Bollettino_Salesiano_201909

Bollettino_Salesiano_201909

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IL
SETTEMBRE
2019
FMA
Ruanda
Le case di
don Bosco
Civitavecchia
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani
nel mondo
Mongolia
L’invitato
Don
Cesare
Bissoli

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Un caffè
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Negli ultimi giorni di luglio dell’anno scolastico 1862-63,
i ragazzi lasciavano Valdocco per le vacanze scolastiche.
Fra quelli dell’ultimo anno, uno si dimostrava particolar-
mente affettuoso con don Bosco e continuava a ringra-
ziarlo per quei tre anni all’Oratorio che avevano cambiato
la sua vita (Memorie Biografiche VII, 490-492).
Sono un’antica tazza da caffè. Ho alle
spalle un servizio più che centenario in
questa bottega da caffè, che prendeva il
nome dal magnifico Santuario che sorge
qui davanti, il “Caffè della Consolata”.
Quanti ricordi ho!
Nell’autunno del 1860, per esempio, come tante
altre volte, don Bosco entrò con un gran muc-
chio di lettere sotto il braccio e si sedette per
leggere e sbrigare la corrispondenza in santa
pace. In bottega, era stato assunto da poco un
ragazzotto di 13 anni, piuttosto vispo. Era
fuggito da casa nell’estate di quell’anno, perché
non sopportava più i rimproveri e la severità dei
genitori.
Il padrone chiamò il ragazzo e gli disse: «Chiedi
che cosa desidera il prete che è di là». «Io chie-
dere ad un prete?» protestò il ragazzo. «Chiedi
quello che vuole e fila, balengo!». «Che vuole
da me, lei prete?» chiese malamente il ragazzo a
don Bosco. Lui lo guardò fisso negli occhi: «De-
sidero da te, bravo giovane, una tazza di caffè»
rispose con grande amabilità «Ma ad un patto».
«Quale?» «Che me la porti tu stesso».
Il ragazzo si fermò a bocca aperta. Raccontò più
tardi: «Quelle parole e quello sguardo mi vinsero
e dissi fra me: Questo non è un prete come gli
altri. Gli portai il caffè; una forza arcana mi
teneva presso di lui, che prese ad interrogarmi,
sempre colla più grande amorevolezza, sul mio
paese natio, la mia età, le mie occupazioni e
soprattutto perché fossi fuggito di casa».
Il dialogo si fece affettuoso. «Vuoi venire con
me?» disse il prete. «Dove?» «All’Oratorio di
don Bosco. Questo luogo e questo servizio non
fanno per te». «E quando sarò là?» «Se ti piace,
potrai studiare». «Ma lei mi terrà bene?» «Oh,
pensa! Là si giuoca, si sta allegri, ci si diverte».
«Bene, bene. Vengo». «Ma quando?» «Subito?
Domani?» «Stasera» concluse don Bosco.
La famiglia del ragazzo contribuì poco niente
alle spese, pur essendo benestante. Il giovane,
pur essendo molto vivace, era buono di cuore
e faceva molto profitto nello studio. Timoroso
di dover troncare gli studi, ne parlò con don
Bosco, il quale gli rispose: «Che importa se i
tuoi non vogliono più pagare? Non ci sono io?
Sta’ sicuro che don Bosco non ti abbandonerà».
E infatti, finché stette nell’Oratorio, non gli
mancò mai nulla. Terminati gli studi, i primi
denari che poté mettere insieme con il suo la-
voro li mandò, a costo di privazioni e a piccole
rate, a don Bosco.
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Settembre 2019

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IL
SETTEMBRE 2019
ANNO CXLIII
Numero 08
IL
SETTEMBRE
2019
FMA
Ruanda
Le case di
don Bosco
Civitavecchia
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani
nel mondo
Mongolia
L’invitato
Don
Cesare
Bissoli
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: Settembre. È bello
ricominciare la scuola con un sorriso
(Foto VaLiza, Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Mongolia
10 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
12 FMA
Ruanda
16 LE CASE DI DON BOSCO
Civitavecchia
20 L’INVITATO
Don Cesare Bissoli
24 UNO SGUARDO SALESIANO SUL MONDO
26 LA NOSTRA FAMIGLIA
28 I NOSTRI EROI
Don Elia Comini
32 TEMPO DELLO SPIRITO
L’ascolto attivo
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Don Bosco sulle tracce
di Magellano
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse e
raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Gesù e i crocifissi
di questo mondo
È una croce, il simbolo del Cri-
stianesimo che tutti conoscia-
mo, ma sulla croce non è in-
chiodato il nostro Signore Gesù
Cristo, ma un bambino povero.
Il messaggio è chiaro e molto
forte: Gesù è crocifisso nelle donne,
negli uomini e nei bambini “crocifissi”
ogni giorno nel nostro mondo.
Non voglio crearvi rimorsi supplemen-
tari e gratuiti, miei cari amici, né rat-
tristarvi tanto per farlo. Ma voglio la-
sciarvi una domanda che molto spesso
mi tormenta: «Davvero non siamo ca-
paci di realizzare un mondo più giusto?
Non ci riusciremo mai?»
Io penso di sì. Credo anche che si stiano facen-
do molti passi avanti, ma è ancora così lunga la
strada per arrivare alla meta! Lo dico perché in
questi sei anni ho dovuto viaggiare per il mondo
e ho visto tante crocifissioni. L’espressione è forte,
ma non saprei come definire diversamente quello
che ho visto.
· Crocifissi erano i bambini di strada che ho
trovato nelle opere salesiane di Colombia, Sri
Lanka, Luanda in Angola e in molti altri pae-
si. Anche in questo momento si aggirano furtivi
cacciati come topi nei bassifondi di tante (troppe!)
città del mondo.
Nel mio ufficio di Roma
ho un crocifisso che trovo
ricco di suggestioni.
Me l’hanno donato i salesiani del
Perù, quando sono stato a visitarli.
· Crocifissi sono stati i ragazzi e le ragazze ado-
lescenti che ho incontrato a Ciudad Don Bosco in
Colombia che erano stati arruolati con la violenza
dai guerriglieri delle Farc e costretti a uccidere
talvolta i loro stessi famigliari.
· Crocifisse su una croce simile a quella che ho
nel mio ufficio sono state le ragazze e le adole-
scenti che sono state abusate sessualmente a Free-
town, capitale della Sierra Leone. Le ho incon-
trate già al sicuro nella casa salesiana, ma molte
altre erano in strada o prigioniere di mafie spa-
ventose e crudeli.
· Crocifissi sono stati i bambini che ho incontra-
to nella casa di Don Bosco in Ghana e che erano
stati salvati dalle mafie per l’estrazione di organi. Il
giorno in cui sono arrivato ho incontrato due bam-
bine di 9 anni “condannate” a morire. Fortunata-
mente, grazie alla Provvidenza, erano state salvate
dalla polizia all’ultimo momento e portate nella
casa salesiana. Ma quante altre bambine hanno
perso la vita in questo orribile commercio? Quante
sono vendute e comprate o mutilate anche adesso?
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Crocifissi sono i molti adolescenti
che senza avere alcun processo, sono
stati rinchiusi in prigione da diversi
anni. I miei salesiani li visitano ogni
giorno, ma la loro aspettativa è mini-
ma. E tra loro ho potuto vedere giova-
ni che, nella
stessa prigione, era-
no malati terminali. Non
avevano nessuna speranza.
Solo Dio.
Crocifisse erano le ragaz-
ze in varie nazioni che ho
visitato, costrette a lavo-
rare dodici ore al giorno in
condizioni raccapriccianti. Ab-
biamo negoziato per permettere
loro di venire a scuola, ma i primi
a resistere sono le famiglie perché
perdono uno stipendio (non impor-
ta quanto piccolo).
Crocifisse sono state per molti
anni le famiglie dei popoli Bororos e
Xavantes che rischiavano di perdere
le loro terre in Brasile a causa della
prepotenza dei proprietari terrieri. Il
nostro confratello salesiano don Ru-
dolf Lunkenbein e l’indio Simao (di
cui vi ho già parlato) sono stati cro-
cifissi a colpi di fucile cercando di
difenderli.
Centinaia di bambini orfani che ho
incontrato ad Aleppo sono stati croci-
fissi. Per una guerra assurda per loro
incomprensibile che li ha privati di fa-
miglia, futuro e speranza.
Crocifissi per Gesù sono stati negli ultimi mesi
i nostri salesiani César Antonio e Fernando.
· Crocifissi da questo mondo sono gli uomini, le
donne e i bambini annegati con i loro sogni nel Me-
diterraneo, abbandonati dai trafficanti dopo aver
pagato ingenti somme per il “passaggio” (che ironia,
chiamare questo viaggio “passaggio”).
Crocifisso è Óscar Alberto Martínez
partito da El Salvador e morto nel Rio
Grande abbracciato alla sua bambina
Valeria di due anni.
In ogni continente e in tutte le nazioni ho trovato
esseri umani crocifissi.
Vorrei dirvi una cosa semplice: dobbiamo resiste-
re a ciò che ci sembra comune, abituale, natura-
le. Dobbiamo resistere a quelli che pensano che
“questo è il prezzo da pagare”. Nel linguaggio mi-
litare farisaico impiegato in tempo di guerra si usa
l’espressione: “gli inevitabili danni collaterali”, ma
mai, , una morte, la perdita di una vita uma-
na può essere un danno collaterale! E di fronte a
tante crocifissioni dobbiamo avere uno sguardo e
una coscienza così vigili che non ci permettano
di vederle come inevitabili. Dobbiamo essere così
vigili da condannare tutto ciò che è condannabi-
le. Dobbiamo essere così attivi da vedere che cosa
possiamo fare, dove e con chi possiamo unire le
nostre forze.
I grandi della storia, i Santi
grandi e semplici allo stesso
tempo lo hanno fatto. A co-
minciare dal nostro amato don
Bosco. Lottò per tutta la vita
contro ogni forma di ingiustizia
e di sopruso.
Infine, amici miei: la prossima
volta che contemplate un croci-
fisso, ricordate alcune di queste
parole, poiché molto probabil-
mente, e lo dico con dolore, ci
saranno ancora donne, uomini
e bambini crocifissi.
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SALESIANI NEL MONDO
PAVEL ZENISEK
Mongolia
Don Bosco
nell’impero
di
Gengis Khan
E i primi frutti spirituali sembrano arrivare:
quello più visibile è l’ordinazione del pri-
mo sacerdote proveniente dalla Mongo-
lia – don Joseph Enkg Baatar, ordinato
nell’agosto 2016.
La piccola comunità cattolica di Shuuwuu,
a 50 km dalla comunità di Ulaanbaatar, è
composta da 40 fedeli della parrocchia e ha
celebrato la veglia pasquale con tre salesiani,
in una tradizionale tenda mongola denominata
“Ger”, adibita a cappella.
Quarantanove anni, originario della Dopo aver aiutato per anni altri Salesiani e laici
a partire per le missioni, don Jaroslav ha scoper-
Repubblica Ceca, ha già due anni di esperienza to di sentire egli stesso la vocazione missionaria.
missionaria nelle steppe delle Mongolia, Oggi dice: “Sono felice di aver trovato il coraggio
di rispondere alla chiamata di Dio”.
Paese a cui ha deciso di dedicare la sua vita:
è don Jaroslav Vracovsky.
Caro don Jaroslav, come sei
sopravvissuto al primo inverno
in Mongolia?
Don Jaroslav
Vracovsky con i
suoi piccoli amici:
«La Mongolia
è la mia Terra
Promessa».
L a Delegazione salesiana della Mongolia
attualmente conta dieci salesiani situati
a Ulannbaatar e Darkhan, e gestisce una
scuola tecnica, tre centri giovanili, vari
progetti agricoli e di sviluppo sociale. Ol-
tre ai 10 salesiani, la Famiglia Salesiana in
Ogni inverno qui dura otto mesi. A fine settem-
bre cade la prima neve, in ottobre la temperatura
può essere 20 sotto zero, però questo è soltan-
to l’inizio dell’inverno. Quello più brutale è in
gennaio, la temperatura comune è 40 e 50 gradi
sotto zero. Finora ho sperimentato in Mongo-
Mongolia si compone di 5 Figlie di Maria Ausi- lia solo due inverni, quest’anno il governo ha
liatrice, 18 Salesiani Cooperatori e alcune centi- chiuso a causa del freddo le scuole per un mese
naia di exallievi di don Bosco, che vengono pian intero. Durante l’inverno tutto funziona però
piano formati e organizzati.
come d’estate: le vacche pascolano sulla neve, le
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automobili viaggiano, i mercati all’aperto non
chiudono. Lo stesso vale per i salesiani e per il
nostro servizio per i giovani. Soltanto dobbiamo
vestirci di più.
Jaroslav, perché sei andato
missionario in Mongolia?
Fino a dieci anni fa non avrei certo immaginato
di andare in Mongolia. Mi presi però tre picco-
le “botte”. La prima mi arrivò con le parole di
papa Francesco nell’enciclica Evangelii Gaudium:
«Andiamo a portare Cristo a tutti». La seconda
sono state le parole del Rettor Maggiore: «Si-
gnore, manda me!». La terza era l’esperienza che
stavo vivendo: per tre anni avevo guidato i corsi
preparatori per i volontari missionari destinati a
diversi paesi del mondo e il loro entusiasmo mi
aveva contaminato.
Guidavo anche gli incontri “Come In” nei quali
insegnavo ai giovani che è necessario essere sem-
pre aperti alla voce di Dio. Ho sentito io quella
voce e a 45 anni ho risposto: «Adesso o mai più!
Non sono ancora inabile e se posso servire i gio-
vani più che nella Repubblica Ceca, sono a dispo-
sizione». Dopo un mese di discernimento, scrissi
una lettera al Rettor Maggiore e lui mi invitò a
Roma per un incontro personale. Così la Mongo-
lia divenne la mia Terra Promessa.
I cristiani si
radunano in
una tradizionale
tenda mongola,
denominata Ger
o anche Yurta,
adibita a cappella.
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SALESIANI NEL MONDO
Le scuole tecniche
salesiane hanno
molto successo:
accompagnano
i ragazzi fino alla
laurea.
Come ti sei preparato?
Prima di partire per l’Oriente, sono stato
a Maynooth in Irlanda, dove per
quattro mesi ho frequentato
il corso di inglese. L’ingle-
se è lingua indispensabile
per la Chiesa in Asia:
ogni giorno viene usata
nelle comunità salesia-
ne e serve come base
per imparare le lingue
del luogo. Senza inglese
nell’unica comunità di 10
salesiani in Mongolia non
sarei in grado di comunica-
re. I miei confratelli vengono
da Vietnam, Corea del Sud,
India, Polonia, Hong Kong e
Timor Est.
Com’è la Mongolia
di oggi?
La Mongolia odierna mi
sembra simile all’Italia dei
tempi di don Bosco. La gente
si trasferisce dai paesini nella
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capitale Ulaanbaatar, dove 15 anni fa vivevano 700
mila abitanti e oggi sono più di 1,5 milioni. Dei
tre milioni di abitanti della Mongolia intera, un
milione conduce vita nomade. Nelle vaste steppe,
greggi e persone vivono in yurta, la caratteristica
tenda rotonda, con gli animali, in condizioni cli-
matiche estreme, ma anche con il sottofondo della
bella e ricca cultura legata all’ospitalità, al rispet-
to per gli anziani, alla solidarietà e al rispetto per
l’ambiente e la natura.
Che cosa si mangia in Mongolia?
Si mangia soprattutto carne, di mon-
tone, bovina o di capra. Il montone è
la carne più economica e i contadini
la sanno preparare in molti modi con
patate, carote e cipolla. Sinceramente
è un piatto squisito per i lunghi cam-
mini nelle steppe o sulle montagne.
Come si comportano
i mongoli con
gli stranieri?
I mongoli sono molto ac-
coglienti di natura, so-
prattutto fuori città e nel-
le steppe. Mi prendono
come “un americano” e
mi dicono “Hallo”. Sono
sorpresi se rispondo in
mongolo. Hanno paura
dei cinesi perché per un
lungo periodo sono sta-
ti sotto il loro potere
e non vogliono che i
cinesi si espandano nel
loro Paese. Il governo pro-
tegge lo stato con diverse pre-
scrizioni, controlli, permessi
di soggiorno, obbligo per gli
imprenditori di dare il lavoro
prima ai mongoli. Gli stra-

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«TU APPARTIENI A DIO!»
nieri hanno anche tasse più elevate e i visti sono
molto costosi.
Come riescono a vivere la loro fede
i pochi cristiani?
La Mongolia è tradizionalmente un paese
buddhista. Nel Settecento e Ottocento hanno
adottato il buddhismo e sono diventati più paci-
fici rispetto ai tempi di Gengis Khan. Negli anni
20 dello scorso secolo sono diventati il secondo
Paese ateo comunista del mondo dopo l’Unione
Sovietica. Sono cominciate le persecuzioni contro
i monasteri buddhisti e tanti monaci sono stati
perseguitati e ammazzati. Il cristianesimo è ar-
rivato nel Paese solo dopo il cambiamento anti-
comunista nell’anno 1990, soprattutto grazie ai
turisti dalla Corea del Sud e dagli . La chie-
sa Cattolica ha cominciato la sua missione solo
nell’anno 1992.
Andrew Tin Nguyen -
vietnamita, missionario
in Mongolia
Il Vietnam è il Paese nel quale
sono cresciuto e non c’era, ai
miei tempi, nessun missiona-
rio. Nella mente della gente il
concetto di missionario signi-
fica uscire e non tornare mai
a casa; per questo le persone,
e in particolare i genitori, non
volevano che i loro figli fosse-
ro missionari. Fin dal mio no-
viziato ho avuto questa idea,
ma l’ho custodita dentro di
me, fino alla mia professione
perpetua. Un giorno del terzo
anno di Teologia, attraverso
degli inviti per la missione “ad Gentes”, ho pregato e mi sono messo seria-
mente nelle mani di Dio.
Questo mi ha spinto a scrivere la lettera al Rettor Maggiore. La mia richiesta
è stata accolta; contemporaneamente a mia sorella era stato diagnosticato un
cancro e doveva essere curata in ospedale. Una delle infermiere, una religiosa
che lavorava lì e mi conosceva, un giorno mi aveva informato del fatto che il
cancro era molto pericoloso e che il trattamento chimico avrebbe potuto far
perdere la vita a mia sorella in poco tempo, tra i sei mesi e un anno. Pensando
che mia sorella aveva un marito recentemente convertito e tre bambini piccoli,
ho pregato Dio di scambiare la mia vita con la sua. Ma Dio sa che cosa è
meglio; Egli ha continuato a mantenere mia sorella in salute fino ad ora, e ha
mandato me in Mongolia. Quando è arrivato il momento di condividere le mie
motivazioni missionarie con il mio superiore e la mia famiglia, mia madre non
voleva che io partissi, ma mio padre ha detto: “Tu appartieni a Dio, fa’ ciò che
Dio vuole!”.
La mia più grande gioia nella missione è quella di vivere nelle nostre due
comunità, in Mongolia. Nella scuola tecnica, mi piace stare con i giovani e
vederli laurearsi, poi ottenere un lavoro, avere famiglia e successo nella vita.
Molti di loro tornando a far visita alla nostra comunità esprimono la loro grati-
tudine! Mentre sono nella parrocchia, la mia gioia è vedere le persone che ac-
colgono la fede, che rimangono nella Chiesa e partecipano anche alla messa
quotidiana; quanta fiducia e fede hanno qui! Una delle mie più grandi gioie è
stata quando un giovane venne da me per la confessione e, dopo l’assoluzio-
ne, si mise a gridare ad alta voce la gioia della sua riconciliazione, con le lacri-
me agli occhi! Non potevo immaginare come opera Dio nel cuore della gente.
L’opera salesiana mongola fa parte
dell’Ispettoria vietnamita. Qual è
il tuo compito oggi?
Per due anni sono stato a Darkhan e dall’ini-
zio sono diventato economo. Ho lavorato anche
nell’oratorio, dove abbiamo più di 900 ragazzi.
Dall’anno 2019 sto nella parrocchia paesana vi-
cino a Ulaanbaatar, che si chiama Shuuwuu.
I giovani mongoli
sono aperti alla
fede e partecipano
volentieri alla vita
della Chiesa.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
I giovani hanno
paura di amare?
Per quanto l’amore sembrerebbe oggigiorno essere
vissuto in maniera libera e spensierata, i giovani
nascondono una profonda paura di amare. Per loro,
però, è meglio rischiare che non amare affatto.
Venere, 19 anni
“A un mio coetaneo che avesse
paura di amare, consiglierei
di lasciarsi trasportare da un
sentimento così bello”.
Amore: una parola “semplice” ma
stupenda, che a volte, a seconda di
come si esprime, può rendere felici
ma anche causare vere e proprie lotte
interiori. Per me Amare significa es-
serci per l’altro, sostenersi, avere fidu-
cia reciproca, gioire e patire insieme.
Tutti abbiamo la necessità di sentirci
amati e di amare e spesso l’affetto dei
familiari non è sufficiente. Esigiamo
qualcosa di più profondo, ed è pro-
prio da questo bisogno che scaturi-
sce la personale ricerca di amare, in
particolar modo nella fase della gio-
vinezza dove si procede quasi a ten-
toni per timore di sbagliare, perché
si è ancora molto ingenui e inesperti
al riguardo, quindi facili al raggiro e
alle delusioni. Personalmente non ho
mai avuto questa preoccupazione, in
quanto ritengo che tutte le esperien-
ze della nostra vita (positive o nega-
tive che siano) concorrano al proprio
percorso di maturazione personale;
infatti, penso all’amore come a uno
degli elementi utili per il benessere
individuale. Credo che l’amore susci-
ti tanta paura per via della sua com-
plessità di fronte alla quale ci sentia-
mo incapaci di agire; incute timore e
a volte paura perché si è influenzati
dalle relazioni precedenti, e pertan-
to, non si è predisposti a dare fiducia
all’altro. Tuttavia, non tutti affron-
tano l’amore con questa titubanza.
Infatti, vi sono persone audaci o in-
coscienti che come me preferiscono
amare, rischiando anche di ricevere
delusioni, ma con la consapevolezza
che l’amore lascerà comunque un se-
gno indelebile nel nostro cuore e nel-
la nostra vita. A un mio coetaneo che
avesse paura di amare, consiglierei di
lasciarsi trasportare da un sentimento
così bello, perché se vissuto nel modo
migliore, fa star bene e, come già det-
to in precedenza, tutte le esperienze,
seppur associate a un’immagine ne-
gativa, sono propedeutiche alla no-
stra crescita. A conclusione di tutto
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ciò il mio pensiero sull’amore è che
deve essere una miscela perfetta tra
Cuore e Testa, solo così si potrebbe
non sbagliare. Le due cose da sole
creano disastri. Nonostante ciò, io
credo ancora nell’Amore a prima vi-
sta. “Perché?”, mi direte voi: perché
ne sono testimone nonché frutto di
esso, i miei genitori ne sono, infatti,
la prova vivente.
Miriam, 19 anni
“Non si può amare qualcuno
se prima non si ama se stessi.
Noi siamo belli, dentro e fuori!
L’amore è l’arcobaleno della
nostra vita, è speranza, gioia”.
Chi non ha paura di amare? Quan-
do amiamo, poniamo nelle mani di
uno “sconosciuto” il nostro cuore, do-
nando a lui completamente corpo e
anima. È normale aver paura di non
essere all’altezza, paura di soffrire,
paura di fidarsi e di rischiare. A volte,
però, è meglio soffrire, che mettere in
un ripostiglio il cuore. E se per sof-
frire bisogna amare, allora significa
che è giusto così. Oggi il significato
di amore è sottovalutato. Si dice “ti
amo” per nulla, ci si fidanza e poi ci
si lascia come se ciò che c’è stato non
avesse significato nulla. Oggi l’amo-
re fa schifo, vivo nella speranza di
un cambiamento in positivo. È come
se i giovani d’oggi non riuscissero a
svegliarsi dall’aridità della loro vita;
cercano rimedio in un amore platoni-
co. Hanno paura d’amare ma non lo
dimostrano. L’amore fa paura perché
si pensa di non essere mai abbastanza,
di essere troppo poco per chi amiamo,
quando in realtà abbiamo solo biso-
gno di guardare un po’ di più dentro
noi stessi e amarci. Non si può ama-
re qualcuno se prima non si ama se
stessi. Noi siamo belli, dentro e fuori!
L’amore è l’arcobaleno della nostra
vita, è speranza, gioia. Ha i suoi pro
e i suoi contro, ma è una scommes-
sa che accetterei volentieri. A un mio
coetaneo che avesse paura di amare
direi di rischiare, non c’è niente di più
bello di amare. Per me è essere felici,
vivere. È come se l’amore desse colo-
re alla tua vita: tutti lo notano, i tuoi
famigliari, gli amici, gli estranei. Sei
diversa, spensierata, luminosa. Anche
io ho paura di amare e di essere ama-
ta, ma è tutto soggettivo. È la forza di
agire, la forza di non soccombere alla
vita che mi spinge a volere di più, a
lottare, a decidere che cosa è meglio e
che cosa non lo è. Sbaglierai, cadrai e
ti rialzerai, ma dai tuoi errori scopri-
rai che l’amore è una cosa semplice,
un porto sepolto da trovare, scoprire
e accettare.
Ludovica, 19 anni
“L’amore rende le cose diverse,
da una prospettiva più belle, da
un’altra più brutte”.
L’amore è un sentimento così gran-
de che è legittimo averne paura, così
come di tutte le cose che non cono-
sciamo. In fondo noi uomini di che
cosa sia realmente l’amore ne sappia-
mo ben poco. Stendhal afferma che
“l’amore è un bellissimo fiore, ma
bisogna avere il coraggio di coglierlo
sull’orlo di un precipizio”, e chi non
avrebbe paura? Per questo sì, posso
affermare che temo l’amore. Vedo le
persone della mia età vivere l’amore
superficialmente, quindi, penso, al-
meno in maggioranza, i miei coetanei
non ne siano spaventati perché non lo
conoscono fino in fondo.
Per capire il motivo per il quale l’a-
more fa paura, basta immaginare una
lunga strada che si percorre tutti i
giorni, della quale si conosce persino
l’angolo più nascosto; un giorno que-
sta strada diventa come sconosciuta,
avvolta da una fitta nebbia e le vie
cominciano a deformarsi, a diventare
quindi confuse e difficili da percorre-
re. L’amore rende le cose diverse, da
una prospettiva più belle, da un’altra
più brutte, ma comunque modifica la
realtà e le persone sono spaventate dal
cambiamento. A un mio coetaneo che
avesse paura di amare, riprendendo la
frase citata prima, consiglierei di ave-
re coraggio di scoprire, perché dopo il
buio c’è sempre la luce.
Settembre 2019
11

2.2 Page 12

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FMA
Testo e foto: UTE SUPPA da DON BOSCO Magazin
Traduzione di Marisa Patarino
Ruanda «I giovani devono
avere un sogno» Lo Stato del Ruanda,
in Africa orientale,
si presenta in piena
espansione, proiettato
verso il futuro. Ancora
oggi, però, i bambini delle
famiglie povere dipendono
da organizzazioni
umanitarie o dal sostegno
offerto da varie chiese
per poter frequentare
la scuola.
L a giovane Izere ha pensato
bene a tutto: mentre segue il
suo percorso di formazione
compie un tirocinio nelle case
di famiglie benestanti e poi,
per un paio d’anni, intende ac-
quisire esperienza come dipendente e
risparmiare un po’ di denaro. E dopo
vuole realizzare il suo sogno: «Sarò
un’ottima cuoca e aprirò il mio risto-
rante». Questa giovane di vent’anni
sa che non sarà facile. «Devo guada-
gnare il denaro necessario», spiega.
E aggiunge: «Oggi è molto difficile
trovare un lavoro dopo aver terminato
gli studi». Izere vive in Ruanda, uno
dei Paesi più piccoli dell’Africa, poco
a sud dell’equatore, che confina con
l’Uganda, la Tanzania, il Burundi e
la Repubblica Democratica del Con-
go. La prima cosa che viene in mente
pensando al Ruanda è il genocidio del
1994. In base ai dati dell’ , alme-
no 800 000 persone furono uccise nel
conflitto etnico tra Hutu e Tutsi. Nei
due decenni successivi furono predi-
sposti luoghi della memoria, nego-
ziati davanti a tribunali di villaggio e
modalità di riparazione. Sembra che
a poco a poco si arrivi alla riconcilia-
zione. Chi percorra oggi il Ruanda a
un primo sguardo ha l’impressione
di trovarsi nella Svizzera dell’Africa:
nella “terra delle mille colline” non ci
Suor Lumière e i suoi bambini. Sono educati e
gentili, molto affettuosi.
sono rifiuti per le strade, i sacchetti
di plastica sono vietati, è obbligatorio
portare scarpe. Nella capitale lampio-
ni innovativi, palme e aiuole floreali
adornano le strade; alberghi e centri
commerciali con grandi vetrate, il
centro congressi che di sera è illumi-
nato con luci multicolori e auto nuove
caratterizzano l’immagine della mo-
derna Kigali.
Il presidente del Ruanda in carica dal
2000, Paul Kagame, ama presentare il
Paese come una terra in piena espan-
sione: la scuola e la sanità dovrebbero
12
Settembre 2019

2.3 Page 13

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essere accessibili e gratuite per tutti,
la malnutrizione infantile dovrebbe
essere scomparsa e la corruzione non
dovrebbe praticamente esistere. Ma
a uno sguardo più attento non tutto
risulta così incoraggiante: il governo
di Kagame può essere considerato au-
toritario e vengono espresse critiche a
livello internazionale per la mancanza
di libertà di stampa, la repressione ai
danni dell’opposizione, la manipola-
zione dei risultati elettorali e l’azione
destabilizzante nel Congo orientale.
Nel Paese nessuno vuole esprimere
pubblicamente un’opinione critica
di fronte a un giornalista. In privato
varie persone segnalano che telefoni
cellulari, e-mail e conversazioni per-
sonali sono controllati, che sussisto-
no ancora conflitti tra Hutu e Tutsi,
che la povertà è diffusa, soprattutto
tra la popolazione rurale. «Curiamo
regolarmente bambini malnutriti»,
ha riferito un medico, che non lo di-
chiarerebbe mai in pubblico. Un’inse-
gnante che vuole rimanere anonima
ha detto: «Forse il 20 per cento della
popolazione è ricco e il 20 per cento
sta bene, ma il restante 60 per cento
vive davvero in povertà, magari con
un solo pasto al giorno».
Costruire
un nuovo Ruanda
Le Suore di Don Bosco vogliono of-
frire ai bambini e ai giovani una buo-
na istruzione e quindi una certa sicu-
rezza finanziaria. «Il nostro obiettivo
è costruire un nuovo Ruanda, dove
tutti possano essere liberi e felici»,
ha detto suor Lumière, che dirige la
comunità di Kigali ed è responsabile
della scuola locale delle Suore di Don
Bosco. Ritiene che a livello politico il
fatto che sulle carte d’identità non sia
più registrata l’etnia, che cioè non sia
più fatta alcuna distinzione tra Hutu,
Tutsi e Twa, sia un passo importante;
a livello sociale, considera essenziale
che si faccia comprendere ai genitori
l’importanza dell’istruzione. A Gi-
senyi, una piccola città ubicata a nord-
ovest del Paese, le Suore di Don Bo-
sco gestiscono il centro di formazione
tecnica e professionale “St. Mary Do-
minic Mazzarello
(Technical
and Vocational Education and Trai-
ning)”, in cui Izere frequenta il corso
per diventare cuoca. Circa 130 gio-
vani di ambo i sessi seguono qui un
percorso di formazione dell’ambito
alberghiero, della cucina e dei servizi.
Sono anche proposti corsi di sartoria.
Le Suore si impegnano negli ambiti
in cui vi sia necessità di personale e
dunque uno sbocco lavorativo o per
cui sia possibile avviare una picco-
la attività autonoma: gli hotel e i ri-
A sinistra: Fidele ha ventiquattro anni e studia per
riuscire ad avere un diploma.
In alto: Françoise Mukankusi, exallieva e
insegnante presso l’Istituto Tecnico.
Settembre 2019
13

2.4 Page 14

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FMA
storanti hanno bisogno di personale
grazie al turismo che è in crescita e
con una macchina da cucire è possi-
bile guadagnare presto un po’ di de-
naro. «Il governo incoraggia i giovani
a diventare lavoratori autonomi e a
crearsi un lavoro e noi vogliamo aiu-
tarli», ha detto l’insegnante Françoise
Mukankusi, che vuole trasmettere
agli allievi valori per la vita, in ag-
giunta alle competenze specifiche.
«Insegniamo loro a guardare al futu-
ro con ottimismo, ad avere fiducia e a
lavorare con impegno».
Anche Mukankusi ha avuto una buo-
na opportunità grazie alle Suore di
Don Bosco. Nel 2008 si iscrisse al cor-
so riguardante il settore alberghiero.
Aveva ventitré anni, due figli piccoli,
non lavorava e suo marito guadagnava
poco. «È stato un periodo difficile»,
ha ricordato Mukankusi, che di notte
cucinava e puliva la casa e al mattino
si recava al centro di formazione con
i bambini. Le sue compagne di classe
conducevano una vita simile alla sua:
«I nostri mariti non avevano il dena-
ro necessario per le tasse scolastiche e
nemmeno per il vitto. Spesso arriva-
vamo a scuola affamate, a volte ci ad-
dormentavamo durante le lezioni», ha
ricordato Mukankusi. «Le Suore però
ci hanno sempre aiutato e dicevano
che avremmo raccolto presto i frut-
ti del nostro impegno». Dopo aver
Centocinquanta ragazzi studiano presso la scuola
professionale di Gisenyi.
In basso: Izere guarda con fiducia al suo futuro.
completato il percorso di formazione,
Mukankusi ha lavorato come addetta
alla reception in un hotel, poi ha co-
minciato a insegnare presso il centro
e nel 2013 vi è stata assunta sta-
bilmente. Anche le sue amiche sono
riuscite a inserirsi nel mondo del la-
voro: una è Vicerettore all’università,
un’altra gestisce il servizio di pulizia
in un hotel. «Noi donne del Ruanda
siamo così: combattiamo», ha detto
Mukankusi.
Nel 2017 il Ruanda si è collocato in
prima posizione tra i Paesi in via di
sviluppo relativamente all’indice di
sviluppo ed è uno dei due Paesi al
mondo in cui in Parlamento siedono
più donne che uomini. I dati riguar-
danti l’istruzione sono però preoccu-
panti: solo il 12,6% delle donne di età
superiore ai ventiquattro anni ha un’i-
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Settembre 2019

2.5 Page 15

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struzione che vada oltre la scuola ele-
mentare. Il dato percentuale riguar-
dante gli uomini si attesta al 17%.
Niente denaro, niente
scuola, niente lavoro
«I bambini delle famiglie povere han-
no ancora difficoltà a seguire un per-
corso di formazione e a trovare un
lavoro, anche se sono intelligenti», ha
detto il ventiquattrenne Fidele. Ha
perso il padre in giovane età, vive con
la madre e il fratello in una casa mol-
to piccola e può frequentare il centro
solo perché vi svolge alcune
mansioni e sua madre cucina per le
suore. Fidele comprende che la qualità
della formazione è fondamentale per il
suo futuro. Il percorso triennale offer-
to dalle Suore di Don Bosco permette
di conseguire un diploma e ha un’ot-
tima reputazione su tutto il territorio
nazionale. «Il 90 per cento dei diplo-
mati trova un lavoro», ha detto Fidele,
che in futuro vorrebbe lavorare come
cuoco. Molti studenti non possono
permettersi di pagare le tasse scolasti-
che. «Alcuni pagano a rate, altri por-
tano oche, fiori o frutta, altri pulisco-
no la casa o prestano il loro aiuto con
varie attività», ha spiegato la direttrice
suor Yvette. La direttrice attribuisce
particolare importanza a un aspetto:
«I giovani devono avere un sogno! E
buoni docenti, come Françoise». Se gli
allievi sono assidui e diligenti possono
trovare un buon lavoro e magari anche
ricambiare l’aiuto che hanno ricevuto.
Le suore creano l’ambiente e l’atmosfe-
ra che regnano qui.
In alto: I bambini delle famiglie povere hanno
ancora difficoltà a seguire un percorso di
formazione e a trovare un lavoro, anche
se sono intelligenti.
A destra: I Salesiani lavorano per
permettere a tutti di avere
un avvenire migliore.
Settembre 2019
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
CESARE ORFINI
Civitavecchia
Per i salesiani, arrivati 70 anni
dopo in questa parte d’Italia,
la Casa è stata una piccola
Valdocco. Come don Bosco,
i salesiani a Civitavecchia, dopo
la guerra, hanno accolto gli
orfani, i ragazzi e le famiglie
bisognose che arrivavano dal sud
a cercare lavoro.
L’opera salesiana
di Civitavecchia.
La scuola delle
FMA e l’Oratorio.
Don Bosco a Civitavecchia
Don Bosco fu a Civitavecchia nel 1858, nel primo
dei 20 viaggi che fece a Roma. Nel 1858 lo fece
per l’approvazione della Società di S. Francesco
di Sales. Da Genova a Civitavecchia sulla nave
a vapore Aventino, con il suo allievo e successo-
re, il beato don Michele Rua, affrontò un viaggio
avventuroso. Per lo strapazzo del viaggio don Bo-
sco non riuscì a celebrare, ma partecipò alla Messa
nella chiesa dei Domenicani.
Settant’anni dopo i suoi figli operavano nella bel-
la e vivace città affacciata sul Tirreno.
Le origini della parrocchia della Sacra Famiglia
di Civitavecchia, che dal 1928 è salesiana, risal-
gono al 1910, anno in cui il Vescovo diocesano
decise di ristrutturare l’organizzazione religiosa
della città al fine di risolvere il problema della
“cura d’anime” nel quartiere che si stava forman-
do nella zona chiamata “la Nona”.
Per la realizzazione della Chiesa e della canonica
fu individuata l’area occupata dal rustico di una
costruzione iniziata dai Gesuiti nella seconda
metà del secolo e da questi lasciata incom-
piuta nel 1870, l’anno della caduta dello Stato
Pontificio.
Il 10 ottobre 1928 fu affidata ai salesiani, a titolo
di donazione, in perpetuo.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice erano già arriva-
te a Civitavecchia nell’ottobre del 1898 aprendo
in piazza Leandra, in una modesta abitazione,
la Scuola di San Nicola intitolata a Santa Sofia,
protettrice della benefattrice Sig.ra Sofia Maria-
ni Filippi. La Scuola era frequentata da bambi-
ne molto povere della zona. Le “Suore di Don
Bosco”, come erano chiamate, si trasferirono poi
nel 1929, un anno dopo l’arrivo dei salesiani, nella
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Settembre 2019

2.7 Page 17

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sede più ampia di Villa Siri, l’attuale Istituto San-
ta Sofia. La Scuola elementare ottenne la parifica
nel 1986 e insieme con la Scuola dell’Infanzia nel
2001-2002 venne riconosciuta come scuola Pari-
taria. Attualmente accoglie un notevole numero
di alunni dell’infanzia e della Primaria.
90 anni di storia
Da quasi due anni sono responsabile della comu-
nità salesiana in questa parte della regione La-
zio nord proiettata verso il mare, quel mare dal
quale gli abitanti trovavano nel passato un po’
di ricchezza (la pesca e i trasporti via mare), ma
che oggi vivono con più precarietà e solo con la
speranza per un futuro migliore, nonostante le
numerose crociere che arrivano al Port of Rome,
come viene chiamato il porto della città, ponte
verso Roma. Le informazio-
ni raccolte dai parrocchiani,
accoglienti e comunicativi, e
soprattutto ben disposti verso
ogni salesiano che vi ‘prende
casa’, mi permettono di rita-
gliare un quadro ricco di co-
lori di questo territorio che –
tutti lo sanno – ha una storia lunga quanto Roma
e anche di più, stretta com’è tra il nord e il sud
della Tuscia romana, terra degli etruschi del Lazio
settentrionale.
Il territorio di Civitavecchia pochi anni dopo
l’arrivo dei salesiani, nel 1928, è stato distrutto
da tre bombardamenti successivi che
hanno prostrato la popolazione,
distrutto la città (in Italia la più
danneggiata) e le speranze di fu-
turo, oltre che aver lasciato sul ter-
reno molti morti e feriti; i salesiani
durante questi eventi hanno lavo-
rato col cuore e le braccia, come aveva
fatto lo stesso don Bosco a Valdocco.
Dopo la guerra era una città da rico-
struire e i salesiani hanno faticato per
accompagnare questa ricostruzione,
soprattutto spirituale, morale ed edu-
cativa, dando conforto e stando vicini
alle sofferenze dei ragazzi e delle fa-
miglie civitavecchiesi. Così nelle loro
testimonianze:
I bombardamenti, le privazioni, le dif-
ficoltà del dopoguerra, non è esagerato dire che fu
vissuto dai Salesiani eroicamente. Don Pandolfi si
salvò per miracolo; sepolto dallo scoppio di una bomba
sarebbe morto se una seconda bomba non lo avesse li-
berato. La città si vuotò, ma i Salesiani rimasero. Si
trasferirono sulla collina in sistemazioni di fortuna
per non far mancare il conforto religioso e morale alle
In alto: La prima
compagnia teatrale
in una foto del
1930.
Al centro: Porta
Livorno: di qui
passò don Bosco.
Settembre 2019
17

2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
L’oratorio continua
ad essere punto
di riferimento per
molti ragazzi.
poche centinaia di persone che vi si erano rifugiate. Il
Parroco, don Pollice, non abbandonò neanche i par-
rocchiani sfollati. In bicicletta, andò ad incontrare i
suoi fedeli nei paesi circostanti. Uno di questi, rifu-
giato in una grotta presso Canino, lo vide presentarsi
in un giorno di marzo 44. Aveva percorso, sotto il
pericolo dei mitragliamenti aerei oltre 60 km. Il ri-
torno, con la fine dell’occupazione tedesca, fu penoso.
Il cortile sconvolto dalle bombe (e dal rifugio antiae-
reo fatto scavare dal Comune), il muro di cinta quasi
interamente crollato, il salone-cappella semidistrutto.
Con l’impegno di tutti si cominciò la ricostruzione”.
Come don Bosco con i muratorini e gli spazza-
camini di Torino e gli immigrati dalle valli pie-
montesi, così i salesiani a Civitavecchia – dopo la
guerra – hanno accolto gli orfani, i ragazzi e le
famiglie bisognose che arrivavano dal sud a cer-
care lavoro.
Questi sono arrivati a motivo della pesca, del por-
to e della centrale termoelettrica. Civitavecchia è
una comunità eterogenea che si è amalgamata nel
tempo, anche se girando per le strade si sento-
no ancora accenti e parole che tradiscono altre
provenienze, soprattutto dal sud. È una piccola
Valdocco perché tra questa nuova gente e queste
nuove famiglie i salesiani hanno saputo entrare
nel loro cuore e l’eco lontano di queste prime im-
prese non è svanito.
Oggi il rapporto dei salesiani con la popolazione
e i parrocchiani non ha subito cadute, nonostan-
te le difficoltà dell’età e gli impegni pastorali più
esigenti. La ‘Parrocchia Sacra Famiglia’ ha una po-
polazione di circa 7000 abitanti, con un territorio
limitato rispetto alla grandezza territoriale degli
inizi. La città si è sviluppata nel dopoguerra forse
anche disordinatamente e diverse altre Parrocchie
sono sorte sul vecchio territorio della Parrocchia.
Oggi la città ha circa 55mila abitanti.
La Chiesa parrocchiale, di modeste dimensioni
essendo stata costruita come cappella interna
all’edificio destinato ai Gesuiti, non riesce a
raccogliere nelle Feste tutta la popolazione e i
giovani, e pertanto l’uso del Cine-Teatro funge
da ‘succursale’. Ugualmente funge da succursale
in contemporanea con altre Messe ogni dome-
nica anche la Cappella/Chiesa delle Suore sa-
lesiane, che conducono una scuola accanto alla
Parrocchia, divisi solo dalla Via San Giovanni
Bosco.
Le attività della Parrocchia sono molteplici e vi-
vaci, anche punto di riferimento per diverse ini-
ziative diocesane. La Chiesa è sicuramente la più
frequentata di Civitavecchia. Nei giorni feriali
dalle 100 alle 120 persone partecipano alle tre
Messe quotidiane.
18
Settembre 2019

2.9 Page 19

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MONSIGNOR CHENIS, VESCOVO SALESIANO
Un oratorio per tutti
L’Oratorio che nei decenni è stato l’unico luogo
educativo e ricreativo della città, frequentato da
tutti i giovani, continua ad essere punto di riferi-
mento per molti ragazzi, che oggi nel cortile non
trovano più la terra battuta o l’asfalto grezzo di
pochi anni fa, ma una pavimentazione liscia e
funzionale, dove trovano spazio gli sport più po-
polari, come il calcetto, il basket, il Volley. È stata
la felice intuizione di don Enzo Policari, parroco
fino al 2017, che sistemando radicalmente il ‘cor-
tile’ ha ridato slancio a tante attività che attraggo-
no sempre più ragazzi.
Il vicino teatro era il vecchio salone, servito da
sempre come Chiesa e per le rappresentazioni
teatrali e il cinema; da 8 anni è stato trasformato
in una funzionale sala per le rappresentazioni ci-
nematografiche quotidiane. Si distingue per una
programmazione di alto profilo culturale, pur fa-
cendo proiezioni di prima visione. Il teatro offre
opportunità a tante compagnie teatrali amatoriali
o semiprofessionistiche e alle stesse scuole per i
saggi finali o le proiezioni mattutine.
Da ultimo l’Oratorio, l’opera che si identifica
con i salesiani a Civitavecchia. Sul cortile rinno-
vato sono sorte nuove presenze e nuove attività,
Si lavora per incrementare le responsabilità allo
scopo di rilanciare questo spazio così ben cura-
to come il ‘cortile educativo’ di don Bosco. Nel
Il 21 dicembre 2006 papa Benedetto XVI nominava Vescovo di Civitavecchia
- Tarquinia, monsignor Carlo Chenis, salesiano, docente dell’Università Pon-
tificia Salesiana di Roma. Ordinato il 26 maggio del 1984, nato a Torino il 20
aprile del 1954: è il Cardinale Tarcisio Bertone che lo consacra nel 2007, il
10 febbraio. Entra in Diocesi il 24 dello stesso mese. Purtroppo una malattia
gravissima lo ha strappato alla diocesi il 19 marzo 2010. Davanti alla Catte-
drale una statua di bronzo ricorda la figura e il breve ma intenso passaggio del
vescovo venuto dal Nord, come recita la targa. È il riconoscimento della città
al pastore torinese realizzato da un artigiano tarquiniese; testimonia il forte
legame tra la città di Civitavecchia e monsignor Carlo Chenis, in ricordo del
suo breve periodo alla guida della diocesi.
Un fratello, un compagno di vita, una guida saggia, che ha lasciato nella città
un segno indelebile. Nell’ultimo suo saluto ha detto: “Ho servito la Chiesa...
arrivederci”, un’espressione che racchiude tutta l’intensità con la quale ha vis-
suto il suo mandato pastorale.
A Civitavecchia avviò un calendario di “Buonenotti”, il tradizionale pensiero
spirituale con il quale don Bosco salutava i ragazzi al termine di ogni giornata.
Nel Testamento spirituale monsignor Chenis ha lasciato scritto: «Non ho gu-
stato il Paradiso, ma l’ho pregustato nel sorriso delle persone che mi hanno vo-
luto bene. Chiedo scusa per gli errori e se a volte ho brontolato tanto com’è nel
mio carattere. Ho trovato tanti amici, ho amato questa Chiesa, felice di essere
stato chiamato qui. Ho amato tutte le persone qualunque fosse stato il loro ceto
di appartenenza, perché ho potuto frequentare e godere la sapienza di tutti».
Parole che fecero commuovere la città.
cortile possono rinascere vocazioni come le tante
che hanno caratterizzato quest’opera e quella del-
le suore salesiane a Civitavecchia: 17 le vocazio-
ni delle suore salesiane fino a oggi e 8 quelle dei
salesiani provenienti dall’Oratorio, e in più altre
8 tra sacerdoti diocesani e religiosi ex-oratoriani.
L’ultima vocazione è l’attuale vicario dell’Ispetto-
ria Centrale.
Civitavecchia è terra di vocazioni. Lo è stata e,
con la preghiera e un’azione mirata e responsabi-
le, porterà frutti anche nel futuro.
Settembre 2019
19

2.10 Page 20

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Don Cesare Bissoli
Una vita per la catechesi
«Questa Società nel
suo principio era un
semplice catechismo»
diceva spesso don Bosco.
L’impegno per i Salesiani
continua, anche se oggi il
catechismo è diventato una
sfida ardua e decisiva.
Come puoi riassumere
la tua vita di salesiano,
tra Bibbia e catechesi?
Le radici sono da lontano. Da ragazzi-
no al mio paese (Bussolengo di Vero-
na) nell’ora di catechismo che non era
sempre piacevole, la catechista riusciva
a trattenerci narrandoci la “Storia sa-
cra” di don Bosco, il cui quadro con
lui sorridente era alla parete dell’aula.
Il binomio catechesi e Bibbia continuò
nel collegio Don Bosco di Verona dal
1945 in avanti. Ricordo che nello Stu-
dio Teologico della Crocetta (Torino),
sollecitato dall’indimenticabile nostro
insegnante don Quadrio fui tra i primi
a leggere la Bibbia di Gerusalemme
edita in francese nel 1956. Chiaramen-
te la svolta avvenne quando, terminato
lo studio all’Istituto Biblico e dopo un
decennio di insegnamento della Bibbia
a Monteortone (Padova) e a Verona-
Saval fui chiamato nel 1977 a Roma
come membro dell’Istituto di Ca-
techetica, dove potei erigere la cattedra
di Bibbia e catechesi, con tre particola-
ri esperienze: un insegnamento che
durò oltre un trentennio; il contatto
continuo con persone e pubblicazioni
in Europa e America meridionale; un
servizio continuato di promozione del-
la Bibbia nella catechesi, coprendo per
molti anni la direzione dell’Apostolato
Biblico in Italia, facendo conferenze e
corsi e scrivendo tanti sussidi sul tema.
Adesso sono anziano e mi preparo a
“vedere nella verità” la Parola che ho
cercato di servire con sincerità.
A sinistra: Don Cesare Bissoli.
A destra: Studenti dell’Università Salesiana.
Perché i genitori e i nonni
non sanno parlare della
Bibbia ai piccoli?
Direi per due motivi: anzitutto per-
ché non la conoscono, e ciò perché
manca una formazione adeguata, che
non è semplice data la complessità
cui porta lo studio scientifico, cui
si aggiunga che la comunicazione è
priva sovente di pedagogia catechi-
stica (è un dire la Bibbia come Cap-
puccetto Rosso); in secondo luogo,
ma diventa il primo, di fatto gli adul-
ti mostrano di non avere compreso il
valore fondamentale della Parola di
Dio nella vita di fede e quindi nell’e-
ducazione dei figli. Ma non è tutta
la verità se non dicessi l’esistenza sia
pur minoritaria di forme di inizia-
zione alla Bibbia che coinvolgono i
genitori con pubblicazioni eccellenti
(per contenuto e metodo) di “Bibbia
20
Settembre 2019

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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per fanciulli” e di riviste come Dos-
sier Catechista (Elledici). Purtroppo
il rapporto Bibbia e Giovani vive di
dolorosa solitudine.
Possiamo dire che come
cristiani in Italia abbiamo
perso tre generazioni e
stiamo perdendo la quarta?
È vero che ‘piccoli atei
crescono’?
È un pensiero divenuto quasi di moda
oggi in bocca all’opinione pubblica:
“Siamo in crisi, stiamo diminuendo
vistosamente, la chiesa è in declino,
la fede svanisce...”. È fondato questo
giudizio? Dobbiamo distinguere il
punto di vista sociologico da quello
spirituale. Sociologicamente stando ai
dati, nel mondo europeo si può par-
lare di crisi. Fra gli altri, al seguito di
papa Francesco, segnalo cinque indi-
catori che ritengo più gravi: la crisi
della famiglia (instabilità del legame
sponsale, incapacità educativa, calo
delle nascite), insignificanza della
fede cristiana nel mondo giovanile,
comunicazione mediatica superficiale
e deformata, forme di violenza e con-
flitti nel mondo, rilevante abbassa-
mento di credibilità della Chiesa. C’è
veramente da restare allarmati.
Ma la visione va completata dal pun-
to di vista spirituale, cioè dal punto di
vista dello Spirito Santo, dai segni del
Vangelo che, a nome di Gesù, Egli
va seminando nel mondo. Con papa
Francesco possiamo enumerare: la
ricerca della verità da parte di tante
persone in tutto il mondo non solo
cattolico, e il dialogo tra le religioni;
l’impegno coraggioso per il rinnova-
mento radicale della Chiesa alla luce
del Vangelo; la disponibilità di tanti
giovani a dire sì a Gesù Cristo e alla
sua visione di vita come ha dimostrato
l’ultimo Sinodo a loro dedicato; tan-
to silenziosa quanto impressionan-
te e convincente è l’opera di carità e
solidarietà (volontariato) verso poveri
in tutte le forme (segnatamente i mi-
granti); l’impegno per ridare alla ter-
ra la buona salute con cui Dio ce l’ha
donata (ecologia)… Certo vi è molto
da fare, ma assolutamente non si deve
cadere nella trappola del pessimismo
e nella delusione. È come dubitare
che Dio si è dimenticato dell’uomo!
Dalla Bibbia e dalla storia della Chie-
sa non appare così. Bisogna giudicare
ed operare nel mondo sulla misura di
Gesù, il Signore crocifisso e risorto,
e non misurare Gesù sulla fragilità e
peccato del mondo.
Che cosa dire oggi della
catechesi italiana?
Vive il travaglio di profondo cambio
della Chiesa. Ricordiamo le tre mag-
Settembre 2019
21

3.2 Page 22

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L’INVITATO
giori tappe: la secolare, benemerita
tradizione catechistica a partire dal
Concilio di Trento (Catechismo della
dottrina cristiana); nel solco del rin-
novamento promosso dal Vaticano
II, in Italia si afferma impetuoso il
movimento catechistico con la pub-
blicazione del Documento di Base e
i relativi catechismi, dagli adulti ai
bambini (Catechismo della vita cri-
stiana); in questo inizio di secolo si
assiste ad un rivolgimento catechi-
stico profondo ancora in atto, carat-
terizzato da un processo globale che
va oltre il tradizionale concetto di
catechesi (catechista e catechismi), il
quale viene rifondato e inserito nel
processo di “evangelizzazione“, che
si profila come cammino di inizia-
zione catecumenale e missionaria.
Alla scuola di papa Francesco e dei
Vescovi italiani. Siamo in un cammi-
no di lenta, faticosa maturazione con
particolare attenzione agli adulti e ai
giovani.
Alcuni problemi
della catechesi in Italia.
Ne enumero tre. Tra di noi permane
una ferita dolorosa che dura si può
dire da secoli: fatta la prima comunio-
ne e la cresima, alla cui preparazione
si nota ancora una notevole frequen-
za, proprio nel momento di quella che
possiamo chiamare la prima scelta di
fede, si assiste da parte di tanti all’ab-
bandono dell’ulteriore cammino di
approfondimento chiamato mistago-
gia. Le ragioni sono varie. In sintesi
si deve parlare di assenteismo come
trascuratezza dei genitori loro stessi
poco formati; vige ancora la mentalità
– anche tra il clero e i catechisti – che
ricevuti i sacramenti della comunione
e cresima il fanciullo è “a posto”. Si
pensa poco all’acuirsi di problemi che
toccano la fede e la morale nel mo-
mento di entrata nell’adolescenza.
Un secondo problema riguarda la
partecipazione dell’età giovanile alla
Messa domenicale. Molti giovani da
me interrogati perché “non vanno a
Messa” mi hanno risposto “perché
non mi dice niente, mi annoia…”.
Ecco un problema urgente ancora
irrisolto: quale pedagogia eucaristica
pratica (e più ampiamente liturgica)
per minorenni?
Un terzo problema riguarda come è
concepita la catechesi, se è intesa o
meno come dimensione costitutiva e
permanente nella vita di un cristiano
e dunque della pastorale della Chiesa,
di ogni singola comunità (e movimen-
to). Anche per il motivo che il parro-
co può avere più di una parrocchia,
ne viene che il compito catechistico
va assunto da laici, realisticamente da
catechisti coscientizzati, formati se-
condo diversi destinatari (non solo i
piccoli!), riconosciuti dalla comunità e
Una Prima Comunione. Per molti è diventato
l’addio alla Chiesa.
ringraziati come operatori di un vero
servizio diaconale, come Paolo parla
nelle sue Lettere (v. Rom 16). A mio
parere sull’identità e preparazione del
catechista “insegnante, educatore, te-
stimone”, in comunità si procede in
termini incerti e confusi.
Ho accennato fin qui a problemi rea-
li, ma non posso tacere due cose: che
in Italia sono in atto tantissime espe-
rienze positive di cambio. Bisogne-
rebbe che venissero fatte conoscere tra
le diocesi, nella singola diocesi, nelle
comunità… con la loro singolarità e
con pregi e limiti; in secondo luogo
mettiamoci in mente, presbiteri, cate-
chisti, laici che qui e ora si deve ragio-
nare secondo il criterio evangelico del
seme piccolo che cresce da sé (cf. Mc
4,26s), non di un albero ben piantato
e con frutti a portata di mano. Forte è
la trasformazione in atto della Chiesa
in una società altrettanto in cambia-
mento. Ciò vale anche a riguardo del
pensiero e della prassi catechistica.
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Settembre 2019

3.3 Page 23

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Il Sinodo dei giovani ha
detto qualcosa al riguardo
della catechesi?
Come notavo sopra, la parola-chiave,
scelta e risolutamente affermata da
papa Francesco nel suo ministero è
“evangelizzazione”, cioè seguire e vi-
vere come Gesù, anzi con Lui. In essa
sta racchiusa la figura di catechesi.
Ciò vale soprattutto per i giovani. Nel
documento post-sinodale Christus vi-
vit, Francesco cita ben 160 volte la
persona di Gesù come il Signore ri-
sorto e Salvatore. Prima di ogni altra
specificazione, Gesù è la vocazione
dell’uomo (giovane) e “l’incontro” re-
lazionale con Lui fa il cristiano. Se il
Papa non parla esplicitamente di cate-
chesi, non mancano motivi catechisti-
ci: “Qualsiasi progetto formativo deve
certamente includere una formazione
dottrinale e morale”; essa è chiamata
a muoversi su “due assi centrali: uno
è l’approfondimento del kerygma,
esperienza fondante dell’incontro con
Dio attraverso Cristo morto e risorto.
L’altro è la crescita nell’amore fraterno
nella vita comunitaria e nel servizio”.
gnamento di religione nelle scuole.
Il via è stato dato dal 4° successore
di don Bosco, don Pietro Ricaldo-
ne nel 1940, cui è seguito lo svilup-
po secondo il processo accademico.
Dall’Istituto di Catechetica, collocato
nella Facoltà di Scienze dell’Educa-
zione sono usciti centinaia di esperti
da ogni parte del mondo, religiosi e
laici, uomini e donne, con numerosi
vescovi e responsabili di comunità.
Oggi si nota la presenza numerosa di
membri delle giovani chiese, di Afri-
ca e di Asia. Elementi caratterizzan-
ti sono l’attenzione alle indicazioni
in ambito catechistico della Chiesa,
con cui strettamente collaboriamo, la
prospettiva educativa in un rinnova-
to dialogo teologico-antropologico,
la considerazione dei diversi contesti
culturali degli allievi, il che ha por-
tato in primo piano l’attenzione al
rapporto catechesi e comunicazione
con dei nuovi curricoli, la cura della
catechesi nella pratica (tirocinio), con
particolare riferimento alla catechesi
con persone disabili, visita di centri
catechistici italiani ed esteri, master
di perfezionamento. Un’annuale visi-
ta-studio in Terra Santa porta la cate-
chesi alle sorgenti della Parola di Dio.
Ovviamente numerosi sono i servizi
dei docenti in ogni parte, collabora-
zioni con riviste, pubblicazioni edite
per tanta parte dalla Elledici. Ricor-
diamo in particolare la stampa di un
apprezzato Dizionario di catechetica,
l’edizione che si va facendo di una
Storia della catechesi in cinque volumi.
Esiste una rivista propria (on-line),
Catechetica ed Educazione.
Il variare dei tempi porta a persona-
le docente sempre rinnovato. Vorrei
concludere con un riconoscimento di
miei colleghi, diversi già scomparsi,
che hanno dato prestigio alla cateche-
tica nell’Università Salesiana: Emilio
Alberich, Joseph Gevaert, Ubaldo
Gianetto, Roberto Giannatelli, Giu-
seppe Groppo, Franco Lever, Giu-
seppe Morante, Zelindo Trenti.
Un incontro di catechismo. È un momento vitale
per l’evangelizzazione e la crescita nella fede.
Nell’Università Salesiana
tu sei membro dell’Istituto
di Catechetica. Come
funziona?
Sta alla base la consapevolezza di
adempiere una volontà esplicita di don
Bosco: realizzare la vocazione cate-
chistica della Congregazione Salesia-
na, anche a livello alto di conoscenze
e di formazione. È un’eredità dunque
da mantenere e perfezionare median-
te un curricolo universitario che com-
prende con la catechesi anche l’inse-
Settembre 2019
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3.4 Page 24

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UNO SGUARDO SALESIANO SUL MONDO
CARMEN LAVAL
Sette cose
che tutti usiamo
e che probabilmente
provengono da lavoro minorile
Secondo l’Organizzazione In-
ternazionale del Lavoro, il la-
voro minorile coinvolge più di
250 milioni di minori, come
metà della popolazione della
. 85 milioni lo fanno nelle
forme peggiori: situazioni di schiavitù,
sfruttamento sessuale, reclutamento
per conflitti armati, traffico di bam-
bini e lavoro pericoloso. E 168 milioni
sono utilizzati in altre attività lavora-
tive che interferiscono con la scuola,
“con molte ore di lavoro, non retribui-
te o mal retribuite, separati dalle loro
famiglie e con episodi di violenza e
abusi”, secondo la stessa organizzazio-
ne. Tra i perché ci sono anche oggetti
quotidiani che crediamo innocenti. E
non lo sono.
1. Il cellulare
Tutti i giorni, alle sette del mattino
puntuale trilla la sveglia del tuo cel-
lulare. La batteria del tuo telefono
cellulare, tablet o laptop è fatta di co-
balto. La maggior parte del metallo di
questo minerale utilizzato nel mondo,
secondo Amnesty International, pro-
viene dalla Repubblica Democratica
del Congo. Per estrarlo lavorano più
di 40 000 bambini tra i 7 e i 15 anni.
Con turni di 24 ore.
2. Il caffè
Una buona tazzina di caffè “ti tira su”.
L’Organizzazione Internazionale del
Lavoro avverte che l’occupazione pre-
matura di bambini e adolescenti nelle
piantagioni di caffè influisce sulla loro
salute fisica e mentale, con conseguen-
ze come l’invecchiamento prematu-
ro, incidenti e malattie come l’ansia e
la depressione. Ad esempio, in Costa
Rica, secondo lo Studio sulle condizio-
ni e l’ambiente del lavoro minorile in
agricoltura, la partecipazione dei mi-
nori alla raccolta del caffè rappresenta
almeno il 50% della popolazione attiva.
3. O preferisci il tè?
Il tè è profumato e rilassante. Ma che
cosa c’è dietro quei minuti di relax?
Secondo l’Organizzazione Internazio-
nale del Lavoro, circa 40 000 bambini
Ci sono 264 milioni
di ragioni, tante quanti
sono i bambini che
dovrebbero giocare
e andare a scuola,
ma non lo possono fare,
per chiederci da dove
proviene quello che
usiamo quotidianamente.
lavorano in piantagioni di tè a Tooro,
in Uganda occidentale, fino a 50 mi-
lioni in tutta l’Africa. Nelle piantagio-
ni di tè del West Bengala oltre 2000
famiglie di tribali e fuori casta lavora-
no per poche rupie al giorno insieme ai
propri figli. Il lavoro minorile assume
spesso proporzioni importanti nell’a-
gricoltura commerciale legata ai mer-
cati mondiali (cacao, caffè, lattice, cot-
tone, sisal, tè e altri prodotti di base).
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Settembre 2019

3.5 Page 25

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QUANTO AUMENTEREBBE IL PREZZO
4. Scegli un vestito
alla moda
La prossima volta che fai la spesa,
potresti considerare più del colore
della camicia che stai per portare a
casa. Ricordate che Human Rights
Watch ha documentato casi di bam-
bini sotto i 15 anni che lavorano in
fabbriche tessili e che vengono na-
scosti quando arrivano i “visitatori”.
Lun Lea è uno di loro: “Mi hanno
detto di nascondermi sotto il tavolo
e ci hanno messo sopra un mucchio
di vestiti. Sono rimasto seduto lì per
molto tempo. Avevamo paura che
potessero licenziarci. Così abbiamo
cercato di stare molto fermi quando
sono arrivati i visitatori (gli ispetto-
ri). È un’agghiacciante testimonian-
za raccolta dall’ che ricerca e di-
fende i diritti umani.
5. Un po’ di trucco
davanti allo specchio
La lucentezza dei cosmetici, ombret-
to, fard o rossetto è dovuta alla mica,
un minerale che le conferisce questa
qualità. Il problema è che, secon-
do l’organizzazione Made in a Free
World, la maggior parte di questo mi-
nerale viene estratto da bambini in-
diani che scendono nelle miniere per
12 ore al giorno, per 4 dollari.
6. Un tocco d’oro
Anche se l’oro nei suoi gioielli brilla,
non riesce a nascondere la realtà de-
nunciata da Human Rights Watch, in
cui si nota come bambini di 8 anni
lavorino in piccole miniere d’oro in
Tanzania, mettendo a rischio la loro
salute e persino la loro vita.
DELLA NOSTRA TAVOLETTA DI CIOCCOLATO SENZA LAVORO MINORILE?
Quale prezzo dovrebbero pagare i consumatori per eliminare il lavoro minorile dalla catena di
produzione delle deliziose tavolette di cioccolato? Due economisti americani, Jeff Luckstead
e Lawton L. Nalley, hanno progettato un modello economico per calcolare l’impatto sul con-
to dell’acquisto di questo commercio più equo. Dovrebbe aumentare del 2,8% eliminando
le forme più “estreme” di lavoro minorile (quelle che includono compiti pericolosi o che
coinvolgono più di 42 ore settimanali); eliminando quelle “normali” (tra le 14 e le 42 ore
settimanali), salirebbe al 12%, mentre separando completamente i minori dalla produzione
di cacao aumenterebbe del 47% (lavorando meno di 14 ore settimanali).
I bambini “sono manodopera a buon mercato, obbediente e molto redditizia, per molte fa-
miglie, l’unica alternativa per sopravvivere”, dice David del Campo, direttore della Coope-
razione Internazionale Save the Children. Il 30% dei bambini ghanesi abbandona la scuola
elementare, il 15% non ha mai messo piede in una scuola, secondo l’UNESCO.
UNA SOLUZIONE?
«È estremamente difficile applicare la legge sul lavoro minorile senza spingere le famiglie
nella povertà. Ecco perché abbiamo creato questo modello, perché le famiglie del cacao
sarebbero più disposte a ridurre queste pratiche se non comportasse un onere finanziario
per loro. Inoltre, i consumatori vogliono prodotti ottenuti eticamente, compreso il cacao»,
spiega uno degli autori dello studio.
«Tradizionalmente, il sistema ha concentrato i suoi sforzi sulla risposta (cioè, l’allontana-
mento dei bambini dal lavoro minorile), ma l’evidenza dimostra che è essenziale un approc-
cio più olistico e preventivo che includa l’emancipazione economica e lo sviluppo, l’istru-
zione e la protezione dei diritti dei bambini». Il governo del Ghana ha lanciato un piano per
ridurre queste cifre: «È necessario affrontare le situazioni di povertà che portano le famiglie
a dipendere dal reddito che i bambini possono fornire, e cambiare le percezioni sociali che
valorizzano il lavoro minorile come normale, accettabile o addirittura necessario», sottolinea
Blanca Carazo, responsabile dei Programmi del Comitato Spagnolo dell’Unicef.
Ma i produttori di cioccolato vogliono la materia prima a prezzi sempre più bassi.
Uno studio sottolinea un fatto interessante:
«Se riesce a ridurre o eliminare le peggiori
pratiche di lavoro minorile, il Ghana Cocoa
Marketing Board potrebbe etichettare il suo
prodotto come “child labour free”, il che
differenzierebbe il suo cacao dagli altri paesi
e migliorerebbe la sua commercializzazione.
Se non per l’etica, almeno per gli affari».
7. Frutta e verdura
per pranzo
Ogni giorno, è bello trovare frutta e
verdura al mercato. Tuttavia, questa
è solo una parte di una realtà che si
completa con i dati forniti dall’Orga-
nizzazione internazionale del lavoro.
Secondo l’ , il 60 per cento di tutti
i bambini lavoratori, di età compresa
tra i 5 e i 17 anni, sono impiegati in
agricoltura. Questo significa più di
98 milioni di bambini nel mondo.
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LA NOSTRA FAMIGLIA
L. A.
Tra memoria e profezia
Venticinque anni di fedeltà...
Con Don Bosco
Sì, “Con Don Bosco”, utiliz-
zando proprio le parole di
Giovanni Cagliero quando
scelse di accogliere l’invito
di don Bosco a fondare una
Congregazione: “Frate o non
frate, io resto con Don Bosco”.
Ma come si è arrivati – ti chiederai
– a quel 12 settembre? Negli anni
precedenti, alcuni giovani avevano
manifestato il desiderio di consacrarsi
al Signore nella Famiglia Salesiana,
non, però, come sacerdoti o coadiu-
tori, ma mantenendo la propria con-
dizione laicale.
Dagli inizi degli anni ’90 il numero
dei giovani che esprimono tale desi-
derio non fa che aumentare. Il Rettor
Maggiore, don Viganò, chiede a don
Antonio Martinelli, Consigliere Ge-
nerale per la Famiglia Salesiana e la
Comunicazione Sociale, di coordinare
questa nuova esperienza.
Vengono, quindi, realizzati diversi
incontri che coinvolgono sia i giova-
ni interessati sia i loro “accompagna-
tori” (tre salesiani e una ). Nel
corso degli incontri – durante i quali
i giovani hanno anche la possibilità
di incontrare e di confrontarsi con il
Rettor Maggiore – viene elaborata
una prima bozza di Costituzioni in
cui vengono chiaramente delineati gli
elementi portanti della secolarità con-
sacrata salesiana.
Le tre parole
Da quel 12 settembre son passati ben
venticinque anni e il piccolo seme è
oggi diventato un arbusto.
Il 24 maggio 1998 – su richiesta del
Rettor Maggiore don Juan Edmun-
do Vecchi, l’arcivescovo di Caracas,
cardinale Ignacio Antonio Velasco
Garcìa, , emana il decreto con
il quale erige i “Volontari Con Don
Bosco” in “Associazione Pubblica di
Fedeli Laici” orientata a divenire Isti-
tuto Secolare Laicale. Con lo stesso
Vivono nel mondo,
per il mondo, ma non
appartengono al mondo.
Realizzano la propria
vocazione nel lavoro,
nella competenza
professionale e nelle
circostanze ordinarie
della vita, rimanendo in
famiglia o vivendo da soli.
Il 12 settembre 1994,
nascevano ufficialmente i
“Volontari Con Don Bosco”.
decreto monsignor Velasco approva le
Costituzioni, e in questa stessa fase
viene, inoltre, riconosciuta l’apparte-
nenza del Gruppo alla Famiglia Sa-
lesiana.
Dal 1998 a oggi i “Volontari Con
Don Bosco” ( ) hanno celebrato
sei Assemblee Generali, approfon-
dendo la loro missione, i contenuti e
le modalità della formazione, la vita
di comunione, determinando sempre
più la loro specifica identità che può
essere racchiusa in tre parole: secola-
rità, consacrazione e salesianità.
Secolarità: i vivono nel mondo,
per il mondo, ma non appartengono
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al mondo. Realizzano la propria vo-
cazione nel lavoro, nella competenza
professionale e nelle circostanze ordi-
narie della vita, rimanendo in fami-
glia o vivendo da soli. Vedono come
loro modello Gesù a Nazareth, con
la presenza silenziosa e discreta del-
la sua vita nascosta. Essi vivono “tra”
gli altri “come” gli altri. Per meglio
garantire l’efficacia della loro azione
apostolica nei luoghi di frontiera e
nell’ambito secolare, mantengono un
prudente e responsabile riserbo sulla
propria e altrui appartenenza all’I-
stituto: deve essere la vita a parlare, a
testimoniare, a porre interrogativi del
perché e, soprattutto, per Chi questi
uomini vivono e testimoniano.
Consacrazione: i
conducono
una vita secondo i consigli evangelici
di castità, povertà e obbedienza, attra-
verso i quali si impegnano a seguire
Cristo con radicalità, per testimonia-
re l’amore di un Dio che percorre le
strade degli uomini. Non hanno vita
di comunità, ma sono uniti da un forte
vincolo di comunione fraterna e si in-
contrano per momenti di formazione e
di confronto.
Salesianità: i fanno parte della
Famiglia Salesiana e scelgono di vi-
vere secondo lo spirito di don Bosco,
coltivano una profonda vita interiore,
guardano con attenzione alle urgenze
del mondo giovanile, testimoniano
con gioia e ottimismo l’amore di Dio
per il mondo.
Inseriti nella Famiglia Salesiana e in
comunione con gli altri Gruppi, of-
frono la specificità del loro contribu-
to. Riconoscono il Rettor Maggiore,
successore di don Bosco, quale centro
di unità e padre comune, responsabile
dell’unità nello spirito e della fedeltà
nella missione; alla Congregazione
Salesiana chiedono il servizio dell’as-
sistenza spirituale.
Presenza incarnata
nel mondo
Oggi i “Volontari Con Don Bosco”
( ) sono circa novanta, sparsi in
quattro Continenti e in venticinque
Paesi, impegnati in molteplici attivi-
tà professionali e in diverse forme di
apostolato: sono professionisti, medi-
ci, infermieri, insegnanti, assistenti
sociali, educatori, commercianti, ope-
rai, studenti universitari, impiegati,
coltivatori diretti... senza un distin-
tivo, senza un abito, ma sintonizzati
con il carisma del grande educatore
dei giovani e quindi con il mondo
giovanile e con quella parte della so-
cietà che richiede una presenza “qua-
lificata e qualificante”.
Sono uomini felici di essere amati in
modo speciale da Dio che li consacra
nella Chiesa per il mondo. Attenti ai
segni dei tempi, vogliono essere testi-
moni di un Dio che percorre le strade
degli uomini e per questo fanno pro-
pria la passione per il mondo, che è la
passione di Dio.
L’intera vita del Volontario è missio-
ne: ciascuno partecipa alla missione
della Chiesa, e si inserisce, con pro-
fessionalità e competenza, nel mondo
del lavoro e nei vari settori dell’attività
umana; proprio in essi fa esperienza
dell’incontro con Dio e con i fratelli,
rispondendo con gioia e creatività ai
bisogni e alle istanze della società che
lo circonda.
Per saperne di più
www.volontaricdb.org
info@volontaricdb.org
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3.8 Page 28

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I NOSTRI EROI
RINO GERMANI
Tra gli ignoti martiri
Il salesiano don Elia Comini
nel 75° del suo sacrificio
Il 16 marzo 1935 venne
ordinato sacerdote a
Brescia. Scrisse: “Ho
domandato a Gesù: la
morte, piuttosto che venir
meno alla mia vocazione
sacerdotale; e l’amore
eroico per le anime”.
Estate 1944. Quinto anno del-
la seconda guerra mondiale. I
nazisti ormai sconfitti sull’Ap-
pennino avrebbero potuto an-
darsene e “tornare dalle loro
famiglie da uomini e non da
assassini”. Non lo fecero. Il loro co-
mandante neanche riuscì a concepire
una simile opportunità. Walter Re-
der guidava, dalla sua villa alla fine
del viale dei cipressi a Borgheri, gli
spietati granatieri della 16ª divisione
corazzata Reichsführer-SS e decise di
lasciare, senza alcun motivo, una scia
di sangue e lacrime, con operazioni
feroci, disumane, con crudeltà quasi
incredibile.
I ricordi della maestra
Dina Rosetti Pescio, ad anni di di-
stanza, ricorda così quell’estate: «Ero
l’insegnante della scuola elementare
di Salvaro di Grizzana. Terrorizzata
dai bombardamenti su Bologna dove
risiedevo, avevo trovato calda ospita-
lità nella sede parrocchiale, presso il
parroco monsignor Mellini. M’illu-
devo che la guerra terminasse da un
giorno all’altro e che i tedeschi in riti-
rata fuggissero frettolosamente lungo
la strada provinciale Porrettana. Con
la stessa pia illusione, quasi tutti gli
abitanti rimasti a Pioppe (una frazio-
ne di Salvaro) erano corsi a rifugiarsi
verso le colline e i monti limitrofi; un
gruppo numeroso aveva trovato, come
me, rifugio in parrocchia.
Un brutto mattino però ci accorgem-
mo che parte della colonna tedesca
s’era fermata proprio sotto di noi e
che stava installando mitragliatrici,
mentre grossi cannocchiali scrutava-
no verso il Monte Salvaro. Passaro-
no poche ore e un gruppo di radio-
telegrafisti arrivò da noi e s’installò
nelle stanze dell’ufficio parrocchiale.
Vollero sapere il numero dei presenti.
Nessuno poteva allontanarsi. Intanto
le notizie delle stragi aumentavano. I
partigiani, numerosi tra i boschi della
Creda, erano ricercati senza sosta. I
civili delle case coloniche sparse lassù
scesero e fu dato asilo anche a loro.
C’era una cantina (già occupata da
alcuni giovani) alla quale si accedeva
da una botola che avevamo nascosto
con del grano, che ogni tanto sposta-
vamo per dar loro un po’ d’aria. La
riempimmo al massimo, ma tutto di-
ventava sempre più difficile: bastava
il minimo errore per essere scoperti.
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3.9 Page 29

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«Arrivò zoppicando
don Elia Comini»
La bontà divina venne in nostro soc-
corso: al tramonto di uno di quei
giorni, mentre sul piazzale vigilavo
per avvertire qualche improvviso pe-
ricolo, vidi arrivare un giovane sacer-
dote zoppicante, che si sosteneva a
un improvvisato bastone. Seppi che
era don Elia Comini che, come ogni
estate, veniva a passare le vacanze a
Salvaro, dove viveva la sua vecchia
madre. Era arrivato da Treviglio,
dove insegnava nel collegio salesiano.
Lungo il viaggio, per aiutare una per-
sona, si era rovinato seriamente una
gamba (una corriera l’aveva investito).
A lui, come di solito, il parroco aveva
riservato una piccola stanza. Gli altri
ospiti, che lo conoscevano dall’infan-
zia, diedero proprio in urla di gioia,
ed io ne fui contagiata. Realmente il
suo arrivo ci tolse dall’angosciosa vita
di quegli ultimi giorni.
Il suo viso sereno, la sua calma, le sue
buone parole ci ridettero la speranza
nella sopravvivenza. Incurante della
ferita, che doveva fargli tanto male e
che avevamo disinfettato alla meno
peggio, era sempre presente ai nostri
richiami: era il consolatore, l’organiz-
zatore e il moderatore.
Dopo di lui arrivò un altro sacerdote,
padre Martino Capelli, missionario
del Sacro Cuore. Era un tipo molto
riservato e silenzioso: passava le sue
giornate in montagna, dove esplicava
la sua missione fra le persone che vi-
vevano lassù...».
Monumento a ricordo delle vittime dell’eccidio
della botte di Pioppe di Salvaro. I primi nomi sono
quelli dei sacerdoti martiri.
Tra il fruscio dei pioppi
e il gorgogliare del Reno
Il luogo esatto dov’era nato don Elia
Comini è la casa attigua al vetusto
tempietto della Madonna del Bosco,
a poco più di un chilometro dalla
chiesa parrocchiale di Calvenzano,
sulla riva del fiume Reno – racconta
Angelo Carboni –. Di qui la famiglia
Comini si trasferì ben presto sull’op-
posta riva del Reno, e sebbene a po-
chi passi di distanza dalla casa natale,
tuttavia in un’altra parrocchia, quella
di Salvaro, nel comune di Grizzana.
Elia nacque il 7 maggio 1910. Poche
notizie sulla sua prima infanzia, che si
svolse serena nella quiete domestica,
in compagnia del fratello Amieto. Il
babbo morì che lui era ancora piccolo,
ma il lavoro sacrificato e sereno della
mamma e gli aiuti del bravissimo par-
roco non gli fecero pesare la situazio-
ne di orfano.
Il primo incontro con i figli di don
Bosco avvenne a Finale Emilia, dove
iniziava un aspirantato salesiano. Elia
aveva 14 anni. I suoi modi erano im-
pacciati, ma in classe si rivelò molto
intelligente e si classificò tra i primi.
Nel 1925 entrò nel noviziato di Castel
de’ Britti, e a 16 anni era Salesiano.
Studiò filosofia a Torino Valsalice,
lavorò come chierico tra i giovani, e il
16 marzo 1935, a Chiari, fu ordinato
Sacerdote.
La prima Messa al suo paese andò a
dirla con solennità il 28 luglio, festa
della Madonna di Salvaro. Nel-
la processione accompagnò la sta-
tua della Vergine tra il fruscio dei
pioppi e il «giulivo gorgogliare del
Reno», come ricorda il numero uni-
co stampato per l’occasione. Poi tornò
a Chiari, a insegnare e a studiare, e il
17 novembre 1939 si laureò in lettere
classiche all’Università di Milano con
110 e lode. L’aria non era ormai più
festosa, perché dal 1° settembre, con
l’aggressione di Hitler alla Polonia, era
iniziata la seconda guerra mondiale.
Nel 1942 don Elia Comini è chiamato
dall’ubbidienza a Treviglio, incaricato
di gestire la vita di studio nella grande
scuola salesiana. «Era da ammirare la
sua continua calma – ricorda il suo
Superiore salesiano –: ricordo di non
averlo mai visto perdere la pazienza
nel trattare coi giovani, ottenendo
con facilità una buona e ragionevole
disciplina... Non ha mai amato la po-
polarità: fu sempre modesto e umile».
L’amore tenerissimo a sua madre fu
un segno costante della sua vita: «Ti
penso sola nella nostra piccola casa a
pensare ai tuoi figli lontani e a pre-
gare per loro – le scriveva nel Nata-
le 1940 –. Ti sia di consolazione e di
conforto il nostro affetto che cresce
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3.10 Page 30

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II NNOOSTSRTI RERI OEIROI
con gli anni, comprendendo tutto il
bene che ci hai fatto...».
29 settembre:
inizia la passione
Alla parrocchia di Salvaro, stipata
di clandestini nascosti alla meglio e
di tedeschi armati, le cose precipita-
rono nel mattino del 29 settembre.
La maestra Dina Rosetti ricorda:
«Era la festa di San Michele, patro-
no della parrocchia. Mentre don Elia
stava celebrando la santa Messa ed il
rumore di tanti scoppi fuorviava la
nostra attenzione, irruppe in chiesa
un gruppo di parrocchiani atterriti
a chiedere aiuto. Lassù, alla cascina
Creda, c’era stato uno scontro tra
partigiani ed SS. Un capo delle SS era
stato colpito, e la feroce rappresaglia
era stata immediata. Vecchi, donne,
bambini (uno nato da pochi giorni
della famiglia Macchelli) erano stati
catturati, ammucchiati come bestie,
depredati di ogni avere, mitraglia-
ti, dati alle fiamme (le SS di Reder
usarono i lanciafiamme). Sapemmo
che tra i morti c’erano dei moribondi,
e don Elia e don Martino ebbero un
solo impulso: portare il Viatico e sal-
vare qualche vita.
Io avrei dovuto seguirli dopo colazio-
ne e dopo aver trovato qualche medi-
cinale.
Purtroppo il loro viaggio di consola-
zione fu breve: catturati quasi subito
come spie, furono costretti come be-
stie da soma a portare munizioni dal-
la pianura al monte. La sera furono
accomunati con altri ostaggi alla scu-
deria della Canapiera. Fu detto loro
che li avrebbero consegnati a Bologna
all’Arcivescovado, mentre gli uomini
validi sarebbero stati avviati ai campi
di lavoro in Germania».
30 settembre:
il processo e la condanna
Nella scuderia si imbastisce una far-
sa di processo. Un giovane diciasset-
Monumento a don
Comini e a padre
Cappelli.
tenne, mezzo impaurito e mezzo vi-
gliacco, dice di aver visto i due preti
coi partigiani di Caprara. Essi erano
veramente andati a Caprara, ma per
predicare e confessare in preparazione
alla Madonna del Rosario. Ma come
spiegarsi con gente che invece della
legge agita il mitra? Essere stati a Ca-
prara, in quel momento, è una colpa
che merita la condanna a morte.
Nel pomeriggio due suore coraggiose
portano cibo e vestiti ai prigionieri.
Fra urla e spintoni riescono solo ad
arrivare sotto le finestre della scude-
ria, e a scambiare poche parole con
don Elia: «Come mai si trova lì?». «A
far la carità si paga», riesce a dire il
prete. Alza il dito verso il cielo e ag-
giunge: «II premio è vicino. Portateci
un breviario». Un tedesco infuriato
punta il fucile sulle suore e le costrin-
ge ad allontanarsi.
1° ottobre:
i tentativi e l’esecuzione
Nella mattinata del 1° ottobre
giungono alla scuderia Emilio Veg-
getti, persona autorevole di Vergato,
e Luisa Bettini. Tra i prigionieri c’è
un loro nipote. Sono decisi a salvare
almeno qualcuno. Emilio Veggetti
affronta coraggiosamente il coman-
dante delle SS. «Sono il Sindaco di
questo paese», dice mentendo. «Tra
i vostri prigionieri ci sono due pre-
ti. Dovete liberarli». Il comandante
tedesco si mostra esitante. Don Elia
si affaccia alla finestra: «No, signor
Veggetti. O ci libera tutti o nessu-
no». Altri volti vengono alle finestre:
«Don Elia è il nostro unico conforto.
Rimane con noi».
30
Settembre 2019

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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L’ECCIDIO DI MARZABOTTO
Poche ore dopo, coraggiosamente,
si presentò la maestra Dina Rosetti.
Racconta: «Al milite di guardia mi
presentai come sorella di uno di loro
e mi permise di salutarlo per pochi
minuti. Entrai: dal folto gruppo (una
cinquantina di uomini) sdraiato nella
paglia si alzò don Elia. Col solito senso
del decoro, si rassettò la veste, col solito
sorriso sereno cercò di confortare me,
pregandomi di rassicurare sua madre,
poi mi benedisse. Padre Martino, che
si era anche lui avvicinato, non aprì
bocca e seguitò a pregare, mentre gli
altri uomini imploravano i sacerdoti
di non lasciarli e pregavano me di far
qualcosa per tutti. Il tempo che tra-
scorsi con loro fu più breve di quello
che mi serve ora a descriverlo. La guar-
dia mi tirò fuori in malo modo».
Ciò che avvenne nella sera di quel 1°
ottobre fu raccontato da Aldo Ansa-
loni e Pio Borgia, scampati miracolo-
samente dal «mucchio» dei giustiziati.
Nell’incerta luce del crepuscolo le SS
fanno alzare dalla paglia della scude-
ria i 52 prigionieri e li scortano alla
«botte»: la vasta cisterna rifornita dal
canale che passando porta acqua dal
fiume Reno alla Canapiera. Non c’è
acqua nella cisterna, ma solo un pro-
fondo strato di melma. I prigionieri
devono schierarsi ai bordi della «bot-
te», e davanti a loro vengono piazzate
alcune mitragliatrici. Le povere vit-
time urlano come impazzite, e don
Elia intona le litanie della Madonna:
«Santa Maria, prega per noi; Santa
Madre di Dio, prega per noi...».
Quando i soldati si curvano sul-
le mitragliatrici grida: «Pietà! Pietà
Signore!...». Le mitragliatrici sparano
Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 i caduti furono 770, ma nel complesso le vittime di
tedeschi e fascisti, dalla primavera del 1944 alla liberazione, furono 955, distribuite in 115
diverse località all’interno di un vasto territorio che comprende i comuni di Marzabotto,
Grizzana e Monzuno (e alcune porzioni dei territori limitrofi). Di questi, 216 furono i bambini,
316 le donne, 142 gli anziani, 138 le vittime riconosciute partigiani, 5 i sacerdoti, la cui colpa
agli occhi dei tedeschi consisteva nell’essere stati vicini, con la preghiera e l’aiuto materia-
le, a tutta la popolazione di Monte Sole nei tragici mesi di guerra e occupazione militare.
Insieme a don Elia Comini, Salesiano, e a padre Martino Capelli, Dehoniano, in quei tragici
giorni furono uccisi anche tre sacerdoti dell’Arcidiocesi di Bologna: don Ubaldo Marchioni,
don Ferdinando Casagrande, don Giovanni Fornasini. Di tutti e cinque è in corso la Causa di
Beatificazione e Canonizzazione. Don Giovanni, l’“Angelo di Marzabotto”, cadde il 13 ottobre
1944. Aveva ventinove anni e il suo corpo rimase insepolto fino al 1945, quando venne
ritrovato pesantemente martoriato. Don Ubaldo morì il 29 settembre, ucciso dal mitra sulla
predella dell’altare della sua chiesa di Casaglia; aveva 26 anni, era stato ordinato prete due
anni prima. I soldati tedeschi trovarono lui e la comunità intenti nella preghiera del rosario.
Lui fu ucciso lì, ai piedi dell’altare. Gli altri – più di 70 – nel cimitero vicino. Don Ferdinando
fu ucciso, il 9 ottobre, da un colpo di pistola alla nuca, con la sorella Giulia; aveva 26 anni.
nel mucchio, e i 52 cadono nella ci-
sterna.
Ignoti martiri
La maestra Dina Rosetti finisce
così la sua testimonianza: «La sera
del 1° ottobre, mentre pregavamo,
giunse fino a noi l’eco del crepitio di
tanti colpi, ai quali seguì un silenzio
agghiacciante. Il mattino seguente,
insieme ad un’altra donna, scesi ver-
so la Canapiera. Nella “botte”, fra la
melma e l’acqua arrossata dal sangue
innocente, vedemmo galleggiare la
salma di padre Martino... Il corpo di
don Elia doveva essere stato coperto
dai cadaveri degli altri innocenti, per-
ché non lo vidi, il lutto era stato con-
sumato. Dopo qualche giorno, per le
piogge torrenziali, fu dato (non so da
chi) l’ordine di alzare le griglie, così
quelle salme martoriate anche dall’in-
clemenza del tempo, saranno andate
forse verso il mare, ignoti martiri».
Nell’aria di allora e di sempre è rimasto
solo quel grido, contro la cattiveria e la
crudeltà ripetuta di tempo in tempo:
«Pietà! Pietà Signore!».
Settembre 2019
31

4.2 Page 32

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TEMPO DELLO SPIRITO
B.F.
Sei consigli per
l’ascolto attivo
Spesso sentiamo dire che la chiave di una buona relazione
è la comunicazione, ma non dimentichiamo che il segreto
della comunicazione è l’ascolto.
Ecco 6 consigli per praticarlo e quindi capire meglio gli altri.
1. CREA IL CLIMA ADATTO
Le parole non sono l’unico elemento. Spesso non
sono neanche il più importante. L’atmosfera,
l’ambiente, i gesti, l’affettuosità, il silenzio, gli oc-
chi, il viso non sono una semplice cornice. In un
colloquio di lavoro, per esempio, l’aspetto ester-
no del candidato decide quasi sempre il risultato
dell’incontro.
«Si dia agio agli allievi di esprimere libera-
mente i loro pensieri» diceva don Bosco ai suoi
collaboratori. Insisteva: «Li ascoltino, li lascino
parlare molto». Don Bosco, per primo, fu un
esempio di «ascolto». Una celebre fotografia lo
ritrae durante le confessioni dei ragazzi: tutta la
sua persona è in ascolto, assorbita nell’attenzione.
Le Memorie Biografiche ricordano: «Nonostante le
sue molte e gravi occupazioni, era sempre pron-
to ad accogliere in sua camera, con un cuore di
padre, quei giovani che gli chiedevano un’udien-
za particolare. Anzi voleva che lo trattassero con
grande famigliarità e non si lagnava mai dell’in-
discrezione colla quale era da essi talora impor-
tunato. Lasciava a ciascuno piena libertà di far
domande, esporre gravami, difese, scuse...
Li riceveva con lo stesso rispetto col quale trat-
tava i grandi signori. Li invitava a sedere sul
sofà, stando egli seduto al tavolino, e li ascoltava
colla maggior attenzione come se le cose da loro
esposte fossero tutte molto importanti...»
La maggior parte dei genitori crede di ascoltare i
propri figli. Sembra un’attività semplice e sconta-
ta. Eppure quante volte mamma e papà ascoltano
veramente e sinceramente, con piena attenzione
ciò che i figli dicono o cercano di dire?
2. CONCENTRATI SULLE PAROLE
DELL’ALTRO
Essere concentrati sulle parole dell’altro sen-
za fare altro o pensare a un altro argomento è il
modo migliore per ascoltare.
Uno dei segni della fretta che condiziona le per-
sone del nostro tempo è l’incapacità crescente di
comunicare con gli occhi. I contatti tra le persone
si sono moltiplicati: internet, e-mail, telefonino…
E ci stiamo dimenticando del contatto più sem-
plice: il contatto visivo.
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Settembre 2019

4.3 Page 33

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«Papà, ti rendi conto che in vent’anni è la prima
volta che mi stai ad ascoltare?».
4. ELIMINA I FILTRI PERCETTIVI
Significa mettere da parte emozioni e deside-
ri personali. Il pericolo più grande è pensare di
sapere già tutto. Per esempio: «È solo pigrizia…
Ecco, sta mentendo… È pauroso…» Se siete ar-
rabbiati, calmatevi. Se non vi stringe il cuore ciò
che ascoltate, rimanete lucidi e mettete da parte
delusione o preoccupazione.
Foto Shutterstock.com
Don Bosco ha sintetizzato uno dei cardini del suo
sistema educativo con le parole «Sentano sempre
su sé lo sguardo dei superiori». Non intende certo
una sorveglianza di tipo poliziesco, ma il modo di
guardare che comunica: «Tu mi interessi davvero.
Meriti tutta la mia attenzione».
3. SEI LÌ PER ASCOLTARE
E NON PER RISPONDERE
Ascoltare attivamente significa anche imparare a
tacere sul proprio discorso e concentrarsi sull’atten-
zione dell’altra persona e fare attenzione a non dare
consigli o soluzioni quando lui o lei ha la parola.
Immagina un insegnante che deve rimotivare uno
studente che ha abbandonato la lezione. Il consi-
glio di classe arriva e l’allievo in questione tenta
di spiegare (con difficoltà) che cosa sta succeden-
do in lui. Ma gli insegnanti lo interrompono dan-
dogli consigli a turno su che cosa avrebbe dovuto
fare. In realtà lo studente vorrebbe semplicemente
essere compreso in ciò che sta cercando di dire.
«Io parlo, parlo, ma nessuno mi ascolta» brontola
Corinna (8 anni). E Giuditta (7 anni): «Allora, la
sera, a letto, giro le spalle a tutti quanti, mi metto
contro il muro e mi parlo, perché almeno io mi
ascolto». Nella sala-colloqui di un istituto corre-
zionale, un giovane disse amaramente al padre:
5. RIFORMULA LE FRASI PIÙ IMPORTANTI
DEL TUO INTERLOCUTORE
Resistete alla tentazione di essere rassicuranti, di
ragionare, giustificare o fare prediche. Provate,
invece, a immaginare le emozioni che il bambino
sente in quel momento.
Non ripetete alla lettera le sue parole. Per esem-
pio, se vostra figlia vi grida che siete la mamma
più cattiva del mondo, non servirà a niente con-
statare: «Pensi che io sia la mamma più cattiva
del mondo». Non lo crede veramente, lo dice per
scatenare una reazione. Una risposta adatta po-
trebbe essere: «Forse ti sei arrabbiata perché non
voglio farti mettere il vestito nuovo per andare a
scuola». Non minimizzate. Non insistete. A vol-
te, nonostante abbiate colto nel segno, il bambino
non vuole ammettere una particolare emozione.
Non vi intestardite. Non fa niente se è d’accordo
con voi o no. Lo scopo dell’ascolto riflessivo non
è strappare una confessione, ma aiutare l’altro a
sentirsi ascoltato, compreso e accettato, a convi-
vere con le emozioni e a esprimerle verbalmente,
anziché con le azioni.
6. METTITI DALLA SUA PARTE E SE C’È
UN PROBLEMA AFFRONTATELO INSIEME
È un passo prezioso. L’ascolto attivo consente di
chiarire la situazione. L’interlocutore si sente ca-
pito e rassicurato. Di solito risponde positivamen-
te alla domanda: «Che cosa pensi di fare?»
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
RAGIONIAMO
Il picchio deve la sua salvezza al fatto di usare la testa. Vale anche per l’uomo. I goal
della vita si fanno, utilizzando il cervello. Ragioniamo! È pericoloso lasciar vincere i folli!
8
Meglio i nostri piccoli GianBurrasca
dei compostissimi bambini svedesi?
I bambini italiani sono i più indisciplinati tra tutti i bambini europei,
se non del mondo intero. Lo dicono varie indagini.
Una è, ad esempio, quella con-
dotta da Massimo Cicogna,
psicologo ed antropologo,
il quale si è servito di 2500
operatori turistici e di vil-
leggianti per far la fotografia
dei nostri bambini al mare, ai monti,
negli alberghi e nei camping. Il 90%
degli intervistati ha identificato nei
piccoli italiani i disturbatori per ec-
cellenza.
Sulla sponda opposta stanno i bam-
bini tedeschi che sembrano vi-
vacchiare ed i bambini svedesi e
norvegesi che sembrano
imbalsamati.
I nostri sono così vivaci
da far rumore con tut-
to, con le posate al ri-
storante, con i secchielli
e le palette al mare; sono
così curiosi da smontare
i condizionatori d’aria nel-
le camere degli alberghi;
sono così intraprendenti
che si organizzano in bande: prepa-
rano per le strade bancarelle di gio-
cattoli, conchiglie e cianfrusaglie per
vendere il tutto ai passanti con ogni
argomentazione possibile.
Dobbiamo ammetterlo: talora posso-
no dare fastidio, per questo quando
oltrepassano una certa soglia, dobbia-
mo intervenire e non cedere per nes-
suna ragione.
Messi a confronto con gli altri
bambini europei che
non tirano sabbia
in spiaggia, non
calpestano l’asciuga-
mano del vicino, non
schizzano acqua, non gio-
cano con i tasti degli ascen-
sori…
Però chi vorrebbe cambiarli
con tutti gli altri, piccoli eu-
ropei, chi vorrebbe perdere
i loro sorrisi contagiosi che
non hanno confronti con i
bambini del mondo intero?
È vero che i nostri piccoli GianBur-
rasca, possono dare fastidio, ma non
sono sempre preferibili ai soprammo-
bili!
Non sono da godere i nostri mera-
vigliosi bambini con il loro cervello
frizzante, con la loro fantasia spu-
meggiante, con la loro vivacità di-
rompente? Non sono il prodotto più
prezioso d’Italia, il nostro patrimonio
dell’umanità?
Senza i bambini italiani, la terra sa-
rebbe, più quieta, ma sicuramente più
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Settembre 2019

4.5 Page 35

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fredda. Sono i nostri piccoli Gian-
Burrasca a mantenere la giusta tem-
peratura.
Questa la nostra opinione, che, come
sempre, mettiamo in discussione, per
restare fedeli al verbo «ragioniamo»
che quest’anno fa da filo conduttore
ai nostri incontri mensili.
MAI CHIEDERE DUE VOLTE
Il difficile equilibrio per una
buona educazione in sei passi.
Con il suo istinto di grande educatore
“pratico” don Bosco diceva «correte,
giocate, saltate purché non facciate
del male… Vogliamo che i ragazzi ab-
biano sempre la libertà di saltare, corre-
re, schiamazzare a piacimento».
I bambini sono come i passeri. In gabbia
muoiono, dice un noto proverbio. E
don Bosco: «Meglio un po’ di rumore
che un silenzio rabbioso o sospetto».
È frequente vedere bambini scatena-
ti e genitori preoccupati, che si sono
arresi. Don Bosco affermava: “per
educare ci vuole molta pazienza e
tanto affetto”. E soprattutto trovare
il giusto equilibrio tra il bisogno dei
ragazzi di “mettersi alla prova”, sco-
prire le proprie doti e “farsi vedere” e
comportamenti civili e responsabili.
Educare non significa certo riscopri-
re la solita panoplia di urla, castighi,
ricatti. Seguendo l’esempio di don
Bosco, genitori ed educatori possono
provare un semplice metodo fatto di
sei passi.
Sospendete ogni altra occupazione,
avvicinatevi a vostro figlio, mettetevi
di fronte a lui e guardatelo. È troppo
facile per lui ignorarvi quando non
lo guardate negli
occhi. Questo pri-
mo passo è come
dirgli: «Tu sei im-
portante per me e
ti dedico tutta la
mia attenzione».
Aspettate che si
fermi e vi guardi
a sua volta. Serve a focalizzare
la sua attenzione su di voi. «Io ci sono
e sono qui per te!».
Impartite l’istruzione, semplice, chia-
ra, e una sola volta. Con rispetto e cal-
ma.
Chiedetegli di ripeterla con parole
sue, in modo dettagliato e circostan-
ziato. Assicuratevi che abbia capito
che cosa volete da lui. Elogiate ogni
risposta buona che vi dà.
Restate dove siete e aspettate. È un
segnale forte. Dimostra la vostra de-
terminazione e l’intenzione di farvi
ascoltare. Considerate questa attesa
non come un perditempo, ma come
Immagini Shutterstock.com
un investimento che presto darà i suoi
frutti.
Nell’attesa che obbedisca, usate le
lodi motivate per ogni piccolo pro-
gresso e l’ascolto riflessivo per capi-
re il suo stato d’animo del momento.
Don Bosco molto spesso diceva ad
ogni ragazzo che aveva fatto qualche
progresso: «Sono contento di te. Lo
scriverò ai tuoi genitori».
Diceva ancora don Bosco: «L’esse-
re buoni non consiste nel non com-
mettere mancanza alcuna: oh no!
L’essere buoni consiste in ciò:
nell’avere volontà di correg-
gersi».
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
La terra sotto
i piedi Mi manca la terra sotto i piedi, / un solido
riferimento in basso da cui attingere
conforto, / anche quando non lo vedi,
/ la base da cui puoi spiccare un salto,
/ sapendo che al ritorno la ritrovi...
La civiltà dei punti fermi e delle certezze
incrollabili sembra ormai definitivamente
tramontata. Lo dicono i sociologi, che non
possono fare a meno di notare lo sfalda-
mento e la liquefazione di ogni modello
consolidato di interpretazione della realtà
e degli stessi rapporti sociali. Lo gridano a gran
voce gli artisti, che da tempo ormai hanno ab-
battuto tutti i vincoli e le limitazioni che lo spa-
Passavano macchine a pieno regime,
spargendo sementi, speranze e concime.
Era dura la terra e assordante il rumore,
ti restava addosso ben più dell‘odore.
Eppure il ricordo è così silenzioso
e, a distanza di anni, quel poco riposo
mi sembra più dolce, più giusto e più sano...
E adesso che il tempo mi sfugge di mano,
lo so che è difficile da immaginare,
ma c‘è stato un tempo in cui comunicare
era molto più scomodo e meno immediato,
per questo un discorso era più ragionato.
Se avere risposte richiede dei mesi,
diventa importante non esser fraintesi,
e le dichiarazioni di guerra o d‘amore
non ammettevano errore...
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Foto Shutterstock.com

4.7 Page 37

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zio e la materia impongono all’immaginazione.
Lo rivendicano, non senza una certa ambiguità,
i giovani adulti, sempre più convinti non solo
che non sia più possibile affrontare ogni situa-
zione partendo da verità oggettive e universali,
ma che, in fondo, questa inedita fluidità di modi
di vivere e posizioni non vada considerata come
un’emergenza – come comunemente si pensa –,
bensì come una risorsa in termini di libertà e
opportunità.
Di fronte allo sgretolarsi di ogni solida
certezza, essi si sentono, infatti, liberi
di ricercare soluzioni nuove e mai pri-
ma sperimentate, di lanciarsi alla scoperta
di territori inesplorati, di fare di un perenne
funambolismo la loro regola di vita, senza doversi
misurare con valori o criteri di giudizio troppo
rigidi ed esigenti che rischiano di intrappolare la
soggettività entro schemi precostituiti.
Mentre affermano con decisione la necessità di
liberarsi da ogni obbligo residuo nei confronti di
un passato troppo asfittico e limitato, gli si legge
però negli occhi la silenziosa
nostalgia di un mondo do-
tato di punti di riferimen-
to stabili, costruito su
valori semplici e genuini
capaci di resistere all’u-
sura del tempo, radicato
in un orizzonte di senso condiviso in
cui trovare le risposte fondamentali ai propri in-
terrogativi esistenziali. Anche se il più delle volte
faticano ad ammetterlo, hanno ancora bisogno di
radici cui ancorarsi saldamente per non smarrire
le proprie origini e il senso del cammino, neces-
sitano di un baricentro intorno a cui gravitare per
non rischiare di perdere la rotta, scoprono dolo-
rosamente che gli manca la terra sotto i piedi.
E questa scoperta non di rado si traduce, talvol-
ta in modo contraddittorio, nel rimpianto per un
tempo ormai perduto, in cui tutto era più lento e
faticoso, ma forse più facile e in cui, a dispetto di
Mi manca la terra sotto i piedi,
un solido riferimento in basso da cui attingere conforto,
anche quando non lo vedi,
la base da cui puoi spiccare un salto,
sapendo che al ritorno la ritrovi...
Mi manca molto più del desiderio di scoprire mondi nuovi,
la terra sotto i piedi...
Tu ancora non ci credi, ma servono radici,
mi serve gravità, la stessa che negavo fino a ieri,
quando predicavo di essere funamboli sospesi
per sentirsi liberi e leggeri, volare tra milioni di promesse,
avere sempre tutte quante le risposte,
qualsiasi cosa chiedi...
Ma, vedi, averle tutte è come averne nessuna,
e a me ne serve una, magari quella giusta,
con un poco di fortuna quell‘unica risposta
che qualcuno un giorno ha detto “ci sarà”.
Ma è nascosta nel vento,
e invece io sento che nel vento ci sto io,
e mi ci sono perso, in tutto questo spazio.
In questo momento,
quello che soffia il vento sono io...
La terra sotto i piedi,
mi manca la terra sotto i piedi...
(Daniele Silvestri, Concime, 2019)
una visione della vita più rigida e schematica, era
ancora possibile coltivare il sogno di un mondo
migliore e seminare a piene mani speranze per il
futuro.
Per esorcizzare il rischio di vivere ripiegati sul
passato ignorando la complessità del presente ed
evitare, nel contempo, di adattarsi a convivere con
l’incertezza e il disorientamento di cui è portatri-
ce la contemporaneità, diventa quindi necessario
per i giovani adulti del terzo millennio impegnar-
si nella paziente costruzione di nuovi valori e ri-
ferimenti che, pur senza negare il pluralismo e la
libertà tanto faticosamente conquistati, possano
rappresentare il punto di partenza per una ricerca
condivisa della verità e per ridare senso alla loro
esistenza.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Bosco sulle tracce Magellanovolevavedere
il mondo con lo sguardo
di Magellano diDio–ossiatuttointeroin
Una flotta di cinque navi al
comando di Ferdinando di
Magellano salpò il 20 set-
tembre 1519 da Sanlúcar de
Barrameda in Spagna, dopo
avere disceso il fiume Gua-
dalquivir da Siviglia da cui era partita
il 10 agosto, giorno di San Lorenzo.
L’obiettivo era di arrivare alle isole
delle Spezie (le Molucche) e togliere
il monopolio di questo commercio ai
Per raggiungere la meta doveva trova- una sola volta – don Bosco
re il passaggio che collegava il mar del “sognò” una realtà che non
nord con il mar del sud, ossia l’Atlantico
aveva mai conosciuto di con il Pacifico. Nessuno sapeva dove
persona. Magellano scelse fosse il passaggio, ma doveva essere più
a sud del Rio de la Plata dove era arri-
Pigafetta come suo scudiero, vato Solis nel 1513 ed era stato ucciso e
don Bosco scelse don mangiato dai cannibali. Come sappia-
mo, il viaggio si concluse il 6 settembre Fagnano come realizzatore
del 1522; delle 5 navi ne ritornò indie-
tro solo una; dei 237 uomini partiti
dei suoi progetti.
portoghesi.
ricalcarono la terra di Spagna solo 18.
Le celebrazioni
Stanno per iniziare le celebrazioni
del V anniversario del descubrimiento
del estrecho e del primo giro intorno al
mondo. Il Cile e l’Argentina, ma an-
che l’Uruguay, il Brasile, la Spagna,
il Portogallo e l’Italia ricorderanno il
celebre viaggio con il quale si chiu-
se davvero il medioevo e si aprì l’età
moderna. Verrà anche ricordato in
Oriente, nelle Filippine, nelle Mo-
lucche ed in tutti i paesi toccati dalla
prua delle navi di Magellano. Par-
ticolare enfasi verrà data a Mactan
dove l’esploratore fu ucciso il 26 aprile
1521. Un viaggio drammatico e stra-
ordinario quindi che, se a metà del
’500 fu salutato dallo storico di Car-
lo V López de Gomára come la cosa
più importante dopo la creazione del
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Settembre 2019

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IL PRIMO SALESIANO NELLA TERRA DEL FUOCO UN BEL VOLUME
Nel 1875 don Bosco lo inserì nel primo drappello di missionari inviati in Argentina, come
primo direttore di un collegio fuori Italia, S. Nicolás de los Arroyos e gli affidò nel 1880 la
gestione della parrocchia di Carmen de Patagones, prima casa salesiana in Patagonia e
ulteriore avamposto ideale verso gli Indios delle sconfinate pianure dove erano stati cacciati
dalla “conquista del desierto” del general Roca. A Patagones don Fagnano dispiegò
le sue doti di intraprendenza piemontese costruendo edifici di educazione e
di culto e organizzando l’eterogenea comunità di indi, di neri discenden-
ti da schiavi africani e d’immigrati europei per lo più anticlericali. Nel
dicembre 1883 la Santa Sede lo nominò Prefetto apostolico, il primo
della congregazione salesiana. Fu il primo salesiano ad attraversare
lo stretto di Magellano ed a mettere piede nella Terra del Fuoco. Il
lago scoperto nel 1892 (lungo 100 km) porta il suo nome, Fagna-
no, così come altri luoghi nelle isole e nella Patagonia australe. A
Punta Arenas, fondò collegi, luoghi di culto, scuole e oratori per
i giovani. Con l’aiuto dell’architetto salesiano don Bernabè, fu il
primo a produrre mattoni con impasto di materiali locali, inven-
zione che contribuì a cambiare rapidamente il volto della cittadina.
mondo e la nascita di Gesù, noi oggi
possiamo dire che con Magellano ini-
ziò davvero la globalizzazione, il pri-
mo germe del processo tumultuoso
che sta cambiando il nostro mondo.
Lo Stretto, quindi nacque alla storia
nel 1520, ma fu popolato nella secon-
da metà del secolo, dopo un oblio
di tre secoli dovuto al controllo che su
di esso fecero le navi spagnole.
E i salesiani?
Nell’opera di popolamento e civilizza-
zione dello Stretto, i Salesiani ebbero
un ruolo fondamentale dal luglio 1887:
vigilia della morte di don Bosco, che
nel 1875 li aveva mandati in Argen-
tina e nel 1880 in Patagonia. Laggiù,
dove li aveva visti più volte in sogno,
li mandò in effetti: sacerdoti, chierici,
coadiutori, Figlie di Maria Ausiliatri-
ce, alcune minorenni.
Le comunità salesiane attraverso gli
oratori, le scuole, i collegi formarono
la futura classe dirigente della regione
e promossero la nascita di una cultura
regionale che è divenuta fattore im-
portante dell’identità cilena ed argen-
tina. Nella Terra del Fuoco i salesiani
cominciarono a
fabbricare mat-
toni, a lavorare il
legno, a creare ban-
de musicali, a pubblica-
re dizionari delle lingue indigene, a
scrivere libri di storia, fare fotografie,
senza dimenticare la costruzione di
edifici religiosi e civili. Ma soprattut-
to aprirono una finestra sul mondo,
e mantennero questo contatto con
l’Europa, anche dopo che fu tagliato
lo stretto di Panama.
Due grandi visionari
Sia il viaggio reale di Magellano sia
quelli onirici di don Bosco, sono il
risultato di due grandi visionari: Ma-
gellano voleva vedere il mondo con lo
sguardo di Dio – ossia tutto intero in
una sola volta – don Bosco “sognò” una
realtà che non aveva mai conosciuto di
persona. Magellano scelse Pigafetta
come suo scudiero, don Bosco scelse
don Fagnano come realizzatore dei
suoi progetti, ambedue sia con l’azio-
ne sia con la penna fecero conoscere al
mondo i sogni dei loro capitani.
Sia il santo piemontese sia l’irsuto ma-
Non si poteva dunque dimenticare questa
circostanza ed ecco il bel volume presto
in stampa “Magellano e don Bosco intorno
al mondo” del prof. Nicola Bottiglieri. Un
libro di viaggio che si muove fra storia e
letteratura come forma di conoscenza
dei luoghi, delle persone e della
memoria che i luoghi stessi con-
servano, riportandola ai lettori
moderni. Come ad esempio
l’azione dei pionieri salesiani
di San Julian (dove Magel-
lano incontrò i Patagones),
di Rio Gallegos, Rio Gran-
de, Ushuaia, Punta Arenas,
Puerto Natales, il lago Fa-
gnano ed altre località dove
è tutt’oggi evidente l’im-
pronta lasciata da Darwin,
ma soprattutto dai salesiani di
don Bosco della prima ora.
rinaio lusitano condividevano la
volontà di civilizar, di cristianizar.
Ambedue avevano in comune il viag-
gio e la scrittura, il corpo pellegrino
e le parole che camminano; ambedue
avevano sognato i luoghi prima di
andarci. Anzi don Bosco lo aveva già
fatto una volta il giro del mondo attra-
verso i sogni del 1883 e del 1886. Nel
2009-2014 lo ripeté, con il suo corpo
morto nell’urna dorata, un modo que-
sto per incontrare quanti lo avevano
conosciuto solo da lontano.
Ma a differenza di Magellano (e di
Darwin) don Fagnano ed i Salesiani
non conobbero di sfuggita lo Stretto,
ma lo abitarono e lo trasformarono.
I nomi di don Fagnano, don Borga-
tello, don De Agostini (che fece co-
noscere la natura antartica in Italia),
don Bernabè che costruì 12 chiese e
definì lo skyline della Patagonia me-
ridionale, Torre, Salaberry, e di molti
altri ancora sono incisi a chiare lettere
nella memoria storica, oltre che nella
geografia del celebre Stretto.
Settembre 2019
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati,
venerabili e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
Ringraziano
Desidero ringraziare la Madonna
IL SANTO DEL MESE
e don Bosco per l’intervento alla
tiroide che ha subito mia sorella
alcuni mesi fa; nonostante alcune
In questo mese di settembre preghiamo per la Causa di Canonizzazione della Beata EDVIGE
CARBONI, salesiana cooperatrice, beatificata il 15 maggio 2019.
complicazioni non preventiva-
te, adesso sta meglio e i medici
hanno deciso di non intervenire
Nata a Pozzomaggiore il 3 maggio del 1880, Edvige
desiderava farsi religiosa, ma dovette restare ac-
canto alla madre, molto malata. Da allora trascorse
la sua vita domestica in maniera sobria e raccol-
ta, alternando le faccende di casa ai momenti di
Giovanni Bosco e san Domenico Savio. Nel suo
diario si segnalano ben 20 apparizioni di don
Bosco, spesso insieme a Maria Ausiliatrice o a
Domenico Savio. In tali apparizioni don Bosco le
dava suggerimenti intorno alle virtù, la invitava alle
con altre cure che sarebbero state
pesanti e invasive. Grazie ancora
a Maria e a don Bosco a cui ci af-
fidiamo da quando siamo piccole.
Valentina Grigolo - Torino
preghiera. Il 14 luglio 1911 le si manifestarono sul
corpo i segni della Passione di Gesù. Questo e altri
fenomeni mistici che le venivano attribuiti furono
indagati nel processo canonico del 1925, cui lei
si sottopose in completa obbedienza. Si trasferì
quindi a Roma con il resto della famiglia, proprio
negli anni in cui stava per esplodere la seconda
guerra mondiale.
Da quando prese domicilio a Roma, fino alla morte
(1938-1952), Edvige appartenne alla parrocchia dei
salesiani “Santa Maria Ausiliatrice” su via Tuscola-
na. Lì si recava quasi ogni mattina per la Messa e
Comunione; lì si raccoglieva in preghiera, solita-
mente nella cappella di sant’Anna; lì avvennero gran
parte delle estasi e fatti prodigiosi. Il 25 Settembre
1941, inoltre, divenne Salesiana Cooperatrice.
Devotissima della Madonna, che le apparve più
volte, ottenne da Lei numerose grazie. Tanti i Santi
di cui ebbe apparizioni, in modo particolare san
devozioni alla Madonna, la incoraggiava nelle dif-
ficoltà, le chiedeva preghiere e sacrifici per la pace
nel mondo, le mostrava il gran bene che facevano
i Salesiani, di molti dei quali elogiava la santità, e
la invitava a pregare e ad amare le suore salesiane.
“Umile e forte, generosa e paziente, laboriosa e fie-
ra, la Beata Edvige incarna le più belle virtù della
donna sarda dell’epoca. Eppure dal suo vissuto
umano e cristiano, emergono dati che rendono
più che mai attuale la sua testimonianza: Edvige è
un valido riferimento per le donne di oggi, di ogni
età e di ogni estrazione sociale. La sua semplice
e profonda esperienza spirituale, contrassegnata
da carità senza limiti, umiltà smisurata e preghiera
incessante, è un modello ancora attuale, perché di-
mostra che anche in una vita semplice e ordinaria è
possibile sperimentare una solida comunione con
Dio e un apostolato caratterizzato dalla passione per
l’umanità ferita e disagiata”.
Sposati da 13 anni, desideravamo
un bambino, ma purtroppo c’era
solo l’attesa. Una figlia di Maria
Ausiliatrice ci ha consigliato di
chiedere l’intercessione di Do-
menico Savio, il giovane Santo
Protettore delle nascite e ci ha pro-
curato l’abitino, segno e simbolo
della sua protezione. E il miracolo
è avvenuto dopo nove mesi di in-
tensa preghiera in cui tutta la fa-
miglia è stata coinvolta; sono nati
due bambini: Carlo Maria e Giulia
Rita. È indescrivibile raccontare la
gioia che si è diffusa tra di noi. I
bimbi stanno crescendo sani e
vispi e la felicità che c’è in tutti ci
sollecita a ringraziare il Signore
che ci ha regalato questo dono
Preghiera
Signore Gesù, tu ci inviti ogni giorno a seguirti portando la croce delle nostre sofferenze,
per completare con la nostra vita la tua Passione.
attraverso l’intercessione di Maria
Ausiliatrice e del giovane Santo.
Giovanna e Luca Cirillo
Ci doni, in ogni tempo, uomini e donne che nel silenzio delle loro giornate
vivono in unione con Te, consolando e servendo i più bisognosi.
Hai dato alla Chiesa la testimonianza della beata Edvige Carboni
che ha meritato la tua benevolenza, vivendo il suo Calvario nel servizio ai fratelli
e nella testimonianza fedele delle virtù evangeliche.
Concedi, o Padre, che sia glorificata nella tua Chiesa,
e sia per noi esempio e un sostegno che presenti a Te le nostre preghiere,
e ottenga le grazie per essere più uniti a Cristo, tuo Figlio, modello vero di ogni perfezione. Amen.
Nelle giornate faticose della mia
vita mi sono sempre affidata all’in-
tercessione di san Giovanni Bo-
sco ed al servo di Dio monsi-
gnor Oreste Marengo vescovo
missionario e non mi sono mai
sentita abbandonata. Ringrazio di
cuore per l’aiuto ricevuto e prego
loro di continuare a benedire tutta
Per la pubblicazione non CRONACA DELLA POSTULAZIONE
la mia famiglia.
Olga Maria Bussino - Torino
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
Il 12 giugno 2019, VII anniversario della nascita al cielo di don Silvio Galli (1927-2012), è stato
ufficialmente presentato al vescovo di Brescia, monsignor Pierantonio Tremolada, il Supplex libellus,
cioè l’istanza ufficiale con la quale la Congregazione Salesiana chiede l’apertura dell’Inchiesta diocesana
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
sulle virtù, la fama di santità e di segni di don Silvio Galli, Sacerdote Professo della Società di
san Francesco di Sales.
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Settembre 2019

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
FRANCESCO CEREDA
Don Luigi Bosoni
Morto a Roma il 23 giugno 2019, a 91 anni
Già consigliere generale per la Regione Italia,
Medio Oriente e Svizzera
Don Luigi nacque a Livraga in
provincia di Milano e ora di Lodi
il 13 marzo 1928 da una buona
famiglia, da cui riceve una solida
formazione umana e cristiana, in-
sieme ad altri sei fratelli.
La famiglia ha avuto una grande
importanza anche nella nascita
della vocazione salesiana. Don
Luigi ricordava: «Fin da ragazzo
sentivo parlare di don Bosco. E
poi quando si è trattato, dopo le
elementari, di continuare gli stu-
di fui iscritto alla scuola dei sa-
lesiani di Milano, senza sapere
che i salesiani erano di don Bo-
sco. Cioè mi son trovato come a
casa mia. E di lì è venuto il cam-
mino che io ho fatto. A Milano
ebbi occasione di seguire mon-
signor Olivares e don Cimatti,
salesiani oggi venerabili, e molti
missionari. Vescovo di Milano
era il cardinale Schuster, beato,
che amava don Bosco e invita-
va i salesiani a studiarlo. “Per
trovare un fondatore della sua
statura – egli diceva – bisogna
tornare a San Benedetto”. E poi
vicino alla scuola a Milano c’era
l’oratorio, con Attilio Giordani,
anch’egli oggi venerabile».
Dopo la scuola salesiana intra-
prende il noviziato a Montodine,
frequenta quindi la teologia a
Roma alla Pontificia Università
Gregoriana, dove ottiene la li-
cenza. Viene ordinato prete il 7
dicembre 1954.
Don Luigi ha vissuto l’obbedien-
za come un sentirsi guidato e ac-
compagnato. Così ancora egli ha
detto nella stessa omelia del no-
vantesimo compleanno: «Diven-
tato salesiano, ho vissuto questa
esperienza sempre sentendomi
come guidato e accompagna-
to. E questa è l’esperienza bella
della quale sento di dover dare
testimonianza. Accompagnato e
anche – devo dirvi questo – ho
sentito come se camminassi un
po’ sopra ai miei meriti e alle
mie possibilità. Mi sono sempre
sentito impreparato al compito
che mi veniva dato e mi sentivo
sempre chiamato, continuamente
chiamato a compiti sempre più
importanti, sempre più impegna-
tivi. E la forza di questo era la cer-
tezza che il Signore accompagna
e aiuta».
Così è stata la sua vita: un sus-
seguirsi di incarichi sempre più
impegnativi. Nel 1967 gli viene
chiesto di fare il maestro dei no-
vizi a Missaglia. Inizia poi per lui
un’altra esperienza forte che lo
segnerà per tutta la vita; è nomi-
nato Direttore e parroco alla par-
rocchia di Bologna don Bosco,
dal 1971 al 1978. La sua presen-
za e azione segneranno pure la
vita della comunità parrocchiale.
Così scrive di lui l’Ispettore don
Bertolli nella presentazione come
parroco al cardinale Poma: «Si è
sempre distinto per fedeltà alla
vocazione. Raccoglie molta stima
tra i confratelli giovani per le sue
aperture nell’apostolato giova-
nile, che non mancano però di
buon equilibrio. Potrà essere un
buon parroco». E così fu: stimato
e benvoluto da tutti. La parroc-
chia don Bosco è appena sorta,
in un quartiere popolare e vivace
che cresce insieme alla comuni-
tà salesiana. Don Luigi darà uno
sviluppo intenso alla parrocchia,
alla luce delle nuove prospettive
apostoliche elaborate dal Conci-
lio Vaticano II. E intanto cresceva
anche l’oratorio che attirava tanti
ragazzi, ragazze e giovani.
Sarà poi per due anni Ispettore
dell’Ispettoria Novarese Elvetica
e nel 1980 fino al 1990 sarà con-
sigliere generale per la Regione
Italia, Medio Oriente e Svizzera,
prima per chiamata del Rettor
Maggiore don Egidio Viganò e
poi per elezione del Capitolo
generale XXII. Così lo ricorda un
confratello durante quel periodo:
«Don Luigi fu un salesiano dal
carattere mite e forte, generoso
e accogliente; ebbe un cuore di
pastore prudente ed efficace.
Dai suoi occhi sprizzava una
luce di purezza e di soavità. Era
aperto al nuovo pur essendo ra-
dicato nella tradizione salesiana
genuina. Uomo di governo e di
dialogo, ascoltava e meditava
prima di prendere le più oppor-
tune decisioni. Era un uomo di
Dio per gli uomini e soprattutto
per i giovani».
Terminato il suo compito come
membro del Consiglio generale,
si rende disponibile per andare
al sud Italia; è destinato all’Ispet-
toria Meridionale; sarà nominato
direttore e parroco a Salerno dal
1990 al 2002; è un’altra espe-
rienza forte vicino ai giovani e
alla gente. I parrochiani lo han-
no sempre ricordato e hanno
ricercato la sua guida spirituale
e il mistero della confessione,
anche venendo a incontrarlo qui
a Roma. Dal 2007 infatti fino a
oggi per 12 anni è stato formatore
e confessore qui alla comunità
di postnoviziato di Roma “San
Tarcisio”, adattandosi anche alle
occupazioni più semplici, come
quella di portinaio.
Don Luigi è una figura bella, tra-
sparente, gioiosa, intelligente, vi-
cina. Chi lo ha incontrato non può
dimenticarlo per la sua capacità
di farti sentire importante. Nella
Ispettoria noi giovani salesiani lo
ritenevamo una figura significa-
tiva e un punto di riferimento. È
stato pure notevole il suo contri-
buto alla Congregazione e il suo
impegno pastorale con giovani e
adulti: sempre accompagnato e
sempre al servizio.
Settembre 2019
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
VIAGGIARE, MA NON PER TURISMO
Viaggiare al tempo di don Bosco, nell’Ottocento, non era certo veloce o eco-
nomico né comodo e neanche sicuro. Treni, battelli e carrozze erano gli unici
mezzi e molto meno pratici di quanto siano quelli attuali. Eppure don Bosco
fu un XXX e non per diletto o per turismo, ma perché doveva ampliare il suo
bisogno di conoscenza e mantenere saldi i contatti con le persone anche di
luoghi lontanissimi. Per lui era fondamentale che non si perdessero le lettere,
le risposte o le proposte che inviava, e dava un gran valore allo scambio diretto
delle opinioni, a parlarsi guardandosi negli occhi e giudicarsi, gli uni con gli al-
tri, dialogando e discutendo. Restringendo il cerchio alla sola Italia, limitandosi
al solo biennio 1882-1883, sappiamo che egli viaggiò in lungo e in largo per la
Francia e l’Italia, e aveva 68 anni, quindi in non più giovane età. Arrivò a Lione,
poi si spostò a Valenza e Marsiglia, quindi fu a Tolosa e rientrò in Liguria dove fece visita alle case sale-
siane della regione. Quindi passando per La Spezia, Lucca, Pisa e Firenze raggiunse Roma dove rimase
un mese circa. Si spostò sulla costa adriatica, a Rimini e Faenza e tornò a Torino. Questo solo nei primi
mesi dell’anno, nella seconda parte invece viaggiò per il Piemonte e ancora la Liguria. In pratica in un
anno stette più di sette mesi lontano da Torino e in quel biennio complessivamente ne stette lontano un
anno. Spostandosi soprattutto in treno e carrozze di ogni tipo,
soffrendo molto per lo stare chiusi e sballottati dal movimen-
to del mezzo. Viaggiò dodici volte in Francia, Parigi inclusa,
in Austria una volta e una volta anche in Spagna. In Italia, infi-
nite volte in carrozza soprattutto al nord e al centro, venti volte
a Roma, e al sud fino a Napoli. Dovunque andava incontrava
autorità civili ed ecclesiastiche, cercava di risolvere questioni
personali o diplomatiche fra Stato e Chiesa, meditava sulla
possibilità di fondare una nuova casa salesiana, incoraggiava
i confratelli, raccoglieva offerte.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Comune modo
di dire usato affinché si bilancino en-
trate ed uscite - 14. Gli abitanti non
musulmani dell’India - 15. Torcia
elettrica, batteria - 16. È opposto
a NE sulla bussola - 17. Codice in
breve - 18. Così si pronuncia l’arci-
nota “chiocciola” degli indirizzi e-mail
- 19. Al centro del chiosco - 22.
L’agenzia spaziale che ha mandato
l’uomo sulla Luna - 24. Intervallo di
tempo - 26. XXX - 28. Iniziali del
regista Leone - 29. Mio a Parigi - 31.
Alacri e diligenti - 32. C’è quella del
disco - 33. Un po’ arrogante! - 34.
XXX - 36. Le separa la S - 37. Can-
tilena - 39. Il comico Albanese (iniz.)
- 40. Danno un punto a scopa - 41.
Il segno che moltiplica - 42. 99 per i
latini - 44. Nei fumetti è lo scalcagna-
to gruppo di agenti segreti di Alan Ford
- 47. Si dice porgendo o spiegando -
49. Impossibile da capire.
VERTICALI. 1. Sfavillanti, nuovis-
simi - 2. Formica a Londra - 3. Regio
Decreto - 4. La metà di quindici! - 5.
Sono doppie nei raddoppi - 6. Tra-
ditrici - 7. Attivi, operosi - 8. Come
la barba tagliata - 9. Isernia (sigla) -
10. Biliosi, irascibili - 11. Sono pari
nell’onicosi - 12. Il verbo di chi soffre
di bronchite - 13. L’adorazione di fe-
ticci - 20. Vale a dire, ovvero - 21. Il
portico sotto il quale insegnava Zenone
- 23. Non fa il monaco! - 25. Aria…
poetica - 26. Dentro - 27. Pianta
acquatica - 30. Ne ha 24 il giorno -
34. Giambattista, filosofo dei corsi e
ricorsi storici - 35. Altro nome con
cui è conosciuto il monte Sinai - 38.
Segue il pic… sull’erba! - 41. L’Edgar
Allan autore de “Il pozzo e il pendolo”
- 43. In mezzo alla pipa - 45. La sigla
dell’anonimato - 46. Sigla di Trieste -
48. Ci seguono in bicicletta!
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Settembre 2019

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Tutto per una pallonata
Disegno di Fabrizio Zubani
Iragazzi arrivarono all’oratorio
con la grazia di palle di cannone.
Dopo pochi secondi, piccoli esse-
ri urlanti inseguivano e scalciava-
no palloni di ogni forma e colore.
Un pallone si alzò altissimo, fino
alla vetrata più alta della chiesa. Si
sentì un debole tintinnio e un fram-
mento di vetro colorato cadde per
terra. Naturalmente nessuno ci badò.
La domenica mattina, durante la
Messa delle dieci, bambini e adul-
ti seguivano la celebrazione con
l’abitudinaria flemma. Don Sergio
aveva invano cercato di scuotere la
sua pigra assemblea. Ma quello che
non erano riusciti a fare le sue parole
lo stava per fare un forellino poco più
grande di una moneta da due euro
nella vetrata più alta della chiesa.
«Scambiatevi un segno di pace»
disse don Sergio, al momento giusto.
Valentina, 8 anni, si voltò per “dare
la pace” a chi stava alle sue spalle.
Incrociò la faccia corrucciata del-
la signora Variale, la più acida e
criticona della parrocchia. Valentina
non si perse di coraggio, tese la mano
e sorrise. In quel preciso istante, un
raggio di sole scoccò dal foro nella
vetrata e, preciso come un faro, le
illuminò il volto.
La signora Variale ne fu scombusso-
lata. Quel volto luminoso e gentile
la colpì al cuore. Uscì di chiesa con
la voglia di cantare. Si diresse, come
tutte le domeniche, all’edicola per
acquistare il giornale. Per la prima
volta in quarant’anni, sorrise a
Michele, il giornalaio. «Do-
vremmo tutti dirti un gigan-
tesco grazie per il prezioso
servizio che rendi a tutta la
comunità. Grazie!»
Michele quasi si commosse,
ma da quel momento la sua
giornata, che aveva sempre
trovato così pesante, gli
sembrò leggera che era una
meraviglia. Così, quando ar-
rivò Giuseppe, il tassista più
imbronciato della città, Mi-
chele gli scoccò il più cordiale
e comprensivo dei suoi sorrisi e
disse: «Certo, è dura la tua vita,
dal mattino alla sera in mezzo al
traffico. Te ne serve di forza!» Un
attimo di sorpresa e anche Giuseppe
si sgelò e cominciò a conversare con
il giornalaio come fosse stato il suo
più vecchio amico.
Quando l’avvocato Ferri salì sul taxi
di Giuseppe con la valigetta e la
borsa traboccante di carte, Giuseppe
lo salutò con gentilezza, tanto da
lasciarlo a bocca aperta.
«All’aeroporto… Così domattina
posso incominciare subito».
In un altro momento Giuseppe avreb-
be chiuso la comunicazione. Non
quella domenica e continuò: «Non la
invidio, dottore. Rinuncia alla dome-
nica con i suoi figli e sua moglie. A
proposito, quei tre frugoletti si stanno
facendo dei bei ragazzi…»
«Già. È vero…» borbottò l’avvocato
Ferri a disagio. Il tono di Giuseppe
era cordiale e pieno di sincero calore:
«Proprio l’età in cui il papà è impor-
tante».
L’avvocato esitò un attimo, poi disse
deciso: «Lo sa che lei ha ragione?
Mi riporti a casa! A Roma andrò
domani…».
Il sorriso e la felicità con cui la
signora Ferri e i tre ragazzi accolsero
il papà inorgoglì Giuseppe, che si
sentì quasi un missionario che aveva
appena convertito un intero villaggio
di pagani.
Come loro, in quella domenica, un
bel po’ di gente si sentì più felice. E
solo per una pallonata contro una
vetrata e un raggio di sole.
Settembre 2019
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Sinodo dei Vescovi
Amazzonia
Una conversione
ecologica
I nostri eroi
Monsignor Cagliero
L’apripista di don Bosco
L’invitato
Padre Gabo
Missionario in Pakistan
Tempo dello spirito
I cinque pilastri
della spiritualità Masai
L’anima dell’Africa
Le case di don Bosco
Castel de’ Britti
Un laboratorio
per il futuro
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.