Bollettino_Salesiano_201803

Bollettino_Salesiano_201803

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IL
MARZO
2018
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case
di don Bosco
Bari
L’invitato
Don Valter
Rossi
Salesiani
nel mondo
Ghana

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
Il
violino
e il
fucile
La storia
Giovanni Bosco descrive nelle Memorie dell’Oratorio al-
cuni episodi che gli occorsero durante le vacanze estive
del 1838 che trascorse nella fattoria del Sussambrino,
dove suo fratello Giuseppe lavorò come mezzadro sino
al 1839. Essendo le vacanze “un grande pericolo pei
chierici”, egli si tenne impegnato con il lavoro agricolo
e altri passatempi, come lettura, scrittura, falegnameria,
sartoria, calzoleria e lavoro del ferro.
Due rottami siamo, miserabili e polverosi
avanzi di due oggetti nobili, onorati e
fieri. Io sono un ottimo fucile da caccia
e questo accanto a me è l’archetto di un
eccellente violino. Siamo nella cantina
di questa cascina da almeno centottan-
tanni, se ho contato esattamente le bottiglie di
spumante di ogni Capodanno.
Il nostro “padrone” era un giovane vulcanico. Si
chiamava Giovanni Bosco ed era un seminarista
che passava qui con la madre le vacanze estive.
Il sabato e la domenica radunava i ragazzi della
borgata, faceva catechismo, insegnava a leggere
e a scrivere. Era simpatico e tutti amavano la sua
compagnia. Sapeva suonare con maestria il violi-
no e, un anno, lo zio Matteo lo invitò a suonare
in chiesa per la festa di san Bartolomeo.
In chiesa, le cose andarono molto bene. La musica
e la solenne liturgia lasciarono la gente estasiata.
Subito dopo pranzo, cominciarono i guai. Tutti
i commensali invitarono Giovanni a suonare
qualche bel pezzo al violino. Il giovane non
seppe dire di no e incominciò un’allegra serenata.
Dopo qualche minuto si sentono un bisbigliare e
uno scalpiccio ritmico. Giovanni si affacciò alla
finestra e vide nel cortile una folla di persone che
a coppie, teneramente allacciati, ballavano spen-
sieratamente. Il giovane seminarista arrossì e si
rivolse confuso agli astanti: «Ma come? Io predico
contro i balli pubblici, e voi me ne fate organizza-
re uno nel vostro cortile? Non capiterà mai più!».
Il povero archetto qui accanto, mille volte mi
ha raccontato fra le lacrime che, arrivato a casa,
Giovanni frantumò in mille pezzi il suo violino.
E non lo suonò mai più. Devo dire che era uno
che manteneva sempre quello che prometteva.
Lo posso ben dire io. Giovanni era bravo in
tutto, ma era un asso nella caccia. Aveva un
fiuto per le prede come pochi. E una mira che
vi dico… Uscì un mattino all’alba con me a
tracolla. Vide sfrecciare una grossa lepre. Partì
all’inseguimento. Di campo in campo, di vigna
in vigna, attraversò le valli e si arrampicò sulle
colline. Per ore. La lepre era veloce e resistente.
Giovanni di più. Cinque chilometri di corsa sen-
za sosta. Finalmente la lepre fu alla mia portata,
e io feci il mio dovere. La povera bestiola cadde
nell’erba umida di rugiada.
Ma il buon Giovanni non esultò. Mi accorsi che
era triste e aveva le lacrime agli occhi. Gli amici
che lo avevano seguito con il fiatone si congra-
tularono. Ma Giovanni era mortificato, chiese
perdono agli amici per il brutto spettacolo che
aveva dato e tornò immediatamente a casa.
Lo sentii promettere al Signore di non andare
mai più a caccia. Di fatto non uscii più da questo
angolo buio. E nella canna è arrugginita l’ultima
cartuccia.
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Marzo 2018

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IL
MARZO 2018
ANNO CXLII
Numero 3
IL
Mensile di
informazione e
MARZO
Rivista fondata da
2018
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Le case
di don Bosco
Bari
L’invitato
Don Valter
Rossi
Salesiana di San
Giovanni Bosco
Salesiani
nel mondo
Ghana
In copertina: Il volto pulito della
primavera e la meraviglia dell’innocenza
(Foto Gorillaimages/Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Miracolo in Ghana
12 LE CASE DI DON BOSCO
Bari
15 INIZIATIVE
16 LA RICETTA
18 L’INVITATO
Don Valter Rossi
22 GLI INVISIBILI
Le donne cambieranno
il mondo
24 A TU PER TU
Monsignor Cristóbal López
27 IN PRIMA LINEA
28 FMA
30 I NOSTRI EROI
Rodolfo Komorek
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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24
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Teresio
Bosco, Pierluigi Cameroni, Vittorio
Castagna, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Giuseppe
Fassino, Ángel Fernández Artime,
Claudia Gualtieri, Nicola Lavacca,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Livia Oddone, Pino Pellegrino,
Linda Perino, O. Pori Mecoi, Simone
Utler, Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
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Tullio Orler (Roma)
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Il miracolo continua
Una lettera sulla mia scrivania, una scrittura
grande e chiara e un’offerta che era
una magnifica e toccante sorpresa.
Il Vangelo è vivo. Sempre. Così ci può capita-
re di vivere nel nostro quotidiano una pagi-
na evangelica. Personalmente molte volte ho
vissuto una delle pagine più incantevoli del
Vangelo, quella in cui Gesù elogia la misera
offerta (insignificante agli occhi umani) del-
la povera vedova che getta nel tesoro del Tempio
tutto quello che le serviva per vivere.
Agli occhi di Dio era un’offerta totale.
L’ultima volta, mi è capitato al ritorno dalle in-
tense e bellissime Giornate di Spiritualità della
Famiglia Salesiana a Valdocco (Torino), con la
partecipazione di 367 persone appartenenti a 22
dei 31 gruppi ufficiali che appartengono, come
i rami, a questo grande albero che è la Famiglia
Salesiana di don Bosco.
Sulla mia scrivania, ho trovato una busta con una
lettera. Veniva da una piccola città francese. Spero
che, assicurando il giusto anonimato, la mittente
della lettera sia contenta che io ne parli, perché tut-
to ciò che è bello e buono deve essere conosciuto.
Chi mi scriveva era una signora molto anziana,
92 anni, emigrata italiana, sposa e madre di fa-
miglia, rimasta recentemente vedova.
Che cosa distingueva questa lettera dalle centi-
naia di lettere simili che arrivano ogni giorno?
L’aveva resa speciale la mittente con la sua scrit-
tura grande e chiara, “tutta di sua mano”. La let-
tera era accompagnata da un’offerta per i più po-
veri in qualunque posto delle Missioni Salesiane
nel mondo.
Niente di eccezionale anche in questo, dato che
ci sono molte persone che inviano le loro umili
donazioni ai più poveri e, con ciò, si riesce a fare
tanto bene.
Ciò che rendeva speciale il gesto della signora era
quello che offriva. Si trattava di qualcosa di ve-
ramente suo e di fortissimo valore sentimentale.
Offriva le fedi nuziali, la sua e quella del marito
defunto, insieme alla teca d’argento che era ser-
vita a portare la Santa Eucaristia in casa durante
la malattia.
Confesso di essermi intensamente commosso.
Ho riletto la lettera diverse volte e ho contempla-
to i due anelli, umile e prezioso segno dell’amore
di due persone.
Ho promesso a me stesso che sarei stato io a por-
tare personalmente quell’offerta, trasformata in
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denaro, in una delle nostre missioni più povere.
Servirà per gli aiuti elementari per le famiglie più
indigenti e per l’educazione di una ragazza al fine
di donarle un futuro più dignitoso e felice. Credo
che come donna, la signora sarebbe contenta di
sapere che i simboli del suo amore si sono trasfor-
mati nella possibilità di un avvenire più sereno
per una fanciulla sfortunata.
Sono convinto che anche il cibo che verrà acqui-
stato con questa donazione avrà un valore aggiun-
to molto speciale.
Finalmente una “buona notizia”
Siamo tutti sconvolti dalla cronaca quotidiana di
questa nostra società globale. È inquietante vede-
re con quanta facilità ci siamo abituati alla morte:
la morte della natura, distrutta dall’inquinamen-
to industriale; la morte per le strade; la morte per
la violenza; la morte di coloro che non arrivano a
nascere; la morte delle anime.
È insopportabile osservare con quanta indifferen-
za ascoltiamo cifre terrificanti che ci parlano del-
la morte di milioni di affamati nel mondo, e con
quanta passività contempliamo la violenza silen-
ziosa, ma efficace e costante, di strutture ingiuste
che fanno sprofondare i deboli nell’emarginazione.
E pensavo: perché un gesto così profondamente
umano e intriso di sentimenti veri a favore degli
altri come quello della vedova che vi ho raccontato
non può essere una notizia? Il suo messaggio silen-
zioso e discreto è una vera grande “buona notizia”.
Lo scrittore Alessandro d’Avenia racconta la sto-
ria di un bambino che, a scuola, aveva disegnato
un cielo stellato. Indicando il disegno, la maestra
gli chiese, con un gran sorriso: «Di che cosa sono
fatte le stelle?»
«Di luce» rispose il bambino sicuro, senza nean-
che capire che cosa stesse dicendo.
«E perché?» chiese la maestra, presa dall’entu-
siasmo.
La mamma fissava il figlio, che la guardava in
cerca di una risposta a una cosa che nessuno sa.
«Perché, Andrea?» domandò la mamma con dol-
cezza.
«Perché la Terra è piena di buio».
Se questo mondo è pieno di gente che “vive nel
buio”, la vedova francese ha acceso una luce. E
sono certo che anche voi, come me, ne siate felici.
Un augurio da Timor Est
Sto scrivendo da Timor Est, in mezzo a perso-
ne molto semplici, che vivono in modo modesto,
ma sono gentili e generose, dotate di una grande
fede, pur provate dalla sofferenza e dal sacrificio.
Abbiamo da poco celebrato la Festa di don Bosco.
Tra poco, a Fatumaca, celebrerò con migliaia di
persone un incontro e un’Eucaristia con i membri
dell’Associazione devoti di Maria Ausiliatrice.
E vedo come il carisma salesiano continua a met-
tere radici profonde in questa nazione buona, re-
ligiosa e accogliente.
Anche questo è il nostro mondo. Anche queste
sono notizie.
A tutti voi il mio augurio di ogni grazia e benedi-
zione.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Questi matrimoni
s’hanno da fare?
Fiorella, 21 anni:
La cosa importante è essere
consapevoli della serietà
di questa decisione
Prima di rispondere a questa doman-
da è importante premettere che spo-
sarmi e creare una famiglia è sempre
stato il mio sogno. Considero il ma-
trimonio molto importante sia come
istituzione laica sia come sacramento
religioso, perché credo che esso sia la
base su cui ogni famiglia debba porre
le fondamenta.
Non ho mai pensato veramente al
fatto se esiste un’età giusta per spo-
sarsi, soprattutto essendomi sposata
io molto presto secondo gli standard
della società odierna. Alla fine è solo
una questione di scelte. Io ho fatto la
scelta di sposarmi a vent’anni e sono
felice di aver fatto questa scelta perché
ero consapevole di quello che anda-
vo a fare. La cosa importante è, in-
fatti, essere consapevoli della serietà
di questa decisione e di tutte le con-
seguenze che essa comporta. Se mi
chiedessero di scambiare la mia vita
con quella di una delle mie coetanee
non lo farei mai e poi mai.
Il concetto di matrimonio è cambiato con il tempo.
Che cosa pensano i nostri giovani a riguardo?
Non credo che per i miei coetanei
sposarsi sia prioritario, anzi penso
proprio che sia l’ultimo dei loro obiet-
tivi, sia perché ora come ora è più
importante per tutti trovare lavoro
e divenire stabili economicamente
prima, sia perché, a mio parere,
nessuno crede più veramente nel
matrimonio, specialmente come
sacramento. Infatti, sono convinta
che, rispetto a qualche tempo fa, le
relazioni vengano prese molto meno
seriamente, quasi alla giornata, come
se fidanzarsi con una persona fosse
solo un divertimento da godersi così,
finché dura.
Roberta, 27 anni:
Il sacramento del matrimonio
lo vedo come una vera e propria
vocazione nonché missione
Un nostro Salesiano, durante un’o-
melia una volta disse “prima ci si sposa
e poi ci si fidanza!”. È la frase che ho
fatto mia riguardo al sacramento del
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matrimonio. Da sempre gli sposi rag-
giungono questo obiettivo dopo anni
di fidanzamento, dopo sacrifici, ma
perché vederlo come un obiettivo se
è un vero e proprio punto di parten-
za? Maria e Giuseppe ci trasmettono
proprio questo, non si conoscevano,
eppure seguendo il Signore, si uni-
scono in matrimonio, formando la
prima vera famiglia cristiana. Credo
fortemente che il Signore ci aiuti nel-
la scelta del nostro compagno di vita,
perché il progetto che parte deve ave-
re frutti e speranze colme di amore.
Considero il matrimonio più come
sacramento che come istituzione. Il
sacramento del matrimonio lo vedo
come una vera e propria vocazione
nonché missione.
L’educazione salesiana mi ha insegna-
to l’importanza della chiamata in tut-
te le sue forme. Essere moglie, marito
è una vocazione che sfocia nella mis-
sione di portare avanti un cammino
fatto di accompagnamento, sostegno,
fiducia, amore, responsabilità.
A mio parere, non c’è un’età anagra-
fica ideale per sposarsi. L’età giusta è
quella che hai quando incontri qual-
cuno che apprezza prima i tuoi difetti
e poi i tuoi pregi, qualcuno che ama
e che rispetta la tua libertà, qualcu-
no con cui condividere il tuo proget-
to di vita, qualcuno che ti vede come
un dono, come un arricchimento per
se stesso. Oggi purtroppo noto inve-
ce che i miei coetanei ricercano un
benessere economico prima che un
benessere del cuore. Il matrimonio
è visto più come un obiettivo finale.
Quasi l’ultima tappa. Mi ritrovo spes-
so a vedere foto di vecchi compagni di
scuola dove si differenziano due cate-
gorie, “i tradizionalisti” e “gli spiriti
liberi”. I primi orientati a quella che è
la costruzione della propria famiglia;
i secondi, ancora a rincorrere sogni,
carte, e speranze. Non so chi ha la
meglio, purtroppo è difficile nel 2018
riuscire a conciliare la realizzazione di
un sogno professionale e di un sogno
di vita come creare una propria fa-
miglia. Credo che per i coetanei cre-
sciuti con i miei stessi insegnamenti,
esperienze e realtà l’importanza del
matrimonio sia fondamentale, ma per
coloro che non hanno alle spalle un
cammino cristiano vissuto nei piccoli
dettagli che lo rendono tale, il matri-
monio sia più uno degli appuntamenti
da segnare in agenda. La famiglia ha,
secondo me, un ruolo fondamentale
nel trasmettere l’importanza e la bel-
lezza di questo progetto. Tra i miei
amici il matrimonio è fondamentale,
è una gioia da condividere e vivere ma
se solo tutti i miei coetanei vivessero
il vero amore e scegliessero di inna-
morarsi sul serio partendo dallo “spo-
sarsi”, allora credo scoprirebbero uno
degli ingredienti fondamentali della
felicità.
Fabrizio, 25 anni:
«La vera sfida è avere la forza
e il coraggio di donare
la propria vita»
Il matrimonio, sia come istituzione sia
come sacramento, è importante per-
ché apre nuovi scenari di vita, come
l’essere genitori, l’essere responsabili
della propria moglie o marito, ma so-
prattutto porta a condividere con loro
la quotidianità di una casa e di un la-
voro. Ma secondo me la vera sfida è
un’altra: avere la forza e il coraggio di
donare la propria vita alla persona con
la quale si è intrapreso questo viaggio!
Questo è il risultato della presenza di
Dio con la coppia di sposi. Per cui, mi
sento di dire che il matrimonio ab-
bia più importanza come sacramento
piuttosto che come istituzione, anche
se quest’ultima non deve mai venire
meno. Dobbiamo pur essere buoni cri-
stiani ed onesti cittadini!
A mio parere, l’età giusta per intra-
prendere il viaggio del matrimonio
non esiste. Il momento giusto per spo-
sarsi è quando la coppia cerca le stesse
cose, cerca la stessa serenità, le stesse
comodità e le stesse esigenze, cercan-
dosi l’un l’altro. Questo può avvenire
a 20 anni così come a 50 o a 60. L’età
non importa! Ciò che conta davvero
è avere bisogno del partner perché lo
si ama, facendo attenzione a non tro-
varsi nella condizione di amarlo solo
perché si ha bisogno di lui.
Tra i miei coetanei si parla già di
questo argomento, però non è sem-
pre ben visto. Per loro il matrimonio
è sicuramente una tappa fondamen-
tale della vita perché si raggiunge
l’indipendenza e la vita da “grandi”,
ma a volte ci si fossilizza troppo sul-
le possibili liti e sulla monotonia di
coppia, senza pensare a tutto ciò che
potrà avvenire di bello. Questo forse
perché è un passo importante e un
po’ di emozione mista a paura può
prendere il sopravvento, ma alla fine,
dando tempo alla persona giusta, si
troverà il coraggio necessario per
questa avventura.
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SALESIANI NEL MONDO
TESTO E FOTO: SIMONE UTLER DA DON BOSCO MAGAZIN
Traduzione di Marisa Patarino
Miracolo in Ghana
Scavano a mani nude per cercare oro,
maneggiano sostanze chimiche pericolose
o si immergono con reti da pesca che si
aggrovigliano: il lavoro dei bambini, spesso
compiuto in condizioni che mettono a rischio
la loro vita, è la crudele realtà quotidiana in
Ghana, nell’Africa occidentale. I Salesiani di Don
Bosco aiutano ragazzi e ragazze che possono
essere liberati dai loro sfruttatori e offrono
loro una possibilità diversa.
Ufficialmente
in Ghana il
lavoro minorile
è vietato. Eppure
circa un quinto
dei bambini che
vivono in questo
Paese dell’Africa
occidentale
è costretto a
lavorare, come
questo ragazzo
che offre acqua in
vendita per strada.
Una mucca in cambio di quattro anni di
vita di Mojo: questi furono i termini
dell’accordo. «Un uomo è venuto da noi
e ha promesso che se avessi lavorato per
lui per quattro anni avrebbe dato una
mucca ai miei genitori e a me», ricorda
il sedicenne. Mojo aveva dieci anni quando smise
di giocare e cominciò a lavorare. L’uomo che lo
aveva ingaggiato era un pescatore che lavorava sul
lago Volta, uno dei più grandi bacini artificiali del
mondo, e negli anni a seguire Mojo avrebbe dovu-
to remare, tirare le reti, prendere acqua dalla barca
e immergersi con reti aggrovigliate. Nelle giornate
Avevamo sempre fame
e chi commetteva un errore
veniva picchiato . Mojo, 16 anni
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con meno ore di luce, il lavoro iniziava alle cinque
o alle sei del mattino e continuava ininterrotta-
mente fino alle quindici, per poi terminare sem-
pre dopo le 20. «Avevamo sempre fame», ricorda
Mojo, che riceveva qualcosa da mangiare solo
due volte al giorno, «e chi commetteva un errore
veniva picchiato». Sebbene il lavoro minorile in
Ghana sia illegale, è ancora un grave problema
lungo la costa dell’Africa Occidentale. Secondo
uno studio condotto dall’Organizzazione Inter-

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nazionale del Lavoro nel 2014, circa 1,9 milioni
di bambini di età compresa tra 5 e 17 anni, pari al
21% del totale degli appartenenti a questa fascia di
età, sono costretti a lavorare; 1,2 milioni svolgono
attività pericolose. «La legge non è sistematica-
mente rispettata», dice don Fred Okusu, che diri-
ge il “Don Bosco Child Protection Centre (Centro
per la tutela dei bambini)” di Ashaiman. Il centro,
che si trova in una periferia della città, accoglie
circa novanta bambini l’anno. Nel 2017 all’inizio
di luglio erano già arrivati settanta nuovi minori.
Nella maggior parte dei casi sono accompagnati
al Centro dalla polizia o dalle organizzazioni di
assistenza. Nella grande struttura con edifici di
colore rosa i ragazzi trovano soprattutto un rifu-
gio, perché si tratta essenzialmente di giovanissimi
che altrimenti dovrebbero lavorare, in Ghana. Le
attività variano da una zona all’altra: nel Lago Vol-
ta molti ragazzi come Mojo rischiano la vita e la
salute impegnandosi nella pesca, tuffandosi senza
dispositivi di sicurezza e con limitate capacità na-
tatorie, impigliandosi a volte nelle reti e rimanendo
per ore in acqua. In altre regioni, i bambini lavo-
rano nelle miniere d’oro illegali, nelle piantagioni
di cacao o come trasportatori di materiale. Alcune
ragazze vengono addirittura vendute perché entri-
no nel circuito della prostituzione o lavorino come
schiave addette a lavori domestici. «Molti bambini
quando arrivano da noi sono gravemente trauma-
tizzati e in pessime condizioni fisiche», dice don
Fred, che vede regolarmente bambini affetti da
patologie virali, polmonite, malaria o tifo. «E tutti
soffrono di anemia». Quando arrivò dai Salesiani,
Fiefie aveva le mani scheletriche. Aveva quindici
anni e per tre anni aveva lavorato in una minie-
ra d’oro illegale nella zona occidentale del Paese.
Avanzava carponi in tunnel già troppo grandi per
gli adulti, scavava alla ricerca di oro a mani nude,
gettava il materiale in una ciotola e lo puliva con
prodotti chimici. Il compenso che riceveva era pari
a 50 Cedi, circa 9,50 Euro, al mese, di cui gli ve-
niva versata solo una parte. Veniva dispensato cibo
La cosa migliore della Casa
dei Ragazzi è che cucinano
per me . Francis, 9 anni
solo una volta al giorno, ma erano distribuite bot-
te continuamente ed era vietato parlare. Nel 2015
Fiefie è stato liberato e accompagnato ad Ashai-
man insieme ad altri 16 ragazzi.
«Fiefie non riusciva a guardare nessuno negli oc-
chi e per un lungo periodo è stato molto timido»,
dice don Fred ricordando il passato del ragazzo,
A casa sua
nessuno cucinava
per Francis. Suo
padre non c’era, la
madre era troppo
impegnata.
Francis è arrivato
al Centro Don
Bosco tre anni fa.
che non deve parlare con estranei, perché il suo
percorso di guarigione non sia pregiudicato. Nel
frattempo, le mani di Fiefie sono guarite, il ra-
gazzo riesce a parlare e ad andare a scuola.
Normalmente la durata del soggiorno presso il
Centro è limitata a nove-dodici mesi, ma in casi
particolari può essere più lungo. Il Centro po-
trebbe ospitare 100 bambini, ma scarseggia il
denaro per il personale. «Il nostro gruppo è com-
posto solo da quattordici dipendenti fissi e alcuni
volontari e quindi non possiamo lavorare fuori»,
spiega don Fred, che spera di poter avere un gior-
no i mezzi finanziari che permettano di prestare
aiuto sul campo e di creare una linea telefonica
per bambini e ragazzi in situazione di bisogno.
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SALESIANI NEL MONDO
Mojo (il terzo da
sinistra) aveva
dieci anni quando
i suoi genitori
lo vendettero.
Quattro anni del
suo lavoro in
cambio di una
mucca: questi
furono i termini
dell’accordo. Nella
Casa dei Salesiani
il ragazzo, che
oggi ha 16 anni,
ha potuto vivere
serenamente,
studiare e
dedicarsi alla
musica.
Aiuti per i genitori
Attualmente l’obiettivo principale del Centro è
aiutare i bambini con terapie individuali, di grup-
po e musicoterapia, avviarli a scuola, aiutarli a
inserirsi in casa e assicurarsi che i genitori non
li cedano di nuovo. «In Ghana è pratica comu-
ne cedere un figlio a uno zio o a una zia, se può
dargli una vita migliore», dice don Fred. Il passo
successivo, quello di dare i bambini a un estraneo,
non è allora lungo, perché i genitori volevano solo
un futuro migliore per il loro figlio o la loro figlia:
«Vedono il sostegno finanziario che arriva alla
famiglia e di solito non sanno come stiano i bam-
bini. A volte i minori sono addirittura rapiti». I
Salesiani aiutano i genitori dei bambini che sono
stati liberati ad acquisire le competenze di base
perché possano guadagnare denaro.
Il prezzo per un bambino è fatto oggetto di nego-
ziazioni. «A volte si tratta di un cesto di pesci, a
volte di una mucca», spiega don Fred.
«Alcuni vengono pagati a cadenza mensile, ma
spesso il compenso viene erogato solo alla fine
di un periodo stabilito. E se il servizio termina
prima, al bambino non viene dato nulla». Anche
Mojo ha ricevuto questo trattamento. La polizia
l’ha liberato e accompagnato al Centro di tutela
prima della scadenza dei quattro anni convenuti.
Oggi Mojo vive nella Casa dei Ragazzi dei Sale-
siani di Don Bosco per bambini di strada e orfani
nella città di Sunyani. Ragazzi di età compresa tra
8 e 20 anni, il cui numero varia da 40 a 50, hanno la
possibilità di conseguire un diploma o di seguire un
percorso di formazione. Quando tutti sono a scuola,
di mattina, la Casa, disposta intorno a un cortile, è
tranquilla. Di pomeriggio occorrerebbe tenere tappi
nelle orecchie. I ragazzi possono suonare la tastie-
ra, dedicarsi ai tamburi tradizionali e alla danza o
entrare a far parte della “Brass Band”, una banda di
ottoni. Praticano poi sport e la sera, dopo aver fatto
una doccia, mangiano, studiano e pregano.
«I ragazzi tornano presto a rifiorire, perché han-
no la possibilità di vivere, studiare, dedicarsi alla
musica e giocare», dice Joseph Anane, che lavora
presso il Centro Don Bosco in qualità di assisten-
te sociale dal 1999 e conosce la Casa dei ragaz-
zi sin dai primi anni in cui è stata avviata la sua
attività. A quel tempo vivevano qui quasi esclu-
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2.1 Page 11

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sivamente ragazzi addetti a trasportare acquisti
dal mercato verso le case o le automobili con car-
riole. Oggi nella maggior parte dei casi arrivano
qui minori provenienti da famiglie distrutte. «Le
problematiche principali sono la povertà, la fame,
la separazione dei genitori, la mancanza di istru-
zione», dice Joseph Anane.
Tolto dalla strada a cinque anni
Francis mostra già a un primo sguardo la sua pro-
venienza da un ambiente difficile. A nove anni
ha caratteristiche e posture di un adulto: gambe
divaricate, fianchi inclinati, braccia distanti dal
corpo, come se i bicipiti fossero troppo gonfi, la
testa piegata con spavalderia. Quando però co-
mincia a parlare, emerge il bambino che ama gio-
care a tennis da tavolo, danzare e mangiare.
«La cosa migliore della Casa dei Ragazzi è che
cucinano per me», dice Francis, che dichiara di
apprezzare soprattutto riso e stufato.
A casa sua nessuno cucinava per Francis. Suo
padre non c’era, la madre era troppo impegnata.
Nella capanna della loro famiglia regnava il caos,
non c’erano letti, né materassi; Francis dormiva
sul pavimento di terra battuta. Durante il gior-
no bighellonava per strada e quando aveva fame
si procurava da mangiare con gli amici. Francis
aveva solo cinque anni quando i Salesiani lo in-
contrarono e lo condussero alla Casa dei Ragazzi.
Nel corso della giornata, Joseph Anane si reca
al mercato di Sunyani. Vi si trovano cibo, abiti,
scarpe, occhiali da sole, telefoni cellulari, in pra-
tica tutto. Vari giovani sono disposti sullo sparti-
traffico muniti di carriole, su cui sono appoggiati
o seduti in attesa di clienti.
Joseph Anane si avvicina al gruppo di giovani,
parla dell’attività che i Salesiani svolgono e invita
i giovani a recarsi nel loro Centro durante il fine
settimana per partecipare alla Messa o praticare
sport. I ragazzi non hanno molte opportunità di
incontrarsi. Questi giovani ascoltano, scherzano e
ridono con lui. Accoglieranno l’invito?
«Probabilmente no», dice Joseph Anane mentre
si siede sul sedile del passeggero della jeep che lo
attendeva.
Al volante siede Shadrack, un giovane che di so-
lito indossa occhiali da sole, ama ascoltare Ken-
ny Rogers e Phil Collins e prega prima di ogni
percorso in auto. Anche Shadrack era un ragazzo
che effettuava consegne con la carriola.
Arrivò a Sunyani dal suo villaggio ubicato nel-
la parte settentrionale del Ghana nel 2001. Era
solo. Gli piaceva stare con gli altri ragazzi e gua-
dagnare grazie al suo impegno. Quando però un
Salesiano gli parlò della Casa dei ragazzi si incu-
riosì. Shadrack si recò là e vi rimase. Frequentò
la scuola, seguì un percorso di formazione e ora
lavora come autista per i Salesiani.
Anche Mojo e Fiefie comprendono che la vita
al Centro Don Bosco è un’opportunità per loro
e che la scuola è importante per il loro futuro.
Mojo vorrebbe diventare elettricista per portare
l’elettricità nelle loro case. Fiefie vuole diventare
un soldato.
«Spesso dice che vorrebbe difendere gli altri e
impedire che siano sfruttati e maltrattati», dice
don Fred parlando del sogno del ragazzo, che ha
diciassette anni e ha sofferto tanto.
Don Fred Okuso
aiuta bambini
e adolescenti
nel Centro di
tutela gestito dai
Salesiani. Molti
sono traumatizzati
e occorre loro
molto tempo
perché riacquistino
fiducia.
Marzo 2018
11

2.2 Page 12

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LE CASE DI DON BOSCO
NICOLA LAVACCA
Il mitico «Redentore»
di Bari
Nel solco tracciato da san Giovanni Bosco,
la casa salesiana Redentore a Bari è da
sempre un punto di riferimento, nonché un
centro di speranza educativa e riscatto sociale
per i ragazzi nel quartiere più giovanile
e vivace della città di Bari: il Libertà.
Cominciò come orfanotrofio, nel 1905,
sotto l’egida di don Michele Rua e grazie
alla donazione del terreno da parte del
Canonico Beniamino Bux. Nel 1910 a
causa dell’epidemia del colera, fu requi-
sito dal Comune e adibito a lazzaretto;
successivamente nel 1915, le autorità militari vi
stabilirono l’ospedale per i feriti della guerra.
Terminato il conflitto mondiale, la Provincia se
ne impadronì trasformandolo in ospedale. Dopo
l’intervento della Regina Margherita, nel 1920 i
Salesiani poterono riprendere l’Istituto ed avvia-
re, con il direttore don Federico Emanuel, i lavori
di restauro dell’orfanotrofio e così accogliere i ra-
gazzi abbandonati e derelitti.
Nel 1934 partirono i lavori della chiesa che venne
poi consacrata nel 1941. Contemporaneamente i
laboratori di meccanica, falegnameria, tipografia,
legatoria, sartoria e calzoleria assumono con don
Federico Emanuel una fisionomia tipicamente
professionale, diventando nel 1946 delle vere e
proprie scuole. Nasce così la prima scuola di for-
mazione professionale in Puglia. Negli anni ’50 si
istituisce la Schola Cantorum famosa per le esecu-
zioni polifoniche e la banda musicale composta da
60 strumenti suonati tutti dai ragazzi della scuola.
In questi anni inizia l’attività dell’Oratorio, che
costituisce fin da subito un punto di riferimen-
to per il e per il . Negli anni Sessanta,
sotto la guida di Pietro Floriano Florio, la pal-
lavolo conosce un periodo di splendore che por-
ta la squadra del Redentore in serie B. Anche la
pallacanestro conosce, negli anni Settanta, ugua-
le fortuna. Numerosi sono anche i calciatori che
si sono formati all’Oratorio del Redentore, come
Biagio Catalano e Claudio De Tommasi.
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Marzo 2018

2.3 Page 13

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Tradurre oggi il sogno di don Bosco richiede molta
concretezza e sinergia, preferendo i fatti alle parole
afferma don Francesco Preite, direttore della casa
Oggi la casa salesiana del Redentore rappresen-
ta un presidio educativo fondamentale per tan-
tissimi ragazzi, giovani e famiglie del quartiere
Libertà di Bari, che è il quartiere con il maggior
numero di ragazzi e giovani della Città, ma è an-
che il quartiere con il maggior numero di minori
sottoposti a procedimenti penali.
La forte disoccupazione giovanile, unita ad una
crescente criminalità organizzata che approfitta
del disagio per promettere facili guadagni e al
mancato processo di integrazione in un quartiere
popolare sempre più multietnico rendono questo
territorio fecondo per la missione educativa sale-
siana. In questo contesto, oltre 100 laici accom-
pagnati dai Salesiani offrono nel Redentore il
proprio servizio educativo nel campo del volonta-
riato, dei servizi socio-educativi e culturali, della
scuola di formazione professionale.
Il motore della casa è l’Oratorio, che rappresenta
il fulcro di un formidabile processo d’integrazio-
ne e di prevenzione per educare tanti ragazzi vi-
vaci, colorati, gioiosi, bisognosi di essere ascoltati
ed amati.
«Tradurre oggi il sogno di don Bosco richiede
molta concretezza e sinergia, preferendo i fatti
alle parole – afferma don Francesco Preite, di-
rettore della casa salesiana Redentore –. Cer-
chiamo di essere concreti ed attenti specialmente
alle povertà giovanili e familiari anche attraver-
so l’impegno di contrasto ad ogni tipo di mafia.
Troppi ragazzi sono lasciati soli, esposti ai peri-
coli della strada e troppo spesso delinquono. Bi-
sogna ripartire dalla famiglia e sostenerla perché
in ogni ragazzo c’è un punto accessibile al bene,
e l’educatore deve trovarlo e potenziarlo per il
bene del ragazzo e della comunità». All’interno
Il Redentore è
un’opera vivace e
ricca di iniziative.
Un’inaugurazione
con il direttore don
Francesco Preite
(primo a sinistra)
e il sindaco di Bari
Decaro (ultimo a
destra ).
Marzo 2018
13

2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
Molti giovani
sono stati salvati
dai pericoli della
strada attraverso il
gioco e il cortile.
dell’Oratorio, è nato nel dicembre del 2016, il pub
“Lupi&Agnelli”, un progetto triennale realizzato
con l’assessorato comunale allo Sviluppo Econo-
mico, per contrastare la disoccupazione giovani-
le ed offrire un luogo informale di aggregazione
alternativo alla strada. Il pub è ispirato al sogno
dei nove anni di don Bosco, nel quale i giovani,
diventati brutti e cattivi per ciò che commetteva-
no, si trasformano in agnelli mansueti, grazie agli
interventi educativi.
Meccanici, universitari
e una biblioteca
Oltre alla fiorente Parrocchia-Oratorio, la casa
salesiana del Redentore è attiva nel campo della
formazione professionale con i corsi di meccanici,
elettricisti e operatori socio-sanitari rivolti prin-
cipalmente ai minori in possesso della licenza
media.
Nell’ambito dei servizi socio-educativi del Reden-
tore è presente una comunità educativa per minori,
“16 Agosto”, nata grazie ad un progetto della Cari-
tas di Bari-Bitonto ed inaugurata dal Rettor Mag-
giore dei salesiani, don Ángel Fernández Artime,
nell’anno del bicentenario della nascita di don Bo-
sco (da qui il nome 16 Agosto, giorno della nascita
del santo educatore), che accoglie minori stranieri
non accompagnati e minori italiani del Centro di
Giustizia Minorile, in un processo di integrazione
e di educazione che coinvolge proprio i più picco-
li. È presente anche un Centro Educativo Socio-
diurno che accoglie 20 ragazzi e ragazze con biso-
gni educativi speciali.
Nell’ambito culturale, la casa di Bari ha promosso
il laboratorio culturale “Don Bosco oggi” che or-
ganizza corsi di comunicazione sociale, formazio-
ne socio-politica e dottrina sociale della Chiesa e
gestisce la Biblioteca di quartiere “Don Bosco”.
Inoltre all’interno del Redentore c’è la casa per gli
studenti universitari Michele Rua (
) che
accoglie ed accompagna circa 30 giovani univer-
sitari fuori-sede.
Per tutte queste attività, l’opera chiede garba-
tamente l’aiuto del 5 per mille: «Da quest’anno
anche il Redentore può contare sul tuo semplice
aiuto nel sostenere azioni educative a favore di
minori e giovani nel nostro vivace quartiere Li-
bertà di Bari. Ogni giorno incontro molte per-
sone, raccogliendo sempre tanto affetto e ricor-
di positivi per quanto il Redentore opera ed ha
operato, specialmente a Bari ed in Puglia. Molti
giovani sono stati salvati dai pericoli della strada
attraverso il gioco in cortile, l’avviamento al la-
voro, l’assistenza socio-educativa; molte persone
oggi sono lavoratori onesti, professionisti affer-
mati o persone perbene grazie a quanto hanno
ricevuto nel Redentore. Se vuoi continuare il so-
gno educativo di don Bosco a Bari, se vuoi con-
tribuire a scrivere pagine di speranza educativa
nella storia di ogni ragazzo, ti chiedo una firma
per il 5 x 1000 al Redentore dei Salesiani di Bari.
Continuiamo insieme a donare speranza concreta
e fiducia ai nostri giovani».
La casa salesiana del Redentore di Bari assume
così un significato religioso di redenzione e di re-
surrezione, di riscatto sociale e di speranza edu-
cativa specialmente per i più giovani.
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Marzo 2018

2.5 Page 15

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INIZIATIVE
GIUSEPPE FASSINO
Rinasce la vigna
di don Bosco
Febbraio 1828. Faceva molto freddo e un
ragazzino poco più che dodicenne, stre-
mato da una giornata di rifiuti, riuscì a
trovare un posto da garzone nella Cascina
dei Moglia.
Passati alcuni giorni, Luigi Moglia disse
alla moglie Dorotea: «Non abbiamo fatto un af-
fare cattivo a prendere quel ragazzo».
Quel ragazzo era Giovanni Bosco e si era messo
a lavorare con impegno, volenteroso e obbediente.
La primavera segnava l’inizio dei lavori pesanti.
In questa stagione infatti si iniziava a fare lo scas-
so e a piantare le viti, a vangare, a potare, a legare
i tralci ai pali e a zappare.
Una mattina, Luigi Moglia aveva condotto il gio-
vane Bosco a piantare quattro nuovi filari di viti.
Ad un dato momento il ragazzo, stanco, disse che
non ne poteva più per il forte dolore alla schiena
e alle ginocchia, dovendo lavorare tutto curvo.
Esortato a riprendere il lavoro, ad un tratto disse:
«Queste viti che io sto legando, faranno l’uva più
bella, daranno il miglior vino e in maggior quan-
tità, e dureranno più delle altre».
Ogni anno, quando si vendemmiava, i Moglia
ricordavano le parole dette quasi per scherzo
da Giovannino nel 1828. Infatti mentre le viti
dintorno duravano una ventina di anni, quelle
piantate da Giovanni Bosco prosperarono per
sessant’anni, cioè fino a quando, nel rinnovare le
colture, furono tolte a malincuore.
Dovunque abitò, don Bosco ebbe la compagnia
di una vite: ai Becchi, nel primo oratorio di
San Francesco d’Assisi, nelle camerette di
Valdocco. Quella che dodicenne piantò a Cascina
Moglia è stata ripiantata.
Oggi, quella vigna sta rinascendo e il prossimo
anno si potrà raccogliere la prima uva.
La cascina Moglia, adiacente alla vigna è già
stata ristrutturata e può accogliere gruppi di pel-
legrini che vogliono ripercorrere il cammino di
don Bosco.
Come
Giovannino Bosco
centonovant’anni
fa.
Marzo 2018
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2.6 Page 16

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LA RICETTA SALESIANA
LBI.NF.DA PERINO
Ipe6r
ingredienti fondamentali
formare un “uomo”
Con il primo ingrediente, la saggezza, abbiamo guardato in faccia
il “punto di partenza”. Questa umile rubrica proporrà sei obiettivi essenziali
(uno per puntata: La saggezza, Il coraggio, L’amore, La giustizia, La temperanza,
La trascendenza), a loro volta suddivisi in tante altre “potenzialità”, da educare.
2 Il coraggio
In un corridoio di un centro di rieducazione per bambini affetti da handicap più o meno gravi,
un bambino con le gambe inerti, imprigionate da ingombranti tutori di metallo, si trascinava
rimanendo seduto sul pavimento, sbuffando e piagnucolando.
«Tiziana, tirami su!» frignava stizzito verso la giovane volontaria che lo guardava sorridendo
al fondo del corridoio, a braccia spalancate.
«Aiutami!» piangeva il bambino. Ma la ragazza sorrideva e non si muoveva.
Furioso, con le lacrime agli occhi, il bambino puntò le braccia con tutte le sue forze, con uno
sforzo immane costrinse le sue gambe a piegarsi finché si alzò in piedi e traballando, a passo
di formica, cominciò a percorrere il corridoio.
Dopo un tempo interminabile, arrivò dalla ragazza che lo aspettava sempre sorridente, con
le braccia aperte.
Il bambino si buttò in quelle braccia gridando: «Tutto da solo! Hai visto? Ho fatto tutto da solo!».
La ragazza lo strinse a sé piangendo e rimasero così un bel po’. Tutti quelli che passavano
guardavano stupiti quel momento di pura felicità di una ragazza e un bambino che piange-
vano abbracciati.
Una meta, un percorso, la forza
e la volontà di percorrerlo: è
tutto ed è il modo di realiz-
zare se stessi e la propria vita.
Con il primo ingrediente, la
saggezza, abbiamo esplorato
la realtà. Ora si tratta di scegliere e
poi prendere una decisione. Per que-
sto occorre un secondo fondamentale
ingrediente: il coraggio.
I ragazzi, grazie a internet e alla Tv,
sono inondati di informazioni. In-
torno ai 13-14 anni gli interessi sono
ormai riconoscibili, quasi cristalliz-
zati.
Le attitudini sono evidenti molto pre-
sto, sono le capacità di riuscire meglio
di altri in alcune attività, che ogni
bambino manifesta fin da piccolo: «Si
vede che è portato...». E poi entrano
in ballo i valori di riferimento, molla
portante delle scelte.
In sintesi, quali aspetti considerare
per aiutare i ragazzi a fare delle scelte?
Cominciate a porre poche domande
per scoprire un mondo di significati:
Che cosa ti piace fare? Che cosa ti
dà davvero gusto? Che cosa ti di-
verte? (Interessi)
Dove vuoi arrivare, quale meta ti
prefiggi di raggiungere? (Aspira-
zioni)
In quali attività riesci meglio senza
fatica? (Attitudini)
In che cosa credi? Che cos’è vera-
mente importante per te? (Valori)
Di che cosa hai bisogno per prova-
re soddisfazione e sentirti realizza-
to? (Motivazioni)
Le risposte sono ingredienti che, sa-
pientemente integrati, sapranno indi-
care la via da percorrere.
L’adolescenza termina quando si ha
una chiara consapevolezza della pro-
pria identità e si cominciano a realiz-
zare i progetti decisi.
«I can» (Possiamo farcela!)
Le decisioni sono un modo per de-
finire se stessi, sono il modo per
dare vita e significato ai sogni, sono
il modo per farci diventare ciò che
siamo.
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Marzo 2018

2.7 Page 17

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Per muovere i primi passi, hanno do-
vuto imparare a cadere e rialzarsi, a
farcela da soli. Autonomia e responsa-
bilità sono due obiettivi che i preado-
lescenti non raggiungono da soli. Per
quanto cerchino in ogni modo di fare
da soli e di tenere a distanza gli adul-
ti, in realtà non sono ancora pronti a
cavarsela senza la supervisione, l’af-
fiancamento e la protezione, seppur
discreta, degli adulti.
Il coraggio è il saper governare la
paura nel perseguimento dei propri
obiettivi.
Una volta, due piccoli amici si divertivano
a pattinare su un laghetto gelato. Era una
sera nuvolosa e fredda, ma i due bambini
giocavano senza timore, ma improvvisa-
mente il ghiaccio si spaccò e si aprì in-
ghiottendo uno dei bambini.
Lo stagno non era profondo, ma il ghiaccio
cominciò quasi subito a richiudersi.
L’altro bambino corse alla riva, afferrò la
più grossa pietra che riuscì a trovare e si
precipitò dove il suo piccolo compagno
era sparito. Cominciò a colpire il ghiaccio
con tutte le sue forze, picchiò e picchiò fin-
ché riuscì a rompere il ghiaccio, afferrare
la mano del suo piccolo amico e aiutarlo a
uscire dall’acqua.
Quando arrivarono i pompieri e videro
quanto era accaduto si chiesero sbalorditi:
«Ma come ha fatto? Questo ghiaccio è pe-
sante e solido, come ha potuto spaccarlo
con questa pietra e quelle manine minu-
scole?»
In quel momento comparve un anziano che
disse: «Io so come ha fatto».
«Come?» chiesero.
Il vecchietto rispose: «Non aveva nessuno
dietro di lui a dirgli che non poteva farcela…»
Ci sono forze sbalorditive dentro
di noi, ma basta così poco a farcelo
dimenticare. Il coraggio di passare
all’azione richiede alcune “forze” es-
senziali: l’audacia, perché non è faci-
le vincere l’idea di rinunciare («Non
ce la farò mai»); la perseveranza, per
continuare anche quando il successo
non arriva subito; l’industriosità, per
provare soluzioni nuove; l’integrità e
l’onestà, per escludere le scorciatoie
truffaldine che continuamente ven-
gono proposte da gente senza scru-
poli.
Alla base di tutto, infine, c’è l’entu-
siasmo per la vita, il sentirla come un
bellissimo compito che può richiedere
fatica e impegno, ma che ripaga con
autentica felicità.
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
LIVIA ODDONE
Missionari di carta
Incontro con don VALTER ROSSI
Direttore di Mondo Erre e di Dimensioni Nuove
Don Bosco credeva nella
forza della stampa e fu
un pioniere intrepido in
questo campo. Tra le tante
coraggiose iniziative,
nel 1849, fondò una
rivista intitolata l’Amico
della Gioventù. Oggi, i
Salesiani, non hanno perso
la passione del fondatore
e, in tempi altrettanto
difficili, continuano a
pubblicare ottime riviste
per ragazzi e giovani.
Come racconteresti
il tuo lavoro attuale?
Anzitutto non lo chiamerei lavoro,
ma passione, anzi, duplice passione,
perché sono incaricato dell’oratorio
Don Bosco di Alessandria, situato in
piena periferia, affronto ogni giorno
le sfide che la vita dell’oratorio com-
porta; contemporaneamente sono di-
rettore delle due riviste salesiane per
i ragazzi, Mondo Erre, e per i giova-
ni, Dimensioni Nuove, dell’Editri-
ce Elledici. Si tratta di un impegno
gravoso, ma appassionante, che mi
mantiene costantemente giovane ed
aggiornato.
Quali sono state le tue
esperienze salesiane?
La mia vita salesiana è stata ricchissi-
ma di esperienze, dall’insegnamento
nella scuola media alle superiori, pas-
sando per la formazione professionale.
Sono stato per tanti anni e sono tut-
tora incaricato di oratorio e vicepar-
roco. Biella, Casale Monferrato, Asti,
Vercelli, Torino, Alessandria sono le
città principali in cui ho vissuto e la-
vorato sempre in mezzo ai giovani. È
proprio il contatto con i giovani e la
gente che rende il mio impegno nella
comunicazione più vero e attuale.
Com’è nata
la tua vocazione?
A nove anni, ma non ho fatto un
sogno come il mio principale (don
Bosco, n.d.r.). Ero alle elementari,
che ho fatto dalle suore rosminiane a
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Marzo 2018

2.9 Page 19

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Borgomanero ( ), mia città natale.
Un frate francescano ha fatto vedere
delle diapositive che raccontavano
la vocazione di un pastorello delle
montagne. In sei o sette promettem-
mo di farci preti, ma gli altri si sono
defilati uno per volta. Io, invece, ho
continuato. Poi sono andato alle me-
die dai salesiani e il loro stile mi ha
conquistato.
Qual è il panorama attuale
delle riviste per ragazzi
e per giovani?
Ormai non sono molte le riviste di
carattere educativo per ragazzi e gio-
vani. Ogni tanto ci incontriamo per
condividere idee ed esperienze. A
Chiavari ( ) periodicamente si svol-
ge un concorso nazionale che mette a
confronto i vari giornalini educativi.
Di solito il primo premio è nostro sia
per Mondo Erre sia per Dimensioni
Nuove.
Che cosa leggono
di preferenza i ragazzi?
Verrebbe da dire che leggono solo
messaggi al cellulare, ma in realtà
non è vero. Primo perché ormai ci
sono i messaggi vocali, e poi perché
in realtà i giovani sono ancora i primi
nelle statistiche nazionali a leggere.
Più di adulti ed anziani. Di sicuro
cercano storie vere e di sentimento,
fantasy che siano ancorate alla realtà
e parlino di loro. L’importante è che
“non puzzino di scuola”.
E i giovani?
Vogliono scoprire il mondo e capire
ciò che non sempre gli adulti hanno la
pazienza di spiegare. Si appassionano
per i temi sociali, legati alla mafia o
per le passioni forti e tormentate. Non
vogliono il lieto fine a tutti i costi e
cercano mezzi meno convenzionali,
come le graphic novel.
Ci sono differenze
tra maschi e femmine?
Certo che ci sono, anche se una certa
cultura cerca di appiattire tutto (forse
per vendere meglio). Il problema lo
incontriamo sovente cercando di fare
due riviste che accontentino un po’
tutti e due.
Ricordo una volta che mettemmo in
copertina un noto gruppo musicale e
fui presente alla distribuzione in una
scuola: i ragazzi iniziarono a strappa-
re la copertina e a buttarla, mentre le
ragazze erano contentissime.
Ma sovente leggono anche per scopri-
re l’altra metà dell’universo…
Che cosa proponi
con Mondo Erre
e con Dimensioni Nuove?
Qual è il loro messaggio?
Cerchiamo di essere vicini al mondo
dei ragazzi e dei giovani, selezionan-
do tutto ciò che c’è di buono. Il bene è
ovunque e va fatto conoscere. Per non
parlare della lettura cristiana dei fat-
«Cerchiamo di essere vicini al mondo dei ragazzi
e dei giovani, selezionando tutto ciò che c’è di
buono. Il bene è ovunque e va fatto conoscere».
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2.10 Page 20

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L’INVITATO
«Leggere vuol dire trovare momenti di solitudine
personale in cui incontrarsi con chi ha trovato
spazi di solitudine per scrivere proprio a te.
È questo misterioso contatto a generare un vera
e propria forza educativa. Molto più di un po’ di
gossip o di qualche curiosità spizzicata dalla rete».
ti e della vita. Leggere e informarsi è
la base per diventare protagonisti del
proprio futuro.
A chi ti rivolgi soprattutto?
I nostri lettori tipici sono gli allievi
delle scuole salesiane, ma abbiamo
anche molti lettori singoli che ven-
gono abbonati come regalo di Natale,
per le cresime o per il compleanno da
genitori o educatori che sanno di dare
in mano qualcosa di valido.
«A Chiavari (GE) periodicamente si svolge un
concorso nazionale che mette a confronto i vari
giornalini educativi. Di solito il primo premio è
nostro sia per Mondo Erre sia per Dimensioni
Nuove».
I giornali di carta possono
coesistere con Internet
e i “social media”
o è una guerra persa?
Internet e social affascinano e preoc-
cupano allo stesso tempo. Forse la
rete è in guerra con la carta stampata,
ma non viceversa. Ci possono essere
spazi per entrambi e campi specifi-
ci che è inutile invadere. Alla carta
stampata manca di sicuro un’interat-
tività veloce. Credo però che se la car-
ta stampata scomparisse, ci troverem-
mo tutti più poveri. Alcuni educatori
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Marzo 2018

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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mi chiedono: «Perché non sostituisci
Mondo Erre con una App?». Io ri-
spondo sempre: «Perché non gli togli
il telefonino e non gli dai in mano una
buona rivista?».
C’è un maggiore valore
educativo nella lettura?
Leggere vuol dire trovare momenti di
solitudine personale in cui incontrarsi
con chi ha trovato spazi di solitudine
per scrivere proprio a te. È questo mi-
sterioso contatto a generare una vera e
propria forza educativa. Molto più di
un po’ di gossip o di qualche curiosità
spizzicata dalla rete.
Come vedi il futuro
della stampa salesiana?
Bello ma faticoso. Non nascondo che
le preoccupazioni ci siano, di natura
economica e di progetto. Ma sono
sicuro che i Salesiani continueranno
a scommettere in ciò che don Bosco
chiamava “la buona stampa” e che
considerava come uno dei fini prin-
cipali della Congregazione. In fin
dei conti scrivere non è altro che farsi
imitatori di Colui che in principio era
la Parola.
Fa’ qualcosa di DIVERSO
diventa SALESIANO
Marzo 2018
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3.2 Page 22

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GLI INVISIBILI
B.F.
Le donne
studio, suo padre si tolse la vita. «L’industria del
tabacco genera contratti abusivi per gli agricolto-
ri che producono la materia prima. Molti non lo
sopportano e cadono in pesanti depressioni».
Ogni mese, Yasmin Beczabeth López (San Pedro
cambieranno Sula, Honduras) deve verificare se il suo telefono
cellulare è stato “visitato” da estranei. Fa parte del
Coordinamento generale del Consiglio per lo svi-
luppo delle donne contadine nel suo paese e cura la
formazione politica di 6000 persone in otto diversi
il mondo
dipartimenti dell’Honduras. Tra i suoi obiettivi
c’è quello di ottenere la proprietà della terra per
le donne, denunciare i casi di violenza domestica
e rafforzare la loro attività agroecologica. «La per-
secuzione del movimento contadino in Honduras
è totale e soprattutto i leader sono presi di mira».
In molte parti del mondo, essere donna significa A Deolinda Carrizo (Santiago del Estero, Argen-
sfruttamento e umiliazione, ma sono sempre
più numerose quelle che rialzano la testa.
tina) nel 2003 hanno bruciato la casa, nel 2006
hanno arrestato sei membri della famiglia accu-
sati di “possesso di armi da guerra” e negli
ultimi anni ha sepolto due compa-
E usebia Ortega Alvarato aveva meno di
trent’anni, due figli in casa e uno in arrivo
quando morì suo padre. L’uomo posse-
deva un podere nella sierra Mizteca, una
zona montagnosa di Oaxaca, nel sudest
del Messico. Ad Eusebia non toccò nean-
gni, Cristian Ferreira nel 2011
e Miguel Galván nel
2012. «Il loro crimi-
ne: voler vivere
a coltivare la
stessa terra in
che un centimetro di terra. «Mia madre fu privata cui sono nati e
della sua terra solo perché era donna, giovane e che sono desiderate
indigena» dice sua figlia Jessica.
dai grandi proprie-
Iridiani Graciele Seibert (Santa Catalina, Brasile) tari terrieri del nord,
già da piccola, si prese la famiglia sulle spalle per nella zona del grande
coltivare manioca, mais, fagioli, frutta e tabacco, semiarido Chaco».
fino a quando lasciò la campagna per studiare in Yasmin, Deolinda e Iridiani con-
Venezuela con una borsa di studio per contadini. dividono lo stesso sogno: vivere in
Ora lavora per l’organizzazione che si propone di campagna e nei loro paesi di na-
migliorare la vita dei contadini.
scita. Un semplice sogno che le ha
Tuttavia, la sua voce si spezza e gli occhi si spen- portate a essere minacciate, a ve-
gono quando esamina la sua esperienza persona- dere le loro case bruciate e persino
le. «La mia lotta non è per possedere la terra ma l’assassinio di compagni e parenti.
per il mantenimento di una vita sana e sicura per Hanno tessuto allean-
i contadini del mio paese». Durante i suoi anni di ze internazionali in
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modo che il loro sogno non diventi un incubo. La
VII Conferenza Internazionale della Via Campe-
sina tenutasi a Derio, in Bizkaia, ha riunito più di
500 leader campesini di 43 paesi e in particolare di
organizzazioni femminili e giovanili. «Se dobbia-
mo dare la vita per garantire gli altri, sarà valsa la
pena», dice Yasmin.
Alla fine di un incontro a Lempira, una regio-
ne nell’ovest dell’Honduras, hanno assassinato
una delle loro compagne, Adriana García, di 59
anni. «All’inizio eravamo minacciate dai mariti
delle donne che avevamo aiutato. Adesso anche
dagli uomini d’affari», denuncia Yasmin. Ma il
suo tono di voce è ancora morbido, il suo sguar-
do non si spegne quando ricorda chi non c’è più.
«Non abbiamo più paura. Se le minacce servono a
fare in modo che altre vite non siano perse, allora
ne varrà la pena», ripete. È la realtà in cui è nata,
con cui è cresciuta e in cui cerca alternative
per una riforma agraria che consenta
l’esistenza di piccoli agricoltori.
In Africa e in America Latina,
meno del 10 per cento del territorio
è di proprietà delle donne e, d’altro
canto, sono le donne a portare cibo
in tavola, a crescere i figli e a soppor-
tare fisicamente le conseguenze del cam-
biamento climatico in agricoltura. Il capo
della ha detto: «Possono passare molte
ore al giorno alla ricerca di acqua in periodi
di siccità e quindi hanno bisogno di cam-
minare per molti chilometri portando un
secchio d’acqua sulle loro spalle. Ho vi-
sto con gli occhi – continua Silva – il
sollievo delle donne di una piccola
città in Brasile quando abbiamo
portato l’acqua nelle loro case:
prima, impiegavano otto ore al
giorno per raccogliere la quan-
tità di acqua necessaria per la
famiglia. All’improvviso, hanno
avuto un sacco di tempo per svol-
gere altri compiti, hanno avuto perfino del tem-
po per loro stesse». Risultato: in poche settimane
quelle donne, liberate dalla schiavitù quotidiana,
hanno aperto negozi e altre piccole imprese.
Bosconia: amare è donarsi
«Mi sono chiesta molte volte: che cosa significa
amare?» scrive Sylwia Grzęda, volontaria polacca,
che ha lavorato per un anno a Piura, in Perù. «Il
mondo abusa del termine amore, senza riflettere.
Quando sono andata a Piura, qualcuno mi regalò
un biglietto con una frase del libro di Osea: “Ti
porterò nel deserto e parlerò al tuo cuore”. Infatti
sono poi andata nel deserto di Piura, dove i Sale-
siani hanno costruito Bosconia, una grande opera
per i poveri. È in questo luogo che ho imparato il
significato della parola amore».
«La mia missione è stata quella di stare nei quar-
tieri poveri, in pieno deserto. Ho trovato monta-
gne di spazzatura e nuvole di polvere. Centinaia
di case attaccate l’una all’altra, abilmente improv-
visate. Ascoltavo le risate dei bambini. Ogni notte
si sentivano le risse dei genitori ubriachi e dei colpi
di pistola, forse il rammarico di alcuni giovani che
hanno fatto della droga il loro cibo quotidiano.
Assaporai il fallimento quando, dopo mesi passa-
ti ad insegnare le regole di base della grammatica,
Mariana, di 15 anni ancora non distingueva so-
stantivi e verbi. Provai paura quando Joel raccon-
tò del gruppo di rapinatori che gli aveva puntato
una pistola alla testa per rubargli il cellulare. Vidi
lo shock addosso a Nayeli per le botte che le dava
il padre.
Tornai a chiedermi, ma dove s’impara ad amare?
La mia risposta era così vicina… Il luogo si chia-
mava Bosconia. Attraverso la preghiera e l’Eu-
caristia, ho imparato ad amare come Gesù. Mi
sentivo gioiosa e felice quando le mie spalle mi
dolevano per le centinaia di abbracci di bambini
che chiedevano un po’ di tenerezza. Ho dovuto
asciugarmi le lacrime quando Gladys mi ha detto:
“Sei come una mamma per me”».
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A TU PER TU
LINDA PERINO
Missione speciale:
arcivescovo in Marocco
Il salesiano spagnolo don
Cristóbal López è stato
nominato pochi mesi fa dal
Santo Padre arcivescovo
di Rabat, in Marocco. Ha
una sola priorità per il suo
nuovo incarico: “Amare le
persone”. Missione che,
per lui, consiste nel vivere
“la fratellanza tra cristiani
e musulmani e aver cura
dei più poveri e bisognosi,
che in questo momento
lì sono i migranti”.
Qual è stato il primo
pensiero quando ha
saputo della nomina ad
Arcivescovo di Rabat?
“Mio Dio, che cosa mi capita! Più che
pensieri, ho provato un sentimento
di paura e tremore, di incapacità e
indegnità... ma anche di fiducia per-
ché il Signore mi dice: “Non temere,
io sono con te”. E anche una certa
gioia, perché tornare in Marocco per
IL SUO PRIMO DOCUMENTO UFFICIALE
Carissimi amici e amiche:
Oggi, a mezzogiorno, è stato reso pubblico che papa Francesco mi ha nominato Vescovo
dell’Arcidiocesi di Rabat (Marocco). Questo significa che in breve tempo (probabilmente
entro il 31 gennaio, festa di don Bosco) lascerò la mia missione attuale come Ispettore
salesiano dell’Ispettoria Maria Ausiliatrice e a marzo riceverò la Consacrazione episcopale.
Qualcuno avrà la tentazione di felicitarsi con me: resista trasformandola in preghiera per
questo povero peccatore che adesso è stato chiamato a un nuovo servizio nella Chiesa. Con-
to, davvero, su questo da parte vostra e spero che, anche in questa mia nuova destinazione e
missione, la nostra amicizia sarà non solo conservata ma anche
rafforzata. Un grande abbraccio.
me è anche tornare a casa, e perché
amo quella Chiesa di cui mi sono
innamorato e che mi ha fatto inna-
morare. Ho sentito il dilemma tra il
dire sì o no alla chiamata che Dio mi
faceva attraverso la Chiesa. Ho anche
sentito il peso della responsabilità e la
vertigine dell’inadeguatezza. La Pa-
rola di Dio, che in quei giorni risuo-
nava più volte con un “Non temere,
io sono con te”, mi ha aiutato a dare
l’unica risposta coerente con la mia
scelta di vita davanti ad un Dio che
mi ama.
Nel suo personale
Magnificat a «Grandi cose
ha fatto in me l’Onnipotente»
che cosa sente di dire?
Nella lista delle grandi cose che il
Signore ha fatto in me, non metto
la nomina a vescovo, né il sacerdo-
zio, né la chiamata alla vita religiosa.
La più grande meraviglia che Dio ci
fa è la chiamata all’esistenza, e non
a un’esistenza qualunque, ma come
suoi figli.
Siamo figli di Dio! Può esserci qual-
cosa di più grande e più sublime? Per
questo mi fanno ridere quelli che par-
lano di “promozione” ed “elevazione”.
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Marzo 2018

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Don Cristóbal nel suo elemento
naturale: i giovani. Ma ora deve
allargare il cuore per abbracciare una
diocesi grande quasi come la Spagna.
Nella sua vita
salesiana ha avuto
esperienze sufficienti
per almeno sette vite.
Quali sono state le
più arricchenti?
Metterei al primo posto il la-
voro con i più poveri di etnia
zingara, in un quartiere molto
sfavorito di Barcellona. Poi
l’incontro con la religiosità
popolare in America Latina, la sco-
perta della Chiesa del Marocco, pic-
cola e priva di ogni potere, ma molto
significativa perché è veramente un
segno, una luce, una presenza del
Regno e infine il lavoro di accompa-
gnamento dei giovani del Movimento
Giovanile Salesiano e dei miei fratelli
salesiani da ispettore.
Com’è nata la sua
vocazione?
Quando sono entrato nel collegio sa-
lesiano di Badalona (Barcellona), io,
che volevo essere un insegnante, sono
stato conquistato dal modo di essere
insegnanti dei salesiani.
Accettavo tutte le proposte che mi
facevano i Salesiani e tra quelle ho
anche avuto quella di diventare io un
salesiano... e ho detto “sì”, per la pri-
ma volta a 12 anni.
Perché proprio “salesiano”?
Essere e crescere come persona, cri-
stiano e salesiano è qualcosa che sen-
to in me come un tutt’uno fortemente
integrato: tutto questo forma un so-
lido “io”. Cristiano e salesiano sono
come le due facce della stessa moneta:
non si possono separare.
Com’è la sua futura
arcidiocesi di Rabat?
La conosce?
Ci ho vissuto per quasi otto anni.
Sono stato parroco lì e ho fatto par-
te del Consiglio Presbiterale e del
Consiglio dell’Educazione Cattolica.
Conosco metà dei sacerdoti e dei reli-
giosi, che non superano i 40, in tota-
le, e un buon numero di religiose, che
sono circa un centinaio.
Geograficamente la sua estensione è
quasi pari a tutta la Spagna. Per nu-
mero di abitanti, oltre 30 milioni. I
cristiani cattolici… forse 30 000, tutti
stranieri, europei o sub-sahariani, ma
ci sono anche alcuni asiatici.
L’arcidiocesi gestisce 15 scuole catto-
liche con circa 15 000 studenti, prati-
camente tutti musulmani, e numerose
opere sociali, in particolare at-
traverso la Caritas. Si ha molta
cura dei migranti che cercano
di raggiungere l’Europa...
Inoltre viene portata avan-
ti un’importante missione
evangelizzatrice e catechetica
tra gli studenti universitari
subsahariani, che sono nume-
rosi e sono il sostentamento di
molte delle piccole comunità
cristiane sparse nell’enorme
territorio diocesano.
Il dialogo interreligioso è vis-
suto a tutti i livelli, ma soprat-
tutto in quello della vita quo-
tidiana, nell’amicizia e nell’incontro
tra le persone.
E insieme ai cristiani protestanti,
l’arcidiocesi promuove un Istituto
Ecumenico di Formazione Teologica
e Pastorale chiamato “Al Muwafaka”
(Insieme), specializzato nel dialo-
go interreligioso e nella conoscenza
dell’Islam. Un’esperienza originale
e senza precedenti, credo, in tutta la
Chiesa.
Si può dialogare
con i musulmani?
E anche tanto. Ma il dialogo non deve
essere inteso come discussione e dibat-
tito su questioni religiose e teologiche
che cercano di convincere l’altro che
ho ragione. Il dialogo interreligioso
cresce, a un primo livello, nella vita
quotidiana: l’amicizia, la condivisione,
essere buoni vicini, mangiare e diver-
tirsi insieme, stimarsi e apprezzare la
comunione e l’aiuto reciproco.
A un secondo livello, stiamo lavoran-
do insieme per le grandi cause dell’u-
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A TU PER TU
DON CRISTÓBAL LÓPEZ ROMERO
manità (noi diremmo per il Regno
di Dio): la dignità, i diritti umani, la
lotta per la giustizia e l’uguaglianza,
istruzione e sanità per tutti, la batta-
glia contro la fame e le discriminazio-
ni di ogni tipo, contro la schiavitù e la
pena di morte, contro lo sfruttamento
minorile...
Il terzo livello è teologico. Si tratta
di condividere la fede in cui ciascuno
crede, spiegandola, cercando di capire
l’altro e arricchendoci reciprocamente.
Infine, il livello più alto, quello misti-
co-religioso. Consiste soprattutto nel
pregare insieme, anche se ciascuno lo
fa nella propria lingua e nella propria
maniera.
I primi due livelli sono già largamen-
te sperimentati in Marocco. Il terzo
è considerato più per gli studiosi, ma
anche le persone più semplici e sensi-
bili possono apprezzarlo. Il livello mi-
stico è il più importante, ma è anche
il più delicato. Forse per questo piace
a pochi.
È nato il 19 maggio 1952 a Vélez-Rubio, diocesi di Almeria Spagna. È entrato nella Famiglia
Salesiana nel 1964. Dopo aver completato gli studi secondari nel Seminario Salesiano di
Gerona, è entrato nel Seminario Salesiano di Barcellona, dove ha studiato Filosofia e Teo-
logia. Ha ottenuto una Licenza in Scienze dell’Informazione, sezione Giornalismo, presso
l’Università Autonoma di Barcellona (1982).
Ha fatto la professione perpetua il 2 agosto 1974. È stato ordinato sacerdote il 19 maggio
1979.
Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Ministero in favore degli
emarginati ne La Verneda, a Barcellona; Pastorale giovanile nel Collegio Salesiano di Asun-
ción (Paraguay); Delegato provinciale della pastorale giovanile vocazionale ad Asunción;
Direttore del Bollettino Salesiano ad Asunción; Parroco ad Asunción; Provinciale della Pro-
vincia Salesiana del Paraguay; Direttore della Comunità, pastorale e docente nel Collegio di
Asunción; Ministero nelle Missioni in Paraguay; Direttore della Comunità, della pastorale
parrocchiale e scolastica nel Centro di formazione professionale a Kénitra, Marocco; Pro-
vinciale della Provincia Salesiana di Bolivia; dal 2014: Provinciale della Provincia Salesiana
di María Auxiliadora in Spagna.
Che cosa possono fare i
salesiani nel mondo arabo
nord africano?
Tutto quello che un salesiano può e
deve fare in qualsiasi altro posto: ama-
re i giovani, educare evangelizzando
ed evangelizzare educando, tenendo
sempre ben presente che il testimone
è il primo e principale strumento di
evangelizzazione, formare onesti cit-
tadini, alcuni buoni cristiani e tanti
buoni musulmani.
Chi saranno i suoi primi
fedeli? Come vivono
“essere minoranza” i
cattolici marocchini?
Non ci sono cattolici marocchini, sal-
vo alcune eccezioni. La Chiesa che è
in Marocco è composta da stranieri
che si sentono accolti dai marocchini.
Essere un’“immensa minoranza” ci
porta ad essere più uniti, a vivere la
fede in modo più comunitario e meno
anonimo o individuale, a diventare
più consapevoli che la fede non è un
semplice elemento culturale o socio-
logico. Essere una minoranza aiuta a
essere più coerenti, più convinti, più
impegnati, più fraterni.
I miei primi fedeli? Si può chiedere a
una madre del suo bambino preferi-
to? In ogni caso, i poveri, i giovani, i
malati, i bisognosi (che siano cristia-
ni o no...) È questo il “tesoro della
Chiesa”.
«Conosco la mia futura diocesi: ci ho vissuto
per quasi otto anni. Sono stato parroco lì e
ho fatto parte del Consiglio Presbiterale e del
Consiglio dell’Educazione Cattolica. Conosco
metà dei sacerdoti e dei religiosi, che non
superano i 40, in totale, e un buon numero di
religiose, che sono circa un centinaio».
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IN PRIMA LINEA
P. VÍCTOR CASTAGNA, MISSIONARIO A SAN PEDRO CARCHÁ, GUATEMALA
Gli angeli cantano
in q’eqchí Era il giorno della Prima Comunione
e la bambina non era venuta in chiesa
A nche quest’anno, nel mese di novembre, ho visitato il villaggio
di Tipulkán. Nei villaggi il tempo non passa mai, tutto
è sempre uguale e immutabile. Questa volta ho sentito
qualcosa di diverso, come se la pioggia che cadeva dal
cielo intridesse anche il mio cuore, impregnando i
miei giorni di stanchezza e stupore.
Tre anni fa, in questo stesso posto avevo conosciuto una bam-
bina speciale, Viviana Chaman Tun. Mi recai a casa sua perché
era il giorno della Prima Comunione e lei non era venuta nella
cappella. Entrando in casa ho visto questa bambina tenera e
semplice, con i grandi occhi pieni di felicità. La prima cosa
che mi ha detto è stata: «Posso ricevere Gesù?».
Il dolore e le ferite di questo piccolo angelo erano come
quelli di Cristo in croce. Volevo uscire di casa e piangere.
La sua sofferenza e la sua fragilità erano un arcobaleno
di serenità e pace che mi scuoteva.
Dopo essersi confessata, Viviana ha ricevuto Gesù
per la prima, unica e ultima volta.
Pochi giorni dopo fu portata urgentemente in un
ospedale della capitale. La luce dei suoi occhi si sta-
va spegnendo lentamente. Prima di morire disse a sua
madre: «Se morirò andrò in paradiso, perché Padre
Victor mi ha dato la mia prima comunione».
Le avevo regalato un libro di canti in lingua q’eqchí e
cantava dal suo letto. Stringeva il libro e diceva: «Con
questo, vado a cantare con gli angeli».
Il giorno del suo funerale il libro era al suo fianco.
Io adesso sono sicuro che gli angeli cantano anche in
q’eqchí.
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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Un quartiere
alla fine del mondo
In una periferia
portoghese, le Figlie
di Maria Ausiliatrice
cercano di essere un
segno concreto
di interculturalità che
si pone accanto ai giovani
più poveri, incominciando
da una singolare Ludoteca.
La suora nel graffito
Un graffito rappresenta una suora
con una ragazza, su di esso si legge:
“Con te abbiamo imparato, siamo
cresciuti. Grazie!” (https://youtu.be/
FmFoQb6JcZc). Inciso su una parete
di un edificio di un quartiere porto-
ghese, è un perenne segno di grati-
tudine a suor Elvira Silva, alle Figlie
di Maria Ausiliatrice, agli amici e ai
volontari che si pongono accanto ai
più poveri ascoltandoli con cuore sa-
lesiano.
Tutto è iniziato quaranta anni fa con
la passione missionaria di suor Elvira
che, a piedi da Cascais, dopo l’inse-
gnamento e le varie responsabilità
che aveva, giungeva nel quartiere di-
sagiato di Estoril per stare insieme ai
più poveri che vivevano nelle tende. Il
quartiere era conosciuto come il “Bai-
ro Do Fim Do Mundo”: quartiere alla
fine del mondo, in quanto era uno spa-
zio immenso composto da baracche,
la maggior parte occupate da famiglie
di zingari, le quali vivevano in condi-
zioni di estremo degrado umano.
Gradualmente, inizia la costruzione
di uno spazio poverissimo per far na-
scere una comunità interculturale che
potesse essere di aiuto alle famiglie
bisognose, accompagnare e sostenere
gli anziani, incoraggiare i giovani per
evitare che continuassero a vivere ai
margini della società. Così, nel 1992,
si è costituita la comunità Casa Nossa
Senhora de Fátima delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice; da quell’anno quattro
suore vivono in un appartamento del
quartiere e condividono il contesto
sociale e culturale della gente. Il nu-
cleo urbano, molto popolare, presenta
il volto di una povertà che ha svariati
nomi: solitudine, famiglie disgregate,
abbandono scolastico, disoccupazio-
ne, immigrazione clandestina, giova-
ni a rischio.
Questo è lo scenario di una delle pe-
riferie portoghesi, là dove le Figlie di
Maria Ausiliatrice cercano di essere
un segno concreto di intercultura-
lità che si pone accanto ai più biso-
gnosi, con una particolare attenzione
alle povertà del quartiere, mediante
l’educazione, soprattutto dei giova-
ni più poveri, sia a livello materiale
sia a livello spirituale: l’assenza della
famiglia equivale ad assenza di va-
lori, inoltre la mancanza del lavoro
e, ignorare che per ciascuno c’è un
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I giovani sentono la fiducia delle suore e degli
educatori e rispondono con gioia e impegno,
lasciandosi accompagnare da un sorriso che,
per ciascuno di loro, ci sarà sempre.
progetto di vita, conduce a non avere
prospettive di speranza per il presen-
te, tantomeno per il futuro.
Un sorriso senza prezzo
Insieme ai volontari, le suore provve-
dono alla raccolta di cibo, donato da
un supermercato locale, così distri-
buiscono i prodotti alimentari alle
famiglie disagiate con il sorriso che,
come quello di ogni essere umano, è
inestimabile e facilita l’incontro con
coloro che hanno davvero bisogno di
riceverlo perché in loro si accenda la
passione per la vita.
Le famiglie, ci spiega suor Alzira
Sousa, sono perlopiù composte da
zingari o sono di origine africana,
non sono in grado di comprendere il
valore dello studio, pertanto si regi-
stra un grande abbandono scolastico.
Un’ulteriore problematica riguarda le
ragazze zingare, le quali vengono date
in matrimonio giovanissime; le sfide
educative sono tante e le Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice cercano di rispondervi
anche con la Ludoteca da Galiza, uno
spazio educativo informale che vuole
raggiungere le varie fasce di età nel loro
tempo libero. La ludoteca è paragona-
bile ad un oratorio salesiano, quindi
favorisce esperienze di socializzazio-
ne e di amicizia, svolge una funzio-
ne educativa, offre attività ricreative,
formative e culturali, tra cui il soste-
gno scolastico, ma ciò che distingue la
ludoteca dalle altre presenti nella zona
è il battito del cuore salesiano che pul-
sa in ogni attività, crea famiglia e fa
sentire ciascuno amato personalmente.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice col-
laborano anche con il Settore di in-
tervento sociale del comune, e que-
sto permette loro di fare formazione
e orientamento a tanti giovani ma,
principalmente, di donare sguardi di
speranza verso ragazzi che, secondo
le statistiche, sono definiti solo come
coloro che, da generazioni, non la-
vorano e non studiano, non hanno
competenze lavorative e sono privi
di grandi orizzonti esistenziali; per
loro non c’è alcun futuro. Scoraggiati
dalle proprie famiglie e dall’ambien-
te, i ragazzi non hanno opportunità
per cambiare e per costruirsi una vita
dignitosa, per tale motivo sono facile
preda dei narcotrafficanti.
Ma quanto detto è spesso smentito
dalla vita: sono tanti i giovani che
frequentano la Ludoteca da Galiza e
che gradatamente maturano, tanto
da diventare a loro volta educatori e
figure di riferimento per altri bam-
bini e ragazzi a rischio. La crescita
avviene perché i giovani sentono la
fiducia delle suore e degli educato-
ri e rispondono con gioia ed impe-
gno, lasciandosi accompagnare da
un sorriso che, per ciascuno di loro,
ci sarà sempre, perché, come affer-
mava Madre Teresa di Calcutta: Non
sapremo mai quanto bene può fare un
semplice sorriso!
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3.10 Page 30

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I NOSTRI EROI
TERESIO BOSCO
La gente lo chiamava
«o padre santo»
Don Rodolfo Komorek
(11 agosto 1890-11 dicembre 1949)
L avrinhas è una piccola città
dello stato di Sào Paulo, in
Brasile. Nel 1939 ospita una
casa per aspiranti salesiani e
lo studentato per giovani sa-
lesiani studenti di filosofia. È
direttore don Ladislao Paz, che diven-
terà vescovo di Corumbà. Un giorno
don Paz sta accompagnando alla sta-
zione ferroviaria un salesiano che ha
predicato il ritiro agli aspiranti. Ed
ecco che, davanti a lui, scorge una veste
nera di prete sormontata da uno strano
oggetto lucente. Accelera il passo. È
lui stesso a raccontare: «Quale non fu
la mia sorpresa quando vidi padre Ro-
dolfo con in testa uno scatolone di lat-
ta colmo d’acqua. Quegli scatoloni di
latta servivano ai poveri come secchi.
Accanto a padre Rodolfo infatti cam-
minava una donna povera, giovane,
che era venuta chissà da quale baracca
ad attingere acqua. Padre Rodolfo, per
sollevarla da quel grave peso, l’aveva
preso in testa lui. Feci finta di niente,
ma tornando lo chiamai: “Padre Ro-
dolfo, questo non si fa. Lei non cono-
sce quella signora, non sa chi è. Chissà
cosa avrà pensato la gente passandole
accanto. Non faccia più così”. Subito
egli rispose: “Molte grazie, direttore,
molte grazie. Non lo farò più”».
Non portò più il povero secchio di
donne sconosciute, ma il direttore
(che si confessava ogni settimana da
lui) si affretta ad aggiungere: «C’era-
no muratori nella nostra casa, anche
ragazzotti, che portando mattoni e
spingendo carriole si stancavano mol-
to. E lui, quando passava lì vicino,
andava a strappare dalle loro mani la
carriola, il mucchio di matto-
ni, la secchia di calce, e li
portava lui».
Passando di centro in
centro alle volte restava
senza cibo. Una volta, a
scuola, un’alunna fece la
sua colazione molto povera:
alcune patate. Lasciò le
bucce sopra la cartella.
Poi, per caso, vide padre
Rodolfo raccogliere quel
resto di cibo e alimentarsi
con quello.
Facciata della cappella dove sono custoditi i resti
mortali di don Rodolfo Komorek.
A pagina seguente: una delle vetrate che
raccontano la sua vita.
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Marzo 2018

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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bene, lo amavano molto, e fin da allora
lo chiamavano un san Luigi».
22 luglio 1913. Dal cardinale Kopp,
Rodolfo Komorek è ordinato sacerdo-
te. Ha 23 anni. E sull’orizzonte del
mondo sta per affacciarsi la tragica
«prima guerra mondiale».
Attorno a Bielsko ci sono piccoli ag-
glomerati urbani: Strumien, Zagrzeb...
Per dodici mesi don Rodolfo è prete
tra quella mite gente contadina. Ma
il 28 luglio 1914 le truppe austriache
invadono la Serbia, e quattro giorni
dopo la Germania è in guerra contro
la Russia e la Francia. Don Rodolfo
vede partire vestiti da soldato i suoi
giovani contadini, e chiede di seguirli
come prete.
I ricordi di Wanda
Rodolfo Komorek era nato nel 1890
a Bielsko, nella Slesia polacca (che al-
lora era austriaca). Fu il terzo dei set-
te figli di Giovanni e Agnese Goch,
due coniugi veramente cristiani. Papà
faceva il fabbro e lavorava duramente
per mantenere la famiglia. Mamma
Agnese era l’ostetrica del paese, e la-
vorava anche come sarta. La sua gior-
nata si apriva sempre con la Messa.
A 19 anni (mentre il fratello Roberto si
avvia a diventare ingegnere, la sorella
Wanda professoressa, Giovanni mu-
sicista), Rodolfo entra nel seminario
arcivescovile di Weidenau. In tutta la
sua vita, Rodolfo non avrà mai un mo-
mento di incertezza, di sbandamento.
Lo riconoscono tutti: «Sembrava nato
per fare il sacerdote». La sorella Wan-
da scrive: «In famiglia era quello che
metteva pace tra di noi, quando come
in ogni famiglia si litigava un po’. A
scuola aveva ottimi voti. In semina-
rio, per la sua bontà, tutti gli volevano
In prima linea
È cappellano negli ospedali militari di
Cracovia. Qui vede rovesciarsi la marea
dei feriti delle battaglie di Tannenberg,
dei laghi Masuri, di Leopoli, i dilania-
ti dalle granate nella fortezza austriaca
di Przemysl. Il fratello Roberto scrive:
«L’ho visitato una volta all’ospedale di
Cracovia durante una mia licenza dal
fronte. I malati lo amavano molto. Sta-
va sempre in mezzo a loro, cercando di
alleggerire le loro sofferenze».
La sua porta era sempre aperta,
e tutto quel che aveva era per darlo agli
altri. Ogni volta che un povero bussava
alla sua porta, riceveva da padre Rodolfo
quel che egli aveva in mano
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4.2 Page 32

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II NNOOSTSRTI RERI OEIROI
Ma negli ospedali gli sembra di essere
un imboscato, e chiede di essere man-
dato come cappellano in prima linea.
Raggiunge le truppe del Tirolo. Gli
verrà assegnata la medaglia al valore
della Croce Rossa. Nella motivazione
si legge: «Raro esempio di sacerdote
che si consuma in maniera ideale per
gli impegni della propria vocazione».
È mentre vede morire accanto a sé
tanti giovani, che nel suo cuore matu-
ra il desiderio di consacrarsi maggior-
mente al Signore e ai suoi fratelli: an-
drà nelle missioni, dove tanti polacchi
sopravvissuti alla guerra emigreranno
per trovare una vita meno stentata, tra
pericoli fisici e spirituali. Entrerà tra i
Salesiani, che hanno missioni in tutto
il mondo.
Alla fine del 1919 don Rodolfo è no-
minato parroco a Frystak. Di lì, egli
scrive al cardinale Bertran chiedendo
il permesso di entrare tra i Salesia-
ni. La risposta è umile e grave: «II
Cardinale le concede il permesso con
sincero dolore nel cuore. La supplica
tuttavia che resti nella diocesi, in vista
della grande mancanza di sacerdoti».
Rimase fino al 1922, lavorando e
facendo penitenza per i suoi par-
rocchiani. «Dormiva sulla dura pan-
ca, coperto da una semplice coperta.
Portando un giorno l’Eucarestia a
un malato, notò che era tanto povero
che non aveva di che coprirsi. Tornò
a casa, prese la sua unica coperta e la
portò a quel malato. Egli si copriva
anche di notte con il cappotto. Cam-
minando per strada era sempre molto
modesto. Tutti i passanti, cattolici o
no, e persino gli ebrei, lo salutavano,
dicendo che era un uomo santo. Il suo
confessionale era sempre molto affol-
lato. Era sempre molto affabile con la
gente. Amava molto i bambini».
18 gennaio 1922. È la giornata più
dolorosa per don Rodolfo. Muore la
sua carissima mamma Agnese. Ora
non ha più nulla che lo trattenga. In
ottobre don Komorek, 32 anni, da 9
sacerdote, inizia il noviziato salesiano
e presenta la domanda di partire per
le missioni. In uno dei primi giorni,
il maestro dei novizi si sente doman-
dare da lui il permesso di dormire sul
pavimento: «Da sei anni lo faccio, e ci
sono ormai abituato».
Dal Brasile è giunta la richiesta di
avere alcuni sacerdoti che si prenda-
no cura degli emigrati polacchi, e la
domanda di don Rodolfo è accettata.
Scende a Torino, dove riceve il Cro-
cifisso dei missionari partenti dalle
mani del beato don Rinaldi.
Tra gli emigrati polacchi
27 novembre 1924. Padre Rodolfo
giunge a Rio de Janeiro, ed è inviato
a lavorare nelle scuole e nella cappella
della comunità polacca a San Felicia-
no, una colonia del Rio Grande do
Sul. «Per i coloni fu un angelo con-
solatore. Preparava alla prima Co-
munione i bambini di una decina di
scuole che avevamo aperto nei diversi
centri della colonia. Diverse volte la
settimana viaggiava a cavallo per as-
sistere i malati nei centri, portando
loro il Viatico. Nelle case dei malati
trovava molta gente riunita, e ne ap-
profittava per parlare di Gesù. Nel
pomeriggio riuniva la gente vicino
alla chiesa per la predica e la recita del
rosario. Faceva molte penitenze. Pas-
sando di centro in centro alle volte re-
stava senza cibo. Una volta, a scuola,
un’alunna fece la sua colazione molto
povera: alcune patate. Lasciò le bucce
sopra la cartella. Poi, per caso, vide
padre Rodolfo raccogliere quel resto
di cibo e alimentarsi con quello».
È in questi anni che i cristiani tra
cui lavora con la solita, assoluta dedi-
zione, cominciano a chiamarlo «o pa-
dre santo». Quando le persone sem-
plici lo chiamano così, diventa molto
serio e risponde: «Io sono padre Ro-
dolfo, grande peccatore».
Giugno 1936. Padre Rodolfo ha 46
anni, e la sua salute, sottoposta a
strapazzi considerevoli da quando
è prete (cioè da 23 anni) comincia a
scarseggiare. È venuto a mancare il
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Marzo 2018

4.3 Page 33

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confessore allo studentato per gio-
vani salesiani studenti a Lavrinhas.
L’ispettore pensa di mandarvi padre
Rodolfo: nessuno più di lui può edu-
care a una vita sacrificata e santa quei
giovanissimi salesiani.
Padre Rodolfo saluta i suoi cari emi-
grati e, senza una parola di lamento,
fa l’obbedienza. L’ispettore scrive al
direttore don Ladislao Paz: «Ho la
convinzione di mandarvi un santo».
Don Ladislao si accorge presto che
non si tratta di un’esagerazione. Scrive:
«Prima e dopo le confessioni pregava a
lungo. Il suo confessionale era sempre
circondato da molte persone che lo cer-
cavano per poter ricevere l’assoluzione
e i consigli appropriati che dava, brevi,
incisivi e pratici. Io mi confessavo da
lui ogni settimana. Durante la notte,
come direttore, ero obbligato a fare un
giro per la casa. Mi accorgevo molte
volte che nella cappella c’era una luce
accesa. Avvicinandomi, vedevo padre
Rodolfo disteso per terra con le braccia
aperte in croce. Pregava lì».
Non era solo confessore. Gli diedero
28 ore di insegnamento alla settimana.
Quando si presentava qualcuno a cer-
care un prete per assistere un malato –
ricorda don Paz – egli era il primo ad
offrirsi. Correva in sacrestia a prende-
re il Santissimo nella teca, prendeva il
cavallo per le redini e andava. Lungo
il viaggio recitava il rosario. A volte
doveva raggiungere capanne lontane,
su colline alte e senza strade. Ma lui
andava, piovesse o facesse sole, sgra-
nando quel suo rosario nero, già mol-
to usato e sciupato, che non volle mai
cambiare con un altro».
Gennaio 1941. La salute di padre Ro-
dolfo è seriamente compromessa. Una
tosse ostinata lo logora giorno e notte.
È inviato alla residenza salesiana di
S. José do Campos, casa di salute.
Una visita accurata dello specialista
toglie ogni dubbio: i suoi polmoni
sono colpiti gravemente dalla tuber-
colosi. Non può più tornare a Lavrin-
has. Deve fermarsi a S. José perché
solo una cura radicale può allungargli
la vita.
Alcune delle altre vetrate artistiche
della chiesa parrocchiale dove operò
il venerabile Rodolfo Komorek.
Alle soglie del cielo
Nel dicembre 1942 arriva in quella
stessa casa di salute un giovane sa-
cerdote che diventerà vescovo, don
Giovanni Marchesi. Ricorda padre
Rodolfo così: «Lo incontrai e fui
molto lieto di vivere accanto a un
santo. Pur malato, lavorava l’intero
giorno al ministero sacerdotale. La
Santa Casa (ritiro dei vecchi) di cui
era il cappellano, e il sanatorio “Vi-
centina Aranha” erano il campo del
suo apostolato. Quanti tubercolotici
assistette! Alcuni, prima indifferen-
ti, finivano per ricevere i sacramenti
dal “padre santo”, come lo chiama-
vano. Impressionava la sua povertà.
Dormiva su tre tavole di legno, con
una coperta vecchissima e alcuni
soprabiti logori per coprirsi. La sua
umiltà era immensa: sempre l’ultimo
di tutti».
Suor Maria Faleiros, che gli fu ac-
canto nelle ultime ore, ha testi-
moniato: «Voleva che le sue medici-
ne, ormai inutili diceva, le dessimo
ai poveri che non riuscivano a pro-
curarsele. Non ebbe mai un attimo
di impazienza. Nelle ultime ore mi
disse preoccupato: “Suora, è duro
morire. Non sapevo che fosse così”.
Alla vigilia della morte chiese al
suo superiore i sacramenti in forma
privata, senza disturbare nessuno.
Dopo l’Unzione degli Infermi era
sereno, calmo. Parlò un poco a bas-
sa voce, poi chiese che lo lasciassimo
pregare. Morì sette o otto ore dopo,
l’11 dicembre 1949».
La Chiesa ha riconosciuto le sue eroi-
che virtù cristiane, e l’ha dichiarato
«venerabile» nel 1995.
Marzo 2018
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
IL SALVATAGGIO
La barca del mondo naviga in acque agitate come mai. Ha bisogno di sostegno
per evitare il naufragio. Ad offrire tale sostegno mira la nostra proposta mensile.
3 Salviamo la fatica
Al termine di una conferenza, una persona del pubblico
domandò al sociologo che aveva parlato: «Secondo lei,
la nostra è davvero una gioventù bruciata
Il conferenziere, pronto: «Macché gioventù bruciata.
È gioventù bollita!».
re sempre lì, in agguato dietro l’an-
golo. Non considerarla, qualora poi
si concretizzasse, significa rischiare
di paralizzarsi, di non saper andare
avanti, di crescere, appunto.
Una sera, dopo un applaudi-
tissimo concerto, il maestro
Andrés Segovia, considerato
il più grande chitarrista di
tutti i tempi, fu avvicinato da
un ammiratore che, estasiato,
gli disse: «Maestro, darei la vita per
suonare come lei!». Andrés Segovia lo
fissò intensamente e rispose: «È esat-
tamente il prezzo che ho pagato io».
Per qualunque meta
il prezzo è salato
Il mio elogio della fatica, che si fonda
sull’impossibilità di eliminarla, nasce
dall’esperienza. Mi è veramente im-
possibile descrivere un’esistenza che
sia priva di fatica. Devo anzi dire che
in tutte le occasioni in cui mi sono
spinto ad analizzare nel dettaglio la
biografia di quegli uomini o donne, di
quei ragazzi, che sono diventati esem-
plari, poiché hanno vis-
suto il proprio tempo
con grande dignità,
arricchendolo di un
significato molto
positivo, ebbene,
ogni volta ho in-
contrato anche la
fatica, la loro fatica
perché queste vite
esemplari sono state
vite molto faticose.
Si deve guardare alla fa-
tica non come a un ostacolo,
bensì come a uno stimolo, a
una sferzata che ci prepara a non
retrocedere di fronte alle difficoltà.
Un vero e proprio allenamento per
imparare ad affrontarle e superarle.
Non è possibile raggiungere alcun
obiettivo saltando questo passaggio.
E non perché la fatica debba presen-
tarsi per forza, ma perché può esse-
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Marzo 2018

4.5 Page 35

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IL METODO DEMOSTENE IL METODO DYBALA
Demostene (384-322 a.C.) fu uno dei
più grandi oratori dell’antichità. All’inizio,
però, tutti lo deridevano. Ed avevano ra-
gione. Non sapeva fare i movimenti giusti
delle mani, della faccia, degli occhi; non
pronunciava bene le parole e, soprattutto,
balbettava.
Insomma uno meno adatto a parlare in
pubblico sarebbe stato difficile trovarlo.
Ma Demostene non si scoraggiò. Aveva
una grinta rocciosa. Si ritirò per qualche
anno, deciso a prepararsi alla perfezione.
Incominciò a studiare a memoria i discor-
si degli oratori più famosi che l’avevano
preceduto. Poi, per allargare i polmoni e
imparare a trattenere il respiro, si diede a
correre su e giù da una collina all’altra. Per
poter dominare, domani, il tumulto delle
assemblee, andò sulla spiaggia del mare e
si esercitò a superare il rumore delle onde
in tempesta. Arrivò persino a mettersi dei
sassolini in bocca per migliorare e forgiare
la pronuncia.
Finalmente si presentò al pubblico per i
dibattiti nei tribunali e nelle assemblee. Fu
un trionfo! Tutti lo applaudirono. Ormai era
diventato il più celebre e ammirato oratore
della Grecia.
Il metodo Demostene è il metodo Uomo!
In questo senso, la fatica porta a do-
tarsi di capacità che non sarebbero
richieste nell’ordinario. La fatica fun-
ziona come molla per acquisire capa-
cità a fare cose che potrebbe essere
necessario realizzare.
Se si possiedono tali capacità, si supe-
ra l’ostacolo e si prosegue il cammino:
il cammino verso un obiettivo, dun-
que verso la soddisfazione. In caso
contrario ci si ferma.
I genitori facchini
Oggi ogni sforzo è tenuto alla larga.
Se vi capita di trovarvi davanti a una
scuola elementare al mattino, prova-
te a osservare chi porta lo zaino dal
parcheggio all’ingresso. Sia all’entra-
ta sia all’uscita da scuola, quasi tutti i
Il calciatore Paulo Dybala ha costruito la sua
fortuna sul talento mancino, usando soprat-
tutto il piede sinistro. Ultimamente ha segna-
to due reti con il piede destro. Un segreto c’è
ed è legato agli allenamenti, tanti, nei quali
cerca di migliorare la potenza e la precisio-
ne dell’altro piede. Ma non solo, perché un
fuoriclasse come lui sa che per la perfezio-
ne serve una sensibilità superiore e allora si
dedica a un “allenamento” molto particolare
a casa sua. Una volta ogni due o tre giorni,
Dybala prende un foglio di carta e prova a
scrivere il suo nome tendendo la penna con
il piede destro: un modo per “educarlo”, ma
soprattutto per abituare il suo cervello a
usarlo meglio.
bambini si muovono in assoluta liber-
tà, seguiti poco distanti da genitori (o
nonni) facchini. Quando poi i figli (o
nipoti) sono più d’uno, capita di ve-
dere adulti con due zaini sulle spalle,
che possono anche diventare tre, se
per caso si invita a casa un amichetto.
Si potrebbe stendere una lunga lista
dei gesti automatici che ogni giorno
compiamo, spesso inconsapevolmen-
te, per preservare i ragazzi dalla fati-
ca. La nostra società sta diventando la
società della bambagia.
Da Bolzano a Palermo le madri e i
padri si rivolgono al figlio con l’unico
ritornello: “Te la senti, tesoro, di anda-
re a piedi?”. “Che cosa vuoi che facciamo
per cena?”. “Vuoi le patatine fritte o la
pizza?”. E così ecco i nostri ragazzi
con la grinta del pesce bollito. Alcu-
ni li hanno definiti ‘ragazzi-peluche’.
Gli psicologi parlano di ‘psicastenia’:
mancanza di resistenza alla fatica.
È urgente necessità riportare la fatica
nell’educazione, riportare il sacrificio
e la rinuncia non solo in quaresima.
Tenere i figli alla larga da ogni diffi-
coltà, da ogni fatica è truffarli.
La vita non è una crociera, non è una
Foto Shutterstock.com
scatola di cioccolatini, un lecca lecca
continuo.
Coglie pienamente nel segno lo scritto-
re Gaspare Barbiellini Amidei quando
dice che «I genitori troppo morbidi sono
quelli che fanno le peggiori ingiustizie al
figlio».
Tenere alla larga la fatica è preparare
l’infarto della volontà: l’infarto, cioè,
del primo “sponsor della vita”, per dirla
con Ambrogio Fogar, il grintoso na-
vigatore di oceani in solitaria. Tenere
il figlio alla larga da ogni fatica è al-
levare un tiranno di domani.
Tanti sono oggi gli specialisti in cer-
ca della medicina che possa guarire il
nostro mondo ammalato.
Alcuni puntano sulla ‘Bellezza’: “La
Bellezza salverà il mondo”, dicono.
Altri scommettono sulla ‘Gioia’: “Un
sorriso salverà il mondo”, ci mandano a
dire. Altri ancora puntano sulla ‘Te-
nerezza’: “una carezza salverà il mon-
do”, reclamizzano.
Noi siamo dell’opinione che solo un
supplemento di fatica può rimettere il
nostro mondo sulla giusta rotta: solo
la fatica porta al miracolo! Che ne
dite?
Marzo 2018
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4.6 Page 36

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4.7 Page 37

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pa che consente di individuare le risorse a dispo-
sizione per andare avanti.
Da questo punto di vista, il passato, se riguar-
dato con simpatia ed indulgenza, può divenire
un prezioso giacimento di senso da cui attingere
emozioni, energie e relazioni che contribuiscano
a dare valore al presente e a gettare le basi per
costruire il futuro. E la memoria, se recuperata
e coltivata nella sua valenza più autenticamente
costruttiva e riconciliatrice, può costituire un im-
portante fattore di radicamento che si opponga
alle tante forme di disorientamento che affliggo-
no la condizione giovanile.
Perché se è vero che il percorso verso l’adultità
si realizza attraverso la capacità di proiettarsi in
avanti, di costruire un ponte verso il futuro, su-
perando quei baratri e quei fallimenti che impe-
discono di crescere, per dar senso e continuità al
proprio cammino è altrettanto essenziale recupe-
rare la capacità di raccordare il presente al pas-
sato, ripercorrendo sul filo della memoria i passi
compiuti per diventare quel che si è.
Su una curva lungo il viaggio dei tuoi giorni
capirai che la versione dei ricordi
è polvere sul cuore da soffiare via.
E a ciascuno la sua scelta,
la risposta ai suoi perché,
perché adesso ognuno gioca per sé,
e a ciascuno dallo specchio
ascolta la sua verità,
purché resti muta l’altra metà...
Lo dico ad ogni casa,
ogni vetrina accesa,
al cane che mi annusa,
all’uomo e alla sua rosa.
Lo dico ai manifesti,
al mondo che ci ha visti,
per convincermi che è vera a tutti i costi
la mia versione dei ricordi,
perché sia vera a tutti i costi
la mia versione dei ricordi,
la mia versione dei ricordi...
(F. Gabbani, La mia versione dei ricordi, 2017)
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Quando Maria
volle una chiesa grande
Nuovi documenti per
la storia della costruzione
della chiesa di Maria
Ausiliatrice 150 anni fa.
“Ha fatto tutto lei, la
Madonna”, siamo
soliti leggere nella
letteratura spirituale
salesiana, per indi-
care che la Vergine
è stata all’origine di tutta la vicenda
di don Bosco; ma nessuno finora ha
saputo indicarne la fonte. Se invece
applichiamo l’espressione alla costru-
zione della chiesa di Maria Ausiliatri-
ce, inaugurata esattamente 150 anni
fa, essa trova un forte spessore di veri-
tà documentatissima, fermo restando
sempre che, accanto all’intervento ce-
leste, anche don Bosco ha fatto la sua
parte, eccome!
Il lancio dell’idea e prime
promesse di sussidi
(1863)
A fine gennaio-inizio febbraio 1863
don Bosco diffuse un’ampia circolare
circa lo scopo di una chiesa, intitola-
ta a Maria Ausiliatrice, che aveva in
animo di costruire a Valdocco: dove-
va servire per la massa dei giovani ivi
accolti e per le ventimila anime del
territorio circostante, con l’ulteriore
possibilità di essere eretta a parroc-
chia dall’autorità diocesana.
Poco dopo, il 13 febbraio, comunicò
al papa Pio IX, invero forzando un
po’ le cose, non solo che la chiesa era
parrocchiale, ma che era già “in via
di costruzione”. Da Roma ottenne
l’esito sperato: a fine marzo ricevette
500 lire. Ringraziando il cardinale di
Stato Antonelli per il sussidio rice-
vuto scriveva che “i lavori… sono per
cominciarsi”. In effetti solo in maggio
acquistò terreni e legname destinati
alla cinta del cantiere e solo in estate
si iniziarono i lavori di scavo, conti-
nuati poi fino all’autunno.
Alla vigilia della festa di Maria Au-
siliatrice, il 23 maggio, il Ministero
di Grazia, Giustizia e Culto, sentito il
sindaco, marchese Emanuele Luser-
na, si dichiarò disponibile a concedere
un sussidio. Don Bosco colse l’occa-
sione per fare un immediato appello
alla generosità del primo Segretario
dell’Ordine Mauriziano e del sinda-
co. A questi, anzi, nella stessa data
inviò un duplice appello: al primo, in
forma privata, chiese il maggior sussi-
dio possibile ricordandogli l’impegno
che aveva assunto in occasione di una
sua visita a Valdocco; con il secondo,
in via formale, ufficiale, fece lo stesso,
ma dilungandosi in particolari circa
l’erigenda chiesa.
Le prime risposte
interlocutorie
Agli appelli lanciati per ottenere of-
ferte, seguirono le risposte. Quella del
29 maggio del segretario dell’Ordine
Mauriziano fu negativa per l’anno in
corso, ma non per l’anno successivo
quando si sarebbe potuto mettere a
bilancio un non meglio precisato sus-
sidio. La risposta invece del 26 luglio
da parte del Ministero fu positiva:
venivano stanziate 6000 lire, ma la
metà sarebbe stata consegnata all’u-
scita delle fondamenta al livello del
suolo, l’altra metà alla copertura della
chiesa; il tutto però condizionato dal
sopralluogo e assenso di un’apposita
commissione governativa. Infine l’11
dicembre giunse la risposta, purtrop-
po negativa, della Giunta comunale: il
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Marzo 2018

4.9 Page 39

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La Basilica di Maria Ausiliatrice prima
dell’ampliamento iniziato nel 1935.
concorso economico del Comune era
previsto solo per le chiese parrocchiali
e quella di don Bosco non lo era. Ma
neppure poteva esserlo facilmente,
stante la sede vacante dell’arcidiocesi.
Don Bosco si prese allora qualche
giorno di riflessione e alla vigilia di
Natale ribadì al sindaco la sua inten-
zione di costruire una grande chiesa
parrocchiale a servizio del “popolatis-
simo quartiere”. In caso di mancato
sussidio comunale, avrebbe dovuto
limitarsi ad una chiesa di dimensioni
molto più ridotte. Ma anche il nuovo
appello cadde nel vuoto.
L’anno 1863 si chiudeva così per don
Bosco con poco di concreto, salvo
qualche generica promessa. C’era di
che scoraggiarsi. Ma se le pubbliche
autorità latitavano sul piano economico
– pensava don Bosco – la divina Prov-
videnza non sarebbe venuta meno. Ne
aveva sperimentato infatti la forte pre-
senza una quindicina di anni prima, in
occasione della costruzione della chie-
sa di San Francesco di Sales. Pertanto
all’ingegner Antonio Spezia, già da
lui conosciuto come ottimo professio-
nista, affidò il compito di tracciare il
progetto della nuova chiesa che aveva
in mente. Fra l’altro avrebbe lavorato,
ancora una volta, gratuitamente.
L’anno decisivo (1864)
In poco più di un mese il progetto era
pronto, per cui a fine gennaio 1864
venne consegnato alla Commissione
edilizia comunale. Intanto don Bosco
aveva chiesto alla direzione delle fer-
rovie dello Stato dell’Alta Italia il tra-
sporto gratuito a Torino delle pietre
da Borgone nella bassa Val di Susa. Il
favore venne accordato in tempi rapi-
di, ma non così avvenne per la Com-
missione edilizia. A metà marzo essa
infatti respinse i disegni consegnati
per “non regolarità di costruzione”,
con l’invito all’ingegnere di modifi-
carli. Ripresentati il 14 maggio, ven-
nero trovati difettosi nuovamente il
23 maggio, con un ulteriore invito a
tenerne conto; in alternativa si sugge-
rì di pensare ad un diverso progetto.
Don Bosco accolse la prima proposta,
il 27 maggio il progetto, rivisto, ven-
ne approvato ed il 2 giugno il Comu-
ne rilasciò la licenza edilizia.
Intanto don Bosco non aveva perso
tempo. Aveva chiesto al sindaco di
far tracciare l’esatta rettilineazione
dell’infossata via Cottolengo, onde
poter a proprie spese rialzarla con il
materiale dello scavo della chiesa.
Inoltre aveva diffuso al centro-nord
Italia, tramite alcuni fidatissimi be-
nefattori, una circolare a stampa in
cui presentava le motivazioni pastora-
le della nuova chiesa, le dimensioni, i
relativi costi (invero poi quadruplicati
in corso d’opera). L’appello, indirizzato
soprattutto ai “divoti di Maria”, era ac-
compagnato da una scheda di iscrizio-
ne per quanti volessero indicare in an-
ticipo la somma che avrebbero versato
nel triennio 1864-1866. La circolare
indicava anche la possibilità di offrire
materiali per la chiesa o altri oggetti ad
essa necessari. In aprile l’annunzio fu
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del
Regno e su “L’Unità Cattolica”.
I lavori proseguivano e don Bosco
non poteva assentarsi per le continue
richieste di modificazioni, soprattutto
circa le linee di demarcazione sull’ir-
regolare Via Cottolengo. In settembre
ad una più ampia cerchia di benefattori
inviò una nuova circolare, sul modello
di quella precedente, ma con la preci-
sazione che i lavori sarebbero terminati
entro tre anni. Ne spedì copia pure ai
principi Tommaso ed Eugenio di casa
Savoia e al sindaco Emanuele Luserna
di Rorà; a questi però chiese di nuovo
solo di collaborare al progetto rettifi-
cando via Cottolengo.
(continua)
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Beato Alberto Marvelli,
exallievo dell’oratorio
Centenario della nascita
Nato a Ferrara il 21 marzo 1918,
secondogenito di sei fratelli,
cresce in una famiglia veramente
cristiana, in cui la vita di pietà si
coniugava con l’attività caritati-
va, catechetica e sociale.
Traferitosi a Rimini con la fami-
glia nel 1930, frequenta l’orato-
rio salesiano e l’Azione Cattolica
dove, sull’esempio di Domenico
Savio, matura la propria fede
con una scelta decisiva: “Il mio
programma si compendia in
una parola: santo”. Prega con
raccoglimento, fa catechismo
con convinzione, manifesta zelo,
carità, serenità. È forte di carat-
tere, fermo, deciso, volitivo, ge-
neroso; ha un forte senso della
giustizia e un grande ascendente
fra tutti i compagni. È un giova-
ne sportivo e dinamico, ama tutti
gli sport: il tennis, la pallavolo,
l’atletica, il calcio, il nuoto, le
escursioni in montagna. Ma la
sua più grande passione sarà
la bicicletta, anche come mezzo
privilegiato del suo apostolato e
della sua azione caritativa.
Dopo la proclamazione dell’ar-
mistizio con gli Alleati, e la con-
seguente occupazione tedesca
del suolo italiano, Alberto torna
a casa a Rimini. Sa qual è il suo
compito: diventa l’operaio della
carità. Dopo ogni bombarda-
mento è il primo ad accorrere
in soccorso ai feriti, a incorag-
giare i superstiti, ad assistere i
moribondi, a sottrarre alle ma-
cerie i sepolti vivi. Nel periodo
dell’occupazione tedesca salvò
molti giovani dalle deportazioni
e riuscì, con una coraggiosa ed
eroica azione ad aprire i vagoni,
già piombati e in partenza nella
stazione di Santarcangelo, e a li-
berare uomini e donne destinati
ai campi di concentramento.
Dopo la liberazione della città,
il 23 settembre 1945, si costituì
la prima giunta del Comitato di
Liberazione. Fra gli assessori c’è
anche Alberto Marvelli.
Su un piccolo block-notes Al-
berto scrive: “Servire è miglio-
re del farsi servire. Gesù ser-
ve”. Laico cristiano, cresciuto
nell’oratorio salesiano di Rimini,
esprime la sua fede cristiana in
particolare nell’impegno politico
e sociale, inteso come un servi-
zio al bene comune. Così dà vita
a un’università popolare. Apre
una mensa per i poveri. Li invita
a Messa, prega con loro; poi al
ristorante scodella le minestre
e ascolta le loro necessità. La
sua attività a favore di tutti è in-
stancabile: è tra i fondatori delle
ACLI, costituisce una coopera-
tiva di lavoratori edili, la prima
cooperativa “bianca” nella “ros-
sa” Romagna.
CRONACA
DELLA POSTULAZIONE
Il 31 gennaio 2018 a Meruri
(Mato Grosso), monsignor
Protógenes José Luft, ve-
scovo di Barra do Garças, ha
aperto ufficialmente l’In-
chiesta diocesana sulla
vita, sul martirio, nonché
sulla fama di martirio e
di segni dei servi di Dio
Rodolfo Lunkenbein, Sa-
cerdote Professo della Società
di San Francesco di Sales, e
dell’indigeno Simone Cristiano
Koge Kudugodu, detto Simão
Bororo, laico, uccisi in odio
alla fede il 15 luglio 1976.
L’intimità con Gesù Eucaristico
non diventa mai ripiegamento
su se stesso, alienazione dai
suoi impegni e dalla storia. Anzi,
quando avverte che il mondo
attorno a lui è sotto il segno
dell’ingiustizia e del peccato,
l’Eucaristia diventa per lui for-
za per intraprendere un lavoro
di redenzione e di liberazione,
capace di umanizzare la faccia
della terra.
La sera del 5 ottobre 1946 si reca
in bicicletta a tenere un comizio
elettorale; anche lui è candidato
alle elezioni della prima ammini-
strazione comunale. Alle 20,30
un camion militare lo investe.
Morirà, a soli 28 anni, poche ore
dopo, senza aver ripreso cono-
scenza. La madre Maria, forte nel
dolore, gli è accanto. Profondo
fu in tutta Italia il rimpianto per
la sua morte. Nella storia dell’a-
postolato dei laici la figura di
Alberto Marvelli è quella di un
autentico precursore del Concilio
Vaticano II, per quanto riguarda
l’impegno dei laici nell’anima-
zione cristiana della società. Fu,
come voleva don Bosco, un buon
cristiano e un onesto cittadino,
impegnato nella Chiesa e nella
società con cuore salesiano.
40
Marzo 2018

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON PIETRO ZAGO
Morto a Perosa Argentina (TO)
il 28 dicembre 2017, a 82 anni.
Ha avuto un grande impatto nella
Congregazione Salesiana, spe-
cialmente in Asia-Oceania, la
morte di don Pietro Zago, mis-
sionario salesiano scomparso lo
scorso dicembre a Perosa Argen-
tina, nei pressi di Torino, dove si
era ritirato da pochi mesi a mo-
tivo del peggioramento della sua
salute, dopo una vita spesa per i
ragazzi e giovani più bisognosi in
diverse nazioni del mondo.
Dei suoi quasi 83 anni di vita don
Zago ne ha spesi 62 come missio-
nario, servendo i giovani di India,
Indonesia, Timor Est, Filippine,
Papua Nuova Guinea, e infine Pa-
kistan – dove spese gli ultimi 18
anni della sua vita, fondò le due
opere attualmente presenti nel
paese (Quetta e Lahore) e contri-
buì alacremente al sostegno di ri-
fugiati e poveri e alla ricostruzione
dei villaggi dopo il sisma del 2005
e le alluvioni del 2010.
“Era un uomo di preghiera, un
devoto figlio di Maria. Era Don
Bosco in mezzo ai giovani” dice
di lui don David Buenaventura,
dalle Filippine, dove don Zago
servì per oltre 25 anni, divenen-
do dal 1992 al 1997 anche primo
Superiore dell’Ispettoria delle Fi-
lippine Sud (FIS).
“Non pochi hanno espresso il de-
siderio di seguire Gesù nella vita
consacrata vedendo il suo stile di
vita allegro e gioioso. Io sono uno
di questi che, affascinati dalla sua
risata e dal rosario sempre pen-
dente, si è trasferito a vivere con
la comunità salesiana guidata da
questo amorevole padre” dichia-
ra don Samuel Adnan Ghouri, il
secondo sacerdote salesiano pa-
kistano.
Monica Canalis della Fraternità
del Sermig, lo ricorda così: «Lo
conobbi nel gennaio 2013 a La-
hore, durante un viaggio che feci
in Pakistan per conoscere la sua
missione e far visita agli amici
sindacalisti che avevo incontrato
quando lavoravo all’International
Labour Organization. Don Pietro
mi accolse nella casa salesiana
del quartiere di Youhanabad, l’a-
rea cristiana della città, offrendo-
mi non solo un luogo sicuro in cui
stare (e in Pakistan non è poco),
ma anche un’amicizia paterna e
spirituale. Don Pietro aveva già
affrontato molti anni di missione
in Asia, nelle Filippine, in India, a
Papua Nuova Guinea, ma in Pa-
kistan si era trovato di fronte ad
una sfida ancora più difficile delle
altre. Nonostante il paese sia a
netta maggioranza musulmana,
con sacche di fondamentalismo
ed un’arretratezza culturale che
limita fortemente il ruolo delle
donne, era comunque riuscito ad
ambientarsi e a realizzare grandi
progetti, grazie alla sua pazienza,
alla tolleranza e anche ad un pizzi-
co di astuzia. Sapeva per esempio
mordersi la lingua e trattenersi
dal muovere apertamente critiche
ai capifamiglia per le manifeste
discriminazioni verso le figlie
femmine, purché continuassero
a mandarle a scuola e non osta-
colassero le numerose attività
educative dei Salesiani. La scuola
da lui fondata a Quetta, nella parte
occidentale del paese, poté quindi
fiorire e godere dell’apprezzamen-
to di tutta la popolazione, anche
musulmana, seminando lenta-
mente e prudentemente valori e
idee cristiani. In perfetto stile sa-
lesiano, don Pietro puntava tutto
sulla concretezza dell’educazione
e della formazione professionale,
dando un’opportunità di istruzio-
ne e avviamento al lavoro a tanti
ragazzi e ragazze. Non faceva
proselitismo per non incorrere
in pericolose rappresaglie, che
avrebbero compromesso l’intera
missione, ma con la sua testimo-
nianza personale ha certamente
toccato il cuore di tanti pakistani.
Soleva dire che la durezza del Pa-
kistan, la difficoltà a vivere libera-
mente la fede, lo avevano reso più
cristiano. Il suo amore per Gesù
era stato temprato da una lunga
esperienza sul campo, dai tanti
spostamenti da un paese all’altro,
ognuno con la sua lingua, il suo
clima, e i suoi costumi (in Papua
Nuova Guinea aveva persino co-
nosciuto i popoli cannibali…),
da delusioni umane come quelle
che capitano un po’ a tutti. Parlava
con serenità della sua morte e si
diceva persino curioso di vedere
ciò che Cristo ci ha promesso per
l’aldilà. Ora spero che i limpidi
occhi azzurri di don Pietro sorri-
dano per sempre nella sua nuova
missione».
Monsignor Luciano Capelli, SDB,
vescovo di Gizo, Isole Solomone:
«Don Zago non riposerà nep-
pure in paradiso. Anche là sarà
occupato a mettere in piedi un
nuovo Oratorio, un nuovo Centro
di formazione professionale per i
poveri. Lui è un vero modello per
tutti noi!».
«In lui ho trovato un padre, un
amico e un maestro – ha detto
don Noble Lal, il primo sacerdote
salesiano pakistano –. Don Zago
amava lavorare per le vocazioni
senza distinzioni, di ragazze e ra-
gazzi. Io sono la prova vivente del
suo amore per le vocazioni e se
oggi sono un salesiano è perché
mi ha sostenuto molto durante
il mio percorso. Noi lo conside-
riamo don Bosco del Pakistan e
i giovani pakistani non dimenti-
cheranno mai lui e il suo impe-
gno per la missione salesiana».
Marzo 2018
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
QUANDO IL PONTEFICE RICORDÒ DON BOSCO
Durante una recente visita di papa Francesco a Torino, nel giugno del
2015, in occasione dell’Ostensione della Sindone e del secondo cente-
nario della nascita di don Bosco, il Pontefice visitò la basilica di Maria
Ausiliatrice e parlò alla folla dei presenti a lungo, a braccio, esortando
la Congregazione fondata da don Bosco, ad allargare il senso missio-
nario e ad aprire scuole tecniche: “I giovani sono disoccupati, serve
una risposta in tempo di crisi” disse. Volle parlare della sua vicinanza
alla famiglia salesiana. “Mio papà” disse, con la semplicità a cui ci ha
abituati “appena arrivato in Argentina, è andato dai salesiani nella chiesa italiana, la parrocchia San
Carlo, e ne ha conosciuti tanti. E mio papà subito si è affezionato a una squadra di calcio che aveva fon-
dato un salesiano! A 500 metri dalla basilica di San Carlo, lì quel salesiano aveva fondato una squadra
di calcio con i colori della Madonna, rosso e blu. Ma con i ragazzi di strada eh? Subito. Per me è la
migliore squadra di Argentina, tante volte campione. Quindi ha conosciuto mia mamma, e si sono spo-
sati da un prete che ci ha seguiti tutta la vita, un missionario salesiano della Patagonia, nato a Lodi, un
bravo uomo. Poi è morto mio papà, ma io sempre andavo a Maria Ausiliatrice ogni 24 maggio. Portavo
dei fiori e pregavo la Madonna. È una cosa che ho ricevuto
da voi, ma una cosa che mi fa sempre pensare: l’affettività. Io
credo che don Bosco fosse capace di educare l’affettività dei
ragazzi, perché aveva avuto una mamma che aveva educato
la sua affettività. Una mamma buona, affettuosa, forte. Con
tanto amore educò il suo cuore. Non si può capire don Bosco
senza mamma Margherita!” Poi parlò dei tre XXX di don
Bosco: Maria, l’Eucaristia e il Papa. “L’amore di questo Santo
per la Madonna fu assai forte” disse “perché non si vergognò
mai della sua mamma”.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. La pesante
protezione dei cavalieri medievali - 7.
Il terreno erboso dove si nutre il be-
stiame - 13. Ottenuti - 14. Nell’arco e
nelle frecce - 16. Il simbolo del cobal-
to - 17. Molto ripidi, scoscesi - 19.
Un bacino d’acqua come il Trasimeno -
20. Detrarre dal debito - 24. Un mo-
toscafo lanciasiluri - 25. Sorella di un
genitore - 26. Anticonformista, dissa-
cratore - 28. La fine di Menelao - 29.
XXX - 30. Telecomunicazioni (sigla)
- 32. L’insetto più laborioso - 33. Fa-
moso romanzo di Stephen King - 34.
Federazione calcistica europea - 36.
Il rischio che si corre - 39. Furente,
collerica - 41. Iniziali di Sordi - 43.
Un po’ traballante! - 44. Era l’antica
Persia - 46. I signori per l’oratore -
47. Vi si trovano Panama, Guatemala
ed altri stati.
VERTICALI. 1. Lo è la scarpa - 2.
Così sono dette quelle galline che pro-
ducono molte uova - 3. Un segno del
tempo sul viso - 4. Dispari nell’antro
- 5. Zona Industriale (sigla) - 6. Citta-
dina brianzola in cui risiede il Cavaliere
- 8. È fatta di gradini - 9. Testo sacro
dei musulmani - 10. Articolo per si-
gnore - 11. A questo punto… - 12.
Distinguersi, spiccare - 15. Gelati da
passeggio - 18. Taranto (sigla) - 20.
Obiettivo - 21. Prestigioso premio
svedese - 22. Touring Club Italiano -
23. Un tasto del computer - 26. Posta
in profondità - 27. Il dio del tuono fi-
glio di Odino - 31. Iniziali della Fracci
- 33. Prefisso che indica uguaglianza
- 35. Fiume della Svizzera - 36. A Pa-
rigi c’è quello de Triomphe - 37. Uno
a Berlino - 38. Il …director che lavora
con il copywriter - 39. Istituto Nazio-
nale Assicurazioni (sigla) - 40. Il grido
che risuona nella Plaza de Toros - 42.
Affermazione - 43. Ci seguono nella
vincita - 45. Il Renoir pittore (iniz.).
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Marzo 2018

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Idleslloagmnoela
Disegno di Fabrizio Zubani
«Sei bellissima, Car-
lotta!» Le diceva
la mamma. Ma la
ragazzina replicava
stizzita, arricciando
le labbra: «Bugiar-
da, bugiardissima! Sono una cicciona
e non diventerò mai una ballerina!»
Aveva tappezzato la cameretta con
foto di cantanti e ballerine che sem-
bravano la pubblicità della fame nel
mondo. Con tutto quello che si sente
dire, la mamma era molto preoccu-
pata.
Una sera, si sedette sul letto accanto
alla figlia e le raccontò questa storia.
C’era una volta una mela molto
infelice. Che sbuffava tutto il giorno:
«Uffa! Non ne posso più! Che triste
destino mi è toccato! Proprio una
mela dovevo essere!» Era una mela
bianca, rossa e cicciottella. Ma avreb-
be voluto essere una stella. Passava la
notte a guardare le stelle che splen-
devano sul “display” della notte.
Durante il giorno, mentre le altre
mele facevano pettegolezzo e si
scambiavano informazioni sull’ulti-
ma marca di rossetto, lei continuava
a pensare, eccitata, come avrebbe
brillato dal cielo, se fosse stata una
stella. Le mele degli altri rami la in-
vitavano a parlare e raccontare storie
divertenti. Lei respin-
geva sempre l’invito,
ossessionata com’era
dal desiderio di essere
una stella splendente.
E cercava continua-
mente informazioni.
Un bel giorno, guar-
dando gli uccelli
vagabondare in cielo,
la mela chiese loro:
«Dove dormono le
stelle?» Gli uccelli,
sorridenti, risposero:
«Le stelle non dormono mai. Palpita-
no giorno e notte, solo che di giorno
non le vediamo».
Un altro giorno, la mela chiese al
vento che scuoteva i rami del melo:
«Dimmi, vento, le stelle sono fisse o
viaggiano attraverso l’intero fir-
mamento?» «Cara mela» rispose il
vento «le stelle si muovono attraverso
l’intero cielo e ad una velocità verti-
ginosa». Tutto questo aumentava il
rimpianto della mela: «Come vorrei
essere una stella» singhiozzava.
Mentre raccontava, la mamma
teneva in mano una bella mela rossa
e bianca.
E continuò la storia: «Un giorno il
melo si rivolse sorridendo alla mela
scontenta e le disse: “Figlia mia,
non piangere. Se ti guardi dentro,
scoprirai che sei già una stella. Tutte
le mele del mondo hanno una ma-
gnifica stella dentro. Per questo sono
amate da tutti”».
«Davvero?» chiese Carlotta.
«Certo. Guarda!» Con un coltello,
la mamma tagliò la mela trasversal-
mente, non dal picciolo alla fossetta,
ma orizzontalmente. Il cuore della
mela era una stupenda stella a cinque
punte.
«Anche tu, Carlotta, sei bellissima
dentro e presto tutti se ne accorge-
ranno, vedrai».
Potete crederci. Altrimenti ta-
gliate a metà una mela in senso
orizzontale, e vedrete la stella!
Marzo 2018
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
La speranza
viene da oriente
I salesiani in Vietnam
A tu per tu
Padre Mario
e i bambini stregoni
Incontro con
don Mario Perez
La ricetta salesiana 3
L’amore
La ribellione
della gentilezza
L’invitato
Don Raymond
Bavumiragiye
Salesiano in Burundi
La nostra storia
Il pittore dell’Ausiliatrice
Tommaso Lorenzone
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.