Bollettino_Salesiano_201809

Bollettino_Salesiano_201809

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IL
SETTEMBRE
2018
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani
nel mondo
Sud
Sudan
Le case
di don
Bosco
Ivrea
A tu per tu
Teresa Nao
L’invitato
Don Juan
Carlos Quirarte

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
Le
panche
di Mornese
Siamo le panche della chiesa di Mornese,
un grazioso villaggio sulle colline del
Monferrato. Qui l’aria sa di buon vino
e profuma di piatti prelibati. Perfino in
chiesa si sentono.
Noi panche di riserva veniamo impiega-
te solo quando arriva più gente del solito.
Accadde nel 1864, quando don Bosco arrivò con
i suoi ragazzi, durante le passeggiate autunnali
che organizzava partendo da Torino e facendo
tappa nei paesini delle colline della sua terra.
Siamo fatte di buon legno e quel ricordo è più
vivo che mai nei nostri vecchi nodi stagionati.
È già notte. La gente va incontro ai ragazzi. La
banda suona, molti s’inginocchiano al passaggio
di don Bosco chiedendo la benedizione. I gio-
vani e la gente entrano in chiesa, c’è una piccola
celebrazione, quindi tutti a cena.
Dopo, incoraggiati dagli applausi, i ragazzi di
don Bosco danno un breve concerto di marce e
musica allegra. In prima fila c’è Maria Mazza-
rello, 27 anni, che in piemontese si dice Maìn.
Al termine, don Bosco dice poche parole: «Sia-
mo tutti stanchi, e i miei ragazzi hanno voglia di
fare una bella dormita. Domani però ci parlere-
mo più a lungo».
Don Bosco a Mornese si ferma cinque giorni.
Maria ogni sera riesce ad ascoltare la «buona
notte» che dà ai suoi giovani. Scavalca le pan-
chette per arrivare più vicino a quell’uomo.
Le comari del paese scuotono la testa e bronto-
lano: «Questo non va bene!» Quella ragazzona
in mezzo ai ragazzini, ma chi l’ha mai visto?
Qualcuno la rimprovera di questo come di un
gesto sconveniente.
E lei risponde: «Don Bosco è un santo, io lo sento».
Mi viene la pelle d’oca (strano per una panca di
legno) quando ripenso a quelle parole.
È molto di più di una semplice sensazione.
A quante donne cambierà la vita? Basta un
movimento, un semplice movimento di quelli che
compiono i bambini quando si slanciano in avanti
con tutte le loro forze, senza timore di cadere o di
morire, dimentichi del peso del mondo.
Giovanni e Maria Domenica amano dello stesso
amore, sono fatti per intendersi, nutriti dalle
stesse colline. Due contadini dell’assoluto. Una
cosa era chiara: quei due si capirono al volo.
Maìn e le sue amiche si vestirono da suore, ma
stavano bene anche prima. E cambiò il mon-
do. Nel giro di poco cominciarono ad arrivare
ragazze e ragazzi da tutte le parti.
Sentivamo racconti di spedizioni in terre lon-
tane, di scuole che sorgevano come funghi, di
santi, di congregazioni.
Noi eravamo le uniche a conoscere il segreto.
Tutto era avvenuto perché due santi si erano
semplicemente guardati negli occhi.
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Settembre 2018

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IL
SETTEMBRE 2018
ANNO CXLII
Numero 8
IL
SETTEMBRE
2018
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani
nel mondo
Sud
Sudan
Le case
di don
Bosco
Ivrea
A tu per tu
Teresa Nao
L’invitato
Don Juan
Carlos Quirarte
In copertina: Bentornata scuola!
(Foto Sabphoto/Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Sud Sudan
12 LE CASE DI DON BOSCO
Ivrea
16 LA RICETTA 6
La spiritualità
18 L’INVITATO
Don Juan Carlos Quirarte
22 FMA
Taranto
24 A TU PER TU
La missione di Teresa Nao
28 FAMIGLIA SALESIANA
Don Antonio Cavoli
32 INVISIBILI
I miracoli di Caterina M.
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
8
18
24
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pina
Bellocchi, Enrico Bergadano,
Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, José J.
Gómez Palácios, Claudia Gualtieri,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Maria Letizia Ono, Pino Pellegrino,
Giampietro Pettenon, O. Pori Mecoi,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Vite
piene no là e ci aspettavano. C’era anche tutta la comu-
nità salesiana e in mezzo a loro vidi un confratello
salesiano (non scrivo il suo nome, per non metterlo
a disagio) che con i suoi 92 anni, la vecchia tala-
re che sembrava dei tempi di don Bosco, il volto
sorridente e pieno di pace, ballava e cantava con i
giovani mentre ci aspettava per darci il benvenuto.
Penso che proprio questo sia ciò che ci sta Il giorno dopo ho potuto vedere, in momenti di-
versi delle varie celebrazioni, che questo nostro
più a cuore: sentire che la nostra vita è piena. fratello novantenne era acclamato dai giovani,
È un’aspirazione profondamente umana. che lo applaudivano, lo chiamavano, e lui sorri-
deva felice in mezzo a loro. E pensavo alla frase
In questo senso devo dirvi che sto conoscendo di don Bosco: «Io con voi mi trovo bene».
molte persone che vivono e hanno vissuto una
vita piena. E ci indicano il cammino della felicità.
Mi sono detto: ecco un salesiano che ha avuto e
ha una vita piena. Non ho detto una vita facile
(ha anche dovuto patire la fame e la durezza della
Seconda Guerra Mondiale, mi ha raccontato), ma
Inizio raccontandovi due fatti reali. Penso che,
a causa dell’età significativa dei personaggi,
meritino attenzione.
In maggio, dopo la suggestiva festa di Maria
Ausiliatrice a Torino-Valdocco, ho iniziato
la mia visita alle opere salesiane della Croa-
ha avuto una vita piena di significato e piena della
felicità dell’essenziale.
«L’anno prossimo in Paradiso»
Pochi giorni prima, alla festa di Valdocco, un altro
salesiano di 94 anni era là con me. Vivere la festa
Immagini della
visita del Rettor
Maggiore in
Croazia.
zia. Devo confessarvi che sono stato fortemente
colpito dalla solidità delle comunità cristiane che
là ho incontrato, molto impressionato dai gio-
vani che ho visto, centinaia di giovani di
di Maria Ausiliatrice a Valdocco è sempre stato
un regalo inestimabile per lui, anche se ogni volta,
scherzando, afferma: “L’anno prossimo sarò già in
Paradiso!” Ma anche quest’anno siamo riusciti a
oggi, moderni, iperconnessi, immersi celebrare quella splendida giornata insieme. Ebbe-
nella rete digitale come tutti i giovani ne, grande fu il mio stupore quando con i suoi 94
del mondo, ma con una robustezza anni si offriva più volte per accompagnare salesiani
nel vivere la fede cristiana che e laici provenienti dall’Argentina a visitare alcuni
è entrata molto profonda- dei luoghi più significativi di Torino, come il San-
mente nel mio cuore. tuario della Consolata. Al suo ritorno erano stan-
In una delle case sale- chi, specialmente lui, ma per giorni ha condiviso
siane siamo arrivati alle con quella gente la gioia di essere nella casa di don
dieci di sera. Nel corti- Bosco e di sapere tutto ciò che significa.
le, siamo stati accolti da Io continuavo a chiedermi: cos’è che dà questa
una musica di danza forza, questa motivazione? La risposta è semplice
regionale caratteristi- e logica. Come cantava Bob Dylan: The answer,
ca. Un folto gruppo di my friend, is blowin’ in the wind, La risposta, ami-
bambini, adolescenti, co, sta soffiando nel vento. Il vento di don Bosco
giovani e genitori era- che continua a soffiare nel cuore dei Salesiani e
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gonfia le vele della nostra Famiglia. Il vento di
uno Spirito che non cesserà mai di donarci un
grande respiro. Nonostante gli anni che passano.
Aggiungo un’ultima testimonianza che penso
abbia un forte impatto su tutto il mondo. Papa
Francesco a dicembre compirà ottantadue anni,
se è nella volontà di Dio. E questo tocca le co-
scienze del mondo perché la sua scelta è vivere
una vita semplice e piena di Vangelo. Moralmen-
te è riconosciuto come l’uomo più influente in
questo nostro mondo in questo momento. I suoi
messaggi sono carichi di semplicità e di autenti-
cità, un invito forte per coloro che lo desiderano
a lasciarsi toccare e invadere dalla forza di Gesù.
Qui sta la pienezza di queste vite e di molte altre.
Quando la forza è l’amore
Si tratta di vite che vogliono vivere nel servizio,
nella donazione, nell’Amore.
La vita di milioni e milioni di mamme, papà, non-
ni e nonne che si sentono completamente soddi-
sfatti di una vita donata. Quando la forza della vita
è l’Amore, gli sforzi, i sacrifici, le fatiche, le anima-
zioni tra i giovani durante la notte, o il faticoso er-
rare attraverso la città invece di andare a riposare,
non sono pesanti, non costano.
Mi ha colpito e commosso una storia che ha
molto a che fare con l’amore o il disagio per i
sacrifici. Si dice che in un villaggio africano
arrivò un turista occidentale con i suoi abiti da
safari e le sue luccicanti macchine fotografiche,
e vide una ragazzina decenne, esile e minuta,
che portava sulle spalle un bambino cicciottello.
Il turista disse alla ragazzina: «Piccola, non ti
dà fastidio portare un carico così pesante?» La
bambina, con un grande buon senso e un cuore
pieno di amore rispose: «Non è un peso, signore,
è mio fratello».
Questa è la chiave di una vita piena, qualunque
sia il cammino per cui il Signore ci ha chiamati.
Una vita intessuta d’amore. Così desideriamo sia
la nostra.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Che cosa ti aspetti
dal Sinodo sui Giovani?
Il mese prossimo si terrà
la XV Assemblea sinodale
dal tema “I giovani,
la fede e il discernimento
vocazionale”. Quali sono
le tematiche care ai giovani
e che cosa si aspettano
loro da questo Sinodo
che li vede protagonisti?
Angela, 18 anni
«Una maggiore consapevolezza
nel rapporto con la Chiesa»
un familiare o un collaboratore di as- di poterci aprire e poterci liberare da
sociazioni, che sia di esempio e dia a qualunque nostro pensiero. Allo stes-
noi giovani la possibilità e la sicurezza so tempo però, da questo Sinodo mi
Uno dei temi su cui il Papa e i vesco-
vi potrebbero concentrarsi per questo Se un giovane non rischia è invecchiato.
E noi dobbiamo rischiare. Voi giovani dovete Sinodo dedicato a noi giovani è il
valore del nostro ruolo nella socie-
rischiare nella vita. Oggi dovete preparare tà, dentro e fuori delle associazioni.
È importante chiedersi perché molti
giovani durante l’età adolescenziale il futuro. Il futuro è nelle vostre mani.
Nel Sinodo, la Chiesa, tutta, vuole ascoltare tendono ad allontanarsi dalla Chiesa
invece di trovare in essa una strada
i giovani: cosa pensano, cosa sentono, per il futuro. Un altro punto su cui
secondo me ci si dovrebbe soffermare
in questo Sinodo è la presenza nella cosa vogliono, cosa criticano e di quali cose
si pentono. Tutto.vita dei giovani di una guida spiri-
tuale, che sia un parroco, un genitore,
(Papa Francesco)
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“VIVI, AMA, SOGNA, CREDI”
aspetto che anche i giovani facciano
la loro parte. Mi auguro che i miei
coetanei acquisiscano una maggiore
consapevolezza sull’importanza del
loro rapporto con la Chiesa e princi-
palmente del rapporto che dovremmo
avere con gli adulti, cosicché da co-
struire una base spirituale più solida
sia per la nostra vita sia per il bene
della comunità. Spero anche che mol-
ti giovani riscoprano il valore e l’im-
portanza della Fede nella vita di tutti
i giorni.
Erica, 23 anni
«Chiarezza sulle tematiche
importanti»
Credo che per questo Sinodo sui gio-
vani ci siano davvero molte temati-
che su cui il Papa e i vescovi debbano
concentrarsi. In particolare penso sia
fondamentale riflettere sul valore del-
la Fede e del credere in Dio per i gio-
vani. Molti di loro si ritrovano ad an-
dare in Chiesa o in oratorio solo per
abitudine o perché così è stato loro in-
segnato di fare, senza avere però una
motivazione valida e profonda. Mi
accorgo che molti, pur affermando di
credere, non sanno perché credono e
quale veramente sia la loro fede. Altre
tematiche importanti su cui secondo
me ci si deve soffermare sono temi
di attualità quali l’immigrazione e
l’omosessualità. Sarebbe bello infatti
sentire apertamente che cosa pen-
sano i pastori della Chiesa riguardo
l’amore fra due persone dello stesso
sesso, della sessualità in generale e del
matrimonio. Da questo Sinodo mi
aspetto che i vescovi e il Papa, come
Grazie alle Figlie di Maria Ausilia-
trice della Lombardia: 200 giovani,
in rappresentanza degli oltre 1000
coinvolti in loco, si sono riuniti per
celebrare un significativo Evento
Pre-sinodale.
I giovani dell’oratorio hanno messo
in luce che cos’è per loro l’ambien-
te: “L’oratorio è un luogo in cui sen-
to di crescere sia spiritualmente sia
mentalmente. Grazie agli incontri che
faccio in oratorio sto imparando a
confrontarmi con gli altri e a fare le
piccole-grandi scelte della mia vita”.
Le ragazze dei Collegi universitari
hanno presentato il loro vissuto: sogni e incertezze per il futuro lavorativo convivono con
il desiderio di trovare stabilità e confronto sereno nelle relazioni. Avvertono l’esigenza di
ricevere testimonianze da adulti carismatici e credibili: il periodo dello studio universitario
è complesso, per trovare il modo di superare tutte le criticità ad esso legate, essere aiutate
a respirare “aria nuova”, carica di speranza per il futuro, è quanto mai stimolante e incorag-
giante la presenza di adulti significativi.
In cappella i giovani dei cammini vocazionali hanno fatto emergere le loro domande sulla
fede e provato ad esprimere, attraverso le loro parole e la Parola di Dio, quali difficoltà incon-
trano per viverla nella frenesia del quotidiano. Per qualcuno la fede “è una sfida quotidiana
con se stessi” ma anche “un gancio a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà”.
Suor Paola Battagliola, rappresentante della Madre Generale, ha consegnato ai giovani due
braccialetti con la scritta: “Vivi, ama, sogna, credi”, uno come ricordo della giornata e uno
da regalare ad un amico: il passaggio del testimone, la trasmissione dell’esperienza vissuta!
anche tutti i sacerdoti, si rendano
davvero conto che i giovani hanno bi-
sogno di essere accompagnati nel loro
cammino di vita e che bisogna stare
loro sempre accanto!
Andrea, 27 anni
«La famiglia è un qualcosa
di sacro in quanto è la più grande
e potente istituzione umana»
La tematica principale di cui credo il
Papa e i vescovi debbano discutere è
la famiglia. La famiglia è un qualco-
sa di sacro in quanto è la più grande
e potente istituzione umana. Troppo
spesso sto notando come stia pian
piano scomparendo quel sentimento
di solidarietà umana che un tempo
teneva uniti i nuclei familiari nei
momenti più difficili. Con il passare
del tempo la famiglia sta diventando
un optional, non più una necessità.
Oggi, osservando il comportamento
di noi giovani, riesco solo a pensare
a un paragone proprio con l’ogget-
to di cui le nuove generazioni non
riescono a fare a meno: il cellulare.
Appena un nuovo modello di telefo-
no viene lanciato sul mercato tutti si
affannano a cambiare il telefono or-
mai considerato vecchio. Così sem-
bra avvenire per qualsiasi cosa e tutti
sembrano essere alla costante ricer-
ca di cambiamenti. Per fortuna non
tutti noi giovani siamo così. Ma per
evitare che ancora di più i ragazzi di-
ventino come i telefoni è necessario,
a mio parere, anche un intervento
deciso da parte della Chiesa.
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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON - FOTO DI ESTER NEGRO
Sud Sudan
L’interminabile
calvario di un popolo
I salesiani nei pochi anni dal loro insediamento,
che risale a subito dopo l’ottenimento
dell’indipendenza nel 2011, hanno fatto miracoli.
Oggi quattro opere tengono aperta la porta della
speranza a giovani e adulti. Nonostante tutto...
Siamo passati dal Kenya al Sud Sudan.
L’arrivo all’aeroporto internazionale di
Juba, la capitale del paese, ci dice subito
dove siamo capitati. La stazione dell’aero-
porto è costituita da due tensostrutture di
quelle che da noi si usano per i capannoni
delle fiere e delle sagre paesane. In una ci sono i
banchi dei check-in (scordatevi di vedere qualche
sistema automatico... si scrive a penna e il bagaglio
viene pesato su una bilancia familiare, di quelle che
ci sono nei nostri bagni di casa...). Gli arrivi sono
sull’altra tensostruttura. Non ci sono barriere che
aiutano le file di persone, tutti si buttano a pesce
sugli sportelli della dogana per il controllo passa-
porti che è dentro una baracca da cantiere. All’ar-
rivo poi dei bagagli si assiste ad un vero e proprio
assalto alla diligenza. Non esistono nastri traspor-
tatori per le valigie. Arriva un carretto spinto da
due operatori e appena entra, tutti si precipitano a
cercare la propria valigia... risultato: il caos totale.
Capiamo che non siamo entrati in un paese in cui
l’organizzazione e i servizi pubblici che funziona-
no sono il fiore all’occhiello.
Dormire sotto il portico
della scuola
Noi salesiani siamo presenti in Sud Sudan con
quattro opere, delle quali la principale si tro-
va nella capitale Juba. Il vescovo, appena otte-
nuta l’indipendenza e sperando in un futuro
di sviluppo, ci ha messo a disposizione una va-
sta area alla periferia della città, oltre il fiume
Nilo Bianco. Si tratta di un grande quadrato
che misura un chilometro per lato. Fate i con-
ti e vedrete che l’area misura ben 100 ettari di
terra. È tutta recintata e ad essa si accede solo
attraverso dei portoni che le guardie aprono al
mattino, chiudono dopo il tramonto, e durante
la notte presidiano il perimetro... un po’ come
una grande caserma militare. Non c’è da stupir-
si di tutta questa sicurezza, perché i sequestri di
persona, le rapine, gli stupri di donne sole e gli
omicidi sono, purtroppo, la realtà di tutti i giorni.
Anche noi incontriamo un gruppo di donne con i
bambini piccoli (sono in tutto una ventina di per-
sone) che vengono a dormire sotto il portico della
scuola elementare perché si sentono al sicuro du-
rante la notte, dopo che nelle loro capanne qual-
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che mese fa sono arrivati uomini armati che han-
no violentato tutte le donne e le ragazzine. Sono
racconti impressionanti per chi non è abituato a
fare i conti tutti i giorni con storie drammatiche
come questa, ed altre che ci vengono raccontate.
La presenza salesiana di Juba è proprio un’opera
di frontiera che richiede molta fede e tante ener-
gie ai confratelli salesiani che vivono qui ogni
giorno, e ci lavorano. Il paese non è sicuro, la ten-
sione fra le etnie è sempre sul punto di scoppiare
in disordini, scontri e guerriglia che si risolve in
veri e propri massacri di gente inerme. La corru-
zione costringe ad arrangiarsi come si può e con il
denaro, che scorre fra le mani silenzioso come un
cobra assassino, si può comprare tutto, davvero
tutto. Anche la vita delle persone!
Questa notte, verso le quattro del mattino, si sono
sentiti distintamente degli spari... il parroco a co-
lazione ci ha informati che è stato ucciso un uomo
che apparteneva ad una banda di malviventi com-
posta di circa 10 uomini intenzionati ad entrare
nella nostra proprietà. Le nostre guardie notturne
li hanno individuati, hanno intimato l’alt. Questi
hanno sparato. Una nostra guardia ha risposto al
fuoco ed uno di loro è stato ucciso. Il fatto non
rappresenta un caso isolato per-
ché in città è stato diramato
un allerta per la presenza di
gruppi di uomini armati che
girano di notte, seminando
paura e morte.
Castighi socialmente utili
I salesiani nei pochi anni dal loro insediamento
in forma stabile, che risale a subito dopo l’otte-
nimento dell’indipendenza nel 2011, hanno fatto
miracoli.
Abbiamo oggi una grande parrocchia con al-
cune cappelle disperse nella campagna e nel-
la foresta nelle quali ci sono le scuole primarie.
Siamo andati lungo il corso del Nilo Bianco ed
abbiamo fatto visita ad una bella cappella appe-
na completata che in questo fine settimana vie-
ne inaugurata e che comprende anche una scuola
primaria con circa 600 bambini... davvero questi
non mancano mai e sono in numero esagera-
to, rispetto a come siamo abituati noi in Italia.
Abbiamo poi il dispensario medico gestito da una
congregazione di suore giapponesi, le Suore della
Carità di Gesù, appartenenti alla Famiglia Sale-
siana perché fondate dal venerabile don Cimatti.
Ci sono l’asilo, la scuola primaria, la scuola se-
condaria e il centro di formazione professionale
che insieme accolgono più di 4000 allievi. Inte-
ressante è anche qui la formazione professiona-
le che viene frequentata da giovani
abbastanza grandi (dai 18 ai 25
anni) nei settori della motoristi-
ca d’auto, informatica, elettricità,
falegnameria e saldatura. Vicino all’uf-
La presenza
salesiana di Juba
è proprio un’opera
di frontiera che
richiede molta fede
e tante energie
ai confratelli
salesiani che
vivono qui ogni
giorno, e ci
lavorano.
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SALESIANI NEL MONDO
La formazione
professionale
viene frequentata
da giovani
abbastanza grandi
(dai 18 ai 25 anni)
nei settori della
motoristica d’auto,
informatica,
elettricità,
falegnameria
e saldatura.
ficio della direzione abbiamo visto un po’ di sco-
pe, palette, rastrelli, qualche zappa... ho chiesto a
che cosa servissero. Il direttore del centro di for-
mazione – don Valdemar, di origine polacca – ci
ha risposto candidamente che quando un allievo
arriva in ritardo, visto che la prima ora di lezio-
ne oramai è iniziata, lo impiega in lavori “social-
mente utili”: togliere un po’ di erba dai vialetti,
raccogliere carte disperse, svuotare i cestini dei
rifiuti. Mi pare un ottimo sistema per far arrivare
puntuali i giovani!
Altra cosa bella che viene praticata nel centro di
formazione professionale è un contributo spe-
se chiesto ai giovani più poveri. L’iscrizione e la
frequenza al centro non sono gratuiti. I giovani
devono pagare circa 300 euro annui. Coloro che
non possono pagare, perché effettivamente po-
veri, non sono esclusi dalla scuola. Se vogliono
entrare essi sono chiamati a contribuire alle spese
del centro con il proprio lavoro nella campagna
circostante. Devono dedicare alcune ore la set-
timana per coltivare l’orto dei salesiani con cui
questi sfamano parte delle migliaia di ragazzi che
ogni giorno pranzano a scuola.
La crudeltà infinita
Infine l’ultimo impegno che la comunità salesia-
na ha assunto è l’assistenza al campo profughi che
sorge alle spalle della nostra casa.
Le scuole e tutti gli altri servizi educativi e pa-
storali sono aperti a tutti: alla gente del quartiere,
che stabilmente risiede in questa zona, come ai
profughi che vivono nel campo allestito per ac-
cogliere sfollati interni al paese che fuggono dal-
le rappresaglie di tribù in guerra fra loro e che
hanno vissuto in prima persona o assistito a scene
orribili. Una donna violentata da uomini arma-
ti, davanti al marito e ai figli, a cui hanno poi
ammazzato il marito perché ha reagito e l’hanno
costretta ad inginocchiarsi sul cadavere del mari-
to e a berne il sangue... quanta cattiveria, quanta
crudeltà... perché tutto questo male, perché que-
sta violenza gratuita?
Il campo profughi, già presente da molti anni
in forma ridotta, è cresciuto (fino ad accogliere
12 000 persone, anche se ora risiedono in 8000)
nel 2016, dopo che erano scoppiati disordini nella
periferia di Juba e bande armate si erano scontrate
proprio da questa parte della città, nel quartiere
Gumbo, che si trova oltre il fiume Nilo Bianco.
La gente della zona per sfuggire alla morte ha
cercato rifugio dentro il recinto dei salesiani.
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Come ho già detto si tratta di una vastissima area
recintata e presidiata nei diversi varchi di acces-
so. Bene. I salesiani presenti ci hanno raccontato
di aver ospitato fino a 20 000 persone che hanno
occupato tutti gli spazi interni delle scuole, dei
laboratori, della chiesa e persino dormivano all’a-
perto, sotto gli alberi. Fuori dal recinto era un
campo di battaglia: mitragliatrici, razzi, uccisioni
con il macete... una carneficina. Dentro la no-
stra casa però i ribelli non sono entrati e la gente
ha avuto salva la vita. Cessata l’emergenza molti
sono rientrati nei loro villaggi, ma la gran par-
te di questi erano stati bruciati. La povera gente
non aveva più nulla. Sono quindi tornati indietro
e si sono stabiliti ai margini della nostra opera,
costituendo di fatto un nuovo campo profughi.
Ora il campo è riconosciuto dalle autorità nazio-
nali e internazionali, per cui riceve aiuti umani-
tari dagli organismi internazionali. Responsabile
di questa assistenza è il parroco salesiano, don
David, di origine indiana.
Entrare nel campo fa molta impressione perché è
un agglomerato disordinato di capanne e tettoie
per lo più costruite con i teloni dei camion che
coprono i sacchi di cereali per gli sfollati. Sot-
to quelle tele cerate fa un caldo bestiale, tenuto
conto che la temperatura esterna durante il gior-
no supera quasi sempre i 40 gradi. Nel campo si
vedono quasi solo bambini e donne. Gli uomini
sono quasi del tutto assenti, perché spesso sono le
donne ad essere fuggite all’uccisione del marito in
scontri armati, ed hanno portato con sé i nume-
rosi bambini.
Una mamma del campo, di 35 anni, ci ha detto
che avrebbe piacere di tornare nella sua terra, fra
la sua gente. Ma poiché non ha più il marito, che
è morto, ed ha 5 figli che frequentano la scuola,
preferisce vivere nel campo profughi così da po-
ter permettere ai figli di completare gli studi dai
salesiani, sopravvivendo con quel poco cibo che
mensilmente viene loro distribuito dalle organiz-
zazioni umanitarie.
Quanto cammino c’è ancora da fare in questa
terra per arrivare a condizioni di vita dignitose
per tutti? Quanta sofferenza e morte dovranno
ancora mietere vittime innocenti di una situa-
zione che non hanno creato, non hanno voluto e
dalla quale non sanno come fare ad uscirne? La
sproporzione fra le forze che i salesiani stanno
mettendo in campo e i bisogni della popolazione
locale, è enorme. Viene da scoraggiarsi, guardan-
do la realtà quotidiana... Mi viene in mente l’e-
pisodio del Vangelo nel quale Gesù per sfamare
le migliaia di persone che lo seguivano, chiede
agli apostoli se hanno qualcosa da condividere.
Loro non hanno nulla... o non intendono mettere
nulla in comune. Ma c’è un ragazzo... incredibile,
un ragazzo! lui sì che è disponibile a mettere a
servizio quello che ha: cinque pani e due pesci.
Da lì, da quel gesto di condivisione totale, sep-
pur povero, Gesù è partito per compiere il mi-
racolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
I quattro confratelli della casa salesiana di Juba
mi paiono proprio quattro ragazzi che stanno
quotidianamente mettendo a disposizione i loro
pochi pani e pesci affinché quotidianamente si
compia un miracolo per molti!
Il campo è
un agglomerato
disordinato di
capanne e tettoie
per lo più costruite
con i teloni dei
camion che
coprono i sacchi
di cereali per gli
sfollati.
Settembre 2018
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2.2 Page 12

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LE CASE DI DON BOSCO
ENRICO BERGADANO
L’Istituto Cardinal Cagliero di Ivrea
Di qui partirono
a centinaia
Il Direttore legge un nome, si alza un giovane;
e a quel giovane egli assegna la nuova patria
spirituale. Il giovane prorompe in un forte
“Deo gratias” e i compagni acclamano fra
scrosci d’applausi. Vanno in ogni Missione
del mondo salesiano, dalla Patagonia al
Giappone, dalla Cina all’Equatore, dal Siam
all’India, alla Palestina, al Mato Grosso, al Rio
Negro, dovunque ci sono anime in attesa.
se, dove aveva aperto due case: San Benigno, nel
1879, e Foglizzo nel 1886. Arrivò anche Ivrea,
grazie alla mamma del vescovo, monsignor Ri-
chelmy, che sarebbe poi diventato cardinale di
Torino. Sua madre, Lydia Realis, nella primavera
del 1892, invitò don Rua a visitare la villa con ter-
reno circostante nella zona del Borgo S. Antonio,
a Ivrea, luogo a lei assai caro per avervi abitato da
piccola; voleva lasciarlo in buone mani. Il figlio
Ivrea non ha mai perso l’aspetto di una città-
giardino, esattamente come Giosué Carduc-
ci la immortalò in una famosa poesia e da
qualche mese è stata dichiarata patrimonio
dell’Unesco.
Capoluogo del Canavese, la regione piemon-
tese che va dal Gran Paradiso al Po, è sede di
diocesi e avrebbe dovuto essere anche sede della
provincia, ma per uno sgarbo fatto a Mussolini,
perse il titolo a favore di Aosta. Divenne la capi-
tale mondiale delle “macchine da scrivere” e sta
tentando di crescere nel settore dell’informatica.
Don Bosco era molto noto e stimato nel Canave-
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Settembre 2018

2.3 Page 13

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Vescovo, che da giovane aveva avvicinato più vol-
te don Bosco, le suggerì di rivolgersi ai Salesiani
e don Rua venne e visitò diligentemente la casa e
la campagna circostante.
Ecco la cronaca di quella visita, redatta da un chie-
rico che per quella circostanza fungeva da segre-
tario di don Rua. È minuziosa e scritta con fresca
semplicità: «Siamo a primavera avanzata nel 1892.
Una mattina il sig. don Rua mi disse: “Preparati
in fretta perché desidero che tu venga ad Ivrea”.
In un batter d’occhio fui all’ordine: presi la picco-
la valigia di don Rua e ci avviammo alla stazione
di Porta Susa. Ritirati i due biglietti di andata-
ritorno terza classe, andammo a prendere posto in
un carrozzone ferroviario. Il sig. don Rua, senza
perdere nemmeno un minuto di tempo, si accinse
a sbrigare la sua copiosa corrispondenza. Verso le
10 giungemmo a Ivrea. A piedi andammo al Bor-
go S. Antonio, n. 21. Alla porta d’entrata sotto lo
splendido pergolato, si trovava ad attenderci Lydia
Realis Richelmy, la venerata madre di mons. Ago-
stino Richelmy, vescovo di Ivrea.
Dopo i più cordiali complimenti, si andò nel salotto
di ricevimento. “Bravo, sig. don Rua” riprese a dire
l’ottima Signora “ha accettato il mio invito, sono
proprio contenta. Sciolgo un voto che mi sta tanto
a cuore. In questa villa ho abitato da piccina: essa
ha per me i più dolci ricordi... mi è molto cara...
ed ho sempre desiderato che dopo la mia morte ri-
manesse in buone mani. Veda, io voleva farne una
casa religiosa e tante volte ho manifestato questa
mia volontà al mio amatissimo Agostino: ed egli mi
ha suggerito di rivolgermi a Lei, caro sig. don Rua”.
“Mons. Richelmy” rispose don Rua “è nostro
grande amico; il Commendatore suo padre lo
conduceva spesso alle feste che si celebravano
all’Oratorio di Valdocco. Fin da bambino conob-
be don Bosco e prese ad aiutare con grande ge-
nerosità la sua opera. Godo che abbia pensato a
noi in questo affare. La sua villa diventerà casa di
lavoro e di preghiera”».
E così fu.
L’epopea missionaria
I Salesiani presero possesso della villa il 23 agosto
1892 e, con le maniche rimboccate da veri figli
di don Bosco, cominciarono la costruzione del
nuovo istituto l’anno successivo. La nuova casa
divenne scuola di filosofia per gli aspiranti alla
vita salesiana che arrivavano da ogni parte d’Eu-
ropa. Alcuni giovani arrivano in Italia in modo
singolare: Augusto Hlond, il futuro cardinale di
Varsavia, venne messo sul treno in Polonia con un
cartellino fissato alla giacca: «Don Bosco: Torino,
Italia» e affidato alla Provvidenza. Così poté ini-
ziare i suoi studi a Torino.
L’opera divenne poi scuola agraria, ma l’epopea
della casa salesiana di Ivrea iniziò dopo la prima
guerra mondiale.
Da tutte le parti del mondo si richiedevano sale-
siani. Don Rinaldi ebbe una geniale idea, che a
quei tempi sembrò azzardata. «Perché mandare i
missionari dopo compiuti gli studi, e già raggiun-
to il sacerdozio in Italia? Il tempo migliore per
acclimatarsi, orientarsi, imparare le lingue è già
passato. Mandiamoli a fare il noviziato sul posto
perché possano studiare le lingue, e così appena
ordinati sacerdoti, essere pronti a lanciarsi sul
campo del lavoro».
La casa di Ivrea
fu una delle prime
ad aprire le porte
ai giovani che
chiedevano di
prepararsi a partire
per le missioni.
Le domande
arrivarono
numerose da ogni
parte d’Italia.
A Ivrea studiavano
e poi partivano.
Settembre 2018
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2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
Oggi, la casa
di Ivrea è
un’apprezzatissima
scuola primaria
e secondaria di
primo grado.
Dall’Assam, monsignor Mathias, l’apostolo il cui
motto era: «Ardisci e spera», appena ne ha sen-
tore, invia un telegramma: «Mandateli subito».
Fu una vampata di santo entusiasmo che accese
il cuore di centinaia di giovani e fu l’inizio di una
delle più belle e fulgenti aurore missionarie. Ma
dove collocare questi giovani per la prima prepa-
razione in Italia? La casa di Ivrea fu una delle pri-
me ad aprire le porte ai giovani che chiedevano di
prepararsi a partire per le missioni. Le domande
arrivarono numerose da ogni parte d’Italia.
A Ivrea studiavano e poi partivano.
Il grande avvenimento di ogni anno era il saluto
che la Congregazione dà ai partenti nella Basili-
ca di Maria Ausiliatrice a Torino, e poi l’accom-
pagnamento alla ferrovia e alla nave in qualche
porto del Mediterraneo, generalmente Genova.
Nel succedersi degli anni si inserì una specie di
cerimonia: la lettura pubblica delle destinazioni
dei frequentanti l’ultimo anno. Venivano lette
in pubblico le «destinazioni» dei singoli, cioè
le località di missione e nazione a cui veniva-
no mandati. Questo annuncio avveniva qualche
mese prima dell’effettiva partenza perché potes-
sero avvertire i famigliari e prepararsi. Era un
momento di grande intensità spirituale. Nessu-
na ufficialità. Il direttore, dopo aver sentito le
richieste dei Superiori Maggiori e il parere dei
suoi collaboratori, e conoscendo bene ogni gio-
vane, entrava nella grande sala di studio e nel
generale silenzio, carico di emozione, leggeva
i nomi dei partenti e la nazione e missione di
destinazione.
Uno dei direttori così descrive la scena: «Entra
il Superiore nell’ampia sala dove tutti attendono
con il cuore aperto la voce di Dio. Il Diretto-
re legge un nome, si alza un giovane; e a quel
giovane egli assegna la nuova patria spirituale.
Il giovane prorompe in un forte “Deo gratias”
e i compagni acclamano fra scrosci d’applausi.
Vanno in ogni Missione del mondo salesiano,
dalla Patagonia al Giappone, dalla Cina all’E-
quatore, dal Siam all’India, alla Palestina, al
Mato Grosso, al Rio Negro, dovunque ci sono
anime in attesa».
Poi a ottobre o novembre c’era il saluto ufficiale
nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino.
Nel nuovo millennio
Con il passare degli anni, anche la
scuola di Ivrea cambia la
fisionomia esterna,
non lo spirito mis-
sionario.
Dopo la chiusura
del Liceo nell’an-
no 2000, si pen-
sa di rilanciare il
“Cagliero” sia con
la ristrutturazione di
una cascina adiacente
alla scuola, facendone un
ostello sulla via franci-
gena, sia con l’apertura di
un nuovo corso di inse-
gnamento.
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Settembre 2018

2.5 Page 15

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Nasce così la scuola primaria che affianca la
scuola secondaria di primo grado e costituisce un
modello di continuità scolastica molto apprezza-
to dalle famiglie del territorio canavesano. Circa
300 allievi frequentano la nostra scuola.
L’offerta formativa alza l’asticella, inserendo la
lingua francese, spagnola e inglese nel bagaglio
delle conoscenze. In particolare, per il lato “bri-
tish”, vengono proposti agli allievi corsi currico-
lari di cultura e di lingua inglese, compresenza
con altre materie (Content Language Integrated
Learnings - ) e Club a tema (Movie Club,
Newspaper Club, Fashion Club) gestiti dagli
alunni con l’aiuto di tutor madrelingua.
Anche la tecnologia trova ottima accoglienza.
Fin dai primi anni della Scuola Primaria ai
bambini e ai ragazzi vengono proposti program-
mi formativi che affrontano nello specifico le
potenzialità che le nuove tecnologie ci offro-
no. L’utilizzo di una stampante in 3D, di iPad
per ogni allievo, la proposta di avventurarsi nel
campo (semplificato) della programmazione
diventano così strumenti importanti per aprire
orizzonti nuovi oltre al solo uso di schermo,
e tastiera.
L’attività rivolta ai ragazzi non si esaurisce con il
termine dell’anno scolastico.
Grazie all’impegno della comunità salesiana e dei
Salesiani Exallievi e
Cooperatori, il “Ca-
gliero” propone le
attività estive di
soggiorni in mon-
tagna e al mare e,
per quasi due mesi,
l’Estate Ragazzi, che
vede una numero-
sa partecipazione di
iscritti sia come ani-
matori sia come fruitori
del servizio educati-
vo estivo.
L’Istituto, immerso nel verde dell’anfiteatro mo-
renico della Serra di Ivrea e posto a pochi chi-
lometri dall’ingresso della Valle d’Aosta, sembra
l’ambiente ideale per passare bene il tempo in
compagnia, tra qualche ripasso scolastico, una
partita di pallone, un tuffo in piscina e un mo-
mento formativo sulle orme di don Bosco.
La Casa salesiana del “Cardinal Cagliero” si fre-
gia ancora oggi del titolo di un tempo: Istituto
Missionario.
Non riesce più a sfornare giovani salesiani desti-
nati alle missioni lontane, come ai tempi eroici
della sua esistenza.
Tuttavia continua la sua “mission” in Ivrea e nel
territorio circostante.
I confratelli Salesiani della Casa si pongono vo-
lentieri al servizio pastorale delle parrocchie della
città e dei paesi vicini e, nonostante l’età ana-
grafica che avanza inesorabilmente, si ritrovano
sovente ancora oggi nei cortili del “Cagliero” in
mezzo a bambini, ragazzi e genitori a ricordare
che il cuore appassionato di don Bosco, educatore
ed amico dei giovani, non conosce età.
L’Istituto, immerso
nel verde a
pochi chilometri
dall’ingresso della
Valle d’Aosta,
sembra l’ambiente
ideale per passare
bene il tempo in
compagnia, anche
oltre il tempo
strettamente
scolastico.
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2.6 Page 16

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LA RICETTA SALESIANA
B.F.
I 6 ingredienti fondamentali per formare un “uomo”
6 La Spiritualità
10 passi per tornare al paradiso perduto
1) Riscoprire la capacità
di meravigliarsi
«Tu credi ai miracoli?»
«Sì».
«Sì? Ma ne hai mai visto uno?»
«Un miracolo? Sì».
«Quale?»
«Tu».
«Io? Un miracolo?»
«Certo».
«Come?»
«Tu respiri. Hai una pelle morbida e
calda. Il tuo cuore pulsa. Puoi vedere.
Puoi udire. Corri. Mangi. Salti. Can-
ti. Pensi. Ridi. Ami. Piangi...»
«Aaah... Tutto qui?»
Tutto qui.
È tragico non essere capaci di mera-
vigliarsi. Il bambino si apre alla vita
attraverso una catena di “stupori” e di
meraviglie. Il compito più importante
di un educatore è conservare questa ca-
pacità nei ragazzi che crescono: sarà la
qualità più preziosa della loro esistenza.
2) Chi sa stupirsi
non è indifferente:
è aperto al mondo, all’umanità, all’e-
sistenza. Si viene al mondo con questa
sola dote: lo stupore di esistere. L’e-
sistenza è un miracolo. Gli altri, gli
animali, le piante, l’universo, ci par-
lano di questo miracolo. E noi siamo
miracolosi come loro. Per questo dob-
biamo essere attenti e rispettosi. Chi
considera meravigliosa la vita, sente
di amare l’umanità, la rispetta in sé
e negli altri. Donando agli altri l’im-
portanza che meritano, noi scopriamo
la nostra importanza. La vita ha un
valore, una dignità. Nessuno ha il di-
ritto di deturparla.
Gli esseri umani non sono cattivi,
sono tristi. E i tristi diventano cattivi.
Sono tristi perché non percepiscono
la bellezza dell’esistenza.
3) La capacità di stupore
accende la volontà di lottare
per il valore della vita
La vita non è per la morte e l’umanità
non è solo violenza e mediocrità. Si
vive pensando che val la pena vivere e
val la pena l’umanità.
Anna, 46 anni, insegnante, scrive: «La
mia vita si divide in due periodi: prima
e dopo il coma. A 26 anni sono stata in
coma per due settimane: incidente stra-
dale, colpo di sonno al volante. Quan-
do ho riaperto gli occhi, nel silenzio del
reparto, ho visto minuscole luci danzar-
mi davanti. Ero viva. Illusioni, lucciole,
farfalle, non so che cosa fossero, ma è
così che ho riscoperto la meraviglia. È
stato come rinascere: il primo sorso di
caffè, la prima passeggiata, il piacere
di sfogliare una rivista, di chiedere che
cosa era successo durante il mio breve
letargo. Da allora ho imparato a guar-
dare le cose con altri occhi. Dal mio
risveglio, ogni cosa ha per me il valo-
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Settembre 2018

2.7 Page 17

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re di un dono: la meraviglia, scoperta
attraverso la paura, ha reso migliore
la mia vita. Non sono più una ragazza
intransigente e piena di rancore. Sono
cambiata, e il resto è arrivato da solo.
Ogni mattina mi sveglio pensando che
è stupefacente veder crescere i miei ra-
gazzi e miei alunni, contare i tramonti,
provare una ricetta, potare le mie rose.
Modugno aveva ragione: «Meraviglio-
so / la luce di un mattino / l’abbraccio
di un amico / il viso di un bambino /
meraviglioso». Peccato averlo scoperto
solo vent’anni fa».
4) Si è sorpresi dalla bontà
La vita è buona. Ad ascoltare i ragio-
namenti di certi ecologisti, l’uomo
sembra di troppo: un essere dannoso.
Il cristianesimo insegna che ogni vita
partecipa all’opera della creazione.
Sgorgano di qui la contemplazione,
la calma, la semplice serenità, l’entu-
siasmo, l’ottimismo.
5) La sofferenza ci spiazza
e ci sconvolge
Proprio perché ci fa capire in modo
brutale quanto sia grande la privazio-
ne. Si piange sempre per qualcosa di
bello che abbiamo perso, qualcosa di
essenziale. I bambini hanno bisogno
di scoprire il perché del male e del
dolore presenti nel mondo, come pure
di una convincente presentazione del
senso della vita.
6) Solo dalla meraviglia
sboccia la gratitudine
Tutto quello che abbiamo, lo dobbia-
mo a qualcuno. Dire grazie significa
entrare nella logica del dono e della
reciprocità. L’uomo moderno si indi-
gna, protesta, si vendica, raramente
ringrazia. Così dalla capacità di sa-
perci meravigliare passiamo all’ado-
razione.
8) Una comunità che sostiene,
perdona, accoglie,
incoraggia, conserva
la parola stessa di Dio.
Per troppi la Chiesa è solo un vago
riferimento burocratico, con strasci-
chi generici e tradizionali. Genitori
e figli devono invece partecipare alla
vita della Chiesa, sentendolo gradual-
mente come un miracolo: nella Chiesa
incontrano realmente e fisicamente
Dio, i suoi doni di grazia, il suo per-
dono. Qui ricevono il sostegno e il
nutrimento per crescere nella fede e
una risposta autorevole alle domande
della vita.
9) Un’identità forte,
un sistema di valori
coerente
L’ambiente in cui vivono molti ragaz-
zi oggi è disgregante. La fede consoli-
da, indica punti di riferimento, orien-
ta l’essere umano. Mostra la linea di
distinzione tra bene e male. E tutto
senza mai ledere in nulla la libertà
dell’individuo, a cui viene lasciata la
decisione finale. In modo misterioso
ma reale.
7) È l’incontro con un amico
È questa la sorgente della spiritualità.
C’è un filo che va dalla concretezza
della vita alla concretezza della sua
origine. Dio non è un’idea, ma una
realtà che si è fatta vedere e toccare
in Gesù di Nazaret, ed è il “Dio dei
viventi” perché logicamente il Crea-
tore della vita non può morire. Gesù
non è semplicemente un campione
d’umanità vissuto in un’epoca storica.
È vivente e operante, oggi.
10) La felicità
Un pregiudizio duro a morire vuo-
le che con una cosa il cristianesimo
non c’entri nulla: con la gioia di
vivere. Ma che razza di Buona No-
tizia è, se è così difficile andare in
Paradiso e così facile andare all’In-
ferno? Una curiosa forma di pudore
impedisce a troppi di parlare del pa-
radiso. Tommaso d’Aquino sostiene
che la felicità sia uno dei nomi di
Dio.
Settembre 2018
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Juan Carlos Quirarte
direttore dell’opera salesiana
di Ciudad Juárez, in Messico
«Siamo un’Ispettoria
che da trent’anni si
è lanciata nell’attività
al confine settentrionale,
impegnandosi in quasi tutto
il territorio di confine
di entrambi i Paesi, in luoghi
di estrema povertà
ed emarginazione. È una
presenza che consideriamo
profetica e nello stesso
tempo capace di suscitare
azioni preventive
specifiche e mirate».
Qual è il tuo biglietto
da visita?
Sono Juan Carlos Quirarte, un Sale-
siano messicano dell’Ispettoria
(Mexico-Guadalajara). Faccio parte
della Congregazione dal 1994 e sono
sacerdote dal 2003. Ho compiuto
studi umanistici e ho conseguito un
dottorato in Antropologia Sociale.
Sto per terminare il mio mandato di
direttore dell’opera salesiana di Ciu-
dad Juárez, in Messico. Lavoro qui
da sette anni. Ho quarantatré anni e
sono felice di essere Salesiano. Sento
di avere ancora molta energia da of-
frire al servizio della società.
Perché hai deciso
di essere Salesiano?
All’interno della fede cattolica, penso
che se non fossi diventato Salesiano
non avrei scelto nessun’altra Congre-
gazione religiosa e tanto meno avrei
deciso di essere sacerdote. Il mio in-
contro con il mondo salesiano mi ha
reso consapevole della mia dimensio-
ne cattolica cristiana. Non sarei di-
ventato sacerdote, se non avessi accol-
to il carisma salesiano.
Ho sentito di voler diventare Sale-
siano perché ho trovato affinità con
lo stile della Congregazione: felice,
creativo, dinamico, brioso, estroverso
e disponibile ad affrontare sfide im-
portanti con grande ottimismo. Ho
scoperto che nel mondo salesiano non
solo avrei potuto continuare a essere
me stesso, ma che proprio quelle mie
stesse caratteristiche acquistavano un
significato molto più ricco e pieno:
dare il meglio affinché tanti bambini,
il maggior numero possibile, potesse-
ro a propria volta raggiungere la loro
piena realizzazione.
Com’è l’opera salesiana
di Ciudad Juárez?
Ciudad Juárez è una città ubicata nel-
la parte settentrionale del Messico,
quasi al centro della frontiera tra gli
Stati Uniti e il Messico. Lungo questa
grande linea di confine che si estende
per circa 3600 km si concentrano va-
rie città messicane interessate da una
notevole varietà di flussi migratori, in
cui si è gradualmente costituito uno
stile di vita particolare tra due mondi
radicalmente diversi a livello di eco-
nomia e abitudini di vita.
In particolare, Ciudad Juárez è stata
plasmata dalle varie tipologie di in-
flussi provenienti dalle due parti del
confine nel corso della storia: la legge
sul proibizionismo che vietava la ven-
dita di alcolici negli Stati Uniti, l’ac-
cordo “bracero” riguardante la rego-
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Settembre 2018

2.9 Page 19

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lamentazione dell’opera dei lavoratori
messicani negli Stati Uniti e, in tempi
più recenti, l’avvio di imprese mani-
fatturiere transnazionali (attualmente
ce ne sono più di 300), cui si accom-
pagna una crescita sproporzionata in
termini di urbanistica e di servizi.
Ciudad Juárez è inoltre una città nel
deserto, che sperimenta climi estre-
mi, con temperature che raggiungono
i 40 °C e scendono fino a -10 °C.
Vivere in città, per chi è emarginato
e povero, è complicato. Negli ultimi
anni, in particolare a causa della vio-
lenza sistemica e simbolica che già
esisteva (mancanza di strutture e ser-
vizi, insieme alla presenza di stili di
vita e linguaggi comuni che denotano
differenze e disuguaglianze radicali),
sono state evidenziate in maggior mi-
sura le violenze compiute nell’ambito
del narcotraffico, le cui vittime prin-
cipali sono spesso adolescenti e giova-
ni, che rischiano in particolar modo
di essere reclutati per lo spaccio ed è
più facile che diventino consumatori
di sostanze stupefacenti.
L’opera salesiana di Ciudad Juárez
è attiva in questo ambiente con tre
grandi oratori aperti nell’arco di tut-
ta la giornata, un ufficio finalizzato
a realizzare progetti e servizi per i
giovani nei quartieri ad alto rischio e
nelle carceri minorili. Seguiamo an-
che minorenni che si trovano in situa-
zioni di conflitto con la legge.
Gli oratori di Ciudad Juárez si sono
preparati per affrontare le necessità
del contesto in cui operano, per ri-
spondere alle sfide che si propongono
e adeguarsi ai linguaggi dei giovani:
sport estremi, cinema, bar, imprendi-
torialità, associazioni e impegno nelle
politiche pubbliche ecc. Una tra le at-
tività più importanti dell’opera sale-
siana in questa città è il lavoro in rete
con altre organizzazioni della società
civile, tra cui si annoverano imprese e
organismi governativi, per cercare di
ridurre la violenza e potenziare l’ope-
ra di prevenzione grazie a un impe-
gno comune.
Sono Juan Carlos Quirarte, sto per terminare
il mio mandato di direttore dell’opera salesiana
di Ciudad Juárez, in Messico. Lavoro qui da sette
anni. Ho quarantatré anni e sono felice di essere
Salesiano.
Quali sono le tue più belle
soddisfazioni?
La gioia più grande è vedere che nei
nostri oratori, nelle strade e nei quar-
tieri in cui lavoriamo la partecipazio-
ne da parte dei giovani e delle loro
famiglie alle attività che proponiamo
è in continuo aumento. Siamo parti-
colarmente felici di vedere che abbia-
mo consolidato progetti di intervento
sociale e pastorale ben definiti, che
portiamo avanti in modo articolato
nei tre oratori, in modo tale da deter-
minare le azioni di maggior impatto
possibile, con risultati tangibili e che
ci permettono di valutare meglio in
quali ambiti sia più opportuno indi-
rizzare la nostra attenzione per conti-
nuare a crescere.
Siamo soddisfatti vedendo che i nostri
oratori sono ambienti in cui tanti gio-
vani comprendono che vivere significa
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2.10 Page 20

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L’INVITATO
impegnarsi e dunque il volontariato è
un aspetto fondamentale della nostra
opera. Abbiamo oltre 300 volontari
che, con amore e affinità con il cari-
sma salesiano, mettono il loro tempo
e i loro talenti al servizio degli altri.
È una società resiliente, che cerca di
uscire da condizioni sfavorevoli e, no-
nostante le difficoltà, sorride.
È pure una gioia vedere come molti
giovani, quando vengono a contatto
con l’opera salesiana, riescano a
trovare alternative e opportunità per
uscire da una spirale di violenza, per
individuare una direzione e modalità
diverse per vivere. A volte sembra che
il destino indichi ad alcuni giovani
un percorso quasi definitivo verso la
delinquenza o l’emarginazione, ma
improvvisamente questi stessi giovani
non solo si avviano verso la loro rea-
lizzazione personale, ma diventano
soprattutto operatori di promozione
umana.
I giovani della zona
I nostri giovani sono molto impegna-
ti, volenterosi, pieni di vita e vogliono
che tutti vivano bene e si realizzino
al meglio. Sono forti, perché le con-
dizioni di vita qui, nella parte setten-
trionale del Paese (a causa del clima,
dei problemi di mobilità in città, della
violenza in varie forme), li hanno resi
più resistenti, più portati a pensare in
termini sociali.
La società di Ciudad Juárez ha intra-
preso tentativi concreti per ridurre la
violenza e ha ottenuto risultati, ma
questo è accaduto in un contesto di in-
differenza da parte di chi è al potere e
d’altra parte i giovani sono stati i pro-
tagonisti del cambiamento positivo.
Molti giovani sono bollati pregiudi-
zialmente come vandali, pericolosi,
Gli oratori di Ciudad Juárez si sono preparati per
affrontare le necessità del contesto in cui operano,
per rispondere alle sfide che si propongono e
adeguarsi ai linguaggi dei giovani: sport estremi,
cinema, bar, imprenditorialità, associazioni e
impegno nelle politiche pubbliche, ecc.
teppisti. Forse il loro aspetto fisico può
combaciare con il preconcetto che la
società impone comunemente a questo
proposito, ma sono buoni e generosi.
I problemi
Il problema principale dei giovani a
Ciudad Juárez è la mancanza di op-
portunità e di alternative che permet-
tano di costruire una vita dignitosa e
costruttiva all’interno della società.
Sono ancora considerati oggetti di
consumo, soprattutto di sostanze che
creano dipendenza e illecite. Sono
anche i più ambiti dal crimine orga-
nizzato, che li ricerca per reclutarli per
attività illegali; alcuni di loro hanno
vissuto la perdita di una persona cara a
causa dello stesso crimine organizzato.
Data la mancanza di opportunità,
molti giovani cercano di raggiungere
con azioni illegali o criminali un ideale
che nel loro immaginario si troverebbe
nel vicino paese a nord del loro.
20
Settembre 2018

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

▲back to top
Opinioni sui Salesiani
che vivono in questa zona
La società di Ciudad Juárez riserva
all’opera salesiana grande rispetto e
ammirazione, riconosce il suo lavoro,
lo condivide e varie istituzioni offro-
no il loro sostegno; esponenti del go-
verno, imprenditori e persino membri
dell’accademia la appoggiano.
La Chiesa locale è stata molto aperta
negli ultimi ventisette anni, da quan-
do sono arrivati i primi Salesiani.
Siamo considerati intrepidi, creativi,
disponibili a stare con i giovani che
hanno più bisogno di attenzione, ca-
paci di lavorare sodo. Forse uno degli
aspetti più riconosciuti e apprezzati
in città è il nostro impegno a lavorare
con persone e ambienti cui altri non
oserebbero avvicinarsi.
Il futuro della
Congregazione in Messico
Noi Salesiani che viviamo in Messi-
co ci troviamo in una condizione in
cui la violenza soggettiva, la violenza
simbolica e la violenza sistemica in-
terpellano in modo particolare i no-
stri giovani e per questo cominciamo
a orientare molte nostre azioni nelle
varie opere e nei diversi ambiti di ser-
vizio per aiutare i minori in situazioni
di conflitto con la legge.
Il tema del reinserimento sociale rien-
tra nei nostri programmi a breve ter-
mine. Intendiamo condividere mo-
delli che conducano a un processo di
accompagnamento autentico a favore
dei giovani, affinché escano da una
spirale di violenza e possano trovare
le condizioni necessarie e sufficienti
per una vita dignitosa come cittadini
buoni e onesti.
Siamo un’Ispettoria che da trent’an-
ni si è lanciata nell’attività al confine
settentrionale, impegnandosi in quasi
tutto il territorio di confine di entram-
bi i Paesi, in luoghi di estrema povertà
ed emarginazione. È una presenza che
consideriamo profetica e nello stesso
tempo capace di suscitare azioni pre-
ventive specifiche e mirate.
In alto: Il Rettor Maggiore, accanto alla barriera
del confine con gli Stati Uniti.
A destra: «I nostri giovani sono molto impegnati,
volenterosi, pieni di vita e vogliono che tutti vivano
bene e si realizzino al meglio. Sono forti, perché le
condizioni di vita qui, nella parte settentrionale del
Paese (a causa del clima, dei problemi di mobilità
in città, della violenza in varie forme) li hanno
resi più resistenti, più portati a pensare in termini
sociali».
Settembre 2018
21

3.2 Page 22

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
A Taranto
l’Aquilone
vola ancora
Una periferia estrema,
aria inquinata, dove l’arte
di arrangiarsi è abitudine
e il lavoro nero la norma.
Qui tre suore tengono viva
l’umanità e la speranza.
Un quartiere dormitorio ad alto
rischio di devianza minorile:
droga, traffico d’armi, furti,
alcool e gioco d’azzardo. La
povertà ha molte dimensioni,
tocca la vita delle persone, in
particolare dei giovani, sotto svariati
aspetti: quello culturale, quello psi-
cologico, quello spirituale, rubandone
l’esistenza. I ragazzi trascorrono mol-
to del loro tempo per la strada giocan-
do a pallone o al biliardo; inevitabile
il pericolo di finire in giri poco chia-
ri. Sono questi alcuni tratti salienti di
una realtà dove l’arte dell’arrangiarsi è
abitudine ed il lavoro in nero è norma.
Taranto, “Paolo VI”, realtà di perife-
ria, quartiere attiguo alla grande in-
dustria siderurgica , dove l’aria
sembra inquinata per tanti versi, ma
non impedisce la ricerca del bello, del
vero e del buono, come testimoniano
da diciassette anni le Figlie di Maria
Ausiliatrice, attivamente presenti.
Dopo i Corsi professionali, i quali
hanno permesso di accogliere tanti
ragazzi del quartiere usciti dai rego-
lari percorsi scolastici, e di avviarli al
mondo del lavoro, oggi la comunità
delle suore, costituita da suor Anna
De Cataldo, suor Giorgina Vergine
e suor Mariarita Di Leo, opera nel
territorio mediante l’attività dell’O-
ratorio centro giovanile denominato
l’Aquilone, in collaborazione con l’As-
sociazione Vides Paolo VI (“Volonta-
riato Internazionale Donna Educa-
zione Sviluppo”).
Le attività che si svolgono sono il
dopo scuola, per prevenire la disper-
sione scolastica; il sostegno alle fa-
miglie più povere; le iniziative per la
promozione delle donne del quartiere
attraverso il Centro Ascolto donna e Fa-
miglia; il Circolo del the e del me, incon-
tri al femminile in cui intorno ad un
the e ad una cioccolata ci si racconta
e ci si sostiene reciprocamente in un
territorio che vede la donna ancora
sottomessa, spesso abusata e svilita
22
Settembre 2018

3.3 Page 23

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nella sua dignità; il tradizionale Fa-
mily day che consolida i legami interni
e non il nucleo familiare.
Sono attività di sostegno nelle quali
gli operatori cercano di favorire lenta-
mente un cambio che, comunicando la
cultura della vita, vinca il bagaglio di
morte fatto di degrado, di corruzione,
di ogni forma di dipendenza: dal gioco
alla droga, dal sesso all’alcol.
Don Bosco animatore
di strada
Un cuore evangelico e salesiano è sem-
pre creativo, pertanto le Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice sono inserite soprattut-
to là dove c’è povertà interiore.
Suor Mariarita, una volta a settimana,
si reca in carcere in occasione del col-
loquio che i detenuti hanno con i fa-
migliari, cercando così di creare rete a
sostegno delle famiglie stesse. Inoltre,
tantissime offerte formative sono mes-
se in atto per promuovere la crescita
integrale dei ragazzi: calcetto, teatro,
momenti di festa, una sala giochi per
i più giovani, passeggiate in bicicletta,
tornei di quartiere, momenti cultura-
li, cineforum; incontri formativi sono
riservati ai giovanissimi; a Piazzale
Pietro Nenni, una delle zone più a ri-
schio del quartiere, l’oratorio si svolge
per strada; d’altronde don Bosco non
andava a cercare i ragazzi nelle vie di
Torino? Come lui, si è consapevoli che
non tutti i ragazzi varcheranno le por-
te dell’oratorio, per tale motivo non si
attende che facciano loro il primo pas-
so, quindi si esce, si raggiungono le pe-
riferie più lontane mediante un’anima-
zione gioiosa e fresca che si propone
come alternativa alla strada. L’incontro
con persone che fanno sentire di essere
amati ed amabili, indipendentemente
dal passato, che donano gratuitamente
una nuova opportunità, conduce ad un
cambiamento del cuore e dell’esisten-
za; è quanto è avvenuto per Lorenzo
e per Franco. Lorenzo, trent’anni, cre-
sciuto per strada, una situazione fami-
liare difficile, ha conosciuto don Bosco
da piccolo e ha cambiato la sua vita; at-
tualmente è a disposizione dei ragaz-
zi. Papà Franco anima le partite per i
giovani più poveri, dopo aver vissuto
personalmente l’esperienza della po-
vertà sociale. Lorenzo e Franco, così,
testimoniano che si può anche osare di
vivere in un altro modo.
Al di là delle molteplici attività, le
suore ci dicono che la missione edu-
cativa che principalmente svolgono
è quella della presenza. «Qui ho im-
parato ed imparo che cosa significa,
come dice papa Francesco, “essere
missione”: presenza silenziosa che si
fa vicinanza toccando la vita con uno
«Qui ho imparato ed imparo che cosa significa,
come dice papa Francesco, “essere missione”:
presenza silenziosa che si fa vicinanza toccando
la vita con uno sguardo, con un sorriso, con una
carezza, nonostante talvolta si ricevano insulti. La
strada ci insegna a scegliere le vere priorità, ad
ascoltare i bisogni dei poveri, a condividerne la
vita, ad essere umili».
sguardo, con un sorriso, con una ca-
rezza, nonostante talvolta si ricevano
insulti. La strada ci insegna a sceglie-
re le vere priorità, ad ascoltare i biso-
gni dei poveri, a condividerne la vita,
ad essere umili».
L’Oratorio è comunque un punto luce
la cui fiamma è alimentata ogni gior-
no dalla piccola famiglia delle Figlie
di Maria Ausiliatrice, una famiglia
che vive essenzialmente di Provvi-
denza e nella quale tutti possono tro-
vare accoglienza senza essere giudi-
cati. La comunità trova il significato
primo ed ultimo della propria vita e
della missione educativa confrontan-
dosi con la Parola di Gesù, spezzan-
dola nella fraternità, dove attinge la
forza per essere presenza.
Settembre 2018
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3.4 Page 24

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A TU PER TU
BOLLETTINO SALESIANO GIAPPONESE
Traduzione di Marisa Patarino
La missione
di Teresa Nao
È giapponese, exallieva
e cooperatrice salesiana.
Da quindici anni vive
e lavora a Timor Est.
Teresa Nao Tsujimura studiava
presso il Politecnico Salesia-
no di Tokyo quando entrò a
far parte di un gruppo di vo-
lontari guidato da un Salesia-
no e visitò Timor Est per la
prima volta. Negli anni successivi vi
compì molte altre visite come volon-
taria ed ora è impegnata qui a tempo
pieno in qualità di esperta di coopera-
zione internazionale.
È felice e orgogliosa della sua voca-
zione di salesiana cooperatrice.
Com’è arrivata a Timor Est?
Era il 1994. Quando studiavo al Po-
litecnico Salesiano Ikuei entrai a far
parte di “Ikuei Oversees Volunteers”,
un gruppo di volontari guidato da
don Sleuyter, un sacerdote salesiano.
Trascorremmo a Timor Est un mese
e mezzo e lavorammo per installa-
re una pompa eolica a Baucau, nella
zona orientale del Paese.
Dopo aver conseguito la laurea al Po-
litecnico, per otto anni ho lavorato in
un istituto di ricerca per la coltivazio-
ne di orchidee. Nel corso di quegli
anni continuai a partecipare a opere
di volontariato a Timor Est duran-
te i periodi di vacanza in estate o in
primavera. A quell’epoca Timor Est
era occupata dagli Indonesiani e vi
regnava una grande insicurezza. Fui
lieta quando nel 1999 il Paese ottenne
l’indipendenza.
Perché ha deciso
di vivere qui?
Ci vivo da quindici anni. Don Sleuyter
cercava una persona che potesse impe-
gnarsi a lungo termine in un progetto
della (Japan International Coope-
ration Agency – Agenzia Internazio-
nale di Cooperazione del Giappone)
per favorire la diffusione dell’attività
ittica. Sebbene avessi qualche dubbio
perché non conoscevo la lingua e non
avevo competenze specifiche, mi offrii
di svolgere questo lavoro volontario e
mi trasferii per vivere e lavorare a Ti-
mor Est all’interno del gruppo “Ikuei
Oversees Volunteers”.
Ha trovato difficoltà
di adattamento?
A differenza del Giappone, qui
non c’erano né elettricità, né acqua
corrente, ma la vita era soddisfacente.
La prima sede cui sono stata destina-
ta era Lospalos, nella parte orientale
del Paese. Vivevo nella Casa Salesiana
locale. All’inizio la mia vita si svolge-
va in uno spazio fisico molto limitato,
ma con il passare del tempo l’oriz-
zonte della vita quotidiana si espanse
gradualmente, come accadeva ai miei
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Settembre 2018

3.5 Page 25

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«Insieme a coloro che condividono lo stesso
spirito di don Bosco, e anche con altre persone,
vorrei essere una persona adulta che sta con i
giovani e sa dare loro gli strumenti per vivere in
pienezza come ha fatto don Bosco».
rapporti con le persone. Dovettero tra-
scorrere circa due anni, prima che io
potessi muovermi liberamente in auto.
vivesse qui e dunque imparai subito la
lingua, per necessità.
Che cosa ha imparato
dalla Famiglia Salesiana
e dai giovani di Timor Est?
Ho imparato a vivere con la gente.
Nella Comunità Salesiana c’erano
missionari come don Jojo che prove-
niva dalle Filippine, don Jose dall’In-
dia, un coadiutore dall’Indonesia, ecc.
Erano vicini agli abitanti del luogo,
lavoravano con loro, consumavano gli
stessi cibi e non imponevano il loro
stile di vita. Volevo essere come loro,
seguire il loro stile e ho dunque im-
parato da loro nel corso della nostra
vita in comunità. Insieme ai Salesiani
locali, c’erano anche volontari prove-
nienti da Paesi come l’Australia, le
Filippine, l’India, che venivano qui in
visita per offrire orientamenti tecnici
presso l’Istituto di agraria salesiano.
Ho avuto l’opportunità di sperimen-
tare la vita tra persone di culture di-
verse.
Quest’anno a febbraio abbiamo tra-
scorso la Giornata della Missione Sa-
lesiana a Dili, la capitale. Don Manuel
Fraile ha tenuto un seminario su Fran-
cesco Saverio, il padre delle missioni in
Giappone, e don Vincenzo Cimatti, il
padre delle missioni salesiane in Giap-
E per la lingua?
A Timor Est le lingue ufficiali sono
il portoghese e il tetum. Quando co-
minciai a vivere a Timor non c’erano
libri di testo scolastici o sistematici
per studiare il tetum e dovetti quindi
imparare la lingua come autodidat-
ta. C’era un solo libro intitolato Mai
Koalia Tetun (Parliamo tetum), un’in-
troduzione alla lingua tetum in ingle-
se. Utilizzai questo libro per studiare.
Quando mi imbattevo in parole che
non capivo e che non trovavo in que-
sto libro, chiedevo a un Salesiano il
loro significato e spiegazioni per l’uso
corretto. Ero l’unica Giapponese che
Settembre 2018
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3.6 Page 26

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A TU PER TU
pone. Ho aiutato a tradurre il video su
don Cimatti. Il mio desiderio di “pro-
seguire così” si è rafforzato quando ho
sentito i giovani Salesiani che seguo-
no il loro percorso di formazione dire:
«Siamo stati colpiti, vedendo come don
Cimatti abbia cercato di diventare il
don Bosco del Giappone, sforzandosi
di inculturare il Vangelo». Un giovane
Salesiano ha detto: «Mi piacerebbe es-
sere un missionario in Giappone come
don Cimatti».
Quale attività svolge
in questo momento?
Sono impegnata con i funzionari loca-
li in un progetto pubblico per realiz-
zare e mantenere la rete autostradale
statale. È in corso di svolgimento un
programma triennale con ingegneri
mandati dal Giappone a fornire indi-
«Sono impegnata con i funzionari locali in un
progetto pubblico per realizzare e mantenere la
rete autostradale statale».
A destra: Teresa con l’ispettore salesiano.
cazioni tecniche per il progetto della
rete stradale e io mi occupo di moni-
torare e valutare l’opera. Sono anche
impegnata in un progetto di aiuto allo
sviluppo promosso dal Ministero de-
gli Esteri giapponese per costruire un
ponte nella capitale. Insieme ai fun-
zionari locali mi occupo del trasferi-
mento e delle compensazioni a favore
delle persone che vivono qui a cui vie-
ne chiesto di spostarsi dal luogo in cui
avverrà la costruzione.
Può dirci com’è diventata
cooperatrice salesiana?
Prima di tutto, quando studiavo
presso il Politecnico Salesiano Ikuei
incontrai molti Salesiani che mi la-
sciarono un’impressione costrutti-
va. Quando decisi di trasferirmi a
Timor Est nell’ambito del progetto
salesiano di cui ho parlato, rimasi
sorpresa dalle parole che mia non-
na mi rivolse allora: mi disse che
mio nonno fu battezzato nella fede
cattolica quando la sposò e scelse
come nome di battesimo Francesco
di Sales, perché aveva conosciuto un
Salesiano. Questo fatto mi indusse
a provare un forte legame con i Sa-
lesiani.
Non pensavo di diventare suora, ma
mi interessava lo stile di vita dei Vo-
lontari di don Bosco, che vivono la
loro vita consacrata nel mondo.
Un giorno trovai una presentazio-
ne dei Salesiani Cooperatori scritta
da monsignor Mizobe, , che si
rivelò molto importante per me fin
dall’epoca in cui studiavo al Politec-
nico. Compresi che un Cooperatore
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Settembre 2018

3.7 Page 27

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adempie il compito che gli è stato as-
segnato in un dato momento e offre
il suo contributo tramite la posizio-
ne che occupa nella società. Avvertii
il desiderio di seguire questo stile di
vita. Seguii un percorso di due anni
di formazione a Timor Est, ho anche
trascorso un periodo di preparazione
in Giappone, guidato da don Hama-
be, e quest’anno, nel mese di febbraio
2018, in occasione della visita del
Rettor Maggiore a Timor Est, ho
pronunciato la Promessa e sono en-
trata a far parte dell’Associazione.
Che cosa significa
per lei essere
Cooperatrice Salesiana?
Insieme a coloro che condividono lo
stesso spirito di don Bosco, e anche
con altre persone, vorrei essere una
persona adulta che sta con i giovani
e sa dare loro gli strumenti per vivere
in pienezza come ha fatto don Bosco.
Voglio essere una persona che sappia
incoraggiare i giovani.
Come vive l’aggettivo
“salesiana”?
Il mio ruolo può essere paragonato a
un ponte, vorrei essere una struttura
solida, affinché la gente potesse attra-
versarlo. Vorrei mettere in pratica ciò
che mi hanno insegnato don Jojo, don
Jose e altri: stare con la gente.
Ricordo ancora e cerco di non dimen-
ticare le parole di don Hendrickx,
Rettore all’epoca in cui ero studentes-
sa al Politecnico. In una lettera indi-
rizzata all’Istituto scrisse: «Da adulti,
entrare nella mentalità dei giovani. È
diverso dal diventare come i giovani».
Dato che siamo diversi, come giovani
o adulti, timoresi o giapponesi, non
dobbiamo essere come gli altri, ma
penso che sia importante entrare nel-
la mentalità degli altri, andare oltre il
proprio punto di vista e comprendere,
impegnarsi con gli altri per vivere in-
sieme.
Timor Est si sta sviluppando a un
ritmo sorprendente. Il governo cerca di
concentrarsi sull’industria del turismo.
Vorrei tanto che tutti veniste a visitare
Timor Est per conoscere questo bellis-
simo Paese. Se ci verrete, io vi farò da
guida.
LORETO (ANCONA)
28-30 settembre 2018
GRANDE INCONTRO DEI NONNI D’ITALIA
Conversazioni tenute da don Pino Pellegrino
Esperienze indimenticabili. Ospitalità. Cortesia. Serenità garantita dai Frati Minori Francescani.
Affrettare le iscrizioni!
Per info e prenotazioni:
Padre Alessandro: 333/4562389 alessandroangelisanti@gmail.com
Suor Armanda: 328/9731753 armandaparente@libero.it
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3.8 Page 28

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FAMIGLIA SALESIANA
MARIA LETIZIA ONO
Portò l’amore di don Bosco
nella terra del sole nascente
130 anni dalla nascita di don Antonio Cavoli
fondatore delle Suore della Carità di Gesù.
Tutto cominciò con una ri-
chiesta segretissima. L’ave-
va inviata il Papa, nel 1923,
al Superiore dei salesiani: il
Giappone stava estenden-
do la sua influenza su tutta
l’Asia, e occorreva estendere le mis-
sioni cattoliche in terra giapponese.
Il Papa chiedeva ai salesiani di aprire
una missione nelle province di Miya-
zachi e Oita: un milione e mezzo di
giapponesi, di cui solo 300 cristiani.
Il Superiore generale rispose chieden-
do al Vaticano un anno di tempo per
preparare le persone. Poi chiamò a sé,
per un colloquio privato e segreto, un
giovane salesiano geniale e coraggio-
so, professore a Valsalice: don Vin-
cenzo Cimatti.
Febbraio 1926. I primi nove missio-
nari salesiani capeggiati da don Ci-
matti arrivano a Miyazachi. Uno dei
salesiani è Antonio Cavoli, atletico,
robusto con un gran ciuffo di capel-
li neri e un bel volto aperto e deciso.
Nella casetta preparata per loro si sfi-
lano le scarpe e infilano le pantofole
su cui devono scivolare goffamente
di stanzetta in stanzetta (come ogni
giapponese) senza scuotere troppo le
sottili pareti di legno.
Don Cimatti e i suoi compagni visi-
tano per la prima volta le famiglie cri-
stiane, quasi tutte poverissime. Scrive
al Superiore generale: «Vedesse certe
stamberghe! Neppure Gesù nella ca-
panna di Betlemme. Bene, ora siamo
a casa nostra, e ci metteremo subito a
evangelizzare i poveri».
«Banzai!»
Problema numero uno: la lingua. Vie-
ne un maestro elementare cristiano,
con i libri dei bambini. La lavagna
è posta sul tavolo da pranzo, i nove
missionari si siedono intorno atten-
tissimi. «Nove scolaretti con barba»,
annota don Cimatti.
La lingua stenta ad arrivare. I ragazzi
invece arrivano subito. Due li hanno
visti arrivare e inchinandosi hanno
detto «Banzai!» (viva!). Sono aumen-
tati di giorno in giorno, e hanno dato
una mano a trasformare il bellissimo
giardino che affiancava la casa in cor-
tile. Fanno le prime corse, le prime ri-
sate. A un salesiano che «non sa come
fare», don Cimatti dice: «Facciamo
come don Bosco: oratorio, musica, e
appena possibile un po’ di scuola».
Nel 1926, all’improvviso, si spalanca
la porta della musica. Per il settimo
centenario della morte di san France-
sco, i Francescani preparano una festa
grande, e chiamano don Cimatti a
dare un concerto. Con l’aiuto di don
Margiaria e di don Liviabella (due
splendide voci ben impostate) il con-
certo è un successo tale che da uno si
moltiplica per cinque. Don Cimatti e
la musica europea reggono le prime
pagine dei giornali nazionali. Arriva-
no inviti per concerti dalle principali
città nipponiche. Negli intervalli del-
la sua normale attività missionaria tra
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Settembre 2018

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i ragazzi e la gente semplice, don Ci-
matti accetta. Alla fine del 1935, ti-
rando i conti, si accorgerà di aver dato
800 concerti. Soldi non ne ha guada-
gnati, ma la simpatia per i cattolici e
specialmente per i salesiani è salita di
parecchi gradi.
«Se vi occupate di ragazzi poveri, do-
vete venire a Tokio», hanno detto i
Francescani a don Cimatti. Ci va in
esplorazione. La capitale del Giap-
pone è già in quegli anni una delle
più vaste e caotiche città del mondo.
Distese sterminate di case, edifici in-
dustriali giganteschi che si spingono
verso la costa del Pacifico. E accanto
alla ricchezza, le cinture nere della
miseria. «Il quartiere di Mikawagina
è poverissimo – annota don Cimatti –.
È giudicata la zona più misera della
città. Migliaia di ragazzini per le stra-
de. Verremo qui».
Arrivano alla fine del gennaio 1933.
«Don Bosco andava a cercare per le
vie di Torino i suoi ragazzi – scrive
don Cimatti –. Qui sono i ragazzi a
cercare i salesiani. Non par loro vero
di avere a disposizione un bel cortile
dove scorrazzare. E non par vero nep-
pure a noi di aver potuto realizzare
con tanta facilità l’inizio di quello che
noi chiamiamo oratorio».
A Miyazachi rimane don Antonio
Cavoli.
Corrono e saltano
con i giovani
Don Antonio Cavoli era nato a S.
Giovanni in Marignano (Rimini),
il 4 agosto 1888, in una famiglia di
contadini. Crebbe robusto, educato
da genitori esemplari, profondamente
cristiani. La vita nei campi, l’influen-
za di uno zio prete, l’atmosfera spiri-
tuale della famiglia fecero sbocciare
in lui la vocazione, e a 14 anni entrò
nel Seminario di Rimini.
Dopo il servizio militare, il primo
maggio 1914, fu ordinato sacerdote.
La sua innata simpatia e l’umanità lo
fecero stimare subito, ma nel 1915,
allo scoppio della guerra, fu richia-
mato sotto le armi. Fece domanda
come Cappellano militare e senza ba-
dare al dolore dei parrocchiani e della
famiglia, chiese di essere mandato al
fronte. Finita la guerra, nonostante i
grandi festeggiamenti per il suo ri-
torno, sentì una nuova chiamata dal
Signore. Dopo dieci giorni di esercizi
spirituali, sotto il manto della Ma-
donna di Misericordia a cui era mol-
to devoto, venne consigliato dal suo
Direttore spirituale con queste paro-
le: «Fatti Salesiano. I Salesiani sono
venuti l’anno scorso a Rimini, sono
zelanti dell’educazione dei ragazzi,
A sinistra: La chiesetta di Miyazachi.
Sotto: Il giovane don Cavoli con don Cimatti
e i primi ragazzini.
Settembre 2018
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3.10 Page 30

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FAMIGLIA SALESIANA
hanno un metodo speciale, usano
modi familiari e corrono e saltano
con loro».
Impressionato dal “Corrono e saltano
coi giovani” don Cavoli si recò subito
nella casa salesiana di Rimini, dove il
direttore di allora, don Gavinelli, gli
regalò la biografia di don Bosco e le
Costituzioni dei Salesiani.
La diocesi non lo voleva lasciar par-
tire. Ma, superati i dissensi, don An-
tonio entrò nel noviziato salesiano a
Genzano di Roma, dove trovò aspi-
ranti e novizi assai più giovani di lui.
Il 5 gennaio 1922 diventò salesiano e
fu inviato nella casa di Perugia, an-
cora in costruzione. Qui per tre anni
visse l’esperienza della pastorale ora-
toriana, ma sentiva sempre più forte
l’ideale di partire per le missioni all’e-
stero.
Per la fibra e l’ardire, fu scelto per la
spedizione in Giappone. La mattina
della partenza, il Rettor Maggiore
don Rinaldi volle celebrare la San-
ta Messa con loro nelle camerette di
don Bosco. Disse loro: «Carissimi,
voi andate nel Giappone. Non cre-
diate d’avere accoglienze solenni e
successi immediati come i missionari
delle altre missioni, dove con facilità
attirano le masse: voi andate in un
Le prime Figlie della Carità con i bambini
dell’Ospizio.
Sotto: La prima processione del Corpus Domini
organizzata dai Salesiani.
paese molto diverso, molto progredi-
to nella civiltà. Se voi studiate la sua
storia sia nel campo letterario come in
quello scientifico e artistico, vi accor-
gerete che non ha nulla da imparare
dall’Occidente. Non potrete dunque
dare niente di nuovo al Giappone?
Voi possedete una cosa che il Giap-
pone ancora non ha e che attende da
voi: la carità. Questa carità il Giappo-
ne ancora non l’ha perché non cono-
sce ancora il vero Dio, quindi il vostro
apostolato sarà in proporzione della
carità di Cristo che da voi irradierà
sul popolo giapponese».
Ma sempre “Carità”
Nel 1929, don Antonio Cavoli, par-
roco della chiesa di Miyazachi, ra-
dunò un gruppo di ragazze e iniziò
le visite ai poveri e agli ammalati. Il
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Settembre 2018

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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gruppetto diventò prima una Confe-
renza di San Vincenzo e poi aprì un
Ospizio per i più poveri, gli abban-
donati e i malati.
Prima della guerra mondiale in
Giappone, crescevano sempre più
il nazionalismo e la campagna di
estradizioni degli stranieri, per cui
divenne impossibile ricevere offerte
dall’Italia. Don Cimatti desiderava
che l’Ospizio continuasse e propose
a don Cavoli la fondazione di una
Congregazione femminile. Don Ca-
voli accettò la proposta e il 15 agosto
1937, venne fondata la Congregazio-
ne delle Suore della Carità del Giap-
pone.
Egli ha preso la parola “Carità”, per-
ché le parole di don Rinaldi gli erano
sempre di conforto e guida delle atti-
vità e continuarono a rivivere nel fine:
“Evangelizzare mediante le Ope-
re della Carità”. Il nome poi venne
modificato in “Congregazione delle
Suore della Carità di Miyazachi” e
attualmente in “Congregazione delle
Suore della Carità di Gesù”.
Il seme di Carità seminato in un an-
golo di Miyazachi crebbe espandendo
i rami nel Giappone dove varie Case
Religiose vennero fondate una dopo
l’altra. Lo zelo missionario di don
Cavoli non si fermò al solo Giappo-
ne, ma volle portare la giovane Con-
gregazione anche all’estero. Nel 1956
inviò le sue Suore come missionarie in
Corea, poi in Bolivia, e in Brasile.
Don Cavoli, dopo aver dedicato tutta
la sua vita alla formazione delle suore
e allo sviluppo della Congregazio-
ne, si spense a Tokio il 22 novembre
1972, a 84 anni.
Attualmente, le Suore della Con-
gregazione contano 950 Consorelle
presenti in 15 nazioni, per trasmet-
tere l’amore misericordioso del Sacro
Cuore di Gesù verso tutti e special-
mente verso i poveri e i sofferenti.
La casa natìa
La congregazione desiderava da tem-
po di conservare in buona condizione
la casa d’infanzia del fondatore a San
Giovanni in Marignano. Grazie alla
collaborazione del nipote di don Ca-
voli, Giovanni, sono terminati i lavo-
ri di ricostruzione ed è stato allestito
un piccolo spazio a ricordo del fon-
datore. In sua memoria nella chiesa
di san Pietro Apostolo dove egli fu
battezzato, sarà celebrata una Messa
solenne. Subito dopo sarà inaugurato
il piccolo museo nella sua casa.
Le Suore della Carità di Gesù, oggi.
Fanno parte della Famiglia Salesiana,
sono attive ed entusiaste, presenti
in quindici nazioni del mondo.
Settembre 2018
31

4.2 Page 32

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INVISIBILI
PINA BELLOCCHI
I miracoli
di Caterina M.
Una Volontaria di don
Bosco che ha scoperto
il segreto della felicità.
A novant’anni ha creatività
e coraggio da vendere:
continua a programmare
e a sognare come
un’adolescente che ha
davanti a sé tutta la vita.
Caterina M. è proprio “un’esa-
gerata” dell’amore.
Lei, che possedeva tanti
beni, diverse case, una villa
in uno dei luoghi turistici più
esclusivi, varie proprietà di
famiglia, si è fatta povera per amore.
Oggi, con i suoi novant’anni, abita in
una casa semplice, molto sobria, dove
si muove con difficoltà appoggiandosi
ad un bastone. È questo oggi il suo
piccolo mondo, ma se osservi i suoi
occhi azzurri, il suo sguardo lumi-
noso, ti accorgi che nel suo cuore è
sempre palpitante il vissuto dei suoi
viaggi in giro per il mondo: in India,
in Africa, in America Latina. Non è
andata fin lì per fare turismo, ma per
soccorrere i più bisognosi, donando
tutto ciò che aveva.
Vado a trovarla per passare con lei
qualche ora e le chiedo di raccontare
un po’ della sua vita: “La mia infanzia
è stata un dono grandissimo del Suo
amore, della Sua predilezione. Sono
stata battezzata a sei giorni dalla na-
scita e a sei anni ho ricevuto la pri-
ma Comunione e la Santa Cresima.
Ricordo le belle processioni in onore
del SS. Sacramento e noi bambini
avevamo la gioia di vedere Gesù pas-
sare lungo la strada stracolma di fiori.
Credo che fu allora, in una di queste
feste, che cominciò a sbocciare in me
l’amore per l’Eucaristia.
Sognavo una famiglia
numerosa
Nella mia adolescenza sognavo di far-
mi una famiglia numerosa, con il desi-
derio di educare i figli nel santo timore
di Dio. Assieme a questi sentimenti
giovanili, cresceva in me l’amore per
la Madonna e il desiderio di preghiera.
Ho vissuto l’amore per i poveri fin
dalla mia prima infanzia e grazie
all’esempio della mia famiglia.
Quando la nonna non poteva più
camminare, voleva che io le prepa-
rassi una borsetta da appendere alla
spalliera della sua sedia; doveva con-
tenere gli spiccioli “per gli amici”, i
suoi poveri, che venivano a trovarla.
Teneva vicino il pane e il vino, li face-
va mangiare, e tutti tornavano a casa
confortati. Ogni sera, tutta la famiglia
si riuniva nella casa del nonno Nino
per trascorrere delle ore insieme, che
poi si concludevano con la recita del
santo Rosario: mamma e papà ci te-
nevano che noi bambini recitassimo il
rosario insieme ai grandi!
La domenica era un giorno speciale:
tutta la famiglia al completo andava-
mo alla messa delle undici. Crescen-
do, mi sono inserita nelle attività del-
la parrocchia: catechesi, Caritas.
Dedicavo il mio tempo libero ai po-
veri: procurare una bombola ad una
famiglia che non aveva i soldi per
comprarla e non poteva cucinare, vi-
sitare un vecchietto solo, soccorrere
una ragazza che viveva per strada…
Ero giovane, ma molto determinata.
Gesù presente nell’Eucaristia diven-
tò la mia calamita ed è tutt’ora il mio
più grande tesoro. Al buio di notte,
ai piedi del letto, spesso mi inginoc-
chiavo, intrattenendomi a lungo in
preghiera di adorazione. Ero in una
fase stupenda della mia vita: grande
gioia, grande entusiasmo…
Iniziai ad insegnare nella scuola ma-
terna: un’esperienza molto ricca che mi
faceva entrare in contatto con la realtà
di bisogno di tante famiglie. Non riu-
scivo a restare indifferente. Sentivo
che era arrivato il momento di scelte
radicali. Il desiderio nato in me di con-
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Settembre 2018

4.3 Page 33

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PREGHIERA
sacrarmi al Signore mi ha portata alla
scoperta degli Istituti Secolari.
Quando ci siamo trasferiti a Trapa-
ni, nella Parrocchia affidata ai padri
salesiani, ho conosciuto le Volontarie
di don Bosco. Il primo incontro l’ho
avuto con Velia, durante un corso di
Esercizi Spirituali. Iniziai il cammi-
no con molta gioia. La mia vita era
piena, quando la morte di mio padre
mi costrinse a riflettere sul profondo
senso della mia esistenza. La Provvi-
denza mi aveva riservato tanto nella
vita e sentivo ora che queste cose non
mi appartenevano; la casa al mare,
in montagna, il vestito, le scarpe che
avevo in più, non erano mie, ma del
fratello povero. L’invito di Gesù “Va’,
vendi ciò che hai e dallo ai poveri, poi
vieni e seguimi”, Vangelo da me tante
“Io ti ringrazio Signore della Storia, che guidi con amore gli avvenimenti della mia vita.
Tu sei sempre imprevedibile, sei sempre Tu a guidare i miei passi e oggi lo sento con gioia
più che mai, perché mi sento portata da Te che sei l’Amore.
Tu hai predisposto le cose perché io facessi questa esperienza di povertà e donazione tanto
bella, ma altrettanto dolorosa.
Bella perché mi fa sentire oggetto del Tuo amore misericordioso. Bella perché apre nuovi
orizzonti alla mia vita.
Bella perché mi mette sulla strada di liberarmi di tutto e di prepararmi con gioia all’incontro
finale con Te che vieni.
Dolorosa per aver sperimentato la vera povertà e per avere l’occasione di offrirti gli imprevisti
e le sofferenze di ogni giorno.
Grazie Signore, io colgo tutto dalle Tue mani e con immensa gratitudine Ti dico grazie,
Signore!”.
(Caterina)
volte letto, meditato, pregato, adesso
mi interpellava, e attendeva risposte
concrete. Mi sono incamminata con
gioia su questa strada, ho fatto la scelta
radicale per i poveri: ho deciso di dare
tutto per la perla preziosa, per il teso-
ro del campo. Dare tutto per seguire
più da vicino Gesù; aiutare, consolare,
dare una mano al fratello e camminare
insieme, per scoprire insieme l’Amore:
l’amore vero che porta alla felicità.
Iniziarono così le prime realizzazioni:
con la vendita di due piccoli appar-
tamenti riuscii ad aprire una Casa di
accoglienza per persone in difficoltà,
soprattutto giovani. In seguito, eventi
fortuiti mi portano ad iniziare le espe-
rienze all’estero. In Messico, nel de-
serto di Juarez, incontrai una povertà
spaventosa. A due passi da lì potevo
vedere la ricchezza dello stato del Te-
xas che contrastava in maniera striden-
te con la miseria di quella gente. Mi
sono sentita profondamente interpel-
lata. Sono tornata a casa, ho venduto
delle proprietà e sono tornata in Messi-
co per realizzare il mio progetto: edifi-
care casette per le famiglie più povere,
coinvolgendo le persone beneficiarie
nella costruzione della loro abitazione.
Questo è stato solo il primo passo.
Altre circostanze apparentemente ca-
suali, ma certamente nei piani di Dio,
mi hanno condotto in India a realizza-
re interi villaggi con centinaia di caset-
te, poi in Madagascar, in Argentina,
in Brasile…
Pian piano ho venduto tutto, ma la
Provvidenza è stata ed è la più grande
protagonista della mia vita, suscitando
disponibilità e collaborazione in tante
persone. Questo impegno mi ha dato
una forte carica spirituale e fisica, fa-
cendomi anche dimenticare gli acciac-
chi, che alla mia età non mancano. Ho
sperimentato ogni momento che si ha
più gioia nel dare che nel ricevere”.
Ho davanti a me una persona felice,
che ha scoperto il segreto della vera
libertà.
A novant’anni ha creatività e coraggio
da vendere: continua a programmare
e a sognare come un’adolescente che
ha davanti a sé tutta la vita.
Le chiedo: “Caterina: pensando alla
tua vita, che cosa vorresti dire alla Fa-
miglia Salesiana?”. Mi guarda per un
attimo intensamente e poi risponde
decisa: “Vorrei dire che vale la pena.
Rifarei tutto ciò che ho fatto. Amare
Gesù nel povero ti rende libera e ti fa
felice!”.
Settembre 2018
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
IL SALVATAGGIO
La barca del mondo naviga in acque agitate come mai. Ha bisogno di sostegno
per evitare il naufragio. Ad offrire tale sostegno mira la nostra proposta mensile.
8 Salviamo l’umorismo
A vere il senso dell’umorismo
significa possedere la chiave
dell’allegria. E della santità.
L’originalità di don Bosco
fu d’aver dato un valore
pedagogico alla gioia, al
buon umore; cioè d’aver non soltanto
accettato, ma anche condiviso come
educatore, quell’allegria aperta e
gioiosa del giovane. Fu la pedagogia
della “gioia”, in termini moderni del-
la “serenità”; liberatoria quindi dalla
nevrosi e stimolatrice di creatività,
in quanto infondeva speranza, voglia
di lavorare, di studiare, di vivere e di
convivere. L’allegria non serve infatti
soltanto alla distensione psichica del
soggetto, ma è anche uno stimolo
creativo ai suoi valori interiori e a un
positivo comportamento sociale. San
Domenico Savio, che a quattordici
anni l’aveva ben capito, diceva: «Qui
da noi la santità consiste nello sta-
re molto allegri, per essere come il
Signore. Il demonio teme le persone
contente. Sappi che noi qui identifi-
chiamo la santità con la grande alle-
gria, perché siamo come il Signore.
Il demonio ha paura della gente al-
legra».
Il lato buffo
Il senso dell’umorismo, infatti, è la ca-
pacità di vedere il lato buffo delle cose
anche in situazioni tristi e spiacevoli.
Un imbianchino cade dal secondo
piano, restando incolume. Una signo-
ra caritatevole gli offre un bicchiere
d’acqua. L’imbianchino osserva il bic-
chiere, poi domanda: «Mi scusi, da
che piano bisogna cadere per avere un
bicchiere di cognac?».
L’umorismo è il sale della quotidiani-
tà. Se togli il senso del comico, togli
il sale della vita, le bollicine dell’esi-
stenza.
Un giorno il professor Cagnotto entra
in classe e vede scritto sulla lavagna:
“Cagnotto asino!”.
Senza scomporsi, domanda: «Chi è che
ha scritto il suo nome accanto al mio?»
Tutta la classe ride e la tensione si
scioglie!
Una volta un impiegato della dit-
ta specializzata negli impianti d’aria
condizionata continuava a dire che si
trattava di “Un prodotto della civiltà”.
Dopo un po’, per liberarsi dall’impor-
tuno, il proprietario della villa disse:
“Ma io non voglio prendermi una
polmonite civile!”.
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Settembre 2018

4.5 Page 35

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DAMMI LA VOGLIA DI RIDERE
Il segreto della simpatia
L’umorismo è segno di matu-
rità. La prima volta che si ride di una
battuta a proprie spese, si può dire
d’essere diventati adulti, notano tutti
gli psicologi a qualsiasi scuola appar-
tengano.
L’umorismo fa simpatici, non fa spriz-
zare gioia attorno a sé chi, ad esempio,
aggiorna in modo scherzoso i vecchi
proverbi? Qualche esempio:
Chi dorme non piglia la curva”. “Il
mondo è fatto a scale. Chi è furbo prende
l’ascensore”. “Si dice il peccato, ma non il
deputato”. “Chi tardi arriva, mal par-
cheggia”. “L’occasione fa l’uomo… mini-
stro”. “Chi fa da sé fa per tre… e crea
quattro disoccupati”.
Battute, battutine scaccia-sbadigli.
Questo fa l’umorismo.
L’umorismo è una forza. Lo
sosteneva Sigmund Freud: «L’umori-
smo è il più potente mezzo di dife-
sa. Permette un risparmio di energia
psichica. Con una battuta di spirito
blocchiamo l’irrompere di emozioni
spiacevoli».
Non può essere che così. L’umorismo,
infatti, sdrammatizza tutto.
Scusami l’impertinenza,
ma stasera ho voglia di dirTi
come i bambini piccoli
sulle ginocchia del fratello maggiore:
Fammi ridere! ”.
Sdrammatizza le cose più banali: «Mi
sono spaccato il pipistrello della mano
sinistra!» scherzava Totò. Sdramma-
tizza la morale: «Dopo il peccato di
Adamo non si riesce più a far un pec-
cato originale!»
Sdrammatizza il matrimonio. Un tale
va a confessarsi: «Padre sono sposato».
«Ma questo non è peccato!», rispon-
de il confessore. Il penitente: «Me ne
pento lo stesso!».
Sdrammatizza gli imprevisti. Quando
il futuro papa Giovanni XXIII fece
l’ingresso come patriarca a Venezia,
un colombo gli lasciò cadere dall’alto
un poco pulito ricordo. Gelo tra gli
astanti. Il porporato sdrammatizzò:
«Per fortuna le mucche non volano!».
Sdrammatizza anche la religione. Un
turista osserva il parco macchine del
Vaticano e, scuotendo la testa, dice
alla guida: «E pensare che tutto è co-
minciato da un asinello!».
Sdrammatizza persino la morte:
Sì, è la mia preghiera inattesa:
Signore, fammi ridere!
Perché, a mia volta, io possa
far ridere i miei fratelli:
Ne hanno tanto bisogno!
(Michel Quoist)
«Peccato che per andare in Paradiso,
bisogna salire su un carro funebre!»
Che cosa si vuole di più? Una cosa
sola: scongiurare il buon Dio perché
ai cinque sensi che già ci ha regala-
to aggiunga, subito subito, il senso
dell’umorismo. Senza di esso sarem-
mo terribilmente più poveri e infelici.
Insomma, salvare l’umorismo non è
un optional. È un dovere!
Un giorno Charles Schulz, il famo-
so disegnatore statunitense, autore di
Linus e del cane Snoopy ha confidato:
“Se mi fosse possibile fare un regalo
alla prossima generazione, darei ad
ogni individuo la capacità di ridere di
se stesso”.
Il termometro
della famiglia
Per sapere se la nostra famiglia va bene
basta la risposta ad una sola domanda:
«Ci divertiamo ancora insieme?».
Settembre 2018
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Come un frutto
che da terra
guarda il ramo
In una fase storica come quella odierna,
in cui il cinismo e la disillusione imperanti
sembrano aver negato cittadinanza
alla dimensione feconda dell’utopia, è sempre
C più difficile identificare ideali credibili
e condivisi per cui valga la pena lottare,
sperare, investire tempo e passione.
ome un frutto che da terra guarda il
ramo. È così che, nel presente momento
storico, in un’epoca segnata da un diffu-
so sradicamento e dal tramonto di gran-
di ideali da seguire, si sentono spesso i
giovani adulti. Orfani di un orizzonte
Sono un orfano di acqua e di cielo,
di senso in cui andare a collocare la propria bio-
un frutto che da terra guarda il ramo.
grafia esistenziale, di fondamenta solide e vita-
Orfano di origine e di storia
li su cui costruire e radicare la propria identità
e di una chiara traiettoria.
così come di una chiara traiettoria in grado di
Sono orfano di valide occasioni,
orientare il proprio cammino quotidiano, speri-
del palpitare di un’idea con grandi ali,
mentano la crescente difficoltà di riconnettere in
di cibo sano e sane discussioni,
modo sensato il passato al futuro, tessendone fati-
delle storie degli anziani,
cosamente la trama sfilacciata in un presente che
cordoni ombelicali.
appare sempre più menomato dagli strappi della
Orfano di tempo e silenzio,
contingenza.
dell’illusione e della sua disillusione,
Ma a lasciare il vuoto più grande nel loro difficile
di uno slancio che ci porti verso l’alto,
percorso verso l’adultità è soprattutto la mancan-
di una cometa da seguire,
za di strumenti e punti di riferimento che li aiuti-
un maestro da ascoltare.
no a individuare la rotta da seguire, di una stella
Di ogni mia giornata che è passata,
polare che illumini il cammino nei momenti di
vissuta, buttata e mai restituita.
incertezza e smarrimento e, ancor più, di moti-
Orfano della morte e, quindi, della vita...
vazioni forti e condivise che rinnovino l’impegno
dell’andare, al di là di ogni stanchezza e delusio-
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Settembre 2018

4.7 Page 37

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Sono orfano di pomeriggi al sole,
delle mattine senza giustificazione,
dell’era di lavagne e di vinile,
di lenzuola sui balconi, di voci nel cortile.
Orfano di partecipazione e di una legge
che somiglia all’uguaglianza,
di una democrazia che non sia un paravento,
di onore e dignità, misura e sobrietà.
E di una terra che è soltanto calpestata,
comprata, sfruttata, usata e poi svilita.
Orfano di una casa, di un’Italia che è sparita...
Mi basterebbe essere padre di una buona idea,
mi basterebbe essere padre di una buona idea,
una buona idea...
(Niccolò Fabi, Una buona idea, 2012)
ne, e permettano di ritrovare il giusto slancio an-
che dopo le inevitabili cadute.
È, infatti, proprio nei momenti di crisi e di più
acuto scoraggiamento esistenziale che abbiamo
maggiormente bisogno di spingere lo sguardo al di
là del nostro naso e fare affidamento su ideali alti
e di portata universale, su quelle “idee con grandi
ali” che ci fanno vibrare l’anima e ci spronano a
chiamare a raccolta tutte le risorse di cui disponia-
mo per lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Che si trat-
ti di un valore etico o di un determinato modello
politico, della “nostalgia di Dio” o dell’aspirazione
alla costruzione di un mondo più giusto, non pos-
siamo vivere senza un obiettivo verso cui proiet-
tarci, senza un ideale che restituisca un senso alla
nostra esistenza, che orienti il nostro impegno e le
nostre energie verso un progetto positivo di tra-
sfigurazione dell’esistente, verso una prospettiva di
cambiamento che risulti costruttiva per noi stessi e
per la società in cui viviamo; pena l’insignificanza,
il vuoto, la disperazione.
Ma in una fase storica come quella odierna, in cui
il cinismo e la disillusione imperanti sembrano
aver negato cittadinanza alla dimensione fecon-
da dell’utopia, è sempre più difficile identificare
ideali credibili e condivisi per cui valga la pena
lottare, sperare, investire tempo e passione.
È forse per questo che i giovani adulti sono spesso
accusati di essere una generazione disimpegnata e
“senza ideali”, rassegnata ad accettare passivamen-
te la realtà così com’è, adagiata nel mediocre perse-
guimento di obiettivi privati e a breve termine; una
generazione scettica e indifferente che non crede
più in nulla e si disinteressa di tutto ciò che avviene
oltre gli angusti confini del proprio “giardino”.
Ma, se così fosse, forse non vivremmo in modo
così doloroso la nostra condizione di orfanità, non
ci volgeremmo con altrettanta nostalgia a guardare
il ramo da cui siamo precipitati. Soprattutto, non
sentiremmo così acutamente l’esigenza di recupe-
rare e risignificare ideali e valori autentici che non
siano solo materiale archeologico utile a far memo-
ria di una tradizione radicata nel passato, ma un
qualcosa di vivente che cammina sulle gambe degli
uomini. Nella consapevolezza che, anche laddove
facciamo fatica a restituire pregnanza e attualità ad
aspirazioni ereditate dal passato, abbiamo sempre
la possibilità, e insieme la responsabilità, di semi-
nare e coltivare “buone idee” più rispondenti al
pluralismo e alle esigenze del presente.
Settembre 2018
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Esattamente 100 anni fa
Il delizioso tempietto del colle
La prima idea della chiesa
Mentre nel 1914 si discuteva della
data dell’inaugurazione del monu-
mento a don Bosco eretto davanti alla
chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino
con il contributo degli exallievi sa-
lesiani a ricordo del centenario della
nascita di don Bosco (1815) – la guer-
ra l’avrebbe fatta posticipare – il mar-
chese Filippo Crispolti, giornalista,
scrittore, politico cattolico, autore di
una vita di don Bosco e cooperatore
salesiano, sul giornale torinese di cui
era direttore, «Il Momento», propose
che i Cooperatori salesiani imitassero
gli exallievi erigendo al Colle don
Bosco una chiesa in onore di Maria
Ausiliatrice.
Due giorni dopo il rettor maggiore don
Paolo Albera accolse pubblicamente
il suggerimento ed avviò rapidamente
le pratiche. Il tempio votivo avrebbe
avuto una triplice finalità: celebrare
il doppio centenario della nascita di
don Bosco e dell’istituzione della fe-
sta di Maria Ausiliatrice – fissata il
24 maggio da papa Pio VII al ritorno
dalla prigionia napoleonica – e invo-
care la pace per il mondo.
Progetto e costruzione
Un anno dopo il 16 agosto 1915 – an-
niversario della nascita di don Bosco
ma anche pochi mesi dopo l’entrata
in guerra dell’Italia (24 maggio) – si
mise la prima pietra della chiesetta
(10 × 15 m), a poche decine di metri
di distanza dalla casetta in cui don
Bosco aveva passato l’infanzia. Il
progetto era stato affidato al salesia-
no laico prof. Giulio Valotti, valente
architetto, che lo concepì a croce gre-
ca in stile neogotico. Ampie finestre
pentafore sui due lati permettevano
non solo la luce all’interno, ma anche
la visione dell’interno da parte di chi
rimaneva all’esterno dell’edificio. L’a-
gile campanile e gli svelti pinnacoli
che sormontavano i quattro frontoni
rendevano elegante l’intera costruzio-
ne. Una grande statua di Maria Au-
siliatrice, proveniente dal laboratorio
professionale salesiano di Barcellona-
Sarrià, avrebbe adornato la facciata;
gli stemmi nazionali dipinti sotto lo
spiovente del tetto, che si congiunge-
vano dietro la statua stessa, avrebbero
simboleggiato il gesto dei bambini del
mondo che offrivano il loro simbolico
obolo per la chiesa.
L’inaugurazione
Con le offerte dei benefattori, in pri-
mis i Cooperatori salesiani, in tre anni
(con la guerra in corso) la chiesetta era
comunque pronta per l’inaugurazio-
ne. Ebbe luogo la sera del 1° agosto
1918. Vi accorsero devoti da tutta la
Il 2 agosto 1918, in piena
guerra mondiale, sul
colle natìo di don Bosco
veniva consacrato il
tempio votivo di Maria
Ausiliatrice. Elegante e
quieto, è un magnifico
luogo di preghiera e
serenità contemplativa.
zona. La cerimonia della benedizio-
ne del nuovo Tempio venne compiu-
ta da monsignor Pasquale Morganti,
arcivescovo di Ravenna e Vescovo di
Cervia, exallievo di Valdocco e dello
stesso don Albera. Prima benedisse le
quattro campane, poi procedette alla
benedizione del tempio assistito da
don Albera, da tutto il Consiglio Su-
periore Salesiano e da altri sacerdoti
della zona. Compiuta la cerimonia, la
folla dei presenti si riversò nel tempio
per ascoltare la parola del vescovo che
ricordò la gioia con la quale egli stes-
so, tre anni prima, aveva appreso la
notizia del nuovo edificio, rievocò gli
anni di don Bosco fanciullo e auspicò
benedizioni celesti per quanti in fu-
turo si sarebbero recati a pregare nel
devoto santuario.
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Settembre 2018

4.9 Page 39

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Il triduo solenne
Il giorno dopo alle sette lo stesso
monsignor Morganti cominciò la
consacrazione del doppio altare mar-
moreo, eseguito su splendido disegno
del suddetto prof. Valotti. Finita la
cerimonia, una larga schiera di fedeli
riempì la chiesa per le Confessioni.
Successivamente l’arcivescovo consa-
crante cominciò la celebrazione della
Messa all’altare del coro, mentre don
Albera, assistito da vari superiori sa-
lesiani, celebrava all’altar maggiore la
Messa solenne. Era quella del suo cin-
quantesimo! Per l’occasione i Coope-
ratori gli offrirono uno splendido ca-
lice finissimamente cesellato. Anche
le case salesiane più vicine tanto dei
che delle presero parte alla
cerimonia. Presente pure la Superiora
Generale delle madre Caterina
Daghero, altre madri, fra cui Eula-
lia Bosco, pronipote di don Bosco. I
piccoli orfani di guerra dell’Istituto
Domenico Savio di Grugliasco ed
anche le orfane di guerra dell’Istituto
di Chieri rappresentarono tutti i
piccoli che avevano cooperato con le
loro offerte alla costruzione del Tem-
pietto. Nel pomeriggio don Barberis,
direttore spirituale della congrega-
zione salesiana, benedisse ed eresse le
14 stazioni della Via Crucis. Di notte
venne esposto Gesù Sacramentato, e
vi fu un’ora d’adorazione con la chiesa
affollata di fedeli.
Ugual affluenza si ebbe il sabato, se-
condo giorno del Triduo, tanto alle
messe celebrate al mattino, quanto
alla funzione serale.
Il terzo giorno, domenica 4 agosto,
fu il trionfo di Maria Ausiliatrice da
mattina a sera. Alle otto celebrò il
cardinal Cagliero nativo del paese di
Castelnuovo (conterraneo di don Bo-
sco). La messa solenne venne cantata
da don Albera, con la parte musicale
sostenuta dalla Schola Cantorum di
Valdocco, che per l’occasione aveva
ritardato di alcuni giorni le vacanze.
Da Torino quel giorno convenne al
Colle anche una schiera di giovani
del Circolo Auxilium dell’Oratorio
festivo di Valdocco, in gita premio per
l’impegno dimostrato nello studio del
catechismo. Anche l’Associazione
degli exallievi dello stesso Oratorio
v’inviò una rappresentanza, e non
mancarono rappresentanze di altri
Oratori festivi. Non meno di 4000
persone convennero, per lo più a pie-
di, in quell’allora remoto angolo della
campagna astigiana!
Nel pomeriggio le funzioni vennero
ripetute, sempre alla presenza delle
massime autorità salesiane che, ricor-
dando i tragici avvenimenti di quei
giorni (i terribili ultimi mesi di guer-
ra), offrirono al Signore le preghiere
del solenne triduo in particolare per
i morti in guerra. Il triduo venne an-
che predicato in paese da don Gallo,
cui seguì la sera del 4 agosto una con-
ferenza di don Fasulo con proiezioni
luminose sulle missioni salesiane.
Da cento anni il santuarietto di Maria
Ausiliatrice del Colle, animato dalla
locale comunità salesiana e dalla pic-
cola comunità delle Nazarene, atten-
de i fedeli che visitano il “Colle delle
beatitudini giovanili”, come ebbe a
definire papa san Giovanni Paolo II
nel 1988 il luogo della nascita di don
Bosco e della basilica a lui dedicata.
Settembre 2018
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
Ringraziano
Il 20 febbraio 2018 la mamma
di don Jerish, salesiano indiano,
ha dovuto subire un’importante
e delicata operazione. L’abbiamo
affidata nella preghiera all’in-
tercessione del servo di Dio
monsignor Oreste Marengo:
l’operazione è andata bene e la
signora sta recuperando senza
complicazioni la salute.
Lucilla e il gruppo di preghiera
“Mons. Marengo” di Diano d’Alba
(CN)
Dopo una gravidanza andata male
la mia mamma, che conosceva
i prodigi di questo santo, mi ha
suggerito di richiedere l’abitino di
san Domenico Savio. L’ho por-
tato con me per tutta la gravidanza
e ho pregato incessantemente per
ricevere la grazia di un bambino
e il 14/7/2017 è arrivato il nostro
miracolo di nome Tommaso! Non
finirò mai di essere grata a Dio e a
questo santo per il dono immenso
che abbiamo ricevuto.
Coco Maria Grazia - Augusta (SR)
Durante la mia vita essendomi
trovata in un periodo di deso-
lazione, ho pregato e invocato
più volte la venerabile Laura
Meozzi, Figlia di Maria Ausilia-
trice, usando le parole consolanti
di una preghiera, che ho ritagliato
dal Bollettino Salesiano. Le bel-
le parole di questa preghiera mi
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
hanno dato conforto e serenità.
Continuerò sempre a pregarla,
affinché interceda presso il Si-
gnore per ogni mia necessità e
spero che giunga presto il tempo
della sua beatificazione.
M. M. - Asti
Desidero ringraziare con tutto il
cuore san Giovanni Bosco e
Maria Ausiliatrice per la loro
intercessione presso il Buon Dio
per la salute di mio marito Filippo.
Perino Luciana Dore
Alla mia nipote che ora ha 7 anni
fu diagnosticato autismo all’età
di quattro anni. Da settembre ha
cominciato a frequentare la prima
classe della scuola elementare.
In certe materie non c’era nessun
problema, ma poi doveva impara-
re a scrivere e questo significava
un gran dolore. Completare una
riga nel quaderno lo chiamerei
“maltrattamento” della bambina.
In quel tempo ho saputo della
beatificazione del caro Titus Ze-
man e ho cominciato a pregarlo
di intervenire presso l’Altissimo,
di fare un certo “miglioramento”
per questa intenzione. Dopo un
certo tempo sono andata di nuo-
vo a fare i compiti con lei. Mi ha
mandato via, voleva fare i compiti
da sola. Nel quaderno doveva
scrivere tre righe... Dopo poco è
tornata da me dicendo di aver fi-
nito. Ma che meraviglia! Invece di
tre righe ha completato tre pagi-
ne. Alla mia domanda perché così
tante, ha risposto che le piace...
Ti ringrazio, Titus.
Signora Beata - Slovacchia
Desideriamo ringraziare il Signo-
re, Maria Ausiliatrice e san
Domenico Savio, per la nasci-
ta di Antonio Savio, avvenuta il 9
novembre 2017. Abbiamo richie-
sto l’abitino e con la preghiera ci
siano affidati al Signore, a Maria
Ausiliatrice e san Domenico Sa-
vio. L’abitino è appeso al capez-
zale della culla del nostro piccolo
per far sì che lo protegga negli
anni a venire.
Monica e Fabrizio Aci Bonaccorsi
(CT)
Sorta la necessità di trovare una
persona che si occupasse di mia
mamma che quasi improvvisa-
mente era priva delle sue capacità
a seguito delle forti cure di un tu-
more, ho pensato di chiedere aiuto
ad un’altra mamma – come lo era
la mia – molto pratica. Mi sono
rivolta alla venerabile Mamma
Margherita, la mamma di don
Bosco. Detto fatto. La segnala-
zione è arrivata tramite una FMA.
Una signora competente, paziente
e anche buona cristiana che è sta-
ta da noi assunta regolarmente ed
è rimasta con mamma per circa un
anno fino all’improvviso aggravar-
si e tornare alla Casa del Padre.
Elena Sartor - Torino
Ho il cuore colmo di gioia. A ren-
derlo tale è stato l’arrivo nella no-
stra famiglia della piccola e tenera
Ilaria B., la prima bimba di mia
sorella Rossella e di mio cognato
Stefano. Ilaria è arrivata dopo mesi
di gestazione densi di preoccupa-
zioni e timori per un’eventuale per-
dita, ma il Signore, attraverso la
potente mano di san Domenico
Savio e del Suo abitino, ha voluto
ricolmarci della Sua immensa gra-
zia. Non smetterò mai di affidare
all’intercessione di san Domenico
e san Giovanni Bosco i miei nipo-
tini Nicola, Lorenzo Maria, Matilde
e da ora in poi anche la dolcissi-
ma Ilaria. Che possano crescere
illuminati sempre dalla luce del
Signore.
Zia Viviana F.
Io sono pignolo” disse un gior-
no l’urologo, al quale un anno
prima mi ero rivolto per valori
del PSA ballerini e appena su-
periori a quelli definiti normali e
asintomatici. “Credo utile fare una
biopsia” continuò e prescrisse.
Il responso fu: adenocarcinoma
alla prostata. Seguirono: l’inter-
vento di prostatectomia radicale
perfettamente riuscito, la degen-
za ridotta ed il ricupero che stupì
anche i medici. Ora, dopo sette
mesi, completamente guarito,
tutto questo è un ricordo e mo-
tivo di gratitudine. Mia moglie
ed io siamo exallievi salesiani, al
responso della biopsia ci siamo
affidati a Maria Ausiliatrice,
affinché ci seguisse come mam-
ma amorevole e premurosa, e ci
aiutasse ad accettare la volontà
di Dio. Come sempre ha fatto
di più: ha interceduto per una
completa ed inattesa guarigione,
garantendo ai nipoti il nonno e ai
nonni i nipoti.
Piera e Roberto Cismondi - Torino
Io e mio marito abbiamo vissuto
giornate di intensa preoccupazio-
ne per la sorte della nostra pro-
nipote Anna, una piccola bimba,
nata da soli 15 giorni, alla quale
è stata riscontrata la coartazione
dell’arteria aorta. I medici spe-
ravano di poter effettuare un’o-
perazione risolutiva al cuore al
compiersi di un anno di età del-
la bimba; ma per il progressivo
aggravamento della malattia fu
necessario intervenire subito. In
quel giorno decisivo per la sorte
della piccola Anna, i suoi genitori
e famigliari furono colti da grande
trepidazione. Io rivolsi con affet-
to sincero preghiere e pressanti
suppliche al beato Zeffirino
Namuncurà: gli affidai la pic-
cola Anna e lo pregai di guidare
mani e mente del chirurgo per
la salvezza della bimba. Le mie
invocazioni sono state esaudite.
Anna pian piano si riprese ed ora
è una meravigliosa bambina di tre
mesi, pacioccona ed espressiva.
Nossa Maria e Vanni,
Caravaggio (BG)
40
Settembre 2018

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Don Juan Vicente Picca
Morto a Buenos Aires, il 17 gennaio 2018, a 79 anni
Nell’aspirantato di Bernal (Bue-
nos Aires) lo chiamavano tutti
“Giovannino”, per il suo aspetto
fisico, la bontà del carattere, l’im-
pegno e le doti sportive, la sua
spiccata intelligenza.
Fu sempre ordinato e meticolo-
so nei suoi compiti. Fu inviato
a Roma per gli studi teologici e
dopo l’ordinazione si laureò bril-
lantemente in Sacra Scrittura alla
École Biblique di Gerusalemme.
Per quarant’anni insegnò nell’U-
niversità pontificia salesiana,
sempre stimato e apprezzato da
studenti e colleghi.
Nel 2009 rientrò in Argentina,
dove riorganizzò l’ISET, l’istituto
salesiano di studi teologici, con
pazienza e genialità. Nel 2016
fu insignito del premio “Divino
Maestro”.
Don Picca è stato un lavoratore
instancabile, semplice, con po-
che pretese personali. Austero
e con profondo senso religioso.
Buon fratello con grande delica-
tezza di tratto. È stato un sacer-
dote sempre disponibile e gene-
roso per il ministero.
Coloro che lo hanno conosciuto,
di qua e di là dell’Oceano, sono
concordi.
«Ricordo padre Juan per la sua
generosità e disponibilità per
qualsiasi lavoro. Ha sempre ac-
cettato impegni e responsabilità.
Non ha mai creato problemi, ma
ha sempre aiutato a risolverli.
All’università di Roma è stato
una figura fondamentale. Lo ri-
cordo in modo speciale quando
è tornato in Argentina dopo tanti
anni: pronto a ricominciare tutto
da capo, con il contributo della
sua esperienza e preparazione»
scrive don Francesco Cereda, Vi-
cario del Rettor Maggiore.
Dal giorno del suo ritorno in Ar-
gentina, l’UPS è stato più povero,
non perché ha perso un bravo
bibliotecario: perché ha perso un
uomo di profonda fede, di gran-
de ricchezza e spirito umano, di
grande dedizione agli altri. Oltre
alle molteplici e non facili re-
sponsabilità assunte, don Juan è
stato un collaboratore generoso
e assiduo del Bollettino Sale-
siano argentino, coprendo nelle
edizioni mensili tutti i temi della
salesianità. Con la responsabilità
che gli era propria, curava i suoi
articoli con rigore scientifico e
sensibilità pastorale, con abbon-
danti citazioni nelle fonti della
storia e del magistero salesiano.
Con i suoi articoli ha accompa-
gnato molti lettori del Bollettino
verso una ricca formazione in
Salesianità.
«Il motto salesiano “Lavoro e
temperanza” è stato vissuto da
lui, di notte o di giorno fino al
suo ultimo respiro. Dalla carità
altruistica verso tutti, alla dispo-
nibilità totale per ogni bisogno di
un fratello. Intelligente, preparato
culturalmente, con abilità manua-
li invidiabili, ha sempre lavorato
con assoluta umiltà senza appa-
rire, lasciando gli altri a prendere
l’applauso, ad attribuirsi gli onori,
persino a fare carriera» (France-
sco Motto).
«Juan era l’uomo di servizio.
Sempre disponibile per gli altri.
Dalla biblioteca alle lezioni per la
scuola. Si alzava presto per pre-
pararle o per organizzare le attivi-
tà dei suoi collaboratori. Durante
la costruzione della Biblioteca,
ha seguito instancabilmente in-
gegneri, costruttori e lavoratori e
ha persino inventato un sistema
ingegnoso per trasportare i libri
da un edificio all’altro. È stata una
scelta di vita, un percorso che ri-
chiedeva coerenza e forza. Mette-
va sempre le persone al centro: il
bene comune era più importante
della soddisfazione personale.
Non era il frutto di un atto eroico;
era l’allenamento e la scelta della
sua vita, il frutto di una profonda
spiritualità. Non è passato invano
in mezzo a noi (prof. Fabio Pa-
squaletti sdb, UPS).
L’ultimo Juan
L’ultimo Juan Picca era un uomo
di una straordinaria costanza di
carattere, stabile nei suoi affetti e
sereno davanti alle difficoltà.
Era un uomo di grande delicatezza
nel tratto, mai un accenno o un’e-
spressione che facesse sentire
l’altro svantaggiato o sminuito.
Era un uomo con un gran senso
dell’umorismo, non quello sgra-
devole che ride di un altro, ma
quello di chi sa come godersi gli
aspetti leggeri della vita.
Era un uomo laborioso fino all’ul-
timo giorno, non ha mai smesso
di farlo, ricercando, leggendo o
portando scatole come un fat-
torino. Il 29 dicembre 2017, ha
chiesto il permesso di assentarsi,
sarebbe morto pochi giorni dopo.
Era un uomo che amava la congre-
gazione e la sua vocazione salesia-
na, sempre pronto per il servizio
ministeriale ovunque andasse.
In lui si sono verificate quelle
sintesi che i buoni uomini sanno
incarnare perché appartengono
a Dio senza cercare se stessi,
senza fermarsi perché sanno che
solo Dio basta, senza rinunciare
alla vita perché sanno che solo il
grano che muore può dar frutti.
Questo è stato l’“ultimo Juan”,
non si è mai lamentato del can-
cro che avanzava crudelmente.
Suppongo che per un uomo che
conclude la sua vita in questo
modo, l’intera esistenza, anche
con le sue incongruenze, ha un
potente orientamento e, soprat-
tutto, un grande Amore che gli
permette di chiudere gli occhi
della sua carne in profonda pace.
Quegli occhi che sicuramente ha
riaperto davanti al Signore che
amava, pronunciando un Amen
come riassunto della sua intera
storia (padre Mauricio Montoya,
direttore dell’ISET).
Settembre 2018
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
TRISTEZZA, SPERANZA E RICONOSCENZA
Nell’arco della sua vita, don Bosco realizzò tante opere e tanto grandi da so-
pravvivergli e da svilupparsi fino ai giorni nostri. Non si era certo risparmiato
e non aveva tenuto in serbo energie di scorta. Le usava tutte per dare sempre
il meglio di sé. Ma questo entusiasmo, questo trasporto, questo fervore che lo
impegnava senza sosta aveva un prezzo molto alto: la sua salute. Negli ultimi
anni di vita don Bosco era l’ombra di quel che era un tempo. Significativo
fu lo scambio di battute tra lui e un dottore venuto a visitarlo. Era il 1883. Il
dottor Combal, un francese, gli disse senza mezzi termini: “Lei è un XXX,
indossato sempre, nei giorni feriali e festivi. Per conservarlo ancora, l’unico
mezzo è metterlo in guardaroba. Le consiglio il riposo assoluto”. E don Bosco rispose, con la sua solita
semplicità e determinazione: “La ringrazio, dottore, ma è l’unica medicina che non posso prendere”.
Da giovane godeva di notevole forza e prestanza fisica, era stato giocoliere, correva veloce, era abile e
agile nei giochi. Quando mancavano i soldi, e succedeva sempre perché le necessità di tutti i giorni e i
progetti per il futuro non li facevano bastare mai, andava di persona a batter cassa dai ricchi signori, in
Italia e anche all’estero, in Spagna, in Francia. Dava udienze, andava dal Papa, dai nobili, dalle autorità.
C’erano chiese da costruire, e c’erano gli oratori, le missioni
da seguire e, naturalmente i suoi giovani. Nell’aprile 1887
compì l’ultimo viaggio a Roma, poi il ritorno a Valdocco. Ine-
sorabile arrivò a mons. Cagliero il telegramma di don Rua:
“Papà grave. Vieni”. Don Bosco, ormai, si spegneva. E ne
era consapevole: “L’unico dolore che proverò nel morire sarà
quello di separarmi da voi”, “Dite ai miei giovani che li atten-
do tutti in Paradiso”. Il 31 gennaio 1888, alle 4 e mezza del
mattino il Santo spirò, tra il pianto e la speranza che l’infinito
amore del Padre accoglierà tutti, prima o poi.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Uno dei più
comuni giochi di enigmistica - 14.
Lo sono i pezzi da museo - 15. Il
realismo cinematografico degli anni
’50 - 16. Circolava in Germania pri-
ma dell’euro - 17. Il biblico monte
sul quale Dio apparve a Mosè - 18.
Sono bianche in certi cori - 19. Con-
fini della Malesia - 20. Fu capitale
del Regno crociato dopo la caduta di
Gerusalemme - 22. Il principe dei de-
moni - 24. Nelle voliere è il supporto
dove si appoggiano i volatili - 26.
XXX - 28. È simile al castoro - 29.
Il fiume dell’oblio - 31. Le Grand…
film di Luc Besson che fu osteggiato
dall’apneista Enzo Maiorca - 32. Arti-
colo per… uomini - 34. La “i” dell’al-
fabeto greco - 36. Le vocali in mare
- 37. Nel gergo dei writers è la sigla
apposta come firma ai graffiti - 39. Un
concorso a pronostici sul calcio - 43.
Al centro della giornata - 44. Una del-
le forze armate.
VERTICALI. 1. Le famose “narra-
zioni” con cui Gesù chiariva concetti
complessi - 2. Native di Arezzo - 3.
Rilanciata indietro a tennis - 4. Ren-
dono sottile lo stile! - 5. Lavande - 6.
Può esserlo una giocatrice - 7. Lievi
difetti della pelle - 8. Il cobalto - 9.
Una parte dello stomaco dei ruminanti
- 10. Cagliari (sigla) - 11. Infuriato -
12. Suono formato da più note - 13.
Metallo fortemente radioattivo - 14.
Nome di donna - 19. A Torino svet-
ta quella Antonelliana - 21. La prima
persona singolare - 23. Sono pari
ad Andorra - 24. Rami recisi - 25.
Sa usarlo la sarta - 27. La bevanda
preferita dagli inglesi - 30. Il dio dei
boschi - 33. Comodità - 34. Raga-
nella arborea - 35. Tante erano le Gra-
zie - 38. Iniz. di Renoir - 40. Onde
Medie - 41. La fine di Wharol - 42.
L’ostaggio meno saggio!
42
Settembre 2018

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Il leone e il moscerino
Sulla riva del ruscello, un
moscerino minuscolo si era
addormentato. Ma dal pro-
fondo della foresta arrivò un
ruggito sordo e possente. Il
povero moscerino si spaven-
tò terribilmente. Un grande, grosso,
grasso leone alla ricerca della cena,
ruggiva a pieni polmoni. Il mosceri-
no gridò indignato: «Ehilà! La volete
smettere? Cos’è tutto sto trambusto?
Non potete lasciar dormire in pace
la brava gente? Che diritto avete di
stare qui?».
Il leone sbuffò: «Che diritto? Il mio
diritto! Io sono il re della foresta.
Faccio quello che mi piace, dico
quello che mi piace, mangio chi mi
piace, vado dove mi piace, perché io
sono il re della foresta!».
«Chi ha detto che voi siete il re?» do-
mandò tranquillamente il moscerino.
«Chi l’ha detto?...» ruggì il leone.
«Io lo dico, perché io sono il più forte
e tutti hanno paura di me».
«Ma io, tanto per fare un esempio,
non ho paura di voi, quindi voi non
siete re».
«Non sono re? Ripetilo se hai corag-
gio!».
«Certo, lo ripeto. E non sarete re se
non vi batterete contro di me e non
vincerete».
«Battermi con te?» sbuffò il leone
calmandosi un po’. «Chi ha mai
sentito niente di simile? Un leone
contro un moscerino? Piccolo atomo
insignificante, con un soffio ti man-
do in capo al mondo!».
Ma non mandò niente da nessuna
parte. Ebbe un bel soffiare e sforzarsi
con tutta la forza dei polmoni. Allora
perse definitivamente il senso delle
proporzioni e si buttò avanti a fauci
spalancate per inghiottire il mo-
scerino, ma inghiottì solo una zolla
d’erba. E l’astuto insettino dov’era?
Proprio in una narice del leone e là
cominciò a solleticarlo e punzec-
chiarlo.
Il leone sbatteva la testa contro gli
alberi, si graffiava con i suoi un-
ghioni, strepitava, ruggiva... «Oh! Il
mio naso! Il mio povero naso! Pietà!
Esci di lì! Sei tu il re della foresta,
sei tutto quello che vuoi... Ma esci
dal mio naso!» piagnucolò infine il
leone.
Allora il moscerino volò fuori dalla
narice del leone, che mortificato e
umiliato sparì nel profondo della
foresta.
Il moscerino cominciò a danzare
di gioia: «Sono il re, re, re, re! Ho
battuto un leone! L’ho fatto scappare!
Sono il più forte e il più furbo, io!».
A forza di saltellare, esultando, qua
e là, il moscerino non si accorse di
essersi avvoltolato in qualche cosa
di fine, e di leggero e di forte... dei
lunghi fili bianchi, quasi invisibili tra
i fili d’erba e che si attorcigliavano
intorno al corpo dell’insetto, legando
le sue zampe, le sue ali.
Il ragno arrivò sulle sue otto zampe,
borbottando: «Che bello stuzzichino
per la cena...».
Grossi o piccoli, i superbi sono
sempre stupidi.
Settembre 2018
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Iauarete Amazzonia
La casa sul grande fiume
L’invitato
Don Valentino Favaro
Missione a Pointe Noire
Testimonianze
Che cos’è per te
la vocazione?
Un sogno nascosto
nel mistero di Dio
Le case di don Bosco
Novara
Una casa con un santuario
amato
Ricordi
Dove fu sepolto
don Bosco
I segreti della tomba
di Valsalice
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.