Bollettino_Salesiano_201906

Bollettino_Salesiano_201906

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IL
GIUGNO
2019
Salesiani
nel mondo
Eritrea
L’invitato
Don Alexandre
Damians
Maria Ausiliatrice
Il pittore
Enrico Reffo
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case di
don Bosco
Schio

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Ladri di piviali
Sono un piviale, cioè uno dei più nobili
paramenti sacri. Sono quel mantello che
copre il sacerdote dalle spalle ai piedi,
molto colorato e ornato di preziosi ri-
cami. Ero naturalmente tenuto con ogni
riguardo e protetto in un armadio di
profumato legno di cedro. Quello era la mia casa
in una sacrestia di una bella chiesa torinese.
Ma ecco che un giorno, mentre me ne stavo
beato in mezzo ai fumi d’incenso, arrivaro-
no in sacrestia due ragazzotti, piuttosto male
in arnese, che si rivolsero rispettosamente al
sacrestano e chiesero in prestito, indovinate un
po’, me! Naturalmente il sacrestano rispose un
no categorico. Figurarsi, un nobilissimo piviale
come me, in mano a quegli scavezzacolli! Ma
quelli avevano un’arma segreta e dissero: «Sa,
è per don Bosco». A quel nome, il sacrestano
si intenerì e mi consegnò ai ragazzi, che
appena fuori si misero a correre ridendo
felici. Cominciai a intuire che c’era sotto
un bel po’ di imbroglio.
Dopo una gran corsa per le vie
della città, mi ritrovai in un
angusto stanzino e lì se
non altro incontrai degli
amici. Arrivarono
trafelati altri ragaz-
zi, tutti con un
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Musica e teatro facevano parte della gioia dei ragazzi di
don Bosco. Il 6 gennaio del 1850, alcuni ragazzi scrisse-
ro e recitarono un dramma intitolato I tre Re Magi, tenne-
ro fra di loro una piccola segreta congiura, e col pretesto
di vespri solenni che dicevano doversi cantare all’Ora-
torio, si presentarono al Rifugio e in alcune parrocchie
chiedendo in prestito quattro piviali. Ci voleva anche
un manto per Erode. Li nascosero con gelosa cura, e al
momento di entrare in scena, eccoli trionfanti coi piviali
sulle spalle. Una valanga di applausi e un po’ di imbaraz-
zo per don Bosco quando dovette restituire tutti i piviali.
(Memorie Biografiche IV, 24)
fagottino da cui saltarono fuori altri tre piviali,
tutti luccicanti e ricamati, uno verde, uno viola
e uno rosso. Uno più bello dell’altro. Tutti rapiti
da quella banda di furfantelli e tutti grazie alla
magia di quel nome: don Bosco.
Lacrime di raso e di seta scorrevano dai nostri
occhi (se li avessimo avuti) ma eravamo giusta-
mente preoccupati. Che sarà di noi? Immagina-
vamo orrende forbici che staccavano crudelmen-
te i nostri ornamenti dorati.
I nostri carcerieri confabularono un po’ e poi
ci nascosero in un armadio sotto un vecchio
tappeto polveroso. Non avevo mai subito tanta
umiliazione! Rapito da una banda di minorenni
sequestratori di piviali.
Una sera, tante piccole mani impazienti ci tiraro-
no fuori dall’armadio. Erano tornati i ladruncoli.
Si erano pure mimetizzati: avevano barbe finte
di lana dei materassi, berretti di foggia assurda,
una corona di legno, certamente rubata a qualche
statua di santo. Ci indossarono e facemmo una
entrata solenne in uno stanzone pieno zeppo di
ragazzi grandi e piccoli. Strisciavamo sul pa-
vimento e i ragazzi inciampavano, ma i piccoli
spettatori scoppiarono in applausi e strilli di me-
raviglia. Devo confessare che quando ci inginoc-
chiammo davanti a Gesù Bambino mi commossi.
Dopotutto era la prima volta che facevo l’attore.
Alla fine, conobbi il famoso don Bosco. Un vero
attore anche lui. Faceva la voce burbera: «Ragaz-
zi, non si deve scherzare con le cose sacre!», ma i
suoi occhi ridevano felici.
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Giugno 2019

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IL
GIUGNO 2019
ANNO CXLIII
Numero 06
IL
GIUGNO
2019
Salesiani
nel mondo
Eritrea
L’invitato
Don Alexandre
Damians
Maria Ausiliatrice
Il pittore
Enrico Reffo
Mensile di
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Le case di Salesiana di San
don Bosco
Schio Giovanni Bosco
In copertina: Cominciano le vacanze estive.
Don Bosco ripeteva spesso le parole di san
Filippo Neri: «Quando è tempo correte, saltate,
divertitevi pure finché volete, ma per carità non
fate peccati». (Foto Littlekidmoment, Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Eritrea
12 L’INVITATO
Don Alexandre Damians
15 CINQUE PER MILLE
16 LE CASE DI DON BOSCO
Schio
20 FMA
Austria
22 MARIA AUSILIATRICE
Enrico Reffo
26 A TU PER TU
Eroi a piedi nudi
30 I RAGAZZI DEL PAPA
Pier Giorgio Frassati
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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12
26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, Claudia Gualtieri,
Martin Lasarte, Cesare Lo Monaco,
Natale Maffioli, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Pino Pellegrino, Giampietro
Pettenon, O. Pori Mecoi, Luigi
Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Tel. 06.656121 - 06.65612663
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- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Là dove il sangue versato
genera vita
È stata un’emozione molto viva incontrare
giovani Bororo e Xavante insieme, missionari
che ogni giorno condividono la vita con loro
e celebrare nel luogo del martirio di coloro
che, per difenderli, hanno versato il sangue.
Miei cari amici, nel titolo vorrei con-
densare l’esperienza che ho vissuto il
mese scorso. Ho visitato le presenze
salesiane del Mato Grosso e Mato
Grosso del Sud in Brasile. I primi
salesiani sono arrivati qui 125 anni
fa, nell’allora villaggio di Cuiabá, che oggi è di-
ventato una città di seicentomila abitanti, porta
di quella meraviglia mondiale che è il Pantanal.
Avevo chiesto di incontrare i popoli indigeni con
cui i salesiani hanno vissuto per decenni: gli Ayo-
reos, i Maskoy e i Chamacocos. Volevo portare la
testimonianza della Congregazione nelle leggen-
darie missioni del Mato Grosso. Al crepuscolo di
una sorprendente giornata sono arrivato nell’in-
sediamento degli indios Bororo a Meruri.
I figli di don Bosco, nel 1894, guidati da don
Giovanni Balzola, aprirono una nuova missione
nel Mato Grosso, a Cuiabá, dando inizio alla
prima evangelizzazione dei Bororo con la fonda-
zione della Sacra Colonia di Coraçao. Nel 1906
venne creata la “Colonia de Sangradouro”, che in
seguito ospiterà gli Xavante che erano stati espul-
si e quasi annientati nella zona di Parabuburi. Un
primo tentativo di avvicinare gli indigeni Xavan-
te avvenne nel novembre 1934. Nacque nel san-
gue dei missionari salesiani don Giovanni Fuchs
e don Pedro Sacilotti, vittime di un’imboscata.
Già nel 1926 la continua, stabile e solida presenza
tra i missionari salesiani e questi insediamenti di
indiani Xavante e Bororo era una realtà. Presenze
come Sangradouro, Sao Marcos e Meruri si sono
consolidate fino ad oggi. Quando gli indiani Xa-
vante arrivarono al villaggio di Sangradouro, ac-
colti dai salesiani e dai Bororo, pur essendo stati
popoli nemici nella storia, la popolazione totale
degli Xavante non raggiungeva i 900 membri.
Oggi, grazie alle leggi di protezione e al rispet-
to della loro cultura la popolazione raggiunge i
30 000 membri.
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A Meruri ci hanno ricevuto con affetto e con la
loro tradizionale accoglienza. Mi è piaciuta molto
anche la possibilità di incontrare tutti i missionari
che attualmente condividono la vita con questa
gente. Erano presenti 18 salesiani, 8 figlie di Ma-
ria Ausiliatrice e due sorelle della Congregazione
di Santa Laura (conosciute come “Las Lauritas”),
sorelle colombiane con le quali lavoriamo in ar-
monia per il bene dei nostri fratelli indigeni.
La mattina seguente abbiamo vissuto due mo-
menti di grande bellezza, umanità e significato
storico e spirituale.
Il primo è stato l’incontro di 40 giovani Xavante
(ragazzi e ragazze) che sono arrivati per condivi-
dere la giornata con i Bororo, in occasione della
nostra presenza. Mai fino ad oggi Bororo e Xa-
vante si erano incontrati in questo modo. I giova-
ni Bororo e Xavante hanno reso possibile ciò che
gli adulti non avevano mai fatto.
Abbiamo dialogato, danzato e cantato, celebrato
l’Eucaristia e mangiato insieme ed eravamo al-
meno un centinaio.
Il secondo momento è stato ancora più commoven-
te. Abbiamo celebrato l’Eucaristia nel centro del
villaggio, il luogo dove il salesiano padre Rodolfo
Lunkenbein, missionario tedesco, e l’indiano Bo-
roro Simao Cristino sono stati uccisi dai “facen-
deiros”, i proprietari di grandi tenute ferocemente
irritati contro i salesiani che difendevano i diritti
degli indigeni per le loro terre. Il 15 luglio 1976
arrivarono al villaggio e, dopo una discussione,
spararono a don Rodolfo. L’indio Simao accorse
per difenderlo e fu anche lui trucidato.
Il giorno della mia visita, ho potuto salutare, par-
lare e ringraziare un anziano testimone del mar-
tirio, anche lui colpito, ma salvato dai medici. Era
là, umilmente presente, la mattina della nostra
Eucaristia.
La causa di santità dei nostri due martiri, en-
trambi Servi di Dio, sta arrivando a conclusione.
Per me è stata un’emozione molto viva ritrovarmi
nella terra dei Bororo, incontrare i giovani Boro-
ro e Xavante che volevano vivere insieme questo
momento, incontrare fratelli e sorelle missiona-
ri che ogni giorno condividono la vita con loro
e celebrare l’Eucaristia nel luogo del martirio di
coloro che, per difenderli, hanno versato il san-
gue. Il motto scelto da Rodolfo Lunkenbein per
la sua Ordinazione era “Sono venuto per servire e
dare la vita”. Nella sua ultima visita in Germania,
nel 1974, sua madre lo pregava di fare attenzio-
ne, perché l’avevano informata dei rischi che cor-
reva suo figlio. Lui rispose: «Mamma, perché ti
preoccupi? Non c’è niente di più bello che morire
per la causa di Dio. Questo sarebbe il mio sogno”.
Alle prime luci dell’alba, con tutta la comuni-
tà Bororo, abbiamo fatto una piccola processione
fino alle tombe di Simao Cristino e Rodolfo Lun-
kenbein, pregando per tutti i missionari salesiani.
Il mio pensiero volava all’Africa, al confine del
Burkina Fasso dove, poco più di due mesi fa, al
nostro fratello salesiano, il missionario spagnolo
padre César Antonio Fernández, era stata strap-
pata la vita, solo perché era sacerdote e missionario.
Il titolo del mio messaggio riguarda proprio que-
ste due storie. Il sangue che viene versato e che
produce tanto dolore genera anche la vita. L’ho
constatato nei villaggi Bororo e Xavante, e lo ve-
diamo in Africa, dove ogni giorno si compiono
“miracoli di vita”.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Con affetto,
i giovani di oggi
A volte,
una semplice lettera
basta a trasformare
i pensieri in parole.
A volte, leggendola,
si può sentir parlare
chi l’ha scritta.
Per te che stai leggendo,
non sappiamo bene a chi raccontare,
forse perché non riusciamo a capire
che cosa sentiamo dentro.
Ci mancano le parole per descrivere
questi sentimenti ma abbiamo ascol-
tato una canzone, “E scopro cos’è la
felicità” di Elisa, che ci aiuta a dare
un nome a tutto ciò e che accresce
in noi il desiderio di aprire il nostro
cuore. Sentiamo un po’ di paura: tan-
te esperienze, tanto rumore, il tempo
che corre veloce e così viviamo in su-
perficie bombardati da ciò che ci cir-
conda. Ma non riusciamo a stare al
passo e sentiamo il bisogno di rallen-
tare per scoprire i desideri che posso-
no muovere la nostra vita. Vogliamo
scoprire a che cosa ci chiama la vita,
non da soli, ma con gli altri. Sentiamo
che la via giusta è quella di persevera-
re nella strada dei sogni grandi; per
questo, passo dopo passo, speriamo di
trovare quello che ci renderà davvero
felici. Abbiamo bisogno di qualcuno
che ci aiuti a capire qual è il sogno più
grande che ci chiede di essere realiz-
zato facendo scelte concrete, maturate
e riflettute. I sogni possono diventare
quella benzina che ci tiene in moto e
non ci fa fermare davanti alle paure;
diventano ciò che ci spinge ad affron-
tare i timori e a prendere in mano la
nostra vita. Allora a te, che stai leg-
gendo, chi sei? Qualcuno che ha bi-
sogno di rallentare, che mi affianca
nel cammino, che mi aiuta a scoprire
i colori della vita e che correrà assieme
a me per viverla pienamente?
Grazie per aver letto; che questi passi
incerti e pieni di desiderio ci aiutino a
conoscere i nostri volti.
Lucia 26 anni, Drita 35 anni,
e Pasqua 29 anni
Caro amico,
poco tempo fa sono stata a Grumen-
to, un paese in Basilicata, per fare
gli esercizi spirituali in vista della
Pasqua. Lì, ho capito che l’impos-
sibile non esiste: tutto è possibile se
si vuole. Un giorno, mentre stavamo
parlando delle nostre paure, una mia
amica disse che ha paura di essere
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giudicata dagli altri. Allora io rispo-
si che le persone sono sempre pronte
a giudicare ciò che facciamo, anche
se lo facciamo al meglio troverebbe-
ro qualcosa di sbagliato, quindi se si
pensasse sempre al parere degli altri
non potremmo vivere. Ed è vero.
Dovremmo tutti avere più autostima
in noi stessi. Non dovremmo preoc-
cuparci delle altre persone, perché
molte volte lo fanno per gelosia. Noi
dobbiamo essere perfetti nelle nostre
imperfezioni, sicuri di quello che fac-
ciamo e dovremmo pensare di meno
alle conseguenze, dovremmo seguire
un po’ di più il nostro cuore, perché
solo lui sa che cosa davvero sia giusto
o sbagliato. Dovremmo metterci di
più la faccia quando facciamo qual-
cosa, dovremmo prenderci le nostre
responsabilità, anche se è difficile o
anche se fa male. Secondo me queste
sono le cose che davvero contano.
Un abbraccio,
Nicol, 15 anni
Gentile Mimmo Lucano*,
ho sentito parlare di Lei per la prima
volta nell’Ottobre 2018, quando su
tutti i giornali è apparsa la notizia del
Suo arresto per l’accusa di favoreggia-
mento dell’immigrazione clandestina
e affidamento illecito del servizio di
raccolta dei rifiuti. Prima di allora,
conoscevo Riace solo per i famosissi-
mi Bronzi lì rinvenuti. Il clamoroso
caso, che ha avuto Lei come prota-
gonista, ha portato alla ribalta que-
sto piccolo paesino delle amare terre
calabresi. Sì, perché, al di là dei suoi
fruttuosi fondali marini, Riace e i
grandiosi progetti da Lei intrapresi,
che non riguardano certo soltanto i
migranti, erano assolutamente sco-
nosciuti ai più. Lei, terzo migliore
sindaco nel mondo, che ha ricevu-
to svariati premi, tra cui il premio
per la Pace e i Diritti Umani, è stato
pressoché ignorato finché del fango
è stato gettato sulla Sua persona e le
Sue opere. Ennesima dimostrazione
di come i nostri servizi di comunica-
zione preferiscano alimentare la fame
del pubblico per scandali e sventu-
re, invece che la sete di bellezza nel
mondo. Ma questo è un discorso a
parte. Devo essere sincera, la prima
volta che ho sentito parlare della Sua
storia e delle accuse rivolte nei Suoi
confronti, senza conoscere a fondo
la situazione, ho passivamente fatto
affidamento all’intoccabile voce del-
la legge. Sono sempre stata convinta
d’altronde che “la Legge è Legge”, e
per questo, anche se ingiusta, da ri-
spettare. Ne ero convinta, sì. E dico
“ero”, perché grazie a Lei ho scoperto
l’importanza della disobbedienza ci-
vile. Non è una legge giusta, infatti,
se impone barriere al valore di umani-
tà. Ovviamente conoscevo già questo
concetto; il passato ha già conosciuto
illustri personaggi che l’hanno messo
in pratica. Ma la storia, per quanto
insegni, se vissuta in diretta, arriva
inevitabilmente in maniera più inci-
siva. Ho capito così l’ingiustizia che
alcune leggi possono nascondere, ho
conosciuto la forza d’animo che ser-
ve per combatterla, e ho apprezzato
quella bellezza che, anche se silenzio-
sa, esiste e mi circonda. Non so che
cosa la legge deciderà sulla Sua col-
pevolezza. Confido comunque nella
Giustizia, stavolta in quella vera.
Cordiali saluti,
Claudia, 21 anni
*Conosciuto in tutto il mondo per il modello
di accoglienza dei richiedenti asilo realizzato
a Riace, il piccolo paese della Calabria di cui
era sindaco.
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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON
Eritrea Chebellasoddisfazionevedere
un progetto realizzato!
In questo caso noi abbiamo potuto
raccogliere il frutto del nostro
e vostro contributo. Poter vedere
con i propri occhi la gioia sul volto
dei bimbi che possono bere acqua
pura e fresca è il gran regalo
che oggi mi viene fatto.
alle capitali africane, cresciute a dismisura con
ampie periferie in cui si ammassano migliaia – a
volte milioni – di poveri in cerca di fortuna. Sem-
bra invece di trovarsi in una signorile città di pro-
vincia della nostra bella Italia.
L’Eritrea è un
paese molto bello
e particolare.
Asmara somiglia
poco alle capitali
africane. Sembra
una signorile
città di provincia
italiana.
Siamo arrivati ad Asmara in Eritrea. Non
è stato semplice poter entrare in questo
paese che dopo l’indipendenza dall’E-
tiopia ottenuta nel 1991, a causa di un
governo autoritario, è progressivamente
precipitato in un isolamento quasi totale.
Profumo di Italia
Asmara, la capitale, si trova a oltre 2300 metri
di quota su un vasto altipiano. Il clima è ottimo,
non ci sono zanzare, e la sera fa fresco. Un luogo
ideale per vivere. Così devono aver pensato an-
che i nostri nonni, quando ad inizio Novecento
hanno avviato un’impressionante opera di urba-
nizzazione di questa città, continuata in tutto il
periodo del fascismo, fino allo scoppio della se-
conda guerra mondiale. Asmara somiglia poco
Acqua per la vita
Nel nostro viaggio in Eritrea siamo stati a De-
gra Mereto, un villaggio sull’altipiano, un’ora di
auto a sud di Asmara. In questo posto sperduto,
di giorno con un sole che spacca le pietre e di not-
te freddo, perché siamo a 2000 metri di quota,
abbiamo contribuito a portare l’acqua potabile al
centro del villaggio abitato da circa 900 persone.
Il progetto è nato dall’associazione piemontese
“Acqua per la vita”. Noi abbiamo volentieri colla-
borato, su sollecitazione di Abba Petros, il diret-
tore dei salesiani di Decamerè, che si trova nella
stessa zona. È stato scavato un pozzo profondo
40 metri in una zona distante 2 chilometri dal
villaggio e più a valle. L’opera più complessa è
stata realizzare l’impianto fotovoltaico di poten-
za adeguata ad alimentare la pompa che succhia
l’acqua dalle profondità della terra e poi la spinge
in alto, superando il dislivello di circa 150 me-
tri e più su ancora, sulla sommità del villaggio,
in tre grandi serbatoi da cui poi, per caduta na-
turale, si alimentano due fontane pubbliche.
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Dalla collaborazione di tutti è nato un progetto
pilota davvero innovativo per l’Eritrea. Gli amici
volontari di “Acqua per la vita” hanno coordinato
il progetto, tessuto le delicate relazioni con le au-
torità governative, seguito passo passo ogni fase
di realizzazione dell’opera.
Per la gestione di questo impianto il villaggio ha
costituito un comitato in cui i compiti sono ben
distribuiti e controllati. Chi sta vicino al pozzo
controlla che l’impianto fotovoltaico funzioni
correttamente.
Quando arriviamo al villaggio per verificare il
funzionamento delle fontane lo troviamo prati-
camente deserto perché tutti sono ad un funera-
le. Mentre aspettiamo che qualcuno recuperi le
chiavi del recinto, una bambina ci guarda da lon-
tano. È curiosa e al nostro invito ad avvicinarsi
non fugge, anzi, pian pianino arriva da noi. Avrà
circa tre o quattro anni. Abba Petros le parla in
tigrino e lei risponde un po’ timida. Le offro una
caramella, che succhia con gusto. La lingua le si
scioglie e la timidezza è vinta. Si chiama Stella ed
ha tre sorelle più grandi che vanno a scuola. Men-
tre lei parla con noi, altri bambini più grandicelli
che ritornano da scuola cominciano ad avvicinar-
si. Una caramella ciascuno crea il clima giusto
per i sorrisi e le foto. Sono semplici e aperti.
Rispondono volentieri alle doman-
de e sorridono con naturalezza.
Quando finalmente arrivano le
chiavi ed apriamo la fontana
vediamo che tirano fuori dallo
zainetto la loro bottiglietta di
plastica da mezzo litro che
si erano portati a scuola, ma
che era ormai vuota. In fila,
uno dopo l’altro, la riempiono
di nuovo. Qualcuno
che ha più sete
ne beve subito
una metà e
si rimette in
fila... oggi è festa, pensano, acqua gratis per tutti!
Poter vedere con i propri occhi la gioia sul volto
dei bimbi che possono bere acqua pura e fresca è
il gran regalo che oggi mi viene fatto.
La cittadella di don Bosco
Che bella soddisfazione vedere un progetto rea-
lizzato! In questo caso noi abbiamo potuto rac-
cogliere il frutto del nostro e vostro contributo.
Tante altre volte invece non vediamo il risultato
del nostro impegno perché non sempre è stagio-
ne di raccolto. Spesso ci si trova nella fase della
semina o della coltivazione... quando si è fortu-
nati, come questa volta, in quella del raccolto.
Il giorno in cui è stato inaugurato que-
sto impianto di acqua potabile un
anziano del villaggio ha esclamato:
“grazie a Dio ora sono finiti i mal
di pancia dovuti all’acqua sporca
che finora abbiamo dovuto bere”.
Il grazie grande va dato ai vo-
lontari di “Acqua per la vita”, ad
Abba Petros che ha saputo co-
gliere questa necessità ed orientar-
la all’aiuto di Missioni Don Bosco
e a voi, cari benefattori, che avete dato
da bere agli assetati.
La presenza dei salesia-
ni in Eritrea risale al
Non esistono
quasi industrie
produttive nel
paese. Si riceve
uno stipendio,
misero, perché
impiegati dal
governo nel
servizio militare
oppure in attività
di pubblica
utilità. La gente
dei villaggi vive
di pastorizia e
agricoltura di
sussistenza.
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SALESIANI NEL MONDO
In questo posto
sperduto, di giorno
con un sole che
spacca le pietre
e di notte freddo,
perché siamo a
2000 metri di
quota, abbiamo
contribuito a
portare l‘acqua
potabile al centro
del villaggio
abitato da circa
900 persone.
1996 quando dall’Etiopia don Angelo Regazzo
ed altri missionari andarono a Decamarè, una
bella cittadina a sud di Asmara, e lì aprirono la
prima opera di don Bosco: una scuola tecnica con
annesso convitto per i ragazzi e le ragazze prove-
nienti da tutto il paese.
Negli anni la scuola è cresciuta fino ad accogliere
oggi 400 allievi dai sedici ai diciotto anni, sono
i due anni di scuola superiore che prepara all’u-
niversità o all’inserimento nel mondo del lavoro.
I settori professionali nei quali i giovani impara-
no un mestiere in ottimi laboratori sono la mec-
canica d’auto, la carpenteria metallica, la mecca-
nica di precisione, la falegnameria, l’informatica,
i geometri, il settore elettrico ed elettronico.
La scuola ha nel tempo accresciuto così tanto il
proprio prestigio, che ora personalità importanti
del paese fanno i loro giochi pur di inserire nella
lista governativa degli allievi i loro beniamini. Ho
detto “la lista governativa degli allievi” perché in
questo strano paese – strano dal punto di vista
politico (non ha una Costituzione, né un parla-
mento e dall’indipendenza del 1991 non si sono
mai tenute libere elezioni) – è il Ministero dell’E-
ducazione che decide dove un giovane potrà fre-
quentare la scuola superiore. Le scuole quindi
sono dotate di convitto per poter accogliere tutti
gli allievi. Pensate che cosa significhi avere 400
allievi a scuola, ma non solo! Questi vivono in
casa salesiana per nove mesi all’anno, sabati e do-
meniche comprese. Rientrano in famiglia solo a
Natale, a Pasqua e alla fine dell’anno scolastico.
Gli spazi del collegio sono davvero grandi per
poter avere tutti i laboratori, le aule, i servizi
complementari alla didattica, le cucine, sale da
pranzo, camere e bagni per i maschi e per le fem-
mine. Una vera cittadella di don Bosco animata
e coordinata da una comunità di cinque confra-
telli salesiani, tutti eritrei. Non potrebbe essere
diversamente visto che il fondatore – don Angelo
Regazzo – in quanto straniero, è stato espulso dal
paese nel 2008. Pensate quanta fatica e quanta
fede in quest’uomo che dopo dodici anni di fati-
che, dopo aver fatto nascere e crescere una simile
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opera, da un giorno all’altro si vede arrivare un
foglio di via... e deve fare le valigie e tornare in
Etiopia, da dove era partito anni prima.
Dalla prima e più grande opera salesiana di Eritrea
sono gemmate altre due presenze nel paese. A Ba-
rentu, una città capoluogo di distretto che si trova
nella parte bassa e più interna vicino al confine con
il Sudan e l’Etiopia, dove la popolazione non è di
etnia tigrina come negli altipiani ma somiglia più
ai sudanesi, il vescovo ci ha invitato ad aprire un
nuovo centro di formazione professionale. E noi ci
siamo andati e in due anni abbiamo già attivato
corsi in informatica, falegnameria e carpenteria
metallica. Gli allievi che frequentano questa nuova
scuola salesiana sono oggi 150. Questi non sono
convittori, ma tutti abitanti nella zona, perché la
scuola non ha ancora avuto il riconoscimento sta-
tale e dunque non appartiene ancora al sistema di
scuole nazionali. Ma la sua attivazione e il con-
senso di giovani che vi si sono iscritti da subito ha
suscitato la meraviglia di autorità locali e governa-
tive. Chi ben comincia è a metà dell’opera, recita il
proverbio. Ma qui di opere da compiere ce ne sono
tantissime e appena rispondi ad una richiesta se ne
presentano molte altre più urgenti e più necessarie.
I giovani in Eritrea hanno davvero poco dall’am-
ministrazione pubblica del loro paese, eppure
sono persone intelligenti e volenterose che, se
messe in condizione di lavorare o imparare, sono
abilissime e precise!
Il nostro futuro
La seconda gemmazione, e terza opera salesiana
presente nel paese, si trova ad Asmara, la capita-
le. Qui noi salesiani abbiamo collocato la casa di
formazione per i giovani che vogliono diventare
salesiani e preti. Non abbiamo alternative.
Nessun eritreo fino a cinquanta anni può chiede-
re il passaporto, quindi non possiamo spostare i
giovani in formazione salesiana in un altro paese,
come ad esempio l’Etiopia che le è vicina.
Questi giovani in formazione nei fine settimana
si disperdono nelle parrocchie della zona circo-
stante e fanno l’oratorio festivo, geniale intuizio-
ne di don Bosco che funziona in tutti i paesi del
mondo.
C’è futuro per l’opera di don Bosco in Eritrea se,
a 23 anni dalla prima presenza, ci sono già nove
salesiani adulti impegnati nel campo educativo ed
altri sette che si stanno preparando con coraggio
e vera passione per i giovani, loro fratelli più pic-
coli, a cui dedicare tutte le forze.
A sinistra: I settori
professionali della
scuola salesiana
per i quali i giovani
imparano un
mestiere in ottimi
laboratori sono la
meccanica d’auto,
la carpenteria
metallica, la
meccanica di
precisione, la
falegnameria,
l’informatica,
i geometri, il
settore elettrico ed
elettronico.
Sotto: Giampietro
Pettenon,
presidente di
Missioni Don
Bosco, con alcuni
piccoli eritrei.
Giugno 2019
11

2.2 Page 12

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Traduzione di Marisa Patarino
Incontro con Don Alexandre Damians
Don Bosco in Marocco
A Kenitra, allievi e docenti
sono musulmani. «Siamo
“insignificanti” in termini
numerici, ma siamo “molto
significativi” a livello del
messaggio».
se dentro di me, nonostante i miei
limiti, io coltivassi qualcosa che mi
“chiama” e sento crescere ogni giorno
il desiderio di aprire la porta. Sì, mi
sento un Salesiano alla ricerca e cer-
co di aiutare i giovani a essere sempre
disponibili a cercare. Perché la vita è
un’instancabile ricerca.
Perché hai deciso di
diventare salesiano?
Quando già ero studente universitario
a Barcellona, mi ritrovai per caso fra
le mani la vecchia copia del libro dei
Vangeli del tempo in cui frequentavo
il liceo. Iniziai a leggerne alcuni bra-
ni ogni sera... e compresi che dovevo
seguire quella strada. La decisione
non fu facile, dovevo lasciare troppe
cose. Ho detto “caso”, oggi so che non
è stato un avvenimento fortuito. Dio
è buono, ci chiama e ci accompagna.
Che cosa ne pensa
la tua famiglia?
La risposta è duplice: all’inizio i miei
genitori furono sorpresi e addolorati,
ma non si sono mai opposti, anzi. Da
allora e fino a oggi, si sono sempre
sentiti scelti tra tante famiglie. Av-
verto ancora la gioia delle mie sorelle
e degli altri famigliari e, naturalmen-
te, sento che mi accompagnano.
Quali sono le esperienze
più belle che hai fatto?
Sono tante! All’inizio, come semi-
narista e giovane sacerdote, tenevo
le mie lezioni con passione ed ero
molto felice di stare con i giovani,
di partecipare alle numerose gite,
di animare gruppi. Quante amici-
zie nate a quell’epoca durano ancora
oggi!
Negli ultimi anni in cui lavorai come
docente universitario sperimentai la
vicinanza dei giovani, di età compresa
tra i diciannove e i ventiquattro anni,
con i quali condividevo dialoghi che
toccavano nel profondo. Sì, sono stati
loro a evangelizzare me e mi hanno
fatto sentire padre e fratello... e grazie
a Internet le distanze si accorciano e si
mantengono i contatti.
Puoi auto-presentarti?
Sono un Salesiano e, sebbene possa
sembrare strano, divento più Salesia-
no con il passare degli anni. È come
12
Giugno 2019
Assalam alei kum! ,
“ ” La pace di Dio sia con voi!

2.3 Page 13

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Perché il Marocco?
Quando mia madre mancò, compresi
che era arrivato il momento di ren-
dermi disponibile senza riserve, sen-
za alcuna condizione e così ne parlai
al Rettor Maggiore, il quale, dopo
avermi invitato al discernimento, mi
suggerì il Marocco. Qualunque altro
centro del mondo salesiano il Rettor
Maggiore mi avesse indicato, la mia
risposta sarebbe stata la stessa: «Sia
fatta la tua volontà».
ficanti” in termini numerici, ma sia-
mo “molto significativi” a livello del
messaggio che possiamo trasmettere
con la nostra presenza, manifestando
con il nostro modo di essere e di agire
i valori cristiani più importanti della
pedagogia di don Bosco: Bontà, Vi-
cinanza, Pazienza, Dialogo, Ascolto,
Parolina all’orecchio, Gioia, Accom-
pagnamento...
Com’è l’incontro
con gli islamici?
Nella nostra casa salesiana regna la
piena armonia. I nostri insegnanti
sono molto interessati al mondo sale-
siano. Un anno fa un piccolo gruppo
è stato a Torino per conoscere meglio
don Bosco e, com’è noto, conoscere è
amare. I nostri insegnanti amano la
scuola perché amano la pedagogia sa-
lesiana.
La scuola è apprezzata da parte
dell’intera popolazione, grazie ai ge-
nitori che presentano il nostro volto
all’esterno.
E gli allievi sono bambini e giovani
uguali a tutti i bambini e i giovani del
mondo, cioè senza i pregiudizi socia-
li che noi adulti accumuliamo molto
spesso.
Entrata dell’opera salesiana di Kenitra.
In alto: Il cortile durante la ricreazione.
Quale il significato di
questa presenza salesiana?
Si tratta di una scuola, intitolata a don
Bosco, in cui studiano 1350 allievi, e
di una parrocchia dedicata a Cristo
Re. A scuola tutti, allievi e docenti,
sono musulmani; la parrocchia, l’uni-
ca di Kenitra (la città conta un mi-
lione di abitanti), è frequentata per
l’80% da studenti universitari dell’A-
frica sub-sahariana.
Mi si chiede quale sia il significato
della nostra presenza: siamo “insigni-
Giugno 2019
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
giovani e adulti, a maggior ragione i
prossimi ottant’anni saranno ancora
più importanti. Posso affermare che,
grazie a Dio, in Marocco ci si pro-
spetta un futuro molto incoraggiante.
Rendiamo grazie a Dio! ,
“ ” Al hamdu lila!
Come sono i giovani?
la società marocchina è sempre più
Qui, in Marocco, le famiglie vivono evidente la difficile questione della
insieme e nella grande maggioran- libertà di coscienza da un lato e del
za dei casi sono ben strutturate, con pluralismo religioso dall’altro, oggi
legami forti. Questo significa che i noi Salesiani di Kenitra siamo vi-
bambini vivono in un clima di note- sti come persone molto impegnate
vole sicurezza familiare, che si traduce nell’ambito più importante: quello
in un buon equilibrio tra l’autorità dei dell’educazione. Questo è il nostro
genitori e la fiducia di tutti. E poiché campo e qui siamo riconosciuti. Oggi
le esperienze familiari influenzano la la nostra scuola salesiana gode di
scuola, possiamo vivere la necessaria grande prestigio. Le nostre aule sono
autorità in un buon clima di fiducia, piene. Peccato che non abbiamo alcun
entrambe necessarie per ogni opera aiuto economico pubblico!
educativa.
Qual è il futuro
Come sono visti i salesiani? di questa esperienza?
Nella popolazione musulmana nel Dove ci sono giovani, l’esperienza sa-
suo insieme, è necessario distinguere lesiana ha un grande futuro. Se negli
alcuni fondamentalisti, che esistono, ottant’anni di storia della nostra scuo-
in mezzo a una maggioranza serena, la è stato compiuto un lungo percorso
e dunque, poiché nel complesso del- di crescita, fratellanza, amicizia con
Salesiani e Islam:
come può funzionare?
Innanzitutto con il “rispetto”, che apre
la strada all’avvicinamento; in secondo
luogo con la “conoscenza”, che conduce
all’amore; infine con il “dialogo”, che
determina la trasformazione interiore.
Tutti, musulmani e cristiani, siamo
“credenti”, sappiamo che invochiamo
lo stesso Dio misericordioso, sebbe-
ne lo facciamo usando nomi diversi.
Dunque... Sì, può funzionare: il no-
stro punto di incontro si situa nella
strada della bontà, della verità e della
bellezza, che sono le caratteristiche di
Dio. Che lo sappiamo o no, viviamo
su linee convergenti: eccoci!
Alcuni degli insegnanti di Kenitra con don
Alexandre a Valdocco.
14
Giugno 2019

2.5 Page 15

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CINQUE PER MILLE
...........................................................
.........................................
Nel 2018 con il 5x1000 ricevuto, la Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ha realizzato i progetti
“Istruzione di qualità per i giovani vulnerabili e a
rischio” a Hospet in India e “Tutela dei minori a
rischio” a Kinshasa in Repubblica Democratica del
Congo e a Brazzaville in Repubblica del Congo.
accomuna è l’estrema povertà e la situazione di
bisogno della popolazione giovane che ha
sono esposti alle peggiori forme di violenza, di
sfruttamento e di esclusione sociale.
Gli obiettivi raggiunti con i due progetti ben
rappresentano il carisma stesso dei Salesiani di
Don Bosco: fornire accoglienza, riparo e protezio-
ne, istruzione e formazione professionale
adeguate e educazione integrale per salvaguar-
dare il diritto al miglioramento delle proprie
condizioni di vita grazie all’acquisizione di
competenze e conoscenze e attraverso la
consapevolezza dei propri diritti umani fonda-
mentali.
Con il tuo 5x1000 puoi essere insieme a noi a
.
in cui operano con amore e dedizione per
accogliere, proteggere e istruire l’infanzia più
vulnerabile e a rischio.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... . . . . . . . ................ . . . . . . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. . . . . . ... . . . . . . . ................ . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... . . . . . . . ................ . . . . . . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. . . . . . ... . . . . . . . ................ . . . . .
Giugno 2019
15

2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
LA COMUNITÀ
L’opera Salesiana
a Schio
In alto: L’entrata
dell’Istituto.
Sotto: Il direttore
e i ragazzi
dell’Oratorio.
Schio è una fiorente e moderna città in
provincia di Vicenza ai piedi del monte
Summano che conta circa 40 000 abitan-
ti. Ha un glorioso passato storico, ma il
suo nome è legato soprattutto alla pro-
duzione della lana e oggi all’industriosità
dei suoi abitanti.
Dal 1901, nel centro di Schio c’è un cuore che
batte per i giovani: l’Oratorio salesiano “Don
Bosco”. La cronaca della Casa ricorda che alcuni
cittadini, insieme agli ecclesiastici locali, negli ul-
timi decenni dell’800 più volte si rivolsero a don
Bosco perché mandasse dei Salesiani a prendersi
cura della gioventù, in un momento in cui la città
stava diventando industriale.
Ora quel sogno, cui don Rua aveva dato consi-
stenza, è diventato punto di riferimento per tanti
ragazzi, polmone di energia positiva che da anni
offre proposte educative, sportive e formazione
per i giovani e per le famiglie scledensi.
L’edificio che lo ospita è situato nel centro della
città, di fronte alle ex Scuole Elementari di via G.
Marconi, vicinissimo alla piazza Statuto, sede del
Municipio. Nel tempo ha subito molte trasforma-
zioni: c’è una cappella, il cinema teatro, tre cortili
e un palazzetto dello sport. Il nuovo edificio sco-
lastico di tre piani è stato realizzato in pochi mesi
e inaugurato lo scorso anno per rispondere alle
esigenze del Centro di Formazione Professionale
16
Giugno 2019

2.7 Page 17

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che richiedeva più spazio per nuovi laboratori, be-
nedetto nel gennaio 2018 dal Segretario di Stato
Vaticano Cardinale Pietro Parolin.
Qui è nato “Yankuam”
(stella luminosa della sera)
Il Rettor Maggiore
benedice la
lapide che
ricorda il grande
missionario Luigi
Bolla, una delle
tante vocazioni di
questo oratorio.
È difficile esaurire in poche righe i benefici
e i vantaggi che gli scledensi e gli abitanti dei
paesi limitrofi hanno avuto sotto molti aspetti:
religioso, sociale, educativo, formativo e sportivo.
In questa comunità salesiana sono nate più di
60 magnifiche vocazioni (quest’anno Piero sarà
ordinato sacerdote e Marco è in noviziato), molte
delle quali missionarie. Proprio qui è nata la
vocazione di uno dei più coraggiosi e conosciuti
missionari salesiani, don Luigi Bolla, l’apostolo
degli indios del Perù Amazzonico di cui è stato
introdotto il processo di Beatificazione.
Don Bolla era chiamato dagli indigeni Yankuam,
che significa “stella luminosa della sera”, perché lo
sentivano realmente come la loro guida “celeste”.
Sull’esempio di don Bosco, don Bolla aveva ap-
preso in questo oratorio che si poteva diventare
amici di Gesù e di Maria. La sua prima azione
quando entrava in oratorio, era una visita al suo
amico Gesù.
Raccontò nei suoi diari: “Avevo 12 anni quando
ho sentito con assoluta certezza che il Signore
mi stava chiamando ad essere prete. Nell’agosto
del 1944, entrando nella cappella dell’oratorio tra
molti compagni piuttosto chiassosi, udii la voce
di Gesù che mi diceva con chiarezza: “Sarai mis-
sionario nella selva tra gli indigeni e porterai loro
la mia Parola. Camminerai molto a piedi’”.
E quando partì per la missione, disse a se stesso:
“Signore, lascio la mia famiglia, i miei amici, la
mia terra, le mie belle montagne, solo per Te, per
farti conoscere da molte persone che non hanno
ancora avuto la grazia di incontrarti. Ho messo
tutto nelle tue mani. Farai tutto Tu, perché ora
sono tutto tuo”.
Qui era nata anche la vocazione di don Pio Pen-
zo, sacerdote e artista. Di lui, il professor Vittorio
Sgarbi ha scritto: «Pio Penzo incisore dell’anima.
Andrà ricordato tra i grandi incisori veneti del
’900».
Prima e dopo la campanella
Attualmente i salesiani si qualificano per l’offerta
di una scuola superiore a indirizzo professionale
che propone tre differenti indirizzi: agro-ambien-
tale per orto-floricoltori, impiantistica civile e in-
dustriale per installatori e manutentori d’impianti
elettrici, commerciale per addetti e gestori di punti
vendita. Si tratta di oltre 250 allievi che provengo-
no da una trentina di comuni della provincia.
Fare attenzione ai bisogni dei ragazzi meno for-
tunati, o perché trascurati o perché difficili e
perciò tenuti ai margini, significa aiutarli nel loro
impegno all’istruzione. Scuola, come si è visto,
ma anche dell’altro. I bisogni formativi sono tanti
(assistenza allo studio, accompagnamento e stage
presso aziende di settore, accoglienza e accom-
pagnamento di ragazzi con difficoltà scolastiche,
coinvolgimento delle famiglie).
Giugno 2019
17

2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
Uno dei momenti
più attesi dell’anno
oratoriano è il
Grest, il periodo
delle attività
estive. Sono
quasi settecento
i ragazzi che
partecipano, con
più di duecento
animatori.
Le iniziative proposte per rispondervi hanno una
forte connotazione di supporto, a volte di sup-
plenza, alle istituzioni pubbliche e si indirizzano
a tanti ragazzi italiani ma anche agli extra-comu-
nitari, attualmente presenti in oratorio in ben 17
etnie, perciò con differenti tradizioni sia culturali
sia religiose. Tutti i sabati, ad esempio, il gruppo
“Laboratorio di Mondialità” raduna un bel nu-
mero di ragazzi stranieri per aiutarli nell’appren-
dimento della lingua italiana.
Sono oltre 80 i ragazzi che usufruiscono del do-
poscuola pomeridiano. Al “Dopo la Campanella”
operatori qualificati e giovani volontari carichi di
energia guidano i ragazzi ad organizzarsi autono-
mamente nello svolgimento dei compiti, facendo
scoprire loro la bellezza di lavorare insieme, di
sostenere i compagni più in difficoltà.
Corsi di recupero affiancano laboratori manuali,
pensati in particolare per i più piccoli. A questo
si aggiunge l’offerta di attività ludico-ricreative-
psicomotorie finalizzate ad alimentare la creati-
vità, a nutrire la fantasia, a potenziare le abilità
dei ragazzi.
«Tra gli obiettivi specifici del progetto ‘Dopo la
campanella’ – sottolinea Roberto Polga, assessore
alla cultura, servizi educativi e città dei bambini
– c’è anche quello di facilitare l’interazione, oltre
che essere d’aiuto ai ragazzi e alle loro famiglie,
offrendo uno spazio e un tempo organizzato,
accogliente e protetto».
Uno dei momenti più attesi dell’anno oratoriano è
il Grest, il periodo delle attività estive. Sono qua-
si settecento i ragazzi che partecipano, con più di
duecento animatori.
«Con i numeri che abbiamo raggiunto quest’anno,
abbiamo dovuto affittare una tensostruttura,
spiega il direttore don Alberto Maschio.
L’attività estiva richiede un lavoro attento e prolun-
gato che inizia ad aprile con l’incontro dei genitori
e degli animatori per preparare le attività e scaldare
i cuori. Gli animatori vengono formati e affianca-
ti a giovani universitari, che insegnano loro come
gestire e animare i ragazzi. L’obiettivo è duplice:
offrire agli uni un’opportunità di crescita personale
e garantire agli altri (quest’anno a ben cinque gio-
vani universitari) un lavoro stagionale retribuito».
Gli alleducatori
Ma la stessa offerta estiva è ben più ampia: «Ab-
biamo fatto otto
in montagna e
al mare: quattro di formazione per gli Amici di
Domenico Savio e quattro sportivi (calcio, pal-
lavolo e basket). Nello sport abbiamo un eserci-
to di oltre 900 tesserati. A rendere “eccezionale”
l’ambiente, tante équipe di alleducatori volonta-
ri, capaci di coinvolgere con il buonumore e un
po’ di sana disciplina tanti ragazzi dalle esigenze
sempre più difficili e complicate.
Le società sportive sono autonome, ma noi siamo
dentro ai loro direttivi, entriamo negli spogliatoi,
li seguiamo alle partite. Siamo la società più nu-
merosa a livello calcistico, abbiamo preso il pre-
mio come società più grossa nel volley femminile
a livello provinciale e anche il basket è in grande
crescita. Il nostro è un grande cantiere in costru-
zione, non un semplice contenitore di attività».
Stiamo lavorando molto – continua don Alber-
to, che è l’anima di tutte queste iniziative – con
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2.9 Page 19

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i direttivi delle varie società per crescere nello
spirito di appartenenza. Investiamo sulla forma-
zione degli allenatori e dei genitori promuovendo
una cultura dello sport come luogo di amicizia,
di inclusione e di sana competizione; proponia-
mo incontri con campioni di diverse discipline in
collaborazione con lo
(l’università salesiana
con sede a Mestre).
L’oratorio di Schio vanta anche altri spazi privi-
legiati per l’aggregazione dei giovani e una vasta
gamma di opportunità formative.
Il nuovo gruppo teatrale che ha coinvolto i ragaz-
zi delle medie, prosegue il suo cammino adesso in
autunno, visto il successo dell’anno scorso.
Dopo la pausa estiva ha ripreso il cinema seguito
da una trentina di volontari.
Molti ragazzi che hanno frequentato l’istituto ri-
tornano come animatori delle nuove leve e, come
in una ruota che gira, una volta che diventano
adulti e genitori si impegnano come cooperatori,
volontari che assistono i ragazzi in cortile, allena-
tori, nel Laboratorio Missionario, all’interno dei
due cori (uno per i piccoli e uno per gli adulti),
nel laboratorio di Mani di fata che raccoglie fondi
con i mercatini di Natale sotto al Duomo. E il
numero delle persone che frequentano l’Oratorio
cresce, tanto che la S. Messa al sabato sera si cele-
bra in Duomo, perché “qui da noi non ci stavamo
più”, oltre che per un bel segno di Chiesa.
La struttura aggrega e richiama non solo ragazzi
e giovani, ma anche tutti quegli adulti che mani-
festano la voglia di mettersi in gioco.
È così nato negli anni il Gruppo Adulti In Ora-
torio ( ), attualmente composto da una qua-
rantina di persone che si ritrovano regolarmente,
almeno una volta al mese, per crescere nella for-
mazione, nella comunione e nel servizio.
La presenza dei genitori è più che mai indispen-
sabile, e non solo per l’aiuto che possono fornire a
livello organizzativo, ma per costruire un’alleanza
e dare efficacia ad un progetto educativo comune.
I ragazzi d’oggi hanno mille potenzialità ma non
di rado sono soli, fragili. È necessario creare rela-
zioni educative significative, con adulti maturi e
testimoni autentici che sappiano accompagnarli a
diventare grandi.
Nessuna nostra proposta sarà credibile se non
troverà consenso e appoggio nei genitori e in tutte
le persone chiamate ad un ruolo di responsabilità
educativa.
Lo ha sottolineato con fermezza anche il Rettor
Maggiore in occasione della sua recente visita a
Schio: “Nel futuro dobbiamo imparare che la no-
stra fortezza è fare un cammino insieme, laici e
salesiani. Perché insieme le forze non si sommano
ma si moltiplicano”.
È questo l’impegno che darà spessore – ci assi-
cura don Alberto – ai progetti futuri di una Casa
che, ricca di una tradizione ultracentenaria, sa
sapientemente investire sull’oggi per disegnare
con i giovani e per i giovani un futuro carico di
speranza e di opportunità di bene.
A rendere
“eccezionale”
l’ambiente,
tante équipe
di alleducatori
volontari, capaci
di coinvolgere
con il buonumore
e un po’ di sana
disciplina tanti
ragazzi dalle
esigenze sempre
più difficili e
complicate.
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2.10 Page 20

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Kinder und Jugendhaus
In Austria
«Offriamo alle bambine e
alle ragazze un ambiente
familiare per tutto l’anno
e alle famiglie l’assistenza
sociale per svolgere
i compiti educativi.
Sosteniamo la loro
formazione scolastica e
lo sviluppo delle abilità
necessarie per far fronte
alla vita quotidiana».
«Qui c’è sempre molto
divertimento»
Un comune austriaco di 1300 abi-
tanti, perlopiù studenti, situato nel
distretto di Imst, Tirolo; suor Re-
gina Maier, direttrice ed insegnan-
te nella scuola materna, suor Burgi
Wiesinger, economa, suor Theresia
Höltschl, responsabile dei lavori co-
munitari, suor Sylvia Steiger, suor
Martina Kuda, dirigono due diversi
doposcuola e sono le Figlie di Maria
Ausiliatrice che gestiscono la comu-
nità di Stams ma non da sole: con loro
c’è una giovane donna della Costa
d’Avorio che sta studiando per diven-
tare infermiera e alcune giovani che
partecipano sia alla vita comunitaria
sia alla missione educativa per vivere
un’esperienza formativa e compren-
dere qual è la loro vocazione.
La nostra casa, ci spiega suor Sylvia,
ospita diverse Istituzioni, quindi sono
molti i laici impegnati nell’ambiente;
proviamo a fare un giro virtuale tra le
molteplici realtà istituzionali.
Da 65 anni le Figlie di Maria Ausi-
liatrice dirigono la scuola dell’infan-
zia del villaggio, i bambini si diver-
tono, soprattutto perché c’è molto
spazio per giocare, sono 40 bimbi
divisi in due gruppi, qualcuno di loro
appartiene a famiglie di profughi.
Elisabeth Prantner dirigente della
scuola dell’infanzia, il Kindergarten,
ci comunica la sua esperienza: Il no-
stro team offre conoscenze ai bambini,
trasmette la gioia di vivere e favorisce
un atteggiamento positivo verso la vita.
La missione è vissuta secondo lo stile di
don Bosco, quindi è una relazione che si
basa sul rispetto e sulla stima, così che i
bambini possano avere la possibiltà di
sviluppare armonicamente la propria
personalità, soprattutto perché si cerca di
rafforzare in loro, mediante le svariate
attività, l’autostima e la fiducia.
Oltre alla scuola dell’infanzia, la co-
munità porta avanti la missione con
i bambini e i ragazzi delle classi suc-
cessive anche tramite le attività del
doposcuola e le molteplici iniziative
per il tempo libero. Leon, di 8 anni,
ci conferma quanto suore ed educato-
20
Giugno 2019

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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ri asseriscono; a lui chiediamo come
si trova al doposcuola e ci risponde
che “Qui c’è sempre molto divertimento
e posso giocare con i miei amici. Fare i
compiti insieme è più bello che farli da
soli a casa!”.
Nella struttura (nel 1953) era presen-
te anche un internato per giovani dai
10 ai 18 anni che frequentavano sia la
scuola media sia il liceo; attualmente
è chiuso, ma suore ed educatori han-
no aperto due case famiglia per ri-
spondere alle necessità del territorio,
così i ragazzi, tra gli 8 e i 15 anni, con
problemi personali, familiari o socia-
li, ritrovano gradatamente la serenità
e l’amore per la vita.
Il dirigente delle due strutture, Aaron
Latta, ci dice: «Offriamo alle bambi-
ne e alle ragazze un ambiente fami-
liare per tutto l’anno e alle famiglie
l’assistenza sociale per svolgere i com-
piti educativi. Il gruppo è una rete so-
ciale molto importante per le ragazze,
in esso riconoscono i propri talenti
e le varie risorse per fronteggiare le
inevitabili difficoltà. Imparano a fare
delle proprie ferite un’opportunità di
maturazione. Sosteniamo la loro for-
mazione scolastica e lo svilluppo delle
abilità necessarie per far fronte alla
vita quotidiana, svolgiamo attività per
il tempo libero che permettono loro
di acquisire una certa autonomia».
Il segreto del team
Un team che funziona bene ha un se-
greto e per gli educatori di Stams è
nella spiritualità salesiana, nello sti-
le salesiano come metodo educativo,
quindi all’insegna dell’allegria, della
cordialità, dell’attenzione, di una pre-
senza benevola ed attiva che condivi-
de senza giudicare la vita dei giovani,
aprendoli così alla confidenza perché
possano essere felici nel senso auten-
tico del termine. Il metodo educativo
salesiano racchiude ogni significato
di Kinder und jugendhaus: Casa per
bambini e giovani, non intesa come
mura ma come clima che chiama cia-
scuno per nome e fa sentire di essere
amati personalmente.
Guardando all’oggi, suor Sylvia ci
dice che nel 2007 l’offerta per le ra-
gazze è stata ampliata mediante la
realizzazione dell’appartamento Lau-
La comunità che gestisce l’opera di Stams, scuola
d’infanzia e molteplici altre attività.
rita nel quale vivono 2 o 3 ragazze, tra
i 15 e i 18 anni, per diventare sempre
più indipendenti. In tale esperienza
di semi-autonomia i giovani impara-
no ad amministrare i soldi e a saper
gestire con libertà la propria esisten-
za. Recentemente è stata aperta una
terza ed analoga struttura Laurita, il
nome è in ricordo di Laura Vicuña,
exallieva delle Figlie di Maria Au-
siliatrice attualmente tra le beate
più giovani e venerate dalla Chie-
sa cattolica. Dal 2011 le Istituzioni
pedagogiche sono parte integrante
dell’associazione per la formazione
e l’educazione e le attività formative
sono affidate alle suore.
Ci rendiamo conto che, in base alla
capacità di saper lavorare insieme, la
casa di don Bosco è una casa piena
di vita, dove si vive in un’atmosfera
di famiglia fatta di volti che si rico-
noscono reciprocamente: è così che si
diventa persona e si cresce. Kinder und
jugendhaus: luogo dell’amicizia, spa-
zio per gli affetti, arte del dialogo.
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MARIA AUSILIATRICE
LNUAATANLAEMMUARFAFIOLI
Il pittore quasi invisibile
MARIA AUSILIATRICE
VALDOCCO
Enrico Reffo
e la Basilica di
Maria Ausiliatrice
Certamente il pittore Enrico
Reffo ebbe tutto l’agio di co-
noscere don Bosco; era nato
nel 1831 e la familiarità con
il nostro è testimoniata da
un bel ritratto (certamente
realizzato con l’ausilio della memoria
perché datato 1909), che fu preceduto
da un disegno preparatorio. Il ritrat-
to fu messo nella primitiva sacrestia
di Maria Ausiliatrice, accanto ad al-
tre personalità legate al mondo sa-
lesiano. Nel 1880-81 don Bosco gli
aveva commissionato la parte più si-
gnificativa delle pitture per la nuova
chiesa di San Giovanni Evangelista,
allora posta ai margini della città e
prospiciente via del Re (l’attuale cor-
so Vittorio Emanuele II). Per il suo
coinvolgimento nella basilica di Ma-
ria Ausiliatrice bisognerà aspettare i
Il celebre ritratto
che Enrico Reffo
fece di don Bosco.
Nelle altre pagine :
Le opere descritte
nell’articolo.
Amico di don Bosco,
fratello di don Eugenio
divenuto fedele
collaboratore di san
Leonardo Murialdo, ha
lasciato nella Basilica di
Maria Ausiliatrice alcuni
“tocchi” discreti, che
testimoniano la sua fede
genuina e delicata.
primi anni novanta dell’Ottocento
durante il rettorato di don Rua.
All’indomani della morte di don Bosco
il suo primo successore, si diede d’im-
pegno a decorare il santuario dell’Au-
siliatrice. Le pareti interne della chiesa
erano come l’aveva lasciata don Bosco,
povere di decorazioni importanti e gli
altari erano corredati dalle pale circon-
date da una semplice cornice in stucco
e da decorazioni dipinte sul muro. Per
renderla più decorosa e idonea all’ac-
cresciuta devozione, don Rua e i sa-
lesiani con lui, decisero di investire le
offerte in opere di abbellimento.
Si cominciò con il commissionare al
pittore Giuseppe Rollini la decora-
zione della superficie interna della
cupola della chiesa. Per don Rua si
trattava di tener fede ad un voto for-
mulato in occasione della sepoltura
a Valsalice del corpo di don Bosco.
Con questa impresa decise anche di
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ampliare il cantiere e di ab-
bellire tutto l’interno del-
la chiesa: si decorarono le
grandi lesene con stucchi
e si creò una nuova cornice
marmorea all’altare di San
Giuseppe e di San Pietro,
si rifece, per intero, l’altare
maggiore. Il progetto del-
la macchina marmorea che
doveva ospitare la grande
tela del Lorenzone fu affi-
dato all’architetto Crescen-
tino Caselli (1849-1931) (lo
stesso che preparò i disegni
dell’Istituto di Riposo per la
Vecchiaia, usualmente denomi-
nato i Poveri Vecchi, e del municipio
di Cagliari). Per realizzare la volontà
di don Rua furono chiamati scultori,
come Giacomo Ginotti (1845-1897),
e pittori come Enrico Reffo. Le due
sculture affidate al Ginotti non an-
darono oltre lo stato di bozzetti in
gesso (attualmente conservati nella
chiesa dell’Istituto salesiano di Val-
salice).
L’Eterno Padre
e gli angioletti
Al Reffo i Salesiani commissionarono
i cartoni con raffigurato l’Eterno Pa-
dre, per il timpano al culmine dell’al-
tare del Caselli e i due angioletti da
mettere nei triangoli di risulta della
pala, opere queste da tradursi in mo-
saico. Questi stessi elementi furono
successivamente staccati e riutilizzati
nel successivo nuovo altare su dise-
gni di Giulio Valotti. Inoltre il Ref-
fo realizzò, su lastra metallica, sedici
teste alate di cherubini da collocare
nei triangoli di risulta delle arcatelle
poste alla base della pala dell’Ausi-
liatrice: sono delle immagini gustose
di bambini sorridenti o imbronciate,
degne di figurare come immagini in
un presepio. Tutti questi elementi
sono ora conservati nella cripta di San
Pietro (sotto la sacrestia della basilica)
assieme all’altare di San Pietro (dove
attualmente c’è quello di don Bosco)
e alle quattro colonne, in breccia afri-
cana, che abbellivano la grande cor-
nice che conteneva la pala dell’Ausi-
liatrice.
I tre martiri
In quell’occasione si mutarono anche
i titolari di due altari: quello dedica-
to ai Sacri Cuori di Gesù e di Ma-
ria (la pala nel frattempo fu spedita
a Caserta per decorare la chiesa della
nuova opera salesiana) che fu intito-
lato al patrono della Congregazione
san Francesco di Sales, e il primo a
destra, entrando in santuario, da don
Bosco intitolato a sant’Anna (attual-
mente è dedicato a santa Maria Do-
menica Mazzarello), don Rua lo mutò
con la dedica ai santi torinesi Avven-
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MARIA AUSILIATRICE
tore, Solutore e Ottavio. Per questi
due altari il Reffo approntò, nel 1893,
due nuove pale: la prima vede il San-
to vescovo inginocchiato in atteggia-
mento orante e scrive le sue opere con
lo sguardo fisso al cielo da dove trae
ispirazione. La seconda composizione
è inconsueta, i tre martiri, rivestiti
come soldati romani, sono affiancati e
ritti sulle nubi, i due estremi reggono
le palme del martirio mentre quello
centrale tiene spiegata una bandiera
bianca con una croce rossa, certamen-
te segno della loro fede, ma pure me-
moria dello stemma sabaudo. Nello
squarcio tra le nubi, si può intrave-
dere una visione della città di Torino,
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dominata da una luminosa
croce bianca, a richiamare la
protezione dei martiri sulla
loro città; in basso a destra
si intravede una parte della
facciata e la cupola di Ma-
ria Ausiliatrice avvolte dalla
nebbia della Dora. È curioso
che i volti dei tre martiri non
siano per nulla idealizzati ma
abbiano dei tratti realistici,
quasi fossero modelli utiliz-
zati dal Reffo. Questa tela è

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PITTORE DEL SACRO
ora collocata in un altare alle spalle
del presbiterio.
Il pittore dipinse pure, sulle pareti la-
terali, in alto, quasi a livello dell’im-
posta della volta, due scene (attual-
mente non visibili perché occultate
dalle due tele del Crida e portate
alla luce durante gli ultimi restauri)
che narrano le estreme vicende dei
tre santi: la prima raffigura il mar-
tirio di Avventore e Ottavio mentre
Solutore sta sfuggendo ai carnefici.
È interessante notare come il pitto-
re, per rendere più veridica la scena,
abbia raffigurato come fondale l’im-
bocco della valle di Susa, si ricono-
scono il monte Musinè, la becca su
cui sorgerà la Sacra di San Michele
e, in lontananza, il Rocciamelone.
La seconda rappresenta il funerale di
Solutore, ucciso nel Canavese dove si
era rifugiato: il feretro, trasportato
su un carro, è seguito dalla matrona
Giuliana.
Enrico Reffo era nato a Torino nel 1831;
iniziò a lavorare come gioielliere ma, nel
poco tempo libero, seguiva le lezioni di
pittura da Gaetano Ferri (1822-1896)
all’Accademia Albertina.
Uscito per miracolo da una malattia gra-
vissima, fece voto che avrebbe dedicato la
sua attività di artista per dipingere quadri
a soggetto sacro. A soli 25 anni terminò
gli studi all’Accademia e aprì un primo stu-
dio in città, in via dei Mercanti, passò poi
ad un secondo, più ampio ambiente in via
Carlo Alberto.
Infine, grazie anche al fratello Eugenio,
braccio destro di san Leonardo Murial-
do, si installò in un locale del Collegio
degli Artigianelli di via Palestro, sempre
a Torino. Nel collegio vi rimase per oltre
sessant’anni insegnando disegno, pittura
e scultura e approntando tele per nume-
rose chiese piemontesi e cartoni per cicli
di affreschi.
Per i salesiani, oltre le opere per il san Gio-
vanni Evangelista e per Maria Ausiliatrice,
realizzò alcune tele per la chiesa del Colle-
gio di Valsalice. L’opera sua più completa e
impegnativa è la decorazione della chiesa
di San Dalmazzo in via Garibaldi a Torino.
Morì il 16 luglio del 1917.
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A TU PER TU
MARTIN LASARTE
Eroi a piedi nudi
Padre Charles Taban
Charles è salesiano
sacerdote e viene da Wau,
nel Sudan del Sud. Ha
incontrato i salesiani in
Kenya, dove era fuggito
dalla guerra civile nel
suo Paese. Al momento
è economo a El Obeid
(Sudan). È molto bravo ad
entrare in sintonia con i
giovani nel loro ambiente.
La storia
della mia vocazione
Avevamo sentito tante storie di guer-
ra, ma nella maggioranza di queste
storie, la guerra era sempre combattu-
ta in una terra lontana. Sebbene aves-
simo visto degli sfollati nella mia cit-
tà, negli anni Novanta, avessimo già
ascoltato orribili storie di spargimen-
to di sangue e visto sui loro volti le
inconfondibili cicatrici della violenza
e anche la sofferenza dei loro bambini
malnutriti, non potevamo immagina-
re che una tale situazione sarebbe sta-
ta alla porta di casa nostra nel genna-
io del 1998, quando una guerra vera e
propria raggiunse il nostro focolare ed
ebbe luogo sotto i nostri occhi.
Fu in questa confusione straziante che
lasciai la mia casa insieme ad alcuni
dei miei amici, pensando che sarem-
mo tornati in un paio d’ore, poiché
eravamo certi che i ribelli avrebbero
ripreso il controllo e l’ordine sarebbe
tornato molto presto nella nostra cit-
tà. Ma quella si rivelò soltanto un’il-
lusione. Mentre le notizie sugli orrori
perpetrati dagli organi di sicurezza
del governo sugli spietati assassinii
di giovani continuavano a giungerci,
ci convincemmo che era venuta l’ora
di fuggire e di rinunciare al sogno di
tornare a casa presto.
Incoraggiati dagli altri, abbiamo do-
vuto percorrere centinaia di chilome-
tri attraverso la boscaglia verso una
destinazione che potesse offrirci pace
e sopravvivenza. Il nostro viaggio è
andato oltre la mia più sfrenata im-
maginazione. Spesso i miei compagni
ed io viaggiavamo a piedi. Ben pre-
sto abbiamo imparato che era meglio
camminare di sera e di notte, per
evitare di essere catturati dalle forze
governative o essere costretti ad unir-
ci ai vari gruppi di ribelli che erano
attivi nel territorio. Camminare di
notte, pur avendo il vantaggio di es-
sere più fresco, aveva i suoi rischi, dal
momento che gli animali selvatici – in
particolare i carnivori – sono più atti-
vi in quelle ore. Abbiamo imparato a
riconoscere i diversi suoni della notte
e sapevamo quando fermarci, quando
cambiare direzione e quando non c’era
pericolo e quindi potevamo procede-
re. Un altro vantaggio del camminare
di notte era che i serpenti (in parti-
colare quelli velenosi) di solito non si
trovavano. Presto divenne evidente
che la vita non poteva continuare così
a lungo. Ho deciso di cercare una vita
migliore nell’Africa orientale e così il
Kenya è diventato la mia destinazio-
ne. Dopo diversi giorni di un faticoso
viaggio a piedi e, di tanto in tanto,
sul cassone di un camion, finalmen-
te mi sono ritrovato nella fredda città
di Nairobi senza nulla per difender-
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mi dal freddo, tranne l’amore di Dio
che mi aveva accompagnato in tutti
quei difficili giorni. Anche le parti di
questo viaggio fatte in camion furono
piuttosto avventurose. Di solito viag-
giavamo su camion per trasporto di
bestiame. I bovini erano sul pianale
del camion e la gente era appollaia-
ta in cima, aggrappata alla struttura
metallica che in origine doveva soste-
nere una copertura di tela cerata. Il
rischio di stare appollaiati lassù può
essere visto in questo incidente. Una
volta uno dei miei amici si è distratto
e non si è reso conto che il camion su
cui viaggiavamo sarebbe passato mol-
to vicino sotto un albero di acacia spi-
nosa. Si abbassò rapidamente, ma non
fu abbastanza veloce, come avrebbe
scoperto quella notte. Infatti, quando
stava per mettersi a letto, mentre cer-
cava di togliersi i pantaloni, inciampò
su di loro e cadde a terra. Che cosa
era successo? Durante il passaggio del
camion molto vicino a quei rami, una
spina acuminata di acacia gli aveva
attraversato i pantaloni, si era infilata
nel muscolo del gluteo e gli teneva i
pantaloni saldamente “ancorati”, in
un modo di cui non si era reso con-
to tutto il giorno! Ma ora torniamo
a Nairobi. Dopo una notte insonne
dovuta al freddo della città, un buon
samaritano mi trovò e mi portò a casa
sua per due giorni, mentre mi aiutò
a mettermi in contatto con varie per-
sone. L’ultimo contatto che abbia-
mo tentato è stato con i salesiani di
Nairobi, che mi hanno accolto senza
indugi e mi hanno trattato non come
un estraneo, ma come un giovane che
aveva un disperato bisogno di atten-
zione. Anche se ero uno straniero e
un rifugiato, non mi sono sentito mai
escluso, ma trattato come qualunque
altro ragazzo kenyano.
Una specie di fuoco
nel mio cuore
All’inizio del 1999, sono stato inviato
ad Embu per le scuole superiori e lì è
iniziata una nuova fase di esperienze
nella mia vita. Lo spirito di famiglia
vissuto sia dai Salesiani sia dagli stu-
denti di Don Bosco Embu ha acceso
una specie di fuoco nel mio cuore che
mi ha portato a sentirmi completa-
mente a mio agio. Ad Embu, non mi
sono mai sentito estraneo, ma accolto:
il colloquio amichevole con i salesiani,
i piccoli gesti di gentilezza e d’amore
mostratimi dai salesiani hanno acce-
so il desiderio nel mio cuore di essere
come loro, per poter essere a mia volta
vicino ed attento ad altri giovani, bi-
sognosi della mia attenzione.
La svolta della mia storia vocazionale
è arrivata con il Triduo Pasquale del
2001, durante un ritiro giovanile a cui
ho partecipato a Nairobi. L’esperienza
del raccoglimento e della preghiera mi
ha permesso di guardare alla mia vita
con un senso di gratitudine a Dio per
la sua protezione durante quei giorni
nella savana del Sud Sudan, mentre
camminavo tra le mine, gli animali
selvatici, a stomaco vuoto, senza ac-
qua pulita. Lui mi ha guidato e pro-
tetto lungo il cammino verso la mia
nuova casa in Kenya e per molte altre
occasioni in cui si è preso cura di me.
Il ritiro, alla fine, mi ha sfidato a fare
qualcosa di tangibile per esprimere la
mia gratitudine a Dio. L’espressione
tangibile della mia gratitudine a Dio
è diventata la mia decisione finale di
consacrare la mia vita a Dio come sa-
lesiano. Le sfide incontrate durante i
miei anni di formazione iniziale sono
state difficili, ma il desiderio di di-
ventare salesiano per servire i giovani
meno privilegiati mi ha continua-
mente motivato.
Dopo tante tribolazioni e tante sfide,
Charles è ordinato prete.
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A TU PER TU
Daniel Kolonga
Daniel Kolonga è originario di Torit (Sud Sudan).
Ha incontrato i salesiani al campo rifugiati di Kakuma,
al nord del Kenya, dove era arrivato da ragazzo
con la nonna, fuggendo dalla guerra.
Salesiano perché ho
incontrato testimoni
Il mio Paese è in guerra “da sempre”...
La prima guerra civile sudanese è
iniziata nel 1955 ed è durata fino al
1972. È stata un’eredità della domi-
nazione britannica e ha visto i “ribel-
li” del Sudan meridionale combattere
contro i sudanesi del nord. Quelli del
sud richiedevano più rappresentanza
e più autonomia regionale nello Stato
che si stava appena creando. In realtà,
la guerra civile è iniziata ancor prima
della celebrazione dell’Indipendenza,
il 1° gennaio 1956! Ciò che divenne
inaccettabile per la popolazione del
sud fu il fatto che – già prima dell’in-
dipendenza – le autorità britanniche
avevano accettato che le posizioni
amministrative nel Sud fossero co-
perte da sudanesi del nord, mentre
c’erano tra i sudanesi del sud ammi-
nistratori capaci. L’arabo fu anche
imposto come lingua nel Sud, dove
la lingua utilizzata per l’educazione
era stata l’inglese. Quando la guerra
finì nel 1972, molti al sud erano an-
cora scontenti e la situazione peggio-
rò fino a quando scoppiò la Seconda
Guerra Civile Sudanese nel 1983, che
durò fino al 2005. Questa fu in realtà
una continuazione della Prima Guer-
ra Civile. Con una durata di 22 anni,
questa è una delle guerre civili più
lunghe della storia e ha causato circa 2
milioni di morti, diventando la guerra
con il più alto numero di morti tra i
civili dopo la seconda guerra mon-
diale! Circa 4 milioni di sud sudanesi
hanno dovuto lasciare la propria terra
almeno una volta durante il conflitto
e sono così diventati rifugiati o sfol-
lati interni.
Con l’aggravarsi della situazione poli-
tica in Sudan a causa della guerra ci-
vile, la vita era diventata così difficile,
che sono stato costretto a cercare rifu-
gio da qualche parte. Di conseguen-
za, sono fuggito e mi sono ritrovato
«Dopo diversi colloqui e preghiera, ho deciso di
avviare un gruppo vocazionale nel campo».
con mia nonna nel campo profughi
di Kakuma, nella parte settentriona-
le del Kenya. Oltre a ciò che ci ve-
niva passato dall’
, non c’era
nient’altro, quindi non era una vita
di benessere e di allegria, ma a mala
pena di sopravvivenza.
L’
non era l’unica agenzia al
servizio dei rifugiati. I Salesiani di
Don Bosco provvedevano anche un
altro tipo di servizi, che erano piut-
tosto speciali perché i Salesiani erano
l’unica agenzia che viveva proprio con
i rifugiati nel campo. Si prendevano
cura del lato spirituale della crescita
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umana attraverso una parrocchia con
dieci cappelle sparse per il campo.
Offrivano anche corsi tecnici gratuiti.
Inoltre, aiutavano noi giovani, a cre-
scere socialmente, umanamente e ad
accettare la nostra identità attraverso
corsi di formazione e programmi di
animazione. Sebbene le altre agenzie
delle Nazioni Unite organizzassero
anch’esse alcune di queste attività,
come i festival teatrali e gli sport, non
era la stessa cosa, perché potevamo
vedere la differenza tra le , che
svolgevano queste attività per ragioni
finanziarie, ed i Salesiani che orga-
nizzavano tutto con tanto impegno,
ma gratuitamente, con una sincera
preoccupazione per la nostra crescita
e sviluppo.
C’erano anche molti momenti di for-
mazione dei giovani per l’educazione
alla fede attraverso il catechismo, studi
biblici, gruppi di preghiera e persino
momenti di preghiera di casa in casa
con i membri della famiglia, special-
mente nelle ore serali. Il culmine di
tutte queste attività, per me, fu quan-
do un salesiano mi battezzò nel 2005.
Questo è stato l’inizio della mia vita
cristiana. Ho iniziato a essere coinvol-
to in molte attività della Chiesa, come
visitare i malati negli ospedali e anche
aiutare altre persone nelle comunità,
attraverso il lavoro comunitario con il
gruppo dei giovani.
E proprio in mezzo a queste attività
e nell’interazione con i salesiani, ho
sentito la chiamata a condividere la
mia vita con gli altri proprio come
quei salesiani che si sono dedicati a
noi e ci hanno aiutato ad accettare noi
stessi e a sentirci essere umani com-
pleti con dignità, fede, convinzioni,
valori e storie da narrare. È stato mol-
to difficile per me dire che li ammi-
ravo e aspiravo a diventare salesiano,
perché temevo di essere frainteso e
non essere accettato dai salesiani, dato
che ero un rifugiato. Tuttavia, ho cer-
cato consiglio dal direttore e parroco
di quel tempo. Dopo diversi colloqui
e preghiera, lui ha deciso di avviare
un gruppo vocazionale nel campo.
Mi sono unito al gruppo e, insieme
ad un mio amico, abbiamo guidato il
gruppo con l’aiuto del catechista. Era
un gruppo vivace; abbiamo lavorato
molto insieme per favorire la crescita
della nostra fede cristiana. Pregava-
mo il Rosario insieme ogni mattina
prima dell’Eucaristia e poi andavamo
a scuola.
Il lungo cammino
della mia vocazione
Quando infine ho espresso il desi-
derio di farmi salesiano, mi è stato
detto che avrei dovuto entrare in
Insieme a un mio amico abbiamo formato un
gruppo vivace e lavoriamo insieme per favorire
la crescita della nostra fede cristiana.
Congregazione nel mio Paese. Gra-
zie alle connessioni stabilite dal di-
rettore, ho potuto farmi salesiano in
Sud Sudan. Come salesiano, oggi,
trovandomi tra i giovani, sono gra-
to ai confratelli che hanno vissuto
con gioia la loro vocazione salesiana
tra noi nel campo profughi, dan-
doci speranza per il futuro, protesi
verso gli altri, indipendentemente
dalla nostra storia travagliata. In ef-
fetti, la chiamata di Dio è per tutti
coloro che vi rispondono con gioia.
Senza dubbio, l’accompagnamento
vocazionale è cruciale. Ricordo un
salesiano che mi consigliò di essere
paziente per tre anni quando i miei
famigliari si rifiutavano di accettare
la mia scelta perché credevano che,
essendo il primogenito, dovessi aiu-
tare mio padre a prendersi cura dei
miei fratelli più piccoli. Non è stato
facile, ma ringrazio i confratelli che
mi hanno accompagnato e guidato
nel mio percorso vocazionale.
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I RAGAZZI DEL PAPA
B.F.
Il beato Pier Giorgio
Frassati
«Uno studente bello e vigoroso,
un modello di fratello ideale»
(san Paolo VI)
Un giorno una mendicante ave-
va bussato alla porta di casa
(a Torino). Aveva un bimbo
scalzo in braccio. Pier Gior-
gio, guardando solo un istan-
te il volto di quella donna,
vide che non era una «mendicante
di professione» (a cui il papà aveva
proibito di dare qualunque cosa), ma
una mamma disperata. Si cavò velo-
cemente scarpe e calze, le passò alla
donna e chiuse precipitosamente la
porta, prima che papà o mamma po-
tessero protestare. La prima volta che
fu alla scuola materna, durante la co-
lazione, «vide» un bambino che pian-
geva. Gli altri l’avevano isolato in un
angolo perché aveva la faccia coperta
di croste disgustose. Pier Giorgio si
avvicinò, gli disse sorridendo: «Non
piangere», e l’aiutò a mangiare la sco-
della di pane e latte imboccandolo
con il suo cucchiaio.
Un pomeriggio, vicino al parco del
nonno, vide una giovane suora che
raccoglieva dei fiori nella siepe. Capì
al volo che li raccoglieva per la chiesa,
corse all’aiuola delle rose e prese la rosa
rossa più bella. Sempre di corsa andò
dalla suora e gliela porse: «Per favore,
questa rosa la porti a Gesù per me».
Fin dai primi anni (molto prima che
se ne accorgesse anche Luciana) ave-
va «visto» a tavola la sorda tensione
tra mamma e papà. Papà (il più fa-
moso giornalista di Torino) tornava
in famiglia alle 12 e alle 19,30 in
punto, per i pasti. Si tratteneva un
tempo brevissimo in compagnia dei
figli. La mamma, pittrice di una cer-
ta fama, era quasi sempre fuori casa.
Malintesi, incomprensioni si era-
no accumulati. Non si volevano più
bene. Stavano insieme soltanto per i
figli, perché la gente «non sparlasse».
Ma a tavola l’atmosfera era tesa, e a
volte dalla bocca della mamma usci-
va qualche frase amara e pungente,
e gli occhi di papà diventavano di
ghiaccio. Pier Giorgio vedeva, capiva
tutto, soffriva dentro. E con Luciana
(quando anche lei capì) decise di fare
qualunque sacrificio perché rima-
nessero insieme.
Da ragazzini, Pier Giorgio e Luciana
furono invidiati dai loro compagni.
Papà, Alfredo Frassati, era avvocato,
e specialmente proprietario e diret-
tore de «La Stampa», il giornale più
diffuso e autorevole di Torino. Nel
1913 sarà eletto senatore, e nel 1921
inviato come ambasciatore nella capi-
tale della Germania. La loro mamma,
Adelaide Ametis, aveva talento per la
pittura. I suoi quadri erano ammessi
alla Biennale di Venezia.
Le labbra gonfie di pugni
Ma se gli altri ragazzini invidiavano i
Frassati per la bella casa e l’automobi-
le, anche Pier Giorgio e Luciana sen-
tivano invidia per gli altri ragazzi: più
poveri, ma con un papà e una mamma
che si volevano bene. Testimoniò la
cuoca Carolina Masoero: «Non erano
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4.1 Page 31

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certo ragazzi felici... Vivevano sempre
un po’ spaventati».
Quando all’uscita da scuola (avvenne
tante volte!) si sentivano chiamati con
irrisione «i figli di papà», Pier Gior-
gio mollava tutto, e faceva a botte
con i pugni e menando lo zainetto.
Era svelto e robusto, picchiava sodo,
e non si lamentava di prenderne la sua
parte. Tornava a farsi mettere l’acqua
fredda sulle labbra gonfie dalla cuo-
ca Carolina, che sospirava: «Che non
se n’accorga la signora, per l’amor di
Dio!».
Chi insegnò a Pier Giorgio a vedere
Dio nella bellezza del cielo e nella
faccia umiliata dei poveri? Chi aprì
per la prima volta insieme con lui le
pagine del Vangelo? L’avvocato Fras-
sati lasciò fare completamente alla
moglie. Adelaide, che di queste cose
non s’intendeva molto, lasciò fare a
sua madre, un’anziana signora di fede
purissima, che Pier Giorgio chiamò
sempre «nonna Linda». Fu quindi
sulle ginocchia della nonna che Pier
Giorgio sentì raccontare i primi «fat-
ti» della vita di Gesù, fu dando la
mano a lei che entrò per la prima vol-
ta a salutarlo nella chiesa, dove la sua
presenza era segnalata da una silen-
ziosa lampada rossa. L’Eucaristia, il
Vangelo, i poveri: i tre «luoghi » dove
Pier Giorgio incontrò per tutta la vita
Gesù, che divenne la sua passione più
bruciante. Tre «luoghi» che gli furo-
no rivelati, aperti, dalle mani esili di
nonna Lidia.
«È venuto Gesù,
e tu l’hai mandato via»
Alla prima Comunione non lo pre-
parò soltanto la nonna, ma anche la
maestra Emilia Giuliano e don Gros-
si. Quell’incontro con Gesù Euca-
ristia fu una cosa seria, molto seria.
Non fu l’occasione per inaugurare le
scarpe nuove o per abbuffarsi di pa-
sticcini. Lo si vide dai fatti.
«Un giorno – lo ricorda Luciana –
Pier Giorgio e papà furono avvicinati
da un poveraccio male in arnese, che
tendeva la mano dicendo di avere
fame. Papà disse a Pier Giorgio: “È
un ubriaco”, e tirò avanti. Ma Pier
Giorgio si fermò un attimo, e vide su
quella faccia la fame vera, insieme alla
tristezza, e allora si mise a rincorrere
il babbo, e a protestare e a piangere
camminandogli accanto. “Ma che
hai?” fece a un tratto il papà seccato.
E lui: “È venuto Gesù, e tu l’hai man-
dato via”. E la durò così a lungo, che
ottenne la promessa che papà avrebbe
preso informazioni su quel poverac-
cio, e se davvero era misero l’avrebbe
aiutato».
In questi verdissimi anni, il taciturno
zio Pietro (l’amministratore del gior-
nale di papà) comunicò a Pier Giorgio
una nuova passione: le scalate. Arran-
carono dapprima sulle colline tori-
nesi, poi la prima vera escursione in
vetta al Mucrone, la montagna nevosa
che Pier Giorgio aveva visto arram-
picandosi sulla sequoia. Seguirono i
monti splendidi della Valle d’Aosta.
«Fracassati»
e i foglietti rosa
Nell’autunno 1913, Pier Giorgio en-
trò nell’Istituto Sociale dei gesuiti.
Non soffrì nemmeno una giornata di
timidezza. Si scatenò nel chiasso, ne-
gli scherzi, pronto anche a fare a botte
se occorreva. Gli amici lo ribattezza-
rono «Fracassati». Si prese i suoi casti-
ghi e le sue «ammonizioni scritte» da
far firmare a casa (allora si chiamava-
no «foglietti rosa»).
Ma questo non gli impediva di essere
uno studente tenace, con una volontà
testarda. «Ricordo – ha scritto un suo
professore – che quando cominciai ad
averlo come allievo, era lento nel ca-
pire e duro come un montanaro; ma
altrettanto tenace». A casa e a scuola
si meritò un nuovo soprannome, «Te-
Pier Giorgio Frassati era l’anima di un gruppo
di amici con cui combina scherzi clamorosi al
Politecnico, amici e amiche con cui realizza
scalate sui monti in rumorosa allegria.
Giugno 2019
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4.2 Page 32

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I RAGAZZI DEL PAPA
sta dura». Come cristiano non rimase
un bambino. La sua amicizia con il
Signore divenne più grande, robusta,
impegnata. Dopo essersi consigliato
con il suo confessore, decise di fare la
Comunione tutti i giorni. La purezza
limpida che brillò sempre nei suoi oc-
chi, nelle sue parole, nelle sue matte
risate, la conquistò in quel giorno.
Due amarezze, una
laurea e un distintivo
Non era finita, purtroppo, la miseria
portata dalla guerra. La vide nelle
facce disperate e rabbiose degli ope-
rai che iniziarono lo sciopero generale
nel 1919, occuparono le fabbriche nel
1920. Dal 1918 si era iscritto all’Uni-
versità. Il padre l’avrebbe voluto avvo-
cato come lui, per averlo accanto nella
direzione del grande giornale di To-
rino. Lui invece si era iscritto a inge-
gneria al Politecnico: «Voglio diven-
tare ingegnere minerario, per vivere
gomito a gomito con gli operai che
fanno il lavoro più duro che esista».
Non fu l’unica amarezza che diede a
suo padre in quegli anni. Lui era stato
eletto Senatore, e con il suo giorna-
le sosteneva le idee dei liberali. Pier
Giorgio, invece, portava all’occhiello
della giacca il distintivo con lo scudo
e la croce del Partito Popolare cattoli-
co. Uno dei capi della sinistra di que-
sto giovanissimo partito (fondato nel
1919) è Guido Miglioli, che ha radu-
nato nelle «leghe bianche» i braccianti
poverissimi e sfruttati della bassa pa-
dana, e si batte perché abbiano delle
condizioni di vita più umane. Pier
Giorgio sogna di fare la stessa cosa
tra gli operai.
Ma Pier Giorgio sa che i poveri che
si ammalano e muoiono nelle soffitte
non hanno il tempo di aspettare leggi
più giuste. Bisogna soccorrerli ora, far
presto.
Pier Giorgio è uno studente, e con
quel padre che ha, di lire ne vede po-
che. Eppure riesce ad aiutare moltis-
simi bisognosi, anche «nei più remoti
sobborghi di Torino: talvolta lo si ve-
deva tornare a piedi, perché si era ad-
dirittura privato degli ultimi spiccioli
per il tram; e talora senza cappotto,
perché non esitava a toglierselo di
dosso, se serviva a un povero».
Luciana, in un libro, ha raccolto oltre
cinquecento testimonianze su questo
suo prodigarsi in maniera silenziosa,
umile, senza che nemmeno in fami-
glia lo sappiano. Suoi compagni, in
questa continua opera di carità, sono
gli amici con cui combina scherzi cla-
morosi al Politecnico, amici e amiche
con cui realizza scalate sui monti in
rumorosa allegria.
I genitori e la sorella lo vedono uscire
prestissimo al mattino, tornare tardi
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La sorella Luciana, in un libro, ha raccolto oltre
cinquecento testimonianze del suo prodigarsi per
i poveri in maniera silenziosa, umile, senza che
nemmeno in famiglia lo sappiano.

4.3 Page 33

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alla sera. Non sanno delle sue visite ai
poveri, e a volte papà si arrabbia. Una
notte che non rincasa (sta passando-
la al capezzale di un malato in una
soffitta), il padre sempre più ansioso
telefona alla questura, agli ospedali.
Alle due si sente girare la chiave nella
porta, Pier Giorgio entra. Papà esplo-
de: «Puoi star fuori di giorno, di notte,
nessuno ti dice niente. Ma quando fai
così tardi telefona!». Pier Giorgio lo
guarda, e sottovoce risponde: «Babbo,
dov’ero io non c’era telefono».
Nelle festose gite in montagna, du-
rante le grigie giornate di studio, Pier
Giorgio ha cominciato a guardare con
più affetto un’amica, Laura Hidalgo.
Se n’è innamorato. Ha fretta di finire
gli esami, di conseguire la laurea, per-
ché la vuole sposare.
«Sto male. malissimo»
29 giugno 1925. Nonna Linda, la cara
vecchietta che è stata la luce della sua
infanzia, è alla fine della sua lun-
ga vita. Pier Giorgio è sconvolto da
questo fatto, ma sta male anche per
un’altra ragione. Nei giorni preceden-
ti ha vegliato dei malati poveri, senza
badare (come sempre) se la malattia
che avevano era o non era contagio-
sa. Nella tarda mattina del 29, la ca-
meriera Mariscia lo trova a letto, e lo
sgrida mezzo per ridere e mezzo sul
serio «perché è la prima volta che lo
vedo fare il poltrone». Pier Giorgio
sorride, ma l’acuto mal di schiena non
gli passa.
3 luglio. Papà e Luciana sono partiti
per Pollone. Accompagnano la salma
della nonna. La mamma è rimasta,
sfinita. A questo punto, Pier Giorgio
non ce la fa più a nascondere il male.
Sussurra alla mamma: «Sto male.
Malissismo». Nel pomeriggio viene il
medico Alvazzi. Trova Pier Giorgio
già semi-paralizzato. Con lo sguar-
do spaventato pronuncia una parola
terribile: poliomielite. È l’inesorabile
«paralisi progressiva», contro la quale
in quegli anni non esiste rimedio.
Pier Giorgio, che suda di continuo,
chiama con un gesto Luciana. Su una
busta, che lei gli porge, scrive con
fatica le sue ultime parole. Sono per
l’amico Grimaldi che l’accompagna
nelle visite ai poveri: «Ecco le iniezio-
ni di Converso...». Indica alla sorella
una scatola di iniezioni e le consegna
quella riga, quasi illeggibile.
Il tamtam dei poveri
Davanti agli occhi di Pier Giorgio,
che il male sta inchiodando nella pa-
ralisi, c’è il quadro grande e luminoso
della Madonna portata in cielo dagli
angeli. Nella stanza vicina, per non
farsi sentire, papà piange disperato.
Luciana gli stringe forte la mano, e
solo alle 19, quando si accorge che
quella mano è ormai irrigidita dalla
morte, scoppia in un pianto convulso.
La voce si è sparsa in poche ore, chis-
sà come, nei quartieri più miseri sul
tam-tam dei poveri. Davanti alla por-
ta di casa Frassati, nella vicina chiesa
della Crocetta, ce ne sono centinaia
che pregano, che bisbigliano davanti
a Dio per lui.
«Chi era nostro figlio?» si chiedono la
mamma e il papà.
La sera del 4 luglio la cuoca Ester, sul
calendario di cucina di casa Frassa-
ti scrisse 17 parole sgrammaticate e
struggenti: «Ore 7: Irreparabile sven-
tura Povero S. Pier Giorgio! Era San-
to e Dio l’ha voluto con sé!!».
Quando (molto presto) il Papa dichia-
rerà «santo» Pier Giorgio, qualcuno
dovrà dirgli che è stato preceduto da
una povera cuoca, su un calendario di
cucina.
La tomba di Piergiorgio Frassati nel duomo
di Torino.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
RAGIONIAMO
Il picchio deve la sua salvezza al fatto di usare la testa. Vale anche per l’uomo. I goal
della vita si fanno, utilizzando il cervello. Ragioniamo! È pericoloso lasciar vincere i folli!
6 Figlio unico: Seiniziateasentirviin
colpa perché sospettate
che vostro figlio si
guaio o fortuna? sentasolosenzafratelli,
ricordate che quasi tutti
i bambini con fratelli
a volte vorrebbero
essere figli unici.
L a nostra è, ormai, una socie-
tà di figli unici. In Italia sono
il 28%. Ebbene, essere figlio
unico è una fortuna o un pe-
ricolo? Un’opportunità o un
guaio?
Per offrire materiale alla discussione,
vediamo subito i pro e i contro di una
Foto Shutterstock.com
vita senza l’esperienza della ‘fratria’:
senza l’esperienza dei fratelli.
Secondo alcuni, i figli unici sarebbe-
ro più fortunati dei figli con fratelli.
Il fatto d’essere unico permettereb-
be di non conoscere l’invidia, alme-
no in casa.
Il figlio unico sarebbe meno ag-
gressivo, non avendo l’occasione di
bisticciare con la pestifera sorellina.
Sarebbe ambizioso per poter ri-
cambiare i genitori che tanto fanno
per lui.
Potrebbe sviluppare meglio l’in-
telligenza, avendo la possibilità di
studiare in pace nella sua cameretta
senza essere disturbato dagli strepi-
ti e dalle urla dei fratellini.
Secondo altri, i figli unici sarebbero
svantaggiati.
Senza fratelli, il bambino corre il
rischio di non imparare a collabo-
rare con gli altri. Lo sottolinea, ad
esempio, il pedagogista Luigi Pati:
“È difficile per un bambino diven-
tare un buon cittadino se non è abi-
tuato in famiglia ad essere generoso
con i fratelli e le sorelle, se non ha
imparato a condividere, ad essere
tollerante”.
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4.5 Page 35

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CRESCERE FIGLI UNICI FELICI
Il figlio unico può diventare ego-
centrico, freddo, narcisista, auto-
referenziale: tutti ostacoli pesan-
tissimi per la crescita armoniosa e
serena della persona umana.
Ancora. Il figlio unico può essere
caricato, da parte dei genitori di
aspettative superiori alle sue possi-
bilità. E così il figlio unico diventa
facilmente vittima di quella che vie-
ne chiamata la ‘sindrome del 4-2-1’:
4 nonni, 2 genitori, tutti in attesa
dei trionfi dell’unico rampollo.
Rampollo che non sempre è in
grado di soddisfare tante aspetta-
tive. Di qui sensi di colpa, caduta
dell’autostima e depressione.
Senza fratelli, c’è il pericolo che i
genitori proteggano troppo il bam-
bino. Ancora Luigi Pati osserva:
“La tentazione di portarlo conti-
nuamente dal pediatra o di non
allontanarsi un attimo da lui per
timore che gli succeda qualcosa, è
forte, fortissima. Volendo ad ogni
costo farlo felice, in realtà lo si ren-
de infelice”.
Finalmente, il figlio unico può
sentire in maniera molto amplifi-
cata le tensioni di coppia: privo di
un fratello con cui discutere e com-
Non siate eccessivamente vigili
I genitori di figli unici possono essere afflitti dalla sindrome da “rischio unico”. Diventano
ossessivamente prudenti e iperprotettivi e hanno paura a lasciare che i figli corrano dei pe-
ricoli o subiscano le conseguenze di quello che fanno. Ecco alcuni suggerimenti per evitare
simili trappole.
Permettete a vostro figlio di esplorare e fare esperienze, senza la vostra presenza.
Ricordate che tutti i genitori (anche quelli con più figli) sono in ansia la prima volta che un
figlio prende l’autobus o va da solo fino al negozio all’angolo della strada.
Una volta sicuri che vostro figlio sappia mettere in pratica tutte le norme di prudenza
che gli avete insegnato, cercate di non mostrare le vostre ansie e i vostri timori. Il vostro
desiderio è che vostro figlio si senta sicuro e capace, ma questo non accadrà se gli starete
sempre addosso.
Favorite le relazioni, numerose e diversificate
È vero che i genitori dei figli unici devono fare degli sforzi supplementari per favorire i con-
tatti al di fuori delle mura familiari.
Mantenete più contatti possibili con i vostri parenti. Fate sapere ai vostri figli che i nonni,
le zie, gli zii e i cugini fanno parte della famiglia anche se non vivono vicino. Una mamma,
che manteneva vivi i contatti e le visite reciproche tra parenti, si rallegrò molto quando il
figlio di otto anni iniziò a scambiare corrispondenza con il cugino che abitava all’altro capo
della nazione. I due bambini hanno sviluppato un rapporto fraterno che è cresciuto negli
anni senza la rivalità tipica di molti rapporti tra fratelli.
Coinvolgete vostro figlio in attività di gruppo sin dai primi anni di vita. Imparare a socia-
lizzare con i coetanei è fondamentale per i bambini.
Accogliete calorosamente in casa gli amici e i compagni di scuola di vostro figlio.
prendere quanto sta succedendo, il
figlio unico può soffrire enorme-
mente tutto chiuso in se stesso, fino
a rendersi insopportabile la vita!
Insomma, uno o più figli? A parte
l’aspetto economico che è di non
poco conto, il problema dal punto di
vista psicologico e pedagogico è mol-
to serio.
Infine, è importante gioire dei lati
positivi dell’avere un figlio unico,
piuttosto che rimanere concentrati
su quelli negativi. Diversi studi han-
no dimostrato che anche i figli unici
possono essere equilibrati, felici, crea-
tivi, affettuosi e brillanti come i bam-
bini che hanno fratelli, qualche volta
anche di più.
Foto Shutterstock.com
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Liberi da, liberi di...
e c’è un valore rispetto alla cui inter-
Ne conosco gente che sta ancora pretazione le generazioni sono spesso in
in viaggio / e non si è mai chiesta disaccordo è senza dubbio quello della li-
bertà. Per gli adolescenti esso è sinonimo
in fondo quale sia la meta. / Sarà di sperimentazione, di autodetermina-
che forse dentro sono un po’ Szione, del desiderio di dilatare la propria
Re Magio / e cerco anche in cielo soggettività per assecondare tutto ciò che genera
una stella cometa. indipendenza e gratificazione. Per gli adulti, in-
vece, il significato della libertà si carica inevita-
bilmente di nuovi risvolti etici, dell’esigenza di
Credo che ognuno abbia il suo modo di star bene
trovare un difficile equilibrio tra la dimensione
in questo mondo che ci ha intossicato l’anima.
incondizionata della progettualità e quella neces-
E devi crederci per coltivare un sogno
sitata del pragmatismo, tra la ricerca di autorea-
su questa terra spaventosamente arida.
Io l’ho vista, sai, la vita degli illusi,
con le loro dosi di avidità e superbia
che per combatterli, ti giuro, basta poco:
devi interdirli con un po’ di gentilezza.
Un’alluvione mi ha forgiato nel carattere,
però il sorriso dei miei mi ha fatto crescere;
se qualche volta ho anche perso la testa,
però l’amore mi ha cambiato l’esistenza...
Credo che ognuno abbia una strada da percorrere,
ma può succedere che non ci sia un arrivo.
E quanti piedi che s’incroceranno andando,
ma solo un paio avranno il tuo stesso cammino.
Ne conosco gente che sta ancora in viaggio
e non si è mai chiesta in fondo quale sia la meta.
Sarà che forse dentro sono un po’ Re Magio
e cerco anche in cielo una stella cometa.
Una passione mi ha cambiato nella testa,
ma sono un sognatore con i piedi a terra,
cerco di trarre da ogni storia un’esperienza
e di sorridere battendo la tristezza...
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4.7 Page 37

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lizzazione e la consapevolezza che l’appagamento
dei propri impulsi, dei propri bisogni e delle pro-
prie aspettative individuali non può prescindere
dal riconoscimento dei limiti del proprio agire e
dalla maturazione di un senso di responsabilità
nei confronti degli altri.
Da qui la difficoltà, per molti giovani in cammi-
no verso l’adultità, di ravvisare nel proprio percor-
so di crescita umana i segni di una accresciuta e
più tangibile libertà, quasi che la condizione adul-
ta coincidesse immancabilmente con la presa in
carico di obblighi e doveri sempre più vincolanti e
con la rinuncia all’esplorazione di nuove possibili-
tà, in nome di un realismo che sottrae ossigeno e
linfa vitale ai sogni e alle ambizioni più au-
tentiche. Si ha, anzi, l’impressione che
un eccesso di libertà possa diventare
dannoso e fuorviante, nella mi-
sura in cui esso si sostanzia
in un vuoto vagabondare
privo di punti di ri-
ferimento e di una di-
rezione di marcia che pos-
sa orientare il cammino e
in una rivendicazione scom-
posta di autonomia che rischia
di rimanere prigioniera dell’au-
toreferenzialità. E si finisce con il
giungere alla conclusione paradossale
che la libertà è un bene che va centellina-
to con il contagocce, un’esperienza che va
contenuta all’interno di confini ben de-
finiti se si vuole mantenere un controllo
saldo sulla propria vita, un’aspirazione
che, per quanto coincida con un dirit-
to fondamentale e inalienabile della
Quante cose fai che ti perdi in un attimo?
Quanti amici hai che se chiami rispondono?
Quanti sbagli fai prima di ammettere che hai torto?
Quanti gesti fai per cambiare in meglio il mondo?
Libero, libero, libero, mi sento libero!
Canto di tutto quello che mi ha dato un brivido,
e odio e ti amo e poi amo e ti odio,
finché ti sento nell’anima non c’è pericolo.
Dicono che è un’altra ottica, se resti in bilico;
dicono che più si complica, più il fato è ciclico;
dicono, dicono, dicono parole in circolo,
parole in circolo...
(Marco Mengoni,
Parole in circolo,
2015)
persona, spesso
può fare paura,
in quanto ci ob-
bliga a fare i conti
con le nostre scelte e,
come tale, ci espone sempre a dei rischi.
Si dimentica, invece, che diventare adulti impli-
ca necessariamente un salto di qualità nel modo
di intendere (e di vivere) la libertà, restituendole
il suo valore etico e riconnettendo il suo sen-
so più profondo alla dimensione aperta della
possibilità, alla facoltà costruttiva di poter fare
tutto quello che è in nostro potere per cambiare
in meglio il mondo e per rendere più ricca e si-
gnificativa la nostra vita. Essere uomini e donne
liberi significa, allora, vivere l’adultità con piena
coscienza delle proprie risorse esistenziali e de-
gli strumenti a propria disposizione per incidere
positivamente sulla società, al di là di ogni esi-
tazione e condizionamento. Ma soprattutto si-
gnifica riconoscere nell’altro che ci vive a fianco
non un ostacolo sulla via dell’affermazione di sé,
ma una fonte di arricchimento e di confronto
che sola può rendere possibile un’autentica espe-
rienza di libertà.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Un grande viaggiatore
Don Bosco si è sottoposto a tanti viaggi, talora
massacranti, per sviluppare l’“Opera degli Oratori”
che aveva fondato a Torino: dovunque andava cercava
di risolvere spinose questioni, studiava la possibilità
di fondare una nuova casa, incontrava ed incoraggiava
i confratelli.
Don Bosco fu un grande viag-
giatore. Ha viaggiato di not-
te, quando nei sogni sorvola-
va città, paesi e continenti e
vedeva ciò che non esisteva
ancora sulla terra (città, tre-
ni, case e collegi, missioni) e sotto-
terra (tunnel, tesori minerari…). E
quei sogni hanno tracciato le vie delle
missioni salesiane per oltre un secolo.
Ha viaggiato attraverso le migliaia di
lettere spedite ovunque. Non potendo
arrivare di persona, si è servito della
posta. Da Valdocco uno stuolo di let-
tere, quasi stormo di rondini, si sono
posate in ogni parte del mondo; mani
tremanti e commosse di destinatari le
hanno aperte, occhi ansiosi di uomini
e donne con devozione le hanno lette.
Don Bosco con il cuore, la mente e le
parole di inchiostro li aveva raggiun-
ti a casa loro… poi analoghe lettere,
con il cuore, la mente e anche parole
scritte nei posti più remoti della ter-
ra, volavano alla volta di Torino. Ha
viaggiato infinite volte in carrozza ed
in treno in Italia (fino a Napoli), do-
dici volte in Francia (Parigi compresa)
dal 1876 al 1886, una volta in Austria
nel 1883 e una volta in Spagna a Bar-
cellona del 1886.
La città da lui più visitata, Torino e
Genova escluse, fu Roma, dove si è
recato venti volte, per un periodo com-
plessivo di due anni. In qualche modo
un record, se pensiamo a che cosa po-
teva essere un viaggio all’epoca. Lo ha
fatto anche quando era settantaduen-
ne; oggi diremmo novantenne.
In due anni, assente
per un anno
Per limitarci al biennio 1882-1883,
quando aveva 67-68 anni, don Bo-
sco viaggiò in lungo e in largo per
la Francia e l’Italia. Le date topiche
delle sue 400 lettere di questo perio-
do ci vengono in aiuto per seguirne
i movimenti, facendo però attenzione
che talora don Bosco scrive “Torino”,
mentre si trovava altrove, perché non
andassero perse le risposte delle per-
sone che non potevano conoscere i
suoi continui spostamenti.
Da metà gennaio a metà maggio 1882
fu un continuo viaggiare. Arrivato a
Lione vi sostò alcuni giorni, per poi
passare rapidamente a Valenza e a
Marsiglia, dove rimase una settima-
na. Lasciata la città per un viaggio di
tre giorni a Tolosa, vi ritornò per trat-
tenervisi altri quindici giorni. Rientrò
in Liguria e lungo un intero mese
(fino al 6 aprile) fece visita alle locali
case salesiane della Liguria (Genova-
Sampierdarena, Varazze, Alassio e
Vallecrosia). Poi in una settimana,
via Camogli, La Spezia e Lucca, Fi-
renze, raggiunse Roma. Vi sostò dal
12 aprile al 10 maggio, allorché con
brevissime soste a Magliano Sabina,
Rimini e Faenza, il 15 maggio rientrò
a Torino. Nella seconda parte dell’an-
no si assentò da Torino e da San Be-
nigno Canavese per una settimana di
agosto a Nizza Monferrato e quindici
giorni di settembre in Liguria. Pro-
babilmente fece altri brevi viaggi in
Piemonte. In sintesi: in un anno stet-
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NOSTALGIA
te oltre sei mesi “fuori casa”. Eviden-
temente a Torino c’era chi, come don
Rua, ne faceva le veci ottimamente.
Anche dell’anno successivo, 1883,
don Bosco trascorse la metà lontano
dal Piemonte.
Come viaggiava
Questi lunghi viaggi li fece con il tre-
no e poi con carrozze di ogni tipo: di-
ligenze, velociferi, omnibus sempre ti-
rate da cavalli che spesso gli venivano
messe a disposizione dai benefattori
per brevi percorsi o per muoversi nelle
città o nei dintorni di esse. Don Bo-
sco soffriva però lo stare chiuso nelle
carrozze, per cui quando era possibi-
le, si metteva allo scoperto nella parte
superiore per respirare aria fresca e
salvarsi dai conati di vomito che gli
procurava la vettura chiusa. Ebbe an-
che a soffrire terribilmente il mal di
mare nell’unico viaggio sul battello
Genova-Livorno-Civitavecchia (ver-
so Roma) e ritorno nel 1858.
Ovviamente non era certo comodo e
riposante viaggiare nei treni dell’epo-
ca. Tempi lunghissimi di percorren-
Pisa, 13 dicembre 1865
Car.mo D. Rua,
Sono a Pisa col Cardinale Corsi dove vivo veramente da Signore; vettura, cocchi, cavalli, coc-
chieri, camerieri, buoni pranzi, laute cene sono a’ miei cenni. Non mi manca altro che i
giovani dell’Oratorio e poi sarei contento. Ho veduto l’Arno che divide Pisa per metà,
il duomo che è una famosa basilica; la torre pendente, che ha la sommità la quale si allontana
sette metri dalla base; la torre della fame, dove morì il conte Ugolino di fame co’ suoi figli; i
frantumi di una casa appartenente al detto conte, che il popolo pisano atterrò per vendicare
i mali che aveva sofferto dal padrone della medesima; un battistero, che è una maraviglia di
lavoro e di scultura in marmi; un camposanto di tale e sì svariata magnificenza, che appaga e
conserva in pace tutti coloro, che ivi hanno la loro dimora. Tutte cose che mi piacciono,
ma non ho veduto i miei giovani. Di Firenze poi parlerò quando sarò ritornato a Torino.
Ora veniamo a noi. Ho scritto al cavaliere… Osserva quello che fu fatto… Dirai a D. Cagliero
che… Per la funzione di Sant’Agostino fu convenuta la somma di fr. 70. Ciò per norma…
Domenica non sono ancora a Torino; ti farò sapere con altra lettera… Prega e fa pregare…
Dammi molte e minute notizie de’ miei cari figli; e di’ loro che in tutte le chiese
che visito fo sempre qualche preghiera per loro ed essi preghino eziandio pel
loro D. Bosco. Dio ci benedica e ci conservi tutti e sempre nel santo timor di Dio. Così sia.
Aff.mo in G. C. Sac. Bosco Gio.
P.S. Dà la mia benedizione… Il Cardinale di Pisa, mi ha dato alcune belle immaginette da
darsi a tutti i modelli di virtù che abbiamo in nostra casa, tu mi dirai poi quanti
sono quando mi scriverai…
za, frequenti fermate, cambio di treni
(fra regione e regione), ritardi, freddo
d’inverno e caldo d’estate, sedili di le-
gno, mancanza di servizi, fumo della
vaporiera, rumore in gallerie, mole-
stie di passeggeri maleducati, notti
insonni, pericoli vari.
Perché tanti viaggi?
Non certo per diletto e neppure per
turismo. L’unica volta che lo fece fu
durante il succitato primo viaggio a
Roma nel 1858, allorché stette due
mesi a visitarla, ma solo per poterne
poi scriverne con maggior competen-
za sui suoi libri di storia della chiesa,
di storia dei papi, dei martiri, storia
d’Italia. Si è sottoposto a tali viag-
gi, talora massacranti, come quelli
in Spagna e Austria, per sviluppare
l’“Opera degli Oratori” che aveva
fondato a Torino: dovunque andava
aveva importanti abboccamenti con
autorità tanto civili che ecclesiasti-
che, cercava di risolvere spinose que-
stioni personali o diplomatiche fra
Stato e Chiesa, studiava la possibilità
di fondare una nuova casa salesiana,
incontrava ed incoraggiava i confra-
telli, aveva in animo di propagandare
i propri libri, di raccogliere offerte, di
smerciare biglietti della lotteria. Una
spina che l’accompagna sempre era la
lontananza dai “suoi giovani” (vedi la
lettera nel riquadro).
Dopo il grande e faticoso viaggio a
Roma nel maggio 1887 per l’inaugu-
razione della chiesa del S. Cuore, che
gli era costata sacrifici immensi, non
solo finanziari, non si mosse più da
Torino e da Lanzo Torinese, dove di
pomeriggio faceva una breve passeg-
giata su una sedia a rotelle sospinta
dal segretario. Fu sentito esclamare:
“Io che sfidavo i più snelli a fare i sal-
ti, ora debbo camminare in carrozza
con le gambe altrui!”. Quello poi del
31 gennaio 1888 fu il suo ultimissi-
mo viaggio… verso l’eternità. Solo là
avrebbe potuto riposare.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di giugno preghiamo per la Causa di Cano-
nizzazione del Beato Artemide Zatti, salesiano coadiutore.
Artemide Zatti nacque a Boretto (Reggio Emilia, Italia) il 12 ottobre
1880. Non tardò a sperimentare la durezza del sacrificio, tanto che a
nove anni già si guadagnava la giornata come bracciante. Costretta
dalla povertà, agli inizi del 1897 la famiglia emigrò in Argentina
per stabilirsi a Bahía Blanca. Qui Artemide cominciò a frequentare
la parrocchia guidata dai Salesiani. Consigliato a farsi salesiano,
venne accettato come aspirante da monsignor Giovanni Cagliero
e, ormai ventenne, entrò nella casa di Bernal dove gli fu affidato,
tra l’altro, l’incarico di assistere un giovane sacerdote ammalato di
tubercolosi. Artemide contrasse egli pure la malattia. Fu perciò in-
viato nell’ospedale di San José a Viedma. Qui egli fu particolarmen-
te seguito dal sacerdote e medico empirico, P. Evaristo Garrone.
Insieme a lui, chiese e ottenne da Maria Ausiliatrice la grazia della
guarigione con la promessa, da parte sua, di dedicare tutta la vita
alla cura degli ammalati. Guarì e mantenne la promessa. Nel 1908
emise la professione perpetua. Prima cominciò ad occuparsi della
farmacia annessa all’ospedale. In seguito ebbe la totale responsa-
bilità dell’ospedale, che divenne la palestra della sua santità. Fu di
una dedizione assoluta ai suoi ammalati. Nel 1913 fu l’animatore
nella costruzione del nuovo ospedale che poi venne demolito nel
1941 per dar luogo all’episcopio della nascente diocesi di Viedma.
Senza scoraggiarsi, ne attrezzò un altro. Come don Bosco, fece del-
la Provvidenza la prima e sicura entrata del bilancio delle sue opere.
Colpito da un cancro, si spense il 15 marzo 1951. Giovanni Paolo II
lo ha proclamato beato il 14 aprile 2002. La sua salma riposa nella
cappella dei Salesiani di Viedma.
Preghiera
O Dio che negli umili e nei piccoli
manifesti mirabilmente le grandi opere della tua grazia,
ti preghiamo umilmente:
per intercessione del Beato Artemide,
fa’ che nei fratelli sofferenti nel corpo e nello spirito,
possiamo scorgere di giorno in giorno
sempre più chiaramente il volto di Cristo.
Ti supplichiamo di voler glorificare questo tuo servo
e di concederci, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ringraziano
Il 3 Novembre 2018 è nato Mat-
teo. Sin dall’inizio della gravidan-
za ci sono stati problemi. Ho tan-
to pregato e ho affidato il piccolo
e la mamma a san Domenico
Savio e ora tutto si è risolto me-
ravigliosamente.
Nonna Marinella
Ora vi racconto: docente da tanti
anni, decisi, perché qualcosa den-
tro di me mi sussurrava, di par-
tecipare al tanto atteso Concorso
per Dirigente Scolastico. Sapevo
che sarebbe stata una grande im-
presa ma, d’accordo con la mia
famiglia, iniziai la mia avventura.
Ma che fatica! Il lavoro, la fami-
glia, gli impegni! La sera, ma per
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
meglio dire a tarda notte, quando
poggiavo la testa sul cuscino mille
pensieri affollavano la mia mente.
Il Signore e la Madonna sono
sempre stati i pilastri della co-
struzione della mia fede; lun-
go il cammino di ricerca, san
Giovanni Bosco è stato il mio
esempio di coraggio, determi-
nazione, perseveranza e buoni
insegnamenti; la preghiera la mia
forza quotidiana.
Ma questa volta avevo bisogno
di “Qualcuno” che mi prendesse
per mano e mi guidasse lungo il
cammino che spesso si faceva
buio e spaventoso.
Ma più si avvicinava il giorno della
Prova Preselettiva concorsuale,
più il lavoro e lo studio mi pesa-
vano come macigni e pensavo:
“Troppo! Oltre le mie possibilità!”.
Una sera, e precisamente il 13
luglio 2018, telefonai alla cara
zia suora Antonietta Spagnolo,
esempio di bontà e fede forte. Le
parlai delle mie difficoltà e lei con
molta gentilezza mi disse: “Non ti
abbandonare, abbi fiducia e affida
tutto alle preghiere di monsignor
Cognata”. Mi consigliò di iniziare
la novena dal 14 al 22 e, proprio
alla vigilia degli esami, me l’ha fat-
ta pervenire via WhatsApp.
Conosco la vita e la storia di mon-
signor Cognata anche perché tut-
ta la mia formazione è avvenuta
all’interno delle case delle suore
Salesiane Oblate. Ho avuto la gra-
zia di partecipare al “confronto” in
Calabria nel lontano 1998, che mi
ha dato l’opportunità di visitare i
luoghi della sua vita Pastorale, a
Pellaro, la camera e il letto dove
lui ha lasciato questo mondo. Il
consiglio della zia mi sembrò una
vera benedizione. Continuando,
recitai con tutto il cuore e tutta me
stessa la novena ogni giorno e pro-
prio la mattina degli esami, 23 lu-
glio 2018, affidai totalmente il mio
agire e i miei pensieri a monsignor
Cognata. Dopo aver concluso la
prova e aver atteso un po’ di gior-
ni: la grande notizia. Avevo supe-
rato!!! La mia felicità fu immensa
e solo chi mi ha preso e condotto
per mano ha potuto comprendere
il mio stato d’animo. Per me un
gran miracolo si era compiuto!!!
Grazie a monsignor Cognata che
mi ha regalato un sorriso in più.
Continuerò a studiare perché do-
vrò affrontare ancora un’altra prova
e continuerò con tutta me stessa a
pregare e farmi condurre per mano
da lui lungo le vie della vita.
Giusy Spagnolo, Salemi
Desidero ringraziare il Signore e
la Madonna che attraverso l’in-
tercessione di san Domenico
Savio hanno donato a me e a
mio marito la gioia di abbracciare
nostro figlio, Giovanni, nato il 13
novembre 2018. Provenivo dalla
triste esperienza di due aborti
spontanei e, quando sono rima-
sta in dolce attesa per la terza
volta, mi sono affidata a san Do-
menico Savio di cui ho richiesto
l’abitino. Durante la gravidanza
non ho avuto problemi e una
piccola complicanza verificatasi
al momento del parto si è risolta
senza conseguenze per il bam-
bino. Affido il piccolo Giovanni
alla protezione di san Domenico
affinché continui a custodirlo nel
cammino della sua vita.
A.T., - Como
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
40
Giugno 2019

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
CESARE BISSOLI
Don Michele Giulio
Morto a Torino il 3 marzo 2019, a 90 anni
Parroco di Maria Ausiliatrice dal 1975 al 1983
Era nato il 9 agosto 1928 a Tori-
no in una famiglia operaia piena
di fede. Anche il fratello Cesare
scelse la strada della vita reli-
giosa e missionaria. Michele si
immerse nel mondo del lavoro,
ma il Signore lo cercava. Anche
se era sempre il saggio “nonno”
del noviziato e del gruppo di stu-
denti, fu ordinato sacerdote il 29
marzo 1969. Aveva 41 anni.
La sua esperienza di vita gli donò
uno stupendo cuore pastorale.
Suor Anna Maria Peluffo che
collaborò con lui per anni testi-
monia: «Don Michele è stato un
Parroco dolce e amabile, sempre
sorridente. Se doveva dire un
“no”, prima ti guardava con un
bel sorriso, poi ti spiegava le ra-
gioni del “no”, accompagnando le
motivazioni con ampi gesti delle
mani e movimento degli occhi».
Dopo sei anni, la sfida: gli viene
affidata la parrocchia di Maria
Ausiliatrice a Valdocco.
Ricorda lui stesso: «Non credo di
aver detto il mio “sì” al Superiore
Salesiano, quel mattino dell’11
luglio 1975, e poi al Vescovo in
stato di incoscienza. Ma l’esse-
re trapiantato da una scuola ad
una parrocchia mi sconcertava,
facendomi sentire inadeguato e
quindi con sufficienti argomenti
da sottoporre al dialogo decisio-
nale. Invece non ebbi scelta.
Questo non perché abbia trovato
in Valdocco persone destinate ad
amareggiarmi la vita, ma perché
altro è vedere responsabilità e
pesi a distanza, altro è portarli
sulle proprie spalle.
Ai primi di settembre a Valdocco
trovai l’eredità di don Gigi Ric-
chiardi, nel fervore del dopo Con-
cilio, e la sua impronta di uomo
scomodo, ma amato da molti, ed
ora in procinto di partire per l’E-
cuador.
Anni “caldi”, in cui gli influssi
dell’onda di contestazione inter-
nazionale del ’68 si facevano via
via più presenti. All’oratorio di via
Salerno era nato un Movimento
Giovanile che stava maturando la
coscienza dell’impegno politico
nel mondo cattolico, dedicando-
si alla militanza. Questa tendeva
ad un sano ridimensionamento
e con una presenza critica nella
struttura dell’ambiente storica-
mente valido: ripensare le ca-
ratteristiche dell’oratorio di don
Bosco, ma con la novità di voler
diventare “ponte” tra la chiesa
locale (parrocchia) ed il territorio
(quartiere). Col fervore batta-
gliero di intenti e le conseguenti
iniziative, quel settore poteva dir-
si ben presidiato… anche per la
presenza della “vecchia guardia”.
Certamente sentivo il bisogno
di capire quella nuova realtà nel
suo naturale evolversi… in que-
gli “anni di piombo”, “quando i
fatti di Vangelo sembravano più
difficili del solito vivere”. Fu così
che la mia attenzione si rivolse a
“Giobbe”. La parabola della sof-
ferenza e sotto l’aspetto operativo
all’area caritativa.
In altre parole: in un mondo in
cui la competizione continua ad
essere il modo dominante di re-
lazione tra le persone, nella poli-
tica, nello sport e nell’economia,
un certo stile di Dio suggerisce la
compassione: un modo diverso
di darci soddisfazione, offrendoci
la possibilità di essere con gli al-
tri quando e là dove soffrono.
L’attività dei gruppi delle “san
Vincenzo” da parte dei confratelli
e consorelle prediligeva la visita
delle famiglie bisognose nell’am-
bito del territorio parrocchiale. Un
servizio strategicamente sempre
valido, per un mondo tendenzial-
mente stabile, che desidera un
rapporto amicale. Ma si ritenne di
privilegiare il “Centro di Ascolto”
in parrocchia, dove un assisten-
te sociale, in rete con l’analoga
attività assistenziale civica del
quartiere, è in grado di discernere
con un’indagine conoscitiva per-
sonalizzata le numerose richieste
di aiuto nei campi più svariati del
disagio: immigrazione, malattia,
disoccupazione, anzianità, disabi-
lità, disagi familiari, locazione… e
di cercare soluzioni idonee e so-
stenibili».
Erano anni di fuoco, il quartiere
di Valdocco era scosso da pole-
miche pretestuose, la voglia di
cambiamento sconfinava talvolta
in polemica poco rispettosa ma
don Michele conquistò tutti con
la serenità e la pazienza.
Continua suor Anna Maria: «Don
Michele è stato un parroco colto,
leggeva molto. Dicono che il pa-
vimento della sua camera fosse
cosparso di libri, divisi per argo-
mento, a cui attingeva citazioni e
pensieri per le omelie e gli incon-
tri con i genitori.
Trasferito nel settembre 1983
come Parroco a Ulzio, località tu-
ristica di montagna, alcune per-
sone attestano di aver frequenta-
to volentieri le Messe prefestive
per ascoltare le sue omelie, ric-
che di esempi e confronto con la
realtà.
Da Ulzio ogni anno saliva il 15
agosto sera, alla Colonia di Fenil
di Salbertrand (TO) per presiede-
re alla processione in onore della
Madonna Assunta, che dalla Co-
lonia Maria Ausiliatrice saliva alla
borgata Fenil. Qui don Michele
sottolineava l’importanza della
devozione a Maria con profili di
devoti della Madonna o con la
narrazione della storia di un san-
tuario mariano d’Italia.
La festa di S. Rocco il 15 agosto
era celebrata con solennità da lui
parroco “ad personam” di Sal-
bertrand, dove fu parroco dopo
l’abbazia di Ulzio».
Vita di una salesiano di cui si po-
trebbe veramente dire: si è fatto
amare da tutti quelli che lo hanno
incontrato.
Giugno 2019
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
VISIONI E SOGNI PROFETICI
San Giovanni Bosco ricevette numerose visioni profetiche molte delle
quali riguardarono le sorti dell’Italia, della città di Roma e del Papato in
particolare. Negli scritti riguardanti la XXX sono narrati fatti che dimo-
strano come egli, fin da piccolo, fosse dotato di un sesto senso che gli
faceva vedere e prevedere quello che gli altri ignoravano. Ma ben sapen-
do come sia facile prendere cantonate in questo campo, egli saggiamente
diceva: “Non ritenetemi profeta finché tutto non sia avverato”. E nelle “Memorie biografiche di don
Bosco” sono contenute alcune profezie sui tempi burrascosi che avrebbe dovuto attraversare o attra-
verserà, nei prossimi anni, il mondo, l’Italia ed il Papato. Profezie come quella, estremamente cupa, che
dice: “I cavalli dei Cosacchi si abbevereranno alle fontane di S. Pietro”, probabile prefigurazione di una
guerra mondiale. La prima profezia don Bosco la ebbe la vigilia dell’Epifania del 1870. Vide in sogno
avvenimenti futuri che avrebbero riguardato la Chiesa e il mondo. Scrisse egli stesso ciò che vide e
udì, e il 12 febbraio lo comunicò al papa Pio IX. Scrisse innanzitutto quanto fosse difficile riportare ciò
di cui era stato testimone e che quel che aveva udito era la parola di Dio adattata per la comprensione
umana. C’era la desolazione dei tempi in ciò che aveva visto, immagini di guerre e pestilenze, flagelli e
terribili punizioni che si sarebbero abbattuti su Parigi, l’Italia,
la Chiesa e l’Europa a più riprese. L’Italia e le sue madri pian-
geranno il sangue dei figli e dei martiri in terra nemica. Roma
sarà “percossa” e ad essa il Supremo verrà quattro volte se
quella non ritroverà la retta via. Quattro anni dopo, don Bo-
sco ebbe una seconda, ma non ultima, visione profetica in
cui una “oscura notte” avrebbe avvolto cose e persone e una
processione con il Pontefice in testa avrebbe risollevato gli
spiriti. Nel mentre, una battaglia tra luce e tenebre si sarebbe
scatenata, al di sopra di una distesa di morti e feriti.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. È stato Fan-
tozzi (iniz.) - 3. Quello greco vale
3,14 - 6. A noi - 8. Duecento romani
- 10. Anno Domini - 12. Confina con
il Lazio - 19. Uno dei Grandi Laghi
nordamericani - 20. Il più intelligente
è l’uomo - 21. Ne formano uno co-
mico Aldo, Giovanni e Giacomo - 23.
XXX - 24. La sacerdotessa amata da
Leandro - 26. Il Millennium … che
si temeva nell’anno 2000 - 27. Viene
dopo il sol - 28. XXX - 31. Erano
adorati dai pagani. - 33. Grande fiume
russo - 34. Il regista li gira all’aperto
- 35. L’ente che gestiva i Cral - 37. È
sacro e profano per il Petrarca - 40.
Città marchigiana dove nacque Fede-
rico II - 41. Maestro di oratoria - 44.
Il Ford a fumetti - 46. Il Grand … che
compivano intellettuali e aristocratici
- 48. Locomotiva elettrica - 49. È a
capo di una monarchia.
VERTICALI. 1. Supporre in anti-
cipo ciò che avverrà - 2. Anelli nuziali
- 3. A volte gli eventi ne prendono una
brutta - 4. Prima persona singolare -
5. Carburante - 6. Derise Noè ubriaco
- 7. Posta in profondità - 8. Cuneo
(sigla) - 9. Il ragazzo torinese - 11.
Vende spezie e altri generi coloniali -
13. Che recano l’emblema del giglio
in araldica - 14. Il Martellini indimen-
ticato telecronista - 15. Lago e stato
africano al confine con il Niger - 16.
L’umile classe sociale dell’antica Roma
contrapposta ai Patrizi - 17. Lievi,
leggiadri - 18. Una varietà di riso -
22. Linus le ha pari! - 25. Senza di lui
è meglio non fare i conti - 29. Piccola
offerta - 30. Panieri di vimini - 32.
Eroga energia elettrica - 36. Sua mo-
glie si tramutò in statua di sale - 38.
Mameli a metà - 39. Il topo a Parigi
- 42. Doppie nel carretto - 43. Ra-
mazzotti (iniz.) - 45. Numero in breve
- 47. Antica città sumera.
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Giugno 2019

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Il grillo
e la moneta
Disegno di Fabrizio Zubani
Un saggio indiano aveva un
caro amico che abitava a Mi-
lano. Si erano conosciuti in
India, dove l’italiano era an-
dato con la famiglia per fare
un viaggio turistico. L’india-
no aveva fatto da guida agli italiani,
portandoli a esplorare gli angoli più
caratteristici della sua patria.
Riconoscente, l’amico milanese aveva
invitato l’indiano a casa sua. Voleva
ricambiare il favore e fargli conoscere
la sua città. L’indiano era molto restio
a partire, ma poi cedette all’insistenza
dell’amico italiano e un bel giorno
sbarcò da un aereo alla Malpensa.
Il giorno dopo, il milanese e l’india-
no passeggiavano per il centro della
città. L’indiano, con il suo viso color
cioccolato, la barba nera e il turbante
giallo attirava gli sguardi dei passanti
e il milanese camminava tutto fiero
d’avere un amico così esotico.
A un tratto, in piazza San Babila,
l’indiano si fermò e disse: «Senti
anche tu quel che sento io?».
Il milanese, un po’ sconcertato,
tese le orecchie più che poteva ma
ammise di non sentire nient’altro che
il gran rumore del traffico cittadino.
«Qui vicino c’è un grillo che canta»,
continuò, sicuro di sé, l’indiano.
«Ti sbagli», replicò il milanese. «Io
sento solo il chiasso della città. E
poi, figurati se ci sono grilli da que-
ste parti».
«Non mi sbaglio. Sento il canto di
un grillo», ribattè l’indiano e de-
cisamente si mise a cercare tra le
foglie di alcuni alberelli striminziti.
Dopo un po’ indicò all’amico che lo
osservava scettico un piccolo insetto,
uno splendido grillo canterino che
si rintanava brontolando contro i
disturbatori del suo concerto.
«Hai visto che c’era un grillo?», disse
l’indiano.
«È vero», ammise il milanese. «Voi
indiani avete l’udito molto più acuto
di noi bianchi...».
«Questa volta ti sbagli tu», sorrise il
saggio indiano. «Stai attento...».
L’indiano tirò fuori dalla tasca una
monetina e facendo finta di niente la
lasciò cadere sul marciapiede.
Immediatamente quattro o cinque
persone si voltarono a guardare.
«Hai visto?», spiegò l’indiano.
«Questa monetina ha fatto un
tintinnio più esile e fievole del
trillare del grillo. Eppure hai notato
quanti bianchi lo hanno udito?».
Giugno 2019
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Un inserto speciale
I custodi del sogno
Paese che vai salesiano
che trovi
Filippine: Padre Joriz Calsa
Etiopia: Don Angelo Regazzo
Italia: Biella San Cassiano
Swaziland: Una famiglia
missionaria
Mongolia: don Jaroslav
Vracovsky
Ecuador: Nicson Sicha
Italia: Asti - Moise Kean
La memoria
San Luigi Versiglia
Difensore della vita
e della dignità
Come don Bosco
Il benessere:
conquista o trappola?
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.