Bollettino_Salesiano_201902

Bollettino_Salesiano_201902

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IL
FEBBRAIO
2019
Salesiani
nel mondo
Ucraina
L’invitato
Villa
Lampe
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
A tu per tu
Papà
Ricky
FMA
Bolivia
Le case di
don Bosco
Zurigo

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Il mistero del
libro scomparso
La storia
In mezzo a tale fermento compariva un volume di 150
pagine dal titolo: L’Enologo Italiano, opera di don Bosco,
del quale non ci venne fatto di trovare copia nonostante
lunghe ricerche. Non era entra-
to in politica, ma faceva proprie
con questo libro le idee e le
aspirazioni del popolo (Memo-
rie Biografiche II, 473-474).
Sono un vecchio
libro. Le mie pa-
gine consumate si
trovano sul fondo
di un baule di
legno nel seminter-
rato di un antiquario. Molti
conoscono la mia esistenza.
Nessuno sa dove sono.
Ricordo vagamente la luce
che ho contemplato durante
i miei primi anni. Mi sento
un sepolto vivo.
Ma ricordo molto bene la
felicità del mio giovane
autore, il cui nome cam-
peggia sulla mia copertina:
Giovanni Bosco.
Il titolo è un po’ pomposo: L’enologo italiano, ma
nel 1844, quando l’autore scrisse le prime righe,
era un giovane seminarista di 29 anni. Consultò
le mie colleghe enciclopedie, ricordò i suoi anni
da contadino, parlò con gli abitanti del villaggio
e soprattutto ci mise tutto l’amore per la sua
terra e per questa pianta così bella, pittoresca
e biblica: la vite.
Amava le viti. Le sognava anche. Una volta don
Bosco raccontò: «La notte del giovedì santo,
9 aprile 1868, appena assopito, cominciai a
sognare. Mi trovavo nel cortile dell’Oratorio
intento a discorrere con alcuni superiori. A un
tratto vediamo spuntare da terra una vite bellis-
sima. Subito spuntarono anche bei grappoli; gli
acini ingrossarono e l’uva prese un magnifico
colore. Io osservavo con
gli occhi spalancati, muto
dallo stupore, quando a
un tratto tutti gli acini
caddero per terra e diven-
tarono altrettanti giovani
vispi e allegri: saltavano, giocavano, gridavano,
correvano che era un piacere a vederli».
Sono nato con un obiettivo chiaro: istruire
i contadini, che lo stato trattava male, sulla
coltivazione della vite e la produzione del vino.
Giovanni Bosco conosceva la durezza della vita
che gli uomini e le donne della campagna devo-
no sopportare. Voleva aiutarli a sviluppare vini
eccellenti in grado di competere nei mercati.
Fui distribuito a contadini, parroci, medici e sin-
daci delle città piemontesi, fui più volte ristam-
pato in migliaia di copie. Ma niente dura a lungo
quaggiù. Ora sono un libro perduto.
La prima sede di don Bosco fu uno stanzino
attiguo alla sagrestia di San Francesco d’Assisi,
nel cui mezzo sorgeva una vite che, uscendo
da un foro della volta, ramificava e fruttificava
sopra il tetto. Attorno a questa vite, don Bosco
raccolse e catechizzò il primo drappello dei suoi
piccoli amici.»
Nel cortile dell’Oratorio, le finestre delle ca-
merette di don Bosco sono ancora incorniciate
da una splendida vite. L’aveva sempre voluta e
i suoi figli l’avevano sempre salvata anche per
mantenere una sua bella consuetudine. Poiché
in autunno egli ne vendemmiava l’uva matura,
di cui faceva omaggio a benefattori e regalava
ai giovani della quarta e quinta ginnasiale.
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Febbraio 2019

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IL
FEBBRAIO 2019
ANNO CXLIII
Numero 02
IL
FEBBRAIO
2019
Salesiani
nel mondo
Ucraina
L’invitato
Villa
Lampe
Mensile di
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
A tu per tu
Congregazione
Papà
Ricky
Salesiana di San
FMA Giovanni Bosco
Bolivia
Le case di
don Bosco
Zurigo
In copertina: Il carnevale manifesta per
qualche giorno l’illusione del regno effimero
dei bambini (foto Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Ucraina
12 A TU PER TU
Papà Ricky
16 FMA
Bolivia
18 LE CASE DI DON BOSCO
Zurigo
21 AVVIENE A MARIA AUSILIATRICE
Valdocco raccontato
ai bambini
25 OSPITALITÀ A VALDOCCO
26 L’INVITATO
Villa Lampe
30 LA NOSTRA STORIA
Il segreto del cacico Major
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
12
18
26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, José J. Gomez
Palacios, Claudia Gualtieri,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Pino Pellegrino, Linda Perino,
Giampietro Pettenon, O. Pori Mecoi,
Cosimo Semeraro, Nicole Stroth,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Per 125 dollari in più
I soldi più splendidi e preziosi
che ho mai visto
Chiedo ai salesiani sdb e a tutta la famiglia
salesiana del mondo di annunciare il bene
che si fa ovunque, che facciamo non solo noi
ma tante persone, gruppi e istituzioni.
Dobbiamo rendere visibile il bene,
perché il male e l’egoismo si fanno
pubblicità da soli e con mezzi potenti.
Miei cari lettori del Bollettino Salesia-
no, vi incontro su queste pagine con
la solita gioia e questa volta anche
con un’emozione speciale.
Nei giorni di Natale il Consigliere per
le Missioni era andato a trascorrere le
feste in Uganda, in due presenze salesiane molto
significative. Nella prima di esse è stato accolto
un buon gruppo di bambini salvati dalla strada
e che vivono nella casa salesiana. Il secondo è il
campo profughi di Palabek (Uganda) dove siamo
arrivati il 31 gennaio 2018, poco più di un anno
fa, alcuni mesi dopo l’arrivo dei primi rifugiati.
Incontrandoci, nei primi giorni di questo nuovo
anno 2019, don Guillermo Basañes, il consigliere
per le missioni, mi ha consegnato due buste. Una
veniva da Kampala (Uganda), precisamente dal
progetto educativo “Children and Life Mission”,
l’altra dal campo profughi di Palabek. Al loro in-
terno contenevano anche un messaggio.
I ragazzi di Kampala, salvati dalla vita di strada,
avevano organizzato, insieme ad alcuni gruppi
religiosi del quartiere, una colletta per donare
qualcosa ai più poveri che io avrei incontrato in
tutto il mondo (come se loro non fossero pove-
ri!). E insieme al messaggio c’erano cento dollari,
frutto della generosità e delle privazioni di quelle
persone e di quei ragazzi.
L’altra busta era simile. Arrivava, come ho detto,
dall’accampamento dei profughi. Là praticamen-
te non esistono né il denaro e né il commercio
di cibo, vestiti, merci. Alcuni rifugiati intrapren-
denti allevano un po’ di polli fino a quando sono
“in carne” e poi li barattano con altra merce. Così
riescono appena a sopravvivere. Ma volendo aiu-
tare i più poveri, in centinaia hanno deciso di fare
una colletta generale. Hanno venduto qualche
pollo cambiandolo con le poche monete che sono
riusciti a reperire nel campo e le
hanno infilate in una bu-
sta, in aggiunta a tutto
quello che sono riusciti a
raggranellare nelle varie
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Eucaristie, celebrate all’aria aperta sotto la cupola
degli alberi (perché oggi quella è la loro basilica).
Ho aperto la busta con emozione e ho trovato 25
dollari e due monete da 100 e 200 scellini, con
un breve messaggio che mi pregava di mettere il
denaro a disposizione di chi ne aveva più bisogno.
Ero solo nel mio ufficio ed ebbi difficoltà a con-
tenere l’emozione.
Ho pensato al brano del Vangelo, quando Gesù
addita ai suoi discepoli la povera vedova che getta
nel tesoro del tempio di Gerusalemme tutto quel-
lo che ha, due monete, e il Signore loda questa
generosità perché è la più autentica.
Mi è venuta in mente la festa per l’onomastico di
don Bosco del 1874, quando le Memorie Biografi-
che ricordano “i soldini dei giovani, che, poveretti,
mostrarono il loro buon cuore mettendo insieme
lire 200, cioè 113 gli artigiani e 87 gli studenti”.
Don Bosco espresse la sua grandissima gioia e la
sua gratitudine soprattutto perché molti ragazzi
in quell’occasione gli avevano detto: «Non avendo
altro da offrirle, le offro il cuore».
Ed è quello che vedo in queste due donazioni,
in quei 125 dollari, i più preziosi che abbia mai
trovato in vita mia.
È impossibile per me non pensare al cuore
umano. C’è tanta bella umanità nei cuori della
gente. Purtroppo sembra che il mondo abbia solo
cattive notizie e velate minacce da cui dobbiamo
proteggerci. Ma non
è così. Le notizie
che ci vengono date sono spesso dovute a interessi
politici, economici o ideologici. Ma il cuore uma-
no è molto di più di questo.
E voglio salvare dall’oblio e mettere in eviden-
za il fatto che ogni giorno accadono anche tante
cose belle. Voglio salvare dall’oblio tutto il bene
che viene fatto nel mondo ogni giorno in forma
anonima.
Chiedo ai salesiani sdb e a tutta la famiglia sale-
siana del mondo di proclamare tutto il bene che
si fa ovunque; che facciamo non solo noi ma tante
persone, gruppi e istituzioni.
Dobbiamo rendere visibile il bene, perché il male
e l’egoismo si fanno pubblicità da soli, in molti
modi e con mezzi potenti e solo per gli interessi
di qualcuno.
Questi fatti semplici e umili che vi ho raccontato
mi fanno anche pensare che gli auguri e le parole
gentili non bastano a cambiare la realtà dell’in-
giustizia, dello sfruttamento e dell’emarginazio-
ne, ma chiedono a me e a molti di noi, forse a voi,
amici miei, lettori, un atteggiamento non passivo
e conformista, ma lucido e critico su ciò che “gli
altri” vogliono farci pensare, o sentire, non poche
volte con argomenti forieri di paura.
In questo senso il nostro amato don Bosco era
sempre consapevole, intelligente e forte nella sua
visione e ben determinato a non essere complice
di ciò che non era finalizzato al bene dei suoi ra-
gazzi e delle loro famiglie (quando ce l’avevano).
Con vera gratitudine saluto tutti gli abitanti, le
famiglie e i ragazzi di Palabek e Kampala. Sono
convinto che il loro messaggio e il loro gesto an-
dranno ben oltre ciò che immaginavano e promet-
to loro che questi 125 dollari non solo lasceranno
un ricordo indelebile nel mio cuore, ma quando li
consegnerò a persone che ne hanno bisogno, essi
sapranno che il loro valore è immenso perché pro-
vengono da un luogo così speciale e sono donati
con tanta bontà e grandezza d’animo.
Con affetto e l’augurio di ogni grazia e benedi-
zione.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
I giovani Spesso accusati di essere solamente rinchiusi
nel proprio piccolo mondo, che cosa pensano
i giovani del volontariato e che rapporto
hanno con esso?
e il volontariato
Sofia, 16 anni
“Le occasioni per fare
volontariato sono infinite,
e capitano tutte le volte che
ci dedichiamo al bene comune”.
“Il volontariato è un’attività svolta li-
beramente a beneficio della comunità,
in vari settori”. Questa però è solo una
definizione oggettiva, trovata sempli-
cemente digitando la parola “volonta-
riato’’ su internet. Per me, ma anche
per molte altre persone che hanno fat-
to esperienze simili alla mia, il volon-
tariato è molto di più. Il significato è,
infatti, molto soggettivo.
Qualche estate fa, decisi di partecipa-
re a un campo-lavoro dell’associazione
Libera che lotta contro la criminalità
organizzata. La giornata era divisa in
due parti: la mattina si lavorava per
risistemare un ristorante sequestrato
a una famiglia mafiosa del milanese,
mentre il pomeriggio era dedicato alla
formazione, con qualche ospite che
raccontava episodi e aspetti importanti
legati alle attività dell’associazione. Per
me questa esperienza è stata un tram-
polino di lancio. Ho conosciuto perso-
ne completamente diverse da me e da
quelle che avevo frequentato fino ad
allora. Ho imparato a verniciare una
parete, ho imparato a costruire una
finestra e a rimettere in ordine un por-
tone; cose comuni e vicine alla quoti-
dianità, che però non attirano la nostra
Se guardate attentamente vedrete che quasi tutto
ciò che conta davvero per noi, tutto ciò che rappresenta
il nostro impegno più profondo nel modo in cui la vita umana
deve essere vissuta e curata, dipende da una qualche forma
di volontariato (Margaret Mead)
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attenzione, non sappiamo come siano
arrivate nel luogo in cui si trovano, non
abbiamo bisogno di saperlo, a meno
che qualcuno non decida di privarci di
una delle nostre porte. A quel punto
ci servirebbe un aiuto, un volontario
magari. Ecco, finalmente potevo fare
qualcosa di utile per gli
altri. Questo è ciò
che mi ha spinta a
continuare a fare
volontariato, ho
dovuto aver bisogno di una
porta per capire quanto fosse es-
senziale il lavoro di chi l’aveva fatta.
Grazie a questa prima esperienza ho
capito che le occasioni per fare volon-
tariato sono infinite, e capitano tutte
le volte che ci dedichiamo al bene co-
mune. Era la mia strada: avevo avuto
così tanta gratificazione che sentivo
un fortissimo bisogno di continuare.
Perciò ho deciso di unirmi a Handi-
cap… su la testa!, un’associazione di
Milano che si occupa del tempo libero
di persone con disabilità intellettive.
Mi è stato chiaro da subito che avrei
dovuto ridimensionare le mie necessi-
tà, capovolgere le priorità. Ho impara-
to a dare importanza a cose che a me
sembrano semplici e banali, come fare
un canestro a basket: è impossibile de-
scrivere la mia gioia e quella degli altri
volontari quando Mariella c’è riuscita
per la prima volta, la settimana scorsa.
La sera siamo tutti sfiniti, ma cavolo,
ne vale la pena! Ogni sorriso di queste
persone, ogni loro espressione dentro
di me diventa un “Grazie, ci vediamo
la settimana prossima’’.
Io riconosco il significato di volontaria-
to in tutto ciò che faccio perché lo vo-
glio fare e non perché lo devo fare. Lo
capisco in tutti i momenti passati con
persone che incontro e in tutte le vol-
te che imparo qualcosa durante questo
cammino che ho deciso di intraprende-
re, per gli altri e per me stessa.
Silvio, 23 anni
“Il volontariato aiuta
ad allargare gli orizzonti
e anche a sperimentare
nuove esperienze”.
Non ricordo quando ho fatto la prima
esperienza di volontariato, ma ricordo
bene ciò che mi ha spinto a fare vo-
lontariato nel 2015 al Don Bosco.
Ero particolarmente emozionato all’i-
dea di essere “protagonista” del servi-
zio che veniva offerto ai pellegrini, e
le mie aspettative non sono state disat-
tese durante l’esperienza. Questa espe-
rienza mi ha poi invogliato a dedicare
sempre più tempo nel volontariato so-
prattutto a livello locale. Il volontaria-
to non ha luoghi precisi di svolgimen-
to, perché il tema fondamentale non
sono i luoghi ma piuttosto le persone
che vi sono dentro. Il volontariato aiu-
ta ad allargare gli orizzonti e anche a
sperimentare nuove esperienze. Rita-
gliare anche una minima porzione del
proprio tempo a questo mi ha concesso
di organizzare al meglio le mie giorna-
te limitando gli sprechi e aumentando
la mia produttività. Senza dimenticare
che il volontariato porta sempre a co-
noscere persone nuove.
Eugenio, 22 anni
“Per me fare volontariato
significa fare del bene”.
Per me fare volontariato significa fare
del bene solo per il piacere di farlo
senza aver bisogno di una ricompen-
sa. Se penso ai luoghi di volontariato
penso alla clinica che abbiamo noi a
Locri per i neurolesi, dove, con spe-
ciali permessi, è possibile trascor-
rere tempo con loro. Ricordo con
piacere una frase del nostro vecchio
parroco, don Mimmo, che diceva:
“Loro hanno bisogno del contatto fi-
sico: una carezza, una stretta di mano
per loro significa molto”. Io che sono
studente universitario ho poco tempo
per fare volontariato, ma dopo aver
studiato, trovo sempre spazio per sta-
re in oratorio con i ragazzi che cono-
sco e che ora sto allenando. Consiglio
a tutti di fare volontariato perché cre-
do che sia necessario per ciascuno fare
esperienza in questo campo e capire
come comportarsi in determinate si-
tuazioni.
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SALESIANI NEL MONDO
NICOLE STROTH (TESTO E FOTO DI NICOLE STROTH DA DON BOSCO MAGAZIN)
Ucraina
unapiecnaasadi vita
Leopoli si trova a ottanta chilometri di distanza
dal confine polacco. Al di fuori del centro
benestante, molti bambini devono vivere
per strada. Gli istituti gestiti dallo Stato sono
sovraffollati. Circa dieci anni fa, i Salesiani
di don Bosco, in collaborazione con i servizi
di assistenza ai minori, hanno realizzato
una casa famiglia per bambini e ragazzi.
Qui e nella Scuola professionale che si trova
di fronte alla casa, i Salesiani aiutano i giovani
a trovare la loro strada nella vita.
IDon Mychaylo
Chaban passa
molto tempo con i
suoi giovani ospiti.
Conosce la storia
di ciascuno di loro.
l ragazzo muove un passo dopo l’altro con
circospezione. Un sorriso si disegna sulle sue
labbra: è il suo tratto distintivo.
Yegor è sempre di buonumore e trasmette una
contagiosa pace interiore. È incredibile come
questo ragazzo di ventidue anni segua il per-
corso della sua vita con umiltà ed equilibrio, sen-
za poter vedere, ma con molta fiducia e forza di
volontà. Yegor aveva dieci anni, quando è arrivato
nella casa famiglia dei Salesiani di don Bosco di
Leopoli.
La ragione per cui è privo della vista non è del
tutto chiara. Don Mychaylo Chaban, direttore
dell’Istituto, ha spiegato: «Sono state formulate
due ipotesi. Forse è stato colpito da una malattia
che l’ha portato alla cecità. Non è però improba-
bile che le sue cornee siano state vendute sul mer-
cato legato al traffico d’organi». Le storie come
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questa sono sconvolgenti, ma nella casa famiglia
“Pokrova” non sono rare.
Vivono qui sessantacinque ragazzi di età compresa
tra otto e diciotto anni. Trentacinque sono orfani
dei quali don Chaban ha assunto la tutela legale.
Gli altri trenta ospiti della struttura hanno ancora
un genitore o entrambi, che tuttavia per vari moti-
vi non possono occuparsi dei figli. «Solo i genitori
di cinque o sei ragazzi su trenta sono interessati ai
rispettivi figli. E saremmo lieti se alcuni di loro
non lo fossero», dichiara sinceramente don Cha-
ban. Spiega che la madre di un ragazzo che vive
qui è tossicodipendente. Il padre è stato in prigione
e, ora che è libero, ogni tanto si reca a trovare il
figlio nella casa famiglia. «Quest’uomo, però, ha
ancora problemi e intimidisce il figlio. Il ragazzo è
diventato timoroso e parla poco».
È un passo indietro nel percorso del ragazzo.
I “grandi” aiutano i piccoli
Molti bambini si trovano subito bene nell’atmo-
sfera familiare che regna nella casa famiglia. Na-
talia Boiko, che lavora da dieci anni come educa-
trice presso la Casa don Bosco, ha spiegato che
occorrono circa tre mesi, affinché i giovani ospiti
della Casa acquistino fiducia: «Quando un bam-
bino o un ragazzo che proviene da una famiglia
problematica arriva da noi, innanzitutto deve abi-
tuarsi alla nostra routine quotidiana. Ci avvalia-
mo anche dell’opera di psicologi, che si prendono
cura dei minori. In genere i ragazzi si sentono su-
bito al sicuro con noi». Per Yegor è stato così: «I
ragazzi che vivono qui e gli educatori mi hanno
sempre aiutato e trattato bene». Il giovane, che ha
ventidue anni, è in una fase di passaggio, definita
come acquisizione dell’autonomia.
Ha un appartamento a Leopoli, ma deve ancora
imparare a muoversi nella vita di tutti i giorni.
Per questo a volte trascorre ancora la notte nella
casa famiglia. Con i suoi amici, come dice. «Sono
abituato ad avere molte persone intorno a me. La
casa famiglia mi manca e vengo spesso a trovare i
ragazzi che vivono qui».
Si comprende subito che nella casa famiglia i ra-
gazzi sono uniti e si rispettano a vicenda, a parte
occasionali incomprensioni. I più grandi aiutano
i più piccoli e badano a loro anche quando gioca-
no. Lo fa ad esempio Andrij, che spinge paziente-
mente nel prato su una bicicletta azzurra Vadim,
più giovane di lui. Vadim deve ancora imparare a
pedalare e bilanciarsi nello stesso tempo. Corre
poi rapidamente sul campo sportivo, che avrebbe
urgente bisogno di manutenzione.
I ragazzi però scansano abilmente le grandi buche
e non si lasciano rallentare dalla loro presenza.
Neppure i Salesiani si sono lasciati fermare. La-
vorano da dieci anni con bambini e ragazzi orfani.
All’inizio vivevano nell’Ispettoria dei Salesia-
ni a Leopoli, a pochi minuti in auto di distanza
dall’attuale sede della casa famiglia. Don My-
chaylo Chaban ricorda: «La prima idea allora era
quella di dare un tetto ai bambini di strada per
due o tre settimane. A poco a poco è però sorto
in noi il desiderio di realizzare una vera casa, con
Lettura e gioco:
i responsabili
della casa famiglia
sono attenti a
fare in modo che
i ragazzi abbiano
abbastanza tempo
per il riposo
e lo svago.
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SALESIANI NEL MONDO
INFORMAZIONI
I ragazzi che vivono qui e
gli educatori mi hanno sempre
aiutato e trattato bene Yegor, 22 anni
Oltre a sessantacinque orfani, nella casa famiglia dei Sa-
lesiani di don Bosco vivono anche settanta studenti che
non potrebbero permettersi una camera a Leopoli.
La Scuola professionale ospita inoltre circa quindici ra-
gazze di età superiore a diciotto anni.
I Salesiani cercano di coprire parte dei costi con la pa-
netteria che si trova nel seminterrato della casa famiglia.
Ad esempio, ogni domenica nelle parrocchie salesiane
della città si vendono 1000 pagnotte cotte qui. Inoltre, la
cucina prepara il pranzo per una grande azienda italiana
a cui fornisce fino a 200-300 pasti al giorno.
«A poco a poco
è però sorto in
noi il desiderio di
realizzare una vera
casa, con gruppi
in stile familiare».
gruppi in stile familiare. Inoltre continuavano
ad arrivare nuovi ragazzi e avevamo bisogno di
più spazio». Così quattro anni fa è stata costrui-
ta una nuova casa, proprio di fronte alla Scuola
professionale dei Salesiani, di cui i Figli spiritua-
li di don Bosco sono particolarmente orgogliosi,
perché è l’unica Scuola professionale cattolica in
Ucraina. Già da quindici anni, in questa Scuola
i giovani possono seguire percorsi di formazione
relativi a vari ambiti professionali, come ad esem-
pio quelli delle acconciature o della falegnameria.
Da tre anni vengono proposti anche corsi riguar-
danti la ristorazione. Da questo punto di vista,
i Salesiani hanno dato una risposta a una realtà
contingente. Leopoli, infatti, ogni anno è meta di
2,5 milioni di turisti e le possibilità di trovare un
lavoro relativamente ben pagato in questo setto-
re sono aumentate. Oltre la metà dei circa cento
allievi della Scuola professionale scelgono dun-
que i corsi che li preparano a diventare cuochi,
camerieri o barman. Don Chaban spiega: «Dob-
biamo valutare sempre quali percorsi di forma-
zione garantiscano sbocchi occupazionali e che
cosa i giovani apprezzino. Ad esempio, in passato
proponevamo corsi di cucito, ma nessuno voleva
più seguirli. Ora la sartoria è dunque affittata a
esterni. È invece previsto l’avvio di un percorso di
formazione per meccanici di auto. Il cantiere in
opera vicino alla casa famiglia mostra che questo
progetto non è un pio desiderio, ma è già in via di
realizzazione. Al piano inferiore sorgerà un’offi-
cina, al piano superiore una palestra per i bambini
e i giovani».
Don Mychaylo Chaban ha abbastanza da fare.
Il suo smartphone gli ricorda gli impegni, le de-
cisioni da prendere, gli accordi da concludere. Il
sacerdote di quarantadue anni però non perde di
vista i ragazzi. Anche dopo una dura giornata
di lavoro, di sera gioca ancora a calcio con loro
per un paio d’ore o passa a visitare i gruppi che
vivono nella casa famiglia. I ragazzi più grandi
si rilassano nella sala comune, seduti su sgabelli
colorati davanti a un grande televisore a schermo
piatto, un regalo della polizia dopo una retata
antidroga. Al piano inferiore, i più piccoli cena-
no insieme; don Chaban si siede accanto a loro. I
ragazzi apprezzano la sua attenzione, di cui non
hanno mai vissuto l’esperienza a casa loro. Don
Chaban conosce la storia di ognuno di loro: «Ad
esempio, i genitori di Oleksander volevano fare
una festa nel bosco senza essere disturbati. Le-
garono dunque il figlio a un albero e poi lo di-
menticarono là. Il bambino dovette dunque pas-
sare due notti da solo nel bosco». Don Chaban
scuote lievemente il capo, poi continua: «Ilya ha
nove anni e un fratello. Presto verranno a stare
da noi. La loro madre ha problemi psichiatrici e
i bambini hanno dovuto badare a loro stessi. Per
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L’UCRAINA SOFFRE
Don Karol Manik dirige l’Ispettoria ucraina “Maria Ausi-
liatrice” da quattro anni. I Salesiani di don Bosco presenti
qui appartengono alla Chiesa greco-cattolica. La profonda
fede in Dio è la fonte da cui il religioso cinquantunenne
nato in Slovacchia attinge la forza per il suo lavoro con i
bambini e i giovani a Leopoli.
Ispettore, come valuta la situazione sociale in Ucraina e
a Leopoli?
In Ucraina è in corso una guerra. Tutti lo sentono dire. All’estero non
si parla molto di questo conflitto, che dura già da quattro anni, ma
per noi è presente ogni giorno.
Per fortuna, i violenti scontri in corso nell’Ucraina occidentale non ci
coinvolgono direttamente, ma parte dei soldati che combattono nella
parte orientale proviene da qui. Inoltre, giovani volontari percorrono
regolarmente l’area di crisi per portare generi alimentari, abiti e aiuto
in quelle zone. La guerra è dunque un problema per tutto il popolo.
Per andare al punto: l’Ucraina è un paese che soffre, per la guerra e
per problemi politici ed economici. Non abbiamo stabilità.
Per questo molti Ucraini sono costretti a lasciare il loro Paese per an-
dare a lavorare in Europa occidentale. Il ceto medio è poco presente
in Ucraina. Ci sono alcune persone molto ricche e molte che devono
trovare un modo per sopravvivere. L’aspetto positivo è che Leopoli è
una città multiculturale. Vengono qui molti turisti, anche occidentali.
Le politiche sociali a Leopoli sono una priorità e l’impegno delle chie-
se, delle comunità religiose e della Caritas è degno di nota.
In che misura la guerra in corso nella parte orientale del
Paese influenza il lavoro dei Salesiani di don Bosco?
Due nostri confratelli sono cappellani militari e si trovano tempora-
neamente sul posto. Inoltre, la nostra parrocchia organizza sempre
raccolte di generi alimentari, abiti e denaro. Un’altra iniziativa che
abbiamo avviato quest’anno è un campo estivo di vacanza per venti-
cinque bambini e ragazzi dell’Ucraina orientale.
I primi Salesiani di don Bosco sono arrivati in Ucraina venticinque
anni fa. Per il momento la nostra unica sede è a Leopoli.
Abbiamo però in progetto la costruzione di una casa a Kiev e poi
pensiamo di portare a poco a poco le idee e la pedagogia di don
Bosco a est, perché vediamo che ce n’è molto bisogno.
Quanto è difficile per lei, come slovacco, essere alla guida
di un’Ispettoria ucraina?
A livello culturale non si notano grandi differenze. Gli ucraini sono
aperti, ospitali e sereni. Ovviamente resto comunque uno straniero.
La mia famiglia non è qui e per me questo non è sempre facile. La
motivazione che mi spinge è costituita dai giovani, che sono di ani-
mo buono e, nonostante le circostanze difficili, in genere sono felici.
Il lavoro dei Salesiani in Ucraina è apprezzato dalla socie-
tà e dalla politica?
Il nostro orfanotrofio opera da dieci anni e ha una buona reputazione.
Grazie al nostro lavoro siamo abbastanza conosciuti a Leopoli e i
politici apprezzano il nostro impegno. Fin dall’inizio abbiamo portato
in città nuove idee, alcune delle quali sono state riprese da altri. Un
esempio: durante le vacanze, organizziamo sempre un programma
per bambini della durata di due-tre settimane con l’aiuto di volontari.
Abbiamo avviato questa iniziativa e in un primo momento eravamo
gli unici a proporla. Ora anche altre parrocchie hanno compreso che
un progetto di questo genere è bello e importante e organizzano a
loro volta attività per le vacanze.
Considerando la Scuola professionale e la casa famiglia,
che cosa la rende particolarmente orgoglioso? Che cosa
la rende più felice?
Per don Bosco era importante offrire ai giovani un percorso di for-
mazione. Non solo dare ai giovani un pesce, ma una canna da pesca
perché imparassero a pescare. Anche noi sosteniamo questa idea.
Il fatto che la nostra Scuola professionale sia la prima e unica isti-
tuzione cattolica di questo tipo in Ucraina ci rende orgogliosi. Spe-
riamo che sia un modello per altre organizzazioni e forse saranno
presto aperte scuole di questo tipo anche altrove. Sono anche feli-
ce della nostra casa famiglia. In Ucraina ci sono molti orfani. Circa
200 000 sono ospitati in collegi. Da noi ogni minore trova attenzione,
la possibilità di seguire un percorso di formazione e nuovi amici. Per
noi è importante offrire considerazione a ognuno di questi ragazzi.
La nostra casa è diversa dagli istituti dello Stato, perché da noi regna
un’atmosfera familiare.
Vogliamo che ogni bambino senta l’amore di Dio e sia felice nella
vita.
sopravvivere raccoglievano bottiglie per la città».
Ma questo è il passato dei bambini. I Salesiani di
don Bosco edificano il loro presente e danno loro
un futuro.
Yegor sta per cominciare a camminare con le sue
gambe. È soddisfatto della sua vita: «Per molto
tempo non avrei saputo che cosa fare. Ora sto se-
guendo un percorso di apprendistato per diventa-
re massaggiatore. Mi piace molto».
«Un’altra iniziativa che abbiamo avviato quest’anno è un campo
estivo di vacanza per venticinque bambini e ragazzi dell’Ucraina
orientale».
Febbraio 2019
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2.2 Page 12

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A TU PER TU
LINDA PERINO
Papà Ricky
«Io non sapevo chi era don Bosco
ma lo sapeva già lui, don Bosco,
chi ero io e che cosa avrei
fatto per lui».
Papà Ricky, così mi chiamano
qui in Ghana; sono salesiano
laico, coadiutore, da 46 anni.
Al secolo Riccardo Racca,
sono nato a Piasco nella Pro-
vincia Granda del Piemonte
il 3 Maggio 1954, durante un violento
temporale, a detta di mia mamma, il
primo di sei figli (cinque viventi), ti-
rati su con sempre pochi soldi ma con
tanto amore, affetto e fermezza detta-
ti da una fede semplice e profonda, da
papà Giovanni e mamma Mariuccia.
Ho iniziato la scuola media dai Sale-
siani di Fossano nel 1966, prima non
sapevo chi era don Bosco ma lo sapeva
già lui, don Bosco, chi ero io e che cosa
avrei fatto per lui. Parecchi anni dopo
essere diventato salesiano mi capitò tra
le mani una foto scattata il giorno del-
la mia prima Comunione. Mi ricordai
di quel bravo fotografo che mi faceva
spostare un po’ più a destra, un po’
più a sinistra all’interno della chiesa
parrocchiale faticando per trovare uno
sfondo giusto, finché mi disse: fermo
lì! E finalmente schiacciò otturatore.
In quella foto ci sono io in primo pia-
no e don Bosco in un bel quadro ovale
come sfondo. Un caso? Io credo anche
qualche cosa di più.
Mentre insegnavo nella scuola profes-
sionale di San Benigno Canavese nel
1996 l’Ispettore mi chiese la disponi-
bilità di aiutare un missionario anzia-
no in Nigeria: gliela diedi, con l’in-
tenzione di completare il servizio in
un tempo ragionevole e poi ritornare
in Piemonte. Dopo un anno circa ri-
tornai per accelerare le operazioni di
preparazione di un container di ma-
teriali tecnici da inviare alla mia mis-
sione di Ondo ed incontrai l’Ispettore
che mi domandò se mi fosse matura-
ta la vocazione missionaria. Gli dissi
con tutta franchezza che non ci avevo
proprio pensato, e lui mi disse: “Bene
Ricky, torna in Nigeria e pensaci”.
Da allora son passati quasi 22 anni di
missione in Africa.
Un trauma cranico
e san Giuseppe
La mia famiglia e i miei genitori in
particolare hanno accettato questa mia
scelta con tanta fede, all’inizio forse
anche con un po’ di angoscia soprat-
tutto quando, dopo meno di due anni,
fui rimpatriato e ricoverato d’urgenza
all’ospedale Molinette con un trauma
cranico dovuto ad “uno scambio di
opinioni” o colluttazione avvenuta una
notte con gruppo di rapinatori. Devo
onestamente dire che anche per me
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2.3 Page 13

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non fu facile ritornare nella stessa mis-
sione dopo i sei mesi di convalescenza.
Dal gennaio 2011, dopo la morte di
mio papà, l’ispettore della mia pro-
vincia religiosa , Africa Ovest di
lingua Inglese, di cui faccio parte, mi
chiese di lasciare la Nigeria e venire
subito in Ghana, così per quasi due
anni ho “cambiato completamente il
mestiere”; voglio dire che mi son tro-
vato a dirigere un’opera di frontiera
per bambini, ragazzini (dagli 8 ai 15
anni) di famiglie poverissime, sul lun-
gomare (Oceano Atlantico), 40 km ad
Est di Accra, la capitale del Ghana.
Lì ho fatto una delle mie esperienze
salesiane più belle e di questo ne sono
grato al buon Dio e al mio superiore
religioso che mi ha concesso anche
tanta fiducia.
Dal Settembre del 2012 ad oggi mi
trovo a Sunyani, la mia missione at-
tuale, situata nel Centro Ovest del
Ghana, a circa 400 km da Accra (8 o
9 ore in autobus). Qui al Don Bosco in
questi ultimi 7 anni ho svolto il com-
pito di amministratore/economo della
Comunità e delle attività e dei proget-
ti collegati ad essa. Visto da un certo
angolo è un “brutto mestiere” quello
dell’economo perché ha a che fare con
numeri, ricevute, entrate e uscite e,
alla fine del mese, con un bilancio da
far quadrare per la gioia del tuo eco-
nomo ispettoriale e della sua équipe!
Dall’altro lato è stata una bella espe-
rienza direi anche molto salesiana per
due motivi: uno è l’opportunità che
hai come economo di incontrare tan-
te persone soprattutto laici, di molti
settori pubbici, e di far conoscere loro
il nostro carisma e la nostra missione.
Per secondo, ma non meno impor-
tante, sovente, ho toccato con mano
l’intervento della Divina Provvidenza
nei miei bilanci mensili, settimanali
e anche giornalieri. Fin dall’inizio ho
Oggi don Bosco è conosciuto in Ghana, pur
essendoci solo tre presenze sul territorio nazionale,
grazie soprattutto agli exallievi presenti in molte
aree del tessuto sociale Ghanese, dove occupano
anche posti di responsabilità e di prestigio.
messo nel mio ufficio una bella statua
di san Giuseppe ed ogni sera, anche
tardi, prima di ritirarmi, affido a Lui
tutti i conti, quelli che mi sembrano
giusti e quelli che non tornano affat-
to, e domani è sempre stato un nuovo
giorno, bello e pieno di speranza.
Che cosa fanno
i Salesiani qui?
L’avventura ebbe inizio 26 anni fa
con un gruppetto di pionieri salesiani
che giunsero qui ad Odumase, nella
periferia di Sunyani provenienti dalla
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2.4 Page 14

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A TU PER TU
Croazia, dalla Germania, dall’India
e dall’Argentina. Si misero subito al
lavoro nella Vigna del Signore, Par-
rocchia, Oratorio, Cappellanie in vil-
laggi limitrofi e in meno di due anni i
primi giovani poterono anche inizia-
re a frequentare la scuola tecnica in
agricoltura e in edilizia. Oggi questa
piccola scuola, il
(Don Bosco
Technical Institute) accoglie oltre 600
allievi/e distribuiti in 9 settori/dipar-
timenti; ultimo nato: l’alberghiero
(cucina e servizio).
La scuola parificata ed approvata
dal Governo solleva noi Salesiani da
molti oneri economici, non ultimo
gli stipendi dei docenti, e permette
a tutti gli studenti di ottenere i tito-
li necessari per continuare gli studi
fino all’Università. Un buon numero
di insegnanti di oggi sono stati nostri
allievi otto, dieci, quindici anni fa, e
questo favorisce anche un più facile
mantenimento dello spirito di don
Bosco e del suo Carisma.
Posso dire che oggi don Bosco è co-
nosciuto in Ghana, pur avendo solo
tre presenze sul territorio nazionale,
grazie soprattutto agli exallievi pre-
senti in molte aree del tessuto sociale
ghanese, occupando anche posti di
responsabilità e di prestigio.
Quale futuro hanno
i giovani ghanesi oggi?
Due progetti degni di essere raccon-
tati. Circa cinque anni fa, nel 2013 ci
siamo accorti che molti giovani adole-
scenti vivevano ai margini delle stra-
de in città offrendo il loro servizio ai
mercati locali per il trasporto di vari
acquisti con le carriole. Fin qui tutto
va bene se non che, tornando alle 10
di sera o a mezzanotte, abbiamo con-
statato che la strada era, ed è, la loro
casa permanente. Dormono al bordo
della strada, uno vicino all’altro usan-
do la stessa carriola per letto e qualche
cartone per coperta. Come comunità
ci siamo detti: questa è la “periferia”
che il Santo Padre invita i cristiani a
scoprire. Li abbiamo contattati, invi-
tati la prima domenica al Coronation
Park, uno spazio pubblico ben cono-
sciuto, e non senza fatiche legate anche
a barriere linguistiche (inizialmente
ben congegnate dai ragazzi stessi per
proteggersi) dopo un mese li abbiamo
invitati, una domenica pomeriggio,
a giocare a calcio nel nostro campo
quasi regolamentare. Siamo andati a
prenderli in città a Sunyani, ed erano
circa 80. Pian piano siamo diventati
loro amici scoprendo con meraviglia
che molti di loro parlavano benissi-
mo l’inglese quindi non c’era bisogno
di nessun interprete. Nel frattempo
abbiamo contattato le autorità locali
per poter avere dei posti dove questi
ragazzi potessero ripararsi, lavarsi, ri-
posarsi ecc. staccandosi un po’ dalla
strada. Alcuni mesi dopo un gruppet-
to di 25-30 di loro ha anche iniziato i
corsi professionali nella nostra scuola.
L’anno successivo altri ancora e oggi
molti di questi hanno raggiunto il loro
diploma lasciando il vecchio lavoro
precario di “wheel barrow boys”.
Un altro importante fronte su cui i
Salesiani di Sunyani sono impegna-
ti da ormai tre anni è quello della
Migrazione Illegale e Stop Tratta.
In collaborazione con il Italia, le
Missioni Don Bosco di Torino, la
dei Vescovi italiani, il Ministero degli
Esteri italiano, l’ Ufficio Immigrazio-
ne ghanese e le Autorità Tradizionali
del territorio si è inizialmente fatto
un sondaggio in 5 zone cittadine del
circondario di Sunyani, in un raggio
di 40 km, da dove, secondo dati at-
tendibili, molti giovani dai 18 ai 30
anni hanno iniziato il viaggio verso la
Libia attraverso il deserto del Sahara.
«Noi Salesiani pensiamo e crediamo che sia
importante aiutare queste creature di Dio a vivere
qui in Ghana una vita bella e dignitosa e possibile.
Sì, possibile».
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È possibile vivere qui?
Noi Salesiani pensiamo e credia-
mo che sia importante aiutare queste
creature di Dio a vivere qui in Ghana
una vita bella e dignitosa e possibile.
Sì, possibile. Perché in Ghana non si
muore di fame o per siccità, perché
non abbiam da bere, o il “regime” ci
priva delle libertà fondamentali. No! Il
Ghana è un paese libero e democratico
(indipendente dal 1957). Noi credia-
mo in uno sviluppo a misura d’uomo e
ci battiamo perché tutti possano avere
un modo dignitoso di provvedere al
proprio futuro. Ai giovani selezionati
in questo progetto, circa 120, propo-
niamo e insegniamo un modo alterna-
tivo di coltura, anche attraverso l’uso
di serre (green house) utili soprattutto
per proteggere le coltivazioni dalla
peste locale chiamata Mosca Bianca
white fly”. Il corso per ogni gruppo di
20-25 persone ha una durata di 14 set-
timane. Agli utenti con esiti ritenuti
soddisfacenti viene data la possibilità
di accedere a fondi di micro credito
per avviare un’attività in proprio o in
piccole cooperative. Le Regine Ma-
dri (autorità locali molto prestigiose)
si sono rese disponibili per rilasciare
appezzamenti di terreno per questo
scopo. Collegata a questa prima fase si
sta progettando la successiva che do-
vrà coinvolgere i beneficiari nella fase
di “trasformazione”. Il campo è ancora
aperto su molti fronti, inclusa la crea-
zione di un team di esperti del settore.
Come sono i giovani
ghanesi?
I giovani ghanesi oggi sono figli del
loro tempo. Lo vedo soprattutto in
quelli che frequentano i nostri am-
bienti ma è così un po’ per tutto il
Ghana. Sono bombardati dai media
come i loro coetanei italiani o euro-
pei, ma con una differenza sostan-
ziale: il “pocket money” accessibile ad
un 18enne ghanese medio è equiva-
lente ad un ventesimo di quello di un
18enne italiano medio. Se il sabato
sera un nostro moderato giovanotto
consuma i suoi 20 euro per un po’ di
sano divertimento, il suo corrispon-
dente ghanese non va e non può an-
dare oltre 1 euro equivalente. E chi
non ha il telefonino qui a Sunyani?
Solo uno zombi potrebbe non averlo.
Ma chi ha qui sul telefonino un con-
tratto mensile (o annuale) con accesso
illimitato ad internet come da noi? E
qui gli zombi aumentano a dismisura.
Studiare, frequentare le università in
Italia costa caro, sì, certo. Qui costa
10 volte tanto! I paragoni possono es-
sere odiosi ma qualche volta bisogna
farli perché le esigenze, i doveri e i di-
ritti di un giovane ghanese in questo
mondo globale, sono proprio uguali a
quelli di un giovane italiano.
Io sto dalla parte di questi giova-
ni che hanno ancora tanta strada da
fare, cerco di dar loro una mano per
ottimizzare il “carburante” che hanno
in abbondanza utilizzando un libro,
dico sempre loro, un libro senza pagi-
ne che non si vende in nessuna libre-
ria né in Ghana né in Italia; è il libro
dell’esperienza di vita. Questo mi dà
gioia e speranza nella mia vocazione
di ogni giorno, e per questo ringrazio
il Buon Dio e don Bosco.
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FMA
EMILIA DI MASSIMO
«Ho incontrato gente
felice, sempre sorridente
che, pur vivendo in case
La terra piccole, apriva porte e
finestre per ospitare
chiunque giungesse. Ho
iniziato così a comprendere
del cuore chelafelicitànonsiottiene
possedendo le cose;
la gioia vera e duratura
nasce dall’incontro con
l’altro, è accoglienza,
è ascolto, è raccontare
le storie degli antenati».
«Sono argentina di
nascita, boliviana di
cuore. Figlia di ge-
nitori spagnoli emi-
grati in Argentina
con quattro figli (in
seguito sette, i “somos Gauchos”, nati
in Argentina). Due figlie diventeran-
no Figlie di Maria Ausiliatrice. A soli
nove anni ero tra le fondatrici di “Las
Exploradoras de Don Bosco”, un mo-
vimento simile agli Scout, fondato in
Argentina dai Salesiani e dalle Figlie
di Maria Ausiliatrice. In questo mo-
vimento è maturata la mia vocazione,
ritmata dallo slogan: “Dios, Patria y
Hogar siempre listos” (“Dio, Patria e
famiglia sempre pronti”), ho compre-
so che la mia vita doveva essere vis-
suta per gli altri, avere un significato
profondo, pertanto, cominciando ad
essere più disponibile verso la fami-
glia e le persone bisognose del quar-
tiere, a 15 anni ho detto al Signore:
“Eccomi, ci sono”».
Suor Bernarda Santamaria inizia così
il racconto della sua esperienza mis-
sionaria come Figlia di Maria Ausi-
liatrice, e lo prosegue più con il suo
costante sorriso che con le parole.
«Dopo i voti perpetui sono partita
per le missioni, destinazione Boli-
via: diventerà la “terra del mio cuore”.
Quando sono partita ho lasciato sicu-
rezze importanti: i miei genitori e i
miei fratelli, ero consapevole che non
sarebbe stato facile accettare di non
vedersi frequentemente. Ho lasciato
il mio cielo, la mia corona, sì, perché
sono convinta che solo nella nostra
propria terra, lì dove siamo nati, noi
siamo Regine! Ho lasciato il cibo, i
profumi e i colori della mia terra nati-
va in un periodo nel quale l’Argentina
stava molto bene economicamente,
quindi non è stato facile, ma il cuore
aveva un desiderio più forte di ogni
realtà: donare pienamente la vita al
Signore, là dove Egli misteriosamen-
te attende da sempre! Lasciare tutto e
partire, fidarsi completamente di Lui
che chiama e fa sentire nel cuore la
vocazione missionaria, Suo dono.
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Gesù afferma: chi lascia tutto trova il
cento per uno e la vita eterna: lasciare
tutto per partire; entrare a piedi nudi
per non calpestare i nostri fratelli, la
cultura e la vita di un popolo. Quan-
do si entra così si compie il miracolo
di ricevere il cento per uno! A me è ac-
caduto veramente!
In Bolivia ho incontrato persone che
ho amato e dalle quali mi sono lascia-
ta amare. Ho imparato nuove lingue,
il Quechua e l’Aymarà; una volta
una signora mi ha chiesto: imaynalla
kashanqui? Sono rimasta in silenzio,
una bambina mi ha aiutata dicendo-
mi: “Ti chiede come stai, rispondi
walejlla, cioè bene”.
Non l’ho più dimenticato!»
Sentiti a casa tua!
«In Bolivia sono vissuta anche con
mia sorella, Figlia di Maria Ausilia-
trice, in comunità molto piccole nel-
le quali c’era da svolgere tanto lavoro
educativo, poiché le scuole erano nu-
merose: 800, 1000, 1200 allievi, oltre
alla presenza di tanti poveri, di bam-
bini che camminavano per tre, cinque
chilometri per recarsi a scuola e, sva-
riate volte, tornavano perché l’edificio
aveva già chiuso.
Ho visto bambine condurre mucche e
pecore al pascolo, piccoli restare soli a
casa perché i genitori andavano molto
presto al mercato per vendere qualche
prodotto. Ho trovato però, dentro
tanta povertà, un’immensa capacità di
accoglienza verbalizzata con la tipica
espressione: “Venì Madrecita estás en tu
casa”: vieni Madre, sentiti a casa tua”.
Ho incontrato gente felice, sempre
sorridente che, pur vivendo in case
piccole, apriva porte e finestre per
ospitare chiunque giungesse. Ho ini-
ziato così a comprendere che la felici-
tà non si ottiene possedendo le cose;
la gioia vera e duratura nasce dall’in-
contro con l’altro, è accoglienza, è
ascolto, è raccontare le storie degli
Saluto finale di suor Bernarda a San José
de El Alto La Paz a 4100 metri.
Sotto: Visita del Nunzio Apostolico di Bolivia
al Collegio Maria Mazzarello di Aranjuez Sucre.
antenati e scoprire il perché profondo
della propria cultura, ed è anche con-
dividere insieme un bicchiere d’acqua
con qualche biscotto».
La felicità è incontro
«Inizialmente, in missione mi sono
fatta tante domande principalmente:
che cosa mi impedisce di essere veramente
felice? La gente del posto mi ha inse-
gnato che la felicità è incontro reci-
proco, facendomi accorgere che por-
tavo con me un bagaglio pesante con
troppe cose inutili. Oggi benedico
il Signore che mi ha fatto conoscere
fratelli in grado di far crollare le mie
sicurezze per trovare una felicità pro-
fonda e interiore, a tal punto che essa
non scompare di fronte alla prima
difficoltà.
Come missionaria argentina, sapevo
che mai sarei stata una di loro perché
ognuno ha le proprie radici familia-
ri, la propria cultura, ma ho trovato
il cento per uno che Dio ha promesso
a chi lascia tutto per Lui, ritrovando
immensamente e in abbondanza ogni
bene!
Sono tornata a Roma 22 anni fa per
collaborare nell’ambito delle missioni
dell’Istituto, mi è costato molto, ma la
pace è forte delle parole che mi disse
un sacerdote: “Ricordati, Bernarda,
che essere missionaria è fare la volon-
tà di Dio lì, dove vuole Lui, non dove
piace te”.
Sono e resterò missionaria nel cuore,
in qualunque terra sarò!»
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LE CASE DI DON BOSCO
COSIMO SEMERARO
Da 120 anni i Salesiani
di don Bosco a Zurigo
Nel cuore della Confederazione elvetica,
in una città europea emblematica per i forti
processi di sviluppo tecnologico e scientifico,
il nome di don Bosco è garanzia di una
pastorale sociale, innovativa e costruttiva.
La chiesa della
Missione Italiana.
Il 19 gennaio 1897 il beato don Michele Rua,
primo successore di don Bosco, in qualità di
Rettor Maggiore dei Salesiani, risponden-
do ad una lettera giuntagli il precedente 12
gennaio, così scriveva al segretario di Stato di
papa Leone XIII, cardinale Mariano Ram-
polla del Tindaro:
Eminenza,
i desideri del Santo Padre sono e saranno sempre per
me un comando. Se pertanto Sua Santità desidera che
io accondiscenda alla proposta degli Eccell.mi Vescovi
della Svizzera di mandare due sacerdoti a Zurigo che
abbiano la cura degli emigranti italiani, benché mi
trovi nella estrema scarsezza di personale, procurerò
tuttavia di mandarli. Ringrazio Vostra Eminenza
della continua singolare benevolenza verso l’umile
nostra Congregazione e prostrato al bacio della S.
Porpora ho l’alto onore di professarmi di Vostra Emi-
nenza dev.mo umil.mo Servo Sac. Michele Rua”.
In questa semplice lettera sono riunite insieme le
prime radici e i più significativi protagonisti della
venuta dei Figli di don Bosco a Zurigo: il papa
della “Rerum Novarum”, l’episcopato svizzero, la
congregazione recentemente fondata da don Gio-
vanni Bosco, il suo primo sacerdote e successore
don Michele Rua.
Si comprende facilmente la ragione della prefe-
renza dell’episcopato svizzero (già espressa in un
Congresso tenuto il 17 agosto 1896) e della Santa
Sede per i salesiani fra gli emigranti in Svizze-
ra. Essi erano in grado di garantire nel tempo
continuità e omogeneità all’azione; nessun’altra
congregazione italiana di fine Ottocento si era
dimostrata capace di realizzare tante iniziative in
questo campo: già in Argentina avevano saputo
avvalersi di tutti gli strumenti adatti ad un apo-
stolato moderno fra gli emigrati. Unitamente a
chiese, a parrocchie, a scuole, laboratori e istituti
professionali di vario tipo, avevano e continuava-
no a gestire organi di stampa, patronati, associa-
zioni di mutuo soccorso, cooperative, segretariati
del popolo.
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Anche per Zurigo la risposta, nonostante “l’estre-
ma scarsezza del personale” prima accennata, fu
eccezionalmente veloce e concreta.
Un prete e un coadiutore
Infatti, appena nove mesi dopo, i primi due mis-
sionari, un prete e un coadiutore, don Augusto
Amossi e il sig. Giovanni Todeschino arrivarono
da Torino in Svizzera per i necessari contatti logi-
stici e, subito dopo, il 3 novembre 1898, 120 anni
fa, fu stabilita ufficialmente e definitivamente
in Zurigo, pur senza una sede logistica, la prima
Missione Cattolica Italiana.
Fu esplicitamente affidata dal vescovo di Coira,
monsignor Giovanni Fedele Battaglia, alla con-
gregazione di don Giovanni Bosco, scomparso
dieci anni prima a Torino, ma notissimo e già
venerato in tutto il mondo cattolico per la sua
opera di educazione e di formazione dei giova-
ni più bisognosi, la maggior parte proprio fragili
emigranti in cerca di un punto di appoggio nel
capoluogo piemontese.
A Zurigo il carisma tipico dei salesiani si immerse
di proposito a favore degli emigranti italiani biso-
gnosi di ogni sostegno materiale e spirituale, con
criteri di prudenza e continuità senza cedimenti a
improvvisazioni o fughe in avanti che avrebbero
compromesso i rapporti con la Chiesa locale.
Essi si mossero – secondo un accreditato studioso
di queste vicende – secondo un modello sociale inno-
vativo e moderno”, perché chiamati ad agire non
in un contesto rurale (come in Sudamerica), ma
in una fervida e promettente realtà operaia e in-
dustriale come quella del traforo del Sempione e
della ben nota e antica città di Zurigo. I salesiani,
pertanto, percepirono forte l’impegno di istituire
società cattoliche di mutuo soccorso, comitati di
tutela degli emigranti, segretariati del popolo e
cooperative economiche.
L’utilizzo generoso della lingua italiana – caratte-
ristica perdurante fino ai nostri giorni – oltre che
per la scarsa conoscenza del tedesco, si rivelò stru-
mento e canale privilegiato per tutelare l’identità
culturale e religiosa e per consolidare legami effi-
caci e veloci con i nuovi arrivati dalle varie regioni
italiane, senza però ghettizzarsi ma fornendo ele-
menti di dialogo con la popolazione locale sia sul
terreno civile sia più strettamente politico nello
spirito di un’espressione molto significativa che si
sente ancora oggi: “Dove mi guadagno il pane, lì è
la mia casa”. I salesiani si sono sempre preoccupati
di tenere la saldatura fra sociale e religioso, fra
pane del corpo e nutrimento dell’anima. Un’im-
postazione che ha sempre permesso largo spazio
al laicato nel campo della carità e della solidarie-
tà del volontariato. Una caratteristica positiva
probabilmente suggerita anche dalla con-
comitante convivenza con la locale Chie-
sa riformata.
Il direttore
don Cosimo
Semeraro riceve le
congratulazioni del
console di Zurigo
per i 120 anni di
presenza salesiana
a Zurigo.
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2.10 Page 20

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LE CASE DI DON BOSCO
«È toccante
pensare che
qui a Zurigo,
proprio dove noi
oggi viviamo e
lavoriamo, don
Rua ha voluto
precederci
santificando questi
luoghi con la sua
stessa presenza.»
Piccola ma determinata
La Missione Cattolica di lingua italiana, compo-
sta da salesiani e da laici, lungo questi anni ha
cercato di fornire una risposta pratica ad una do-
manda pratica: animare gli italiani non spettato-
ri, ma attori della loro convivenza in Zurigo; essi
stessi costruttori di risposte ai problemi del vivere
da “onesti cittadini in quanto buoni cristiani” se-
condo l’insegnamento di don Bosco.
Le difficoltà naturalmente non mancarono so-
prattutto fra le diverse collettività linguistiche
momentaneamente ospitate alla meglio all’in-
terno di una stessa struttura religiosa, soprattut-
to nella benemerita parrocchia cattolica dei SS.
Pietro e Paolo di Aussersihl, dove maggiormente
si concentrava la comunità immigrata dall’Italia.
Urgeva una certa autonomia e disponibilità di
locali propri. La necessità di una chiesa italiana
all’interno della città di Zurigo costituì fin da su-
bito il sogno cullato dai missionari e dagli stessi
fedeli emigranti.
La piccola ma determinata prima Comunità sale-
siana della Missione Cattolica, dopo due anni di
comprensibile precaria residenza, nel gennaio del
1901, sotto la prestigiosa direzione del salesiano
don Giovanni Branda, trovò finalmente l’ago-
gnata soluzione in una casa presa in affitto sulla
Hohlstrasse numero 86. È proprio l’ubicazione
dell’attuale chiesa parrocchiale. Quella che, pur
nei vari rifacimenti e ristrutturazioni, accompa-
gnerà tutte le numerose vicende vissute nell’arco
di questi anni fino ad oggi.
Memorabile dovrà restare, in modo tutto parti-
colare, la visita personale realizzata dal beato Mi-
chele Rua nell’aprile del 1902.
Pur con strutture murarie completamente diverse
e nuove, resterà sempre toccante pensare che qui
a Zurigo, proprio dove noi oggi viviamo e lavo-
riamo, don Rua ha voluto precederci santificando
questi luoghi con la sua stessa presenza. La Mis-
sione Cattolica di Zurigo oltre che rivendicare
nascita e fondazione intimamente legate alle ori-
gini della congregazione salesiana, rimarrà nella
sua esistenza segnata e privilegiata dalla visita
personale di un santo fortemente collegato con lo
stesso don Bosco.
La storia saprà documentare la significatività e la
portata sociale di questi 120 anni di vita salesiana
al servizio della comunità cristiana e dell’emigra-
zione, dalla fine dell’Ottocento ai nostri anni, in
una città europea emblematica per i forti processi
di sviluppo tecnologico e scientifico come Zuri-
go, nel cuore della Confederazione elvetica e di
tutto lo stesso continente occidentale.
Lasciamo ad altri il non facile compito di fare un
bilancio della presenza salesiana in tutti questi
anni: del loro vissuto spirituale, pedagogico, pa-
storale, i successi e i fallimenti, le lungimiranze
e i ripiegamenti, la modernità e l’antimodernità
delle loro scelte. Rimane confortante il fatto che,
nonostante il costante decrescere quantitativo del
numero dei salesiani presenti in Zurigo, ricon-
ducibile a una ben nota crisi vocazionale, rimane
chiaro e costante il crescente coinvolgimento di
collaboratori laici e volontari che operano ispi-
randosi alla cultura, alla spiritualità e al sistema
preventivo di don Bosco.
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Febbraio 2019

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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AVVIENE a
MARIA
AUSILIATRICE
DISEGNI DI LUIGI ZONTA
Continua dal numero precedente
L’orto di Mamma Margherita
Guardando la facciata della casetta, sulla destra c’è
un’altra lapide per ricordare dove Mamma Marghe-
rita aveva creato il suo orto: una risorsa provviden-
ziale per la tavola dei ragazzi.
Un amico di don Bosco, Giuseppe Brosio, era stato bersagliere.
Venendo a Valdocco indossava la divisa militare, che in quei mesi
suscitava entusiasmo e rispetto. Don Bosco gli suggerì di formare
tra i ragazzi un reggimento in miniatura, insegnare manovre e azioni di battaglia. Una domenica, l’esercito «sconfitto»
finì nell’orto di Margherita, e incalzato dai vincitori imbaldanziti pestò lattughe, prezzemoli e pomodori. La «mamma»,
che assisteva al disastro, ne fu molto avvilita.
La sera dopo, Margherita, come al solito, aveva davanti un mucchietto di roba da aggiustare: le lasciavano in fondo al
letto la camicia strappata, i calzoni sdrusciti, le calze con i buchi. E lei doveva affrettarsi accanto al lume ad olio, perché
al mattino non avevano altro da indossare. Don Bosco, lì vicino, la aiutava mettendo le toppe ai gomiti delle giacchette
e aggiustando le scarpe.
«Giovanni» mormorò a un tratto, «non ce la faccio più. Lasciami tornare ai Becchi». Don Bosco fece solo un gesto:
le indicò il Crocifisso appeso alla parete. E quella vecchia contadina capì. Chinò la testa sulle calze con i buchi, sulle
camicie strappate, e continuò a cucire. Non domandò mai più di tornare a casa.
Uccidete don Bosco!
Don Bosco scrive: «Si giudicava ben fatto ogni sfregio
contro il prete e contro la religione. Io fui più volte
assalito in casa e per strada. Un giorno, mentre facevo
catechismo, una palla di archibugio (= vecchio fucile)
entrò per una finestra, mi forò la veste tra il braccio
e le coste, e andò a fare un largo squarcio nel muro».
Si trovava nella cappella Pinardi, e i ragazzi furono
terrorizzati dal colpo improvviso. Toccò a don Bo-
sco (piuttosto scosso dalla fucilata che l’aveva mancato
per un pelo) rincuorarli con parole scherzose: «È uno
scherzo un po’ pesante. Mi dispiace per la veste, che è
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AVVIENE A MARIA AUSILIATRICE
l’unica che ho. Ma la Madonna ci vuole bene». Un ragaz-
zo raccolse il proiettile conficcato nel muro: era una rozza
pallottola di ferro.
«Un’altra volta, mentre io ero in mezzo a una moltitudine
di ragazzi, in pieno giorno un tale mi assalì con un
lungo coltello alla mano. E fu un miracolo se, correndo a
precipizio, potei ritirarmi e salvarmi in camera. Il teologo
Borel scampò pure per miracolo a una pistolettata».
Molti giornali alimentavano l’odio contro i preti. Usciro-
no grossi titoli anche contro don Bosco: «La rivoluzione
scoperta a Valdocco», «Il prete di Valdocco e i nemici della
patria».
Un angelo a quattro zampe
Una lapide ricorda il misterioso cane grigio che divenne
l’angelo custode di don Bosco. È lui stesso a raccontare: «I
frequenti brutti scherzi a cui ero fatto segno mi consiglia-
rono a non camminare da solo nell’andare e venire dalla
città di Torino (allora tra l’oratorio e la città c’era un lungo
tratto di campagna ingombro di cespugli e acacie). Una
sera oscura venivo a casa soletto, non senza un po’ di pa-
nico, quando mi vedo accanto un grosso cane che a primo
aspetto mi spaventò ma facendo moine come se fossi il suo
padrone, ci siamo tosto messi
in buona relazione, e mi ac-
compagnò fino all’oratorio.
Tutte le sere che non ero accompagnato, entrato tra gli albe-
ri, vedevo spuntare il Grigio. I giovani dell’oratorio lo vide-
ro molte volte entrare in cortile. Una volta, spaventati, due
ragazzi lo vollero prendere a sassate, ma Giuseppe Buzzetti
intervenne: «Lasciatelo stare, è il cane di don Bosco».
Difatti, compiendo un largo giro intorno alla tavola,
mi venne vicino tutto festoso. Gli offrii minestra, pane
e pietanza, ma rifiutò tutto. Appoggiò la testa sulla
mia tovaglia, come volesse darmi la buona sera, quindi
si lasciò accompagnare dai giovani sulla porta. Carlo
Tomatis, che in quegli anni frequentava da studente
l’oratorio, testimoniò: «Era un cane di aspetto veramente
formidabile. Molte volte Mamma Margherita vedendolo
esclamava: “Oh la brutta bestiaccia”. Aveva una figura
quasi di lupo, muso allungato, orecchie dritte, pelo grigio,
altezza un metro».
Una sera, testimoniò Michele Rua che vide il Grigio due
volte, don Bosco doveva uscire per degli affari urgenti, ma
trovò il Grigio sdraiato sulla soglia. Cercò di allontanarlo,
di scavalcarlo. Ma sempre il cane ringhiava e lo respinge-
va indietro. Mamma Margherita, che ormai lo conosceva,
disse a suo figlio: «Se t’ veulì nen scouteme mi, scouta almen
’l can; seurt nen (Se non vuoi ascoltare me, ascolta almeno
il cane; non uscire)».
L’angolo delle feste
Su uno dei muri dell’edificio delle camerette è ricorda-
ta una circostanza cara al cuore riconoscente dei figli di
don Bosco. L’iscrizione dice: Qui per circa vent’anni veniva
collocato il palco - sul quale sedeva don Bosco quando l’Orato-
rio festeggiava nel giugno il suo onomastico - con solenni ac-
cademie - che si svolgevano all’aperto in questo cortile. Il 24
giugno era il giorno onomastico di don Bosco. I ragazzi
e gli animatori organizzavano dei veri eventi memorabili.
Fecero addirittura osservare a don Bosco che la sua festa
era troppo “grandiosa”. Lui rispose: «Anzi queste feste dei
giovani mi piacciono, perché fanno loro molto bene, eccitando
in loro il rispetto e l’amore verso i superiori». Con il solito
acume pedagogico, don Bosco aveva capito che in realtà
quelle feste servivano ai suoi ragazzi per crescere in una
delle virtù più preziose: la riconoscenza. E in una di queste
feste, ci regalò la «ricetta della santità».
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Eccola: Primo: allegria. Ciò che ti turba e ti toglie la pace
non viene da Dio. Secondo: i tuoi doveri di studio e di pietà.
Attenzione a scuola, impegno nello studio, impegno nella
preghiera. Tutto questo non farlo per ambizione, ma per
amore del Signore. Terzo: far del bene agli altri. Aiuta i tuoi
compagni sempre, anche se ti costa sacrificio. La santità
è tutta qui».
Nel 1855, si fece festa grande all’oratorio, come tutti gli
anni. Don Bosco, per ricambiare l’affetto e la buona vo-
lontà, disse: «Ognuno scriva su un biglietto il regalo che
desidera da me. Vi assicuro che farò tutto il possibile per
accontentarvi». Quando lesse i biglietti, don Bosco trovò
domande serie e sensate, ma trovò anche richieste stra-
vaganti che lo fecero sorridere: qualcuno gli chiese cento
chili di torrone «per averne per tutto l’anno». Sul biglietto
di Domenico Savio trovò cinque parole: «Mi aiuti a farmi
santo».
Don Bosco prese sul serio quelle parole. Chiamò Dome-
nico e gli disse: «Ti voglio regalare la formula della santità.
La chiesa di san Francesco di Sales
La cappella Pinardi era stata ingrandita, ma i ragazzi non
ci stavano nemmeno fosse stata a tre piani. Inoltre «siccome
per entrarvi bisognava discendere due gradini – scrive don
Bosco –, d’inverno e in tempo piovoso eravamo allagati,
mentre di estate eravamo soffocati dal caldo e dal tanfo
eccessivo». Con incredibile coraggio, don Bosco decise di
costruire una chiesa più grande, dedicata a san Francesco
di Sales. I soldi furono il grande rompicapo. Don Bosco
bussò a tutte le porte conosciute e a molte altre. La co-
struzione di questa chiesa costò molte umiliazioni a don
Bosco e anche i ragazzi diedero una mano ai muratori. La
chiesa fu consacrata il 20 giugno 1852. Essa sorge ancora
all’estremità della casa Pinardi, un po’ umiliata dalla gran-
dezza della Basilica di Maria Ausiliatrice che arriva fino a
tre metri dalla sua porta. È la «Porziuncola» salesiana. Tra
queste mura per 16 anni (dal giugno 1852 al giugno 1868)
batté il cuore dell’opera di don Bosco. Il giovanissimo san
Domenico Savio veniva qui a pregare. Davanti all’altarino
della Madonna, sulla destra, si consacrò a lei. In questa
chiesa approdarono Michele Magone, il monello di Car-
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3.4 Page 24

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AVVIENE A MARIA AUSILIATRICE
magnola, e Francesco Besucco, il ragazzino dell’Argentera
che nel 1863 rinnovò la bontà eroica di Domenico Savio.
Qui disse la sua prima messa don Michele Rua. Per quat-
tro anni frequentò questa chiesa, e più volte al giorno,
Mamma Margherita, sempre più vecchia e stanca. Trova-
va qui la forza di ricominciare ogni giorno a lavorare per i
ragazzi poveri.
il cesto con il pane da distribuire ai ragazzi. L’incaricato
arrivò trafelato e disse a don Bosco: «Ci sono pochissime
pagnotte!». «Mettetele nel canestro. Verrò io stesso a di-
stribuirle» rispose tranquillo don Bosco.
«Vicino alla porta che aprivasi dopo l’altare della Madonna»
racconta Francesco Dalmazzo, «stava già il canestro del
pane. Io, riandando nella mente ai fatti miracolosi uditi
sul conto di don Bosco, e preso dalla curiosità, mi andai
a collocare in luogo conveniente per vedere cosa sarebbe
capitato. Quando arrivò don Bosco, presi una pagnotta
per primo, guardai nel cesto, e vidi che conteneva una
quindicina o una ventina di pagnottelle. Quindi mi
collocai inosservato proprio dietro a don Bosco, sopra il
gradino, con tanto di occhi aperti. Don Bosco iniziò la
distribuzione. I giovani gli sfilavano davanti, contenti di
ricevere il pane da lui, e gli baciavano la mano, mentre egli
a ciascuno diceva una parola o dispensava un sorriso. Tutti
gli alunni, circa quattrocento, ricevettero il loro pane.
Finita quella distribuzione, io volli di bel nuovo esaminare
la cesta del pane, e con mia grande ammirazione constatai
che nel canestro c’era la stessa quantità di pane che c’era
prima».
Dio è vicino
Presso la porta laterale della
chiesetta di san Francesco di Sa-
les è ricordato il prodigio della
moltiplicazione delle pagnottel-
le. Presso questa porta - don Bosco
operò il prodigio - della moltiplica-
zione dei pani - da lui distribuiti ai
giovani - dopo la santa Messa - un
mattino del novembre 1860.
Dio è sempre vicino ai suoi figli.
Don Bosco lo sapeva benissimo.
Per questo la sua vita è piena di
“miracoli quotidiani”. Questo ha
avuto un testimone eccezionale.
Francesco Dalmazzo, un giova-
ne di 15 anni che aveva appena
deciso di andarsene dall’Orato-
rio. Accanto a questa porta c’era
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neI grande cuore di
VALDOCCO OSPITALITÀ a
VALDOCCO
c’è aria di famiglia
Da tutto il mondo vengono per conoscere don Bosco, la sua storia,
il suo primo oratorio, le chiese da lui costruite, la “culla” dei Salesiani.
TQRUOI VATE
Ospitalità familiare e accurata
per singoli, famiglie, parrocchie,
scuole e gruppi
Camere, aree di ristoro e saloni
per tutte le esigenze
Per una giornata o per più giornate
Sito: http://basilicamariaausiliatrice.it
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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Villa Lampe
«Per essere sempre
in mezzo ai giovani»
Incontro con don Franz-Ulrich Otto
È stato Vicario
dell’Ispettoria tedesca
e ora è Direttore della
casa salesiana di Berlino,
è stato insignito con il
distintivo d’onore della città
di Heilbad Heiligenstadt
a motivo del suo lungo
servizio ai giovani
attraverso “Villa Lampe”,
un magnifico esempio
della creatività salesiana
a servizio dei giovani.
È orgoglioso del premio
che ha ricevuto dalla città
di Heilbad Heiligenstadt?
“Villa Lampe” può essere
considerata una forma
attuale dell’Oratorio
salesiano?
Certo, sono molto felice che il nostro
lavoro con i giovani di Heiligenstadt
e della zona circostante abbia risposto
alle necessità di tanti giovani e che noi
possiamo essere un sostegno affidabile
per loro, nell’ambito di attività ricrea-
tive come il gioco e lo sport, ma anche
a livello di viaggi e progetti. I temi e i
contenuti cambiano molto velocemen-
te, ma è importante essere una presen-
za costante, pronta all’ascolto e a inte-
ressarsi della vita dei giovani. I giovani
con la loro esperienza concreta, con le
gioie, i dolori, i desideri e le domande
di cui sono portatori devono essere al
centro della nostra attenzione. Penso
che oggi possiamo ritenere che questo
sia l’aspetto essenziale di un oratorio
salesiano.
Perché ha fondato
“Villa Lampe”?
Dopo i cambiamenti politici (la Tu-
ringia si trova nell’ex Repubblica De-
mocratica Tedesca), come Salesiani
di Don Bosco in Germania abbiamo
affrontato le sfide che arrivavano dalle
aree che avevano fatto parte della Ger-
mania dell’Est. Nel 1991, poco dopo la
riunificazione, arrivò da Heiligenstadt
una richiesta di disponibilità da parte
nostra a intraprendere qualche inizia-
tiva per i giovani, che erano partico-
larmente sconcertati dai cambiamenti
in atto. Abbiamo affrontato questa
sfida anche nella consapevolezza di
non essere qui in qualità di esperti,
ma nella disponibilità ad apprendere,
ascoltare, vedere, per capire i giovani
e la loro situazione di vita. Prima di
tutto li abbiamo dunque coinvolti nel-
la progettazione e nella realizzazione,
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ma abbiamo anche lavorato insieme a
organizzazioni religiose e civili. Era-
vamo presenti con tre Salesiani. Ci
siamo posti varie domande, abbiano
elaborato idee e poi le abbiamo realiz-
zate insieme a tutti gli interessati.
Quali priorità vi siete
proposti?
Abbiamo iniziato il nostro lavoro con i
giovani proponendo una realtà che ri-
chiama un oratorio salesiano con ampi
orari di apertura tutti i giorni della
settimana. Dato che, come Salesiani,
viviamo nella casa, fin dall’inizio ab-
biamo potuto offrire ai giovani la pos-
sibilità di rivolgersi a noi 24 ore su 24
quando hanno problemi, anche nel bel
mezzo della notte, se necessario. Que-
sta nostra disponibilità è unica, non è
offerta da altri, ma è molto utile per
i giovani che si trovano in situazio-
ni critiche. Questa possibilità è stata
utilizzata e lo sarà ancora. Soprattutto
«Fin dall’inizio abbiamo potuto offrire ai giovani
la possibilità di rivolgersi a noi 24 ore su 24,
quando hanno problemi, anche nel bel mezzo
della notte, se necessario. Questa nostra
disponibilità è unica, non è offerta da altri,
ma è molto utile per i giovani».
per i giovani che non ricevono atten-
zione dai loro genitori, questo luogo di
incontro affidabile è molto importan-
te e offre stabilità e sicurezza. Questa
sede di incontro, che permette di in-
tervenire in modo costruttivo a favore
dei giovani che affrontano situazioni di
vita difficili, è sempre stata ed è tutto-
ra la realtà principale di Villa Lampe.
Siamo così sempre vicini alla vita dei
giovani e possiamo conoscere in tempi
brevi le loro necessità. Abbiamo pen-
sato di conseguenza varie altre prio-
rità per il nostro lavoro. Abbiamo così
ideato il lavoro sociale scolastico e atti-
vità per i giovani che non frequentano
la scuola e oggi operiamo in numerosi
istituti scolastici della città e dei din-
torni. Lavoriamo inoltre per i giovani
che si spostano con frequenza sempre
maggiore per motivi di lavoro e in tut-
ta la zona circostante è stato istituito
un servizio di protezione per bambini
e giovani, con servizi di prevenzione
e assistenza concreta per le situazioni
di immediata necessità. Nell’ambito
del lavoro con i giovani, per diversi
anni abbiamo percorso i piccoli paesi
di questa zona con un vecchio pullmi-
no e abbiamo elaborato iniziative per i
giovani delle zone rurali; ne sono nate
circa venti associazioni giovanili di
cui ci prendiamo cura. Nel corso degli
anni, sono state proposte varie tipolo-
gie di ospitalità per giovani, anche per
minori non accompagnati. Diversi Sa-
lesiani sono anche impegnati in grup-
pi e progetti che offrono assistenza
spirituale ai giovani. I giovani hanno
quindi varie opportunità per ogni am-
bito della loro vita e nello stesso tempo
ciò significa che Villa Lampe, con la
piccola comunità dei Salesiani di Don
Bosco che vive qui, per molti giovani
è un punto di riferimento e una casa.
Siamo diventati un volto della Chiesa
per i giovani, anche per quelli che non
hanno ancora sentito parlare di Cristo.
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L’INVITATO
Come valuta
la collaborazione
con il personale laico?
Pur essendo la colonna portante di
Villa Lampe, la comunità dei Salesiani
di Don Bosco è affiancata da un am-
pio gruppo di collaboratori laici, senza
i quali l’espansione e lo sviluppo dell’i-
stituzione non sarebbero stati possibili.
Oggi lavorano dunque insieme profes-
sionisti nell’ambito della pedagogia,
terapeuti e personale amministrativo
e tecnico. Grazie a un’attenta selezio-
ne, a seminari e a corsi di formazione
e di aggiornamento che proponiamo a
cadenze regolari e con cui affrontiamo
le problematiche attuali alla luce del-
lo spirito di don Bosco, costruiamo le
basi per dare una risposta alle molte-
plici necessità dei giovani. Abbiamo
anche compiuto diversi viaggi al Colle
Don Bosco e a Torino, che sono molto
utili per formare un’identità impronta-
ta al pensiero di don Bosco. Possiamo
dunque dire quanto oggi i nostri col-
laboratori laici, insieme ai Salesiani di
Don Bosco, non solo sostengano, ma
condividano i nostri obiettivi.
Come vede il futuro
della Congregazione
Salesiana in Germania?
Dato che sono stato vicario ispetto-
riale alla guida dell’Ispettoria tedesca
per dodici anni, dal 2005 al 2017, e
nell’arco di questo periodo le mie
priorità di lavoro sono state il soste-
gno e lo sviluppo delle nostre varie
strutture educative e l’attenzione per i
nostri collaboratori, ho una panorami-
ca piuttosto ampia delle nostre opere
in Germania. Nel vasto ambito delle
nostre attività rientrano il sostegno
all’istruzione, con modalità costanti o
specifiche, varie tipologie di scuole (di
istruzione secondaria, corsi professio-
nali e scuole speciali), la realizzazione
di progetti di sostegno nell’ambito del
lavoro per i giovani, centri di forma-
zione professionale, centri di forma-
zione per giovani, strutture per dare
assistenza ad allievi di varie età, ostelli
per la gioventù, opere a favore dei gio-
vani rifugiati, forme di assistenza spi-
rituale specifiche per giovani e vari ul-
teriori progetti. Ci impegniamo anche
all’interno di numerose parrocchie,
L’ingresso e (sotto) uno dei saloni per i giovani.
nella nostra procura missionaria e in
quella di Benediktbeuern, in Baviera,
con varie istituzioni educative. La sede
di Istanbul, in Turchia, poco tempo fa
è entrata a far parte della nostra Ispet-
toria: questa è una sfida e un’opportu-
nità. Le nostre varie attività sono per
la maggior parte materialmente svolte
da collaboratori che condividono le
nostre finalità. L’impegno costante
per proporre seminari introduttivi in
tutta l’Ispettoria e varie iniziative di
formazione e approfondimento, uni-
tamente al sostegno sul campo, ha
contribuito a creare un senso di ap-
partenenza. Naturalmente, in questo
ambito sono necessari momenti di
formazione e di riflessione costanti
per fare in modo che questa adesione
sia sempre più sentita, in particolare
quando nuovi collaboratori entrano a
far parte delle nostre realtà. Le idee di
don Bosco sono accolte e riconosciute
ben al di là dell’ambito della Chiesa
e suscitano notevole interesse anche
nelle zone che in passato facevano
parte della Repubblica Democrati-
ca Tedesca, in cui non erano diffuse
esperienze di socializzazione impron-
tate allo spirito cristiano. Sebbene il
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numero dei Salesiani di Don Bosco in
Germania continui a diminuire, vedo
ancora un futuro incoraggiante per le
nostre attività, grazie al sostegno dei
nostri collaboratori qualificati e mo-
tivati.
Com’è nata la sua
vocazione salesiana?
Mi sembra che i semi della mia voca-
zione salesiana risalgano alla mia fa-
miglia, che condivideva la fede cristia-
na, ma anche alla spiritualità diffusa
nel movimento scout tedesco di cui fa-
cevo parte e che per me costituiva una
seconda casa in aggiunta a quella dei
miei genitori. L’autentica esperienza di
fede che vivevo e l’incoraggiamento a
riflettere sulle mie capacità e sul mio
posto nel mondo e nella Chiesa mi
portarono a interrogarmi su che cosa
potessi fare della mia vita. Crebbe così
in me l’idea di diventare sacerdote e di
lavorare con i giovani. Conobbi don
Bosco e i suoi figli spirituali quando
incontrai un mio lontano parente Sale-
siano di Don Bosco. Compresi subito
che cercavo proprio un’integrazione tra
il sacerdozio e il lavoro con i giovani,
anche se in realtà non volevo diventare
religioso. Il pensiero di mettere la mia
vita al servizio dei giovani però non mi
abbandonava e capii presto che avevo
sempre voluto questo. E ancora oggi
non ho alcun dubbio.
Perché è così difficile
per i giovani oggi vivere
secondo la fede?
Vedo due serie motivazioni. In primo
luogo, la nostra società oggi suggerisce
che l’azione, il divertimento e il suc-
cesso siano gli elementi essenziali da
perseguire, ma senza valori e ideali
alla base, bensì per una pura e sempli-
ce soddisfazione individuale. D’altra
parte, i giovani nella nostra Chiesa
trovano un mondo completamente
diverso, in cui non hanno un ruolo, e
una lingua a loro sconosciuta. E non
c’è quasi nessuno che costruisca ponti,
in particolare perché il pensiero domi-
nante vuol fare credere che la Chiesa
e la fede facciano parte del passato.
Purtroppo, gli esempi costruttivi au-
tentici e convincenti sono troppo po-
chi per contrastare questo pensiero. Il
papa regnante, Francesco, è un nuovo
segno di speranza. In generale, mi
sembra importante ascoltare ciò che
i giovani dicono, pensano e sentono.
E dobbiamo credere in loro, pensare
che siano importanti, che ognuno di
loro sia necessario, perché ognuno ha
capacità diverse di cui non possiamo
fare a meno. Abbandonare qualcuno
significa opporre un rifiuto a Dio, per-
ché ognuno è creato e voluto da Dio, il
nostro Creatore, ed è dotato di talenti
necessari in questo mondo. Credere in
ogni giovane, in particolare in coloro
che risultano svantaggiati, è essenziale
per la nostra credibilità. Poiché visse
proprio questo, don Bosco oggi è all’a-
vanguardia e le sue idee sono più che
mai necessarie.
La sua esperienza
è preziosa. Che significato
ha per la nostra
Congregazione Salesiana?
Sono convinto che ogni Salesiano,
come chiunque sia ispirato dalle idee
di don Bosco, acquisisca un’esperien-
za preziosa per avvicinarsi ai giovani,
perché ascoltare i giovani e stare loro
vicini apre dimensioni sempre nuove
della meravigliosa creazione, poiché
ogni essere umano è unico ed è im-
magine del nostro Creatore. Ogni
relazione con un essere umano è dun-
que un nuovo viaggio di scoperta che
dovremmo intraprendere, altrimenti
non diamo la risposta opportuna. Mi
sembra che la chiave della pedagogia
nello spirito di don Bosco sia l’atten-
zione per il valore e la dignità di ogni
individuo, che si esprime nell’imma-
gine cristiana dell’essere umano. E
mi sembra che la nostra sfida di oggi
consista nel portare questa visione nel
mondo e non solo nella Chiesa.
Credere in ogni giovane, in particolare
in coloro che risultano svantaggiati,
è essenziale per la nostra credibilità.
Poiché visse proprio questo, don Bosco
oggi è all’avanguardia e le sue idee
sono più che mai necessarie
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LA NOSTRA STORIA
ANTONIO COLBACCHINI
DISEGNI DI LUIGI ZONTA
Il segreto del QuestadidonAntonio
Colbacchini è senza dubbio
una delle più belle pagine
cacico Major della prima Colonia fondata
dai Missionari Salesiani
fra i Bororos
del Mato Grosso.
«Raccontami», dissi. «Perché dici che Dio nostro
Signore ci aiutò e protesse tanto che non avete potuto
ammazzarci?»
Colonia S. Cuore di Gesù, 19 marzo 1917
A matissimo don Albera, è
nella memoria di molti il ri-
cordo delle gesta sanguinarie
dei selvaggi Bororo sulle rive
del maestoso fiume Ara-
guaya e del San Laurenço e
sulla strada commerciale e telegrafica
che unisce ad oriente la capitale del
Mato Grosso, Cuiabá, con la capita-
le dello Stato di Goya, e San Paolo e
Rio de Janeiro. Scorazzavano, depre-
davano, gettando ovunque la morte e
lo sterminio.
Nel profondo silenzio della foresta
echeggiava il suono cupo, prolunga-
to della poari, ove il capo soffiava a
pieni polmoni per chiamare attorno
a sé i suoi uomini e parlar loro. Era il
segnale della riunione. Nell’oscurità
della notte, uno a uno uscivano i fieri
selvaggi dalle loro capanne e là, ove
la macchia era più rara, si accocco-
lavano intorno ad un fuoco, che con
guizzi rossastri rischiarava la scena
selvaggia. A un segnale del cacico
tutti fanno silenzio, e questi, a voce
alta, certo dell’immunità del segre-
to, sicuro che la foresta sconosciuta
e impenetrabile e le tenebre stesse
rendevano inviolabili le sue parole,
prendeva a parlare: «Avete forse di-
menticato quanto la razza maledetta
dei civilizzati, bianchi e neri, hanno
fatto per noi? Essi ci hanno rapinato
le nostre donne ed i nostri figli, han-
no sparso il sangue dei nostri padri,
il sangue delle nostre madri, il san-
gue dei nostri fratelli, il sangue delle
nostre sorelle. Noi abbiamo versato
già il loro sangue, ma l’ira nostra non
è placata ancora; il sangue dei nostri
parenti grida vendetta ancora. Essi, i
ladri, non paghi di averci tolti i nostri
cari, vogliono rapirci il nostro terre-
no. Son nostre queste foreste, son
nostri questi campi, son nostri questi
fiumi, perché qui erano i nostri anti-
chi, qui nacquero e morirono i nostri
padri, qui siamo nati noi. Noi vo-
gliamo star qui, qui accanto alle ossa
dei nostri padri, qui hanno a giacere
anche le nostre ossa. Essi invece vo-
gliono rapirci quel che è nostro, essi
vogliono distruggerci, essi ci perse-
guitano come fossimo tigri e bestie
feroci. Ma noi faremo loro, quello
che essi fanno a noi; anzi, più anco-
ra. Non abbiate paura; è il sangue dei
nostri parenti che grida vendetta; an-
diamo dunque a vendicarli».
Al grido del cacico bolliva il sangue
nelle vene di questi indi; la voce di lui
era scintilla che destava sempre gran
fuoco.
Ed è di questo cacico, del cacico Ma-
jor, che godeva tanto ascendente e
aveva tanto prestigio nell’animo dei
compagni, che voglio scriverle, amato
Padre.
Major, selvaggio di natura, era sel-
vaggio pur nell’aspetto; ma, sotto ap-
parenze così rudi e fiere, possedeva
un cuor d’oro. Alto di statura, mo-
strava nella persona, nel portamento
e nella parola la fierezza del suo ca-
rattere. Cieco dell’occhio sinistro, fe-
rito durante la caccia, con gli zigomi
sporgenti, il naso schiacciato, padre
di cinque figli, arrivò in questa Co-
lonia del Sacro Cuore dalle foreste del
Rio das Mortes, nel 1903.
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Febbraio 2019

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Major aveva un figlio che amava e
stimava. Buono ed intelligente, il
ragazzo veniva a trovarci molte vol-
te e passava il giorno in casa nostra.
Il giovanetto fu istruito e battezzato
con il nome di Michele Magone il
10 giugno 1904, continuò a rimane-
re con noi, attirando a noi molti suoi
compagni, che formarono il Collegio
della Missione e raccolsero le cure più
tenere dei Missionari.
Nell’anno 1908, in occasione dell’E-
sposizione Nazionale in Rio de Ja-
neiro, ventuno dei nostri, piccoli indi
Bororo, istruiti e preparati in modo
da formare una piccola banda musi-
cale, si esibirono a San Paolo e Rio de
Janeiro, davanti alla più colta società
brasiliana. Ma proprio in quei giorni
un laconico telegramma ci annunziò
la morte di tre dei ragazzi, tra cui, due
figli del Cacico!
Il povero Major, privo dei figli, non
lasciò né diminuì il suo affetto né la
sua stima per i missionari. Cercò anzi
di divenir ancor più buono per poter
ricongiungersi con i suoi cari. Fu bel-
lo e commovente, quando al ritorno
di tutta la squadra il povero Major,
privo della consolazione di abbraccia-
re gli amati figli, fu veduto, lacriman-
te, approssimarsi al nostro don Malan
ed affettuosamente abbracciarlo con
tutto l’affetto con cui avrebbe abbrac-
ciato i suoi.
La buonanotte di Major
È costume di questi selvaggi che gli
uomini si radunino alla sera nel mezzo
del villaggio e, là seduti o sdraiati,
vicendevolmente si raccontino le gesta
della giornata. Ma in realtà l’adunata
si fa per ascoltare la parola del loro
Cacico che, in piedi nel mezzo, ad
alta voce e in tono oratorio tutto loro
proprio, parla a tutti. Il nostro buon
Major se ne approfittò cristianamente.
Quasi tutte le sere, alzando la sua voce
Febbraio 2019
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4.2 Page 32

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LA NOSTRA STORIA
forte e robusta, ripeteva quanto aveva
sentito e imparato durante il giorno,
consigliava, ammoniva tutti al bene,
trasmetteva molte volte ordini ed
avvisi ricevuti, facendosi il miglior
interprete fra noi e i selvaggi, ed
essendo di forte aiuto per conservare
reciprocamente amichevoli relazioni.
C’era una domanda che volevo assolu-
tamente fare al Cacico. Un giorno fi-
nalmente lo affrontai. «Major, perché
dici che Dio nostro Signore ci aiutò
e protesse tanto che non avete potuto
ammazzarci?»
Major rimase un po’ perplesso, quasi
dubitando, mi guardò fisso, poi sog-
giunse: «Ascolta». Il suo viso prese
un’espressione di gravità solenne.
Mi diede ancor un lungo sguardo
penetrante, quasi per indagare l’im-
pressione che mi faceva l’annunciata
rivelazione di un segreto gelosamen-
te custodito fino a quell’istante, io
insistei: «Conta, conta, Jogua (Padre
mio)». Ed egli: «Sì, itonareghedo! (fi-
glio mio) quando voi veniste in questa
terra, per molto tempo non ci avete
visti, né pensavate che eravamo qui a
voi vicini. Ma non era così: noi vi ave-
vamo osservati e conoscevamo bene la
vostra venuta.
Forse non era ancor passata la prima
luna del vostro arrivo e noi sapevamo
tutto. Ma non ci lasciammo vedere; e
di giorno e di notte volemmo osser-
vare tutto e prendere visione di tutto.
Una sera, radunati come al solito in
mezzo alla foresta, si venne a trattare
se dovevamo permettere la vostra ve-
nuta e lasciarvi in pace, o se era me-
glio farla finita anche con voi, con il
mettere tutto a fuoco. I pareri erano
divisi: chi diceva di sì, chi diceva di
no, ma i più dicevano: “Aspettiamo
ancora: proviamo direttamente se
sono buoni o cattivi”.
Però alcuni non volevano ascoltare al-
cuna ragione e insistevano per darvi
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Febbraio 2019

4.3 Page 33

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l’assalto ed uccidervi. Alla fine si pre-
se questa risoluzione: “Domani fare-
mo una ricognizione più esatta”. E il
giorno dopo ci approssimammo ancor
più alle vostre capanne ed abbiamo
visto (se non vuoi credere, domanda
a tutti e vedrai che dico la verità) ab-
biamo visto uno di voi sul tetto della
casa che stava aggiustando non so che
cosa. Padre Balzola era nella capanna
seduto al tavolino; un altro a poca di-
stanza dalla casa; gli altri, chi di qua,
chi di là, separati attendevano a varie
faccende.
Uno di noi, Clemente, che tu cono-
sci, vedendovi così divisi, disse ad un
compagno: “Tu freccia quello che è là
sul tetto; io, di qui, con la mia freccia
trapasserò il cuore di quello che sta là
dentro; gli altri pensino ad ammazza-
re gli altri”.
Ma il Signore era con voi e nessuno si
mosse; anzi ci opponemmo e io dissi:
“Non sei tu il capitano per dar ordini;
non ci sono forse io? E poi, sai tu che
questi siano buoni o cattivi?” L’altro
rispose: “Siano chi si vuole e come si
vuole, poco m’importa; questo è cer-
to che sono civilizzati e perciò non
dobbiamo aver compassione di loro”.
Allora io feci: “Domani, con quattro
compagni, io andrò là direttamente,
voi vi dividerete in tre gruppi, il primo
a destra, l’altro a sinistra, il terzo die-
tro la capanna, e non troppo vicino.
Resterete il più possibile nella fore-
sta; ed io mi presenterò e vedrò come
sono e chi sono. Voi state attenti, ma
tranquilli. Se vedrete alzarsi una co-
lonna di fumo, è segno che, avvenuto
l’incontro, mi son ritirato soddisfatto,
che tutto sta bene, che sono buoni,
che ci vogliono bene, che non ci fa-
ranno male; e nessuno perciò li deve
toccare, nessuno deve lanciar loro una
freccia, nessuno deve presentarsi. Io
poi vi attenderò tutti nella foresta, qui
vicino al fiume, e vedremo il da farsi.
Avete capito?”.
La Madre
dello Spirito buono
Unanime fu l’approvazione. Al finire
di queste parole, tutti ci alzammo e
cominciammo il canto che voi chia-
mate con il nome generico di Bacu-
rurù, che durò fino all’alba.
Così passò la notte ed al mattino,
presto, ciascuno prese il suo arco e le
sue frecce, e se ne andò al posto as-
segnato, pronto a qualunque evento.
Il resto tu lo sai meglio di me. Tutti
videro alzarsi il fumo, il segno conve-
nuto di pace.
Riunitici nuovamente al luogo in-
dicato, chi vi aveva incontrato disse:
“Compagni, non pensiamo male.
Questi civilizzati, non sono come gli
altri. Sono buoni e ci vogliono bene.
Io non so che cosa ho sentito e vedu-
to, è certo che mai ho provato cosa
simile. E a me parve che il loro Spi-
rito abbia detto che non dobbiamo né
temere, né far nulla di male, che sono
buoni, che dobbiamo fidarci di loro
e con loro rimanere. Uno, che chia-
mano Padre, mi parlò tanto bene e si
mostrò così buono, che dissi tra me:
‘No, questi non sono come gli altri
civilizzati!’ E fu il Padre che mi par-
lò dello Spirito buono, me lo mostrò;
lo aveva su un gran foglio. Ho visto
anche un altro Spirito, che chiamano
Maria, così bello, così attraente, che
io non potei resistere all’influenza
sua. Io lo guardava, ed esso pure mi
guardava, pareva che volesse parlare
e sorrideva a me, tanto che io rimasi
fuori di me e dissi: ‘Ma guarda, pare
che mi conosca, non ha paura di me’.
E udii la voce sua che mi diceva: ‘Non
far male a questi che sono miei. Va’!
parla ai tuoi compagni; di’ loro che
non abbiano paura, che vengano qui,
che stiano qui, che tutto di bene e
di buono riceveranno da questi, che,
solo per i Bororos, per voi, sono ve-
nuti qui!’. Io domandai chi era ed il
Padre mi disse che si chiama Maria,
la Madre dello Spirito buono, che si
chiama Gesù. Io non so come, ma mi
sento cambiato, non sono più quel di
prima e, come ha detto il Padre, vo-
glio andare a chiamare i nostri com-
pagni perché vengano a stabilirsi tutti
qui. Vedete che noi siamo pochi, i
nostri piedi sono stanchi di correre e
di cercare un rifugio come lo cerca il
giaguaro che noi perseguitiamo. Le
nostre frecce si spuntano e si rompo-
no. I tempi della nostra felicità se ne
sono andati! Che sia ora che tornino a
sorriderci nuovamente?”
Quella notte fu un lungo commen-
tare; chi non voleva credere e ancor
dubitava; chi diceva che voi ci avre-
ste ingannati e con il tempo ci avreste
trattati male ed uccisi; chi diceva il
contrario.
Infine, tutti, contenti e soddisfatti,
approvarono la risoluzione di lasciarvi
in pace, di fidarsi di voi e si disposero
a partire il giorno seguente per recar-
si ad annunziare ai compagni ed alle
famiglie il fatto, e ritornare poi tutti
assieme, come difatti si fece...».
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
RAGIONIAMO
Il picchio deve la sua salvezza al fatto di usare la testa. Vale anche per l’uomo. I goal
della vita si fanno, utilizzando il cervello. Ragioniamo! È pericoloso lasciar vincere i folli!
2 Bambini al guinzaglio.
Non stiamo esagerando?
Vi sono piccoli che
indossano un braccialetto.
No, non è un cinturino
o un orologio, ma un
sensore. Quando il pargolo
si allontana dal campo
visivo il ricevitore di cui
è munita la mamma, si
mette a suonare. Allarme
rosso! La madre scatta
e intercetta il piccolo
che voleva godersi uno
spicchio di mondo.
Purtroppo non è fantascienza.
Un celebre marchio di appa-
recchi elettronici di casa, ha
pubblicizzato il braccialetto
elettronico per piccoli. Bam-
bini pilotati, diretti, dipen-
denti al 100%!
A tutti è noto il guinzaglio del cane
che si allunga – non più di tanto! –
regalando un breve spazio di libertà
all’animale. Alcuni criminali recidivi
sono, oggi, muniti di un bracciale per
controllarne gli spostamenti.
Ebbene, anche se può essere urtante,
l’onestà ci impone di dire che siamo
arrivati a trattare i bambini come i
criminali ed i cani!
Ragioniamo
Non è tempo di dire che le mamme
‘elicottero’, le mamme ‘ vinavil’, anche
se pensano di amare il loro bambino,
in realtà, lo annientano?
Non è tempo di smettere di trattare
i piccoli come le statuine del presepio
che possono godersi un po’ di luce solo
una quindicina di giorni all’anno?
“C’è in Italia un piagnisteo sui pericoli
dei bambini che rasenta l’idiozia”, so-
stiene Roberto Volpi.
Questo per il guinzaglio elettronico.
In realtà vi è un secondo tipo di guin-
zaglio non meno inaccettabile: si trat-
ta del ‘guinzaglio verbale’: il guinzaglio
delle parole.
Non toccare!”. “Non correre!”. “Sta’ al
sole!”. “Non stare al sole!”. “Attento che
cadi!”: “Te l’avevo detto che cadevi!”.
“Mettiti la maglia!”. “Togliti la ma-
glia!”.
Ecco: bambini pilotati dal tassativo
guinzaglio verbale.
A questo punto il ragionamento arri-
va al sodo.
Privare il piccolo di ogni forma di au-
tonomia, è rubargli la vita!
Tutti sanno che il bambino è avido di
vivere.
Ha gli occhi e vuole vedere.
Ha le orecchie e vuole aprirle.
Ha mani e vuole manipolare.
Ha gambe e vuole usarle.
Dire ad un bambino “Non muovere!”,
non toccare!” è come dirgli “Muori!”.
Ha tutte le ragioni la psicologa Anna
Oliverio Ferraris a sostenere che “In
nessun’epoca il bambino è stato tanto
inattivo come oggi!”.
Il bambino ha diritto all’aria
libera: in gabbia muore!
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4.5 Page 35

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«TUTTO DA SOLO!»
Il risponditore
automatico
L’esperto Jesper Juul sostiene che i
genitori devono abbandonare il “ri-
sponditore automatico”, lo strumento
che, appena i figli sono a portata di
orecchio, attacca con i soliti commen-
ti educativi, di aiuto o di consiglio.
È evidente che la maggior parte dei
figli già all’età di tre anni smette di
ascoltare la macchina parlante, mentre
la maggior parte dei genitori dimentica
per quali risposte l’aveva programma-
ta. Di solito il nastro contiene un’ac-
cozzaglia di “saggezza ricevuta”, che ci
arriva dai nonni, frammista a consigli
più o meno attuali letti su qualche ri-
vista o sentiti in televisione.
«Ma il fatto che lo strumento sia au-
In un corridoio di un centro di rieducazione per bambini affetti da disabilità più o meno gravi,
un bambino con le gambe inerti, imprigionate da ingombranti tutori di metallo, si trascinava
rimanendo seduto sul pavimento, sbuffando e piagnucolando.
«Tiziana, tirami su!» frignava stizzito verso la giovane volontaria che lo guardava sorridendo
al fondo del corridoio, a braccia spalancate.
«Aiutami!» piangeva il bambino. Ma la ragazza sorrideva e non si muoveva.
Furioso, con le lacrime agli occhi, il bambino puntò le braccia con tutte le sue forze, con uno
sforzo immane costrinse le sue gambe a piegarsi finché si alzò in piedi e traballando, a passo
di formica, cominciò a percorrere il corridoio.
Dopo un tempo interminabile, arrivò dalla ragazza che lo aspettava sempre sorridente, con
le braccia aperte.
Il bambino si buttò in quelle braccia gridando: «Tutto da solo! Hai visto? Ho fatto tutto da solo!».
La ragazza lo strinse a sé piangendo e rimasero così un bel po’. Tutti quelli che passavano
guardavano stupiti quel momento di pura felicità di una ragazza e un bambino che piange-
vano abbracciati.
tomatico non significa che sia inno-
cuo; tutt’altro. Le parole in sé possono
sembrare abbastanza inoffensive, ma
il messaggio sottostante è distruttivo:
“Tu non sei in grado di funzionare
come un figlio decente/responsabile/
beneducato/collaborativo se io non ti
metto in testa ogni minuto quello che
devi fare!”. O, come dicevano i miei
genitori: “Dovresti ringraziare il cie-
lo che ci siamo noi! Altrimenti come
finiresti?!”. E quanto più il nastro lo
ripete, tanto più il messaggio viene
registrato.
La capacità dei figli di esprimere e
praticare il loro senso di responsabilità
cresce con l’età, e la
stessa cosa avviene per
gli adulti, i migliori
dei quali sono pronti a
riconoscere le proprie
competenze e quelle dei
loro figli».
Tra le nostre tante con-
vinzioni, che da sempre
portiamo con noi, la più
radicata è questa: se i
nostri piccoli si sentisse-
ro più volte dire dai ge-
nitori: “Corri a giocare!”,
avremmo bambini meno
tesi, meno tristi, meno
violenti, meno annoiati,
meno delusi dalla vita.
È la prova della sapienza
del proverbio: “La cate-
na, non ha mai fatto un
cane bravo e felice”.
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Il coraggio della nel tempo il raggiungimento del tanto ambito
traguardo: perseverare nella strada intrapresa
o rivedere in corso d’opera il proprio personale
perseveranza progetto di vita per riadattarlo tempestivamente
alle mutate circostanze e alle esigenze del mo-
mento?
Le sollecitazioni che provengono dalla società
in cui viviamo sembrano spingere in questa se-
conda direzione. La precarietà esistenziale con
Essere perseveranti significa letteralmente
persistere inflessibilmente nella propria
cui facciamo i conti nella nostra quotidianità e
l’incertezza di un futuro che spesso appare avaro
di gratificazioni e prospettive ci suggeriscono di
ricerca, rimanere fedeli al proprio progetto,
coltivandolo giorno dopo giorno e alimentandolo
essere flessibili, adattivi, sempre pronti a rimet-
tere in discussione le nostre priorità in funzione
delle concrete possibilità di riuscita. Succede,
con motivazioni autentiche e durevoli. così, che ci abituiamo a “volare basso”, a fare
progetti a breve scadenza e ad avere sempre un
Nel laborioso cammino verso l’adultità,
c’è un dilemma che si ripropone impla-
cabile di fronte a ogni ostacolo o diffi-
coltà che intervie-
ne a sconvolgere e
a scompaginare i
piano “di riserva” nell’eventualità che i nostri
sforzi si arenino contro un muro troppo difficile
da valicare.
nostri piani, allontanando
Nell’attesa di uno sguardo
che arrivi anche in ritardo,
quante volte questo tempo
ci ha rubato un ricordo?
Che comunque tutto passa,
anche quando non vorresti,
e ti ritrovi coi tuoi anni
e con i sogni più stretti...
E ricordati di te,
quando il mondo ti dimentica,
lascia sempre una traccia
su un cuore che passa.
Che comunque tutto resta,
anche se non te ne accorgi,
puoi trovarli negli occhi
quei ricordi mai scritti...
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Se da un lato, però, una strategia di questo tipo
appare “realista” e proattiva, nella misura in cui ci
consente di assecondare il cambiamento evitan-
do di rimanere incagliati in un’inerte condizione
di stasi, dall’altro lato essa comporta il rischio di
perdere di vista la meta, di smarrire la motivazio-
ne profonda che ci aveva spinto a metterci in cam-
mino. Finiamo, insomma, con il vivere seguendo
passivamente il flusso degli eventi, anziché essere
noi a decidere consapevolmente la direzione di
marcia da imprimere ai nostri passi.
Questo accade perché, talvolta, facciamo fati-
ca a mettere a fuoco ciò che è veramente im-
portante per la nostra vita, al punto da essere
disposti a svendere troppo facilmente i nostri
sogni di fronte a offerte più allettanti o a dif-
ficoltà che mettono in crisi quello che stiamo
cercando di costruire. Essere perseveranti si-
gnifica, invece, letteralmente persistere infles-
sibilmente nella propria ricerca, rimanere fedeli
al proprio progetto, coltivandolo giorno dopo
giorno e alimentandolo con motivazioni auten-
tiche e durevoli.
Significa essere fermi nelle proprie scelte, mante-
nendo saldo il timone della propria vita, anche a
costo di apparire degli “illusi” e dei “sognatori”.
Significa anche essere lungimiranti e avere la vi-
sta acuta, per non lasciarsi scoraggiare da delusio-
ni e difficoltà contingenti e trovare in se stessi la
forza di ripartire ogni volta e di gettare il cuore
oltre l’ostacolo.
Se così non fosse, se non si nutrisse della capaci-
tà di rinnovare ogni giorno la fedeltà alle proprie
scelte e l’adesione profonda ai valori che le guida-
no, la perseveranza rischierebbe, infatti, di tra-
mutarsi in ostinazione, che è una forma di cecità
difficile da sradicare. Per rivelarsi davvero profi-
cua e feconda di crescita umana la perseveranza
necessita, invece, della capacità di guardare lonta-
no, ricordando che è solo tendendo all’impossibile
che diventiamo capaci di realizzare nella nostra
vita il possibile.
Dio, ma come si fa
a trovare il coraggio di andare,
anche quando vorresti restare!
Dimmi come si fa a rialzarsi,
anche quando fa male,
e continuare...
Ad allacciarsi le scarpe
e ripartire da zero,
a ricordare che niente e nessuno
può rubarti il futuro.
È importante,
tu sei importante!
Fatti sentire,
fatti sentire!
Sei importante,
tu sei importante...
(Laura Pausini, Il coraggio di andare, 2018)
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Suor Marie Desverney
Devota amica benefattrice
Una corrispondenza
singolare, che rivela
la simpatia comunicativa
di don Bosco
e il suo coraggio
un po’... sfacciato.
Ivincoli di affetto, amicizia e sti-
ma fra don Bosco e il mondo del-
la vita religiosa femminile sono
noti. Il santo piemontese non
solo chiese ed ottenne diretta
collaborazione con varie comu-
nità religiose, ma anche non man-
cò di far loro visita in occasione dei
suoi viaggi. Egli per lo più assicurava
loro preghiere sue e dei suoi giovani
e in contraccambio riceveva sovente
preghiere e anche sovvenzioni eco-
nomiche per le sue opere. Con molte
superiore intrattenne corrispondenze
epistolari, solo in parte recuperate;
sono però giunte fino a noi anche let-
tere a singole suore.
Una di esse, totalmente sconosciu-
ta alla storia salesiana, è la francese
Marie Desvernay, religiosa apparte-
nente all’Istituto delle Dame del Sa-
cro Cuore, risiedente nella comunità
religioso-scolastica di Point du Jour
a Lione. Ci limitiamo a presentare il
primo biennio di tale carteggio, che
complessivamente contempla 18 let-
tere di don Bosco, tutte inedite.
Il primo incontro
Non sappiamo come don Bosco ab-
bia conosciuto suor Maria. Resta il
fatto che ella risiedeva a Lione, sede
d’esilio, fino alla morte nel 1862
dell’arcivescovo di Torino monsignor
Fransoni, e culla dell’Opera della Pro-
pagazione della Fede, alla cui direzio-
ne don Bosco si rivolse spesso (quasi
sempre inutilmente) per avere sussidi
per la Patagonia. Ma Lione era anche
la sede di un’Opera Apostolica costitui-
ta di zelanti signore, che raccoglieva-
no e spedivano soccorsi in natura ai
missionari poveri. Non si può allora
escludere che grazie a queste presenze
l’Istituto scolastico delle Suore del S.
Cuore, e suor Maria in particolare, sia
entrata in relazione epistolare con don
Bosco sul finire degli anni settanta.
Comunque il 15 gennaio 1882, in
risposta ad una sua lettera andata
smarrita che lo invitava a farle visita,
don Bosco la informò che il giorno
seguente sarebbe partito per Lione e
che avrebbe alloggiato presso mon-
signor Louis Guiol, Rettore dell’U-
niversità cattolica. Pur restando
colà pochi giorni, sperava di poterla
incontrare.
Un anno e mezzo dopo
Stranamente dobbiamo attendere
fino all’autunno del 1883 per rintrac-
ciare altra corrispondenza con la suo-
ra. Sembra però certo che don Bosco
ebbe modo di visitarne il convento
nella sosta che fece nel suo viaggio in
Francia dal 6 al 17 aprile 1883. Colà
entrò in contatto personale con tut-
ta la comunità ed in particolare con
la madre superiora, l’economa e suor
Maria appunto, che ai primi di otto-
bre gli chiese quando sarebbe ritorna-
to in Francia.
A stretto giro di posta don Bosco le
rispose che non poteva lasciare Tori-
no perché impegnatissimo a prepara-
re la spedizione di trenta missionari
in America Latina. Approfittava per
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invitarla a collaborare con loro [con la
preghiera e qualche offerta] a “guada-
gnare anime al paradiso”. Ovviamen-
te invocava la benedizione del Signo-
re sulla destinataria, su sua Mamma
ammalata e su tutta la comunità; i
suoi ragazzi di Valdocco da parte loro
avrebbero fatto preghiere e comunio-
ni secondo queste intenzioni.
Suor Maria non perse tempo e, sempre
per via postale, gli comunicò che tene-
va pronta per lui una somma di denaro
da offrirgli al suo arrivo in febbraio per
i suffragi della mamma defunta. Non
l’avesse mai fatto. In men che non si
dica (4 novembre), don Bosco le rispo-
se che a Torino si continuava a pregare
per le sue intenzioni e che, siccome lui
aveva grandi spese, la somma a dispo-
sizione era meglio impiegarla subito,
ovviamente se fosse stato possibile e
d’accordo con la superiora.
In realtà v’era dell’altro. Allegato alla
lettera la suora gli aveva spedito un
foglio con sei precise richieste. Don
Bosco rispose a tutte: avrebbe pregato
per la suora epilettica e per gli esami
di un fratello della madre economa,
accoglieva la proposta di ritornare a
Lione in febbraio ma non poteva as-
sicurare per via dei disturbi di salute,
aveva ricevuto le 150 lire speditegli
e continuava a pregare per lei, sicu-
ro che una volta giunta in paradiso,
avrebbe contraccambiato.
Suor Maria, generosissima, accol-
se l’invito ed immediatamente fece
pervenire a Torino i 4000 franchi
francesi, mentre ne teneva en réserve
altri 5000. Il 14 novembre don Bosco
confermava l’avvenuta consegna del
denaro e a sua volta prometteva un
suo dono: la celebrazione comunita-
ria della solennità dell’Immacolata a
Valdocco sarebbe stata applicata se-
condo le sue intenzioni. Nella stessa
missiva don Bosco avvertiva la suora
che quella mattinata stessa partivano
i missionari per la Patagonia e che le
prime dieci bambine indie battezzate
avrebbero ricevuto il nome di Maria.
Esse poi avrebbero pregato per lei, per
la salute e la santità della superiora,
delle suore e delle allieve del loro isti-
tuto.
Ma che coraggio!
Pochi giorni dopo però don Bosco
tornava alla carica. Con la “scusa” di
comunicare che i 4000 franchi erano
già nelle mani dei missionari, partiti
da Marsiglia il 14 novembre, impartiva
alla suora una piccola lezione di teolo-
gia: il denaro impiegato “pour la terre
et pour le paradise”, cioè in favore delle
missioni, avrebbe fruttato un maggio-
re interesse che non quello bancario.
Dunque la riserva dei 5000 franchi era
meglio investirla subito. Don Bosco
osava l’inosabile, a costo di sembrare
indiscreto, tale era la confidenza con la
suora e tanti i bisogni delle sue opere!
Un’antica cartolina dalla periferia di Lione.
Don Bosco curava tantissimo la corrispondenza
con i benefattori.
Ma il bello è che i benefattori non se lo
hanno a male, anzi…
Informava comunque che il prevedi-
bile suo prossimo viaggio in Francia
dipendeva dalla salute. E per torna-
re agli interessi spirituali della suora,
che aveva chiesto di essere assistita
da lui sul letto di morte, ribadiva che
le buone opere compiute l’avrebbero
assistita in quel momento e che lui
stesso dal Paradiso, qualora vi fosse
giunto per misericordia di Dio, avreb-
be chiesto di poterle fare una visita al
momento del suo trapasso. Ma me-
glio ancora: la Madonna Ausiliatrice
si sarebbe presa cura della sua anima
per guidarla al cielo.
Altre lettere sarebbero seguite nel
quinquennio seguente, e tutte im-
prontate a spirito di fede e preghiera,
ma non escluse le richieste e ringra-
ziamenti per gli aiuti economici per
le opere salesiane, ivi compresa una
convenzione pluriennale firmata da
don Bosco nel settembre 1886 e rin-
novata dal suo successore don Rua nel
1888.
Febbraio 2019
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
L’11 dicembre i Consultori storici hanno espresso parere po-
sitivo circa la Positio super Vita, Virtutibus et Fama Sanctitatis del
servo di Dio Ignazio Stuchlý, Sacerdote Professo della Società
di San Francesco di Sales (1869-1953).
In questo mese di febbraio preghiamo per la Causa di Bea-
tificazione del servo di Dio Carlo Crespi Croci, missionario
salesiano.
Carlo Crespi Croci nasce a Legnano (Milano) il 29 Maggio 1891.
È il terzo di tredici figli. A dodici anni incontra i salesiani presso
il Collegio sant’Ambrogio di Milano, dove completa gli studi
ginnasiali. Nel 1903 Carlo frequenta gli studi al Liceo salesiano di
Valsalice (Torino), e si sente chiamare da don Bosco. L’8 settem-
bre del 1907 emette la sua prima professione di salesiano, e nel
1910 quella perpetua. Nel 1917 viene ordinato sacerdote. All’Uni-
versità di Padova scopre l’esistenza di un microorganismo finora
sconosciuto, destando per questo l’interesse degli scienziati. Nel
1921 riceve il dottorato in Scienze Naturali, e in seguito il diploma
di Musica. Nel 1923 parte in missione per l’Ecuador.
Sbarca a Guayaquil, si dirige a Quito; subito dopo si trasferisce a
Cuenca, dove rimarrà per tutta la vita. Inizia il suo enorme lavoro
per i poveri: fa installare a Macas la luce elettrica, apre una Scuola
Agricola a Yanuncay. In questo modo riesce ad aprire nume-
rosi altri laboratori, creando la prima Scuola di Arti e Mestieri,
riconosciuta in seguito come Università Politecnica Salesiana. A
Yanuncay dà alloggio ai novizi, e nel 1940 apre anche la Facoltà di
Scienze dell’Educazione, divenendone il primo rettore. Istituisce
anche la scuola elementare “Cornelio Merchán” per bambini pove-
rissimi. Apre un Collegio di Studi Orientali per dare la formazione
necessaria ai salesiani destinati all’oriente ecuadoriano. Fonda il
Museo Carlo Crespi, ricchissimo di reperti scientifici e conosciuto
anche al di fuori dell’America.
Divulga con tutte le sue forze la devozione a Maria Ausiliatrice,
consumando la sua vita nell’omonimo santuario. Il suo confes-
sionale, specie negli ultimi anni di vita, è spesso affollato, e la
gente comincia a chiamarlo spontaneamente “san Carlo Crespi”. È
sempre in mezzo ai poveri: la domenica pomeriggio fa catechismo
ai ragazzi di strada, dando loro, oltre al divertimento, il pane quoti-
diano. Organizza laboratori di taglio e cucito per le ragazze povere
della città. Muore a Cuenca il 30 aprile del 1982.
Preghiera
O Signore, ti rendiamo grazie
perché al sacerdote Carlo Crespi,
educatore e apostolo dei ragazzi e dei giovani poveri,
hai concesso di amarti e servirti
secondo il cuore di don Bosco.
Donaci la gioia di vederlo glorificato
come sacerdote eroico ed esemplare.
Per sua intercessione concedi a noi la grazia
che ti domandiamo con cuore fiducioso.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ringraziano
Il 24 luglio 2018, a causa di un
grave incidente stradale con la
macchina, con altre 4 consorelle
e guidata da una di loro, ho ripor-
tato una frattura pluriframmenta-
ria scomposta dell’epifisi distale
sinistra, più frattura dell’epifisi
distale ulna destra. Poiché in ogni
viaggio è nostra abitudine dire:
Madre Morano, tienici per
mano”, scoraggiata di fronte al
pericolo, le ho detto: “Così ci hai
aiutate?”. In seguito, pentita, le ho
chiesto scusa e le ho affidato le
mie braccia chiedendole di poter
usare almeno il destro per poter
essere capace di un po’ di auto-
nomia per le necessità quotidiane
più urgenti. Ne ho subito avvertito
la sua protezione, per cui deside-
ro ringraziare la carissima beata
Madre Morano con tutto il cuo-
re, per l’aiuto ricevuto.
Sr. Elena Pirelli F.M.A,
Napoli Vomero
Recentemente mia figlia, parte-
cipando ad un concorso univer-
sitario, si è trovata in una situa-
zione di grande difficoltà, a causa
dell’ostilità di alcuni commissari
e di un’agguerrita concorrenza
interna. Quando mi sono resa
conto di tutto questo, sono ricor-
sa come consigliava don Bosco
a Maria Ausiliatrice con una
Novena. Mia figlia ha superato il
concorso. Ringrazio con tutto il
cuore la Vergine Maria per il suo
efficace aiuto.
P.C., Torino
Ringraziamo con tutto il cuore
don Bosco, Domenico Savio
e Maria Ausiliatrice che ab-
biamo tanto pregato, per la na-
scita dei nostri nipotini Stella il 2
giugno 2018 e Gioele il 24 ottobre
2018.
Sonja e Flavio Rossetti,
Ticino - Svizzera
Al signor Pietro Indini erano stati
riscontrati gravi problemi cardia-
ci, per cui necessitava di un deli-
cato e urgente intervento chirurgi-
co, a cuore aperto. Il Signor Pietro
ha la cura della chiesetta di Ma-
rinelli, piccola contrada di Cister-
nino, tanto cara al venerabile
Francesco Convertini. Comu-
nitariamente ci siamo riuniti nella
chiesetta e, con fede, lo abbiamo
pregato perché intercedesse per
lui presso il Buon Dio. L’interven-
to è riuscito benissimo. Gli stessi
medici si sono meravigliati del fa-
vorevole decorso postoperatorio.
Adesso non vede l’ora di ritornare
ad occuparsi della chiesetta.
Comunità della C.da Marinelli,
Cisternino (BR)
Per la pubblicazione non si tiene
conto delle lettere non firmate e
senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
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Febbraio 2019

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
LA COMUNITÀ FILIPPINA DI TORINO
Don Giovanni Benna
Morto a Torino, il 17 novembre 2018, a 84 anni
Il saluto della comunità filippina
di Torino al termine del funerale
è stato commovente e profon-
damente sincero: «Carissimo
Father Benna, per anni abbiamo
parlato di questo momento: “Tut-
ti saremo chiamati dal Signore
un giorno, chi prima, chi poi,
io probabilmente prima di tutti
voi!”. Erano sempre le tue paro-
le ai catechisti quando si parlava
dell’importanza di arrivare pre-
parati all’ultimo incontro con il
Creatore. Dicevi sempre di esse-
re pronto. In realtà a non essere
pronti alla tua partenza eravamo
noi. Fino alla fine hai trovato il
modo di riunirci tutti insieme:
mi ricordo di quando mi confi-
davi che non ti piacesse il fatto
che ci fossero due feste per il tuo
compleanno. “I am not happy that
there are two celebrations for my
birthday, I want you united” yan
po ang sulat kamay niya sa ho-
milya hinahanda niya para sa na-
karaang linggo (questo è quanto
ha scritto nell’omelia che prepa-
rava per la scorsa domenica)...
Così il Signore, nel suo disegno
perfetto, ci ha portato ad una ce-
lebrazione, con te, oggi qui nella
nostra casa del San Giovannino:
Tanti auguri don Benna!
Mi volgo indietro e capisco ora
come il Signore abbia perfetta-
mente disegnato il suo progetto
di amore per noi e per le nostre
famiglie filippine in questa città.
Esattamente venti anni fa, nel
settembre 1998, don Giovanni
venivi accolto da don Mario Ban-
fi, allora direttore di questa casa,
ed entravamo nei locali del sot-
tochiesa, ormai invecchiati dal
tempo, ed insieme davamo inizio
ad un’opera, che ben presto è di-
venuta comunità, e che oggi noi
semplicemente chiamiamo FCT
Family: la Cappellania Filippina
di Torino.
Ed eccoci oggi, nel pieno delle
celebrazioni per i vent’anni della
Cappellania, a ringraziare il Si-
gnore per il dono grande che ci
ha fatto nella persona di don Gio-
vanni Benna, figlio di don Bosco
e di Maria Ausiliatrice.
Eppure, nelle grandi cose che don
Benna ha fatto, questa comunità
e noi siamo una piccola parte: in
questo momento a chilometri di
distanza risuonano le campane
dei trentacinque Barrios a Mayapa
dove per quasi quarant’anni don
Benna ha donato se stesso. Il no-
stro post sulla pagina Facebook
della cappellania ha raggiunto le
oltre centomila visualizzazioni:
i ringraziamenti di filippini da
ogni parte del mondo che han-
no conosciuto don Benna, per-
ché da lui sono stati battezzati,
uniti in matrimonio, grazie a lui
hanno conosciuto Gesù, si sono
avvicinati alla Chiesa. In questo
momento da Mayapa a Torino,
i filippini ricordano con grande
gratitudine il loro padre, insieme
a molti salesiani filippini che in
don Benna hanno trovato un pa-
dre, un maestro ed un amico.
Se c’è un segreto che in vent’an-
ni ho constatato e imparato è la
semplice capacità di don Giovan-
ni di andare dal generale al parti-
colare: don Benna conosceva le
nostre famiglie, don Benna co-
nosceva tutti i bambini che aveva
battezzato, le famiglie che aveva
unito in matrimonio, si ricordava
di alcuni compleanni, si ricordava
dei suoi gruppi.
In questi vent’anni, la Cappella-
nia filippina è diventata un’istitu-
zione, riconosciuta ora non solo
a Torino, ma in tutta Europa, ed
anche in tutto il mondo. Solo a
Torino la comunità filippina si
riunisce in una chiesa, dove i vari
gruppi, spesso divisi in altre cit-
tà, qui a Torino hanno una casa,
una chiesa, una messa.
Ed è così che io desidero nuova-
mente ringraziare il Signore per il
dono che ci ha fatto di don Ben-
na, ricordando tre cose che lui
sempre ci lasciava nei suoi tanti
insegnamenti.
La prima. La vita ha un valore
quando è donata. Ang buhay ay
may halaga kapag ito ay inaalay:
don Benna sapeva che molti fi-
lippini sono venuti a Torino per
lavorare e per dare un futuro
migliore alle proprie famiglie;
ma al di là della motivazione eco-
nomica, don Benna ci ha saputo
dare una motivazione di fede: i
filippini sono missionari in que-
sta città. Ogni volta che vanno a
lavorare presso i propri datori di
lavoro nelle case italiane, ogni
volta che i figli frequentano le
classi del liceo, delle scuole me-
die e primarie, i filippini portano
la fede, fanno conoscere Gesù.
Questo è quello che don Benna ci
ha ricordato e che noi dobbiamo
ricordare.
La seconda. La comunità è una
famiglia. A community should
grow as family. I figli di questa
comunità sono miei fratelli (in
filippino li chiamiamo i bunso, i
fratelli più piccoli), i loro genitori
sono i miei genitori, i loro nonni
sono i miei nonni. Noi siamo una
famiglia, ed uniti, come si dice, si
fa la forza.
La terza. L’amore grande che
don Benna aveva in particolare
per i giovani: mga kabataan, to
all the youths out there... Non
dimenticatevi mai le parole che
don Benna ci ricordava: sognare
alto! Esattamente come don Bo-
sco sognava per i giovani. Ed è
così che don Benna ci lascia con
una sfida: tuloy ang laban, tuloy
ng sama-sama, tuloy na nagka-
kaisa tayong lahat (avanti con la
battaglia, avanti insieme, avanti
uniti noi tutti). La sfida è quella
di continuare a mantenere que-
sta comunità viva e unita, e in
particolare per amore dei giova-
ni e delle prossime generazioni,
figlie di filippini che vivono a To-
rino e che hanno un cuore che,
grazie a don Benna, appartiene
a don Bosco e che ama Maria
Ausiliatrice.
Noi filippini siamo affidati a que-
sta ispettoria e a don Bosco: e da
qui noi ripartiamo».
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
IL FUOCO SOTTO LA CENERE
Di don Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore dei Salesiani, terzo suc-
cessore di don Bosco, si diceva che fosse tanto immerso nello
spirito e nello stile del Santo, che del fondatore gli mancasse solo
la voce. Si occupò molto dei gruppi laicali che si rifacevano alla
spiritualità salesiana e quando diede inizio al primo gruppo di lai-
che consacrate salesiane era il 1917. Il 20 maggio di quell’anno
fondò l’Istituto delle XXX: un istituto femminile secolare (ossia i
cui componenti, a differenza degli istituti religiosi, non fanno vita comune ma rimangono “nel mondo”)
di diritto pontificio (approvato dalla Santa Sede). Nel 1917 le prime sette giovani consacrarono la loro
vita a Dio ma dopo la morte di don Rinaldi, avvenuta nel 1931, le associate rimasero senza guida pur
continuando ad essere fedeli alla loro vocazione. Decisero che avrebbero mantenuto acceso “il fuoco
sotto la cenere”. Venticinque anni più tardi, nel 1956, iniziarono un cammino di rinascita e consolida-
mento e oggi le sodali dell’istituto, pur rimanendo “nel secolo”, partecipano allo stesso carisma dei Sa-
lesiani di don Bosco: attualmente le volontarie sono oltre 1300 e sono presenti nei cinque continenti.
Vivono la spiritualità salesiana e sono pienamente immerse tra la gente, impegnate nelle occupazioni
ordinarie, nelle attività professionali, per rendere presente
l’amore di Dio in tutti gli ambienti secolari. Non hanno vita
comune, ma vivono in comunione di vita formando gruppi di
riferimento in cui si incontrano, si formano e si sostengono
vicendevolmente. Vogliono portare gioia, vivere autentica-
mente ogni valore umano e cristiano e mettere la loro vita
al servizio di tutti, specialmente dei giovani e dei poveri. Le
donne consacrate appartenenti all’istituto pospongono al
proprio nome la sigla V.D.B. Il fondatore, don Rinaldi, è stato
beatificato nel 1990 da papa Giovanni Paolo II.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Così sono detti
i componenti di speciali reparti d’assal-
to - 11. Anno Domini - 14. Il conti-
nente più esteso - 15. Arcipelago di
isole dell’oceano Indiano - 17. XXX
- 20. Pianta ornamentale con fiori dai
colori vivaci - 22. Erano barbare
quelle di Carducci - 23. Vi nacque
il brigante Fra Diavolo - 24. Case di
cura costruite dove il clima favorisce le
guarigioni - 26. Località (abbr.) - 27.
XXX - 28. Alessandria (sigla) - 29.
Fenomeno acustico - 31. In mezzo alla
troupe! - 32. Alla fine dei guai! - 34.
Moderno sistema frenante delle auto
- 36. La bevanda nazionale inglese -
40. Trasmissione tv dal vivo - 43. Ce
l’ha chi ha in serbo una risorsa nascosta
- 49. Il commissario amico di Topolino
- 50. Si ripetono nel sonoro! - 51. Il
più noto romanzo di Stephen King.
VERTICALI. 1. Allegra e numerosa
compagnia seduta per mangiare - 2.
La fuga degli Ebrei dall’Egitto - 3. Un
componente del vetro - 4. È l’Universo
stesso nella filosofia cinese - 5. Molto
colto - 6. È simile alla renna - 7. Si ac-
compagnano agli altri - 8. Porto ucrai-
no sul mar Nero - 9. I confini d’Italia!
- 10. Si dice del ragazzetto assennato
- 11. L’eroica compagna di Garibaldi
- 12. Afflitta, sconfortata - 13. Il cor-
netto della colazione francese - 16. La
Cercato “signorina buonasera” - 18.
Lo costruiscono gli uccelli - 19. Inon-
dò Firenze nel 1966 - 21. Cremona
(sigla) - 25. Piena di acredine - 30.
Disordine cosmico - 33. Vivacità, al-
legria - 35. Si ripetono nel balbettio
- 37. La sigla dell’encefalopatia della
mucca pazza - 38. L’offensiva scate-
nata dai vietcong nel ’68 - 39. L’isola
inglese in cui si corre il Tourist Trophy
motociclistico - 41. Suffisso che rim-
picciolisce - 42. Scrisse Il nome della
rosa - 44. A fine corsa! - 45. Direzio-
ne opposta a SO - 46. Iniziali di Tolstoj
- 47. Articolo per studente - 48. A me.
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Ditelo prima!
Disegno di Fabrizio Zubani
L ui era un omone robu-
sto, dalla voce tonante
e i modi bruschi.
Lei era una donna
dolce e delicata.
Si erano sposati.
Lui non le faceva man-
care nulla, lei accudiva
la casa ed educava i
figli. I figli crebbero,
si sposarono, se ne
andarono. Una storia
come tante...
Ma, quando tutti i figli
furono sistemati, la donna
perse il sorriso, divenne sempre
più esile e diafana. Non riusciva più
a mangiare e in breve non si alzò più
dal letto.
Preoccupato, il marito la fece ricove-
rare in ospedale.
Vennero al suo capezzale medici
e poi specialisti famosi. Nessuno
riusciva a scoprire il genere di malat-
tia. Scuotevano la testa e dicevano:
«Ma?».
L’ultimo specialista prese da parte
l’omone e gli disse: «Direi... sempli-
cemente... che sua moglie non ha più
voglia di vivere».
Senza dire una parola, l’omone si
sedette accanto al letto della moglie
e le prese la mano.
Una manina sottile che scomparve
nella manona dell’uomo.
Poi, con la sua voce tonante, disse
deciso: «Tu non morirai!».
«Perché?», chiese lei, in un soffio
lieve.
«Perché io ho bisogno di te!».
«E perché non me l’hai detto
prima?».
Da quel momento la donna cominciò
a migliorare. E oggi sta benissimo.
Mentre medici e specialisti con-
tinuano a chiedersi che razza di
malattia avesse e quale straordinaria
medicina l’avesse fatta guarire così
in fretta.
Non aspettare mai domani per dire a qualcuno che l’ami. Fallo
subito. Non pensare: «Ma mia madre, mio figlio, mia moglie... lo
sa già». Forse lo sa. Ma tu ti stancheresti mai di sentirtelo ripetere?
Non guardare l’ora, prendi il telefono: «Sono io, voglio dirti che ti
voglio bene». Stringi la mano della persona che ami e dille:
«Ho bisogno di te! Ti voglio bene, ti voglio bene, ti voglio bene...».
L’amore è la vita. Vi è una terra dei morti e una terra dei vivi.
Chi le distingue è l’amore.
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Il poster
I successori
di don Bosco
Tutti i Rettori Maggiori
Salesiani nel mondo
Tracce sulla terra rossa
Un mese in Ghana
L’invitato
Il don Bosco
di Mattersburg
Il “Caffè Savio”
Le case di don Bosco
Giostre gemelle
Una straordinaria
esportazione di gioia
La linea d’ombra
In caduta libera
L’importante è rialzarsi
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.