Bollettino_Salesiano_201905

Bollettino_Salesiano_201905

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IL
MAGGIO
2019
Salesiani
nel mondo
Senegal
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L’altare
di don Bosco

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Casa Moretta
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
In seguito, nel 1848, don Bosco comprò all’asta la casa
del defunto don Moretta e il terreno annesso, la rivendet-
te l’anno dopo e la ricomprò definitivamente nel 1875.
Rifatta interamente, divenne il primo oratorio femminile
diretto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice.
A vevo uno strano “angelo custode” che
mi sorvegliava dall’alto: la forca per i
farabutti impiccati al Rondò, proprio
all’ingresso di Torino.
Ero una delle case isolate della peri-
feria nord. Eravamo case poco amate
perché i nostri abitatori cambiavano spesso. Era-
no carrettieri, mercanti, gente di passaggio. Ero
una casa dignitosa, avevo cantina e stalla, nove
stanze abitabili al pianterreno e per due scale di
legno si saliva al piano superiore dove un lungo
ballatoio dava accesso ad altre nove camere. In
prossimità c’era un pozzo. A levante c’era uno
stretto sentiero che dava sui prati.
Il mio proprietario era un bravo prete che si
chiamava don Moretta. Affittava le mie stanze
a richiesta. Per me era una vera noia.
Fin quando, un freddo giorno d’inverno, arrivò
don Bosco con una masnada di ragazzi. Affittò
tre stanze, che si riempirono di schiamazzi, di
confusione e di gioia. Per divertire i ragazzi, in
uno spazio così stretto, don Bosco incantava i ra-
gazzi con giochi di prestigio che lasciavano tutti
a bocca aperta. Io compresa. Diede inizio pure a
dei serissimi corsi serali di scuola. In pochissimo
tempo, arrivarono duecento e più allievi.
Furono in tutto quattro mesi felici e chiassosi.
Certo, tutti quei ragazzi stavano un po’ allo
stretto, ma erano contenti di avere un luogo
tutto per loro dove ritrovarsi d’inverno. Pur-
troppo mancava una cappella e quindi alla
domenica si spostavano tutti in una chiesa
grande o di solito alla Consolata, che era poco
distante.
Cominciavo ad essere fiera di me stessa, ma
nel marzo del ’46, don Moretta mostrò a don
Bosco un fascio di lettere. Erano le proteste
degli altri inquilini. Stremati dalla cagnara, dal
continuo rumore dell’andare e venire dei ragazzi,
dichiaravano che se ne sarebbero andati tutti se
non cessavano immediatamente le riunioni del
cosiddetto “oratorio”.
Il giorno dopo, vidi che don Bosco stava trattan-
do l’affitto del prato a cinquanta metri da me.
Non c’era proprio niente che potesse fermarlo.
Così tutti quei ragazzi non abitavano più nelle
mie stanze, ma potevo ancora vederli alla do-
menica, rincorrersi e sbizzarrirsi. Seduto su una
panca, don Bosco confessava.
Verso le dieci rullava il tamburo e i giovani si
incontravano, poi squillava una tromba e tutti
partivano verso la chiesa della Messa.
Sapevo che quell’oratorio sul prato non sarebbe
durato. Sentivo le voci che si rincorrevano per
le mie scale e i miei balconi: «Quel prete è mat-
to!», «Il sindaco ha mandato la polizia a sorve-
gliarlo!», «È ora di finirla con quei ragazzacci
che girano con il coltello in tasca!». Era come il
brontolio di un temporale che si sta addensando
all’orizzonte.
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Maggio 2019

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IL
MAGGIO 2019
ANNO CXLIII
Numero 05
Mensile di
IL
informazione e
MAGGIO
2019
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
Salesiani
nel mondo
Senegal
L’altare
di don Bosco
In copertina: Questo è il mese
di Maria Ausiliatrice e in tutto il
mondo sarà celebrata la sua festa
(Elaborazione grafica di Daniela Brina).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Senegal
12 L’INVITATO
Don Jorge Crisafulli
16 LE CASE DI DON BOSCO
Borgomanero
20 FMA
Ucraina
22 MARIA AUSILIATRICE
L’altare di don Bosco
26 A TU PER TU
Fabio Geda
29 DON BOSCO NEL MONDO
30 I RAGAZZI DEL PAPA
Zeffirino Namuncurà
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Gli invisibili altri don Bosco
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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12
26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, Nino Gentile,
Claudia Gualtieri, Matteo Leonardi,
Cesare Lo Monaco, Natale
Maffioli, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Marcella Orsini,
Pino Pellegrino, Giampietro
Pettenon, O. Pori Mecoi, Kirsten
Prestin, Luigi Zonta, Fabrizio
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Il vento San Francesco Saverio e don Bosco,
due immensi missionari di ieri e di oggi.
soffia
ancora
sti mortali fu eretto tra il 1594 e il 1605. Qui è
conservato il suo corpo, che fu prima sepolto in
una cassa piena di calce e due anni dopo traspor-
tato, miracolosamente integro e intatto, prima a
Malacca e poi a Goa, dove è ricordato e venerato
Un mese fa ero a Goa, in India. Goa è un
gioiello incastonato nel maestoso conti-
nente indiano. Qui ci sono le spiagge di
sabbia più belle del mondo e i panora-
mi marini più incantevoli. Tra le palme
che ricamano l’orizzonte, intravedevo le
in modo incantevole. E lì ho avuto il privilegio,
accompagnato da altri salesiani e laici, di celebra-
re l’Eucaristia sull’altare e sul sepolcro di questo
grande santo missionario gesuita.
E ho chiesto di celebrare la Messa in onore di san
Giovanni Bosco, chiedendo a don Bosco la sua
chiese costruite nei secoli e . Una di que- intercessione. Perché?
ste è la Basilica del Buon Gesù, che è diventata un Francesco Saverio è stato, probabilmente, il più
centro di pellegrinaggio, soprattutto per i cristia- grande missionario della storia. Vissuto appena
ni e i credenti di altre religioni, perché custodisce 46 anni, compì in 10 anni un lavoro missionario
le spoglie di san Francesco Saverio, il missionario incredibile. Qui a Goa diede inizio al suo aposto-
navarrese discepolo di sant’Ignazio di Loyola, lato in un modo molto “donboschiano”: cominciò
fondatore dei gesuiti, che evangelizzò l’Estremo dalle carceri e dai bambini. Percorreva le strade
Oriente. San Francesco Saverio morì in Cina nel e le piazze, invitando i bambini a venire in chie-
1552, ma le sue reliquie rimangono in sa. In chiesa, insegnava ai bambini il catechismo
questa bellissima basilica, situata ac- con delle canzoncine facili e allegre, che lui stesso
canto alla cattedrale e alla chiesa di aveva composto.
San Francesco d’Assisi. Questo edi- Nella storia della Chiesa, don Bosco è senza dub-
ficio per ospitare i suoi re- bio un altro grande missionario. Per questo la mia
celebrazione eucaristica è stata semplice, commo-
vente e spiritualmente sentita. Ho presentato al Si-
gnore con la mediazione di san Francesco Saverio e
di don Bosco, la missione salesiana nel mondo e la
nostra scelta preferenziale per i ragazzi, le ragazze
e i giovani del mondo, specialmente i più poveri.
«Andranno i miei figli per me»
Qualcuno potrebbe chiedersi perché presento
don Bosco come grande missionario anche se in
realtà non è mai stato missionario “ad gentes”.
Don Bosco mandò i suoi figli salesiani in capo al
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mondo, ma personalmente non fu mai missiona-
rio in terre lontane, pur avendolo desiderato tan-
to. Innumerevoli sono le lettere in cui don Bosco
scrive che il suo desiderio più ardente era sempre
stato quello di partire missionario. «Andranno i
miei figli per me» diceva.
È una verità straordinaria: don Bosco ha trasmes-
so il suo forte impulso e il suo fervore missionario
allo spirito della Congregazione.
Per parlare del grande cuore missionario di don
Bosco, può bastare questo semplice dato: quando
don Bosco morì, il 31 gennaio 1888, noi salesiani
sdb eravamo in quel momento 754. In quel mo-
mento don Bosco aveva già inviato come missio-
nari in America il 20 per cento dei suoi salesiani,
153 in totale.
Se questa non è una vera passione missionaria!
In quella chiesa antica di Goa respiravo la forza
dell’ispirazione missionaria e ringraziai il Signo-
re per il miracolo della missionarietà. Lo Spiri-
to Santo ha guidato e accompagnato il lavoro di
evangelizzazione in tutta l’Asia con i primi mis-
sionari francescani, domenicani e gesuiti... e an-
che con i figli e le figlie di don Bosco. Oggi sono
2786 i salesiani sdb in India e molte migliaia le
nostre sorelle consacrate di diverse congregazioni.
Dopo la celebrazione dell’Eucaristia, quello stesso
giorno ha avuto il volto concreto di quattro miei
fratelli sdb che accompagnavano un gruppo di
bambini salvati dalla vita randagia sulla strada. Un
gruppo di 40 ragazzi, tra i 10 e i 15 anni, con i
quali abbiamo trascorso una bella mattinata. I loro
occhi brillavano di una luce speciale. Questi ragaz-
zi con i salesiani si sentono a casa. Vanno a scuola,
stanno ricevendo una formazione e un’istruzione
che aprirà davanti a loro un ottimo futuro. Ra-
gazzi che sorridevano e cantavano magnificamen-
te. Avevano imparato a dire in spagnolo: «Hola y
Hasta la vista!» Al termine ci siamo salutati con
calore, affetto vero e un’immensità di foto ricordo.
I ragazzi di Valdocco, 170 anni prima, a Torino,
facevano le stesse cose con il nostro amato don
Davanti alle candide spiagge di Goa
pensavo all’antifona della Festa di don Bosco:
«Il Signore gli ha donato sapienza e prudenza,
e un cuore grande come la sabbia che è sulla
spiaggia del mare».
Bosco. E il suo cuore missionario continua a bat-
tere, oggi nel cuore dei suoi figli e delle sue figlie,
perché i ragazzi del mondo possano trovare un
altro Valdocco e un altro Mornese.
Davanti alle candide spiagge di Goa pensavo
all’antifona della Festa di don Bosco: «Il Signo-
re gli ha donato sapienza e prudenza, e un cuo-
re grande come la sabbia che è sulla spiaggia del
mare». Ed è tutto vero. Il cuore di don Bosco e
dei suoi figli non ha confini.
Oggi, con la grazia della comunione tra la Chiesa
già in paradiso, la Chiesa trionfante, e la Chiesa
che continua a camminare, che siamo noi, quag-
giù, i nostri santi missionari, san Francesco Saverio
e don Bosco, continuano a benedire la missione e a
far vivere il Signore per questi popoli, e per questi
ragazzi e ragazze, futuri cittadini del Regno.
A Goa, ho vissuto e ho sentito che il ricordo del-
le imprese passate non svanisce con il tempo ma
spinge come vento nelle vele degli aspetti essen-
ziali e più autentici della vita e dell’evangelizza-
zione. Con una formidabile continuità.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Chi salverà
il pianeta Terra?
Proprio come la giovane attivista svedese Greta Thunberg,
anche tanti altri giovani hanno a cuore la salute del nostro pianeta.
Erika, 26 anni
“L’uomo, se non educato e
rispettoso, è davvero la rovina
del nostro pianeta, l’uomo non
capisce che bene immenso ha”.
Credo che l’uomo abbia poco rispet-
to dell’ambiente, partendo da piccole
sciocchezze: dalla carta gettata per
strada, a una sigaretta accesa e gettata,
a un rubinetto lasciato aperto per chis-
sà quanto tempo, a un continuo utiliz-
zo di macchine che emanano smog,
per poi arrivare sempre a peggiorare
con l’inquinamento dei mari, lo ster-
minio di animali, l’inquinamento del
suolo, tante, troppe cose che davvero
ci sarebbe un’infinità da scrivere. L’uo-
mo, se non educato e rispettoso, è dav-
vero la rovina del nostro pianeta, l’uo-
mo non capisce che bene immenso ha.
Si potrebbe rimediare con piccole
accortezze, che fatte da tutti non sa-
rebbero poi così piccole ma davvero
grandi. Basterebbe iniziare a pulire le
spiagge che tanto inquinano il nostro
mare, basterebbe non gettare proprio
le cose che lo inquinano, basterebbe
camminare a piedi o con le bici che
tanto male non farebbe anche al nostro
corpo e aiuterebbe soprattutto elimi-
nando un po’ di smog dall’ambiente,
basterebbe utilizzare beni primari solo
per lo stretto indispensabile, iniziare
una differenziata reale e concreta.
Io, già nel mio piccolo, cerco in tutti i
modi di essere una buona ospite sul-
la nostra cara amica Terra. Anche io
a volte sbaglio, ma, pur sbagliando,
l’importante è rendersi conto che si
può riparare, migliorare e fare di più.
Non getto le carte o immondizia a ter-
ra, meno luce, meno acqua sprecata,
la differenziata, insomma piccole cose
che aiutano. Io tengo molto al tema
dell’inquinamento del mare, da sem-
pre odio vedere il nostro mare inquina-
to. Penso alle creature che lo abitano e
le sofferenze che passano nel rimanere
incastrati tra un pezzo di plastica e una
rete gettata, ogni volta che mi ritrovo
a pulire quel pezzetto di spiaggia la-
sciato come un mondezzaio da persone
incivili, se persone si possono chiama-
re. Non nascondo che spesso ho detto
la mia a queste persone prendendomi
anche male parole perché secondo loro
quello che stavano facendo era giusto.
Ai giovani di oggi io consiglierei di
guardarsi intorno e capire che tutto
questo, che oggi abbiamo, forse un do-
mani potrebbe non esserci più.
Rossella, 17 anni
“È, però, pur vero che la
percentuale di disinteresse
continua a essere alta, ma
questo non vuol dire che non si
possa fare la differenza”.
Ultimamente si sta parlando di am-
biente frequentemente, è vero, ma
non credo sia un’esagerazione. Preoc-
cuparsi per l’ambiente in cui si vive, è
una dimostrazione molto importante
del proprio interesse riguardo la vita
umana, perché è, a mio parere, di un
miglioramento vitale che si parla. È,
però, pur vero che la percentuale di
disinteresse continua a essere alta, ma
questo non vuol dire che non si pos-
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sa fare la differenza. Il
principale impatto
negativo dell’uo-
mo sull’ambiente
è il suo modo di
abitarlo e di “ri-
spettarlo”; un esempio
è proprio l’inquinamento,
come anche lo spreco inu-
tile delle risorse. Rovinando
l’ambiente in cui si vive, ren-
dendolo invivibile, quindi, si arriva,
come suggeriscono gli scienziati, a
un’estinzione. Personalmente, nel
mio piccolo, promuovo la raccolta
differenziata, spiegando specialmen-
te ai miei fratelli come comportarsi
e aiutandoli ad attuarla. Poi, insisto
perché si compri l’acqua minerale nelle
bottiglie di vetro anziché di plastica.
La cosa principale è la responsabilità,
seguita poi dalla consapevolezza, che
è il punto fondamentale da cui ripar-
tire. L’uomo dovrebbe essere capace di
comprendere il male che causa.
Martina, 21 anni
“I cambiamenti devono esserci
nei piccoli gesti di tutti i giorni
“riflettendo bene prima di agire”.
presentano più di quanto realmente
l’uomo stesso abbia bisogno nella sua
vita. L’ha distrutta lentamente con
l’inquinamento di acqua, aria e ter-
ra. Prendendo come esempio il buco
nell’ozono, è assodato che tra le sue
cause vi è la sovrapproduzione di car-
ne: maggior numero di animali da
“macello”, dunque maggior emissione
di CO2. Anche nel quotidiano, piccoli
gesti moltiplicati per un gran numero
di persone che li mettono in atto sono
il risultato dell’inquinamento che ab-
biamo oggi: gettare noncuranti a terra
qualsiasi tipo di rifiuto, spreco dell’ac-
qua potabile, persone che non metto-
no in atto la raccolta differenziata. Mi
vien da pensare anche a cose an-
cora più piccole ma comunque
inquinanti, come scegliere di
prendere la macchina invece
Greta Thunberg, la sedicenne
diventata famosa per le sue
manifestazioni a Stoccolma,
tenute davanti al
Parlamento svedese,
dove mostrava il
cartello con su scritto
Skolstrejk för klimatet
(Sciopero della
scuola per il clima).
di fare a piedi un tratto di strada per
nulla lungo. L’uomo sta distruggendo
il pianeta sia tramite azioni grandi e
devastanti, sia tramite azioni nella vita
quotidiana. Rimediare non è sempli-
ce perché significa sradicare abitudini
sbagliate e false credenze sulla salute
della Terra. Si può rimediare sensi-
bilizzando la comunità, riferendosi a
ogni fascia d’età, ma solo questo non
basta. I cambiamenti devono esserci
nei piccoli gesti di tutti i giorni “ri-
flettendo bene” prima di agire. Mi
viene in mente il riciclo, il riutilizzo di
oggetti e materiali che normalmente
butteremmo e che invece prendono
nuova vita. Se non si inizia a cambia-
re nelle abitudini quotidiane e
se ognuno di noi non prende
coscienza della situazione, i
grandi cambiamenti, legati
alle nazioni, alle industrie
di ogni genere o all’uso di
metodi di trasporto di
grandi quantità con
mezzi ecososteni-
bili, potrebbero
non esserci mai.
Il cambiamento climatico esiste, la
scienza lo afferma da tantissimo tem-
po, quindi sarebbe anche forse da
ipocriti essere convinti che il nostro
pianeta non sia a rischio e non stia
soffrendo.
L’uomo ha un impatto negativo sulla
Terra perché ha iniziato a “pretende-
re” da lei più di quanto possa dare, non
riconoscendo che le richieste verso di
lei sono eccessive e soprattutto rap-
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SALESIANI NEL MONDO
CGHIAIMARPAIEBTERROTAPTEOTTENON
Tra fiumi, stelle Il Senegal è una terra
da cui partono molti
giovani verso l’Europa,
e ippopotami
in cerca di fortuna.
Il Gambia è l’ultimo avamposto
missionario della nostra
Congregazione. Qui i Salesiani
Senegal e Gambia
continuano un’opera fiorente
di progetti scolastici,
professionali e pastorali.
Siamo arrivati in Senegal. Sbarcati con
l’aereo a Dakar, abbiamo preso subito
l’auto e siamo andati in direzione est,
nell’entroterra senegalese per circa 500
chilometri, vicino al Mali e al fiume
Gambia, che proprio in questa zona dà
origine allo stato del Gambia. Siamo a Tamba-
counda, capitale dell’omonimo distretto. È una
città che ha ben poco di occidentale... ci vivono
circa cinquantamila persone in una distesa con-
tinua di casette, baracche, tettoie improvvisate.
Non si vedono edifici alti, né tantomeno centri
commerciali. Le strade asfaltate sono due e si in-
crociano al centro della città, il resto delle strade
sono sterrate e polverose. Numerose sono le au-
tovetture e le moto, ma altrettanti sono i carretti
tirati dagli asini e le pecore che tranquillamente
pascolano ai bordi delle strade. Il clima è caldo e
secco. Ad inizio marzo si arrivano a sfiorare i 40
gradi, ma nella stagione calda è normale arrivare
anche a 50 gradi. In compenso le notti sono fre-
sche, e appena scende il sole si sta proprio bene.
ta dai salesiani spagnoli ed ora è gestita da due
missionari spagnoli e un senegalese. Ci sono la
parrocchia cattolica – il Senegal è a maggioranza
musulmana – l’oratorio festivo e un bel centro di
formazione professionale che impegna 210 ragaz-
zi nei settori della meccanica d’auto, motoristica
dei mezzi agricoli ed elettricità, attività profes-
sionali grazie alle quali i ragazzi formati trovano
poi un’occupazione. Il distretto di Tambacounda
è prevalentemente agricolo. Oltre all’agri-
coltura di sussistenza delle famiglie, che
coltivano la terra solo nella stagione
delle piogge (da giugno a settembre),
ci sono grandi proprietà terriere che
beneficiano dei pozzi che si sono
“Stop Tratta”
A Tambacounda i salesiani sono presenti dai pri-
mi anni ’80. L’opera di Don Bosco è stata fonda-
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costruiti, in cui si coltivano in maniera intensiva
frutta, ortaggi e soprattutto le arachidi, retaggio
dell’attività coloniale francese.
Il Senegal purtroppo è una terra da cui partono
molti giovani verso l’Europa, in cerca di fortuna.
Sappiamo poi come va a finire, quando la nostra
ci racconta di barconi stracarichi di migranti
che rischiano di affondare nel Mediterraneo.
Missioni Don Bosco è impegnata dal 2015 con
un progetto che abbiamo chiamato “Stop Tratta”
e che stiamo portando avanti insieme al di
Roma – Volontariato Internazionale per lo Svi-
luppo –; è la dei salesiani d’Italia e coopera
con progetti di sviluppo alle opere presenti nei
paesi in via di sviluppo.
Vedendo il dramma dei migranti soccorsi in mare
e poi la situazione precaria dei centri di acco-
glienza in Italia, noi salesiani abbiamo progettato
di sostenere attività di formazione professionale e
alcune start up d’impresa vicino alle opere salesia-
ne già presenti nei paesi dell’Africa sub sahariana.
Con questo progetto stiamo operando in Ghana,
in Etiopia, in Nigeria e in Senegal. Contiamo di
aprire nuove iniziative di avviamento al lavoro
in altre opere salesiane di questi paesi già
citati e in altri in cui siamo presenti:
Sierra Leone, Mali, Togo, Benin.
A Nettebolou, un villaggio vicino
a Tambacounda,
grazie all’aiuto dei benefattori di Missioni Don
Bosco abbiamo sostenuto l’avvio di un orto colti-
vato da Adama, un giovane senegalese di 25 anni.
Il progetto ci è stato presentato dall’Associazione
Don Bosco 2000-presidio con sede in Sici-
lia, fondata e gestita dai cooperatori salesiani di
Catania.
Ci hanno invitato all’inaugurazione dell’orto.
Una festa in piena regola a cui hanno partecipato
un centinaio di persone: il sindaco del comune, il
capo del villaggio, l’imam islamico, i responsabili
di aziende agricole della zona, la famiglia allarga-
ta di Adama che è fatta di molti figli e nipoti di
uno stesso padre. La poligamia nelle zone rurali è
ancora ampiamente praticata, favorita anche dalla
religione islamica.
La cosa bella è che questi orti di circa un quarto
di ettaro, poiché sono irrigati da un pozzo ali-
mentato da pannelli fotovoltaici, permettono di
coltivare ortaggi per la famiglia e anche da ven-
dere al mercato sopratutto nella stagione secca, in
cui la terra generalmente non viene coltivata.
Quello di Adama non è l’unico orto già realizza-
to, ce n’è un altro a Wassadou, villaggio sparso
nella savana senegalese vicino al grande fiume
Gambia dove abbiamo visto gli ippopotami, i va-
rani, le scimmie, tanti uccelli acquatici. Un am-
biente naturale fantastico.
La particolarità di questo secondo orto è che vie-
ne gestito da due giovani senegalesi, migranti di
ritorno. Sono giovani arrivati in Italia con i bar-
La parrocchia
salesiana di
Tambacounda
in Senegal. Ci
sono anche
l’oratorio festivo
e un bel centro
di formazione
professionale.
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SALESIANI NEL MONDO
coni, accolti dall’associazione Don Bosco 2000 a
Catania. Hanno accolto la proposta di rientrare
nel proprio paese di origine, aiutati in questa start
up di impresa agricola.
La speranza
del Gambia,
133esimo paese
della costellazione
salesiana, è negli
occhi e nel cuore
dei suoi ragazzi.
La rinascita difficile del Gambia
Dopo aver visitato il Senegal, in auto siamo arri-
vati in Gambia.
Il Gambia è uno dei più piccoli stati dell’Afri-
ca, grande quanto il nostro Trentino Alto Adige,
abitato da circa 2,7 milioni di persone. In gran
parte sono della medesima etnia che popola il Se-
negal, i Mandinga. Però nel periodo del colonia-
lismo l’estuario e gran parte del corso del fiume
Gambia erano controllati dagli inglesi, i francesi
invece avevano il Senegal. Così i due imperi co-
loniali hanno deciso a tavolino di creare due stati,
separando, con una riga tirata dritta, territori e
popoli che erano sempre vissuti insieme.
Questo paese negli ultimi vent’anni è stato go-
vernato da un dittatore feroce e spietato che ha
isolato il Gambia dagli altri Stati africani e dalle
relazioni internazionali. Solo da tre anni la situa-
zione è cambiata e ora il governo del paese sta
aprendosi a nuove relazioni.
Una parrocchia
e una grandissima scuola
Noi salesiani siamo appena arrivati in Gambia,
è il 133° paese del mondo che vede la presenza
dei figli di don Bosco. Ci ha chiamati il vescovo
locale e ci ha chiesto di subentrare ad una congre-
gazione africana che, a causa della scarsità di vo-
cazioni, non ce la faceva più a garantire la presen-
za a Kunkujang, un villaggio 30 chilometri a sud
dalla capitale Banjul. Questo villaggio e le zone
circostanti sono abitati da moltissimi cristiani
cattolici anche se il Gambia, come il Senegal, è a
maggioranza musulmana.
Il fenomeno è dovuto alla presenza di numerosi
profughi e rifugiati della Guinea Bissau, che nelle
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lotte tribali e per la libertà degli anni ’70, avevano
trovato accoglienza in questi territori poco abita-
ti. In Guinea infatti la popolazione è prevalente-
mente cattolica.
Il clima a Kunkujang è caldo di giorno ma fre-
sco la notte. Si dorme proprio bene. E prima di
andare a dormire uno spettacolo impagabile lo
offre il cielo stellato. Da restare a bocca aperta!
Dopo il tramonto, nel silenzio del bush, senza
inquinamento luminoso perché l’energia elettri-
ca a Kunkujang non c’è, senza i fanali delle auto
che da queste parti di notte non passano perché
le piste sono praticabili solo di giorno quando si
vedono bene buche e rami da schivare, starsene in
silenzio qualche istante ad ammirare il cielo è una
bellissima forma di preghiera.
La comunità salesiana è un chiaro esempio di in-
ternazionalità. Sono quattro confratelli, di cui tre
sacerdoti ed uno studente di teologia. Padre Piotr,
il direttore, è un missionario polacco che dopo
quindici anni passati in Ghana ha accettato di
fondare questa nuova presenza. Padre Juan Carlos,
il parroco, è anch’egli un missionario proveniente
dal Perù con una ventennale presenza nelle ope-
re salesiane dell’Africa occidentale. C’è poi padre
Peace, africano della Nigeria, che svolge il compito
di economo e vice parroco. Infine Sheldon, il gio-
vane studente, è un indiano di Mumbay che si è
reso disponibile per fare il missionario in Africa e
ci è già giunto per completare gli studi teologici e
così diventare sacerdote. Quattro confratelli, pro-
venienti da quattro diversi paesi, di quattro diver-
si continenti. “Vivere e lavorare insieme è per noi
salesiani un’esistenza fondamentale” dice la nostra
Regola di Vita, ma è anche una sfida, aggiungo io,
ed una vera testimonianza di vita cristiana!
L’opera pastorale che ci è stata affidata è proprio
salesiana: una parrocchia di circa cinquemila fe-
deli sparsi in ventidue comunità più o meno lon-
tane dal villaggio e una grandissima scuola, dalla
materna alle superiori, frequentata da duemila
studenti.
La missione è stata fondata nel 1972 dai padri
della precedente congregazione, quindi ha quasi
cinquant’anni... e li dimostra tutti! Infatti negli
ultimi dieci anni i padri missionari, anziani e
pochi, non hanno più visitato molto le cappel-
le sparse nel bush – la savana abitata –, hanno
trascurato la formazione dei docenti della scuola
e non hanno più seguito la manutenzione degli
edifici. Il lavoro dunque non manca. E i nostri
confratelli salesiani in questi primi pochi mesi
di presenza in Gambia si sono subito rimboccati
le maniche. Vivendo giorno dopo giorno insieme
alla gente del posto, visitando tutte le comunità
cristiane, animando e assistendo i ragazzi della
scuola, affiancandosi ai docenti, con semplicità
e tanta disponibilità stanno conoscendo i luoghi,
le persone, le situazioni, i problemi e le priorità
su cui concentrare le forze. Sì perché fare tutto
e subito immaginando un’opera con impronta
salesiana, come altre che hanno decenni di vita,
sarebbe una pia illusione. Ci vuole tempo e tanta
dedizione.
Nel dialogo con i salesiani è emerso che la prio-
rità che si sono dati è l’apertura dell’oratorio.
Unica struttura educativa rivolta ai giovani,
che in questa missione non c’era. Anche que-
sta volta, come fece don Bosco a Valdocco nella
Torino di metà Ottocento, cominciamo da un
oratorio.
L’attività del
Gambia è quasi
tutta sull’omonimo
grande fiume, che
tutto lo percorre.
Maggio 2019
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
OK.IRPSOTREINMPERCEOSITIN; foto: ALBERTO LOPÉZ/MISIONES SALESIANAS MADRID Traduzione di Marisa Patarino
Un don Bosco del 21° secolo
Padre Jorge Crisafulli
Le ragazze corrono felici lungo le strade
di Freetown, la capitale della Sierra Leone.
A prima vista sembrano adolescenti che vivono
serene la loro gioventù. La loro situazione
però è tragica: molte sono prostitute e ogni
giorno combattono per sopravvivere.
La loro speranza si chiama
Don Bosco Fambul.
Padre Jorge con
una delle ragazze
salvata dal triste
destino della
strada.
L a Sierra Leone è uno dei pae-
si più poveri del mondo. Il
52,3% della popolazione vive
con meno di 1,90 dollari al
giorno. Si trova nella parte
occidentale dell’Africa, ha
una popolazione di oltre 7 milioni di
abitanti, con un’aspettativa di vita che
raggiunge appena i 50 anni e in cui
la popolazione sotto i 15 anni rappre-
senta il 41,2%.
Le conseguenze degli 11 anni di
guerra civile del paese, durata fino al
2002 e che ha lasciato più di 120 000
morti, insieme all’epidemia di Ebola
che ha ucciso più di 4000 persone tra
il 2014 e il 2016, pongono la Sierra
Leone alla base di tutti gli indicatori
economici, sociali, educativi e sanitari
del mondo.
Rifugio Don Bosco
Fambul-Girls Shelter
Ed è qui che i salesiani sono arriva-
ti nel 1986 per lavorare a favore dei
bambini e dei giovani più vulnerabili,
fondando nel 1998 la Don Bo-
sco Fambul (che nella lingua locale
significa “famiglia”). Quest’opera di
Don Bosco, che oggi conta 5 salesiani
e 126 operai, è altamente riconosciuta
da tutte le istituzioni locali e interna-
zionali. Dal 2017, il direttore di Don
Bosco Fambul è il sacerdote argenti-
no Jorge Mario Crisafulli, dove svol-
ge 8 programmi a favore dei bambini
e dei giovani a rischio. Don Bosco è
conosciuto in tutto il paese per le sue
azioni con i bambini, soprattutto i
bambini di strada, che vengono pre-
si in autobus di notte e ricevono cibo,
alloggio, vestiti e cercano di riunirli
con le loro famiglie.
Il loro lavoro durante l’Ebola è stato
riconosciuto in tutto il mondo, poiché
i salesiani hanno accettato la richie-
sta del governo della Sierra Leone
di prendersi cura dei bambini orfani
12
Maggio 2019

2.3 Page 13

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a causa dell’epidemia, in molti casi
anche superando la malattia. Hanno
deciso di rimanere mentre altre or-
ganizzazioni e hanno lasciato il
paese.
Don Jorge Crisafulli è uno dei don
Bosco di questo secolo che cammina
per il mondo donando il suo amore
per i minori più vulnerabili e la sua
dedizione a loro. Don Jorge Crisa-
fulli è nato in Argentina e dal 2016
gestisce il Centro di accoglienza per
giovani dei Salesiani di don Bosco a
Freetown. I salesiani lavorano a Free-
town con i bambini più vulnerabili:
hanno iniziato il loro intervento con
bambini soldato e ora pensano a bam-
bini di strada, ragazze abusate, orfani
dell’Ebola, bambini e giovani impri-
gionati e, dalla fine del 2016, anche
per salvare dalla strada le giova-
nissime prostitute.
«Mi prostituisco per poter
mangiare», dice Aminata, 17
anni, di Freetown, nel film
“Love-Venderse para Comer
(Love-Vendersi per mangiare)”
di Raúl de la Fuente, commis-
sionato da “Misiones Salesianas
Madrid”. Il film denuncia la pro-
stituzione minorile in tutto il
mondo e mostra in parti-
colare la situazione delle
giovani di Freetown. I
genitori di Aminata
sono stati uccisi. La
ragazza viveva per
strada e vendeva il
suo corpo da quan-
do aveva tredici
anni. È un desti-
no comune a mi-
gliaia di altre ragazze della capitale di
questo Stato dell’Africa Occidentale.
«Pensano e agiscono come bambine
e si sentono tali. Non hanno nessuna
fiducia nell’umanità, né in loro stes-
se», ha detto il sacerdote salesiano don
Jorge Crisafulli parlando delle ragaz-
ze che sono costrette a prostituirsi in
Sierra Leone. La maggior parte di
loro vive per strada. «In Sierra Leone
le ragazze e le giovani donne non sono
rispettate. L’amara verità è che spes-
so un cane è trattato con più rispet-
to di quanto ne sia riservato a loro»,
ha sottolineato don Jorge, che lavora
in Africa occidentale da 22 anni. A
Freetown le ragazze si prostituiscono
per strada, in case di appuntamenti,
locali notturni o anche su pescherecci
internazionali. Le ragioni principali
alla base della prostituzione sono la
povertà e la fame.
Pensano e agiscono come
bambine e si sentono tali.
Non hanno nessuna
fiducia nell’umanità,
né in loro stesse
Don Jorge Crisafulli
Il film Love, realizzato
dalle Missioni Salesiane,
denuncia la prostituzione
minorile in tutto il mondo
e mostra in particolare la
situazione delle giovani
di Freetown.
Maggio 2019
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
Promesse ingannevoli
In genere le ragazze guadagnano così
da uno a due Euro al giorno. Anche
Aminata ha bisogno di soldi per po-
ter frequentare la scuola. Paga le tas-
se scolastiche, i quaderni e le penne.
Vorrebbe dare una svolta alla sua vita.
«Penso che noi ragazze non dovrem-
mo vivere così. Si corrono gravi rischi
di ammalarsi e morire», ha detto.
Molte ragazze sono attirate da traffi-
canti con false promesse. La maggior
Il nostro obiettivo è aiutare le ragazze parte di loro proviene dalla campagna
e tante sperano in un nuovo futuro in
aintegrarsi di nuovo nella società e città. Viene promesso loro un buon
a tornare a vivere con le loro famiglieDon Jorge Crisafulli
lavoro, ma poi sono sfruttate e sotto-
poste ad abusi.
Le ragazze sono poco o nulla infor-
mate delle malattie e dei rischi che
corrono. Non hanno la possibilità di
Augusta con
don Jorge,
con la nonna e,
a destra, nel
momento del
suo incontro
con papa
Francesco.
pagare una visita medica. Anche se
conoscono i rischi a cui vanno incon-
tro, spesso sono invischiate nell’in-
granaggio in cui sono entrate. La
vita della popolazione di Freetown è
scandita principalmente dalla pover-
tà, dalla droga e dalla mancanza
di prospettive.
La Sierra Leone da oltre
dieci anni è funestata
dalla guerra civile e dal-
le conseguenze dell’e-
pidemia di Ebola. Molti
bambini e adolescenti han-
no perso i genitori e sono
completamente soli. Vivere
per strada significa sperimentare
violenza e illegalità.
«Ma non rinuncio a combattere», ha
dichiarato don Jorge con decisione.
Le strutture mafiose presenti su
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Maggio 2019

2.5 Page 15

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LA STORIA DI AUGUSTA
questo scenario sono particolarmente
preoccupanti. Don Jorge si propone
l’obiettivo di dare voce alle ragazze
senza nome e creare una prospettiva
per il futuro lontano dalla povertà e
dalla violenza.
Nel mese di luglio del 2017 è final-
mente iniziato un programma di re-
cupero rivolto a prostitute minorenni
di età compresa tra nove e diciasset-
te anni. Finora vi hanno preso parte
cento giovani provenienti dal Centro
per ragazze Don Bosco, aperto a set-
tembre 2016.
Le ragazze ricevono trattamenti psi-
cologici e medici e hanno l’oppor-
tunità di frequentare la scuola e di
seguire un percorso di formazione
professionale.
Inoltre, il Centro Don Bosco si impe-
gna affinché clienti e sfruttatori siano
sanzionati. Il 43 per cento delle ragaz-
ze che vivono per le strade di Free-
town ha un’età compresa tra quindici
e diciassette anni. Quasi tutte le ra-
gazze vogliono tornare insieme alle
loro famiglie, soprattutto con le ma-
dri. Il 40% vorrebbe tornare a scuola e
il 53% seguirebbe un percorso di for-
mazione professionale. Questi sono i
risultati di un sondaggio condotto dal
Centro Don Bosco a Freetown.
È importante offrire alle ragazze una
prospettiva. «Le ragazze imparano
a conoscere una casa e strutture fa-
miliari. Il nostro obiettivo è aiutare
le ragazze a integrarsi di nuovo nel-
la società e a tornare a vivere con le
loro famiglie», ha spiegato don Jorge.
Aminata è una di queste ragazze. A
don Jorge sono occorsi sei mesi per
riuscire a farle accettare la proposta di
“Allora, cucina bene questa ragazza?” ha chiesto
papa Francesco a don Jorge Crisafulli, indicando
Augusta, la giovane ragazza della Sierra Leone che
era con lui. Quando sorride illumina tutto ciò che
la circonda. Ha un volto angelico, trasparente, e
parlarle dà il desiderio di abbracciarla, per quel-
lo che ha vissuto, ma soprattutto per la sua forza
interiore, guerriera. La sua storia lacera l’anima di
quelli che l’ascoltano. Dovunque è andata a parlare,
dopo un po’ le persone avevano le lacrime agli occhi.
La prima riunione a Bruxelles, al Parlamento europeo,
ha scosso il cuore di tutti i presenti: “Buongiorno...” e
nessuno rispose... “Buongiorno”, e quando tutti risposero,
secondo l’educazione africana, lei, commossa, cominciò a parla-
re e a raccontare le atrocità subite fino a poco tempo prima. Alla fine, lacrime del pubblico,
applausi e congratulazioni del presidente Antonio Tajani, dei deputati presenti.
Augusta Ngombu era orfana, viveva per strada ed era destinata ad una vita terribile di botte,
schiavitù e umiliazioni. Grazie al Centro Don Bosco Fambul (che significa “famiglia”) la sua
vita è completamente cambiata. Le Missioni Salesiane e Don Bosco International hanno
saputo portarla in Europa per offrire la sua testimonianza. Ha parlato al Parlamento Europeo,
incontrato il Papa, il Rettor Maggiore dei Salesiani, la Presidente di Malta e molti altri.
Augusta si è iscritta al programma “Hope+” dove ha imparato un mestiere e ha svolto 18
mesi di stage in un ristorante. Ha mostrato molto talento e si è laureata al top della sua clas-
se. Non ha mai voluto che i salesiani pagassero i suoi studi o il costoso esame di laurea, e lo
ha fatto con il suo lavoro nel settore alberghiero. Ora ha una propria società di catering, dove
prepara i pasti su richiesta, e vive con la sorella. Dice: «Ora vivo davvero del mio lavoro e il
mio obiettivo è quello di aiutare tutte le ragazze del Girls Shelter perché possano realizzare
i loro sogni».
partecipare al programma del Centro
Don Bosco. È ancora più importan-
te aver conquistato la sua fiducia. Le
esperienze dolorose lasciano cicatrici
profonde alle ragazze.
La storia di Aminata ha avuto un esi-
to positivo. Grazie ai salesiani, ha co-
minciato a realizzarsi dopo il ritorno
al villaggio dove vive la nonna ed è
stata accolta come eroina perché tutti
l’avevano data per morta. Oggi fa la
parrucchiera, ha sposato un ragazzo
elettricista e ha un figlio, che si chia-
ma Principe.
Maggio 2019
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
OM.APTOTREOI MLEOCNOAI RDI
A Borgomanero
si educa al futuro
L’opera salesiana, a Borgomanero,
ha varcato la fatidica soglia dei
cento anni di vita. Ma non smette
di essere “giovane con i giovani”,
per adattarsi alle mutevoli
situazioni e inventarsi profili
professionali nuovi e vincenti.
108 anni di storia
Sono passati più di cento anni da quando, all’ini-
zio del Novecento, nasceva a Borgomanero il col-
Un’antica cartolina dell’Istituto e, a pagina seguente, le moderne
aule attive.
legio “Don Bosco”, per offrire assistenza e ospita-
lità agli studenti provenienti dai paesi vicini. Con
la stima della cittadinanza furono avviate una
serie di classi elementari, medie e tecniche. Nel
1927 l’istituto si trasferì nell’edifico che lo ospita
ancora oggi, sulle rive del torrente Agogna. Qui,
nel 1945, fu avviata l’attività del liceo Classico,
inizialmente maschile, che dagli anni Ottanta si
aprì anche alle ragazze. Nel 1997 venne aperto il
Liceo Linguistico Europeo, a fianco del Classico
e delle Medie.
Sono moltissimi gli uomini e le donne, prove-
nienti da tutto il medio novarese, che hanno
frequentato nei decenni il “Don Bosco” di Bor-
gomanero e che oggi, magari, tornano come ge-
nitori per portare i loro figli nell’istituto salesia-
no. Il legame dell’istituto con il territorio è forte
e radicato, come testimonia l’affetto degli ex
allievi, che partecipano sempre numerosissimi
alle iniziative della scuola, e il sostegno che non
fanno mai mancare alle varie iniziative. Il suc-
cesso di oggi, che vede quasi cinquecento stu-
denti frequentare ogni giorno l’Istituto, è anche
il raccolto di quanto seminato in tanti anni di
buon lavoro. Le sezioni delle scuole Medie sono
salite, da un paio d’anni, al numero di quattro,
e allo storico liceo Classico si affianca oggi un
Liceo Economico Sociale (con gli indirizzi di
Gusto e Innovazione), nato dalla trasformazione
del Liceo Linguistico.
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Maggio 2019

2.7 Page 17

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Una tradizione che genera futuro
Ma l’istituto di Borgomanero non ha scelto la
via facile di sedersi sugli allori del suo glorio-
so passato. Il direttore don Giuliano Palizzi, il
coordinatore didattico Giovanni Campagnoli
e l’intera comunità educativo-pastorale dei sa-
lesiani e dei docenti laici hanno compreso che
solo restando al passo con i tempi e proiettan-
dosi in avanti si sarebbe garantito alla
scuola un futuro in cui continuare a
educare e istruire i giovani alla luce
del Vangelo. Negli ultimi anni sia
gli ambienti fisici sia le metodologie
didattiche sono stati profondamente
rivoluzionati, allo scopo di aggior-
nare i percorsi formativi in ragione
delle esigenze e delle prospettive del
mondo contemporaneo. Un mondo
liquido e complesso, dove diventa
sempre più importante possedere
“competenze” elastiche, che renda-
no in grado di adattarsi alle mutevoli
situazioni e inventarsi profili professionali nuo-
vi e vincenti.
te. In questo modo si ottiene un duplice risultato:
non soltanto si facilita l’assimilazione dei conte-
nuti, rendendoli interessanti in quanto sono una
conquista attiva da parte degli studenti, ma si
educa anche alle competenze fondamentali di
cittadinanza, gestione delle proprie emozioni,
capacità di lavorare in regime di cooperazione,
progettazione condivisa.
Scuola che avvia alla vita:
le innovazioni didattiche
Le vecchie aule scolastiche predisposte per l’in-
segnamento frontale, adatte alla trasmissione
delle conoscenze, sono state sostituite da am-
bienti di apprendimento cooperativo. I banchi
sono mobili e si possono strutturare “a isole”,
dove proporre agli studenti una forma di ap-
prendimento fondata sulla scoperta attiva, attra-
verso esperienze concrete e condivise in gruppo,
mediate cioè dal dialogo e dal confronto. A vol-
te si ricorre anche alla didattica “rovesciata”: si
forniscono cioè agli studenti materiali che essi
elaborano individualmente, discutendo poi gli
spunti raccolti in classe, attraverso il confronto
tra compagni e sotto la direzione dell’insegnan-
Maggio 2019
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
Il nuovo
laboratorio
di Gusto del
nuovissimo
Liceo Economico
Sociale.
Per rendere possibile una didattica innovativa di
questa natura è stato necessario ripensare anche
gli spazi e le attrezzature: tutte le aule sono state
digitalizzate, con lavagne multimediali, proietto-
ri e connessione in banda larga. Nelle scuole Me-
die è stata avviata dal 2017 anche la nuova sezio-
ne “Digitale-Sperimentale” di fianco alla sezione
“Potenziata-Tradizionale”.
Alle vecchie aule, dove ogni classe trascorre-
va la mattinata, sono state sostituite le aule per
materia, corredate dei testi e degli strumenti ne-
cessari a renderle dei veri e propri “ambienti di
apprendimento”. Come in ambito universitario,
sono dunque gli studenti a spostarsi, al termine
di ogni blocco orario, dall’aula precedente verso
l’aula della disciplina successiva. Sono stati re-
centemente realizzati anche un bar didattico e un
FabLab, con stampanti 3D e fotoincisori.
Si sta sviluppando la didattica interdisciplinare,
incentrata su progetti che prevedono il coinvolgi-
mento di più discipline e che hanno come obietti-
vo finale quello di maturare competenze trasver-
sali, particolarmente utili per il pieno inserimento
nella società contemporanea e nel mondo lavora-
tivo. Per preparare al meglio alle sfide del futuro,
si è potenziata la formazione in lingua straniera
e le relative certificazioni linguistiche, come gli
scambi internazionali con scuole finlandesi, tede-
sche e spagnole. Uno spazio particolare viene poi
riservato all’educazione alla “contemporaneità”,
con ore specifiche dedicate a discutere di temi del
mondo d’oggi.
La fondazione Agnelli ha recentemente certifica-
to che il liceo Classico “Don Bosco” coniuga livelli
alti di preparazione in uscita (testimoniati dai voti
del primo anno di università) con uno degli indici
più bassi di dispersione scolastica del Piemonte.
Il che significa che si punta all’eccellenza senza
sacrificare, in nome di questo, l’inclusione di chi
è più in difficoltà, piuttosto cercando di integrare
tutti. È di grande aiuto in questo senso la “for-
mula campus” per i Licei, con spazi attrezzati per
lo studio individuale, cooperativo o guidato, tutti
i giorni, e sportelli pomeridiani per le diverse di-
scipline.
Ma soprattutto: educare buoni
cittadini e buoni cristiani
Ma ciò che più di tutto continua a contraddi-
stinguere lo spirito del “Don Bosco” di Bor-
gomanero è l’impronta salesiana: la comunità
educativo-pastorale non dimentica che il fine
ultimo dei suoi sforzi è realizzare l’auspicio del
fondatore, vedere i giovani «felici nel tempo e
nell’eternità». Per questo si continuano a cura-
re l’ospitalità dell’ambiente, affinché resti una
«casa che accoglie», e i momenti di “cortile” e di
incontro, dove in mezzo ai ragazzi non manca-
no mai i salesiani e i docenti laici.
I ragazzi delle Medie sono coinvolti in numero-
se attività extracurricolari, come le Compagnie,
e non mancano i ritiri spirituali, le esperienze
estive in Val d’Aosta e a Lourdes, le attività
delle Commissioni ai Licei, dal Volontariato
allo Sport, dal Coro al Giornalino. Le idee non
mancano, né la voglia di buttarsi in nuovi pro-
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2.9 Page 19

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getti. Il motto è sempre quello
di don Bosco: «Nelle cose che
tornano a vantaggio della gio-
ventù… io corro avanti fino
alla temerità!».
La fondazione Agnelli ha
recentemente certificato che il liceo
Classico “Don Bosco” coniuga
livelli alti di preparazione in uscita
(testimoniati dai voti del primo anno
di università) con uno degli indici più
bassi di dispersione scolastica del
Piemonte.
Maggio 2019
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2.10 Page 20

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FMA
MEMAIRLIA ADNI MTOANSISAIMCHOINELLO
Il cielo è azzurro Vivere qui significa avere
il coraggio di affrontare
le sfide di ogni giorno al
su Pionersk
ritmo di bombardamenti
distanti solo cinque
chilometri dal cortile dove
si gioca con i bimbi, dove
La zona grigia
Viene definita zona grigia, è un ter-
il cielo azzurrissimo si
rispecchia nei loro occhi.
ritorio distante un paio di chilometri
dalla prima linea di azione militare in
to la loro esperienza ed hanno invitato
Ucraina est, eppure ci sono tre Figlie
a partecipare ad un campo estivo, ed
di Maria Ausiliatrice: suor Margerita
aggiunge: «Ho sentito la chiamata di
Pietruszczak, suor Natalia Vakuli-
venire nella zona grigia per essere un
shyna, suor Khrystyna Karol, prove-
segno profetico per la mia comunità di
nienti da Odessa, Leopoli e Tbilisi.
Lviv e per il mio Paese, l’Ucraina. Qui
La differenza geografica non è un
ho ritrovato l’amore forte per Gesù
ostacolo per farsi prossimo vivendo
come nei primi anni della mia conver-
la fraternità e con la gente, dipende
sione al cristianesimo, quando avevo
dall’Ideale che si condivide e che si
18 anni! Durante il campo estivo ho
cerca di vivere, proprio come testimo-
vissuto giorni nei quali, con gli altri
niano gli appartenenti del “Servizio
partecipanti, ho visto i molteplici mi-
Cristiano di Soccorso”, un movimen-
racoli di Dio, abbiamo toccato la Paro-
to ecumenico di volontariato, fondato
la viva che ci trasformava e ci donava
nel 2015 da laici e Cappellani militari
la forza per vivere la fraternità. Inoltre
della Chiesa cattolica ucraina.
Al centro del servizio c’è la Parola
di Dio condivisa al mattino, la testi-
Eppure guardano al presente e desiderano
dipingerlo di gioia, di speranza, di sorriso, sia per
le loro famiglie sia per il Paese.
il contatto profondo con la gente che
si instaurava immediatamente, anche
se non ci si conosceva; il cibo che si
monianza di una fede viva e operante rato dalla stessa terra bruciata dalla portava era un ponte che consentiva di
vissuta mediante il volontariato che guerra, da quanto è superficialità e vivere l’esperienza di essere uno stru-
lascia le porte aperte in un territorio dalle preoccupazioni che perdono il mento che, anche se fragile, Qualcuno
di guerra: le famiglie, i ragazzi del loro valore in confronto ad una realtà sceglie perché i cuori, bruciati più dalla
villaggio, i militari che sono in prima dove ogni giorno la vita viene messa violenza che dalla guerra stessa, gua-
linea, i volontari che vengono da lon- in gioco.
riscano ed incontrino chi sia in grado
tano per porsi al servizio degli altri, Suor Natalia ci racconta che un anno di intercettare il loro silenzioso grido
incondizionatamente e scegliendo di fa suor Anna Zainchkovska e suor di aiuto».
non fare le vacanze. Ciascuno si sente Maria Rehakova, sono state a Pionersk Suor Margerita completa la testimo-
a suo agio, accolto, ascoltato, rigene- per un breve periodo, hanno racconta- nianza di suor Natalia: «Ho vissuto
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Maggio 2019

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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per un breve periodo nella zona gri-
gia. Stavo vicino alla gente che ha
fatto esperienza della tragicità della
guerra, eppure guardano al presente
e desiderano dipingerlo di gioia, di
speranza, di sorriso, sia per le loro
famiglie sia per il Paese, ma chi por-
ta i colori? Ho conosciuto persone
che hanno risposto all’interrogativo
svolgendolo con passione, senza far-
si alcuna pubblicità; hanno lasciato
il proprio mondo e hanno deciso di
donare amore mediante la realtà fatta
di piccole cose, con concreti gesti di
solidarietà, consapevoli che nessuno
può vivere senza amore, l’unico colore
che racchiude tutti gli altri».
Il libro più bello
La preghiera è il nutrimento di tutta
la giornata per chi si pone a servizio
del prossimo, come l’impegno perso-
nale di vivere l’unità e la capacità di
amare che si fa attenzione, delicatez-
za e tenerezza verso gli altri; pren-
dersi cura del prossimo significa per
i volontari reciproca premura, porre
gesti di bontà e di benevolenza, ave-
re il coraggio di affrontare le sfide di
ogni giorno a Pionersk dove il giorno
trascorre al ritmo di bombardamen-
ti distanti solo cinque chilometri dal
cortile dove si gioca con i bimbi, dove
il cielo azzurrissimo si rispecchia nei
loro occhi. Sono gli occhi di chi tra-
scorrerà metà della propria vita in una
zona di guerra ma non chiude il pro-
prio cuore e cerca di consentire alla
vita di essere più forte della morte che
quotidianamente si rende presente
sotto molteplici vesti. I ragazzi sanno
aprirsi agli orizzonti della speranza
e regalare ai volontari ciò che ha un
valore inestimabile: l’umanità, infini-
tamente più grande di quanto si crede
di donare loro.
Ci sembra simbolico il nome del
Centro estivo, uno spazio abbando-
nato dove si svolgono le attività per
i bambini dei villaggi; si chiama “La
speranza”. In esso la speranza si tro-
va effettivamente, ci si accorge che
Qualcuno la riversa nel cuore e dona
ragioni di speranza per il futuro dei
bambini, per il Paese.
Il nostro cammino prosegue con
piccoli passi che lasciano però orme
evidenti sul terreno della zona grigia;
ci accorgiamo che su di essa grada-
tamente fioriscono umili germogli:
sono i sogni dei piccoli e dei grandi
e sono colorati dal desiderio di pace,
di solidarietà e di gioia, fondamenta
per la costruzione di un futuro di vita
e di pace, di giustizia e di libertà, a tal
punto da far scomparire ogni grigio-
re e leggerlo negli occhi dei bambini,
come se fossero il libro più bello che
sia stato scritto.
Simbolico il nome del Centro estivo, uno spazio
abbandonato dove si svolgono le attività per i
bambini dei villaggi; si chiama “La speranza”.
Maggio 2019
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3.2 Page 22

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MARIA AUSILIATRICE
NATALE MAFFIOLI
L’altare di don Bosco
Il capolavoro dell’architetto Mario Ceradini
Idealmente la Basilica è passata da santuario
esclusivamente dedicato alla Madonna alla celebrazione
della figura carismatica di don Bosco e infine alla
‘glorificazione’ della congregazione salesiana di cui
l’altare dedicato al Santo è il fulcro.
Nei 150 anni trascorsi dalla
sua consacrazione, la basi-
lica di Maria Ausiliatrice,
ha visto variazioni signifi-
cative sia nella struttura sia
nella definizione ideale del-
la sua realtà. Già don Rua, agli inizi
degli anni novanta dell’Ottocento, un
paio d’anni dalla morte di don Bo-
sco, aveva sostanzialmente variato la
‘pelle’ interna ed esterna del santua-
rio con strutture, pitture, sculture e
stucchi del tutto nuovi; gli anni 1935-
1940, hanno visto una trasformazio-
ne importante nell’ampliamento e
nella trasformazione del suo apparato
devozionale-liturgico. Per quanto ri-
guarda gli arricchimenti ideali della
chiesa, si è passati da un santuario
esclusivamente dedicato alla Madon-
na venerata con il titolo di Aiuto del
Popolo Cristiano, voluto dal fondato-
re, ad un edificio divenuto anche ce-
lebrazione della figura carismatica di
don Bosco (e questo è stato più volte
ribadito dallo stesso don Rua) fino
all’ultima fase seguita alla beatifica-
zione e canonizzazione del nostro,
quando la basilica, oltre a quanto si è
già sottolineato della struttura, è di-
venuta, con l’intervento determinante
del Rettore Maggiore don Pietro Ri-
caldone e dell’economo generale don
Fedele Giraudi, ‘glorificazione’ della
congregazione salesiana e il nuovo al-
22
Maggio 2019

3.3 Page 23

▲back to top
tare intitolato a san Giovanni Bosco
è assurto a fulcro e manifestazione di
questa nuova ideale realtà.
Non si possono dunque descrivere
compiutamente le vicissitudini della
Basilica senza dedicare uno spazio
importante all’architetto Mario Ce-
radini e al nuovo altare da lui ideato
dedicato al santo.
Mario Ceradini era nato a Venezia
nel 1864. Fu professore di architettu-
ra e maestro di disegno all’Accademia
Albertina di Torino. Fu poi presiden-
te della stessa Accademia; nel 1931
fu eletto direttore della prima Scuola
Superiore di Architettura di Torino e
tenne l’incarico fino al 1935.
Il primo approccio del Ceradini con la
Basilica è da far risalire al 1922; l’allora
Rettore Maggiore dei
salesiani don Filippo
Rinaldi aveva pensato
all’ampliamento del-
la chiesa madre. Si
stavano avvicinando
i giorni della beatifi-
cazione di don Bosco,
che per lui era stato
un secondo padre, e
il santuario si rivelava
angusto e inadatto ad
accogliere un numero,
sempre crescente, di
pellegrini. Don Rinal-
di affidò al Ceradini
l’incarico di un primo studio di fatti-
bilità dell’impresa. L’improvvisa mor-
te di don Rinaldi, il 5 dicembre 1931,
interruppe sul nascere il progetto.
Toccò al successore, don Pietro Rical-
done, iniziare e portare a compimen-
to l’impresa. Tenuto conto delle gravi
difficoltà che il disegno del Ceradini
avrebbe incontrato (il suo progetto
prevedeva l’abbattimento quasi per in-
tero delle primitive pareti perimetra-
li), don Ricaldone affidò all’architetto
salesiano Giulio Vallotti il compito di
una nuova progettazione. Per inciso va
detto che una delle spese più pesanti
all’inizio dei lavori fu la messa in sicu-
rezza della struttura originaria perché
l’antica palificazione delle fondamenta
si rivelò estremamente precaria. Se al
Vallotti si affidò la gestione generale
dell’impresa, al Ceradini fu assegnata
la progettazione del nuovo altare dedi-
cato a don Bosco, da poco canonizza-
to; si trattò di una sorta di risarcimento
per il fallimento del suo primo piano
di ampliamento.
Fu smantellato l’altare dedicato a san
Pietro (parte dei marmi e la pala ori-
ginaria di Filippo Carcano furono, in
seguito, collocati nella cripta sotto-
stante la sacrestia, intitolata, appunto,
a san Pietro) e nel frattempo si iniziò
lo studio per il nuovo altare.
Il progetto del Ceradini rispondeva
al gusto, un po’ magniloquente, in
uso negli edifici ecclesiastici alla pri-
ma metà del secolo. Certamente
i committenti si aspettavano un al-
tare che, nelle forme, glorificasse il
nome di san Giovanni Bosco e vollero
dall’architetto il meglio come imma-
gine e preziosità di materiali.
Marmi colorati e preziosi
Nel progetto dell’architetto il fulcro
dell’altare è l’urna, di ottone argentato
e cristallo, con le reliquie del santo, ed
è circondata da importanti riferimenti
iconografici: il quadro del Crida, con
l’immagine del santo, circondato dai
giovani in venerazione della Vergine,
posto sopra la custodia del corpo del
santo e due statue, in statuario di Car-
rara, dello scultore Giuseppe Nori che
affiancano la mensa a simboleggiare le
virtù proprie di don Bosco, la fede e la
carità (non è secondario che queste af-
fianchino la mensa dove si celebra l’eu-
caristia, questo per sottolineare che le
virtù don Bosco le ha esercitate traen-
do forza dal sacramento): la figura del-
la fede è eretta, è av-
volta in un ampio
panneggio. Con
entrambe le mani
regge un calice sor-
montato da un’ostia
aureolata, di con-
tro la carità è in
posizione eretta,
il capo è coperto da
un velo ed il corpo è
avvolto da una man-
to sovrabbondante.
Con le mani regge
un cuore infiammato
e aureolato.
Maggio 2019
23

3.4 Page 24

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MARIA AUSILIATRICE
IL QUADRO
Il singolare monumento a don Bosco
fu allestito utilizzando una notevole
quantità di marmi colorati e preziosi.
Da uno sguardo al complesso si capi-
sce che il giallo di Siena è il marmo
più utilizzato nelle componenti essen-
ziali (basi, lesene, trabeazione, timpa-
no, stipiti e sovrapporte) e in tutte le
cornici della custodia del corpo del
santo. L’alta base, in verde Issorie e in
giallo senese, regge le quattro colonne
principali in diaspro rosso di Garessio;
questo marmo è impiegato anche per
le specchiature della trabeazione con il
nome del santo con lettere in bronzo
dorato. Tutti questi elementi struttu-
rali formano anche la parte più deco-
rativa dell’altare; è interessante notare
che tutte le specchiature marmoree e le
decorazioni ad aggetto sono arricchite
con cornici di bronzo dorato. Dei due
plinti sovrapposti l’inferiore è arricchi-
to da un rombo in onice antico lista-
to con nero del Belgio e affiancato da
intarsi triangolari in rosso di Numidia,
al centro un monogramma raggiato di
bronzo dorato con le lettere SJB (Sanc-
tus Joannes Bosco), il superiore è “ric-
camente sagomato e ornato di bronzi
e di intarsi con marmi
preziosi”, il marmo è
l’alabastro, le cornici
sono di bronzo dorato,
come di bronzo dorato
sono le basi e i capitelli
corinzi delle grandi co-
lonne. Al centro lo spa-
zio per l’urna del santo
è sormontato dalla testa alata di un
cherubino. Per il paliotto dell’altare si è
fatto uso dell’onice di Locarno, suddi-
viso da mensole, ancora una
volta, di giallo senese
con intarsi in verde
Issorie e ornamenti
in bronzo dorato; i
gradini dell’altare
sono, come il resto,
in giallo di Siena
con intarsi di mar-
mo nero. La ba-
laustra in giallo di
Siena è chiusa da
un cancello a due
battenti, in bronzo
parzialmente do-
rato realizzato dai
Luisoni su disegno
del Ceradini. I due
spigoli anteriori,
concavi, proteggo-
no due rocchi di colonna di Issorie con
contenitori in bronzo dorato, decorati
con rami d’ulivo, per raccogliere le of-
ferte. Per i pavimenti, sia per quello del
presbiterio sia per quello dello scurolo,
si è utilizzato il broccatello di Siena,
verde Issorie e macchia rossa; sul pia-
no di calpestio sono stati posati ampi
inserti con monogrammi di don Bosco
e iscrizioni a rilievo in bronzo.
Le pareti dello scurolo
sono rivestite dei marmi
più intriganti: domina,
come al solito, il giallo
di Siena ma non manca
il rosa di Candoglia e al-
tre brecce pregiate. L’at-
tenzione dell’architetto
è rivolta anche all’inter-
La pala è stata realizzata nel 1940 dal pit-
tore Paolo Crida (1886-1967). Il dipinto,
centinato, raffigura don Bosco, con talare
e mantellina, che presenta un gruppetto
di ragazzi davanti ad un’immagine
dell’Ausiliatrice con il Bambi-
no, seduta su un alto tro-
no. Il seggio è collocato
di sbieco, formato da
un piedistallo mar-
moreo con spec-
chiature colorate,
lo schienale, co-
perto da un drap-
po, è compreso tra
due colonnine di
marmo venato con
capitelli ionici e
sormontate da una
trabeazione agget-
tante. Tre angioletti
svolazzanti occu-
pano la porzione
di cielo libera.
Sulla sinistra della
composizione, due
chierichetti, con ta-
lare bianca e cotta,
assistono alla sce-
na in ginocchio.
no dell’alloggiamento dell’urna che lo
ha arricchito con specchiature in onice
di Locarno, marmi preziosi e pietre
dure. Non mancano qui, come altrove
nell’altare, decori in bronzo cesellato e
dorato.
Verso la fine del 1936 si realizzò in ce-
mento armato la cupola ellittica sovra-
stante il loculo situato dietro l’altare. Il
Ceradini si impegna, verbalmente, con
la ditta Crovatto, che dovrà realizzare
la decorazione a “mosaico e smalto e ori
di Venezia”. La decorazione, certamen-
te progettata dal Ceradini, include una
fascia con i simboli dello zodiaco. La
chiusura dell’occhio superiore fu ese-
guita in bronzo dalla ditta Chiampo.
Le parti marmoree sono spesso arric-
chite con decorazioni in bronzo dora-
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Maggio 2019

3.5 Page 25

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to; cornici, palmette, fiori e realizzati
dalla fonderia Lomazzi su disegno
dell’architetto.
Una descrizione a parte merita l’ese-
cuzione del tabernacolo e del gradino
dei candelieri. Agli inizi del 1937 il
Ceradini fornisce “in grandezza na-
turale di esecuzione due tavole” alla
ditta G. Fiaschi di Pietrasanta (Lc)
per l’esecuzione, in lapislazzuli e ma-
lachite, delle specchiature del gradi-
no dei candelieri ornate in cornici e
bronzo cesellato e dorato fornite dalla
ditta Lomazzi. Tra le specchiatu-
re l’architetto ha previsto la
collocazione di quattro
piccole statue, in bronzo dorato, raf-
figuranti le virtù cardinali: prudenza,
giustizia, fortezza e temperanza. Agli
inizi il tabernacolo avrebbe dovuto
essere ricavato da un blocco unico di
onice di Locarno e l’incorniciatura
è decorata con inserti di malachite
e lapislazzuli arricchiti con cornici e
decori in bronzo dorato. Attualmente
la portina del tabernacolo è decorata
con giada e lapislazzuli e, al centro,
campeggia la figura dorata dell’A-
gnus Dei. L’esecuzione di sei cande-
lieri grandi, quattro medi e della cro-
ce, tutti in bronzo dorato, fu affidata
alla Scuola Superiore d’Arte Cristia-
na Beato Angelico di Milano.
I due cancelli di accesso allo scurolo,
realizzati in bronzo in parte dorato,
sono a scomparsa nelle pareti laterali.
L’accesso, profilato in giallo di Sie-
na, è sormontato da due sovrapporte
con i ritratti dei pontefici più vicini
al nostro, Pio IX e Pio XI realizzati
in marmo statuario di Carrara. En-
trambi i papi avevano avuto a che fare
con don Bosco: il primo lo apprezzò
e lo protesse nelle travagliate vicende
dell’approvazione della congrega-
zione salesiana, il secondo lo incon-
trò, ancora giovane prete, a Valdocco,
pranzò alla sua mensa, lo beatificò e
lo canonizzò.
Le due immagini clipeate sono sor-
montate dagli stemmi personali dei due
papi realizzati in lapislazzuli e pietre
dure dalla ditta Fiaschi di Pietrasanta
coronati dalle tiare con festoni in bron-
zo dorato. I due ritratti sono segnati
da un intenso realismo e sono opera
dello scultore torinese Roberto Terra-
cini; a causa della loro ubicazione sono
poco visibili e pochissimo conosciuti,
meriterebbero una maggiore conside-
razione per la finezza dell’esecuzione
e la precisione dei lineamenti. Anche
il coronamento dell’altare fu realizzato
da uno scultore importante. I due ange-
li collocati sulle due parti del timpano
spezzato che reggono lo stemma della
Congregazione salesiana sono lavori
importanti dello scultore torinese Emi-
lio Musso. Lo stesso scultore ha realiz-
zato, in bronzo, l’angelo della chiave di
volta della tela del Crida.
Interessante una lettera dell’architet-
to Ceradini a don Giraudi, che il 15
gennaio del 1938 gli comunica che il
suo precario stato di salute gli crea
notevoli problemi. L’architetto morì a
Sanremo (IM) nel 1940.
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3.6 Page 26

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A TU PER TU
ON.INPOORGIENMTEICLEOI
Fabio Geda a Valdocco
Cronaca di un’intervista ad uno scrittore famoso,
giovane e bravo.
Fabio Geda si aggira nel cortile
di Valdocco: sta aspettando il
direttore del Bollettino Sale-
siano per l’intervista sul suo
ultimo libro: “Il demonio ha
paura della gente allegra. Di don
Bosco, di me e dell’educare”.
Il cortile si è rifatto il look da tem-
po, ma ci sono ancora lavori in corso
nella zona adiacente alla chiesa di San
Francesco. E lui con la sua coppola si
muove verso la libreria, quasi a voler
controllare se il suo libro è in bella
vista. Ma dopo pochi passi si sen-
te chiamare. Don Bruno è arrivato.
Pronto a sottoporlo al fuoco di fila
delle sue domande e raccoglierne le
risposte. Si salutano affettuosamente,
anche se non si conoscono: ma sono
un salesiano e un giovane e quindi si
conoscono da sempre. Registro tutto
standomene vicino, quasi in disparte,
ad assistere al colloquio tra due mostri
per me della scrittura: il Direttore del
Bollettino Salesiano, mensile fondato
proprio da don Bosco, e lo scrittore
che mi ha preso l’anima coinvolgen-
domi in questa sua ultima fatica, an-
che se solo di striscio. Potrei raccon-
tarvi come è andata questa storia, ma
ormai lo sanno tutti che ho presentato
il suo libro qui a Valdocco con Ivan,
don Guido e Chiara. Che mi sembra-
va di toccare il cielo con un dito.
Fabio Geda, don Bosco, Valdocco,
l’Agnelli, la Playa di Catania, la for-
mazione professionale, sala Sangalli,
le arance… Incredibile ma vero!
E quindi provo a star dietro a loro,
provo a registrare ogni parola, ogni
emozione. Tutto si svolge in cortile,
nel cortile di don Bosco, a Valdocco.
Camminando su e giù fino a quando
non si salutano affettuosamente e si
danno appuntamento magari al pros-
simo libro, magari nel prossimo cor-
tile in cui un altro salesiano saluterà
Fabio così: se stai bene tu sto bene
anch’io!
E allora l’intervista.
Fabio, se ti dovessi auto
presentare, al di là di
wikipedia, che cosa diresti
di te?
Dovessi, tra le mie arruffate identità,
tratteggiarne una cui sono partico-
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3.7 Page 27

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larmente legato, e dovessi farne un
ritratto per accumulo di gesti, luoghi
e situazioni, ecco, il risultato potrebbe
essere: educare, crescere, basket, pren-
dere posizione, domande, dialogo tra
le generazioni, periferia, cortile, stra-
da, camminare in montagna, radicali-
tà, bici, deserto, contemplazione, tra-
scendenza e immanenza, panchine,
minori stranieri, fare lavatrici di notte
(questa è lunga da spiegare, ma ha a
che fare con l’oratorio San Luigi di
Torino), ascolto, scoutismo, Slovenia
negli anni Novanta, servizio, Valdoc-
co, treni, sacco a pelo, fare del proprio
meglio. Caffè. Tanto. E potrei andare
avanti.
Come ti è venuta la
vocazione di scrittore?
Non ricordo quando ho iniziato a scri-
vere: mi sembra di averlo sempre fat-
to. Ma so che il primo racconto che
ho fatto leggere ad altri è stato quello
pubblicato da El palillo, il giornalino
del mio liceo scientifico, il Marie Cu-
rie di Torino. Facevo terza. Era un rac-
conto su un cane che andava in giro di
notte a sbudellare la gente: ero un gran
fan di Stephen King all’epoca! E un
po’ lo sono ancora. Da quel racconto
in poi non ho mai smesso di scrivere.
Ho fatto mille altre cose, ma ho sem-
pre continuato a giocare con le parole.
Proprio King una volta ha detto: “Io
sono una di quelle persone che fatica
a capire ciò che pensa finché non lo
scrive.” Ecco, anch’io ho sempre usato
(e ancora oggi uso) la scrittura per fare
chiarezza. Quando pensi puoi pastic-
ciare con i pensieri, ma quando scrivi
no, devi scegliere le parole, devi com-
porre le frasi, e alla fine le frasi sono
quelle, punto, e significano ciò che si-
gnificano. Non hai scampo.
E quali sono i temi
che preferisci?
Ognuno scrive ciò che sa, o per lo
meno dovrebbe. Io ho lavorato per
anni come educatore e quindi i miei
temi girano attorno all’educare e al
La copertina del libro e immagini dell’autore, che
ha fatto il “servizio civile” con i salesiani.
dialogo tra le generazioni. Diciamo
che ho una passione per le periferie:
quelle umane e quelle urbane. Mi
piacciono le persone, le loro vite, mi
piace vedere la gente muoversi per
le strade. Quasi tutti i miei roman-
zi hanno al centro persone normali
messe di fronte alle piccole-grandi
scelte di tutti i giorni, alle piccole-
grandi tragedie e alle piccole-grandi
euforie dell’esistere. Poi certo, mi
concedo delle divagazioni. Ad esem-
pio ho scritto un libro che si intitola
Itadakimasu, che vuol dire buon ap-
petito in giapponese, e che è un re-
portage narrativo da Tokyo. Adoro il
Giappone. Adoro viaggiare.
Perché un libro
su don Bosco?
E la risposta inizia come a voler inter-
pretare il cuore di tutti quelli che come
me ci sono passati e ci hanno vissuto in-
tensamente: “Perché amo il cortile e
l’oratorio.”
Maggio 2019
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3.8 Page 28

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A TU PER TU
Ma poi continua alla Fabio Geda e
quindi in modo unico: “Quel tipo di
relazione adulto-ragazzo ha lasciato
in me una traccia indelebile. Sono ex-
allievo della scuola media Edoardo
Agnelli di Torino, quartiere di Mi-
rafiori, proprio accanto alla fabbrica.
Di quegli anni ricordo soprattutto
l’armadio dei palloni su cui ci av-
ventavamo per scegliere quello meno
usurato, e il professore di lettere, don
Saddi, cui credo di dovere parte del
mio amore per la lettura. Una volta al
mese entrava in classe con un carrello
da mensa, in fòrmica e acciaio, carico
di libri, e ci invitava a sceglierne uno
di pancia, lasciandoci attrarre dalla
copertina, dal titolo o dalla sinossi.
Una volta letto dovevamo presentarlo
ai compagni dicendo se ci era piaciu-
to o no, e perché. Con i salesiani ho
prestato servizio come obiettore di
coscienza. Da loro ho ricevuto il mio
primo stipendio da educatore. Al San
Luigi di Torino ho chiuso il seco-
lo inventandomi un mestiere per cui
non avevo studiato, l’educatore, che
mi ha poi accompagnato a essere lo
scrittore che sono.”
A chi pensavi scrivendolo?
E lui senza scomporsi, come al solito:
“Sinceramente non pensavo a una
persona, ma a un’atmosfera, un senti-
re. Un certo sguardo sul mondo.”
Ci sono altri “coccodrilli”
nel tuo futuro?
Nel mare ci sono i coccodrilli è stato un
libro per me fondamentale, di fatto
quello che mi ha permesso di fare
questo mestiere. Storie come quelle
arriveranno sempre. E io sempre le
racconterò.
Che cosa pensi dell’umanità?
Ce la caveremo?
Fabio ne conosce gli odori, i sudori, le fa-
tiche, vissuti anche sulla sua pelle.
“Sono un ottimista ‘della volontà’.
Diciamo che sono certo che non ce la
caveremo facilmente. Ma c’è la possi-
bilità che alla fine la ragionevolezza
vinca sugli istinti peggiori e che la lu-
cidità abbia la meglio sulla confusio-
ne. Vedo diversi problemi all’orizzon-
te, prima di tutto quello demografico
che, unito a quello ambientale, è una
vera bomba a orologeria. Ma c’è la
scienza che ogni tanto ci soccorre. E
c’è tanta gente di buona volontà che
cerca di rendere il mondo un luogo
migliore. Vedremo.”
Siamo alla fine spero perché io non
riesco più a scrivere, mi si sono conge-
late le dita, io inizio a respirare quan-
do la temperatura supera i 30 gradi e
non sono ancora riuscito a superare la
fase di acclimatamento a Torino, che
dura da più di trent’anni.
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Maggio 2019
Fabio Geda durante la presentazione del suo libro
a Valdocco. «Nell’Oratorio San Luigi di Torino
mi sono inventato un mestiere per cui non avevo
studiato, l’educatore, che mi ha poi accompagnato
a essere lo scrittore che sono».

3.9 Page 29

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DON BOSCO NEL MONDO
MARCELLA ORSINI
A tutela dei bambini
e dei ragazzi aDOrNisBcOhSiCoO NEL MOND
Grazie al 5×1000 ricevuto nel 2018, la FoAndazTionUe hTa rEealLizzAato pDrogEettIi inBIndAia,MBIN
nella Repubblica Democratica del Congo e nEellaDRepEubbIlicRa dAel CGonAgo.ZZI A RISCH
L a Fondazione
è
un organismo della Congregazione Sale-
siana che ha come scopo la promozione, il
sostegno e lo sviluppo delle Opere e Mis-
sioni Salesiane nel mondo.
La mission della Fondazione è quella di
fornire cibo, riparo, cure mediche, istruzione e
formazione professionale ai bambini e ai ragazzi
in situazione di disagio e contribuire alla riduzio-
ne degli effetti delle emergenze umanitarie.
Nel 2018 con il 5×1000 ricevuto, la Fondazione
ha realizzato i progetti
“Istruzione di qualità per i giovani vulnerabili e a
rischio” a Hospet in India e “Tutela dei minori a
rischio” a Kinshasa nella Repubblica Democrati-
ca del Congo e a Brazzaville nella Repubblica del
Congo. Sono contesti molto differenti, ma il trat-
to che li accomuna è l’estrema povertà e la situa-
zione di bisogno della popolazione giovane che
ha beneficiato dei progetti. I ragazzi e le ragazze
sono esposte alle peggiori forme di violenza, di
sfruttamento e di esclusione sociale.
I due progetti hanno consentito a centinaia di
bambine, bambini e adolescenti in India, nella
Repubblica Democratica del Congo e nella Re-
pubblica del Congo di trovare spazi e modalità
per vedere ridotta in modo significativo l’espo-
sizione al rischio di violenza, sfruttamento, in-
sicurezza e negazione dei diritti. Per favorire la
protezione dei bambini e dei ragazzi a rischio, le
due proGnveirnallczaeieRsaealeplsu5iaxbn1be0lii0nc0aInrDidceieamveouictnoraAntfiecrliac2ad0h1ea8ln,CnlaoonFgoondeanzeiollnaeRheapurebablilziczaatdo
pianificato e realizzato numerose attività sia in
L ambito
pratico
aSsCiaFOoinnNdEaazLmioMnbeiOtoNDDOfOoNrmèBaOutn-ivoeteplaaerrdisedci homitoian”-oariHaosripsecthiion”
India e “Tu-
a Kinshasa
re i minori di qourgaannitsomolordoelnlaecCeossnagrreio- pienrRceopnubtbrlaic-a Democratica del Con-
stare
laconmege aszcioogpnaozeiolaenelpaSroavmleiooszilaiaonznaieo,cnhilee shdoae- i
lgCooornoegoda. iSBroriatntzoizacvoinllteesinti
Repubblica del
molto differenti,
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curezza
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fondamsetengtnaoli.e NloosnvilèupmpoandeclaletoOpneerleloe svmilua pilptroattdo ecihe li accomuna è l’estre- piani ca
progettMmi iiisslssiioocnnoiindSevalollaelsgFiaiomnnedeannzteiool nmedoeèngdlqoiu. eaLldlaaultmdi eaallatptorvpaeovrpteàorl-aezliaonseituagzioiovnaenedi
bisogno
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vità sia i
formativ
so la fodrimforanzirieonciebod, riipeadrou, ccautreormi eedicdhie,insbeegnenacniattoi deei progetti. I ragazzi e le loro nec
attraverilsestorauilzbaioansmeebneinsiifoberimaliiazrzaziogaanzzeizopi nrinoefesdistuseialolzneioa--comrfoaurgmanzeiztdeài
dei sono esposte alle peggiori
violenza, di sfruttamento e di
gazione
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villagginde odvi ediisargaigoaezzcoinrtirsibiueidreonalola. ridu- esclusione sociale. I due progetti han- sviluppo
Con
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zutimounaoeni5tda×eri1ge0lis0uel0lfafetpptioupdooeilallezeisoesnmeer.eergiennszieemnbeoamacobnninsoieientaiatodl oalecsecnetnintiaiian
di bambine,
India, nella
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trova-
ridotta
dei villag
Repubb
gliere, pnerodtieqgugaelire peerisitgriuoviareni lvuinlnfearanbzilii a pinmovduolnsieg-ni cativo l’esposizione al in Repu
rabile e a rischio.
esposti
schiavitù
e di abb
fettiva e
lesiani h
a rischio
vestiario
di prima
shasa e
Gli obiet
ben rap
dei Sal
re acco
istruzion
adeguat
salvagu
to delle
zie all’a
conosce
volezza
mentali.
insieme
Don Bo
rano con
gliere, p
più vuln
Maggio 2019
29

3.10 Page 30

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I RAGAZZI DEL PAPA
Il Beato Zeffirino Namuncurà
Il figlio dell’ultimo cacico
(26 agosto 1886 - 11 maggio 1905)
Z effirino Namuncurà era un
indio araucano. Gli Araucani
erano scesi un giorno lonta-
nissimo dalle cordigliere delle
Ande verso le immense pia-
nure dell’est, che oggi chia-
miamo pampa dell’Argentina. Il loro
nome dice che venivano dalla valle
del fiume Arauca, dove i loro antenati
erano venuti in contatto con l’antica
civiltà degli Incas, il misterioso popo-
lo del Perù.
Pelle ramata, capelli nerissimi, denti
bianchi scintillanti, con il mento privo
di barba, gli Araucani erano un’etnia
fiera e guerriera che odiava più di ogni
cosa al mondo la schiavitù, l’essere
servi. La loro vita era la caccia. Non
coltivavano la terra, ma inseguivano
nella sterminata pampa le mandrie dei
guanachi e gli stormi di struzzi.
Nel 1500 i primi coloni spagnoli
introdussero il cavallo, e la vita de-
gli Araucani cambiò radicalmente,
la pampa divenne in breve tempo la
landa dei cavalli bradi, che cresceva-
no selvaggiamente, liberi come l’aria.
Balzando in groppa a un puledro, l’a-
raucano si trovò di colpo sovrano in-
discusso della sua terra.
Nell’Esortazione Apostolica
“Christus vivit” papa Francesco
propone l’esempio di dodici
giovani santi. Ascoltiamo la loro
testimonianza, cominciando da un
Beato della nostra famiglia.
Il monumento a
Zeffirino Namuncurà
dello scultore Roberto
Scardella che si trova
nell’Istituto Salesiano
di Villa Sora a Frascati
dove il Beato fu
ospitato.
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I piccoli araucani venivano addestrati a
sopportare la fame e la sete, a dormire
per terra, ad affrontare la pioggia e il
vento, a bastare a se stessi per lunghi
periodi di tempo. Crescevano vigili e
forti, preparati a una vita dura e di-
sagiata. E cavalcavano. Fin da picco-
lissimi si arrampicavano sul dorso dei
cavalli e si davano a corse sfrenate.
Le frecce incendiarie
contro i coloni
Ma con i cavalli, ai bordi della pam-
pa erano arrivati i bianchi. Nel 1536
i conquistatori spagnoli avevano fon-
dato la città di Buenos Aires, e pro-
prio in quell’anno si verificarono i
primi sanguinosi scontri tra conqui-
stadores e indios. I bianchi tentavano
di risalire i grandi fiumi per piantarvi
loro colonie, e gli indios assaltavano le
colonie e le distruggevano con le frec-
ce incendiarie.
1833. Una potente colonna militare, al
comando di Juan M. Rosas punta verso
il cuore della pampa e inizia una guerra
spietata contro gli Araucani. Cadono
1150 indios e 11 cacichi (capi). 400 in-
dios, fatti prigionieri, sono assegnati
come servi alle fattorie argentine.
Gli anni di Calfucurà
Gli Araucani lasciano placare la ter-
ribile bufera e si riorganizzano. Un
guerriero gigantesco, forte e terribile
come un toro, si pone alla testa delle
tribù superstiti. Si chiama Calfucurà, e
per 40 anni sarà il re della grande pia-
nura. Si scatena il malón che raggiunge
il suo culmine nel 1855. I villaggi dei
bianchi sono attaccati a uno a uno e
saccheggiati. Gli incendi illuminano
le grandi praterie, mentre i coloni fug-
gono disperati verso le città.
Il governo centrale tratta la pace con
Calfucurà, si torna ai vecchi e incer-
ti confini del 1833. Ma, battuti dalle
frecce, i bianchi vincono con l’alcol. Ne
regalano enormi quantità agli indios,
che per quella vera droga perderanno
in breve il vigore e l’indipendenza.
Nel 1872 si riaccende la guerra. Nel-
la piana di San Carlos, in sei ore di
battaglia, il generale Rivas batte il
settantenne Calfucurà e uccide più di
mille Araucani. È il disastro. I bianchi
li spingono sempre più verso le cordi-
gliere, recintando con filo spinato zone
sempre più vaste. I superstiti indios
sono cacciati tra le aride montagne.
Nel 1875, disperati, gli Araucani
eleggono un nuovo grande cacico che
spezzi i fili spinati e li conduca di
nuovo verso la fertile pianura. Il caci-
co si chiama Manuel Namuncurà, ed
è il più giovane figlio del leggendario
Calfucurà. Si riaccende improvviso
il malón. Scorrerie fulminee e fero-
ci bruciano i raccolti, incendiano le
fattorie, uccidono gli agricoltori e i
gauchos.
Il generale Julio Rocas, ministro del-
la guerra, organizza un esercito in
quattro colonne. Ottomila uomini. Il
suo piano prevede un rastrellamento
metodico di tutta la pampa. La pa-
rola d’ordine è: «Con gli indios è ora
di finirla per sempre». L’esercito si
muove da Buenos Aires, il 16 aprile
1879, martedì di Pasqua. Per gli
Araucani inizia l’ultima tragedia.
La guerriglia e la resa
La marcia dei militari durò quattro
mesi. Praticamente disarmati, gli in-
dios poterono opporre poca resistenza.
Manuel Namuncurà sfuggì alla cat-
tura fuggendo verso la cordigliera an-
dina con piccole unità di indios decisi
a combattere fino alla fine. E di lassù
diede inizio a una sanguinosa guer-
riglia. Le sue orde si abbattevano di
notte sulle fattorie e sugli accampa-
menti militari, uccidevano e brucia-
vano senza pietà.
Per anni così. Poi, in una vasta retata
condotta dal generale Villegas, furo-
no catturati duemila Araucani. Tra
essi Manuel Namuncurà, sua moglie
e quattro figli. Occorreva trattare la
resa, perché gli Araucani non finisse-
ro tutti massacrati. Namuncurà aveva
un’invincibile diffidenza verso i bian-
chi. Di uno solo si fidava, don Mila-
nesio. Questo instancabile missiona-
rio salesiano, amico e difensore degli
indios, ne aveva imparato la lingua, e
superava a cavallo immense distanze
per difendere un araucano maltrattato
o per dare un battesimo.
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I RAGAZZI DEL PAPA
I salesiani di don Bo-
sco erano arrivati in
Argentina alla fine
del 1875, capeggia-
ti da don Giovanni
Cagliero. Don Mi-
lanesio persuase Na-
muncurà a presentarsi
di persona al generale
Villegas, garanten-
dogli l’immunità. Il
5 maggio 1882 entrò
nel forte Roca accom-
pagnato da nove ca-
cichi. Diede la parola
che non avrebbe mai
più combattuto l’esercito argentino.
In cambio ebbe titolo, divisa e stipen-
dio di colonnello argentino. Alla sua
Oggi i suoi resti mortali riposano nella cappella
di Fortin Mercedes, sul Rio Colorado. E le folle
di ragazzi che si recano a pregare sulla sua
tomba, pregano perché il primo santo argentino
sia quel ragazzo araucano.
La Chiesa lo ha proclamato Beato
l’11 novembre del 2007.
tribù fu assegnato un
vasto territorio fertile
nella vallata del Rio
Negro. Altri territori
furono assegnati alle
altre tribù. Ma 12
anni dopo, tradendo
la parola data, i mi-
litari comunicarono
a Namuncurà che
doveva trasferirsi con
la sua gente nell’alta
valle dell’Aluminé,
tra i picchi nevosi
delle Ande. Vecchio
e avvilito, Namun-
curà partì con i suoi verso la «riserva».
Accanto a lui sgambettava un bambi-
no di otto anni. Era il sesto dei suoi
dodici figli. Lo aveva chiamato Mo-
rales, ma presto gli avrebbe cambiato
nome, chiamandolo Zeffirino.
Il lungo viaggio
di Zeffirino
1897. Dopo aver discusso con gli an-
ziani della tribù, il vecchio cacico an-
nuncia a Zeffirino che faranno un
lungo viaggio: «Ti porterò a Buenos
Aires, alla scuola dei bianchi. Tu sei
intelligente e sei l’ultima speranza del-
la nostra gente. Se diventerai un mi-
litare o un politico potrai difendere i
diritti degli Araucani. Altrimenti per
la nostra razza sarà finita per sempre».
A Buenos Aires, Namuncurà portò il
figlio di 11 anni alla Scuola Militare.
Ma in pochi giorni la disciplina fer-
rea e gli scherzi crudeli dei compagni
terrorizzarono Zeffirino. Pregò il pa-
dre di portarlo via. Su suggerimento
del presidente della Repubblica, Na-
muncurà lo portò al collegio Pio IX
dei Salesiani, dove in quei giorni si
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trovava il vescovo Giovanni Cagliero.
Zeffirino si trovò abbastanza bene.
Dimostrò subito una tenace volontà,
ma insieme un forte istinto alla li-
bertà totale e prepotente. Per alcuni
mesi rifiutò di mettersi in fila con
gli altri. A scuola imparò a leggere
in pochissimo tempo, e acquistò una
calligrafia nitida e slanciata.
Un notevole «salto di qualità» si
verificò in lui nel settembre 1898. Si
accostò alla prima Comunione. Con
la lealtà caratteristica della sua gente,
il dodicenne araucano considerò
quell’avvenimento un impegno asso-
luto per tutta la vita.
I momenti più belli Zeffirino li passa-
va quando veniva a trovarlo don Mi-
lanesio, portandogli notizie della sua
famiglia e della sua tribù. Fu in que-
gli incontri che Zeffirino cominciò a
sognare di diventare non un politico o
un militare, ma un sacerdote come don
Milanesio. Avrebbe difeso la sua gente
dai bianchi e dal loro alcol (che li stava
sterminando), e dalle barbare abitudini
che consideravano sacra la vendetta e
onorevole l’uccisione del
nemico.
Ma proprio in quegli anni
del suo sviluppo fisico, si
affacciò la grave minaccia
che stava facendo stra-
ge tra gli indios più sani
dell’America del Sud.
Fortissimi nel loro am-
biente, il loro organismo
si rivelava indifeso contro
i germi delle comuni ma-
lattie portate dai bianchi:
raffreddori e bronchiti
si trasformavano rapida-
Un giorno – Zeffirino era già aspirante salesiano a Viedma
– Francesco De Salvo, vedendolo arrivare a cavallo come
un fulmine, gli gridò: “Zeffirino, che cosa ti piace di più?”.
Si aspettava una risposta che si riferisse all’equitazione,
arte in cui gli Araucani erano maestri. Ma il ragazzo, frenando
il cavallo: “Essere sacerdote”, rispose, e continuò la corsa.
mente in tubercolosi, che li stroncava.
Al quarto anno a Buenos Aires, men-
tre si faceva un giovanotto alto e mas-
siccio, Zeffirino cominciò ad avere una
tosse continua e ribelle ad ogni cura.
II vescovo monsignor Cagliero, in-
formato, fece tornare Zeffirino a
Viedma, dove egli risiedeva, città
dal clima molto più fresco, di lì lo
fece accompagnare tra la sua gente,
nell’alta valle dell’Aluminé. Il quindi-
cenne riabbracciò il vecchio padre e i
fratelli. Per trenta giorni respirò l’aria
sottile delle Ande, strappò con i denti
la carne della selvaggina abbrustoli-
ta sui fuochi del campo, dormì nelle
baracche ravvolto nella calda pelle del
guanaco. Si sentì meglio, ma la tosse
non scomparve. I polmoni erano or-
mai intaccati, e il freddo
delle notti finì per peg-
giorare la situazione.
Nel 1904 monsignor
Cagliero fu nominato
arcivescovo e fu chia-
mato a Roma dal Papa.
Zeffirino, che l’anno
prima aveva avuto un
crollo di salute soppor-
tato con amore grande
per il Signore, lo pregò di
portarlo con sé. Cagliero
sapeva che in Europa la
medicina era molto più
avanzata che nell’Argentina di quegli
anni. Ma sapeva anche che contro la
tbc non esistevano cure efficaci. Con-
sultò il vecchio Namuncurà. Solo dopo
il suo consenso accontentò Zeffirino.
Morire tra gli ulivi
di Roma
Sbarcarono a Genova nel torrido ago-
sto 1904. Salirono a Torino dove li
accolse paternamente don Rua, suc-
cessore di don Bosco. Scesero a Roma
a incontrare il Papa.
All’arrivo dell’inverno, Zeffirino tentò
di riprendere i suoi studi nella scuola
salesiana di Villa Sora, tra gli ulivi e
le vigne della mite campagna romana.
Un suo compagno di studi ricorda:
«Era sempre serio, quasi mesto. Ma il
sorriso brillava nei suoi occhi. In chiesa
tutti lo ricordano raccolto in preghiera
come un angelo».
Le cure non servirono più di tanto.
Nella primavera del 1905 la febbre
lo consumò giorno per giorno, fino a
togliergli ogni forza. Bisbigliava: «Pre-
gate per me, che possa guarire, diven-
tare sacerdote... se piace al Signore». In
aprile fu trasportato all’ospedale roma-
no dell’isola Tiberina. Zeffirino sapeva
che stava morendo, e chiese di ricevere
ancora Gesù Eucaristia, l’«alleato» a cui
era rimasto totalmente fedele. Si spense
nel mattino del 1° maggio 1905.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
RAGIONIAMO
Il picchio deve la sua salvezza al fatto di usare la testa. Vale anche per l’uomo. I goal
della vita si fanno, utilizzando il cervello. Ragioniamo! È pericoloso lasciar vincere i folli!
5 Una mamma e un papà
La famiglia, oggi, è
minacciata e deve
affrontare sfide ardue e
spesso drammatiche. Molte
persone sono disorientate
davanti a teorie e fatti che
scombussolano quello che
era considerato “normale”.
Come la possibilità che
le coppie omosessuali
possano avere figli.
L o scrive anche papa
Francesco: «Nessu-
no può pensare che
indebolire la fami-
glia come società
naturale fondata
sul matrimonio sia qualco-
sa che giova alla società. Ac-
cade il contrario: pregiudica
la maturazione delle persone, la
cura dei valori comunitari e lo svi-
luppo etico delle città e dei villaggi.
Non si avverte più con chiarezza che
solo l’unione esclusiva e indissolubile
tra un uomo e una donna svolge una
funzione sociale piena, essendo un
impegno stabile e rendendo possibile
la fecondità. Dobbiamo riconoscere la
grande varietà di situazioni familiari
che possono offrire una certa regola
di vita, ma le unioni di fatto o tra per-
sone dello stesso sesso, per esempio,
non si possono equiparare semplici-
sticamente al matrimonio. Nessuna
unione precaria o chiusa alla trasmis-
sione della vita ci assicura il futuro
della società. Ma chi si occupa oggi
di sostenere i coniugi, di aiutarli a su-
perare i rischi che li minacciano, di
accompagnarli nel loro ruolo educati-
vo, di stimolare la stabilità dell’unione
coniugale?»
Una formazione
equilibrata e armoniosa
Il problema è attualissimo. Sarebbe
da irresponsabili non affrontarlo in
modo limpido e sereno.
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MI HA DATO LA VITA DUE VOLTE
Dunque, ragioniamo. Chiamiamo,
cioè, in causa la ragione, non la fede,
non la religione.
Ebbene, particolarmente in questo
caso, proprio la ragione parla chiaro:
un’educazione senza l’intreccio della
componente femminile e la compo-
nente maschile è un’educazione sbilan-
ciata, lesiva del diritto del bambino ad
una formazione equilibrata ed armo-
niosa.
Insomma, per brava che sia, la madre
non basta (e neppure il padre!).
Ognuno apporta il suo contributo che
arricchisce la formazione del bambino.
Vediamo nei dettagli.
Il padre è meno ansioso della mam-
ma, meno apprensivo, meno protet-
tivo.
Il padre gioca in modo maschile,
la madre in modo femminile. In
Una madre è sempre a disposizione quando ne hai bisogno. Aiuta, protegge, ascolta, consi-
glia e si prende cura di noi, sia fisicamente sia moralmente. Fa in modo che la sua famiglia
sia amata 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, 52 settimane all’anno. Per lo meno è così
che ricordo mia madre durante i pochi e preziosi anni che ho avuto la fortuna di passare con
lei. Ma nessuna parola può descrivere il sacrificio che ha fatto, spinta dal grande amore che
aveva per me che ero il suo figlio più piccolo.
Avevo 19 anni e mi stavano portando in un campo di concentramento insieme a molti altri
ebrei. Era chiaro che saremmo morti. All’improvviso mia madre si fece avanti e scambiò il
suo posto con il mio. Anche se si parla di 50 anni fa, non dimenticherò mai le sue ultime
parole e il suo sguardo di addio.
«Ho vissuto abbastanza. Tu devi vivere ancora perché sei così giovane» mi disse.
Molti bambini nascono una volta sola. A me è stata data la vita due volte, dalla stessa madre.
Joseph C. Rosenbaum
genere, la mamma parlotta con il
bambino, stando seduta; batte le
posate per farle tintinnare, oppure
gioca a nascondino. Il padre, in-
vece, prende il piccolo tra le brac-
cia, se lo porta fino agli occhi, lo
guarda scherzando, poi lo lancia in
aria, per farlo subito ricadere tra le
braccia o sulle spalle e correre sul
viale con il piccolo tutto felice, in
bella vista!
Il padre è meno sensibile alle pa-
tacche.
Il padre, in genere, si preoccupa
meno della salute del figlio. All’op-
posto vi sono madri che al primo
starnuto, già lo vedono al campo-
santo.
Il padre ha un potere di seduzione
più forte della madre.
Un esempio, tra mille. Margherita,
figlia del grande scrittore Beppe
Fenoglio (1922-1963), era orgo-
gliosa di suo padre. Diceva: “Papà
è il mio motivo di fierezza. Papà è il
mio eroe!”.
Il padre è più schietto, più diretto
della madre. Questo piace, partico-
larmente alle adolescenti.
Un’ultima differenza di comporta-
mento ‘stile maschile’: il padre tie-
ne il figlio in braccio in modo tutto
suo. Mentre la madre lo stringe a
sé, il padre lo piazza dritto tra le
sue braccia, come se fosse un filon-
cino napoletano!
Non è cosa da poco, dicono gli psico-
logi: il gesto ha un chiaro significato
pedagogico: mentre la madre sem-
bra appropriarsi del figlio, il padre,
lo stacca da sé, lo apre al mondo, lo
spinge in alto.
Se ciò che abbiamo detto è vero,
privare il bambino di poter intera-
gire con le due modalità dell’esse-
re umano è un furto aggravato: è la
sottrazione di condizioni essenziali
per l’impianto di un uomo riuscito,
armonioso e totale.
A questo punto forse qualcuno obiet-
terà: quali prove scientifiche si por-
tano per giustificare ciò che è stato
detto in modo così forte e deciso?
Tale tipo di educazione ha una storia
ancora troppo breve per permetter-
ci di arrivare a conclusioni del tutto
certe.
Ciò non toglie che si debba sempre
tener presente il ‘Principio della pre-
venzione’, secondo il quale non è mai
lecito giocare sulla pelle di qualcuno,
soprattutto quando si tratta di realtà
delicate come questa: la formazione di
un essere umano.
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Tutti zitti Ognuno ha la sua schiena /
per sopportare il peso di ogni
scelta, / il peso di ogni passo,
come cani che / il peso del coraggio...
obbediscono
Una generazione indifferente. È così che
vengono spesso descritti i giovani adulti
del terzo millennio nelle analisi sempre
più sconsolate di sociologi, psicologi e
politologi. Una generazione ripiegata su
se stessa, autoreferenziale, disimpegnata,
che ha smarrito il valore dell’impegno civile come
strumento di emancipazione sociale e di crescita
umana. Una generazione dalla memoria corta e
Sono questi vuoti d’aria,
questi vuoti di felicità,
queste assurde convinzioni,
tutte queste distrazioni
a farci perdere...
Sono come buchi neri,
questi buchi nei pensieri.
Si fa finta di niente,
lo facciamo da sempre;
ci si dimentica
che ognuno ha la sua parte
in questa grande scena,
ognuno ha i suoi diritti,
ognuno ha la sua schiena
per sopportare il peso di ogni scelta,
il peso di ogni passo,
il peso del coraggio...
dalla vista ancor più limitata, che vive schiacciata
sul presente senza curarsi delle ricadute delle pro-
prie scelte e delle proprie azioni su un futuro av-
vertito come estraneo, su cui sembra aleggiare il
cinico spettro del fatalismo e della rassegnazione.
Il raggiungimento della condizione adulta non
sembra, infatti, più coincidere con l’assunzione
di più esigenti responsabilità nei confronti della
collettività sociale. Al contrario, avviene spesso
che, crescendo, gli slanci ideali e il desiderio di
protagonismo tipici dell’adolescenza lascino il
posto alla disillusione e alla passività, nell’erronea
convinzione che il singolo possa fare ben poco per
modificare in positivo il contesto in cui vive ed
incidere concretamente su meccanismi e dinami-
che che sfuggono al suo controllo e, non di rado,
anche alla sua piena comprensione. La difficoltà
di assumere sulle proprie spalle un impegno per-
cepito come troppo gravoso, che richiede tenace
convinzione e perseveranza e che ci espone co-
stantemente al rischio del fallimento, si trasforma
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così in un alibi che giustifica l’inerte accettazio-
ne dello status quo e la rinuncia a prendere una
posizione chiara di fronte alle tante situazioni
problematiche che travagliano la nostra società.
E quando ci si abitua a chiudere occhi e orecchie
sulla realtà che ci circonda, si finisce con l’assue-
farsi ad ogni sorta di ingiustizia, perdendo irri-
mediabilmente la capacità di provare indignazio-
ne per tutto ciò che mortifica e svilisce la nostra
stessa dignità di uomini.
La capacità di indignarci
Ci si dimentica, invece, che proprio l’indignazio-
ne, se vissuta in modo costruttivo come tensio-
ne etica verso il cambiamento e non come sterile
pretesa di ergersi a giudici della realtà, può di-
venire un importante motore di trasformazione
dell’esistente, il segno tangibile della volontà di
reagire criticamente a ciò che non va e di con-
trapporre alla cultura dominante del silenzio e
dell’indifferenza forme inedite di protagonismo
e di impegno civile.
È attraverso la riappropriazione di una genuina
capacità di indignarci che possiamo, infatti, supe-
rare la tentazione della deroga e della neutralità,
nella misura in cui essa nasce dall’esigenza di ca-
pire e di valutare – che è ben altra cosa dal giudi-
care; si correla con il desiderio di dire la propria e
di contare all’interno di una società che tende ad
azzerare il pensiero del singolo quando non è in
sintonia con quello della massa; qualifica il senso
di responsabilità nell’impegno a vivere in manie-
ra onesta e laboriosa la propria quotidianità.
Ma affinché le cose possano cambiare realmente
è necessario che all’indignazione faccia seguito
l’azione, che essa sia soltanto il punto di partenza
verso la disponibilità a mettersi in gioco in prima
persona e ad assumere su di sé il peso di scelte im-
pegnative, nella consapevolezza che ogni gesto,
ogni decisione, ogni passo che scegliamo di com-
piere contribuisce in modo fattivo a trasformare
in meglio la società in cui viviamo.
E ho capito che non serve il tempo alle ferite,
che sono sempre meno le persone unite,
che non esiste azione senza conseguenza,
chi ha torto e chi ha ragione
quando un bambino muore...
E allora stiamo ancora zitti
ché così ci preferiscono,
tutti zitti come cani che obbediscono.
Ci vorrebbe più rispetto,
ci vorrebbe più attenzione,
se si parla della vita,
se parliamo di persone.
Siamo il silenzio che resta dopo le parole,
siamo la voce che può arrivare dove vuole,
siamo il confine della nostra libertà,
siamo noi l’umanità.
Siamo il diritto di cambiare tutto
e di ricominciare, ricominciare...
Ognuno gioca la sua parte
in questa grande scena,
ognuno ha i suoi diritti,
ognuno ha la sua schiena
per sopportare il peso di ogni scelta,
il peso di ogni passo,
il peso del coraggio...
(Fiorella Mannoia, Il peso del coraggio, 2019)
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
alGtrliiindvoinsiBbiolisco
Ho incontrato una
straordinaria galleria di
un centinaio di uomini e
donne del XX secolo, tutti
diversi fra loro, che hanno
saputo farsi “altri don
Bosco” nella loro terra.
Ilettori del Bollettino Salesiano
sanno già del viaggio interconti-
nentale che ha fatto l’urna di don
Bosco alcuni anni fa. I resti morta-
li del santo hanno raggiunto decine
e decine di nazioni in tutto il mon-
do e si sono soffermati in un migliaio
di città e paesi, accolti ovunque con
ammirazione e simpatia. Non so quale
salma di santo abbia viaggiato tanto e
quale salma di italiano sia stata accol-
ta con tanto entusiasmo oltre i confini
del proprio paese. Forse nessuna.
Se questo “viaggio” è storia conosciuta,
non lo è certamente il viaggio inter-
continentale fatto da chi scrive come
presidente dell’
(Associazione
dei Cultori di Storia Salesiana) dal no-
vembre 2018 al marzo di quest’anno
per coordinare una serie di quattro Se-
minari di studio promossi dalla stessa
Associazione nelle città di Bratislava
(Slovacchia), Bangkok (Thailandia),
Nairobi (Kenia), Buenos Aires (Ar-
gentina). Il quinto era stato celebrato
a Hyderabad (India) nel giugno 2018.
Ebbene: in questi viaggi non ho vi-
sto le case, i collegi, le scuole, le par-
rocchie, le missioni salesiane, come
ho fatto altre volte e come può fare
chiunque viaggi un po’ ovunque dal
nord al sud, dall’est all’ovest del mon-
do; ho invece incontrato una storia di
don Bosco, tutta da scrivere.
Gli altri don Bosco
Il tema dei Seminari di studio era in-
fatti quello di presentare figure di Sa-
lesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice,
defunti, che, in un periodo breve o
lungo della loro vita, si fossero segna-
late come particolarmente significative
e rilevanti e soprattutto abbiano lascia-
to traccia dopo la loro morte. Alcuni
di loro poi sono stati degli autentici
“innovatori” del carisma salesiano, ca-
paci di inculturarlo nelle modalità più
varie, ovviamente nella più assoluta fe-
deltà a don Bosco e al suo spirito.
Ne è sorta una galleria di un centina-
io di uomini e donne del secolo,
tutti diversi fra loro, che hanno sapu-
to farsi “altri don Bosco”: aprire cioè
gli occhi sulla loro terra di nascita o
di missione, rendersi conto dei biso-
gni materiali, culturali, spirituali dei
giovani colà residenti, soprattutto dei
più poveri, ed “inventarsi” il modo di
soddisfarli il meglio possibile.
Vescovi, preti, suore, salesiani laici,
membri della Famiglia salesiana: tutti
personaggi, uomini e donne, che sen-
za essere santi – nelle nostre ricerche
abbiamo escluso per principio i santi
e quelli già avviati agli altari – hanno
realizzato in pienezza la missione edu-
cativa di don Bosco in ambiti e ruo-
li diversi: come educatori e sacerdoti,
come professori e maestri, animatori
di oratori e centri giovanili, fondatori e
direttori di opere educative, formatori
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A pagina precedente : I partecipanti al Seminario
di Ramos Mejía, Buenos Aires (Argentina).
Accanto: Partecipanti al Seminario di Storia
Salesiana dell’East Asia a Bangkok.
di vocazioni e di nuovi istituti religio-
si, come scrittori e musici, architetti e
costruttori di chiese e collegi, artisti
del legno e della pittura, missionari ad
gentes, testimoni della fede in carcere,
semplici salesiani e semplici Figlie di
Maria Ausiliatrice. Fra loro non pochi
hanno vissuto spesso una vita di duri
sacrifici, superando ostacoli di ogni
genere, imparando lingue difficilis-
sime, rischiando sovente la morte per
mancanza di condizioni igienico-sa-
nitarie accettabili, per condizioni cli-
matiche impossibili, per regimi politici
ostili e persecutori, anche per attentati
veri e propri. L’ultimo di questi è av-
venuto proprio mentre ero in partenza
per Nairobi: il salesiano spagnolo, don
Cesare Fernández, assassinato a san-
gue freddo il 15 febbraio u.s. alla fron-
tiera fra Togo e Burkina Faso. Il più
recente “martire” salesiano, potremmo
definirlo con cognizione di causa, co-
noscendone la persona.
Una storia da conoscere
Che dire allora? Che anche questa
è storia sconosciuta di don Bosco, o, se
vogliamo, dei Figli e delle Figlie del
santo. Se l’urna del santo è stata ac-
colta, come dicevamo, con tanto ri-
spetto e stima da autorità pubbliche
e dalla popolazione semplice anche in
paesi non cristiani, significa che i suoi
Figli e Figlie non ne hanno solo can-
tate le lodi – anche questo è stato fatto
di sicuro, visto che l’immagine di don
Bosco si ritrova un po’ ovunque – ma
ne hanno realizzato i sogni: far co-
noscere l’amore di Dio per i giovani,
portare la buona novella del Vangelo
dovunque, fino alla fine del mondo
(nella Terra del Fuoco!).
Chi, come me ed i miei colleghi
dell’ , ha potuto in febbraio e
marzo scorso ascoltare esperienze di
vita salesiana vissuta nel secolo in
una cinquantina di paesi di quattro
continenti, non può che affermare,
come fece sovente don Bosco guar-
dando lo sviluppo impressionante
della congregazione sotto i suoi oc-
chi: “Qui c’è il dito di Dio”. Se il dito
di Dio c’è stato nelle opere e fonda-
zioni salesiane, c’è stato anche negli
uomini e donne che all’ideale evan-
gelico realizzato alla maniera di don
Bosco hanno consacrato l’intera loro
esistenza. E ciò nonostante le preve-
dibili difficoltà della vita religiosa,
della vita comunitaria, dell’ubbidien-
za al superiore, della povertà alle volte
estrema, della tradizionale mancanza
di mezzi economici rispetto ai biso-
gni dei propri destinatari ecc.
“Santi della porta accanto” questi per-
sonaggi presentati? Qualcuno certa-
mente, pur considerando i loro limiti
personali, i loro caratteri, i loro capric-
ci, e, perché no, i loro peccati (ma che
solo Dio conosce). Tutti però erano
muniti di immensa fede, di tanta spe-
ranza, di forte carità e generosità, di
tanto amore a don Bosco e alle anime.
Alcuni poi – si pensi ai missionari e
missionarie pionieri in Patagonia – si
è tentati di definirli veri “pazzi”, pazzi
per Dio e per le anime ovviamente.
Gli esiti concreti di questa storia sono
sotto gli occhi di tutti, ma i nomi di
molti protagonisti sono rimasti finora
pressoché “invisibili”. Prepariamoci a
conoscerli, quando avremo i testi de-
finiti delle relazioni, in occasione del
Convegno internazionale
pre-
visto per la fine dell’anno prossimo.
(Quelli provvisori per ora solo online
nel sito / ). Se il male trasci-
na, il bene fa altrettanto. “Bonum est
diffusivum sui” scriveva san Tommaso
d’Aquino secoli fa. I salesiani e le sa-
lesiane presentate nel corso dei nostri
Seminari ne sono la prova; accanto a
loro o al loro seguito altri hanno poi
fatto altrettanto, fino ad oggi.
Maggio 2019
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di maggio preghiamo per la Causa di Cano-
nizzazione della Beata Alexandrina Maria da Costa, vergi-
ne, salesiana cooperatrice e socia dell’ADMA.
Nata il 30 marzo 1904 a Balasar, un piccolo paese del Portogallo,
Alexandrina Maria da Costa fu educata cristianamente dalla mamma.
A sette anni, frequenta la scuola elementare per un anno e mezzo. Vi-
vace, allegra e di robusta costituzione, comincia a lavorare nei campi.
A 14 anni accade un fatto che segnerà tutto il resto della sua vita:
per sfuggire all’aggressione di uomini malintenzionati, si butta dalla
finestra. Le conseguenze saranno terribili, anche se non immediate.
Fino a 19 anni si reca in chiesa, ma la paralisi avanza sempre più e
i dolori diventano insopportabili. Nel 1925 si mette a letto per non
alzarsi più. Rinunciando a chiedere il miracolo della guarigione, in-
tuisce che la sua missione è “amare, soffrire, riparare”.
Inizia allora una grande unione mistica con Gesù, “prigioniero” in
tutti i tabernacoli del mondo. Nel 1935 sente Gesù esporle per la
prima volta il suo desiderio che il mondo venga consacrato al Cuore
Immacolato di Maria. Nel 1938, Alexandrina rivive ogni venerdì con
segni e movimenti visibili le diverse fasi della passione di Gesù,
mentre aumentano le sofferenze e anche le persecuzioni da parte
del demonio. A quel punto, il padre Mariano Pinho, gesuita, suo
direttore spirituale, si rivolge direttamente a Pio XI per chiedere la
consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria. Quando la
richiesta della consacrazione verrà accolta da Pio XII nel 1942, ces-
serà la passione visibile del venerdì e comincerà un altro “segno”:
durante gli ultimi tredici anni di vita, Alexandrina
non si alimenterà più, vivendo soltanto dell’Eu-
caristia.
Nel 1944, su invito del salesiano don Um-
berto Pasquale, suo nuovo direttore spi-
rituale, diventa Salesiana Cooperatrice
e socia dell’ADMA. Migliaia di visitatori
accorrono da tutte le parti per chiedere
consigli e preghiere. Alexandrina muore
il 13 ottobre 1955. È stata beatificata da
Giovanni Paolo II il 25 aprile 2004.
Preghiera
Dio misericordioso,
che hai fatto risplendere nella Chiesa
l’esempio della Beata Alexandrina Maria,
intimamente unita alla Passione del tuo Figlio,
perché in ogni parte del mondo si accendessero
il culto eucaristico e la devozione
al Cuore Immacolato di Maria,
concedi a noi, per sua intercessione,
di diventare dimora dello Spirito Santo
e testimoni autentici del tuo amore.
Ti supplichiamo di voler glorificare quest’umile tua serva
e di concederci, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 12 marzo 2019 nel corso del Congresso Peculiare dei Con-
sultori Teologi svoltosi presso la Congregazione delle Cause dei
Santi è stato dato parere pienamente positivo, in merito all’esercizio
eroico delle virtù, alla fama di santità e di segni del servo di Dio
Augusto Bertazzoni, arcivescovo di Potenza, nato a Pegognana
(Mantova) il 10 gennaio 1876 e morto a Potenza il 30 agosto 1972.
Ringraziano
Il 26 gennaio 2016 mio marito,
mentre stava tornando a casa per
pranzare, improvvisamente colto
da un fortissimo dolore alla testa
si accasciò a terra. Trasportato al
pronto soccorso dell’ospedale di
Alba (CN), la situazione fu giudi-
cata decisamente grave, perciò i
medici decisero il trasporto ur-
gente del paziente all’ospedale di
Cuneo, dove giunse in stato ag-
gravato. Successivamente subì
una serie di esami, visite e con-
trolli. Ciò che risulta difficile
da descrivere ed esprimere
sono gli stati d’animo e le
angosce di tutti noi fami-
gliari e dei conoscenti, dato
che ogni giorno la situazio-
ne clinica di mio marito si
andava aggravando sempre
di più. Sono sopravvenu-
te altre patologie, come la
polmonite, a deteriorare la si-
tuazione clinica già gravissima.
Essendo i medici molto perplessi
sulla possibilità di ripresa, deci-
sero di sedarlo e indurlo al coma
farmacologico per quindici gior-
ni. Anche nel caso che si fosse
ripreso dal suo stato grave di
salute, sicuramente gli sarebbe-
ro rimasti deficit mentali e fisici
assai gravi. Io al quinto piano
dello spedale di Cuneo, guardan-
do dalle finestre, mi sono sentita
strana: come se fossi sorretta
da qualcosa, o da una forza par-
ticolare, una sorta di sostegno
che sicuramente non proveniva
da me. Il 26 marzo 2016, vigilia
di Pasqua, mentre noi famigliari
tornavamo a casa, mi è stato det-
to che molte persone raccolte in
gruppi di preghiera, e in partico-
lare il gruppo di Diano d’Alba, de-
voto del servo di Dio monsignor
Oreste Marengo, hanno pregato
precisamente per la guarigione
di mio marito. In quel momento
ho compreso: quella sensazione
di sostegno nella più cupa dispe-
razione mi era stata data dalla
forza della preghiera di tantissi-
me persone. Mio marito ha avu-
to una ripresa eccezionale, che i
medici definiscono prodigiosa,
quasi inspiegabile, data la gravità
della situazione clinica. Inoltre si
tratta di un ricupero della salute
privo completamente di deficit e
menomazioni sia fisiche sia men-
tali. Da parte mia ho affidato mio
marito con la massima devozione
alla SS. Vergine Maria.
Zuccato Paola, Diano d’Alba (CN)
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
40
Maggio 2019

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Don Eugenio Fizzotti
Morto a Salerno, il 25 giugno 2018, a 72 anni
“È stato il primo esperto e rappre-
sentante italiano della logoterapia
e dell’analisi esistenziale, infatti, è
il fondatore e presidente onorario
dell’Alaef, instancabile promotore
del pensiero e dell’opera di Viktor
E. Frankl in Italia e nel mondo. Da
Salesiano ha servito la Congrega-
zione in molte comunità dell’Italia
meridionale, oltre che Caserta sua
città natale, come Napoli, Salerno
e Locri”. Così si è aperta la Giorna-
ta di Studio sul pensiero e l’opera
del professor Eugenio Fizzotti,
salesiano.
Era nato a Caserta il 1° luglio
1946, secondogenito di una bella
famiglia di cinque fratelli. Cono-
sce la spiritualità dei figli di don
Bosco grazie alla Casa di Caserta
fondata da don Michele Rua. Si
avvicina alla famiglia salesiana
dopo la conoscenza di don In-
nocenzo Di Lella che diventa il
suo padre spirituale negli anni
della prima gioventù. Eugenio
frequenta la Facoltà di Filosofia
presso l’Università Salesiana di
Roma che concluderà con la Li-
cenza nel 1968 e nell’anno 1970
con il dottorato in Filosofia il 24
settembre 1970 con la tesi su “Il
Significato dell’esistenza – La
concezione Psichiatrica di Victor
E. Frankl”. Proseguirà gli studi
presso l’Università Salesiana di
Roma dove consegue il dottorato
in Psicologia nel 1970. Diventa
definitivamente salesiano nel
1971. Prosegue gli studi frequen-
tando nel Policlinico di Vienna i
corsi del prof. Viktor E. Frankl,
fondatore della “Terza Scuola
Viennese di Psicoterapia”, nota in
tutto il mondo come “logoterapia
e analisi esistenziale”. Qui inizia
la collaborazione con il profes-
sore ebreo al punto da diventare
il curatore dell’opera omnia dello
stesso e poi direttore della rivista
“Ricerca di senso”. Circa il rap-
porto e la frequentazione tra i due
va detto che la famiglia Frankl,
composta dal prof. Victor, la mo-
glie Eleonora e la figlia Gabriella,
considera Eugenio come un figlio
ed Eugenio ha sempre ricambiato
con affetto filiale. Gli anni a Vien-
na sono fondamentali per la sua
vocazione, religiosa ed educati-
va. È ordinato sacerdote dal San-
to Padre Paolo VI in piazza San
Pietro il 29 giugno 1975 a Roma.
Don Eugenio, dunque, dal 1986
inizia a insegnare all’Universi-
tà Salesiana dove è docente di
“Psicologia della religione” e di
“Deontologia professionale” fino
al 2008, ottenendo il titolo di Do-
cente Ordinario nel 1995. Negli
stessi anni insegna “Psicologia
della religione” in diversi istituti,
università e seminari.
Non dimentica mai l’attività pa-
storale. Lo troviamo a Caserta
dove trascorre un anno con il
ruolo di Direttore della Casa
animandola con visite illustri dal
Vaticano, poi per due anni va a
Locri con il ruolo di parroco della
comunità di San Biagio. Riprende
poi la sua incredibile e molteplice
attività di professore e autore di
altissimo livello. Finché la salute
lo abbandona. Sei anni di un cal-
vario lungo e penoso.
Tra le testimonianze più significa-
tive per conoscere e raccontare la
figura di don Eugenio Fizzotti vi
è quella di Vincenzo Romeo, va-
ticanista del Tg2: «Don Eugenio
Fizzotti non lasciava indifferenti
le persone che lo incontravano.
La sua profonda cultura unita
alla grande umanità ne facevano
un uomo davvero speciale. Fu
chiamato a insegnare Psicologia
della religione presso l’Univer-
sità Pontificia Salesiana, dove
divenne preside della facoltà di
psicologia. Quale allievo predi-
letto di Frankl, ha girato a lungo
sia in Italia sia a livello interna-
zionale. I suoi interventi sulla
logoterapia frankliana furono ap-
prezzati ovunque, dalla Germania
all’Argentina. Il cardinale Raffaele
Farina, responsabile della Biblio-
teca apostolica vaticana, lo invitò
a collaborare con lui presso la
Curia romana. Fizzotti, però, era
un prete da “prima linea”, che de-
siderava operare sulle frontiere,
geografiche e spirituali. Si spie-
ga così, nonostante la sua fama
accademica, il lungo servizio che
egli ha prestato in tante “perife-
rie” del Sud Italia. Nel suo itine-
rare portava con sé solo i suoi li-
bri, strumento prezioso di lavoro.
Tutto il resto era, per lui, super-
fluo. E sempre lasciava una scia
di amicizie, di intensi rapporti
umani, di collaborazioni che for-
mavano una “rete” straordinaria
di relazioni, capace di mobilitar-
si quando c’era da realizzare un
progetto benefico o culturale».
«La figura di Eugenio Fizzotti
resterà centrale nel campo della
psicologia applicata alle religioni
(tema di enorme attualità nella
Chiesa di oggi) e nello studio
della logoterapia di Viktor Frankl.
Ma è significativo che questo
brillante studioso e sacerdote
salesiano abbia trascorso i suoi
ultimi anni tra Caserta, Locri, So-
verato e Salerno, nei poveri luo-
ghi che egli ha più amato».
Maggio 2019
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
IL METODO “DON BOSCO”
Chi stava vicino a don Bosco, e lo conosceva, sapeva che non si
perdeva in chiacchiere o che lasciava passare il tempo senza impe-
gnarlo in qualcosa di produttivo. Era un uomo che agiva, sempre,
anche quando le circostanze gli erano avverse. Metteva la stes-
sa energia in ogni campo, ovviamente anche nell’educazione dei
suoi ragazzi, ma le sue idee pedagogiche, che tutti riconoscevano
valide ed efficaci, non erano mai state organizzate e ordinate per
iscritto fino al 1877, quando si decise, su insistenza dei suoi collaboratori, a comporre sette pagine sul suo
metodo educativo per la gioventù. In quel tempo, il cosiddetto “secolo pedagogico”, era molto vivo il di-
battito sui metodi educativi e grandi esponenti del pensiero lavoravano in quel settore, Froebel, Rousseau,
Montessori e altri. Ma nonostante don Bosco fosse un innovatore e un autodidatta, le sue idee, erano
apprezzate ovunque, anche all’estero e nell’area laica. Egli scriveva: “Lo scopo cui miriamo è la civile
istruzione, la morale educazione della gioventù per sottrarla all’ozio, al mal fare, al disonore e forse anche
alla prigione, ecco a che mira la nostra opera”. Il suo metodo educativo, quindi, non è solo frutto della
sua eccezionale personalità, ma anche della sua generosità e della sua ricca esperienza di vita. E infatti,
il suo XXX, che si contrappone a quello “repressivo” allora
largamente usato, è un vero programma di vita che esclude le
punizioni violente e si basa sulla ragione, la religione e l’amo-
revolezza. Questi sono elementi che si esprimono nello spirito
e nello stile della “famiglia”, in un clima serio, impegnato e
spontaneo. Immerso nella gioia e corroborato dall’attività in-
dividuale e di gruppo, promossa dalla presenza continua degli
educatori. La pratica di questo sistema trova una perfetta con-
ferma nelle parole di san Paolo che dice: “La carità è benigna e
paziente; soffre tutto, spera tutto e tutto sostiene”.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Il grande con-
quistatore macedone - 15. Una pro-
vincia del Salento - 16. Mandorle o
nocciole ricoperte di zucchero - 17.
Il re… in Francia - 19. Coagulante
del latte - 21. Italian Linux Society -
22. Lavori di scavo - 25. La benzina
del cane a sei zampe - 26. XXX -
30. È egr. sulla busta - 31. Il regno
delle favole - 32. Nome di donna -
33. I denari a scopa - 35. È celebre
quello di Albinoni - 37. A te - 39.
Tramandato dagli avi - 41. È simile
al cervo - 44. Italia in breve - 45.
Scrisse il Decameron.
VERTICALI. 1. La cittadina ce-
lebre per un muretto con autogra-
fi! - 2. Articolo… per signore! - 3.
Esorbitante, esagerato - 4. Residui
di lavorazione - 5. Costretta all’iso-
lamento - 6. Il cuore di Gianpiero! -
7. Panneggi, di vesti o di tende - 8.
Famoso film di Akira Kurosawa - 9.
Fuor di misura - 10. Né sue né tue!
- 11. Ancona (sigla) - 12. Giova-
ni Esploratori Italiani - 13. Punto o
momento da cui scaturisce qualcosa
- 14. Convolato a nozze più d’una
volta - 18. Si spremono al frantoio
- 20. Lavagna Interattiva Multime-
diale (sigla) - 23. Cambiano la cruna
in trina - 24. Siede sul trono - 25.
Cibele lo trasformò in pino - 27. Al-
tare pagano - 28. La televisione na-
zionale - 29. È vanesia senza ansia!
- 34. Sono dispari nei reati - 36. Lo
era un popolare Camillo - 37. Una
contrazione nervosa - 38. Istituto di
assicurazioni - 40. Era quattro per i
romani - 42. Avanti cristo - 43. An-
tico provenzale - 44. Gemelle in
bici.
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Maggio 2019

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
La lucertola
Disegno di Fabrizio Zubani
C’era in India un magni-
fico monastero, famoso
per il suo tempio ricco
di statue, ricamate nella
pietra e per un saggio e
santo monaco che vi abi-
tava. Ogni giorno, una piccola folla
di persone arrivava nel monastero per
ascoltare le lezioni del celebre “guru”.
Al tramonto, tutte le sere, i fedeli si
ritrovavano nel tempio per l’offerta
dell’incenso e le preghiere rituali.
L’appuntamento
della sera
Ma puntualmente, ogni sera, proprio
nel momento in cui tutti i fedeli si
erano raccolti in preghiera, spuntava
quasi dal nulla una grossa lucertola.
Una di quelle lucertole tipiche dei
tropici, simile ad un drago in mi-
niatura, dai colori vivaci e gli occhi
curiosi e la lingua saettante.
Il rettile faceva una solenne entrata,
incedendo tra l’altare e i fedeli, muo-
vendo la coda come uno strascico e
rivolgendo lo sguardo a destra e a
sinistra, con calma olimpica. Com-
piuta la passerella, tornava nei suoi
misteriosi appartamenti.
Naturalmente tutti i fedeli si distrae-
vano e, invece di meditare, seguiva-
no con gli occhi l’andirivieni della
lucertola, bisbigliando e ridacchian-
do. I più ferventi scuotevano la testa
e disapprovavano chiaramente le
incursioni della lucertola, ma non
osavano intervenire
perché sapevano che il
guru aveva un rispetto
assoluto per ogni forma
vivente e non avrebbe
approvato.
Un giorno, però, alcune
delle donne presenti,
dopo aver confabulato
a lungo, si organiz-
zarono per porre fine
una volta per sempre a
quell’intrusione fuori
posto nel loro momen-
to di meditazione, di
quiete e di preghiera.
Bastoni robusti
Ognuna delle cospiratrici si avviò
alla preghiera tenendo dietro la
schiena una mazza da baseball o
un bastone, grandi abbastanza da
schiacciare la lucertola non appena
si fosse presentata anche lei per le
devozioni vespertine.
Sapevano che il guru avrebbe disap-
provato, ma con la lucertola stecchita
la questione si sarebbe comunque
risolta. A volte è più facile chiedere
perdono che chiedere permesso.
Quando il sole cominciò a tramon-
tare, il sant’uomo, uomini e donne
salirono tutti verso il tempietto. È a
questo punto che avvenne qualche
cosa di incredibile. Come tutte le
sere si presentò anche la lucertola,
con le donne che stringevano i basto-
ni, pronte all’azione.
Stavano per scattare all’attacco, ma
subito dietro la lucertola spuntarono
due piccole lucertoline che la segui-
vano timide, vicine vicine.
Le tre donne, che pochi istanti prima
erano ben decise ad ucciderla, si
fermarono e posarono i bastoni sotto
i cuscini.
“Motherhood recognized mother-
hood” sorrise il santo monaco. «La
maternità rispetta la maternità».
L’amore ha quattro corde, come
il violino. Siamo tutti figli o
figlie, padri o madri, fratelli e
sorelle, sposi e spose. Se sapes-
simo suonarle, la vita sarebbe
solo gioia.
Maggio 2019
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Don Alexandre Damians
Fare “Don Bosco”
in Marocco
Figlie di
Maria Ausiliatrice
Kinder und Jugendhaus
Uno spazio per l’amicizia
I ragazzi del Papa
Piergiorgio Frassati
Un tornado di vita
Salesiani nel mondo
«Noi siamo qui»
Due giovani salesiani
in prima linea
La nostra Basilica
Il tocco del maestro
Il pittore Eugenio Reffo
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.