Bollettino_Salesiano_201707

Bollettino_Salesiano_201707

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IL
LUGLIO
AGOSTO
2017
Le case di
don Bosco
Venezia
I nostri eroi
Titus Zeman
L’invitato
Un ragazzo
speciale
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
A tu
per tu
Don
Natale
Vitali

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Al ladro!
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Mamma Margherita, rimasta vedova e con un discreto ca-
rico di debiti, si mise coraggiosamente a coltivare i piccoli
appezzamenti di terra ereditati dal marito, tra i quali c’era
una vigna. La piccola quantità di terreno era a malapena
sufficiente per sopravvivere. Il prezzo dei cereali e del vino
era tenuto basso dalla politica agricola del tempo. Ogni
piccola risorsa era preziosa. Vi furono anche due anni di
siccità e carestia. La storia del ladro d’uva è raccontata nel-
le Memorie Biografiche (Volume primo, pp. 82-83).
E ro solo un’umile vigna. Crescevo sul lato
sud della collina dei Becchi. Ero una
parte dell’eredità che Francesco Bosco,
morto prematuramente, aveva lasciato
alla moglie Margherita e ai tre figli. Li
sentivo come fossero la mia famiglia.
Mamma Margherita mi coltivava con grande
cura.
Mi sentivo una vigna amata e ricambiavo, quan-
do il tempo mi aiutava, con generose vendem-
mie. Ma su di noi incombeva un pericolo.
Al tempo del raccolto si aggiravano per le cam-
pagne dei farabutti che rubavano pannocchie di
granoturco e grappoli d’uva.
Quell’anno avevo fatto un lavoro alla grande!
Ero carica di grappoli floridi e turgidi. Per
questo Mamma Margherita mi teneva d’occhio.
Così vide quell’uomo che passeggiava lungo il
sentiero che mi costeggiava. Margherita sospettò
che in quella notte le si volesse fare un brutto
tiro e, decisa e coraggiosa come sempre, chiamò
a sé i figli, dicendo loro: «Temo che questa notte
ci vogliano rubare l’uva: quindi staremo all’erta.
Ma voi non dite una sola parola, osservate un
profondo silenzio, e griderete con quanta voce
avete in gola e col maggior fracasso possibile al
ladro! al ladro! quando io ve ne darò il segnale».
Quando scese la notte, Margherita uscì fuori
dall’uscio di casa e senza alcun lume si sedette
per terra con i figli, che si strinsero intorno a lei.
Passò qualche tempo, ed ecco comparire un’om-
bra in fondo alla vigna, girare intorno alla siepe,
e poi entrare nel podere, inoltrarsi lungo un
filare e quindi fermarsi. Margherita osservava.
Tutto era avvolto dal silenzio. I figli attenti, con
un po’ di batticuore, aspettavano il segnale.
Quell’uomo aveva già staccato un grappolo,
quando Margherita gridò: «Vuoi andare all’in-
ferno per un po’ d’uva?» E i tre ragazzi la imita-
rono urlando a squarciagola: «Al ladro, al ladro!
Forza, forza, gendarmi, gendarmi!» E, sbatac-
chiando mestoli e padelle di ferro, facevano un
fracasso dell’altro mondo.
A quelle grida improvvise il ladro, fuori di sé
per lo spavento, lasciò l’uva, si precipitò giù dalla
collina, e si dileguò non senza cadere a rompi-
collo in qualche fosso.
Margherita, soddisfatta di quella vittoria, ab-
bracciò i figli: «Vedete, anche senza fucili noi ab-
biamo fatto scappare i ladri». Tutti scoppiarono
in una risata liberatoria. Anch’io, naturalmente.
Tenendosi per mano, fecero ritorno a casa.
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Luglio / Agosto 2017

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IL
LUGLIO-AGOSTO 2017
ANNO CXLI
Numero 7
IL
LUGLIO
AGOSTO
2017
Le case di
don Bosco
Venezia
I nostri eroi
Titus Zeman
L’invitato
Un ragazzo
speciale
Mensile di
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
A tu Giovanni Bosco
per tu
Don
Natale
Vitali
In copertina: Estate Ragazzi, Grest, Campi
Estivi: questo è il mese delle attività
salesiane per essere felici nella grazia del
solleone (Foto Naumoid, iStock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 L’INVITATO
Un ragazzo speciale
12 SALESIANI NEL MONDO
Bukavu
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 A TU PER TU
Don Natale Vitali
21 DIARIO
22 VOLONTARI
24 LE CASE DI DON BOSCO
Da cento anni a Venezia
28 FMA
Suor coraggio
30 I NOSTRI EROI
Titus Zeman
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
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Palácios, Claudia Gualtieri, Cesare Lo
Monaco, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Nallayan Pancras,
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Zanet, Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
La nostra estate
nel nome di Maria
“Ha fatto tutto lei” diceva don Bosco.
Sono convinto che “continua a fare tutto
la Madonna”.
Lei ci dona Gesù e con la sua presenza,
vicinanza e aiuto spinge tutti noi a vivere
sempre con profonda fede.
Nel nostro emisfero, l’estate è quasi si-
nonimo di “vacanze”. Penso ai tanti
salesiani e ai loro collaboratori che in
questo periodo organizzano Estate Ra-
gazzi, Grest, Campi Estivi.
Ed è magnifico sapere che al centro di
questo periodo c’è una bellissima festa di Maria:
l’Assunzione della Madonna in Cielo.
E mi è venuta in mente un’antica storia che parla
di un Maestro che, sporgendosi dalla sua finestra
affacciata sulla piazza del mercato, vide uno dei
suoi allievi, un certo Haikel, che camminava in
fretta, tutto indaffarato. Lo chiamò e lo invitò a
raggiungerlo. «Haikel, hai visto il cielo stamat-
tina?». «No, Maestro». «E la strada, Haikel? La
strada l’hai vista stamattina?». «Sì, Maestro».
«E ora, la vedi ancora?». «Sì, Maestro, la vedo».
«Dimmi che cosa vedi». «Gente, cavalli, carretti,
mercanti che si agitano, contadini che si scalda-
no, uomini e donne che vanno e vengono, ecco
che cosa vedo». «Haikel, Haikel – lo ammonì be-
nevolmente il Maestro –, fra cinquant’anni, fra
due volte cinquant’anni ci sarà ancora una strada
come questa e un altro mercato simile a questo.
Altre vetture porteranno altri mercanti per ac-
quistare e vendere altri cavalli. Ma io non ci sarò
più, tu non ci sarai più. Allora io ti chiedo, Hai-
kel, perché corri se non hai nemmeno il tempo di
guardare il cielo?»
Eccolo, il dono di Maria nella festa della sua Assun-
zione: l’invito a guardare il cielo. Non possiamo di-
menticare la prima riga scritta da don Bosco sul Gio-
vane Provveduto: «Alzate gli occhi, o figliuoli miei,
ed osservate quanto esiste nel cielo e nella terra».
Le feste di Maria, come le sue manifestazioni in
tante parti del mondo, sono guide di vita e pre-
murosi inviti a non dimenticare il cielo. Anche
in mezzo alle numerose e piacevoli attività, alla
distensione, alla natura.
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La “discepola missionaria”
Poco tempo fa mi trovavo in Messico. Il giorno
11 maggio, ho avuto la grazia di presiedere il
pellegrinaggio annuale della Famiglia Salesiana
messicana e la solenne Eucaristia nella Insigne e
Nazionale Basilica della Madonna di Guadalupe. E
ancora una volta ho potuto vedere, sentire e toc-
care con mano la fede del popolo di Dio e l’amore
alla Madonna, Mamma di Gesù e Madre nostra.
Ma alla sera ci aspettava ancora un dono più spe-
ciale: l’opportunità di visitare la piccola stanza
la Madre di Gesù, con il popolo di Dio e che si
estende a tutti i popoli e culture del mondo. Sia
al Tepeyac, il colle dove Lei è apparsa all’indio san
Juan Diego, sia in ogni angolo della terra dove Lei
ha voluto farsi presente in modi diversi, soprattut-
to nella fede dei suoi figli e figlie, la Sua presenza,
vicinanza e aiuto si fanno sentire e spingono tutti
noi a vivere con una profonda fede.
Maria, nell’evento guadalupano da cinquecento
anni fa ad oggi, ha voluto mostrarsi come Madre
che porta in grembo “il Verissimo ed Unico Dio, Co-
lui che è l’Autore della Vita”. Lei, umile serva, si pre-
senta sempre in riferimento a Lui, il suo Figlio, il
Figlio di Dio. E quindi vuole non solo “mostrare”
se stessa, ma annunciare Lui, “mostrare” Lui.
Ecco come Lei si manifesta discepola missionaria
che porta Gesù alle genti, a noi, a noi oggi qui e
ad ogni figlio e figlia che sia sopra la terra.
che custodisce l’immagine della Madonna e così
poterla contemplare da vicino e anche “toccarla”.
Lì si trova questo tessuto in fibra vegetale pro-
veniente dall’agave, chiamato tilma, una specie
di mantello che usavano gli indigeni semplici di
quella zona nel 1500.
Tutti conoscete più o meno la storia, quindi mi
fermo qui. Ma dal 1531 l’icona della Madre del
Dio Vivente si è miracolosamente stampata in un
modo assolutamente sorprendente in un tessuto
che al solito non dura più di una ventina di anni,
se viene ottimamente curato. E questo di Guada-
lupe ha più di cinquecento anni. Questo “evento
guadalupano”, come viene definito, è una serie di
segni (come la conservazione della stoffa, i colo-
ri, ecc. ma anche la fede e devozione del popolo),
che mettono in evidenza il rapporto di vicinanza,
presenza, tenerezza, maternità e ausilio di Maria,
Dalla cupola della Basilica
Maria di Guadalupe è la “nostra” Ausiliatrice che
si fa vicina ad ogni uomo e donna e con il suo
aiuto “mostra” Gesù. Al colle del Tepeyac portava
Gesù in grembo, non per se stessa ma per darlo a
conoscere. A Valdocco, nel magnifico quadro del
Lorenzone dipinto secondo le ispirazioni di don
Bosco, Lei porta il bambino in braccio dandolo,
mostrandolo, rendendolo manifesto.
Una settimana dopo, ho potuto celebrare la fe-
sta di Maria Ausiliatrice a Valdocco, insieme a
migliaia di fedeli, venuti da tutte le parti d’Ita-
lia e del mondo. Ho provato la stessa emozione
che a Guadalupe, con una tonalità tutta salesia-
na, perché Lei, la Madre, viene proclamata con il
nome tanto caro a don Bosco. Posso immaginare
un ponte invisibile tra Guadalupe e Valdocco. A
Valdocco ho compreso chiaramente le parole di
don Bosco «ha fatto tutto Lei» e so con certezza
che la Madonna «continua a fare tutto».
Maria veglia su tutti i giovani e i salesiani del
mondo. Perché nessuno smarrisca la via del Cielo.
Dove don Bosco ci aspetta tutti.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
La tecnologia
porta solo vantaggi?
Sul fatto che la tecnologia sia il perno attorno al quale
ruotano le vite dei giovani, non ci sono dubbi.
Sembra che i nativi digitali non ne possano proprio fare
a meno. Che cosa ne pensano i giovani?
Claudio, 22 anni:
«Penso che la tecnologia sia ormai di-
ventata qualcosa d’imprescindibile nel
nostro vivere quotidiano. Non pos-
siamo fare a meno di tutto quello che
essa ha da offrirci, il che può essere un
bene se la si sfrutta in modo corret-
to, ma allo stesso tempo può rivelarsi
un male se la si usa senza una giusta
conoscenza e accortezza. La gioventù
di oggi non gode più di una propria e
libera identità ma tende a nascondersi
dietro una maschera composta di so-
cial network e monitor: così facendo ci
si sente al sicuro, ma allo stesso tempo
ci si rinchiude in un mondo compo-
sto di solitudine. Un chiaro esempio
di uso scorretto e perverso riguarda le
false identità con cui si può rischiare
di venire a contatto nei social network.
Anche nel mondo del lavoro ci sono
dei rischi. In futuro, se le macchine
sostituiranno quelli che oggi sono la-
vori umani, credo, per esempio, che
si perderebbe il bello del socializzare
con le persone. Ma non possiamo fare
di tutta l’erba un fascio. La tecnologia
negli anni è stata di grande aiuto: basti
pensare solo a quanto ha facilitato lo
studio nel campo scolastico, permet-
tendo ai giovani di poter approfondire
la propria conoscenza non fermandosi
al semplice libro di testo, ma immer-
gendosi pienamente nella miriade di
informazioni di cui internet è colmo.
Basti pensare all’approccio che si può
avere oggi in qualsiasi ambito di stu-
dio (medico, letterale, scientifico, in-
gegneristico ecc.). La possibilità di po-
ter vedere grazie all’ausilio di visori di
realtà aumentata, o di toccare e creare
con le stampanti 3d, ci fa apprezzare
al meglio, in modo più entusiasman-
te quello che prima era possibile solo
grazie ai libri e ad una buona imma-
ginazione. Anche i non nativi digitali
possono godere di queste novità, per
questo penso che debbano imparare
ad utilizzare la tecnologia. Allo stesso
tempo però è necessario che loro non
rinuncino a ciò che sono, mentre noi
giovani dovremmo cercare di apprez-
zare di più il passato da cui deriviamo».
Miriam, 19 anni:
Sono nata nel 1997, e devo dire
che ho, in un certo senso, subito
le conseguenze di molti cambia-
menti. La tecnologia, poi, dal
secolo si è sviluppata al massimo
ma noto che molti non hanno
davvero capito il senso della
tecnologia e la positività di
essa. Oggi è più importan-
te creare una “storia su
Instagram” che vivere
il momento stesso,
è più importante
creare bullismo
in rete che cer-
care di aiutare
il prossimo
ed è più im-
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portante vivere un amore dietro un
telefono o un computer, vergognan-
dosi di farsi vedere per come si è, o
ancora, è più importante dettare leggi
da dietro un computer per togliere la
vita a persone innocenti. Penso anco-
ra che la tecnologia avrà sicuramente
un forte impatto sul mondo lavorativo
del futuro e al momento riesco solo ad
immaginare un mondo di disoccupati.
Siamo nel 2017, la Costituzione italia-
na si basa sul lavoro, ma già ora sap-
piamo che l’Italia ha un alto tasso di
disoccupazione e che in parecchie fab-
briche molti lavori manuali, o per lo
più lavori svolti da persone, sono stati
sostituiti da una macchina. Il vero sen-
so della tecnologia secondo me però è
non abbandonare mai
gli amici che stanno dall’altra parte del
mondo, quindi avere la possibilità di
sentirsi quando si vuole; è condividere
i momenti belli della propria vita sen-
za esagerare e senza creare messaggi
negati; è vivere un amore a distanza.
La tecnologia ormai fa inevitabilmente
parte della nostra quotidianità, quindi
credo che tutti debbano avere alme-
no un minimo di conoscenza su di
essa. Allo stesso tempo però, proprio
i nativi digitali, pur possedendo l’abi-
lità di saper mandare un messaggio su
Whatsapp, non dovrebbero ignorare e
abbandonare le abitudini del passato».
Fabrizio, 16 anni:
«Brutta domanda per un nativo digi-
tale! Noi giovani, infatti, tendiamo
ad oscurare i punti negativi,
quasi come se le nuove tec-
nologie fossero perfet-
te. In fondo, per un
giovane della mia
età, se devo dire il
vero, la tecnologia
è quella cosa che
ti aiuta a scoprire
cosa fa il ragazzo o
la ragazza che ti
piace. In ogni caso, la tecnologia ha
aiutato la diffusione di informazioni,
il contatto tra persone distanti (o vi-
cine ma sconosciute). La tecnologia
ha in un certo senso “avvicinato” gran
parte della popolazione mondiale.
Già, solo gran parte, perché ricordia-
mo che al mondo c’è anche chi queste
novità non le ha mai viste. A questo
proposito mi viene in mente una si-
gnora anziana che abita dalle mie
parti e che ha imparato a utilizzare
Skype soltanto per rimanere vicina
al figlio emigrato in Canada! Ma
come si dice, se da un lato ha avvi-
cinato parte della popolazione mon-
diale, la tecnologia è riuscita anche
ad allontanare fisicamente le persone
vicine a causa di quella che chiamia-
mo dipendenza. La tecnologia può
occupare un gran ruolo nella nostra
vita, ma noi dobbiamo essere bravi a
non farle prendere il sopravvento. Poi
soprattutto dobbiamo essere bravi a
tener sempre gli occhi aperti: la tec-
nologia, intesa nella sua componente
maggiore, il web, è una vera e propria
giungla e non è difficile imbattersi
in truffe, furti (che siano di soldi o
identità), in persone mal intenzionate
di tutti i generi. Lanciando un’oc-
chiata, invece, al mondo del lavoro
nel futuro credo che i robot potranno
affiancare l’uomo, come già fanno.
Tuttavia ancora siamo molto lontani
dalla loro completa autonomia. Allo
stesso tempo però c’è il rischio che
l’uomo perda quasi ogni senso della
sua esistenza e inizieremo a chieder-
ci a cosa serviamo se abbiamo creato
qualcosa che fa le cose non come noi,
ma meglio».
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L’INVITATO
CHRISTINA TANGERDING - FOTO: KLAUS D. WOLF - DAL DON BOSCO MAGAZIN
Un ragazzo speciale
Alexander Greis ha 19 anni.
Da sei anni è tetraplegico.
Non può più muovere
le braccia e le gambe e
respira artificialmente.
Ma non ha perso il senso
dell’umorismo e la gioia di
vivere. Questa è la storia
di un giovane che non si
lascia abbattere.
A utunno 2016. Un lunedì
mattina, ore otto e un quar-
to. Alexander Greis viene
sollevato con attenzione
dal letto dal suo assistente
e da un infermiere, che lo
sistemano sulla sedia a rotelle. Il suo
corpo piccolo e pesante è immobile,
le sue mani sono posate sull’addome.
L’assistente sistema una soffice coper-
ta azzurra sul giovane di 19 anni.
Alexander: «Sono su?».
L’assistente: «Sì».
«E la testiera è giù?».
«Sì». L’assistente aziona la testiera.
«È giù?»
«Sì».
Alex, come lo chiamano tutti, sta per
cominciare a lavorare. È tetraplegico.
Non può dunque muovere la testa, le
braccia e le gambe. Poiché anche il
suo torace è paralizzato, il giovane è
ventilato artificialmente. Attraverso
un’apertura nel collo, un dispositivo
insuffla aria tramite una cannula di-
rettamente nella trachea.
Si sente suonare. È arrivato il minibus
che condurrà Alex al lavoro, a poca
distanza da casa. L’assistente regola
l’umidificatore collocato sulla testiera
del letto e verifica che sia assicurato
al sottile tubo di aspirazione sistema-
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to nel supporto sulla parte posteriore
della carrozzella. Poi spinge la sedia
a rotelle oltre la porta dell’ascensore.
Un passo indietro
Che cosa è successo? Alexander
Greis, nato nel 1997, fin dalla nasci-
ta soffre di Mucopolisaccaridosi . È
piccolo di statura e soffre di problemi
articolari, come accade comunemente
alle persone affette da questa patolo-
gia. Ha inoltre capacità visive limitate.
Alex però era intelligente, si esprimeva
bene, aveva fiducia in se stesso e sen-
so dell’umorismo. Riusciva a vivere
bene nonostante le sue difficoltà, non
si lasciava abbattere dai limiti imposti
dalla sua malattia. Frequentò una nor-
male scuola d’infanzia e poi la scuola
primaria e secondaria. Nel tempo li-
bero giocava con la sorella e gli amici,
guardava la , si dedicava al compu-
ter e andava al cinema. Per sostenere
le sue facoltà motorie, svolgeva rego-
larmente esercizi di fisioterapia. La sua
infanzia era quasi normale.
Nel 2001, quando aveva dieci anni,
Alex cominciò a seguire una terapia
enzimatica sostitutiva, che avrebbe
dovuto contenere i depositi di mu-
copolisaccaridi nelle articolazioni e
permettergli di crescere più rapida-
mente. Ogni settimana trascorreva
un pomeriggio presso l’ospedale pe-
diatrico. Il successo della terapia era
documentato, tutto procedeva bene.
Dopo circa tre anni, però, Alex av-
vertì problemi respiratori. Ansimava,
doveva fermarsi spesso, di notte si
sollevava e rimaneva seduto nel letto
perché sdraiato non riusciva a respi-
rare. La scuola gli permise di utiliz-
zare lo scooter in giardino e anche
all’interno dell’edificio. L’ospedale gli
suggerì di procurarsi un respiratore.
I suoi genitori chiesero l’avvio di un
ciclo di trattamenti al mare.
Quando i sintomi della patologia
peggiorarono, i medici consigliaro-
no un piccolo intervento chirurgico.
Si rendeva necessario applicare uno
stent per tenere aperta la trachea. A
seguito della terapia, le tonsille si era-
no ingrossate e provocavano dunque
i problemi respiratori. Nel maggio
del 2011, il tubo fu inserito con un
intervento effettuato in anestesia. Di
fatto, si trattava di un’innocua proce-
dura di routine, ma si verificò qualche
complicazione. Alex fu colpito da un
edema con conseguente setticemia. Il
giorno dopo l’intervento chirurgico il
ragazzo, che aveva 14 anni, non riu-
sciva a muovere le gambe. Fu ventila-
to artificialmente e rimase sedato per
vari giorni. Quando i medici disatti-
varono il dispositivo di ventilazione
per fare in modo che il ragazzo respi-
Sotto il titolo: Susanne Greis e suo figlio non hanno
perso il sorriso. Ridono anzi spesso e volentieri.
In basso: momenti felici dell’infanzia:
Alex (a destra) e la sorella Katharina.
rasse di nuovo da solo, scoprirono che
il suo torace era paralizzato. Emisero
una diagnosi di tetraplegia.
La mamma, Susanne Greis, non
comprende ancora che cosa sia acca-
duto quel giorno. «Entrò in ospedale
guidando lo scooter e uscì in questo
stato», dice. «È come se il suo corpo
fosse stato gettato nel calcestruzzo».
La madre, che lavora part-time come
infermiera in aiuto a un odontoiatra,
ha un’ipotesi in merito all’insorgenza
della setticemia. È ancora adirata, ma
racconta con calma che aveva pregato
i medici e gli infermieri di sistemare
suo figlio in modo diverso, poiché il
ragazzo, quando la sedazione era sta-
ta brevemente interrotta, aveva ma-
nifestato dolore al collo. Il personale
dell’ospedale l’aveva rassicurata e a
volte l’avevano anche rimproverata. E
infine lei e tutta la famiglia dovettero
comprendere che non c’era modo di
tornare indietro.
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L’INVITATO
Alex può utilizzare
il computer tramite
controllo oculare.
Poiché non può
rimanere seduto,
il monitor è appeso
orizzontalmente
al di sopra del suo
capo.
In basso: Un momento sereno, oggi:
Alex con la madre e la sorella in un bar
a Monaco di Baviera.
«Ho passato momenti
difficili e non volevo
più vivere»
Dicembre 2016, poco prima di Nata-
le. Alex è seduto con la madre e la so-
rella in un bar di Monaco di Baviera.
Ha ordinato una Coca-Cola. Con la
cannuccia. Tutti e tre fanno a gara nel
raccontare episodi di vita quotidiana
familiare, risalenti a prima e dopo
l’intervento chirurgico mal riuscito.
Susanne Greis ha le lacrime agli oc-
chi dal ridere: «Ricordi la storia del
calabrone che si era posato sulla tua
mano? Eri già tetraplegico».
Alex, sorridendo: «Sì».
«Ho detto: Alex, hai un calabrone
sulla mano. Non muoverti!».
«E io ho replicato: Ah, ah, ah!».
Madre e figli trascorrono in serenità
un pomeriggio domenicale prenata-
lizio. «Per favore, puoi compiere una
piccola aspirazione?», chiede Alex
alla madre. Susanne Greis spinge la
carrozzella del figlio in bagno. Con
l’aiuto di un tubo, a intervalli di po-
che ore occorre aspirare il muco che
si è accumulato nel tratto respiratorio
di Alex. Dieci minuti dopo, madre e
figlio tornano.
Alex ricorda che le settimane succes-
sive alla diagnosi sono state problema-
tiche. «Ho passato momenti difficili
e non volevo più vivere», dice. La sua
famiglia e il personale dell’ospedale in
cui fu trasferito due mesi dopo gli die-
dero forza. Là, in una clinica specializ-
zata sul lago Chiemsee, Alex cominciò
lentamente a riprendere coraggio. Ini-
ziò a comunicare con gli occhi, poiché
non poteva parlare. Susanne Greis rea-
lizzò una lavagna completa di lettere
dell’alfabeto, con l’aiuto della quale
Alex poteva farsi capire. La madre gli
indicava le lettere, Alex con un battito
di ciglia intendeva dire sì, mentre due
battiti di ciglia significavano: «No».
Fino ad allora il ragazzo era stato ali-
mentato solo con la sonda gastrica e
poi ricominciò lentamente ad assume-
re alimenti. «Per prima cosa imbevetti
un batuffolo di cotone nella Coca-
Cola e Alex succhiò», dice Susanne
Greis. «Poi gli hanno dato cubetti di
Coca-Cola ghiacciati da succhiare».
A un certo punto è stato di nuovo in
grado di mangiare le patatine, che gli
sono sempre piaciute tanto».
Alex: «Ho ritrovato cose
che mi rendono felice»
La gioia più grande per Alex era un
computer che potesse essere aziona-
to con gli occhi. Poiché in ospedale
era l’unico ad avere un dispositivo di
questo genere, era una vera e propria
attrazione. Uno speciale software per-
mette all’utente di azionare con gli oc-
chi i comandi che di solito funzionano
premendo un tasto o usando il mouse.
Uno sguardo della durata di circa due
secondi su un simbolo corrisponde a
un clic. Il procedimento è molto stres-
sante e noioso, ma per Alex è stato un
modo per tornare alla vita.
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«È IMPORTANTE CHE CI SIANO PERSONE CHE SOSTENGANO»
In che modo i giovani con disabilità possono entrare nel mercato del lavoro? E che cosa fanno i Salesiani di Don Bosco per aiutarli? Ne ab-
biamo parlato con Syndi Winter-Stein, direttrice del settore dei servizi educativi presso la rete Don Bosco in Sassonia, che offre opportunità
di formazione ai giovani affetti da disabilità.
Di che tipo di aiuto hanno bisogno i giovani affetti da disa-
bilità per entrare nel mercato del lavoro?
Hanno bisogno di un sostegno individuale per compensare gli svan-
taggi che la loro disabilità determina: ad esempio, un giovane con
difficoltà di apprendimento ha bisogno di corsi di recupero persona-
lizzati, mentre uno con disabilità fisiche potrebbe giovarsi di un aiuto
medico specializzato.
Noi offriamo ai giovani disabili opportunità di formazione in prepara-
zione a oltre 40 diverse occupazioni o una formazione professionale
che permetta di scoprire i loro punti di forza e i loro interessi. Si
tratta di un supporto a 360 gradi, con servizi specialistici nell’ambito
psicologico, medico e socio-educativo, che si avvale di servizi am-
bulatoriali individuali. Circa il 70 per cento dei giovani che frequen-
tano la nostra struttura vive anche in uno dei nostri pensionati e tutti
possono essere seguiti in modo globale, in un ambiente familiare.
Oltre alla formazione o alla preparazione professionale, la
vostra offerta comprende anche il “reinserimento socia-
le”. Che cosa significa?
Spesso il reinserimento sociale è di gran lunga più importante della
formazione professionale vera e propria. L’idea è che i giovani, no-
nostante l’handicap che caratterizza la loro vita quotidiana, imparino
a orientarsi, ad affrontare i problemi e a elaborare prospettive per-
sonali. È particolarmente importante che trovino una rete di persone
che li valorizzino e li sostengano. A questo proposito noi siamo una
risorsa importante.
Quali sono le prospettive per i
giovani, se completano il loro
percorso di formazione?
Naturalmente, cerchiamo di
accompagnare nel mercato del
lavoro i giovani che hanno ter-
minato il percorso di formazione
presso di noi. Attualmente il 60
per cento degli allievi che hanno
concluso il corso nell’estate del
2016 lavora, e sulla base dell’e-
sperienza si può ritenere che tale
percentuale salga dopo la conclu-
sione del primo anno di appren-
distato.
Più volte è successo che medici o
professori si siano inginocchiati sul
pavimento, accanto al letto di Alex,
per vedere cosa stesse accadendo sul-
lo schermo disposto orizzontalmente
al di sopra della testiera. Tra l’altro,
l’intelligente giovane tetraplegico è
riuscito a installare nuovi program-
mi sul computer, per permetterne un
uso ancora migliore per sé e per altri
diversamente abili. Ha così trovato il
modo per comunicare tramite Face-
book e Skype, guardare film e scri-
vere e-mail. Nel frattempo, ha anche
imparato di nuovo a parlare, prima
bisbigliando, con tono appena perce-
pibile, poi a volume normale.
«Presto mi sono rimesso in sesto»,
dice con orgoglio il giovane, che è
alto solo 1,52 metri. «In reparto ero
una specie di ragazzo prodigio, un
fiore all’occhiello». Sfruttando le sue
conoscenze, Alex azzardò un’azione
che potrebbe sembrare folle: si era
messo in testa di andare al cinema.
Nella condizione in cui si trovava,
con la sedia a rotelle e il respiratore,
il trasporto alla città più vicina pare-
va quasi impossibile. Con l’aiuto del
personale dell’ospedale, riuscì però a
realizzare il suo progetto. Assistette
alla visione del film “Cinque amici” e
poi andò al McDonalds.
Circa dieci mesi dopo,
in ospedale
Alex si trasferì in una struttura del-
la Fondazione “Pfennigparade”, un
grande centro di riabilitazione a Mo-
naco di Baviera. Ha frequentato la
scuola superiore e ha poi partecipato
a un corso di formazione professiona-
le della durata di due anni. E ha una
nuova sedia a rotelle che può azionare
con la bocca, grazie alla quale riesce
a stare facilmente seduto. Dal mese
di giugno del 2016 vive in un piccolo
appartamento in affitto in un edificio
accessibile ai diversamente abili. Du-
rante il giorno è sempre con lui un as-
sistente che cucina, gli dà da mangia-
re, svuota il sacchetto del catetere, lo
accompagna al lavoro. Di notte, Alex
e gli altri condomini che abitano sullo
stesso piano sono assistiti dagli addet-
ti al servizio infermieristico. Alex può
chiamare un assistente o avviare una
chiamata di emergenza con un dispo-
sitivo azionabile con un soffio.
«Alex ha sempre avuto un carattere
forte, è pronto a combattere», spiega
Susanne Greis. «Ha una grande forza
interiore. All’inizio l’ho aiutato a
crescere, ma molte volte lui aiuta me».
Il diciannovenne cerca di spiegare
come vede la sua nuova vita di oggi.
«Ho ritrovato cose che mi rendono
felice».
Luglio / Agosto 2017
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2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
PIERO GAVIOLI (da 50 anni in Congo)
Bukavu
Il Congo è un paese estesissimo e ricchissimo
di risorse naturali dove la gente porta un peso
enorme di sofferenza eppure manifesta ogni
volta che può la gioia e la voglia di vivere.
Anche qui, in una città del confine orientale,
una comunità salesiana tiene aperta
la porta della speranza.
L a Repubblica Democratica del Congo
preoccupa il mondo. La situazione poli-
tica ed economica è sempre più compli-
cata. In un incantevole angolo al confine
orientale con Rwanda e Burundi, sul lago
Kivu, c’è la città di Bukavu. La natura è
magnifica. La vita della gente molto poco.
Qualche mese fa nel suo ufficio, al centro di for-
mazione professionale di cui era responsabile nella
parrocchia Mater Dei di Bukavu, è stata uccisa suor
Marie Claire Agano, congolese, della congregazio-
ne delle Francescane di Cristo Re. Colpita a mor-
te in un assalto all’arma bianca, probabilmente da
banditi che volevano rapinarla. Suor Marie Claire
va ad aggiungersi a una lunga lista di religiosi che
a Bukavu hanno donato la vita per il Vangelo. Non
si può dimenticare, come hanno fatto tutti, la fi-
gura dell’arcivescovo Christophe Munzihirwa, pa-
store coraggioso di Bukavu, ucciso vent’anni fa in
quest’area del mondo da troppo tempo senza pace.
Nel Sud del Kivu, la regione di cui Bukavu è ca-
poluogo, il clima di violenza diffusa è alimentato
dalla piaga dei «minerali insanguinati»: oro, col-
tan, cassiterite e tante altre ricchezze minerarie
che continuano ad arricchire tutti tranne la po-
polazione congolese.
I salesiani di don Bosco a Bukavu
In questo contesto, i salesiani di don Bosco hanno
scelto l’educazione dei ragazzi più poveri come via
per cambiare la vita e per cambiare la società. Sia-
mo presenti in Congo da più di 100 anni, abbiamo
aperto scuole di ogni livello (ultimamente anche
un Istituto superiore di Informatica e di Economia
politica). Ma continuiamo ad avere una preferenza
per l’accoglienza e l’educazione dei ragazzi di stra-
da e dei ragazzi vulnerabili, a rischio.
È il caso dell’opera di Bukavu, aperta due anni
fa. I salesiani sono stati invitati a Bukavu da un
missionario saveriano di Parma, padre Giovan-
ni Querzani, fondatore di vari progetti sociali
nel quartiere di Kadutu. Tra l’altro, una scuola
professionale, Tuwe Wafundi (“Diventammo ar-
tigiani”), per dare ai ragazzi esclusi dal sistema
scolastico formale la possibilità di imparare un
mestiere. Per garantire la continuità del suo la-
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Luglio / Agosto 2017

2.3 Page 13

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voro, padre Giovanni
ha chiamato i sale-
siani, noti per il loro
carisma, per prendersi cura di ragazzi vulnerabili.
Dopo un anno di ricerca e di tentativi, una co-
munità di tre salesiani si è trasferita nella casa di
Kadutu il 25 agosto 2015 e ha assunto la direzio-
ne della scuola professionale.
La scuola di mestieri, diventata Centro Don Bo-
sco Bukavu, si trova di fronte alla prigione cen-
trale, a trecento metri da Piazza Indipendenza,
dove si possono incontrare molti ragazzi di strada
o in strada che esercitano le loro attività di so-
pravvivenza: lavare le auto, portare borse e sacchi,
scaricare la spazzatura nel canale del quartiere,
o semplicemente stare insieme per ammazzare il
tempo. Come tutti i ragazzi provenienti da fami-
glie in crisi, devono arrangiarsi per sopravvivere.
Per fare questo, tutti i mezzi sono buoni: piccoli
lavori, furti, imbrogli, mendicità... La maggior
parte di questi ragazzi ha un basso livello di istru-
zione, ha frequentato al massimo qualche anno
di scuola elementare e poi ha abbandonato – me-
glio, sono stati cacciati – perché le loro famiglie
vulnerabili non potevano pagare le tasse scolasti-
che. Altri ragazzi, vittime delle stesse condizioni,
hanno trovato lavoro come scaricatori nel porto
di Bukavu – a dieci minuti a piedi da casa nostra.
Guadagnano qualcosa per sopravvivere, ma a che
prezzo? Portano a spalla sacchi e casse di decine
di chili. Dopo alcuni anni non ce la faranno più,
e non sapranno fare nient’altro.
La scuola di mestieri. A questi ragazzi, di alme-
no 16 o 17 anni, abbia-
mo aperto gratuitamen-
te la scuola di mestieri.
Quest’anno, sono 116, non
di più a causa della ristret-
tezza dei laboratori. Ce ne
sono 40 in costruzione, 30
in meccanica automobile,
24 in falegnameria e 22 in
saldatura. Hanno segui-
to prima un corso di due
mesi (che continua in par-
te durante l’anno) di alfabetizzazione e di recupero
scolastico, e poi otto mesi di pratica in laboratorio e
tre mesi di tirocinio, in un’officina o in un cantiere.
Accanto al titolo:
Panorama della
città vista dal lago.
Sotto: La
cattedrale di
Bukavu.
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2.4 Page 14

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SALESIANI NEL MONDO
Il monumento
all’arcivescovo
martire Christophe
Munzihirwa
Mwene Ngabo,
assassinato il 29
ottobre 1996. È in
corso la causa di
beatificazione.
Non sarà facile per loro trovare lavoro, li accompa-
gniamo con un assistente sociale e diamo loro un
minimo di attrezzi, in maniera che possano fare
qualcosa con le loro mani. Siamo ancora all’inizio
dell’esperienza, aspettiamo qualche mese per veri-
ficarne i risultati.
E le ragazze? I mestieri che proponiamo sono
tradizionalmente considerati come maschili. Tra
i 116 apprendisti, ci sono 4 ragazze, una per labo-
ratorio. Alle altre ragazze vulnerabili che chiedo-
no un mestiere più “femminile”, proponiamo di
iscriverle al Centro Nyota, vicino al Don Bosco,
dove possono seguire corsi di alfabetizzazione e
imparare il mestiere di sarta e di parrucchiera.
Per una sessantina di bambini e bambine più pic-
coli, che possono frequentare la scuola elementare
e la scuola media, il Centro Don Bosco, con l’aiu-
to del sostegno a distanza, paga almeno la metà
delle spese scolastiche (chiediamo una partecipa-
zione ai genitori che possono darla).
L’oratorio
Fin dall’inizio della nostra presenza a Buka-
vu, nonostante la ristrettezza del nostro cortile
(20×20 m), abbiamo accolto i bambini del quar-
tiere per attività ricreative e culturali. Un centina-
io di bambini e bambine dai 6 ai 14 anni vengono
all’oratorio quattro pomeriggi alla settimana per
giocare a calcio o a giochi di sala (dama, carte,
ping-pong...), ma anche per leggere, cantare, pre-
parare una scenetta teatrale...
Durante le vacanze estive, organizziamo attività
di tipo , aiutati da una ventina di animatori
volontari.
Appena arrivati a Bukavu, siamo stati avvicina-
ti da decine di giovani che volevano aspirare alla
vita salesiana. Li abbiamo ascoltati e abbiamo of-
ferto loro un percorso formativo della durata di
un anno scolastico, da esterni. Quelli che abitano
nelle vicinanze vengono ogni giorno al Centro
Don Bosco, dove danno una mano al mattino
nelle attività della scuola e il pomeriggio all’o-
ratorio. Tutti vengono il sabato mattina per un
corso introduttivo alla vita consacrata salesiana e
un corso di aggiornamento di francese scritto e
parlato, in cui spesso sono deboli.
Prospettive future
La scuola dovrebbe aprire le nuove sezioni di ag-
giustaggio-saldatura e di idraulica. La belga
di Medici Senza Vacanze organizza in luglio a
Bukavu una formazione in idraulica ed elettrici-
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Luglio / Agosto 2017

2.5 Page 15

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LA TESTIMONIANZA DI ROSA, VOLONTARIA
tà per tecnici ospedalieri. Alla fine dovrebbero
affidarci le attrezzature che utilizzano in modo
da poterle usare per la formazione di apprendi-
sti idraulici: si tratta di un mestiere ricercato sul
mercato del lavoro.
Dovremmo avviare un piccolo convitto per ospi-
tare i minorenni in conflitto con la legge e i ra-
gazzi di strada, la cui formazione richiede assi-
stenza totale.
In collaborazione con il Centro Nyota, incomin-
ciamo in agosto una prima formazione di prova per
una decina di ragazze apprendiste parrucchiere.
A medio termine, prepariamo la ripresa della fat-
toria di Nyakadaka, che l’Arcivescovo ha appena
ceduto ai salesiani.
Alla fine di marzo abbiamo ricordato i due anni
da quando siamo entrati nella casa in cui abi-
tiamo adesso. Il nostro lavoro è modesto. Ma la
nostra presenza nel quartiere ci sembra signifi-
cativa: i bambini dei dintorni vengono all’ora-
torio per giocare o fare i compiti, i ragazzi di
strada cominciano a conoscerci e a frequentarci,
gruppi giovanili chiedono i nostri locali per un
ritiro o per una festa, la nostra cappella è aperta
«A Bukavu la vita procede tran-
quilla, come in ogni città ci sono
i ricchi ed i borghesi, che man-
dano i figli a scuola con il taxi e
che pagano rette scolastiche ai
propri figli di 50 dollari al mese e
c’è chi guadagna invece 50 dollari
al mese e oltre che mandare i figli
a scuola deve sfamarli e poi chi
guadagna pochi dollari o niente
del tutto che deve sopravvivere.
Insomma situazioni come ne ve-
diamo anche noi in Italia.
La vita qui è molto costosa, poi-
ché poche cose sono a “km 0”.
Quasi tutto è importato dalle na-
zioni adiacenti quali il Rwanda e la
Tanzania, oppure la Cina e l’India.
Per esempio le uova arrivano dal Rwanda e non si sa la “freschezza” di quanti
giorni hanno… 5 uova un dollaro, una gallina 10 dollari.
Le campagne fanno fatica a rimettersi in moto con la produzione, poiché l’in-
sicurezza è ancora elevata, i contadini si sono rifugiati in città e quelli che
sono rimasti nelle campagne non producono più nulla perché hanno il timore
di vedersi rubare bestiame e ortaggi. Proprio l’altra settimana allo zio di un
animatore del foyer hanno rubato a 100 km i duecento capi di bestiame (si
tratta di bande armate che vivono ancora nelle foreste e che saccheggiano per
sopravvivere anche loro). Fanno tutti una vita miserabile mentre ci sarebbe
terra e cibo per tutti se decidessero di non prevaricare e volersi impossessare
delle terre più fertili.
Belli e significativi anche gli incontri con le donne lungo le strade, basta un
saluto semplice in Kiswahili e subito si crea allegria e complicità. Ho appreso
tante cose belle da questa gente semplice, in certe occasioni qualcuno mi ha
anche pagato il biglietto del bus per ringraziarmi del lavoro che si sta facendo
per i bambini congolesi. Semplici cose che in più di un’occasione mi hanno
commosso. Tuttavia ho vissuto situazioni anche che mi hanno fatto male al
cuore, come ai primi di aprile mi ero recata in un villaggio per raccogliere le
iscrizioni di alcuni bambini figli di genitori portatori di handicap (mulemavo
in Kiswahili) segnalati come vulnerabili tra i vulnerabili (per le disgrazie non
c’è mai misura) al mio arrivo però ho trovato, oltre i 7 che dovevo registrare,
altri 40 bambini che si erano presentati pur non essendo del gruppo inviato.
Così, dopo aver sbrigato le pratiche con i primi, ho spiegato che non potevo
inserire anche gli altri quaranta, a parte la delusione nei loro sguardi, la mag-
gior parte ha capito la situazione, fatto salvo un piccolino di 6 anni che ha
iniziato a piangere a dirotto. Non è valsa nessuna consolazione né caramelle
per farlo smettere. Diceva tra i singhiozzi: “Ho perso la chance della mia vita
d’imparare a leggere e a scrivere!” Per giorni questo pianto mi è rimasto nelle
orecchie».
per chi vuole pregare in silenzio, la gente sa che
trova sempre un prete disponibile per confessar-
si. Così i salesiani cercano di realizzare l’ideale
lasciato da don Bosco: essere segni e portatori
dell’amore del Signore per i giovani, soprattutto
i più poveri.
Gioco e scuola per
giovani ricercatori
di speranza.
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MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
1
3
4
FINO AI CO
KENYA 1
Finalmente la pioggia!
Ma le necessità sono
ancora tante
MONGOLIA 2
Fiorisce la frontiera missionaria salesiana
“Grazie a Dio nella notte di domenica 30 aprile è pio-
vuto! Abbiamo raccolto l’acqua potabile, che ora è già
quasi finita. Non è che abbia piovuto bene o a sufficien-
za, ma siamo comunque felici e grati”. Così riporta don
Luke Mulayinkal, Salesiano missionario nell’Ispettoria
dell’Africa Est ( ), che grazie al sostegno del Don
Bosco Network è attualmente impegnato ad aiutare mi-
gliaia di famiglie che abitano nei villaggi prossimi alla
missione salesiana di Korr, in una delle aree del Kenya
più provate dalla recente stagione di siccità.
“Le piogge hanno portato solo un po’ d’acqua, ma non
cibo – aggiunge il signor Godana, vicedirettore della
Caristas di Marsabit –. Non è piovuto abbastanza. Gli
allevatori hanno ancora bisogno di soccorso e di piogge.
Speriamo e preghiamo che piova ancora almeno una
volta”.
La missione salesiana di Korr lavora quotidianamente
con i villaggi in un raggio di circa 60 km, ma raggiun-
ge anche Marsabit, a circa 150 km, e Isiolo, che dista
circa 240 km dalla missione. Le operazioni di soccorso
riguardano soprattutto gli 85 villaggi sparsi intorno alla
missione, ma in questa seconda distribuzione sono stati
raggiunti 65 villaggi, perché molte vie di comunicazione
sono state interrotte dopo le piogge e l’accesso alle risorse
è stato limitato.
Nel paese di Gengis Khan il carisma salesiano si va a
mano a mano radicando ed emergono nuove frontiere
missionarie in una vivace cittadina di 10 000 abitanti,
situata a 60 km da Darkhan, per pianificare lo sviluppo
della presenza salesiana in loco.
A Khutuul, grazie a una discreta presenza industriale e
una buona area agricola coltivata a grano, risiedono nu-
merosi giovani. Le scuole locali non sono sufficienti per
ospitare tutti i bambini e i giovani della città, e i 3 asili e
l’unica scuola superiore sono sovraffollati.
Per questo l’amministrazione cittadina guarda con molto
favore alla presenza salesiana. Due anni fa in città è stato
avviato un semplice centro per lo sviluppo – il “Don Bo-
sco Youth Development Center” – che, grazie all’anima-
zione di un centro di Salesiani Cooperatori di Darkhan,
pur con degli spazi e delle risorse molto limitate, offre
corsi d’inglese e mette a disposizione una biblioteca e
attività di consulenza, ed ha come suoi membri iscritti
ben 1200 bambini.
Nello scorso ottobre, quando don Ángel Fernández
Artime giunse in Visita d’Animazione in Mongolia, il
precedente sindaco di Khutuul volle incontrare il Rettor
Maggiore per richiedergli una presenza salesiana nel
paese. E lo scorso 2 maggio, il sindaco neoeletto ha
incontrato don Paul Leung, Superiore della Delegazione,
insieme ad altri due salesiani e a due salesiani
Cooperatori di Darkhan, per confermare il desiderio
della cittadinanza di avere una presenza stabile dei
Figli di Don Bosco a Khutuul.
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2.7 Page 17

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2
KENYA 3 Don Felice SDB
Storie di mamme dal mondo: Wambui
Mary Wambui Wainaina, 67 anni appena compiuti.
Mamma di 13 figli. La prima, che avrebbe oggi 49 anni,
è mancata 15 anni fa, lasciando un bambino piccolo che,
nella grande famiglia Wainaina, ha preso il posto della
mamma. È sempre in movimento, mamma Wambui.
Bisogna correre per la legna, per l’acqua, per l’erba per la
mucca, che anche lei, poveretta, soffre di fame endemica.
I figli sono a scuola. Tutti hanno fatto le elementari, le
medie e le superiori. Oggi la figlia Paolina, mi dice che
se non avessi dato loro una mano e non avessero potuto
studiare nelle nostre scuole, avrebbero finito al massimo
la terza media. “Don Bosco è stato tanto buono con noi”,
mi dice Paolina.
Mamma Wambui è conosciuta in tutta Makuyu per la
sua bontà. Quando uno ha bisogno di un aiuto che non
siano soldi, corre da Wambui. Lei c’è sempre per l’assi-
stenza ad un ammalato di notte, per una scodella di tè
per il povero che passa, per una persona che ha bisogno
di una parola buona
e poi per ogni at-
tività. Quando co-
struivo la chiesa del
loro villaggio, sulla
cima della collina,
le donne dovevano
procurare l’acqua ed
andavano giù nella
valle, riempivano il
bidone da 20 litri
e poi, caricandolo
sulle spalle, percorrevano il sentiero ripido per
un chilometro, fino al cantiere.
Quanti viaggi ha fatto su e giù, povera Wambui.
La ricordo come ora. Arrivava in cima ansi-
mando, vuotava il suo bidone nella vasca che
era sempre vuota, dava uno sguardo alla chiesa
che cresceva, sorrideva contenta e, salutando i
muratori, se ne tornava giù nella valle per un
altro giro ed un altro giro ancora.
ZAMBIA 4 Suor Elisa FMA
Storie di mamme dal mondo:
Bana Konda
Bana Konda è la mamma di Memory e Silvia, due sorelle
di 15 e 18 anni che vivono in un orfanotrofio di Lusaka.
Da quasi un anno, Bana Konda è diventata una don-
na fiera di avere un campo piantato a fagioli! Darle la
possibilità di coltivare un campo di fagioli è stato come
riprogrammare il suo cervello e il modo in cui lei guarda
a se stessa e alla vita. Adesso Bana Konda è molto occu-
pata, deve togliere le erbacce, zappare, dare il fertilizzan-
te ai suoi fagioli. Adesso Bana Konda non ha più tempo
di andare in giro a chiedere la carità a destra e a sinistra.
E neppure è da lei, proprietaria di un campo di fagioli,
venire a importunare le suore con le sue mille richieste.
Non sembra incredibile? Quando sono arrivata a Luwin-
gu la figura di Bana Konda era una leggenda. Ogni tanto
la si vedeva arrivare, uno stecco perso in vesti ampie, un
largo sorriso un po’ sdentato, un’età indefinibile (eppure
non dovrebbe andare oltre i 35/40 anni, anche se il volto
lo si potrebbe accostare a
quello di un antico fauno).
Sono bastati pochi chili di
semi di fagioli a darle dignità
e a cambiarle la percezione
di sé e del mondo! Basta
poco per cambiare una vita.
Basta avere la possibilità di
vivere con dignità del proprio
lavoro. Basta avere la possibi-
lità di giocare non dalla parte
di coloro che “hanno
bisogno” di ricevere
aiuto, ma dalla parte
di coloro che sono i
“costruttori di vita”,
mettendo a disposi-
zione tutte le proprie
forze. Che bello: un
solo campo di fagioli
può fare il miracolo.
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Nelle terre sognate
da don Bosco
Incontro con don Natale Vitali
Consigliere regionale per l’America Latina Cono Sud
(Argentina, Brasile, Cile, Paraguay, Uruguay)
Com’è nata
la sua vocazione?
La mia vocazione è nata in un oratorio.
Ero studente universitario e fui affa-
scinato dallo spirito di famiglia, dalla
cordiale accoglienza dei salesiani, dal
protagonismo dei giovani. Mi accorsi
che i salesiani davano autentica impor-
tanza ai giovani nel processo di edu-
cazione alla fede e li stimolavano ad
essere missionari dei loro compagni.
Come l’ha presa
la sua famiglia?
Mia madre mi ha sempre appoggia-
to e incoraggiato con i consigli e con
l’esempio. Partecipava tutti i giorni
all’Eucaristia. Mio padre mi lasciò
libero ma non era questo il cammino
che aveva sognato per suo figlio.
Quando ha deciso
di andare in Missione?
Durante l’anno di Noviziato, a Paco-
gnano ( ), un salesiano missionario
in Perù ci parlò molto della vocazione
missionaria come cammino per vivere
la vocazione salesiana e dopo un pe-
riodo di discernimento con il Maestro
scrissi la domanda per le missioni al
Rettor Maggiore.
Perché l’America Latina?
Io avrei voluto andare in Africa, ma
il Rettor Maggiore mi inviò in Cile,
dove arrivai il 23 dicembre del 1975.
Da quel giorno, il Cile è la mia patria,
la mia Ispettoria e la terra dove deside-
ro vivere e morire. Ho lavorato in Cile
da quel giorno fino all’anno 2008.
Qual è il suo compito
attuale?
Dal 2008 presto servizio nel Con-
siglio generale della Congregazione
per il secondo sessenio come Regio-
nale dell’America Latina, Cono Sud.
Questo significa che devo occuparmi
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Luglio / Agosto 2017

2.9 Page 19

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di undici ispettorie. Sei del Brasile,
due dell’Argentina e una ciascuno di
Cile, Paraguay e Uruguay.
Qual è lo stato di salute
“salesiana” del Cono Sud?
Il carisma salesiano si è impiantato
bene in queste terre sognate da don
Bosco. Le opere si sono sviluppate
molto, con caratteristiche diverse in
ogni nazione: scuole, centri di for-
mazione tecnica, parrocchie, ope-
re sociali, oratori e centri giovanili,
missioni e strutture di formazione.
Si soffre attualmente la diminuzione
delle vocazioni alla vita consacrata,
ma aumenta sempre di più la parte-
cipazione responsabile dei laici e dei
gruppi della Famiglia Salesiana in
un lavoro unitario. Stiamo cercando
di ridare significato e rilevanza alle
presenze salesiane, di operare di più
in rete, di mantenere le case di for-
mazione in forma interispettoriale e
impegnarci per rispondere alle nuove
sfide della cultura e delle necessità dei
giovani di oggi.
Papa Francesco
ha portato un risveglio?
I suoi gesti, le parole chiare con “sa-
pore di Vangelo” hanno provocato
molto entusiasmo, soprattutto nei
giovani che hanno visto in Lui un
uomo di pace, preoccupato per la
“casa comune”, un cristiano convinto
in tutto il suo essere e un pastore “con
l’odore delle pecore”. Hanno sentito
un uomo vicino alle necessità delle
persone, realmente preoccupato per
gli uomini e le donne di oggi, perché
possano davvero udire il “primo an-
nuncio del Vangelo”.
Quali sono i problemi
sociali ed ecclesiali
della sua Regione?
La disuguaglianza è una caratteristi-
ca storica e strutturale delle società
latinoamericane che rende difficile
lo sviluppo e costituisce un terribile
Momenti di vita di don Natale Vitali. «Stiamo
cercando di ridare significato e rilevanza alle
presenze salesiane».
ostacolo contro l’eliminazione della
povertà, l’allargamento dei diritti e il
loro esercizio, come pure una gover-
nabilità democratica. Senza un vero
cambiamento è impossibile diminuire
la povertà. Questa si ripercuote sulla
qualità dell’educazione, sull’impossi-
bilità di trovare un lavoro migliore e
un livello di vita più degno.
La violenta e disumana economia neo-
liberale ha provocato una migrazione
molto forte tra i paesi del continente e
dentro lo stesso paese. Il trasferimento
dalla campagna alla città e da un paese
all’altro ha provocato da un lato la per-
dita di valori e di tradizioni culturali e
religiose, dall’altro lato un ampliamen-
to grazie ad altre forme di vivere e pen-
sare del proprio universo. Il problema
dello sradicamento provoca la necessità
di ritrovarsi e riunirsi insieme.
Culturalmente siamo in una società
che promuove una visione di felicità
conseguibile senza riferimento a Dio e
la pluralità di idee ha portato a privile-
giare il relativismo e relegare il nostro
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2.10 Page 20

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A TU PER TU
DON NATALE VITALI
cristianesimo ad un livello intimistico
e personale. Questo ha colpito anche la
fede del popolo e la densità e la profon-
dità dei contenuti della fede.
Il progresso tecnologico ha spalan-
cato ai giovani, soprattutto, un nuovo
continente, quello virtuale, formando
una nuova cultura della comunicazio-
ne. È una grossa sfida per la Chiesa
assimilare i nuovi linguaggi e offrire
la buona novella di Gesù a coloro che
attraversano questi mondi non ancora
ben esplorati dalla Chiesa.
L’economia che genera esclusione e la
disuguaglianza continuano a colpire
le nostre nazioni, approfondendo la
separazione tra coloro che vivono in
abbondanza e quelli che sopravvivono
in condizioni di scarsità. Le pubbli-
cità stimolano sempre più la cultura
del consumo e dell’“esclusione” spin-
gendo la gente a vivere sopra le sue
possibilità reali.
Non sono comparsi leader politici con
nuove idee o proposte e questo provoca
disillusione nella popolazione. La ri-
cerca del potere, dell’attaccamento alle
cariche e dell’arricchimento personale
sono i pericoli di coloro che dirigono i
destini delle nostre nazioni con la con-
seguente piaga della corruzione.
La nostra Regione conserva le sue
radici religiose, anche se si stanno
differenziando, in diverse confessio-
ni cristiane, in nuove forme di vivere
con o senza spiritualità e senso della
trascendenza, e anche nella ricerca di
apparente successo e prosperità, o con
accentuazioni fondamentaliste, apo-
logetiche, venate di proselitismo.
Come sono i giovani?
I giovani del nostro continente non
hanno perso la capacità di sognare
e di donarsi agli altri. Ma la Chiesa
deve inventare nuove strategie per
Il Capitolo Generale 27 ha confermato don
Natale Vitali come Consigliere regionale
per l’America Cono Sud. “Speravo che un
altro prendesse più voti, così mi sarei po-
tuto riposare. Comunque accetto” ha detto
scherzando don Vitali.
Italiano di origine, don Natale Vitali è nato
il 14 maggio 1955 a Montappone, in pro-
vincia di Ascoli Piceno. Dopo la forma-
zione iniziale in Italia si reca in Cile dove,
completati gli studi di teologia, è ordinato
diacono il 23 agosto del 1981 e sacerdote
il 31 luglio 1982.
Professore di religione e consulente scola-
stico, ha fatto esperienza di direttore di co-
munità, parroco ed economo, per diventa-
re dapprima consigliere e poi Ispettore del
Cile per due mandati, dal 1995 al 2000 e
dal 2006 al 2008, quando viene eletto dal
CG26 Consigliere regionale per l’America
Cono Sud.
In precedenza aveva già partecipato ai due
Capitoli Generali antecedenti ed era stato
anche vicario per la Vita Religiosa dell’ar-
cidiocesi di Puerto Montt.
raggiungere la loro cultura e risve-
gliare in loro “quella fibra” che li fa
sognare e dedicarsi agli altri.
Qual è il suo sogno?
Che noi salesiani sappiamo convertir-
ci per “ascoltare il grido” dei giovani
di oggi e che la nostra passione apo-
stolica sia la stessa del nostro padre
don Bosco: «appassionati per Dio e
per i giovani».
20
Luglio / Agosto 2017
«La Chiesa deve inventare nuove strategie
per raggiungere la loro cultura e portare il suo
messaggio».

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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INIZIATIVE SALESIANE
MICHELE NOVELLI
Un diario
mdavovenrodiale
È quasi un miracolo: un diario bello ed elegante
(copertina cartonata - 350 pagine - 4 colori -
rilegato) che costa pochissimo e, comprandolo,
se ne può regalare uno tale e quale ad un bambino
che vive in uno dei Paesi del Terzo Mondo.
Il diario si chiama “IL MIO CARO LONTANO
COMPAGNO DI BANCO” ed è l’unico edito in
4 lingue, dal momento che il Compagno Lontano
lo riceverà nella sua lingua.
Informazioni:
michelenovelli45.sdb@gmail.com
È nato come Progetto di Educazione alla Mondialità, per
sensibilizzare gli scolari italiani (bambini e preadolescenti) a
guardare oltre il proprio banco e gettare un ponte di amicizia
con un loro coetaneo che vive “lontano”, spesso in condizioni
di estrema difficoltà, pur avendo gli stessi diritti all’istruzione.

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VOLONTARI
RAMÓN RONDA
Servizio civile all’estero con i salesiani
«Quello che ho imparato qui
non ha eguali» Nel cuore della Sierra di Cadice,
in un piccolo paese chiamato San
José del Valle c’è un luogo unico
dove istruzione e familiarità si
incontrano e formano un focolare
che è la casa di 60 giovani.
I quattro volontari
del servizio
civile italiano.
Rappresentano
una grande risorsa
per i giovani della
Sierra di Cadice.
L a “escuela-hogar” (scuola-casa) è un centro
educativo che dal lunedì al venerdì ospita
in regime di internato bambini e bambine
provenienti da famiglie considerate a ri-
schio di esclusione sociale. Ospita soprat-
tutto minori provenienti da famiglie de-
strutturate, di scarso o nullo reddito economico
o poca istruzione.
Gli studenti residenti sono bambini, bambine e
ragazzi dai 6 ai 17 anni. Ciascun profilo è diverso
e complesso e spesso caratterizzato da fallimento
scolastico. La maggior parte di loro si porta dietro
grandi problemi di autostima dovuti a situazioni
familiari problematiche vissute sin dai primi anni
di infanzia.
L’obiettivo dei professori e degli educatori del
centro è quello di offrire ai giovani una casa dove
possano trovare una vera e propria famiglia in cui
crescere e maturare, seguendo le orme di don Bo-
sco e del suo sistema educativo basato sul dialogo
e sull’amore.
«Facciamo tutto ciò con l’unico
obiettivo di farli diventare ‘buoni
cristiani e onesti cittadini’. Un obiettivo
che con il passare del tempo e l’aiuto
di Dio i volontari del servizio civile
stanno facendo diventare realtà».
Per raggiungere i nostri obiettivi contiamo sull’aiu-
to di molti volontari, che mettono a disposizione
del centro e dei ragazzi il loro tempo e le loro ca-
pacità e permettono loro di partecipare alle attività
più disparate.
Inoltre, per il secondo anno consecutivo la escue-
la-hogar di San José del Valle ha accolto quattro
volontari del servizio civile italiano, che hanno
rappresentato una grande risorsa per i nostri gio-
vani, affiancandoli tanto nella parte formativa
quanto in quella ludica e personale.
Nello specifico, il lavoro che svolgono i volontari
con i giovani è molto vario e riguarda le seguenti
attività: aiuto nello studio, giochi, sport, teatro,
escursioni, ballo, laboratori di manualità, assi-
stenza nel refettorio.
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Luglio / Agosto 2017

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Il lavoro dei volontari, come educatori salesiani,
è aiutare i giovani a scoprire i loro talenti e l’uni-
verso che hanno davanti a sé, facendo crescere la
grande ricchezza che portano dentro. Il sistema
preventivo viene applicato giorno per giorno: la
parolina all’orecchio, la vicinanza, l’accoglienza
incondizionata, la fiducia nel ragazzo, l’amore, il
dare valore ai piccoli e grandi passi che ciascuno
compie, il dolce momento della buonanotte.
Le testimonianze dei volontari del Servizio Civile
degli ultimi due anni ci permettono di mettere in
evidenza la dinamica di scambio che caratterizza
il volontariato. Spesso ci si sofferma su quanto si
possa apportare agli utenti delle strutture nel-
le quali si presta servizio tralasciando la grande
ricchezza che i volontari raccoglieranno in questa
esperienza, ricchezza che è professionale ma so-
prattutto personale e umana.
«È successa una magia»
Ecco come i giovani volontari italiani spiegano la
loro esperienza.
Francesca Giordano: «Quello che possono inse-
gnarti questi ragazzi va al di là di ogni aspettativa,
hai l’opportunità di crescere con loro giorno per
giorno, di svuotarti di te e riempirti delle loro sto-
rie e del loro affetto. Dopo quasi un anno ho con
loro un bellissimo rapporto, ci prendiamo in giro,
ci divertiamo e spesso si confidano quando hanno
un problema scolastico o personale».
Fabio La Iacona: «Sono felice di aver fatto que-
sta esperienza. Sono partito con lo spirito di chi
vuole rendersi utile e cercare di fare qualcosa per
il prossimo e mi ritrovo arricchito di ciò che mi
hanno insegnato questi ragazzi con le loro storie
e il loro affetto. Quello che puoi imparare qui non
ha eguali ed è qualcosa che non si impara sui libri».
Anna Vassallo: «L’esperienza del servizio civile è
più di un semplice anno all’estero: ci si mette alla
prova a 360º. Non avevo mai lavorato prima con
bambini e non avevo mai capito a fondo fin dove
potessi arrivare mettendomi totalmente al “ser-
vizio” di qualcun altro. A poco a poco, il lavoro
con loro si è trasformato in passione, in gioia di
vederli, in emozione per le piccole conquiste di
ogni giorno, per una tabellina a memoria, per uno
spettacolo di teatro ben riuscito, per un abbrac-
cio sudato dopo una partita a pallone. E quando
succede questa magia, improvvisamente smetti di
“andare a lavoro” e vai dalla tua famiglia, a dare
una mano, a giocare con loro, a collaborare per un
progetto sicuramente più grande di te ma a mi-
sura di “volontario”, perché effettivamente questa
parola assume un nuovo significato e ti entra den-
tro fino a far parte di te».
Riccardo Tortora: «L’esperienza di volontario
durante questi mesi, oltre a conferirmi delle co-
noscenze e degli strumenti importanti e basilari
sotto il punto di vista professionale, mi ha forma-
to in modo particolare dal punto di vista umano.
Toccare con mano realtà quali emarginazione so-
ciale, dispersione scolastica, povertà e quant’altro
ha fatto di me ad oggi una persona migliore, dove
il cambiamento è stato inevitabile».
Don Ramón, direttore del centro, è lapida-
rio: «Ci auguriamo che il Governo Italiano
continui a rinnovare la sua adesione al nostro
progetto: invitiamo chiunque fosse interessato
a conoscere i nostri progetti e a scoprire foto
e testimonianze dei volontari a visitare il sito
www.salesianoselvalle.com»
«Quello che puoi
imparare qui
non ha eguali ed
è qualcosa che
non si impara sui
libri».
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LE CASE DI DON BOSCO
PIERPAOLO ROSSINI
Da aVecneenztioa anni
Il 7 dicembre 1917, accompagnati
dal rombo incessante dei cannoni piazzati
sulla foce del Piave, arrivarono a Castello
sei confratelli salesiani.
Matteo aveva una famiglia critica. Il
papà a causa della sua propensione al
bere rendeva la vita familiare molto
tumultuosa. Matteo era in seconda me-
dia. Un sabato mattina intorno alle otto
quando generalmente andiamo a prepa-
rare l’ambiente, c’era una panchina con una persona
rannicchiata che dormiva nell’ingresso. Era Matteo
che dormiva. Nella sera precedente, molto tardi il
papà era tornato a casa ubriaco e aveva allontanato
da casa sia la mamma sia lui, anche in modo vio-
lento. Poi Matteo aveva accompagnato la mamma
dalla nonna ed era venuto a dormire in patronato.
Quando l’ho svegliato chiedendogli che cosa facesse,
mi ha detto: «Questa è la mia casa». È stato un lungo
e interminabile abbraccio.
Nella Venezia paradiso del turismo e dei ricchi
vacanzieri c’è anche una porta sempre aperta ai
ragazzi e ai giovani. Don Bosco è arrivato qui
cento anni fa. Lo ha chiamato un futuro Papa.
Il 19 dicembre 1894 il cardinal patriarca Giusep-
pe Sarto scriveva al successore di don Bosco, don
Michele Rua: “I figli di don Bosco non hanno
ancora piantato le loro tende a Venezia ed io vor-
rei che l’opera di carità che essi esercitano si sten-
desse anche a questa povera Diocesi”.
Nel 1911 Giuseppe Sarto, divenuto papa Pio X,
appoggiò una nuova richiesta perché i Salesiani
rilevassero la Direzione del “Patronato San Pietro
di Castello” operante in Fondamenta S. Gioachin
n° 454, che ospitava ragazzi abbandonati biso-
gnosi di soccorso, istruzione e lavoro.
Il 2 novembre 1911 il Rettor Maggiore della Con-
gregazione Salesiana, don Paolo Albera, invia a
Venezia due confratelli: il direttore designato don
Luigi Maffini, esule dal Portogallo, e il chierico
Alfonso Brudaglio, che era maestro. L’Opera ri-
fiorì potenziando una scuola professionale con 82
alunni interni.
Durante la Prima Guerra Mondiale, i Salesiani,
su richiesta del patriarca La Fontaine, accettaro-
no di subentrare alla conduzione del Patronato
Leone XIII a Castello al posto dei Fratelli delle
Scuole Cristiane. Il 7 dicembre 1917, accompa-
gnati dal rombo incessante dei cannoni piazzati
sulla foce del Piave, arrivarono a Castello sei con-
fratelli salesiani.
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Nel 1952, su interesse e coordinamento di don
Giuseppe Ceriotti, direttore del Patronato Leo-
ne XIII, a Castello dall’ottobre 1946, i Salesiani
costituirono il Centro Arti e Mestieri – Scuola
Professionale presso la Fondazione Cini nell’isola
di San Giorgio Maggiore. Questa Scuola fu im-
portantissima per molti ragazzi di Venezia: for-
mò molti giovani avviandoli all’apprendimento di
mestieri come falegnami, meccanici, tipografi e
altro ancora.
ultimamente nell’affidare ad un’unica persona il
ruolo di parroco-coordinatore, aiutato da altri 2
confratelli a tempo pieno e dagli altri Salesiani
secondo le necessità.
Quest’anno, infine, il Patriarca ha chiesto ai Sa-
lesiani di prendersi cura anche della parrocchia di
Sant’Elena. In tal modo è affidato ai figli di don
Bosco tutto il territorio che va dall’inizio dell’Ar-
senale all’ultima parte della città storica.
Attualmente, le parrocchie sono una parte inte-
grante, e non solo complementare, della presenza
salesiana nel sestiere di Castello. Esse consentono
un’attività più completa sia nel campo della for-
mazione e crescita delle persone sia nell’educazio-
ne sia nell’evangelizzazione.
Questo territorio, infatti, presenta difficoltà e sfide
non indifferenti: l’essere una zona da sempre con-
siderata periferica e marginale rispetto al centro di
San Marco-Rialto, anche se dista appena 15-20
minuti a piedi; il progressivo spopolamento e in-
vecchiamento della popolazione che pone interro-
gativi circa il nostro carisma di per sé più orientato
verso le giovani famiglie; la fatica di integrare la
nuova parrocchia di Sant’Elena, finora affidata ad
altri religiosi, con le altre tre che già da tantissimi
anni “respirano” il carisma di don Bosco.
Nella Venezia
paradiso del
turismo e dei
ricchi vacanzieri,
c’è anche una
porta sempre
aperta per i ragazzi
e i giovani che
vogliono crescere
come buoni
cristiani e onesti
cittadini.
Quattro parrocchie
Attualmente, la comunità salesiana è composta di
7 confratelli.
Nei primi cinquant’anni di presenza, i Salesiani
hanno offerto alla pastorale locale il loro con-
tributo essenzialmente attraverso il Patronato e
l’aiuto ai parroci della zona. All’inizio c’era l’uni-
ca parrocchia di San Pietro, storica sede patriar-
cale fino ai primi del 1800 e poi trasferita a San
Marco. Lungo questo secolo c’è stata la suddivi-
sione di San Giuseppe e di San Francesco di Pao-
la, ma solo dal 1966 il Patriarca le ha affidate alla
responsabilità dei Salesiani. È stato un cammino
che ha visto diverse impostazioni e che è sfociato
Foto Shutterstock
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LE CASE DI DON BOSCO
L’Oratorio, che
qui si chiama
Patronato, è
caratterizzato da
un’accoglienza
gioiosa e
personalizzata
perché ognuno si
senta protagonista.
In questo percorso Parrocchie e Oratorio si in-
tegrano vicendevolmente in modo essenziale e
completo.
Circa una decina di anni fa è nato il Centro
Ascolto don Bosco. È un’attività che ha lo sco-
po di fornire un supporto specifico alle famiglie
e ai ragazzi che vivono momenti di temporanea
difficoltà.
I “clienti difficili”
Da una parte ci sono giovani che “non fanno
notizia perché sono normali” dall’altra ci sono
giovani che, forse perché non si accettano o si
lasciano trascinare, vivono la fase della propria
adolescenza e giovinezza con difficoltà.
In questo quadro si inseriscono i problemi dif-
fusi nella nostra zona: l’uso di droghe, il bisogno
di sballo, l’alcolismo. Quasi sempre riconducibili
alla solitudine e allo scarso senso di accettazione
e di autostima.
Molti ragazzi, sia maschi sia femmine, vivono
forme di disagio scolastico, sia per difficoltà di
socializzazione sia di motivazione e di apprendi-
mento: il più delle volte, se non si interviene con
un’azione di recupero mirata, tale disagio porta
all’abbandono scolastico.
Il benessere, che varie famiglie hanno raggiunto
con il lavoro di entrambi i genitori, non si accom-
pagna con un adeguato innalzamento del livello
culturale ed educativo. Vi sono famiglie che forse
hanno le entrate economiche un po’ troppo faci-
li ed elargiscono somme ai propri figli in modo
sproporzionato all’età. Vi sono cioè parecchi casi
di incapacità di proporre un’educazione al de-
naro. Una mentalità abbastanza diffusa anche
a Castello Est, è la cultura del “tutto è dovuto”
che si declina nel “ho pochi doveri e tanti dirit-
ti”. Questo provoca scontri con le istituzioni ed
incapacità di un’azione coordinata di educazione.
Si avverte nei giovani la mancanza di progettua-
lità e di investimento sul proprio futuro, per cui
preferiscono vivere alla giornata. Si vive con di-
sagio e con rassegnazione l’aumento di famiglie
disgregate, con separazioni e divorzi. La vita di
fede sembra assopirsi nella maggioranza dei no-
stri giovani. Per questo è più che mai necessario
l’oratorio salesiano.
L’Oratorio è un
“arsenale di gioia”
L’Oratorio, che qui si chiama Patronato, è caratte-
rizzato da un’accoglienza gioiosa e personalizzata
che introduce a vivere l’ambiente oratoriano at-
traverso il gioco e l’incontro spontaneo in cortile,
a seguire itinerari formativi e spirituali e a vivere
l’appartenenza a gruppi impegnati; a vivere un
impegno diretto nell’animazione apostolica. La
passione per i giovani ci spinge ad amare tutto ciò
che essi amano ed è buona affinché, sentendo-
si amati, possano scoprire Dio, il nostro gran-
de amore. L’oratorio è frequentato da ragazzi e
giovani di tutte le fasce d’età. La fascia d’età più
numerosa è quella della scuola primaria e media.
Sono molti anche gli adulti che da oltre 10 anni
si ritrovano e che a vari livelli partecipano alla
vita dell’Oratorio, chi come catechista, chi come
educatore, chi solo come simpatizzante.
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Luglio / Agosto 2017

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Tutti hanno un’occasione mensile, generalmente
alla domenica pomeriggio, nella quale proporre
un momento di preghiera, riflessione, confronto
su tematiche quotidiane mediante la visione di un
film, nonché anche di condivisione familiare con
la cena.
Nell’Oratorio si favorisce naturalmente il protago-
nismo giovanile perché ogni giovane possa espri-
mere e vivere le proprie qualità personali. Questo
si concretizza in particolar modo negli Amici di
Domenico Savio che, all’interno del Movimento
Giovanile Salesiano, si caratterizzano per la pro-
posta formativa e la spiritualità salesiana, condivisa
anche dal gruppo scout Venezia 5.
Il gruppo ministranti, seguito da don Pierpaolo, è
composto da una quindicina di ragazzi e bambini.
La Proposta Estate Ragazzi ( ) è un’iniziativa
che l’Oratorio organizza durante il periodo delle
vacanze estive. Dura quattro settimane, sono coin-
volti animatori giovani e adulti per le attività di
animazione e manuali. Vi aderiscono anche bam-
bini e ragazzi di altre parrocchie. È un momento
aggregativo significativo. Alla sera la lascia
il posto all’Oratorio Night, una serie di attività e
proposte aperte a tutti, in particolare alle famiglie.
Il doposcuola è un’attività nata nove anni fa su
richiesta di una mamma che chiedeva uno spe-
cifico aiuto per i compiti del proprio figlio. Sia-
mo partiti con due educatori e tre ragazzi; ora il
“Doposcuola alla don Bosco” coinvolge oltre 30
educatori, quest’anno sono stati iscritti 70 ragazzi
e ragazze e attualmente c’è una presenza media di
oltre 50 ragazzi ogni sabato dalle 9 alle 12.
Anche qui non mancano le difficoltà: «Tre ra-
gazzi studiavano inglese con un educatore (dirigente
di un’azienda spesso all’estero durante la settimana
aveva appunto il compito di preparare i ragazzi per
l’esame di inglese per la licenza di terza media). Af-
franto l’educatore mi dice che fa molta fatica a coin-
volgerli perché sono completamente disinteressati (due
di loro erano al secondo tentativo per superare l’esa-
me). Proviamo il metodo cuore a cuore. Li raduniamo
in un ambiente più riservato, incominciamo a parlare
delle nostre vite e delle loro poi gli chiediamo: “Ma
da grandi che cosa vorreste fare?” La risposta non si
è fatta attendere. Uno il motoscafista e due i gondo-
lieri. Quale migliore occasione per controbattere come
educatori: “Ma allora è importante studiare l’ingle-
se visto che a Venezia e per questo tipo di lavoro che
avete in mente, è indispensabile”. Risposta sì, ma noi
faremo gli “abusivi”. Poi l’altro educatore ha avuto
una genialata. Siccome uno dei tre ragazzi è un mago
nel montare, smontare e truccare i motori fuoribordo
e ne aveva uno appena acquistato con istruzioni in
inglese, ha chiesto ai ragazzi se potevano truccargli il
motore previa lettura e traduzione delle istruzioni.
Detto fatto, obiettivo raggiunto».
La casa per ferie
La comunità salesiana gestisce anche la casa per
ferie “Ca’ Leone XIII” che fa parte dell’omonimo
Patronato, situato nel Sestiere di Castello, nelle
vicinanze dei Giardini della Biennale, a quindici
minuti a piedi da Piazza San Marco.
Trovandosi in un quartiere residenziale, fuori dai
percorsi turistici di massa, la nostra posizione ri-
sulta decisamente un punto di forza: la tranquillità
di una passeggiata nel verde, l’autenticità dei nego-
zi, le caratteristiche calli, vi immergeranno nella
vita quotidiana di Venezia e dei suoi abitanti. Un
angolo ideale per concedersi una pausa dal freneti-
co ritmo imposto dalla visita di Venezia.
Il bel cortile
dell’Oratorio.
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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Suor coraggio
«Ogni giorno vediamo missili che cadono,
ma noi dobbiamo guardare al futuro».
Suor Carol Tahhan Fachakh,
Figlia di Maria Ausiliatrice, è
stata insignita, dal Dipartimento
di Stato degli Stati Uniti, del
Premio Internazionale Donne
Coraggiose 2017, per il suo
coraggio nel servire le persone
colpite dal conflitto siriano e per
il suo impegno a salvaguardare
e sostenere i più vulnerabili, in
particolare i bambini, i rifugiati
e le donne sfollate.
«Sono consapevole
che questo Premio
non è solo per me,
ma per la Chiesa
in Siria che è una
e nella quale sia-
mo molto uniti. Per paradosso questa
guerra ci ha uniti ancora di più. Nes-
suno di noi ha voluto lasciare il paese
dall’inizio della guerra. La Siria oggi è
un paese distrutto, non solo nell’econo-
mia, ma nella cultura, nelle sue radici.
Un giorno a scuola un bambino ha fatto
un verso con la bocca e gli ho chiesto
cos’era. Mi ha risposto che era il ru-
more di una bomba, che è diverso da
quello di un missile. Non posso pensa-
re che i bambini siriani, oggi, imparino
a distinguere le armi e non a giocare,
studiare e crescere come bambini “nor-
mali”». Inoltre, commenta commossa:
«Grazie per festeggiare con me questo
evento, dietro di me ci sono tante, tan-
tissime suore coraggiose missionarie
in Medio Oriente, una zona bollente
e sempre in guerra. Sono fiera di essere
salesiana, ma questo Premio non è solo
per me, è per tutte, è una testimonian-
za della Chiesa, e tutto quello che sta
capitando non è per caso. Sono, infatti,
125 anni che le religiose salesiane ope-
rano nel Medio Oriente e ora il loro
lavoro viene riconosciuto».
Suor Carol ha raccontato in varie
occasioni una storia di coraggio e di
solidarietà con i bambini, i giovani,
i poveri in Siria. Ogni giorno mette
la propria vita a rischio, e per questo
è diventata un segno di speranza per
musulmani e cristiani.
Oltre a dirigere una scuola materna
e ad offrire un ambiente sicuro per
bambini in difficoltà, suor Carol ge-
stisce un laboratorio di sartoria per
fornire competenze professionali a
più di cento donne ogni anno.
«Ogni giorno vediamo missili che
cadono, ma noi dobbiamo guardare
al futuro; la più grande sfida della
guerra è la povertà e noi combattiamo
entrambe ogni giorno. Nell’ospedale
abbiamo tanti malati, una volta un
missile è caduto proprio vicino alla
struttura e abbiamo operato i pazienti
anche nei corridoi. Non c’è un posto
sicuro in Siria. Non posso aver paura.
Non siamo sole, la Chiesa, le diverse
congregazioni religiose si sostengono
unite e in solidarietà. Quando cado-
no le case a causa delle bombe è come
se cadessero i nostri sogni, ma noi
possiamo ricostruire e pregare per la
pace».
«La pace è possibile»
«Ho emesso i primi voti nel 2003 e
i voti perpetui nel 2009. Sono entra-
ta nel’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice dopo aver conseguito le
lauree in Chimica ad Aleppo e Teo-
logia in Giordania, nel periodo del-
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la formazione. Dal 2003 al 2006 ho
lavorato in Hadath Bealbek, Libano.
Nel 2006 e 2007 sono stata impegna-
ta nell’Ufficio contabile dell’Ospeda-
le italiano di Damasco. Dal 2010 ad
oggi sono animatrice della Comunità,
a Damasco e responsabile della Scuo-
la italiana che accoglieva ogni anno
circa 200 e più, tra bambini cristiani
e musulmani senza aver mai fatto no-
tare la differenza delle due religioni,
e questo ha sempre creato una sere-
na armonia. Dallo scorso anno sono
tornata a occuparmi dell’Ufficio con-
tabile dell’Ospedale italiano. Nello
stesso anno (2010) ho seguito gli stu-
di superiori in Pedagogia a Damasco.
Nel limite del possibile ho svolto l’at-
tività pastorale all’oratorio salesiano
per la catechesi agli adolescenti e la
preparazione dei fanciulli alla prima
comunione. La mia vocazione crede
che Dio ha creato il mondo per noi.
Non possiamo rimanere indifferenti
davanti alla sua distruzione. Cerchia-
mo di essere tutti e tutte costruttori
di pace. Perché la pace è possibile».
Chiediamo ancora a suor Carol qual
è la nota salesiana della sua presenza.
«Lavorando soprattutto per le fami-
glie: aiutarle a pagare la retta sco-
lastica e in alcuni casi anche quella
dell’università; procurare medicine,
visite mediche gratis e anche ope-
razioni attraverso la conoscenza dei
genitori medici; pagare l’affitto di
case e dare viveri a tutti quelli che
bussano alla nostra casa. A cento
donne offriamo la possibilità di im-
parare un mestiere; offriamo corsi
di tre livelli e alla fine regaliamo ad
ogni donna che supera gli esami una
macchina da cucire. Proviamo a of-
frire una piccola oasi di pace. Abbia-
mo anche un progetto di musica per
diminuire la violenza che cresce den-
tro di loro ogni giorno. Sono troppo
abituati alla guerra».
«Camminiamo per
le strade e la morte
cammina a fianco a noi»
Suor Carol ribadisce più volte la col-
laborazione e la solidarietà tra Con-
gregazioni ed Istituti: «Testimoniano
una sola e unica Chiesa, dobbiamo
aiutarci sempre tra noi, dobbiamo
guardare questo in modo positivo,
altrimenti cadiamo nella morte”. La
situazione in Siria è davvero dura e
difficile. Dalle parole di suor Carol
traspare la sofferenza per il suo popo-
lo, messo a dura prova ogni giorno da
missili e cannoni.
Paura? «Tutti i giorni, noi camminia-
mo per le strade e la morte cammina
a fianco a noi. Ma io non posso avere
paura. La Chiesa deve offrire speranza
ed entusiasmo. Quando cadono le case
a causa delle bombe è come se cades-
sero i nostri sogni, ma noi dobbiamo
ricostruire e pregare per la pace».
Qual è il segreto del suo coraggio?
«La persona non nasce con il dono del
coraggio, ma lo acquista con la pre-
ghiera, con la tenacia, con la sponta-
neità, tanta umiltà e carità, espressione
dell’amore di Dio che arricchisce il
cuore di chi fa tesoro dell’amore che
Lui infonde nel cuore di chi ama esse-
re al Suo servizio».
«Proviamo a costruire una piccola oasi di pace
e di sorriso».
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I NOSTRI EROI
PIERLUIGI CAMERONI e LODOVICA MARIA ZANET
Titus Sarà beatificato
il 30 settembre 2017
a Bratislava (Slovacchia)
Zeman
Anche se
perdessi la vita,
non la considererei
sprecata, sapendo
che almeno uno
di quelli che avevo
aiutato è diventato
sacerdote
al posto mio
Chiamato a dare la vita
per le vocazioni
«Da questo abbiamo conosciuto l’amo-
re: Egli ha dato la sua vita per noi;
quindi anche noi dobbiamo dare la
vita per i fratelli» (1Gv 3,16). Fu nell’a-
scolto di questa Parola di Dio durante
la celebrazione dell’Eucaristia che don
Titus Zeman sentì nel cuore l’ispira-
zione e la forza di sacrificare la propria
vita, vincendo la paura e dichiarandosi
pronto a seguire fino in fondo la vo-
lontà del Signore, confidando nella
sua misericordia e sperando nella vita
eterna.
Nato a Vajnory, vicino a Bratislava
(Slovacchia), il 4 gennaio 1915, pri-
mo dei dieci figli di una famiglia di
contadini e sacrestani, all’età di dieci
anni, dopo essere stato quasi sempre
malato, guarì improvvisamente per
intercessione di Maria Santissima e
in quei giorni le promise di «essere
suo figlio per sempre» e diventare sa-
cerdote salesiano. Riuscì a realizzare
questo progetto vocazionale, entran-
do in noviziato nel 1931, professan-
do i voti temporanei nel 1932 e quelli
perpetui nel 1938 e ricevendo l’ordi-
nazione presbiterale nel 1940.
Quando il regime comunista s’instau-
rò nella Cecoslovacchia post-bellica e
iniziò una sistematica persecuzione
della Chiesa, don Titus difese il sim-
bolo del crocifisso nei luoghi pubbli-
ci, pagando con il licenziamento dal-
la scuola in cui insegnava. Sfuggito
provvidenzialmente alla “Notte dei
barbari”, il 13-14 aprile 1950, quando
con metodica brutalità la polizia se-
greta del regime comunista cecoslo-
vacco entrò in tutti i conventi e arrestò
i religiosi che vi si trovavano, si chiese
che cosa potesse fare per permettere
ai chierici salesiani di raggiungere la
meta del sacerdozio.
La Provvidenza volle che don Zeman
in quei mesi si trovasse nella parroc-
chia diocesana di Senkv. Così evitò la
cattura. Fu un’idea del giovane sale-
siano don Ernest Macàk quella di far
passare illegalmente il confine ceco-
slovacco-austriaco ai giovani chierici,
portandoli a Torino nella casa madre
dei Salesiani, dove avrebbero potuto
completare gli studi teologici, rag-
giungere il sacerdozio e riedificare
spiritualmente, con la caduta del co-
munismo che si auspicava rapida, la
propria patria.
Zeman s’incaricò di realizzare questa
rischiosa attività: incominciò a prepa-
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rare il passaggio clandestino attraverso
il confine tra la Slovacchia e l’Austria
e organizzò due spedizioni per oltre
trenta giovani salesiani. Alla terza spe-
dizione, cui presero parte anche alcuni
presbiteri diocesani perseguitati dal re-
gime, venne arrestato con la maggior
parte dei componenti del gruppo. Du-
rante i vari interrogatori lo picchiarono
e gli spaccarono alcuni denti. Quando
don Zeman sperimentò la violenza su
se stesso e la vide nei confratelli, pre-
se su di sé la responsabilità e s’incolpò
di aver organizzato la loro fuga all’e-
stero. Riguardo a questo periodo lo
stesso don Tito dichiarò: “Quando mi
hanno preso, per me è stata una Via
Crucis. Dal punto di vista psichico e
fisico l’ho vissuta durante il carcere
preliminare. In pratica durò due anni.
Vivevo in una paura continua che in
qualsiasi momento si aprisse la porta
della mia cella e mi portassero fuori,
al luogo d’esecuzione. Vedi, per questo
tutti i miei capelli sono diventati bian-
chi. Se ricordo le torture inimmagina-
bili sofferte durante gli interrogatori ti
dico sinceramente che ancora oggi mi
vengono i brividi. Nel picchiarmi e nel
torturarmi usavano metodi disumani.
Per esempio portavano un secchio pie-
no di liquame di fogna, in esso m’im-
mergevano la testa e me la tenevano
dentro finché non cominciavo a soffo-
care. Mi davano dei forti calci in tutto
il corpo, mi picchiavano con qualsiasi
oggetto. Dopo uno di questi colpi per
vari giorni sono diventato sordo”.
Da quel momento don Titus andò
incontro ad una serie di sofferenze:
una settimana di torture tra la cattu-
ra e l’arresto (9-16 aprile 1951); altri
dieci mesi di detenzione preventiva,
sempre pesantemente torturato, sino
al processo del 20-22 febbraio 1952;
ulteriori dodici anni di detenzione
(1952-1964); quasi cinque anni in
libertà condizionata, sempre control-
lato da spie, pedinato, perseguitato
(1964-1969).
Sopra: Titus, secondo da destra, con alcuni dei
giovani perseguitati.
Qui accanto: Il terribile carcere di Leopoldov.
Uomo destinato
all’eliminazione
Nel febbraio del 1952 il Procuratore
generale chiese per lui – accusato di
spionaggio, alto tradimento e attra-
versamento illegale dei confini – la
pena di morte, commutata, nello stu-
pore generale, in venticinque anni di
carcere duro senza condizionale. Fu
la prima persona accusata di simi-
li reati a non venire giustiziata nella
Cecoslovacchia del tempo. Don Ze-
man fu però bollato come “m.u.k.l.”,
cioè “uomo destinato all’eliminazio-
ne”, e sperimentò la vita durissima
nelle carceri e nei campi di lavoro
forzato, al fianco di sacerdoti perse-
guitati, di avversari politici del regi-
me e di molti criminali, messi in cella
con i religiosi. Fu costretto alla tri-
turazione manuale e senza protezio-
ne dell’uranio radioattivo; trascorse
lunghi periodi in cella di isolamento,
con una razione di cibo circa sei volte
inferiore a quella degli altri detenuti;
fu poco curato, in un quadro di cre-
scente compromissione cardiaca, pol-
monare e neurologica.
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I NOSTRI EROI
Il 10 marzo 1964, scontata metà del-
la pena, uscì dal carcere per un perio-
do di prova in libertà condizionata:
poco prima, avevano dovuto trattar-
lo con ossigenoterapia e i suoi pol-
moni presentavano vistose macchie.
Ritornò a casa ormai irriconoscibile
e visse un periodo di intensa soffe-
renza anche spirituale per il divieto a
esercitare pubblicamente il ministero
sacerdotale.
Morì – amnistiato in extremis (con
decorrenza dell’amnistia da diciot-
to giorni prima del decesso) – l’8
gennaio 1969 dopo triplice infarto
miocardico connesso ad aritmie, e
dopo essere stato trattato come una
“cavia da esperimento”, con l’applica-
zione su di lui di un metodo di cura
rischioso, mai più usato a partire da
quel momento. Lo accompagnò an-
che in morte la fama di martirio.
Meno di un anno dopo, ancora in
pieno comunismo, un processo di
revisione negò la legittimità della
sua condanna per spionaggio ed alto
tradimento. Nel 1991, il processo di
riabilitazione lo dichiarò definitiva-
mente innocente.
La storia di don Titus parte da Vajno-
ry (Slovacchia), suo paese natale, e a
Vajnory ritorna dopo aver messo a
frutto i talenti ricevuti, dopo aver
spremuto nel calice dell’offerta tutti i
chicchi maturi e pieni di una vita che
fin dalla fanciullezza è determinata
nella via del bene e del giusto attra-
verso l’affidamento a Maria, Vergine
Addolorata. Dalle tappe faticose, ma
promettenti e aperte al futuro degli
anni della giovinezza, della scelta
vocazionale salesiana e del primo
ministero sacerdotale, alle tappe do-
lorose che dal 1951 fino alla morte (8
gennaio 1969) portano i nomi delle
stazioni di una lunga e dolorosa Via
Crucis: Bratislava, Leopoldov, Ilava,
Mírov, Jáchymov, Valdice… Un lun-
go calvario di anni, mesi, settimane,
giorni, ore e minuti segnati dall’ar-
resto, dalle percosse e dalle torture,
da un processo farsa, da un’ingiusta
condanna, da scherno e umiliazio-
ni, fino a riprodurre i tratti dell’Ecce
homo. Per Titus non fu solo la terri-
bile “Notte dei barbari”, ma tutta la
vita fu una “notte oscura” fino alla
consegna suprema nel giorno del suo
“Dies natalis”, quando consegnò lo
spirito con le braccia aperte in cro-
ce, testimoniando il dono di sé per la
salvezza delle vocazioni e la fedeltà
alla chiamata di Dio, percorrendo un
autentico e fecondo pellegrinaggio
della fede.
Una morte gloriosa
È l’11 gennaio del 1969. Fa freddo
e tutto è coperto di neve. Don An-
drej Dermek, ispettore dei Salesiani
in Slovacchia, sta vicino alla tomba
scavata nel cimitero di Vajnory, pres-
so Bratislava dove si stanno svolgen-
do le esequie di don Titus e tiene un
discorso che è un’autentica memoria
della testimonianza di questo sale-
siano prete, a tal punto che le spie
del regime presenti al funerale ripor-
teranno nei verbali che è morto un
martire: «Ci incontriamo nel cimite-
ro... come i primi cristiani nelle cata-
combe. Forse così è per noi religiosi.
La vita ci disperse, invece la morte
ci riunisce. Nonostante tutto non è
la vittoria della morte sulla vita. La
morte è un mistero, anche se la in-
contriamo regolarmente. Non è una
tragedia, perché fa parte della legge
naturale. Non è una eccezione, ma la
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Titus in abito talare con i genitori, il fratello
e sette delle sorelle.

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I SEGNI DELLA SUA SANTITÀ
La vita del beato Zeman è segnata anche da passag-
gi interiori, che contraddistinguono la sua crescita
umana e cristiana. Si possono richiamare alcuni di
questi momenti.
All’età di 10 anni ottiene la guarigione improvvisa
per intercessione di Maria Santissima. In quella cir-
costanza, il piccolo Titus, malato, chiede al padre di
prenderlo in braccio e portarlo sulla soglia di casa
perché possa accompagnare il ritorno dei pellegrini
dal santuario nazionale di Šaštín. Ma Titus poi non
attende il passaggio del pellegrinaggio e chiede di
essere riportato in casa appena scorge, in lontananza, la Croce: questo sarà un atteggia-
mento tipico di tutta la sua vita, consistente in una fede forte cui basta intuire per credere,
e intravedere per sperimentare la grazia già presente e operante. Inoltre Titus considera da
questo momento un dovere sacrificare la vita che gli è stata restituita.
Poco tempo dopo, in occasione dell’ammissione alla casa salesiana, manifesta la fortezza
con cui non cede alle pressioni dei famigliari e del direttore salesiano. Questa sua perse-
veranza anticipa la futura opera a sostegno delle vocazioni. Le parole dette a don Bokor
(«Fatemi quello che volete, ma tenetemi qui») anticipano l’irremovibile determinazione con
cui testimonierà, in carcere, la bellezza della sua vita consacrata e sacerdotale, subendone
spesso pesanti ritorsioni fisiche e psicologiche.
Il giorno della sua prima Messa a Vajnory (4 agosto 1940) alcune focacce preparate dalle
donne del paese per far festa vengono trovate misteriosamente bruciate all’interno, e di un
rosso sangue. Alcuni dei presenti piangono, perché lo interpretano come un presagio di
martirio.
Nel 1946 difende il simbolo del Crocifisso che il direttore comunista del Ginnasio-liceo di
Trnava ha fatto rimuovere. Viene licenziato e si diffonde in Slovacchia la sua fama di prete
pronto al sacrificio pur di difendere la fede.
Momento determinante del suo cammino di fede e vocazionale è il 26 gennaio del 1951,
quando grazie alla Parola di Dio, proclamata nella Messa di quel giorno, passa definitiva-
mente dalla paura alla gioia e dal timore alla forza. Si tratta di un’autentica maturazione nel
suo cammino di fede. Egli infatti trae forza e determinazione non da se stesso, ma dagli
“aiuti grandi” del Signore alla Sua Chiesa: i sacramenti e la Parola di Dio. Scrive allora,
dopo i dubbi dei giorni precedenti: «Oggi alla Santa Messa ho avuto due ispirazioni molto
forti; se le avessi ricevute prima non ti avrei scritto la lettera precedente sulla mia paura. La
prima [ispirazione] è venuta durante la prima lettura: et nos debemus pro fratribus animas
ponere, ecco il nostro obbligo ad essere pronti a sacrificare la nostra vita per i fratelli, ed
ecco perché non si deve avere paura. Nella stessa lettera è scritto: Nos scimus quoniam
transivimus de morte in vitam – così passiamo dalla morte alla vita, perché amiamo i
nostri fratelli. Caro amico, medita su questa lettera, leggila attentamente frase per frase
e capirai che ho sbagliato quando ti ho inviato la lettera precedente, scritta in quel tono.
Dunque quelle erano le mie prime impressioni, troppo legate al pensiero di questa vita e
non indirizzate a quell’altra – migliore – che speriamo di ricevere dalla misericordia di Dio.
La seconda ispirazione si trova nel Vangelo: «Due passeri non si vendono forse per un
soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra... Perfino i capelli del vostro capo sono
tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!» (Mt 10,29-31). Caro
amico, Ti confesso che sono stati due pensieri forti che mi hanno accompagnato durante
l’intera Messa, e non posso fare a meno di scrivertelo.
Forse qualcuno lo chiamerà falso eroismo, forse pazzia, forse irragionevolezza. Ciascuno
lo chiami come vuole, io lo chiamo dovere che mi è stato affidato dai miei superiori, dovere
di cui sono responsabile verso Dio e verso i miei ‘superiori veri’».
Pubblicazione ufficiale per la beatificazione
LODOVICA MARIA ZANET, Oltre il fiume, verso la salvezza. Titus Zeman martire per le vocazioni.
Elledici – Biografia ufficiale
regola. È qui. Semplice, chiara come
un fulmine. Possiamo solo rifiutarla
con disperazione, oppure accettarla
con fede, nella speranza e nella pace.
Anche se ci tocca immediatamente e
con dolore, accettiamo umilmente il
segreto della morte del nostro con-
fratello, con fede, speranza e pace
interiore. In questo posto incomin-
cia oggi a riposare il combattente
che lottò sino alla fine, il sacerdote
che finì di celebrare la Messa della
sua vita. Si tratta di partenza. È il
ritorno al Padre celeste, ma anche ai
suoi genitori terreni, i quali lo hanno
preceduto. Nessuno di noi, e nem-
meno lui stesso, poteva intuire che
cosa gli preparava la vita. Solo una
cosa era certa: in quel rosario di vita
non ci sarebbero stati solo i misteri
gaudiosi, ma anche quelli doloro-
si. Sono stati almeno tanti, quanti
quelli gaudiosi; ma tutti finiscono
con la risurrezione! Si può dire che
tutto ciò che trascorse tra la sua pri-
ma messa e il suo funerale fu una vita
veramente salesiana, religiosa e sa-
cerdotale; anche se di quei ventinove
anni di sacerdozio, molti non poté
viverli apertamente e liberamente, e
altri li passò in prigione. Ma la sua
vita fu sempre e dappertutto una vita
sacerdotale».
La sua offerta ripetuta varie volte du-
rante gli anni pericolosi: «Anche se
perdessi la vita, non la considererei
sprecata sapendo che almeno uno di
quelli che avevo aiutato è diventato
sacerdote al posto mio», viene oggi
riconosciuta dalla Chiesa e indicata
come seme di speranza per le genera-
zioni del nostro tempo.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
CHE NE DITE?
Feste di compleanno
o nozze anticipate?
Quando le feste familiari
diventano uno spettacolo
eccessivo, organizzato per
la nostra immagine, non
per far felice il bambino.
L e feste di compleanno dei figli
stanno diventando una moda
nazionale. Biglietti d’invito
stampati in tipografia del tutto
simili a quelli che si usano per
la celebrazione delle nozze, op-
pure camioncini dotati di altoparlanti
che girano per le strade del paese a dire
al mondo che otto anni fa Edoardo ap-
prodava sul nostro pianeta.
La casa addobbata come se fosse Na-
tale e Pasqua insieme, truccatrici pa-
gate fior di quattrini per le facce delle
piccole invitate, giocolieri e poi buffet
da sfamare un esercito.
Incredibile eppure rigorosamente vero.
Vien da domandare: «Dov’è andato a
finire quello che un tempo si trovava
tra le due orecchie? Non stiamo for-
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COMPRESSE PEDAGOGICHE
PUNTO LUCE
Non obblighiamo il figlio a fare gli straor-
dinari per dimostrare a tutti la nostra ca-
pacità di mettere al mondo un prodigio.
I figli imparano molto più spiandoci che
ascoltandoci.
Briglia sciolta un po’ alla volta. Quando il
dentifricio è uscito dal tubetto chi riesce
ancora a riportarlo dentro?
Ogni sorriso è un gol strepitoso.
Il rimprovero fa bene, l’incoraggiamento
di più.
Salvare la cena è salvare la famiglia.
L’ansia dei genitori peggiora sempre la
situazione.
Chi tocca il cuore modella la testa.
se perdendo l’equilibrio? Non stiamo
sbandando alla grande?»
Ecco le domande di questo nostro ap-
puntamento mensile.
Un po’ di testa
nella festa
Oh, intendiamoci bene, festeggiare il
compleanno è bellissimo.
Festeggiare il compleanno è festeg-
giare la vita. In particolare, festeg-
giare il compleanno di un piccolo è
passargli tanti messaggi positivi che
gli impiantano quella fiducia di fondo
che è indispensabile per vivere.
Festeggiare il compleanno del figlio è
dirgli: “Siamo felici che ci sia!”, “Tu per
noi sei prezioso”, “Ti vogliamo felice!”.
Dunque nessuna condanna alle feste
del compleanno.
Le perplessità nascono quando tali
feste diventano una festa di nozze an-
ticipata, uno spettacolo organizzato
per la nostra immagine, non per far
«I bambini non costituiscono una catego-
ria, una specie di classe sociale ben sepa-
rata da quella dei ‘grandi’, quasi un’umani-
tà diversa, meno evoluta, se non inferiore.
Sono come noi, tali e quali.
Se non hanno ancora la capacità di com-
prendere o di fare certe cose, se hanno bi-
sogno di aiuto, questo non fa che aumen-
tare i loro diritti. L’uomo è uomo, che abbia
trenta giorni o trent’anni, e le uniche cose
di cui dobbiamo privare il bambino sono
quelle che potrebbero far del male a lui, e
non quelle che potrebbero dar fastidio a
noi» (Marcello Bernardi).
felice il bambino.
Allora è necessario riflettere.
Tanta coreografia non può far passare
al figlio l’idea che basti ‘apparire’ per
‘essere’?
Tanti sorrisi e tanti elogi obbliga-
ti non possono trasmettergli il virus
dell’ipocrisia?
C’è di più. Soffocato da montagne di
regali, il bambino può illudersi che la
vita sia zucchero filato.
Tanta attenzione può fargli credere
d’essere il signorino che dovrà esse-
re sempre soddisfatto, anche se altri
sono in difficoltà e non possono per-
mettersi tanto lusso.
Insomma, non stiamo guastando una
delle più belle occasioni di socievolez-
za e di serenità così attesa e gradita al
figlio?
Che ne dite? Non è urgente mettere
un po’ di testa nella festa?
Una bella merenda in compagnia a
base di semplici panini e pizzette, con
sottofondo musicale lieve e le imman-
cabili patatine fritte innaffiate dalle
solite bibite con bollicine (concesse a
volontà, per l’occasione) è la più sim-
patica festa di compleanno sognata
dal bambino.
La discussione è aperta.
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talvolta il rischio di un disorientamento e di una
perdita delle radici difficili da debellare.
Di fronte a questa situazione, oggi sempre più co-
mune, è forte la tentazione di cedere al pessimismo
e allo scoraggiamento, di adattarsi a indossare in
perpetuo i panni del “supplente”, di circoscrivere
la propria capacità di azione nell’orizzonte di un
mero sopravvivere senza investire risorse ed ener-
gie in un più fecondo sforzo di trasformazione del
reale. Soprattutto, appare sempre più arduo con-
servare intatti quell’entusiasmo, quella tenacia,
quella voglia di mettersi in gioco che sono propri
dei giovani e che, in una quotidianità spesso dura
e spigolosa, rappresentano l’unico antidoto contro
la passività e la rassegnazione, i soli atteg-
giamenti in grado di restituire valore e
dignità ad ogni esperienza intra-
presa, seppure “a termine”
e provvisoria.
Figli della polvere raggrumata sotto ai banchi
anche per oggi non vi interrogo;
ho saputo già dal preside e dagli altri
che vi siete alzati stanchi.
Ma è l'ultima possibilità che ho
di chiedervi un piacere:
vorrei sapere chi mi imita e perché
non ne posso anch'io godere,
una volta sola,
prima di lasciare anche questa scuola...
Noi siamo portatori sani di sensi di colpa
e sulle mani abbiamo segni di medusa;
io ho il sospetto che non se ne andranno via,
ecco un esempio di eterna compagnia...
(Samuele Bersani, Sicuro precariato, 2006)
che la precarietà in un’occasione per mettersi con-
tinuamente alla prova, per sviluppare nuove com-
petenze in termini di flessibilità e resilienza, per
testare nuove strategie di navigazione in una realtà
sempre più “liquida” e sfuggente. Perché se è vero
che, nel presente momento storico, si fa fatica a
trovare una “stella polare” che indichi con certez-
za la rotta da seguire, si può almeno cercare di
attrezzarsi con bussola, binocolo e astro-
labio per orientarsi nel difficile viaggio
della vita e imparare a veleggiare
in alto mare, anziché limitarsi
a “tirare a campare” e
“rimanere a galla”.
Diventa, allora, es-
senziale allenarsi a
coltivare e consolidare
la virtù della perseveranza, la ca-
pacità di insistere nel cammino,
assecondando il cambiamento e, se
necessario, modificando in itinere il percorso,
pur restando fedeli a se stessi, ai propri ideali
e ai propri progetti. Una “resistenza” attiva, che
non si lascia scoraggiare dalla fatica, dalle battaglie
quotidiane e dai fallimenti, ma sa trasformare an-
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
“Finalmente
«La storia salesiana va
di pari passo con il popolo
argentino e la Nazione
argentina non può essere
in Patagonia” compresacononestà
intellettuale, soprattutto
in Patagonia, se non va
di pari passo con
la presenza dei “figli e
figlie” di don Bosco».
(Don Ángel Fernández Artime)
Nel primo anno del suo pon-
tificato papa Francesco non
perse occasione, nei vari
incontri con il Rettor Mag-
giore, con i membri del Ca-
pitolo Generale, con le Capi-
tolari , come pure con chi scrive,
di raccomandare ai Salesiani di non
abbandonare la Patagonia mentre gli
consegnavamo proprio il film su “quella
terra salesiana”. Un appello forte, quel-
lo di papa Francesco, a fronte del ve-
nir meno di alcune comunità religiose
salesiane in quella terra che don Bosco
nel 1880 aveva definito “la più grande
impresa della nostra congregazione”. Il
cardinal Bergoglio non conosceva solo
la sua archidiocesi di Buenos Aires,
conosceva bene anche la Patagonia e
stimava enormemente le imprese degli
eroici missionari salesiani della “fine
del mondo”.
L’entrata in Patagonia
La grande soddisfazione di entrare in
Patagonia don Bosco la ebbe nel 1880,
dopo cinque anni di attesa, di insisten-
ze e di sforzi. La richiesta non poteva
venire che dall’arcivescovo di Buenos
Aires, monsignor Federico Aneiros,
che affettivamente gliela avanzò con
lettera del 5 agosto 1879. Dopo il so-
lito mese di viaggio, essa giunse nelle
mani di don Bosco, che rispose il 13
settembre con tanto di testo in lingua
spagnola. Lo fece su carta ufficiale, in-
testata “Oratorio di San Francesco di
Sales, Torino”. L’abbiamo ritrovata e
possiamo dunque presentarne qualche
significativo passo.
“Io senza alcun dubbio comprendo la
necessità e l’urgenza di un’opera così
importante onde accorrano subito
missionari per soccorrere queste po-
vere anime che mancano di ogni bene
morale, religioso e civile; il mio cuore
da molto tempo era ansioso di civiliz-
zare, mediante la predicazione del san-
to Vangelo, quelle terre patagoniche e
non cesso dal gioire all’udire da Vostra
Ecc. Reverendissima che la messe è
pronta e mancano solo gli operai per
una sicura ed abbondante raccolta”.
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E subito incaricò l’ispettore don
Francesco Bodrato di trovare il perso-
nale maschile e femminile da manda-
re sulle rive del Rio Negro per l’assi-
stenza spirituale alla popolazione, per
fondare collegi per ragazzi e ragazze,
e per avviare la scuola di agricoltura,
arte e mestieri con i Salesiani coadiu-
tori. A fine gennaio 1880 così scrive-
va il a proposito della Patagonia:
“Si fecero già le prime prove, e ben
cinquecento di loro (indios) furono
istruiti nella fede, rigenerati alla gra-
zia col santo battesimo, ed ora fanno
parte del gregge di Gesù Cristo. Dal-
le rive del Rio Negro movendo al sud
di quei vastissimi deserti s’incontrano
sei colonie a guisa di paesi a parecchie
giornate di distanza l’un dall’altro
[…] Nel mese di marzo i Salesiani, e
nel medesimo tempo o poco più tardi
le nostre Suore andranno a stabilire
Case e scuole in quei paesi. Ivi sarà
il centro, donde speriamo coll’aiuto
del Signore partiranno in appresso gli
Operai Evangelici allo scopo di pene-
trare nei vasti deserti e nelle scono-
sciute regioni della Patagonia”.
Senza sale e senza pane
Ma la gioia di quell’inizio fu presto
temperata dai disordini militari della
Capitale nel luglio-agosto successivo.
Il cinquantasettenne ispettore don
Bodrato “abbattuto […] dalle inces-
santi fatiche fu costretto di porsi a let-
to al principio dei moti rivoluzionari.
Il dolore di non poter provvedere ai
crescenti bisogni gli accrebbe il male;
le fucilate, le cannonate, che romba-
vano giorno e notte sopra e intorno
alla sua abitazione contribuirono ad
estinguere una vita preziosa”.
Degli stessi disordini portarono dure
conseguenze anche i Salesiani appena
arrivati in Patagonia perché “a motivo
delle guerre il Governo non poté più
recar loro alcun sussidio e dovette-
ro vivere otto giorni a carne d’asino
cruda, senza sale e senza pane. Fu
proprio miracoloso il modo con cui
ricevettero aiuto il nono giorno; era-
no al punto di cadere sfiniti di fame”.
La situazione si risolse e don Bosco
in novembre poté complimentarsi con
il generale Roca per la sua elezione a
Presidente, nella speranza, invero an-
data poi vana, che appoggiasse econo-
micamente le missioni salesiane.
La storia ha continuato la sua corsa ed
i Salesiani e le si lanciarono per
tutta la Patagonia cilena ed argenti-
na, fondando decine di parrocchie,
collegi, scuole umanistiche e di lavo-
ro, osservatorii meteorologici, stazio-
ni missionarie fino a sud del sud, alla
Terra del fuoco. Con il Rettor Mag-
giore don Ángel Fernández Artime
possiamo dunque affermare che “la
storia salesiana va di pari passo con
il popolo argentino e la Nazione ar-
gentina non può essere compresa con
onestà intellettuale, soprattutto in
Patagonia, se non va di pari passo con
la presenza dei “figli e figlie” di don
Bosco; un gigante, questo italiano,
questo piemontese, che lo Stato ar-
gentino e la Chiesa riconoscono come
patrono della Patagonia”.
In alto: Il Rettor Maggiore benedice il monumento
a monsignor Fagnano.
Sotto: Don Francesco Motto presenta al Papa
l’ultimo volume delle lettere di don Bosco.
Luglio / Agosto 2017
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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati,
venerabili e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
Nei mesi di luglio-agosto preghiamo per la canonizzazione dei beati giovani dell’oratorio
di Poznan (Polonia), di cui ricorre il 75° di martirio
“I cinque di Poznan” sono stati chiamati così, come
se fossero una persona sola, perché giovani poco
più che ventenni, vissero insieme uniti nell’Oratorio
Salesiano di Poznan e insieme offrirono il sacrificio
della loro vita il 24 agosto del 1942, giorno dedica-
to al ricordo di Maria Ausiliatrice. I loro carnefici li
vollero uniti anche nella morte e ne stroncarono la
giovane vita sotto la mannaia della ghigliottina, pur
essendo in cinque erano un cuor solo nell’amore per
Dio e per i fratelli; all’Oratorio avevano ricevuto la
stessa formazione e cominciato ad affrontare i più
impegnativi ideali della loro vocazione cristiana.
Esuberanti nella loro giovinezza, uniti da una fraterna
amicizia, animati dalla Grazia di Dio, portarono nelle
celle buie del carcere, il sereno clima dell’Oratorio
Salesiano, che era nel loro spirito. Contro di loro
vennero imbastite false accuse di aver promosso il
tradimento di Stato. Travolti loro malgrado dall’odio
scatenato dalla guerra ed invasione nazista, furono
arrestati tutti nel settembre del 1940, sottoposti a
processi senza prove. Per i nazisti la loro condanna
a morte doveva essere una durissima lezione per il
popolo polacco oppresso; pertanto scelsero come
mezzo di esecuzione la ghigliottina, da tempo non
più usata, piazzandola nel cortile della prigione del
carcere di Dresda. Un’ora prima dell’esecuzione fu
permesso loro di scrivere una lettera di commiato
alla propria famiglia e queste lettere, poi raccolte e
conservate, provano con quale spirito seppero mo-
rire i cinque giovani.
I loro nomi che splendono nell’albo dei Beati sono:
1) Czeslaw Józwiak, nato il 7 settembre 1919
2) Edward Klinik nato il 21 giugno 1919
3) Franciszek Kes˛y nato il 13 novembre 1920
4) Jarogniew Wojciechowski nato il 5 novem-
bre 1922
5) Edward Kazmierscki nato il 1° ottobre 1919.
Si riporta un brano dell’ultima lettera ai famigliari di
Franciszek Kes˛y: “Miei carissimi genitori e fratelli! È
venuto il momento dell’addio detto a voi, e proprio
oggi il 24 agosto, nel giorno di Maria Ausiliatrice.
Quale gioia per me che sto uscendo da questo mon-
do e così come dovrebbe morire ciascuno. Sono
stato un momento fa alla santissima confessione e
fra poco mi rinforzerò con il Santissimo Sacramen-
to. Dio buono mi porterà da sé. Non mi pento che
così giovane esco da
questo mondo…”.
PREGHIERA
O Dio, che hai concesso ai Beati Francesco [Kes˛y] e compagni martiri,
la grazia della santità nel tempo della giovinezza;
rinnova i prodigi del tuo Spirito
perché anche noi affrontiamo, per tuo amore, ogni avversità,
e camminiamo con entusiasmo incontro a te, che sei la vera vita.
Ti supplichiamo di voler glorificare questi tuoi servi
e di concederci, per loro intercessione, la grazia che ti chiediamo...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ringraziano
Ringrazio di cuore Mamma
Margherita per la sua prezio-
sa intercessione in favore della
mia salute, la quale, come risul-
ta dagli esami clinici fatti, volge
decisamente al positivo. Ho an-
cora bisogno del soccorso della
venerabile Mamma Margherita
per i miei figli, e per la positiva
soluzione di altre situazioni. An-
che mio marito è solidale con me
nel ringraziare la venerabile Mar-
gherita Occhiena, che tanto vorrei
onorare al più presto come beata.
Mastrandrea Maria Ausilia (CT)
Non smetterò mai di ringraziare
Maria Ausiliatrice, don Bosco e
san Domenico Savio per aver pro-
tetto il mio nipotino di sei mesi,
durante un intervento al cuore. Le
suore Figlie di Maria Ausiliatrice,
delle quali sono exallieva, hanno
pregato e raccomandato il bam-
bino all’intercessione della beata
Maddalena Morano, il cui cor-
po è venerato nella cappella di Ma-
ria Ausiliatrice in Alì Terme (Mes-
sina). Sono molto grata alla beata
Morano poiché il mio nipotino ora
gode di ottima salute e dai controlli
CRONACA DELLA
POSTULAZIONE
Il 4 aprile 2017, nel corso del
Congresso peculiare dei Con-
sultori Teologi presso la Con-
gregazione delle Cause dei
Santi, è stato dato parere posi-
tivo con nove voti affermativi in
merito alla fama di santità
e all’esercizio delle virtù
eroiche del servo di Dio
Elia Comini (1910-1944),
della Società di san Francesco
di Sales.
eseguiti risulta che l’intervento al
cuore è riuscito perfettamente.
Di Bella Rita - Alì Terme (ME)
Agli inizi del 2017 mi sono accorto
di un neo cresciuto sul braccio ve-
locemente. Subito andai dal der-
matologo che mi disse che era da
asportare. La settimana seguente
mi venne tolto ambulatorialmente.
Sembrava una cosa da nulla in-
vece dall’esame istologico risultò
essere un melanoma maligno in
fase di crescita rapida. Subito con
fede abbiamo iniziato la novena
alla venerabile Mamma Mar-
gherita insieme a tante famiglie
dell’ADMA Primaria di Torino e
a tanti amici. Qualche settimana
dopo sono stato sottoposto a una
seconda operazione per asportare
più tessuto e i linfonodi sentinella.
Risultato: non ci sono metastasi e
linfonodi da nessuna parte. Gra-
zie a Mamma Margherita e a tutti
quelli che hanno pregato con noi.
Gian Paolo e Liliana
dell’ADMA di Torino
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
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Luglio / Agosto 2017

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
NALLAYAN PANCRAS
JULIAN SANTI
SDB
Morto a Chennai, India,
il 30 aprile 2017, a 84 anni
Con la triste scomparsa del no-
stro caro confratello signor Julian
Santi, l’Ispettoria di Chennai ha
perso un grande Figlio di don
Bosco, un missionario piena-
mente impegnato, che ha rea-
lizzato importanti strutture, e un
grande amico dei giovani e dei
poveri. Non è facile trovare per-
sone come lui. È stato l’ultimo di
una lunga schiera di grandi mis-
sionari che hanno lavorato nella
nostra Ispettoria e hanno dato
tutto per la gloria di Dio e per il
bene dei giovani e dei poveri. Era
salesiano da 65 anni e viveva in
India da 60 anni.
Giuliano Santi era nato il 23
ottobre 1932 in una grande fa-
miglia che contava nove figli,
cinque maschi e quattro femmi-
ne, a Castello di Godego, vicino
a Venezia. Era il sesto figlio. Era
molto legato a tutti i suoi fratelli
e sorelle e faceva tutto il possi-
bile per rimanere in contatto con
loro. Anche loro erano molto af-
fezionati a lui e si impegnavano
al meglio per aiutare lui e la sua
missione in India.
Cominciò a frequentare l’Istituto
Salesiano al Colle Don Bosco il
15 settembre 1947 per imparare
la tecnica della tipografia. Ap-
prezzò l’ambiente, il luogo nata-
le di don Bosco, immerso nella
tradizione salesiana. La “piccola
casa” di don Bosco era a soli
200 metri di distanza dalla sua
scuola. L’atmosfera del Colle lo
coinvolse tanto che dopo cinque
anni di studio decise di diventa-
re salesiano laico. Emise la sua
prima professione il 16 agosto
1952. Dopo la professione tornò
al Colle per altri cinque anni di
formazione.
Mentre si trovava là, un bel
giorno del 1957 un membro del
Consiglio Generale era in visita
al Colle per parlare ai giovani
Salesiani delle missioni sale-
siane in varie parti del mondo.
Dopo l’incontro, nel corso di
una conversazione privata, il
visitatore chiese al giovane Ju-
lian: «Giuliano, sei pronto ad
attraversare i mari?». Giuliano
era pronto ad andare ovunque
e a svolgere qualsiasi lavoro e
così rispose con entusiasmo:
«Sì». All’aeroporto di Chennai
fu accolto da don Pianazzi, al-
lora Ispettore, che lo accompa-
gnò subito a Basin Bridge, dove
Giuliano portò il suo aiuto nella
locale tipografia. Quando nel
1968 la tipografia fu trasferita
nella sua attuale sede in Taylors
Road e fu rinominata Istituto Sa-
lesiano di Arti Grafiche (SIGA),
si trasferì anche il signor Santi.
Da quel momento e fino alla sua
morte rimase al SIGA. È degno
di nota il fatto che, dei 60 anni
che trascorse in India, il signor
Santi ne passò 56 al SIGA, come
Direttore e Amministratore per
31 anni. Non sarebbe un’esage-
razione dire che edificò il SIGA
quasi da solo e ne fece uno dei
più importanti istituti tipografici
dell’India.
Il signor Santi fece proprie le
famose parole che don Bosco
rivolse ai giovani di Torino: «Io
per voi studio, per voi lavoro,
per voi vivo, e per voi sono di-
sposto anche a dare la vita». I
giovani del SIGA lo compresero
e lo ricambiarono. Erano pronti
a fare qualsiasi cosa per lui. Le
centinaia di exallievi del signor
Santi presenti al suo funerale e le
migliaia di persone che in tutti i
continenti piangono la sua morte
testimoniano dell’autenticità della
sua vita.
La sua vita ha lasciato una pro-
fonda impressione in ogni stu-
dente del SIGA. Il segreto del
suo successo con i giovani era
questo: diceva agli insegnanti e
ai Salesiani: «Siate umili, gentili,
comprensivi, ascoltate gli allievi
con il cuore». Sapeva conqui-
stare i ragazzi problematici con
la bontà e la comprensione. Don
K.J. Louis, che è stato Rettore al
SIGA, ha portato questo esem-
pio. Un giorno un ragazzo aveva
commesso un errore molto gra-
ve. La questione fu portata al
Consiglio della Casa. Il Consiglio
decise di allontanare il ragazzo.
Intervenne allora il signor Santi.
Disse agli altri consiglieri: «Im-
partitegli qualunque punizione
voi vogliate, ma non mandatelo
via. Se lo allontaniamo, dove
andrà? Noi siamo qui per aiutare
i ragazzi problematici, non per
mandarli via». Così il ragazzo ri-
mase, continuò i suoi studi e oggi
è una brava persona, che dà un
buon contributo all’industria della
stampa. Ci sono molti esempi di
questo tipo che mostrano l’amore
profondo e la comprensione che
il signor Santi aveva per i giovani
in difficoltà.
Come religioso e salesiano, ave-
va ben chiara la sua identità di
consacrato, di persona che aveva
dato la sua vita a Dio al servizio
degli altri. Era profondamente
legato a don Bosco ed era mol-
to ben informato sulla sua vita.
«Agire in ogni situazione come
avrebbe fatto don Bosco» era
il semplice consiglio che dava
a un giovane salesiano. Aveva
un’esemplare attenzione per le
pratiche religiose. Nel suo fitto
calendario trovava il tempo per
stare con Dio nella preghiera.
Non scendeva a nessun compro-
messo su questo punto.
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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
UN INDIMENTICABILE DONO
Nel 1848, sappiamo dai libri di Storia, successe il finimondo, nel senso che
accadde di tutto: guerre, colpi di stato, rivoluzioni, battaglie. A Parigi venne
cacciato il re e si proclamò la repubblica, a Vienna l’imperatore fu costretto
alla fuga, a Budapest vennero cacciati gli austriaci. In Italia la situazione era
altrettanto turbolenta: Milano e Venezia insorsero contro gli austriaci, Carlo
Alberto si pose a sostegno delle province insorte ma venne sconfitto e co-
stretto alla resa. In breve i tumulti si espansero e raggiunsero lo Stato Pon-
tificio e Roma. Un fatto gravissimo successe a novembre di quell’anno. Un
rivoluzionario riuscì ad avvicinarsi al primo ministro del Papa e lo accoltellò.
Il papa Pio IX, che non voleva cedere alle minacce, abbandonò di notte la
capitale romana, vestendo abiti civili, e, accompagnato da pochi, fidati collaboratori, si rifugiò nella
fortezza di Gaeta, ospite del re delle Due Sicilie, Ferdinando II, e da questi protetto. In breve la notizia
si diffuse e si alterò la realtà dei fatti: la gente e i giornali parlavano di papa Pio IX cacciato da Roma. I
fedeli ritennero cosa giusta sostenere il Pontefice e fargli pervenire aiuti di ogni genere. Anche a Torino,
come in tante altre parti della Penisola, la solidarietà si mise in moto nell’ambiente cattolico. Don Bosco
e i suoi ragazzi furono tra i primi ad aderire con entusiasmo
a questa iniziativa perché il Santo insegnava che “qualun-
que fatica è poca quando si tratta della Chiesa e del Papa”.
In poche settimane, quei poveri ragazzi raccolsero, facendo
rinunce e accettando offerte, 33 lire. Una piccola somma, ma
che arrivò, tramite il Nunzio Apostolico, nelle mani del San-
to Padre che si stupì sinceramente. Quando, dopo storiche
vicende, tornò in Vaticano, il Papa, memore di quel gesto
generoso, volle ricambiarlo. Fece acquistare XXX, le bene-
disse e le inviò direttamente ai ragazzi di Valdocco!
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Real Time
Strategy (sigla) - 4. Una storica Villa
di Roma - 6. A Venezia c’è la Foscari
- 8. Quello di mare è irto di aculei
- 14. Le membrane oculari con coni
e bastoncelli - 16. Dà gli ordini ai
gangster - 18. Era una famosa Or-
fei - 19. XXX - 22. Relative ad un
vulcano siciliano - 23. La Bergman
del Cinema - 25. È musqué quello
dalla pregiata pelliccia - 26. Affluen-
te del Po - 28. Infuriati - 31. XXX
- 35. Sfidano i tori nell’arena - 36.
Linea che su alcune carte geografiche
segna i confini di uniformità linguisti-
ca - 37. Componimento lirico - 38.
Presagio senza vocali - 39. La sacra
mensa dei cristiani - 41. Le suore
Figlie di San Paolo - 42. Banca va-
ticana - 43. Fine di Menelao - 44.
Artificial Intelligence (sigla).
VERTICALI. 1. La coppia sul
carro - 2. Una giravolta accidentale
dell’auto - 3. Timbro di voce potente
e sonoro - 4. Mettersi davanti agli
altri - 5. Lo sono Diana e Minerva
- 6. Conferenze - 7. Studia lo zodia-
co - 9. Situate in profondità - 10.
Impedimento, disaccordo - 11. Ci-
tazione (abbr.) - 12. L’Istituto per la
Ricostruzione Industriale chiuso nel
2002 - 13. Le vocali di moda - 15.
Lo diceva il prete al termine della
messa in latino - 16. Regione della
Somalia con Mogadiscio - 17. È se
stesso a Parigi - 20. Sala per proie-
zioni… in breve! - 21. Vice Direttore
- 22. Articolo romanesco - 24.
tuo né suo - 27. Antica città armena
- 28. È circondata da acque - 29.
Ridotta in cenere - 30. La corona dei
papi - 32. Governa sul trono - 33. Il
Gaetano che cantava Gianna (iniz.) -
34. L’onda dei tifosi - 35. Il “sopra”
del bikini - 38. Cambiano i frati in
preti - 40. Così inizia Il 5 maggio.
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LA BUONANOTTE
B.F.
Il conto
Disegno di Fabrizio Zubani
Preoccupato del senso
della vita e dell’ulti-
mo giorno, e soprat-
tutto del Giudizio
Finale a cui prima o
poi certamente sareb-
be andato incontro, un uomo
fece un sogno.
Dopo la morte, si avvicinò titu-
bante alla grande porta della casa
di Dio. Bussò e un angelo sorri-
dente venne ad aprire. Lo fece ac-
comodare nella sala d’aspetto del
Paradiso.
L’ambiente era molto severo. Aveva
il vago aspetto di un’aula di tribunale.
L’uomo aspettava, sempre più inti-
morito.
L’angelo tornò dopo un po’ con un
foglio in mano su cui, in alto, cam-
peggiava la parola “conto”. L’uomo lo
prese e lesse:
«Luce del sole e stormire delle fronde,
neve e vento, volo degli uccelli e erba.
Per l’aria che abbiamo respirato e lo
sguardo alle stelle, le sere e le notti...»
La lista era lunghissima.
«… il sorriso dei bambini, gli occhi
delle ragazze, l’acqua fresca, le mani e i
piedi, il rosso dei pomodori, le carezze,
la sabbia delle spiagge, la prima parola
del tuo bambino, una merenda in riva
ad un lago di montagna, il bacio di un
nipotino, le onde del mare…»
Man mano che pro-
seguiva nella lettura, l’uomo era sem-
pre più preoccupato.
Quale sarebbe stato il totale? Come
e con che cosa avrebbe mai potuto
pagare tutte quelle cose che aveva
avuto?
Mentre leggeva
con il batticuore, arrivò Dio.
Gli batté una mano sulla spalla.
«Ho offerto io», disse ridendo, «fino
alla fine del mondo. È stato un vero
piacere!»
Dio conosce solo la parola
“gratis”.
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L'invitato
Joseph Giaime
Missionario in Sri Lanka
Salesiani nel mondo
Burundi
Il liceo nella foresta
Le case di don Bosco
Il Gerini
Una scuola nella periferia
Est di Roma
A tu per tu
Flavio Insinna
“L'attore è una piccola
matita in una mano superiore"
Come don Bosco
La generazione touch
Meglio o peggio?
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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