Bollettino_Salesiano_201804

Bollettino_Salesiano_201804

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IL
APRILE
2018
Salesiani
nel mondo
Vietnam
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case di don Bosco
Rebaudengo
A tu per tu
Don Mario Pérez
I protagonisti
T. Lorenzone

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La prima
campana
«Dalan…
dalan!» Ave-
vo lo stampo dell’eroe.
Ero nata nel fuoco, fusa in
rame e stagno, ma con il cuore di ferro, perché
la mia voce fosse chiara e sonora. Vidi la luce
nella fonderia Mazzola, in quel di Valduggia,
provincia di Vercelli. Pesavo 22 chilogrammi e
costai 88 lire e mezza al reverendo Vola che mi
aveva ordinato. Presi atto a malincuore che, in
apparenza, ero una piccola campana, ma sogna-
vo ugualmente una torre o un campanile da cui
segnalare imprese importanti e arditi avverti-
menti. Ogni campana ha il cuore eroico. Ma
non mi aspettavo davvero di finire sul tetto di
una casupola, attaccata ad un rozzo architrave,
tenuto su da due pilastrini tremebondi. L’unico
segno civile era la croce che c’era sopra di me.
Miserabile, certo, ma ero pur sempre l’unica
campana di un piccolo campanile. Mi poteva
andare peggio.
Una freddissima mattina di novembre, mi spruz-
zarono di acqua benedetta e feci conoscenza dei
miei futuri clienti. E il mio giovane cuore di
metallo si riempì di felicità. Erano tutti ragazzi,
pieni di vita e di sogni, che mi guardavano, a dir
poco, estasiati. Proprio come quel giovane prete
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Nel novembre del 1846, don Bosco fece collocare una
modesta campana sulla tettoia Pinardi. Nel 1853 risultò
troppo piccola per il nuovo campanile della chiesa di San
Francesco di Sales e il conte Cays ne regalò un’altra più
sonora. Nel 1929 le due campane furono fuse insieme
(Memorie Biografiche II, 575-576).
che li proteggeva come una
chioccia con i pulcini (visto
dall’alto del mio campanile,
pareva proprio così).
Riuscivo anche a sentire le
parole che don Bosco, così
si chiamava il giovane prete,
diceva ai ragazzi, quando
spiegava il perché dell’acqua
benedetta e il significato della
mia presenza.
«Ora la nostra bella campana fa
parte della famiglia: ci ricorderà i
momenti importanti e sarà come il canto degli
angeli che proclama la voce del Signore. Chia-
merà per le feste tutti i giovani circostanti, con
un’efficacia uguale ad una bella predica».
Udii una brava signora che diceva: «A quel
suono, alla sera di una vigilia di festa, i nostri
figli non possono stare fermi; vogliono la giubba
più bella ed al mattino si alzano prestissimo,
dicendo: “Bisogna che andiamo a fare la santa
Comunione”».
I ragazzi arrivavano da tutte le parti.
Ne ricordo uno. Non aveva casa né famiglia.
«Mettiti a giocare cogli altri» gli disse don Bosco.
La sera, lo accompagnò dalla sua buona mamma
che gli disse: «Ma se fai sempre così e tutti i
giorni mi conduci in casa dei nuovi giovani, non
ti resterà nulla per te, quando sarai vecchio».
«Mi resterà sempre» rispondeva don Bosco, «un
posto all’Ospedale del Cottolengo. Ma se questa
impresa è opera di Dio, andrà avanti». Dopo
cento e ottant’anni sono ancora qui in qualche
modo a testimoniare che l’opera è di Dio.
«Dalan… dalan!»
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Aprile 2018

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IL
IL
Mensile di
informazione e
APRILE
Rivista fondata da
2018
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
edito dalla
Salesiani
nel mondo
Vietnam
Le case di don Bosco
Rebaudengo
A tu per tu
Don Mario Pérez
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
APRILE 2018
ANNO CXLII
Numero 4
I protagonisti
T. Lorenzone
In copertina: Il gioco, il movimento,
l’allegria, la voglia di vivere sono importanti
nello stile salesiano di educazione
(Foto Andrii Nechypor / Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 LE CASE DI DON BOSCO
Rebaudengo
12 SALESIANI NEL MONDO
Vietnam
15 PROPOSTE
16 LA RICETTA
18 L’INVITATO
Burundi
22 INIZIATIVE
Adozioni internazionali
24 A TU PER TU
Mario Pérez
27 CINQUE PER MILLE
28 FMA
30 I PROTAGONISTI
Tommaso Lorenzone
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
12
18
24
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Raymond
Bavumirangiye, Pierluigi
Cameroni, Roberto Dal Molin,
Roberto Desiderati, Emilia Di
Massimo, Ángel Fernández Artime,
Elisabetta Gatto, José J. Gomez
Palacios, Claudia Gualtieri, Cesare
Lo Monaco, Natale Maffioli,
Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino,
Linda Perino, Giampietro Pettenon,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
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- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Pasqua a Palabek
I Salesiani di Don Bosco sono arrivati
nel Campo per Rifugiati di Palabek in Uganda.
In questo luogo di sofferenze e di segreti
eroismi, facciamo risuonare più forte che mai
l’annuncio della Risurrezione di Gesù.
Rifugiati
e volontari
costruiscono
insieme le
strutture per
una vita nuova.
Miei cari amici, nella Pasqua del 1846
don Bosco inaugurava la povera cap-
pella Pinardi, che era poco più di una
baracca. Nella Pasqua del 2018, i sa-
lesiani di don Bosco celebrano sotto
un tendone nel campo profughi di
Palabek in Uganda.
In questo campo, migliaia e migliaia di rifugiati
sudanesi, quasi due terzi dei quali bambini, vivo-
no in condizioni deprecabili a causa di un vergo-
gnoso fallimento della comunità internazionale. I
paesi più ricchi del mondo si sono tranquillamen-
te dimenticati dei sudanesi. Don Bosco, no. E il
grande albero della Famiglia Salesiana ha steso i
suoi rami anche a Palabek.
In tutto il nord Uganda ci sono circa 1 200 000 ri-
fugiati, per lo più sud-sudanesi. Con migliaia di
nuovi arrivi ogni giorno, l’Uganda sta affrontando
una delle più grandi crisi di rifugiati del mondo.
Nel mese di marzo del 2016 i primi rifugiati han-
no iniziato ad arrivare nel campo di Palabek, a 77
chilometri da Gulu, la più grande città del nord
Uganda, e 340 chilometri da Kampala, la capitale.
Conoscendo la situazione, l’Ispettore della Pro-
vincia Salesiana dell’Africa-Grandi Laghi ha vi-
sitato il campo e me ne ha parlato. Ho chiesto a
un membro del Dicastero delle Missioni di andare
a vedere la possibilità di iniziare là una presenza
salesiana, poiché se c’erano bambini, adolescenti e
giovani sfollati, quello doveva essere il nostro posto
come figli di don Bosco. Lui l’avrebbe fatto.
Oggi ci sono circa 36 000 rifugiati nel campo di
Palabek. L’86% di loro sono donne, bambini e
tantissimi adolescenti. Molto pochi sono gli an-
ziani. Ancora una volta voglio sottolineare che
sono le donne, la maggior parte di loro madri,
che sopportano il peso di sforzi e sacrifici imma-
ni. Sono loro che “salvano” la vita reale di ogni
giorno dei loro figli.
Come Joyce. A soli 37 anni, ha visto tutto. Ha
fissato l’abisso della crudeltà umana e ha vissuto
per raccontare la storia. A settembre 2016, i sol-
dati hanno preso d’assalto la sua casa a Kajo Keji,
nel Sud Sudan. Hanno pugnalato a morte suo
marito. Da sola, con nove figli da nutrire, Joyce
ha deciso di scappare verso sud in Uganda.
Grazie all’eroismo di queste donne e madri, sia-
mo felici e onorati di prenderci cura dei loro figli.
Il 31 gennaio i Salesiani di Don Bosco collocaro-
no il loro tendone, nel campo di Palabek. Anima
della comunità è don Lazar Arasu e con lui al-
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Aprile 2018

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Palabek
tri tre salesiani, tutti missionari, provenienti dal
Venezuela e dall’India. Altri tre giovani africani
si stanno preparando per far parte di questa
nuova presenza a settembre.
Qualcuno chiederà se siamo “atterrati” con qual-
che mega-costruzione. No. Abbiamo iniziato vi-
vendo semplicemente con loro, condividendo la
loro vita, camminando e faticando con loro per
cercare il modo di migliorare la situazione. Impe-
gnandoci in modo speciale per l’educazione e la
preparazione alla vita dei tanti bambini e adole-
scenti, accompagnandoli anche nel loro cammino
di fede. In gran maggioranza sono cristiani.
Figli di don Bosco abbiamo incomin-
ciato a guardare avanti. Per il futu-
ro saranno necessarie scuole materne,
scuole primarie, centri di formazione
professionale, oratori e centri giovanili
salesiani. Vedremo quali misure possia-
mo prendere e ci affiancheremo ad altre
persone e istituzioni, ma non ci tireremo
indietro.
Stiamo già iniziando a cercare il supporto mate-
riale per animare liturgicamente le diverse comu-
nità che si formeranno, perché non dimentichia-
mo che 36 000 persone equivalgono a centinaia di
villaggi e piccole città in molti posti del mondo.
E Palabek è un’autentica città mobile, di tende
e capannoni. I cattolici hanno fatto un gesto di
generosità donando sei grandi appezzamenti di
terra per la costruzione di cappelle e opere educa-
tive per bambini e giovani. Anche la piccola casa
in cui vivono padre Arasu e gli altri missionari
è stata fatta dai profughi del campo. Per quan-
to riguarda il cibo, il salesiano don Lasarte dice:
«Non sono i Salesiani che distribuiscono cibo, ma
i rifugiati che sostengono i Salesiani e offrono il
loro cibo ai nuovi amici e pastori».
Con tutto il nostro entusiasmo, prepareremo i ca-
techisti per l’animazione e l’accompagnamento di
queste diverse comunità cristiane; cercheremo e
prepareremo i giovani che possano animare vari
oratori poiché, fortunatamente, la vita va avanti e
deve essere piena di gioia, speranza e motivi per
vivere ogni giorno.
Dobbiamo pensare a formare e abilitare gli inse-
gnanti per le scuole e gli istruttori per la forma-
zione professionale. Fortunatamente, non siamo
soli e ci sono già alcuni laici nel campo profughi
che stanno lavorando con questo obiettivo.
Siamo consapevoli che non siamo soli e che cen-
tinaia di persone di tutto il mondo ci aiuteranno
e “coopereranno” con noi.
Don Bosco è venuto a Palabek in Uganda con i
piedi, le mani e il cuore dei suoi Salesiani, e an-
nuncia ai poveri crocifissi dalla violenza e dalla
brutalità di questo mondo che sono chiamati alla
certezza della Risurrezione,
che sono amati da Dio e
non abbandonati, e che si
può costruire una civiltà
di fratellanza umana e di
giustizia.
Il sorriso che vo-
gliamo accen-
dere a Palabek
non scompaia
mai.
Buona Pasqua
e Buona Ri-
surrezione.
In alto: Cartina
dell’Uganda.
Palabek è al
confine con
il Sud Sudan.
Accanto: Padre
Arasu con un
piccolo ospite.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
“Vado bene così Questa, la fatidica
domanda cui i giovani
cercano di rispondere
come sono?” ognigiornoper
costruire una loro
identità che sia al
contempo in linea con i
Andrea, 20 anni:
Vivo ogni giorno con l’obiettivo di
essere sempre all’altezza delle
sfide che mi si pongono davanti.
Devo ammettere che mi pongo spes-
so questa domanda perché sono sem-
contrario, che io non facessi per lei.
Ma proprio da questo sono riuscito a
trarre la mia forza per andare avanti,
per ripartire ed edificare me stesso,
giorno dopo giorno. Infatti, penso
sia giusto chiedersi se si è adeguati
ad affrontare questa vita così come si
rigidi schemi sociali ma
anche, e soprattutto, con
il loro spirito interiore.
Qual è l’esperienza dei
nostri giovani?
pre convinto di non andare bene così è fatti, in modo da prendere atto di
come sono. Cerco sempre di miglio- eventuali carenze e quindi colmarle manda che mi pongo ogni giorno,
rarmi, sia per me stesso sia per gli senza sentirsi delle nullità o sminuen- più volte al giorno, e ancor di più è
altri ma soprattutto lo faccio in virtù dosi in altro modo. Sono convinto che stata presente nella mia fase adole-
dei valori che mi sono stati trasmessi. in ognuno di noi ci sia il tocco divino, scenziale. Il motivo principale che
Vivo ogni giorno con l’obiettivo di es- bisogna solo accorgersene.
mi ha spinta e che mi spinge tuttora
sere sempre all’altezza delle sfide che
a pormi questa domanda, è la socie-
mi si pongono davanti e soprattutto
essere punto di riferimento per chi
ne ha bisogno. Molte volte è succes-
so che fossero gli altri a farmi sentire
inadeguato e ciò mi ha provocato un
Bernadette, 20 anni:
La società impone degli stereotipi
caratteriali, emotivi, fisici,
impone delle strutture comuni.
tà. La società impone degli stereotipi
caratteriali, emotivi, fisici, impone
delle strutture comuni, ed è normale
che nel momento in cui non ti identi-
fichi in nessuna congettura, ti venga
conseguente senso di smarrimento e Quando mi è stata posta la doman- spontaneamente da porti questa do-
confusione. Sono arrivato a pensare da “Vado bene così come sono?”, non manda. Non so se ad oggi vado bene
che la vita non facesse per me o, al mi sono spaventata, perché è una do- così come sono, sicuramente avverrà
E gli uomini se ne vanno a contemplare le vette
delle montagne, e i flutti vasti del mare, le ampie correnti dei
fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri, e passano
accanto a se stessi senza meravigliarsi (sant’Agostino)
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OCCHI AZZURRI
un’ulteriore evoluzione, un’ulteriore
processo naturale in me, però pos-
so dire che ad oggi, mi verrebbe da
dire, come disse il poeta americano
Walt Whitman: “Sono quel che sono,
e questo è sufficiente”. Nulla di più,
nulla di meno. Vorrei essere miglio-
re con me stessa, ma ciò penso fac-
cia parte dell’evoluzione personale
che ancora deve avvenire e che solo il
tempo può esserne complice.
Decisamente, ci sono state persone
in passato che mi hanno fatta sen-
tire inadeguata, anche involonta-
riamente, ma credo comunque che
stia all’intelligenza di ognuno di
noi dosare le parole che ci vengono
dette. Penso sia giusto porsi queste
domande perché viviamo in una so-
cietà, siamo animali sociali e quin-
di non siamo al mondo per stare da
rinchiusi nella nostra solitudine, ma
per avere continui ed infiniti rappor-
ti con i nostri simili. Ritengo quindi
che bisogna sviluppare una maturità
adatta a sopportare il confronto con
questa società che, almeno a me, non
appartiene.
Emy era una bella bimba di tre anni. Amava la sua famiglia e ammirava gli occhi azzurri di
suo padre, di sua madre e dei fratelli. Tutti in casa di Emy avevano occhi azzurri. Tutti, meno
Emy!
Il sogno di Emy era aver occhi azzurri come il mare, lo desiderava più di ogni altra cosa.
Ogni sera, pregava: «Per favore, quando domattina mi sveglierò, voglio avere gli occhi az-
zurri come quelli di mamma. Nel nome di Gesù, amen».
Ma i suoi occhi erano castano scuro come sempre. Anni dopo, Emy andò come missionaria
volontaria in India. Il suo compito era “comperare bambini per Dio”. Erano i bambini che le
famiglie più povere vendevano ai mercanti di “pezzi di ricambio” per i trapianti. Però, per
entrare nei “giri” del traffico, senza essere riconosciuta come straniera, doveva travestirsi
da indiana. Passava polvere di caffè sulla pelle, tingeva i capelli, si vestiva con il sari ed
entrava liberamente nei luoghi di vendita dei bambini. Poteva camminare tranquilla per tutto
il “mercato infantile”, poiché sembrava in tutto e per tutto un’indiana.
Un giorno, un’amica missionaria la guardò travestita e disse: «Oh, Emy! Hai mai pensato a
come avresti fatto a travestirti se avessi avuto gli occhi chiari come tutti quelli della tua fa-
miglia? Siamo proprio al servizio di un Dio intelligente. Ti ha dato occhi molto scuri, perché
sapeva che sarebbe stato essenziale per la missione che ti avrebbe affidato nella vita».
Noi e Dio. Che formidabile società! Non c’è niente che, insieme, non possiamo fare.
to a volte di incontrare qualcuno che
ha tentato di farmi sentire sbagliata o
non all’altezza di una qualche situa-
zione, ma è stato un tentativo vano,
io so chi sono e nonostante abbia una
marea di difetti, non vorrei mai essere
diversa.
Porsi questa domanda vuol dire un
po’ mettere in discussione se stessi, la
vita che conduciamo, la strada che vo-
gliamo percorrere. Forse è giusto por-
si qualche domanda di tanto in tanto,
ma solo se siamo noi a deciderlo. Mai
mettersi in discussione per colpa del
giudizio altrui, mai cercare di essere
come gli altri vorrebbero. Essere se
stessi e accettarsi per ciò che si è, è la
più grande vittoria.
Alessandra, 26 anni:
Mai mettersi in discussione
per colpa del giudizio altrui,
mai cercare di essere come
gli altri vorrebbero.
Non mi sono mai posta questa do-
manda e credo che il motivo per il
quale non l’ho mai fatto, sia il mio
pensiero sulle persone. Sono convin-
ta che tutte le persone, nel bene e nel
male, con pregi e debolezze, siano
uniche così come sono. Mi è capita-
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LE CASE DI DON BOSCO
LA COMUNITÀ
Istituto
“Conti Rebaudengo”
Voluto e realizzato da un cooperatore salesiano,
costruito da un architetto salesiano, da più
di ottant’anni è una vivace cittadella salesiana
nella periferia torinese al cento per cento
nel nome di don Bosco.
A Torino, il martedì 10 aprile 1934 era il-
luminato da un sole primaverile. Sem-
brava scusarsi per la pioggia incessante
che aveva flagellato la marea di om-
brelli della domenica precedente, quel-
la della canonizzazione di don Bosco.
Alle 15,30 precise, al suono della Marcia Reale,
nell’entusiasmo di una folla straboccante, nella
periferia di Torino, la principessa Maria Adelaide
di Savoia inaugurava l’Istituto destinato alla for-
mazione di personale specializzato nell’educazio-
ne tecnica e culturale della gioventù operaia dei
paesi di Missione.
Il grande assente
Ma in mezzo a quelle migliaia di persone festan-
ti, mancava la più importante, il vero artefice di
quella meraviglia: il conte e senatore del Regno
Eugenio Rebaudengo. Umile e grande, alieno
da ogni forma di celebrazione personale, si ac-
contentava di essere nei cuori di tutti. Il nome
dell’Istituto, Conti Rebaudengo, era là, in alto, a
parlare di lui e del suo amore a don Bosco Santo.
Quando nel 1929 il Rettor Maggiore don Rinaldi
aveva chiesto ai Cooperatori di sostenere econo-
micamente una vocazione per le missioni, il conte,
che era Senatore del Regno ma anche cooperatore
salesiano, rispose “Non una vocazione ma un isti-
tuto per le vocazioni”. E mantenne la promessa.
Nel 1930 cominciò la storia dell’Istituto.
Un giornalista dell’epoca descrive così il luogo
prescelto: «C’è a Torino la barriera di Milano,
una zona tipicamente periferica, dove non è co-
modo arrivare perché si stende in ampiezza oltre
il capolinea dei tram. Fino a ieri la metropoli to-
rinese arrivava in quella zona lentamente, spar-
pagliando qualche casetta nelle basse della Stura
e disseminando alcune baracche nella campagna
piena di sterpaie. La gente vi giungeva dalla cit-
tà già stanca con il fagotto delle provviste, con
il peso della miseria e, spesso, senza il conforto
della fede. Oggi vi si arriva accompagnati da au-
daci costruzioni e tra un movimento che sa di
grande città. All’aprirsi di un largo – la futura
piazza – voi intravedete nella sua linea sobria ed
elegante il Rebaudengo.
Lo chiamano così, lì attorno. Quei di lontano
sentono la sua campana, che dalla caratteristica
torre suona a distesa e con i suoi squilli segna i
momenti salienti della giornata: dalla levata alle
preghiere della sera. Non c’è angolo di mondo sa-
lesiano che non lo conosca. Da Sampierdarena a
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Catania, da Hongkong a Caracas si aspetta che
di lì arrivi qualcuno. Perché l’Istituto Missionario
Conti Rebaudengo ha mandato e manda salesiani
in tutta Italia e nelle lontane terre d’oltremare».
Per questo lo hanno anche chiamato “il grande
nido”. E la sua storia continua.
Conferma il direttore don Luigi Compagnoni:
«La storia della nostra casa è variegata. Proprio
perché ha saputo riciclarsi negli anni. Ha saputo
cambiare le attività a seconda delle necessità del
tempo».
L’Opera Rebaudengo oggi è una animata “citta-
dina” di attività.
La scuola professionale
Il signor Ermanno Duò, direttore del Centro di
Formazione Professionale, spiega: «Le attività al
Rebaudengo sono consolidate, ormai da anni, nel
settore della Meccanica industriale e nel setto-
re elettrico. Il settore meccanico, con la crisi del
2007-2008, ha subito un cambiamento e, parte di
questo settore è stato trasformato in settore Au-
tomotive. Di conseguenza una parte dei laborato-
ri è stata riconvertita in laboratori di Meccanica
d’auto. Il nostro è un Centro che dà un’offerta sul
territorio rispetto a questi settori. Collaboriamo
con aziende che inseriscono i nostri ragazzi in at-
tività di stage. Con alcune di esse si sono realiz-
zati dei progetti per aggiornare formatori e allievi
su nuove tecnologie. Tutto ciò serve per favorire
l’inserimento nel mondo del lavoro che, ad oggi,
soprattutto nella meccanica industriale, vede una
carenza occupazionale.
Lavoriamo anche nel Bando Mercato del lavoro: è
una attività che ci vede impegnati sulla formazio-
ne di extracomunitari sia nel settore della Mecca-
nica industriale sia nel settore della ristorazione.
Credo di offrire, con l’aiuto di don Bosco, un ser-
vizio a questi ragazzi fatto con il cuore. Noi, ai
ragazzi, prima di insegnare un mestiere insegnia-
mo che questa è per loro un’altra famiglia e che in
questa famiglia devono sentirsi a casa”.
La parrocchia e l’oratorio
«La nostra parrocchia è sorta nel dicembre del
1966. È nata insieme al quartiere: i palazzi che
sorgono attorno sono nati più o meno in quel pe-
riodo, per cui c’è sempre stato un rapporto molto
bello tra parrocchia, oratorio e quartiere.
E non solo con la parrocchia, fin dall’inizio, la
presenza salesiana, dice il parroco don Lucio
Melzani, ancora oggi è determinante per tutto il
territorio.
Viviamo tanti momenti belli, soprattutto con le
famiglie e i giovani. In questo momento quello
che ci coinvolge maggiormente è proprio il di-
scorso con le famiglie».
I catechisti confermano: «È una parrocchia che
dona. È una parrocchia… colorata. Offre soste-
gno e incoraggiamento; è un porto sicuro dove
le persone possono trovare una parola buona, un
aiuto, un sorriso. I frutti ci sono, anche se non
tutti i ragazzi che celebrano i Sacramenti poi
La gioia e la
cordialità sono
gli assi portanti
dell’opera
“Rebaudengo”.
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LE CASE DI DON BOSCO
Sotto e in alto:
Giovani allievi
e insegnanti
dell’Istituto
Universitario
IUSTO.
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continuano nella frequenza. Molti, però, fanno
un buon cammino fino a diventare animatori
all’oratorio, che è un buon punto di riferimento
per molti bambini e ragazzi, dove possono tro-
varsi per la loro formazione e, attraverso il gioco,
sviluppare la loro socialità».
Conferma l’incaricato dell’oratorio, don Pierluigi
Cerutti: «Molti ragazzi e giovani vengono volen-
tieri all’oratorio che diventa un ambiente alterna-
tivo alla dispersione e all’interno possono fare un
cammino di formazione attraverso i gruppi for-
mativi e le varie attività. Man mano che crescono,
si mettono a servizio dei più piccoli. Noi, salesiani
ed animatori, cerchiamo di essere sempre presenti
in mezzo ai ragazzi. L’accoglienza e la presenza
sono ancora vincenti».
La scuola dell’infanzia
Nell’Opera salesiana non manca una significativa
scuola dell’infanzia. «La scuola è sempre stata un
punto di partenza per le attività della parrocchia»,
attesta la direttrice Carla Ghiraldelli. «Molti ge-
nitori che iscrivono i bambini alla nostra scuola,
hanno frequentato, da ragazzi, il nostro oratorio
o addirittura loro stessi hanno frequentato que-
sta scuola da bambini. Io stessa ho degli exallievi
che portano i loro figli, ricordando i bei tempi e
perché sanno di trovare nella scuola un buon ap-
poggio per l’educazione e la formazione dei loro
figli, che vengono educati secondo il progetto di
don Bosco».
Dai più piccoli ai più grandi. All’interno dell’O-
pera esiste anche un pensionato universitario non
molto grande, per mancanza di spazi, ma molto
significativo, che ospita giovani provenienti da
varie parti d’Italia e dall’estero.
L’Istituto universitario IUSTO
È tradizione del Rebaudengo anche un polo di
studi superiori. “Il primo corso universitario in
Psicologia qui è stato tenuto nel 1938, era ancora
vivo Freud. Nel 2006 sono ripartiti i corsi in Psi-
cologia” dice don Ezio Risatti preside di ,
Istituto Universitario Salesiano Torino Rebau-
dengo.
Sede torinese aggregata alla Facoltà di Scienze
dell’Educazione dell’Università Pontificia Sale-
siana di Roma,
si occupa di didattica ac-
cademica e ricerca in diversi settori disciplinari
Aprile 2018

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2.1 Page 11

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delle scienze umane, offrendo in particolare corsi
di Laurea per la formazione di psicologi ed edu-
catori.
Una docente dell’Istituto ne parla così: “Il nostro
intento è di formare delle menti e non solo di pas-
sare informazioni.”
è anche un’agenzia formativa accreditata
presso la Regione Piemonte nata per promuovere
la formazione e lo sviluppo delle persone attraver-
so progetti di formazione, corsi di aggiornamen-
to, interventi di orientamento e di promozione di
giornate di studio e seminari di aggiornamento.
Infine, ma non per importanza, evidenziamo
l’importante servizio offerto da . .
. . . - pporto alle sone che Affrontano
il Gioco d’Azzardo Patologico. Si tratta del pri-
mo sportello gratuito gestito da una Università,
insieme all’amministrazione locale, per il suppor-
to alle persone dipendenti da gioco d’azzardo. Il
servizio è finalizzato a fornire accoglienza e so-
stegno psicologico alle persone con dipendenza e
ai loro familiari.
ancora qualche progetto per l’immediato futuro.
Per l’anno 2018-2019 il inaugurerà il nuo-
vo laboratorio di carrozzeria mentre, fra qualche
mese, lo “Studio associato di Psicologia Rebau-
dengo” entrerà a far parte dell’Opera come sua
settima attività, aggiungendosi a ,
,
, Oratorio-Centro giovanile, Parrocchia,
Scuola dell’infanzia.
Che cosa pensa la gente del quartiere? Per tutti
parla la farmacista, quasi nostra vicina di casa:
“Sicuramente l’Opera salesiana è un punto di
riferimento per il quartiere che prende il nome
dall’Istituto. È un punto di aggregazione a par-
tire dalla Scuola dell’Infanzia, molto frequentata
e di cui si parla molto bene, come si parla bene di
tutte le altre attività presenti per le attenzioni che
vengono riservate a piccoli e grandi. I salesiani
con semplicità hanno sempre una parola buona,
un sorriso, un incoraggiamento. In tutto quello
che fanno mettono tanto entusiasmo e tanta buo-
na volontà nel seguire ragazzi e giovani per dare
loro quell’impronta di buoni cristiani e onesti citta-
dini, secondo il desiderio di don Bosco”.
L’oratorio è
un punto vitale
del quartiere,
un ambiente
alternativo alla
dispersione e
all’isolamento.
Qualcosa di futuro
Il Rebaudengo, abituato ad adattarsi, da sempre,
alle necessità che il tempo propone, non ha nes-
suna intenzione di fermarsi al già acquisito. Ha
Aprile 2018
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2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON - info@missionidonbosco.org - www.missionidonbosco.org
Vietnam
Il sapore del futuro
Sembra di essere nella
Valdocco delle origini, in cui
musica, gioco, preghiera, studio
si alternavano in un sistema
originale che don Bosco aveva
“inventato” per educare con la
dolcezza e l’amore.
Foto di Ester
Negro
Il Vietnam oggi è
un paese diverso
dall’immaginario
collettivo che
abbiamo.
V ietnam. Al sud, nella città di Ho Chi
Minh City (l’antica Saigon). Fa un cal-
do umido soffocante, sia di giorno come
di notte. Si sudano le famigerate “sette
camicie” senza far nulla!
I salesiani che ci hanno accolto sono
gentili e premurosi, purtroppo pochi parla-
no inglese, quindi la comunicazione non è
facile e alle parole spesso suppliscono sguar-
di accoglienti e sorrisi ampi e comprensivi.
Il paese che troviamo è diverso dall’immagina-
rio collettivo che abbiamo del Vietnam, a dire il
vero ormai fermo agli anni ’70 dello scorso secolo,
12
Aprile 2018
quando Vietnam era sinonimo di guerra degli
contro i “vietcong” e dei “boat people” che anche
noi italiani abbiamo salvato ed accolto nel 1979.
Il paese vive una fase di sviluppo veloce e convul-
so in cui le vecchie tradizioni sono sostituite da
tecnologia all’avanguardia. I più fortunati acqui-
siscono condizioni di vita buone, ma i più deboli
restano ai margini e vivono nell’ombra, messi da
parte proprio da un governo comunista, che dal
popolo ha la pretesa di essere legittimato.

2.3 Page 13

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Nessuno escluso
I salesiani in Vietnam sono tutti locali. I missio-
nari europei sono stati espulsi dopo la fine della
guerra, nel 1975. Da allora il Vietnam salesiano
ha conosciuto un periodo difficile pastoralmente,
ma fecondo vocazionalmente. I salesiani presenti
in Vietnam sono circa 300, ed altri 140 sono an-
dati missionari in tanti paesi del mondo. Le scuo-
le sono prerogativa dello stato, quindi a noi figli
di don Bosco, sono precluse. La scuola, nei paesi
in via di sviluppo, è di solito il primo strumento
di educazione che i salesiani di don Bosco metto-
no in atto, ma qui non è stato possibile mantener-
le, dopo il 1975.
Per poter educare i ragazzi, i salesiani hanno do-
vuto trovare altre strade, provvidenziali possiamo
aggiungere ora, perché hanno incontrato il favore
dei più poveri e fragili.
Se la scuola per il governo vietnamita noi non
possiamo attivarla, questo non vale per la forma-
zione professionale, quella tipicamente salesiana,
quella rivolta ai drop out del sistema scolastico.
Ed è proprio un centro di formazione professio-
nale frequentato da circa 250 ragazzi e ragazze
che visitiamo a Vinh Long, cittadina a duecen-
to chilometri a sud ovest di Saigon, sulle rive di
uno dei rami del delta del grande fiume Mekong.
Sono giovani espulsi dalla scuola perché irrequie-
ti, demotivati, incapaci di stare al passo con gli
obiettivi formativi imposti dal sistema scolastico.
Un centinaio poi sono convittori che stanno nel-
la casa salesiana tutta la settimana e rientrano in
famiglia solo nel week end. Abbiamo visitato le
loro aule, i laboratori di meccanica, elettricità, in-
formatica e taglio e cucito (solo per le ragazze). Li
abbiamo visti giocare nei cortili animati dai quat-
tro giovani salesiani tirocinanti, pregare insieme
prima di cena e poi fare un doppio saggio musi-
cale per accoglierci, in cui trombe, flauti, sasso-
foni, bombardini, gran cassa, tastiere, chitarre e
chi più ne ha più ne metta, hanno coinvolto tutti
i ragazzi, proprio tutti, nessuno escluso.
Sembrava di essere nella Valdocco delle origini,
in cui musica, gioco, preghiera, studio si alterna-
vano e davano il ritmo ad un sistema originale
che don Bosco aveva “inventato” per educare con
la dolcezza e l’amore quei poveri ragazzi che al-
trove trovavano solo porte chiuse. Commovente!
A cena con noi è venuto, come ospite d’onore, il
capo principale della polizia della città. Ovvia-
Per poter
educare i ragazzi
i salesiani hanno
dovuto trovare
altre strade,
provvidenziali
possiamo
aggiungere ora,
perché hanno
incontrato il favore
dei più poveri
e fragili.
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2.4 Page 14

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SALESIANI NEL MONDO
I salesiani
hanno scuole
di formazione
professionale,
convitti per
studenti,
parrocchie e
oratori.
Sotto: Una nuova
chiesa dedicata a
don Bosco nella
parrocchia di Xuan
Hiep, diocesi di
Saigon, Vietnam.
mente un uomo del partito di governo, che ci co-
nosce e ci stima moltissimo e con finiva più di
tessere le lodi del direttore dell’opera e del suo
staff di salesiani. Scherzando gli abbiamo detto
che quanto meglio lavorano i salesiani con questi
ragazzi e tanto meno hanno da fare loro, i poli-
ziotti. Ha sorriso e assentito vigorosamente con il
capo, man mano che le parole della traduzione in
vietnamita erano da lui comprese.
Anche un ristorante raffinato
Come questo centro di formazione, i sale-
siani ne hanno altri cinque nel sud del pae-
se, dove la percentuale di cattolici è più am-
pia e i salesiani sono maggiormente presenti.
Oltre alla formazione professionale che lo stato
non è in grado di realizzare e che non ritiene stra-
tegica, come la scuola, per il controllo del paese,
i salesiani hanno altre opere educative comple-
mentari alla scuola: i convitti per studenti che
vengono dalla campagna e frequentano le scuole
statali, ma vivono in collegio dai salesiani. Ab-
biamo un centro per bambini e ragazzi portatori
di handicap. Abbiamo parrocchie e oratori. Una
bella realtà poliedrica e vivace.
A Saigon abbiamo aperto una scuola-bottega, e
gestiamo un ristorante raffinato con cucina euro-
pea, il tutto fatto con i ragazzi della formazione
professionale: imparano il mestiere dell’attività
alberghiera di cucina e di sala a diretto contatto
con quei clienti che, in una città enorme con ol-
tre 11 milioni di abitanti, desiderano cenare con
un menù europeo: vini francesi, birra tedesca,
cucina italiana. È un autentico spettacolo vedere
tutti questi ragazzi e ragazze, ben vestiti, sorri-
denti e sempre in movimento, cercare di fare del
loro meglio per mettere a proprio agio i clienti
che si siedono al tavolo. Non sono sveltissimi,
proprio perché stanno imparando il mestiere, ma
svolgono le proprie mansioni con estrema cura e
dedizione. E non solo quelli della sala, ma anche
quelli della cucina si possono ammirare al lavoro,
perché il ristorante ha una grande vetrata in cui
si vedono i cuochi operare in diretta. Tutto pulito
ed ordinato: dalle divise del personale, ai piani
di lavoro, ai piatti che prima di uscire per essere
serviti vengono supervisionati uno ad uno da un
responsabile.
Insomma, un bel modo di essere a servizio dei
giovani di questa terra laboriosa e intraprendente,
dove essere cattolici significa essere minoranza,
ed essere exallievi di don Bosco è sicuramente
una chance per il proprio futuro.
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Aprile 2018

2.5 Page 15

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PROPOSTE
IL
DECA
LOGO
DELL’ACCOMPAGNATORE SALESIANO
Elaborato durante le scorse Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana,
il “Decalogo dell’Accompagnatore Salesiano” è l’espressione del desiderio
dei membri della Famiglia Salesiana di farsi veri ed efficaci accompagnatori
dei giovani. Per questo il Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime,
ha assicurato sin dal primo momento la sua volontà di diffonderlo in ogni
presenza e comunità salesiana.
L’Accompagnatore Salesiano:
1. Accompagna i giovani in questo tempo
favorevole in un discernimento vocazionale,
sperimentando, a sua volta, la bellezza
di lasciarsi accompagnare.
2. Aiuta il giovane con pazienza e
amorevolezza a scoprire, attraverso l’ascolto
della voce di Dio, di essere dono e di poter
realizzare il grande progetto che lo aspetta.
3. Favorisce un clima spirituale con una
presenza e una testimonianza umile e gioiosa.
4. Offre a ciascuno l’opportunità di essere
accompagnato, facendo il primo passo,
con un ascolto empatico e valorizzando le
specificità personali senza escludere nessuno.
5. Propone una spiritualità con una visione
unitaria, vivendo una presenza autentica
sull’esempio di Gesù.
6. Testimonia la gioia amando e facendo
sentire l’amore di Dio.
7. Sperimenta la logica del “vieni e vedi”
con una testimonianza silenziosa e coerente,
che manifesti la presenza del Risorto e inviti
ad intraprendere un cammino.
8. Vive la dimensione comunitaria, creando
“casa che accoglie” attraverso lo sguardo,
il “saper essere”, l’apertura al mondo,
la pienezza di vita.
9. Dedica tempo all’incontro personale,
curando l’ascolto con il cuore di Cristo
Buon Pastore.
10. Guarda con fiducia e speranza la vita,
affidandosi al Signore, camminando accanto
ai giovani e risvegliando in loro il desiderio
di incontrarlo.
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2.6 Page 16

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LA RICETTA SALESIANA
B.F.
I 6 ingredienti fondamentali
per formare un “uomo”
Con il primo ingrediente, la saggezza, abbiamo guardato in faccia
il “punto di partenza”. Questa umile rubrica proporrà sei obiettivi essenziali
(uno per puntata: La saggezza, Il coraggio, L’amore, La giustizia, La temperanza,
La trascendenza), a loro volta suddivisi in tante altre “potenzialità”, da educare.
3 L’amore È una qualità incredibile. Significa preferire il bene
di qualcun altro a quello per se stessi. Trovare
la propria felicità nel far felici altri. È vedere
La ragazza, terza liceo, media voti 6 risicato,
era di pessimo umore. Aveva tutti gli aculei
fuori, proprio come un porcospino attaccato
da un cane. Troppi compiti a casa, troppe
interrogazioni, troppo tutto... ecco!
La madre le planò sopra come un elicot-
tero: predica, ragionamenti, spiegazioni e
raccomandazioni. La ragazza ascoltò con
espressione tesa e dura. Anzi, si fece più
scura. Poi guardò la madre dritta negli occhi
e scandì: «Mamma, sono stanca e stufa del-
le tue prediche. Perché invece non mi prendi
tra le tue braccia e mi tieni stretta? Nessun
consiglio potrà mai farmi altrettanto bene!»
La madre rimase a bocca aperta. Gli occhi
della figlia imploravano un abbraccio. Con
la voce rotta dalle lacrime, le disse: «Vuoi...
vuoi che ti abbracci? Ma lo sai che anch’io...
anch’io voglio che tu mi abbracci?»
Fu la figlia a stupirsi questa volta. La ma-
dre tese le braccia aperte e la strinse a sé.
La figlia era più alta di lei, ma la madre
l’accarezzò come quando era una bimba.
in qualcuno qualcosa che nessun altro vede.
e le ha chiamate con nomi differenti:
affetto, amicizia, eros, carità.
Caro, dolce affetto
L’affetto è il più umile e diffuso de-
gli “amori”. Questo non significa che
sia trascurabile. La sua manifestazio-
ne tipica è tra genitori e figli. È fat-
to di caldo benessere, della soddisfa-
zione che nasce dallo stare insieme,
di accoglienza e dono profondi, di
tenerezza tranquilla. È il meno di-
scriminante degli amori. Di alcune
donne possiamo già dire in anticipo
che avranno pochi corteggiatori, e
grado di parentela o di affinità.
Si manifesta con la ricono-
scenza. Consiste nel riconoscere il
valore di ciò che abbiamo o di qual-
cosa che magari già era nostro e non
sapevamo quanto meraviglioso fosse.
Amicizia: via dal gregge
La seconda forma dell’amore è l’ami-
cizia. Secondo C.S. Lewis è «il meno
naturale degli affetti, il meno istinti-
vo, organico, biologico, gregario e in-
dispensabile. Qui i nostri nervi c’en-
trano ben poco; in questo sentimento
non c’è nulla di tenebroso: nulla che
di alcuni uomini che difficilmente faccia accelerare il polso, o arrossi-
Chi può arrogarsi il diritto
di mettere ordine nel mi-
sterioso caleidoscopio dell’a-
more? Lo scrittore inglese
C.S. Lewis ha distinto quat-
tro forme principali d’amore
si faranno degli amici; questo perché
entrambi non hanno nulla da offrire.
Ma chiunque può diventare oggetto
d’affetto, anche se brutto o stupi-
do, persino se insopportabile. E non
è nemmeno necessario che vi sia un
re, o sbiancare. È semplicemente un
rapporto che si stabilisce fra indivi-
dui. Quando due persone diventano
amiche, significa che esse si sono
allontanate, insieme, dal gregge».
Senza l’eros e il suo aspetto sessuale
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Aprile 2018

2.7 Page 17

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nessuno di noi sarebbe nato. Senza
l’affetto nessuno di noi avrebbe rice-
vuto nutrimento ed educazione. Ma
gli uomini possono vivere e riprodursi
anche senza amicizia. Da un punto
di vista biologico, essa non è affat-
to indispensabile alla specie umana.
Eppure è importantissima, come ben
sa solo chi ne fa l’esperienza diretta.
«L’amicizia è superflua, come la fi-
losofia, l’arte, l’universo stesso (Dio,
infatti, non aveva bisogno di creare).
Essa non ha valore ai fini
della sopravvivenza;
è piuttosto una di
quelle cose che
danno valore alla
sopravvivenza»
(C.S. Lewis).
Un amico vero
ci costringe a
“tirar fuori” la
parte migliore di
noi.
Eros e innamo-
ramento: basta
un alito nei capelli
La terza forma dell’amore è l’inna-
moramento. L’amore tipico tra uomo
e donna, che coinvolge totalmente la
loro personalità sessuale. «Amore»
scrive un innamorato, «un sentimento
che si è ripetuto nel corso della sto-
ria e anche nella mia vita. Ma oggi è
diverso: sento che il centro della mia
esistenza si sposta decisamente fuori
di me. Trovo inadeguata ad esprimere
ciò che sento nel profondo di me qual-
siasi parola. Incredibile! Basta un ali-
to di vento tra i tuoi capelli perché tu
riempia il vuoto della mia solitudine.
Sono irresistibilmente attratto da te e
con te desidero costruire il mio avve-
nire». L’innamoramento è esclusivo,
promette e vuole unione stabile, eterna
fedeltà. «Ti sarò sempre fedele» sono
le prime parole che di solito pronuncia
un innamorato autentico in tutta sin-
cerità. L’esperienza non serve a met-
terlo in guardia contro le delusioni.
È la forma d’amore più possente,
generatrice di vita e di felici-
tà profondissima, ma
anche la più difficile da mantenere e
governare. Per crescere e sopravvivere
ha bisogno delle altre forme d’amore.
Le qualità di base sono il ri-
spetto e la fedeltà.
Carità: si può amare
il nemico?
La carità è la quarta forma dell’amo-
re. Quella che attinge direttamente la
sua forza dal Creatore stesso dell’a-
more. «Dio è Amore» afferma chia-
ramente la Bibbia.
C’è un amore speciale che permette
all’uomo di amare ciò che, per sua
natura, non è amabile: i lebbrosi, i
criminali, i nemici, gli imbecilli, i
burberi, chi si atteggia a uomo su-
periore, chi si fa beffe del prossimo
ecc. Madre Teresa non mente, non
scherzano le suore e i fratelli del
Cottolengo, non fingono migliaia
e migliaia di missionari, volontari,
uomini e donne che “amano”
i rifiuti e i paria della
società. E l’amore-
dono di Dio. Dio
è capacità im-
mensa d’amore.
Nella creazione
ci ha dato questa
capacità, che ha
quindi la possibilità
di andare oltre l’affet-
to, l’amicizia, l’eros. Ci
portiamo dentro anche una
gran carica di amore-bisogno
per Dio: «Ci hai creati per Te» pre-
gava sant’Agostino «e il nostro cuore
è inquieto finché non riposa in Te».
Ma Dio stesso vuole che l’amore-
bisogno verso di Lui si trasformi in
amore-dono verso tutti gli uomini.
Si manifesta con la gentilezza
e con quella rara qualità che è
l’intelligenza sociale (emoti-
va, relazionale, solidale). Ama-
re è percepire la bellezza e lo stupore
dell’esistenza.
Chi considera meravigliosa la vita,
sente di amare l’umanità, la rispetta
in sé e negli altri.
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
RAYMOND BAVUMIRAGIYE
(traduzione di Marisa Patarino)
Sono un salesiano
del Burundi
La mia vocazione
Fin da giovanissimo ho sempre ama-
to la musica, la danza e il teatro. Mi
sono anche impegnato nel Movimento
Giovanile Eucaristico, il cui motto è
preghiera-comunione-sacrificio-apo-
stolato. Ero felice di leggere le letture
durante le celebrazioni eucaristiche e
di servire la Messa, come aveva fatto
mio padre quando frequentava la scuo-
la elementare.
Nel 1996, dopo un lungo discer-
nimento, scrissi una lettera all’ani-
matore delle vocazioni salesiane per
chiedere di essere ammesso come
aspirante alla vita religiosa salesiana.
Avevo conosciuto i Salesiani a seguito
della lettura del libro “Chi manderò?”,
che presentava in modo sintetico tut-
te le Congregazioni che lavoravano in
Burundi. Lessi la pagina che parlava
della Congregazione dei Salesiani di
don Bosco e la apprezzai molto.
Nel frattempo, l’insicurezza si diffon-
deva in quasi tutto il Paese, perché era
in corso una guerra civile scoppiata a
seguito dell’assassinio di Melchior
Ndadaye, il primo presidente demo-
craticamente eletto nel 1993. Du-
rante l’anno scolastico 1996-1997, i
ribelli attaccarono la Scuola superiore
Gatara in cui studiavo. Fui dunque
obbligato a cambiare scuola e mi ri-
volsi a don Vital Minani, animatore
vocazionale salesiano, al quale chie-
si di iscrivermi alla Scuola superiore
Burengo, l’attuale Scuola superiore
Don Bosco.
Dopo aver completato gli studi su-
periori nel 1998 e il servizio militare
obbligatorio, decisi di entrare in No-
viziato. Chiesi a mio padre di lasciar-
mi libero di consacrarmi a Dio. Dato
che quando era giovanissimo aveva
prestato il suo aiuto ai missionari,
all’epoca in cui frequentava la scuola
elementare, e aveva nutrito il deside-
Mi chiamo don Raymond
Bavumiragiye e sono un
Salesiano di don Bosco
di nazionalità burundese.
Sono nato il 15 giugno
1973 nel Burundi del Nord.
Sono l’ottavo figlio della
mia famiglia e l’unico che
si sia consacrato a Dio
nella vita religiosa.
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Aprile 2018

2.9 Page 19

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rio di diventare sacerdote, comprese
subito che non poteva ostacolare la
chiamata da parte di Dio per suo fi-
glio. Accettò dunque la mia decisione
di continuare il cammino vocaziona-
le nella Società di san Francesco di
Sales. Mi esortò anche a procedere
con serietà e consapevolezza di ciò
che volevo diventare. Poco prima che
morisse, nel 2004, quando era già
gravemente malato mio padre mi ri-
peté le stesse parole: «Figlio mio, ti
invito sempre a meditare su ciò che
eri prima e sull’identità che hai ora».
All’epoca ero già giovane Salesiano
al primo anno di tirocinio a Kigali,
in Ruanda. Lo stesso anno il Signore
chiamò mio padre per sempre nella
sua casa. Mio padre avrebbe voluto
assistere alla mia ordinazione sacer-
dotale, ma vi presenziò dal cielo. Ho
comunque visto che la sua preghiera
mi ha sempre accompagnato.
Le mie prime esperienze
come Salesiano
di don Bosco
Si suol dire che “non c’è una buona
formazione senza buoni docenti”. Le
mie prime esperienze come Salesia-
no sono state molto positive perché
ho avuto la fortuna di incontrare un
buon maestro dei novizi, don Joseph
Kabadugaritse, che attualmente è il
mio parroco nella comunità salesiana
di Ngozi. Sono molto grato anche ai
direttori e ai confratelli delle Case di
formazione e delle comunità in cui ho
compiuto il tirocinio. A tutto questo
devo aggiungere il sostegno dei miei
genitori e dei miei fratelli, che sono
stati molto felici di avere un famiglia-
re consacrato a Dio. La facilità che ho
avuto a seguire gli studi necessari per
la formazione salesiana mi ha anche
stimolato nelle prime esperienze che
ho vissuto come Salesiano di don Bo-
sco.
La situazione in Burundi
Il Burundi, dal giorno dell’indipen-
denza, ottenuta il 1° luglio 1962, a
oggi ha vissuto momenti complicati
di crisi socio-politiche. Come Diret-
tore della grande opera salesiana di
Ngozi e per la mia formazione peda-
gogica, preferisco esprimermi in ge-
nerale in merito a questo tema, perché
molti cittadini del Burundi hanno il
cuore ferito per le varie crisi e soffro-
no ancora oggi.
Oggi mi domando perché questo
piccolo Paese, il più povero del mon-
do, diventi un teatro di discussione e
divisione sulla scena internazionale
La Scuola superiore Don Bosco oggi è annoverata
tra le scuole meglio gestite e con migliori risultati
del Paese.
Aprile 2018
19

2.10 Page 20

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L’INVITATO
La popolazione del Burundi è molto giovane.
Come accade in altre zone del mondo, i giovani
del Burundi devono affrontare la grave difficoltà
della disoccupazione.
presso l’ , l’Unione europea e l’U-
nione africana. Il dato di fatto è che
la situazione economica del paese è
molto precaria e questo è noto a livel-
lo internazionale. Basta stare qui in
Burundi per vedere la miseria in cui
vive la popolazione.
La situazione dei giovani
Non ho statistiche a disposizione, ma
la popolazione del Burundi è molto
giovane. Come accade in altre zone
del mondo, i giovani del Burundi
devono affrontare la grave difficoltà
della disoccupazione. Molti giova-
ni burundesi che hanno completato
i loro studi superiori e universitari
sono disoccupati. Questa situazione
scoraggia i loro fratelli e sorelle che
studiano, perché vedono che il loro
futuro sembra incerto. Sottolineo
anche che, data la povertà diffusa nel
Paese, molti giovani non seguono un
percorso di studi adeguato perché non
possono permettersi di pagare le tasse
scolastiche e il materiale didattico.
L’opera salesiana
a Ngozi: la Scuola
superiore Don Bosco
Da quando è nuovamente diretta dai
Salesiani, dal 1998, la Scuola supe-
riore Don Bosco ha compiuto note-
voli progressi in termini di disciplina,
cultura e rendimento scolastico, tanto
che oggi è annoverata tra le scuole
meglio gestite e con migliori risultati
del Paese.
La mia esperienza
Sono molto felice di essere un sacer-
dote salesiano di don Bosco. Ho se-
guito gli studi di teologia e scienze
dell’educazione presso l’Università
Pontificia Salesiana ( ) a Roma dal
2005 al 2012. È stata un’opportunità
20
Aprile 2018

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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grande e indimenticabile che ho avu-
to nella mia vita consacrata.
Studiare all’ mi ha permesso di
conoscere i luoghi di don Bosco e la
lingua italiana, acquisire una forma-
zione qualificata nell’ambito della
Pedagogia, vivere un’esperienza inter-
nazionale grazie ai confratelli prove-
nienti da quasi ogni parte del mondo
e avere amici anche in Italia.
Dopo gli studi di Pedagogia all’
che terminai nel 2012, i miei superiori
mi nominarono Direttore della Co-
munità e della Scuola superiore Don
Bosco. Avevo qualche timore, perché
avevo appena terminato i corsi univer-
sitari ed ero provvisto di molta teoria,
ma mi mancava la pratica. Inoltre, l’o-
pera salesiana di Ngozi è una tra le più
grandi della nostra Ispettoria Africa
Grandi Laghi ( ) e vi hanno lavo-
rato grandi direttori salesiani.
Ringrazio poi infinitamente i nostri
amici italiani che ci hanno aiutato per
le varie necessità della Scuola. Espri-
mo in particolare ringraziamenti alla
Fondazione Opera Don Bosco nel
Mondo in Lugano e all’Ispettoria sale-
siana della Lombardia (Milano), a sua
eccellenza monsignor Alfonso Badini
Confalonieri, vescovo della Diocesi di
Susa, a benefattori noti e anonimi che
ci hanno sostenuto tramite la Fonda-
zione Don Bosco nel Mondo.
I problemi più importanti riguarda-
no il recupero edilizio del Liceo Don
Bosco. Gli edifici sono infatti vecchi,
perché risalgono al 1962, quindi a ol-
tre 50 anni fa. La situazione si aggra-
vò con il passaggio della gestione del-
la scuola ai laici, che la diressero per
oltre vent’anni. Gli interventi neces-
sari richiederanno una somma molto
ingente in franchi burundesi, pari a
svariate centinaia di migliaia di euro.
Il mio sogno è vedere la Scuola su-
periore Don Bosco eccellere da ogni
punto di vista. La disciplina, il pro-
cesso di insegnamento-apprendimen-
to e la deontologia professionale sono
infatti già di buon livello e fanno sì
che la scuola sia tra le meglio gestite e
con migliori risultati del Paese.
Il grosso problema che rimane è il
recupero edilizio e il sostegno econo-
mico agli studenti poveri per permet-
tere loro di pagare le tasse scolastiche,
l’assistenza sanitaria e il materiale di-
dattico. Il mio sogno è vedere queste
difficoltà ridotte o completamente ri-
solte.
«Il grosso problema che rimane è il recupero
edilizio e il sostegno economico agli studenti
poveri per permettere loro di pagare le tasse
scolastiche, l’assistenza sanitaria e il materiale
didattico».
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3.2 Page 22

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INIZIATIVE
ELISABETTA GATTO
La seconda nascita
Le adozioni internazionali
Il progetto “Trame. L’intreccio di passato
e presente nell’identità dell’adottato
all’estero” degli Amici di Don Bosco.
“Mi sento italiana come men-
talità, caratterialmente, però
non nascondo a nessuno di
avere un sangue indiano,
neanche a me per prima,
anzi sono orgogliosa di que-
sto”, racconta Jothy, una ragazza adottiva nata in
India. Mi è capitato spesso di essere identificata
come ragazza indiana, soprattutto all’università
in quanto ci sono molti ragazzi che provengono
dall’estero. Questa cosa mi fa piacere, io ci rido
sopra e faccio le battute: ‘Sì è vero, però sono ita-
liana e se vuoi ti rispondo anche in piemontese’.
Proprio perché non dimentico mai questa mia
appartenenza sia all’India sia all’Italia. Grazie
all’Italia ho avuto l’opportunità di crescere, di
studiare e di essere quella che sono oggi”.
È un’identità doppia quella degli adottati all’estero,
espressione di una doppia appartenenza che in una
società sempre più multiculturale qual è quella ita-
liana si traduce in una riflessione su che cosa signi-
fichi essere italiano oggi. In un momento in cui i
fenomeni migratori che interessano il nostro Paese
ci portano a interrogarci sul significato dell’acco-
glienza, i dati sulle adozioni di minori stranieri in
Italia mettono in luce un trend ormai consolida-
to: le famiglie italiane sono fra le più accoglienti
al mondo, seconde solo agli Stati Uniti. Nel 2014,
secondo gli ultimi dati disponibili pubblicati dal-
la , l’organo della Presidenza del Consiglio dei
Ministri incaricato della materia, su una popola-
zione di 60 milioni di abitanti gli italiani hanno
adottato 2206 bambini provenienti da oltre 20
Paesi (gli Stati Uniti 5648 a fronte però di una po-
polazione sei volte superiore alla nostra).
“L’adozione internazionale è uno degli strumenti
per attuare il diritto del bambino ad avere una fa-
miglia”, afferma don Domenico Ricca, presidente
di Amici di Don Bosco. “In particolare si sottoli-
nea che è uno strumento sussidiario, a cui si deve
fare ricorso solo quando sono falliti tutti i tentativi
per fare crescere il bambino in una famiglia ‘sana’
nel suo Paese di origine. Questi principi sono nel
di un ente autorizzato che appartiene alla
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Aprile 2018

3.3 Page 23

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AMICI DI DON BOSCO
Famiglia Salesiana e che lavora in trasparenza per
realizzare il diritto del bambino ad avere dei geni-
tori in grado di soddisfare i suoi bisogni”.
Nella fase dell’attesa le coppie fanno con Amici
di Don Bosco un percorso di accompagnamen-
to con una mediatrice culturale e un’antropologa
per imparare ad accogliere le differenze culturali
nella nuova famiglia e a farne tesoro, per scoprire
le radici del bambino che affondano in un Paese
diverso e per affrontare e decostruire stereotipi
nel confronto con la diversità culturale.
Alla ricerca delle radici
Gli adottati all’estero sono ponti tra due o più
culture ed è per questo che molti di loro si metto-
no in cammino per ritornare alle proprie origini,
percorso che non necessariamente coincide con il
rintracciare la propria famiglia di nascita, ma con
il mantenere vivo un legame con la propria cultu-
ra di provenienza e magari riuscire a riannodare
qualche filo rimasto sospeso della propria storia.
“Parlando di accoglienza”, precisa Daniela Berto-
lusso di Amici di Don Bosco, “ci sembra di poter
dire che uno dei doni più grandi che i genitori
possono fare ai propri figli è quello di non la-
sciarli soli in questi percorsi di ricerca di contat-
to con le proprie radici. È proprio un accogliersi
reciproco di storie dove ciascuno ha cittadinanza
in quel pezzo di esistenza che non si è vissuto in-
sieme. Consentire e accompagnare il proprio fi-
glio in questo ripercorrere la propria storia è un
atto di vero amore genitoriale. Di per sé la ricerca
delle proprie origini non toglie nulla a nessuno,
anzi è qualcosa che va ad arricchire la storia del-
la famiglia. Abbiamo esplorato questo tema con
un documentario, ‘Trame’, che raccoglie le voci
di figli adottivi adulti con particolare attenzione
alle risorse che mettono in campo per ricucire i
frammenti delle loro identità e agevolare il loro
processo di inclusione. Ci attendiamo così di va-
lorizzare il loro patrimonio di conoscenze e di
esperienze, stimolare una riflessione collettiva sul
L’associazione Amici di Don Bosco Onlus è stata fondata da padre Giusep-
pe Baracca, missionario salesiano che trascorse gran parte della sua vita in
India e che, tornato in Italia alla fine degli anni ’70, prestò la sua assistenza
ad alcune coppie desiderose di accogliere bambini nati in quel paese. È ente
autorizzato a operare in Colombia, Filippine, Benin, India, Mongolia.
Contatti
Sede di Torino: Via Maria Ausiliatrice 32, Torino, Tel. 011-3990102
Sede di Lecce: Via Alessandro Manzoni 7, Tel. 0832-398897
www.amicididonbosco.org
Per maggiori informazioni sull’iniziativa si può scrivere a:
info@amicididonbosco.org
tema dell’intercultura nell’ambito delle adozioni,
agevolare attraverso la dimensione interculturale
la comprensione reciproca e portare all’attenzio-
ne dell’opinione pubblica i molti modi di essere
italiani”.
Dal progetto di “Trame. L’intreccio di passato e
presente nell’identità dell’adottato all’estero” sono
germogliate una serie di idee e di iniziative che
promuovono la cultura dell’adozione: un ciclo di
incontri per offrire alle famiglie adottive, ai ge-
nitori in attesa, agli adottivi adolescenti e adulti,
agli insegnanti e a quanti fossero interessati uno
sguardo consapevole e autentico sul tema delle ra-
dici, della ricerca delle origini e della doppia ap-
partenenza. È possibile partecipare agli incontri
nella sede di Amici di Don Bosco oppure vederli
in differita.
Aprile 2018
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3.4 Page 24

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A TU PER TU
LINDA PERINO
(Traduzione di Marisa Patarino)
Padre Mario Pérez
e i bambini stregoni
«Rischio ogni giorno, ma non ho paura, perché credo
che nella lotta per i diritti dei più deboli non si debba
esitare a rischiare anche la vita».
Don Mario Pérez, Salesiano
venezuelano, è attualmente
impegnato a Mbuji Mayi,
una città con gravi problemi
sociali nella Repubblica De-
mocratica del Congo. Lavora
in particolare al servizio dei bambini
e ragazzi accusati di stregoneria. Si
tratta di giovanissimi di età compresa
tra gli 8 e i 14 anni, orfani, disabili,
albini, ma non solo. Secondo la cre-
denza popolare questi bambini lance-
rebbero maledizioni e sono incolpati
di provocare malessere generale, po-
vertà, disoccupazione. Spesso queste
accuse provengono dai genitori stessi
e i bambini sono costretti ad abban-
donare le proprie case e si ritrovano
a vivere per strada. La verità, però, è
che oggi per molte famiglie l’osses-
sione per la magia nera è soltanto un
pretesto per sfamare meno bocche.
Prima di stabilirsi a Mbuji Mayi, don
Pérez ha lavorato in varie altre sedi:
dapprima sulla frontiera Colombia-
Venezuela, luogo di passaggio per
moltissimi sfollati; quindi, dopo gli
studi a Torino, a Lubumbashi, dove
ha lavorato con i ragazzi di strada. Nel
1997 fu mandato in Burundi e succes-
sivamente diventò direttore del Centro
Don Bosco di Goma-Ngangi, dove ri-
mase per 13 anni, durante i quali, nel
2009, l’Unicef conferì al Centro il pre-
mio internazionale ‘Prima i bambini’:
un modo per far sentire la voce di tanti
bambini che soffrivano.
Nel mese di aprile del 2010, subito
dopo il terribile terremoto, don Pérez
fu mandato ad Haiti. Il suo servizio è
consistito nel portare aiuto, ma anche
nel favorire una mentalità di impegno,
portando la speranza a molti sfollati
che popolavano i campi profughi di
Thorland, a Carrefour. Il Salesiano
coinvolse le persone nella gestione del
campo: tutti dovevano rendersi utili
per il bene del prossimo, sebbene la
situazione fosse molto complicata.
Come e quando è nata
la sua vocazione?
Fin da piccolo avevo una spiccata sen-
sibilità per i bambini orfani o che subi-
vano ingiustizie, per le persone ridotte
in schiavitù e gli anziani emarginati
e sapevo che dovevo fare qualcosa.
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Aprile 2018

3.5 Page 25

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A pagina precedente e qui accanto:
padre Mario Pérez con i suoi piccoli amici.
Questa regione del Congo è nota per la violazione
dei diritti dei bambini.
Quando diventai adolescente comin-
ciai a impegnarmi in un movimento
socialista, pensando di trovare là una
soluzione. Dopo aver completato gli
studi secondari, decisi di entrare nel
seminario della diocesi, sebbene non
credessi nell’esistenza di Dio. Proprio
in seminario trovai don Bosco e Dio
e l’anno successivo fui accolto come
postulante nell’aspirantato salesiano
di Los Teques, in Venezuela. Dopo
il noviziato sentii un’inquietudine nel
cuore, sebbene fossi felice e certo di
voler abbracciare la vita salesiana. Un
giorno mi misi allora a disposizione
della Congregazione per le missioni
in Africa. In quel momento mi sem-
brò che il mio cuore si liberasse e da
allora non ho mai avuto alcun dubbio
in merito alla decisione di condividere
la vita salesiana con i miei fratelli in
Africa, in particolare con i bambini e
i giovani in difficoltà.
Bosco. Porto questo pensiero nel cuore
e lo considero un modo per vivere la
giustizia nei confronti dei miei fratel-
li africani e per esprimere gratitudine
a Gesù Cristo. Il progetto di Dio in
Gesù è che tutta l’umanità formi una
sola famiglia. Ogni cristiano dovrebbe
dunque portare nel cuore questo desi-
derio di Gesù e cercare di realizzarlo.
Mi sento in famiglia tra i miei fratelli
e le mie sorelle di Mbuji Mayi, nella
Repubblica Democratica del Congo,
dove vivo ora, e provo lo stesso sen-
timento per tutte le persone con cui
sono vissuto a Goma, a Lubumbashi,
ad Haiti e ovunque sono stato.
Perché ha deciso di partire
per le missioni?
Lo consideravo un modo per esprime-
re e vivere la missione affidata a don
Chi le dà la forza
di continuare?
La fede che Dio stesso operi nella
Chiesa Corpo di Gesù Cristo e voglia
Mi sento in famiglia. In generale
i bambini mi chiamano per nome,
altri mi rivolgono l’appellativo
di padre e molti mi chiamano papà.
la felicità di tutti i suoi figli, nonché
l’infinita gratitudine verso il Padre che
mi affida ciò che gli sta più a cuore.
Com’è la sua vita
a Mbuji Mayi?
Mbuji Mayi è la capitale del Kasai
orientale, la regione conosciuta nel
mondo per i suoi diamanti. Nel Con-
go è però nota per la violazione dei
diritti dei bambini. Il 70% dei bambi-
ni di strada delle città più importanti,
come Lubumbashi e Kinshasa, sono
originari di questa regione e molti
hanno dovuto combattere contro ac-
cuse di stregoneria, violenza e traffici
di vario genere. L’opera di Don Bosco
a Mjbuji Mayi ha sperimentato un
momento di difficoltà per la mancan-
za di mezzi economici e di personale
per far funzionare le scuole e la par-
rocchia. Dopo aver lavorato ad Haiti,
sono stato mandato qui come vicario
ed economo.
Qui mi impegno per il buon fun-
zionamento di tutta l’opera e della
comunità: abbiamo un centro di ac-
coglienza per bambini in situazioni
problematiche (orfani, abbandona-
ti...), una scuola elementare, un centro
Aprile 2018
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3.6 Page 26

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A TU PER TU
di alfabetizzazione, un centro profes-
sionale che propone varie opportuni-
tà per la formazione (rispettivamente
della durata di 6 mesi e di 3 anni), un
istituto tecnico, una parrocchia, un
oratorio e il pensionato per bambini a
rischio. Non abbiamo nessuna entrata
certa per coprire le spese del persona-
le, il funzionamento dei laboratori, la
parrocchia e il vitto, l’assistenza me-
dica dei bambini e della Comunità.
Ogni giorno dobbiamo cercare aiuti,
individuare lavori e svolgerli per gua-
dagnare qualcosa. Nello stesso tempo
dobbiamo seguire l’amministrazione,
perché i servizi dello Stato escogitano
imposte e multe ogni settimana. In
particolare, dobbiamo occuparci della
«Ero affascinato da ciò che don Bosco aveva
fatto per i bambini e i giovani e dal modo in cui lo
aveva fatto. Maturai la certezza che dovevo fare
per gli orfani, le persone ridotte in schiavitù e gli
emarginati ai quali avevo pensato fin da bambino
ciò che aveva fatto don Bosco, con il suo stile».
comunità, dei bambini del pensionato
Don Bosco e del personale.
Come sono i giovani della
realtà in cui vive?
I giovani che frequentano i nostri cen-
tri sono meravigliosi, aperti e sinceri.
Dicono quello che pensano. Sono sen-
sibili alla Chiesa e volenterosi. La mag-
gior parte delle attività è organizzata e
svolta con un gruppo di giovani, anche
il servizio a favore dei bambini di stra-
da funziona grazie alla collaborazione
in tutto da parte degli stessi bambini e
giovani. Tra le grandi sfide che molti
devono superare ci sono il peso delle
tradizioni degli adulti, che limita la li-
bertà e ostacola la verità, l’interesse per
i soldi facili, la mentalità creata dallo
sfruttamento e dal commercio di dia-
manti. Un’altra grande sfida è costitui-
ta dalla solidarietà e dall’impegno per
la giustizia e la capacità di creare altre
fonti di lavoro.
Non ha mai paura?
No. La missione che compiamo, so-
prattutto quello che facciamo per sal-
vare le vittime della tratta e i bambini
accusati di stregoneria, ci espone al
rischio ogni giorno, ma non ho paura,
perché credo che nella lotta per i di-
ritti dei più deboli non si debba esita-
re a rischiare anche la vita.
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Aprile 2018

3.7 Page 27

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Con il 5×1000
al fianco dei giovani di tutto il mondo
di Marcella Orsini
di Baucau, Don Bosco Orphanage di
Lospalos.
I beneficiari in Vietnam sono 130
studenti dai 15 ai 25 anni d’età appar-
tenenti alle minoranze etniche, emar-
ginati, soli e privi di risorse economi-
che per l’istruzione e la formazione
professionale presso il
Dong
Thuan Vocational Training Center di
Vinh Long.
Per tutti loro grazie al 5 x 1000 è
La Fondazione
- Beneficiari del progetto a Timor Est stato possibile raggiungere l’obietti-
nel 2017 con i fondi raccolti dal sono 260 studenti dai 15 ai 20 anni vo generale del miglioramento delle
5x1000 delle imposte sui redditi ha d’età privi di risorse economiche per condizioni di vita e inclusione sociale
finanziato lo sviluppo di due progetti: l’istruzione e la formazione professio- attraverso l’occupazione dei giovani
1. “Istruzione e formazione profes- nale, 100 studenti dai 13 ai 20 anni svantaggiati e l’obiettivo specifico del
sionale per i giovani svantaggiati e d’età soli e privi di sostegno familia- potenziamento della qualità dell’i-
a rischio di esclusione sociale” – Dili, re, 200 insegnanti presso Don Bosco struzione primaria e secondaria e del-
Baucau, Laga, Fatumaca, Venilale, Training di Comoro e Fatumaca, Don la formazione professionale.
Fuiloro, Lospalos-Timor Est;
Bosco Agricultural School di Fuiloro, Fondazione DON BOSCO NEL MONDO,
2. “Istruzione e formazione profes- Don Bosco Senior High School di via Marsala, 42 - 00185 Roma
sionale per i giovani svantaggiati e Laga, Don Bosco Senior High School Tel. +39 06/65612663
a rischio di esclusione sociale” – Vinh di Venilale, St. Anthony High School www.donbosconelmondo.org
Long-Vietnam.
Sebbene si tratti di contesti geografici
diversi, i due progetti ben rappresen-
tano la mission della Fondazione
nonché il cari-
sma stesso dei Salesiani di Don Bo-
sco, fornire istruzione e formazione
A te non costa nulla, a tanti cambia la vita. professionale ai bambini e ai ragazzi
in situazione di disagio e salvaguar-
PARTECIPA ANCHE TU! dare il diritto al miglioramento delle
condizioni di vita attraverso l’acquisi-
zione di competenze e l’occupazione.
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3.8 Page 28

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Come va la tua gioia?
Uno spazio perfetto per
permettere a tutti, anche
alle famiglie, di vivere
un tempo di spiritualità,
di riposo e di vacanza
potendo condividere alcuni
momenti di preghiera
e servizio insieme
alla comunità delle
quattro Figlie di Maria
Ausiliatrice.
Spazi di bellezza
Ciao Fabio,
ci tenevo a ringraziarti di cuore per la di-
sponibilità, l’accoglienza e la pazienza che
avete dimostrato in questi giorni. Abbiamo
vissuto un’esperienza di campo intensa e
profonda, ed essere nel contesto di Villa
Tabor non è stato semplicemente un ele-
mento di sfondo ma ci ha immersi in un
clima che ha facilitato i nostri lavori e la
serenità dello stare insieme. Un grazie
particolare per i bimbi, che continuano a
nominarti, perché condivido molto il pen-
siero pedagogico che ha guidato il vostro
agire con loro. E infine mi sento anche di
scusarmi perché siamo stati esigenti, ru-
morosi e anche un po’ rompiscatole...
Complimenti per l’iniziativa di aprire un
contesto del genere alle famiglie e vi au-
guro che in molti abbiamo la possibilità di
respirare l’aria buona di Villa Tabor.
Anna Sara
“Villa Tabor”. Potreb-
be far pensare ad
un luogo esotico,
irraggiungibile, un
po’ misterioso, con-
siderando che Anna
Sara parla anche di un “pensiero pe-
dagogico”. In realtà, Villa Tabor è
situata a Cesuna, sull’Altopiano dei
Sette Comuni, conosciuto anche come
Altopiano di Asiago. Villa Tabor è ge-
stita dalle Figlie di Maria Ausiliatrice
e per molti anni è stato luogo dedica-
to alla cura della spiritualità di gruppi
giovanili, accompagnati a scoprire e
ritrovare all’interno di questo spazio
naturale, la bellezza della vita.
Oggi, in un contesto rinnovato, di-
venta spazio ideale per permettere a
tutti, anche alle famiglie, di poter ap-
prezzare e gioire di un luogo speciale
dove poter aderire alle proposte edu-
cative, formative, spirituali e culturali
di gruppi formali e informali che la
casa propone, di vivere un tempo di
riposo e di vacanza con la possibili-
tà di condividere alcuni momenti di
preghiera e servizio insieme alla co-
munità delle quattro Figlie di Maria
Ausiliatrice.
Il valore aggiunto
Dal settembre 2017 il coordinamento
dei progetti di Villa Tabor è affida-
to a Oragiovane
, un gruppo
di giovani appassionato del mondo
dell’animazione, gran parte cresciuti
in oratori salesiani.
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Aprile 2018

3.9 Page 29

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Il desiderio che muove le suore, soste-
nuto da Oragiovane
, è quello
di mantenere viva l’idea di dedica-
re uno spazio alla crescita umana e
spirituale facendo di Villa Tabor un
contenitore ottimale. Infatti, da un
lato c’è la possibilità per tanti gruppi
di vivere gli ambienti poliedrici della
struttura per svolgere attività proprie
(campi scuola, ritiri ecc.), dall’altro di
realizzare le idee che la casa propone
in particolare a favore delle famiglie.
Un fitto calendario di proposte ci sta
accompagnando quest’anno: i mensili
“FamilyKend”, rivolti a tutti per tra-
scorrere un tempo in famiglia o tra
amici. Lo slogan che guida i proget-
ti della casa è significativo e sostiene
ogni attività: “Sostare a Villa Tabor è
trovare un tempo lontano dalla frene-
sia del vivere quotidiano per dedicarsi
a sé e agli altri e poter recuperare le
proprie energie”. Per chiedersi come va
la propria gioia ed intensificarla!
Fabio, il coordinatore di Oragiovane,
ci dice: “È l’aria che si respira in questa
casa il valore aggiunto che ti permea
sostando a Villa Tabor. Le persone, le
famiglie, i gruppi che ho incontrato in
questi pochi mesi di attività mi hanno
suggerito tutti le stesse cose: un am-
biente accogliente e funzionale in cui,
per qualche ragione, sono riusciti ad
andare in profondità e a connettersi
con il proprio sé in modo autentico e
sincero”.
Scoprire e valorizzare
i talenti
La mission di Oragiovane: il desiderio
di liberare le potenzialità delle per-
sone per renderle protagoniste attive
dello sviluppo delle proprie comunità
nell’attenzione ai bisogni reali degli
individui e nel rispetto e accoglienza
dell’altro.
Formare i giovani accompagnandoli
nella loro crescita significa per Ora-
giovane offrire loro una possibilità in
più di prendere in mano con respon-
sabilità la propria vita.
La formazione di Oragiovane promuo-
ve ed incentiva la partecipazione e l’at-
tivazione dei giovani nel contesto della
propria comunità di appartenenza.
Le potenzialità degli animatori sono
lo strumento su cui fare completo af-
fidamento per lo sviluppo di proposte
concrete. Il giovane animatore mette
a disposizione il proprio tempo per gli
altri. Scoprire e valorizzare i talenti
degli animatori significa per Oragio-
vane credere in un percorso di crescita
significativo che faccia del servizio il
suo caposaldo.
La partecipazione dei giovani va
alimentata con una progressiva in-
teriorizzazione delle motivazioni al
servizio e lo sviluppo di particolari
competenze e tecniche di animazione,
tutto contestualizzato in un progetto
sinergico e continuativo da costruire
con Oragiovane a partire dalla realtà.
Il desiderio di fare ed essere animatori
è un terreno fertile per maturare una
consapevole riflessione “vocazionale”.
I laici nella Chiesa sono chiamati a
essere sempre più protagonisti della
propria vita di cittadini e di cristiani,
mettendo in pratica il Vangelo.
Il desiderio che muove le suore, sostenuto
da Oragiovane ONLUS, è quello di mantenere
viva l’idea di dedicare uno spazio alla crescita
umana e spirituale.
Aprile 2018
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3.10 Page 30

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I PROTAGONISTI
NATALE MAFFIOLI
La vediamo
con i suoi occhi
Tommaso Lorenzone,
il pittore dell’Ausiliatrice
Nei primi mesi del 1865, il
pensiero di don Bosco è
assorbito dal grande qua-
dro di Maria Ausiliatrice
che dovrà campeggiare nel
santuario. Ne affida l’ese-
cuzione al pittore Lorenzone, e cerca
di comunicargli tutto ciò che «vuole
vedere» in quel quadro:
«In alto Maria SS. tra gli Angeli,
intorno a lei gli apostoli, i profeti, le
vergini, i confessori. Nella parte in-
feriore i popoli delle varie parti del
mondo che tendono le mani verso di
lei e chiedono aiuto».
Lorenzone lo lascia finire, poi: «E
questo quadro dove vuole metterlo?»
«Nella nuova chiesa».
«E crede che ci starà? E dove trovare
la sala per dipingerlo? Per trovare uno
spazio adatto alle dimensioni che lei si
immagina, ci vorrebbe piazza Castello!»
Don Bosco dovette riconoscere che
il pittore aveva ragione. Fu quindi
deciso che attorno alla Madonna si
sarebbero dipinti soltanto gli apostoli
e gli evangelisti. Ai piedi del quadro
sarebbe stato raffigurato l’oratorio.
Lorenzone prese in affitto un altissi-
mo salone di Palazzo Madama e ini-
ziò il lavoro. Sarebbe durato circa tre
anni.
Riuscì a dare al volto di Maria Au-
siliatrice un’espressione materna e
dolcissima. Un prete dell’oratorio rac-
contava:
«Un giorno entrai nel suo studio per
vedere il quadro. Lorenzone stava
sulla scaletta, dando le ultime pen-
nellate al volto di Maria. Non si volse
al rumore che feci entrando, continuò
il suo lavoro. Di lì a poco scese e si
mise a osservare. A un tratto si accor-
se della mia presenza, mi prese per un
braccio e mi condusse in un punto di
piena luce: “Osservi com’è bella!” mi
disse. “Non è opera mia, no. Non sono
io che dipingo. C’è un’altra mano che
guida la mia. Dica a don Bosco che il
quadro sarà bellissimo”. Era entusia-
smato oltre ogni dire. Quindi si rimi-
se al lavoro».
«Osservi com’è bella!
Non è opera mia, no.
Non sono io che dipingo.
C’è un’altra mano che
guida la mia. Dica a don
Bosco che il quadro
sarà bellissimo».
Quando il quadro fu portato nel san-
tuario, ricordavano i testimoni, e sol-
levato al suo posto, Lorenzone cad-
de in ginocchio e si mise a piangere
come un bambino.
Un buon pittore
Il pittore Tommaso Lorenzone era
nato a Pancalieri ( ) il 13 febbraio
1824; studiò all’Accademia Albertina
e si distinse come prolifico produttore
soprattutto di quadri a soggetto sacro,
di grandi e piccole pale d’altare. Nelle
sue opere giovanili sono da apprezza-
re la fantasia e la freschezza del colo-
re; in questo periodo della sua attività
artistica è molto legato agli ambienti
dell’Accademia di Torino, in un giro
di committenze prestigiose per ritratti
dei Savoia e di nobili famiglie torinesi,
con varietà di soggetti che in seguito
saranno assorbiti dalla sola arte sacra.
Appartengono a questo periodo le pale
d’altare per le chiese torinesi di San
Francesco da Paola e di San Gaetano.
Si può, per certi aspetti, collegare la
poetica del Lorenzone alla corrente
pittorica dei nazareni, forse cono-
sciuta grazie alla divulgazione fatta
dal pittore Tommaso Minardi e alle
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Aprile 2018

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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colore si rifà alla pittura della fine del
Quattrocento inizio Cinquecento.
Il Lorenzone fu appagato nelle sue
aspirazioni. L’arte sacra che produs-
se, se appare valida dal punto di vista
della funzione devozionale, resta ca-
ratterizzata esteticamente dall’‘han-
dicap’ del risaputo, dello scontato.
L’effetto religioso è soddisfacente, ma
prodotto da una forma artistica datata
avendo risalito i secoli anche se con le
migliori intenzioni.
Morì a Torino nel 1901.
Il dipinto ebbe un’accoglienza a dir poco entusiastica; come ebbe a scrivere lo stesso don Bosco, il quadro
dell’Ausiliatrice, ultimato nel 1868, è “un lavoro ben espresso, proporzionato, naturale; ma il pregio che
non mai perderà è l’idea religiosa che genera una divota impressione nel cuore di chiunque la rimiri”.
riproduzioni a stampa che di certo cir-
colavano tra i pittori piemontesi. “Il loro
credo era la preferenza per il medioevo,
l’accettazione del rinascimento fino alle
opere giovanili di Raffaello, lo studio
della natura, l’impegno etico-religioso”.
Di fatto il Lorenzone, sia nella dispo-
sizione delle figure delle sue compo-
sizioni, sovente a sviluppo piramida-
le, sia nelle forme e nella purezza del
Una “divota impressione”
A Torino-Valdocco si conserva un
disegno preparatorio del dipinto
dell’Ausiliatrice per l’altare maggiore
e nella rassegna degli oggetti delle
Camerette di don Bosco è conservato
un bozzetto autografo dello stesso di-
pinto. La prima fase dell’elaborazione
del progetto iconografico fu laborio-
sa. Una cosa decise don Bosco: “A pie-
di del quadro, sotto la gloria della Ma-
donna, si porrebbe la casa dell’Oratorio”.
Quest’ultima osservazione è interes-
sante per la consapevolezza che don
Bosco aveva circa la sua opera a Val-
docco: era “convinto di una investitura
particolare di Dio a favore della reden-
zione della gioventù”. Non più dun-
que gli “emblemi delle grandi vittorie
di Maria e i popoli (…) in atto di alzar
le mani”, ma l’Oratorio e con essa la
moltitudine dei giovani assistiti, quasi
a porre l’accento sul fatto che l’opera
da lui iniziata era una vittoria di Ma-
ria e i giovani assistiti surrogavano “i
popoli delle varie parti del mondo”.
Il dipinto ebbe un’accoglienza a dir
poco entusiastica; come ebbe a scri-
Aprile 2018
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4.2 Page 32

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I PROTAGONISTI
Pala di San Giuseppe, sempre su indicazione
di don Bosco. La collocazione di un riferimento
topografico, in basso nella composizione,
è un espediente caro al Lorenzone. In questo
caso abbiamo una perfetta visione dell’edificio
dell’oratorio e della Basilica in quegli anni.
vere lo stesso don Bosco, il quadro
dell’Ausiliatrice, ultimato nel 1868, è
“… lavoro (…) ben espresso, proporzio-
nato, naturale; ma il pregio che non mai
perderà è l’idea religiosa che genera una
divota impressione nel cuore di chiunque
la rimiri”.
Pur condividendo il giudizio di chi
valuta il “lavoro costruito in modo
estremamente razionale, secondo l’uso
accademico dell’Ottocento, tipico so-
prattutto della pittura sacra”, nel di-
pinto dell’Ausiliatrice è giustamente
da apprezzare la spiccata bellezza
della figura della Madonna su cui
il pittore si è soffermato con com-
prensibile e particolare compiacenza.
Discretamente ben riuscite paiono,
d’altra parte, le figure degli aposto-
li, in abiti all’antica (nell’accezione
che si poteva dare alla nozione alla
metà dell’Ottocento). Certo “non ci
troviamo di fronte a una genialità ar-
tistica superiore, libera e spregiudica-
ta; l’ideale di Lorenzone era quello di
un’ortodossia formale, forse ancora più
canonica di quella di don Bosco, in vir-
tù della quale egli era tanto apprezzato
come artista del sacro”, tuttavia sono
da lodare la consumata abilità com-
positiva e la capacità di coinvolgere
affettivamente il devoto così come
era nell’intenzione del committente.
La collocazione di un riferimento
topografico, in basso nella compo-
sizione (in questo caso dell’edificio
dell’oratorio), è un espediente caro
al Lorenzone che lo userà pure nella
pala di san Giuseppe, per la mede-
sima chiesa e per la pala della beata
Caterina da Racconigi nella collegiata
di San Lorenzo a Giaveno, dove raf-
figurerà il castello di Racconigi.
La Santa Famiglia
Nel 1873 il Lorenzone terminava la
seconda commessa per don Bosco: la
pala per l’altare del braccio sinistro
con San Giuseppe e la Santa Famiglia
di Nazaret. La tela è al centro di un
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Aprile 2018

4.3 Page 33

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piccolo giallo: don Bosco nel 1868,
nel suo Meraviglie della Madre di Dio,
invocata sotto il titolo di Maria Ausilia-
trice, descrive il lavoro come se fosse
già collocato al suo posto sopra l’al-
tare, mentre in una lettera del 14 ot-
tobre 1873 a don Rua scrive: “Tra D.
Cagliero e D. Savio pensate al quadro di
S. Giuseppe che è presso al Sig. Loren-
zone finito, e non manca più che della
cornice poi si metta a posto”. Le Memo-
rie Biografiche rettificano l’espressione
di don Bosco: “Nella crociera di sini-
stra àvvi l’altare che sarà dedicato a S.
Giuseppe; ma il quadro non era ancora
sul posto, l’artista Tommaso Lorenzone
lavorava a dipingerlo. Esso avrebbe rap-
presentata la Sacra Famiglia. La compo-
sizione era simbolica ed eccone il disegno.
S. Giuseppe è in piedi sopra una nuvola,
portando sul braccio sinistro il Bambino
Gesù, il quale tiene sulle ginocchia un
panierino pieno di rose: Il Bambino pi-
glia le rose e le dà a S. Giuseppe e questi
man mano le fa piovere sulla chiesa di
Maria Ausiliatrice che vedesi di sotto
ed ha per sfondo le colline di Superga”.
Certamente quella del santo è stata
una gherminella adottata per dare
l’idea ai devoti dell’Ausiliatrice, e ai
suoi benefattori, di una chiesa oramai
completata se non in tutte le sue parti,
almeno nell’arredo essenziale. Come
poteva descrivere il quadro nel 68 se è
stato terminato nel 73?
La descrizione del dipinto era stata
possibile grazie ad un bozzetto dimo-
strativo che il Lorenzone aveva ap-
prontato prima dell’esecuzione della
pala. Il piccolo dipinto (cm 27,5 x 48)
è stato di recente individuato in una
collezione privata astigiana. Da poco
restaurato, è in buone condizioni di
conservazione; non si conosce quale
sia stato l’iter che lo ha condotto dallo
studio del pittore al mercato antiqua-
riale e da qui al collezionista. È sta-
to agevole attribuirlo al Lorenzone,
vista l’evidente parentela con l’opera
definitiva; comunque sia, sul telaio
compare la scritta “Carlo Morgari”, a
meno che non sia una nota di posses-
so da parte di questo pittore piemon-
tese, la nota dimostra che l’attribuzio-
ne non è sempre stata così pacifica. Il
piccolo lavoro non presenta sostanzia-
li varianti rispetto al prodotto finale.
Nel quadro definitivo, le figure sono
più voluminose e l’angelo di sinistra
presenta un panneggio leggermente
più abbondante, con uno svolazzo di
tessuto dietro le spalle. L’altare di san
Giuseppe fu inaugurato il 26 aprile
1874.
Disegno preparatorio del dipinto dell’Ausiliatrice
conservato nelle Camerette di don Bosco
a Valdocco.
RICORDO DI DON ANGELO LAGORIO
Don Angelo Lagorio salesiano di don Bosco, salesiano nel corpo, nella mente e nel cuore ci hai amato con il tuo sorriso, con le tue
soavi parole piene di amore e di bontà, ci hai insegnato a vivere nella misericordia di Gesù, nella pace e nella luce dell‘anima con la tua
pacata e sobria umiltà, che solo tu sapevi donare; come solo la Madonna sa prendersi cura dei propri figli.
Hai vissuto l’intera tua vita dedicandoti ai giovani, ai malati, ai poveri e a tutti i bisognosi, donando loro pace, speranza, fede e amore,
ma soprattutto il tuo cuore; già, quel tuo cuore che in un solo momento ti ha abbandonato il 27 giugno 2017, lasciando nei cuori di
ognuno di noi, tutto l’amore che avevi seminato nel tuo lungo pellegrinaggio. Cuore che oggi vive al fianco di don Bosco e della Ma-
donna. Non dimenticheremo mai tutti i canti, preghiere e lodi, che hai scritto e composto in onore di don Bosco, per incoraggiarci nel
nostro cammino sulle stesse tue orme, facendo tesoro delle parole che tu ripetevi spesso: “aprite i vostri cuori alla Madonna”.
I tuoi amici ed i tuoi confratelli continueranno nel loro ricordo, a suonare e cantare i tuoi canti, composti per don Bosco, in tutto il
mondo: VIENI FRATELLO, PADRE MAESTRO ED AMICO, inno di ringraziamento a don Bosco, i dodici canti a Maria, questi solo alcuni
brani tra tanti, questi per non dimenticare (Giacomo Cialona).
Aprile 2018
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
IL SALVATAGGIO
La barca del mondo naviga in acque agitate come mai. Ha bisogno di sostegno
per evitare il naufragio. Ad offrire tale sostegno mira la nostra proposta mensile.
4 Salviamo l’indignazione
In un tempo di umanesimo piatto, non è lecito essere
neutrali. È doveroso prendere posizione e andare
a scuola dai salmoni che vanno controcorrente.
«Mamme e papà,
imparate dai sal-
moni che vanno
controcorrente!
Sbarazzatevi dei
copioni!» è l’in-
vito perentorio che ci viene lancia-
to dallo psicoterapeuta Fulvio Sca-
parro.
In un tempo di umanesimo piatto,
non è lecito essere neutrali. È dove-
roso prendere posizione e andare a
scuola dai salmoni che vanno contro-
corrente.
È doveroso far emergere la collera
buona, l’indignazione sana perché la
terra torni a ‘produrre’ Uomini e non
solo ‘gente’.
In una società che ha più auto che
idee; in una società che confonde ‘vi-
talità’ con ‘volgarità’; in una società
che conosce il prezzo della cose e non
il loro valore; in una società sempre
più virtuale e sempre meno virtuosa,
non vi è che un’unica strategia per evi-
tare che l’umanità firmi la sua morte:
la strategia dei salmoni, appunto, che
nuotano ‘contro’.
È chiaro, dunque: nessun capriccio,
né, tanto meno, nessuna arroganza,
ma dovere morale di aprire gli occhi
ad una società disorientata e sonno-
lenta.
Oggi è arrivato il tempo previsto dal
filosofo spagnolo Miguel de Unamu-
no: “Irritare la gente può giungere ad
essere un dovere di coscienza!”
Oggi è tempo di dire basta alla no-
stra ipocrisia così fotografata da Indro
Montanelli: “Al mattino siamo tutti in-
dignati. Ed anche con convinzione. Alla
sera siamo tutti davanti alla televisione
a guardare la partita!”.
Ma basta con le dichiarazioni di prin-
cipio. Scendiamo sul pavimento e
focalizziamo alcuni ambiti nei quali
vogliamo mostrare la nostra ‘collera
buona’.
Dunque:
· Noi andiamo contro’ la moda,
sempre più invasiva di accelerare e
spremere i bambini. L’infanzia non
è tempo perso: è un’occasione uni-
ca che non si ripeterà mai più per
tutta la vita.
· Ci opponiamo alla eliminazione
dei ‘no! ’ che consideriamo le rin-
ghiere indispensabili della vita per
non precipitare.
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Aprile 2018

4.5 Page 35

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SIATE RIBELLI: PRATICATE LA GENTILEZZA
L’INDIGNATO
È solo il titolo di un libro, ma dice una cosa giusta. La prima cosa importante da insegnare ai
figli oggi è la rara arte delle Buone Maniere e del rispetto. Solo così si può sperare di ingen-
tilire una società sempre più volgare e violenta. Anche se è un vero andare controcorrente.
Abbiamo la capacità di portare sollievo e benessere con la sola nostra presenza. L’amore,
l’amicizia, la tenerezza sono realtà benefiche che au-
mentano ogni nostra attività. È questa la vera
gentilezza.
Un bambino, Jonathan, mi ha racconta-
to che una volta, durante una gita con
la scuola, stanco dopo una lunga
camminata arrancava dietro a tutti,
e si sentiva solo. Ma un
compagno lo ha aspetta-
to e lo ha incoraggiato:
«Forza, Jonathan, che
ce la fai!». E lui ce l’ha
fatta. È bastato questo.
Lui l’ha chiamato «un
aiuto riscaldante»:
un’attenzione, una
parola gentile in un
momento difficile.
È forse ciò di cui
tutti abbiamo biso-
gno, nel cammino
della nostra vita, per
il nostro prossimo
passo avanti.
Accadde in Spagna, nel paese di La Rioja,
al tramonto di un giorno della Settimana
Santa, durante la processione pasquale.
Una folla accompagnava, silenziosa, il
passaggio di Gesù Cristo e dei soldati ro-
mani che lo castigavano a frustate.
Una voce ruppe il silenzio.
A cavalcioni sulle spalle del padre, Mar-
cos Rabasco gridò al frustato: «Difenditi!
Difenditi!»
Marcos aveva due anni, quattro mesi e
ventun giorni.
La gente stava a guardare. I capi del po-
polo invece si facevano beffe di Gesù e
gli dicevano: «È stato capace di salvare
altri, ora salvi se stesso, se egli è vera-
mente il Messia scelto da Dio». Anche i
soldati lo schernivano: si avvicinavano a
Gesù, gli davano da bere aceto e gli dice-
vano: «Se tu sei davvero il re dei giudei
salva te stesso!» (Vangelo di Luca 23,
35-37).
Un milione di volte al giorno, Gesù
viene ucciso e nessuno si indigna.
Foto Shutterstock.com
Foto Shutterstock.com
LE MASSIME DEL MESE
· Non accettiamo che le feste di
compleanno si trasformino in noz-
ze anticipate!
· Ci opponiamo al ‘facilismo’ che
azzera la volontà.
· Remiamo contro il trucco della ‘vi-
sibilità’: non è il camice che fa il
medico, non è la forma che fa la
salsiccia…
Sono alcuni esempi di educazione
alternativa che vorremmo riportare
in prima pagina non perché non ab-
biamo superato la fase dello sviluppo
psichico dell’adolescente che si pone
in quanto si oppone, ma perché siamo
convinti che sovente andare ‘contro’
significhi andare ‘verso’: verso l’Uo-
mo con la lettera maiuscola!
L’uomo è grande quanto sono grandi
le cose che lo fanno andare in collera.
(Paul Valéry, poeta francese)
Se non ti prende l’ira quando è necessa-
rio, pecchi! (san Giovanni Crisostomo,
padre della Chiesa)
Tornate all’antico e farete del nuovo.
(regola base di Giuseppe Verdi ai futuri
allievi dei conservatori d’Italia)
L’odio è la caratteristica dei nani; la col-
lera è la caratteristica dei giganti. (Do-
menico Giuliotti, scrittore)
Fossi papa, a momenti, l’ira metterei tra
i sacramenti. (Giuseppe Giusti, poeta)
C’è una rabbia santa e noi l’abbiamo
lasciata cadere troppo. (Abbé Pierre,
filantropo francese)
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
si imCapdeanrdao
Gli errori fanno parte della vita.
Nessun cammino è privo di cadute
e smarrimenti. Ogni fallimento,
se rielaborato con consapevolezza,
può diventare un’importante opportunità
di crescita e maturazione.
Neve, insegnami tu come cadere
nelle notti che bruciano,
a nascondere ogni mio passo sbagliato,
e come sparire senza rumore,
scivolare nel corso degli anni
e non pesare sul cuore degli altri.
Ma, ma non è semplice
non sentire il silenzio che c’è,
qui non è facile
guardare il cielo stanotte.
Perché quello che sono
l’ho imparato da te,
tu che sei la risposta
senza chiedere niente,
per le luci che hai acceso,
a incendiare l’inverno,
per avermi insegnato a cadere,
come neve,
come neve...
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C’è una vecchia regola non scritta,
frutto di quella saggia educatrice che
è l’esperienza, che ci ricorda che non
esiste crescita o progresso che non
passi attraverso un percorso tortuoso
e disseminato di errori.
«Cadendo si impara», come sono soliti ripetere
gli adulti di fronte ai rocamboleschi capitomboli
dei bambini impegnati nel non semplice compito
di imparare a camminare. Un insegnamento
prezioso, che ci sollecita sin da piccoli a non
lasciarci scoraggiare dagli insuccessi, ad affrontare
con leggerezza le inevitabili cadute della vita, a
non temere i lividi e le sbucciature che possiamo
procurarci nella quotidiana ricerca di un punto di
equilibrio.
Spesso accade, tuttavia, che, crescendo, dimen-
tichiamo l’importanza di questa lezione. Ci con-
vinciamo, o accettiamo passivamente l’idea, che

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Neve, imparo da te,
che sai come fare
a coprire le nostre distanze,
a cancellarne anche solo un momento le tracce.
Non è semplice
non sentire il silenzio che c’è,
qui non è facile
guardare il cielo stanotte.
Perché quello che sono
l’ho imparato da te,
tu che sei la risposta
senza chiedere niente,
per le luci che hai acceso,
a incendiare l’inverno,
per avermi insegnato a cadere,
come neve,
come neve...
Neve, insegnami tu come cadere...
(Giorgia feat. Marco Mengoni, Come neve, 2017)
diventare adulti significhi fare sempre la cosa
giusta, puntare dritti alla meta, inseguire affan-
nosamente un ideale di perfezione che ci rende
schiavi dell’efficienza e del risultato a tutti i costi.
E finisce, così, che bandiamo dalla nostra esisten-
za il diritto, e persino la possibilità, di sbagliare.
L’errore, da momento costruttivo di crescita e ap-
prendimento sul campo, diviene un lusso che non
ci è più consentito, un’inutile e dannosa devia-
zione nel percorso verso il successo e la compiuta
realizzazione di sé, un’imperdonabile perdita di
tempo e spreco di energie che ci distoglie dai no-
stri obiettivi e ci allontana dal traguardo finale.
E se mai, per qualche sfortunata congiuntura, ci
capita di cadere, la nostra prima preoccupazione è
quella di trovare un capro espiatorio, di minimiz-
zare le nostre responsabilità addossando la colpa a
un qualche fattore esterno e indipendente da noi,
o comunque di dissimulare i nostri fallimenti agli
occhi degli altri e, prima ancora, ai nostri stessi
occhi, per non doverci confrontare con la frustra-
zione dell’insuccesso.
Perdiamo, così, di vista che gli errori fanno parte
della vita, che nessun cammino è privo di cadute
e smarrimenti, che ogni fallimento, se rielaborato
con consapevolezza, può diventare un’importante
opportunità di crescita e maturazione, l’occasione
per soffermarsi a riflettere sul percorso compiuto
ed eventualmente imprimere una direzione nuova
al nostro progetto di vita, aggiustando il tiro del
sentiero che ci siamo scelti.
Piuttosto che affannarci nell’impresa impossibile
di evitare accuratamente ogni possibile sbaglio,
anche al prezzo di non metterci mai completa-
mente in gioco e di non rischiare mai, diviene
dunque essenziale, nel difficile cammino verso
l’adultità, tornare a far pace con la nostra fallibili-
tà, imparando dalla neve a cadere “a passo di dan-
za”. Perché, come ha scritto una volta qualcuno:
«Chi cammina talvolta cade; solo chi sta seduto
non cade mai!».
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Venne finalmente
il giorno della posa
Debiti, una lotteria dellaprimapietra
della Basilica
di Maria Ausiliatrice,
e tanto coraggio il27aprile1865.
(continua dal numero di marzo)
A fine gennaio 1865, in oc-
casione della festa di san
Francesco di Sales che ve-
deva radunati a Valdocco
salesiani provenienti da va-
rie case, don Bosco comu-
nicò loro l’intenzione di avviare una
nuova lotteria per raccogliere fondi
per il prosieguo dei lavori (di scavo)
per la chiesa. Dovette però riman-
darla per la contemporanea presenza
in città di un’altra in favore dei sor-
domuti. Di conseguenza i lavori, che
sarebbero ripresi in primavera dopo
la pausa invernale, non avevano co-
pertura economica. Ecco allora don
Bosco chiedere urgentemente all’a-
mico e confratello di Mornese, don
Domenico Pestarino, un prestito di
5000 lire (20 000 euro). Non voleva
infatti ricorrere ad un mutuo bancario
troppo oneroso nella capitale. Come
non bastassero gli spinosi problemi fi-
nanziari, ne sorsero in concomitanza
degli altri con i confinanti, in parti-
colare con quelli della casa Bellezza.
Don Bosco dovette pagare loro un in-
dennizzo per la rinuncia al passaggio
per Via della Giardiniera, che dunque
veniva soppressa.
Solenne posa
della prima pietra
Venne finalmente il giorno della posa
della prima pietra, il 27 aprile. Don
Bosco tre giorni prima, ne diramò gli
inviti, nei quali annunciava che Sua
Altezza reale il principe Amedeo di
Savoia avrebbe messo la prima calce,
mentre la funzione religiosa sarebbe
stata presieduta dal vescovo di Ca-
sale, monsignor Pietro Maria Ferrè.
Questi venne però a mancare all’ulti-
mo minuto e la solenne cerimonia fu
celebrata dal vescovo di Susa, monsi-
gnor Giovanni Antonio Odone, alla
presenza del Prefetto della città, del
Sindaco, di vari consiglieri comu-
nali, di benefattori, di membri della
nobiltà cittadina e della Commissio-
ne per la Lotteria. Il corteo del duca
Amedeo venne accolto al suono della
marcia reale dalla banda e dal coro di
voci bianche degli allievi di Valdocco
e del collegio di Mirabello. La stam-
pa cittadina fece da cassa di risonanza
al festoso evento e don Bosco, da par
suo, cogliendone il grande significato
politico-religioso, ne ampliò la storica
portata con proprie pubblicazioni.
Tre giorni dopo, in una lunga e sofferta
lettera a papa Pio IX per la difficile si-
tuazione in cui si trovava la Santa Sede
a fronte della politica del Regno d’I-
talia, accennava alla chiesa ormai già
con i muri fuori della terra. Chiedeva
la benedizione sull’impresa in corso e
dei doni per la lotteria che stava per
lanciare. In effetti a metà maggio ne
chiese formalmente l’autorizzazione
alla Prefettura di Torino, motivandola
con la necessità di saldare i debiti dei
vari oratori di Torino, di provvedere
vitto, vestito, alloggio e scuola ai circa
880 allievi di Valdocco e di continuare
i lavori della chiesa di Maria Ausilia-
trice. Ovviamente si impegnava ad os-
servare tutte le numerose disposizioni
di legge al riguardo.
La lotteria
L’autorizzazione venne concessa in
tempi rapidissimi, per cui a Valdocco
immediatamente si avviò la complessa
macchina di raccolta e valutazione dei
doni e di smercio dei biglietti: tutto
come indicato nel piano di regolamen-
to diffuso a mezzo stampa. Ad operare
in prima persona per avere nominativi
di personaggi di rilievo da inserire nel
catalogo dei Promotori, per chiede-
re altri doni, per trovare acquirenti o
“smerciatori” di biglietti della lotteria,
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Aprile 2018

4.9 Page 39

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fu il cav. Federico Oreglia di Santo
Stefano, salesiano coadiutore. La lot-
teria venne ovviamente pubblicizzata
sulla stampa cattolica della città, an-
che se solo dopo la chiusura, ai primi
di giugno, di quella dei sordomuti.
I lavori continuano,
le spese pure,
i debiti anche
Il 4 giugno i lavori di muratura era-
no già due metri fuori dal suolo, ma
il 2 luglio don Bosco fu costretto a
ricorrere con urgenza ad un genero-
so benefattore, perché il capomastro
Buzzetti potesse pagare la “quindicina
agli operai” (8000 euro). Pochi giorni
dopo nuovamente chiese ad un altro
nobile benefattore se poteva impe-
gnarsi a pagare lungo l’anno almeno
qualcuno dei quattro lotti di tegole,
assi ed assicelli per il tetto della chiesa,
per un totale di spesa di circa 16 000
lire (64 000 euro). Il 17 luglio fu la
volta di un sacerdote promotore della
lotteria ad essere richiesto di pressante
aiuto per poter pagare “un’altra quin-
dicina per gli operai”: don Bosco gli
propose di fargli avere il denaro con
un immediato mutuo bancario, ovve-
ro di prepararglielo per fine settima-
na quando lui stesso sarebbe andato a
prenderlo o anche, meglio ancora, di
portarglielo direttamente a Valdocco,
dove avrebbe potuto vedere di persona
la chiesa in costruzione. Insomma si
navigava a vista ed il rischio di affon-
dare per carenza di liquidità si rinno-
vava ogni mese.
Il 10 agosto mandò i moduli stampati
alla contessa Virginia Cambray Di-
gny, moglie del sindaco di Firenze,
nuova capitale del Regno, invitan-
dola a promuovere personalmente la
lotteria. A fine mese una parte delle
mura era già al tetto. E poco prima
di Natale al marchese Angelo Nobili
Vitelleschi di Firenze mandò 400 bi-
glietti con preghiera di smerciarli fra
le persone conosciute.
Un’offerta… per un
posto sicuro in paradiso
La ricerca di oggetti-dono per la lot-
teria di Valdocco e lo smercio dei rela-
tivi biglietti sarebbero proseguiti pure
gli anni seguenti. Le circolari di don
Bosco si sarebbero diffuse soprattut-
to al centro nord del Paese. Pure i
benefattori di Roma, il papa in per-
sona, avrebbe fatto la sua parte. Ma
perché avrebbero dovuto impegnarsi
a smerciare biglietti della lotteria per
costruire una chiesa che non era la
loro, per di più in una città che aveva
Ricostruzione della Posa della Prima Pietra
della Basilica di Maria Ausiliatrice. La strada
che taglia obliquamente il “quadrato”
è la Via della Giardiniera che verrà abolita
e don Bosco dovrà pagare un indennizzo.
appena cessato di essere capitale del
Regno (gennaio 1865)?
Le motivazioni potevano essere varie,
fra cui evidentemente quella di vince-
re qualche bel premio; ma di certo una
fra le maggiori era di indole spiritua-
le: a tutti coloro che avessero contri-
buito a costruire la “casa di Maria” in
terra, a Valdocco, mediante elemosine
in genere o il pagamento di strutture
o di oggetti (finestre, vetrate, altare,
campane, paramenti…) don Bosco, a
nome della Vergine Maria, assicurava
un premio speciale: un “bell’alloggio”,
una “camera” ma non in un luogo
qualunque, bensì “in paradiso”. Sa-
rebbe stata convincente tale ragione a
far aprire il portafoglio? Lo vedremo
nel seguito della nostra storia.
(continua)
Aprile 2018
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
Nel mese di aprile preghiamo per la canonizzazione del
beato Augusto Czartoryski, salesiano sacerdote, di cui
ricorre l’8 aprile il 125° della morte.
Il principe polacco Augusto
Czartoryski nacque a Parigi il 2
agosto 1858. La famiglia, da tre
decenni, si era stabilita in Francia
quando, dopo la rivoluzione del
1830 e la confisca dei beni, era
stata posta al bando dalla Russia.
Augusto perse la mamma a sei
anni: la donna morì di tubercolo-
si, malattia che trasmise al figlio.
Augusto cercò inutilmente di
curarsi, viaggiando in Svizzera,
Italia, Spagna ed Egitto. A Parigi
soffriva lo stile di vita della nobiltà e la sua esistenza cambiò grazie
all’incontro con don Bosco. Nel 1886 entrò nella Congregazione
salesiana. A causa della malattia fu mandato a completare gli studi
in Liguria dove venne ordinato sacerdote a San Remo il 2 aprile
1892. La sua vita sacerdotale si svolse un solo anno, ad Alassio nel
Savonese. Morì infatti a 34 anni l’8 aprile 1893. È stato beatificato a
Roma da Giovanni Paolo II il 25 aprile 2004.
PREGHIERA AL BEATO AUGUSTO CZARTORYSKI
Signore Gesù, che da ricco ti sei fatto povero,
aiutaci ad imitare l’esempio del Beato Augusto:
fa’ che sappiamo discernere la tua volontà,
docili alle ispirazioni interiori
e alle guide spirituali che tu stesso ci doni.
Rendici umili e poveri,
capaci di lasciare tutto quello che impedisce di seguirti;
confermaci nel proposito di amare e di servire te
e i giovani con il tuo stesso amore.
Ti supplichiamo di voler glorificare questo tuo servo
e di concederci, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Amen.
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
Ringraziano
Desideriamo ringraziare con tutto
il cuore san Domenico Savio,
san Giovanni Bosco e Maria
Ausiliatrice per la nascita della
nostra secondogenita Ludovica,
avvenuta il 25/12/2016, a seguito
di una gravidanza difficile carat-
terizzata da due emorragie nelle
prime settimane di gestazione. La
preghiera ci ha aiutato molto nei
momenti difficili, quando le cose
sembravano non andare per il
verso giusto. Abbiamo custodito
l’abitino di san Domenico Savio e
pregato con devozione; affidiamo
alla Loro protezione la vita delle
nostre figlie.
Giulia Nardi
Castel San Pietro Romano
A maggio 2015 ho avuto un aborto
e un’amica che ne aveva avuti 5 e
poi è finalmente riuscita ad avere
una bimba mi ha parlato di san
Domenico Savio. A novembre
2015 ho ricevuto l’abitino e sono
rimasta incinta a dicembre ma l’ho
perso di nuovo. Malgrado tutto
non ho perso la fede e abbiamo
continuato a pregare e finalmente il
29 agosto 2017 è arrivato Andrea.
Donatella Astone
Ringraziamo san Domenico
Savio per la nascita di Gabriele:
una grande gioia per tutti.
Donatella e Marco Banfi
Albenga (SV)
Ringrazio il Buon Dio che, per
l’intercessione del servo di Dio
monsignor Oreste Marengo,
ha dato a noi la gioia di risollevar-
ci da una grande preoccupazione
per la salute di nostro genero.
Claudia A. - Ranica
Un ringraziamento dal profon-
do del cuore a san Domenico
Savio e a sant’Anna, protettori
delle madri, delle partorienti e
dei bambini. Hanno vegliato su di
me e sulla mia bimba tanto ama-
ta, mi hanno protetta e, insieme
a tutte le persone che mi sono
state vicine con la preghiera e ai
miei quattro nonni in Paradiso,
mi hanno fatto vivere una gravi-
danza meravigliosa, un percorso
non sempre semplice ma unico;
diventare mamma è stata una
gioia indescrivibile. Un dono di-
vino, una piccola vita vivente nel-
la mia vita di cui sono stata co-
creatrice. Sofia è un miracolo, mi
ha reso una persona privilegiata,
migliore e strumento dell’amore
del Signore. A loro continuo ad
affidarmi.
Eleonora - Torino
Desidero ringraziare san Do-
menico Savio per aver aiutato
mia cugina Valeria in questi due
anni di dolori atroci e sofferenze.
Dopo tanto dolore alla fine è nata
Elisabeth.
Alessia Giordano - Cinquefrondi
Dopo aver superato un’ischemia,
si è resa necessaria un’operazio-
ne all’anca e al femore: un inter-
vento molto, molto rischioso.
Ho girato alcuni ospedali, ma i
medici, viste le mie patologie,
non se la sentivano di prendersi
una responsabilità così grande,
anche perché a loro parere con
l’operazione difficilmente avrei
potuto recuperare. Ho prega-
to Maria Ausiliatrice, don
Bosco e Domenico Savio
di intercedere per me presso il
Signore per ottenere la grazia
ed aiutarmi a guarire e riuscire
nuovamente a camminare. Final-
mente si decide di operare. Gra-
zie a Dio l’operazione è andata
bene, così come il recupero, con
stupore dei medici. Ora con un
appoggio riesco nuovamente a
camminare. Un ringraziamento a
Maria Ausiliatrice, don Bosco e
Domenico Savio per avermi aiu-
tata a ricevere dal Signore una
grazia così grande.
Maria Lina Bellone
San Giorgio di Susa (TO)
40
Aprile 2018

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON ROBERTO DAL MOLIN
DON SEVERINO DE PIERI
Morto a Treviso, il 28 gennaio 2018, a 84 anni
La settimana prima di morire mi
aveva confidato: “so di essere
alla fine della vita, sono pron-
to...”; l’espressione verbale molto
difficoltosa era però accompa-
gnata da uno sguardo luminoso e
penetrante, espressione di un te-
nace amore per la vita e ogni vita
che ha contrassegnato la sua esi-
stenza. Don Severino ha vissuto
con passione e tenacia l’orientare
con competenza i giovani e pre-
parare quanti si fossero dedicati
alla loro cura, a vivere una vita in
pienezza.
Don Severino era nato a San
Donà di Piave (TV) il 14 giugno
del 1933. Papà Luigi e mamma
Lucia avranno 8 figli. Frequenta
l’oratorio salesiano. “Avevo 10
anni – scrive – una sera, mentre
mia mamma faceva la polenta nel
fogher, le ho detto che desideravo
farmi sacerdote come i Salesiani
dell’Oratorio Don Bosco di San
Donà. La mamma mi ha rispo-
sto: «Sono contenta, fai come
vuoi tu. Poi lo diremo al papà».
Il nonno, che aveva un bel paio
di baffi austroungarici, teneva il
portafoglio, come si usava nelle
famiglie patriarcali di allora. Mi
ha detto che non c’erano soldi per
studiare. Io gli ho risposto che
per pagarmi quaderni e libri avrei
fatto vari lavoretti alla scuola
dell’Oratorio, come pulire i porti-
cati, il teatro, servire a mensa e
assistere i compagni nello studio.
E questo dalla V elementare alla
III media”.
Emette la prima professione ad
Albaré il 16 agosto 1951.
Al termine degli studi filosofici e
teologici, viste le doti intellettuali
del giovane sacerdote, i superiori
lo inviano a Roma al Pontificio
Ateneo Salesiano per frequentare
l’Istituto Superiore di Pedago-
gia; don Severino era stato così
preparato ad assumere nell’orga-
nizzazione degli istituti salesiani
del Veneto e del Friuli un nuovo
ruolo rispondendo alle esigenze
di nuove professionalità, soprat-
tutto nel campo dell’orientamen-
to. Da questo punto di vista, nel
mondo salesiano, fu un pioniere.
Nel frattempo viene trasferito a
Mogliano Veneto-Astori nel 1966
e da lì non si sposterà più.
Su incarico dei Superiori istituì
nell’ottobre 1965 a Mogliano Ve-
neto il Centro salesiano di Orien-
tamento. Questa prima struttura
si consolidò in un tempo relativa-
mente breve. Merita una partico-
lare attenzione l’attività di studio
e di ricerca. In questo ambito
don De Pieri e i suoi collabora-
tori hanno affrontato numerosi
argomenti, connessi con il tema
dell’orientamento e dell’educa-
zione. Ricordiamo in particolare:
nel 1983 L’età negata sugli ado-
lescenti, proseguita con L’età in-
compiuta del 1990-1995; legate
a queste, diverse altre ricerche
svolte a livello più locale (è autore
di 20 volumi e 250 articoli).
Dalla metà degli anni Novanta, ha
prestato servizio come docente
e preside della Scuola Superiore
Internazionale di Scienze della
Formazione (SISF) a Venezia
nell’isola di san Giorgio, a livel-
lo di master di qualificazione e
specializzazione post-laurea. Nel
2004, l’istituto si è trasferito a
Mestre ampliando i corsi anche
nel settore della comunicazione e
istituendo l’Istituto Universitario
Salesiano IUSVE di cui fu il pri-
mo Preside.
S.E. monsignor Mario Toso, ve-
scovo di Faenza-Modigliana, già
Rettore dell’Univesità Pontificia
Salesiana: “Lo ricordo come
docente molto valido, che con
le sue riconosciute competenze
in pedagogia, nella psicologia
clinica e nella psicoterapia ha
svolto nel Nord d’Italia, e non
solo, un importante servizio alle
Chiese locali, alla Congregazione
salesiana, alla stessa Università
Salesiana di Roma. Quando sono
stato Rettore di quest’ultima ho
avuto modo di incontrarlo in più
di un’occasione. Ne ho apprezza-
to la passione, la lungimiranza, la
dedizione, la pacatezza e, nello
stesso tempo, la determinazione.
Professionista dell’orientamento,
nel solco del metodo educativo
di don Bosco, nostro Fondato-
re, ha lucidamente colto le sfide
dell’epoca postmoderna, di una
società sempre più complessa”.
La presidente nazionale COSPES,
suor Calvino: «Ha dato tutto
quanto era nelle sue possibilità
per far conoscere e apprezzare
in Italia (e non solo) il servizio
di orientamento, svolto in forma
apprezzata e con la precisa fina-
lità di promuovere e sostenere
la presa di coscienza di sé nella
persona, per abilitarla alla costru-
zione del proprio Progetto di vita
e sostenerla nel cammino verso la
conquista della personale identità
professionale e sociale». Anche
i suoi collaboratori del Centro
COSPES di Mogliano gli sono
molto riconoscenti e lo tratteg-
giano come: “Uomo brillante e di
spirito. Ci diceva spesso che ‘la
vita è talmente una cosa seria che
va vissuta con opportuna legge-
rezza’. Ci ha educato alla libertà
di pensiero e di credo, al bisogno
di conoscere e di valutare con
attenzione. Brillante docente, ap-
passionato studioso, ricercatore
e scrittore prolifico, riconosciuto
a livello internazionale dalla co-
munità scientifica per il suo ap-
porto all’orientamento ad intero
arco della vita”.
La dott.ssa Ferrario del MIUR:
“Perdiamo oggi un grande testi-
mone, un pioniere, un combat-
tente, un grande studioso, capace
di intuizioni importanti e di gran-
de spessore culturale, ma anche
un mediatore e un divulgatore
capace di coinvolgere e attrarre”.
Il Vicario del Rettor Maggiore,
don Francesco Cereda: “Lo ri-
cordo per il suo tratto umano
cordiale e gentile, sempre capace
di aprire buone e nuove relazio-
ni. Il suo impegno accademico
ha dato una impronta educativa
e vocazionale alla psicologia. In
questo come nella sua affabilità è
stato un vero salesiano.”
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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
UN PRODIGIO A MESSA
Don Bosco fu molto devoto all’Eucaristia, parlò e scrisse
sull’importanza della santa Messa nei suoi libri e nella sua
opera si riconosce quanto affidamento riponesse nel sa-
cramento dell’eucaristia. È attraverso l’eucaristia che Cristo
alimenta e rafforza la nostra anima così come alimentò e raf-
forzò il corpo e l’anima delle migliaia di persone presenti alla
moltiplicazione dei pani e dei pesci narrata nel Vangelo. Don
Bosco, fin dagli inizi, quando iniziò a lavorare con i giovani
dopo la sua ordinazione sacerdotale, cercò con impegno un luogo in cui, oltre a riunirsi con loro,
potesse celebrare loro la Santa Messa. Incoraggiava i ragazzi alla Comunione frequente e li esortava
dicendo: “Non esiste felicità più grande su questa terra che quella che scaturisce dalla Comunione
ben fatta”. E si raccomandava: “Non esiste nulla che il demonio tema di più di queste due cose: una
Comunione ben fatta e le visite frequenti al Santissimo Sacramento: Volete che il Signore ci doni
tante grazie? Visitatelo spesso. Volete che il Signore ce ne dia poche? Visitatelo poche volte”. “La
Comunione devota e frequente è il mezzo più efficace per fare una buona morte e così salvarsi l’ani-
ma”. Non è strano che il Signore corrispondesse al tenero
amore di don Bosco facendo dei prodigi come quello del
XXX. Raccontano i biografi che, nella festa dell’Annuncia-
zione del 1848, don Bosco stava celebrando la Messa per
tutta la scuola, che comprendeva 360 alunni. Il sacrestano
si era dimenticato di mettere un numero sufficiente di ostie
da consacrare. Nel tabernacolo c’era una pisside che ne
conteneva solo 8 consacrate. Ma don Bosco iniziò a distri-
buire la comunione in perfetta tranquillità. E alla fine della
liturgia a nessuno era mancata l’ostia consacrata!
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Opera durante
la fase processuale del procedimento
penale - 14. Sono pari nei cannoli -
15. Le sedi della polizia - 16. Solda-
tessa al seguito dei “Mille” - 20. An-
data e Ritorno - 21. Cambiano i frati
in preti - 22. XXX - 23. Come la
palla del rugby - 25. Popolani astuti
e imbroglioni tipici di certa letteratu-
ra spagnola - 26. Smarrite, intontite
- 28. A Madrid è Don al femminile
- 29. XXX - 32. A Venezia c’è la
Foscari - 33. Un colle alpino famoso
per il ciclismo - 34. La prima perso-
na singolare - 35. Numero in breve
- 37. Al centro della gara - 38. Ca-
tanzaro (sigla) - 39. La nota di petto
- 40. È legato alla lenza - 42. Ne ha
tre il triangolo - 44. Parte dell’anno
dominata da clima rigido.
VERTICALI. 1. Una trovata esila-
rante - 2. Bagnare un tessuto affinché
diventi rigido per la stiratura - 3. Il
nome dell’editore Hoepli - 4. Disagio
interiore che rende esitanti e confusi -
5. Il re dei venti - 6. Espressione usata
per scacciare animali o persone - 7.
Tenente (abbr.) - 8. Acido ribonucleico
(sigla) - 9. Anticamente era il do - 10.
Trasferimenti di liquidi da un recipiente
ad un altro - 11. Un ragno dal veleno-
so morso - 12. Il centro di Pola - 13.
Uno scolaro bocciato - 17. Antichi
persiani - 18. I suoi soci sono auto-
mobilisti (sigla) - 19. Decreto Legge -
23. Metallo prezioso - 24. Cinquan-
tadue latini - 26. La Sophia Oscar per
La ciociara (iniz.) - 27. Sono famose
quelle di Caracalla a Roma - 29. Ha
sei facce - 30. Compiono gesta leg-
gendarie - 31. Il Dalla cantante (iniz.)
- 32. Un codice postale - 36. Il fon-
do dei canestri - 40. Lavoro… senza
loro! - 41. Adesso in breve - 43. Il
Gore politico e ambientalista statuni-
tense.
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Aprile 2018

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LA BUONANOTTE
B.F.
La vecchia signora
scorbutica
Disegno di Fabrizio Zubani
Sul tavolino da notte di una
vecchia signora ricoverata
in un ospizio per anziani, il
giorno dopo la sua morte, fu
ritrovata questa lettera. Era
indirizzata alla giovane in-
fermiera del reparto.
«Cosa vedi, tu che mi curi? Chi vedi,
quando mi guardi? Cosa pensi, quan-
do mi lasci? E cosa dici quando parli
di me?
Il più delle volte vedi una vecchia
scorbutica, un po’ pazza, lo sguardo
smarrito, che non è più completamen-
te lucida, che sbava quando mangia e
non risponde mai quando dovrebbe.
E non smette di perdere le scarpe e
calze, che docile o no, ti lascia fare
come vuoi, il bagno e i pasti per occu-
pare la lunga giornata grigia.
È questo che vedi!
Allora apri gli occhi. Non sono io.
Ti dirò chi sono.
Sono l’ultima di dieci figli con un pa-
dre e una madre. Fratelli e sorelle che
si amavano.
Una giovane di 16 anni, con le ali ai
piedi, sognante che presto avrebbe in-
contrato un fidanzato. Sposata già a
vent’anni.
Il mio cuore salta di gioia al ricordo
dei propositi fatti in quel giorno.
Ho 25 anni ora e un
figlio mio, che ha
bisogno di me per
costruirsi una casa.
Una donna di 30
anni, mio figlio cre-
sce in fretta, siamo
legati l’uno all’altra
da vincoli che dure-
ranno. Quarant’an-
ni, presto lui se ne
andrà. Ma il mio
uomo veglia al mio
fianco.
Cinquant’anni, in-
torno a me giocano
daccapo dei bimbi.
Rieccomi con dei
bambini, io e il mio
diletto.
Poi ecco i giorni bui, mio marito
muore. Guardo al futuro fremendo di
paura, giacché i miei figli sono com-
pletamente occupati ad allevare i loro.
E penso agli anni e all’amore che ho
conosciuto. Ora sono vecchia. La na-
tura è crudele, si diverte a far passare
la vecchiaia per pazzia. Il mio corpo
mi lascia, il fascino e la forza mi ab-
bandonano. E con l’età avanzata lad-
dove un tempo ebbi un cuore vi è ora
una pietra.
Ma in questa vecchia carcassa rimane
la ragazza il cui vecchio cuore si gon-
fia senza posa. Mi ricordo le gioie,
mi ricordo i dolori, e sento daccapo la
mia vita e amo.
Ripenso agli anni troppo brevi e
troppo presto passati. E accetto
l’implacabile realtà “che niente può
durare”.
Allora apri gli occhi, tu che mi curi,
e guarda non la vecchia scorbutica...
Guarda meglio e mi vedrai».
Aprile 2018
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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Le lacrime
del Venezuela
I salesiani in un paese
in difficoltà
A tu per tu
Le sfide
della chiesa italiana
Incontro con
il cardinale Bassetti
La ricetta salesiana 4
La giustizia
Saper convivere
L’invitato
Signor Hernán Cordero
Salesiano in Burkina Faso
La nostra storia
Antonio Spezia
L’architetto di don Bosco
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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