all’inizio
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DON BOSCO NEL MONDO
Per i più
piccoli i
Salesiani
hanno da
sempre
un’attenzione
particolare.
del Novecento sulla riva del grande fiume Madeira
come base per la raccolta del caucciù, l’oro bianco
della rivoluzione industriale americana ed europea
perché dal caucciù, tramite il processo di vulcaniz­
zazione, si ottiene la gomma.
Con i raccoglitori di caucciù (siringueiros) in quel­
le terre, nella prima metà del Novecento vi arrivano
anche i salesiani. Fondano un grande collegio, co­
struiscono la cattedrale; sono salesiani i primi vesco­
vi della nascente diocesi. Arrivano anche le Figlie di
Maria Ausiliatrice, le suore salesiane. Porto Velho
diventa una base logistica per i salesiani per andare
lungo il fiume e addentrarsi nella foresta inconta­
minata per incontrare le popolazioni indigene della
zona. La presenza salesiana è apprezzata e i collegi di
entrambi i rami (maschile e fem­
minile) dei figli e delle figlie
di don Bosco sono frequenta­
ti da migliaia di allievi. Nu­
merose sono le parrocchie e
soprattutto le cappelle delle
comunità locali. La storia
poi prosegue con alterne
vicende che vedono an­
dare in crisi l’economia
del territorio e anche un
po’ la presenza dei sale­
siani, che riducono la loro
attività un tempo così capillare.
Resta oggi in città una bella par­
rocchia, con un grande santuario
mariano intitolato alla Madon­
na di Fatima e l’oratorio festi­
vo. Vedo arrivare i ragazzi a
frotte, si materializzano un gruppo
dopo l’altro come attirati da una po­
tente calamita. Arrivano anche cin­
que o sei giovani sui sedici anni.
Volti poco raccomandabili.
Il don mi dice che vengono
dal vicino quartiere dello spac­
cio di droga. Non fatico a creder­
ci. Ampi tatuaggi, sguardo di sfida, andatura bal­
danzosa. Non hanno la mascherina. L’animatrice,
un po’ timida non ha il coraggio di parlare. Il don
dice solo una parola: “mascara” e indica un sacchet­
to pieno di mascherine nuove a disposizione di chi
arriva e ne è sprovvisto. Il gruppo per un attimo si
ferma e poi... uno ad uno prendono la mascherina
che viene loro offerta gratuitamente, la indossano,
ed entrano. Un bellissimo esempio di come la leg­
ge della strada davanti al portone dell’oratorio cede
il passo alla legge del rispetto vicendevole e della
uguaglianza, in cortile. Ho visto arrivare un branco
di lupi e trasformarsi in mansueti agnelli entrando
in casa salesiana. Per tutto il pomeriggio giocano
a calcio, madidi di sudore, con un vigore ed una
energia inesauribile. Non si sentono bestemmie, né
parolacce, né si assiste a prepotenze. Sono giova­
ni come gli altri che si divertono stando insieme
a tirare calci ad un pallone. Bellissimo! Il cortile è
tutto un giocare, chiacchierare, salutarsi. Ci sono i
piccoli con i campetti a loro dedicati e don Anto­
nio, un salesiano buono e simpatico, basso e tondo,
che gioca con loro. Le mamme sono indaffarate a
preparare i panini per la merenda del pomeriggio:
hot dog e succo di frutta per tutti. I negozianti del
circondario, quando avanzano pane e altri alimenti
li portano in oratorio per la merenda dei ragazzi.
Alle cinque si ferma la musica, e si fermano anche
i giochi. Tutti insieme (circa duecento persone) in
cerchio per la preghiera e il pensiero della “buo­
na notte salesiana”. Recitiamo un Padre nostro per
rispetto dei molti ragazzi di fede protestante, che
però nel Padre nostro si ritrovano e non è motivo
di divisioni.
Quando diventa buio, siamo vicini all’Equatore e
verso le sei di sera il sole velocemente tramonta (per
risorgere poi il mattino successivo sempre verso le
sei), l’oratorio chiude. Gli animatori si danno da fare
per rimettere in ordine il cortile e i giochi. Mi com­
muove una mamma che esce accompagnando per
mano il figlio. È grande quel suo figlio, ma affetto
da una grave disabilità fisica e anche mentale. Cam­
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A Iauaretê si vive il contatto
con la natura, e le relazioni
con le persone sono
dirette e cordiali.
mina a fatica, ma cammina. Ha voluto anche lui ve­
nire in oratorio per stare con i suoi compagni. Non
ha giocato, non ha parlato con nessuno. La mamma
sempre accanto. Però ha respirato quel particolare
clima di festa. Ha così rotto la monotonia delle lun­
ghe giornate passate in casa davanti alla finestra a
veder passar la gente per la strada. Anche lui in cor­
tile, assieme agli altri: giovane fra i giovani.
Iauaretê
La tappa conclusiva, e la più bella, del nostro viag­
gio in Brasile è l’opera salesiana di Iauaretê, in
Amazzonia, nell’area indigena dell’Alto Rio Negro
proprio al confine con la Colombia.
In questa storica presenza salesiana ha operato per
cinque anni don Roberto Cappelletti, missionario
salesiano partito dal Veneto per il Brasile una de­
cina di anni fa.
Il suo desiderio era di poter realizzare una nuova
e degna abitazione per i salesiani che sono presen­
ti da oltre cento anni, e anche dar accoglienza ai
bambini più piccoli che sono in situazione di dif­
ficoltà e vulnerabili. Ci è riuscito, don Roberto, a
realizzare questo sogno e ad inaugurare la nuova
casa proprio in occasione del compleanno di don
Bosco, il 15 e 16 agosto.
A Iauaretê si vive il contatto con la natura, e le rela­
zioni con le persone sono dirette e cordiali. Non c’è
copertura telefonica, non c’è quindi internet, non
c’è la tv. Non ci sono automobili. Sembra
strano ma è proprio così.
Siamo arrivati con un piccolo aereo e abbiamo
trovato un formidabile comitato di acco­
glienza: bambini, ragazzi, giovani, le
mamme e i papà, l’intera comunità
salesiana. Poiché eravamo ospiti
d’onore è arrivato anche l’uni­
co trattore del villaggio, avete
letto bene: un trattore! con il
carro attaccato dietro, dove sia­
mo saliti noi e le nostre valigie e in processione
ci hanno portati al centro del villaggio dove c’è la
grande chiesa dedicata all’Arcangelo Gabriele e
l’oratorio salesiano.
In oratorio giocavano tutti, ma proprio tutti. Chi a
calcio, chi a pallavolo. I piccoli in un “campo sapo­
nato” cioè un foglio di plastica bagnato, nel quale
invece del pallone si rincorre e si danno calci ad
una saponetta. Un po’ alla volta i capitomboli di­
ventano sempre più frequenti e solo stare in piedi è
un’impresa. Il divertimento comunque è assicurato,
per chi gioca e per chi assiste.
Alla fine della festa la merenda per tutti: un sac­
chetto di carta con dei pop corn (fatti in casa) e un
din-din (un ghiacciolo anche questo fatto in casa,
con un sacchettino di plastica con un piccolo foro,
riempito di succo di frutta e messo in congelatore:
praticamente un ghiacciolo a km zero).
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
La vocazione non finisce mai
La meravigliosa storia
di Maria Cristina Mocellin.
«Credo che
non potrei
compiere
nulla di
più grande
che dire al
Signore: Sia
fatta la tua
volontà».
Maria Cristina nasce a Monza il 18 ago­
sto 1969. Trascorre serenamente gli
anni della sua fanciullezza e adolescen­
za in famiglia, a Cinisello Balsamo, con
mamma Caterina, papà Giuseppe e il fratello Da­
niele. Già da ragazza frequenta assiduamente l’o­
ratorio della vivace comunità cristiana della Sacra
Famiglia in Cinisello. Qui incontra le Suore della
Carità di Santa Giovanna Antida Thouret. Con
entusiasmo si impegna come catechista e animatri­
ce dell’oratorio, rivelando un carattere forte e coe­
rente. Frequenta il liceo linguistico “Regina Pacis”
a Cusano Milanino; qui conosce la comunità delle
Figlie di Maria Ausiliatrice. Inizia a pensare alla
consacrazione religiosa.
Nel 1985, durante una vacanza estiva a Valstagna,
paese dei suoi nonni, conosce Carlo Mocellin: ca­
pisce, dopo qualche tempo, di essere innamorata di
lui. Del periodo dell’innamoramento e del succes­
sivo fidanzamento, collaudato da oltre 250 chilo­
metri di distanza, resta un intenso epistolario indi­
rizzato a Carlo, nel quale Cristina a poco a poco gli
fa intravedere tutta la sua ricchezza spirituale.
Tra i due si stabilisce una profonda intesa spirituale,
resa ancor più stabile dal sarcoma a una gamba che
costringe Cristina ad una dolorosa operazione e ad
una ancor più dolorosa terapia, che tuttavia sembra
aver debellato il male e permette ai due di proget­
tare la loro vita insieme.
Sposa Carlo il 2 febbraio 1991 e si trasferisce con
lui a Carpanè, in Valsugana. Dopo la nascita di
Francesco e Lucia, mentre è in attesa del terzo fi­
glio, Maria Cristina è di nuovo colpita dal tumore
nella stessa gamba.
D’accordo con il marito, accetta di sottoporsi solo
ai trattamenti che non mettono a rischio la vita del
nascituro, Riccardo, che viene alla luce il 28 luglio
1994. Riccardo nasce sano e vispo e Cristina gli
scrive anche una lettera, che consegna al marito
con l’incarico di fargliela leggere quando ne sarà
capace.
La chemioterapia inizia subito dopo il parto, quan­
do però il sarcoma ha già compiuto la sua devasta­
zione e non c’è più nulla da fare. Cristina, pur desi­
derando guarire e sperando nel miracolo, continua
a fidarsi di Dio: «Credo che Dio non permetterebbe
il dolore, se non volesse ricavare un bene segreto e
misterioso, ma reale. Credo che non potrei compie­
re nulla di più grande che dire al Signore: Sia fatta
la tua volontà. Credo che un giorno comprenderò
il significato della mia sofferenza e ne ringrazierò
Dio. Credo che senza il mio dolore sopportato con
serenità e dignità, mancherebbe qualcosa nell’ar­
monia dell’universo». Si spegne il 22 ottobre 1995,
ad appena 26 anni, non prima di aver dato appun­
tamento al marito Carlo nell’eternità.
Il 30 agosto 2021 papa Francesco ha autorizzato la
promulgazione del decreto con cui è stata dichia­
10
DICEMBRE 2021

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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rata Venerabile. Le spoglie
mortali di Maria Cristina
riposano nella cappella dei
sacerdoti del cimitero di San
Nazario, frazione del comune
di Valbrenta.
Maria Cristina è morta per
voler essere mamma fino in
fondo, rimandando a dopo il
parto le cure cui avrebbe do­
vuto sottoporsi per contrasta­
re il sarcoma. Il gesto, di per
sé eroico, si è comunque rive­
lato l’apice di un eccezionale
cammino di fede, dato che la santità non è mai un
punto ma sempre una linea e l’eroismo non lo si può
mai improvvisare.
Maria Cristina con
il marito e i tre figli.
Il 30 agosto 2021, riceven­
do in udienza il cardinal
Marcello Semeraro, Pre­
fetto della Congregazione
delle Cause dei Santi, papa
Francesco ha autorizzato la
promulgazione del decreto
con cui Maria Cristina Cella
Mocellin veniva dichiarata
Venerabile.
Per maggiori informazioni:
Associazione “Amici di Cristina”
Piazza Sacra Famiglia 1,
Cinisello Balsamo (MI)
www.mariacristinacellamocellin.it
amicidicristinaonlus@gmail.com
LETTERA AL FIGLIO RICCARDO
dall’ospedale di Bassano del Grappa, 24 settembre 1995
Caro Riccardo,
tu devi sapere che non sei qui per caso.
Il Signore ha voluto che tu nascessi nonostante tutti i proble-
mi che c’erano.
Papà e mamma, puoi ben capire, non erano molto contenti
all’idea di aspettare un altro bambino, visto che Francesco e
Lucia erano molto piccoli.
Ma quando abbiamo saputo che c’eri, t’abbiamo amato e volu-
to con tutte le nostre forze.
Ricordo il giorno in cui il dottore mi disse che diagnosticava
ancora un tumore all’inguine.
La mia reazione fu quella di ripetere più volte:
“Sono incinta! Sono incinta! Ma io dottore sono incinta!”
Per far fronte alle paure di quel momento ci venne data una
forza smisurata di volontà di averti.
Mi opposi con tutte le mie forze al rinunciare a te, tanto che il
medico capì già tutto e non aggiunse altro.
Riccardo, sei un dono per noi.
Fu quella sera, in macchina di ritorno dall’ospedale, che ti
muovesti per la prima volta.
Sembrava che mi dicessi “grazie mamma che mi vuoi bene!”
E come potevamo non volertene?
Tu sei prezioso, e quando ti guardo e ti vedo così bello, vispo,
simpatico, penso che non c’è sofferenza al mondo che non val-
ga la pena sopportare per un figlio.
Il Signore ha voluto ricolmarci di gioie: abbiamo tre bambini
stupendi, che se Lui vorrà, con la sua grazia, potranno crescere
come Lui vuole.
Non posso che ringraziare Dio, perché ha voluto fare questo
dono grande che sono i nostri figli: solo Lui sa come ne vor-
remmo altri, ma per ora è davvero impossibile.
Grazie Signore.
DICEMBRE 2021
11

2.2 Page 12

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SENZA CONFINI
Charles Cini, fotografie di Mike Pace
Malta L’isola prediletta
da don Bosco
“Ho il vanto di averle baciato
più volte la mano” scrisse
Michelangelo-Maria Mizzi
a don Giovanni Bosco,
il 14 gennaio 1886, in una
delle varie lettere, che dimostrano
come Malta e i Maltesi fossero
in contatto continuamente con
don Bosco, già durante la sua vita.
L’arcipelago maltese si trova nel mezzo del
mare Mediterraneo: la Sicilia è 69 km a
nord-est e la costa del nord Africa 192 km
a sud. La piccola nazione fa parte dell’U­
nione Europea dal 2004 e consiste di tre isole:
Malta, Gozo e Comino.
Nel secolo diciannovesimo, la lingua italiana era
molto parlata dalla classe borghese e dalla popo­
lazione di alto livello. La letteratura religiosa in
Italiano era molto diffusa. L’Associazione dei Coo-
peratori Salesiani, approvata dalla Santa Sede nel
1876 era già attiva prima del 1880. Un numero di
Maltesi era già abbonato al Bollettino Salesiano
dall’inizio nel 1877.
La Congregazione Salesiana di don Bosco era ben
conosciuta da numerosi Maltesi, consci del gran­
de bene fatto dall’Oratorio Salesiano. Negli ulti­
Il busto di
don Rua
all’ingresso
dell’Istituto
di Sliema.
mi anni della vita di don Bosco, furono fatti molti
sforzi per portare i salesiani a Malta.
Il Commendatore Alfonso Maria Galea, nell’estate
del 1892, fu ospite per tre giorni di don Giulio Bar­
beris nel Collegio Salesiano di Valsalice, dove c’era
la tomba di don Bosco.
In ogni caso, chiarì la sua richiesta in una lettera a
don Rua il 23 Gennaio 1893: “Un ammiratore delle
opere di Don Bosco, desiderando il bene spirituale di
quest’Isola vorrebbe stabilire in un punto abbastanza
centrale e vicino a la Valletta, un Oratorio festivo”.
Egli si riferiva alla cittadina di Tas-Sliema che era
in pieno sviluppo e dove era sicuro che un Oratorio
avrebbe attratto molti ragazzi e giovani per prega­
re, imparare il catechismo e giocare insieme. Nello
stesso tempo essi avrebbero ricevuto una adeguata
formazione religiosa che mancava in quella zona e
creato spazi di socializzazione primaria.
Alla fine promise che quando tale edificio fosse sta­
to realizzato, sarebbe stato consegnato alla Società
Salesiana.
L’Istituto di St Patricks, Sliema
Intanto Alfonso continuò a corrispondere con don
Durando per i tre anni seguenti, durante i quali
continuò a pianificare la realizzazione del suo pro­
12
DICEMBRE 2021

2.3 Page 13

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getto. Il progetto prevedeva un istituto per i ragazzi
ed eventualmente un Oratorio. Il primo progetto
sarebbe stato sponsorizzato dal Governo Maltese
e la direzione sarebbe stata affidata ai Salesiani:
il secondo progetto sarebbe stato finanziato dalle
offerte dei cooperatori già esistenti nell’isola e per
mezzo delle loro offerte.
Il lungo e arduo cammino per la fondazione di San
Patrizio avrebbe preso molti anni. Nell’estate del
1903, don Rua incaricò padre Patrick O’Grady, un
coraggioso irlandese, che doveva la sua vocazione
salesiana allo stesso don Bosco. Divenne il primo
Salesiano a Malta. Egli arrivò nell’isola venerdì 13
novembre 1903. È la data ufficiale della fondazione
Salesiana a Malta.
Padre Patrick doveva prendersi cura di quello che
ufficialmente era designato come un riformatorio
e Casa Salesiana per ragazzi in difficoltà. Un isti­
tuto dove l’Autorità Giudiziaria confinava giovani
delinquenti. Come inizio non era in armonia con
il Sistema Preventivo Salesiano. Pensandoci bene,
però, era una specie di ritorno alle origini. Don
Bosco aveva incominciato il suo apostolato proprio
visitando le prigioni di Torino. E tutti ricordava­
no l’episodio in cui aveva conquistato la stima dei
giovani reclusi della Generale, il riformatorio di
Torino. Alfonso Maria Galea, in qualche modo,
ripartiva dalle origini dell’opera di don Bosco.
L’Oratorio Festivo
Nel frattempo, Alfonso era impegnato ad erigere
un’altra struttura, che provvisoriamente era chia­
mata Juventutis Domus, un centro per giovani, stu­
denti universitari, giovani laureati, e impiegati alle
prime esperienze nel servizio civile. Il teatro creato
nella struttura diventò poi importante per svilup­
pare il livello del Teatro nell’isola di Malta. Fu edi­
ficato vicino alla casa di San Patrizio che divenne e
rimane fino ad oggi la culla dei Salesiani a Malta.
Il sogno di Alfonso si concluse, domenica 7 giugno
1908, quando monsignor Pietro Pace, Arcivescovo
di Malta inaugurò e benedisse l’Oratorio Festivo. Il
Salesiano che più aveva lavorato per promuovere ed
edificare l’oratorio era don Antonio Urso, dinamico,
di larghe vedute, ma anche profondamente spiritua­
le, originario di Bel Passo, Catania, che era venuto a
lavorare a Malta nell’ottobre 1906 e che dedicò tutta
la sua energia per realizzare quest’opera.
Don Antonio riuscì ad attrarre centinaia di ragazzi
nella casa salesiana. Egli è rimasto nella memoria
dei maltesi come una persona eccezionale, ricca di
santità, saggezza, cultura e praticità. È stato all’a­
vanguardia, anche per una delle sue opere creative:
una ricca biblioteca, non solo di libri di Salesianità
e religiosità ma anche storia, letteratura, e scienze.
Molti studenti dell’Università di Malta, si servi­
vano della ricchezza di questa biblioteca. Morì nel
terremoto di Messina, il 28 dicembre 1908.
L’ingresso
solenne
dell’Istituto
St Patricks,
la culla dei
Salesiani
a Malta.
Il laboratorio
di falegna­
meria nel
1940.
DICEMBRE 2021
13

2.4 Page 14

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SENZA CONFINI
don Fabio Attard, che è stato incaricato mondiale
della pastorale giovanile e ha un incarico impor­
tante nel Consiglio Generale della Congregazione.
Il pittore
Edoardo La
Francesca
ha realizzato
una serie di
ritratti dei
santi salesiani
per la casa
di Malta,
dopo aver
compiuto uno
studio molto
approfondito
e una
qualificata
ricerca,
attraverso
vari libri, tra
cui la vita di
Domenico
Savio scritta
dallo stesso
don Bosco.
I Salesiani a Gozo
La popolazione dell’isola di Gozo, la seconda in su­
perficie nell’arcipelago maltese, presto divenne co­
sciente del lavoro fruttuoso tra i giovani che si faceva
dai Salesiani a Malta. Un numero di preti, guidati
dal sacerdote diocesano don Paolo Micallef, invitò
i Salesiani a Gozo. Nel 1933, nel giorno di Cano­
nizzazione di don Bosco, egli inaugurò un piccolo
centro nella Città di Vittoria, capitale dell’isola di
Gozo. Negli anni successivi aiutato da un certo nu­
mero di preti, egli si impegnò ad educare i giovani e
i ragazzi sul modello dell’Oratorio Salesiano.
I Salesiani presero la direzione dell’Oratorio nell’a­
gosto 1949, e furono presto benedetti da un gran nu­
mero di vocazioni.
I salesiani erano rispettati e apprezzati dal popo­
lo di Gozo e svolgevano un lavoro molto lodevole.
Tuttavia per varie ragioni, essi abbandonarono l’O­
ratorio alla fine del 1965. Ma fino al giorno d’oggi
lo spirito salesiano è ancora molto vivo nell’Orato­
rio che ora è nelle mani di sacerdoti diocesani di
Gozo. Qui sono sbocciate vocazioni di salesiani
che hanno lasciato il segno in tutto il mondo, come
il sottoscritto, Delegato Mondiale degli exallievi, e
Il Savio College
I Salesiani aprirono un’altra Opera fuori Sliema,
nel nord dell’Isola, a Dingli. Avevano avuto in ere­
dità una grande estensione di terreno dalla Signori­
na Maud Bugeja, una benestante da Sliema.
Qui nacque una scuola ben organizzata che inco­
minciò a funzionare il 2 ottobre 1968. Da un umile
inizio nel 1968 con appena dodici studenti, il Savio
College è riuscito negli anni a costruire una forte
identità fondata sulla visione creata da don Bosco.
Il Savio College ha sviluppato la spiritualità di don
Bosco e il suo sistema educativo. Non è tanto l’a­
spetto fisico della scuola, della chiesa, della casa
e del cortile a rendere salesiano il Collegio Savio,
quanto piuttosto è l’interazione pastorale che svol­
ge quotidianamente e intenzionalmente all’interno
del Collegio.
Molti studenti, genitori ed educatori, considerano
il Savio College come la loro seconda casa, svilup­
pando qui un forte senso di identità. Per innume­
revoli giovani è una scuola di vita, che offre spazi
dove si coltivano gioia e ottimismo insieme a una
spiritualità che dà senso al loro essere, al loro senso
dello scopo e al rapporto con il mondo.
La comunità educativa salesiana di Dingli ha lavo­
rato duramente negli anni per mantenersi fedele e
leale allo spirito di don Bosco. Quando i Salesiani
fondarono il Savio College, il loro scopo era tirare
fuori il meglio da ogni bambino che varcava le sue
porte. Hanno sempre desiderato che questa scuola
aiutasse i giovani a discernere la loro vocazione e
in particolare ad accompagnare i futuri Salesiani
di don Bosco attraverso la loro formazione iniziale.
Oggi si prende cura di 260 studenti, ed è anche un
centro di attività organizzando campi scuola, in­
contri e ritiri per giovani che vengono da Malta e
Gozo. Il 7 dicembre 2003, il Rettor Maggiore don
Pascual Chavez Villanueva, nono successore di don
14
DICEMBRE 2021

2.5 Page 15

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Bosco, inaugurò ufficialmente un complesso mo­
derno di grandi dimensioni e un centro educativo
polifunzionale.
I Salesiani a Senglea
La presenza salesiana a Senglea è iniziata nel 2008.
Proprio ai margini della penisola di Senglea si
trova una bella chiesa dedicata a Nostra Signora
del Porto Sicuro e un attiguo chiostro intitolato a
San Filippo Neri che risale al xvii secolo. Su in­
vito dell’Arcivescovo i Salesiani hanno sostituito i
gesui­ti, andati in pensione per mancanza di perso­
nale, nell’ottobre 2008.
Oltre al ministero pastorale e alla celebrazione dei
sacramenti amministrati da questa Chiesa, i Sale­
siani si sono impegnati ad aprire un Centro Giova­
nile secondo la loro tradizione. L’obiettivo è quello
di fornire ai giovani uno spazio per intrattenersi al
riparo da possibili danni e offrire loro opportunità
di crescita.
Con l’aiuto di animatori e di altre presenze, i Sale­
siani cercano di stimolare gli allievi a scoprire i loro
talenti e ad utilizzarli per la propria realizzazione e
progresso. Il loro obiettivo principale, come in tutte
le altre presenze salesiane, è formare buoni cristiani
e onesti cittadini.
Nel 2014 su richiesta dell’Arcivescovo Cremona,
PER SAPERNE DI PIÙ
A fine anno sarà pubblicato in inglese il libro The Salesians
of Don Bosco in Malta and Gozo, la storia dei Salesiani
nell’arcipelago maltese, scritta da monsignor Giuseppe
Bezzina, ex-capo del Dipartimento di Storia Ecclesiastica,
di Patrologia, e Archeologia Paleocristiana all’Università
Statale di Malta e, da quarant’anni, docente di Storia Ec-
clesiastica al Seminario Vescovile dell’isola di Gozo. La re-
dazione di questo magnum opus è sotto la guida di don
Charles Cini sdb.
i Salesiani hanno rilevato la Cappellania mcast
(Colleggio Maltese dell’Arte, Scienze e Tecnolo­
gia) per raggiungere 7000 studenti e 1000 dipen­
denti in sei sedi a Malta e Gozo. Oggi ci sono
cinque confratelli che formano l’équipe della Cap­
pellania Salesiana al mcast, quattro della comu­
nità di Senglea e uno di stanza a Sliema, con un
certo numero di studenti mcast che fanno tirocini
pratici direttamente a St Philip’s, a Senglea.
Il 9 luglio 2018, durante la sezione estiva del Con­
siglio Generale Salesiano, il Rettor Maggiore Don
Angel Fernandez Artime, con il consenso del suo
consiglio elevò la presenza Salesiana a Malta a
Visitatoria sotto il patrocinio di Maria Aiuto dei
Cristiani. Padre Paulo Formosa exallie­
vo del Savio College, è il superiore della
Visitatoria.
Il magnifico
teatro salesiano
di Sliema. Vi
si tengono
rappresenta­zioni
di risonanza
internazionale.
DICEMBRE 2021
15

2.6 Page 16

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IN PRIMA LINEA
Alberto Lòpez (Misiones Salesianas)
Innocenti nell’inferno
La prigione di Pademba,
a Freetown capitale della Sierra
Leone, rinchiude duemila persone
stipate in modo allucinante.
Tra esse molti minori.
L’unica speranza sono i Salesiani.
La prigione
di Pademba,
nella capitale
della Sierra
Leone, è solo
un esempio
dell‘orrore.
Più di un milione di bambini nel mondo sono
privati della loro libertà ogni anno. La mag­
gior parte è imprigionata per reati minori o
per aver vagato per le strade senza meta di
notte. Non hanno assistenza legale, nessun proces­
so e nessuno sa che sono lì. La presunzione di colpa
li condanna a un inferno circondato da adulti dove
abusi di ogni tipo e insalubrità li rendono invisibili.
Molti muoiono senza speranza o smettono di man­
giare per non soffrire più.
La prigione di Pademba, nella capitale della Sierra
Leone, è solo un esempio dell’orrore che le mura
possono contenere per i minori che, nella maggior
parte dei casi, sono innocenti.
La prigione di Pademba Road, nel cuore della capi­
tale della Sierra Leone, Freetown, fu costruita nel
1937 per ospitare 324 detenuti. In quasi un secolo
è cambiata solo in peggio e il tempo sembra essersi
fermato all’interno: non ci sono telecamere di sicu­
rezza, la registrazione dei prigionieri viene fatta su
una lavagna, i casi giudiziari e i dossier sono ancora
in cartelle scritte a mano, viene offerto solo un pa­
sto al giorno e, ciò che lo rende davvero un inferno,
quasi 2000 persone stipate insieme, dormono in
sette, otto e persino nove in celle che erano desti­
nate a uno o due, e con molti minori tra loro.
Sopravvivere ogni giorno a Pademba è una vittoria,
ma anche una routine. Circondati da mura non molto
alte, la rassegnazione e l’ingiustizia che racchiudono
rendono impossibile sognare la libertà. Nella prigio­
ne ci sono quattro reparti a due piani, senza servizi
igienici, senza luce nelle celle e senza acqua, ma pieni
di dipinti e frasi come “Solo Dio può giudicare”; “Ri­
spetto dell’autorità”; o “Non fidarti di nessuno, nem­
meno di te stesso”. La colazione è solo tè nero amaro e
l’unico pasto del giorno è sempre riso con salsa piccan­
te, un pezzo di pane e un po’ d’acqua, che viene distri­
buito dai veterani di ogni reparto a loro piacimento.
L’odore di sporco, sudore, urina ed escrementi ri­
empie gli spazi chiusi. Questa è la sopravvivenza
a Pademba: “Se hai soldi, puoi scegliere una cella,
comprare medicine, acqua e persino dormire su un
materasso”, dice Robert, 16 anni, che è in prigione
da 20 mesi per aver ucciso una mucca.
“Alle cinque del pomeriggio siamo tutti in cella e
non usciamo fino al giorno dopo. La maggior parte
di noi dorme accovacciata o in piedi perché non c’è
spazio per tutti e abbiamo un barattolo per liberar­
ci durante la notte. Ci ammaliamo tutti perché ci
sono tante zanzare”.
16
DICEMBRE 2021

2.7 Page 17

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L’unico odore piacevole
Il pane, che viene cotto ogni giorno nella prigione, è
l’unico odore piacevole a Pademba. Piccoli panini che
sembrano migliori del loro sapore, perché il sudore dei
detenuti gocciola mentre li impastano in una sala in-
fernale e non ventilata. Nella cucina, sei grandi pentole
a carbone fanno bollire ogni giorno 36 sacchi di riso da
50 chili per il cibo dei detenuti.
L’ufficiale scarafaggio
La mancanza di dignità è la caratteristica dominante
della prigione. Gli stessi ufficiali costringono i pri-
gionieri a pulire le loro scarpe, tolgono loro il cibo, li
sgridano e li picchiano. Molti prigionieri ricordano
perché chiamavano uno degli ufficiali Cucaracha (sca-
rafaggio): “In prigione è vietato uccidere gli scarafaggi,
e ce ne sono molti a causa della sporcizia, ma questo
ufficiale ci disse che anche gli scarafaggi avevano più
diritti di noi ed erano più importanti, quindi non pote-
vano essere toccati”.
Chi “vive” all’inferno?
Decine di minori vivono nella prigione di Pademba
con adulti accusati di crimini di sangue o violenza
sessuale. I loro sguardi smarriti e rassegnati tradisco­
no la paura e gli abusi che subiscono quotidianamente.
“Dal non dormire di notte al ventilare gli adulti, al
rubare il loro cibo e sottoporli ad ogni tipo di abuso
sessuale sotto lo sguardo indifferente delle guardie
di sicurezza. Perdono la loro dignità. Non hanno
un volto, un nome, nessuno che li ami o li visiti, e i
loro corpi non valgono nulla o solo quello che vale
un piatto di cibo” denuncia il missionario salesiano
Jorge Crisafulli, direttore del Don Bosco Fambul.
Il crimine più comune di cui sono accusati i minori
si chiama bighellonare, un crimine che risale all’e­
poca coloniale. Significa che vagare per le strade di
notte, senza meta e senza una destinazione fissa ti
rende un potenziale delinquente. La prima volta si
viene avvertiti dalla polizia, ma la seconda volta si
viene imprigionati direttamente, senza passare per
un tribunale, e la pena va da sette mesi a un anno
di prigione. Se il giovane viene rilasciato dalla pri­
gione e viene nuovamente trovato a vagare per le
strade senza meta, il reato diventa Frequenza e la
pena è di due anni di reclusione.
“Tra le pandemie di Ebola e del coronavirus, ci
sono attualmente più di 300 000 bambini orfani nel
paese che vivono, dormono e muoiono per strada.
Per questo il crimine di frequenza è una violazione
insensata dei diritti dei bambini”, dice Crisafulli.
Ci sono anche minorenni che sono stati condanna­
ti per anni per aver rubato un cellulare, per averlo
anche se non l’hanno rubato, per aver rubato una
pecora, una moto, per aver ucciso un animale, per
aver rotto un vetro, per una rissa... “In molti casi la
polizia arresta i primi che trova sulla scena di un
crimine, cambia la loro età e li porta direttamente
alla prigione di Pademba senza informare nessuno.
Qui non c’è presunzione d’innocenza, c’è una pre­
sunzione di colpevolezza e devi dimostrare che sei
innocente”, spiega uno dei volontari salesiani che
lavora nel programma di aiuto alle prigioni.
La
rassegnazione
e l‘ingiustizia
che racchiu­
dono queste
mura rendono
impossibile
sognare la
libertà.
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2.8 Page 18

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IN PRIMA LINEA
Acqua per tutti
Fino al 2017, un camion trasportava ogni giorno un
grande serbatoio di 5000 litri d’acqua alla prigione. La
maggior parte è stata spesa in cucina e non è rimasto
quasi niente per lavarsi. I detenuti sapevano che il mo-
mento migliore in prigione era la stagione delle piogge
perché l’acqua era gratis... Quell’anno, però, i salesiani
costruirono un pozzo, una torre di nove metri, un pozzo
d’acqua con pannelli solari, docce e serbatoi con una
capacità di 45 000 litri in modo che non ci fosse mai
carenza d’acqua in prigione, oltre a sigillare le fosse
settiche.
I colori delle uniformi dei detenuti sono l’unica cosa
che rivela il loro status giudiziario: color crema per i
condannati, grigio per quelli in attesa di condanna
e blu per quelli in attesa di processo.
I missionari
salesiani,
insieme a
un nutrito
gruppo di
volontari,
visitano il
carcere ogni
giorno.
Il nostro lavoro in prigione
Tre missionari salesiani sono andati a parlare nel
2013 con il direttore del carcere, che li ha accol­
ti quasi con la stessa frase che i bambini africani
gridavano a don Bosco nel suo sogno missionario.
“Ti abbiamo aspettato per molto tempo...”. Da quel
momento, è stato più facile per loro lavorare a Pa­
demba con i prigionieri, e allo stesso tempo vedere
che la prigione è la prova dell’inferno sulla terra.
“Tutto era vecchio, fatiscente, abbandonato... pri­
gionieri scheletrici con uno sguardo perso di di­
sperazione e, con nostra sorpresa, molti minori tra
i prigionieri adulti”, ricorda Jorge Crisafulli. Non
c’era acqua corrente e i prigionieri si lavavano con
dei secchi in mezzo al cortile, né c’erano latrine.
L’obiettivo era chiaro: “Portare un po’ di paradi­
so attraverso la consolazione, l’accompagnamento
personale e spirituale, l’aiuto legale e la speranza in
mezzo a quell’inferno”.
Da allora i missionari salesiani, insieme a un nutrito
gruppo di volontari, visitano il carcere ogni giorno
per assistere tre gruppi di 75 detenuti. “Andiamo in
giro per le celle e troviamo i più vulnerabili e li fac­
ciamo entrare nel gruppo di Don Bosco. In totale,
225 detenuti ricevono un pasto extra, controlli medi­
ci per curare le loro ferite, cure psicosociali e parteci­
pano ad attività ricreative due giorni alla settimana.
Aiutiamo tutti i detenuti all’interno del carcere, ma
indaghiamo solo sui casi legali e paghiamo la cauzio­
ne fino a 1,2 milioni di leones (100 euro) per i mi­
nori con reati minori e quelli più bisognosi che non
sono accusati di crimini di sangue o abusi sessuali;
in questi casi lasciamo che la polizia e l’indagine giu­
diziaria facciano il loro corso”, sottolinea Crisafulli.
Il centro operativo del gruppo Don Bosco nel car­
cere è nella biblioteca. Qui si effettuano visite me­
diche, si prega prima dei pasti supplementari offerti
ai detenuti, sono disponibili computer per corsi di
informatica, biciclette, palloni e giochi per il tempo
libero.
All’altra estremità della prigione c’è la cappella,
dove si celebra l’eucaristia ogni venerdì. Ad ogni
messa, i missionari salesiani confortano la folla co­
stringendola a ripetere “Dio mi ha creato, Dio mi
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DICEMBRE 2021

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TRE STORIE
Chennor
Ha vissuto per strada dall’età di sei anni ed è diventato il re
delle zuffe. È stato in prigione tre volte e ha scontato quasi
cinque anni di prigione. In prigione è stato abu-
sato sessualmente. Quando uscì di prigione,
si ammalò e andò dai salesiani. “Si sono presi
cura di me, mi hanno accudito, ho iniziato a
vivere in un gruppo familiare con altri ragazzi
e ho imparato un mestiere. Il primo sti-
pendio che ho guadagnato l’ho dato
ai missionari salesiani per aiutare al-
tri ragazzi come me e da allora vado
in prigione per aiutare dei minori
innocenti” dice.
Abdul
Ha rubato un telefono cellulare a scuola ed è stato condanna-
to a quattro anni di prigione. Ha 16 anni, ma sembra che ne
abbia 12. È stato fortunato e una cauzione di 20 euro lo ha
fatto uscire da Pademba. “Ho dormito in una grande cella con
altri 30 prigionieri di tutte le età. Io ero il più piccolo ed ero
costretto a pulire tutti gli escrementi e a ventilare i più grandi.
Le notti erano orribili”, dice ora che è libero.
John Bosco
Il nome fu cambiato quando fu battezzato.
È entrato a 13 anni e fu chiamato Bump a
causa dei colpi che gli avevano dato in te-
sta. Ha trascorso otto mesi di prigione,
durante i quali ha visto morire due dei
suoi compagni di cella. Nessuno gli
fece visita durante questo periodo e
tentò di togliersi la vita diverse volte,
ma gli fu parlato di don Bosco e que-
sto lo salvò. Ha imparato un mestiere
e il suo sogno è quello di realizzare
una grande piantagione di cacao nel
suo villaggio. “Don Bosco mi ha aiu-
tato ad avere speranza in prigione e ha
cambiato la mia vita”, dice.
ama e Dio si prende cura di me”. Ogni anno, il sa­
bato di Pasqua, decine di detenuti ricevono i sacra­
menti del battesimo, della prima comunione e della
cresima dopo essersi convertiti al cattolicesimo.
Coronavirus e una rivolta:
ripartire da zero
Il 29 aprile 2020, in piena reclusione pandemica,
237 detenuti per reati minori sono stati rilasciati
per decreto presidenziale. Pochi giorni prima, il
primo caso di coronavirus era stato confermato nel­
la prigione e le visite erano state vietate.
Ai prigionieri è stato anche vietato di lasciare le
loro celle nel tentativo di proteggerli, ma hanno in­
terpretato questo come un’altra umiliazione unita al
solo pasto al giorno e alla mancanza di igiene.
I prigionieri hanno iniziato una rivolta in cui han­
no incendiato la cucina, la panetteria, i laboratori,
la moschea e l’infermeria... “Abbiamo dovuto rico­
minciare da zero”.
La prigione di Pademba è solo un esempio del
lavoro che i salesiani svolgono in molte prigio­
ni del mondo (Liberia, Burundi, Benin,
Uganda, Angola, Congo, Mozambico,
Papua Nuova Guinea, India, Thailandia, Sri Lan­
ka, Hong Kong, Filippine, Messico, El Salvador,
Ecuador, Brasile, Paraguay...). In esse, si prendono
cura, accompagnano e aiutano i minori presenti.
Come don Bosco nel carcere della Generala di
Torino, i missionari salesiani offrono loro dignità,
speranza e aiuto spirituale, per dimostrare, caso per
caso, che non ci devono essere minori innocenti
nelle carceri degli adulti.
La prigione
di Pademba
è solo un
esempio del
lavoro che
i salesiani
svolgono
in molte
prigioni
del mondo.
DICEMBRE 2021
19

2.10 Page 20

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LE CASE DI DON BOSCO
Federica Spalletti
Macerata
Un laboratorio di futuro
L‘Istituto
salesiano
“San
Giuseppe”
di Macerata
ospita, oggi,
un oratorio
centro
giovanile,
frutto della
scommessa
educativa
dei salesiani
del MGS IC
e del lavoro
di un’intera
comunità.
Il 4 novembre 2020 ha segnato i 130 anni di
presenza della comunità salesiana a Macerata.
L’Istituto salesiano “San Giuseppe” di Macerata
ospita, oggi, un oratorio centro giovanile, frutto
della scommessa educativa dei salesiani dell’mgs ic
e del lavoro di un’intera comunità che, con l’aiuto
della Provvidenza, ha saputo abbracciare numerosi
e sostanziali cambiamenti che rendessero fedele e
innovativa la sua presenza e missione educativa fra
i maceratesi nel corso del tempo.
Attorno ad esso, ruotano centinaia di famiglie
e giovani che, attraverso numerose vie – attività
sportive, culturali, gruppi di interesse ed apostolici
– varcano le soglie di un luogo, sede di un vero e
proprio “laboratorio di futuro”.
La rinascita e la magnifica
trasformazione di un’opera
salesiana con il coraggio
della Speranza.
Il dolore e la scommessa
In quel lontano novembre del 1890, iniziava una
lunga storia di dedizione verso i giovani, realizzata
grazie al successore di don Bosco, don Rua e alla
collaborazione del vescovo Raniero Sarnari e di
Benedetto Pianesi, primo benefattore dell’opera. In
seguito a varie vicende e riflessioni circa le proposte
educative dei salesiani da proporre primariamente
alla gioventù maceratese, l’Istituto delineò la sua
missione attraverso la costituzione di istituti scola­
stici – inizialmente scuola elementare e ginnasio – e
l’oratorio festivo, guidato da don Luigi Baldi.
Nel corso del tempo, la scuola ottenne particola­
re riconoscimento e prestigio, divenendo un vero e
proprio collegio collettore di molti giovani studenti
provenienti dal territorio marchigiano.
A partire dal 2013 l’opera salesiana ha vissuto un
difficile momento di transizione con la chiusura
della scuola media e superiore. Una decisione dolo­
rosa, ma necessaria presa dall’ispettoria dell’Italia
centrale: gli istituti scolastici, da anni in difficoltà
economica, non erano più sostenibili. Questo even­
to ha segnato, così, l’inizio di una difficile gestazio­
ne. Per la città di Macerata, la chiusura della scuola
salesiana coincideva con una grave perdita storica e
culturale e ben poche erano le speranze, agli occhi
dei cittadini e di coloro che erano più vicini all’ope­
20
DICEMBRE 2021

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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ra, che essa potesse ripensarsi in maniera generati­
va. Non era questa l’opinione dell’ispettore dell’Ita­
lia centrale di allora, don Leonardo Mancini.
Pur toccando con mano il dolore e la difficoltà della
necessaria decisione, decise di scommettere ancora
sulle potenzialità della Casa, riponendo nel nuovo
direttore, don Flaviano d’Ercoli, le speranze per un
ripensamento completo della missione salesiana nel
maceratese.
posto ad un livello inferiore del territorio della casa
salesiana, accanto ai locali dell’oratorio. Il cortile am­
pio, ben visibile alla città e ricco di zone d’erba e di
campi da gioco, si allacciava fortemente al messaggio
di speranza che lo stesso nome dell’esperienza propo­
sta affermava: i ragazzi al centro dell’estate.
Lo specifico educativo delle settimane di giugno,
dedicate al coinvolgimento di ragazzi adolescenti
pronti a regalare ai più piccoli giornate di cresci­
Si cominciò dal cortile
La prima mossa fu quella di riappropriarsi del cor­
tile dell’opera, da anni occupato da un parcheggio,
così che i giovani potessero conquistare nuovamente
il luogo privilegiato dell’incontro e del gioco tanto
voluto da don Bosco. Questa piccola, e al contem­
po, grande conquista spaziale avrebbe preparato il
terreno a nuove intuizioni educative.
In primo luogo, il nuovo cortile iniziò ad ospitare l’E­
state Ragazzi, abitualmente svolta nel grande campo
Il cortile
ampio, ben
visibile alla
città e ricco di
zone d’erba
e di campi
da gioco è
stato il punto
di partenza
della
rinascita.
DICEMBRE 2021
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3.2 Page 22

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LE CASE DI DON BOSCO
Lo spirito di
cura verso
adolescenti
e giovani
è al centro
della vita
dell’oratorio
centro-
giovanile.
Una realtà in
cui i ragazzi
possono
allenarsi
come in una
“palestra di
vita” e trovare
un ambiente
familiare.
ta e di divertimento, inizia con l’essere non tanto
il servizio alle famiglie svolto per la città, seppur
curato e preparato con dedizione, ma la possibilità
di far crescere gli animatori stessi in un’esperienza
di dono di sé. A partire dalla prima Estate Ragazzi
del 2014, si cominciava così a delineare quello spi­
rito di cura verso adolescenti e giovani che avrebbe
dato vita all’oratorio centro-giovanile.
Mentre, infatti, la comunità educativa pastorale co­
minciava a formarsi, i salesiani dell’opera intraprese­
ro una seconda importante decisione: il vino nuovo,
doveva davvero trovare un otre capace di accoglierlo.
I vecchi locali dell’istituto dedicati alla scuola assun­
sero una nuova immagine ospitando l’oratorio, fino
ad allora situato in locali separati dall’istituto – i pia­
ni superiori negli anni successivi avrebbero ospitato
alcune classi di istituti scolastici maceratesi, anche in
seguito al terremoto del 2016. Ciò che fino ad allo­
ra era stato inimmaginabile, la fusione fra oratorio
e istituto, stava avvenendo e si trattava di qualcosa
che andava oltre ad un semplice trasloco. Impara­
re a pensare l’oratorio come una grande casa, aperta
ai giovani e alla città, un laboratorio di crescita non
solo per bambini, ma adolescenti e giovani universi­
tari era la nuova sfida. A dare fondatezza spirituale
ad ogni mossa, il lungo cammino spirituale intra­
preso dalla comunità educativa pastorale intorno alla
centralità dell’Eucaristia.
Se, infatti, l’opera fino a poco prima divisa fra scuo­
la, oratorio e numerose associazioni (scout Agesci,
mgs Sermig, pgs Robur 1905…), aveva vissuto una
silenziosa ma importante scissione in gruppi inter­
ni, l’incontro nell’appuntamento domenicale e la
cura di momenti di preghiera settimanali furono i
punti di partenza fondamentali.
Con il tempo e non senza difficoltà, si stava attuan­
do una lenta conversione dei cuori e delle anime
di educatori, adulti, famiglie e giovani attorno ad
una comune missione educativa; un processo lun­
go e non privo di divergenze che si sarebbe infine
rivelato estremamente generativo. L’istituto San
Giuseppe assumeva sempre più il volto di un ora­
torio centro-giovanile, che a sua volta si modellava
intorno a quella idea di Casa che don Bosco aveva
immaginato per i suoi ragazzi, fin dal primo ora­
torio di Valdocco. Una realtà in cui i giovani po­
tessero allenarsi come in una “palestra di vita” e, al
contempo, trovassero un ambiente familiare.
Le “KondiVivenze”
A tal proposito, nel corso degli anni successivi, si
sarebbero sviluppati numerosi progetti: da quello
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DICEMBRE 2021

3.3 Page 23

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delle “KondiVivenze” – esperienze settimanali di
accoglienza di classi provenienti dalle scuole del­
la città – fino al progetto “Casa Pinardi”, ispira­
to dalla simile esperienza “Lascia la tua impron­
ta” della casa salesiana del Sacro Cuore di Roma.
Quella di “Casa Pinardi” è stata, fin dal suo con­
cepimento, un’attuazione di quella “casa annessa
all’oratorio” immaginata da don Bosco. Non un
collegio universitario, né un’esperienza per pre-
novizi, ma l’occasione per giovani universitari di
spendere almeno un anno della loro vita univer­
sitaria o lavorativa, vivendo in fraternità accanto
alla comunità salesiana, condividendo la bellezza
del quotidiano. Pur essendo una delle numerose
proposte delineatesi nel corso degli anni, “Casa
Pinardi” è in grado di fornire la chiave di lettura
della novità della proposta salesiana alla gioventù
maceratese: una casa per i giovani, dove consacrati,
laici e famiglie possano accompagnarli, giorno per
giorno, nel cammino di scoperta della vocazione
della loro vita.
Questa ferma convinzione, nutrita dallo Spirito e
dall’impegno di molti ha portato l’oratorio cen­
tro-giovanile ad un completo ripensamento. Una
condivisa “tenacia educativa”, capace di affrontare
le più svariate situazioni di difficoltà, così come a
preparare il terreno per intrecciare collaborazioni
fruttuose. Fra queste la stipula, nel 2018, di un ac­
cordo decennale con il comune della città, che sti­
pula una collaborazione e riconosce la centralità sa­
lesiana nella missione educativa e nell’aggregazione
giovanile di Macerata.
Don Francesco Galante, direttore dell’Istituto sa­
lesiano a partire dal 2020, ha saputo raccogliere
l’eredità dei precedenti sette anni di ripensamen­
to e rinascita operati dai suoi confratelli, guidando
questo vero e innovativo “laboratorio di futuro”, o
meglio una “Casa Futuro”, ad una continua crescita
volta al bene dei ragazzi, sotto la custodia dell’i­
spettore del mgs ic don Stefano Aspettati.
Si avvicinano anni di nuovi cambiamenti negli spa­
zi, con la sistemazione dell’Opera in seguito al ter­
remoto del 2016 – che aveva fortunatamente reso
inagibili solo alcune zone – ma i progetti sono lungi
dal fermarsi.
Quella della casa salesiana di Macerata è ancora
una lunga strada da percorrere, ma la sua comunità
educativa pastorale, stretta sotto il manto di Maria
del bellissimo affresco del suo Tempio, continua a
camminare nella comune condivisione del sogno di
don Bosco. Il vino nuovo è ormai nei suoi nuovi
otri, e l’oratorio centro-giovanile è una Casa aperta
con porte aperte a tutti i ragazzi che desiderino un
pezzo di futuro che sappia di Paradiso.
Su tutto
veglia Maria
Ausiliatrice.
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3.4 Page 24

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FMA
Emilia Di Massimo
Una madre Chiara
Suor Chiara Cazzuola è la nuova
Madre Generale dell’Istituto
delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
“Dico sì!”
Chiara Cazzuola nasce il 6 mag­
gio 1955 a Campiglia Maritti­
ma (Livorno) in una regione
che, affacciandosi sul mare,
rende più ampio lo sguardo
del cuore, è una terra di san­
ti, di artisti e di poeti tra cui
il celeberrimo Dante Alighieri.
Chiara vive in una famiglia unita
e laboriosa, dai genitori eredita an­
che il particolare senso dell’umorismo
che dà leggerezza e profondità alla vita. Fre­
quenta l’oratorio delle suore Salesiane, ne assimila
il carisma tanto da maturare la vocazione religio­
sa, a 17 anni entra nell’Istituto. Il 5 agosto 1975 è
Figlia di Maria Ausiliatrice: donna consacrata ed
educatrice per Gesù e per i giovani. Conseguita la
Laurea in Materie Letterarie, suor Chiara si dedi­
ca con gioia alla missione salesiana nella scuola di
Montecatini come insegnante del Liceo sperimen­
tale. Le vengono affidati altri incarichi: Delegata
locale e provinciale per le Polisportive Giovanili
Salesiane (pgs) Coordinatrice ispettoriale di Pasto­
rale Giovanile, animatrice di comunità, Consigliera
ispettoriale per la Formazione. Chiara offre sempre
un valido contributo privilegiando cammini di co­
munione e di spiritualità nello stile della semplicità
e del rispetto delle persone. Nominata Ispettrice
dell’Ispettoria Emiliana-Ligure-Toscana, vi resta
per poco tempo: nel 2008, al Capitolo Generale
xxii, viene eletta Consigliera Visitatrice, dà la sua
disponibilità: “In spirito di abbandono alla volon­
tà di Dio e confidando nell’aiuto del Signore, dico
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DICEMBRE 2021

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sì”. Negli incontri con le sorelle suor Chiara regala
a ciascuna umanità, ottimismo, coglie il punto ac­
cessibile al bene ed ascolta senza dare risposte pre­
confezionate. Nel 2014, al cg xxiii, è nominata
Vicaria Generale e, alla domanda di Madre Yvon­
ne Reungoat: “Accetti?”, suor Chiara risponde: “Mi
fido del Signore e mi affido a Maria Ausiliatrice.
Per questo dico sì!”.
Un sentimento sopra tutti gli altri
Il 5 ottobre 2021, nel Capitolo Generale xxiv, suor
Chiara è eletta Madre Generale, la proclamazione
ufficiale è accolta con un applauso affettuoso. La
neo-eletta Madre all’Assemblea Capitolare dice:
“È una missione più grande di me. Io mi fido del
Signore e mi affido a Maria Ausiliatrice che sen­
to molto presente. Per questo dico e vi ringrazio
della fiducia, so che sarà un cammino che percor­
reremo insieme”.
L’11 ottobre Madre Chiara dà la sua prima “Buo­
nanotte” salesiana alle partecipanti al Capitolo Ge­
nerale con un messaggio all’insegna della gratitu­
dine e della centralità di Maria nella vita di ogni
religiosa appartenente all’Istituto. “Il cuore vive
tanti sentimenti diversi, ma ce n’è uno sopra tutti
gli altri ed è la gratitudine. Grazie al Signore per
averci chiamate in questo meraviglioso Istituto che
ha voluto la Madonna, è una bellissima certezza
che ci accompagna. Quando noi diciamo: ‘Maria è
presente nella nostra vita, nella vita dell’Istituto’ di­
ciamo la verità! (…) Madre Mazzarello diceva alle
suore: ‘comportiamoci e viviamo come se avessimo
sempre Maria accanto’, e ce l’abbiamo davvero, an­
che se non la vediamo! (…) E allora il mio grazie è
per questo. E poi per ciascuna di voi: per lo stupore
in ogni incontro, per la fraternità, la cordialità, per
l’accoglienza che ogni giorno si respira e che rende
visibile l’universalità dell’Istituto. Questo ci dà for­
za per vivere il presente e per guardare al futuro con
la certezza che è Maria che ci guida ed è la sorgente
della nostra fedeltà. (…) Leggendo le Costituzioni
si nota come la dimensione mariana sia trasversale:
il riferimento a Maria è presente in tutti gli articoli.
E noi siamo costantemente invitate ad essere anche
noi ‘Ausiliatrici’. L’art. 4 dice ‘per le giovani e per
i giovani’, ma io direi, ‘a cominciare dalle nostre
comunità’. (…) Allora guardare a Maria e vivere
in comunione con Lei vuol dire proprio trovare la
sorgente e anche la forza della nostra fedeltà, del
desiderio che abbiamo di essere comunità genera­
tive di vita e di fecondità vocazionale. (…) Perciò
io affido a Lei tutte voi, e a voi affido Lei, perché
La possiamo davvero tenere presente e lasciare che
ci accompagni e ci renda docili alla Parola del Si­
gnore”.
L’Istituto si sta preparando a vivere l’anniversario
del 150° della sua Fondazione guidato da Madre
Chiara, dalla sua umanità autentica, semplice e
profonda, con lo stile sinodale che dischiude alla
fiducia e alla speranza, con la sua grande passione
per i giovani vissuta mediante la capacità di rappor­
ti schietti e sereni, soprattutto con le sorelle che le
sono affidate.
«In spirito
di abbandono
alla volontà
di Dio e
confidando
nell’aiuto
del Signore,
dico sì».
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3.6 Page 26

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L’INVITATO
O. Pori Mecoi
Jean Paul
Salesiano in Burundi
Il paese “delle mille colline”
e dei “tamburi sacri”.
Fin dalla mia infanzia, sono cresciuto ed evoluto
nei gruppi giovanili (movimenti giovanili cattolici)
e come chierichetto. Ho sempre avuto il desiderio
di diventare un giorno prete. Alla fine dei miei stu­
di secondari, ho avuto la possibilità di incontrare
un salesiano che si occupava di promozione voca­
zionale. Quando ci ha parlato della storia e della
vita di don Bosco, sono stato subito molto inte­
ressato. Ho cambiato l’idea di diventare sacerdote
diocesano. Quando ho espresso il mio desiderio di
entrare nella Congregazione Salesiana, ho ricevuto
una risposta positiva.
Jean Paul:
«Ho fatto
una buona
esperienza
salesiana,
soprattutto
nel vivere
tra i giovani
poveri».
In Burundi i Figli di Don Bosco sono presenti
dal 1970. In questi anni hanno accompagnato
sempre da vicino i giovani e tutta la popolazio­
ne, anche nei momenti più bui, come durante
la fase della guerra civile. Attualmente guardano
con speranza al futuro, come testimonia don Jean
Paul Ndayikengurutse, salesiano burundese di 45
anni, il cui cognome nella lingua locale significa
“ringrazio Dio”.
Sono padre Ndayikengurutse Jean Paul. Originario
del Burundi. Sono il primogenito di una famiglia
di otto figli: tre maschi e cinque femmine. Senza
padre dal 1998.
Sono un salesiano di don Bosco, dell’Ispettoria Sa­
lesiana dell’Africa dei Grandi Laghi (agl Rwanda-
Burundi-Uganda).
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DICEMBRE 2021

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Dopo quasi 19 anni dalla mia prima professione
religiosa, ho fatto una buona esperienza salesiana,
soprattutto nel vivere tra i giovani poveri.
Direi che ciò che è stato significativo è stata l’e­
sperienza pastorale in parrocchia come parroco. È
stato un momento eccezionale per me, coronato da
momenti di gioia e di dolore, in comunione con i
fedeli e i giovani in particolare. Era un’opportuni­
tà per condividere con i cristiani le loro esperienze
quotidiane.
I giovani del Burundi
Date le crisi politiche che il Burundi ha vissuto, i
giovani diventano più vittime fisicamente, moral­
mente e psicologicamente. Ci sono orfani, abban­
doni scolastici, esodi rurali, fughe nei paesi vicini,
giovani che si drogano, vita di strada ecc. Nono­
stante ciò, un gran numero di loro mantiene la spe­
ranza in Dio. Per questo motivo, la loro presenza
nella vita della Chiesa rimane notevole e importan­
te. Anche la loro presenza merita una buona cura e
attenzione.
Hanno ancora questa immagine della Chiesa-Fa­
miglia all’interno della quale possono ancora sen­
tirsi uniti, esprimersi, sentirsi fratelli e sorelle (aiu­
tati in tutto questo dai loro pastori). Hanno ancora
fiducia nei pastori della Chiesa e sono pronti a dare
se stessi per l’edificazione della Chiesa.
Attualmente in Burundi abbiamo quattro presenze
salesiane.
1) La Comunità Salesiana di ngozi, nella Diocesi
di Ngozi: lì abbiamo un grande Liceo dove sono
accolti giovani da tutto il paese (ragazze e ragazzi).
È tra i maggiori del Paese, educa ogni anno 900 tra
ragazzi e ragazze. Non è facile offrire qualità, ma
il governo eroga contributi che permettono di dare
lo stipendio ai docenti: metà lo pagano i salesiani,
l’altra metà le casse pubbliche. Durante le vacan­
ze c’è un oratorio che accoglie un buon numero di
giovani dei villaggi circostanti e della città. C’è una
cappella pubblica che serve i fedeli dei dintorni del­
la scuola e una parte della città di Ngozi.
2) La Comunità di rukago, sempre nella Diocesi
di Ngozi: qui abbiamo una grande Parrocchia con
una popolazione di oltre 66 000 persone. C’è an­
che un centro professionale. Un centro che accoglie
giovani poveri, ragazze e ragazzi, con un numero di
250 giovani ogni anno. Seguono varie sezioni come
«La presenza
dei giovani
nella vita
della Chiesa
rimane
notevole e
importante,
merita una
buona cura e
attenzione».
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3.8 Page 28

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L’INVITATO
«Per i centri
di formazione
professionale,
la sfida
maggiore
è quella
di riuscire
a trovare
insegnanti
qualificati
e di poterli
pagare».
la carpenteria, la saldatura, la meccanica automobi­
listica, la muratura.
C’è anche un oratorio dove si organizzano varie
attività: attività sportive, attività culturali, campi
da gioco nei fine settimana e durante le vacanze,
attività di formazione giovanile.
3) La comunità di buterere nell’arcidiocesi di
Bujumbura: qui abbiamo un santuario mariano,
una parrocchia situata in una zona/quartiere popo­
lare, un centro professionale, una scuola secondaria,
un oratorio che accoglie giovani di tutte le catego­
rie e di tutte le età. Varie attività sono organizzate
quotidianamente e soprattutto durante le vacanze,
un servizio ai bambini di strada.
4) Una nuova comunità allo stadio embrionale in
una località chiamata kagwema, nella diocesi di
Bubanza.
Tutte e quattro le opere sono notevoli perché ognuna
è nel suo ambiente e contesto. Tuttavia, tutti loro con­
dividono le stesse sfide per raggiungere i bisognosi.
Per le scuole, le maggiori sfide sono, per esempio,
quelle dei giovani che non possono permettersi le
tasse scolastiche a causa della situazione finanziaria
delle loro famiglie. La sfida di poter accompagnare
gli alunni che finiscono le nostre scuole affinché
una volta arrivati nel mondo reale possano iniziare
un’attività generatrice di reddito per la loro soprav­
vivenza. Per i centri di formazione professionale,
la sfida maggiore è quella di riuscire a trovare in­
segnanti qualificati e di poterli pagare, perché il
governo non è ancora in grado di mettere a dispo­
sizione insegnanti in questo settore. Oltre a questo,
ci sono le grandi sfide di poter fornire materiale per
le sessioni pratiche al fine di rafforzare la formazio­
ne professionale dei nostri giovani.
Per quanto riguarda le parrocchie, una delle sfide è
che abbiamo fedeli ma non abbiamo chiese adegua­
te alla celebrazione delle messe (durante la stagione
delle piogge è quasi impossibile).
C’è poi il servizio ai ragazzi di strada, che non si
configura come accoglienza nelle strutture ma
come incontro e accompagnamento per un ritorno
nelle famiglie di origine. Questi ragazzi lasciano le
case per fame o per la separazione dei genitori; gli
operatori intervengono nell’emergenza e poi rico­
struiscono la rete delle relazioni perché ogni bam­
bino o ragazzo possa tornare a far parte del nucleo
famigliare attraverso il sostegno ad esso.
C’è differenza fra quanto possiamo fare nelle gran­
di città o nei villaggi, ma la linea ispiratrice è quella
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DICEMBRE 2021

3.9 Page 29

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CONOSCERE IL BURUNDI
Il Burundi è uno stato africano circondato dal Rwanda,
dalla Repubblica Democratica del Congo e dalla
Tanzania. Situato nella regione dei Grandi Laghi, il Bu-
rundi dopo la colonizzazione tedesca e belga ha con-
quistato l’indipendenza nel 1962.
La storia del paese è, come molti altri stati africani, in-
sanguinata da colpi di stato e guerre. La più sanguinosa
fu quella ricordata con il nome di ikiza, un vero e proprio
genocidio etnico che causò un numero di vittime com-
preso tra le 400 000 e le 500 000. Una storia che acco-
muna questo stato a molti altri stati della regione; un
destino sanguinoso da cui l’occidente non si può certo
dire estraneo. Colonialismo prima, interessi economici
poi hanno spesso portato gli stati occidentali a chiudere
colpevolmente gli occhi su quanto andava accadendo,
quando non alimentavano, in prima persona, guerre
interne e fratricide. Ma il Burundi è anche conosciuto
come il paese “delle mille colline” e dei “tamburi sacri”;
un paese dalla bellezza rigogliosa e suggestiva.
Come molti paesi dell’Africa, anche il Burundi è un
paese di contraddizioni: la povertà estrema della mag-
gioranza della popolazione contrapposta alla ricchezza
straordinaria di pochi privilegiati; il ceto medio è quasi
inesistente. L’economia del paese si basa quasi esclu-
sivamente sull’agricoltura: tè e caffè sono le culture
pregiate destinate all’esportazione, mentre riso, canna
da zucchero, cereali, legumi e ortaggi sono destinati al
consumo locale. Esistono poche industrie, per lo più
concentrate nella capitale, e qualche impresa minera-
ria nelle zone di frontiera con la Tanzania.
«Anche
qui, gli
oratori sono
una carta
vincente
nonostante la
povertà delle
strutture».
di incontrare regolarmente i ragazzi per realizzare
il loro ritorno a casa.
Dopo decenni di immobilismo, il Paese sembra
aver abbandonato la precedente politica di autar­
chia – che portava il Paese a rifiutare qualsiasi aiu­
to da parte di organizzazioni e investitori stranie­
ri – per provare a mettere in moto lo sviluppo, in
maniera analoga a quanto sta avvenendo nei vicini
Rwanda e Uganda.
“Ora ci sono scambi, la situazione migliora anche
da noi” spiega don Ndayikengurutse, che sottolinea
anche il fatto che la migrazione dei Burundesi verso
l’Europa è un fenomeno irrilevante a differenza che
dagli altri Paesi di quella parte d’Africa. Ci sono le
possibilità di vivere a un livello dignitoso. Il terreno
fertile consente una buona agricoltura.
Nonostante alcune sfide, la Congregazione Sale­
siana in Burundi ha un futuro prospero. Molti gio­
vani sono interessati ad unirsi alla Congregazione e
le nostre opere fioriscono mentre la storia si svolge.
Ho il sogno di vedere il carisma di don Bosco pre­
sente in più diocesi del Burundi. Vedo anche un
giorno in cui le opere salesiane in Burundi avran­
no una pastorale più riconosciuta e diffusa con lo
spirito di don Bosco. Perché nei giorni a venire, le
vocazioni aumenteranno.
«Partiamo
da casette
come la casa
Pinardi».
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3.10 Page 30

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LA NOSTRA STORIA
Sergio Rodríguez López-Ros
Traduzione del dott. Maurizio Bruni
Carlo Gastini
Il poeta di Valdocco “primo” exallievo di don Bosco.
Il ritratto
“ufficiale” di
Carlo Gastini.
In cima all’altura c’era la
forca. In quello spiazzo
macabro bisognava pas­
sare per scendere a Val­
docco. Una nebbiosa notte
d’inverno, mentre rientrava
a Valdocco, don Bosco sentì
un pianto sommesso. Pro­
prio là, rannicchiati contro
il tronco di un olmo, c’erano
un ragazzino e la sua sorel­
lina. Il ragazzino, Carlo, era
già conosciuto da don Bosco
che si fermò e chiese: «Che
cos’hai, Carlino mio?».
Tra i singulti, il ragazzo gli spiegò che, dal momen­
to che sua madre era morta e che durante la sua ma­
lattia non aveva potuto pagare l’affitto della casa,
il proprietario li aveva sfrattati e lasciati in mezzo
alla strada. Tornando dal funerale, avevano tro­
vato sprangata la porta della loro casa; il padrone,
per rifarsi dei debiti che la mamma aveva contratto
nell’ultimo periodo della malattia, aveva confiscato
tutto ciò che la donna aveva lasciato e aveva buttato
sul lastrico i due ragazzi.
Don Bosco, senza esitare se li portò a casa con sé.
Mentre scendevano a Valdocco, Carlo Gastini sentì
la frase che tanti ragazzi avrebbero sentito, e che lui
non dimenticò mai: «Vedi, io sono un povero prete.
Ma anche quando avrò soltanto più un pezzo di
pane, lo farò a metà con te». Mamma Margherita
preparò un altro letto.
La città esplode
Nel 1841, quando il giovane Giovanni Bosco era
arrivato a Torino per essere ordinato sacerdote, la
città era composta da 128 000 abitanti ed era in pie­
na industrializzazione.
A Torino nel 1841 c’erano 7148 bambini di età in­
feriore ai 10 anni impiegati come muratori, sarti,
carpentieri, pittori, spazzacamini e in molte altre
attività, con giornate lavorative lunghe fino a 14 ore
in cambio di 30 lire al mese. La marginalizzazio­
ne nei quartieri periferici e le dure condizioni di
lavoro provocavano alcolismo, violenze e malattie,
a causa delle quali molti bambini restavano orfani.
La mancanza di lavoro li conduceva a delinquere, il
che ha portato le carceri di Torino ad essere sovraf­
follate e piene di giovani.
Fu proprio in quel contesto che la coppia formata
da Antonio Gastini e da Maria Pernigotti abban­
donò Casale Monferrato per installarsi a Torino in­
torno al 1828. La famiglia Gastini si stabilì vicino
alla parrocchia di San Dalmazzo, alla periferia del­
la città, in un quartiere modesto ma non degradato,
pieno di negozi e di artigiani. Nacquero tre bam­
bini: due maschi e una femmina. Il secondogenito
Carlo nacque il 23 gennaio del 1833.
La felicità familiare fu troncata pochi anni più tardi.
Il padre di famiglia morì nel 1847 probabilmente a
causa di una malattia, lasciando a Maria il carico dei
suoi tre figli, due dei quali dovettero cominciare a
lavorare. Carlo, che aveva 14 anni, conosciuto in fa­
miglia come Carlino, iniziò a lavorare come appren­
dista in un negozio di barbiere del quartiere, vicino
al numero 11 della via San Francesco d’Assisi.
La sua vita era cambiata un sabato di giugno del
1847, quando era entrato nel negozio del barbiere
il giovane sacerdote Giovanni Bosco, che proprio
solo un anno prima si era stabilito a Valdocco con
sua madre, Margherita Occhiena, in una casupola
in affitto.
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DICEMBRE 2021

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Il piccolo barbiere tremava
come una foglia
Si era avvicinato il piccolo garzone per insaponarlo.
«Come ti chiami? Quanti anni hai?»
«Carlino. Ho quattordici anni».
«Bravo Carlino, fammi una bella insaponata. E tuo
papà come sta?»
«È morto. Ho soltanto mia mamma».
«Oh poverino, mi dispiace». Il ragazzo aveva finito
l’insaponatura. «E ora su, da bravo, prendi il rasoio
e radimi la barba».
Accorse il padrone allarmato: «Reverendo, per cari­
tà! Il ragazzo non ci sa fare. Lui insapona soltanto».
«Ma una volta o l’altra deve ben incomincia­
re a radere, no? E allora tanto vale che incominci
su di me. Forza, Carlino». Carlino tagliò quella
barba tremando come una foglia. Quando con il
rasoio cominciò a girare attorno al mento, sudava.
Qualche raschiatura forte, qualche taglietto, ma
arrivò alla fine. Don Bosco subì imperturbabile il
collaudo. «Non c’è male, – disse alla fine, – non c’è
male. Un po’ per volta diventerai un famoso bar­
biere». Scherzò ancora con Gastini, poi gli lanciò
l’invito di venire all’Oratorio la domenica seguente;
il ragazzo glielo promise. Così Carlo Gastini ave­
va incominciato a frequentare l’oratorio e divenne
amicissimo di don Bosco.
Una domenica del 1848, anno in cui spararono a
don Bosco da una finestra di Valdocco, Carlo Ga­
stini aveva un forte male ai denti, tipico dell’adole­
scenza, che l’obbligò a non poter andare a Messa e a
dover stare a letto; verso le 11, terminata la Messa,
don Bosco andò a vederlo e, sentendolo piangere,
gli si rivolse: «Che cos’hai mio caro Gastini?» gli
chiese. Il giovinetto a malapena rispose perché si
agitava per l’atroce dolore; il giovane sacerdote pre­
se la sua testa fra le sue mani, la appoggiò con forza
con esse sul suo petto e il dolore scomparve all’i­
stante: non fu l’unica volta in cui, in questo stesso
modo, fece guarigioni simili nell’oratorio.
Quei giovani erano così riconoscenti verso don Bo­
sco al punto da considerarlo il loro vero padre.
Nel giugno del 1849, in preparazione dell’onomasti­
co di don Bosco, Gastini si era accordato con l’ami­
co Reviglio per procurare a don Bosco una sorpresa
meravigliosa, che esprimesse la loro riconoscenza:
risparmiando sui pochi centesimi che don Bosco
dava loro ogni mattina, avevano messo da parte un
gruzzolo sufficiente per comperare un piccolo cuo­
re di argento. Alla sera del 23 giugno, vigilia della
festa, quando tutti i loro compagni erano già andati
a dormire, Gastini e Reviglio si presentarono nella
cameretta di don Bosco (don Bosco lavorava fino a
notte tarda): con gioia gli offrirono il dono. Quan­
do il giorno dopo i compagni lo seppero, ci rimase­
ro male: erano stati presi in contropiede. Decisero
per l’anno seguente di fare qualche cosa di più: ecco
l’origine dei grandi festeggiamenti, divenuti poi
tradizionali, per la festa di San Giovanni Battista.
Don Bosco gli predisse
gli anni di vita
Il 2 febbraio 1852 Carlo Gastini insieme con un
gruppo di amici indossava l’abito chiericale. Un
anno dopo, lo doveva deporre e contemporanea­
mente troncare gli studi per mancanza di salute. Si
specializzò allora nella rilegatura del libro.
Nel 1856 trovò lavoro fuori dell’Oratorio e si sposò.
Ma nei momenti liberi correva a Valdocco e conti­
nuava a partecipare alla vita dell’Istituto. Aveva il
dono della fosforescenza; divenne il menestrello di
La gloriosa
tipografia
di Valdocco.
Carlo Gastini
è al centro.
DICEMBRE 2021
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LA NOSTRA STORIA
I cuori
d’argento,
frutto di
un anno di
risparmi,
offerti a
don Bosco
da Gastini e
Reviglio e un
telegramma
di auguri.
don Bosco. Sprizzava gioia fin dai
pori della pelle. Sembrava quasi l’in­
carnazione del motto di don Bosco:
«Servite il Signore nell’allegria».
Cinque anni dopo, eccolo tornare a
Valdocco, a lavorare con don Bosco.
Vi fu spinto da un fatto che lo ferì
nel cuore. Lo si legge nel Bollettino Salesiano del
febbraio 1902:
«Un giorno del 1861 un giornale torinese venne fuori
con la strana notizia che don Bosco era stato con­
dotto in prigione. Erano i giorni paurosi delle per­
quisizioni, e tutto pareva possibile. Quando Gastini
entra in laboratorio, ignaro di tutto, si vede correre
incontro molti operai, che lo colmano d’ingiurie di­
cendogli come il suo don Bosco aveva finalmente co­
minciato a pagare il fio della sua ostilità al governo.
Gastini non sentì più in là; non curò le cose a lui di­
rette, non capì che la disgrazia di don Bosco. E come
si trovava, con le maniche della camicia rovesciate
all’insù, con un paio di pantofole nei piedi, corre
all’Oratorio... Bisogna notare che la tipografia in cui
lavorava era alla parte opposta di Torino. E giunto
a Valdocco, grida piangendo: “Dov’è don Bosco?”.
In quell’ora, don Bosco aveva finito la santa Mes­
sa e se ne usciva dalla sacrestia della chiesa di San
Francesco di Sales. A Gastini parve una visione,
non voleva credere a se stesso e piangendo gli corse
incontro.
Qualche tempo dopo, in occasione di una festa,
nel presentare a don Bosco una serie di opere con
elegante rilegatura, gli chiese una preghiera, «Af­
finché – disse – dopo averti legato tanti libri, io
rimanga legato a te nel libro della vita».
Don Bosco un giorno lo prende in disparte e gli
assicura che sarebbe vissuto fino a 70 anni. Questa
predizione Gastini se la incise nel cuore e vi giocava
sopra con una poesia: «Io devo vivere / per settant’an-
ni, a me lo disse / papà Giovanni».
Un exallievo lo descrive come un artista ineguaglia­
bile nell’arte dell’improvvisazione e della recitazio­
ne. Quando compariva sul palcoscenico il pubblico
lo applaudiva fino a spellarsi le mani. Il suo ruolo
favorito era quello di protagonista nella tragedia
classica S. Eustachio e nella commedia Tonio, ossia
una lezione di morale. Negli intervalli dello spetta­
colo veniva alla ribalta e sciorinava un ricco reper­
torio: la scena del pozzo dal melodramma Crispino
e la comare, don Procopio, Il ciabattino contento
del suo stato, L’assolo nel coro dei matti, eccetera.
Nascono gli ex allievi
di don Bosco
Nel 1876, in occasione della festa annuale di giu­
gno, gli exallievi presenti raggiunsero il numero di
157. Al mattino, furono accolti dalla banda degli
allievi; don Bosco li aspettava nel refettorio, dove
consegnarono alcune corone di fiori per Maria Au­
siliatrice, esprimendo il loro sentimento di grati­
tudine. L’album regalato in quell’anno conteneva
questa dedica: «Nell’onomastico dell’amatissimo
Padre Don Giovanni Bosco i giovani già educati
in questa casa in segno di riconoscenza offrono»,
cui seguiva nell’interno, a mano un foglio: «A Don
Giovanni Bosco scrittore celeberrimo nel giorno
onomastico 1876 la Libreria Salesiana offre».
La rilegatura era naturalmente di Gastini che, dopo
la Messa, mise in scena un immaginario dialogo fra
lui e due librai, in cui si calcolava il numero di esem­
plari realizzati fino a quell’anno: Il giovane provve­
duto, 370 000; La chiave del Paradiso, 180 000, Sto­
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DICEMBRE 2021

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ria d’Italia, 50 000; Storia Sacra, 30 000… e quasi 4
milioni di fascicoli delle Letture Cattoliche.
L’iniziativa di riunire gli exallievi aveva funzionato.
Gli incontri avvenivano con regolarità ed i presen­
ti ogni volta erano sempre più numerosi. Esisteva
quindi un movimento di persone riunite da un
legame morale con un comitato organizzatore, al
cui capo stava Gastini. Solo nel 1894 quella entità
avrebbe avuto anche una forma giuridica.
Gli exallievi, oltre alla festa di San Giovanni Bat­
tista, partecipavano anche alle celebrazioni delle
feste di San Luigi Gonzaga e San Pietro. Nella
festa di Pentecoste, agli exallievi riuniti come gli
Apostoli nel Cenacolo, raccolti intorno a Maria
Ausiliatrice, don Bosco rivolse alcune parole, in cui
li esortava a costituirsi come entità giuridica: «Che
cosa mi resta a dirvi? Coraggio, coraggio, corag­
gio! Chi vuole farsi missionario non ha che a dare
il nome e partire (…) Ma non tutti sono chiamati a
professare la Società di S. Francesco di Sales, e al­
lora basta che se ne mantenga lo spirito che ciascu­
no sia ora missionario fra i suoi compagni; poi nelle
proprie case, o dove abiterà, dando buoni esempi,
buoni consigli e facendo del bene all’anima propria.
Così quanti siete qui sarete altrettanti missionari,
sarete altrettanti di coloro di cui dice Gesù Cristo:
Saranno sale, saranno luce! Quanti siete qui sare­
te altrettanti cittadini del paradiso e allora vedrete
quanto poco ci voleva per salvare un’anima e per
essere missionario».
Questo intervento orale, e unico, del 1878 è la au­
tentica Carta di Missione degli Exallievi di don
Bosco. Nel 1869 era stata fondata l’arciconfrater­
nita di Maria Ausiliatrice e nel 1876 egli fondava i
Salesiani Cooperatori. L’obiettivo era chiaro: con­
tinuare l’Oratorio oltre l’Oratorio, cioè permette­
re che divenuti grandi quei giovani conservassero
gli stessi valori. Per raggiungere tale scopo stabilì
una quadrupla missione: conservare i valori ricevuti
(fede, onestà, laboriosità, impegno), testimoniare
proprio questi valori (in famiglia, sul lavoro, nella
società), dare solidarietà reciproca fra gli exallievi e
aiutare le opere salesiane nella loro missione con i
giovani.
Ormai a Valdocco gli exallievi erano una realtà am­
piamente riconosciuta.
Appuntamento in Paradiso
Il 31 gennaio 1888 morì don Bosco. Il dolore fu
immenso per tutti. Sacerdote, educatore, amico,
benefattore. Tutti persero qualcosa. Però Carlo
perse papà Giovanni, a cui era andato a dare l’addio
durante la sua agonia.
A metà gennaio dell’anno 1902 Gastini si amma­
lò. Si mise a letto conscio di prepararsi alla morte.
Don Rua lo venne a trovare e gli fece coraggio fa­
cendogli balenare la speranza di una rapida guari­
gione. «No, no. Non mi leverò più dal letto – gli
rispose Gastini. – Sono entrato negli anni settanta
e devo morire. Non ho più nulla da fare quaggiù.
Spero che don Bosco mi aiuterà a unirmi con lui in
Paradiso».
Si spense il 28 gennaio di quell’anno 1902, al limite
biblico dei 70 anni.
Oggi i discendenti spirituali di Carlo Gastini sono
una realtà diffusa in oltre 100 paesi e formata da 50
milioni di persone.
PER SAPERNE DI PIÙ
Sig. Nguyen Duc Nam Dominic
Confederazione Mondiale Exallievi/e di Don Bosco
Via Marsala 42 00185 Roma RM Italia
www.exallievi.org
1885 (26
luglio):
unica foto di
don Bosco
con Gastini
durante
il raduno
annuale degli
exallievi.
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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Natale!
La festa di Natale può sembrare
una fiaba, ma è il ricordo di una
realtà veramente accaduta in un
momento storico preciso, in una
terra precisa ben conosciuta,
della nascita di “Uno” che ha
ricreato l’umanità: Gesù.
Gli animali lo sanno
Una volta gli animali fecero una riunione. La volpe
chiese allo scoiattolo: «Che cos’è per te Natale?»
Lo scoiattolo rispose: «Per me è un bell’albero con
tante luci e tanti dolci da sgranocchiare appesi ai
rami».
La volpe continuò: «Per me naturalmente è un fra­
grante arrosto d’oca. Se non c’è un bell’arrosto d’o­
ca non c’è Natale».
L’orso l’interruppe: «Panettone! Per me Natale è un
enorme profumato panettone!»
La gazza intervenne: «Io direi gioielli sfavillanti e
gingilli luccicanti. Il Natale è una cosa brillante!»
Anche il bue volle dire la sua: «È lo spumante che
fa il Natale! Me ne scolerei anche un paio di bot­
tiglie».
L’asino prese la parola con foga: «Bue, sei impazzi­
to? È il Bambino Gesù la cosa più importante del
Natale. Te lo sei dimenticato?»
Vergognandosi, il bue abbassò la grossa testa e dis­
se: «Ma questo gli uomini lo sanno?»
«Ho perso Gesù Bambino!»
Una mamma racconta: «Era il primo Natale in cui
aveva contribuito a fare il presepio, e aveva capi­
to più o meno che cosa significava. Aveva appena
compiuto 2 anni e già parlava e si esprimeva come
se avesse 12 anni.
Quando stavano partendo per la Messa della vigilia
di Natale, voleva portare con sé il Bambino Gesù
della mangiatoia, come un giocattolo. I genitori la
lasciarono fare.
Ma quando scese dall’auto, forse mentre si distri­
cava dal suo sedile, fece cadere il Bambino Gesù in
strada, sul marciapiede o in qualche angolo.
«Ho perso Gesù Bambino, mamma», disse con gli
occhi pieni di lacrime. Non riuscirono mai a trovarlo
e negli anni successivi misero nella mangiatoia
la statuetta del Bambino presa da un’altra serie
di statuine. Era più grande in proporzione alle
statue di Maria e Giuseppe, e la mucca e l’asino
sembravano un gattino e un cagnolino accanto a
Lui.
Oggi, la mamma confida: «Ogni volta che faccia­
mo il presepio, mi viene in mente il Piccolo Gesù
perduto e il triste faccino della mia bambina. Non
riesco a togliermi dalla mente il “Ho perso il Bam­
bino Gesù”. E non voglio perderlo. Non voglio che
si perda nei regali, nelle riunioni o nei pasti. Sono
persa tra bollette, tasse scolastiche e bilanci, e non
voglio. Non voglio perdermi in saluti, progetti o
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brindisi di fine anno. Non voglio perdermi nel la­
voro, nella psicologia o nelle visite mediche. Non
voglio nemmeno perderlo quando scrivo, quando
leggo o quando cammino.
Voglio tenerlo d’occhio e non perderlo.
Ma mi rendo conto anche che se lo perdo anche se
non voglio, Lui viene e mi trova. Ogni anno rinasce
di nuovo, nel caso l’avessi perso. Riparte da zero, con
tutta la sua innocenza, il suo cuore nuovo, la sua dol­
cezza e la sua pace. Mi trova comunque sono, smar­
rita, distratta o esausta, viene come un bambino per
giocare con me, viene come un amico che mi vuol
bene. Viene a stare con me pur sapendo che alla pri­
ma distrazione lo perderò di nuovo.
E anche se quest’anno l’ho perso più volte, sono fe­
lice, perché Lui sta arrivando, e mi trova sempre».
Festa luminosa
“Il popolo che camminava nelle tenebre vide una
grande luce; su coloro che abitavano in una terra
tenebrosa una luce rifulse… poiché un bambino è
nato per noi!” (dal profeta Isaia, 9, 1.5).
Belle le città sfavillanti di luce nella Notte santa:
allegri gli alberelli carichi di fiammelle che riscal­
dano le stanze delle nostre case e i balconi! Via tut­
te le ombre: Natale è un’esplosione di luce!
Questo è Natale!
Guai a smarrirlo! Senza Natale il mondo sarebbe
infinitamente più povero e più triste. Lo stesso fi­
losofo Lucio Lombardo Radice che, pure, si trova­
va su una sponda diversa da quella cristiana, diceva
con convinzione: «L’umanità ha un estremo bisogno
di avere giornate come quella del Natale».
Festa vibrante
Lo scrittore Luigi Santucci diceva che Natale “è più
che un racconto: è una carezza, è un abbraccio, è un
soccorso, è un cibo”. Natale è il sorriso di un bambino
(di ogni bambino!) che non ha ancora dimenticato i
prati del cielo! Ecco perché Natale mette in fibril­
lazione proprio loro, i bambini che conoscono più
per sentimento che per ragionamento.
MI MANCAVA UNA MAMMA
“La mia più bella invenzione, dice Dio,
è mia Madre.
Mi mancava una mamma e io l’ho fatta.
Ho fatto mia Madre prima che ella facesse me.
Ora sono veramente uomo come tutti gli uomini.
Non ho più nulla da invidiare loro perché ho una mamma.
Mi mancava.
Mia Madre si chiama Maria, dice Dio,
La sua anima è pura e piena di grazia.
Il suo corpo è vergine e pervaso da una
luce tale che sulla terra mai mi sono
stancato di guardarla, di ascoltarla, di ammirarla.
È bella mia Madre, tanto che, lasciando
gli splendori del Cielo, non mi sono
mai trovato perduto vicino a lei.
Eppure so bene – dice Dio – cosa sia l’essere
portato dagli angeli.
Beh, non vale le braccia di una mamma.
Credetemi!” (Michel Quoist).
Festa squillante
I cieli si riempiono di angeli e di canti:” Vi annuncio
una grande gioia: oggi vi è nato un salvatore!” (Lc. 2,
10). Non si può immaginare Natale senza i canti,
senza le cornamuse. I palestinesi hanno un bellis­
simo detto: “Le notti sono mille, ma quella di Natale è
una sola. Anche se il cielo è buio, muto, la cometa si vede
e canta sempre”.
Festa impegnativa
Il poeta cileno Pablo Neruda ha un verso stupen­
do: “È per nascere che siamo nati”: è per costruirci
fino all’ultima sera. Sì, è per fare il nostro Natale
ogni giorno dal primo in cui siamo approdati sulla
Terra, perché c’è qualcosa che è peggio di morire: è
smettere di nascere, è restare sottosviluppati! Mes­
saggio impegnativo di Natale!
Non perdiamo il presepio!
Il presepio evoca emozioni e gioie intense, risveglia
il lato buono della nostra personalità, riconcilia la
famiglia oggi sempre più disgregata.
Dobbiamo difenderlo, dobbiamo proteggerlo.
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Una rivoluzione
chiamata gentilezza
La compassione è dinamite
pacifista, / la comprensione
terra-aria è pacifista. / C’è una
bomba che è il nuovo Big Bang
/ e ricomincia tutto per me. /
Un’esplosione che non si vede,
ma / mi ha sollevato già
(Francesco Gabbani).
Ho nella testa una bomba pacifista,
esplode dentro, danno che ti aggiusta.
Hey you, come sei messo tu?
Ma nella pancia la bomba è iconoclasta,
istinto e basta, la tigre non si addestra.
Hey you, di cosa hai fame tu?
La timidezza è guerriglia pacifista,
la tenerezza contraerea è pacifista.
C’è una bomba che è il nuovo Big Bang
In una società troppo spesso dominata dall’ag­
gressività, dalla ricerca dello scontro frontale,
dalla tendenza a schiacciare senza troppe remo­
re chi intralcia il nostro cammino, la gentilezza
sembra ormai essere diventata una virtù fuori moda.
Chi si mostra semplicemente amabile e compassio­
nevole nei confronti del prossimo viene, anzi, non
di rado bollato di debolezza ed eccessiva ingenuità,
come se il rispetto degli altri dovesse essere neces­
sariamente conquistato al prezzo di una perenne
guerriglia armata combattuta sul terreno della reci­
proca prevaricazione.
Soprattutto tra i giovani adulti – maggior­
mente bombardati da una cultura che
esalta l’individualismo e la difesa
esasperata della propria soggettività,
fino all’estremo dell’egolatria – sem­
bra prevalere la logica della prepotenza,
una prassi che, alimentata anche dalla
chiassosa cassa di risonanza offerta dai
social, tende a premiare chi urla più
forte e legittima il diritto di zittire chi
è portatore di una
qualsiasi diversità.
e ricomincia tutto per me.
Un'esplosione che non si vede, ma
mi ha sollevato già.
Quando scoppia non dire “mayday”,
la bomba è quel che sono e che sei,
un'esplosione che rompe tutto, ma
la luce entra di già...
Ho dentro al petto una bomba pacifista,
un cuore armato che non si disinnesca.
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Per non parlare, sul versante opposto, di quella for­
ma non meno preclusiva di ogni possibilità auten­
tica di relazione che è la “guerra fredda” dell’indif­
ferenza, nuova e corrosiva arma di distruzione di
massa del nostro tempo che ci chiude nell’orizzonte
limitato del nostro piccolo fortilizio, dietro robuste
barricate di incomprensione e noncuranza, toglien­
do cittadinanza persino all’esserci dell’altro e al suo
bisogno di essere riconosciuto, accolto, ascoltato.
Di fronte a questo scenario fatalmente attraversa­
to dalla dimensione onnipresente del conflitto c’è
però una rivoluzione che può rivelarsi molto più
radicale e destabilizzante per noi stessi e per chi ci
sta di fronte. È la rivoluzione della compassione,
della tenerezza, della tolleranza, in una parola della
“gentilezza”, il cui potere trasformativo sulla nostra
vita e su quella degli altri è in grado di abbattere
muri e oltrepassare confini molto più di qualsiasi
altra arma convenzionale.
Si tratta di una rivoluzione silenziosa, poco
visibile per chi ha lo sguardo accecato
dal rumoroso balenio delle battaglie
campali, dalle esplosioni incontrol­
late di collera e di odio, dall’infer­
no quotidiano del più sordo risen­
timento, ma che attraverso semplici
gesti e parole delicate riesce a scavare
nel profondo del cuore, accen­
dendo la miccia della reciproca
comprensione e innescando il
miracolo dell’empatia. Come
una piccola palla di neve che,
Shutterstock.com
I love you,
so questo e niente più...
La compassione è dinamite pacifista,
la comprensione terra-aria è pacifista.
C’è una bomba che è il nuovo Big Bang
e ricomincia tutto per me.
Un'esplosione che non si vede, ma
mi ha sollevato già.
Quando scoppia non dire “mayday”,
la bomba è quel che sono e che sei,
un'esplosione che rompe tutto, ma
la luce entra di già...
La timidezza è una bomba pacifista,
la gentilezza è una bomba pacifista,
la tenerezza supernova pacifista.
La comprensione è una bomba pacifista,
la compassione è una bomba pacifista,
la tolleranza supernova pacifista...
Da questo mio Guernica per terra già
si ricomincerà...
(Francesco Gabbani, Bomba pacifista, 2020)
rotolando verso valle, provoca una valanga che tra­
volge ogni cosa, essa ha un effetto moltiplicatore
che si riverbera sui rapporti sociali, sugli stili di
vita, sui comportamenti quotidiani, generando un
totale cambiamento di prospettiva in noi e in chi ci
sta vicino e aprendo nella nostra esistenza timidi
squarci di luce capaci di regalarci una serenità pri­
ma sconosciuta. Un’arma tanto potente quanto sot­
tovalutata, in grado di neutralizzare l’aggressività e
di costruire ponti, ma soprattutto di curare le ferite
del cuore prodotte da atteggiamenti distruttivi che
non riconoscono la diversità dell’altro come valore
in sé e come dono.
Ma perché la rivoluzione della gentilezza possa
mettersi in moto è necessario che il disarmo co­
minci da noi stessi, confidando nel potere conta­
gioso di una cultura di pace, che è l’unica risorsa
incruenta che ci resta per poterci riappropriare della
nostra umanità.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Lapuplteimnaainlettetemrpaoarrivata…
Le sorprese non finiscono mai.
La camera di
don Bosco
conservata
nel Museo
Casa Don
Bosco a
Valdocco.
Quando nei primi anni ottanta del secolo
scorso si è iniziato a raccogliere le lettere
di don Bosco, in vista della loro pubbli­
cazione – lanciando l’appello ovunque a
mezzo stampa, radio, Tv (non esistevano internet e
moderni social) – non si poteva immaginare che 40
anni dopo ce ne fossero ancora di sconosciute; tanto
più in Italia, tanto più in Piemonte. E invece… ecco
l’ultima arrivata appena in tempo per essere inseri­
ta nell’ultimo volume dell’epistolario che raccoglie
le lettere recuperate “fuori tempo massimo”, ossia
dopo la pubblicazione del volume relativo all’anno
della loro datazione1. Ci è pervenuta tramite un
professore dell’Università Pontificia Salesiana, don
Giorgio Zevini, che l’ha avuta in dono dal nipote
dello stesso destinatario; oggi è conservata nell’Ar­
chivo Salesiano Centrale di Roma.
1. Ovviamente sono prevedibili altri ritrovamenti di inedite lettere
di don Bosco, recuperabili soprattutto negli archivi di famiglie
aristocratiche, spesso in mezzo a carte di carattere economico. Talora
appaiono sul web o nei cataloghi degli antiquari. Si chiede a tutti di
segnalarle in caso di ritrovamento.
Il contesto del documento
È quello precedente alla nascita del Regno d’Italia
(1861), a dieci anni di distanza dalla concessione
nel regno sabaudo della libertà di stampa (1848),
libertà che era stata accolta molto favorevolmente
anche da chi prima non era libero di propaganda­
re le proprie idee religiose (varie confessioni pro­
testanti, ebrei…). Don Bosco, che già da tempo
si stava impegnando nella pubblicazione di libri e
fascicoli per la gioventù e per il popolo, soprattutto
di testi devozionali e formativi, scese allora diret­
tamente in campo in difesa della fede cattolica che
vedeva messa in pericolo.
Nel 1853, su sollecitazione dei vescovi del Piemon­
te e in collaborazione con il vescovo di Ivrea, mon­
signor Luigi Moreno, don Bosco aveva dato vita
alla collana “Letture cattoliche”, mensile di poche
decine di pagine, formato ridotto, con taglio dida­
scalico, dai toni talora fortemente polemici. In essa
erano apparsi scritti suoi e di altri autori. Dal 1862
veniva stampato in proprio a Valdocco e diffuso in
tutta Italia attraverso un’invidiabile rete di sacerdo­
ti e laici disponibili a farsi promotori di quella che
in futuro sarebbe stata chiamata “la buona stampa”.
Fra i tanti sacerdoti che per diversi motivi mette­
vano piede a Valdocco, magari per raccomandare a
don Bosco qualche fanciullo del paese, un giorno
deve essere venuto il “fabbriciere” della parrocchia
di Grignasco (Novara), don Bernardino Francione,
un sacerdote piuttosto colto. Vista la tipografia sa­
lesiana e la collana delle “Letture Cattoliche” deve
aver avuto l’idea di pubblicare lui stesso nella stessa
collana un libretto sul sacramento della Cresima.
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Detto fatto, qualche tempo dopo spedì a don Bosco
il manoscritto, che, in ossequio alle norme dioce­
sane in vigore, lo sottopose al revisore ecclesiastico
stabilito dall’arcivescovo monsignor Luigi Fransoni
(in esilio dal 1850 a Lione).
Il giudizio dell’ignoto censore – che a quanto pare
conosceva bene l’indole popolare delle “Letture
Cattoliche” di don Bosco – fu del seguente tenore:
“ll lavoro è buono e potrebbe stamparsi senza difficol-
tà, se si vuol destinare alle persone culte; ma per queste
letture bisognerebbe togliere tutto ciò che ha aspetto di
obbiezione: popolarizzare quanto si possono le parole e i
periodi, aggiugnere [sic] alcune similitudini od esempi
che possono lasciar sentimenti morali nel basso popolo e
ne’ cristiani poco istruiti”.
dell’Ottocento. Ma rimane il fatto che le “Letture
Cattoliche” ebbero un immenso successo. Partite
con una tiratura di circa 3000 copie, arrivano a
circa 12 000 negli anni 1870: un’enormità per l’e­
poca. Mantenute a prezzi molto bassi, costituirono
il “fiore all’occhiello” della tipografia di Valdocco,
che ovviamente metteva sul mercato centinaia di
altri volumi, dai grossi dizio­
nari e testi per la scuola ad
operette agiografiche ed apo­
logetiche, libri ed opuscoli di
storia, d’istruzione religiosa,
di carattere devozionale, di
circostanza.
L’originale
della lettera
scritta da
don Bosco in
risposta alla
richiesta di
un autore.
Una significativa postilla
Don Bosco dovette condividere pienamente tale
giudizio: a lui interessavano i fanciulli, i giovani,
la popolazione italiana semianalfabeta, non gli in­
tellettuali o le “persone culte”. La collana che diri­
geva aveva un target molto semplice, il ceto popo­
lare fatto di contadini, operai, artigiani, mamme
di famiglia. Ed in questa prospettiva, al giudizio
moderatamente positivo del revisore, aggiunse una
sua significativa postilla: “Il mio sentimento però sa-
rebbe che ella supponesse di parlare ai suoi parrocchiani
e li istruisse intorno al sacramento di cui qui parlia-
mo e intorno al modo di far bene la prima comunione”.
Dunque chiedeva al suo interlocutore don Francio­
ne – cui attribuisce erroneamente il titolo di parro­
co (che invece era don Giuseppe Boroli) – un testo
scritto che avesse il sapore del parlato, del collo­
quiale, della predicazione popolare, con suggeri­
menti vari per la vita morale, secondo i criteri più
comuni della mentalità popolare dell’epoca.
La fortuna delle Letture cattoliche
Non risulta che il libretto del suddetto sacerdote sia
stato stampato nelle “Letture Cattoliche” e neppu­
re altrove: il nome dell’autore e del titolo del libro
non appare nell’enciclopedia degli scritti a stampa
Torino, 10 lug.58
Ill.mo Sig. Prevosto,
Le trasmetto l’originale
del suo lavoro sopra il
sacramento della con-
fermazione. Il giudizio
della Revisione ecclesiastica
per le letture cattoliche è come segue:
“Il lavoro è buono e potrebbe stamparsi senza difficoltà, se si
vuol destinare alle persone culte; ma per queste letture biso-
gnerebbe togliere tutto ciò che ha aspetto di obbiezione; popo-
larizzare quanto si possono le parole e i periodi; aggiugnere
alcune similitudini od esempi che possono lasciar sentimenti
morali nel basso popolo e ne’ cristiani poco istruiti”.
Il mio sentimento però sarebbe che ella supponesse di parlare ai
suoi parrocchiani e li istruisse intorno al sacramento di cui
qui parliamo e intorno al modo di far bene la prima comu-
nione siccome abbiamo detto quando ebbi il piacere di vederla
qui all’Oratorio.
Ad ogni modo ella mi abbia sempre fra quelli che di cuore si
offrono
Di V. S. Ill.ma
Obbl.mo servitore
Sac. Bosco G.
DICEMBRE 2021
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di dicembre preghiamo per la Canonizzazio-
ne dei Beati Giuseppe Calasanz e Enrico Aparicio Saiz, e 93
Compagni, martiri.
Il 18 luglio del 1936 scoppiò
in Spagna la guerra civile, ac-
compagnata da persecuzione
religiosa. Vescovi, sacerdoti re-
ligiosi e laici furono incarcerati,
torturati e uccisi per la loro fede;
tra questi 95 membri della Fami-
glia Salesiana: 39 sacerdoti, 22
chierici, 24 coadiutori, 2 Figlie
di Maria Ausiliatrice, 3 Salesiani
cooperatori, 1 socia dell’ADMA,
3 aspiranti salesiani e 1 colla-
boratore laico. Tutti costoro die-
dero la vita per la fede a Cristo
tra il luglio del 1936 e l’aprile
del 1938. Le Cause di martirio
furono: quella del gruppo di Va-
lencia – 32 martiri – con a capo
Giuseppe Calasanz Marqués
(† 29 luglio 1936), beatificati
l’11 marzo 2001 a Roma; quella
del gruppo di Siviglia e Madrid
– 63 martiri – con a capo Enrico
Sáiz Aparicio, beatificati a Roma
il 28 ottobre 2007. Morirono
dando esempio di fedeltà alla
loro fede cristiana e alla voca-
zione salesiana, con sentimenti
di fiducia in Dio e di perdono nei
confronti dei loro uccisori.
Ringraziano
Il sabato prima della festa di
don Bosco del 2019, alcuni ra-
gazzetti vengono all’Oratorio.
Tra i ragazzetti c’è un bimbo di
cinque anni e la cuginetta di
circa dieci anni. Si divertono a
disegnare e a giocare nel cortile
ricco di neve. Presto desiderano
tornarsene a casa perché un po’
infreddoliti. Chieste due cara-
melle, una ciascuno, si affretta-
no ad andare a casa. Il piccolo
si chiama Antonio e la cuginet-
ta Andra. Si erano comportati
bene e quindi meritavano la
“bomboana”. Uscirono; ma ecco
che la piccola Andra rientra, gri-
dando che il cuginetto sta male.
“Strano!” penso io. E subito mi
affretto alla porta d’ingresso.
Vedo il piccolo che pare soffo-
chi e che si dimena, cercando
di sputare qualcosa. Temo che
sia stato colpito da una forma
influenzale epidemica in circo-
lo e che produce molto catarro
causando soffocamento. Non è
così. Infatti la cuginetta mi gri-
da che il piccolo ha inghiottito
una caramella, quella che io gli
avevo dato poco prima e che la
caramella lo stava soffocando.
Ricordandomi come si soccor-
re in questi casi, cerco di fare
qualcosa alla meglio, ma la si-
tuazione va peggiorando. Prego
allora intensamente dentro di
me, supplicando don Bosco e
i Santi Salesiani: – Don Bosco,
Don Bosco, aiutalo! Aiutaci! ...
Mi viene immediatamente un’i-
dea. Lo invito ad aprire la bocca,
e, subito, mettendogli un dito
in gola, sento nella gola la pre-
senza della caramella. Rapida-
mente la spingo fuori dalla gola
e dalla bocca. La caramella cade
a terra e rimane lì accanto, a te-
stimoniare il fatto; giace lì sul
manto nevoso, su uno strato di
Preghiera
Ti ringraziamo, o Dio nostro Padre,
perché hai sostenuto fino alla testimonianza suprema
i Beati Giuseppe Calasanz Marqués e 31 compagni
e i Beati Enrico Saiz Aparicio e 62 compagni,
martiri della Famiglia Salesiana della Spagna.
Essi hanno versato il loro sangue
per amore tuo e della Chiesa.
Ti preghiamo, concedici,
per il loro esempio e la loro intercessione,
di rispondere generosamente alla tua chiamata,
fino al dono totale della nostra vita.
Per loro intercessione ti chiediamo la grazia di...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 27 settembre 2021 presso l’arcivescovado di Lima (Perù) si
è svolta la sessione di apertura dell’Inchiesta diocesana
sulla vita e sulle virtù eroiche nonché sulla fama di santità e di
segni del servo di Dio Luigi Bolla (1932-2013), Sacerdote
Professo della Società di San Francesco di Sales, missionario
tra gli indios Shuar e Achuar dell’Ecuador e del Perù.
neve. Il bimbo è salvo! Ringrazio
don Bosco nel mio cuore e fac-
cio respirare il bambino in modo
che riprenda il respiro regolare.
Arrivano intanto i suoi cari che
lo riportano a casa, affaticato e
spossato, ma salvo. Grazie don
Bosco!
Don Sergio, Bacău – Romania
Voglio rendere partecipe di una
grande gioia, quella cioè di ve-
dere ritornare miracolosamente
a casa, dall’ospedale di Lagone-
gro la mia sorella Teresa, dopo
solo dieci giorni di degenza.
Teresa già da alcuni giorni av-
vertiva dei disturbi, e poiché la
situazione si aggravava di gior-
no in giorno, abbiamo chiama-
to il medico di base il quale ha
ritenuto urgentissimo il ricovero
in ospedale. La diagnosi è stata
la seguente: ulcera-duodenale
acuta con emorragia, anemia
acuta, insufficienza renale,
fibrillazione atriale. Dinanzi
alla gravità del caso il mio pri-
mo pensiero è stato quello di
rivolgermi con fiducia e fede
all’intercessione del servo di
Dio don Silvo Galli il quale ha
esaudito a pieno la mia richiesta
di aiuto e così, in un secondo
momento anche l’esito della
biopsia è risultato negativo.
Spesso anche quando don Silvio
era tra noi, mi rivolgevo a Lui e
le difficoltà, i problemi, si risol-
vevano immediatamente. Ora
Don Silvio dal cielo continua a
guardare tutti con compassione
e con cuore di padre ed anche
io e Teresa gli serbiamo un’im-
mensa riconoscenza e gli voglia-
mo tanto bene.
Carmela Iannini, Maratea (Potenza)
40
DICEMBRE 2021

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
ANS - Roma
Don Giuseppe Nicolussi
Un grande religioso, salesiano e formatore
Morto ad Ancona il 29 settembre 2021,
a 83 anni
Si è spento il 29 settembre,
ad Ancona, don Giuseppe Ni-
colussi, già Ispettore del Cile
(1978-1984) e Superiore della
Visitatoria “Maria Sede della
Sapienza” dell’Università Pon-
tificia Salesiana (UPS) di Roma
(2002-2008), nonché Consi-
gliere Generale per la Forma-
zione per due mandati (1990-
2002).
“Don Nicolussi è stato un uomo
di grande fede e umanità, un
salesiano e un religioso esem-
plare, che ha dato un contribu-
to fondamentale alla Formazio-
ne della Congregazione – ha
detto di lui il Rettor Maggiore,
don Ángel Fernández Artime –.
Il suo cuore grande e generoso,
da vero Figlio di Don Bosco, lo
ha guidato in tutta la sua vita
a spendersi per il bene dei
giovani, soprattutto di quelli
chiamati a servire nella Società
Salesiana. Animato dallo zelo
missionario, si è sempre speso
nel servizio umile e discreto,
dando in ogni circostanza la
sua disponibilità a compiere
la missione che gli veniva
affidata, in qualsiasi parte del
mondo gli venisse richiesta.
Ha nutrito una robusta e
filiale devozione verso Maria
Ausiliatrice, e forse non è un
caso che sia stato chiamato in
Cielo non lontano dalla Santa
Casa della Madonna di Loreto.
È stato e rimane un testimone
luminoso di vita consacrata
e salesiana, che può essere
certamente un modello per chi
compie oggi i suoi primi passi
nella Formazione salesiana”.
Nato il 19 ottobre 1938 a Bolza-
no, Giuseppe Nicolussi svolse il
noviziato ad Albaré, dove emi-
se la prima professione il 16
agosto del 1955. Ancora molto
giovane venne inviato missio-
nario in Cile e infatti fu lì che,
dopo aver completato gli studi
di Teol­ogia, ricevette l’ordina-
zione sacerdotale, il 28 agosto
1965, dal cardinale salesiano
Raúl Silva Henríquez.
Riconosciutene le doti intellet-
tuali e umane, i suoi superiori
lo inviarono poi all’Università
Cattolica di Lovanio, in Belgio
dove conseguì un dottorato
summa cum laude in Teologia
Dogmatica.
Rientrato in Cile, entrò a far
parte del corpo docente e di
formazione del Teologato sale-
siano a Lo Cañas, Santiago, e
della Facoltà di Teologia della
Pontificia Università Cattolica.
A livello ispettoriale, fu nomi-
nato dapprima Vicario, poi Su-
periore, negli anni dal 1978 al
1984.
Successivamente venne richie-
sto a Roma dall’allora Rettor
Maggiore don Egidio Viganò
per lavorare alla stesura della
nuova Ratio e alla spiegazione
delle nuove Costituzioni. Tornò
nuovamente in Cile come
Direttore del Teologato di Lo
Cañas nel 1988, rimanendovi
fino al 1990, quando il Capi-
tolo Generale 23° lo elesse
Consigliere Generale per la
Formazione, incarico in cui ver-
rà confermato anche nel suc-
cessivo Capitolo Generale.
Terminata questa missione, nel
2002 venne nominato Superio-
re della Visitatoria dell’UPS, e
dopo un sessennio di servizio,
nel 2008 divenne Direttore del-
la Casa Generalizia salesiana.
Dal 2015 si adoperava come
confessore della comunità de-
gli studenti di Teologia “Ceferi-
no Namuncurá”, presso l’opera
“Gerini” a Roma, ed anche lì è
stato molto apprezzato per la
sua paternità, l’umiltà, la pietà
e il servizio pastorale.
L’attuale Consigliere Genera-
le per la Formazione, don Ivo
Coelho, così ha voluto ricor-
darlo: “Conobbi don Nicolussi
quand’era Consigliere Genera-
le per la Formazione, anche se
all’epoca non avevo molti con-
tatti con lui. Era l’uomo della
Ratio, colui che aveva presiedu-
to all’ultima grande revisione
di questo importante testo. Più
tardi lo conobbi come Direttore
della Casa Generalizia: gentile,
discreto e sempre aggiorna-
to su ciò che accadeva nella
Chiesa. Era un grande lettore e
aveva un’invidiabile capacità di
sintesi e di comunicazione. Ma
l’ho conosciuto meglio come
confessore nella comunità “Ge-
rini” degli studenti di Teologia,
ed è questo il ricordo che più
mi rimarrà. Mi stupiva il modo
in cui quest’uomo, che aveva
fatto parte dei più alti livelli
di governo della Congregazio-
ne, riusciva a inserirsi senza
cerimonie nella comunità e
a conquistare la fiducia degli
studenti. Ha offerto un servizio
molto prezioso di confessione
e di accompagnamento spi-
rituale. Ho l’impressione che
aiutasse anche studenti con i
loro compiti e le tesi; e per cer-
to ci ha aiutato con alcuni testi
su cui stavamo lavorando nel
Settore della Formazione. Ma
soprattutto don Giuseppe ci
ha consegnato il meraviglioso
esempio di una vita salesiana
vissuta con semplicità e sereni-
tà. Ci mancherà”.
Infine, anche il Direttore della
comunità “Gerini” per gli stu-
denti di Teologia, don Adam
Kazimierz Homoncik, ha condi-
viso con ANS alcune considera-
zioni su don Nicolussi: “Era un
uomo di una presenza discreta
e amichevole. Però anche se
voleva essere discreto, faceva
un bellissimo lavoro. Era vera-
mente umano e pieno di gioia,
tutti i giorni ci raccontava delle
barzellette intelligenti che ci
facevano sorridere e imparare
allo stesso tempo. Era sempre
aggiornato sulla Chiesa, il mon-
do, la Congregazione e con la
vita di ognuno di noi! Imparava
per condividere e faceva sin-
tesi per coinvolgerci. Cercava
sempre la positività, la buona
stampa, la speranza. Era amico,
anche quando doveva essere
serio! Durante la confessione ci
faceva sentire vicino il Signore!
Umano nei suoi consigli e pa-
terno nell’atteggiamento. Don
Giuseppe era totalmente un
uomo di Dio: si è dedicato al Si-
gnore per donarsi agli altri. Era
appassionato di don Bosco e in
tutto quello che ha fatto nella
sua vita ha dimostrato quanto
vale la pena essere salesiano
per i giovani!”.
DICEMBRE 2021
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
La soluzione nel prossimo numero.
UN MURALE PER LA PACE E LA SPERANZA
Come può, un muro, donare pace a un luogo e ai suoi abitanti? Non parliamo
di un muro qualsiasi, di semplice cemento, ma di un muro prima cieco e vuo-
to e adesso arricchito da un murale dipinto da un geniale artista, conosciuto
in tutto il mondo. E, quel che conta di più, è che il soggetto di quel murale è il volto sorridente
di san Giovanni Bosco che campeggia proprio nel bel mezzo di Foggia, in un quartiere “difficile”,
il rio­ne Candelaro, dove il racket e la malvivenza sembrano dominare la quotidianità. Il murale
è stato realizzato nel 2019 su iniziativa della Direzione Generale della Congregazione Salesiana
dal talentuoso XXX, pseudonimo di Ciro Cerullo, artista metà napoletano e metà olandese, e
considerato uno degli street artist più promettenti della scena artistica italiana ed europea. Lavora
instancabilmente in un garage-studio a Quarto, in provincia di Napoli. I suoi volti, immensi, spic-
cano su fondi neri con luci ed espressioni che richiamano alla mente Caravaggio, mentre la cura
certosina dei più minuscoli dettagli si rifà alla pittura iperrealista. È famoso il suo San Gennaro
sulla parete di un fabbricato all’ingresso del quartiere napoletano di Forcella, a pochi metri dalla
cattedrale che custodisce le reliquie e il celebre tesoro del patrono del capoluogo partenopeo. Tor-
nando al murale di Foggia, l’artista ha seguito il programma (condensato in un celebre aforisma)
destinato a tutti i ragazzi: “Se vuoi farti buono pratica
Soluzione del numero precedente queste tre cose e tutto andrà bene: allegria, studio, pietà.
È questo il grande programma, il quale praticando, tu po-
trai vivere felice!”. Prima scrivendo sulla parete imbianca-
ta dell’edificio di periferia proprio queste parole, in attesa
di completare il bozzetto, e poi in pochi giorni ha dipinto
(coprendo poco alla volta lo scritto) il bel volto sorridente
dallo sguardo penetrante e magnetico di don Bosco.
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 1. Ha interpretato l’I-
spettore Callaghan - 12. Abbrev. di S’il
vous plaît, “per favore” in Francia - 15.
Il fiore dell’oblio - 16. Geniere - 17. Il
nome del condottiero fiorentino Cap-
poni - 18. Tanti erano i trentini che
entrarono a Trento trotterellando! - 20.
Completamente pazzo - 21. Articolo ro-
manesco - 22. Guardia forestale norda-
mericana - 25. Collaboratrice familiare
- 26. Anno senza vocali - 27. XXX - 29.
XXX - 30. Unione Europea - 31. Antica
arma con un’accetta in cima a un lungo
? manico - 33. Segnale d’arresto - 35. Il
conduttore Scotti (iniz.) - 36. Centro... al
centro! - 38. Lo è l’Iliade - 40. Seta artifi-
ciale - 43. In nessun caso - 44. Siede sul
trono - 46. Il recupero delle posizioni in
classifica - 48. L’inizio del tragitto - 49.
La lingua parlata da Gesù - 50. Egregie,
insigni.
VERTICALI. 1. Sono pari nelle scalate -
2. Il Magnifico de’ Medici - 3. Lo deve
compiere la pratica - 4. Negazione - 5.
Le vocali della Befana - 6. Fa soffrire le ar-
ticolazioni - 7. Distesa omogenea di ma-
teriale che si sovrappone ad un’altra - 8.
...’anmen la piazza di Pechino famosa per
una grande protesta - 9. Abbrev. di week
end - 10. Si effettua legando l’imbarca-
zione al molo - 11. In poche e in molte
- 12. Deposito a torre per cereali - 13.
Lisci al tatto come pesche - 14. Predilige-
re - 17. Non molte - 19. Il Mammucari
televisivo - 23. I confini del Ghana - 24.
Finestra circolare sulla facciata di molte
chiese - 26. Pelle molto sottile e morbi-
da per abiti, borse ecc. - 27. Una libera
session di musicisti - 28. Lo scrittore di
Gomorra (iniz.) - 32. L’ultima di ventu-
no - 34. Fu il partito di Spadolini - 37.
L’indimenticato Manfredi del cinema
(iniz.) - 39. Antico altare pagano - 41.
È nascosto dall’esca - 42. Intesa senza
vocali - 45. Esercito Italiano (sigla) - 46.
Mezza Roma - 47. La fine dei guai.
42
DICEMBRE 2021

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
La luce della lanterna
A l cader della notte, il locandiere prese la
lanterna per andare alla stalla e cambiare
il fieno al bue. Nell’accendere la candela
dentro la lanterna notò che era quasi del tutto
consumata: «Per questa sera basterà» borbottò.
Attraversò il cortile accompagnato dalla
fiammella che cacciava l’oscurità intorno a lui.
L’uomo entrò nella stalla ed appese la lanterna
ad un gancio del tetto. Poi, con il forcone, sparse
il fieno nella mangiatoia.
Ad un tratto sentì del rumore proveniente dalla
casa; sua moglie lo chiamava: «Dove sei? Sono
arrivati degli ospiti». Lasciò cadere il fieno ed
impugnò la lanterna. In quell’istante, la fiamma
chiara della candela si ravvivò per un’ultima volta
per poi affievolirsi e scomparire.
«Tanto peggio!» brontolò il locandiere nell’oscurità.
Lasciò la lanterna appesa sopra la mangiatoia e si
affrettò ad attraversare il cortile per rientrare in
casa.
L’indomani, non pensò più alla lanterna. La
sera, tuttavia, si rammentò di averla lasciata
nella stalla, appesa sopra la mangiatoia. Si
mise in cerca di una nuova candela e, mentre
si dirigeva verso la stalla, notò un piccolo
bagliore che brillava dalla finestra.
Sorpreso, si grattò la testa: aveva ben visto
la candela spegnersi la sera avanti!
Chiamò sua moglie per mostrarle la strana
luce. Entrambi si recarono nella stalla per
vedere la cosa da vicino.
«Che cosa bizzarra: questa luce brilla per
niente e per nessuno!» mormorò.
E sua moglie aggiunse: «Chissà perché questa
fiamma non si spegne. Non tocchiamola, aspet­
tiamo che si consumi da sé».
Fu così che, la vigilia di Natale, quando Maria,
Giuseppe e l’asinello cercavano una locanda per
passarvi la notte, scoprirono la stalla dolcemente
illuminata, che sembrava attenderli.
E la luce continuò a brillare fin dopo la nascita del
Bambino, per rischiarare il mondo intorno a Lui.
Senza dubbio, vorrete sapere che cosa era questa
luce che brillava con tanto fervore... Una candela?
Certamente no! Per lo meno, non una candela
come le altre.
Senza farsi notare, una piccola stella era scivolata
nella lanterna. Essa vi scintillava con amore, per­
ché voleva essere là per la nascita di Gesù.
Se il locandiere avesse guardato bene, l’avrebbe
vista anche lui.
Tra i miliardi di stelle c’è quella accesa per te.
DICEMBRE 2021
43

5.4 Page 44

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