Bollettino_Salesiano_201709

Bollettino_Salesiano_201709

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IL
SETTEMBRE
2017
Dal Venezuela
Don
Roman Cena
Salesiani
nel mondo
Il riso di
Mahajanga
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
B. F.
Spari nella notte
Sono la scala della casetta dei Becchi,
uno dei pezzi autentici della casa, dove
abitò per alcuni anni la famiglia di Mar-
gherita Bosco. Di loro mi ricordo tutto.
Bellissima famiglia.
Ricordo una sera, in cui il piccolo Gio-
vanni chiese: «Mamma, il re è cattivo?».
La madre guardò sorpresa il figlio più piccolo.
«Come ti viene in mente questo, Giovanni?»
«Ne parlano» bisbigliò Giovanni «di notte su,
nel fienile». La madre si spaventò. «Chi?!» «I
misteriosi del bosco. La gente a cui ogni tanto
dai della minestra» disse Giovanni. «Mio Dio!
Ma da chi hai sentito una cosa del genere?» La
madre gettò uno sguardo rapido attorno. Qual-
cuno non aveva mica ascoltato? Prese Giovanni
per mano e lo tirò dentro la stalla semibuia. La
sua voce era quasi impercettibile. «Giovanni, ti
dico una cosa. Quando qualcuno bussa alla mia
porta, affamato, stanco, fradicio
dalla pioggia, allora gli do una
minestra calda e può pernot-
tare nel fienile. Non chiedo a
quale partito appartiene. Una
volta sono gli uni a essere al
potere e una volta gli altri.
E chi si trova in alto perse-
guita i suoi avversari. E nel
bosco si nascondono tuttora
dei giovani uomini che non
hanno voluto fare il servizio
militare sotto i francesi.
Questi giovani mi fanno
pena. Giovanni, sei ancora
troppo piccolo, tutto questo
non lo puoi ancora capire».
«Sì, invece, lo capisco!» «Che
La storia
La casa di don Bosco era tra i boschi e più d’una volta, a
notte inoltrata, sopraggiungevano banditi o renitenti alla
leva, i quali al di là della siepe, che circondava l’aia, chia-
mavano a voce bassa la padrona della cascina. Usavano
questa precauzione per timore d’imbattersi nei gendarmi.
Margherita veniva fuori e quei poveretti, spossati, affamati
le chiedevano qualche cosa da mangiare. Ma il bello sta
qui, che sovente, e talora pochi istanti dopo essersi ritirati
i banditi per prender sonno, bussavano alla porta nuovi
ospiti. Erano niente meno che i reali carabinieri, i quali
avevano l’usanza d’incontrarsi nella casa di Margherita per
la corrispondenza, ed ivi si fermavano un tempo abbastan-
za notevole per riposarsi della marcia (il racconto comple-
to è nelle Memorie biografiche, volume I, pp. 149 ss).
cosa capisci, Giovanni?» «Che la mia mamma è
buona con tutti.» Abbracciò le sue ginocchia e
premette la faccia nella sua gonna.
«Giovanni, caro mio, promettimi di non parlar-
ne con nessuno.»
Annuì. Ma, a notte fonda, lo svegliò un borbot-
tio di voci. Nel fienile, i “misteriosi” bisbiglia-
vano. Nella stanza la nonna russava. Giovanni
sentiva sotto in cucina la voce della madre. Con
chi parlava così forte e allegramente?
Il ragazzino sbirciò dalla botola. Seduti al tavolo
c’erano due carabinieri. Le loro armi erano
appoggiate al muro, le canne brillavano alla luce
della candela. Giovanni si meravigliò. Sua madre
delicata e silenziosa che parlava così rumorosa-
mente nel bel mezzo della notte? La porta della
stalla cigolò. I “misteriosi” stavano scappando.
Li avrebbero sentiti anche i carabinieri?
«Ancora un piccolo goccio!» disse la madre con
voce ferma versando vino rosso nei bicchieri.
La candela era bruciata quasi tutta quando i
gendarmi si misero in viaggio. Ringraziarono,
presero le armi e lasciarono la casa dalla porta
della cucina. Giovanni corse dalla mamma.
Dalle campagne echeggiò uno sparo.
Giovanni cominciò a tremare. «Adesso hanno
preso e ucciso un misterioso!» bisbigliò.
«No» disse sottovoce la madre. «Sparano per aria».
«Sicura, mamma?»
«Sicuro. Me l’hanno promesso».
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Settembre 2017

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IL
SETTEMBRE 2017
ANNO CXLI
Numero 8
IL
SETTEMBRE
2017
Dal Venezuela
Don
Roman Cena
Salesiani
nel mondo
Il riso di
Mahajanga
Mensile di
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: «Lasciate che i piccoli
vengano a me, non glielo impedite!» Nelle
parole di Gesù la missione dei Salesiani
(Foto Imgorthand/Istock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 L’INVITATO
Don Vitaliy Krivitskiy
11 UNISCITI A NOI
12 SALESIANI NEL MONDO
Madagascar
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 A TU PER TU
Don Roman Cena
22 TEMPO DELLO SPIRITO
I dieci bambini
più poveri del mondo
24 LE CASE DI DON BOSCO
L’Istituto Gerini
28 FMA
30 CONOSCERE VALDOCCO
La cappella delle reliquie
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
8
18
22
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Graziano Cervesato,
Valerio Del Croce, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, José J.
Gómez Palácios, Claudia Gualtieri,
Cesare Lo Monaco, Livia Oddone,
Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino,
Giampietro Pettenon, O. Pori
Mecoi, Michal Wochal, Luigi Zonta,
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Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Celebriamo la vita!
Ogni nuovo inizio è una pagina bianca.
Una quantità illimitata di possibilità che si
presentano sul quotidiano orizzonte della vita.
È questo quel dono incredibile
che chiamiamo tempo.
In buona parte del mondo, il
mese di settembre segna l’i-
nizio delle attività sociali e
tante famiglie organizzano la
loro vita quotidiana a partire
da questo momento. In altre
parti il ritmo della vita ri-
mane quello solito perché
è il capodanno che deter-
mina il cambio di ruoli e
attività. In entrambi i casi,
però, si fa l’esperienza che
è raccontata da un’antica
storia.
Il maestro sosteneva di avere un libro che con-
teneva tutto ciò che era concepibile conoscere su
Dio.
Nessuno aveva mai visto il libro finché uno studioso
in visita, a forza di insistenti preghiere, lo sottrasse
al maestro.
Se lo portò a casa e lo aprì ansiosamente...
Ogni pagina del libro era bianca.
«Ma il libro non dice niente», protestò lo studioso.
«Lo so», rispose il maestro soddisfatto, «ma guar-
da quante cose suggerisce!».
Ogni nuovo inizio è una pagina bianca. Una
quantità illimitata di possibilità che si presenta-
no sul quotidiano orizzonte della vita. In modo
del tutto naturale, si pensa che c’è un’alba ogni
giorno, che la salute sarà buona, che ci saranno
tante buone occasioni, che si potrà far questo e
quello… Ma non è sempre così o perlomeno non
lo è per tutti.
Ogni giorno è un granello di sabbia che scende
nella clessidra della vita. E una volta sceso, è sceso
per sempre. Ma in quel granello, che è oggi, sono
racchiuse infinite opportunità, relazioni, incon-
tri, successi. È questo quel dono incredibile che
chiamiamo tempo.
Un proverbio arabo dice: «Ogni mattina volgo la
mia faccia al vento e semino. Non è difficile se-
minare, ma ci vuole coraggio per andare avanti
affrontando il vento».
Alcuni giorni fa, durante una conversazione, un
laico ottantenne mi confidò di aver trascorso la
vita appassionatamente, di aver spremuto i suoi
giorni come si fa con un limone o un grappolo
d’uva, per ottenere la loro preziosa essenza. Ed era
un uomo con un’eccellente formazione intellettua-
le, accademica e religiosa. Non parlava di vivere
all’impazzata, avanti e indietro, perennemente in-
soddisfatti alla ricerca di chissà che cosa. Si riferiva
all’appassionante esercizio dell’essere padroni della
propria vita, questo prezioso regalo vertiginoso e
implacabile, sorprendente e affascinante che è il
dono supremo del Signore della Vita.
Una regola d’oro: passeremo nel mondo una sola
volta. Tutto il bene, dunque, che possiamo fare o
la gentilezza che possiamo manifestare a qualun-
que essere umano, facciamoli subito. Non riman-
diamolo a più tardi, né trascuriamolo, poiché non
passeremo nel mondo due volte.
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Settembre 2017

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Sull’argomento tempo vi voglio offrire una rifles-
sione curiosa.
Esiste una Banca che ogni mattina accredita la
somma di ottantaseimilaquattrocento euro sul
tuo conto.
Ogni notte cancella qualsiasi quantità del tuo
saldo che non sia stata utilizzata durante il gior-
no. Ognuno di noi possiede un conto in questa
Banca.
Il suo nome? Tempo.
Ogni mattina questa Banca ti accredita ottanta-
seimilaquattrocento secondi. Ogni notte questa
Banca cancella e dà come perduta qualsiasi quan-
tità di questo credito che tu non abbia investito.
Questa Banca non conserva saldi né permette
trasferimenti. Ogni giorno ti apre un nuovo con-
to. Ogni notte elimina il saldo del giorno. Se non
utilizzi il deposito giornaliero, la perdita è tua.
Non si può fare marcia indietro. Non esistono ac-
crediti sul deposito di domani.
Devi vivere nel presente con il deposito di oggi.
Investi in questo modo per ottenere il meglio nel-
la salute, felicità e successo: l’orologio continua il
suo cammino. Ottieni il massimo da ogni giorno.
Per capire il valore di un anno, chiedi ad uno stu-
dente che ha perduto un anno di studio.
Per capire il valore di un mese, chiedi ad una
madre che ha partorito prematuramente.
Per capire il valore di una settimana, chie-
di all’editore di un settimanale.
Per capire il valore di un’ora,
chiedi a due innamorati che at-
tendono di incontrarsi.
Per capire il valore di un
minuto, chiedi a qualcu-
no che ha appena perso
il treno.
Per capire il valore di
un secondo, chiedi a
qualcuno che ha ap-
pena evitato un inci-
dente.
Per capire il valore di un millesimo di secondo,
chiedi ad un atleta che ha vinto la medaglia d’ar-
gento alle Olimpiadi.
Diamo perciò valore ad ogni momento che vivia-
mo, e diamogli ancor più valore se lo possiamo
condividere con delle persone speciali, tanto spe-
ciali da meritare il nostro tempo.
Non dimentichiamolo: il tempo non aspetta nes-
suno.
Ma la considerazione ancora più importante è
che, come credenti, sappiamo che il tempo è solo
un modo di misurare quel dono che è la vita. Un
regalo meraviglioso che riceviamo gratuitamente
dal cuore stesso di Dio per essere condiviso con il
prossimo. Nella con-vivenza possiamo trovare la
vera felicità.
Amici lettori, non lasciate scorrere la vita in un
modo qualsiasi. La vita è bella. Celebratela. As-
sumetevi la responsabilità di scegliere e di defi-
nire la vostra vita. Ricordatevi sempre che siete
un miracolo. Potete sempre portare gioia nella
disperazione. Mantenete la vostra fede, la vostra
dignità e la vostra integrità. E siate felici.
Settembre 2017
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Genitori:
Per la maggior parte
dei giovani il rapporto
con i propri genitori
risulta essere abbastanza
spalle forti di sostegno conflittuale,specialmente
quando ancora si è sotto
o spalle su cui vivere? lalororesponsabilità.
Che cosa pensano i giovani
del ruolo dei genitori
nella loro vita una volta
diventati adulti?
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Settembre 2017
Mariagrazia, 24 anni:
Sono l’unica figlia di quelli che de-
finiremmo due “genitori grandi” nel
senso che il mio arrivo è stato un
evento che i miei genitori hanno mol-
to atteso e per cui hanno molto prega-
to (si spiega così il mio nome anche).
Ho sempre avuto un buon rapporto
con loro. Mia mamma è la complice
attenta che sa ascoltare e consigliare,
che non “risparmia” la battuta sar-
castica; mio papà è un osservatore,
capta il mio più impercettibile cam-
bio di umore, non domanda, non “si
impiccia” ma aspetta che io sia pronta
a parlare con lui. Il nostro rapporto è
stato spesso definito “troppo”, troppo
vicini, troppo stretti, troppa sincerità,
e forse, soprattutto durante l’adole-
scenza, qualche volta anche per me
il nostro rapporto è stato come una
scarpa stretta.
Nella mia vita ho attraversato un mo-
mento difficile, un periodo in cui la

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mia bussola girava a vuoto. Era il pe-
riodo della grande scelta, il momento
in cui ogni giovane liceale, conclusa
la maturità, deve decidere che strada
intraprendere, che cosa vuole essere
da grande. Questo è stato un periodo
in cui ho avuto bisogno di vivere sulle
spalle dei miei genitori, cioè affidar-
mi a loro perché non sapevo più nem-
meno chi ero.
È stata una scelta molto sofferta, sa-
pevo che in qualche modo, anche se
in piccolissima parte, li deludevo. Ed
eccomi qua che sto per concludere il
percorso della laurea magistrale per
diventare assistente sociale, una pro-
fessione che mi permetterà di essere
di aiuto e di sostegno a tante persone.
Il cammino è stato lungo e non poco
difficoltoso ma ho potuto come sem-
pre contare sul supporto e la vicinan-
za dei miei genitori.
Spalle forti di sostegno? Sì! I genitori
sono la roccia salda a cui aggrapparsi
nel mare in tempesta perché la fami-
glia è l’unico punto fermo che abbia-
mo nella vita. Sono quell’appiglio nel
caso in cui il cammino sia un po’ acci-
dentato con pietre e trappole, nel caso
in cui dobbiamo fare un salto nel buio
che ci spaventa».
Andrea, 20 anni:
«Non ci sono parole a volte per de-
scrivere un grande dono e uno di
questi è rappresentato dai genitori
che, se pur imperfetti, ti apparten-
gono o meglio ci apparteniamo a
vicenda. Personalmente, con i miei
genitori c’è stato sempre un buon
rapporto e cosa fondamentale, per
la quale sono grato, c’è sempre il
dialogo che si fa sentire, special-
mente durante quei piccoli diverbi
tra di noi, come chiarimento. Par-
lando da ragazzo, è vero che alcune
volte noi figli attribuiamo loro degli
errori ma sono sempre loro che ci
sostengono nelle nostre scelte, che
ci danno consigli, che sono sempre
disponibili. Loro ci saranno comun-
que vada e anche se alcune volte nel
cammino con loro troviamo incro-
ci che possono dividerci, loro non
smetteranno mai di amarci. Infine,
non bisogna pensare che il genito-
re sia solo colui il quale ti ha mes-
so al mondo ma genitore vuol dire
esserci, quindi si può attribuire tale
appellativo a qualunque persona si
rispecchi in queste caratteristiche
senza etichette biologiche ma solo
con etichette del Cuore. Secondo
me, ma credo secondo molti, non
si può smettere di sostenere il figlio
superati i 18 anni. Penso sia proprio
un dovere del genitore non abbando-
nare il proprio figlio, quindi anche
se magari loro ti lasciano cammina-
re da solo, una spalla, un’ancora di
salvezza, ci sarà sempre».
Alessandro, 19 anni:
«Il rapporto con i propri genitori è
probabilmente quel che più muta du-
rante tutta la vita. Ciò che secondo me
è importante è il reale scambio di opi-
nioni che dovrebbe essere comunque
alla base di qualsiasi rapporto geni-
tore-figlio. Personalmente eliminerei
totalmente l’idea dei genitori come
“spalle su cui vivere”, nessuno è “so-
pra” nessuno. Abbraccio molto di più
la prima idea, cioè quella dei genitori
come “spalle di sostegno”, che tuttavia,
per essere così definiti, hanno bisogno
di qualcosa da sostenere. I genitori de-
vono soprattutto imparare che il rap-
porto con i propri figli non è quello di
solo insegnamento bensì deve essere
biunivoco. I genitori devono quindi
essere consapevoli che non hanno solo
il compito di formare ma anche di
essere formati. Mai sottovalutare l’e-
sperienza, breve o prolissa che sia. Per
ogni genitore “spalla di sostegno” c’è
un figlio che deve essere l’altra. Voglio
concludere con un appello ai genitori:
ascoltate sempre i consigli e ciò che vo-
gliamo dirvi, prima che non ci sia più
nulla da dire».
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L’INVITATO
MICHAL WOCIAL
«Ho fatto il noviziato
da clandestino»
Incontro con il salesiano don Vitaliy Krivitskiy,
nuovo vescovo di Kiev-Zhytomyr in Ucraina
I l salesiano don Vitaliy Krivitskiy,
appartenente all’Ispettoria di Po-
lonia-Cracovia ( ), attualmente
parroco della parrocchia “San
Pietro” a Odessa, Ucraina, è stato
nominato da papa Francesco
nuovo vescovo della diocesi di Kiev-
Zhytomyr, Ucraina.
Padre Vitaliy,
com’è cominciato
il tuo cammino di fede?
Naturalmente, l’inizio della vita cri-
stiana è stato il giorno del battesimo,
che ho ricevuto subito dopo la nasci-
ta; un grande dono dei miei genitori.
All’età di 15 anni, grazie all’aiuto del-
la famiglia e del mio padrino, ho co-
minciato a frequentare di mia inizia-
tiva la Chiesa cattolica. Per così dire
sono tornato alla fonte. Sono stato
ben preparato alla prima confessione
e prima Comunione, da quel momen-
to ho iniziato a sentire il gusto per la
vita spirituale decidendo di intra-
prendere un cammi-
no che si è sviluppato
fino ad oggi.
Come è nata
la tua vocazione?
All’inizio ho pensato così: se
sono stato aiutato a incontrare
Dio, anch’io devo trasmetterlo agli
altri. Più tardi ho capito che questo sa-
rebbe stato un impegno che riguardava
la mia famiglia, sull’esempio del mio
padrino che mi ha aiutato ad incon-
trare Dio. Nel frattempo ho avuto la
gioia di conoscere il carisma salesiano.
L’ho provato e ho capito che rispon-
deva al mio anelito spirituale. Il fatto
che l’unico sacerdote nel sud dell’U-
craina, don Tadeusz Hoppe, fosse un
salesiano di don Bosco, è stato il segno
per me che questa strada era stata già
preparata. È stato il mio primo in-
contro con la vocazione, anche se non
avevo ancora scoperto tutti gli aspetti
del carisma “salesiano”. Don Tadeusz
aveva il divieto da parte del governo di
svelare la sua appartenenza salesiana e
di operare salesianamente. Più tardi,
quando ho incontrato i salesiani, al se-
condo anno di filosofia a Cracovia, ho
scoperto aspetti come l’educazione, il
lavoro con i ragazzi e i giovani, quegli
aspetti che sentivo molto vicini negli
anni precedenti. Prima del seminario
sentivo una forte predilezione per i
giovani, durante gli studi in seminario
poi ho approfondito la mia vocazione.
Ho fatto il noviziato clandestinamen-
te, ogni giorno venivo da don Hoppe
per servire all’altare, per ascoltare le
sue conferenze e di sera tornavo a casa.
I miei primi voti sono stati emessi se-
gretamente in Chiesa in presenza di
don Tadeusz Hoppe e due salesiani
testimoni.
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Settembre 2017

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IL SUO CAMMINO
Vitaliy Krivitskiy è nato il 19 agosto
1972 a Odessa. Nel 1987 ha iniziato
un percorso di formazione religiosa in
clandestinità nella città natale, sotto
la guida di don Tadeusz Hoppe, SDB.
Il 1° gennaio del 1991 ha emesso i
primi voti ad Odessa mentre la pro-
fessione perpetua l’ha pronunciata a
Rumia il 27 luglio del 1996.
Successivamente, si è preparato al sacerdozio nel seminario maggiore di Cracovia, Polonia,
ricevendo l’ordinazione presbiterale il 24 maggio 1997.
Dal 1997 al 2004 è stato Vicario parrocchiale a Odessa, mentre dal 2004 al 2012 ha rico-
perto vari incarichi presso la comunità salesiana di Korostyshiv: vicario, parroco, direttore
dell’oratorio ed economo. È stato direttore dell’oratorio di Peremyshlany dal 2012 al 2014;
nel 2014 ha assunto l’incarico di parroco della parrocchia di San Pietro a Odessa.
È stato anche Delegato di Pastorale Giovanile della Circoscrizione Est, dal 2004 al 2006, e
Consigliere ispettoriale, dapprima della Circoscrizione Est (2009-2012) e poi dell’Ispettoria
PLS (2012-2015).
Ricordi la più bella
esperienza della vita
salesiana?
Ogni tappa della mia missione sale-
siana è diversa l’una dall’altra: il la-
voro in parrocchia, in oratorio con i
giovani cristiani cattolici o in un cen-
tro giovanile con delle persone che
sono lontane dalla Chiesa. E per ogni
volta ci sono dei momenti che sono
rimasti nel cuore e fanno parte della
mia esperienza salesiana. Parlando
dei giovani cristiani cattolici, inte-
ressante per me è stata la formazione
degli animatori che erano un prolun-
gamento delle mie mani, o meglio
delle mani di Dio! Questo è stato un
periodo in cui si poteva condividere la
propria vocazione con le persone che
erano disposte non solo ad accettar-
la, ma anche a trasmetterla agli altri.
Efficace è stato l’incontro con coloro
che non hanno mai sentito parlare di
Dio, che non hanno mai pensato ai
temi della morale e della vita eterna.
E proprio nei centri giovanili la gente
sentiva il bisogno di aprirsi a questo
tipo di dialogo, discutere, confron-
tarsi con me. Molti hanno iniziato un
serio cammino di fede. Per me, questi
sono stati momenti molto importanti
della mia esperienza di vita salesiana.
Qual è la situazione
generale in Ucraina?
In Ucraina, nonostante sia uno Stato
indipendente dal 1991, il processo di
consolidamento risulta piuttosto do-
loroso. Ancora oggi continua la guer-
ra anche se non sempre se ne parla a
livello internazionale. In generale vi
è una sorta di crisi non solo in sen-
so materiale o politico ma soprattut-
to nel cuore di ogni persona, incerta
nel vedere il proprio futuro. La crisi è
vista da molti come una sfida, infatti
ci sono persone forti che combattono
per il Paese e proprio grazie a loro la
nazione si sta trasformando.
Com’è Odessa, la città che
adesso ti chiama “padre”?
Odessa è la città dove sono nato e ho
studiato. Qui è nata la mia vocazione
e di qui sono partito per andare in se-
minario. Conosco molto bene la gen-
te del posto con la quale lavoro con
grande gioia e dedizione. È una città
interessante, grande, dove le nuo-
ve tendenze stanno crescendo. Città
aperta al nuovo. Ma ci sono molti e
diversi pericoli prima di tutto di ca-
rattere morale. Odessa è una sfida per
i salesiani: coinvolgere i giovani che
sono incerti, deboli nella scelta degli
ideali. Odessa è un campo di attivi-
tà, un luogo dove si può sperimentare
Dio che aiuta ogni persona quando la
persona si apre a Lui.
Che tipi sono
i giovani ucraini?
Parlando dei giovani in Ucraina dob-
biamo tener conto delle diverse re-
gioni d’Ucraina: Centro, Sud, Tran-
scarpazia. Ogni regione ha le sue
caratteristiche. Ciò che unisce i gio-
vani è in generale l’apertura, la genti-
lezza. Si nota anche un po’ di chiusura
riguardo ai sentimenti. Non accettano
che qualcuno possa essere migliore.
Vi è una certa debolezza di carattere,
una persona più forte è in grado di
inibire un altro nella sua ricerca, nel
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L’INVITATO
suo sviluppo. Per quanto riguarda la
situazione attuale, vi è molta incer-
tezza. Il giovane che finisce la scuo-
la, non sa che cosa fare in futuro. Il
mestiere che sto imparando sarà utile
domani? Questa è la domanda che
spesso si pongono. Così tante persone
scappano in Europa per ottenere una
formazione per poi rimanere lì. L’Oc-
cidente ha bisogno di persone che
svolgano lavori manuali e spesso tro-
vano negli ucraini operai responsabili
e capaci che facilmente lasciano il loro
paese per trasferirsi in questi luoghi.
Comunque in questi anni di crisi in
Ucraina si è risvegliato un sentimen-
to patriottico nei giovani e, di conse-
guenza, il desiderio di lavorare per il
Paese, anche se in tanti vanno via. Per
noi salesiani è questa la sfida: inven-
tare con il Signore delle opportunità
affinché i giovani possano rimanere e
costruire qui in Ucraina il loro futuro.
Com’è la Chiesa cattolica
in Ucraina?
La Chiesa cattolica in Ucraina è
presente con i suoi due riti: orienta-
le e latino. L’Ucraina è l’unico paese
in Europa che ha due conferenze e
gerarchie di vescovi. Parlando della
Chiesa cattolica romana, dobbiamo
ricordare i tempi della persecuzione.
Dopo che le Chiese sono state resti-
tuite, la gente è tornata a frequentare
ed ogni giorno abbiamo tante conver-
sioni. La Chiesa in Ucraina vive una
primavera di ricostruzione di struttu-
re: il collegio dei vescovi, alcuni cam-
pi di attività, i movimenti.
Che cosa fanno i salesiani
in Ucraina?
I salesiani della Chiesa cattolica roma-
na in Ucraina lavorano in quattro città:
Odessa, Korostyshiv, Peremyshlyany,
Bibrka. Hanno oratori, parrocchie e
scuole. I salesiani che operano seguen-
do il rito orientale della Chiesa Greco-
Cattolica risiedono a Kiev e a Lviv e
operano in condizioni simili: parroc-
chie, centri giovanili e scuole.
Che cosa bisogna fare
per diventare vescovo?
Non posso dare una ricetta per que-
sto, perché la decisione del Santo Pa-
dre è stata davvero inaspettata. Ho la-
vorato dove la mia congregazione mi
ha inviato, forse il Santo Padre e altri
mediatori hanno visto il positivo o i
lati buoni nel mio lavoro e hanno de-
ciso di farmi diventare vescovo. Cer-
to, non ho fatto niente per diventarlo:
ognuno deve essere responsabile del
campo che il Signore gli ha affidato.
Quali sono i timori
che hai adesso?
In primo luogo, ho un po’ di paura.
Dopo 27 anni di servizio nella mis-
sione salesiana devo animare una
diocesi e servire senza la presenza
della comunità. Chiedo al Signore
di poter superare questa difficoltà.
Chissà poi se potrò compiere tutti
gli impegni che la Chiesa pone da-
vanti a me eleggendomi come vesco-
vo ordinario! Metto tutto nelle mani
del Signore e della Vergine Maria
perché in questo tempo il mio mini-
stero sia vissuto fortemente in Cristo
Gesù. I timori di oggi sicuramente
potranno essere superati con l’aiuto
della sua grazia.
Don Vitaliy con un gruppo di giovani. «Nei centri
giovanili la gente sente il bisogno di aprirsi, di
dialogare, discutere, confrontarsi. Molti hanno
iniziato così un serio cammino di fede».
10
Settembre 2017

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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VUqOuIaUlNuAnVqITuAe
caOmIVLUbMOiOaI NreDO?
UaNInSoCiITI
SaDIlVeEsNiaTAno
Per informazioni: fabiano.gheller@31gennaio.net

2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON - info@missionidonbosco.org - www.missionidonbosco.org
Il riso di Mahajanga
Una grande opera salesiana piena di ragazzi
significa migliaia di bocche da sfamare.
Ma con santa creatività si può dare vita
ad un magnifico progetto.
Erik, il giovane
coadiutore
salesiano con
un aiutante nella
risaia dell’opera.
La risaia della
speranza.
Madagascar. Affacciata sul mare del
Canale di Mozambico, che guarda
alla costa del continente africano, c’è
la città di Mahajanga. Gode di una
splendida posizione un po’ rialzata
che la fa’ assomigliare a tante nostre
belle città prospicienti il mare: Napoli, Trieste,
Genova...
Al tramonto, sull’ampia insenatura che accoglie
la foce del grande fiume che qui sfocia in mare,
davanti al baobab di dimensioni gigantesche che
è il simbolo del lungomare di Mahajanga, non
si può che restare affascinati da tanta bellezza.
Meno male che il Signore ha fatto la terra bella
ovunque e anche i poveri possono godere delle
meraviglie del creato, senza doverle elemosinare
dai ricchi!
A Mahajanga i salesiani hanno un’enorme ope-
ra con parrocchia, oratorio, scuola dell’infanzia e
primaria (collocate, le scuole, in una parte perife-
rica del quartiere abitato da pescatori), dispensario
medico (gestito da una congregazione di suore) e il
12
Settembre 2017

2.3 Page 13

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centro di formazione professionale che può tran-
quillamente competere con molti dell’Italia,
quanto a strutture, attrezzature e organizzazione.
Dialogando con l’economo salesiano dell’ope-
ra il signor Erick, un giovane salesiano coadiu-
tore malgascio di 33 anni appena laureatosi in
ingegneria, mi ha detto due cose molto belle.
La prima è che lui ha scoperto la sua vocazione
salesiana come coadiutore frequentando il centro
di formazione professionale, dove c’era un anzia-
no coadiutore salesiano missionario, che lo aveva
molto colpito per la sua testimonianza di vita, per
la sua signorilità nel trattare con i ragazzi, per la
pazienza e la competenza che aveva nell’insegna-
re meccanica in laboratorio.
E così il giovane Erick alla conclusione del per-
corso formativo ha detto nel suo cuore: io voglio
essere come lui. Che bello scoprire la propria vo-
cazione nella società e nella chiesa, guardando
all’esempio di uno che ti precede nel cammino
della vita e tu che non devi far altro che desiderare
di imitare. Quale enorme responsabilità abbiamo
noi adulti nell’essere un segno ed un modello vi-
vente per i giovani che crescono, siano essi i nostri
figli, se siamo papà e mamme, o solo i ragazzi che
ci vengono affidati, in quanto educatori salesiani.
Diventare autosufficienti
La seconda cosa bella che mi ha comunicato è l’im-
pegno a far mantenere ai ragazzi l’ordine e la puli-
zia nei laboratori della scuola professionale. Il bene
va fatto bene, ripeteva don Bosco. E per fare le cose
bene con continuità ci vuole metodo. Lasciare il la-
boratorio pulito e le attrezzature in ordine al termi-
ne di ogni giorno di scuola è un efficace strumento
per insegnare ai giovani ad essere professionali nel
proprio mestiere. Bravo Erick. Hai capito come si
educa nello stile salesiano e lo stai applicando con
semplicità verso i tuoi fratelli malgasci più piccoli.
A Mahajanga i salesiani mi hanno presentato un
progetto singolare e grandioso al tempo stesso. La
casa e l’attività ordinaria funzionano bene. E loro
ora guardano al futuro per aiutare la propria opera
e le altre case salesiane del Madagascar a diventare
autosufficienti nei costi di gestione ordinaria. Una
grande sfida per tutte le opere missionarie!
Tutto nasce dal bisogno di dar da mangiare ai ra-
gazzi che frequentano le nostre opere salesiane in
Madagascar. Si tratta si sfornare circa 3500 pasti
al giorno a favore di ragazzi, con un piatto che ha
come alimento base il riso. Fatti un po’ di conti
servono ogni anno circa 200 tonnellate di riso.
Per la carne e le verdure ogni casa è già abbastan-
za attrezzata con una piccola azienda agricola in
cui allevano galline da uovo, polli, conigli, maiali
e capre. Coltivano poi verdura e alberi da frutto.
Il tutto per l’autosufficienza alimentare della co-
munità salesiana e dei numerosi ragazzi e giovani
interni (cioè che vivono in collegio) e per il pasto
da dare a metà giornata a quelli che frequentano
giornalmente la scuola... a dire il vero ad Anta-
nanarivo ai ragazzi del viene data anche la
colazione, perché l’utenza è talmente povera che
la fame, questi ragazzi, se la tolgono dai salesiani.
Pensate che la scuola comincia al mattino alle ore
6.00 con la colazione e poi, a seguire, le lezioni.
In quella scuola non ci sono problemi di alun-
Con i primi aiuti
di Missioni Don
Bosco sono stati
scavati i primi
pozzi per l’acqua.
Settembre 2017
13

2.4 Page 14

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SALESIANI NEL MONDO
ni che arrivano in ritardo! Alle sei meno cinque
sono già tutti davanti al cancello che aspettano
venga aperto per correre a far colazione e poi, via
a scuola. Ecco un bell’esempio di quella fanta-
sia salesiana per... prendere due piccioni con una
fava: i ragazzi cominciano puntuali le lezioni, e le
seguono con attenzione perché non spossati dallo
stomaco vuoto!
Come sfamare tante bocche?
Bene, allora come procurarsi il riso per tante bocche
da sfamare? Ad oggi si va al mercato e si compra
quello che serve, confidando nell’aiuto economico
della Provvidenza. Per il futuro invece la Provvi-
denza potrebbe progettare qualcosa di diverso.
A circa 80 chilometri da Mahajanga si trova una
grande piana circondata dall’altipiano, quasi fosse
la base di un ampio catino, che nel periodo co-
loniale i francesi avevano adibito alla coltura in-
tensiva del riso. Siamo nel distretto di Marovoay,
riconosciuto come la zona dove cresce il miglior
riso del Madagascar.
Nel 1960 con l’indipendenza del Madagascar,
le risaie sono state coltivate dagli stessi conta-
dini di prima, che però non hanno più fatto la
manutenzione alla delicata rete di canali che
portano l’acqua quando serve e la tolgono quan-
do il riso deve maturare. Così siamo arrivati ai
giorni nostri che vedono gli agricoltori sempre
più poveri, accontentarsi di coltivare quei piccoli
appezzamenti di terra che possono irrigare con
l’acqua che resta dopo la stagione delle piogge
oppure con l’acqua eccedente che sgorga dal poz-
zo dell’acquedotto che serve la vicina cittadina.
Approfittando di una legge nazionale che ha per-
messo di riscattare queste proprietà ex coloniali,
già alcuni anni or sono, i salesiani del Madagascar
hanno chiesto l’aiuto a Missioni Don Bosco per
poter comprare una grande proprietà agricola di
92 ettari di terra al prezzo di mille euro all’ettaro.
Con altri 10 mila euro poi hanno iniziato i primi
lavori di riconfinamento e scavo di un pozzo per
verificare la portata d’acqua che c’è nel sottosuo-
lo. Completate poi lentamente le procedure per
il passaggio di proprietà, in un dialogo paziente
con i contadini che lavorano la terra ricavandone
poco riso, allo scopo di rassicurarli che non siamo
l’ennesima multinazionale europea, né l’impren-
ditore indiano che ha fatto i soldi e nemmeno gli
emissari del governo cinese che stanno compran-
do di tutto in Africa, siamo riusciti a convincerli
che noi, nuovi proprietari, non li cacceremo da
quelle terre ma li faremo lavorare cercando di ri-
pristinare le risaie come un tempo, così da dare
riso in abbondanza.
Due raccolti all’anno
Ora viene la parte più impegnativa del progetto,
quella che economicamente è più grande e che
permette di mettere in opera l’azienda agricola
che produce riso.
Siamo andati a vedere questa grande proprie-
tà assieme a dei tecnici italiani delle zone dove
si produce il riso, che quindi sono uomini del
mestiere. Il primo lavoro da fare è perforare un
nuovo grande pozzo alla profondità di circa 100
metri. Poiché come ho detto prima, siamo in una
parte pianeggiante bassa circondati dall’altipiano,
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Settembre 2017

2.5 Page 15

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il pozzo una volta attivato darà acqua senza bi-
sogno di pompe e in abbondanza. È già così per
il grande pozzo che alimenta l’acquedotto della
cittadina. Poi dovrà essere nuovamente livellata la
terra e predisposti tutti i canali per portare acqua
ovunque e quelli di scolo per portarla via fino al
piccolo fiume che scorre abbastanza vicino. Nella
stagione delle piogge (gennaio e febbraio) la no-
stra risaia sarà allagata da quel fiume e quindi non
potremo produrre nulla. Ma per nove mesi l’anno
la risaia sarà operativa e darà due raccolti buoni.
Poco male se si perde la possibilità di fare un
terzo raccolto a causa delle inondazioni d’inizio
anno. È l’occasione per far riposare la terra e per-
ché il cielo, con la pioggia, la alimenti natural-
mente grazie al limo che si deposita con l’acqua
delle inondazioni. Così non serviranno prodotti
chimici per “forzare” la produzione ad un ritmo
che la nostra madre terra non riesce naturalmente
a regalare a chi la coltiva.
Il confronto con i tecnici italiani ci ha permesso di
capire che se la produzione in Italia ora si attesta su
6 tonnellate per ettaro (grazie ad una produzione
totalmente meccanizzata aiutata da fertilizzanti e
senza le “mondine” che, facendo il loro lavoro, cal-
pestavano alcune piante di riso) nella nostra risaia
potremo arrivare ad averne 3 di tonnellate. Però
con due raccolti l’anno, quindi stessa produttività
per ettaro dell’Italia. E con il vantaggio che si trat-
ta di riso , prodotto senza fertilizzanti, senza
impoverire troppo la terra, rispettando i cicli na-
turali della stagione delle piogge, facendo lavorare
le mondine e quindi creando un indotto che darà
lavoro a decine e decine di persone.
Con i dati forniti siamo in grado di prevedere che
circa un terzo della produzione serve per l’auto-
consumo dei salesiani e dei giovani da essi educati
(e sfamati). Il resto della produzione può essere
venduto sul mercato interno al giusto prezzo, così
da recuperare i costi sostenuti per l’acquisto del-
la semente, il salario dei lavoratori, l’acquisto e
la manutenzione degli attrezzi agricoli. Si tratta
di un investimento che, per mettere a regime le
risaie così come descritte, si aggira su circa 500
mila euro complessivi.
Mi pare davvero un’ottima scelta di autofinan-
ziamento per il futuro. Puntare sul riso, alimento
fondamentale nella dieta alimentare di ogni mal-
gascio, sicuramente non sarà soggetto a crisi di
mercato o cambio di gusti. Se poi la produzione
serve principalmente per dar da mangiare ai propri
ragazzi, allora mi pare proprio che valga la spesa di
aiutare questi bravi figli di don Bosco che pensano
a come diventare autosufficienti nella gestione del-
le loro opere in terra di Madagascar.
Coltivando
riso, i salesiani
riusciranno a
provvedere la base
per almeno 3500
pasti al giorno per
i loro ragazzi.
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2.6 Page 16

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MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
1
4
ETIOPIA 1
NEPAL 2
FINO AI CO
Una seconda chance
per i bambini di strada
«Nella sola Addis Abeba ci sono
ben 100 000 bambini che hanno disperatamente bisogno
di assistenza per abbandonare la vita di strada» spiega
don Mark Hyde, responsabile di Salesian Mission, la
Procura Missionaria Salesiana di New Rochelle, Stati
Uniti. Amanuel ha incontrato il Bosco Children Project
dopo aver trascorso sei mesi in un centro di detenzione
per un furto che non ha commesso. Aveva appena 2 anni
quando sua madre lo vendette a un “benefattore” che alla
fine lo ha abbandonato. Amanuel ha vissuto per strada
sin dall’età di 13 anni, tra notti fredde, piogge incessan-
ti e la minaccia costante dei ragazzi più grandi, che lo
costringevano a mendicare e a rubare per loro.
Tamiru era ancora più giovane – aveva 9 o 10 anni –
quando scappò da una zia violenta che avrebbe dovuto
prendersi cura di lui. Non è mai finito nel carcere mi-
norile, ma non ha potuto evitare la miseria e la dispera-
zione, come quando mendicava per un po’ di pane a fine
giornata. “Sniffavo la colla perché non ce la facevo più”
ricorda. Fortunatamente, nello scorso gennaio, Tamiru
ha incontrato il personale del Bosco Children Project,
durante una delle loro perlustrazioni notturne.
Presso il centro accoglienza, ragazze e ragazzi ricevono
pasti, vestiti caldi, accompagnamento psicologico e acces-
so ai corsi di educazione e di alfabetizzazione.
Un istituto salesiano per modellare
il futuro della nazione
I Salesiani in Nepal, appartenenti all’Ispettoria di India-
Calcutta, hanno festeggiato sabato 27 maggio l’inaugura-
zione dell’Istituto Don Bosco di Biratnagar, pensato per
portare nuove opportunità ai giovani e alla popolazione
bisognosa e svantaggiata del paese, in particolare del
Distretto di Morang e dell’area di Biratnagar.
La scuola è il frutto di un desiderio a lungo maturato tra
i Salesiani dell’Ispettoria di Calcutta: il terreno venne
acquistato 10 anni fa, anche se la costruzione dell’attuale
edificio è iniziata solo due anni fa, sotto la guida di don
PV Jose, e più tardi di don Jacob Thenganakunnel, che è
anche l’attuale direttore di quest’istituto.
“Siamo davvero grati ai
benefattori, specialmente
ai cittadini tedeschi che
hanno sostenuto il proget-
to attraverso l’ Don
Bosco Mondo”, riportano i
Salesiani del posto.
Il progetto formativo pre-
vede corsi trimestrali nelle
Discipline Alberghiere,
per Elettricisti, Idraulici e
Saldatori, che si completa-
no con un tirocinio di un
mese, al termine del quale
gli studenti sono avviati al
lavoro secondo le rispettive
specializzazioni.
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Settembre 2017

2.7 Page 17

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MYANMAR 3
Una giornata con Maung Zaw Oo
GHANA 4
2
3
“Stop Tratta”:
il futuro parte dalla terra
Maung Zaw Oo è un ragazzo birmano che ha sperimen-
tato l’abbandono, la solitudine e la vita di strada. Ma
che, grazie al centro giovanile salesiano di Mandalay,
ha iniziato una nuova vita.
Quando Maung Zaw Oo era ancora piccolo i suoi
genitori si separarono. All’età di 9 anni venne accompa-
gnato dalla madre a vivere da degli amici di famiglia che
possedevano una sala da tè a Mandalay; doveva essere
una soluzione temporanea, ma poi sua madre sparì e lui
rimase da solo con la nuova famiglia: smise di studiare e
si mise a lavorare come aiutante nella sala da tè.
Non stava poi così male, lì, ma dopo circa un anno decise
di andarsene e iniziò a fare vita di strada: doveva lottare
per sopravvivere ogni giorno, mangiava quel poco che
trovava tra i rifiuti… Fino a che si pentì della sua scelta.
Provvidenzialmente, incontrò qualcuno che gli parlò del
centro giovanile salesiano, vi andò e gli piacque.
Ora sono già diversi anni che Maung Zaw Oo vive pres-
so il centro salesiano. Non è più solo, anzi ha degli amici
provenienti anch’essi dalla vita di strada. Nel centro ha
acquisito delle abitudini e una sana quotidianità, con del
tempo per l’educazione, per il riposo, la meditazione e la
preghiera.
Il Ghana è uno dei paesi dell’Africa occidentale più
colpiti dal fenomeno dell’emigrazione e la regione del
Brong Ahafo è, fra tutte, la più coinvolta. Attraverso il
programma “Stop Tratta” i Salesiani intendono offrire
a queste persone la possibilità di restare nel luogo in cui
sono nate e cresciute, attraverso lo sviluppo di progetti
agricoli sostenibili.
«Voglio rendere concreto il mio desiderio mangiando
quello che coltivo, sostenendo con la mia produzione
agricola il Ghana e chissà, magari anche l’Africa, in
qualche modo. Attraverso l’esempio voglio far capire ai
giovani che l’agricoltura è un’ottima possibilità. Nella
nostra regione questa è forse l’opzione migliore. Ho pro-
messo di impegnarmi con tutto me stesso. Per me è un
onore e un dovere far parte di questo progetto». A parlare
è George Takyi un giovane di 33 anni che ha frequentato
la scuola tecnico-agraria Don Bosco a Sunyani e che ha
deciso di dedicarsi con molta serietà all’agricoltura.
Lui è uno dei candidati tutor del progetto che i Salesiani
stanno realizzando nella regione del Brong Ahafo per fa-
vorire lo sviluppo locale e arrestare la tratta. «L’obiettivo
è riuscire a vivere con l’agricoltura e mostrare ai giovani
che è possibile farlo localmente senza troppi rischi. E
questo è un obiettivo che coincide con la nostra campa-
gna “Stop Tratta”».
Settembre 2017
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
«Siamo al fianco dei salesiani del Venezuela» (don Ángel Fernández Artime)
Incontro con
don Roman Cena
da La Dolorita, Caracas
«Vogliamo costruire
insieme un Venezuela
realmente democratico,
in cui tutti ci sentiamo
accolti, figli di Dio
e fratelli che vivono
in armonia e in pace,
in cui siano rispettate
le libertà fondamentali
delle persone ed esistano
possibilità di sviluppo».
Si può autopresentare?
Mi chiamo don Romano Cena, ho 78
anni, sono salesiano da 60 anni e sa-
cerdote da 50. Sono arrivato in Vene-
zuela nel 1956, quando avevo 17 anni,
per seguire il percorso del Noviziato.
Sono nato a Torino. Attualmente la-
voro in una parrocchia molto grande
alla periferia di Caracas, in cui vivono
tante persone alle prese con difficoltà
economiche.
Qual è stata la sua
esperienza più bella?
Ho vissuto tante esperienze; posso dire
che praticamente tutta la mia vita sia
stata un’esperienza benedetta da Dio.
Ricordo, in particolare, che quando
avevo 54 anni domandai all’ispetto-
re di permettermi di frequentare un
corso che mi servisse per l’aggiorna-
mento, oltre a costituire un periodo di
riposo. Ricevetti invece l’obbedienza,
insolita e inaspettata, di andare a la-
vorare in un centro che si occupava di
inserimento nella grande baraccopoli
di Petare. L’opera era atipica; si tratta-
va di vivere a contatto con gli abitanti
della baraccopoli, in una casa in mezzo
alle altre, e di là promuovere l’evange-
lizzazione su vari fronti in molti altri
quartieri. Accettai subito. La prima
volta entrai nella baraccopoli con una
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Settembre 2017

2.9 Page 19

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Sotto il titolo: Don Roman ad una processione.
A destra: Un manifestante con il cartello
“Il Venezuela ha fame”.
certa apprensione; ben presto, però,
quando attraversavo il confine del
quartiere mi sentivo “a casa”: provavo
un senso di insicurezza al suo esterno.
Anche l’opera di evangelizzazione fu
molto interessante, perché il quartiere
diventò per me casa, scuola, giardino
e parrocchia... e la gente lo percepiva
così. Noi Salesiani eravamo conside-
rati parte del loro mondo. Dopo aver
vissuto questa esperienza per 11 anni,
posso dire che siano stati gli anni mi-
gliori della mia vita salesiana, quelli
che mi hanno veramente avvicinato al
cuore delle persone, di quelli che sono
stati i miei veri maestri.
Com’è nata la sua
vocazione? Come ha
reagito la sua famiglia?
Perché è partito
per le Missioni?
La mia vocazione si è manifestata gra-
dualmente. La mia famiglia era molto
religiosa: i miei genitori nutrivano una
profonda fede cristiana ed entrambi
facevano parte dell’Azione Cattolica.
Sono il quinto di sei figli, tutti maschi.
Fin da bambino cominciai a partecipa-
re assiduamente insieme ai miei fratelli
alle attività della nostra Parrocchia, la
chiesa di Santa Teresina in via Caboto.
Ero uno tra i bambini più assidui al ca-
techismo, ero ministrante, facevo par-
te del gruppo di aspiranti dell’Azione
Cattolica. Di quegli anni conservo il
vivo ricordo delle occasioni in cui la
mia mamma accompagnava i figli più
piccoli ai Santuari della Consolata e
di Maria Ausiliatrice; quest’ultimo mi
affascinava in modo particolare. Prima
di andare via, la nostra mamma ci pre-
sentava al sacerdote che prendeva nota
delle Messe e gli chiedeva di impartir-
ci la benedizione di Maria Ausiliatrice
perché fossimo buoni. Fin da bambino
ero attratto dal clima salesiano che si
respirava nell’Oratorio Salesiano della
Crocetta, vicino a casa dei miei cugi-
ni (uno di loro, Ugo, diventò coadiu-
tore salesiano). Ricordo che leggevo
con piacere le storie di don Bosco e di
Domenico Savio. Nella mia parroc-
chia, poi, i catechisti ci proponevano
anche le filmine su don Bosco. La
prima persona ad accompagnarmi nel
mondo salesiano fu un sacerdote, don
Mario Tricerri, segretario dell’Ateneo
Salesiano, che tutti i giorni celebrava
nella mia parrocchia la Messa che io
servivo. Questo sacerdote mi indiriz-
zò a un altro Salesiano, don Sereno da
Frosi, che fu ordinato sacerdote quello
stesso anno e propose ai miei genitori
di mandarmi nell’aspirantato di Ca-
stelnuovo, che proprio quell’anno si
trasferì a Bagnolo. Là, nel calore di
quell’ambiente, maturai il desiderio di
essere salesiano e missionario.
E perché proprio
in Venezuela?
Il nostro aspirantato era sovvenziona-
to dall’Ispettoria del Venezuela. Ogni
anno celebravamo solennemente la fe-
sta dei sacerdoti novelli: tra loro c’erano
molti Venezuelani. Cominciarono così
a partire per il Noviziato in Venezuela
i primi gruppi di compagni di studi.
Mandavano poi le loro esperienze di
viaggio, che leggevamo con piacere in
refettorio. Vivevamo un vero e proprio
clima missionario. Quando frequenta-
vo il quinto anno di studi, per me fu
naturale chiedere di andare in Vene-
zuela e frequentare là il Noviziato. I
miei genitori diedero il consenso, non
senza una certa apprensione.
Ho seguito qui in Venezuela il mio
percorso di formazione, a partire dal
Noviziato. Mi sono identificato com-
pletamente con la mia nuova patria e
con la mia missione. I passi compiuti
nella vita salesiana, il noviziato, la pri-
ma professione, gli studi di filosofia, il
tirocinio, la professione perpetua e, in-
fine, gli studi di teologia e l’ordinazio-
ne sacerdotale a Roma, mi hanno aiu-
tato a perseverare nella mia vocazione.
Il primo anno dopo l’ordinazione sa-
cerdotale, che è coinciso con l’ultimo
anno di studio della teologia, è stato
decisivo. Prima di tornare in Venezue-
la, nel mese di agosto, l’Ispettore mi
permise di vivere un’esperienza specia-
le in una comunità internazionale di
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2.10 Page 20

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A TU PER TU
50 sacerdoti e seminaristi. Ricordo che
il responsabile mi pose una domanda
semplice: «Qual è il tuo ideale?». Ri-
sposi istintivamente: «Essere sacerdote
salesiano e missionario». Il responsa-
bile mi guardò e disse: «Questo idea-
le non basta; il tuo ideale deve essere
Dio». «Certo», replicai. «No», con-
tinuò il mio interlocutore, «non può
essere dato per scontato. L’ideale deve
essere solo Dio, e per Lui, se questa è
la sua volontà, devi essere disposto a
sacrificare il progetto di essere sacer-
dote salesiano e missionario». Questo
dialogo mi fece andare in crisi e mi
aiutò a comprendere che Dio, in real-
tà, occupava il secondo posto nella mia
vita, mentre altri ideali, che pur essen-
do buoni erano passeggeri, assorbiva-
no le mie aspirazioni e la mia vita... Ri-
pensando ora alla mia vita, ringrazio
quel sacerdote svizzero, Tony Weber,
che mi fece aprire gli occhi, perché
fino a quel momento ero andato avan-
ti raggiungendo vari obiettivi, ma ora
che ero sacerdote, quale sarebbe stata
la mia meta successiva? Mi tornarono
in mente le parole che Ignazio di Lo-
yola rivolse a Francesco Saverio, che
era allora studente universitario: «se
poi?». Quelle parole aiutarono Fran-
cesco Saverio a scoprire che in fondo
ai suoi ideali c’era la morte, ma Dio lo
chiamava alla vita.
In tutti questi anni ho vissuto diverse
esperienze e varie scoperte, ma sem-
pre in quest’ottica. La mia età ormai
mi porta ad avvicinarmi alla conclu-
sione e vivo tante situazioni in tono
minore, per limiti dovuti alla salute,
per il calo delle forze a livello fisico e
per la capacità di lavorare che si ridu-
ce. Tutto questo mi porta davvero a
credere e a vivere sempre più secondo
il motto “Solo Dio basta”.
Com’è l’opera in cui lavora
attualmente?
Attualmente lavoro in una parrocchia
alla periferia di Caracas, nella zona
montuosa di Mariche. Nel corso de-
gli ultimi cinquant’anni, tante perso-
ne hanno occupato questo territorio
costruendovi la loro casa, senza alcun
controllo e tanto meno una pianifica-
zione. Per questo motivo l’area è so-
vrappopolata (la nostra parrocchia ha
oltre 100 000 abitanti) e scarseggiano
molti servizi di base. Un altro Salesia-
no e io prestiamo qui la nostra opera,
che in pratica è completamente assor-
bita dall’evangelizzazione, ma il no-
stro raggio d’azione è limitato. Siamo
spiacenti di vedere questo immenso
numero di persone senza alcuna assi-
stenza, soprattutto bambini e giovani,
che finiscono per entrare nella logica
del vagabondaggio e del crimine.
L’anno prossimo, a Dio piacendo, do-
vremmo essere 4 o 5 a lavorare qui,
perché nel fine settimana saremo aiu-
tati da alcuni studenti di teologia.
Quando sono arrivati
i Salesiani in Venezuela?
I Salesiani sono arrivati in Venezuela
nel mese di novembre del 1894. Era-
no stati mandati da don Rua.
20
Settembre 2017

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Don Roman ad un incontro giovanile. «I giovani
venezuelani sono allegri, spontanei, molto aperti,
amano fare festa, anche se sono condizionati dalla
situazione attuale. Non perdono comunque il senso
dell‘umorismo e la dignità».
A pagina precedente : Caracas. In primo piano
un quartiere periferico.
Quali sono le opere
principali dei Salesiani
in Venezuela?
Lavoriamo principalmente con i bam-
bini e con persone in difficoltà econo-
miche. Abbiamo un discreto numero
di parrocchie, in zone popolari e po-
vere. Nell’ambito educativo, stiamo
affidando progressivamente le scuole
ai laici della Famiglia Salesiana, ri-
servandoci la pastorale. È stata creata
una rete chiamata “Casa Don Bosco”
per i ragazzi di strada, che compren-
de una decina di opere coordinate
dai Salesiani. È stata anche istituita
l’organizzazione “Giovani e Lavoro”
per i giovani privi di istruzione che
vogliono formarsi per il lavoro. Nel-
la nostra parrocchia sono operativi
due di questi centri. L’organizzazio-
ne comprende complessivamente una
quindicina di centri. Ci è stato affi-
dato il Vicariato Missionario dell’A-
mazzonia, con diversi centri missio-
nari, con priorità per quelli al servizio
degli Yanomami, i primi contatti con
i quali risalgono ai padri Luigi Coc-
co e Alfredo Bonvecchio: sono attive
due scuole bilingui e viene svolto un
interessante e proficuo programma
di catecumenato con gli indios. Pur-
troppo avvertiamo il problema della
carenza di personale, ma negli ultimi
due anni abbiamo dato alla Chiesa
quattro Salesiani che sono stati con-
sacrati vescovi in zone disagiate.
Il nostro Ispettore è stato eletto presi-
dente del
, un’organizzazione
che riunisce i religiosi del Venezuela.
Come ci vede e considera
la gente?
Generalmente godiamo di buona re-
putazione: le persone ci sentono vici-
ni, partecipi della loro vita, soprattut-
to in queste circostanze critiche in cui
viviamo.
Come sono i giovani
venezuelani?
Sono allegri, spontanei, molto aperti,
amano fare festa, anche se sono con-
dizionati dalla situazione attuale. Non
perdono comunque il senso dell’umori-
smo e la dignità: occorre compiere uno
sforzo per comprendere la situazione
precaria in cui stanno vivendo, carat-
terizzata da mancanza di cibo, di op-
portunità, di ideali. Da oltre due mesi
il Venezuela rivendica i diritti lungo le
strade: a causa della repressione sono
morte settanta persone, in maggio-
ranza giovani e adolescenti, oltre mille
giovani sono stati arrestati e altrettanti,
se non di più, sono rimasti feriti nelle
manifestazioni. I primi ad agire sono
sempre i giovani. Sono ammirevoli
l’inventiva e lo spirito di sacrificio che
manifestano per cercare di fare in modo
che il Venezuela torni a essere quello di
sempre, in cui tutti possano sentirsi a
proprio agio e vivere come fratelli.
Quali sono i problemi
più sentiti, oggi?
È difficile dire quali siano i problemi
più pressanti di oggi, ma si può dire
senza tema di smentita che oggi tutto
sia un problema: mangiare, ammalar-
si, uscire, lavorare, andare a effettuare
acquisti: non c’è denaro a sufficienza,
l’insicurezza ci spaventa (non si può
lasciare la casa incustodita, perché al
ritorno la si può trovare svaligiata, si
registrano furti continui e violenza);
viviamo senza alcuna protezione da
parte della pubblica autorità (la poli-
zia è corrotta), senza tutela da parte
della legge, poiché il governo fa di
tutto per distruggere la nostra Costi-
tuzione e imporre una Costituzione
comunista.
Settembre 2017
21

3.2 Page 22

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TEMPO DELLO SPIRITO
I dieci uomini più ricchi
I dieci bambini più povermi odenl do
Bill Gates
Warren Buffet
Amancio Ortega
83 900 mdd*
73 200 mdd*
72 100 mdd*
Bily, 5 anni, Guatemala Warahamatu, 10 anni, Ghana Amanda, 10 anni, Zimbabwe
(Meno di 1 euro al giorno)
(Meno di 1 euro al giorno)
(Meno di 1 euro al giorno)
1
2
3
«I miei genitori sono agricoltori, se
quest’anno non piove non ci sarà
raccolto e perciò non avremo niente
da mangiare».
«Mia madre è una venditrice di
strada per pagarmi la scuola. Sa
che è importante perché lei, come il
93 per cento delle donne della mia
comunità, è analfabeta».
«I miei genitori sono disoccupati.
Ogni giorno lottano per guadagnare
qualcosa e potermi offrire un futuro
migliore».
Ogni anno, la rivista americana Forbes pub-
blica la classifica degli uomini più ricchi del
pianeta. Un’organizzazione non governativa,
World Vision, pubblica a sua volta la lista di
dieci dei bambini più poveri del mondo.
Sono i bambini a pagare il prezzo più alto
alla povertà di tante zone del mondo.
Loro non possono neanche sognare. Non saranno
mai medici, avvocati, ingegneri o professori. Non
possono avere medicine, non possono frequentare la
scuola. Sono condannati. Per questo dobbiamo lotta-
re perché nel nostro mondo ci sia più giustizia.
Larry Ellison - 48 100 mdd*
Laura, 2 anni, Bolivia
(Meno di 1 euro al giorno)
7
«Non abbiamo abbastanza
soldi per disporre di acqua
potabile. Bere acqua sporca
mi provoca dolori di pancia e
mi fa ammalare».
22
Settembre 2017

3.3 Page 23

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Jeff Bezos
66 000 mdd*
Carlos Slim
49 600 mdd*
Jeferson, 9 anni, Guatemala Carlos, 12 anni, Bolivia
(Meno di 1 euro al giorno)
4
(Meno di 1 euro al giorno)
5
Mark Zuckerberg
49 000 mdd*
Marcos, 6 anni, Guatemala
(Meno di 1 euro al giorno)
6
«Solo il 30% dei bambini della mia
comunità termina le elementari.
Siamo obbligati ad abbandonare la
scuola per aiutare i nostri genitori».
«Mio padre è rimasto senza lavoro
l’anno scorso. Ora tutta la famiglia
deve aiutare il nonno nell’orto per
guadagnare qualcosa».
«Le cure mediche qui sono molto
care. Mio padre, che è agricoltore,
non può pagare nessuna cura».
Charles Koch
43 600 mdd*
Charles, 13 anni, Ghana
(Meno di 1 euro al giorno)
8
David Koch
43 500 mdd*
David, 14 anni, Zimbabwe
(Meno di 1 euro al giorno)
9
Michael Bloomberg
40 400 mdd*
Michael, 13 anni, Ghana
(Meno di 1 euro al giorno)
10
«I miei genitori sono agricoltori.
Quest’anno non ha piovuto e non
potremo raccogliere quanto abbia-
mo seminato. Quindi non avremo
alcuna entrata».
«Mio padre è morto e mia madre
è disoccupata. Tanti bambini sono
malati di Aids e i genitori non pos-
sono aiutarli. Io non ho futuro».
«Mia madre fa la venditrice ambu-
lante per guadagnare un po’ di de-
naro extra per pagare la scuola a me
e ai miei fratelli».
* Milioni di dollari
Settembre 2017
23

3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
VALERIO DEL CROCE
«La vita è adesso:
preparati!»
Don Bosco e il lavoro, tanti gli insegnamenti
del Santo a riguardo. Per lui il concetto legato
all’essere buon cristiano e onesto cittadino
passava senza ombra di dubbio anche per la
formazione e la dignità che il lavoro conferisce
ad ogni giovane.
Formazione umana
e preparazione professionale
all’Istituto Salesiano Gerini
di Roma.
L’ingresso
dell’Istituto Gerini
nella periferia Est
di Roma.
E questo è l’elemento cardine contenuto nel
suo messaggio che sta a fondamento di
opere come l’istituto Salesiano Gerini
di Roma. Una realtà che ha una precisa
impronta salesiana e che opera ormai dal
1958 con una precisa identità e con obiet-
tivi formativi molto chiari. L’impressione che si
ha è quella di una dimensione ideale per i ragazzi
che vengono formati non soltanto al lavoro ma
soprattutto alla fraternità e al rispetto reciproco
sempre nel pieno spirito di don Bosco, presente
più che mai in ogni opera dell’Istituto.
La fascia d’età dei ragazzi non comprende soltan-
to giovani tra i 14 e i 18 anni ma anche perso-
ne più adulte che intendono formarsi in maniera
adeguata per poi ricevere il diploma. Un luogo in
cui pastorale e formazione professionale corrono
di pari passo uniti dalla salesianità e dallo Spirito
Santo che sono il fondamento di ogni attività.
Come mi spiegava il direttore del Centro di For-
mazione Professionale, dottor Davide Sabatini,
il Gerini è una realtà attenta, attuale e propo-
24
Settembre 2017

3.5 Page 25

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sitiva nei confronti del mercato del lavoro, dove
eccellenza e innovazione sono parte integrante
della proposta formativa. Molti infatti i giovani
che partecipano a stage che riguardano oltre 300
aziende nei quali è presente la figura di tutor
aziendale con compiti di tutela nel trattamento
del ragazzo. I corsi d’eccellenza dell’Istituto sono
la meccanica agricola, patrocinata da
-
e poi il restauro di auto d’epoca ricono-
sciuta dall’ , con una grande partecipazione di
ragazzi dai 18 anni in su. Sono molti gli studenti
che escono dall’Istituto con la qualifica di mec-
canico, con un’altissima percentuale di occupati
dopo soli sei mesi dal conseguimento del titolo,
trovando gli sbocchi principali proprio nel settore
della meccanica.
mazione professionale. I nostri centri si devono
spingere a formare una nuova classe operaia in-
tesa come difesa di diritti e doveri dei lavoratori.
Vogliamo dare competenza e dignità al lavoro, ai
ragazzi.
Vorrei, come sogno da realizzare, una scuola di
formazione sindacale per un nuovo tipo di sin-
dacato di ispirazione cristiana. Come dice papa
Francesco la migliore carità è dare dignità ai lavo-
ratori. I nostri ragazzi devono avere un impegno
nel sociale e li dobbiamo abilitare alla costruzione
La serietà della
preparazione
professionale
della scuola è
testimoniata
dall’altissima
percentuale
di occupati.
Contro l’apatia
Per capire ancora meglio la grandezza di questa
opera salesiana abbiamo incontrato don Sandro
Fadda (direttore della Casa) il quale, in maniera
molto dettagliata e accurata, ci ha parlato dell’I-
stituto: “L’Opera del Gerini si caratterizza pro-
prio per la zona geografica dove si colloca, siamo
infatti nella periferia Est della città di Roma. Il
Gerini è una risposta per i giovani e la loro for-
Settembre 2017
25

3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
Tra le
specializzazioni
della scuola c’è
anche il restauro
di auto d’epoca.
del bene comune. Don Bosco fu il primo a fare
un contratto di lavoro di apprendistato e i ragazzi
che escono dal nostro Istituto non sono solo pre-
parati, ma abilitati con uno stile imprenditoriale.
La sfida più grande nel mondo di oggi è combat-
tere l’apatia, perché spesso questi ragazzi vedono
chiudersi porte. Fare scuola non è soltanto legato
al concetto di nozione ma è insegnare a vivere con
una giusta cultura. Molti dei ragazzi che ospitia-
mo hanno interrotto il percorso scolastico ed è
nostro obiettivo riavvicinarli allo studio e valo-
rizzarne le doti, le qualità personali. Cerchiamo
di tirar fuori il meglio da ognuno.
Nel carisma salesiano formiamo i nostri giovani
per educarli a prendere un impegno nella vita so-
ciale. Rispettiamo ciò che don Bosco affermava:
“buoni cristiani e onesti cittadini” attraverso la
dignità del lavoro. Chiunque ci voglia aiutare è
benvenuto, visto che abbiamo bisogno di nuova
strumentazione e materiale per l’insegnamento.
Cultura e amicizia
Ma l’istituto Salesiano Gerini ha in sé un elemen-
to in più che lo contraddistingue dalle altre scuole
professionali: la pastorale giovanile. Gioacchino
Passafari (coordinatore Pastorale e insegnante di
elettronica nel settore della meccanica auto) ce ne
ha parlato nel dettaglio: “Sono qui dal 2008, da
subito con questo incarico: occuparmi dell’ani-
mazione pastorale della scuola.
Dividiamo per fasce di età la nostra proposta pa-
storale: proponiamo la giornata dell’amicizia per
l’interazione tra i membri della classe con giochi
tra le classi. Nel mese di gennaio si propongono
attività di conoscenza di don Bosco. La propo-
sta culmina con la visita ai luoghi di don Bosco
a Torino.
Di solito nei mesi di marzo facciamo alcuni ritiri
con visite nelle Basiliche di San Giovanni, Santa
Croce in Gerusalemme e San Clemente aperti a
tutti i ragazzi. Genzano o Arcinazzo nei mesi di
marzo o aprile vengono scelti come sedi per una
rappresentanza di alcuni ragazzi scelti in base alla
sensibilità e voglia di aderire alla proposta. Nei
nostri progetti sono previste anche visite culturali
all’estero (quest’anno in Polonia) e cerchiamo con
regolarità di aderire anche al Forum .
C’è stata sempre una grande soddisfazione da
parte dei ragazzi. Cerchiamo di valorizzare le fe-
ste salesiane. Importante è la festa di don Bosco
come da tradizione. Inoltre il nostro programma
prevede attività pomeridiane: abbiamo una scuola
26
Settembre 2017

3.7 Page 27

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di chitarra e c’è la possibilità della preparazione ai
sacramenti della confessione, della comunione o
della cresima per chi non l’avesse ricevuta”.
Un rapporto fraterno
C’è dunque un progetto salesiano serio e coeren-
te all’interno delle attività dell’Istituto Gerini,
siamo andati anche a parlare con uno degli in-
segnanti che ci ha gentilmente raccontato alcuni
aspetti cardine che riguardano il processo forma-
tivo dei ragazzi.
Romano Gugliotta, insegnante ed exallievo della
scuola, vice capo settore, tutor, collaboratore sa-
lesiano e volontario in terra di missione in Ma-
dagascar e Guatemala ci ha spiegato che: “Lo
spirito salesiano è al centro del nostro lavoro di
insegnanti, lavoro qui dal 1997 e la salesianità per
me è parlare quotidianamente con i ragazzi delle
piccole cose, ed essere un esempio.
Cerco di costruire un rapporto familiare al di là
della formazione. Il campo lavoro, ad esempio, è
un premio per i ragazzi che hanno più sensibi-
lità per l’aspetto umano e religioso. Io prometto
loro fatica e divertimento oltre al lavoro. Di solito
scelgo un gruppo di 10/15 ragazzi, un compo-
nente per classe e lo scelgo in base alla prepara-
zione e alla sensibilità. Offriamo lavoro in questi
posti, il premio è lavorare di più. La quotidianità
ci avvicina, c’è un rapporto più fraterno e i ra-
gazzi si accorgono del lato umano del professore
legandoci in un modo autentico”.
Il gruppo dei
formatori. «Lo
spirito salesiano
è al centro del
nostro lavoro
di insegnanti».
Settembre 2017
27

3.8 Page 28

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Storia di Elsa
«A me non piace la vita religiosa...»
«Sono Elsa Franco,
Figlia di Maria Ausiliatrice.
Sono nata a Huesca,
nel nord della Spagna,
36 anni fa. Ho 11 anni
di professione religiosa.
Voglio condividere con voi
un pezzo della mia storia.
Vorrei che queste semplici
parole vi portassero sia
la forza con la quale sto
scrivendo sia la passione
che si risveglia in me,
e mi avvolge, rivisitando
la mia vita».
Qualche tempo fa ho
scritto qualcosa della mia
biografia meditando il
testo evangelico di Luca,
riguardo all’annuncio
dell’Arcangelo a Maria ed
immaginando che fosse il
mio incontro con il Signore.
Nel 2000 il Signore ha rag-
giunto la città di Huesca
con l’intenzione di cercare
una ragazza che fosse re-
lativamente tranquilla, che
svolgesse quello che le pia-
ceva e che fosse abbastanza felice, an-
che se già qualche volta aveva sentito
che la vita poteva essere più forte, più
autentica, più vissuta.
Il nome di questa ragazza era Elsa.
A Elsa piaceva fare una pausa la sera,
si recava in camera (di nascosto!) per
rilassarsi e... sì, anche pregare. Le
piaceva ripetere una frase del Vangelo
suggerita nel suo gruppo di revisione,
in quanto passava anche un po’ del
suo tempo in parrocchia.
Elsa era convinta che la sua vita fos-
se sotto il suo controllo e pensava che
le frasi evangeliche che leggeva con
entusiasmo fossero soltanto belle pa-
role, senza la forza però di cambiare
qualcosa. Ma quando lei era all’U-
niversità non seguiva la lezione su
Shakespeare, anche se lui diceva delle
bellissime parole, gliene venivano in
mente altre: “Venite e vedrete”, “Non
abbiate paura”, “Cercate e troverete”...
Non riusciva a comprendere come,
se la poesia era molto più bella, Elsa
non ne venisse catturata, non restas-
se affascinata neanche da una parola
di Hamlet! Cominciò a preoccuparsi
molto: Cos’è questa storia? Non voglio
complicazioni adesso!
E non si sa se fosse un solo Angelo
oppure un battaglione, ma certamente
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Settembre 2017

3.9 Page 29

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anche a lei sembrò di ascoltare qualco-
sa di simile alle parole che l’Arcangelo
Gabriele aveva detto a Maria: “Piena
di grazia, il Signore è con te e viene a tro-
varti”. Maria rimase turbata (meglio
dire: fu piena di spavento!) e ha pensa-
to al significato di quello strano saluto.
Vedi, Elsa? Tanta impazienza per im-
parare a pregare, per cercare il senso
della vita, per fare silenzio, e guarda:
sei immersa in un pasticcio! Dov’è la
via di uscita, per favore?
Così la giovane ringraziò l’Angelo, o
chi per lui, della sua visita, gli fu mol-
to riconoscente, ma disse che aveva
molto altro da fare.
Ma Dio (grande Dio!) non si stanca-
va: “Non avere paura, Elsa, Dio ti ha
guardato e pensa a te; non chiuderti,
lascia fare a Lui e vedrai...”.
Ma lei rispondeva di seguito: “Ascol-
tami, Angelo, non succederà niente,
perché io sto bene così, non ho biso-
gno di seguire Dio particolarmente,
lo faccio già secondo il mio stile, il
mio ritmo, come a me piace; sì, An-
gelo, così farò ancora... E ricordati che
a me non piace la vita religiosa: mi
addormento alla messa, non mi piace
alzarmi presto, mi piace la festa... e ho
detto di no!”. Qualcuno continuava ad
insistere: “Lo Spirito Santo scenderà
su di te e ti donerà la forza. Guarda,
la tua amica Marta, è pronta per co-
minciare un’esperienza con le Suore
di Sant’Anna”.
Elsa davvero non aveva risposto: Sono
la serva del Signore, si faccia in me la
tua volontà, ma: “Sono contenta per
tutti voi, ma io me ne vado. Grazie di
tutto, lasciatemi in pace”.
Invece, da quel momento, qualche cosa
dentro di lei si è mosso così tanto che
non ha potuto che cercare di capire che
cosa e Chi non la lasciava tranquilla.
Finalmente, Elsa riconobbe che Dio
aveva vinto, che doveva provare e darsi
un’opportunità. E se la sua felicità era
lì, con le suore? Era duro riconoscerlo,
in quel momento, quando tutto nella
vita sembrava andare bene.
Suora?? Io??
Com’è forte, molto forte. Dio chiama-
va ed io non volevo ascoltare, perché
avevo paura. Paura di perdere la mia
vita, di sprecare il tempo, di non essere
normale. E oggi mi accorgo che nor-
male non sono, ma... sono felice!
E penso che sia questo il messaggio
che Dio voleva dirmi e continua a
dirmi ogni giorno, anche quando la
vita non è facile, quando le relazioni
diventano difficili, oppure la missio-
ne educativa si fa dura.
Sono qui perché continuo ad ascol-
tare quelle parole belle, più belle di
tutti i sonetti di Shakespeare: “Vieni
e seguimi”. Queste parole hanno in
me una forza che non so spiegare, ma
le sento e continuo a sentire: novità,
fiducia, avventura, sfida, pienezza,
amore, libertà.
Troppo forte, vero? Ma quando si par-
la del senso della vita, di trovare il tuo
posto... si lascia la paura, la stanchezza,
e si va. E nel viaggio si trovano per-
sone, circostanze, si vivono esperienze
che riempiono una vita intera.
Quando ascoltate la sua voce, con
l’Angelo o senza, andate a vedere, se-
guite la voce, seguite la Vita. Ne vale
la pena!
Vi auguro tanta forza per camminare
ogni giorno e, come diceva Shake-
speare: “To be or not to be: that’s the
question”.
Pensateci!
Settembre 2017
29

3.10 Page 30

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CONOSCERE VALDOCCO
LIVIA ODDONE
Un piccolo gioiello nella basilica di Maria Ausiliatrice
La cappella delle
Sante Reliquie
Si presenta con una navata
unica a croce latina, con volte
a vela e a botte che ricordano,
anche per i motivi ornamen-
tali, le catacombe cristiane.
Appena discesa la scala, ci si
trova di fronte all’altare dell’Appari-
zione che ricorda la visione avuta da
don Bosco nel 1845 durante la quale
la Vergine gli indicò il luogo del mar-
tirio dei tre soldati romani Solutore,
Avventore e Ottavio. Una croce di
metallo sul pavimento, a sinistra, e
un quadro di Dalle Ceste segnano il
luogo preciso indicato dalla Vergine.
Don Bosco così ci racconta: «Mi sem-
brò di trovarmi in una gran pianura
piena di una quantità sterminata di
giovani (...). Erano giovani abbando-
nati dai parenti e corrotti. Io stava per
allontanarmi di là, quando mi vidi
accanto una Signora che mi disse: “In
questo luogo dove i gloriosi Martiri di
Torino Avventore ed Ottavio soffriro-
no il loro martirio, su queste zolle che
furono bagnate e santificate dal loro
sangue, io voglio che Dio sia onorato
in modo specialissimo”. Così dicen-
do, avanzava un piede posandolo sul
luogo ove avvenne il martirio e me lo
indicò con precisione. Io voleva porre
qualche segno per rintracciarlo quan-
do altra volta fossi ritornato in quel
campo, ma nulla trovai intorno a me;
La Basilica di Maria
Ausiliatrice di Torino
è il “luogo del cuore”
di tutta la grande
Famiglia Salesiana.
Entrando dall’ingresso
principale, a destra,
una scala conduce
alla Cripta o “Cappella
delle Reliquie”.
30
Settembre 2017

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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agli altari minori, le urne delle sacre
Reliquie. Un criterio speciale fu tenu-
to nella dedicazione degli altari.
L’altare principale, dedicato alla Pas-
sione di Nostro Signore, custodisce
una delle più insigni Reliquie del san-
to Legno della Croce.
L’altare centrale dalla parte del Vangelo
è dedicato ai santi Martiri; quello dalla
parte dell’Epistola ai Santi Confessori.
Dei quattro altari secondari, quelli
presso l’altare principale sono dedi-
cati uno ai Santi Fondatori di Ordini
e Congregazioni religiose, l’altro ai
Dottori della Chiesa: i due presso l’in-
gresso della cappella sono dedicati alle
Sante Vergini e Martiri e alle Sante né
Vergini né Martiri. Le lunette di que-
sti quattro altari sono ornate dai qua-
dri dipinti da Mario Barberis.
non un palo, non un sasso: tuttavia lo
tenni a memoria con precisione» (Me-
morie biografiche 2, pp. 298-299).
La navata come il transetto sono
chiusi al fondo da un’abside. I moti-
vi ornamentali e simbolici della de-
corazione sono ispirati ai tipi delle
catacombe, e vi predomina la Croce.
Infatti essa non è solo elemento della
scena della Passione e della liturgia,
ma l’espressione della pietà, e motivo
primo del culto, sui sepolcri dei Mar-
tiri, simboleggiata dal monogramma,
dall’ancora, dal tridente ecc. La volta
invece, a motivi geometrici, è a fondo
azzurro, smagliante di colore e di de-
licate sfumature. Tutto il basamento
della cappella è di marmo giallo chia-
ro con cornice di alabastro.
Lungo le pareti di destra e sinistra
vengono man mano disposte, attorno
Altare dei santi fondatori di ordini e congregazioni religiose
I Santi prescelti sono otto, dipinti in tre gruppi: due al centro, san Giovanni Bosco e san Francesco
di Sales; tre alla destra di don Bosco, san Benedetto, san Domenico, san Francesco d’Assisi; tre alla
sinistra di san Francesco, cioè san Filippo Neri, san Giovanni Battista de La Salle e sant’Ignazio di
Loyola.
Settembre 2017
31

4.2 Page 32

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CONOSCERE VALDOCCO
Altare delle sante Vergini
e Martiri
Al centro sta l’Angelo dell’olocausto che accoglie
da santa Cecilia la palma del martirio, mentre più
lontane si profilano due teorie di Sante: a sinistra
dell’Angelo, dopo santa Cecilia, le Martiri Agnese
con il simbolo dell’agnello, Agata colle tenaglie,
Lucia con gli occhi; a destra dell’Angelo le Vergini
santa Teresa del Bambino Gesù, santa Margherita
Alacoque e la beata Gemma Galgani recante i
gigli della purezza verginale.
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Settembre 2017
Altare dei santi
Dottori della Chiesa
Nel centro di un’esedra marmorea
si innalza un tempietto davanti
al quale è la figura maestosa
di sant’Agostino vescovo che
commenta le Sacre Scritture,
appoggiato ad un leggìo decorato
dei quattro simboli evangelici.
A sinistra del Santo, seduti
sull’esedra, ci sono tre Dottori latini
e cioè san Bernardo da Chiaravalle,
sant’Ambrogio e san Tommaso
d’Aquino; a destra corrispondono
le figure dei Dottori greci, san
Basilio, san Giovanni Crisostomo,
sant’Atanasio.

4.3 Page 33

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LE TOMBE DEI SUCCESSORI DI DON BOSCO
In due altari sono custoditi i resti mortali del beato Michele Rua, primo successore di don
Bosco, e del beato Filippo Rinaldi, terzo successore di don Bosco. Il 21 maggio 2017, il
Rettor Maggiore ha inaugurato le tombe destinate ad ospitare le salme dei Rettori Maggiori
defunti: sono stati ricavati dodici loculi sepolcrali. Il rivestimento delle tombe è in marmo,
in armonia con le altre decorazioni del santuario, mentre l’intero vano funebre è rivestito
di intonaco bianco. La semplicità e la nobiltà sono stati i criteri che hanno guidato l’opera.
«Non si tratta di un culto alla persona», ha detto don Ángel «ma un segno di affetto e di
consapevolezza per l’opera compiuta dai Rettori Maggiori defunti. La preghiera di suffragio,
dinnanzi a tali tombe, diviene pertanto impegno a coltivare il senso di appartenenza e di
unità all’eredità carismatica che essi hanno testimoniato nel loro ministero di Successori
di don Bosco».
Altare delle sante
né Vergini né Martiri
A destra dell’Angelo si trovano sant’Anna
(dal celebre quadro del Guercino),
santa Maria Maddalena, santa Monica;
a sinistra, inginocchiata e ricoperta di
manto azzurro, vi è santa Francesca
Romana (dall’affresco esistente nella
chiesa omonima di Roma), in piedi la
beata Margherita di Savoia (dal quadro
esistente nel palazzo reale di Torino), la
beata Giuliana d’Ivrea, santa Giovanna
Francesca Frémiot baronessa di Chantal,
secondo il ritratto trasmessoci nella sua
biografia.
Settembre 2017
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Che dire delle nuove
modalità comunicative?
La generazione Doveciporteranno?
Una cosa è certa: siamo
nel bel mezzo di un’inarrestabile
rivoluzione storica. Il numero
dei bambini che sanno navigare
touch inInternetèdigranlunga
superiore a quelli che sanno
allacciarsi le scarpe.
L a comunicazione digitale (la
comunicazione tramite i cel-
lulari, i tablet, gli smartphone
ecc.) è ormai un dato di fatto
planetario. Dobbiamo fermar-
ci un attimo e riflettere. Non
ci è lecito stare alla finestra e guarda-
re il nuovo che avanza. È un dovere
interpretarlo.
La comunicazione digitale farà scom-
parire le emozioni? Saremo ancora
capaci di arrossire? Avremo uomini
sempre più anaffettivi? L’umano è in
via di estinzione?
Insomma, la posta in gioco è altissima.
Ecco il perché del nostro intervento
che vuole sostenere l’ambivalenza dei
mezzi della comunicazione digitale.
Sì: i vari strumenti ai quali abbiamo
34
Settembre 2017

4.5 Page 35

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PRENDERSI CURA DELL’ALTRO
accennato iniziando possono ferire pe-
santemente l’uomo-umano o possono
spingerlo ad una più rapida fioritura.
In breve: la comunicazione digitale
ha una doppia faccia: una tenebrosa ed
una luminosa.
Incominciamo con questa.
La faccia luminosa
· La comunicazione digitale permet-
te d’essere connessi con il mondo in-
tero in tempo reale.
· La comunicazione digitale offre
conoscenze pressoché infinite.
· La comunicazione digitale rende
più facile la vita.
· La comunicazione digitale permet-
te di intrecciare legami con un nume-
ro illimitato di persone, può stimolare
il dialogo.
Sono alcuni vantaggi (appena, appe-
na accennati) di cui dobbiamo essere
grati ai vari strumenti digitali.
Dunque sarebbe da miopi guardare
con occhio ostile il mondo del Web.
È piacevole ammetterlo: la comuni-
cazione digitale ha la sua bella faccia
luminosa!
Ma – va subito aggiunto – anche quel-
la tenebrosa.
La faccia tenebrosa
Un primo pericolo è quello dell’inde-
bolimento del rapporto sociale.
· I cellulari, i tablet… connettono,
ma non mettono in relazione! Nel
mondo digitale siamo ‘solitari inter-
connessi, come sostiene il più famoso
sociologo Zygmunt Bauman.
· Il mondo digitale, poi, può portare
all’appiattimento della riflessione.
L’enorme quantità che il mondo del
“Il compito dei genitori è promuovere la crescita umana e spirituale, la formazione etica dei
figli, con metodi positivi, con un dialogo attento” (Rettor Maggiore).
Lily, quindici mesi, è seduta sul carrello del supermercato, gli occhi all’iPad. La madre è
concentrata sulla spesa. Lily non guarda né le lucide mele rosse né lo scaffale dove sono
allineati in bella mostra i Cheerios, i suoi cereali preferiti.
Ogni giorno, dopo la scuola, Jason, un bambino di terza elementare, si precipita davanti al
televisore, che rimarrà acceso per cinque ore, finché non andrà a dormire.
Melissa, sedici anni, è al terzo anno delle scuole superiori. Lo scorso mese ha inviato 3500
sms (circa 110 messaggi al giorno).
Purtroppo non sono situazioni insolite. Anzi, sono diventate la norma in un mondo che
gravita attorno agli schermi. Per avere l’attenzione di un ragazzo, oggi bisogna competere
con uno smartphone. «Che cosa possiamo fare?» chiedono i genitori. «Se diciamo loro che
vorremmo fare qualcosa insieme, litighiamo e poco dopo se ne tornano ai loro aggeggi».
Oggi, più che mai nella storia, è necessario il senso di don Bosco per l’educazione.
L’educazione è positiva. I genitori non sono solo i guardiani della mente e dell’anima dei
figli. Sono coloro che devono “riempire” quel “vuoto” di umanità e spiritualità che si forma
dentro di loro. Per dare bisogna possedere e nessuno guida un altro dove non è mai stato.
L’elenco delle qualità essenziali che genitori ed educatori “alla don Bosco” devono donare ai
figli è pressoché infinito: la riconoscenza e la gratitudine, la gentilezza, la mitezza, il senso
di appartenenza, l’ordine e la pulizia, l’amore per lo studio, la responsabilità, l’autocontrollo,
avere degli obiettivi da raggiungere, la gioia, la spiritualità e la fede.
Web offre non può non ingolfare
i cervelli! Nessuno può negare che
oggi gli stimoli mentali siano esage-
ratamente superiori a quanti possano
essere assimilati. Di qui la pericolo-
sissima superficialità che troppe volte
si sposa con l’arroganza.
A proposito di ciò che stiamo dicendo
è significativo il titolo di uno degli ul-
timi lavori del sociologo Franco Fer-
rarotti: “Un popolo di frenetici informa-
tissimi idioti”.
· I media digitali indeboliscono la vo-
lontà.
È vero che facilitano la vita, ma la
rendono meno vivace. Per fare una
ricerca basta cliccare su Google. Per
contattare un amico che si trova
dall’altra parte del mondo c’è Skype.
Per organizzare una serata, è suffi-
ciente inviare un centinaio di messag-
gi con whatsapp. Tutto comodo, tutto
facile, la volontà può anche conti-
nuare a dormire. Basta avere dita che
funzionino!
Il fatto è gravissimo, se continua ad
essere vero che solo la volontà firma
i successi!
· Altro pericolo del digitale: può fa-
vorire il sorpasso del virtuale sul reale.
I dati parlano chiaro: il numero dei
bambini che sanno navigare in Inter-
net è di gran lunga superiore a quelli
che sanno allacciarsi le scarpe.
· Finalmente, la comunicazione di-
gitale porta alla perdita della scrittura
a mano libera.
Il danno può sembrare marginale. No,
non lo è affatto. Tutti i competenti
sono convinti che la perdita dell’uso
della scrittura a mano libera abbia an-
che effetti psicologici perché questa
aiuta ad elaborare più in profondità
i concetti e a ricordarli con maggior
sicurezza; in una parola, la scrittura a
mano libera aiuta il cervello.
Abbiamo materiale più che sufficien-
te per aprire il dibattito e far sentire la
nostra opinione sulla tanto chiacchie-
rata comunicazione digitale.
Settembre 2017
35

4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Il dilemma
del navigante
Dare ascolto a chi mette in guardia
contro i pericoli dell’oceano o
armarsi di speranza e coraggio e
puntare dritto verso l’orizzonte?
Navigare sotto costa seguendo diligente-
mente la rotta o dirigere la prua verso
il mare aperto e sconfinato veleggian-
do verso lidi sconosciuti? Dare ascolto
a chi mette in guardia contro i pericoli
dell’oceano o armarsi di speranza e co-
raggio e puntare dritto verso l’orizzonte? Getta-
re l’ancora e attraccare in un porto sicuro appena
il vento inizia a rombare impetuoso o spiegare
fiducioso le vele attraversando a nervi saldi la
tempesta? Sono questi gli eterni dilemmi con
cui ogni giorno deve fare i conti l’esploratore,
perennemente in bilico tra la fame di avventura
e il rischio dello spaesamento, tra il desiderio di
scoperta e la paura del naufragio. Un’esistenza
vissuta all’insegna della ricerca, con la saggezza
arcaica del marinaio e la temerarietà del sogna-
tore.
Ma questi sono anche gli interrogativi in cui si
dibattono oggi i giovani adulti, inquieti naviganti
nell’incerto mare della vita, abituati a barcame-
narsi tra continue partenze ed incessanti peregri-
nazioni, ansiosi di mollare gli ormeggi e prendere
il largo in direzione dei propri sogni, ma spesso
Oh, oh! Voga, voga!
Oh, oh! Voga, voga!
Ho naufragato i miei sogni,
amato solo a metà;
partenze e mille ritorni,
per la paura che fa
prendere il largo,
baciare a un tratto in bocca la felicità,
piegare il vento, come la volontà...
Ho disertato i miei passi,
creduto ad ogni bugia,
chiudere il cuore, lasciarsi
dietro le spalle la scia.
Ed ogni viaggio era un miraggio,
un golfo di felicità,
prendere tempo, finché ne resterà...
36
Settembre 2017

4.7 Page 37

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tentati di restarsene al sicuro sulla riva ad osser-
vare a debita distanza le barche sballottate dalle
onde e sconquassate dalla furia del maestrale.
Prima ancora di pianificare il viaggio e scegliere
la rotta da seguire, la decisione più importante
da affrontare è, infatti, proprio quella di partire.
Non è scontato accettare i rischi della navigazio-
ne e, di fronte alla fatica del remare, sono in tanti
che rinunciano a salpare o rimandano a data da
destinarsi il momento in cui lasciare il porto. Ma
una vita trascorsa a galleggiare nelle acque sta-
gnanti di un’infinita attesa, a lungo andare, fini-
sce con il fiaccare ogni entusiasmo e far dimenti-
care persino la nostalgia dell’orizzonte.
Per quanto possa disorientare o incutere timore, a
chi ha il coraggio di solcarlo in lungo e in largo il
mare aperto riserva, invece, sorprese inaspettate:
l’odore di salsedine trasportato dalla fresca brezza
Ed io esco ad arginare il vento
e rompere il silenzio ovunque sia,
piuttosto che restare a terra fermo
a perdonarmi la vigliaccheria...
Sudore, fiato, cuore!
Magellano, nella terra del fuoco,
non lo sapeva mica che si andava di là,
non lo sapeva mica che si andava di là...
Sudore, fiato, cuore!
Guardarsi dentro,
scoprire un'altra carta alla felicità,
piegare il vento, come la volontà,
come la volontà...
Oh, oh! Voga, voga!
(Francesco Gabbani, Magellano, 2017)
del mattino, la verde trasparenza dell’acqua luc-
cicante in cui specchiarsi e riconoscersi, il senso
di sconfinata quiete in cui sperimentare l’intima
presenza dell’Infinito, ma anche la fatica grati-
ficante della ricerca e, finalmente, l’emozione di
intravedere in lontananza il profilo irregolare di
nuove terre da esplorare. È un viaggio ardimen-
toso, incerto, fatto di sudore e notti insonni a cer-
care la direzione nelle stelle, di miraggi e smarri-
menti che sembrano deviare dalla meta prefissata
e sospingere alla deriva verso acque sconosciute.
Ma, talvolta, è proprio perdendosi che si riesce a
trovare se stessi, a guardare la realtà da una diver-
sa prospettiva, a scoprire una strada nuova verso
la felicità che passa attraverso una volontà perse-
verante e il superamento dei propri limiti e delle
proprie paure.
Ciò non vuol dire tirare i remi in barca e lasciarsi
trascinare dalla corrente inesorabile, rinunciando
in partenza a dare un senso e una direzione di
marcia al proprio navigare. Significa, piuttosto,
costruire itinerari inediti nel cammino verso l’a-
dultità, dotandosi di tutti gli strumenti necessari
per orientarsi nel burrascoso mare dell’esistenza,
ma accettando, nel contempo, anche il rischio
dell’imprevisto e l’azzardo della deviazione.
Settembre 2017
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Un obiettivo mancato per poco
La sua Storia Sacra
in adozione nelle scuole del Regno
Nella logica della nostra rubrica mensile quasi
sempre ci serviamo di documenti di don Bosco inediti,
recentemente ritrovati, che appunto ci raccontano
una “storia sconosciuta”. Ma anche un testo andato
smarrito può aprirci uno spiraglio su una vicenda
di don Bosco a tutti ignota. È il caso di questo mese.
La Storia Sacra
ben accolta
Don Bosco, nel 1847, a 32 anni, aveva
pubblicato presso i tipografi-editori
Speirani e Ferrero di Torino una Sto-
ria sacra ad uso delle scuole utile ad ogni
stato di persone / arricchita di analoghe
incisioni.
Fra i mezzi per facilitarne la diffusio-
ne e «giovare alla gioventù» si era pro-
posto la «facilità della dicitura e po-
polarità dello stile». Non aveva mire
culturali di alto livello, non voleva
sostituire testi di valore composti da
specialisti della materia; voleva solo
educare ed istruire i ragazzi e la po-
polazione che, come sappiamo, era in
gran parte analfabeta: 3 italiani su 10
non sapevano leggere e scrivere, e così
pure il 57% dei Piemontesi. In con-
seguenza delle sue scelte don Bosco
metteva subito le mani avanti: «non
poteva garantire un lavoro elegante».
Ciononostante il suo volume di oltre
200 pagine fu ben accolto dalla cri-
tica. Su una rivista seria come “L’E-
ducatore. Giornale di educazione e
di istruzione” in data 2 febbraio 1848
una Lettera d’un maestro di scuola sopra
la Storia Sacra delle scuole, compilata
dal Sacerdote Bosco, a firma di un certo
‘Sac. M.G.’ apprezzò tanto l’opera al
punto che il redattore stesso l’aveva
adottata e la consigliava ai suoi colle-
ghi: «Onde vi dico che fate benissimo
d’introdurla nella vostra scuola, come
io stesso ho già fatto. I miei scolari
vanno a ruba per averla nelle mani, e
la leggono con ansietà e non rifinisco-
no di presentarla agli altri e di par-
larne, chiaro segno che la capiscono».
Tale comprensione era dovuta, a giu-
dizio del maestro-recensore, a quella
«forma del dialogo» e a quella dicitu-
ra «popolare, ma pura ed italiana» che
aveva già rilevato «nei pubblici gior-
nali» il recensore dell’opera preceden-
te di don Bosco, la Storia Ecclesiastica
(un volumone di 400 pagine) espres-
samente citato dal nostro maestro.
Una richiesta coraggiosa
Chissà che non sia stato questo ap-
prezzamento uno dei motivi per cui
don Bosco, sul finire del 1849, avanzò
richiesta, alla massima autorità scola-
stica del regno di Sardegna, di adot-
tare come testo scolastico un suo Cor-
so di Storia Sacra dell’Antico e del Nuovo
Testamento che intendeva «pubblicare,
adorno anche di stampe, in modo ac-
concio per l’ammaestramento delle
scuole elementari». Il momento gli
sembrava opportuno, visto che l’an-
no prima era stata approvata la “leg-
ge Boncompagni” e che si stavano
approntando disposizioni applicative
della stessa, le quali precisavano con-
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Settembre 2017

4.9 Page 39

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tenuti e metodi dell’insegnamento
della Storia Sacra nelle scuole diurne,
serali e domenicali.
La domanda di don Bosco, inoltrata
dal Ministro competente al Consi-
glio Superiore della Pubblica Istru-
zione, in un primo momento parve
poter essere accolta favorevolmen-
te, anche per «l’assoluta mancanza
di un libro migliore». Si facevano
sì delle riserve «dal lato dello stile e
dell’esposizione», ma queste venivano
ampiamente compensate dalle «op-
portunissime considerazioni morali»
e dalla «necessaria chiarezza» che fa-
ceva «emergere assai bene dai fatti i
dogmi fondamentali della religione».
Solo l’intervento critico ed autorevo-
le del Consigliere Giuseppe Ghirin-
ghello fece mutare opinione allo stes-
so Consiglio.
Respinta la domanda
Il motivo del rifiuto di adottare il
volume di don Bosco o anche solo di
approvarlo formalmente fu semplice-
mente uno: i «molti errori gramma-
ticali e ortografici», che rendevano
«meno utile quel lavoro per altro verso
assai commendevole».
Ecco quanto si legge nel verbale
dell’adunanza seduta del Consiglio
Superiore della P. I. che ebbe luogo
il 16 dicembre 1849, presieduta dal
ministro Cristoforo Mameli, presenti
il vicepresidente e nove consiglieri fra
ordinari e straordinari: «Sottoposto a
diligente esame tale lavoro, il prefato
Consiglio Gen.le osservò che quan-
tunque difetti qualche poco dal lato
dello stile e della esposizione, sembra
tuttavia assai commendevole perché
sparso di opportunissime considera-
zioni morali, e perché, colla necessa-
ria chiarezza, fa emergere assai bene
dai fatti i dogmi fondamentali della
religione: opinò quindi che tale ope-
retta, nell’assoluta mancanza di un li-
bro migliore potesse venire approvata.
Va però notato come le esigenze cul-
turali degli esaminatori, adusi pro-
fessionalmente a letture e studi su-
periori, non erano quelle dei maestri
di scuole elementari (e di don Bosco),
quotidianamente alle prese con fan-
ciulli appena alfabetizzati, che nor-
malmente si esprimevano in dialet-
to. Inoltre don Bosco non aveva alle
spalle studi regolari, aveva cominciato
tardi e quasi da autodidatta, era stato
per anni studente-lavoratore, aveva
“bypassato” mesi e mesi di studio,
non aveva frequentato università. Ma
va altresì detto come fosse ben co-
sciente dei suoi limiti letterari e come
soffrisse che essi potessero andare a
detrimento dell’efficacia e dignità dei
suoi scritti, soprattutto di quelli indi-
rizzati al «bene della Religione». Non
si peritò più volte di farli correggere
da persone più colte di lui e invitò i
giovani scrittori salesiani di Valdocco
ad adottare uno stile letterario quanto
più forbito possibile. Lui stesso lungo
gli anni migliorò il suo modo di scri-
vere: basta un semplice confronto fra
le prime lettere del suo epistolario e
quelle dei decenni successivi.
Un successo insperato
Don Bosco non riuscì dunque a far
adottare la sua Storia Sacra nelle scuo-
le del regno di Sardegna, ma la «for-
tuna» della sua opera fu comunque
notevole. Nel 1853 uscì la seconda
edizione «migliorata»; alla sua mor-
te (1888) le edizioni-ristampe erano
arrivate a diciannove, e tante altre
sarebbero state immesse sul mercato
editoriale fino al 1964. Oltre un se-
colo di vita. Il testo venne adottato
anche per scuole ginnasiali.
Settembre 2017
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati, venerabili
e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
Nel mese di settembre preghiamo per la canonizzazione della Serva di Dio Antonieta
Böhm, Figlia di Maria Ausiliatrice
Nacque il 22 settembre 1907 nella città di Bottrop
(Germania). Ad Essen conobbe le FMA, arrivate nel
1922 in Germania, e rimase affascinata dal loro stile
di vita sereno e apostolico. Nel 1926 iniziò il postu-
lato nella casa di Eschelbach e continuò il noviziato
in Italia a Nizza Monferrato (Asti). Nel 1928 fece la
prima professione e rimase poi ancora in Italia per lo
studio della musica a Torino, e inoltre fu assistente
delle universitarie a Pisa e delle novizie a Casanova.
Dopo la professione perpetua, emessa a Torino il 5
agosto 1934, iniziò la sua vita missionaria: prima in
Argentina (1934-1965), poi in Perù (1965-1969) e
in Messico (1969-2008). Fu insegnante di musica,
infermiera, vicaria, direttrice, ispettrice. Dovunque
si mostrò donna forte, disponibile all’ascolto e sem-
pre fiduciosa nell’aiuto di Dio e di Maria Ausiliatrice.
Consolidò le opere esistenti e ne aprì di nuove con
lungimiranza di prospettive.
Trascorse gli ultimi 30 anni di vita (dal 1979) nel-
la comunità “Villa Spem” di Coacalco in qualità di
vicaria e di direttrice. Furono gli anni fecondi dell’a-
postolato come guida spirituale e dell’impegno di
carattere sociale a favore dei poveri. Nel 1973 da
madre Ersilia Crugnola aveva ricevuto come dono
la statuetta della Madonna e da lei era stata invitata
a mandare la benedizione materna. In un primo mo-
mento, suor Antonieta si schermisce e non vorrebbe
accettare ma, quando la persona che viene benedet-
ta guarisce completamente, scompare il suo timore.
Madre Antonieta diceva: “Dalla prima benedizione
fino adesso, la Madonna lavora giorno e notte e così
la sua missione si estende attraverso la posta, il fax,
l’e-mail e arriva in diversi luoghi del Messico e in
tante altre parti del mondo”. Confidando nell’aiuto
di Maria e con la sua benedizione si sono verificate
grazie straordinarie. Nel 1985 diede inizio all’“Obra
sabatina” che consisteva nella distribuzione di viveri
ai più bisognosi e fino all’anno 2000 ne seguì per-
sonalmente tutta l’organizzazione. Poi accettò con
serenità il venir meno delle forze e seppe lasciarsi
curare, edificando le novizie e tutti quelli che fre-
quentavano la casa. Si spense il 27 aprile 2008 a
Coacalco (Messico).
Il testamento che ci lascia è l’ardente amore per Gesù,
la fiducia illimitata in Maria Ausiliatrice, la bontà ac-
cogliente e la generosa e serena disponibilità alla
missione per l’estensione del Regno di Dio nelle varie
culture, nelle famiglie e nel cuore delle persone.
PREGHIERA
Padre, fonte di vita e di santità,
noi ti rendiamo grazie per la luminosa testimonianza
di suor Antonieta Böhm
che ha vissuto il carisma salesiano
con ardente impulso missionario
e con grande fiducia in Maria Ausiliatrice.
Mostra la tua benevolenza verso di noi
e concedici le grazie che ti domandiamo per sua intercessione...
Se è nella tua volontà,
glorifica la tua serva fedele,
perché la sua memoria risplenda nella Chiesa
come stimolo ad un cammino di fede gioioso
e ad una carità solidale verso tutti.
Amen.
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere non firmate e senza recapito.
Su richiesta si potrà omettere l’indicazione del nome.
CRONACA DELLA
POSTULAZIONE
Domenica 7 maggio 2017
nella cattedrale di Cuautitlán,
diocesi messicana dove nac-
que san Juan Diego, il veggen-
te della Vergine di Guadalupe,
ha avuto luogo la solenne
apertura, presieduta dal ve-
scovo diocesano monsignor
Guillermo Ortiz Mondragón,
dell’Inchiesta diocesana
della causa di beatifica-
zione e canonizzazione
di Antonieta Böhm, Figlia
di Maria Ausiliatrice (1907-
2008), missionaria in Argen-
tina, Perù e Messico, grande
devota di Maria Ausiliatrice.
Ringraziano
Desidero ringraziare san Dome-
nico Savio per la nascita di Vit-
toria avvenuta il 30 marzo 2017.
Dopo aver richiesto l’abitino e
aver pregato il Santo protettore
delle gestanti e dei bambini, sono
rimasta incinta. La gravidanza è
stata travagliata ma alla fine tutto
è andato bene. Spesso ho indos-
sato l’abitino alle varie visite di
controllo e l’ho portato con me al
momento del parto.
Elisa Zago - Roma
Il mio nipotino Leonardo, nato
prematuro il 23 maggio 2015, è
stato messo sotto la protezione di
san Domenico Savio. All’inizio
abbiamo pregato, con l’abito di
san Domenico Savio, perché non
arrivava, poi per la gravidanza
difficile e poi per la nascita pre-
matura a sole 24 settimane di ge-
stazione. Ora Leonardo sta bene
e ringraziamo anche i salesiani
che tengono viva la devozione
per san Domenico Savio.
Paola Onnis - Perugia
40
Settembre 2017

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
GRAZIANO CERVESATO
UN MONUMENTO A DON PIO PENZO
«UN INCISORE DELL’ANIMA» (VITTORIO SGARBI)
Non poteva mancare, a cinque lu-
stri dalla sua scomparsa, un’ini-
ziativa che desse corpo alla stima
e all’apprezzamento per l’uomo, il
prete salesiano, l’educatore e l’ar-
tista: Pio Penzo, che nella nostra
scuola, la cui sede inizialmente
era a Venezia, ha insegnato lun-
ghi anni.
La memoria viene affidata ad
un’opera d’arte, con il compito di
catturare sorprendentemente, in
chiave moderna, gli elementi tipi-
ci fondanti l’arte grafica: il segno
e la luce.
Il volto espressivo di don Pio Pen-
zo, riprodotto dalla trama dell’inci-
sione laser, è esposto nella piaz-
zetta di Piane di Schio, suo paese
natale.
Chi è Pio Penzo
“... Fra boschi e prati, in una delle
ultime case del comune di Schio,
sono nato nella primavera del
1926, penultimo di dieci fratelli di
una modesta famiglia delle Pia-
ne...” Così diceva di sé don Pio
Penzo, prete salesiano, pittore e
incisore, raccontando l’inizio della
sua vita. Completò prima gli studi
classici e poi, incontrati Mario De-
luigi e Giovanni Majoli, quelli d’ar-
te fino al 1956. Studiò l’arte dell’in-
cisione all’Accademia di Venezia.
Dopo aver completato anche gli
studi di teologia, insegnò, dal
1956 fino alla morte, avvenuta
nel 1988, nella Scuola Grafica
presso la Fondazione Cini di Ve-
nezia, nell’isola di San Giorgio.
Nel 1963 vinse, a Montreal, il pri-
mo premio alla mostra del libro
d’arte e nello stesso anno tenne la
prima personale di disegni e inci-
sioni alla Bevilacqua - La Masa di
Venezia.
Furono numerose, negli anni
successivi, le sue esposizioni lo-
cali, in Italia e all’estero, con molti
altri premi, tra i quali ricordiamo:
il premio “Protagonisti dell’Arte
Mondiale” durante i campiona-
ti del mondo di Mexico ’86, la
palma d’oro al Trittico Mondiale
d’Arte 1986-87 Vancouver-To-
ronto-Seychelles.
Ancor oggi le sue opere sono
esposte in musei o collezioni pri-
vate in varie città del mondo.
L’artista don Pio Penzo è stato
ricordato da molti critici d’arte.
Riportiamo un pensiero di alcuni:
Francesco Buttorini: Pio Penzo
è un “artista che ha saputo percor-
rere strade difficili con la carica
ingenua di un fanciullo saggio”;
Vittorio Sgarbi: “Pio Penzo inci-
sore dell’anima. Andrà ricordato tra
i grandi incisori veneti del ’900”;
Paolo Rizzi: “Dietro ogni fronda
d’albero, come diceva san Tom-
maso, si cela il respiro di Dio. Pio
Penzo ha colto questo respiro”;
Clauco Benito Tiozzo: “L’a-
more è la molla vera che anima
gli artisti veri come Pio Penzo.
Un amore che di fatto è stato alla
base della sua Arte, come lo è
stato per la sua vita di uomo e di
prete salesiano”;
Mario De Luigi: “Pio Penzo,
un religioso che sosta e medita
negli anfratti del creato, partecipa
senza dubbio, della sua segreta
preghiera”.
Io, che ho vissuto con lui molti
anni, lo ricordo come sacerdote
salesiano profondamente colto e
saggio nelle riflessioni, rispetto-
so e comprensivo delle persone.
Uomo libero, amante della natura
e del suo Creatore.
Settembre 2017
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
CHE LINGUA PARLAVA DON BOSCO?
All’interrogativo risponderemmo, d’istinto, che il Santo parlasse
l’italiano o, secondo il momento e l’interlocutore, il dialetto pie-
montese. Magari con i ragazzi dell’Oratorio, per comodità e per
una “presa” più immediata, il dialetto poteva essere l’idioma da
lui preferito mentre, per i rapporti più formali, per i rapporti con
gli adulti in genere e per i rapporti epistolari immagineremmo
che usasse un italiano in bella forma. Queste, fin qui, le suppo-
sizioni ma la realtà, avvallata da resoconti dei contemporanei di don Bosco, da chi l’aveva conosciuto e
anche dalla sua sterminata produzione letteraria, ci presenta un quadro molto più articolato e sorpren-
dente di quanto potremmo immaginare. Da piccolo, il nostro Giuanìn, allevato da mamma Margherita
imparò il piemontese e, naturalmente, un perfetto italiano che affinò con il tempo e con gli studi. Imparò
il latino, lingua con cui si celebrava la Messa, durante gli anni del seminario e studiò anche l’ebraico e
il greco. Ed era uno studente così diligente e capace che don Cafasso, amico di don Bosco e attuale pa-
trono dei carcerati, lo propose come ripetitore di greco al Convitto dei gesuiti di Montaldo. Conosceva
bene anche il francese, come ci documentano le sue lettere, considerato che Nizza e la Savoia fecero
parte del Regno di Sardegna fino al 1860 e che era terminata
da poco l’epopea napoleonica. Ma non finisce qui, nel suo
cuore albergava lo spirito del missionario e il desiderio di
intraprendere viaggi in terre lontane lo spinse a imparare, da
autodidatta, i rudimenti dello spagnolo e dell’inglese. Infine,
imparò XXX quasi per necessità, visto che l’Impero d’Au-
stria teneva in pugno parte della penisola italiana. Nessuno
dei sacerdoti conosceva il tedesco per cui, come aveva fatto
in tante occasioni, egli stesso rimediò alla lacuna: 20 lire per
16 lezioni e don Bosco cominciò a confessare in tedesco!
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Un quadrupede
con la gobba - 8. Compose la celebre
Cavalcata delle Valchirie - 13. Fa bi-
nomio con consumo - 14. Necessità
- 16. Cagliari - 17. Preziosi oggetti da
museo - 20. Il pollice del piede - 22. Il
scout che ricerca artisti da lanciare -
23. Abitanti dei boschi della mitologia
nordica - 24. L’animale che starnazza
- 26. XXX - 30. sunt servant per i
latini - 31. Quasi afona - 32. Lo sono
Giove e Minerva - 33. Le hanno talpe e
topi - 35. Il fiume più lungo della Fran-
cia - 37. Il battello di appoggio dello
yacht - 40. Carlos … Zafòn autore de
L’ombra del vento - 42. L’accademico
francese che promosse l’uso medico
del tabacco - 44. Autorimessa - 46.
Veniva usato come surrogato del caffè -
47. La più grande arteria umana - 48.
Articolo per donna - 49. Negazione.
VERTICALI. 1. Condottiero - 2.
Rappresentanza sindacale aziendale (si-
gla) - 3. La farina di grano tenero - 4.
Il tipo di alcol detto anche spirito - 5.
Il luogo dove, anticamente, si riunivano
i cittadini - 6. Istituto Bancario Italiano
- 7. In noi e in voi - 8. Il primo nome
di Mozart - 9. Un ingrediente del pesto
- 10. Un bovino africano che vive in
grandi branchi - 11. È in prov. di Vibo
Valentia - 12. Arma senza uguali - 15.
L’albero “piangente” - 17. Un comune
del bellunese - 18. Una piccola cara-
mella che rinfresca l’alito - 19. Al cen-
tro della cultura - 21. Risuonano nelle
valli - 22. Compagnia aerea portoghe-
se (sigla) - 23. Informata, istruita - 25.
Iniz. di Einstein - 27. Ci precedono in
marcia! - 28. Si abbarbica ai muri - 29.
Cupo, tetro - 34. Sebbene - 36. Azio-
ne Cattolica dei Ragazzi (sigla) - 38. Da
e il - 39. Il Teocoli conduttore e comico
- 41. La fine del quiz - 43. Off-topic”,
fuori tema, nel gergo dei web forum (si-
gla) - 45. I confini del Gabon!
42
Settembre 2017

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
N La benedizione ellacomunità
dell’Arca dove
aveva deciso
di vivere, dopo
una vita passa-
ti senti un po’ giù e che
c’è della tristezza nel tuo
cuore, ma voglio ricordarti
chi sei: sei una persona
speciale, sei profonda-
ta nel mondo
mente amata da Dio e da
universitario, un giorno
tutte le persone che sono
il celebre padre Henri
qui con te».
Nouwen fu avvicinato
Janet alzò la testa e lo
da una handicappata
guardò; il suo largo
della comunità che gli
sorriso dimostrò che
disse: «Henri, mi puoi
aveva veramente sentito e
benedire?».
ricevuto la benedizione.
Padre Nouwen rispose
Quando Janet tornò al
alla richiesta in maniera
suo posto, tutti gli altri
automatica, tracciando
handicappati vollero
con il pollice il segno
ricevere la benedizione.
della croce sulla fronte
Anche uno degli assi-
della ragazza.
stenti, un giovane di
Invece di essere grata, lei
ventiquattro anni, alzò la
protestò con veemenza:
mano e disse: «E io?».
«No, questa non fun-
«Certo», rispose padre
ziona. Voglio una vera
Nouwen. «Vieni».
benedizione!».
Lo abbracciò e disse:
Padre Nouwen si accorse
«John, è così bello che
di aver risposto in modo
tu sia qui. Tu sei l’A-
abitudinario e formalisti-
mato Figlio di Dio. La
co e disse: «Oh, scusami...
tua presenza è una gioia
ti darò una vera benedi-
per tutti noi. Quando le
zione quando saremo tutti insieme e pose la testa contro il suo petto.
cose sono difficili e la vita è pesante,
per la funzione».
Senza pensarci, padre Nouwen la
ricordati sempre che tu sei amato di
Dopo la funzione, quando circa una avvolse con le sue maniche al punto un amore infinito».
trentina di persone erano sedute
da farla quasi sparire tra le pieghe del Il giovane lo guardò con le lacrime
in cerchio sul pavimento, padre
suo abito.
agli occhi e disse: «Grazie, grazie
Nouwen disse: «Janet mi ha chiesto Mentre si tenevano l’un l’altra padre molte».
di darle una benedizione speciale. Nouwen disse: «Janet, voglio che tu
Lei sente di averne bisogno adesso». sappia che sei l’Amata Figlia di Dio. Quando le cose sono difficili e
La ragazza si alzò e andò verso il
Sei preziosa agli occhi di Dio. Il tuo la vita è pesante ricordati chi
sacerdote, che indossava un lungo bel sorriso, la tua gentilezza verso gli sei: sei una persona speciale, sei
abito bianco con ampie maniche che altri della comunità e tutte le cose
profondamente amato da Dio
coprivano sia le mani sia le braccia. buone che fai, ci mostrano che bella e da tutte le persone che sono
Spontaneamente Janet lo abbracciò creatura tu sei. So che in questi giorni con te.
Settembre 2017
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L'invitato
Joseph Giaime
Missionario in Sri Lanka
Salesiani nel mondo
Burundi
Il liceo nella foresta
Le case di don Bosco
Vasto
Il cuore salesiano in Abruzzo
A tu per tu
Flavio Insinna
“L'attore è una piccola
matita in una mano superiore"
Incontri
Ladri di carrozzelle
Un “complesso” salesiano
Come don Bosco
Forse ci vuole
una rivoluzione
Si può fermare la deriva morale?
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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