Bollettino_Salesiano_201903

Bollettino_Salesiano_201903

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IL
MARZO
2019
Salesiani
nel mondo
Perù
Poster
luoghi salesiani
Colle Don Bosco
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La barca del Po
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Nell’ottobre del 1842, don Bosco non ha ancora una sede
fissa dell’Oratorio. Si ritrova con i suoi ragazzi in luoghi
diversi di Torino. La chiesa della Madonna del Pilone e
Sassi, sotto la collina di Superga, sono tra le sue mete
preferite, sull’altra riva del Po (MB II, 111).
E ro solo un grosso barcone che serviva
da traghetto sul fiume Po nella città
di Torino. Ero un mezzo di trasporto
rapido ed economico. Alla domenica,
spesso, arrivava don Bosco con una
banda di monelli. Di solito si mettevano
a cantare. Erano così bravi che gli abitanti delle
case sulla riva uscivano fuori e applaudivano.
Non tutto filava sempre liscio e, una volta, la
banda del prete se la vide proprio brutta. Don
Bosco, con un gruppo di ragazzini chierichet-
ti e cantori, era diretto a un bel santuarietto
sull’altra riva del Po. In quel momento, una
squadraccia di piccoli delinquenti assediò il
gruppo di don Bosco sbraitando che dovevano
passare il fiume sulle loro barche. Il buon don
Bosco, non potendo liberarsi da un’insistenza
così sgarbata, vide per fortuna il mio barcaiolo
e gli fece cenno di preparare proprio me. Don
Bosco li fece salire in fretta, difendendoli dagli
spintoni e dalle ingiurie di quei giovinastri.
Alcuni di quei manigoldi si erano addirittura
mescolati ai ragazzi dell’Oratorio, già seduti
nella barca, ma il mio padrone, senza tanti
complimenti, afferratili ad uno ad uno per la
camicia e per la pelle della schiena, li gettò
sulla sponda. Di là, cominciarono a tirare sassi
contro di noi.
Chierichetti e cantori si stringevano spaventati
attorno a don Bosco. Alcuni piangevano. Era
infatti un rischio molto serio. Le pietre fischia-
vano da ogni parte, sollevavano spruzzi nell’ac-
qua e martellavano le mie fiancate.
Don Bosco era sereno come sempre e diceva ai
ragazzi: «State tranquilli: nessuna pietra vi toc-
cherà». E con grande meraviglia di quei picco-
letti tremanti, ben presto si trovarono fuori tiro.
I giovani delinquenti continuarono con un
subisso di urla, fischi e minacce: «Stasera
ritornerete! Avrete da fare con noi!»
Tutto andò bene e don Bosco
approdò con i suoi ragazzi.
Alla sera, ritornando a piedi,
imboccarono il ponte. I ragazzi
camminavano in fila serra-
ta. La strada era sbarrata da
un gruppo di dieci o dodici
mascalzoni, che li fissavano in
modo provocatorio. Don Bosco
passò per primo in mezzo a
loro, sereno e tranquillo come
sempre, perfino benevolo. Non
accadde niente. Come fossero
trattenuti da qualcosa di miste-
rioso, i ragazzacci fecero ala a
don Bosco e ai suoi.
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Marzo 2019

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IL
MARZO 2019
ANNO CXLIII
Numero 03
IL
Mensile di
MARZO
2019
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
Salesiani
nel mondo
Perù
Poster
luoghi salesiani
Colle Don Bosco
In copertina: «La gioia di don Bosco è conosciuta:
è il maestro della gioia. Perché lui faceva gioire
gli altri e gioiva lui stesso» (papa Francesco)
(Foto Cookie Studio/ Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Perù
12 A TU PER TU
Brian Mukuka
16 FMA
Brasile
18 LE CASE DI DON BOSCO
L’Oratorio San Paolo di Torino
22 POSTER
Colle Don Bosco
24 TEMPO DELLO SPIRITO
26 L’INVITATO
Volontari in Ghana
30 CREATIVITÀ SALESIANA
33 OSPITALITÀ A VALDOCCO
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
La fine del match
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Alessandro
Borsello, Pierluigi Cameroni,
Francesco Cereda, Roberto
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Ángel Fernández Artime, José J.
Gomez Palacios, Claudia Gualtieri,
Alberto Lagostina, Cesare Lo
Monaco, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Brian Mukuka,
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Giampietro Pettenon, O. Pori Mecoi,
Kirsten Prestin, Luigi Zonta, Fabrizio
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Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino
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Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Impariamo a guardare
“con gli occhi di Dio”
Ho sentito le testimonianze di decine
di giovani, in quei giorni della GMG
e della meravigliosa festa di don Bosco
a Panama (con la processione più variegata
e numerosa che abbia mai visto), giovani
che raccontavano quelle storie di vita in cui
si erano sentiti come abbracciati da uno
sguardo “speciale”, quello di Dio.
Ho incontrato persone magnifiche nei gior-
ni della e giovani meravigliosi. Sono
stati giorni ispirati. Ecco perché le parole
di papa Francesco che si riferiscono a don
Bosco e al suo saper guardare con gli occhi
di Dio hanno fatto il giro del mondo in
qualche decimo di secondo e si sono scolpite nella
memoria del web e perdurano nel tempo.
Personalmente, mi ha profondamente toccato
il cuore la storia di una persona. Quella di una
giovane mamma che, colpita da una grave malat-
tia, si era segregata in casa per più di un anno e
mezzo. Non voleva sapere niente di nessuno, non
voleva visitare nessuno o essere visitata. Per lei, la
vita era finita.
Le persone che l’amavano la invitarono a trascor-
rere un po’ di tempo in una casa salesiana. Un po’
con la forza e con non poca resistenza accettò, e
da quel giorno (e sono passati diversi anni), non
ha più lasciato quella presenza salesiana. L’ho vi-
sta lì. È dove l’ho incontrata. Non avrei potuto
immaginare in quel momento tutte le lotte e le
battaglie personali che aveva dovuto affrontare.
Il suo dinamismo, la sua leadership, la sua capaci-
tà di coinvolgere gli altri e se stessa mi avrebbero
fatto pensare ad una vita in continua crescita, in
una serie continua di buoni risultati e di successi.
Non era così, ma ebbe quella magnifica oppor-
tunità. Con un po’ di timore si avvicinò timi-
damente e incontrò persone che senza chiedere
nulla “sapevano guardare con gli occhi di Dio”.
Allo stesso modo, ho ascoltato le testimonianze
di decine di giovani, in quei giorni della e
della meravigliosa festa di don Bosco a Panama
(con la processione più variegata e numerosa che
abbia mai visto), giovani che raccontavano tante
storie di vita in cui si erano sentiti come abbrac-
ciati da uno sguardo “speciale”, quello di Dio.
Abbracciare la vita
Papa Francesco lo ha detto magnificamente du-
rante la Veglia del sabato della , quando ha
affermato che «Abbracciare la vita si manifesta
anche quando accogliamo tutto ciò che non è
perfetto, tutto quello che non è puro né distilla-
to, ma non per questo è meno degno di amore».
Questo fa la differenza nel modo in cui ci trattia-
mo gli uni gli altri come persone.
Sappiamo, e molti di noi ne sono convinti, cer-
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tamente molti di voi amici lettori, che “l’amore
guarisce”, l’amore è la guarigione, e “solo ciò che
si ama può essere salvato”. Ebbene, proprio per
questo, il primo passo che dobbiamo compiere
come educatori, come convinti fautori dello stile
salesiano, o semplicemente come brave persone
che camminano nel mondo è avere il coraggio di
abbracciare la vita come viene, con tutta la sua
fragilità e piccolezza e molte volte persino con
tutte le sue contraddizioni e mancanze di senso
(papa Francesco nella Veglia della ).
La giovane mamma a cui mi riferivo all’inizio
aveva solo bisogno di trovare uno spazio di vita,
un luogo di persone dove con le mani, con il cuore
e la mente, con tutta la sua persona, poteva sen-
tirsi “parte di qualcosa”, di una “comunità” più
grande che aveva bisogno di lei, con la sua storia
di vita. E questo le ha cambiato l’esistenza.
In quella notte della , papa Francesco ha
detto anche alcune parole su don Bosco che mi
riempiono di emozione e sono anche molto esi-
genti, perché non possiamo ascoltarle e rimanere
indifferenti. Perché fedeltà a don Bosco, oggi, si-
gnifica fare le stesse scelte e prendere le stesse de-
cisioni che ha fatto e preso lui. E che prenderebbe
ancora in questi nostri difficili giorni.
Il dono delle radici
“Don Bosco, ci dice papa Francesco, non se ne
andò a cercare i giovani in qualche posto lontano
o speciale… (scoppiò un fragoroso applauso) … si
vede che qui ci sono quelli che vogliono bene a
don Bosco… don Bosco non è andato a cercare
i giovani in qualche posto lontano o specia-
le; semplicemente imparò a guardare, a vedere
tutto quello che accadeva attorno nella città e a
guardarlo con gli occhi di Dio e, così, fu colpito
da centinaia di bambini e di giovani abbandonati
senza scuola, senza lavoro e senza la mano amica
di una comunità. Molta gente viveva in quella
stessa città, e molti criticavano quei giovani, però
non sapevano guardarli con gli occhi di Dio. I
giovani bisogna guardarli con gli occhi di Dio.
Lui lo fece, don Bosco, seppe fare il primo passo:
abbracciare la vita come si presenta; e, a partire da
lì, non ebbe paura di fare il secondo passo: creare
con loro una comunità, una famiglia in cui con il
lavoro e lo studio si sentissero amati.
Dare loro radici a cui aggrapparsi per poter arriva-
re al cielo. Per poter essere qualcuno nella società.
Dare loro radici a cui aggrapparsi per non essere
abbattuti dal primo vento che viene. Questo ha
fatto don Bosco”.
Tutto questo e molto altro mi hanno lasciato quei
giorni. Mi hanno lasciato l’anima e il cuore pieni
di volti, come diceva il grande vescovo Pedro Ca-
saldáliga quando si immaginava prima di morire
alla presenza di Dio. In quel momento gli chiese-
ro: «Che cosa hai fatto nella vita?» Lui presentò le
mani vuote, ma il cuore pieno di nomi.
Amici miei, lettori del Bollettino Salesiano, mez-
zo di comunicazione tanto caro, apprezzato e sti-
mato da don Bosco, suo fondatore, “la salvezza
che Dio ci dona è un invito a far parte di una
storia d’amore che si intreccia con le nostre storie;
che vive e vuole nascere tra noi perché possiamo
dare frutto lì dove siamo, come siamo e con chi
siamo” (papa Francesco).
Sotto gli occhi buoni di Dio e di don Bosco.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Chi sono i nostri Tutti, specialmente
i giovani, abbiamo
bisogno di modelli cui
“Supereroi”? ispirarci,personepronte
a rischiare per salvarci,
o semplicemente figure
chiave nella nostra vita.
Benedetta, 15 anni
“Un po’ tutti secondo me, infatti,
abbiamo bisogno non solo di
essere ascoltati ma anche di
ascoltare”.
Il supereroe da cui prendo ispirazione
in realtà è una supereroina: mia nonna.
Ha i super poteri di ascoltarmi sempre
e di darmi sempre molti consigli utili.
Quando è venuto a mancare mio zio,
io non avevo più la forza di fare nul-
la, così sono corsa da lei, ho iniziato a
sfogarmi e lei ha saputo, come nessun
altro, ascoltarmi, aiutandomi
a superare quel momento
difficile. La considero la
mia supereroina perché
mi aiuta sempre quan-
do ne ho bisogno,
mi dà la forza di
andare avanti ed
è sempre al mio
fianco nonostante
le sue condizioni di salute
non siano favorevoli. Io
vorrei essere come la mia
nonna, una supereroina
sempre pronta ad ascoltare
e aiutare chiunque. Credo
che anche i supereroi abbiano bisogno
di avere qualcuno vicino, per questo
anche io cerco, a modo mio, di stare
vicina a mio nonna facendole capire
che sono sempre con lei. Un po’ tutti
secondo me, infatti, abbiamo bisogno
non solo di essere ascoltati ma anche
di ascoltare, perché, ascoltando le per-
sone, noi stessi possiamo imparare
molte cose.
Valentina, 21 anni
“Non c’è bisogno di saper volare
o sparare raggi laser dagli
occhi per salvare una persona
dal buio che la inghiottisce”.
Al momento nella mia vita non
riesco ad attribuire il titolo
di supereroe a nessuna
delle persone che
mi stanno accan-
to. Più che altro
posso parlare di
un ideale supereroe, della
persona che spero di incontrare
prima o poi nella vita; adesso non so
dire con certezza chi sia. Lo imma-
gino fragile e timido, ma allo stesso
tempo in grado di proteggere se stes-
so e gli altri, più gli altri che se stesso
a volte. Lui può sconfiggere le tristez-
ze altrui con un semplice sguardo o
una battuta. I suoi punti deboli sono
chiudersi in se stesso e stare troppo
male se quelli che ama si trovano in
difficoltà. A volte ci protegge più di
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quanto dovrebbe e si dimentica di se
stesso. Può sembrare un bambino ma
non lo è; non c’è bisogno che nascon-
da i suoi difetti, so che mi piacerebbe-
ro tutti quanti. Tutte le sue abitudini
e i gesti più semplici che compie mi
farebbero stare bene. Di questo lui
non se ne renderà mai conto: la sua
voce è un superpotere, basta che la
ascolti per risollevarmi il morale. Ciò
che lo rende eroico e speciale è sem-
plicemente lui, se stesso. Così come è,
è una forza della natura. Non c’è biso-
gno di saper volare o sparare raggi la-
ser dagli occhi per salvare una persona
dal buio che la inghiottisce. Quindi io
vorrei essere per qualcuno, ciò che lui
è per me. Vorrei avere la capacità di
far star bene con una smorfia o una
battuta. Non è difficile, ma neanche
facile trovare una persona per cui vale
la pena essere un supereroe.
Giuseppe, 19 anni
“Ecco, il mio supereroe è una
figura che non ha un volto, ma
è l’unione di tutti quei volti che
hanno saputo migliorarmi la
vita e indirizzare il mio cammino
sulla giusta strada”.
Dopo averci pensato e ripensato non
sono riuscito a trovare una sola figura
che rappresenti, al meglio, ciò cui mi
ispiro ogni giorno. Non è una figura
ben precisa, ma l’insieme di tutte le
esperienze che hanno riempito la mia
vita fino ad oggi. Punto chiave del-
la mia adolescenza è stato l’oratorio.
Lì, ho incontrato persone più grandi
che hanno saputo guidarmi nei mo-
menti di difficoltà, ma anche ragazzi
che mi hanno insegnato a guardare le
cose in modo diverso; sono il simbo-
lo dell’ingenuità, quella buona, che ti
consente di mettere a nudo i tuoi sen-
timenti, senza filtri, di dire la verità
senza pensarci troppo su. Ecco, il mio
supereroe è una figura che non ha un
volto, ma è l’unione di tutti quei volti
che hanno saputo migliorarmi la vita
e indirizzare il mio cammino sulla
giusta strada. Vorrei poter essere il
supereroe delle persone che incontro
tutti i giorni, di chi ha bisogno anche
solo di un sorriso, di chi ha bisogno
di una parola di conforto e di chi sta
attraversando un momento difficile,
perché “fare del bene rende felici ed è
contagioso”.
“ ” Non tutti gli eroi indossano una maschera
(dal film “Batman” di Tim Burton)
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SALESIANI NEL MONDO
KIRSTEN PRESTIN - FOTO: FLORIAN KOPP / DON BOSCO MISSION BONN
Perù
A Lima, capitale del Perù, molti bambini vivono
per strada. Anche il quindicenne Angel viveva
in questo modo. Sua madre morì quando aveva
tre anni. La nonna allevò lui e i suoi fratelli,
ma, a causa della sua età, a un certo punto
non riuscì più a occuparsi di loro al meglio.
Angel è felice,
quando nel fine
settimana può
andare a casa.
Si prende cura
dei suoi nipotini.
A ngel smise di andare a scuola varie
volte. Quando arrivò nella Casa Don
Bosco, però, cambiò atteggiamento:
adesso studia con entusiasmo e ha
scoperto di avere una passione per la
cucina.
Un futuro con meno problemi
economici grazie alla cucina
Angel conosce la strada come il palmo della sua
mano. Ogni fine settimana va a trovare la sua fa-
miglia. Più si allontana dal centro della città di
Lima, più i dintorni diventano grigi.
Il quartiere popolare Rosa Luz si trova in un sob-
borgo della capitale peruviana. È stato costrui-
to in una zona deserta, piena di rocce e macerie.
Non ci sono né verde, né vegetazione: solo de-
triti e macerie. La polvere grigio-marrone copre
le strade e le povere baracche. Per raggiungere la
baracca di legno della sua famiglia, Angel deve
inerpicarsi lungo un ripido viottolo. Deve percor-
rere gli ultimi metri su una sgangherata scala di
legno, poi arriva a casa. L’abitazione è composta
dalla cucina, da un piccolo soggiorno e due picco-
le camere da letto.
Nove persone vivono qui sotto lo stesso tetto.
Condividono un lavabo e un gabinetto, che si tro-
vano di fronte alla casa. Alcuni teli di plastica, non
puliti, servono a circoscrivere i servizi igienici.
Anche la nonna di Angel vive qui. Da quando
la madre di Angel è mancata, la nonna si prende
cura dei tre nipoti. È una grande responsabilità
per questa donna di una certa età, che deve anco-
ra lavorare. Durante il giorno vende uova di qua-
glia bollite al mercato. La sopravvivenza di tutta
la famiglia si basa su questo piccolo introito.
La nonna di Angel vorrebbe un futuro migliore
per i suoi nipoti, ma sa anche che le probabilità
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Molti bambini e adolescenti di Lima vivono per le strade.
Per fortuna, Angel ha lasciato la strada.
che questo suo desiderio si realizzi non sono alte. era un po’ più grande, visse per un po’ con suo
Molti bambini e adolescenti di Lima vivono per padre. Fu un periodo segnato da violenza e per-
le strade, si drogano e sopravvivono con piccoli cosse, nel corso del quale fu spesso abbandonato
furti. Per fortuna, Angel ha lasciato la strada. a se stesso. Angel vorrebbe dimenticarsene. Con
I suoi famigliari vivono ancora nella baracca. sua nonna, in seguito, si trovò meglio. Angel e
Nelle due camere sono stati sistemati letti a ca- i suoi due fratelli trascorrevano però molto tem-
stello, in modo che ognuno abbia un posto in po da soli. Angel stava dunque spesso per strada.
cui dormire. Angel però è felice, quando nel fine Sedeva per ore negli Internet café, impegnandosi
settimana può andare a casa. Si prende cura dei
suoi nipotini: un bambino di un anno e uno di
quattro, con il quale gioca a palla.
Violenza, indifferenza, droghe
Angel non ama parlare della sua infanzia. Quan-
do aveva tre anni perse sua madre. L’aspetto peg-
giore è che non ha alcun ricordo di lei. Quando
in videogiochi che esaltavano la violenza. Dato
che non aveva denaro, cominciò a compiere pic-
coli furti. Influenzato dal suo fratello maggiore,
cominciò anche a consumare droghe.
Sua nonna era esausta. Non sapeva più che cosa
fare. Infine prese una decisione: mandare in col-
legio il ragazzo, permettergli di frequentare la
scuola e poi di seguire un percorso di formazione.
Il quartiere
popolare Rosa
Luz si trova in un
sobborgo della
capitale peruviana.
È stato costruito in
una zona deserta,
piena di rocce e
macerie. Non ci
sono né alberi, né
vegetazione.
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SALESIANI NEL MONDO
Concentrato sul
lavoro: Angel
vuole diventare
cuoco.
Così Angel arrivò dai Salesiani di Don Bosco.
«Da quando Angel è con i Salesiani, posso di
nuovo dormire tranquilla. So che adesso ha op-
portunità che io non potrei offrirgli. E sono si-
cura che mio nipote ne saprà fare buon uso», ha
detto la signora con tono sereno. Angel, che ha
quindici anni, vive da un anno nella Casa Don
Bosco nella periferia di Lima. Del ragazzo ribelle
e inquieto che era non è rimasto quasi nulla: ora
Angel si mostra tranquillo, diligente e gentile. È
molto apprezzato dai suoi compagni. È imbat-
tibile al tavolo da biliardo e questa sua capacità
suscita grande rispetto nei suoi confronti da par-
te degli altri ragazzi. Apprezza molto anche gli
sport proposti. In particolare, ama trascorrere
il tempo libero sul campo da calcio e giocare a
basket. Anche a scuola ha compiuto grandi passi
avanti. Quando frequentava la scuola elementare,
per tre volte non era stato promosso perché non
aveva raggiunto i risultati necessari. Adesso stu-
dia con molta motivazione e vorrebbe seguire un
percorso di formazione che gli permetta di diven-
tare cuoco.
Un rifugio sicuro e protetto
In questo momento circa settanta giovani vivono
nella Casa-famiglia Don Bosco a Lima. Erano in
maggioranza ragazzi di strada. Qui hanno la pos-
sibilità di abitare, ricevere pasti caldi, assistenza
psicologica e cure mediche. L’assistente sociale
Susana Durand, che ha quarantasette anni, lavo-
ra presso il centro Don Bosco da nove anni. È
madre single di tre figli e comprende molto bene
la vita e i problemi dei bambini e delle altre madri
i cui partner si sono allontanati.
«Lavorare con i ragazzi mi dà molta energia e
forza. Vorrei aiutare i ragazzi ad avere prospettive
migliori per il futuro. Dovrebbero avere soprat-
tutto la possibilità di portare il loro contributo
attivo nella società».
Susana Durand ritiene che sia molto importante
lavorare insieme alle famiglie dei ragazzi di cui si
occupa. «La famiglia è fondamentale per avviare
un cambiamento sociale», ha dichiarato.
Molti bambini e ragazzi che vivono nella Casa
Don Bosco provengono dalla regione andina. La
vita della popolazione indigena è caratterizzata
da estrema povertà. Molte famiglie si dirigono
verso la capitale peruviana alla ricerca di un fu-
turo migliore.
Le loro speranze però non si realizzano. I geni-
tori non riescono a trovare lavoro e sopravvivono
grazie a occupazioni saltuarie. Di fronte a questa
situazione, molte famiglie si distruggono: i geni-
tori diventano dipendenti dall’alcool e non sono
più in grado di occuparsi dei figli.
Il ventinovenne Diego Andres Pinto Vascez lavo-
ra da sei anni nella Casa Don Bosco. Ha comin-
Vorrei aiutare i ragazzi
ad avere prospettive
migliori per il futuro.
Susana Durand, assistente sociale
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COME TUTTO È COMINCIATO
ciato a impegnarsi qui prima come volontario, poi
come educatore. In precedenza svolgeva la pro-
fessione di stilista e guadagnava molto denaro,
che spendeva soprattutto acquistando auto, tele-
foni cellulari e altri status symbol. Visse poi con-
temporaneamente diverse situazioni difficili nella
sua vita privata e subì un grave incidente stradale,
al quale sopravvisse per miracolo. Tutto questo lo
indusse a cambiare vita.
«Quando cominciai a lavorare nella Casa Don
Bosco provai una sorta di amore a prima vista.
Rimasi impressionato dal modo in cui i ragazzi
erano trattati e avvertii subito il bisogno di im-
pegnarmi di più. Ai bambini vengono insegnati
i valori veramente importanti nella vita, tra cui
il senso della collettività, la solidarietà e anche
l’umiltà. Qui i ragazzi possono dunque liberarsi
della loro storia spesso difficile».
La Casa Don Bosco dispone di una panetteria e
una pasticceria.
Molti lavorano nella pasticceria e aiutano a ven-
dere prodotti da forno. I Salesiani collabora-
no anche con l’industria tessile locale. I ragazzi
possono compiere in questa sede un percorso di
formazione e gli abiti confezionati sono in parte
La casa di Don Bosco a Lima
Decine di migliaia di bambini vivono per le strade della capitale peruviana.
Una notte d’estate del 1993, il salesiano padre Pedro Dabrowski vide la polizia
fermare i bambini di strada di Lima. Volevano arrestarli e chiuderli in prigione.
Il Padre non esitò, portò di nascosto i bambini e i giovani nel cortile dell’edifi-
cio. Da allora, i Salesiani hanno offerto una casa ai bambini di strada.
messi a disposizione dei ragazzi della Casa Don
Bosco. Chi desidera seguire studi tecnici dopo la
scuola secondaria, ad esempio, può studiare l’e-
lettrotecnica presso il Centro di formazione Don
Bosco.
Inoltre, agli allievi viene insegnato a coltivare ver-
dure biologiche. I ragazzi ricevono anche un aiuto
quando entrano nel mondo del lavoro.
Angel si trova molto bene nella Casa Don Bo-
sco e ha già programmi per il futuro: «Oltre alla
scuola, mi piace molto il lavoro in cucina. Sono
regolarmente impegnato a preparare il pranzo per
un collegio vicino. Vorrei ampliare le mie compe-
tenze nell’ambito della cucina e poi lavorare come
cuoco». La minestra di verdure che ha preparato
oggi è stata molto apprezzata. Vuole provare pre-
sto altre ricette, anche a casa. Sua nonna è felice
delle sue capacità in cucina e soprattutto delle
opportunità per un futuro migliore che gli si pro-
spettano.
Nuovo coraggio:
Susana Durand
aiuta i ragazzi
a prepararsi per
la vita.
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A TU PER TU
BRIAN MUKUKA
(Traduzione di Marisa Patarino)
Salesiano in Zambia
Mi chiamo Brian Mukuka e sono un Salesiano originario
del bellissimo Paese dello Zambia, nell’Africa centro-
meridionale. Sono nato nella città di Kabwe, in una
famiglia di cinque persone. Io sono il secondogenito.
Sono un religioso appartenente alla Società di
San Francesco di Sales, comunemente nota come
Congregazione dei Salesiani di Don Bosco.
Il mio desiderio
di servire Dio
Il mio desiderio di servire Dio è nato
a casa dei miei genitori. Siamo una
famiglia di cinque persone: i miei ge-
nitori sono stati grandi lavoratori (mio
padre è già mancato) e hanno avu-
to tre figli. Io sono il secondogenito.
Mio padre e mia madre hanno avu-
to un ruolo importante nella mia vita
educandomi nella fede cattolica; mi
hanno incoraggiato a partecipare alla
Messa e sono diventato ministrante
nella parrocchia di Santa Monica a
Kabwe. All’epoca in cui prestavo il
mio servizio di ministrante, parteci-
pavo alle attività di vari gruppi della
parrocchia e mi impegnavo nei gruppi
giovanili; in seguito entrai a far parte
del gruppo di responsabili dei giovani
della parrocchia. Far parte di questo
gruppo aprì il mio cuore all’amore per
i giovani, a voler lavorare con loro e
aiutarli a comprendere l’importanza
e il significato di Dio nella loro vita
e, più ancora, ad amare Dio più di
ogni altra cosa. Mi domandavo però
in che modo io dovessi vivere questo.
Mentre compivo un percorso vocazio-
nale, nel 2009, una domenica alcuni
religiosi e alcune religiose visitarono
la nostra parrocchia intitolata a Santa
Monica per parlare delle vocazioni al
Un Salesiano mi parlò di come i Salesiani
lavorino con i giovani e comunichino loro
l’amore che nutrono per Dio.
12
Marzo 2019

2.3 Page 13

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sacerdozio e alla vita religiosa. Faceva
parte di quel gruppo anche un Sale-
siano, che parlò della sua Congrega-
zione, di come i Salesiani lavorino con
i giovani e comunichino loro l’amore
che nutrono per Dio. Rimasi colpito
dalla sua testimonianza e parlai con
la mia famiglia del desiderio che sen-
tivo di diventare Salesiano, dopo che
avessi terminato i miei studi. I miei
famigliari pensavano che io scherzas-
si. Nel 2011 presentai la mia doman-
da di ammissione ai Salesiani, che mi
risposero accettando la mia richiesta,
purché i miei genitori esprimessero il
loro consenso. Sebbene io temessi la
loro reazione, mi rivolsi subito ai miei
genitori, che continuavano a pensare
che io stessi scherzando. Mostrai dun-
que loro la lettera che avevo ricevuto e
rimasero sorpresi. A distanza di due
giorni pensai che i miei genitori se ne
fossero dimenticati, perché non mi
avevano detto nulla; quella sera prima
di cena mi chiamarono ed espressero
il loro pensiero. Ricordo ancora le loro
parole: «Se questo è ciò che vuoi fare
per Dio, non abbiamo obiezioni. Ri-
corda che ovunque tu vada questa casa
sarà sempre pronta ad accoglierti». Ne
fui felice e ringraziai Dio per la loro
risposta positiva. Pregai Dio affinché
mi guidasse nel cammino della vita
che avevo scelto per servirlo.
La mia formazione
salesiana
Nel 2011 cominciai il prenoviziato,
nel 2012 il noviziato e nel 2013, qua-
si alla fine del noviziato, emisi la mia
prima professione religiosa come Sa-
I giovani dello Zambia sono
generalmente positivi, obiettivi,
volenterosi e ambiziosi. Sognano
in grande, desiderano una vita
costruttiva.
lesiano di Don Bosco nello Zambia,
nella comunità ispettoriale con sede
a Chawama. La mia scelta di essere
Salesiano è motivata dal desiderio di
dedicare la mia vita a Dio per aiutare
i giovani a vivere meglio secondo lo
stile di don Bosco, condividendo l’a-
more di Dio con i giovani, in partico-
lare con i più bisognosi.
Il tirocinio pratico
La vita che ho condotto finora come
Salesiano è stata meravigliosa e non
mi rammarico di avere scelto questa
strada. Tra le mie esperienze più si-
gnificative nel corso del periodo del
tirocinio pratico, ricordo che il primo
anno sono stato nella Comunità sa-
lesiana di Kabwe, la mia città natale,
dove lavorai in una scuola elementa-
re chiamata Chiloto, nel territorio di
Makululu. All’epoca, nel 2016, la
scuola era all’inizio della sua attivi-
tà. Alcuni allievi abbandonavano la
scuola a causa di difficoltà finanzia-
rie e per altri motivi; alcuni genitori
non potevano permettersi di pagare
le tasse scolastiche, alcuni allievi non
avevano nessuno che pagasse per loro
e dunque non andavano mai a scuola,
altri genitori sostenevano le spese per
un certo periodo, ma poi lasciavano
i figli a casa promettendo loro che
li avrebbero mandati nuovamente a
scuola in seguito, ma non lo facevano
e quindi alcuni ragazzi finivano per
stare con i nonni e altri con i vicini,
che a loro volta non potevano mante-
nerli. A scuola potevamo offrire agli
allievi pasti e lezioni e per alcuni di
Marzo 2019
13

2.4 Page 14

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A TU PER TU
loro il pasto che ricevevano a scuola
era l’unico che consumassero nell’arco
della giornata. Sebbene la loro con-
dizione economica fosse molto mo-
desta, erano felici, contenti di venire
a scuola e molto attivi nelle attività
proposte.
Nel corso del mio secondo anno di
tirocinio pratico, nel 2017, lavorai an-
cora nella comunità di pre-noviziato
salesiano di Chingola, in Zambia.
Sebbene io fossi l’assistente dei pre-
novizi, ero anche impegnato in altre
attività all’interno della comunità,
una delle quali era il progetto a favo-
re dei ragazzi di strada, organizzato
in collaborazione da Salesiani, Coo-
peratori ed Exallievi Salesiani ogni
fine settimana e strutturato su varie
attività: lezioni, sport e distribuzione
di pasti. Sono sempre stato felice di
lavorare con i bambini e i ragazzi. Ho
imparato molto da loro. Sono rimasto
sorpreso, apprendendo che alcuni di
loro provenivano da famiglie distrut-
te: i genitori non si preoccupavano
di loro, alcuni ragazzi avevano subi-
to maltrattamenti in famiglia, alcuni
erano stati mandati via da casa, altri
non avevano una casa e parenti che
si prendessero cura di loro e dunque
la loro casa era lungo le strade, in cui
rischiavano la vita. Ho riscontrato che
sono felici di stare nelle strutture dei
Salesiani di don Bosco e desiderano
viverci, perché vi trovano pace, amore
e le cure di cui hanno bisogno. Que-
sto programma li aiuta molto anche
per la loro vita. Alcuni tornano con
le loro famiglie e vivono felici e con-
tenti. Questa esperienza mi ha inco-
raggiato ancora di più a lavorare con
i giovani e a essere uno strumento di
Dio per migliorare la loro vita.
I giovani e la Chiesa
Cattolica in Zambia
La situazione che i giovani vivono
nello Zambia è stata una delle moti-
vazioni che mi hanno spinto a voler
diventare Salesiano. Mi pare che i
giovani siano generalmente positivi,
obiettivi, volenterosi e ambiziosi. So-
gnano in grande, desiderano una vita
costruttiva, avere un buon lavoro che
permetta loro di mantenersi, molti di
loro sono timorati di Dio e rispettano
i loro genitori. In genere all’interno
della Chiesa i giovani sono i più attivi
e partecipano a varie attività religiose.
D’altra parte, in questo Paese ci sono
meno opportunità di lavoro, sebbene
i giovani amino studiare e sperino di
trovare un lavoro dopo aver comple-
tato gli studi universitari. È triste che
alcuni non terminino i corsi scolastici
per vari motivi: mancanza di risorse
per pagare le tasse scolastiche, gra-
vidanze precoci per le ragazze, man-
canza del sostegno della famiglia, per
alcuni di loro l’uso di droghe e l’abuso
di alcool. Altri giovani si impegnano
poi nella politica per migliorare la si-
tuazione del Paese, che sembra insta-
bile a livello politico ed economico. Il
governo fa comunque il possibile per
raggiungere la stabilità, impegnando-
si per offrire opportunità di istruzio-
ne, lavoro, per realizzare strade ecc.
Tutto sommato, lo Zambia è un Pae-
se in pace e la vita della popolazione
locale continua normalmente.
La Chiesa svolge un ruolo molto
importante nella vita dei cittadi-
ni dello Zambia. La Chiesa è molto
apprezzata dal governo e dalla gente
dello Zambia; insieme al nutrimento
spirituale della fede offre opportunità
di istruzione a tutti i livelli, dai corsi
Tra i giovani che lavorano con noi ho riscontrato
amore e stima per i Salesiani dello Zambia:
amano stare nelle strutture gestite da Salesiani
e impegnarsi nelle attività proposte.
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Marzo 2019

2.5 Page 15

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Foto Shutterstock.com
Figlie di Maria Ausiliatrice, gli Exal-
lievi e i Cooperatori salesiani. Il loro
entusiasmo per don Bosco è davvero
incredibile e motiva a lavorare per
loro e stare con loro.
La casa in cui vivo e le
attività che svolgo ora
In questo momento frequento il pri-
mo anno di Teologia presso la Pon-
tificia Università Salesiana di Roma,
presso la Comunità Salesiana dell’I-
stituto Gerini. In questa Comunità
internazionale regna un ottimo clima,
grazie ai docenti e ai confratelli con
cui studio. L’atmosfera è arricchita
dalle varie culture presenti nella Co-
munità, dalle capacità e dalle inizia-
tive molto varie, che mi aiutano ad
acquisire una prospettiva globale del-
la formazione e della vita salesiana in
generale. Studiare all’ mi permet-
te anche di ampliare i miei orizzonti
nell’ambito degli studi, apprendendo
e ascoltando diverse opinioni teologi-
che dagli studenti religiosi e laici con
cui condivido il mio percorso. Anche
l’Università è caratterizzata da un’at-
mosfera vivace e costruttiva: tutti gli
studenti si sentono a casa e parteci-
pano alle varie attività proposte. Sono
anche impegnato nell’opera di apo-
stolato, che normalmente svolgo il sa-
bato e la domenica a San Basilio, una
delle parrocchie di Roma.
Per tutto questo sia gloria a Dio e al
mio don Bosco.
Lo Zambia è un paese politicamente stabile,
con grandi possibilità naturali, come le famose
cascate Vittoria al confine con lo Zimbabwe.
professionali all’università e gestisce
strutture sanitarie in tutto il Paese.
Nello Zambia operano molte Con-
gregazioni religiose cattoliche, locali
e internazionali, tra cui i Salesiani di
don Bosco che lavorano nelle parroc-
chie, nei centri giovanili, nelle scuole
di ogni ordine e grado, sono presenti
sia nelle città, sia in zone rurali e la-
vorano con giovani di condizioni eco-
nomiche diverse, ma in particolare
per i più bisognosi. Tra i giovani che
lavorano con noi ho riscontrato amore
e stima per i Salesiani dello Zambia:
amano stare nelle strutture gestite da
Salesiani, impegnarsi nelle attività
proposte e alcuni desiderano diventa-
re a loro volta Salesiani o entrare a far
parte di altre Congregazioni e grup-
pi della Famiglia Salesiana, come le
Foto Shutterstock.com
Marzo 2019
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2.6 Page 16

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Accompagnamento
Voce del verbo esserci
Con e tra i giovani
della periferia
Era il 12 marzo 2017 quando fra’
Felipe Gentil da Frota e monsignor
Mário Antonio da Silva hanno uffi-
cializzato un futuro arrivo nella città
di Rorainópolis, Stato di Roraima, a
nord del Brasile. La maggior parte
della popolazione dello Stato è di ori-
gine migrante, proveniente da diversi
Stati del Brasile. A Rorainópolis si
concentra una grande percentuale di
“maranhenses”, originari dallo Stato
di Maranhão. Questi, come tanti al-
tri, abitano lungo le strade della città,
nelle vie “Vilas” e “Vicinais”. Come la
stragrande maggioranza delle strade
di Rorainópolis, esse non sono asfal-
tate e sono lontane dal centro urbano.
«L’attenzione alla vita interiore è il
cardine sul quale la missione ruota», ci
dicono suor Eliete da Silva Bezerra e
suor Maria José Andrade de Souza,
chiamate all’evangelizzazione con e
tra i giovani della periferia. Sono loro
i nuovi apostoli che dovevano arrivare
per condividere con altri religiosi la
missione che, prevalentemente, consi-
Bussando di porta in porta, i giovani missionari
si interessavano di conoscere coloro che avevano loro
aperto, leggevano la Parola di Dio, condividevano
alcune riflessioni, cantavano, facevano una preghiera
in base alla realtà che trovavano, ringraziavano
per l’accoglienza e proseguivano il cammino.
ste nel condividere ed accompagnare
la vita delle persone con la forza della
propria umanità.
Data la scarsità di operatori di pa-
storale preparati, le suore preparano i
fidanzati al matrimonio, gli adulti ai
Sacramenti e aiutano nella catechesi
dei bambini; catechesi e giovani sono
le priorità assunte dall’Assemblea
diocesana.
I nipoti leggono
e i nonni spiegano
Favorire la vita cristiana e l’inseri-
mento attivo di molti è un’esigenza
primaria della comunità, in quanto è
frequente la seguente situazione: una
bambina di 11 anni e un adolescente
di 15, studenti, non hanno ancora ri-
cevuto i sacramenti. I loro nonni sono
Le Figlie di Maria Ausiliatrice nella periferia di
Rorainópolis in Brasile.
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Marzo 2019

2.7 Page 17

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analfabeti e non sanno leggere ma
sono gli animatori della comunità ec-
clesiale. I due adolescenti, durante gli
incontri di catechesi per altri bambi-
ni, fanno la lettura dei testi e i nonni
spiegano il testo a tutti.
Quando arriva l’inverno, alcune stra-
de non permettono alla gente di tran-
sitare, la partecipazione dei destinata-
ri viene meno e nei missionari nasce
maggiormente l’impegno di esserci:
si cerca di agevolare la partecipazio-
ne dei giovani organizzando giornate
di ritiro per i gruppi della Cresima,
visitando le famiglie, svolgendo la ca-
techesi. Ogni attività si conclude con
un momento che desidera far vivere
concretamente il cuore oratoriano di
don Bosco e di Madre Mazzarello.
La Settimana
Missionaria Giovanile
Insieme all’équipe locale sono state
promosse ulteriori attività che hanno
generato molta adesione da parte dei
giovani: l’Alba giovanile, la Gimcana
biblica, la Giornata Nazionale della
Gioventù, la drammatizzazione della
Via Crucis. Dopo un anno di cam-
mino è stato possibile realizzare, con
i giovani della scuola secondaria di
secondo grado e con gli universitari,
la “Settimana Missionaria giovanile”;
dopo aver approfondito il documento
“La gioia del Vangelo”, i ragazzi sono
partiti per visitare i quartieri “Porte-
linha” e “Invasão”, ancora in forma-
zione e privi di comunità ecclesiali.
Bussando di porta in porta, i giovani
missionari si interessavano di conosce-
re gli abitanti della casa, leggevano la
Parola di Dio, condividevano alcune
riflessioni, cantavano, facevano una
preghiera in base alla realtà che trova-
vano, ringraziavano per l’accoglienza e
proseguivano il cammino. Un pome-
riggio è stato dedicato alla visita all’O-
spedale “Regional Sul”, dove i missio-
nari hanno portato parole di conforto
e di speranza agli ammalati.
Nella verifica della “Settimana Mis-
sionaria Giovanile” i ragazzi si sono
espressi così: “Ho imparato molto e ho
rinforzato il mio percorso di fede”; “Ho
toccato con mano i bisogni della gente,
è stato bello trasmettere l’amore di Dio
alla gente”; “Ho conosciuto la realtà
degli abitanti e questo ha rinforzato la
mia fede e la fiducia nel gruppo”.
L’arrivo delle Figlie di Maria Ausilia-
trice nella diocesi ha intensificato la
vita missionaria, anche se sono ancora
pochi coloro che spendono la propria
vita per il bene degli altri in base alle
necessità, come l’accoglienza e l’aiuto
umanitario, la difesa dei diritti civili
dei rifugiati venezuelani che sono en-
trati in Brasile proprio dalla frontiera
dello Stato di Roraima.
Le suore, i preti e alcuni laici della casa.
La missione consiste prevalentemente nel
condividere ed accompagnare la vita delle
persone con la forza della propria umanità.
Suor Maria José, coordinatrice dell’A-
rea per l’Unità Pastorale della Regione
Sud dello Stato, ci dice: «Accogliere
bambini, adolescenti, giovani e adulti
è un segno credibile nella missione sa-
lesiana in mezzo a questa nuova fron-
tiera nel Nord del Brasile. Molte sono
le possibilità per l’inculturazione del
Carisma: ascoltare la gente, in modo
particolare, i giovani; animare l’Orato-
rio festivo; fare formazione nelle scuo-
le pubbliche; elaborare progetti per
migliorare gli ambienti, per avere dei
sussidi formativi e anche professionisti
che possano accompagnare i giovani e
le donne che vivono nell’estrema po-
vertà o che sono vittime della disoccu-
pazione, che aiutino nello svolgimento
delle attività missionarie.
La linfa del carisma salesiano di que-
sta missione continuerà a crescere,
perché ci sono ancora giovani che
decidono di donare tutta la loro vita
perché viva».
Marzo 2019
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
ALBERTO LAGOSTINA
I cento anni dell’oratorio
San Paolo di Torino
Nel 1918 don Filippo Rinaldi e
don Pietro Ricaldone, trovandosi
nel popolare Borgo San Paolo di
Torino, ragionano sull’opportunità
della presenza di un oratorio in
questa zona. L’8 dicembre don
Paolo Albera, secondo successore
di don Bosco, lo inaugura
ufficialmente. Cento anni dopo,
nel 2018, il Rettor Maggiore don
Angel Fernandez Artime festeggia
il primo Centenario dell’Opera
San Paolo con i salesiani e tutto
il Borgo.
La parrocchia di
Gesù adolescente
vista dal campo
di calcio
dell’Oratorio.
Il miracolo degli inizi
La nascita dell’Oratorio San Paolo è segnata da
anni di lotte operaie, da scioperi violenti, da occu-
pazioni armate di fabbriche. Una situazione dram-
matica causata anche dal primo conflitto mondia-
le. Il 1819-1920 è stato definito il biennio rosso e la
situazione è descritta bene dallo storico salesiano
don Aldo Giraudo: «L’economia di guerra impo-
neva gravissimi sacrifici per le misure rigorose,
che pesavano soprattutto sui ceti più poveri ed
esigevano, anche da donne e ragazzi, orari massa-
cranti di lavoro nelle industrie, sotto un controllo
disciplinare ferreo, con salari da fame. A tutto ciò
si aggiungevano una grave penuria di viveri e di
combustibili e la coscrizione militare di massa (dai
giovanissimi ai richiamati di quaranta anni). Poi
arrivò la grande influenza spagnola, la più grave
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Marzo 2019

2.9 Page 19

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pandemia della storia, che tra 1918 e 1920 uccise
migliaia di persone in Torino (circa 600 mila in
Italia e 50 milioni nel mondo)». La mancanza di
una rete di istituzioni pastorali e la presenza attiva
di associazioni operaie e socialiste avevano favorito
un diffuso anticlericalismo popolare.
Qui ci vuole un Oratorio
Si innesta qui l’idea salesiana di un oratorio nel
quartiere. Gli oratori di don Bosco nascono quasi
sempre ai margini delle città, in quartieri popo-
lari, con particolare riguardo ai giovani. Quale
ambiente migliore del Borgo Rosso? Era infatti
una periferia estrema e agitata dai mali di una
forte espansione (la popolazione durante la guer-
ra raggiunse le ventimila presenze) e dai processi
di evoluzione sociale, cui si opponevano penuria
di case, mancanza di occupazione causata dalla
fine della produzione bellica e dalla distruzione
generalizzata di beni e di strutture produttive, e
da inadeguati o mancanti servizi sociali, che ren-
devano difficile anche il semplice convivere.
Don Rinaldi e don Ricaldone
in via Frejus
Un giorno di maggio del 1918 don Rinaldi, allora
Prefetto, poi terzo Rettor Maggiore della Società
Salesiana, con don Pietro Ricaldone, allora Vica-
rio, erano andati ragionando in Borgo San Paolo,
e si trovavano in via Frejus, nei pressi del Corso
Racconigi, allora appena tracciato. Parlavano de-
gli Oratori festivi e del bene ch’essi fanno, e don
Rinaldi disse: «Oh! Se ci fosse qui un Oratorio!».
In quel momento una frotta di ragazzi grida il
«Qua! qua!» che erano soliti lanciare contro i pre-
ti. E don Rinaldi, senza scomporsi e sorridendo:
«Sì, sì, qua; ci verremo presto qua; ci verremo!».
La Provvidenza volle che pochi giorni dopo que-
Un gruppo
di giovani
dell’Oratorio
con il Rettor
Maggiore e
l’Ispettore.
Marzo 2019
19

2.10 Page 20

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LE CASE DI DON BOSCO
Don Bonvicino
e i primi sei ragazzi
Il Rettor Maggiore
con il direttore don
Alberto Lagostina
premia i ragazzi.
A pagina
seguente: Il nostro
arcivescovo ha
festeggiato con
noi il Centenario.
sto fatto, si presentasse a don Rinaldi la contessa
Teresa Rebaudengo-Ceriana, grande benefattrice
e zelatrice, a cui stava a cuore il bene delle classi
operaie e povere. Dicono le cronache che la gene-
rosa donna «profondamente commossa al pensie-
ro che nella Borgata San Paolo il male trionfasse
così largamente, e che la gioventù dovesse cresce-
re senza alcun avviamento cristiano, si dichiarò
disposta a cedere di suo novemila metri quadrati
di terreno per la fondazione di un oratorio. Fu
così acquistata la cascina Saccarello, situata là,
dove corso Racconigi è intercettato dalle vie Vi-
gone e Luserna. Era un corpo di caseggiato ru-
stico con fienile e tettoia per carri e un tratto di
abitazione civile con portico; una casetta rustica
di fronte, tra il cortile e il giardino alberato». La
completa copertura della spesa fu resa possibile
con il contributo degli industriali torinesi in oc-
casione della doppia ricorrenza in quell’anno del
cinquantesimo della consacrazione della Basilica
di Maria Ausiliatrice e del giubileo sacerdotale
di don Paolo Albera, Rettor Maggiore e secondo
successore di don Bosco.
Il primo passo è compiuto: c’era il terreno. Il mer-
coledì 20 novembre del 1918, è il giorno che segna
l’avvio effettivo dell’Oratorio, il giovane salesiano
don Ignazio Bonvicino, mandato dal suo superio-
re “a fare qualcosa” per cominciare, s’incontra con
sei ragazzi che stanno giocando alle birille in un
prato vicino. Si mette a giocare con loro e, passo
passo, li conduce con sé alla casa, li fa divertire,
e poco dopo, questi, tornati dalla merenda, ne
conducono un’altra decina. La domenica 24 no-
vembre, la prima domenica dell’oratorio festivo,
s’era improvvisata in una stanza al pian terreno
una cappella con un altarino provvisorio e para-
menti imprestati: erano 72 i ragazzi presenti. Nel
pomeriggio giunsero a 200.
A mettere poi in moto gli edifici del nascente
Oratorio fu la prima comunità salesiana residente:
il primo arrivato, don Ignazio Bonvicino, era so-
stenuto dal coadiutore Serafino Proverbio, uomo
di solida tempra e d’antico stampo. Per dare unità
e spirito di famiglia giunse il 30 novembre don
Luigi Varisco, primo direttore. I tre presero sta-
bile dimora nella casa, benché sprovvisti di tutto
e in rigida stagione. Prestava pure prezioso aiuto
il signor Pozzi, capo infermiere dell’oratorio di
Valdocco, che giungeva saltuariamente.
La commozione di don Albera
nella cappella improvvisata
Il giorno 8 dicembre 1918 quella tettoia con pa-
gliaio, ora divenuta cappella, accoglieva più di
300 ragazzi, gente del popolo, amici e benefattori
della prima ora. Don Paolo Albera con il pianto
negli occhi celebrò la Messa, e promise la costru-
zione di una grande chiesa. Nasceva così uffi-
cialmente l’opera, con la benedizione del Rettor
Maggiore. In seguito e più volte anche don Ri-
naldi verrà a salutare i ragazzi del «suo» oratorio.
Questi i primi passi dell’Oratorio, a cui seguì,
20
Marzo 2019

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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TRE DOMANDE AL DIRETTORE
Don Alberto, con che spirito avete celebrato questo Cente-
nario? E che cosa vi ha detto il Rettor Maggiore?
È stato importante raccogliere il testimone dal passato per conti-
nuare il cammino e raccogliere le nuove sfide della società di oggi,
sempre più multicolore, con tante energie positive, spesso bloccate
dal peso dell’indifferenza e del consumismo. Abbiamo quindi fatto
memoria delle origini, per trovare le scintille carismatiche che ci per-
mettono di progettare il domani a partire dal presente.
In tutti questi anni, attorno alle comunità dei salesiani consacrati, è
cresciuta una comunità pastorale che ha sempre messo al centro i
giovani e li ha resi protagonisti. Una comunità che ha saputo con-
dividere difficoltà e problemi con la gente del borgo, ma soprattutto
– nella logica di don Bosco – ha saputo fin dall’inizio scoprire tante
risorse nelle persone che qui abitavano e di quanti vi giungevano
sull’onda dell’immigrazione.
Il Rettor Maggiore don Ángel Artime ha detto alla nostra Comunità,
celebrando l’Eucaristia domenica 20 maggio, solennità di Pente-
coste, in una chiesa gremita in ogni posto e colorata dai numerosi
gruppi pastorali della parrocchia e dell’oratorio: «Non è possibile
dirsi cristiani e allo stesso tempo chiudere le porte. Non sono i politici
a doverci dire cosa dobbiamo pensare sulle persone. Essere comunità
cristiana e salesiana significa, in primo luogo, vivere con porte, mente
e cuore aperti all’accoglienza delle diversità. Qui, in questo quartiere
umile che porta evidenti i segni della crisi economica, il “cortile” è ve-
ramente la “casa” di Borgo San Paolo dove tutti si sentono accolti».
Quali sono in questo momento le vostre iniziative e le at-
tività più significative?
Oltre l’accoglienza quotidiana nel nostro cortile offriamo la proposta
di un cammino di fede che parte dai sette anni fino all’età giovanile.
Cammino che aiuta i giovani a mettersi al servizio dei più piccoli e
di chi è più in difficoltà. È presente inoltre una società sportiva che
propone calcio a 5, volley, basket e karate.
Cerchiamo di rispondere alle esigenze del territorio attraverso:
un doposcuola per bambini e ragazzi, un Centro Aggregativo Mi-
nori (CAM) che accoglie 12 minori inseriti dai Servizi sociali;
vari laboratori manuali, didattici ed espressivi;
il progetto Provaci ancora Sam-Preventivo, in collaborazione con
il Comune di Torino e la Compagnia di San Paolo, che prevede
l’inserimento di nostri educatori e volontari in classi delle scuole
primarie e secondarie del territorio;
il Provaci ancora Sam-Tutela integrata che aiuta a conseguire la
licenza media a minori di oltre 15 anni;
la Comunità “Casa che accoglie” per minori stranieri non accom-
pagnati. Sono 12 minori inseriti dall’Ufficio Minori Stranieri del
Comune di Torino;
uno sportello di orientamento scolastico e professionale;
l’accoglienza di percorsi di alternanza scuola-lavoro.
Non può mancare poi l’Estate ragazzi, dove molte famiglie affidano
a noi i loro figli per vivere una vacanza serena ed educativa. L’estate
è un momento di vera palestra di allenamento per tanti adolescenti
che dedicano il proprio tempo a servizio dei più piccoli. Nei mesi
estivi si raccoglie il cammino dell’anno pastorale per rilanciarlo in
quello successivo.
È significativo inoltre il coinvolgimento delle famiglie sia nel percor-
so di educazione alla fede (genitori che animano altri genitori) sia
attraverso la proposta di un gruppo famiglia.
Quali le prospettive per il secondo Centenario, perché sia
ancora per questo Borgo un’occasione per crescere?
Oltre a consolidare i percorsi in atto che ci hanno portato a lavorare
di più insieme come Comunità educativa pastorale, crediamo che sia
importante uscire di più per collegarci con il territorio: unità pastora-
le, circoscrizione, associazioni che operano accanto a noi.
Due urgenze inoltre sono state segnalate dal nostro nuovo Progetto
educativo pastorale, frutto dell’anno centenario:
il ripensamento del modo di servire i poveri del territorio. I vo-
lontari della Caritas e della San Vincenzo fanno moltissimo, ma
faticano a trovare nuove persone;
l’accoglienza dei minori stranieri divenuti maggiorenni. Infatti,
dopo un percorso positivo, rischiano di essere lasciati a loro
stessi.
come promesso la chiesa (opera dall’architetto sa-
lesiano Giulio Valotti), che diventerà una grande
parrocchia.
A 100 anni da quegli inizi, tanta acqua è passata
sotto i ponti, tante le iniziative pastorali, sociali,
sportive mandate avanti dall’Oratorio San Pao-
lo. Tantissimi giovani e ragazzi che hanno tro-
vato qui quell’accoglienza tipica salesiana che si
rifà alla spiritualità e allo stile educativo di don
Bosco. Numerose le vocazioni salesiane nate nel
cortile di questo Oratorio.
Don Alberto Lagostina è l’attuale direttore del
San Paolo nel primo Centenario, solennizzato
dalla presenza del Rettor Maggiore.
Marzo 2019
21

3.2 Page 22

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Colle Don Bosco

3.3 Page 23

▲back to top
LUOGHI
SALESIANI

3.4 Page 24

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TEMPO DELLO SPIRITO
B.F.
Un ritiro spirituale in casa
Fare una pausa scendendo un momento dal gran
vorticare del mondo non è riservato solo ai
monaci, ai credenti più impegnati o ai calciatori
prima delle partite. Tutti noi possiamo trovare
il tempo per “rimetterci in forma”, nel più bello
dei santuari: casa nostra.
PREPARARSI
La cosa più importante è «volerlo fare». Un at-
teggiamento mentale deciso: fermarsi un attimo.
Smettere di fare, di muoversi, di agitarsi. Tirarsi
un po’ fuori dal mondo. L’unica complicazione
può essere trovare il tempo giusto. Si tratta di or-
ganizzare un programma simile ad una giornata
monastica, fatto di moduli non lunghissimi di
meditazione, di preghiera, di attività.
Soprattutto, dobbiamo avere un profondo desiderio
di sperimentare qualcosa di diverso, di pianificare
una pausa che non è uno “smettere di fare”, ma un
“fare diversamente”, per entrare simbolicamente in
un nuovo spazio-tempo. Non siamo abituati a vi-
vere questa sospensione del pensiero e dell’azione
ordinaria. Quindi non sorprendiamoci se sorgono
sentimenti di impazienza, fastidio o noia. La diffi-
coltà fa parte del viaggio: aprire la porta allo spirito
non è immediato.
Perché lì dentro c’era ancora il suo respiro».
Nella Bibbia leggiamo «Dio, il Signore, prese dal
suolo un po’ di terra e, con quella, plasmò l’uomo.
Gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo
diventò una creatura vivente». Dentro ciascuno
di noi c’è il respiro di Dio. La piena coscienza di
respirare è il nostro appuntamento con l’origine
della vita e il suo autore. L’esercizio più semplice
consiste nell’inspirare pensando «inspiro la forza»
e poi espirando pensare «soffio via tutti i fastidi».
LA PRESENZA
Il respiro c’è sempre. È sempre lì, insieme a noi.
Come una risorsa sempre disponibile che ci aiuta a
ormeggiarci nell’attimo presente. La respirazione
è come un’amica sempre disponibile. Attenzione
a non chiederle l’impossibile: inutile cercare di
respirare per non sentire (stress, angoscia, paura,
tristezza, rabbia). Occorre invece respirare per non
farsi travolgere. Concentrarsi sulla respirazione
così come si chiederebbe a un amico di restare al
nostro fianco per affrontare una prova o una dif-
ficoltà. Nella consapevolezza del respiro possiamo
sentire chiaramente la presenza di Dio che si apre
una breccia negli ingombri del nostro interno.
RESPIRARE
Tutto inizia con il respiro. Un uomo dichiarò:
«Mia moglie morì durante l’attentato dell’11
settembre 2001. Ricordo che quando tornai a
casa buttai tutto ciò che le apparteneva e che
mi faceva pensare a lei. L’unica cosa che decisi
di tenere fu una palla gonfiabile da spiaggia.
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Marzo 2019

3.5 Page 25

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LEGGERE
Una volta che il corpo si è calmato e la mente
si è calmata, possiamo leggere testi spirituali o
poetici. Lo facciamo in compagnia di Dio. Rac-
comanderei un solo testo breve nello stesso giorno
(salmo, parabola). Sedetevi e prendete la Bibbia in
mano con attenzione e riverenza. Leggete molto
lentamente il testo previsto. Lasciate che ogni pa-
rola scenda nel vostro cuore, cercate di assaggiar-
la, di gustarla, di ripeterla, finché essa giunge nel
vostro cuore. E a ogni parola immaginate che Dio
stesso la pronunci per voi. Se osservate una scena
biblica, ad esempio un racconto di guarigione,
immaginatela in modo concreto. Trasportatevi
dentro la scena. Voi siete il malato che va verso
Gesù o che Gesù tocca con amore.
MEDITARE
Come primo testo provate la parabola della mone-
ta perduta (Luca 15,8-10): «O quale donna, se ha
dieci monete e ne perde una, non accende la lucer-
na e spazza la casa e cerca attentamente finché non
la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche
e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché
ho ritrovato la moneta che avevo perduto».
Immaginate la vostra vita come una casa. Dove si
trova la cosa più importante? Dove avete messo Dio?
Siamo brave persone, ma la disattenzione della no-
stra vita ci ha fatto perdere il nostro vero sé. Fare
un ritiro significa andare alla ricerca dell’imma-
gine di Dio dentro di noi. Dobbiamo innanzitut-
to accendere una lampada. Dobbiamo guardare
nell’oscurità della nostra anima. Dobbiamo spaz-
zare la casa. Polvere e sporcizia hanno nascosto
l’immagine originaria di Dio dentro di noi.
PREGARE
Dopo che avete meditato sulla vostra casa e l’ave-
te percorsa con le vostre preghiere di fronte a Dio,
provate a parlare ad alta voce con lui per mezz’ora.
Presentate la vostra casa a Dio e spiegategliela. E
domandategli che cosa ne pensa.
Cercate di immaginare che in questo momento
Dio sia veramente presente, seduto davanti a voi. E
ditegli tutto ciò che vi viene in mente. Chiedetevi:
qual è l’autentica verità della mia vita? Qual è la
mia situazione? Che cosa dovrei finalmente dire a
questo Dio e che ho tenuto nascosto fino ad ora?
LAVORARE
Dopo aver dedicato un po’ di tempo alla lettura,
alla meditazione e alla preghiera, potete sbrigare
le faccende del giorno. La vita monastica unisce
contemplazione e lavoro. Riordinare, spolverare,
pulire, cucinare, questi atti automatici, quando
vengono compiuti lentamente e sperimentandone
le sensazioni, sono un modo per celebrare la vita,
Dio e l’universo.
MANGIARE
Per una volta, prestate attenzione alla consistenza,
al colore e all’odore del cibo. Tenete presente che
una semplice ciotola di zuppa preparata con cura,
odore e gusto è una celebrazione della vita. Man-
giate lentamente, in silenzio, provate gratitudine
per ciò che masticate, compassione per tutti colo-
ro che sono nel bisogno. Questo sentimento ha il
valore della condivisione, rafforza il nostro senti-
mento di appartenenza alla comunità degli uomi-
ni. E ricordatevi sempre che, secondo la Bibbia,
il mangiare insieme è il simbolo dell’Eucaristia e
soprattutto del Paradiso.
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3.6 Page 26

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L’INVITATO
A. BARATTINI, M. BERGER, A. BORSELLO, M. COCIGLIO, S. DE VITA, R. GALLI, M. VIADANA
tTerrarcacersousllsaa
Un mese in missione non ti cambia la vita, ma cambia
il modo in cui tu guardi la tua vita: è ciò che siamo andati
a fare, o meglio a vivere in questo mese in Ghana,
“corso di esercizi spirituali predicati dai poveri”.
Questa è l’esperienza di un gruppo di giovani del Piemonte
a Sunyani, una missione salesiana in Ghana.
“A nd when you go, re-
member us” (e quan-
do andrete via, ri-
cordatevi di noi). È
passato ormai più di
un anno dal nostro
ritorno da Sunyani, in Ghana, dove
abbiamo vissuto un mese di esperien-
za missionaria, ma le parole e la me-
lodia di questo ritornello riecheggiano
ancora in noi come un invito a non
dimenticare. «La vostra vera missione
comincia tornando a casa: raccontate a
tutti ciò che avete visto e vivete ogni
giorno con la stessa energia che avete
sperimentato qui in Africa. Se cambia-
mo noi, cambia anche il mondo». Così
ci ha salutato Ricky Racca, il salesiano
italiano missionario in Africa da 20
anni che ci ha accolti e accompagnati.
Che cosa succede
se decidi di passare
un mese di missione
in Ghana.
È così che è nata l’idea di raccogliere
insieme le pagine di questo diario, come
testimonianza di quanto abbiamo visto
con i nostri occhi, toccato con le nostre
mani e vissuto sulla nostra pelle. Nes-
suno di noi ha scelto di andare in Gha-
na, siamo stati mandati. Nell’ottobre
del 2016 abbiamo iniziato a Valdocco
il Corso Partenti, una serie di incontri
di formazione organizzati dall’équipe
di Animazione Missionaria dell’ispet-
toria ; nel gennaio 2017 abbiamo
ricevuto la nostra destinazione: Sun-
yani, in Ghana.
Queste pagine sono l’estratto di un
diario a più voci, raccolta degli ap-
punti scritti alla luce di una torcia
prima di addormentarci, testimo-
nianza dei pensieri e dei sentimenti
che ogni giorno hanno riempito cuore
e mente. Che possano essere spunto e
ispirazione per voi a cui lo consegnia-
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Marzo 2019

3.7 Page 27

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A pagina precedente : il gruppo al completo.
A destra: Don Alessandro e i suoi piccoli amici.
mo con la consapevolezza di quanto
sia bello condividere per moltiplicare.
27 luglio, giorno 1
Sogno un’esperienza che sia ispira-
zione per la mia vita, che riempia la
mia anima, la mia mente, il mio cuo-
re lasciando un’impronta per sempre.
Sogno di farmi voler bene dalle per-
sone con cui incrocerò il cammino, di
incontrare un Dio che mi parli nella
concretezza di ciò che vivrò e mi ami
nonostante la mia piccolezza. Sogno
di prendere in braccio quei bimbi e
di stringerli fino a mescolare i no-
stri odori. Sogno prospettive nuove,
sentieri con le mie impronte, incontri
preziosi, parole che rimangano vi-
branti nel cuore. Sogno.
Consegno ogni paura a Dio, a Lui
chiedo di aiutarmi a trasformare i
miei spigoli in carezze, le mie ferite
in crepe attraverso cui passa la luce,
i miei sorrisi in segni di speranza per
chiunque incroci il proprio cammino
con il mio. Mi fido.
Farò tesoro di tutto, anche di ciò che
non saprò spiegarmi, di ciò di fronte a
cui mi sentirò impotente. Mi impegno.
Attraverso i miei occhi possano i miei
cari vedere un mondo nuovo, attra-
verso il mio cuore sentire le emozio-
ni che proverò e ciò che lascerò nelle
persone che incontrerò. Prego.
L’ora della partenza si avvicina. Le
parole che un amico mi ha dona-
to salutandomi mi riecheggiano nel
cuore... «L’Africa non ha bisogno di
te, tu hai bisogno dell’Africa; devi sa-
per ascoltare: Lui ti sussurrerà le cose
all’orecchio perché tu possa gridarle
dai tetti».
28 luglio, giorno 2
Africa, terra tanto sentita nominare
nelle ore di storia a scuola, nei rac-
conti e nelle testimonianze, ma mai
vissuta dal vero. Ecco sono qui, la sto
toccando con i miei piedi quella ter-
ra rossa che contraddistingue questo
continente. Sento il suo vento umido
che mi avvolge, una macchina ci at-
tende, ora inizia il tutto.
Matthew e Wisdom, salesiani della
capitale ghanese Accra, ci accom-
pagnano al quartiere di Ashaiman.
Cerchiamo di scrutare fuori dal fi-
nestrino ma, come dice la canzone
di Nicolò Fabi: «La notte qui è notte
davvero, è la madre del buio».
Ci corichiamo e, a luci spente, comin-
cia la guerra sotto le zanzariere che
tolgono un po’ il respiro.
Sonno 1 - zanzare 0.
3 agosto, giorno 8
Eccoci sopravvissuti alla prima gior-
nata di Holiday Camp. Il primo di
una serie di giorni circondati da così
tante novità, da così tanti volti.
Si inizia all’oratorio della Old “Boys
Home”, un capannone destinato all’e-
state ragazzi da quando la nuova Boys
Home è stata costruita nel compound
salesiano, vicino alla nostra casetta.
Sentiamo Dio accompagnarci in ogni
nuova sfida, in ogni incontro, in ogni
difficoltà. Ci buttiamo a insegnare nel-
le tante classi del mattino, ci immer-
giamo nei giochi del pomeriggio, coc-
coliamo i più piccoli fino a quando si
addormentano, inventiamo laboratori,
cantiamo e balliamo jingle (ritornelli)
in Twi, partecipiamo alla riunione de-
gli animatori. Moltiplichiamo pani e
pesci… ehm volevo dire “scoubidou”,
per permettere a tutti di tentare il la-
voretto più amato dell’estate 2017. Tro-
viamo il coraggio di buttarci in questo
mondo nuovo perché ci sentiamo presi
per mano. A noi spetta fidarci.
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3.8 Page 28

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L’INVITATO
«Siamo andati per imparare a vedere il nostro
mondo con gli occhi di un altro mondo».
10 agosto, giorno 15
Adentia è uno dei quartieri situati
alla periferia di Sunyani. Ci si arriva
dopo 10 minuti buoni di viaggio in
pick-up. Qui la povertà si mette in
mostra prepotentemente: le baracche
ancor più baracche, il pozzo così duro
che servono quattro braccia per far
uscire un piccolo rigagnolo d’acqua,
un campo da calcio ricavato in un’area
piena di rifiuti. Frequentare Adentia
significa sentirsi impotenti di fronte
alla realtà che ti circonda, alle circo-
stanze che ti trovi a vivere e che non
puoi cambiare. Ti insegna a “stare”
nelle difficoltà, una delle fatiche più
grandi che stiamo vivendo da quando
siamo arrivati qui. Ad esempio accet-
tare che un piccolino di 3 anni con
la febbre alta non può essere portato
in ospedale, perché ad occuparsi di
lui è la sorellina di neanche 10 anni
mentre i genitori sono lontani da casa
a lavorare nelle piantagioni di cacao
guadagnando quasi nulla. Non abbia-
mo potuto fare niente per lui.
13 agosto, giorno 18
Prima di partire mi spaventava parti-
colarmente l’idea di non saper fare, di
non essere all’altezza, poi però quan-
do finalmente ho smesso di pensar-
ci, tutto è arrivato da sé, con gioia e
semplicità, spontaneità. Con i bimbi
mi diverto moltissimo, fanno fiorire
il cuore. Poi ci sono uomini e don-
ne per strada che sulla testa portano
qualunque cosa percorrendo chilo-
metri. Loro ti insegnano ad accettare
il peso della vita. Gli anziani, quel-
li seduti in un angolo, hanno occhi
profondissimi che hanno visto tanto,
forse troppo. Poi c’è la terra: rossa,
calda, avvolgente, che dà colore e ca-
lore anche alle case. Gli alberi sono
altissimi, la vegetazione selvaggia, le
piantagioni, tutto è di un verde così
carico che sembra colmo d’acqua. Le
strade lunghe, dritte, un saliscendi
meraviglioso che, con le buche e i vari
ostacoli, scandisce il senso del tempo
e rallentando ti dà anche l’occasione
per osservare ciò che c’è intorno, la
quotidianità.
17 agosto, giorno 22
Oggi ho scritto una poesia.
Per salutare tutti i bambini e gli ani-
matori che abbiamo incontrato nei
tre oratori in cui abbiamo passato le
giornate questo mese, abbiamo de-
ciso di fare un giro alla Old “Boys
Home”: questi posti e le persone con
cui abbiamo potuto vivere l’esperien-
za dell’animazione ci sono rimasti nel
cuore, qui ci siamo sentiti accolti e
voluti ed è qui che vogliamo restitui-
re la nostra gratitudine con un saluto
speciale.
Abbiamo portato con noi dei pallon-
cini da regalare ai bambini, ne aveva-
mo tanti e tutti colorati. Ovviamen-
te appena ne ho tirato uno fuori dal
pacchetto e ho iniziato a gonfiarlo
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Marzo 2019

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sono stata assalita dalle manine desi-
derose dei bambini: tutti ne volevano
uno tutto per loro, non potevano at-
tendere un solo attimo privi di que-
sto nuovo gioco, mi chiedevano di
dargliene uno e si spintonavano per
riceverlo per primi. Mi sono dovuta
fermare, non sono riuscita a gonfiar-
ne neanche uno a causa di quella im-
mensa voglia che li spingeva a lottare
per averli.
In quel momento ho capito che non
sarebbero mai bastati quei palloncini,
sono uscita dal salone e ho iniziato ad
osservare intorno a me quell’infinito
bisogno di amore che ognuno di loro
esprimeva.
Ci vorrebbero infiniti palloncini per
donare speranza a ciascuno di loro.
Ci vorrebbero infinite mani per strin-
gere tutte le loro.
Ci vorrebbero infiniti sorrisi per do-
nare felicità ai loro sguardi.
Ci vorrebbero infiniti passi per rag-
giungere tutte le loro case.
Ci vorrebbero infiniti abbracci per
consolare tutte le loro lacrime.
Ma basta un solo cuore per amarli
tutti infinitamente.
26 agosto, giorno 31
“Ma che cosa siete andati a fare per
un mese in Ghana?”
È quello che mi ha chiesto l’hostess
appena atterrati a Milano.
Siamo andati a vedere un mondo di-
verso dal nostro. Un mondo fatto di
paesaggi, di natura, di città, di villag-
gi che finché non vedi non riesci ad
immaginare. Un mondo vissuto tutto
sulla strada: rossa, polverosa e pie-
na di buche; abitata da bambini che
corrono e giocano con poco e niente,
da caprette e galline che attraversano
senza chiedere il permesso.
Siamo andati ad imparare il senso dell’ac-
coglienza e della condivisione. Non si rie-
scono a contare le volte in cui qualche
bambino ci è venuto incontro offren-
doci un biscotto, un po’ di riso o una
nocciolina (magari già anche man-
giucchiata), pur sapendo che quello
era per lui buona parte del pasto della
giornata.
Siamo andati a guardare il nostro mondo
con gli occhi di un altro mondo. “Perché
un giovane europeo ha la possibilità di
vivere un mese o un anno di volonta-
riato in Ghana o all’estero, mentre non
è così per un giovane ghanese?” – mi
ha chiesto un giorno un animatore.
Sebbene non avessi parole, in qualche
modo me la sono cavata e qualcosa gli
ho detto… Ma so che la vera risposta
tanto non c’è. E resta vero ciò che ci
diceva quella sera Big Jo, missionario
francescano da più di 40 anni in Afri-
ca: “Vi siete mai chiesti perché voi siete
nati in Italia e loro qui?”.
Siamo andati a leggere la storia dalla
parte di chi non ha fatto storia. Ancora
mi vengono i brividi pensando alla vi-
sita al Forte di Elmina di Cape Coast.
Un mese in missione non ti cambia
la vita, ma cambia il modo in cui tu
guardi la tua vita: è ciò che siamo an-
dati a fare, o meglio a vivere in questo
mese in Ghana, “corso di esercizi spi-
rituali predicati dai poveri”.
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3.10 Page 30

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CREATIVITÀ SALESIANA
WALLY PERISSINOTTO
Giostre gemelle Comeunsegno
di attenzione delle
mamme sandonatesi
gioia per una straordinaria
esportazione di
verso i loro bambini
diventa un forte richiamo
per i bambini dell’altra
parte del mondo.
È sorprendente notare come una
semplice giostra possa accen-
dere il desiderio ed i sogni di
tanti bambini, ammaliando
gli adulti con emozioni nuove
o solo dimenticate. Su questo
scenario, fatto di risate, di gioia con-
divisa, di ricerca a volte inconsapevo-
le di un percorso più impegnativo e
profondo, si innestano due storie che
sembrano percorrere binari paralleli.
Solo la collocazione temporale, il pro-
filo del paesaggio, i tratti somatici dei
protagonisti ne segnalano le inevita-
bili differenze.
Partiamo dalla più lontana.
A San Donà
la prima giostra
L’oratorio Don Bosco di San Donà
di Piave, sul finire degli anni Tren-
ta, ha aperto da qualche anno i
battenti. Il suo cortile sguarnito e
polveroso è preso d’assalto da tanti
ragazzi che sfogano la loro voglia di
gioco tirando quattro calci al pal-
lone (ma per lo più ad una palla di
pezza) e si lanciano in voli sperico-
lati sull’altalena, una struttura sem-
plice e traballante alla portata delle
tasche vuote dei primi salesiani. “Ma
i piccoli non hanno veri divertimenti,
per cui sono spesso tentati di rimanere
per le strade”.
È una preoccupazione che spinge l’al-
lora direttore, don Luigi Benvenuti,
ad ordinare “alle Scuole Professionali
Salesiane di Torino una piccola giostra
in ferro, di forma ottagonale, solidissi-
ma, che sostiene un sedile girevole in le-
gno, sul quale possono prender posto sen-
za pericolo di sorta più di 50 ragazzi per
volta”. In mancanza di soldi ci si affi-
da alla Provvidenza per recuperare le
3300 lire necessarie. Il giorno dell’i-
naugurazione, la giostrina, benedetta
dalla presenza invisibile dell’Ausilia-
trice, diventa la vera attrazione del
cortile: una nuvola di bambini vestiti
di stracci abbandona gli zoccoli lun-
go il perimetro del campo e comin-
cia a farla girare, quasi all’infinito.
Non pochi si avventurano fin sopra la
struttura metallica con un entusiasmo
incontenibile.
Da allora, “un solo giro di giostra sem-
bra separare le esperienze appassionate
di tante generazioni” che in quel cor-
tile si sono incontrate riconoscendosi
parte di una stessa comunità.
30
Marzo 2019

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Una semplice giostra “da oratorio” diventa un
segno di amicizia e di semplice gioia condivisa
a migliaia di chilometri di distanza.
Desiderio
di esportare la gioia
Forse è proprio questa consapevolezza
a spingere un gruppo di mamme a fi-
nanziare con un mercatino un proget-
to concreto a favore delle missioni: una
bellissima giostra gemella da donare ai
bimbi del Madagascar! L’associazione
oratoriana “Dim.mi.
” si rende
disponibile a realizzare progettazione,
costruzione, spedizione e montaggio
in loco della giostra, assorbendo le
spese residue. Al momento di iniziare
i lavori si pone però il problema di de-
cidere a quale oratorio destinarla. Per
non deludere nessuno, si opta per la
soluzione più complessa ma senz’altro
più generosa: donarne una per ciascu-
no degli otto oratori del Madagascar.
È a questo punto che la storia sembra
riprendere i contorni sfumati di un
tempo.
Avviata la progettazione (siamo nel
2015), ecco che sono le Scuole Pro-
fessionali Salesiane, ancora una volta,
a realizzare parte della struttura nei
laboratori di meccanica e saldatura
dove operano i volontari con il con-
tributo prezioso di alcuni alunni del
Don Bosco. Nella primavera del
2017 tutto il materiale viene spedi-
to con container, permettendo a tre
soci volontari del Dim.mi. di avviare,
a distanza di qualche mese, il mon-
taggio delle giostre nelle missioni del
centro-nord dell’isola cioè Ivato, Ijely,
Mahajanga e Bemaneviky.
Don Enrico Gaetan, in rappresentan-
za dell’oratorio sandonatese, le inau-
gura e le benedice affinché l’Ausilia-
trice vegli su quei piccoli, donando
loro occasioni di amicizia e di incon-
tri significativi.
Saranno poi Francesco, Antonio, Al-
berto e Ivano a novembre di quest’an-
no a completare il lavoro nelle missio-
ni a nord est dell’isola: Fianarantsoa,
Tolear, Ankililoaka e Tamatave.
Otto giostre funzionanti
Caliamoci in questa realtà: l’avvio dei
lavori innesca la curiosità della gente.
Per i tanti bambini il cui unico gio-
co è una palla di stracci legata con lo
spago, è sorpresa e gioia condivisa.
Richiamati dal passaparola, eccoli ar-
rivare a piedi nudi e, a forza di spinto-
ni, farsi largo tra la folla per raggiun-
gere la giostra e provare l’ebbrezza di
un primo, fantastico giro. Una delle
otto giostre si inginocchia subito sot-
to il peso eccessivo dei piccoli ospiti e
deve essere prontamente riparata.
A Bemaneviky si inventa un espe-
diente per dare un po’ di ordine al for-
micaio vivente che circonda la giostra
ed evitare di sollecitarne la struttura:
ogni bambino riceve una rondella di
ferro (in tutto 50) che viene ritirata
prima di salire.
Volontari e salesiani sentono cresce-
re in cuore la soddisfazione per aver
centrato l’obiettivo: la giostra, impor-
tante segno di attenzione delle mam-
me sandonatesi verso i bambini, è un
forte richiamo e consente a molti un
primo contatto con la missione.
Strada, scuola e acqua:
elementi chiave
dell’isola rossa
Povertà e mancanza di stimoli cul-
turali e spirituali sono ingredienti
comuni della narrazione iniziale del-
le nostre due storie. Ma nel secondo
scenario vi sono degli elementi distin-
tivi di cui don Enrico coglie il valore.
Nelle strade del Madagascar, for-
temente dissestate, si condensano e
convivono una forte collettività (un
popolo anche metaforicamente in
cammino) e una serie di percorsi sin-
golari con gli inevitabili imprevisti
(un’auto che si impantana e va tirata
Marzo 2019
31

4.2 Page 32

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CREATIVITÀ SALESIANA
fuori dal fango). Una strada che di-
venta punto di commercio di carbone
e di mattoni realizzati a poca distanza
dal margine, dove fumo e odore anti-
cipano la vista del fuoco.
E, lungo la strada, frotte di bambi-
ni che sfilano con il loro grembiule
acceso a tutte le ore del giorno per
raggiungere la scuola pubblica a volte
molto lontana. Ma ancor più sorpren-
dente è vedere giungere nella scuola
salesiana, che ha ereditato dal nostro
coadiutore Domenico Venier struttu-
re e competenze che i malgasci fatico-
samente portano avanti, tanti ragaz-
zi con un pacchetto di legna sotto il
braccio: è la “retta” del convitto che
serve ad alimentare il forno della cu-
cina che prepara i pasti per tutti.
Soggetto ad un clima variabile, il ter-
ritorio dell’isola aspetta l’acqua per
esplodere in un mare di verde e riap-
propriarsi delle condizioni necessarie
per coltivare po’ di riso. I paesaggi
che si disegnano nel corso delle sta-
gioni sono mutevoli, soggetti a volte
alla forza distruttrice del monsone
che obbliga ogni anno a rifare i tetti
delle povere abitazioni. Ma la gente
malgascia vive stabilmente intorno al
fiume, in felice sinergia con la natura.
Qui ci si lava, si va a lavare i panni,
le bestie, a prendere l’acqua per bere
… a fare i propri bisogni. Questo fa
dell’acqua un importante punto d’in-
contro.
Le giostre come i cavoli
di don Bosco
Oggi lo è anche la giostra. Una gio-
stra che in entrambe le storie è opera
della Provvidenza, un dono da acco-
gliere grati, da custodire con cura e
soprattutto da trasmettere. Ripren-
dendo un aneddoto della vita di don
Bosco, don Massimo Zagato, il di-
rettore della casa paragona l’esporta-
zione delle giostre alla piantumazione
dei cavoli: i cavoli trapiantati diventa-
no più grossi!
Ed è questo l’augurio che accompa-
gna il nostro abbraccio ai tanti bam-
bini che con i loro giri di giostra avvi-
cinano le due storie e le due realtà.
32
Marzo 2019
In alto: la giostra di San Donà e a sinistra:
la giostra in Madagascar.

4.3 Page 33

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neI grande cuore di
VALDOCCO OSPITALITÀ a
VALDOCCO
c’è aria di famiglia
Da tutto il mondo vengono per conoscere don Bosco, la sua storia,
il suo primo oratorio, le chiese da lui costruite, la “culla” dei Salesiani.
TQRUOI VATE
Ospitalità familiare e accurata
per singoli, famiglie, parrocchie,
scuole e gruppi
Camere, aree di ristoro e saloni
per tutte le esigenze
Per una giornata o per più giornate
Sito: http://basilicamariaausiliatrice.it
Marzo 2019
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
RAGIONIAMO
Il picchio deve la sua salvezza al fatto di usare la testa. Vale anche per l’uomo. I goal
della vita si fanno, utilizzando il cervello. Ragioniamo! È pericoloso lasciar vincere i folli!
3
La maggioranza
ha sempre ragione?
Se la maggioranza avesse sem-
pre ragione, Cristo, condan-
nato dalla folla, sarebbe un
malfattore; così pure Socrate,
il grande filosofo greco ac-
cusato ingiustamente di cor-
rompere la gioventù.
Insomma, la verità non è, automati-
camente, in mano alla maggioranza.
L’acqua non diventa potabile perché
un’eventuale maggioranza parlamen-
tare decide di dichiararla tale aumen-
tando il livello accettabile dell’atrazina.
Così il bambino non diventa persona
solo dopo un certo periodo dal con-
cepimento, perché in tal modo si è
espresso il 51% dei partecipanti ad un
referendum.
I ladri non diventano onesti se un’e-
ventuale maggioranza dà un colpo di
spugna al furto!
I valori inviolabili
Ecco, per venire subito al centro del
ragionamento, noi crediamo che esi-
sta l’intoccabile, non soggetto allo spo-
glio dei voti.
Diciamo che questa è un’affermazione per nulla sicura.
Con ciò non vogliamo negare che talora la maggioranza
stia dalla parte della verità, ma affermare che abbia
sempre ragione è una menzogna! Quanti errori sono
stati compiuti dal maggior numero delle mani alzate!
L’uguaglianza, ad esempio, è un
intoccabile.
L’uomo non diventa uguale ad un al-
tro in seguito alla conta del numero
delle mani alzate : ogni uomo è ugua-
le a tutti gli altri indipendentemente
dalla decisione o concessione di qual-
cuno.
La giustizia è un altro intoccabile.
Non è l’uomo che può stabilire ciò
che è giusto, ma deve sottomettersi al
Giusto. Quando gli uomini si arroga-
no il diritto di mettere le mani sulla
giustizia a colpi di maggioranza, fi-
niscono con l’imporre ad altri il loro
punto di vista, ed allora la giustizia
può diventare la più turpe violenza.
La storia ce lo insegna in lungo ed in
largo.
La verità è un terzo intoccabile.
La Terra non ruota attorno al Sole
perché ormai tutti lo pensano, ma
ruota perché questa è la verità; verità
che tale resterebbe anche se tutti pen-
sassero il contrario.
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Marzo 2019

4.5 Page 35

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UNA STORIA ESEMPLARE: LO STRUZZO OLIVER
Gli esempi di intoccabile potrebbero
continuare, ma bastano i tre accennati
per ricordarci della loro esistenza.
Certo siamo i primi a riconoscere che
non sempre è facile cogliere ciò che ha
valore in sé e per sé.
Ciò che abbiamo detto vuol essere, ap-
punto, un invito ad approfondire per
arrivare sempre più vicini alla verità.
Tre esempi
Per noi ciò che abbiamo detto vuole
essere soprattutto un avvertimento a
non fidarsi ciecamente della maggio-
ranza! Subito tre esempi che ci inte-
ressano da vicino.
Se oggi la maggioranza dei genitori
trasforma la festa del compleanno dei
figli in nozze anticipate, noi ci met-
tiamo in minoranza perché, pur dis-
sentendo da tutti, siamo convinti che
non sia quello lo ‘stile’ pedagogica-
mente più accettabile per festeggiare
l’arrivo al mondo del figlio.
Così, se oggi il primo giorno di scuo-
la sta diventando per la maggioran-
za un’occasione per mettere in bella
mostra l’attrezzatura scolastica dello
scolaro, noi usciamo dal ‘gregge’ per-
Uno struzzo austero e autorevole teneva lezione ai giovani struzzi sulla superiorità della loro
specie su tutte le altre. «Siamo gli uccelli più grandi e perciò i migliori».
Tutti i presenti esclamarono: «Certo! Certo!» tranne uno struzzo pensieroso, un certo Oliver.
«Noi non voliamo all’indietro come il colibrì» disse a voce alta. «Il colibrì perde terreno» re-
plicò lo struzzo anziano. «Noi progrediamo, andiamo avanti». «Certo! Certo!» esclamarono
tutti gli altri struzzi, tranne Oliver.
«Facciamo le uova più grandi e perciò le migliori» continuò l’anziano maestro. «Le uova del
pettirosso sono più belle» disse Oliver. «Dalle uova di pettirosso escono solo pettirossi»
replicò l’anziano struzzo. «I pettirossi si dedicano solo ai vermi dei prati e basta!».
«Certo! Certo!» esclamarono tutti gli altri struzzi, tranne Oliver.
«Noi camminiamo su quattro dita mentre all’uomo ne occorrono dieci» rammentò l’anziano
struzzo ai suoi allievi.
«Ma l’uomo può volare stando seduto e noi non voliamo affatto» commentò Oliver.
L’anziano struzzo lo squadrò con occhi severi. «L’uomo vola troppo in fretta per un mondo
che è rotondo. Presto raggiungerà se stesso con un gran cozzo posteriore, e l’uomo non
saprà mai che ciò che l’ha colpito da dietro è stato l’uomo».
«Certo! Certo!» esclamarono tutti gli altri struzzi, tranne Oliver.
«Poi, in momenti di pericolo, possiamo renderci invisibili cacciando la testa nella sabbia»
declamò il maestro. «Nessun altro lo sa fare».
«Come facciamo a sapere che non ci vedono se non vediamo?» chiese Oliver.
«Cavilli!» esclamò l’anziano struzzo, e tutti gli altri struzzi, tranne Oliver, esclamarono:
«Cavilli!» senza sapere che cosa significasse.
Proprio in quel momento, maestro e allievi udirono uno strano rombo minaccioso, come un
tuono che si avvicinava sempre più. Non era un tuono del cielo ma il rombo di un’im-
mensa orda di rozzi elefanti in piena carica che, spaventati da nulla, fuggivano alla
cieca. L’anziano struzzo e tutti gli altri, tranne Oliver, cacciarono immediatamente
la testa nella sabbia. Oliver andò invece a ripararsi dietro una gran roccia poco
distante e lì rimase, finché quella tempesta di animali fu passata. Quando venne
fuori, vide davanti a sé una distesa di sabbia, ossa e piume: tutto quanto resta-
va dell’anziano maestro e dei suoi allievi.
Tanto per essere sicuro, Oliver fece
l’appello, ma non ebbe risposta
fino al proprio nome.
«Oliver» chiamò.
«Presente!» si rispose. E fu
l’unico suono nel deserto.
Non subaffittate il cervello a
nessuno. Non è l’ampiezza
dell’«audience» a fare
intelligente un’idea.
ché siamo convinti che non sia l’arre-
do perfetto a fare lo scolaro perfetto.
Se oggi troppi genitori sono più preoc-
Una foto storica eccezionale : L’immagine mostra
una folla che fa il saluto nazista con in mezzo un
unico uomo a braccia incrociate. La fotografia
venne scattata nel 1936 in occasione del varo di
una nave al porto di Amburgo, alla presenza di
Adolf Hitler. L’uomo che si distingue nella folla
si chiama August Landmesser. August e la sua
famiglia pagheranno molto caro questo gesto.
cupati di dare calorie che calore ai fi-
gli, noi ci comportiamo in modo op-
posto perché sappiamo che le carezze
sono fattori di crescita più di tutte le
Nutelle del mondo.
La radice del nostro modo di compor-
tarci è una sola: la giusta convinzione
che la maggioranza non ha sempre
ragione! Oggi appartenere all’1% può
essere una fortuna!
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
In caduta libera
«Seduto su una vita che non ha neanche più un briciolo di vita intorno /
nemmeno a piangere riesco perché l’anima / si è sciolta dentro me, dentro me.
/ Nel domani non vedi, non speri / e tutto è come ieri».
T occare il fondo è un’esperienza che, pri-
ma o poi, ogni giovane adulto si ritrova
a vivere. Che sia l’esito di un fallimento
professionale o della fine di una relazio-
ne amorosa o, più semplicemente, di un
periodo di disorientamento esistenziale
in cui l’amarezza per delusioni subite e opportu-
nità mancate e l’incertezza del futuro sembrano
Com’è difficile sapere cosa dire
quando tocchi il fondo,
è difficile capire
ed evitare il male dentro te.
Viaggiando in mille posti dentro a polvere
che spazza ciò che urla intorno,
io mi rilasso, mi dimentico, mi spoglio, cancellando un po’ di me.
Com’è difficile sapere cosa dire
quando tocchi il fondo,
gli sbagli fatti servon solo a risbagliare
se non hai che te.
Io perdo e, senza amici, spendo soldi,
spreco gli anni chiuso in questo pozzo,
dov’è impossibile persino immaginare
nella luce cosa c’è.
Nel domani non vedi, non speri
e tutto è come ieri.
E alle parole non credi,
trascini all’alba i tuoi respiri
e niente puoi più amare...
sopraffarci, tutti sperimentiamo, nel difficile
cammino verso l’adultità, momenti di dispera-
zione profonda che faticano a trovare espressione
a parole. Non è facile dar voce a quella sgrade-
vole sensazione di essere imprigionati nel fondo
buio e opprimente di un pozzo, senza alcuna via
di scampo o prospettiva di salvezza; al senso di
inadeguatezza e di impotenza che ci assale quan-
do non riusciamo neppure a comprendere come
abbiamo fatto a scivolare così in basso.
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4.7 Page 37

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All’improvviso, tutto ci sembra privo di signi-
ficato: gli sforzi fatti per costruire un progetto
di vita e avvicinarci, giorno dopo giorno, agli
obiettivi che ci siamo prefissati; le parole di
incoraggiamento di chi ci è accanto in questo
cammino quotidiano; persino gli sbagli che ab-
biamo collezionato nel nostro percorso e che, se
vissuti in modo costruttivo, potrebbero diventa-
re insostituibili maestri di vita. Ci abbandonia-
mo all’irresistibile tentazione di lasciarci andare,
di sprofondare in un oblio sordo ed ineffabile,
di ripiegarci su noi stessi e sul nostro dolore an-
ziché tirarlo fuori e aprirci al mondo. Ci auto-
convinciamo di non aver più nulla di buono da
dare a chi cammina al nostro fianco e finiamo,
così, con lo smarrire il dono più prezioso e vitale
che siamo chiamati a custodire: la dimensione
redentrice della speranza.
Riuscire a rialzarsi da questa condizione di pro-
strazione psicologica che, come una spirale di-
scendente, ci trascina sempre più a fondo non è
un’impresa semplice. È una sfida contro noi stessi
Com’è difficile sapere cosa dire
quando tocchi il fondo,
quando le mani sono solo roditori
e mangeranno te.
Seduto su una vita che non ha neanche più un briciolo di vita intorno,
nemmeno a piangere riesco perché l’anima
si è sciolta dentro me, dentro me.
Nel domani non vedi, non speri
e tutto è come ieri.
E alle parole non credi,
trascini all’alba i tuoi respiri
e resti in piedi, cammini,
cascando in tutti quei misteri.
E alle parole non credi, non credi, non cedi...
e niente puoi più amare, lo so...
(Enrico Nigiotti, Nel mio silenzio, 2015)
e i nostri fantasmi interiori che richiede grande
coraggio e la capacità di abbattere quei muri ine-
spugnabili che abbiamo costruito a difesa del-
le nostre più recondite paure. Ma è proprio nei
momenti di maggiore difficoltà, in cui siamo
schiacciati dal buio più nero e ci sembra di non
avere ormai più nulla da perdere, che la nostalgia
della luce si fa strada più ardente dentro di noi e
ci scuote più forte dal nostro torpore.
È allora che scopriamo di avere risorse impensate
su cui far leva per rimetterci in piedi e chiamiamo
a raccolta tutte le nostre energie per alzare lo
sguardo oltre noi stessi e riprendere il cammino.
È allora che impariamo a conoscerci più in
profondità, a guardare in faccia le nostre paure
e ad amarci di più, accettando anche le nostre
povertà e debolezze. È allora che riconosciamo
con gratitudine la presenza nella nostra vita di
amici sinceri che non hanno paura di scrutare
a fondo nel nostro buio per aiutarci a ritrovarci.
È allora – e solo allora – che, sorretti e guidati
da una consapevolezza nuova, possiamo dire
di aver compiuto un passo decisivo sulla strada
dell’adultità.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
La fine del match
Il Papa lo chiama a Roma, insiste...
e don Bosco non si muove
La vicenda dei sofferti
dissidi fra l’arcivescovo
di Torino monsignor
Gastaldi e don Bosco
(e don Bonetti) è nota;
ultimamente però sono
emersi inediti particolari
sui mesi finali della stessa
vicenda, che meritano di
essere conosciuti.
Fine anno 1881
L’anno 1881 si era chiuso in un cli-
ma piuttosto incandescente. L’arci-
vescovo ad inizio dicembre si era re-
cato a Roma per difendersi davanti
alle autorità pontificie che dovevano
giudicare ed era tornato a Torino
decantando “vittoria completa su D.
Bonetti, D. Bosco e su tutti i sale-
siani”. Don Bosco aveva immediata-
mente reagito con lettere “di fuoco”,
staremmo per dire, al papa, al suo
segretario particolare, al neoprefetto
della Sacra Congregazione giudican-
te cardinal Lorenzo Nina. Respinge-
va tutte le accuse ed elencava nuove
vessazioni da parte dell’arcivescovo
nei suoi confronti ed in quelli di don
Bonetti. Dalla Santa Sede si suggerì
allora un amichevole accomodamen-
to. Don Bosco si dichiarò disponibile
ad accettarlo prima ancora di averlo
visto – ma è da dubitare che l’avrebbe
facilmente accolto una volta avuto in
mano – mentre monsignor Gastaldi il
31 dicembre lo respinse sdegnato. ll
conflitto fra i due aveva raggiunto il
suo apice.
Gennaio 1882
Pure l’anno nuovo si aprì con infauste
prospettive. Il 2 gennaio monsignor
Gastaldi rifiutò l’udienza a don Bosco
venuto a consegnargli di persona una
supplica di don Bonetti suggeritagli
dal cardinale Nina. Non solo, ma tre
giorni dopo citò in giudizio lo stesso
don Bosco per rispondere alle accuse
di essere stato il mandante e fornito-
re di notizie per la pubblicazione di
libelli ostili all’arcivescovo. Ovvie le
proteste di don Bosco. Da Roma al-
lora si delegò l’arcivescovo di Vercelli,
monsignor Fissore, a condurre le in-
dagini e a riferire poi alla Santa Sede,
che si riservava di decidere.
Maggio 1882
Ai primi di maggio la situazione di
don Bonetti, cui era proibito con-
fessare in tutta la diocesi, rimaneva
stabile, mentre l’arcivescovo – scrive-
va don Bosco a Roma – andava con-
ducendo una campagna denigratoria
contro di lui come inventore di mira-
coli e contro la stessa curia pontificia
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Marzo 2019

4.9 Page 39

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che, a suo giudizio, procedeva “alla
romana”, ossia per via di amicizie e
non a norma di diritto.
A metà maggio con l’andata a
Roma del succitato monsignor Fis-
sore e dell’avvocato curiale Colo-
miatti, difensore dell’arcivescovo,
la situazione sembrò sbloccarsi. Il
17 maggio infatti il Procuratore
salesiano don Dalmazzo a nome
del cardinal Nina telegrafò a don
Bosco di recarsi subito a Roma.
Il giorno dopo per posta gli ri-
feriva che egli aveva cercato in
tutti i modi di farlo dispensare
da quel viaggio già da tempo,
ma che il cardinale, pur dispia-
ciuto, aveva insistito.
Don Rua rispose immediatamente
per telegramma: “sanità assai distur-
bata – impedisce a papà (don Bosco)
di mettersi in viaggio – ricevuta let-
tera risponderà”. Ma il giorno dopo,
20 maggio, lo stesso don Bosco co-
municò al suo Procuratore che, nono-
stante avesse problemi a stare seduto e
avesse un piede gonfio, era comunque
pronto a mettersi in viaggio anche su-
bito, se non si poteva fare a meno. Era
però ansioso di sapere quale fosse la
causa di tale premura. Al cardinale lo
stesso giorno don Bosco precisò che
era disponibile a trovarsi a Roma il 26
maggio.
Il 21 maggio don Dalmazzo gli con-
fermò che il cardinale aveva respinto
nuovamente la richiesta di soprasse-
dere al viaggio, perché si trattava di
un preciso ordine papale. Cionono-
stante, essi gli suggerivano che, per
ovviare al faticosissimo viaggio, in-
viasse a Roma un suo rappresentante,
come del resto aveva fatto monsi-
gnor Gastaldi.
Don Bosco accettò, ma a tre precise
condizioni: tener separata la questio-
ne Bonetti dal resto della vertenza
in corso, riconoscere che la sua dura
Esposizione nel dicembre 1881 circa
le vessazioni dell’arcivescovo si era
resa necessaria per parare i colpi delle
accuse gravissime fatte alla Congre-
gazione salesiana, avere per scritto le
eventuali ragioni del canonico Colo-
miatti per negarle. Ed il 30 maggio
comunicò formalmente al papa la sua
impossibilità di recarsi a Roma. A
fare le sue veci con pieni poteri dele-
gava don Dalmazzo. Impetrò altresì
la sua benedizione per la sua salute
“gravemente minacciata”. Analoga
lettera spedì al cardinale Nina.
Giugno-luglio 1882
La vicenda si concluse rapidamente
per interposta persona. Papa Leone
XIII a fine giugno impose una Con-
cordia, che don Bosco ritenne
semplicemente una proposta
della parte avversa, tanto gli
sembrava sbilanciata e poco
equanime. In mezzo alle mille
perplessità del Consiglio Supe-
riore, comunque umilmente la
accettò: chiese formale perdono
all’arcivescovo, che immediata-
mente lo concesse, come da ri-
chiesta papale.
Ebbe così fine un lungo periodo
di controversie che fu motivo di
sofferenza per entrambe le parti
in causa. Si sarebbe potuto evitare?
Chissà? Di certo i motivi del con-
tenzioso si sarebbero potuti ridurre,
i contendenti avrebbero potuto non
esasperare l’alter pars, i sostenitori
dell’uno e dell’altro avrebbero potu-
to favorire l’intesa anziché inasprirla,
se… Ma, come ben sappiamo, la sto-
ria non si fa con i “se”.
A pagina precedente : Un raro ritratto
di monsignor Lorenzo Gastaldi.
Sotto: Ritratto di monsignor Luigi Fransoni
(arcivescovo di Torino dal 1832 al 1862): fu
in buone relazioni con don Bosco, anche quando
fu esiliato a Lione.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di marzo preghiamo per la Causa di Bea-
tificazione del servo di Dio Antonio de Almeida Lustosa,
vescovo salesiano.
Antonio de Almeida Lustosa è nato l’11 febbraio 1886, da famiglia
della borghesia contadina di Sao Joao del Rei (Minas Gerais). A
sedici anni entrò nel collegio salesiano di Cachoreira do Campo.
Fu ordinato sacerdote nel 1912. Nel 1925 fu nominato vescovo di
Uberaba, diocesi del cosiddetto “Triangolo minerario”. Volle essere
consacrato l’11 Febbraio che gli ricordava la presenza della Ma-
donna nella sua vita. Entrò nella sua diocesi, accolto da una po-
polazione doppiamente in festa: per la venuta del nuovo pastore
dopo due anni di sede vacante e per una pioggia diluviante, attesa
dopo mesi di siccità e di arsura. Trovò il seminario minore vuoto e
in quello maggiore c’era solo un diacono. L’anno successivo aveva
intorno a sé una trentina di seminaristi del ginnasio. Nel 1928, dopo
neppure quattro anni, venne trasferito a Corumbà nel Mato Grosso,
sede più grande e con più grandi difficoltà per l’evangelizzazione.
Dopo solo due anni veniva nominato Arcivescovo di Belém do Parà,
immensa diocesi del Norte. Vi rimase dieci anni prodigandosi con
la generosità di sempre. Nel 1941 fu trasferito all’importante sede
di Fortaleza, capitale dello stato di Cearà. Qui diede il meglio di
se stesso in 22 anni di permanenza. Tra le sue fondazioni: il Pre-
seminario “Curato d’Ars”; l’Istituto “Card. Frings”; l’Ospedale “S.
Giuseppe”; il Santuario “Madonna di Fatima”; la Stazione radio
“Assunzione Cearense”; la Casa del Bambin Gesù; varie scuole po-
polari; ambulatori; circoli operai ecc. Espressione della sua valida
azione spirituale e pastorale fu la fondazione della Congregazione
delle “Giuseppine” attualmente presenti in vari stati del Brasile. Fu
uno scrittore prolifico nei settori più svariati: teologia, filosofia, spi-
ritualità, agiografia, letteratura, geologia, botanica. Fu molto dotato
anche in campo artistico: sono sue le vetrate della Cattedrale di
Fortaleza. Nel 1963, dopo 38 anni di attività episcopale, chiese ed
ottenne di essere esonerato dall’onere pastorale. Scelse la Casa sa-
lesiana di Carpina dove trascorse gli ultimi suoi quindici anni di vita
e dove morì il 14 agosto 1974.
Preghiera
Degnati, Signore,
di accogliere il cammino verso gli altari
del nostro fratello vescovo Antonio de Almeida Lustosa.
Egli seppe essere tuo servo fedele,
immolandosi nel servizio pastorale delle anime.
Ci ha lasciato mirabili esempi di virtù cristiane
praticate con zelo apostolico.
Concedici, Signore nostro Padre,
la grazia che per sua intercessione ti chiediamo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ringraziano
Ho ricevuto in prestito da un’amica
l’abitino di san Domenico Sa-
vio nel 2015. Da diversi anni pro-
vavamo con mio marito ad avere
figli con esito negativo, nonostan-
te i medici dicessero che andava
tutto bene. Ad aprile 2016 rimasi
incinta della mia Maira Anna, una
gravidanza difficile con diverse
minacce di aborto. Il 2 settembre
2016 eravamo felici dopo le visite
di controllo, tutto sembrava pro-
seguire bene. Solo dopo due setti-
mane, la notte del 15 settembre, la
corsa in ospedale ed il trasferi-
mento ad Enna (dove è presente
il reparto di neonatologia) per la
nascita della mia bimba. È nata
Maira Anna alla 25ª settimana ed
è rimasta con noi per 32 giorni poi
è tornata dalla Madre Celeste. Le
hanno riscontrato una malforma-
zione al cuore. In quei momenti di
disperazione trovai in un cassetto
l’abitino di san Domenico, iniziai a
leggere la sua storia ed una frase
mi colpì “che bella cosa io vedo
mai”. Quella frase che san Dome-
nico pronunziò prima di morire mi
consolava, pensavo che anche la
mia bimba vedesse quello. A feb-
braio 2017 sono rimasta incinta
della mia Ginevra Domenica, da
quel momento non ho più tolto
l’abitino di san Domenico per tutta
la gravidanza, anche quest’ultima
molto travagliata per i forti dolori.
Sono stata allettata per otto mesi
con le flebo. Il 27 ottobre 2017
è nato il nostro angioletto che
porta ogni giorno gioia nei nostri
cuori. Ringrazio infinitamente san
Domenico Savio per avermi dato
la forza di non perdermi dopo la
morte della mia Maira Anna e per
aver portato Ginevra Domenica ad
allietare la nostra vita.
Rita Corradino, Sicilia
Domenica 15 luglio 2018 siamo
venuti con i nostri bambini del
campo estivo a pregare davanti
alle Reliquie di san Giovanni
Bosco e di san Domenico Sa-
vio. Ritornando abbiamo avuto un
bruttissimo incidente in autostra-
da: il pulmino è completamente
distrutto ma né io né i 7 bambini
abbiamo riportato ferite. Tutti ab-
biamo immediatamente ringrazia-
to don Bosco per averci protetto.
La settimana prossima faremo
una processione di ringrazia-
mento qui alla nostra casa di
Acceglio dedicata proprio a don
Bosco e a san Domenico Savio.
Don Mirko Perucchini - Acceglio
(Cuneo)
Nell’autunno del 2015 ho richie-
sto l’abitino di san Domenico
Savio, perché proteggesse mia
figlia in condizioni di salute cri-
tiche durante il periodo della sua
maternità. Giunta faticosamente
all’ottavo mese di gravidanza, ha
dovuto essere ricoverata d’ur-
genza; i medici hanno deciso
d’indurre il parto. Il suo bambino
Mattia è nato sottopeso, ma sano
e vispo, nonostante un nodo cen-
trale al cordone ombelicale. I miei
due nipotini, oggi di 8 e 4 anni,
fratellini di Mattia (che ha 2 anni
e mezzo), ricorrono con felicità
e fede a san Domenico Savio “Il
Bambino”, come loro lo chiama-
no, e ne conservano l’abitino nella
loro cameretta, o nel letto dell’u-
no o dell’altro. La vita e le opere
dei Santi, che accompagnano le
mie giornate, mi insegnano che
la fede infonde serenità e fiducia
nel Signore che sempre prego e
ringrazio. Mi auguro che tante
altre persone ritrovino fiducia, at-
traverso l’intercessione dei nostri
Santi, sempre pronti ad aiutarci.
De Luca Roberto, Pinerolo (TO)
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
40
Marzo 2019

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON FRANCESCO CEREDA
DON ARNALDO SCAGLIONI
Morto a Torino, il 17 dicembre 2018, a 79 anni
Era nato a Sabbioneta, dove c’è la
bellissima reggia dei Gonzaga, in
provincia di Mantova e diocesi di
Cremona nel 1939. Era cresciuto
in una bella famiglia insieme ai
genitori e ai fratelli. Venuto a con-
tatto con la vocazione salesiana,
nel 1955, a sedici anni entrò nel
noviziato di Montodine; dopo il
postnoviziato a Nave e il tiroci-
nio a Treviglio, la teologia a To-
rino Crocetta e poi all’Università
Pontificia Salesiana, fu ordinato
presbitero nel 1966. Conseguì la
licenza in teologia e la laurea in
lettere e così poté dedicarsi nei
primi anni di sacerdozio all’in-
segnamento e all’educazione dei
giovani.
Nel 1966 sarà direttore per sei
anni a Fiesco, per altri sei anni
a Parma, quindi per sei anni
Ispettore dell’Ispettoria Lombar-
do Emiliana e per dodici anni
Ispettore dell’Ispettoria Adriatica.
Terminato il servizio di Ispettore,
sarà ancora direttore a Roma San
Tarcisio, a Forlì e a Loreto. Il ser-
vizio di autorità, svolto con gene-
rosa dedizione, nelle comunità
locali per 17 anni e nelle comuni-
tà ispettoriali per 18 anni segnerà
tutta la sua vita. Gli ultimi suoi
anni, dal 2014 sarà cappellano
delle Figlie di Maria Ausiliatrice
nella casa di Roppolo in provincia
e diocesi di Biella.
La morte talvolta giunge quando
siamo in forze e in piena attività;
altre volte arriva nella vecchiaia
dopo una vita carica di giorni e
opere; oppure si presenta nella
giovinezza all’inizio dei sogni di
futuro. In ogni caso, particolar-
mente quando una persona cara
viene a mancare, è spontaneo
interrogarci sul senso della vita.
Don Arnaldo era ed è una perso-
na cara, per i suoi familiari, per i
numerosi giovani che hanno be-
neficiato della sua azione educa-
tiva e pastorale, per noi salesiani,
per le Figlie di Maria Ausiliatrice,
per la Famiglia salesiana.
Don Arnaldo ha servito la Con-
gregazione e i giovani, non con
mentalità da padrone ma di ser-
vo, con umiltà e semplicità, con
la consapevolezza che i doni che
Dio ci dà sono da amministrare
con generosità e responsabilità.
L’intraprendenza e l’iniziativa di
don Arnaldo erano a servizio dei
giovani e delle opere della Con-
gregazione con una vita povera,
essenziale e sobria. Come don
Bosco, egli “visse la povertà
come distacco del cuore e gene-
roso servizio ai fratelli, con stile
austero, industrioso e ricco di
iniziative” (Cost. 73).
Don Arnaldo ci offre alcuni tratti
del suo profilo che sono testi-
monianza per noi di autentica
vita salesiana. Sua caratteristica
fondamentale era la semplicità
nelle relazioni e nello stile di vita,
per cui era facile avvicinarsi a lui
e sentirlo vicino. Aveva un’atten-
zione particolare per la persona,
per ogni persona, al punto che
talvolta sembrava distratto da ciò
che avveniva attorno a lui; non
era preoccupato tanto dell’or-
ganizzazione; amava piuttosto
mantenere i contatti, interessarsi
di ciascuno, avere cura soprattut-
to di chi aveva bisogno; si intrat-
teneva volentieri nel raccontare e
nel conversare. Una fede lumi-
nosa e una profonda vita spiri-
tuale si esprimevano in lui nella
capacità di leggere con fiducia e
serenità le situazioni della vita in
cui si imbatteva. Nella predica-
zione, nelle omelie e negli scritti
era immediato e sapeva toccare
le corde degli affetti; nutriva la
mente e scaldava il cuore; era
bello sentirlo parlare, conversare
con lui e leggerlo nei suoi scritti.
Gli sono succeduto come diret-
tore a Parma e come ispettore a
Milano; ho potuto quindi consta-
tare direttamente i frutti del suo
lavoro. La sua azione di anima-
zione e governo delle comunità
e delle ispettorie era incentrata
soprattutto sulla crescita della
vita spirituale dei confratelli e
dei giovani. Era inoltre impor-
tante per lui favorire la fraternità
e lo spirito di famiglia anche nel-
le comunità educative pastorali
e con la Famiglia salesiana. La
sua azione educativa aveva una
chiara impronta e finalità evan-
gelizzatrice, per aiutare tutti, spe-
cialmente i giovani, a far posto a
Dio nella loro vita e a incontrare il
Signore Gesù; per questo curava
la catechesi. Ha avuto un’atten-
zione speciale per i giovani in
ricerca vocazionale e per le vo-
cazioni alla vita consacrata. Era
consapevole poi che lo spirito
missionario, i gruppi missionari,
l’invio di missionari, i suoi viaggi
missionari, l’attenzione ai più po-
veri, l’aiuto alle missioni, special-
mente di Etiopia, davano vitalità
ed esprimevano la freschezza del
carisma di don Bosco. Guardan-
do a don Arnaldo, per quanto mi è
stato possibile, anch’io ho cerca-
to di seguire queste strade.
Don Arnaldo ha vissuto la sua
vita in intimità con Dio e per Dio;
ha amato e seguito il Signore
Gesù sui passi di don Bosco,
spendendo le sue energie e le sue
capacità per i giovani fino all’ul-
timo respiro; si è reso disponibi-
le nello Spirito a ogni necessità
della Congregazione; ora vive
per sempre vedendo Dio faccia
a faccia e godendo la beatitudine
eterna. Alla sera della vita ciò che
conta è avere amato. Anche noi,
come ci ricorda don Bosco, “al
termine della vita raccoglieremo
ciò che avremo seminato”.
Marzo 2019
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
OLTRE CHE SOGNATORE ANCHE MAGO!
Il giovane don Bosco, Giovannino, come veniva chiamato, era sem-
pre pieno di entusiasmo e contagiava chiunque con la sua allegria.
Era un piacere stare con lui, veniva sempre accolto bene e la gente,
giovani e adulti, si concedeva di buon grado alla sua compagnia.
La sua Società dell’Allegria era conosciuta tra gli abitanti di Chieri
e molti si lasciavano incantare dai giochi di abilità e dalle trovate di
quei ragazzi, ma Giovannino era al centro dell’attenzione, natural-
mente. Catturava subito l’interesse generale con le sue parole, agiva di destrezza e lasciava gli astanti
pieni di stupore quando presentava qualche gioco dei suoi. Fingere di uccidere un passerotto, pestarlo
nel mortaio, metterlo in una canna di pistola, sparare e vederlo volar via vivo e vegeto, era uno dei
prestigi che riscuoteva più successo. Ancora, dalla stessa bottiglia faceva uscire vino bianco o rosso,
a richiesta. Ma il suo forte erano i giochi di sveltezza di mano: tirar fuori dal bussolotto palle via via più
grosse, o uova – tante uova – da una piccola sacca. Riusciva anche a indovinare quanto danaro avesse
indosso il prescelto di turno. Tutte queste abilità passarono, soprattutto tra le menti più semplici e inge-
nue, come opere di magia nelle quali addirittura il diavolo potesse averci messo del suo. Per queste voci,
giunte all’orecchio del buon canonico Burzio, persona molto
istruita, Giovannino fu nientemeno che XXX! Per discolparsi
dovette eseguire ancora giochi di prestigio, far sparire borsel-
lino e orologio, alla presenza del sacerdote che restò di sasso
e adombrò l’uso di scienze occulte dalle quali era già pronto a
salvare il ragazzo. Ma il ragazzo, trattenendo il riso, ne spiegò
il trucco (di mano lesta e di osservazione) con il suo modo
franco. Don Burzio si acquietò e apprezzò le qualità del gio-
vane e gli disse: “Va a dire ai tuoi amici che ignorantia est ma-
gistra admirationis, l’ignoranza è maestra della meraviglia!”.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. In maniera
inimmaginabile - 14. Termina con bot-
ti e fuochi d’artificio - 15. Il padre di
Ulisse - 16. La “e…” posta che viaggia
in Internet - 19. La casa dei contadini
russi - 21. Insieme agli epòdi erano
usati nella metrica classica - 23. Viale
senza vie - 24. Una federazione di stati
americani - 27. La cassetta dell’apicol-
tore - 29. Galleggianti per ormeggi o
segnalazione - 30. XXX - 35. Sof-
fre di inappetenza in modo patologico
- 36. L’Istituto di Ricostruzione Indu-
striale sciolto nel 2000 (sigla) - 38. Il
De … interprete di Taxi Driver - 39.
Le vocali di tutti! - 41. Una varietà di
quarzo - 44. La superficie ghiacciata
dei mari polari, pack - 48. Latte a Parigi
- 49. In alcune ideologie è la solidarie-
tà e l’organizzazione del proletariato di
tutte le nazioni.
VERTICALI. 1. Era “la dolce” in un
film di Billy Wilder - 2. Vi si associano
gli scalatori - 3. Bagnarsi in centro -
4. Cuneo (sigla) - 5. La fondò Enrico
Mattei - 6. Appoggiati delicatamente
- 7. Così è un rimedio con effetti mo-
derati, tenui - 8. Fine della storia - 9.
Vincoli affettivi - 10. Smorfia senza
dispari - 11. Non si chiede alle signo-
re - 12. Grosse nubi - 13. Il Grande
Lago che bagna Cleveland - 17. Cani
di taglia gigante - 18. Il vantaggio
economico, specialmente dello spe-
culatore - 20. Cavalli da corsa che
danno solo delusioni - 22. Il serpente
constrictor - 25. Né mie, né tue - 26.
Città egiziana con un’enorme diga -
28. Sono uguali nei cibi - 31. Jean-
Baptiste Camille, tra i maggiori pae-
saggisti dell’Ottocento - 32. Si dice
che Cleopatra facesse il bagno nel suo
latte - 33. Altare pagano - 34. Fiori
simbolo di purezza - 35. Suffisso che
esprime opposizione - 37. Lo è un
cateto - 40. Tesina senza pari - 42.
Azienda Autonoma di Soggiorno - 43.
Un gestore di telefonia mobile - 44.
Una sigla del terrorismo italiano - 45.
Il comico Zalone (iniz.) - 46. La prima
persona singolare - 47. Coppia d’assi.
42
Marzo 2019

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Una famiglia
Disegno di Fabrizio Zubani
Nel cuore di una vallata di
campi, prati e boschi, in
una casetta a due piani, vi-
veva una famigliola felice.
Erano tre, per il momento:
una mamma, un papà e un
bambino biondo di sei anni.
Al centro della valle scorreva un
torrente allegro e tortuoso. La ca-
setta sorgeva un po’ isolata dal paese
e così, la domenica, la famigliola si
stipava in un’auto piccolina e andava
a Messa nella chiesa parrocchiale. E
poi mangiavano il gelato o la ciocco-
lata calda, secondo la stagione.
La sera, nella casetta c’era sempre un
po’ di trambusto, perché il bambi-
no, prima di andare a letto, trovava
sempre qualche scusa, come contare
le stelle o le lucciole o i quadretti della
tovaglia.
Prima di addormentarsi tutti insieme
pregavano. Un angelo del Signore,
tutte le sere, raccoglieva le preghiere
e le portava in cielo.
Un autunno, piovve per molti giorni.
Il torrente si gonfiò di acqua scura. A
monte, i tronchi e il fango formarono
una diga che formò un lago limac-
cioso. Al tramonto, sotto la pressione
dell’acqua, la diga crollò. La valle co-
minciò ad essere sommersa dall’acqua.
Il papà svegliò la mamma e il bam-
bino. Si strinsero spaventati, perché
l’acqua aveva invaso il piano terreno
della casetta. E continuava a salire.
Sempre più scura, sempre più veloce.
«Saliamo sul tetto!» disse il
papà. Prese il bambino, che si
avvinghiava silenzioso al suo
collo, con gli occhi colmi di
terrore e salì in soffitta e di là
sul tetto. La mamma li seguì.
Sul tetto si sentirono come
naufraghi su un’isoletta che
diventava sempre più piccola.
L’acqua continuava a salire e
arrivò implacabile alle ginoc-
chia del papà.
Il papà, si sistemò ben
saldo sul tetto, abbracciò la
mamma e le disse: «Prendi
il bambino in braccio e sali
sulle mie spalle!»
Mamma e bambino salirono sulle
spalle del papà che continuò: «Mettiti
in piedi sulle mie spalle e alza il bam-
bino sulle tue. Non aver paura. Qua-
lunque cosa capiti io non ti lascerò!».
La mamma baciò il bambino e disse:
«Sali sulle mie spalle e non avere
paura. Qualunque cosa capiti io non
ti lascerò!».
L’acqua continuava ad alzarsi. Som-
merse il papà e le sue braccia tese a
tenere la mamma, poi inghiottì la
mamma e le sue braccia tese a tenere
il bambino. Ma il papà non mollò la
presa e neanche la mamma. L’acqua
continuò a salire. Arrivò alla bocca
del bambino, agli occhi, alla fronte.
L’angelo del Signore che era venuto a
prendere le preghiere della sera, vide
solo un ciuffetto biondo spuntare
dall’acqua torbida.
Con mossa leggera afferrò il ciuffo
biondo e tirò. Attaccato ai capelli
biondi venne su il bambino e attaccato
al bambino venne su la mamma e at-
taccato alla mamma venne su il papà.
Nessuno aveva mollato la presa.
L’angelo spiccò il volo e posò con
dolcezza l’originale catena sulla
collina più alta, dove l’acqua non sa-
rebbe mai arrivata. Papà, mamma e
bambino ruzzolarono sull’erba, poi si
abbracciarono piangendo e ridendo.
Invece delle preghiere, quella sera,
l’angelo portò in cielo il loro amore.
E tutte le schiere celesti scoppiarono
in un fragoroso applauso.
Cominciamo dai piccoli
e salveremo il mondo.
Marzo 2019
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Il Don Bosco
di Mattersburg
Il “Caffè Savio”
Come don Bosco
Ciò che è legale
è sempre morale?
Della serie
“Ragioniamo”
La nostra Basilica
Il dipinto
della cupola grande
Il trionfo
di Maria Ausiliatrice
Salesiani nel mondo
Esagerata Nigeria
Nel paese più popolato
d’Africa
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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